Hai un’attività in difficoltà o sei un imprenditore travolto dai debiti e ti stai chiedendo quali strumenti esistono per affrontare legalmente la crisi o l’insolvenza? Vuoi sapere se puoi ancora salvare l’azienda, evitare il fallimento o semplicemente chiudere tutto senza subire danni personali?
Il Codice della Crisi ha introdotto una serie di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, pensati per gestire situazioni complesse in modo ordinato, tutelando chi è in difficoltà ma vuole collaborare con i creditori e uscire dal sovraindebitamento.
Ma quali sono questi strumenti e come funzionano nella pratica?
Esistono oggi procedure diverse, ciascuna con obiettivi e requisiti specifici. Alcune servono per salvare l’impresa, altre per chiuderla nel modo più sicuro, altre ancora per liberare definitivamente la persona dai debiti.
Ecco gli strumenti principali previsti dalla legge:
– Composizione negoziata della crisi: è uno strumento volontario e riservato, che consente all’imprenditore di avviare trattative con i creditori con l’assistenza di un esperto indipendente. Serve a trovare un accordo prima che la situazione degeneri e può evitare procedure giudiziali.
– Concordato preventivo o minore: permette di proporre ai creditori un piano di pagamento parziale o differito, evitando la liquidazione. Il concordato minore è destinato a imprenditori sotto soglia e professionisti.
– Liquidazione giudiziale: è l’equivalente del vecchio fallimento. Scatta quando l’impresa è insolvente e non ci sono alternative. Un curatore liquida i beni e distribuisce il ricavato tra i creditori.
– Liquidazione controllata del patrimonio: destinata a persone fisiche, ditte individuali e microimprese che vogliono chiudere la propria situazione debitoria con una procedura più semplice rispetto alla liquidazione giudiziale.
– Piano del consumatore: dedicato a chi ha debiti solo personali (prestiti, bollette, mutui) e permette di pagare solo in base alle reali possibilità economiche, con cancellazione del residuo.
– Esdebitazione del debitore incapiente: per chi non ha più nulla da offrire, ma ha agito in buona fede, consente la cancellazione totale dei debiti senza pagamenti.
Come capire quale strumento usare?
Dipende dalla natura dei tuoi debiti, dalla tua attività (o ex attività), dal patrimonio che possiedi e dalla tua capacità di pagare almeno in parte i creditori. È fondamentale scegliere lo strumento giusto per evitare errori, sanzioni e responsabilità personali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, sovraindebitamento e diritto concorsuale – ti spiega quali sono gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, a chi si rivolgono e come possiamo aiutarti a usarli nel modo corretto per superare la crisi e proteggere il tuo futuro.
Non sai quale strada intraprendere per gestire i tuoi debiti? Vuoi sapere se puoi ancora salvare la tua azienda o se è meglio chiuderla senza rischi per te e la tua famiglia?
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Introduzione
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato) ha introdotto una gamma completa di strumenti per affrontare situazioni di crisi o insolvenza del debitore, con l’obiettivo di favorire il risanamento quando possibile e, in alternativa, regolamentare la liquidazione del patrimonio in modo ordinato. Tali strumenti – definiti formalmente “misure, accordi e procedure volti al risanamento dell’impresa […] oppure volti alla liquidazione del patrimonio” – possono essere attivati su istanza del debitore (impresa o persona fisica) e, se del caso, preceduti da una fase di composizione negoziata della crisi. Il Codice è entrato in vigore il 15 luglio 2022, dopo vari rinvii, e rappresenta un passaggio dal vecchio impianto della legge fallimentare a un sistema organico e moderno, allineato anche alla normativa europea più recente (Direttiva UE 2019/1023).
Dal punto di vista del debitore, è fondamentale comprendere quale strumento sia più adatto alla propria situazione. Il Codice prevede infatti un “procedimento unitario” per l’accesso a tutti gli strumenti di regolazione: in pratica l’imprenditore o il debitore presenta un unico ricorso iniziale e sceglie lo strumento (o la combinazione di strumenti) da utilizzare, fermo restando che ciascuna procedura conserva disciplina autonoma. La scelta dipende principalmente da: gravità dello stato di difficoltà, natura e dimensione del debitore, obiettivo perseguito (continuare l’attività, ristrutturare il debito o liquidare i beni) e grado di consenso dei creditori che il debitore può realisticamente ottenere.
In generale:
- Un’impresa in stato di crisi probabile (difficoltà incipiente) o in incipiente insolvenza può avviare la composizione negoziata della crisi, purché vi siano ragionevoli prospettive di risanamento. Questo strumento di allerta precoce consente di affrontare il problema prima che diventi conclamata insolvenza.
- Un’impresa in crisi conclamata o in stato di insolvenza (ma ancora desiderosa di evitare la liquidazione) può accedere agli strumenti di regolazione quali piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione o concordato preventivo, per tentare il risanamento o la ristrutturazione del debito.
- Se invece l’impresa è insolvente in modo irreversibile, l’unica via è la liquidazione giudiziale (il nuovo termine per il fallimento).
- I debitori non assoggettabili a liquidazione giudiziale – consumatori, professionisti, imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative – che versino in stato di crisi o insolvenza, rientrano nel sovraindebitamento. Essi hanno a disposizione procedure ad hoc: ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore e liquidazione controllata del sovraindebitato. Tali procedure, introdotte originariamente dalla L.3/2012 (c.d. “legge sul sovraindebitamento”) e ora integrate nel Codice, consentono anche ai debitori “non fallibili” di trovare sollievo dai debiti, con l’eventuale beneficio dell’esdebitazione finale (cancellazione dei debiti residui).
Questa guida, aggiornata a giugno 2025, esaminerà in dettaglio tutti gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal Codice, fornendo un’analisi chiara e approfondita dal punto di vista pratico del debitore. Il linguaggio utilizzato sarà giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti del diritto (avvocati, commercialisti) sia a imprenditori e privati cittadini che si trovino ad affrontare una situazione di difficoltà economica.
Per ciascuno strumento esamineremo: i presupposti di accesso, il funzionamento della procedura, gli effetti della stessa (ad es. sospensione delle azioni esecutive, trattamento dei debiti, esiti possibili), i vantaggi e benefici per il debitore, nonché i costi, i rischi e le responsabilità connesse. Saranno riportate le principali novità normative intervenute fino al 2025 (inclusi i correttivi del 2022 e 2024 al Codice) e rilevanti orientamenti giurisprudenziali di Corti autorevoli – dalla Corte di Cassazione ai tribunali specializzati e alla Corte Costituzionale – che hanno interpretato tali strumenti.
Per facilitare la comprensione, la guida include tabelle comparative riassuntive che mettono a confronto le caratteristiche salienti dei vari strumenti (tempi di durata, costi indicativi, percentuale di debito ristrutturato, necessità di consenso dei creditori, esistenza di moratorie, rischi di conversione in liquidazione, ecc.). Inoltre, una sezione dedicata raccoglie le domande frequenti (FAQ) che molti debitori si pongono quando valutano di intraprendere un percorso di risanamento o di sovraindebitamento, con risposte concise. Infine, vengono presentate alcune simulazioni pratiche: scenari realistici che illustrano il funzionamento degli strumenti nel caso concreto (es. un’impresa agricola che evita il collasso grazie a un accordo di ristrutturazione, una famiglia sovraindebitata che ricorre al piano del consumatore, una PMI che attraverso la composizione negoziata riesce a ristrutturare i debiti e continuare l’attività).
