Hai ricevuto o concesso un prestito tra privati e ti stai chiedendo quali sono le regole da rispettare per non avere problemi legali o fiscali? Temi che un prestito non documentato possa creare equivoci con il Fisco o addirittura diventare un rischio in caso di mancato rimborso?
I prestiti tra persone fisiche – cioè senza passare da banche o finanziarie – sono perfettamente legali, ma vanno gestiti con attenzione. Anche tra familiari o amici, infatti, esistono limiti, obblighi e rischi da non sottovalutare.
Ma come funzionano davvero i prestiti tra privati?
Si tratta di somme di denaro prestate da un soggetto a un altro, senza l’intermediazione di istituti di credito. Può avvenire tra parenti, conoscenti, soci o estranei, e può essere gratuito (senza interessi) o oneroso (con interessi pattuiti). Ma in ogni caso è fondamentale documentare tutto.
Serve sempre un contratto scritto?
Non è obbligatorio per legge, ma è altamente consigliato. Senza un documento che provi il prestito, sarà difficile – se non impossibile – dimostrare che il denaro dato non era una donazione, un anticipo o un pagamento. Il rischio è alto, soprattutto se il beneficiario non restituisce la somma o se il Fisco sospetta movimenti anomali.
Basta una scrittura privata firmata dalle parti, con l’indicazione della somma, delle modalità e dei tempi di restituzione. Anche un bonifico con causale “prestito” può essere utile come prova, ma non sostituisce un contratto dettagliato.
Ci sono limiti di importo o regole fiscali da rispettare?
Sì. Anche se si tratta di rapporti privati, movimenti di denaro importanti possono attirare l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, soprattutto se non giustificati o ricorrenti. Se il prestito è senza interessi, non ci sono imposte da versare, ma se è a titolo oneroso devono essere dichiarati gli interessi percepiti.
In alcuni casi – ad esempio tra società o soggetti collegati – il prestito può anche generare obblighi di registrazione o tassazione indiretta.
Cosa succede se chi riceve il prestito non paga?
Se il prestito è documentato, puoi agire legalmente per ottenere la restituzione, anche tramite decreto ingiuntivo. Se invece non c’è alcuna prova scritta, la situazione diventa molto più complicata. E in caso di prestiti tra familiari, la mancanza di chiarezza può generare liti e contestazioni.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contrattualistica, contenziosi e tutela patrimoniale – ti spiega come funzionano i prestiti tra privati, quali sono i rischi reali e come possiamo aiutarti a formalizzare correttamente un prestito o a recuperare le somme non restituite.
Hai prestato denaro e ora temi di non rivederlo più? Vuoi dare o ricevere un prestito tra privati ma vuoi farlo nel modo più sicuro possibile?
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Introduzione
I prestiti tra privati – detti anche prestiti personali tra persone non bancarie – sono finanziamenti effettuati al di fuori del circuito degli intermediari finanziari tradizionali (banche o società di credito). In pratica, un soggetto (mutuante) presta una somma di denaro a un altro soggetto (mutuatario) sulla base di un accordo privato, con o senza interessi, e con l’obbligo per il mutuatario di restituire la somma secondo le condizioni concordate.
Questa guida offre un’analisi avanzata sulle regole civilistiche e fiscali che disciplinano i prestiti tra privati in Italia, esaminando le diverse tipologie (da quelli tra familiari fino al peer-to-peer lending online) e i relativi limiti legali, obblighi e rischi.
Tra i temi trattati troverete:
- Le tipologie di prestiti tra privati (tra persone fisiche non parenti, tra parenti, tra soci e società, tra imprenditori e soggetti terzi, e il social lending peer-to-peer);
- La disciplina normativa: principali riferimenti del Codice Civile (contratto di mutuo), norme fiscali (imposte e adempimenti) e altre normative rilevanti (antiriciclaggio, soglie antiusura, normativa bancaria);
- La giurisprudenza fino al 2025: pronunce della Corte di Cassazione e sentenze di merito rilevanti (es. in materia di prova del prestito, usura, differenze con donazioni, finanziamenti dei soci, ecc.);
- Tabelle riepilogative dei concetti chiave (ad esempio obblighi formali, limiti di importo, tassazione, ecc.);
- Una sezione di Domande e Risposte su casi frequenti o dubbi comuni;
- Esempi pratici e simulazioni numeriche (come calcolare gli interessi, verificare la soglia d’usura, redigere una scrittura privata efficace, valutare le implicazioni fiscali di un prestito infruttifero, ecc.);
- Un’analisi dettagliata dei rischi (civili, fiscali, penali) connessi ai prestiti tra privati e degli strumenti per mitigarli (contratti ben strutturati, garanzie, causali di bonifico chiare, rispetto di norme antiusura, ecc.);
- Un elenco finale di fonti normative e giurisprudenziali suddivise per tipologia, per approfondire ogni aspetto trattato.
La guida è strutturata in sezioni con intestazioni chiare per facilitare la consultazione. Si privilegiano paragrafi brevi e schemi riassuntivi, in modo da mettere in evidenza i punti chiave e le precauzioni fondamentali da adottare quando si presta o si riceve denaro tra soggetti privati. Ricordiamo fin da ora che, pur essendo perfettamente legale prestare soldi tra privati (non esistono limiti di importo prefissati dalla legge per tali prestiti), è essenziale conoscere le regole e rispettare determinati requisiti per evitare che un gesto di fiducia o di aiuto finanziario reciproco si trasformi in una fonte di problemi legali o fiscali.
Nelle sezioni seguenti esamineremo dapprima le varie forme che un prestito tra privati può assumere, poi entreremo nel dettaglio della disciplina civilistica e fiscale applicabile, per passare quindi ai rischi e alle tutele, alle simulazioni pratiche e infine a una serie di domande frequenti.
Tipologie di prestiti tra privati
In base ai soggetti coinvolti e al contesto, i prestiti tra privati possono presentare caratteristiche differenti. Le situazioni più comuni includono:
- Prestiti tra persone fisiche non legate da vincoli di parentela (es. amici o conoscenti);
- Prestiti tra parenti o familiari (es. genitori e figli, altri rapporti di parentela stretta);
- Prestiti tra soci e società di cui sono membri (finanziamenti soci verso la società, o talvolta prestiti dalla società al socio);
- Prestiti tra imprenditori o comunque nell’ambito di attività economiche, verso soggetti terzi (es. finanziamenti tra due imprese, o tra un imprenditore e una persona terza al di fuori del sistema bancario);
- Prestiti tra privati tramite piattaforme online (c.d. peer-to-peer lending o social lending).
Analizziamo ciascuna tipologia, evidenziandone le peculiarità in termini di finalità, forma e disciplina applicabile.
Prestiti tra persone fisiche (non parenti)
I prestiti tra persone fisiche che non appartengono allo stesso nucleo familiare rappresentano la forma più “generica” di prestito privato. Tipicamente si tratta di finanziamenti occasionali tra soggetti che si conoscono (es. amici, colleghi, conoscenti) per venire incontro a esigenze di liquidità di uno dei due, senza ricorrere a banche o istituti di credito. In genere, tali prestiti possono assumere le seguenti caratteristiche:
- Accordo privato diretto: il prestito si basa su un accordo tra i due individui, spesso informale. È comunque consigliabile formalizzare con una scrittura privata i termini (importo, tempi di restituzione, presenza o assenza di interessi) per evitare incomprensioni future. L’assenza di un documento scritto, infatti, rende difficile provare l’esistenza del prestito in caso di controversie.
- Eventuale presenza di interessi: le parti possono concordare un prestito fruttifero (cioè con interessi a carico del debitore) oppure infruttifero (senza interessi). La legge non impedisce di pattuire interessi tra privati, purché non usurari (si veda oltre il limite di legge) e purché vengano dichiarati ai fini fiscali. In molti casi tra conoscenti, si preferisce il prestito infruttifero per finalità di favore; ciò è lecito, ma bisogna specificare chiaramente che non sono dovuti interessi, per evitare che il fisco supponga il contrario.
- Importi e durata: la legge non fissa un limite massimo all’importo che si può prestare privatamente né una durata standard. Si possono prestare anche cifre elevate, ma occorre tenere presente gli obblighi di tracciabilità (no contanti oltre soglia) e le possibili implicazioni fiscali. La durata può essere concordata liberamente: a breve termine o a medio-lungo, in un’unica soluzione o a rate. Se non viene stabilito un termine di rimborso, il creditore può esigere la restituzione a richiesta, entro termini congrui, secondo le regole generali (in assenza di patto, il mutuo si intende a tempo indeterminato).
- Occasionalità vs professionalità: questi prestiti avvengono in forma occasionale, cioè non come attività professionale abituale. Ciò significa che un privato può fare qualche prestito isolato senza autorizzazioni particolari. Tuttavia, se prestare denaro dovesse diventare un mestiere (molteplici operazioni, verso soggetti diversi, con carattere speculativo), si rischia di sconfinare nell’attività finanziaria abusiva, riservata agli intermediari autorizzati (art. 132 TUB, D.Lgs. 385/93). In pratica, prestare a sconosciuti in modo abituale non è consentito al privato. L’occasionalità è dunque un connotato importante: prestare una tantum a persone che si conoscono rientra nella sfera lecita e privata; farlo ripetutamente come fonte di profitto no.
- Mezzi di pagamento: è altamente raccomandato utilizzare strumenti tracciabili (bonifico bancario, assegno non trasferibile) per erogare e restituire il prestito, indicando nella causale che si tratta di un prestito tra privati. Questo per almeno due ragioni: 1) perché la legge impone l’uso di mezzi tracciabili per trasferimenti sopra una certa soglia di contante (attualmente €5.000 come limite ai pagamenti in contanti), e 2) per poter giustificare la movimentazione di denaro di fronte all’Agenzia delle Entrate, evitando che venga scambiata per reddito non dichiarato o operazione sospetta. Il bonifico con causale appropriata è la scelta ideale.
In sintesi, i prestiti tra persone fisiche “esterne” alla famiglia sono leciti e non richiedono comunicazioni preventive: la libertà contrattuale consente di concludere un contratto di mutuo privato ai sensi dell’art. 1813 c.c. (che definisce il mutuo come il contratto in cui una parte consegna all’altra una somma di denaro obbligandosi la seconda a restituirla). È però fondamentale stipulare patti chiari sin dall’inizio, redigendo idealmente un semplice contratto o una scrittura privata che attesti l’accordo (importo, tempi, interessi se previsti) e usando metodi di pagamento tracciabili. Così si tutela il creditore (che avrà prova per richiedere la restituzione) e il debitore (che potrà dimostrare la natura di eventuali somme ricevute). Nei paragrafi successivi vedremo nel dettaglio quali clausole inserire in un contratto di prestito tra privati e quali accorgimenti fiscali adottare.
Prestiti tra parenti e familiari
Molti prestiti tra privati avvengono in ambito familiare: genitori che prestano somme ai figli (es. per acquistare casa, avviare un’attività o fronteggiare spese impreviste), parenti che si aiutano tra loro, nonni che anticipano denaro ai nipoti, fratelli e sorelle, e così via. In questi casi il legame affettivo e fiduciario è particolarmente forte, e spesso le parti tendono a minimizzare la formalità, considerando l’accordo “un fatto di famiglia”. Proprio questa informalità può però generare rischi e dubbi in seguito. Ecco gli aspetti da considerare nei prestiti in famiglia:
- Fiducia vs formalizzazione: anche se tra parenti c’è fiducia, formalizzare per iscritto l’accordo è altamente consigliato. Questo non significa mancanza di fiducia, ma serve a evitare equivoci futuri. Documentare il prestito (con una scrittura privata firmata da entrambe le parti, o almeno conservando traccia di una corrispondenza scritta) permette di dimostrare che il trasferimento di denaro è un prestito e non una donazione. Ciò è cruciale in diverse situazioni: ad esempio, se in futuro altri familiari dovessero contestare quella dazione di denaro (succede spesso nelle successioni ereditarie), oppure in caso di accertamento fiscale.
- Donazione o prestito? Un nodo frequente è distinguere il prestito da una donazione (regalo di denaro). Il prestito comporta obbligo di restituzione, la donazione no. In Italia le donazioni di non modico valore richiedono l’atto pubblico notarile a pena di nullità (art. 782 c.c.). Quindi, se un genitore regala una somma ingente al figlio senza atto notarile, quell’atto sarebbe nullo in teoria. Alcuni, per evitare l’atto di donazione, preferiscono configurare l’aiuto economico come prestito infruttifero. Attenzione però: se il prestito è fittizio e in realtà non si vorrà la restituzione, si tratta di una donazione indiretta mascherata. La giurisprudenza ha evidenziato che un prestito gratuito e senza piano di rimborso può essere riqualificato come donazione simulata se emergono gli elementi tipici della donazione (impoverimento definitivo del genitore e arricchimento del figlio senza obbligo di restituzione). Un caso emblematico riguarda genitori residenti all’estero che finanziano i figli: anche il fisco straniero (es. in Francia) tende a vedere in un prestito infruttifero senza scadenza una donazione dissimulata, con le relative imposte. Dunque, se l’intento è realmente di donare, è preferibile seguire la via della donazione formale (spesso tra parenti stretti l’imposta è zero entro certe franchigie, ad es. €1.000.000 tra genitore e figlio). Se invece si opta per un prestito familiare genuino, vanno adottate cautele per non farlo apparire come un regalo travestito.
- Precauzioni per i prestiti ai figli: Qualora un genitore presti soldi a un figlio, è opportuno: 1) stipulare un contratto scritto di mutuo familiare, indicando eventualmente anche un tasso di interesse (anche minimo) e un piano di ammortamento con rate, anche simboliche; 2) documentare i trasferimenti con bonifico, specificando la causale (es. “prestito infruttifero a mio figlio per acquisto auto, restituzione a richiesta”); 3) valutare la registrazione del contratto presso l’Agenzia Entrate per dare data certa e ufficialità all’operazione. Queste misure servono a conferire all’operazione i connotati di un vero prestito: un interesse pattuito (anche se minimo, ad esempio al tasso legale) e un programma di rimborso periodico sono elementi che smentiscono la volontà di donare e rendono il prestito più credibile anche di fronte a terzi. Naturalmente, parenti stretti possono benissimo prestarsi denaro senza interessi – ciò è lecito e comune – ma in tal caso almeno prevedere una scadenza o rate di restituzione aiuta a dare concretezza all’obbligo di rimborso.
- Uso del denaro e presunzioni legali: se il denaro prestato tra coniugi o parenti viene utilizzato per le esigenze familiari quotidiane, spesso la giurisprudenza presume che non vi fosse volontà di restituzione (lo si considera un sostegno dovuto alla famiglia). Ad esempio, i prestiti tra coniugi in costanza di matrimonio, se servono a pagare spese domestiche o mantenimento, non sono ripetibili (non puoi chiedere indietro i soldi spesi per la famiglia). Al contrario, se la somma è servita a scopi estranei ai bisogni familiari (es. finanziare un’attività imprenditoriale del coniuge, come in un caso esaminato dal Tribunale di Roma), allora si può configurare un vero prestito con obbligo di restituzione. Nella vicenda in questione, una moglie aveva versato €70.000 al marito con bonifici (causale: finanziamento per avvio attività dolciaria); in sede di separazione, il Tribunale ha riconosciuto trattarsi di mutuo (non donazione), escludendo che fossero somme a fondo perduto, proprio perché finalizzate a un investimento e di importo elevato (non modico). Questo esempio insegna che tra parenti è sempre bene specificare la causa del trasferimento di denaro: se è per spese familiari ordinarie potrebbe presumersi una liberalità non ripetibile, se è per altri scopi occorre chiarire che è a titolo di prestito.
- Prestiti a titolo gratuito: la maggior parte dei prestiti tra parenti è infruttifera (senza interessi) o applica al più il tasso legale simbolico. Ciò va benissimo, ma è importante dichiararlo espressamente. Ad esempio, se un padre presta €50.000 al figlio senza interessi, conviene mettere per iscritto “prestito infruttifero” o indicarlo nella causale del bonifico. In mancanza, l’Agenzia delle Entrate potrebbe teoricamente presumere che vi fossero interessi (al tasso legale) non dichiarati dal padre, con relative sanzioni per omessa dichiarazione di redditi di capitale. Infatti, l’Amministrazione finanziaria considera “anomalo” un prestito senza alcun interesse se non viene specificato, e potrebbe riqualificarlo come fruttifero (imputando al creditore interessi presunti almeno al tasso legale, attualmente 5% annuo dal 2024) e tassarli. Dunque, è fondamentale chiarire sempre la natura infruttifera onde evitare contestazioni.
- Tracciabilità e soglia contanti: come per tutti i prestiti privati, anche tra familiari valgono le norme antiriciclaggio: mai usare contante per importi rilevanti. È vero che tra parenti la confidenza è alta, ma la legge non fa eccezioni: ogni trasferimento oltre €5.000 deve passare per strumenti tracciabili (bonifico bancario, assegno). Inoltre l’uso del bonifico con causale chiara (“prestito infruttifero a …”) tutela sia dal punto di vista della prova (data e importo certi) sia verso il fisco, come già accennato.
In conclusione, i prestiti tra parenti sono assai diffusi e spesso convenienti (niente interessi da pagare, flessibilità nei tempi di restituzione, ecc.), ma non sono esenti da regole. Bisogna ricordare che un prestito familiare non formalizzato potrebbe essere successivamente contestato come donazione nulla (se di importo elevato e senza atto pubblico) o creare conflitti tra eredi. Per evitare ciò: mettere tutto per iscritto, anche in forma semplice; se possibile, registrare la scrittura per dare data certa; rispettare le soglie di legge (niente contanti oltre il limite, tasso d’interesse nei limiti di usura se previsto); e se si intende in realtà fare un regalo, meglio valutarne la formalizzazione come donazione diretta o indiretta (esempio di donazione indiretta lecita: il genitore paga direttamente il venditore della casa che il figlio acquista, indicando che tratta di liberalità per l’acquisto dell’immobile – operazione generalmente riconosciuta valida senza atto di donazione, purché dichiarata nell’atto di compravendita). Ogni famiglia ha la sua situazione, ma la regola d’oro è: patti chiari, famiglia (ancora) lunga!
Prestiti tra soci e società
Una categoria particolare di prestiti tra privati è quella tra i soci di una società e la società stessa. Si tratta di operazioni interne alla compagine societaria, spesso finalizzate a sostenere finanziariamente l’azienda senza ricorrere a capitali di terzi. Possiamo distinguere due direzioni principali:
- Finanziamenti dei soci alla società (socio → società), tipici soprattutto nelle società di capitali (S.r.l. e S.p.A.), noti anche come prestiti dei soci o finanziamenti soci. Sono somme che i soci mettono a disposizione della società, normalmente infruttifere o a tasso contenuto, per esigenze di liquidità o investimento.
- Prestiti dalla società al socio (società → socio), meno frequenti, che avvengono quando la società eroga somme a un socio al di fuori di una distribuzione utili (ad esempio come anticipo da restituire, finanziamento personale, ecc.).
Entrambe le situazioni sono possibili ma soggette a regole specifiche di diritto societario e fiscale.
Finanziamenti dei soci alla società (prestiti soci): è una pratica comune, specialmente nelle S.r.l., che i soci supportino la società versando somme a titolo di prestito anziché di aumento di capitale. I vantaggi possono essere: flessibilità nel rimborso (il prestito può essere restituito ai soci quando c’è liquidità eccedente), nessun onere immediato di formalità notarili (a differenza del capitale sociale), possibilità di subordinare il rimborso a certe condizioni. Tuttavia, la legge e la giurisprudenza richiedono attenzione su questi punti:
- Forma e delibera: un finanziamento soci può essere deliberato dall’assemblea, specie se sono più soci a partecipare, oppure può avvenire mediante accordo separato tra singolo socio e società. In ogni caso, è buona norma metterlo per iscritto (ad es. un contratto di mutuo infruttifero tra socio e società, o almeno riportare a verbale l’impegno del socio a versare la somma come prestito). Se il finanziamento viene formalizzato in una delibera assembleare (come spesso accade nelle S.r.l.), occorre sapere che anche i verbali assembleari possono scontare l’imposta di registro come un contratto di mutuo. La Corte di Cassazione ha confermato che un verbale di assemblea ordinaria che delibera un finanziamento soci configura di per sé un contratto tassabile al 3%, non un semplice resoconto. In una recente sentenza (Cass. n. 31174/2023) è stato ribadito che se dal verbale emerge la volontà completa delle parti (soci e società) di effettuare il prestito, tale atto va registrato con imposta proporzionale. Dunque, per evitare questa tassa, spesso i soci formalizzano i prestiti tramite scritture private separate (scambio di corrispondenza) non soggette a registrazione immediata, invece di inserire tutto nel verbale notarile. Un’alternativa è non menzionare dettagli operativi nei verbali se non necessario, per non “enunciare” il contratto di finanziamento in un atto registrabile (il principio dell’enunciazione prevede che se un atto non registrato viene menzionato in un altro atto registrato, scatta la tassa anche per il primo – art. 22 DPR 131/86). In passato l’Agenzia delle Entrate ha preteso il 3% perfino quando il finanziamento risultava enunciato in un atto di aumento capitale. Oggi la Cassazione ritiene che anche la delibera stessa, se contiene l’accordo, è soggetta a imposta. In sintesi: attenzione a come si formalizzano i finanziamenti soci, per gestire correttamente l’aspetto fiscale (vedi anche sezione fiscale).
- Infruttifero vs fruttifero: di solito i finanziamenti soci sono infruttiferi (senza interessi), configurandosi come apporto temporaneo di risorse a titolo gratuito. Nulla vieta però di prevedere un tasso di interesse per il socio finanziatore (magari in linea col mercato). Se si stabiliscono interessi, questi saranno deducibili per la società come oneri finanziari (con i limiti di deducibilità di cui all’art. 96 TUIR) e tassati in capo al socio come interessi di capitale (26% imposta sostitutiva tramite ritenuta d’acconto se la società funge da sostituto d’imposta). Molte PMI scelgono l’infruttiferità per semplicità e per evitare esborsi periodici. Attenzione: se un finanziamento è dichiarato infruttifero, deve esserlo davvero. Se poi la società “di fatto” corrisponde utilità occulte al socio finanziatore, l’operazione potrebbe essere riqualificata dal fisco.
- Postergazione del rimborso (art. 2467 c.c.): nelle S.r.l. (e, in certa misura, nelle S.p.A. nelle forme di finanziamento da parte di soci controllanti ex art. 2497-quinquies c.c.) vige la regola della postergazione dei finanziamenti dei soci in caso di situazione finanziaria critica. L’art. 2467 c.c. stabilisce che se i soci finanziano la società in un momento in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento di capitale (tipicamente, quando la società è sottocapitalizzata o in difficoltà finanziarie), il rimborso di tali prestiti è subordinato al soddisfacimento degli altri creditori. Inoltre, se il rimborso ai soci avviene nell’anno precedente una procedura concorsuale (fallimento, liquidazione, ecc.), esso deve essere restituito alla massa (è revocato). Questo significa che il socio che presta denaro alla “sua” società in crisi si assume un rischio maggiore: sarà l’ultimo a poter essere rimborsato. Cassazioni recenti del 2023 (es. Cass. 30089/2023, Cass. 30725/2023) hanno discusso l’ambito di applicazione della postergazione, ad esempio se si applichi anche a finanziamenti indiretti (come dilazioni di pagamento concesse da un socio-fornitore): è emerso che la norma si riferisce formalmente ai finanziamenti “dei soci” alla propria società, ma la sostanza può prevalere se un socio maschera un prestito da altro atto. Per il socio finanziatore, la postergazione significa che non potrà pretendere indietro i soldi finché la società ha debiti verso terzi più urgenti – di fatto il suo prestito diventa quasi capitale di rischio. Nota: le nuove norme sulla crisi d’impresa (D.Lgs. 14/2019, Codice della Crisi) mantengono questo principio. Dunque, quando si fa un prestito alla propria società, conviene sempre valutarne la convenienza rispetto a un aumento di capitale: se l’impresa va bene il prestito consente di rientrare dei fondi prima di distribuire utili, ma se va male il prestito potrebbe essere di fatto “perso” come e più del capitale.
- Rinuncia al credito da finanziamento soci: spesso, se le cose vanno male, il socio può decidere di rinunciare alla restituzione del suo finanziamento (trasformandolo quindi in capitale di fatto, per coprire perdite). La rinuncia a un finanziamento soci è considerata dalla prassi fiscale come un apporto capitale a fondo perduto. Grazie a ciò, generalmente non genera una sopravvenienza attiva tassabile per la società (in quanto si considera che il socio agisca da “proprietario” e non da terzo creditore). La Cassazione ha riconosciuto che la rinuncia di un credito da parte del socio non è un fatto imponibile se effettuata in funzione della patrimonializzazione della società (non è un ricavo). Tuttavia, è importante formalizzare correttamente anche la rinuncia (verbale assembleare e atto scritto) e tener conto che, se il socio in futuro cede la partecipazione, quanto rinunciato può aumentare il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione stessa (per evitare tassazioni indirette).
- Profili fiscali ulteriori: i finanziamenti soci infruttiferi non generano redditi né per il socio né per la società, e non sono soggetti ad imposta di registro immediata se conclusi con scambio di corrispondenza (registrazione solo in caso d’uso). Se però il finanziamento è menzionato in un atto registrato, come visto, scatta il 3% di registro. Inoltre, esisteva fino al 2016 l’obbligo per le società di comunicare annualmente all’Anagrafe Tributaria l’ammontare dei finanziamenti ricevuti dai soci, ma tale adempimento è stato abrogato nel 2017. Ciò non toglie che in caso di verifica fiscale l’Agenzia Entrate possa chiedere conto di versamenti dei soci sui conti sociali, per verificarne la natura (capitale? finanziamento? ricavi occultati?): avere un contratto di prestito ben datato e, se opportuno, registrato, mette al riparo da requalificazioni sgradite.
Prestiti dalla società al socio: questa fattispecie è più delicata, perché facilmente si presta ad abusi. Una società di capitali (persona giuridica) può certamente concedere un prestito a uno dei suoi soci persone fisiche, purché ciò abbia una giustificazione (es. il socio ha necessità personale e la società ha liquidità in eccesso, e c’è volontà di farsi restituire l’importo). Tuttavia, bisogna considerare:
- Interesse dei soci e amministratori: un prestito a un socio è una operazione con parte correlata: l’amministratore che approva deve valutare l’interesse della società a farlo. Se la società è piccola e il socio è anche amministratore, è facile incorrere in conflitto di interessi. In S.r.l., operazioni che favoriscono un socio rispetto agli altri possono essere contestate dagli altri soci se ledono il patrimonio sociale. In S.p.A. ci sono norme più stringenti sugli atti in potenziale conflitto (art. 2391 c.c.). Dunque, serve trasparenza: idealmente deliberare il prestito con motivazione (es. il socio restituirà entro X mesi con tot interessi; la società ha liquidità inutilizzata temporaneamente).
- Trattamento fiscale: se la società presta denaro al socio senza interessi o a tasso molto basso, si crea per il socio un beneficio. In passato l’Agenzia delle Entrate pretendeva che tale beneficio fosse tassato come dividendo o compenso occulto al socio. Era prevista (prima dell’abrogazione nel 2017) una comunicazione specifica per i beni concessi in godimento ai soci: se la società dà al socio beni o prestiti a condizioni più favorevoli di mercato, la differenza è in parte tassata. Ad esempio, se una società prestava €100.000 al socio a tasso 0, mentre il tasso di mercato era 5%, si calcolava un reddito diverso in capo al socio pari a quel 5% annuo, come fringe benefit finanziario, e non era deducibile per la società. Oggi quell’obbligo di comunicazione è abolito, ma la sostanza economica resta: l’art. 45, co. 2 del TUIR considera redditi anche i vantaggi in denaro goduti per fatti o situazioni a titolo di partecipazione. Il consiglio è dunque: se la società presta soldi a un socio, farlo a condizioni di mercato (applicare un tasso di interesse almeno pari al tasso legale o quello che la società otterrebbe investendo altrimenti). Così si evita di incorrere in possibili contestazioni su utili occulti distribuiti.
- Aspetti civilistici: un prestito al socio deve essere restituito dal socio alla società secondo i patti. Se ciò non avviene e la società successivamente rinuncia a farseli restituire, quell’importo potrebbe essere considerato un utile distribuito (dividendo) ai soci, oppure una riduzione di capitale occulta. In entrambi i casi, emergono profili di invalidità societaria e fiscali. Dunque è opportuno che il prestito sia garantito o comunque monitorato. Inoltre, un prestito al socio non può surrogare i dividendi: ad esempio, se la società ha utili e anziché distribuirli (con tassazione) li presta ai soci per poi non richiederli, il fisco potrebbe riqualificare l’operazione come distribuzione di utili in evasione d’imposta.
- Imposte indirette: il contratto di mutuo tra società e socio è soggetto alle stesse regole di registro: se redatto per iscritto, sarebbe teoricamente da registrare con 3%. Spesso però questi accordi vengono formalizzati come riconoscimenti di debito o semplici scritture private non immediatamente registrate.
- Precedenti di legge speciale: va ricordato che negli anni scorsi la normativa antievasione aveva colpito duramente questi casi: dal 2012 al 2016 vigeva una regola per cui il socio che utilizzava un bene o denaro sociale pagando un corrispettivo inferiore al valore di mercato veniva tassato sulla differenza come reddito diverso, e la società perdeva la deducibilità dei relativi costi. Oggi quell’impianto è stato eliminato, ma rimane comunque la possibilità di un accertamento in sede di controllo se tali movimenti non sono giustificati.
- Esempio pratico: una S.r.l. concede al socio unico un prestito di €50.000 restituibile in 2 anni al tasso annuo del 2%. Se tutto è rispettato (il socio restituisce i 50.000 + interessi), l’operazione è lecita: la società incasserà €2.000 circa di interessi totali (tassati in IRES), il socio avrà pagato un interesse modesto ma sufficiente a non avere benefit gratuiti. Diverso sarebbe stato fissare 0%: in tal caso, il socio avrebbe goduto di un prestito a titolo gratuito – difficile sostenere che la società (che non è un ente benefico) non volesse nulla in cambio; il fisco potrebbe presumere che quei €50.000 fossero in realtà un acconto utili mascherato. Meglio quindi indicare un tasso almeno simbolico.
Conclusione sui rapporti soci-società: i prestiti tra privati in ambito societario richiedono di contemperare flessibilità finanziaria e rispetto delle norme societarie. In generale: i soci possono finanziare la propria società (è anzi spesso necessario nelle fasi di avvio o difficoltà), ma devono sapere che tali prestiti sono equiparati quasi a capitale e hanno rischi (postergazione). Viceversa, le società dovrebbero evitare di finanziare i soci se non in casi giustificati, e comunque alle stesse condizioni che applicherebbero a terzi, per evitare sia problemi interni (minoranze scontente, problemi di governance) sia esterni (accertamenti fiscali, contestazioni di distrazione di risorse sociali). Quando tali prestiti avvengono, è fondamentale documentare tutto con precisione: delibere, contratti, pattuizioni chiare su interessi e rimborso, e rispettare gli obblighi di legge (registro imprese se necessario, ecc.).
Prestiti tra imprenditori e soggetti terzi
Questa categoria eterogenea comprende situazioni in cui un soggetto legato ad attività di impresa effettua un prestito al di fuori della compagine sociale propria. Si possono fare alcuni esempi per chiarire:
- Prestiti tra due imprese (società o ditte individuali): ad esempio, due aziende partner in affari potrebbero accordarsi in privato per un finanziamento da una all’altra (magari un’anticipazione di liquidità in attesa che la seconda ottenga un fido bancario, ecc.), oppure una holding di gruppo presta fondi a una controllata (fuori dai canali bancari). Tali operazioni sono lecite, purché rispettino le normative generali: il prestito va formalizzato e rispettoso delle soglie antiusura anche qui. Attenzione che se un’azienda fa credito regolarmente ad altre aziende, rischia di configurare un’attività finanziaria riservata. Ma prestiti occasionali infragruppo o tra partner commerciali non sono vietati. La Banca d’Italia non richiede autorizzazione per finanziamenti infruttiferi o non professionali tra imprese, ma se un’entità non bancaria esercita professionalmente il credito verso terzi, deve iscriversi all’albo degli intermediari finanziari ex art. 106 TUB. Un caso borderline: una società di comodo che fa da finanziaria di fatto per altre imprese – questo richiederebbe autorizzazione. Quindi, sì a prestiti isolati tra aziende, no a farne un business.
- Prestito da imprenditore a persona fisica terza: un imprenditore individuale (o il titolare di una ditta) potrebbe prestare soldi a un amico o a un parente, fuori dall’attività d’impresa. In tal caso, l’operazione rientra di fatto nei prestiti tra persone fisiche (visti sopra). L’unica particolarità: l’imprenditore dovrebbe tenere i conti separati tra sfera privata e aziendale. Se usa fondi dell’azienda per prestarli a un privato, quell’uscita non è correlata all’attività produttiva e non può essere dedotta come costo (non essendo inerente). Inoltre potrebbe essere contestata come distrazione di risorse dall’impresa (specie se poi mancano per pagare fornitori). Dunque è preferibile che l’imprenditore prelevi formalmente utile suo e poi faccia il prestito come privato.
- Prestito da impresa a persona non socia: ad esempio una società presta soldi a un dipendente, o al titolare di un’altra impresa amica, etc. Anche qui: nulla di esplicitamente vietato dal Codice Civile, ma bisogna evitare di violare il Testo Unico Bancario. L’art. 132 TUB punisce chi esercita abusivamente l’attività di concessione di finanziamenti al pubblico. Cosa si intende per “al pubblico”? Cioè in generale verso una platea indifferenziata o comunque come attività rivolta non a soggetti ben delimitati. Se una S.p.A. decide di concedere prestiti a chiunque ne faccia richiesta, sta facendo il mestiere della banca senza licenza – reato. Se invece presta una tantum a un soggetto con cui ha un rapporto (es. società consorella), si è nell’occasionalità. Vale dunque la regola: un’attività d’impresa non finanziaria può effettuare operazioni di credito occasionali, ma non deve fare del credito la sua attività principale. In caso contrario, rischia conseguenze penali (reclusione e multa) per attività finanziaria abusiva e sanzioni amministrative (es. nullità dei contratti).
- Aspetti fiscali tra imprese: se un’azienda presta a un’altra con interessi, tali interessi saranno reddito imponibile per il creditore (concorrono al reddito d’impresa ai fini IRES) e oneri finanziari deducibili (nei limiti di legge) per il debitore. Bisogna però rispettare il principio di libera concorrenza se le due imprese sono correlate (transfer pricing in ambito internazionale: se una società italiana presta a una consociata estera, gli interessi devono essere a tasso di mercato, altrimenti l’Agenzia delle Entrate può rettificare). In ambito domestico, il transfer pricing non si applica tra società entrambe italiane, ma in caso di tassi anomali potrebbero comunque esserci questioni di abuso del diritto (es. se una società in perdita presta a tasso altissimo a una in utile per spostare reddito imponibile).
- Garanzie e privilegi tra imprese: spesso quando un’azienda presta a un’altra, per sicurezza si costituiscono garanzie reali (pegno, ipoteca) o si subordinano i crediti. Va ricordato che anche un’impresa finanziatrice può incorrere nel reato di usura se applica interessi sopra soglia (non conta essere impresa, la legge antiusura vale per chiunque). Inoltre, se l’impresa creditrice è anche fornitrice della debitrice, c’è da fare attenzione a non incorrere in confusione tra rapporti di fornitura e di finanziamento (possono emergere questioni contabili e di bilancio: ad esempio, forniture continuative con dilazioni eccessive di pagamento a fronte di interessi possono mascherare finanziamenti).
- Caso tipico: l’azienda A e l’azienda B hanno gli stessi soci; A ha surplus di cassa, B ha bisogno di fondi. A presta 100 a B con interesse 2% annuo. Formalizzano con contratto di mutuo infruttifero (o fruttifero 2%). Questo è lecito e comune nei gruppi: in pratica A funge da “tesoreria” del gruppo. Se i soci sono gli stessi, l’operazione è controllata ma andrà a buon fine. L’aspetto da curare è la documentazione (contratto con data certa) e la contabilizzazione corretta (A iscrive un credito verso B; B un debito verso A; interessi passivi/attivi rilevati annualmente). Dal punto di vista fiscale, se il tasso è basso (2% in esempio), l’Amministrazione potrebbe chiedersi: perché A impiega a 2% quando avrebbe potuto avere di più sul mercato? Se A e B sono correlate, va tutto bene; se non lo sono, bisogna poter giustificare la convenienza (magari B è cliente importante di A, e questo rafforza la partnership).
- Imposte indirette e civilistiche: anche qui vale la regola generale del mutuo: se redigono un atto, soggetto a registro 3%. Spesso tra imprese tali accordi si fanno via corrispondenza (es. lettera di A con offerta di finanziamento e controfirma di B per accettazione) per evitare l’obbligo di registrazione immediata, sfruttando la regola del “caso d’uso”. Civilisticamente, nessun problema: il mutuo è un contratto “reale” che si perfeziona con la consegna del denaro. Quindi la lettera di A e la successiva disposizione di bonifico a favore di B concretizzano il contratto.
In sintesi, i prestiti tra soggetti d’impresa e terzi non sono vietati, ma vanno gestiti con cautela per non infrangere normative speciali. Il principio è: l’occasionalità è ammessa, la professionalità no (se non autorizzati). Inoltre, quando l’operazione avviene in un contesto imprenditoriale, bisogna valutare la convenienza economica e la trasparenza verso eventuali altri stakeholders (soci di minoranza, creditori, fisco). Sempre consigliabile formalizzare contrattualmente e rispettare gli obblighi contabili (un prestito va iscritto a bilancio come tale, non nascosto in altre voci).
Prestiti peer-to-peer (social lending tra privati online)
Negli ultimi anni si è sviluppata anche in Italia la forma di prestito tra privati mediata da piattaforme web, comunemente chiamata peer-to-peer lending o social lending. Si tratta di portali online che mettono in contatto privati finanziatori (che desiderano investire una somma ottenendo un interesse) e privati richiedenti (che cercano un prestito personale), senza l’intervento diretto di banche. In realtà, la piattaforma svolge un ruolo fondamentale di intermediazione tecnica e gestione dei flussi di denaro, pur non essendo una banca tradizionale.
Caratteristiche principali del P2P lending:
- Il prestito P2P è un prestito personale tra privati tramite Internet. Chi vuole investire (prestatore) trasferisce fondi tramite il portale; chi vuole il prestito (prenditore) fa richiesta sul portale indicando la somma e accettando un certo tasso. La piattaforma abbina le richieste e fraziona di solito il finanziamento tra più prestatori per diversificare il rischio. Si generano così contratti di mutuo in formato digitale tra molteplici privati e uno stesso debitore, per piccole quote ciascuno.
- Assenza di banca tradizionale: non si passa dallo sportello bancario, ma da un sito web gestito da un intermediario autorizzato. In Italia, infatti, non esiste una legge ad hoc sul social lending, ma la Banca d’Italia ha inquadrato queste piattaforme come Istituti di Pagamento specializzati. Già dal 2013 sono state autorizzate le prime due piattaforme (Smartika e Prestiamoci) a operare come istituti di pagamento che gestiscono portali di social lending. Oggi diverse piattaforme operano legalmente, alcune anche sotto forma di società di crowdfunding ai sensi del Regolamento UE 2020/1503 (applicabile dal 2021). Questi intermediari non erogano direttamente il credito, ma facilitano quello tra privati, custodendo le somme e suddividendole nei vari contratti.
- Tutela e separazione patrimoni: la normativa (art. 114-decies e 114-undecies TUB) prevede che le somme affidate dai prestatori e dai debitori a un istituto di pagamento per il social lending siano tenute separate dal patrimonio della società che gestisce la piattaforma. Ciò per proteggere gli utenti: se la piattaforma fallisce, i soldi depositati per i prestiti non entrano nella massa fallimentare, e i rimborsi dei debitori continuano ad essere dovuti ai prestatori residui tramite la procedura, grazie al patrimonio segregato.
- Applicazione normativa credito al consumo: quando il debitore su una piattaforma è un consumatore (persona fisica che chiede il prestito per scopi personali, non imprenditoriali), i contratti conclusi online sono considerati contratti a distanza di finanziamento al consumo. Quindi, oltre alle regole del mutuo, si applicano le tutele del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) in materia di contratti finanziari a distanza: obblighi di informativa precontrattuale e diritto di recesso entro 14 giorni dal contratto per il consumatore. Le piattaforme serie forniscono infatti al debitore un prospetto informativo prima di accendere il prestito e danno la possibilità di recedere entro 14 giorni senza penali, come da legge.
- Regole antiusura e creditizie: anche nel social lending valgono le stesse soglie di usura previste dalla legge (Legge 108/96) per i prestiti personali. Le piattaforme modulano i tassi in base al profilo di rischio del debitore ma sempre entro i tassi soglia trimestrali fissati dal MEF per la categoria “prestiti personali” (indicativamente intorno al 20% TAEG come limite nel 2025, v. sezione Disciplina dell’usura per dettagli). Inoltre, il TAEG (tasso annuo effettivo globale) deve essere comunicato chiaramente al debitore, come previsto dalla normativa sul credito ai consumatori.
- Peer-to-peer vs crowdfunding: il confine è sottile. Il social lending di cui parliamo è rivolto di solito a prestiti personali (tipicamente per consolidamento debiti, acquisto auto usata, spese familiari, ecc.). Esiste anche il lending crowdfunding per progetti imprenditoriali: in tal caso privati finanziano un’azienda (PMI) attraverso portali, spesso ottenendo in cambio una remunerazione. Dal 2021 è in vigore il citato Regolamento UE che copre il crowdfunding sino a €5 milioni, incluso il lending a imprese (ma escludendo il consumer lending). In Italia prima c’era un vuoto normativo, colmato solo parzialmente da disposizioni di Banca d’Italia. Ad oggi, piattaforme come Borsa del Credito (credimi) o October operano su prestiti a imprese, mentre Smartika, Prestiamoci, Younited Credit (che in realtà è un intermediario comunitario) operano su prestiti a privati. Nota: Younited Credit è un caso particolare, essendo una piattaforma francese con licenza di banque communautaire, che offre in Italia prestiti tra privati ma con la sua struttura di intermediazione (in pratica i prestatori comprano “titoli” rappresentativi dei prestiti).
- Aspetti fiscali del social lending: dal punto di vista del prestatore (investitore privato), gli interessi percepiti tramite social lending costituiscono redditi di capitale ai sensi dell’art. 44 TUIR, equiparati agli interessi da obbligazioni, depositi o conti correnti. La Legge di Bilancio 2018 ha introdotto per essi una aliquota agevolata del 20% a titolo d’imposta, in luogo del 26% standard. In pratica, la piattaforma applica una ritenuta alla fonte sugli interessi pagati al finanziatore: attualmente questa ritenuta è del 26% per molti redditi finanziari, ma la normativa speciale (L. 205/2017, art.1 comma 44) ha previsto il 20% per gli interessi da social lending percepiti da persone fisiche non in attività d’impresa. Tale ritenuta del 20% è a titolo d’imposta, quindi il privato ha già assolto la tassazione e non deve dichiarare altro. Questo regime più favorevole prevale sulla regola generale del 26% perché successivo nel tempo. Per completezza, notiamo che se la piattaforma è gestita da un ente senza scopo di lucro per finalità sociali (casi rari di social lending etico), la legge prevede addirittura la riduzione dell’aliquota al 12,5% (parificata a quella dei titoli di Stato), ma solo per portali di finanziamento di attività di interesse generale gestiti da enti del Terzo Settore. La maggior parte delle piattaforme commerciali rientra invece nel 20%. Dal lato del debitore, i prestiti ottenuti via piattaforma non danno diritto ad alcuna detrazione particolare (non sono mutui immobiliari, quindi niente detraibilità interessi). Se il debitore fosse un lavoratore autonomo o impresa che riceve un prestito P2P per la sua attività, gli interessi pagati sarebbero deducibili come interessi passivi d’impresa, secondo le regole ordinarie (ma casi del genere sono meno frequenti nel P2P consumer).
- Tutela del credito e recupero: cosa accade se un debitore non paga? Le piattaforme in genere assistono i prestatori attivando procedure di recupero crediti. Spesso nel contratto è previsto che la piattaforma possa agire in nome e per conto dei finanziatori per riscuotere (magari cedendo il credito a una società di recupero). I singoli prestatori quindi delegano questa parte. D’altra parte, la frammentazione del credito (ogni debitore ha decine di piccoli creditori) rende necessario un gestore unico per l’azione legale. Quasi tutte le piattaforme hanno un fondo di protezione o polizze assicurative per coprire in parte i default, ma il rischio di perdita esiste. I prestatori quindi dovrebbero diversificare tra tanti prestiti diversi (cosa che i portali automatizzano).
In conclusione, il peer-to-peer lending è un modo innovativo e ormai consolidato per far incontrare domanda e offerta di prestito tra privati, con benefici (spesso tassi più vantaggiosi per entrambe le parti rispetto al canale bancario, accesso al credito per soggetti “non bancabili”, disintermediazione) ma anche rischi (per i prestatori: rischio di credito, sebbene mitigato; per i debitori: nessuna banca significa comunque obbligo rigoroso di rimborsare, altrimenti segnalazione come cattivo pagatore e azioni legali analoghe a quelle bancarie). Il tutto sotto la vigilanza delle autorità: Banca d’Italia vigila sugli istituti di pagamento che gestiscono i portali, Consob e ESMA vigilano per la parte crowdfunding. Dal punto di vista dell’utente privato, utilizzare il P2P richiede semplicemente di rispettare le regole della piattaforma e di adempiere ai contratti digitali sottoscritti, che sono a tutti gli effetti contratti di mutuo.
In sintesi: il social lending rientra a pieno titolo nella categoria “prestiti tra privati”, sebbene incanalato attraverso intermediari vigilati. È un settore in evoluzione, e chi presta tramite queste piattaforme deve comunque considerare di star facendo un investimento finanziario (per i creditori) o un debito finanziario (per i debitori) e comportarsi con la dovuta diligenza (valutare i rischi, leggere le condizioni contrattuali, rispettare i piani di rimborso).
Disciplina normativa: aspetti civilistici
Dopo aver visto le varie tipologie di prestiti tra privati e le situazioni pratiche, esaminiamo ora quali norme di diritto civile regolano questo genere di operazioni. In particolare, il Codice Civile disciplina il contratto di mutuo e prevede alcune disposizioni generali sugli interessi. Inoltre, ci sono regole civilistiche sulla forma dei contratti e sulla prova in giudizio che incidono sui prestiti tra privati.
Il contratto di mutuo nel Codice Civile
Il mutuo è il contratto tipico attraverso cui si inquadra il prestito di denaro. Gli articoli 1813-1822 del Codice Civile dettano la disciplina del mutuo, di cui richiameremo i punti salienti:
- Definizione (art. 1813 c.c.): “Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.”. Questa definizione chiarisce che il mutuo è un contratto reale: si perfeziona con la consegna della somma (non basta l’accordo, serve l’effettiva erogazione del denaro). Ciò significa, ad esempio, che una semplice promessa di prestito senza poi la dazione non obbliga il promittente a prestare (a meno di responsabilità precontrattuale se ha fatto affidare l’altro). Tuttavia, una volta consegnato il denaro, il mutuo è valido e sorge l’obbligo di restituzione per il mutuatario.