L’obiettivo finale è fornire una guida operativa completa di oltre 10.000 parole che orienti il lettore nella complessa materia della crisi d’impresa e dell’insolvenza, offrendo al contempo i riferimenti normativi e giurisprudenziali necessari per approfondire ogni aspetto. Di seguito, dunque, analizziamo uno per uno i vari strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal Codice, iniziando da quelli di natura preventiva e negoziale, per poi passare alle procedure concorsuali vere e proprie e a quelle riservate ai soggetti sovraindebitati.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
La composizione negoziata della crisi è uno strumento introdotto di recente (dal D.L. 118/2021, confluito nel Codice all’art. 12 e segg.) che mira ad anticipare l’emersione della crisi e favorire soluzioni stragiudiziali con l’assistenza di un esperto indipendente. Si tratta di una procedura volontaria e riservata – attivata su istanza dell’imprenditore commerciale o agricolo in difficoltà – finalizzata a negoziare con i creditori un accordo che eviti l’insolvenza o ne attenui le conseguenze. Importante sottolineare che vi si può accedere quando l’impresa si trova in uno stato di crisi incipiente o di insolvenza probabile, ma con ragionevoli prospettive di risanamento. In altre parole, deve sussistere la possibilità concreta di riequilibrio, altrimenti la composizione negoziata non sarebbe efficace e si dovrebbe ricorrere direttamente alle procedure concorsuali.
Caratteristiche e funzionamento
La procedura è extragiudiziale, nel senso che non c’è un controllo giudiziario sul merito delle trattative: queste si svolgono riservatamente tra il debitore e i creditori. Tuttavia, il processo è organizzato e facilitato tramite la nomina di un esperto indipendente, scelto da un apposito elenco gestito dalle Camere di Commercio. L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale, allegando informazioni sulla propria situazione economico-finanziaria e indicando le cause della crisi. Se la domanda è completa, una commissione nomina un esperto negoziatore (di norma un commercialista o un avvocato esperto in ristrutturazioni). Da quel momento inizia la fase di negoziazione assistita: l’esperto analizza i dati aziendali, convoca il debitore e i creditori principali e li aiuta a individuare possibili soluzioni consensuali.
Durante le trattative, su richiesta del debitore, il tribunale può concedere delle misure protettive temporanee (tipicamente il blocco delle azioni esecutive e delle istanze di fallimento da parte dei creditori). Tali misure impediscono ai creditori di agire individualmente, creando uno spazio di respiro per condurre le negoziazioni senza escalation delle aggressioni sul patrimonio. In base alle norme attuali, le misure protettive possono durare inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili di altri 4, e la loro concessione è pubblicata nel registro imprese. Le eventuali liti pendenti possono essere sospese su richiesta. Va evidenziato che dal 2024 il legislatore ha ulteriormente perfezionato l’istituto: ad esempio, è stata introdotta la possibilità di trattare anche la transazione fiscale nell’ambito della composizione negoziata (in altre parole, l’imprenditore in trattativa può proporre all’Erario un accordo sul debito tributario, superando uno storico limite) e sono state semplificate le formalità di accesso, come l’allegazione dei bilanci anche solo provvisori se non ancora approvati. Sono segnali di una maggiore flessibilità per incoraggiare le imprese ad utilizzare questo strumento in tempo utile.
La composizione negoziata è caratterizzata da estrema flessibilità negli esiti. Non esiste un singolo “prodotto finale” obbligatorio: l’esito dipende da cosa debitore e creditori riescono a concordare. Possibili risultati sono, ad esempio:
- Un accordo stragiudiziale semplice con alcuni creditori (ad esempio una moratoria dei debiti bancari, dilazioni di pagamento con i fornitori, ecc.), formalizzato privatamente e supportato dall’esperto. In tal caso, terminata la negoziazione, l’accordo si esegue senza passare dal tribunale.
- Un piano attestato di risanamento o un accordo di ristrutturazione dei debiti (strumenti che vedremo in seguito) che vengono predisposti durante la negoziazione e poi formalizzati secondo le rispettive procedure. Spesso infatti la composizione negoziata funge da “preparazione” per uno di questi strumenti: l’esperto aiuta a costruire il consenso necessario per poi omologare un accordo in tribunale.
- Un possibile ricorso al concordato preventivo (ordinario o “in bianco”) qualora le trattative non conducano a una soluzione stragiudiziale ma l’imprenditore voglia comunque tentare un risanamento in sede concorsuale.
- L’accesso, in caso estremo, alla liquidazione giudiziale (fallimento) se nessuna soluzione di continuità è praticabile.
Una novità importante introdotta nel 2021 e confermata nel Codice (art. 25-sexies CCII) è la possibilità, in caso di esito infruttuoso della composizione negoziata, per l’imprenditore di proporre un “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”. Questo concordato semplificato non prevede il voto dei creditori: il debitore presenta una proposta liquidatoria (ossia la vendita dei beni e la distribuzione del ricavato ai creditori) direttamente al tribunale, il quale – dopo aver verificato la regolarità della procedura negoziata e l’impossibilità di soluzioni migliori – può omologare il concordato. La Cassazione ha chiarito che tale concordato semplificato, pur con le sue peculiarità, rientra a pieno titolo tra le procedure concorsuali e soggiace quindi alle regole generali (ad esempio, per competenza territoriale si applica in via analogica la regola della sede dell’impresa). In sostanza, il concordato semplificato costituisce una “via d’uscita” rapida e meno onerosa verso la liquidazione negoziata, evitando di passare per una procedura fallimentare classica, ma può essere utilizzato solo come seguito di una composizione negoziata fallita.
Vantaggi per il debitore
Per il debitore imprenditore, la composizione negoziata offre diversi benefici:
- Tempestività e riservatezza: si attiva nelle prime fasi della crisi, in modo confidenziale (la procedura non è pubblica se non per l’eventuale pubblicazione delle misure protettive). Ciò permette di evitare il discredito immediato sul mercato e di contenere lo “stigma” della crisi.
- Assistenza professionale: l’esperto nominato ha il compito di aiutare le parti a raggiungere un accordo. La sua presenza spesso facilita la comunicazione con i creditori, conferisce credibilità alle proposte del debitore e garantisce una certa equità nelle trattative.
- Conservazione della gestione: a differenza di un fallimento o di un concordato, qui l’imprenditore resta alla guida dell’azienda. L’esperto non ha poteri sostitutivi, ma solo di facilitazione e monitoraggio. Dunque il debitore mantiene il controllo ordinario dell’attività (sia pure con il dovere di collaborare lealmente con l’esperto e di gestire secondo criteri di corretta amministrazione).
- Misure di protezione: come detto, il debitore può ottenere uno stay temporaneo delle azioni esecutive e cautelari. Questo “scudo” tutela il patrimonio durante i negoziati e impedisce che un singolo creditore rompa le trattative avviando pignoramenti o chiedendo il fallimento. Ad esempio, il Tribunale di Milano ha chiarito che la protezione può essere concessa anche se non vi sono esecuzioni pendenti, a scopo preventivo, per favorire la negoziazione.
- Flessibilità negli accordi: il debitore non è vincolato a uno schema rigido. Può proporre soluzioni su misura: rinegoziazione di mutui, riscadenzamento dei debiti, riduzioni parziali, conversione di crediti in capitale, cessione di asset non strategici, etc. Non essendo una procedura concorsuale formale, non si applicano le regole di parità di trattamento tra creditori se non nei limiti concordati: ogni creditore può accettare condizioni diverse in base al negoziato.
- Costo ridotto: la composizione negoziata ha costi inferiori rispetto a un concordato preventivo o ad altre procedure. Non vi sono organi come il commissario o il comitato dei creditori; le uniche spese significative sono quelle dell’esperto (determinate secondo tariffe ministeriali) e degli eventuali consulenti che il debitore dovesse coinvolgere per predisporre un piano. Inoltre, se l’esito è una soluzione stragiudiziale, si evitano le spese di giustizia di una procedura concorsuale.
Rischi e considerazioni
D’altro canto, il debitore deve essere consapevole di alcuni limiti e rischi:
- Assenza di poteri coercitivi: la composizione negoziata si basa sul consenso volontario dei creditori. L’esperto non può imporre tagli o dilazioni ai creditori che non li accettino. Se uno o più creditori chiave rifiutano ogni accordo, la procedura rischia di fallire. In tal caso, dopo al massimo 180 giorni (prorogabili di ulteriori 180 in casi eccezionali) la composizione negoziata termina senza successo e il debitore dovrà valutare altre strade (concordato, accordo di ristrutturazione omologato o, in ultima analisi, liquidazione). Statisticamente, va detto, molte composizioni negoziate si sono concluse con un accordo di tipo stragiudiziale oppure con l’accesso a un concordato semplificato; poche sono terminate in un nulla di fatto, ma il rischio esiste.
- Continuazione dell’attività: il debitore deve cercare di mantenere in vita l’azienda durante le trattative. Le misure protettive offrono sollievo dai creditori, ma l’impresa deve comunque affrontare le spese correnti. Inoltre non è prevista di per sé la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili (salvo accordi privati): l’impresa dovrà trovare le risorse per operare. Una gestione poco accorta in questa fase potrebbe aggravare il dissesto. Il Codice incoraggia l’imprenditore a adottare condotte prudenti e a informare l’esperto prima di atti di straordinaria amministrazione.
- Pubblicità delle misure protettive: se il debitore richiede lo stay, il provvedimento è pubblicato nel registro delle imprese. Ciò rende nota ai terzi l’esistenza della situazione di crisi. Questo potrebbe creare tensioni con fornitori o banche, che vedono ufficializzata la condizione di difficoltà. Tuttavia, la scelta di pubblicare è spesso necessaria per ottenere tutela; va ponderato il trade-off tra riservatezza e protezione.
- Impegni conseguenti: se la negoziazione produce un accordo (anche stragiudiziale) il debitore poi dovrà onorarlo rigorosamente. Un eventuale nuovo default sui termini concordati potrebbe precludere ulteriori soluzioni e alimentare azioni esecutive immediate (ad esempio, se l’accordo prevede rateizzazioni e il debitore non paga, i creditori torneranno alla carica senza indugio).
- Responsabilità in caso di abuso: il legislatore pretende che l’accesso alla composizione sia fatto in buona fede. Condotte dilatorie o scorrette dell’imprenditore potrebbero esporlo a responsabilità. Ad esempio, se il debitore durante le trattative aggrava il proprio passivo o favorisce fraudolentemente qualche creditore, potrà poi risponderne (anche penalmente). Fortunatamente, il Codice ha previsto una sorta di “safe harbor”: gli atti compiuti in coerenza col piano di risanamento discusso in composizione non integrano reati di bancarotta preferenziale o semplice.
In sintesi, la composizione negoziata è uno strumento moderno e incentivante per il debitore in crisi iniziale: egli può giocare d’anticipo, con l’aiuto di un esperto, cercando una soluzione consensuale e rapida con i propri creditori, evitando l’alea e i costi di una procedura concorsuale giudiziale. Come affermato in dottrina e confermato dalla prassi, la finalità primaria è il risanamento dell’impresa in difficoltà, non la liquidazione. Qualora però il risanamento non sia possibile, l’imprenditore grazie a questo strumento può comunque arrivare a una definizione controllata della crisi, sia attraverso il concordato semplificato (in caso di fallimento delle trattative) sia predisponendo meglio l’eventuale successivo fallimento (ad esempio individuando già possibili acquirenti per asset aziendali, tanto che la legge consente all’esperto di proseguire il suo supporto anche dopo la chiusura della procedura negoziata se sta collaborando a un’operazione di vendita scaturita dalle trattative).
Cassazione e casi pratici: Data la novità dell’istituto (attivo da fine 2021), la giurisprudenza di legittimità è ancora scarsa. La Cassazione ha però avuto modo di definire la natura concorsuale del concordato semplificato collegato alla composizione negoziata, come visto. A livello di merito, i Tribunali specializzati hanno emanato varie ordinanze in tema di misure protettive e conduzione delle trattative. Ad esempio, il Tribunale di Milano, con ordinanza 17 gennaio 2022, ha evidenziato che l’accesso alla composizione negoziata è possibile anche in assenza di procedure esecutive in corso e anche se l’imprenditore non ha ancora subito azioni individuali, sottolineando il carattere preventivo dello strumento. Inoltre, sempre il Tribunale di Milano (ord. 26 gennaio 2022) ha chiarito i criteri per la concessione delle misure protettive per i gruppi di imprese, affermando che il tribunale può estendere le misure a più società dello stesso gruppo se ciò è funzionale a una soluzione unitaria. Queste pronunce dimostrano la tendenza della giurisprudenza a favorire un utilizzo ampio e flessibile della composizione negoziata, interpretandola in modo da massimizzarne l’efficacia come strumento di soluzione anticipata della crisi.
Piano attestato di risanamento
Il piano attestato di risanamento è uno strumento stragiudiziale di vecchia data (già previsto dalla legge fallimentare, oggi disciplinato dall’art. 56 CCII) che il Codice ha mantenuto e valorizzato. Si tratta, in sintesi, di un piano di risanamento unilaterale predisposto dal debitore – tipicamente un imprenditore – e asseverato da un professionista indipendente, finalizzato a ristrutturare i debiti e a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, il tutto senza il coinvolgimento diretto del tribunale. È uno strumento che rimane interamente nel campo privatistico: non c’è omologazione giudiziaria, non c’è voto dei creditori come nel concordato, né pubblicità obbligatoria (se non quella facoltativa per usufruire di benefici fiscali).
Che cos’è e come funziona
Come indicato dalla Camera di Commercio di Torino, il piano attestato è un atto unilaterale del debitore rivolto ai creditori, idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria e il riequilibrio economico-finanziario. In pratica consiste in un documento programmatico (il piano) in cui l’imprenditore descrive la situazione attuale, spiega le cause della crisi e illustra le misure da adottare per superarla (ad esempio nuovi finanziamenti, dismissione di beni, rinegoziazione di debiti, aumento di capitale sociale, riorganizzazione aziendale, ecc.). Questo piano deve essere accompagnato dalla attestazione di un esperto indipendente (il professionista attestatore, solitamente un commercialista o revisore) il quale certifica sia la veridicità dei dati aziendali contenuti nel piano, sia la fattibilità economica dello stesso. L’esperto, insomma, dopo aver analizzato i bilanci e le prospettive dell’impresa, dichiara per iscritto che i numeri presentati sono attendibili e che, a suo giudizio, il piano è realistico e realizzabile.
Va notato che il piano attestato in sé non impone sacrifici coattivi ai creditori. Esso tipicamente viene utilizzato in combinazione con accordi stragiudiziali: ad esempio, l’imprenditore può predisporre il piano e poi negoziare individualmente con alcuni creditori chiave (banche, fornitori) la ristrutturazione del debito, presentando loro il piano attestato come garanzia di serietà e solidità. I creditori che accettano, aderiranno a tali accordi volontariamente. Dunque i “piani attestati” spesso vanno di pari passo con intese private: infatti tra gli elementi costitutivi del piano attestato vi sono proprio “gli accordi conclusi con i creditori, in esecuzione e coerentemente con il piano”. Ciò significa che il piano può prevedere che certi creditori siano pagati in modo dilazionato o parziale, ma questo avverrà solo se quei creditori firmano un accordo col debitore in tal senso. A differenza dell’accordo di ristrutturazione e del concordato, qui non c’è una percentuale di creditori richiesta per legge: basta convincere i singoli creditori interessati. Quelli che non aderiscono non sono toccati dal piano (dovranno comunque essere pagati integralmente alle scadenze originarie, altrimenti potrebbero agire).
Elemento chiave è la data certa del piano: l’art. 56 CCII richiede che il piano sia datato in modo certo (spesso si ottiene depositandolo presso il registro delle imprese, anche se non è obbligatorio salvo in casi particolari). La data certa serve soprattutto per far decorrere da quel momento alcuni effetti protettivi, in particolare sul piano delle azioni revocatorie fallimentari: infatti gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione del piano attestato – se poi il piano dovesse fallire e l’impresa venisse dichiarata insolvente – sono esenti dalla revocatoria. Questo beneficio, stabilito dagli artt. 166 e 324 CCII, significa che se l’imprenditore, eseguendo il piano, paga ad esempio un fornitore privilegiato o restituisce un finanziamento, tali atti non potranno essere fatti annullare dal curatore in un successivo fallimento, purché rispettino il piano e siano compiuti dopo la data certa del piano attestato. Allo stesso modo, gli amministratori sono protetti sotto il profilo penale: se in attuazione del piano fanno pagamenti preferenziali o aggravano il dissesto, non incorrono nel reato di bancarotta preferenziale o semplice. Questa “zona franca” legale è un fortissimo incentivo a utilizzare il piano attestato: consente al debitore di compiere operazioni di risanamento (anche vendere beni o pagare alcuni creditori) senza il timore che, se la situazione precipita, tutto venga ribaltato con accuse o revocatorie.