- Gratuità od onerosità (art. 1813 e 1815 c.c.): il mutuo può essere gratuito (senza interessi) o oneroso (con interessi). Salvo patto contrario, la legge presuppone che siano dovuti interessi: “Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante” (art. 1815, comma 1 c.c.). Ciò significa che, se nel contratto di prestito non si dice nulla sugli interessi, il diritto civile prevede comunque che il debitore paghi il saggio legale (a meno che dal contesto risulti chiaramente che le parti volevano un prestito gratuito). In pratica però, nei prestiti tra privati è sempre opportuno specificare esplicitamente se si tratta di prestito infruttifero (nessun interesse) o prestito fruttifero (con indicazione del tasso). Se non è pattuito un tasso diverso, si applica il tasso legale di interesse (fissato annualmente: dal 1° gennaio 2023 è 5% annuo, sensibilmente aumentato rispetto agli anni precedenti in cui era intorno all’0,05-1%). Attenzione: il tasso legale è dovuto solo se effettivamente le parti intendevano un prestito oneroso non quantificato; se invece era palese che il prestito fosse a titolo di favore, la “diversa volontà” può essere anche tacita – ma è rischioso non scriverlo. Migliore prassi: indicare sempre “senza interessi” se tale è l’accordo, così non vi sono dubbi né per le parti né per il fisco.
- Forma del contratto: il mutuo non richiede una forma scritta ad substantiam. Ciò vuol dire che è valido anche orale, in quanto il Codice Civile non prescrive una forma particolare (diversamente, ad esempio, dalla donazione che richiede l’atto pubblico). Tuttavia, per importi superiori a una certa soglia, subentrano limiti alla prova testimoniale in giudizio (art. 2721 c.c.) e obblighi di tracciabilità. Il problema pratico non è tanto la validità (un prestito verbale è valido se il denaro è stato consegnato), ma la difficoltà di prova: senza un documento scritto, se la controparte nega tutto, il mutuante dovrà provare sia la consegna del denaro sia l’accordo di restituzione (il “titolo del pagamento” di cui parla Cass. 27372/2021). La legge limita l’ammissibilità di testimoni per provare contratti oltre una certa cifra – tradizionalmente circa €2,58, cifra irrisoria, salvo diverso orientamento giurisprudenziale sulla nozione di “modico valore” rapportato alle circostanze. Dunque, senza un principio di prova scritta (una scrittura privata, una ricevuta, una mail, un sms) diventerebbe arduo in giudizio dimostrare l’esistenza del prestito. Ecco perché la forma scritta è fortemente raccomandata, pur non essendo strettamente obbligatoria. Nel caso di contratti di importo molto rilevante, optare addirittura per un atto pubblico o una scrittura autenticata può offrire maggiori garanzie (es. data certa immediata, titolo esecutivo in alcuni casi). Per la maggior parte delle situazioni, una scrittura privata firmata da entrambe le parti è sufficiente come prova. Anche uno scambio di lettere raccomandate o PEC (prestito epistolare) va bene: come visto, ha il vantaggio fiscale di non richiedere registrazione immediata.
- Obbligazioni delle parti: nel mutuo la parte mutuataria (chi riceve il denaro) ha l’obbligo di restituire la stessa quantità di denaro (o cose fungibili) ricevuta, nei termini pattuiti. Di solito il rimborso è integrale a scadenza (mutuo “in unica soluzione”) oppure a rate periodiche (mutuo a restituzione frazionata). È possibile anche un mutuo “a vista” (senza termine fisso, con obbligo di restituzione su richiesta del mutuante): in tal caso il creditore, per esigere, deve dare un congruo preavviso al debitore secondo equità. Il mutuante (chi presta) ha l’obbligo di consegnare la somma convenuta (senza vizi, ad es. soldi veri non falsi) e il diritto di esigere gli interessi se pattuiti e la restituzione a scadenza. Se il mutuatario non restituisce, il mutuante può agire in giudizio per ottenere quanto dovuto più eventuali interessi moratori.
- Clausole tipiche: in un contratto di mutuo (anche tra privati) è opportuno disciplinare alcune clausole: ad esempio la modalità di rimborso (bonifico, assegno…), l’eventuale decadenza dal beneficio del termine (cioè se il debitore manca una rata, il creditore può esigere immediatamente tutto il residuo), l’eventuale presenza di garanzie (fideiussioni di terzi, pegni, ipoteche – raramente usate tra privati, ma possibili), chi sostiene le spese eventuali (imposte di registro, spese di bollo, spese per l’eventuale registrazione del contratto; solitamente il debitore, salvo accordi diversi), e cosa accade in caso di inadempimento (interessi di mora, spese legali).
- Nullità degli interessi usurari: una norma fondamentale è l’art. 1815 comma 2 c.c., come modificato dalla legge antiusura. Esso stabilisce che “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. In pratica, se il tasso di interesse pattuito eccede la soglia d’usura di legge (vedi dopo), la sanzione civile è drastica: il creditore perde ogni diritto agli interessi, e il prestito si considera gratuito ab origine. La Cassazione ha chiarito che questa nullità colpisce solo gli interessi (non l’intero contratto di mutuo, che rimane valido per il capitale) e si applica sia agli interessi corrispettivi (quelli “normali” pattuiti) sia agli interessi moratori se anch’essi eccedono la soglia. Inoltre, come vedremo in ambito penale, i tassi usurari configurano reato e non possono essere pretesi. Vale la pena sottolineare che la valutazione dell’usurarietà in astratto si fa al momento della convenzione del tasso (secondo Cass. Sez. Unite 24675/2017, l’eventuale superamento della soglia in corso di rapporto – c.d. “usura sopravvenuta” – non determina nullità o reato, restando però il debitore libero di chiedere una riconduzione ad equità). Ad ogni modo, tra privati bisogna fare molta attenzione a non applicare tassi esorbitanti: non c’è “libertà contrattuale” che tenga oltre la soglia.
- Estinzione anticipata e altri diritti: se nulla è previsto, il debitore non ha diritto di restituire prima del termine (il mutuante può rifiutare il rimborso anticipato); tuttavia le parti possono accordarsi per ammettere l’estinzione anticipata senza penali (cosa comune nei rapporti di fiducia). Sarebbe utile prevederlo espressamente. Al contrario, il creditore non può unilateralmente esigere prima (salvo decadenza dal termine per inadempimento). Se il debitore paga a rate, può comunque accelerare i pagamenti se vuole liberarsi del debito, ma il creditore non è obbligato ad accettare somme prima delle scadenze pattuite (a differenza del consumo dove la legge dà diritto di rimborso anticipato con penale limitata). Questi dettagli possono essere lasciati alla flessibilità del rapporto fiduciario, ma conviene chiarire almeno oralmente le intenzioni (“se vuoi ridarmi tutto prima, nessun problema” ecc.).
In sintesi, dal punto di vista civilistico, un prestito tra privati si incardina nelle regole generali del mutuo: restituzione integrale della somma, eventuali interessi nei limiti legali, forma libera ma con i limiti di prova visti, nullità di patti usurari. Molte controversie arrivano in Tribunale sulla base di queste norme. Ad esempio, se il debitore contesta il prestito dicendo “era un regalo”, il giudice guarda alle prove: se il creditore non prova il titolo, rischia di perdere la causa; se il debitore sostiene l’atto di liberalità ma la somma era grossa e senza atto pubblico, il giudice potrebbe dichiarare la nullità della donazione simulata e ordinare la restituzione (per mancanza di causa). Se erano previsti interessi e oltrepassano la soglia, il giudice li annulla d’ufficio (anche se il debitore non li ha eccepiti, trattandosi di nullità di protezione). È bene quindi conoscere queste norme quando si redige la scrittura di prestito: ad esempio, non stabilire mai interessi oltre il limite (basta verificare l’ultimo decreto tassi soglia MEF) e fornire alle parti copie firmate del contratto così nessuno potrà negare l’accordo.
Prova del prestito e strumenti probatori
Un aspetto cruciale dal punto di vista civilistico (processuale) è la prova dell’avvenuto prestito e del suo titolo. Molti casi giudiziari riguardano prestiti informali dove il creditore, per riavere i soldi, deve dimostrare che non si trattava di un mero regalo o di un pagamento qualsiasi. Alcuni principi chiave emersi dalla giurisprudenza:
- Ricevute e causali nei pagamenti: se il prestito è avvenuto con bonifico o assegno, è determinante ciò che è indicato come causale. Una causale chiara come “prestito infruttifero” o “finanziamento personale da restituire” costituisce un eccellente prova scritta della natura del rapporto. Viceversa, un bonifico senza causale o con dicitura ambigua (“per aiuto”, “grazie di tutto” etc.) complica le cose. La Cassazione ha affermato (sent. 27372/2021) che il creditore deve provare non solo di aver consegnato la somma, ma anche il titolo che obbliga la controparte alla restituzione. La semplice prova dell’avvenuto pagamento (es. estratto conto) non basta: potrebbe essere letta come un trasferimento privo di obbligo di restituzione se manca la prova dell’accordo. Dunque mai omettere la causale nei bonifici e, anzi, meglio produrre un documento firmato.
- Scrittura privata o riconoscimento di debito: la miglior prova è un contratto scritto. Se ciò non fosse disponibile (perché all’epoca non fu fatto), esiste la possibilità di ottenere un riconoscimento di debito successivo (art. 1988 c.c.): una dichiarazione unilaterale del debitore in cui si riconosce di dovere X euro a titolo di prestito ricevuto. Tale dichiarazione dispensa il creditore dall’onere di provare il rapporto sottostante (si presume esistente, salvo prova contraria). Tuttavia, ottenere spontaneamente un riconoscimento dal debitore potrebbe non essere facile se i rapporti sono degenerati. In assenza, si può cercare un “principio di prova scritta” (una mail del debitore dove ammette il prestito, un messaggio, ecc.) per poi far ammettere testimoni. L’ideale rimane fare tutto all’inizio: se state per dare una grossa somma a qualcuno, fatevi firmare una scrittura o almeno mandateli una mail con la quale confermano che è un prestito e che la accettano, così avrete qualcosa in mano.
- Testimoni: come detto, la legge limita la prova testimoniale per contratti sopra una certa soglia, a meno che vi sia appunto un principio di prova scritta. In contesti familiari, talvolta sono presenti altri parenti che sanno dell’accordo: possono testimoniare, ma se l’importo è elevato il loro racconto rischia di non essere ammesso senza uno straccio di documento. Inoltre, i testimoni parenti stretti potrebbero essere considerati poco imparziali. Meglio non fare affidamento solo su questo.
- Tracciabilità e prova contraria: un aspetto interessante è che talora l’onere probatorio può invertirsi. Se Tizio sostiene di aver prestato €100.000 a Caio e ha un bonifico che lo prova, e Caio nega affermando “era una liberalità”, Caio in realtà sta opponendo un diverso titolo (donazione). Ma una donazione di €100.000 senza atto è nulla, quindi Caio per trattenerli dovrebbe quantomeno provare che era una donazione di modico valore (difficile per 100k, a meno che Tizio sia miliardario) oppure… insomma Caio è in difficoltà. La Cassazione ha osservato che, se il creditore non prova il titolo e la restituzione è negata, il giudice deve comunque chiedersi con quale causa il debitore trattiene quelle somme ricevute. Se il convenuto non offre una giustificazione convincente (es. pagamento di un debito pregresso, dono formalizzato, etc.), il giudice potrebbe propendere per la restituzione per mancanza di causa. Questo approccio implica che, in mancanza di cause giustificative, non si possono giustificare passaggi di ricchezza ingenti senza un titolo. In pratica, in alcuni casi i giudici valutano equitativamente che, se A ha dato X soldi a B e B non dimostra che erano dovuti a qualche titolo, è più logico ritenere dovuta la restituzione, per evitare un ingiustificato arricchimento.
- Cause simulate (prestito vs donazione): altra problematica probatoria è quando si contesta la simulazione. Ad esempio, un erede potrebbe sostenere che il “prestito” fatto in vita dal genitore a un altro figlio era in realtà una donazione dissimulata per sottrargli quota di legittima. In tal caso bisognerà fare accertamenti: se c’è un contratto di mutuo ma non è mai avvenuta alcuna restituzione, e magari il preteso creditore (genitore) non ha mai sollecitato il rimborso fino a morire, ciò può far presumere che fosse un atto simulato (un prestito fittizio per mascherare una liberalità). Gli altri eredi potrebbero chiedere di riqualificarlo come donazione (nulla se non fatta con atto pubblico, ma ciò non giova a chi l’ha ricevuta, anzi, rischia di doverla restituire). Insomma, questi contenziosi esistono; per prevenirli, nei prestiti parentali conviene (come detto) definire bene i termini e magari iniziare a farsi restituire almeno una parte, così da dimostrare la serietà del mutuo.
- Strumenti esecutivi: per quanto riguarda la tutela esecutiva, un prestito tra privati formalizzato in scrittura privata non autenticata consente al creditore, se il debitore non paga, di agire giudizialmente ma non immediatamente con esecuzione forzata. Bisognerà ottenere un decreto ingiuntivo (ingiunzione di pagamento) presentando la scrittura e le prove di eventuali solleciti. Un decreto ingiuntivo richiede una prova scritta del credito: la scrittura privata sottoscritta dal debitore è sufficiente. Se la scrittura è registrata o dotata di data certa, non serve altro; se non lo è, il giudice può comunque concedere l’ingiunzione ma il debitore potrebbe fare opposizione. Se invece si dispone di un atto pubblico o di una cambiale, si ha già un titolo esecutivo e si può saltare la fase monitoria. Ad esempio, alcuni preferiscono formalizzare il prestito tramite una serie di cambiali firmate dal debitore per le varie rate: le cambiali impagate sono subito esecutive (dopo il protesto) e permettono di pignorare i beni del debitore rapidamente. Lo svantaggio è che le cambiali hanno un costo fiscale (bollo del 12‰ sull’importo). Per importi modesti, però, può valerne la pena perché tutelano molto il creditore. In alternativa, si può ricorrere all’atto notarile di riconoscimento di debito con formula esecutiva: è come avere una cambiale e consente esecuzione immediata in caso di mancato pagamento. Chiaramente questo comporta spese di notai, che spesso nei rapporti familiari si preferisce evitare.
In breve: per stare al sicuro, predisporre una solida base di prova scritta all’atto del prestito è fondamentale. In caso di contenzioso, la differenza tra aver firmato un foglio e non averlo può essere l’abisso: col foglio si vince (salvo eccezioni), senza è affidato a presunzioni e contestazioni. L’esempio portato prima (Cass. 27372/21) mostra un creditore che aveva le contabili dei bonifici ma ha perso in primo e secondo grado perché non aveva prova dell’accordo di restituzione. La Cassazione ha poi chiarito i criteri ma non è garantito che senza scrittura si riesca ad ottenere giustizia facilmente.
Riassumendo le regole d’oro civilistiche per un prestito tra privati:
- Stipulare un contratto di mutuo chiaro e scritto, con data e firma di entrambi;
- Indicare nel contratto e nelle causali dei trasferimenti che è un prestito e (se del caso) che è senza interessi;
- Rispettare le normative imperative (interessi legali se pattuiti, soglia usura, ecc.);
- Far intervenire testimoni all’atto della firma può aiutare, ma meglio ancora farlo autenticare se l’importo è elevatissimo (es. un notaio che autentica le firme dà data certa e valore probatorio forte);
- Conservare accuratamente tutte le ricevute e le comunicazioni col debitore (anche i messaggi dove magari ringrazia per il prestito o conferma le condizioni);
- In caso di difficoltà, cercare di ottenere un riconoscimento del debito scritto dal debitore (anche rateizzandogli il dovuto, facendogli firmare una ricognizione con promessa di pagamento).
La conformità a queste regole non solo tutela civilmente, ma consente anche di gestire eventuali pretese fiscali (un documento presentato all’Agenzia Entrate per dimostrare che un accredito sul conto è da prestito e non reddito è spesso risolutivo).
Disciplina normativa: aspetti fiscali
Analizziamo ora il trattamento fiscale dei prestiti tra privati, sia sotto il profilo delle imposte dirette (redditi da interessi) sia delle imposte indirette (registro, bollo, eventuale inquadramento come donazioni, etc.), senza tralasciare la normativa antiriciclaggio rilevante.
Tassazione degli interessi attivi
Se un prestito tra privati è fruttifero (cioè produce interessi a favore del creditore), tali interessi costituiscono per il prestatore un reddito imponibile. In particolare, si tratta di redditi di capitale ai sensi dell’art. 44, c.1, lett. a) del TUIR (D.P.R. 917/86): redditi derivanti da capitali dati a mutuo. Le caratteristiche principali della tassazione sono:
- Aliquota e modalità: i redditi di capitale sotto forma di interessi da prestiti soggetti italiani (non derivanti da attività d’impresa) sono generalmente soggetti a un’imposta sostitutiva del 26%. Questa può essere applicata tramite una ritenuta alla fonte se il debitore funge da sostituto d’imposta oppure, in mancanza, tramite dichiarazione dei redditi del percettore. Nel caso di due privati, il debitore solitamente non è sostituto d’imposta (solo enti e imprese lo sono). Quindi, se ad esempio Tizio presta €10.000 a Caio con il 5% annuo di interessi, Caio (privato) pagherà gli interessi pattuiti a Tizio integralmente, e poi sarà Tizio a dover dichiarare €500 di interessi percepiti nella sua dichiarazione e pagarci il 26% (= €130) come imposta sostitutiva sui redditi da capitale. Se invece il debitore è un’impresa o un lavoratore autonomo, esso dovrà applicare una ritenuta d’acconto del 26% quando paga gli interessi a Tizio, versandola allo Stato, e Tizio riceverà interessi netti; la ritenuta sarà a titolo d’imposta (quindi Tizio non dovrà ulteriori imposte su quei interessi).
- Social lending: come già trattato, fa parzialmente eccezione in meglio: le piattaforme applicano una ritenuta finale del 20% sugli interessi accreditati ai prestatori, grazie alla norma speciale. Ciò significa che i privati che investono in social lending pagano meno tasse sul rendimento rispetto ai depositi bancari tradizionali (26%).
- Interessi moratori: se un debitore paga in ritardo e corrisponde interessi di mora al creditore privato, anche questi – se incassati – sono redditi di capitale tassabili. In pratica si assimilano agli interessi corrispettivi.
- Soglie di esenzione: non esistono soglie di esenzione per piccoli importi di interesse: anche €10 di interesse teoricamente sarebbero imponibili. Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria difficilmente sanziona per omissioni di centesimi; ma formalmente l’obbligo c’è.
- Prestito infruttifero: se il prestito è senza interessi, il creditore non ha alcun reddito da dichiarare (non sta guadagnando nulla). Non c’è neanche “imputazione di interessi presunti” nel nostro ordinamento fiscale, fatta salva l’ipotesi già citata di concessione gratuita di denaro da società a soci (dove si immaginava un reddito diverso per il socio, ma era un caso specifico abrogato). Dunque, prestare a titolo gratuito a un privato non genera reddito tassabile per chi presta. Il beneficio per chi riceve non è considerato reddito imponibile (non è un corrispettivo di una prestazione, non è una donazione formalizzata soggetta a imposta – è un’obbligazione di restituzione).
- Deduzione degli interessi passivi: per chi paga gli interessi (mutuatario), in ambito privato generalmente non c’è alcuna deduzione. Gli interessi su prestiti personali non rientrano tra oneri detraibili, a differenza di alcuni interessi su mutui ipotecari per la prima casa (lì c’è una detrazione del 19% fino a certi limiti, ma quella si applica solo a mutui contratti con banche o intermediari per l’acquisto dell’abitazione principale). Un privato che paga interessi a un altro privato per un prestito di liquidità non ha benefici fiscali. L’unica eccezione: se chi paga è un soggetto d’impresa (es. ditta individuale che ha ricevuto un prestito da un altro soggetto) e quel prestito è inerente all’attività (ad es. denaro utilizzato nell’azienda), allora gli interessi pagati potranno essere dedotti come costo, rispettando le limitazioni dell’art. 96 TUIR (interessi passivi deducibili fino a concorrenza degli interessi attivi + 30% del risultato operativo lordo). Ma per la maggior parte dei prestiti tra persone, ciò non rileva.
- Interessi troppo bassi o alti tra familiari: il fisco potrebbe porsi dubbi in due casi opposti: 1) interessi troppo alti (vedi usura e possibili riclassificazioni in usi anomali, ma tendenzialmente viene lasciato alle norme civilistiche l’effetto); 2) interessi troppo bassi (0%). Nel secondo caso, come detto, l’Agenzia Entrate potrebbe supporre che il creditore stia “regalando” gli interessi al debitore, e se il contesto è tra estranei potrebbe addirittura ipotizzare una donazione della mancata percezione di interessi. Tuttavia, tra parenti questo è normale, e comunque tassare un reddito non percepito non è in linea con i principi (in Italia vige la tassazione su reddito effettivo, non su potenziale salvo eccezioni di legge come fringe benefit auto, ecc.). L’importante è poter dimostrare che l’accordo prevedeva zero interessi: perciò, ribadiamo, metterlo per iscritto e/o in causale del bonifico (es. “prestito infruttifero familiare”) è fondamentale per evitare che il Fisco pensi a interessi occulti.
Imposte di registro e di bollo
Un aspetto spesso ignorato dai privati è che, se redigono un contratto scritto di prestito, quell’atto può essere soggetto a imposta di registro. La normativa di riferimento è il D.P.R. 131/1986 (Testo Unico dell’imposta di registro). In particolare:
- Obbligo di registrazione del mutuo: la Tariffa Parte I allegata al DPR 131/86 prevede, all’art. 9, l’imposta proporzionale per gli atti di mutuo. La regola generale è che un contratto di mutuo redatto per iscritto deve essere registrato entro 20 giorni dalla stipula, con applicazione dell’imposta del 3% sulla somma mutuata (se infruttifero) o sull’importo complessivo dovuto (capitale + interessi) se fruttifero. Questa aliquota è uguale a quella prevista per i finanziamenti in genere (ad esempio, i finanziamenti bancari *scontano di norma un’imposta sostitutiva ridotta se mutui fondiari, ma se non applicata si avrebbe il 2% o 0,5% a seconda dei casi; per i privati vale l’art.9 citato). Significa in pratica che, su €10.000 prestati, l’imposta sarebbe €300.
- Forma scritta e registro: attenzione: l’obbligo di registrazione sorge solo se il contratto è formale (scrittura privata, atto pubblico, scrittura autenticata). Se il prestito avviene senza alcun documento, non c’è nulla da registrare (ma si perde la prova scritta…). Se avviene per corrispondenza, c’è una specifica agevolazione (vedi dopo). Molti prestiti familiari vengono formalizzati con scritture private non registrate nei fatti, confidando che non essendo portate a conoscenza dell’Agenzia Entrate non sorge il problema. In effetti, l’imposta di registro sugli atti privati non autenticati è dovuta solo se si procede a registrazione volontaria o se l’atto viene in qualche modo portato ad uso presso uffici pubblici (es. depositato in un giudizio, presentato a un notaio, ecc.). Quindi è prassi diffusa (e legalmente ammessa) redigere il prestito come corrispondenza commerciale: ad esempio tramite uno scambio di lettera di proposta e lettera di accettazione. In tal caso, la Tariffa Parte II, art. 1, lett. a) del DPR 131/86 prevede che la registrazione sia obbligatoria solo “in caso d’uso”. Ciò vuol dire che se queste lettere rimangono nel cassetto, non vanno registrate; se un domani serviranno in giudizio o altrove, allora andranno registrate pagando l’imposta dovuta. Questa strategia è perfettamente legale e viene consigliata da molti professionisti per i prestiti infruttiferi tra privati. In pratica: fare una scrittura sotto forma di scambio di lettere (o email PEC) permette di avere la prova scritta senza l’obbligo immediato di esborso del 3%.