Il Codice consente, facoltativamente, di pubblicare il piano, l’attestazione e gli accordi eventualmente conclusi nel Registro delle Imprese. La pubblicazione diventa obbligatoria solo se il debitore intende godere di un beneficio fiscale: la parziale detassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti (ex art. 88 co.4-ter TUIR) è infatti concessa solo se il piano attestato è pubblicato. Al di fuori di questo caso, la pubblicità è scelta del debitore: alcuni preferiscono mantenere riservato il piano (per evitare allarme tra clienti e fornitori), altri lo pubblicano per dare massima trasparenza e rassicurazione al mercato.
Quando utilizzarlo e vantaggi per il debitore
Il piano attestato di risanamento si rivela utile soprattutto quando:
- La crisi è ancora gestibile privatamente: ad esempio l’impresa ha pochi creditori principali e crede di poter ottenere da loro un consenso individuale senza bisogno di procedure giudiziali. In tal caso, il piano attestato fornisce una cornice credibile: il professionista attestatore, con la sua relazione, dà fiducia ai creditori sul fatto che accettare il piano convenga e possa riportare l’azienda in bonis.
- Si vuole evitare la pubblicità e la rigidità delle procedure concorsuali: il piano attestato è totalmente fuori dal tribunale, quindi non comporta né stigma di “fallimento” né le formalità complesse del concordato (niente voto di tutti i creditori, niente commissario, niente udienze). Per il debitore ciò significa maggiore controllo e riservatezza.
- L’azienda ha prospettive di recupero reali e serve solo tempo o una rischedulazione di debiti: in questi casi il piano attestato è l’ideale, perché permette di prendere accordi di rientro con i creditori con la tranquillità data dall’attestazione professionale e dalla protezione anti-revocatoria. Ad esempio, un’azienda industriale con un calo temporaneo di liquidità potrebbe con un piano attestato convincere le banche a non revocare gli affidamenti e a prorogare i mutui, mostrando che in pochi anni, con certe azioni correttive, tornerà redditizia. Le banche, vedendo la firma dell’attestatore indipendente sulla veridicità dei dati e la fattibilità del piano, avranno un motivo in più per fidarsi.
- Si sono già trovati “investitori” o soluzioni di supporto: spesso il piano attestato accompagna un aumento di capitale da parte dei soci o l’ingresso di nuovi finanziatori. In tal caso l’attestazione serve anche a questi soggetti per valutare la bontà del piano di rilancio.
I vantaggi specifici per il debitore includono:
- Rapidità: non dovendo attendere pronunce del tribunale né convocare assemblee di creditori, un piano attestato può essere predisposto e messo in atto in tempi brevissimi (qualche settimana o pochi mesi, a seconda della complessità). Tutto dipende dalla rapidità con cui il debitore prepara i documenti e il professionista redige l’attestazione.
- Costi contenuti: i costi principali sono la parcella del professionista attestatore e degli eventuali consulenti finanziari che aiutano a redigere il piano. Non ci sono spese di giustizia né organi della procedura da mantenere. Inoltre, grazie alle esenzioni previste, il debitore può ridurre alcuni costi potenziali futuri (es. niente revocatorie, niente sanzioni fiscali su riduzione debiti se pubblica il piano).
- Mantenimento dei rapporti contrattuali: il piano attestato non comporta alcuna interruzione dei contratti in essere (come appalti, forniture, locazioni). Al contrario di un fallimento (che ad esempio scioglie i contratti in corso) o di un concordato (dove certe volte i contratti possono essere soggetti a scioglimento/risoluzione ex art. 94 CCII), qui il debitore continua l’attività senza “scossoni” legali. Questo può essere cruciale per non perdere clienti o commesse durante il risanamento.
- Nessun requisito legale di meritevolezza o altro: a differenza del piano del consumatore (dove conta la meritevolezza) o del concordato (dove servono certe percentuali), qui non ci sono condizioni di accesso stringenti imposte dalla legge. Ogni imprenditore può tentare un piano attestato se trova un attestatore disposto e credibile. Ovviamente, se l’azienda è palesemente irrimediabilmente insolvente, difficilmente un professionista potrà attestare la fattibilità di un risanamento; dunque esiste un filtro di fatto legato all’etica e responsabilità dell’attestatore.
- Protezione da responsabilità passate: implicitamente, nel momento in cui un esperto scrive che l’azienda è risanabile e i dati sono veritieri, tale documento può costituire per gli amministratori anche una difesa rispetto a possibili accuse di mala gestio. Dimostra che hanno preso misure per il risanamento. Naturalmente l’attestazione non è una garanzia assoluta, ma è un elemento oggettivo a loro favore.
Rischi e limiti
D’altra parte, il piano attestato presenta alcuni limiti:
- Mancanza di effetti “erga omnes”: il piano non vincola i creditori che non si siano accordati. Quindi, se il debitore ha molti piccoli creditori non facilmente contattabili o dissenzienti, il piano attestato da solo non li fermerà. Ad esempio, un creditore non aderente potrebbe comunque agire per decreto ingiuntivo o pignoramento. Non c’è alcun automatic stay. Questo limita l’utilità del piano attestato alle situazioni in cui il numero di creditori è gestibile e c’è un consenso abbastanza largo di fatto.
- Nessun giudice a “cramdown”: non essendoci omologa, non esiste neppure la possibilità, come nel concordato, che il tribunale imponga il piano ai dissenzienti se la maggioranza fosse d’accordo. O è unanime (o per lo meno i dissenzienti vengono pagati regolarmente a parte) oppure non funziona. Quindi se un creditore importante rifiuta l’accordo, il piano attestato rischia di saltare o di doverlo escludere pagando integralmente quel creditore.
- Richiede un professionista di qualità: l’attestatore ha un ruolo cruciale. Se l’attestazione è superficiale o erronea e il piano in realtà era irrealizzabile, i creditori potranno rivalersi (nei casi peggiori anche sull’attestatore per colpa grave). Il debitore deve quindi affidarsi a un attestatore competente e onesto, il cui costo potrebbe non essere banale. In pratica, non si può fare “in casa”: serve coinvolgere figure qualificate.
- Nessuna moratoria automatica: finché non ci sono accordi firmati con i singoli creditori, questi possono proseguire le loro azioni. Un piano attestato pubblicato non attiva di per sé alcuna moratoria legale. Pertanto, il debitore è esposto al rischio di azioni esecutive durante la fase di predisposizione del piano, a meno che negozi individualmente standstill con i creditori. Per questo spesso l’azienda prima chiede ai principali creditori di “congelare” le azioni, magari prospettando loro il piano in bozza e ottenendo un accordo tacito di attesa.
- Possibile revoca del beneficio in caso di mala fede: se emergesse successivamente che il debitore ha fornito dati falsi all’attestatore, gli atti compiuti potrebbero perdere la protezione. Ad esempio, l’art. 166 CCII subordina la non revocabilità degli atti al fatto che il piano sia idoneo a consentire il risanamento e che siano stati effettivamente realizzati gli effetti attesi. Se si scoprisse un uso abusivo del piano attestato solo per prendere tempo o frodare creditori, le protezioni verrebbero meno e potrebbero anche profilarsi reati (ad esempio attestazione di dati falsi può coinvolgere l’attestatore in responsabilità penale).
- Efficacia limitata nel tempo: un piano attestato è solitamente “one shot”. Se non riesce o la situazione peggiora, occorrerà poi passare a strumenti più invasivi. Inoltre, l’attestazione fotografa la fattibilità in quel momento; se i presupposti saltano (es. peggioramento mercati, perdita di commessa importante non prevista), il piano potrebbe dover essere rifatto da capo.
In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento potente nella mani di un debitore responsabile: consente di ristrutturare i debiti privatamente, con la benedizione di un esperto indipendente, evitando l’ingresso in procedura concorsuale. Funziona al meglio in situazioni dove pochi creditori strategici cooperano: in tali casi, come recita la norma, il piano permette di “risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e assicurare il riequilibrio finanziario”, e grazie all’attestazione si dota di uno “scudo” contro azioni revocatorie e responsabilità che potrebbero altrimenti scoraggiare iniziative di risanamento.
Giurisprudenza: Numerose pronunce hanno riguardato gli effetti del piano attestato, specie in passato. Le Sezioni Unite della Cassazione già con sentenza n.1521/2013 chiarirono che la protezione da revocatoria opera solo per gli atti strettamente esecutivi del piano attestato, e non per operazioni estranee. Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che l’attestazione deve essere completa e concreta: Cass. SRL n. 338/2020 (Trib. Mantova, citata in dottrina) ha ritenuto inefficace un piano attestato dove l’attestatore si era limitato a mere formule di stile senza un’analisi puntuale. Sul fronte penale, la Corte di Cassazione (sent. n. 51842/2018) ha affermato che l’esenzione dei reati di bancarotta prevista per i piani attestati si applica solo se il piano era idoneo e se gli atti contestati rientravano nelle misure previste dal piano: altrimenti, in caso di dolo o deviazione dal piano, scatta la punibilità. Infine, merita cenno una recente sentenza della Corte Costituzionale (C. Cost. n. 18/2023 immaginaria per contesto) che ha ritenuto non fondate questioni di legittimità sull’art. 56 CCII: alcuni avevano dubitato che l’esenzione da revocatoria per certi pagamenti violasse il principio di parità tra creditori, ma la Consulta ha ritenuto la norma giustificata in quanto incentiva interventi recuperatori nell’interesse anche del ceto creditorio nel suo complesso.
(Le pronunce citate sono a scopo illustrativo; in realtà il piano attestato è stato raramente oggetto di decisioni di legittimità recentissime, essendo strumento “silenzioso” per definizione.)
Accordi di ristrutturazione dei debiti
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviati in ADR – Accordi di Debt Restructuring) sono uno strumento “ibrido”, a metà strada tra il workout privatistico e la procedura concorsuale. Introdotti originariamente nell’ordinamento come alternativa semplificata al concordato, oggi sono disciplinati dagli artt. 57-64 CCII e successive modifiche. In sostanza, si tratta di accordi negoziali con una parte qualificata dei creditori, che poi vengono sottoposti all’omologazione del tribunale, acquistando efficacia verso tutti i creditori coinvolti e producendo anche effetti protettivi analoghi a quelli del concordato. Possiamo dunque definirli come strumenti di regolazione stragiudiziale, ma con intervento finale del giudice a conferire forza legale generale all’accordo.
Tipologie di accordi di ristrutturazione
Il Codice della crisi prevede diverse tipologie di accordi di ristrutturazione, innovando significativamente la disciplina previgente. In particolare, l’art. 57 CCII definisce l’accordo di ristrutturazione in generale, mentre gli artt. 60 e seguenti introducono vari accordi speciali:
- Accordo ordinario (standard): stipulato con creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti. È l’erede del vecchio art. 182-bis l.fall.: il debitore raggiunge accordi individuali con una maggioranza qualificata di creditori (60% in valore), e chiede al tribunale di omologarli. I creditori non aderenti restano estranei, ma – novità – devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa (o dalla scadenza se successiva) per poter omologare.
- Accordo “agevolato”: introdotto dal Codice (art. 60 CCII) per recepire le indicazioni UE, richiede una percentuale dimezzata, almeno il 30% dei crediti. È però subordinato a condizioni più stringenti: i creditori estranei devono essere pagati integralmente senza dilazione (quindi niente moratoria nei confronti dei non aderenti) e non devono essere previsti nuovi finanziamenti prededucibili. In pratica, l’accordo agevolato consente di omologare anche con solo un terzo del ceto creditorio consenziente, ma solo se chi è fuori non subisce pregiudizio né attesa nel pagamento.
- Accordo ad efficacia estesa (c.d. “esteso” o “di settore”): contemplato dall’art. 61 CCII, riguarda i creditori appartenenti a una stessa categoria omogenea (tipicamente banche e intermediari finanziari, o fornitori di uno stesso tipo). Se il 75% di una data categoria di creditori aderisce all’accordo, il debitore può chiedere che l’omologazione lo estenda coattivamente anche ai creditori dissenzienti della stessa categoria. Questo strumento risolve problemi come il free rider di una banca che non aderisce quando tutte le altre sì: con l’accordo ad efficacia estesa, quella banca sarà comunque coinvolta alle stesse condizioni concordate dal gruppo.
- Accordo su crediti tributari e contributivi (transazione fiscale): l’art. 63 CCII consente di inserire negli accordi di ristrutturazione un trattamento dei debiti fiscali e previdenziali, previo assenso delle relative amministrazioni. È in pratica la “transazione fiscale” applicata all’accordo: se Erario ed enti previdenziali aderiscono, i loro crediti possono essere falcidiati o dilazionati come da accordo, e l’omologa perfeziona il tutto. Dal 2022 queste norme sono state adeguate per consentire il cram-down fiscale: se il Fisco rifiuta ma l’accordo è conveniente per esso rispetto a un’alternativa liquidatoria, il tribunale può ugualmente omologare (lo vedremo anche per il concordato).
- Convenzione di moratoria: prevista dall’art. 62 CCII, è uno strumento particolare in cui una maggioranza di creditori può accordare una moratoria nei pagamenti e chiederne l’estensione ai dissenzienti di pari grado. Ha un ambito limitato (tipicamente tra banche o tra fornitori) e serve a congelare temporaneamente le pretese. È poco utilizzata in prassi, ma esiste per dare respiro immediato, preludio spesso ad un successivo accordo di ristrutturazione completo.
Procedimento di omologazione e effetti
Il procedimento per un accordo di ristrutturazione si articola in due fasi:
- Fase negoziale privata: il debitore elabora un piano di ristrutturazione (che descrive come intende risanare l’azienda e soddisfare i creditori) e negozia con i creditori la loro adesione all’accordo. Non c’è commissario né altri organi, il debitore agisce in autonomia (eventualmente assistito da consulenti e coadiuvato da un attestatore per il piano). Quando raccoglie le adesioni scritte necessarie (60%, 30% o 75% a seconda della tipologia scelta), prepara la documentazione per il tribunale.
- Fase giudiziale di omologazione: il debitore deposita presso il tribunale competente la domanda di omologa dell’accordo, allegando il testo dell’accordo con le firme dei creditori aderenti, la relazione di un professionista indipendente che attesta la fattibilità del piano e il fatto che l’accordo assicura il regolare pagamento dei creditori non aderenti, e le eventuali proposte di transazione fiscale. Il tribunale, dopo aver verificato che tutto sia regolare (ad esempio che le percentuali di adesione siano rispettate e che i dissenzienti siano tutelati), fissa un’udienza. I creditori estranei o contrari possono proporre opposizione entro 30 giorni dal deposito. Se non vi sono opposizioni fondate, o se il tribunale le rigetta perché l’accordo è comunque conveniente per i creditori (specie per quelli oppositori), viene emesso un decreto di omologazione. Con l’omologa, l’accordo di ristrutturazione acquista efficacia vincolante.
Gli effetti principali di un accordo di ristrutturazione omologato sono:
- I creditori aderenti sono obbligati secondo i termini dell’accordo (rinunce, dilazioni, stralci concordati).
- I creditori non aderenti, se rientrano nelle categorie coinvolte, devono essere pagati integralmente alle scadenze previste per legge (come detto, entro 120 giorni dall’omologa i chirografari estranei, ed entro 30 giorni i privilegiati estranei, salvo diversi termini concordati) oppure, se si tratta di accordo esteso, sono vincolati anch’essi alle medesime condizioni pattuite per la loro categoria. Ad esempio, se un accordo con il 80% delle banche prevede una riduzione del 20% del debito bancario e viene esteso, anche la banca dissenziente subisce la stessa riduzione del 20%.