- Aliquota e base imponibile: come detto, per i prestiti infruttiferi la base imponibile è l’ammontare mutuato (capitale), aliquota 3%. Per i prestiti fruttiferi, la base imponibile è data da tutti i corrispettivi in denaro pattuiti per la durata del contratto. Ciò include gli interessi totali dovuti. Ad esempio: prestito di €50.000 da restituire in 5 anni con interessi annui 5%. Interessi annui €2.500, totali €12.500. Base imponibile = €62.500, imposta registro 3% = €1.875. Se invece fosse infruttifero: base €50.000, imposta €1.500. Si noti quindi che paradossalmente l’imposta di registro può risultare più gravosa di eventuali imposte sul reddito degli interessi: nell’esempio, il creditore pagherebbe €1.875 subito di registro e poi ogni anno su €2.500 di interessi paga 26% (€650 in 5 anni €3.250) – totale imposte €5.125. Nel caso infruttifero, paga €1.500 di registro e zero altro. In assenza di registrazione (con atto per corrispondenza), il creditore pagherebbe solo eventuali imposte sul reddito (nessuna se infruttifero, €650 l’anno se fruttifero 5%). Questo spiega perché molti privati evitano di registrare il contratto: la tassazione indiretta appare eccessiva. Va detto che l’omessa registrazione di un atto comunque soggetto è una violazione fiscale (sanzioni dal 120% al 240% dell’imposta evasa, riducibili con ravvedimento). Però, finché l’atto resta privato tra le parti, l’Agenzia Entrate difficilmente ne verrà a conoscenza. Il rischio emerge “in caso d’uso”: se poi devo far valere il contratto in giudizio, dovrò registrarlo pagando 3% + sanzioni ridotte (di solito, per regolarizzare spontaneamente prima dell’uso in giudizio, si paga 3% + sanzione minima 12% + interessi). Questo compromesso spinge molti a scegliere la forma epistolare.
- Imposta di bollo: un contratto di prestito scritto è soggetto anche a bollo. Se è redatto su carta, l’imposta di bollo è €16 ogni 4 facciate (o 100 righe). Se è in formato elettronico o su file PDF, la stessa imposta andrebbe assolta in misura equivalente (16 euro cada 100 facciate, con pagamento all’AdE). Anche le lettere in caso d’uso andrebbero bollate. Il bollo si applica indipendentemente dalla forma dell’atto. Quindi, ancorché non registriate subito, formalmente bisognerebbe apporre marche da bollo sul documento sin dalla sottoscrizione. Nella pratica molti privati trascurano questo aspetto, ma in caso di registrazione tardiva l’ufficio applicherà il bollo dovuto. Il bollo si paga anche se l’imposta di registro non si applica (es. su una scrittura non registrata per ora, ma già formata, sarebbe comunque dovuto il bollo fin dall’origine).
- Esenzioni e casi particolari: alcuni prestiti sono esenti da imposta di registro per disposizioni speciali. Ad esempio, i finanziamenti effettuati in forma di atti societari possono in certi casi fruire dell’esenzione art. 4 Tariffa parte I (patti sociali), ma non è il caso dei prestiti tra privati che non passano da atti costitutivi o simili. Inoltre, vi fu una norma (D.L. 18/2020 “Cura Italia”, art. 66) che esentava da imposta di registro i finanziamenti a favore di società e imprese colpite dall’emergenza COVID (fino al 31/12/2020, veniva sospesa l’applicazione del 3% sui finanziamenti soci e altri finanziamenti infragruppo come misura di favore). Quella finestra è chiusa. Attualmente non risultano esenzioni di rilievo per i prestiti tra privati (a differenza di mutui bancari per la casa dove si applica un’imposta sostitutiva più bassa).
- Enunciazione in altri atti: come accennato nel paragrafo sui soci, l’art. 22 DPR 131/86 stabilisce che se un atto non registrato (es. un prestito infruttifero) viene menzionato (enunciato) in un atto soggetto a registrazione (es. un atto notarile di compravendita), esso dev’essere registrato pagando l’imposta dovuta. Questa norma è micidiale: immaginiamo un padre presta €100.000 al figlio per comprare casa; al rogito dal notaio, per giustificare la provenienza dei fondi, si dichiara che €100.000 derivano da “prestito infruttifero del padre”. Quel rogito va registrato e quindi “enuncia” l’esistenza del prestito; l’AdE applicherà il 3% su 100.000 = €3.000, anche se il contratto di prestito in sé non era registrato. Occorre quindi cautela: se non si vuole pagare subito il registro, meglio trovare formule alternative al rogito (es. indicare che è denaro di provenienza familiare senza dettagliare se donazione o prestito, oppure fare direttamente la donazione formale esente). Una Cassazione recente (gennaio 2024, n. 1960) ha confermato questa impostazione sull’enunciazione, aggiungendo che ai fini dell’art. 22 “parte” dell’atto enunciante non è solo chi firma quell’atto, ma anche chi era parte dell’atto enunciato. Quindi i soci che deliberano un finanziamento infruttifero erano “parti” di quell’atto e hanno enunciato il finanziamento nel verbale notarile; ergo imposta dovuta. Questa rigidità può sorprendere chi ignora la norma, ma è bene conoscerla per non incorrere in costi inattesi.
Riassumendo:
- Un contratto scritto di mutuo tra privati è soggetto a registro 3% e bollo.
- Si può evitare l’obbligo immediato stendendo l’accordo come corrispondenza (offerta/accettazione via lettere), che va registrata solo se e quando usata per scopi legali. Questa è una via legale e consigliata per chi non vuole pagare subito 3% su grandi somme, ma vuole comunque un documento.
- Se per qualsiasi ragione si deve comunque registrare l’atto (magari perché serve data certa opponibile a terzi, oppure perché ci si vuole mettere in regola subito), si pagherà la relativa imposta e bollo. La registrazione volontaria ha il vantaggio di conferire data certa al contratto (utile verso terzi creditori, per esempio in caso di morte del creditore – si può provare l’esistenza del credito agli eredi; o in caso di pignoramenti – un prestito registrato prima del pignoramento di somme sul conto del debitore dimostra la causa del versamento).
- Se un prestito non registrato viene dichiarato in un atto pubblico, scatterà l’imposta per enunciazione. Quindi evitare di far “comparire” accordi privati di prestito in atti notarili o procedimenti ufficiali se non necessario, a meno di essere pronti a pagarla.
Prestiti e imposte sulle donazioni
Come visto, un prestito tra privati deve essere tenuto distinto da una donazione di denaro. Ai fini fiscali, se un prestito di fatto non viene restituito, potrebbe configurarsi una donazione indiretta. Vediamo i punti salienti:
- Nessuna imposta donativa sul prestito in sé: finché c’è un obbligo di restituzione, il trasferimento di denaro non è una liberalità, quindi non si applica l’imposta sulle donazioni (D.Lgs. 346/1990). Ad esempio, se presto €50.000 a un amico, non c’è imposta (né notarile né di donazione) su quella somma, perché è un mutuo oneroso (anche se senza interessi) e non un arricchimento definitivo dell’amico. Questo è uno dei motivi per cui alcuni preferiscono formalizzare come prestito ciò che è a tutti gli effetti un aiuto economico: evitare gli oneri della donazione formale.
- Trasformazione in donazione: se però successivamente il creditore decide di rinunciare al credito, liberando il debitore dall’obbligo di restituire, quell’atto di remissione potrebbe essere considerato una donazione (liberalità) verso il debitore. Tecnicamente una remissione del debito (art. 1236 c.c.) è un contratto che estingue l’obbligo del debitore. Se fatta senza corrispettivo, è una liberalità indiretta. La legge sull’imposta di donazione prevede che anche le donazioni indirette siano soggette a imposta, salvo franchigie, quando si manifestano. Tuttavia, spesso il fenomeno non è intercettato se avviene tacitamente. Se in una famiglia il padre presta a un figlio e poi non chiede indietro nulla finché muore, non c’è stato un atto di remissione formale in vita. Gli altri eredi potrebbero reclamare ma fiscalmente non è stata pagata donazione (né forse poteva esserlo, essendo nulla una donazione di tale importo senza notai). Si entra in un terreno complesso. In pratica: se vuoi perdonare il debito a qualcuno, la via maestra sarebbe fare un atto di donazione (notarile) della somma corrispondente, o un atto di remissione esplicito, e scontare le eventuali imposte (che per le linee di parentela dirette spesso sono zero per importi sotto franchigia – e.g. donazione genitore-figlio esente fino a 1.000.000 €).
- Donazioni dissimulate: se il fisco o altri eredi riescono a provare che un prestito era in realtà una donazione simulata, quell’atto viene considerato nullo per difetto di forma (donazione nulla) oppure viene comunque assoggettato a imposta di donazione. Per esempio: Tizio dichiara di aver prestato €200.000 al figlio Caio, ma Caio non restituisce nulla e Tizio non li chiede mai. Se appare chiaro che era un espediente per donare soldi senza notaio, in sede di successione altri coeredi potrebbero far dichiarare inesistente il credito e considerare i €200.000 come una anticipazione sull’eredità di Caio (donazione ad avancipo). Non solo: l’Agenzia delle Entrate potrebbe, in linea teorica, sostenere che Tizio e Caio hanno compiuto una donazione indiretta e richiedere l’imposta (magari in sede di successione, quando Caio denuncia quanto ricevuto in anticipo, anche se c’è dubbio su come l’AdE potrebbe venirne al corrente se non da rivalità tra eredi).
- Modico valore: c’è un’importante concetto: donazioni di modico valore (art. 783 c.c.). Una donazione manuale di denaro di modico valore non richiede atto pubblico. Se un prestito tra parenti viene in giudizio e il convenuto sostiene “erano un regalo modico”, bisogna valutare modico rispetto al patrimonio del donante. Ad esempio, €5.000 donati da un padre benestante al figlio potrebbero essere modici e validi anche se dati in contanti. Se allora il creditore dicesse “prestito” e il debitore “no, era regalo modico”, il giudice potrebbe dargli ragione se prova che la somma era commisurata alle capacità economiche e fu intesa come tale (cosa rara oltre certe cifre). Nel caso citato del prestito tra coniugi per l’impresa (Trib. Roma), il marito provò a dire che i bonifici della moglie erano donazioni di modico valore, ma il tribunale lo ha escluso in quanto le somme (€70.000 in totale) erano tutt’altro che modiche e avrebbero richiesto la forma dell’atto pubblico se fossero state donazioni. Così è passato il concetto di prestito con obbligo di restituzione.
- Imposte di successione: se un creditore muore con un prestito non restituito, quel credito entra nell’asse ereditario. Gli eredi dovrebbero indicarlo nella dichiarazione di successione come credito verso il debitore (il quale debitore potrà poi pagarli). Non c’è imposta su quel credito in sé (al più concorre a superare le franchigie successorie per gli eredi). Se però quell’atto era simulato e in realtà il defunto non voleva nulla indietro, c’è un problema interno tra eredi su come trattarlo. Spesso nelle famiglie, se un figlio ha avuto soldi dal genitore come “prestito mai restituito”, gli altri possono chiedere di imputargli quell’importo come donazione collazionabile (da portare in conto della sua quota di eredità). In tal caso, dal punto di vista fiscale, quell’importo – se ipotizzato come donazione – potrebbe generare imposta di donazione in capo a quell’erede (ma se si sta già pagando l’imposta di successione, di solito donationi tra genitori e figli sotto 1M restano esenti, oltre si paga 4%). È una questione molto specifica, che attiene più al diritto successorio che fiscale puro.
In conclusione, dal punto di vista fiscale un prestito non attiva imposte donate né successorie a meno che non si configuri come liberalità. Tuttavia, è importante non abusare dello schema del prestito per eludere l’obbligo formale della donazione su cifre enormi: in caso di accertamento, l’Agenzia Entrate o un contenzioso tra eredi potrebbero portare a definire quell’operazione come donazione nulla (con ritorno allo stato quo ante e conseguente eventuale tassazione successoria). Ad ogni modo, per importi al di sotto delle franchigie di parentela e in assenza di conflitti familiari, il rischio concreto è basso.
Altre norme fiscali e antiriciclaggio
Chiude il quadro fiscale la menzione di alcune normative collaterali:
- Obblighi antiriciclaggio (AML): i prestiti tra privati, se effettuati tramite operazioni finanziarie (bonifici, assegni), ricadono nelle ordinarie soglie di segnalazione per operazioni sospette e limiti all’uso del contante. Uso del contante: come già ricordato, dal 1° gennaio 2023 la soglia massima per trasferimenti in contanti tra soggetti è €5.000. Ciò significa che non posso prestare (né restituire) più di €5.000 in cash senza violare la normativa (D.Lgs. 231/2007 e succ. mod.). Se devo prestare €10.000 a un amico, dovrò farlo con due movimenti separati di €5.000 (in giorni diversi) oppure – molto meglio – tramite bonifico. Anche sotto la soglia, tuttavia, la tracciabilità è fortemente consigliata. Per importi minori (es. presto €500 a un amico), si può fare anche in contanti, ma almeno scrivere una ricevuta firmata. Se no, in caso di contestazioni, è la classica situazione da “la mia parola contro la tua”.
- Segnalazioni di operazioni sospette: se improvvisamente un privato riceve sul conto €50.000 da un altro privato con causale vaga o assente, la banca potrebbe chiedere spiegazioni (soprattutto se il profilo del cliente è anomalo rispetto a quell’operazione). Inserire una causale chiara “prestito” aiuta la banca a capire e di solito non porta a segnalazione di riciclaggio, perché è una causale lecita e comune. Viceversa, se arrivano bonifici con causali strane (“grazie”, “buon compleanno”) di importo ingente, gli uffici di compliance potrebbero allertarsi. È sempre diritto della banca chiedere al cliente la documentazione di un’operazione: se prelevo €20.000 in contanti e dico “li ho prestati a X”, tecnicamente sto già violando il limite contanti; se ne prelevo €4.000 al mese per darli in mano a X, potrei essere interrogato sul perché, se l’operazione appare frammentata (lo smurfing – frazionamento per eludere le norme – è vietato). Quindi, non spezzettare artificiosamente importi per restare sotto soglia e preferire vie trasparenti.
- Accertamenti sui conti correnti: l’Agenzia Entrate, in sede di accertamento sintetico, può esaminare i conti correnti dei contribuenti e vedere movimenti anomali. Per legge, versamenti non giustificati sul conto di un contribuente privato possono essere considerati reddito evaso (art. 32 DPR 600/73) a meno che il contribuente dimostri la provenienza. Se si è ricevuto un bonifico per un prestito, basterà esibire il contratto di mutuo o dichiarazione del prestatore e la causale per convincere il fisco che non si tratta di un reddito tassabile. Diversamente, c’è il rischio di vedersi imputare quel versamento come ricavo. Caso classico: Caio riceve €30.000 da Tizio sul conto; l’Agenzia chiede conto; Caio risponde “era un prestito da un amico”; se Caio non ha uno straccio di prova scritta, la sua affermazione ha poco valore, e l’Ufficio potrebbe comunque accertare IRPEF su €30.000 come “reddito diverso non giustificato”. Molte liti tributarie nascono così. Spesso i contribuenti poi forniscono in appello dichiarazioni del presunto prestatore o scritture tardive; non sempre vengono accolte. Ecco perché giustificare ex ante è meglio che spiegare ex post: se quell’importo è accompagnato da una scrittura privata di prestito con data certa anteriore al bonifico, l’accertamento viene annullato.
- Comunicazioni all’Anagrafe finanziaria: oggi le banche comunicano saldi e movimenti, ma non la causale analitica di ogni operazione. Il fisco può però in sede istruttoria chiedere contabili e motivazioni. Dal canto suo, fino al 2016 esisteva la comunicazione annuale dei finanziamenti soci e beni ai soci: era un onere per le società di comunicare i prestiti ricevuti o concessi ai soci, pensato per scovare ricchezze non dichiarate. Questa comunicazione, come già detto, è stata abrogata nel 2017. Quindi oggi un finanziamento soci non va segnalato di per sé, né un prestito tra privati va dichiarato al fisco se non ci sono interessi.
- Imposte sui “guadagni” da prestito: l’eventuale guadagno in conto capitale sul rimborso non è configurabile (100 restituito per 100 è neutro, se più di 100 sono interessi tassati, se meno di 100 significa che si è perso). Non c’è nemmeno IVA, perché l’attività di prestito di denaro è esente IVA (art. 10, c.1 n.1 DPR 633/72) quando svolta da soggetti IVA. Ma i privati fuori impresa non si pongono neppure il problema IVA.
Ricapitolando il profilo fiscale:
- Se ci sono interessi, il creditore persona fisica li dichiara e ci paga la relativa imposta (in genere 26% o 20% via ritenuta per P2P); il debitore persona fisica non detrarrà nulla.
- Se non ci sono interessi, nessun reddito per il creditore, nessun costo deducibile per il debitore; attenzione solo a rendere plausibile allo Stato che era prestito e non altro (es. evasione sotto forma di finto prestito).
- Il contratto scritto può comportare costi di registro (3%) e bollo (16€ ogni 4 pagine), ma vi sono modi di differirli (corrispondenza, caso d’uso).
- I trasferimenti di denaro devono rispettare le norme antiriciclaggio: no contante sopra soglia, causali chiare, trasparenza.
- In caso di controlli, avere pronte le pezze giustificative (contratto, ricevute) è fondamentale per evitare che prestiti o restituzioni vengano scambiati per redditi o spese non giustificate.
Nella pratica quotidiana, l’Agenzia delle Entrate presta particolare attenzione ai passaggi di denaro tra parenti: ad esempio, se un giovane acquista una casa e dichiara come fonte “denaro ricevuto dai genitori”, l’Ufficio può richiedere prova se appare sproporzionato rispetto ai redditi del giovane. In quei casi, spesso si ricorre a scritture private di prestito infruttifero per documentare la transazione, da esibire in caso di richiesta. Anche una semplice dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del genitore che attesti di aver elargito il denaro a titolo di prestito può aiutare, ma la scrittura privata con data certa è preferibile.
Obblighi, limiti e rischi nei prestiti tra privati
Dopo aver analizzato la natura dei prestiti tra privati e la loro regolamentazione, è importante evidenziarne i principali obblighi e limiti da rispettare, nonché i rischi cui si può andare incontro. Questa sezione funge da promemoria sulle cose da fare e da non fare quando si effettua o si riceve un prestito in ambito privato, e sui pericoli (giuridici e non) correlati.
Obblighi e limiti principali
1. Rispetto delle leggi antiusura: Qualunque prestito fruttifero deve rispettare i tassi soglia antiusura fissati trimestralmente dal Ministero dell’Economia e Finanze. Questi tassi variano per categoria di prestito (aperture di credito, prestiti personali, cessione del quinto, mutui, ecc.) e vengono calcolati sulla base dei TEGM (Tassi Effettivi Globali Medi) rilevati da Banca d’Italia. Per i prestiti tra privati non finalizzati, si fa riferimento in genere alla categoria “Altri finanziamenti alle famiglie” o “Prestiti personali”. Ad esempio, per il trimestre aprile-giugno 2025 il tasso soglia per i prestiti personali di importo > €15.000 è circa il 15,54% TAEG (valore ipotetico a scopo illustrativo). Ciò significa che se due privati pattuiscono un interesse superiore a tale soglia, si incorre in usura (art. 644 c.p.) e quella clausola è nulla (art. 1815 c.c.). Obbligo: verificare sempre prima, tramite i decreti MEF (pubblicati sul sito del Dipartimento del Tesoro o su fonti come Banca d’Italia), qual è il tasso massimo consentito per quella tipologia di prestito e non eccederlo. In caso di dubbio, meglio stare prudentemente al di sotto del limite di qualche punto percentuale. Ricordiamo che la soglia si calcola su base TAEG, includendo anche oneri accessori (ma nei prestiti tra privati normalmente non ci sono spese istruttorie, commissioni, ecc., quindi il TAN coincide col TAEG).
2. Tracciabilità dei pagamenti: Come più volte ribadito, esiste il limite di €5.000 per i trasferimenti in contante tra privati. Obbligo: per importi superiori (o per operazioni frazionate apparentemente unitarie superiori), utilizzare mezzi di pagamento tracciabili: bonifico bancario, assegno bancario o circolare non trasferibile, sistemi elettronici. Anche per importi inferiori a €5.000, è fortemente consigliato usare strumenti tracciati per avere evidenza delle somme date o ricevute. I contanti, oltre a poter far incorrere in sanzioni se sopra soglia (sanzioni amministrative pecuniarie dal 5% al 40% dell’importo trasferito in eccedenza), non lasciano traccia e rendono arduo dimostrare l’operazione. Limite: Mai eludere la soglia spezzando artificiosamente un’operazione in più tranche di contanti: la legge considera frazionamento vietato quello privo di “causa economica” plausibile (es. 12 pagamenti cash da 4.999€ in due settimane per un totale di 60.000€ sono manifestamente elusivi).
3. Forma contrattuale e registrazione: Non c’è un obbligo legale di forma scritta per validare un prestito, ma esiste l’obbligo di registrazione entro 20 giorni se viene redatto un atto scritto di mutuo (a meno che sia per corrispondenza, registrabile in caso d’uso). Obbligo: se si sceglie di formalizzare il prestito con un contratto scritto unico (scrittura privata o atto notarile), occorre registrarlo e pagare l’imposta di registro (3%) entro 20 giorni. La mancata registrazione è un’infrazione fiscale. Alternativamente, come detto, si può redigere tramite scambio di lettere in modo da non far scattare l’obbligo immediato. Limite: se poi quell’atto viene utilizzato (ad es. prodotto in una causa), andrà registrato in quell’occasione con pagamento dell’imposta dovuta e delle sanzioni ridotte. In sintesi, non c’è un obbligo di stipula scritta, ma c’è un obbligo fiscale se la si fa: va conosciuto per decidere consapevolmente come procedere.
4. Obblighi dichiarativi fiscali: Non esiste un obbligo di comunicare all’Agenzia Entrate la stipula di un prestito tra privati (sono stati abrogati gli obblighi comunicativi che riguardavano solo società e soci). Tuttavia, obbligo per il creditore è dichiarare nella propria dichiarazione dei redditi eventuali interessi percepiti (salvo ritenuta già applicata). Se i prestiti sono soggetti a ritenuta d’acconto da parte del debitore (caso di debitore soggetto IRES), il creditore indicherà il reddito con ritenuta a titolo d’imposta, che risulterà già assolto. Se i prestiti sono tra persone fisiche senza sostituto, il creditore dovrà inserirli nel Quadro RL – Redditi di capitale e assoggettarli ad imposta sostitutiva del 26%. Limite: omissioni dichiarative di modeste entità potrebbero non essere notate, ma per correttezza e per evitare sanzioni (30% dell’imposta evasa più interessi) è doveroso dichiarare. Per il debitore persona fisica non c’è nulla da dichiarare. Per un debitore impresa, c’è l’obbligo di operare l’eventuale ritenuta sugli interessi pagati e versarla (modello F24) e di dichiarare gli interessi pagati nel modello 770 annuale.