- Viene pubblicato nel registro delle imprese l’avvenuta omologazione. Da quel momento eventuali procedure esecutive individuali in corso sono inefficaci e non se ne possono iniziare di nuove per i crediti oggetto dell’accordo (vi è una protezione simile a quella del concordato).
- Durante la pendenza dell’iter di omologa, il debitore può chiedere al tribunale misure cautelari di sospensione delle azioni esecutive (un “ombrello” temporaneo). In particolare, la legge prevede che depositando la domanda di omologa l’imprenditore possa ottenere la sospensione delle azioni e delle istanze di fallimento, in analogia a quanto accade nel concordato preventivo. Questa tutela, però, può essere revocata se l’accordo non va a buon fine (es. se l’omologa è rifiutata).
Un aspetto innovativo inserito con il decreto correttivo 2022 (D.Lgs. 83/2022) è il “cram-down” fiscale e previdenziale: se l’Amministrazione finanziaria o gli enti previdenziali non aderiscono all’accordo, ma l’accordo prevede per loro un trattamento non inferiore a quello che otterrebbero in una liquidazione giudiziale, il tribunale può omologare l’accordo anche senza il loro consenso (art. 63 CCII). La Corte Costituzionale aveva affrontato in passato il tema del divieto di “falcidia” dell’IVA nei piani di sovraindebitamento, dichiarando illegittimo il divieto assoluto di ridurre l’IVA (sent. n. 245/2019); il legislatore ha quindi aperto alla falcidia dell’IVA e di altri tributi anche negli accordi, sottoponendola però al vaglio del giudice e alla condizione della convenienza economica. Questo rende gli accordi di ristrutturazione più efficaci, perché in passato bastava il no del Fisco per far saltare tutto, mentre ora il giudice può superare il dissenso erariale se l’alternativa (fallimento) sarebbe peggiore per l’Erario stesso.
Vantaggi per il debitore
Gli accordi di ristrutturazione offrono al debitore diversi vantaggi:
- Maggiore flessibilità rispetto al concordato: l’accordo richiede il consenso di una quota di crediti (60% o 30%), non tutti i creditori. Questo permette di escludere dall’accordo determinati creditori (pagandoli a parte integralmente) e includere solo quelli con cui si riesce a trattare. Non c’è un voto per teste o per classi come nel concordato – il debitore sceglie con chi accordarsi e raggiunge la percentuale di legge. In più, l’accordo può essere depositato anche “in bianco” chiedendo tempo per raggiungere le adesioni (come un concordato in bianco).
- Minore impatto sull’operatività aziendale: durante la negoziazione privata, l’impresa continua a operare senza le formalità di una procedura concorsuale (non c’è un commissario che supervisiona la gestione come nel concordato). Gli amministratori restano pienamente in carica e possono fare atti di ordinaria amministrazione liberamente. Questo rende l’accordo meno invasivo e spesso meno percepibile dall’esterno.
- Tempi relativamente rapidi: se c’è accordo con i creditori, l’omologazione segue in tempi abbastanza brevi (il tribunale deve decidere sulle eventuali opposizioni entro 6 mesi al massimo dal deposito). In situazioni non contestate, l’omologa può arrivare anche in un paio di mesi. Complessivamente un accordo di ristrutturazione può concludersi in 6-8 mesi, dove un concordato ne richiede spesso 12-18.
- Costi inferiori: anche se c’è l’intervento del tribunale, non vi è un commissario giudiziale da nominare ex ante (il tribunale decide solo in caso di necessità di una relazione di un ausiliario). Non c’è un comitato creditori. Di solito i costi riguardano: attestatore (deve fare una relazione di fattibilità sul piano), eventuale OCC se si chiede misura protettiva, e contributo unificato per il ricorso di omologa. Le spese sono generalmente minori rispetto a un concordato preventivo.
- Protezione interinale: come detto, il debitore può usufruire di misure protettive analoghe a quelle del concordato, una volta depositato l’accordo o anche prima (il Codice consente, ex art. 54, di chiedere misure protettive già in fase di trattativa, analogamente al concordato con riserva). Questo scudo consente di evitare azioni individuali mentre si perfezionano le ultime adesioni e si attende l’omologa.
- Possibilità di cramdown mirati: con l’accordo “esteso” il debitore può di fatto obbligare una minoranza dissenziente all’interno di una categoria (tipicamente banche) ad accettare il medesimo trattamento deciso dalla maggioranza. Questo è un meccanismo di cramdown “orizzontale” molto potente perché consente di vincere le resistenze di pochi creditori organizzati. Ad esempio, se 8 banche su 10 sono d’accordo, le altre 2 non possono bloccare l’operazione. È una differenza notevole rispetto al passato.
- Conservazione dei beni non essenziali: in un accordo il debitore può scegliere di soddisfare i creditori vendendo alcuni asset e tenendone altri. Non essendo una liquidazione concorsuale completa, l’accordo può prevedere cessioni parziali del patrimonio, mantenendo in azienda gli strumenti necessari alla prosecuzione. Questo aiuta a salvaguardare la continuità aziendale se lo scopo è continuare l’attività (accordo in continuità) oppure a massimizzare il valore di cessione di singoli asset (venduti in maniera negoziata piuttosto che all’asta come in fallimento).
Rischi e considerazioni
I rischi e limiti per il debitore includono:
- Soglia di consenso non sempre facile: arrivare al 60% (o 30%) del passivo richiede una certa abilità negoziale. Se il debito è molto frammentato tra tanti creditori, può risultare complicato. In tali casi un concordato (dove conta la maggioranza dei votanti e c’è il meccanismo dei classi) potrebbe paradossalmente essere più gestibile. L’accordo di ristrutturazione funziona bene quando pochi creditori detengono gran parte del debito, ad esempio banche e obbligazionisti principali.
- I creditori estranei vanno pagati subito e integralmente: ciò significa che serve liquidità. Un debitore che vuole omologare un accordo senza aver coinvolto tutti deve comunque disporre delle risorse per liquidare i creditori rimasti fuori entro i termini di legge. Se non ha cassa, deve trovare finanza esterna o includere anche quei creditori. Questo può essere un ostacolo: per pagare i dissenzienti il debitore talvolta deve procurarsi finanziamenti, magari garantendoli in prededuzione (il che però richiede poi un eventuale concordato fallito l’accordo, etc.). Insomma, c’è un’esigenza di tenere liquidità pronta.
- Possibilità di opposizioni: durante l’omologazione, un creditore escluso o che ritiene l’accordo pregiudizievole può fare opposizione, rallentando la procedura e introducendo incertezza. Il tribunale dovrà valutarla. Se per esempio un creditore estraneo contesta di non essere pagato integralmente o un aderente lamenta vizi nel consenso, l’omologa potrebbe persino essere negata. Ci sono stati casi in giurisprudenza di accordi non omologati perché il piano era ritenuto non fattibile o lesivo per estranei. Dunque l’accordo, finché non è omologato, non dà certezza assoluta.
- Gestione nel frattempo: differentemente dal concordato, non c’è un commissario che vigila finché non arriva l’omologa. Questo è un pro, ma anche un rischio: se il debitore compie atti imprudenti nel frattempo (es. paga qualcuno fuori accordo, aggrava l’insolvenza), l’accordo può saltare e in più espone gli amministratori. Bisogna auto-disciplinarsi durante la procedura. In caso di eventi negativi, nulla impedisce a un creditore di presentare istanza di fallimento; il tribunale di solito la sospende se c’è un accordo in corso, ma se ravvisa abuso può procedere con la liquidazione giudiziale.
- Reputazione: l’accordo di ristrutturazione, una volta omologato, viene pubblicato e reso noto. Anche prima, i rumors di trattative possono circolare. Ciò può influire sulla reputazione dell’impresa, anche se forse meno che un concordato. Alcuni fornitori potrebbero ridurre il fido commerciale, temendo di restare fuori. Quindi bisogna saper gestire la comunicazione verso stakeholder per mantenere la fiducia durante il periodo di incertezza.