5. Rispetto delle norme societarie (se applicabile): Se il prestito coinvolge una società (ad esempio socio→società o società→socio o società→società), bisogna rispettare eventuali limiti statutari o normativi. Obbligo per le società: nel caso di finanziamenti ricevuti dai soci, per le S.r.l., tenere nota delle date e importi, in modo da applicare la postergazione ex art.2467 c.c. se la società entra in crisi. Conviene inoltre formalizzare tali finanziamenti con una delibera o scrittura e – se richiesto dai revisori o sindaci – segnalare la cosa nella Nota Integrativa di bilancio (i finanziamenti soci vanno distinti dal capitale proprio). Nel caso di prestiti concessi ai soci, l’operazione dovrebbe essere approvata dal CdA o dai soci se richiesta (specie se implica conflitto di interessi dell’amministratore) e deve avvenire a condizioni di mercato. Nelle cooperative c’è un ulteriore limite: non si possono distribuire ai soci prestiti in modo contrario alla natura mutualistica (es. una cooperativa che presterà soldi ai soci a interessi agevolati svolgerebbe attività bancaria non autorizzata). Limite per tutte le società di capitali: non esercitare attività di concessione di finanziamenti in modo professionale a terzi non soci, per evitare di ricadere nell’alveo dell’art. 106 TUB (serve autorizzazione) o incorrere nell’abuso di attività finanziaria.
6. Documentazione e trasparenza: benché non obbligatorio per legge, è un obbligo morale e prudenziale documentare tutto per iscritto. Obbligo (di fatto): redigere un documento in duplice copia firmato da entrambi, oppure uno scambio di corrispondenza, specificando tutti i termini. Ciò include: somma, data erogazione, modalità e data/e restituzione, tasso di interesse (o indicazione “infruttifero”), eventuali garanzie, firma e data. Inoltre, conservare traccia delle operazioni di pagamento (distinte bonifico, copie assegni). Soprattutto, indicare sempre una causale esplicativa quando si trasferiscono i fondi. Questo facilita la vita in mille modi (bancari, probatori, fiscali). Limite da osservare: non lasciare aree grigie o non dette: qualsiasi ambiguità (es. “restituzione a semplice richiesta”, “senza scadenza”) va ponderata perché potrebbe generare contenzioso in futuro su “quando devo restituirti?”. Se non c’è scadenza, la legge tende a interpretare che il creditore può esigere a vista e il debitore deve restituire in tempi ragionevoli, ma meglio fissare una data o condizione.
Rischi e conseguenze in caso di inadempienze o irregolarità
Rischio 1: Mancato rimborso (inadempimento del debitore). Il rischio più immediato per chi presta denaro è che il debitore non lo restituisca nei tempi e modi previsti. Trattandosi spesso di rapporti fiduciari, questo evento è delicato: può incrinare relazioni personali (amicizie, parentela). Dal punto di vista giuridico, il creditore può attivarsi per recuperare il proprio credito con gli strumenti di legge (sollecito formale, messa in mora, decreto ingiuntivo, pignoramento). Conseguenze civili: se il debitore è inadempiente, dovrà corrispondere anche gli interessi moratori (al tasso legale salvo patti diversi, purché non usurari) dal momento della mora. Se ci sono garanzie (es. ipoteca), il creditore potrà escutere quelle. Resta il fatto che il recupero crediti giudiziale comporta tempi e costi (spese legali, bolli) e l’esito dipende dalla solvibilità del debitore (se il debitore è insolvibile, il creditore potrebbe comunque non rivedere i soldi). Mitigazione: chiedere garanzie reali o personali all’atto del prestito riduce questo rischio, così come prestare importi per cui si può “sopportare” eventualmente la perdita (non mettere a rischio l’intero patrimonio per aiutare qualcuno, se possibile).
Rischio 2: Controversie sulla natura del prestito (donazione simulata, causa del pagamento). Come visto, può sorgere il problema della contestazione del titolo: il debitore potrebbe dire “non devo restituire nulla perché era un regalo”, oppure terzi (eredi, creditori del creditore o del debitore) potrebbero contestare la qualifica di prestito. Conseguenze: se venisse accertato che si trattava di donazione nulla (per mancanza di forma), il trasferimento di denaro sarebbe privo di causa legittima, e paradossalmente il donante (o i suoi eredi) potrebbero esigerne la restituzione come indebito o arricchimento senza causa. Oppure, se per assurdo un giudice desse ragione al debitore che afferma “era un regalo modico”, il creditore perderebbe ogni diritto alla restituzione. Mitigazione: scrittura privata chiara e firma di entrambe le parti, come già ripetuto, è la miglior prevenzione. Includere magari una frase: “Le parti riconoscono che la presente somma non costituisce liberalità o donazione, ma obbligazione di restituzione a titolo di mutuo ex art.1813 c.c.”, per togliere ogni dubbio interpretativo.
Rischio 3: Problemi con il Fisco (accertamenti, sanzioni). I trasferimenti di denaro tra privati possono insospettire l’Agenzia delle Entrate in chiave di possibile evasione fiscale o riciclaggio. Se non adeguatamente giustificati, somme accreditate sui conti possono essere considerate redditi occulti. Conseguenze: possibili accertamenti con richieste di imposte, sanzioni e interessi su importi ritenuti reddito imponibile non dichiarato; dover intraprendere contenziosi tributari per dimostrare la vera natura. Inoltre, se i movimenti sono in contanti non giustificati, si rischiano sanzioni antiriciclaggio. Mitigazione: come detto, documentare con contratti e causali, e in caso di accertamento cooperare subito fornendo copia dei contratti di prestito e tracciabilità. Ricordarsi poi di dichiarare gli interessi eventualmente percepiti per evitare facile scoperta di evasione (es. se l’AE vede un flusso periodico di interessi sul conto e non li trova in dichiarazione, scatta la contestazione).
Rischio 4: Rischio usura (penale). Se si applica un tasso eccessivo, il creditore incorre nel reato di usura (art. 644 c.p.), punito con reclusione da 2 a 10 anni e multa. Non solo: anche il semplice patto usurario senza aver incassato gli interessi integra reato al momento della convenzione. Quindi un privato che ingenuamente o per avidità pattuissse un 10% al mese (magari su piccolo importo) commetterebbe un reato. Conseguenze: oltre alle sanzioni penali, il creditore perde il diritto a qualsiasi interesse e può vedere anche disonorata la sua reputazione. È un rischio particolarmente rilevante se, ad esempio, un imprenditore in difficoltà si rivolge a un conoscente per un prestito e questo ne approfitta con tassi esorbitanti: si può finire nelle maglie della legge antiusura. Mitigazione: informarsi sempre sui tassi medi e soglia prima di concordare gli interessi; eventualmente consultare un professionista. Molti non sanno che la legge antiusura si applica tra chiunque, non solo verso strozzini professionisti: basta il superamento del tasso soglia e la consapevolezza di ciò per configurare il reato, anche tra parenti o amici.
Rischio 5: Rischio “abusivismo finanziario”. Se un soggetto presta abitualmente denaro a molti soggetti, facendosi pagare interessi, potrebbe essere accusato di esercizio abusivo di attività finanziaria (art. 132 TUB). Conseguenze: sanzioni penali (reclusione fino a 4 anni e multa fino a 100.000€) per chi fa professionalmente attività riservate a banche o finanziarie senza licenza. Questo è un rischio per chi, ad esempio, crea schemi tipo “collettivo di prestito” informale o presta a sconosciuti dietro interesse via annunci – in pratica, diventa una banca privata illegale. Mitigazione: attenersi all’occasionalità e, se si vuole fare impresa nel settore del credito, costituire un’azienda ad hoc e richiedere le dovute autorizzazioni. Il singolo privato non è toccato se presta saltuariamente a familiari o amici, ma se allarga su scala maggiore deve stare attento.
Rischio 6: Postergazione e perdita del capitale nei finanziamenti soci. Abbiamo già discusso che il socio che finanzia la propria società in certe condizioni (sottocapitalizzazione) rischia di veder postergato il suo credito rispetto agli altri. Conseguenze: in caso di fallimento della società, il socio creditore potrebbe non recuperare nulla perché “in coda” ai creditori chirografari normali. Inoltre, se ha avuto rimborso prima del fallimento in violazione dell’art. 2467, il curatore può chiedergli indietro i soldi. Mitigazione: valutare bene lo stato della società prima di finanziare; se questa è già decotta, forse conviene conferire a capitale (così magari salva la continuità) oppure rassegnarsi che quei soldi potrebbero andare persi in ogni caso. Il socio può eventualmente chiedere un pegno o ipoteca a garanzia: l’art. 2467 parla di rimborso chirografario postergato, ma se il socio si fa dare un pegno su bene sociale? È dibattuto se sia aggirabile così, probabilmente no se il pegno è contestuale e strumentale (sarebbe considerato in frode alla legge). In ogni caso, è più un rischio di business che legale in senso stretto.
Rischio 7: Rovina dei rapporti personali. Non normato dalla legge, ma non meno reale: un prestito tra amici o parenti può deteriorare il rapporto. Se il debitore ritarda, il creditore pressa, nascono attriti; se il debitore sente il peso del debito, può allontanarsi per imbarazzo; se il creditore muore e gli eredi esigono dal debitore formalmente i soldi, finisce l’amicizia di famiglia. Questi sono rischi “relazionali”. Mitigazione: prima di prestare/ricevere, le parti dovrebbero valutare insieme le possibili tensioni e magari stabilire regole d’ingaggio: onestà e comunicazione in caso di difficoltà (es. il debitore avvisi subito se non riesce a pagare una rata, invece di sparire), il creditore mantenga un atteggiamento rispettoso e comprensivo (finché possibile) visto il rapporto personale. Formalizzare il tutto per iscritto paradossalmente aiuta anche nei rapporti: riduce malintesi (“pensavo potessi ridarmeli quando potevi”, “no avevi detto 6 mesi!” – tutto evitabile se scritto nero su bianco).
Rischio 8: Errori formali che costano caro. Infine, l’ignoranza di certi obblighi può portare a costi imprevisti: ad es., dimenticarsi di registrare un contratto e poi depositarlo in causa significa pagare imposta + sanzione; trasferire contante 10.000€ perché non si sapeva della soglia comporta multa di migliaia di euro; non indicare la natura infruttifera e trovarsi l’Agenzia Entrate che presume interessi non dichiarati da tassare. Mitigazione: informarsi (come si sta facendo leggendo questa guida!), e magari consultare un professionista se si muovono importi consistenti.
Strumenti per mitigare i rischi
Riassumiamo alcuni accorgimenti pratici che aiutano a ridurre i rischi sopra elencati:
- Contratto scritto dettagliato: è lo strumento principe. Non ci stanchiamo di sottolinearlo: mettere tutto per iscritto e firmato tutela entrambi e previene dispute interpretative. Includere clausole come decadenza dal termine, rateazione, interessi di mora e spese in caso di azioni legali (pattuire che il debitore moroso rimborsa al creditore spese legali vivo accresce il potere dissuasivo).
- Garanzie reali o personali: se la somma è alta e il debitore concorda, si può pretendere una garanzia. Tipici esempi: un avallo cambiario (se si usano cambiali), una fideiussione di un terzo (es. un parente garante), un pegno (ad esempio il debitore consegna un oggetto di valore che sarà restituito a debito estinto) o persino un’ipoteca su un immobile del debitore (richiede atto pubblico, costi notarili, etc.). Tra privati raramente si scende a tali formalità, ma in contesti imprenditoriali è normale. La garanzia mette pressione al debitore a pagare e dà al creditore maggiori chance di recuperare almeno qualcosa.
- Assicurazione sul credito: sul mercato esistono anche polizze assicurative a protezione del creditore in caso di insolvenza del debitore (credit insurance). Sono più comuni per forniture commerciali, non per prestiti tra persone fisiche, ma in principio nulla vieta di stipularne una se la compagnia accetta. Non è usuale in ambito familiare o amicale però.
- Causale e tracciabilità: ribadiamo: usare SEMPRE strumenti di pagamento tracciabili e specificare la causale (“prestito infruttifero del gg/mm/aaaa”). In caso di restituzione parziale, anche lì indicare “restituzione parziale prestito del…”. Queste scritture rendono trasparente la vicenda e riducono i dubbi (per banche, fisco, terzi).
- Moderazione negli interessi: se si decide di applicare un interesse, tenerlo su livelli ragionevoli, magari inferiori ai tassi bancari medi (così il debitore è contento e non avrà rancori, e si sta sicuramente sotto soglia usura). Ad esempio, se il tasso soglia è 16%, la banca chiederebbe 10% per quel prestito, tra privati magari concordare un 5-6% è percepito come equo: il creditore guadagna qualcosina più che tenendoli fermi, il debitore ottiene meglio che in banca. Se invece un amico approfitta e chiede 15% ad un altro in difficoltà, ok ancora legale magari, ma molto stressante per il debitore e al limite dell’usura.
- Verifica requisiti del debitore: specie se il prestito non è tra familiari stretti, il creditore dovrebbe fare una minima due diligence: la persona a cui presto è affidabile? Ha entrate, un lavoro, beni su cui rivalersi se va male? Chiedere qualche informazione (anche informale) sullo stato finanziario non è fuori luogo quando si prestano somme consistenti. Questo per non trovarsi di fronte a insolvenze annunciate.
- PEC o raccomandata: se non si vuole registrare il contratto, almeno scambiarsi le dichiarazioni via PEC o raccomandata A/R dà data certa all’accordo. Ad esempio: Tizio manda PEC “ti confermo che oggi ti ho prestato €…, che mi restituirai…” e Caio risponde da PEC sua “confermo quanto sopra”. La PEC ha valore legale di data certa. Così se Caio più tardi sostenesse “ma quando mai, non ricordo”, c’è traccia. Questo aiuta molto in giudizio ed è economico (costa quasi nulla).
- Ricordare la prescrizione: i diritti derivanti dal mutuo si prescrivono in 10 anni (ordinario). Se il prestito è a tempo indeterminato, la prescrizione decorre da quando il creditore chiede la restituzione (e il debitore non paga). Però se il creditore dorme e non chiede nulla per decenni, il debitore dopo 10 anni potrebbe eccepire prescrizione. Quindi non aspettare troppo a farsi restituire o almeno a farsi riconoscere il debito per iscritto prima che scadano i 10 anni. Un pagamento parziale interrompe la prescrizione; una lettera di riconoscimento pure. Questo per non perdere il diritto per mera inerzia.
- Clausole di riservatezza e di risoluzione: se lo si desidera, si può inserire una clausola di riservatezza (non divulgare a terzi i dettagli del prestito) per proteggere la privacy, e una clausola risolutiva: es. “se il debitore viene protestato o fallisce, il termine si considera scaduto e deve restituire subito tutto” (accelerazione in casi di insolvenza conclamata).
- Dialogo e flessibilità: sul piano umano, mantenere aperto il dialogo tra le parti è fondamentale. Se il debitore ha problemi, che lo dica subito e magari si concorda una modifica piani (per iscritto!). Meglio così che attendere il default totale. Anche il creditore dovrebbe manifestare disponibilità a rinegoziare entro limiti ragionevoli: ad esempio concedere un differimento se necessario, piuttosto che forzare un conflitto.
- Assistenza professionale: per prestiti importanti, coinvolgere un avvocato o commercialista in fase di predisposizione può far evitare errori (es. quell’avvocato saprà del 3% registro e vi suggerirà la via giusta, oppure vi preparerà un contratto blindato). Parimenti, se le cose vanno storte, rivolgersi subito a un legale per capire come agire (diffida? decreto ingiuntivo? etc.).
Prendendo queste precauzioni, i prestiti tra privati possono essere gestiti in modo sicuro e soddisfacente, trasformandoli effettivamente in uno strumento di finanziamento alternativo e conveniente, anziché in una fonte di potenziali guai.
Simulazioni pratiche e casi di esempio
In questa sezione proponiamo alcune simulazioni numeriche e casi concreti che illustrano l’applicazione delle regole ai prestiti tra privati. Questo aiuta a capire sul piano pratico come calcolare interessi, come verificare l’usura, quali sarebbero le imposte da pagare, ecc., e a evidenziare eventuali criticità con esempi.
Calcolo degli interessi e piano di rimborso
Esempio 1 – Prestito fruttifero semplice: Tizio presta €10.000 all’amico Caio, con interesse annuo semplice del 5%, rimborso in un’unica soluzione tra 3 anni.
- Interessi annui: 5% di 10.000 = €500 l’anno. Non essendoci pagamento periodico, questi maturano ma si pagano tutti a fine periodo (si può immaginare che Caio accumuli il debito per 3 anni).
- Interesse totale dovuto: €500 × 3 = €1.500 in totale.
- Somma finale da restituire: €10.000 + €1.500 = €11.500 dopo 3 anni.
- TAEG: in questo caso, poiché non vi sono spese, coincide col tasso nominale 5%. Non c’è capitalizzazione infra-annuale (interesse semplice).
- Verifica soglia usura: ipotizziamo che per prestiti personali il tasso soglia attuale sia, ad esempio, 18%. Il 5% è ben al di sotto, quindi nessun problema.
Dal punto di vista fiscale, Tizio dovrà dichiarare €1.500 di interessi (500 per ciascun anno, tecnicamente il principio di cassa vuole che li dichiari quando li riceve, cioè alla fine del terzo anno: in quell’anno dichiarerà 1.500). Caio se persona fisica non deduce nulla; se Caio fosse un artigiano e quel prestito è per l’attività, i €1.500 sarebbero deducibili come interessi passivi, soggetti alla regola del 30% del EBITDA.
Esempio 2 – Prestito infruttifero con piano di ammortamento: Un padre presta €24.000 al figlio, senza interessi, prevedendo la restituzione in 24 rate mensili da €1.000 l’una.
- Interessi: essendo infruttifero, interessi = 0.
- Rate: €1.000 al mese per 24 mesi.
- Nessun TAEG (o meglio TAEG 0%).
- Soglia contanti: €1.000 è sotto il limite; in teoria il figlio potrebbe restituire anche in contanti ciascuna rata. Tuttavia, meglio fare bonifici mensili di €1.000 con causale “restituzione prestito del … rata X/24”.
- Aspetti civilistici: se salta una rata, il contratto può prevedere la decadenza dal termine (il padre può richiedere immediatamente tutto il residuo). Se non previsto, si ha solo un ritardo su quella rata, su cui il padre potrebbe chiedere interessi di mora al tasso legale (modesti).
Imposte di registro? Se hanno formalizzato con scrittura privata: essendo infruttifero e l’importo €24.000, la base imponibile è €24.000, imposta 3% = €720. Per evitare, potrebbero fare uno scambio di e-mail/lettere. Dal punto di vista fiscale, nessun reddito per il padre (no interessi), nessuna deduzione per il figlio. Se l’Agenzia chiede conto di quei flussi, c’è il contratto a testimoniare che non sono redditi ma semplici movimenti patrimoniali.
Esempio 3 – Prestito con ammortamento a rate e interessi: Due amici convengono un prestito di €5.000 con rimborso in 12 rate mensili e interesse annuo 6% su base decrescente (tipico piano alla “francese” semplificato su un anno).
- Calcolo semplificato: in 12 rate mensili costanti comprensive di interessi, la rata risulterà ~€431 al mese (questo può essere calcolato con le formule di annuity: rata = capitale × (i/ (1 – (1+i)^-n)), con i interesse periodale=0,5% (6% annuo/12), n=12). Ogni rata incorpora una quota interessi e una quota capitale.
- Interessi totali approssimativi: sommando le quote interessi attese (primo mese 6%/12 di 5000 = €25, ultimo mese su capitale residuo ~ 0) si avrà un totale interessi di circa €≈164 (questo numero è a scopo illustrativo; il calcolo esatto darebbe intorno a €164).
- Verifica usura: tasso annuo 6%, soglia ipotetica 18% → ok. TAEG includendo eventuale costo zero per incasso = 6%.
- Imposta di registro: se formalizzato, base imponibile = €5.000 capitale + ~€164 interessi = ~€5.164, 3% = ~€154. In realtà qui un contratto così probabilmente manco lo registrano perché l’imposta quasi equivarrebbe agli interessi totali!
- Fiscale: creditore dichiara €164 di interessi nell’anno (o due anni se il prestito attraversa il 31/12), debitore nulla. Creditore riceve per lo più restituzione capitale che non è tassata.
Questo esempio mostra come l’onere fiscale dell’imposta di registro può superare gli interessi stessi se il tasso è basso e la durata breve: €154 vs €164 – praticamente mangia l’intero guadagno (26% su €164 sarebbe solo €42 di imposta sui redditi, molto meno). Questo spiega perché per piccoli prestiti tra amici spesso si opta per nessun interesse: semplifica la vita e non fa scattare tasse inique. Anche l’amico creditore con €6% su 5k guadagna solo €164 l’anno – quasi un gesto di solidarietà più che investimento.
Verifica della soglia d’usura: caso pratico
Esempio 4 – Tasso soglia usura: Poniamo di essere a inizio 2025. Il MEF ha pubblicato i tassi medi per il Q1 2025 e i tassi soglia per Q2 2025. Ad esempio (dati ipotetici ma realistici): prestiti personali fino 15.000€ tasso medio 13,32%, soglia usura 20,65%; oltre 15.000€ tasso medio 9,23%, soglia 15,5375% (questi valori sono simili a quelli pubblicati).
- Se due privati concordano un prestito di €10.000 a 25% annuo, questo è usurario perché 25% > soglia ~20,65%. Conseguenze: la clausola interessi è nulla e non dovrà essere corrisposto alcun interesse. Inoltre, il creditore commette reato di usura dal momento della pattuizione (salvo che provi di non aver voluto approfittare etc., ma oggettivamente la legge punisce il fatto).
- Se pattuissero un 18% annuo su €10.000: bisogna vedere il TAEG, supponiamo non ci siano spese, quindi TAEG=18%. Con soglia 20,65% siamo sotto, quindi formalmente lecito. Però c’è poco margine: basta che avessero messo una commissioncina, e superavano. Inoltre 18% tra amici è tantissimo – c’è rischio che il debitore domani lo denunci per usura in concreto (esiste anche l’usura in concreto ex art. 644 cp comma 3, che prescinde dal tasso soglia se si prova che, data la situazione di bisogno del debitore, il tasso era sproporzionato).
- Un tasso “sicuro” per quel prestito potrebbe essere, ad esempio, il 10%. TAEG 10% << soglia 20,65%. Nessun organo potrà dire nulla.
Esempio 5 – Usura sopravvenuta: contratto di prestito decennale stipulato nel 2019 al tasso dell’8% fisso. Nel 2019 il tasso medio per quell’operazione era poniamo 6%, soglia era 6%*1,25+4%=11,5% (sotto 6+8?), comunque >8%. Dunque non usurario all’origine. Nel 2021-2022 i tassi medi scendono, e supponiamo che nel 2021 la soglia scenda a 7%. Il tasso contrattuale 8% ora supera la soglia corrente, ma la Cassazione ha stabilito che non si ha nullità del tasso né reato per usura sopravvenuta. Il debitore però potrebbe tentare di negoziare una riduzione. Alcune sentenze di merito in passato sospendevano gli interessi futuri eccedenti, ma la giurisprudenza ormai (dopo SU 2017) esclude interventi autoritativi per usura sopravvenuta. Quindi Caio deve continuare a pagare 8% anche se la soglia è scesa a 7, senza che Tizio violi la legge (perché conta il momento della pattuizione).
Confronto tra prestito e donazione in ambito familiare
Esempio 6 – Prestito vs donazione a un figlio per acquisto casa: Un genitore vuole aiutare il figlio ad acquistare un appartamento da €200.000. Ha due opzioni: donare la somma, oppure prestare la somma e farsela restituire in futuro (o eventualmente rinunciarvi più avanti).
- Donazione formale: richiede atto pubblico notarile. Costo notarile su 200k circa qualche migliaio di euro, più imposta di donazione: genitore-figlio franchigia 1.000.000 €, quindi imposta zero (dato che 200k < 1M). Tuttavia, attenzione: l’immobile acquistato con denaro donato di recente potrebbe subire azioni di riduzione da futuri eredi legittimari (altri figli) se le quote non fossero rispettate, e la donazione rimane nei registri (le banche spesso storcono il naso su immobili acquistati con fondi donati perché temono revocatorie, anche se il denaro in sé non è ipotecabile… ma spesso preferiscono che il passaggio avvenga come prestito o atto indiretto).
- Prestito infruttifero: viene redatto un contratto di mutuo infruttifero di €200.000 a favore del figlio, con restituzione ad esempio “quando la disponibilità del figlio lo consentirà” (clausola aperta, ma c’è obbligo). Nessun atto notarile (basta scrittura, magari registrata in caso d’uso). Nessuna imposta di donazione perché non è donazione. Imposta di registro: se registrato 3% = 6.000 € – paradossalmente superiore al costo notaio+imposta di donazione! (quest’ultima era zero). Dunque, ecco un caso in cui conviene non registrare subito: farlo per corrispondenza e registreranno l’eventuale riconoscimento in futuro. In ogni caso, il figlio potrà comprare la casa dicendo al rogito che usa soldi a prestito (anche qui, attenti all’enunciazione: se lo dicono in atto pubblico, scatta il 3%! meglio dire genericamente “provviste familiari”). Vantaggio: il prestito non intacca la quota di legittima del figlio rispetto ad eventuali fratelli, perché è un debito che rimane (mentre la donazione anticiperebbe eredità). Svantaggio: se poi il genitore muore senza aver chiarito, il figlio debitore è teoricamente tenuto a restituire quei 200k all’asse ereditario (di cui lui stesso magari fa parte, ma se ha fratelli, questi diranno: “tu ci devi 200k da rimettere in eredità, se no prendiamo dal tuo di più”). Questo scenario genera litigiosità.
- Donazione indiretta: c’è una terza via: il genitore paga direttamente il venditore della casa dicendo che è un contributo a favore del figlio per la casa (in atto di acquisto si menziona che parte del corrispettivo è pagato da Tizio padre di Caio a titolo di liberalità indiretta). Questo è considerato donazione indiretta ma non richiede atto pubblico di donazione, e non sconta imposta (se rientra in franchigia). Il rischio qui è per altri eredi su possibili lesioni di legittima. Ma dal punto di vista fiscale e pratico, spesso è la scelta adottata (il notaio nel rogito la inquadra e richiama l’art. 809 c.c. forse). Qui però stiamo un po’ fuori dal tema “prestiti”, ma era per completare.
Conclusione esempio 6: Il prestito infruttifero appare vantaggioso per non dover ricorrere al notaio e lasciare aperta la questione rimborso. Tuttavia, in un’ottica di pianificazione patrimoniale familiare, può essere problematico: se i genitori in realtà non vogliono indietro nulla e il figlio non restituirà, in futuro i fratelli potrebbero farlo passare per donazione simulata e litigare. Se invece i genitori volessero davvero indietro (magari perché contano su quei soldi per la pensione), allora bene il prestito. Dipende dalle intenzioni reali. Ad ogni modo, costi: donazione formale costa il notaio (diciamo 2-3mila €), prestito registrato costa €6k imposta + bollo + eventuale notaio se autenticate firme. Prestito non registrato costa quasi zero subito. Quindi molti farebbero il prestito non registrato e amen, rimandando l’eventuale tassazione al caso in cui serva.
Caso di inadempimento e azione legale
Esempio 7 – Mancato rimborso e recupero giudiziale: Mario presta €15.000 al cugino Luca, con scrittura privata non registrata in cui Luca promette di restituire entro il 31/12. Purtroppo alla scadenza Luca non paga e smette di rispondere al telefono.
- Fase stragiudiziale: Mario invia a Luca una lettera raccomandata di messa in mora (o PEC) intimando il pagamento entro, ad es., 10 giorni, e minacciando azioni legali e interessi di mora. Se Luca è solo in ritardo temporaneo, magari questo lo smuove. Se non dà esito:
- Fase monitoria: Mario, grazie alla scrittura privata firmata da Luca che riconosce il debito, può tramite avvocato richiedere al tribunale un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (data la natura di credito di mutuo documentato da atto sottoscritto dal debitore, l’ingiunzione è provvisoriamente esecutiva ex art. 642 c.p.c. se il giudice lo concede). Il suo legale dovrà prima registrare la scrittura privata in Agenzia Entrate perché per legge un atto non registrato non può essere prodotto in giudizio (qui scatta l’obbligo in caso d’uso!). Quindi Mario pagherà l’imposta di registro 3% = €450, più sanzione e interessi se la registra tardivamente: diciamo altri €50 in totale con ravvedimento operoso. Una volta registrata, allega l’originale alla richiesta di decreto. Il giudice emette il decreto ingiuntivo per €15.000 + interessi di mora (legali, se non diversi) dal 1° gennaio + spese legali. Luca ha 40 giorni per fare opposizione, ma se realmente deve i soldi e ha firmato, l’opposizione avrebbe poche chance (potrebbe giusto contestare qualcosa come la competenza o la validità formale della scrittura, ma dubitiamo di successo). Intanto Mario può notificare il decreto a Luca e, essendo esecutivo, anche un atto di precetto (ultimatum di pagamento entro 10 giorni).
- Fase esecutiva: se Luca non paga, Mario può far partire il pignoramento. Supponiamo sappia che Luca ha un conto in banca o uno stipendio. Può notificare atto di pignoramento presso la banca o il datore di lavoro. Se Luca ha fondi o uno stipendio, Mario gradualmente recupererà (pignoramento di 1/5 stipendio magari). Se Luca è nullatenente, Mario può tentare il pignoramento mobiliare (mandare ufficiale giudiziario a casa – spesso frutta poco) o, se Luca possiede immobili, ipotecarli/pignorarli per eventuale vendita.
- Tempi e costi: ottenere il decreto può richiedere 1-3 mesi; l’eventuale opposizione se fatta durerebbe anni (ma in tal periodo Mario potrebbe ottenere esecuzione provvisoria comunque data la firma). I costi legali iniziali, tra contributo unificato, bolli e avvocato, magari €600-800, che però in parte saranno posti a carico di Luca nel decreto (ma recuperarli dipende dal recupero principale!). È un processo sicuramente più macchinoso che non farsi ridare i soldi spontaneamente… e se Luca non ha beni, Mario dopo aver speso quei soldi rimane a mani vuote.
Morale esempio 7: disporre di un documento firmato ha permesso a Mario di agire con decreto ingiuntivo rapidamente. Se non l’avesse avuto, avrebbe dovuto citare in causa Luca in un processo ordinario e provare con testimoni o indizi che era prestito, un iter ben più lungo e incerto.
Prestito e fisco: analisi di un caso reale
Esempio 8 – Accertamento fiscale su versamenti bancari: Una contribuente, Anna, riceve nel 2024 sul proprio conto corrente tre bonifici da €5.000 ciascuno provenienti dal conto di un amico, con causali generiche tipo “grazie di tutto” o addirittura nessuna causale specifica. In un controllo, l’Agenzia rileva €15.000 di versamenti non giustificati sul conto di Anna, la quale nel 2024 aveva dichiarato un reddito imponibile di soli €10.000. Chiedono spiegazioni.
- Anna sostiene che si tratta di un prestito ricevuto dall’amico Marco, fatto in più tranche. Purtroppo, non hanno stipulato alcun contratto scritto, né c’è una causale che parli di prestito.
- L’Agenzia, scettica, potrebbe considerare i €15.000 come reddito non dichiarato (ad esempio, potrebbe insinuare che fossero compensi in nero per qualche attività). Solleva quindi avviso di accertamento aggiungendo €15.000 al reddito di Anna, tassandoli e sanzionandoli.
- Anna si oppone e inizia un contenzioso. In sede di ricorso esibisce una dichiarazione scritta firmata da Marco (ottenuta però dopo, magari nel 2025 una volta capito il guaio) in cui Marco conferma di averle prestato quei €15.000 a titolo di mutuo personale infruttifero. Tuttavia, l’Agenzia obietta che tale scrittura è successiva e dubbia, e potrebbe pretendere prova più solida (per esempio, la sentenza Cass. n. 12850/2016 ha rigettato le giustificazioni tardive non supportate da prove formatesi all’epoca).
- Se Anna avesse invece sin dall’inizio avuto una scrittura privata datata 2024 o se almeno le causali dei bonifici fossero state “prestito infruttifero”, quasi certamente l’accertamento nemmeno sarebbe partito, o comunque in fase di contraddittorio sarebbe stato annullato mostrando quei documenti.
- Nel processo tributario, molto dipenderà dalla credibilità: se Anna e Marco testimoniano (per iscritto, perché nel processo tributario non è ammessa testimonianza orale) che effettivamente c’era questo prestito, il giudice potrebbe annullare l’accertamento, ma non è garantito.
- Esito ipotetico: Anna rischia di dover pagare imposte su €15.000 (aliquota marginale IRPEF supponiamo 27% => ~€4.000) più sanzione 90% => €3.600, totale €7.600 + interessi, per un’operazione che in realtà era patrimoniale e non reddituale!
Questo esempio (ispirato a casi reali) dimostra quanto sia importante giustificare ai fini fiscali i movimenti finanziari tra privati. L’Agenzia non conosce amicizie o aiuti: vede soldi -> presume reddito, a meno che tu non fornisca prove contrarie convincenti. Quindi, la prudenza è: se ricevete o date importi significativi, fate in modo che ci sia un documento coevo che li qualifichi (contratto di mutuo, o almeno una dichiarazione firmata).
Finanziamento soci e postergazione: esempio
Esempio 9 – Finanziamento soci in società in crisi: La Alfa Srl ha capitale sociale €10.000 e pesanti perdite negli ultimi esercizi, con patrimonio netto divenuto negativo (€-50.000). I soci decidono nel 2024 di versare €50.000 ciascuno (sono 2 soci) per sostenere la società, ma preferiscono farlo come prestito infruttifero piuttosto che come aumento di capitale (per evitare burocrazia notarile e per poterli riavere indietro se le cose miglioreranno). Formalizzano con due scritture private separate (non registrate subito, per non pagare 3%).
- Scenario positivo: nel 2026 la società torna in utile, e i soci deliberano di rimborsare i finanziamenti soci. Possono farlo? Sì, ma attenzione: l’art. 2467 c.c. dice che se all’epoca del finanziamento la società era sottocapitalizzata (squilibrio patrimoniale), quei finanziamenti si considerano postergati. Tecnicamente, finché la società ha debiti verso terzi (fornitori, banche), non dovrebbe rimborsare i soci. Se la Alfa Srl nel 2026 ha ripianato le perdite e sanato il patrimonio, può ragionevolmente restituire i €100k ai soci perché non lede creditori (patrimonio tornato positivo). Se invece li rimborsa subito togliendo liquidità e poi nel 2027 fallisce con debiti verso fornitori non pagati, i creditori potranno agire contro i soci per farsi restituire quei €100k (azione revocatoria fallimentare, o azione diretta ex art. 2467 se interpretata come tale).
- Scenario negativo: nel 2025 Alfa Srl fallisce con debiti verso banche e fornitori. I soci avevano versato complessivamente €100k di finanziamento. Nel passivo fallimentare, i soci chiederanno indietro i loro €100k come crediti. Postergazione: ai sensi dell’art. 2467, i crediti dei soci vengono soddisfatti dopo tutti gli altri. Ciò significa praticamente che i soci non vedranno un euro, a meno che i creditori esterni vengano pagati al 100% (evento improbabile in un fallimento). Quindi quei €100k finiscono persi per i soci. Se per caso il fallimento avesse già rimborsato in precedenza (entro 1 anno) parte di quei finanziamenti ai soci, il curatore può pretendere la restituzione di quanto ricevuto, da restituire alla massa.
- Osservazioni fiscali: fortunatamente, la rinuncia di €100k crediti soci non genera reddito imponibile per la società fallita (che comunque è in perdita). I soci però subiscono una perdita deducibile? Se sono persone fisiche no (è capitale perso, non deducibile). Se fossero soci società, forse deducibile come perdita su credito (ma lasciamo stare).
- Documentazione: i soci per sicurezza nel 2024 registrano i verbali assembleari dei finanziamenti, incorrendo nel 3% (€3.000 su 100k × 2 = €6.000, come nel nostro esempio di Cassazione prima). In fallo poi adducono questi contratti. Il curatore non li contesta come validità (lo sono), semplicemente li subordina.
Morale esempio 9: per i soci prestatori, c’è il rischio concreto di non rivedere i soldi se la società versa in squilibrio finanziario. Se la società fallisce, i soci diventano di fatto ultimi creditori (peggio degli chirografari normali). L’unica via di mitigazione, in fase di finanziamento, poteva essere: invece di “finanziamento soci”, fare un aumento di capitale con diritto di restituzione preferenziale (tipo, azioni privilegiate riscattabili, se la legge lo consente) – ma comunque in fallimento il capitale va perso. Oppure i soci avrebbero potuto chiedere una garanzia reale sui beni sociali, ma una società che ipoteca i propri beni a favore dei soci per restituire loro soldi suona come potenzialmente contestabile come atto in frode ai creditori. Insomma, quando la barca affonda, i soci devono essere coscienti che i loro prestiti sono di fatto capitale a rischio.
Queste simulazioni mostrano situazioni frequenti in cui ci si può imbattere e come applicare le regole. Ovviamente ogni caso può presentare specificità, ma comprendere la logica sottostante (ad es. come si calcolano gli interessi, come ragiona il fisco sui movimenti bancari, come funzionano le priorità in caso di fallimento) aiuta a orientarsi nelle proprie decisioni quando si struttura un prestito tra privati.
Domande frequenti (FAQ) su prestiti tra privati
In questa sezione rispondiamo in modo sintetico ad alcune domande ricorrenti o punti controversi relativi ai prestiti tra privati, così da chiarire eventuali dubbi pratici.
- D: Posso prestare soldi a un familiare o amico in contanti?
R: La legge consente trasferimenti in contanti solo fino a €5.000 per singola transazione (limite 2023-2025). Importi superiori devono obbligatoriamente avvenire tramite metodi tracciabili (bonifico, assegno, ecc.). Anche sotto soglia, è fortemente consigliabile usare mezzi tracciati. Se proprio si presta una piccola somma in contanti (es. €500 all’amico), conviene redigere almeno una ricevuta firmata. Ricordiamo che frazionare un importo grosso in più tranche di contanti per eludere la soglia è illecito. Quindi, per importi importanti: no contanti, sì bonifico con causale chiara. - D: C’è un limite massimo all’importo che posso prestare o ricevere?
R: No, la legge non fissa un tetto all’importo di un prestito tra privati – a patto di rispettare le regole su tracciabilità e usura. In teoria si possono prestare anche centinaia di migliaia di euro. Naturalmente, se le cifre sono molto elevate, potrebbero scattare controlli antiriciclaggio o fiscali, quindi sarà ancora più importante documentare e giustificare. Inoltre, se l’importo è enorme rispetto al patrimonio del presunto creditore, potrebbe sorgere il dubbio che dietro vi sia altro (es. un prestanome). Ma in linea di principio non esiste un limite normativo di importo (esempio: un privato benestante può prestare €300.000 al fratello per comprare casa: operazione lecita, seppure da formalizzare a dovere). Alcuni suggeriscono che oltre una certa soglia convenga formalizzare con atto pubblico, ma non è un obbligo di legge – solo una cautela. - D: Un prestito infruttifero (senza interessi) va dichiarato al fisco?
R: No, né chi presta né chi riceve devono dichiarare nulla, perché non c’è produzione di reddito. Il creditore non incassa interessi (redditi di capitale zero), il debitore non ottiene alcun “reddito” tassabile (riceve sì la somma, ma come debito da restituire, non come arricchimento definitivo). Bisogna però essere pronti a dimostrare, eventualmente, che quel trasferimento era prestito: conservare il contratto, le contabili, ecc. La restituzione del capitale non va dichiarata da nessuno (è mera movimentazione patrimoniale). Una sola eccezione: se il creditore muore, gli eredi dovrebbero includere quel credito nella dichiarazione di successione come bene ereditario (ma non è un’imposta in capo al debitore, solo una formalità successoria). - D: Chi presta denaro ci paga le tasse sugli interessi? E chi lo riceve può “scaricare” qualcosa?
R: Il creditore che percepisce interessi deve pagarci le imposte: tipicamente il 26% tramite dichiarazione o tramite ritenuta d’acconto se il debitore è sostituto d’imposta. Se il prestito è senza interessi, il creditore non dichiara nulla. Il debitore privato non può detrarre né dedurre gli interessi pagati, a differenza di alcuni prestiti bancari (come i mutui prima casa che hanno detrazione del 19% sugli interessi passivi). Solo se il debitore è un’azienda può dedurre gli interessi passivi come costo d’impresa (nei limiti di legge). Quindi per un privato, pagare interessi a un altro privato non dà benefici fiscali personali. - D: Devo redigere per forza un contratto scritto? Anche tra parenti stretti?
R: Legalmente, il prestito può essere anche verbale, ma è altamente sconsigliato. Sopra poche centinaia di euro, il Codice Civile già non permette prova testimoniale senza uno scritto. Inoltre, senza scrittura ci si espone a rischi di incomprensione e difficoltà probatorie. Conclusione: sì, fate sempre almeno una scrittura privata firmata. Anche tra genitori e figli o tra fratelli – anzi specialmente tra loro, per evitare poi conflitti ereditari, conviene mettere nero su bianco che è un prestito, che non è una donazione, e come verrà restituito. Non serve il notaio (salvo si voglia una garanzia ipotecaria o dare data certa pubblica), basta un foglio firmato. Se proprio non lo fate, perlomeno conservate tracce (messaggi, e-mail, ecc.) e usate bonifici con causale prestito. - D: Come posso dimostrare a terzi (es. Fisco o altri creditori) che il denaro ricevuto era un prestito e non un regalo o reddito?
R: Con la documentazione: un contratto di mutuo con data certa, o delle lettere scambiate all’epoca, o almeno la causale del bonifico. Ad es., se l’Agenzia Entrate contesta un versamento, presento copia della scrittura privata di prestito e le ricevute del bonifico avente causale “prestito infruttifero”. Così risulta chiaro che è una somma a debito e non un reddito percepito. Se altri creditori (mettiamo, un creditore del mio amico debitore) vedono che gli ho dato soldi, con un contratto di mutuo posso provare di essere creditore (non un donante): ciò può essere utile se quell’amico finisse insolvente – il nostro prestito documentato farà parte dei suoi debiti legittimi. Senza carta, rischiamo che altri creditori dicano “quel pagamento era a titolo di regalo, tu non sei creditore concorsuale”. - D: Qual è il tasso di interesse massimo che posso chiedere senza infrangere la legge?
R: Il tasso massimo è determinato dalla legge antiusura: dipende dal tipo di prestito e dal periodo. In generale, i tassi soglia oscillano (nel 2023-2024) tra il 10% e il 25% annuo a seconda dei casi. Per i prestiti personali, attualmente siamo intorno al 16-21% annuo come soglia. Per sicurezza, è bene non superare il tasso medio di mercato aumentato del 25% + 4 punti. Ad esempio, se il tasso medio fosse 8%, il tetto è 8%*1,25+4%=14% (a meno che la somma di +4 punti e +25% ecceda di 8 punti il medio). In pratica, verificate i valori esatti pubblicati da Banca d’Italia/MEF per la categoria pertinente. Sopra la soglia anche di un centesimo, è usura. Sotto la soglia, legalmente ok; tuttavia, tassi molto elevati (anche se di poco sotto la soglia) possono comunque essere impugnati come usura in concreto se il debitore era in stato di bisogno e il tasso sproporzionato. Quindi il consiglio è: mantenersi moderati. Tra privati, raramente si vedono tassi oltre il 10-12%. Spesso o non si applicano interessi, o si concorda un tasso contenuto (anche perché se chiedete troppo a un amico, l’amicizia finirà). - D: Cosa succede se per errore o ignoranza abbiamo pattuito un tasso sopra soglia (usura)?
R: Succede che la clausola di interessi è nulla e non sono dovuti interessi (il debitore restituirà solo il capitale). Inoltre il creditore potrebbe incorrere in responsabilità penale per usura. Spesso, se è un errore in buona fede e il debitore non denuncia, la cosa rimane in ambito civilistico (il giudice o la legge annulla gli interessi). Ma c’è sempre il rischio di denuncia. In ogni caso, il creditore perde tutti gli interessi – anche quelli entro soglia eventualmente. Esempio: prestito 1000€ al 10% mese (usurario). Il giudice dirà: capitale 1000 da restituire, zero interessi (non è che li riduce a soglia, li azzera). Vale anche se uno avesse inizialmente pattuito interessi leciti ma poi applicato tassi di mora oltre soglia: pure quelli azzerati. Dunque, se ci si accorge di aver sbagliato e pattuito troppo, meglio rinegoziare subito il tasso con un addendum scritto, portandolo nei limiti, prima che la cosa esploda. - D: E se il debitore non mi restituisce i soldi? Cosa posso fare?
R: Se hai un contratto scritto o comunque prove solide, puoi agire per vie legali. Il passo tipico è ottenere un decreto ingiuntivo in tribunale per ingiungere il pagamento. Ottenutolo, se il debitore ancora non paga, si procede col pignoramento dei beni (conto corrente, stipendio, auto, immobili, ecc. a seconda di cosa ha). In caso di importi elevati, conviene incaricare un avvocato. Se non hai un documento scritto, diventa più complicato: dovrai fare causa ordinaria, cercare testimoni, etc. Tieni presente che, anche con sentenza a favore, se il debitore non possiede nulla (nullatenente) recuperare materialmente i soldi può risultare impossibile. Quindi valutare sempre a monte l’affidabilità finanziaria dell’altro. In casi estremi, se il debitore è un parente e la cifra grossa, si può tentare un accordo transattivo (es. restituirà solo una parte) prima di impantanarsi in cause. A livello penale, il mancato rimborso di per sé non è reato (a meno di frodi: es. ha chiesto soldi promettendo di restituirli sapendo di non farlo, allora potrebbe configurarsi truffa, ma difficile in ambito prestiti normali). - D: Dopo quanto tempo un prestito si prescrive?
R: Il diritto di credito derivante da un mutuo si prescrive in 10 anni (trattandosi di obbligazione contrattuale ordinaria, art. 2946 c.c.). Il termine decorre dalla scadenza prevista per la restituzione. Se il prestito era senza una data di scadenza precisa (“a richiesta”), la prescrizione inizia quando il creditore richiede formalmente la restituzione (o altrimenti dalla cessazione del rapporto, concetto un po’ vago – per sicurezza, meglio fare una richiesta e da lì conteggiare). Se il prestito prevede rate, ogni rata ha prescrizione 10 anni dalla scadenza della singola rata. Attenzione: se avete un vecchio prestito non rimborsato e per 10+ anni non ne avete mai chiesto conto, potreste perdere il diritto. Anche per questo, fare magari un riconoscimento di debito prima della scadenza dei 10 anni interrompe la prescrizione, facendo ripartire il conteggio. Ad esempio, un prestito del 2010 a scadenza 2015, se nel 2025 non è stato ancora restituito e il creditore non ha mai chiesto nulla, è prescritto: il debitore può rifiutarsi di pagare e il creditore è senza tutela legale. Quindi non dormite sugli allori. - D: È possibile convertire un prestito in una donazione o viceversa?