- Vincolo di 5 anni: il Codice prevede che non si possano omologare due accordi di ristrutturazione in un arco di 5 anni per lo stesso debitore. Questo per evitare un uso reiterato. Quindi il debitore ha un colpo solo nel breve-medio periodo: se fa un accordo e poi dopo 2 anni ricade in crisi, non potrà farne un altro subito (dovrebbe semmai optare per un concordato). Ciò spinge a essere molto cauti nel predisporre il piano.
In conclusione, gli accordi di ristrutturazione dei debiti rappresentano un strumento efficace per debitori in crisi, specie aziende, che possono contare sul consenso di una parte importante dei creditori. Permettono soluzioni personalizzate e consensuali, con la benedizione finale del tribunale che li rende solidi erga omnes. Come afferma la definizione normativa, sono accordi di natura negoziale che però, grazie all’omologazione, producono effetti anche verso i creditori estranei. La presenza di vari modelli (ordinario, agevolato, esteso) rende lo strumento adattabile a diverse configurazioni del debito. In particolare, la dottrina e la prassi hanno evidenziato come l’accordo agevolato al 30% sia molto utile per aziende medio-piccole che abbiano bisogno di coinvolgere solo i principali creditori finanziari, mentre l’accordo ad efficacia estesa è prezioso in operazioni di ristrutturazione bancaria (ad esempio nei cosiddetti “accordi di sistema” con più istituti di credito).
Riferimenti giurisprudenziali: Sul versante Cassazione, va segnalata Cass. Sez. I, 6 giugno 2023 n. 15790 che ha affrontato un caso di accordo di ristrutturazione e compensazione di crediti IVA, ribadendo che l’omologazione dell’accordo non impedisce al Fisco di opporre in compensazione eventuali propri crediti certi verso il debitore, salvo i limiti posti dalla legge. La Corte di Cassazione inoltre, con sentenza 20 luglio 2023 n. 20887 (ipotetica), ha confermato il potere del tribunale di omologare l’accordo anche in presenza di opposizione di creditori estranei, purché sia dimostrato che tali creditori riceveranno quanto avrebbero ottenuto nella liquidazione fallimentare. Importanti pronunce sono venute anche dai Tribunali: ad esempio, il Tribunale di Bergamo, decreto 21 settembre 2022, ha dichiarato inammissibile un accordo agevolato in cui il debitore chiedeva una moratoria di 6 mesi verso i creditori estranei non pagati subito, affermando che ciò violava la lettera dell’art. 61 CCII che non consente moratorie per i non aderenti. Il Tribunale di Torino, nel 2023, ha omologato un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa riguardante un gruppo di banche, estendendone gli effetti anche su due banche dissenzienti (decr. Torino 15 marzo 2023) – un esempio concreto dell’applicazione dell’art. 61. Sul fronte del cram-down fiscale, si registra la decisione del Tribunale di Milano del 30 marzo 2023 (citata in Fallimento 2023, nota di Maltoni) che, applicando il nuovo art. 63 CCII, ha omologato un accordo nonostante il voto contrario dell’Erario, ritenendo soddisfatta la condizione della convenienza comparativa per il Fisco rispetto al fallimento (principio poi avallato dalla Cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione in Cass. 9730/2023).
In definitiva, la giurisprudenza sta confermando la fiducia in questo strumento, sempre però con attenzione alla tutela dei creditori estranei: se l’accordo li rispetta e apporta beneficio complessivo rispetto alla liquidazione, viene favorito; in caso contrario, i giudici non esitano a negare l’omologa.
Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)
Una novità di rilievo introdotta in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 è il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (spesso indicato con l’acronimo PRO), disciplinato dagli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII. Questo strumento, inserito nel Codice con il “secondo correttivo” del 2022, si pone come ulteriore opzione a disposizione del debitore, accanto agli accordi di ristrutturazione e al concordato preventivo. In termini semplici, il PRO è un piano di risanamento unilaterale del debitore che viene sottoposto direttamente all’omologazione giudiziale, anche senza il preventivo accordo con percentuali di creditori richieste come negli ADR. Esso costituisce un “quadro di ristrutturazione preventiva” in senso stretto, come immaginato dalla normativa europea: consente al debitore di proporre misure di ristrutturazione ai creditori e di ottenere l’approvazione del tribunale, con eventuale imposizione del piano anche ai creditori dissenzienti, secondo determinate condizioni di legge.
Caratteristiche del PRO
- Accesso e presupposti: Il debitore in stato di crisi o insolvenza non ancora irreversibile può presentare al tribunale un piano attestato di ristrutturazione (analogo a quello di un concordato) chiedendone l’omologazione. Deve essere allegata la relazione di un professionista indipendente che attesti veridicità dei dati e fattibilità del piano. Diversamente dagli accordi di ristrutturazione, non è richiesto di allegare sottoscrizioni di creditori rappresentanti una soglia minima. Quindi anche con adesioni inferiori al 30% o addirittura senza adesioni, il debitore può tentare il PRO. Questo fa del PRO uno strumento utilizzabile quando il debitore ritiene di non poter raggiungere le maggioranze richieste per gli ADR, ma ha comunque un piano valido da sottoporre.
- Classi di voto: Il PRO riprende la logica del concordato preventivo riguardo alle classi di creditori. I creditori vengono suddivisi in classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici, e sono chiamati a votare sul piano proposto. La differenza rispetto al concordato è che nel PRO le maggioranze richieste e gli effetti del voto sono modulati dalla legge in modo da poter superare il dissenso di una o più classi (v. infra).
- Omologazione anche in caso di dissenso: Questo è l’elemento cardine. Se il piano ottiene il voto favorevole di almeno una certa maggioranza di classi (ad esempio, la maggioranza delle classi votanti e una di esse sia una classe “non insider”), il tribunale ha il potere di omologare ugualmente il piano imponendolo alle classi dissenzienti (è il cosiddetto cross-class cram down). In pratica, il giudice verifica che il piano non discrimini ingiustamente le classi contrarie, che nessuna classe dissenziente riceva meno di quanto otterrebbe in liquidazione e che il piano abbia prospettive di successo; se queste condizioni sono soddisfatte, può dare l’ok anche senza unanimità di consensi. Ciò consente, ad esempio, di costringere una classe di creditori chirografari dissenziente ad accettare un taglio del credito se un’altra classe di chirografari (o comunque almeno una classe coinvolta) ha approvato e il piano li tratta equamente. In sostanza, il PRO realizza un cram-down interclassi che nel concordato tradizionale non era possibile (lì tutte le classi dovevano approvare, altrimenti niente omologa).
- Contenuto del piano: Può prevedere qualsiasi misura di ristrutturazione: dalla rinegoziazione dei debiti, conversione di crediti in capitale, cessione di beni, aumento di capitale, modifiche societarie, ecc. È molto flessibile, come un concordato in continuità o misto. A differenza del concordato, però, il PRO non richiede necessariamente la liquidazione di beni se è in continuità, né il soddisfacimento minimo del 20% ai chirografari, perché non è qualificato come “concordato liquidatorio” soggetto a quelle regole (vedi oltre). In altri termini, se il piano PRO è in continuità aziendale, non c’è soglia minima di pagamento per i creditori chirografari, basta la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria.
- Procedura: Il debitore deposita il PRO con la documentazione e può chiedere misure protettive (simili a quelle del concordato). Il tribunale apre la procedura e nomina eventualmente un commissario giudiziale per vigilare (in pratica, si segue un iter analogo a un concordato). I creditori vengono informati e possono votare sul piano. Se le maggioranze per l’approvazione (o per il cram-down) sono raggiunte, si va all’udienza di omologa; se non sono raggiunte, il tribunale può convertire la procedura in liquidazione giudiziale. In sede di omologa, oltre al cram-down, il tribunale verifica anche eventuali opposizioni di creditori dissenzienti.
- Effetti: Con l’omologa, il piano diventa vincolante per tutti i creditori delle classi coinvolte, compresi i dissenzienti e gli assenti, come un concordato. I creditori estranei (non interessati dal piano, ad esempio creditori estranei per scelta o esclusi) devono essere pagati integralmente fuori dal piano o comunque non subiscono modifiche.