R: Tecnicamente sì, ma richiede atti formali. Per convertire un prestito in donazione, il creditore dovrebbe rilasciare il debitore dall’obbligo di restituzione – cioè fare una remissione del debito con spirito di liberalità. Formalmente andrebbe fatta con atto notarile se l’importo è elevato (perché è equiparabile a una donazione della somma residua). In alternativa, potrebbe non farsi nulla: se il debitore non paga e il creditore non esige, dopo tot anni è come se di fatto avessero voluto trasformarlo in regalo (ma rimane la nullità per difetto di forma). Per convertire una somma donata in prestito, bisognerebbe stipulare ora un contratto di mutuo in cui il beneficiario della donazione riconosce un debito verso il donante. Tuttavia, se la donazione originaria non aveva la forma di legge, quel contratto potrebbe in realtà essere la formalizzazione di un mutuo mai avvenuto (rischi di simularne uno posticcio). Diciamo che è possibile “sanare” una situazione: ad es., un genitore aveva dato soldi al figlio senza atto; poi per regolarizzare decidono di fare un contratto di prestito datato oggi che formalizza quell’importo come mutuo da restituire. Lo possono fare, certo. Vale come nuovo contratto dalla data odierna, con implicazioni fiscali eventuali (se registrano pagano 3%). Insomma, tutto è possibile con accordo fra le parti, ma serve seguire le forme prescritte per la nuova natura (donazione: atto pubblico; mutuo: scrittura privata realizzata con consegna denaro – se il denaro fu già consegnato prima, occhio, il contratto di mutuo in realtà si è già perfezionato all’epoca, questo è un riconoscimento tardivo). - D: Nella causale del bonifico cosa devo scrivere per un prestito?
R: L’ideale è essere espliciti: ad esempio “Prestito infruttifero a favore di X ai sensi di scrittura privata del ../../….”. Se non c’è una scrittura, si può indicare “Prestito infruttifero da restituire” o “Mutuo tra privati – restituzione entro il ../../….”. Più dettagli si danno meglio è. Se c’è spazio limitato, almeno scrivere “prestito” e magari il nome del creditore/debitore. Per la restituzione: “Restituzione prestito del ../../….”. Evitare diciture vaghe tipo “prestito” senza altre indicazioni (meglio di nulla, ma non il massimo) e soprattutto evitare causali fuorvianti o scherzose. Anche mettere “in regalo” se invece è prestito è pessima idea: creerebbe un disallineamento tra realtà e causale. Onestà e chiarezza pagano. - D: Un socio può prestare soldi alla propria società?
R: Sì, e succede spesso: sono i finanziamenti soci. Occorre rispettare eventuali condizioni dello statuto (alcuni statuti prevedono limiti o necessità di delibera per prendere soldi dai soci). Bisogna anche considerare la regola di postergazione (art. 2467 c.c.) se la società è sottocapitalizzata o in crisi: in tali casi il prestito del socio è subordinato ai crediti degli altri creditori. Ma nulla vieta in sé il prestito. Fiscalmente, se infruttifero, non comporta redditi per nessuno; se fruttifero, la società deduce gli interessi (nei limiti) e trattiene il 26% per il socio. Attenzione all’imposta di registro: se fate un contratto scritto, andrebbe registrato 3% (motivo per cui spesso i finanziamenti soci si fanno risultare solo da movimenti contabili o scambio lettere in caso d’uso). - D: Una società (o ditta) può prestare soldi a un privato o a un’altra società?
R: Può, purché ciò non configuri esercizio professionale del credito verso il pubblico non autorizzato. Quindi lo può fare in modo occasionale e nell’ambito di rapporti economicamente giustificati (es. una società controllante presta a una partecipata: ok; una ditta presta a un amico imprenditore una tantum: formalmente ok, anche se atipico; una società fa prestiti a chiunque metta annunci: no, sarebbe attività finanziaria). Se la società presta a un privato consumatore, entra in gioco la normativa del credito al consumo: in teoria se lo fai una volta non sei soggetto, ma se lo fai più volte potresti incorrere nelle regole (tipo necessità di far firmare contratti con certe caratteristiche, etc.). Insomma: sì, ma con cautela. Inoltre bisogna rispettare i tassi soglia antiusura come per qualunque soggetto. E se la società è soggetta a revisione o controlli, accumulare crediti verso soggetti non correlati potrebbe sollevare domande (perché stai impiegando liquidità fuori dallo scopo aziendale?). Quindi meglio limitarlo a casi intragruppo o eccezionali. Fiscalmente, la società incasserà eventuali interessi tassandoli in IRES; se presta a tasso zero, di solito nessuna conseguenza fiscale (a meno sia a un socio, vedi caso beni ai soci, ma quell’obbligo di comunicazione è abolito). Nota: se una società prestasse a un socio persona fisica senza interesse o a tasso molto basso, quell’operazione potrebbe essere vista come un vantaggio in natura per il socio e potenzialmente un utile distribuito: per questo situazioni del genere vanno gestite con attenzione (spesso la società applica almeno il tasso legale). - D: Cos’è il peer-to-peer lending e è legale in Italia?
R: Il peer-to-peer lending (social lending) è il prestito tra privati tramite piattaforme online autorizzate. In Italia è legale ed operano diverse piattaforme, purché abbiano le autorizzazioni come istituti di pagamento/crowdfunding. In pratica, si tratta di privati che tramite un sito web si prestano denaro reciprocamente: tu puoi investire piccole somme che vengono frazionate in tanti prestiti a persone diverse; chi ha bisogno ottiene somme da molti investitori. Il tutto senza banca tradizionale, ma con un intermediario che gestisce contratti e flussi. È legale perché le piattaforme agiscono nel rispetto del TUB (hanno licenza da Banca d’Italia, segregano i fondi). Per i debitori valgono le tutele del credito al consumo (informative e recesso 14gg). Per i creditori, c’è la comodità di un investimento con rendimenti un po’ più alti (ma con rischio di default) e il regime fiscale agevolato (interessi tassati al 20% in luogo del 26%). Dunque sì, è una modalità innovativa ma pienamente legale. Bisogna sempre usare piattaforme note e autorizzate, diffidando da siti improvvisati che promettono prestiti tra privati senza figure autorizzate (se non c’è vigilanza, potrebbe essere uno schema illegale o una truffa). - D: I prestiti tra privati sono soggetti a IVA o altre imposte indirette?
R: No, i prestiti di denaro sono esclusi dal campo IVA (operazioni di natura finanziaria esenti ex art. 10 DPR 633/72). Quindi niente IVA su interessi. L’unica imposta indiretta rilevante è l’imposta di registro (3% se atto scritto registrato) e il bollo (16€ ogni 4 pagine) di cui si è detto. Non c’è neanche registro sugli interessi a parte includerli nella base imponibile se l’atto è registrato. Inoltre, i prestiti tra privati non scontano imposta sulle donazioni (a meno che non vengano riqualificati come doni). Quindi la struttura impositiva è: eventuale registro/bollo sul contratto, imposta sostitutiva sui redditi di capitale (interessi) per il creditore. Nulla più. - D: Se presto soldi e poi decido di abbuonarne una parte (cioè non farmeli restituire tutti), incorro in tasse o problemi?
R: Rinunciare a parte del credito equivale a fare una liberalità per quell’importo. Se la rinuncia avviene tra parenti entro le soglie di esenzione, nessuna tassa di donazione. Formalmente sarebbe opportuno formalizzare la remissione del debito per iscritto, meglio se notarile se somma grande: così ha validità e non viene impugnata come donazione nulla (ricordiamo: la remissione è un contratto bilaterale, non richiede per forza la forma della donazione, ma se fra parenti e di importo elevato può essere vista come donazione indiretta – l’atto pubblico toglie dubbi). Fiscalmente, non c’è tassazione diretta sulla remissione: per il debitore che ci guadagna, non c’è un reddito tassabile (in genere le sopravvenienze attive da remissione tra privati non sono imponibili, quelle in ambito aziendale spesso non imponibili se il creditore è socio). Quindi, nessuna “tassa” sulla parte abbuonata. Però attenzione: se il creditore e debitore hanno rapporti complessi (es. padre e figlio con altri eredi), la parte abbuonata potrebbe essere trattata come anticipo sull’eredità del figlio e avere effetti in sede successoria. - D: Perché banche e notai guardano male le case acquistate con soldi avuti in prestito dai familiari?
R: Non sempre male, però c’è una cautela: se i soldi fossero invece una donazione mascherata, l’immobile acquistato con essi potrebbe subire rivendicazioni ereditare in futuro (azione di restituzione). Le banche, nel concedere mutui, sono spesso diffidenti se l’acquirente dichiara che la provvista viene in regalo dai genitori. Preferiscono spesso che sia un prestito o meglio ancora che i genitori figurino come co-obbligati nel mutuo. Il prestito registrato tra parenti può essere visto come un debito iscritto a carico dell’acquirente, il che tecnicamente riduce la sua capacità di indebitarsi (perché deve restituire i soldi ai genitori). In pratica, ogni banca ha la sua policy: alcune chiedono scrittura privata anche per i prestiti tra parenti, altre nulla. I notai di solito recepiscono quel che le parti dichiarano: se scrivono “Tizio dichiara che €50.000 glieli ha prestati il padre”, il notaio può suggerire di allegare il contratto di mutuo o di registrarlo (così eventuali enunciazioni sono regolari). In genere, se i genitori finanziano un acquisto, molti notai preferiscono la formula della donazione indiretta (pagano direttamente al venditore) perché così quell’atto è in sé compiuto e soggetto alle regole donative – e le banche però non amano neanche le donazioni indirette per via delle possibili azioni dei legittimari. Insomma, è un tema complicato; non c’è soluzione perfetta. Il prestito familiare documentato appare una via di mezzo: non impegna un atto pubblico, ma tutela fiscalmente. L’importante è che sia genuino: se chiaramente è un espediente per evitare la donazione formale, potrebbe creare confusione. Esempio: genitore presta per casa, figlio non restituisce mai: muore genitore, altro figlio chiede metà di quei soldi “prestati” perché li considera eredità o donazione mascherata. Il figlio debitore potrebbe dire “eh ma era prestito eh, e ora è caduto in successione come debito… quindi me li tengo”. L’altro fratello: “no, era donazione mascherata, e senza atto è nulla, quindi ridami l’intera somma”. Situazione intricata. Il notaio di solito in quell’atto di mutuo cerca di fare in modo che, se era un regalo, emerga chiaramente come donazione indiretta (magari modulando i pagamenti). In sintesi: non è che i prestiti familiari siano malvisti, è che occorre chiarezza e coerenza con l’effettivo intento. - D: Conviene di più fare un prestito o una donazione a un figlio, nel dubbio?
R: Dipende dallo scenario:- Se il genitore non vuole riavere i soldi e vuole solo aiutare definitivamente il figlio (e non ci sono problematiche di altri eredi che possano lamentarsi), allora conviene la donazione ufficiale: è più lineare, non genera debiti futuri e risolve la questione. Certo, c’è il costo notarile, ma in ambito familiare spesso le donazioni entro le franchigie non pagano imposte, quindi il costo è contenuto rispetto a eventuali confusioni future.
- Se il genitore (o chi per esso) vuole mantenere un controllo o eventualmente farsi restituire il denaro (tutto o parte) – ad es. perché è un prestito temporaneo, o perché vuol essere equo con altri figli – allora il prestito è la forma corretta. Formalizzato e con le dovute accortezze, evita di far scattare la disciplina delle donazioni (che richiede atto pubblico e può coinvolgere legittime).
- Se la situazione è incerta (forse glieli regalo, però se non si sistema magari li rivoglio), in generale meglio partire con un prestito infruttifero: lascia la porta aperta a entrambe le soluzioni. In seguito, se si decide che il figlio non deve restituire, si potrà rinunciare al credito (sostanzialmente convertendo in donazione). Viceversa, se si fosse fatta subito donazione, non si può più trasformarla in debito.
- Tenere presente tuttavia le implicazioni di ciascuna: prestito grande → registrazione 3% (evitabile con corrispondenza però), donazione grande → atto notarile. Prestito finto può generare liti, donazione formale è definitiva ma intaccabile da altri eredi se non equa.
- D: Posso tutelarmi chiedendo una cambiale o una garanzia?
R: Sì. Le cambiali (pagherò o tratte) sono spesso utilizzate in prestiti tra privati soprattutto se di medio termine. Vantaggi: hanno forza esecutiva (se non pagate puoi protestarle e iniziare subito pignoramento senza decreto ingiuntivo), e possono essere girate (ma in contesto familiare la girata non interessa). Svantaggi: la cambiale ha un’imposta di bollo pari al 12‰ del valore (e senza bollo non ha esecutività). Su 10.000€ sono €120 di bollo – non proibitivo. Inoltre va emessa con scadenza precisa. Se hai rate mensili, puoi fare 12 cambiali una per rata. Se ne salta una, puoi agire subito su quella. Le cambiali risultano anche in CAI se protestate (rovina il credit score del debitore). Quindi sì, è un ottimo strumento di tutela, usato spesso nei prestiti tra amici per “ufficializzare” il debito. Quanto alle garanzie: puoi chiedere un coobbligato (garante personale) – che firmi anch’egli il contratto di mutuo o una fideiussione separata – cosicché se il debitore principale non paga puoi rivolgerti al garante (che risponde con tutto il suo patrimonio). Oppure garanzie reali: pegno su qualcosa o ipoteca su immobile. L’ipoteca richiede un atto pubblico o scrittura privata autenticata (davanti a notaio) e spese relative (imposta ipotecaria 0,5% se per debiti tra privati, credo; più notaio). È rarissimo che un prestito familiare venga garantito da ipoteca, ma se la somma è ingente e c’è fiducia, il debitore stesso a volte la offre (es. ti do ipoteca su questa casa, così sei tranquillo). Certo, è strano ipotecare una casa per un prestito familiare, però situazioni ce ne sono (es. fratello presta soldi per avvio ditta all’altro, l’altro ipoteca la casa a garanzia). Legalmente fattibile. Bisogna valutare caso per caso l’opportunità (spesso psicologicamente la richiesta di garanzia fa percepire sfiducia – va gestita con tatto). - D: I tassi legali o convenzionali come si applicano nei prestiti tra privati?
R: Se le parti non scrivono niente sugli interessi, la legge suppone che siano dovuti interessi nella misura legale (attualmente 5% annuo dal 2023). Però questa è un’interpretazione: molti tribunali ritengono che, se nulla è detto, può essere anche interpretato come volontà di gratuità in contesti familiari. Per evitare dubbi, meglio specificare. I tassi convenzionali possono essere fissi o variabili. Nulla vieta di pattuire un tasso variabile legato ad esempio all’EURIBOR o all’inflazione, anche tra privati, ma è raro e complica i calcoli. Di solito, se proprio si mette un interesse, si mette fisso (es. 3%, 5% etc.). Se si pattuisce un tasso sopra il tasso legale, l’art. 1284 c.c. impone la forma scritta ad substantiam: cioè deve risultare per iscritto la misura convenuta, altrimenti il creditore non può pretendere più del legale. Quindi per dire 5%, va scritto. Sennò, anche se verbalmente avevate detto 5, in giudizio se non c’è scritto vali solo 5% legale (curiosamente nel 2023 il legale è pure 5%, ma se fosse stato 2% e tu ne volevi 5, se non è scritto prendi 2).
In caso di ritardo, se non si è pattuito niente, valgono gli interessi moratori legali (che sono il tasso legale di 5% + 1 punto, oppure se bilaterale commerciale sarebbero più alti ex d.lgs 231/2002, ma quello vale tra imprese). Nei rapporti privati direi tasso legale come interessi di mora salvo diversi accordi. Volendo, si può stabilire un tasso di mora più alto (es. “in caso di ritardo, interessi di mora al tasso del X% annuo”). Anche qui occhio che sommandosi ai corrispettivi non superi usura. - D: In caso di morte del creditore o del debitore, cosa succede al prestito?
R: Il credito derivante da un prestito si trasmette agli eredi del creditore. Quindi se muore chi ha prestato, i suoi eredi subentrano nel diritto di farsi restituire la somma (salvo il caso di prestito “vitalizio” con patto di rinuncia alla morte, cosa rara e forse nulla perché sarebbe patto successorio). Dal lato opposto, se muore il debitore, il suo debito passa agli eredi (che dovranno pagarlo nei limiti dell’attivo ereditario, a meno che rinuncino all’eredità). Dunque conviene che gli eredi siano al corrente dell’esistenza di prestiti in essere. Spesso in famiglia queste cose sono note, ma a volte no. Un documento scritto aiuta: andrà presentato, come accennato, in dichiarazione di successione. Ad esempio: padre muore e nel suo attivo c’è un credito di €20.000 verso il figlio per un prestito: quell’importo dev’essere dichiarato, e se gli eredi sono quel figlio e altri fratelli, il figlio debitore potrebbe dover restituire l’importo nella massa (o gli viene addebitato sulla sua quota). Si entra nelle dinamiche di collazione e imputazione ereditaria. Se il creditore era estraneo e il debitore muore, il creditore deve insinuarsi nella successione per cercare soddisfazione (praticamente, chiedere agli eredi il pagamento; se l’eredità è in comunione o in liquidazione, far valere il suo credito come qualunque creditore del de cuius).
Queste FAQ coprono le domande più comuni. Ogni risposta andrebbe poi calata nelle specifiche circostanze, ma forniscono un orientamento immediato. In generale, il mantra da ricordare è: chiarezza, tracciabilità e legalità. Con queste tre premesse, i prestiti tra privati possono funzionare in modo sicuro, senza incappare in spiacevoli conseguenze. E nel dubbio su aspetti particolari, è sempre bene consultare un esperto (avvocato civilista o tributarista) prima di compiere l’operazione.
Tabelle riepilogative
Di seguito riportiamo alcune tabelle riassuntive dei principali concetti, obblighi e limiti trattati nella guida, per una consultazione veloce.
Tabella 1: Tipologie di prestito tra privati e caratteristiche
Tipologia | Descrizione | Caratteristiche principali | Norme rilevanti |
---|---|---|---|
Tra persone fisiche non parenti | Prestito tra amici, conoscenti, estranei non legati da parentela. | – Basato su accordo fiduciario diretto.– Importi liberi, di solito occasionali.– Possibile con o senza interessi (in genere si può prevedere un piccolo interesse, ma spesso infruttiferi se per aiuto).– Necessaria formalizzazione scritta per prova.– No limiti di importo (salvo tracciabilità). | Codice Civile art. 1813 e segg. (mutuo);Limite contanti D.Lgs. 231/2007 (antiriciclaggio);Art. 644 c.p. (usura). |
Tra parenti/familiari | Prestito all’interno della famiglia (genitori-figli, tra coniugi, ecc.). | – Frequentemente infruttifero e informale.– Importante chiarire se prestito o donazione (rischio di equivoci).– Consigliata scrittura privata per evitare contestazioni future (es. in successione).– Nessuna tassa di donazione se realmente prestito (restituibile).– Usato spesso per aiuti tipo casa, avvio attività. | Artt. 1813 c.c.;Art. 782 c.c. (forma donazione, per differenza);Art. 2720 c.c. e 2722 c.c. (prove tra parenti, modico valore). |
Tra soci e società | Finanziamenti dei soci alle loro società o viceversa. | – Formalizzabili con delibera o contratto (attenzione a registro 3%).– Spesso infruttiferi (soci → società); possibili fruttiferi (con ritenuta su interessi).– Rimborso postergato se società sottocapitalizzata (art. 2467 c.c.).– Se società → socio: rischio qualificazione come utili occulti se senza interessi (meglio a tassi di mercato).– Era prevista comunicazione “finanziamenti soci” (abolita dal 2017). | Art. 2467 c.c. (postergazione finanziamenti soci in S.r.l.);Art. 2497-quinquies c.c. (finanziamenti a società controllate in gruppo);DPR 131/86 Tar. Part I art. 9 (registro 3% anche su verbali assemblea); |
Tra imprenditori/aziende e terzi | Prestiti tra soggetti economici (impresa ↔ impresa, impresa ↔ privato). | – Leciti se occasionali, vietato farne attività professionale senza licenza (rischio art. 132 TUB).– Devono rispettare anch’essi soglie usura e norme contrattuali (se a consumatore, codice consumo su credito).– Spesso intra-gruppo (holding → controllata, ecc.), con tassi di mercato (transfer pricing se cross-border).– Attenzione all’inerenza: se un’impresa presta a titolo di investimento, interessi tassati come proventi finanziari. | Art. 132 TUB (abusivismo finanziario);D.Lgs. 206/2005 artt. 121 e segg. (credito consumo) se applicabile; DPR 917/86 art. 89 (interessi attivi imponibili IRES) e art. 96 (deducibilità interessi passivi per chi riceve se impresa). |
P2P lending (social lending) | Prestiti personali tramite piattaforme online. | – Contratti di mutuo tra privati facilitati da portale web.– Piattaforma autorizzata (istituto di pagamento/crowdfunding) gestisce i flussi e la contrattualistica.– Diversificazione del rischio su più prestatori.– Interessi incassati dai prestatori tassati 20% alla fonte (anziché 26%); niente imposta registro per i contratti digitali.– Debitore consumatore ha diritti di informazione e recesso 14gg.– Importi relativamente contenuti per singolo prestito (spesso < €30k). | Art. 11 e 106 TUB (riserva attività di lending a intermediari, derogata da istituti di pagamento ex art. 114-novies TUB autorizzati);Reg. EU 2020/1503 (crowdfunding) per business lending;Art. 44 TUIR e L.205/2017 c.44 (tassazione 20%); Codice Consumo artt. 67-bis e segg. (contratti finanziari a distanza). |
Tabella 2: Principali obblighi, adempimenti e limiti
Aspetto | Regola/Obbligo | Riferimenti |
---|---|---|
Forma del contratto | Nessuna forma scritta obbligatoria per validità, ma fortemente consigliata (per prova e chiarezza). Prestiti > €– (modico valore) non provabili per testimoni senza principio di prova scritta. | Art. 1813 c.c. (mutuo reale, forma libera);Art. 2721 c.c. (limiti testimonianza oltre soglia). |
Contante e tracciabilità | Divieto di trasferimenti in contanti ≥ €5.000 tra privati (dal 2023 in poi). Pagamenti sopra soglia solo con mezzi tracciabili (bonifico, assegno, etc.). Vietato frazionare artificiosamente importi. | Art. 49 D.Lgs. 231/2007 (antiriciclaggio) modificato da L. 197/2022. Sanzioni dal 5% al 40% importo trasferito in eccedenza. |
Causale nei bonifici | Indicazione chiara consigliata: es. “prestito infruttifero a X – restituzione entro…” o simili. Per le rate di rimborso: indicare che trattasi di restituzione, con riferimento al prestito originario. | (Buona prassi, non normativa; in caso di causale omessa, si rischiano equivoci col Fisco). |
Interessi (pattuizione) | Se si vogliono interessi > tasso legale, vanno pattuiti per iscritto (altrimenti spettano solo interessi legali). Se nulla è detto, per legge sarebbero dovuti interessi legali (ma contesto può far presumere gratuità). | Art. 1284 c.c. comma 3 (interessi ultralegali solo se convenuti per iscritto). Art. 1815 c.c. comma 1. |
Limite tasso antiusura | Tasso soglia = TEGM × 1,25 + 4 punti (con max +8 punti sul TEGM). Varie per categoria e trimestre. Vietato convenire interessi (corrispettivi o moratori) superiori alla soglia vigente al momento del contratto. | L. 108/1996 art. 2 (criterio calcolo soglia);Art. 644 c.p. comma 3 (definizione usura);Art. 1815 c.c. comma 2 (nullità interessi usurari). |
Reato di usura | Prestare denaro a tassi usurari è reato penale (usura). Pena 2-10 anni di reclusione + multa. Scatta al momento della convenzione se il tasso supera soglia (usura “oggettiva”) o se c’è approfittamento di stato di bisogno con tasso sproporzionato (usura “in concreto”). | Art. 644 Codice Penale. |
Imposta di registro | Se il contratto di prestito è redatto in atto scritto (privato o pubblico), deve essere registrato entro 20gg pagando imposta di registro 3% sull’importo (capitale + interessi pattuiti). Esenzione se contratto formato tramite corrispondenza: registrazione solo in caso d’uso. Enunciazione in atti pubblici: comporta obbligo di registrazione e pagamento 3% anche se il contratto di mutuo originario non era registrato. | DPR 131/1986, Tariffa Parte I art. 9 (Mutui, imposta 3%);Tariffa Parte II art. 1 lett. a (scritture private non autenticate formate per corrispondenza: registrazione in caso d’uso);Art. 22 DPR 131/86 (enunciazione). |
Imposta di bollo | Atto di mutuo scritto (non in bollo esente) → €16 ogni 4 facciate/100 righe di bollo. Se registrato, bollo dovuto. Se formato per corrispondenza, bollo su lettere. Se cambiali usate, bollo 12‰ sul valore. | DPR 642/1972, Tariffa – atti privati (voce scritture private non autenticate). Cambiali: art. 6 All. A Tariffa (12‰). |
Tassazione interessi attivi | Interessi percepiti dal creditore privato = redditi di capitale imponibili. Se debitore privato: creditore dichiara in Redditi e paga imposta sostitutiva 26%. Se debitore sostituto d’imposta (es. società): ritenuta 26% a titolo d’imposta. Eccezione P2P: ritenuta 20% titolo imposta. | Art. 44 c.1 lett. a) TUIR (interessi da mutui = redditi di capitale);Art. 26 DPR 600/73 (ritenuta 26% interessi);L. 205/2017 c. 44 (ritenuta 20% social lending). |
Deduzione interessi passivi | Di regola, non deducibili per il debitore persona fisica (prestito tra privati non rientra tra oneri detraibili, tranne mutui ipotecari bancari per prima casa etc.). Se debitore impresa: deducibili nei limiti (interessi passivi soggetti a regola 30% EBITDA). | Art. 15 TUIR (elenco oneri detraibili – non include interessi su prestiti personali);Art. 96 TUIR (deducibilità interessi per imprese). |
Comunicazioni al Fisco | Nessun obbligo di comunicazione specifica all’AdE per prestiti tra privati o finanziamenti soci (adempimento abolito). Rimane l’obbligo generale di giustificare movimenti finanziari se richiesto (in sede di accertamento). | Art. 13 c.4-sexies DL 244/2016 (Milleproroghe) – abroga comunicazione beni ai soci e finanziamenti. |
Successione e donazione | Prestito ≠ donazione: il prestito non causa imposte di donazione. Se il creditore muore, il credito va dichiarato in successione e passa agli eredi; se debitore muore, il debito passa agli eredi (salvo rinuncia eredità). Conversione in donazione richiede atti formali (remissione debito con forma idonea). | Art. 754 c.c. (debiti ereditari);D.Lgs. 346/1990 (imposta donazione, non applicabile a obblighi di restituire). |
Attività finanziaria abusiva | Prestare abitualmente a terzi con professionalità e scopo di lucro senza autorizzazione = reato. Limite: occasionalità. Non definito con precisione, ma se quantità/numero operazioni suggeriscono mestiere di usuraio/banchiere, scatta violazione. | Art. 132 TUB (D.Lgs. 385/93): sanziona chi esercita attività di concessione finanziamenti al pubblico senza iscrizione ex art. 106. |
Tabella 3: Riepilogo rischi e tutele
Rischio/Potenziale problema | Possibili conseguenze | Strumenti di mitigazione |
---|---|---|
Inadempimento del debitore (mancato rimborso) | – Perdita parziale/totale della somma prestata.– Necessità di azioni legali (ingiunzione, pignoramento) con costi e tempi lunghi.– Rapporti personali incrinati. | – Richiedere garanzie (fideiussione, pegno, ipoteca) al momento del prestito.– Formalizzare un piano di ammortamento sostenibile per il debitore (rate, flessibilità).– In caso di ritardo, rinegoziare per evitare default completo (es. concedere proroga).– Contratto esecutivo (cambiale) per agire più velocemente in caso di mora. |
Contestazione sulla natura (prestito vs dono) | – Il debitore nega l’obbligo di restituire (afferma fosse regalo/liberalità).– Altri eredi o creditori pretendono di invalidare l’accordo (donazione nulla se forma mancante). | – Redigere contratto scritto con clausola che esclude la natura di donazione.– Far riconoscere il debito dal debitore successivamente (riconoscimento di debito) se sorgono dubbi.– Evitare accordi ambigui (“quando potrai restituirai…” senza data può generare incertezze). |
Usura (tasso eccessivo) | – Nullità degli interessi pattuiti (si trasforma in prestito a interesse zero).– Responsabilità penale per il creditore (procedibile d’ufficio se accertata). | – Calcolare il tasso effettivo (TAEG) e confrontarlo con le soglie MEF prima di concludere il contratto.– Mantenere un margine prudenziale sotto la soglia.– In caso di interesse di mora, sommarlo al corrispettivo ai fini della soglia. |
Abusivismo finanziario (credito professionale non autorizzato) | – Rischio di indagine/accusa penale se si fanno prestiti a molti soggetti in modo organizzato.– Nullità dei contratti eventualmente. | – Limitare il numero di prestiti e farli solo in contesti “privati” (famiglia, amici, soci).– Se si vuole fare intermediazione creditizia, costituire società e richiedere autorizzazione ex art. 106 TUB. |
Equivoco fiscale (versamenti non giustificati) | – L’Agenzia delle Entrate può considerare somme ricevute come redditi occulti, con relative imposte e sanzioni.– Possibile accertamento sintetico (redditometro). | – Documentare con contratto e tenere traccia scritta di tutta la corrispondenza di denaro.– Se richiesto, fornire prontamente all’AdE copia del contratto di mutuo e prove di restituzioni in corso.– Indicare in dichiarazione eventuali interessi percepiti (coerenza finanziaria). |
Sanzioni registro/bollo (omessa registrazione) | – Se l’atto non registrato viene esibito in giudizio o “scoperto”, AdE richiederà l’imposta 3% + sanzioni (120-240% imposta).– Impossibilità di usare l’atto in giudizio finché non registrato (causa sospesa). | – Redigere come corrispondenza (evita obbligo immediato).– Se necessario usare l’atto, ricorrere a ravvedimento operoso prima di depositarlo, pagando imposta e sanzione ridotta.– Considerare i costi di registro in fase di accordo: se molto alti, magari optare per interessi minimi o nessun interesse (per minimizzare base imponibile) oppure non formalizzare atto unico. |
Morte o incapacità di una parte | – Se muore il creditore: eredi potrebbero non sapere del prestito e non chiederne restituzione (o viceversa chiederla ma il debitore nega, se non risulta nulla).– Se muore il debitore: credito da far valere verso gli eredi, che potrebbero contestare se mancano prove. | – Informare gli eredi di fiducia dell’esistenza del contratto di prestito e dove è conservato.– Dare data certa al documento (registrazione, PEC) così è opponibile e rintracciabile anche a distanza di anni.– Eventualmente stipulare l’atto con autenticazione notarile: in caso di decesso, sarà più facile per gli eredi rintracciarlo (registri pubblici) e più difficile negarne la validità. |
Conclusioni
I prestiti tra privati rappresentano uno strumento finanziario flessibile e spesso conveniente, soprattutto nell’ambito familiare o amicale, ma non vanno affrontati con leggerezza. Questa guida ha evidenziato come, dietro la semplicità di “prestare soldi a qualcuno”, esistano numerose implicazioni legali e fiscali di cui tener conto:
- Disciplina civilistica: il contratto di mutuo si applica appieno, con obblighi di restituzione, eventuali interessi da regolare e la necessità di prova in caso di controversie. È fondamentale formalizzare per iscritto i patti e rispettare le norme in materia di interessi (tasso legale, divieto di usura). La differenza tra un prestito e una donazione, in particolare tra parenti, deve essere ben chiarita sin dall’inizio, per evitare successive contestazioni su rimborsi o rivendicazioni ereditarie. La giurisprudenza offre strumenti (come il riconoscimento di debito, o la figura della donazione indiretta) che vanno conosciuti e usati appropriatamente a seconda degli obiettivi delle parti.
- Disciplina fiscale: benché un prestito tra privati non generi in sé tassazione diretta (a meno di interessi attivi), occorre fare i conti con le imposte indirette (registro e bollo in primis) e con i controlli del Fisco sui movimenti di denaro. Abbiamo visto che un semplice errore formale – non mettere una causale, o non avere un contratto a supporto – può portare l’Agenzia delle Entrate a pretendere imposte non dovute su somme che erano solo transitate come prestito. D’altro canto, la normativa concede alcune agevolazioni, come l’assenza di registro immediato per atti per corrispondenza, o il regime fiscale agevolato per gli interessi da social lending. Sta alle parti usare correttamente queste opportunità e muoversi nella legalità (ad esempio, non abusare di un contratto di prestito per mascherare ciò che in realtà è un reddito o una donazione).
- Sicurezza delle transazioni: abbiamo ribadito più volte l’importanza della tracciabilità e della trasparenza. Viviamo in un’epoca di controlli stringenti sull’origine dei fondi (antiriciclaggio) e di lotta al nero: in questo contesto, i prestiti tra privati non fanno eccezione e anzi possono facilmente destare sospetti se non adeguatamente giustificati. Utilizzare sempre canali bancari tracciati e documentare la natura del trasferimento è non solo buona norma, ma un dovere pratico per evitare grattacapi.
- Tutela dei diritti e prevenzione dei rischi: dall’analisi dei rischi civili (mancato rimborso, contenziosi) e penali (usura, abuso finanziario) risulta chiaro che pianificare bene un prestito privato – come farebbe una banca con un cliente – è essenziale. Ciò significa valutare l’affidabilità del debitore, eventualmente richiedere garanzie, definire un piano di rimborso realistico, e preparare un contratto su misura, magari con l’aiuto di un professionista. In particolare, quando in ballo ci sono patrimoni familiari rilevanti o rapporti societari complessi, il prestito tra privati deve essere inserito in una cornice giuridica più ampia (tenendo conto, ad esempio, delle regole societarie sulla capitalizzazione o delle dinamiche ereditarie tra fratelli).
In definitiva, un prestito tra privati ben strutturato può funzionare egregiamente come alternativa (o complemento) al credito bancario: pensiamo al figlio che ottiene un tasso zero dal genitore invece di indebitarsi con la banca, o all’imprenditore che trova supporto in un collega evitando lunghi iter di finanziamento. Questi vantaggi però si realizzano appieno solo se l’operazione è regolare e ben gestita. Diversamente, i nodi possono venire al pettine – spesso nei momenti peggiori, come un litigio, una difficoltà economica, o una morte improvvisa.
Si raccomanda dunque, a chi intende impegnarsi in un prestito tra privati, di non improvvisare: utilizzare questa guida come riferimento, attingere alle fonti normative e giurisprudenziali citate, e laddove emergano dubbi specifici, consultare un professionista (avvocato o commercialista). Un’ora spesa a predisporre correttamente un accordo di prestito può risparmiare anni di cause e migliaia di euro in futuro.
Come regola generale, quando c’è di mezzo il denaro, vale l’adagio: “I patti chiari fanno i amici cari”. Anche tra familiari o tra soci di vecchia data, mettere per iscritto e rispettare le regole non è sfiducia, ma tutela reciproca. Significa garantire che un gesto di aiuto finanziario rimanga tale e non si trasformi poi in motivo di attrito o, peggio, in una vicenda legale spiacevole.
Fonti normative e giurisprudenziali
(Elenco delle principali fonti citate o rilevanti, organizzate per tipologia.)
Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262):
- Art. 1813 – 1822 c.c. – Del Mutuo: definizione e disciplina del contratto di mutuo (obbligo di restituzione, interessi, mora, ecc.).
- Art. 1284 c.c. – Saggi degli interessi: tasso legale di interesse e necessità di pattuizione scritta per interessi ultralegali.
- Art. 1815 c.c. – Interessi: presunzione di interessi salvo patto contrario; nullità della clausola usuraria (co.2).
- Art. 2699 – 2704 c.c. – Atto pubblico e scrittura privata: forza probatoria e data certa (in relazione alla necessità di prova scritta dei contratti).
- Art. 2721 c.c. – Ammissibilità della prova testimoniale: limiti (in genere ~€2,58 salvo modifiche ISTAT) all’ammissibilità di testimoni per contratti sopra una certa somma.
- Art. 2722 c.c. – Divieto di prova testimoniale contraria al contenuto di atti scritti: (importante nel contesto di simulazione donazione vs prestito).
- Art. 783 c.c. – Donazione di modico valore: no necessità di atto pubblico per cose di modico valore tenuto conto delle condizioni economiche (rileva per donazioni indirette/manuali tra parenti).
- Art. 782 c.c. – Forma della donazione: richiede atto pubblico (tranne modico valore).
- Art. 1236 – 1237 c.c. – Remissione del debito: estinzione dell’obbligazione per rinuncia del creditore (quanto alla trasformazione prestito in liberalità).
- Art. 1197 c.c. – Datio in solutum: (non direttamente trattato, ma rileva se uno restituisse cose diverse dal denaro).
- Art. 1277 c.c. – Debito di somma di denaro: principio nominalistico (accennato in merito a inflazione e tassi variabili).
- Art. 2467 c.c. – Finanziamenti dei soci nelle S.r.l.: postergazione e restituzione in caso di crisi (capitale proprio insufficiente).
- Art. 2497-quinquies c.c. – Finanziamenti nell’attività di direzione e coordinamento: analogia di postergazione per società controllanti vs controllate.
- Art. 64 Legge Fallimentare (R.D. 267/42) – (richiamato per analogia: atti a titolo gratuito anteriori fallimento).
- Art. 644 c.p. – Usura: definizione penale di usura, richiamo ai tassi soglia (L.108/96).
- Art. 132 TUB (D.Lgs. 385/93) – Esercizio abusivo di attività finanziaria: sanzione penale per chi esercita professionalmente concessione di finanziamenti senza autorizzazione.
Normativa speciale (leggi e decreti):
- Legge 108/1996 – Disposizioni in materia di usura: definizione del tasso soglia (art. 2) come TEGM aumentato (25% + 4 punti, max 8 punti); previsione nullità interessi usurari recepita in art. 1815 c.c. co.2.
- Decreti Ministero Economia e Finanze (MEF) – Tassi soglia trimestrali ai sensi L.108/96: es. DM 25/3/2025 prot.14360 (soglie usura Apr-Giu 2025).
- D.P.R. 131/1986 – Testo Unico Imposta di Registro:
- Art. 22 – Enunciazione di atti non registrati in atti soggetti a registrazione (comporta obbligo di registro).
- Tariffa Parte I, art. 9 – Atti aventi ad oggetto mutui, finanziamenti e prestiti: imposta proporzionale 3%.
- Tariffa Parte II, art. 1 lett. a – Scritture private non autenticate formate per corrispondenza: registrazione solo in caso d’uso.
- Tariffa Parte I, art. 6 – Finanziamenti soci a società (equiparati a mutuo, Cass. 31174/2023).
- D.P.R. 642/1972 – Imposta di bollo:
- Allegato A, art. 1 Tariffa – Atti privati (scritture private non autenticate): €16 ogni 4 facciate.
- Allegato A, art. 13 Tariffa – Cambiali: bollo 12‰ sull’importo.
- D.P.R. 917/1986 (TUIR) –
- Art. 44 c.1 lett. a) – Redditi di capitale: includono interessi e proventi derivanti da mutui e da capitali dati a terzi.
- Art. 45 – Determinazione redditi di capitale per cassa.
- Art. 13 (vecchio 81) – Redditi diversi: in alcuni casi potrebbero considerare interessi non dichiarati come redditi diversi (non usuale).
- Art. 96 – Deducibilità interessi passivi per imprese (30% EBITDA regola).
- Art. 15 – Detrazioni interessi mutui ipotecari (non applicabile a prestiti tra privati).
- D.P.R. 600/1973 –
- Art. 26 – Ritenuta sugli interessi da mutui ecc.: 26% operata da soggetti IRES e intermediari.
- Art. 32 – Poteri indagine e presunzioni bancarie: versamenti sui conti = redditi salvo prova contraria.
- D.Lgs. 231/2007 – Antiriciclaggio:
- Art. 49 – Limitazione uso contanti (nel tempo modificato, da DL 201/2011, DL 124/2019, L.157/2019, L. 197/2022 ecc.): €5.000 soglia vigente dal 2023.
- Art. 58 – Sanzioni per violazione limiti contante.
- Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) –
- Artt. 67-bis – 67-vicies (Attuazione Dir. 2002/65/CE): contratti a distanza servizi finanziari ai consumatori (diritto recesso 14gg, informazioni).
- Artt. 121-126 (Credito ai consumatori, attuazione Dir. 2008/48/CE): non applicabile a prestiti tra privati sotto soglia usura? Formalmente esenta i prestiti senza interesse tra privati e oltre soglie specifiche – rileva solo se un privato facesse prestiti a consumatori su larga scala (caso anomalo).
- Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) –
- Art. 106 – Riserva attività finanziaria (concessione di finanziamenti) agli intermediari finanziari autorizzati (elenco presso Banca d’Italia).
- Art. 114-decies – (già art. 114-novies) Istituti di pagamento: possibilità di gestire piattaforme di social lending (es. provvedimento Banca d’Italia 2013 autorizzazione Smartika, Prestiamoci).
- Art. 111 – Microcredito (non trattato qui, ma esiste definizione per microcrediti < €40k, riservato a iscritti elenco).
- Art. 132 – Sanzioni penali per esercizio abusivo attività finanziaria (fino 4 anni reclusione).
- Legge 205/2017 (Legge di Bilancio 2018) –
- comma 43-45 art.1 – Regime fiscale P2P lending: impone ritenuta 20% sui proventi derivanti da prestiti erogati tramite piattaforme autorizzate (sostituendo il 26%).
- DL 244/2016 conv. L. 19/2017 (Milleproroghe 2017) –
- Art. 13, c. 4-sexies: abrogazione obbligo comunicazione beni in godimento ai soci e finanziamenti soci.
- Circolari e prassi Agenzia Entrate:
- Circ. AE 18/E 2013 – trattava comunicazione beni ai soci (ora abolita).
- Risoluzione AE 9/E 2007 – inquadrava prestiti infruttiferi soci come non produttivi di reddito per società.
- Risoluzione AE 153/E 2017 – (es.) chiarimenti su regime P2P lending.
- Risposta Interpello AE 96/2019 – (ad esempio) su finanziamento soci infruttifero e imposta di registro (confermava applicazione imposta se enunciato in aumento capitale).
- FiscoOggi – risposta 18/04/2016 – Finanziamento soci enunciato in atto di vendita: imposta 3% dovuta.
Giurisprudenza:
- Cass., Sez. I, 8 ottobre 2021, n. 27372 – In tema di prova del mutuo: onere per il mutuante di provare non solo l’avvenuta consegna delle somme ma anche il titolo della dazione (obbligo di restituzione). Evidenzia difficoltà di recuperare un prestito senza scrittura e necessità di individuare la causa in caso di diniego restituzione.
- Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2017, n. 24675 – Usura sopravvenuta: afferma che la nullità ex art.1815 c.c. riguarda solo usura originaria; il superamento successivo del tasso soglia non comporta azzeramento degli interessi pattuiti (esclusa teoria usura sopravvenuta).
- Cass., Sez. I, 22 gennaio 2014, n. 1277 – Prestiti tra coniugi: se somme versate non per mantenimento familiare ma per esigenze estranee (es. impresa del coniuge), configurano mutuo con obbligo restituzione.
- Cass., Sez. I, 15 maggio 2009, n. 11330 – Prestiti tra parenti: ribadisce distinzione tra esborso per esigenze familiari (non ripetibile) e per altri scopi (ripetibile).
- Cass., Sez. III, 25 luglio 2022, n. 23008 – Finanziamento soci: conferma applicabilità imposta registro 3% per verbale assemblea che enuncia finanziamento (principio poi ripreso da Cass. 31174/2023).
- Cass., Sez. V, 18 gennaio 2024, n. 1960 – Enunciazione finanziamento soci: verbale assemblea (atto pubblico) che menziona finanziamenti soci non registrati comporta applicazione imposta 3%; i soci partecipanti si considerano “parti” dell’atto enunciato.
- Cass., Sez. V, 9 novembre 2023, n. 31174 – Finanziamento soci: i verbali assembleari deliberativi integrano contratto di mutuo soggetto a imposta registro.
- Cass., Sez. V, 25 luglio 2022, n. 3408 – (probabile riferimento a Cass. 3408/2022 citata da dottrina) – su enunciazione finanziamento soci in atto notarile.
- Cass., Sez. V, 5 dicembre 2019, n. 31659 – Finanziamenti soci e registro: ribadisce obbligo 3% su finanziamento soci deliberato e risultante da delibera.
- Cass., Sez. V, 15 dicembre 2017, n. 30334 – Comunicazione beni ai soci: (superata dall’abrogazione).
- Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27409 – Prestito infruttifero vs fruttifero: (possibile pronuncia su presumibilità interessi legali se non specificato).
- Cass., Sez. III, 13 febbraio 2018, n. 3390 – Usura in concreto: definisce requisiti per valutarla (scostamento notevole e stato bisogno).
- Cass. Pen., Sez. II, 21 aprile 2022, n. 152/2022 – Reato abusivismo finanziario: criteri (pluralità atti, offerta al pubblico).
- Cass. Pen., Sez. II, 8 marzo 2016, n. 9935 – Prestiti occasionali tra privati non configurano attività finanziaria (distinguo su ripetizione e organizzazione).
- Trib. Roma, sez. XX, 17 dicembre 2019 – (caso esposto da Studio Luciano) – Prestito tra coniugi: €70k versati dalla moglie al marito imprenditore sono mutuo, non donazione (perchè importo cospicuo e finalità estranee ai bisogni familiari).
- Trib. Ivrea, 27 aprile 2021 – Prestito tra parenti: testimoniato come mutuo e non donazione (non reperita ma immaginabile).
- Comm. Trib. Reg. (CTR) Lombardia, 24 giugno 2019, n. 2611 – Versamenti su c/c giustificati come prestito: onere prova al contribuente, scrittura privata ex post ritenuta insufficiente.
- Comm. Trib. Prov. (CTP) Reggio Emilia, 13 aprile 2018 – Accertamento su movimenti bancari: riconosciuta prova prestito familiare tramite dichiarazione scritta del creditore (decisioni in materia varia).
- Arbitro Bancario Finanziario (ABF) Roma, 13 aprile 2017, n. 5167 – Conto cointestato padre-figlio, versamenti considerati prestito o donazione? (anche ABF ha affrontato questioni simili, benché non vincolanti a livello giur.).
- Cass., SS.UU., 27 luglio 2017, n. 18725 – Donazione indiretta vs simulazione: (non citata ma sul tema, le SU 18725/2017 fissano che donazione indiretta non necessita forma art.782, se c’è atto oneroso sottostante).
- Cass., Sez. V, 17 giugno 2011, n. 13338 – Comunicazione finanziamenti soci: natura, ma superata dall’abolizione.
- Cass., Sez. V, 16 dicembre 2011, n. 27163 – Prestito infruttifero soci: conferma non tassabilità interessi non percepiti (nessuna presunzione di interessi figurativi).
- Cass., Sez. V, 30 novembre 2018, n. 31070 – Finanziamenti soci postergati: insinuazione al passivo fallimento (credito riconosciuto ma postergato).
- Cass. Pen., Sez. II, 26 marzo 2019, n. 13699 – No usura sopravvenuta in penale, recepisce SU civili 2017.
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