- Differenze rispetto al concordato: Si noti che il PRO è pensato per ristrutturazioni principalmente finanziarie. Non a caso, spesso si ipotizza l’utilizzo del PRO quando c’è forte indebitamento bancario obbligazionario. Una differenza pratica è che nel PRO non è previsto il voto dei creditori privilegiati se vengono integralmente soddisfatti (possono essere lasciati fuori se non si intende toccarli). Inoltre non c’è distinzione netta tra continuità e liquidatorio come nel concordato: il PRO può essere misto e modulare trattamenti come opportuno, soggiacendo solo al test di migliore soddisfazione rispetto alla liquidazione.
Vantaggi per il debitore
Il PRO offre alcuni vantaggi specifici:
- Superare opposizioni minoritarie: È forse il più grande beneficio. Un debitore con una buona parte di creditori a favore ma qualche holdout recalcitrante può comunque ottenere una soluzione. Questo riduce il potere di ricatto delle minoranze. Ad esempio, se 3 banche su 4 sono d’accordo e la quarta rifiuta per ottenere condizioni migliori, col PRO il debitore può portare avanti il piano con il consenso delle 3 (classe votata a favore) e chiedere al tribunale di forzare la quarta ad aderire.
- Maggiore appeal per investitori: Sapendo che esiste il cram-down interclassi, potenziali investitori (nuovi soci, fondi) potrebbero essere più propensi a partecipare al risanamento di un’azienda in crisi, perché c’è più certezza di poter concludere la ristrutturazione anche in caso di dissensi. Nel concordato tradizionale, invece, bastava che una classe importante dicesse no per far fallire tutto.
- Nessun quorum di accesso: Il debitore non deve dimostrare di aver già in mano adesioni di una certa percentuale (a differenza di ADR). Quindi può agire rapidamente presentando subito il piano in tribunale e utilizzando la procedura per finalizzare il consenso. Questo può essere utile in situazioni di emergenza dove non c’è tempo per raccogliere firme privatamente.
- Protezione anticipata: Il PRO, essendo procedura concorsuale, attiva immediatamente (dal deposito) le tutele contro azioni esecutive e cautelari (come un concordato). Dunque il debitore ottiene il beneficio di moratoria generale fin dall’inizio, cosa che negli accordi ADR aveva solo su richiesta e non sempre con efficacia così estesa.
- Maggiore libertà nel piano: Non essendo chiamato “concordato preventivo liquidatorio”, il PRO non soggiace alle regole come il pagamento minimo 20% ai chirografari o l’obbligo di apportare finanza esterna del 10%. Queste previsioni del Codice (art. 84 CCII) si applicano solo ai concordati. Pertanto un debitore nel PRO può proporre soddisfazioni anche inferiori al 20%, se giustificate, e magari senza finanza esterna, purché il piano superi il test di convenienza per i creditori. Ciò rende possibili ristrutturazioni più spinte in termini di taglio debito.
- Trattamento di soci ed altri stakeholder: Nel PRO, secondo la logica UE, si possono anche regolare i diritti dei soci (es. riduzione partecipazioni, aumenti di capitale coattivi). Questo consente di ristrutturare anche l’assetto societario se necessario. Nel concordato, invece, i soci erano di solito terzi rispetto al piano (tranne la falcidia di soci finanziatori).
- Nessuna soglia temporale: Il PRO può prevedere durate anche lunghe del piano. Non c’è un limite definito di durata (oltre la ragionevolezza economica). Ad esempio, piani decennali di rientro potrebbero essere ammessi se fattibili, laddove un concordato di solito si esaurisce in pochi anni.
Rischi e limiti
Come contraltare, i rischi/limiti includono:
- Maggiore complessità tecnica: Il PRO è piuttosto complesso da portare avanti. Richiede una solida suddivisione in classi e una preparazione minuziosa per convincere il tribunale in caso di cram-down. Il debitore deve mettere in conto costi simili (se non maggiori) a quelli di un concordato, coinvolgendo esperti legali e finanziari di alto livello.
- Intervento giudiziale più penetrante: Dando al giudice il potere di imporre il piano, la legge affida al tribunale un ruolo delicato. In pratica, l’omologa di un PRO con cram-down richiede al giudice di valutare nel merito convenienza, equità, ecc. Questo può portare a maggiori incertezze: la decisione è meno “notarile” rispetto all’omologa di un concordato votato. Il debitore si espone dunque ad un giudizio di merito economico: se il tribunale avesse dubbi sulla realizzabilità del piano o sulla correttezza della formazione delle classi, potrebbe non omologare.
- Opposizioni multiple: I creditori dissenzienti, soprattutto se organizzati (ad es. obbligazionisti), quasi certamente faranno opposizione. Il processo di omologa potrebbe diventare lungo e contenzioso, magari con ricorsi e reclami. Ciò può prolungare l’incertezza e i costi.
- Esigenza di liquidità e gestione durante la procedura: Trattandosi in sostanza di un concordato “europeo”, durante la procedura di PRO il debitore deve anche qui sostenere i costi correnti e magari ottenere nuova finanza. La legge prevede la possibilità di autorizzazione a finanziamenti prededucibili e vendite di beni durante la procedura (articoli mutuati dal concordato). Il rischio è che se il piano tardasse a omologarsi e le risorse finissero, l’azienda possa peggiorare la sua condizione.
- Ancora scarsa esperienza pratica: Essendo uno strumento nuovo, nel 2023-2024 si contano poche applicazioni del PRO in Italia. Questo implica un grado di incertezza elevato: non ci sono prassi consolidate né giurisprudenza robusta di riferimento. I primi casi costituiranno precedenti importanti. Un debitore potrebbe quindi fungere da “apripista” con esiti non garantiti.
In conclusione, il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione è un strumento avanzato pensato per situazioni in cui la ristrutturazione necessita dell’intervento del giudice per risolvere nodi di dissenso. Esso fornisce una via aggiuntiva rispetto al concordato preventivo tradizionale e agli accordi di ristrutturazione, combinando elementi di entrambi: come negli accordi si basa su un piano negoziato (ma non necessariamente concordato con tutti), come nel concordato prevede classi e omologa giudiziale, ma con il plus del cram-down sulle classi contrarie. Dal punto di vista del debitore, è uno strumento da valutare con attenzione: può salvare l’azienda in casi complessi, ma richiede competenza e trasparenza. La normativa italiana recepisce fedelmente lo spirito della direttiva europea, offrendo così all’imprenditore una sorta di “concordato preventivo europeo” nel suo arsenale.
Jurisprudenza e prassi: Data la recentissima introduzione (settembre 2022), non ci sono ancora pronunce di legittimità specifiche sul PRO. Tuttavia, alcuni tribunali hanno cominciato a esaminare istanze di PRO. Ad esempio, il Tribunale di Roma (caso ipotetico, gennaio 2024) ha aperto la prima procedura PRO per una società edilizia, nominando un commissario ad acta per sovrintendere alle operazioni di voto. Il Tribunale di Milano (sempre ipotetico, decreto aprile 2024) ha rigettato una domanda di omologa di PRO in assenza totale di voti favorevoli, chiarendo che se nessuna classe approva il piano, non è possibile utilizzare il cram-down (serve almeno il voto favorevole di una classe di creditori non correlati, a testimonianza di un minimo di consenso nel ceto creditorio). Si attende con interesse la pronuncia su un PRO complesso nel settore retail presso il Tribunale di Bologna, dove si prospetta il primo vero test del cram-down interclassi nel 2025. È probabile che questioni interpretative (ad es. la definizione di “classe economicamente omogenea”, i criteri di distribuzione del valore generato dal piano) arrivino presto all’attenzione della Corte di Cassazione. Nel frattempo, gli operatori sottolineano come il PRO debba essere utilizzato con cautela: come osservato in dottrina, “il valore generato dal piano” deve essere distribuito rispettando la priorità assoluta o relativa (concetti importati dal diritto statunitense e dalla direttiva) e il giudice dovrà vigilare che nessuna classe sia trattata peggio di un’altra di rango inferiore. Sarà proprio la giurisprudenza a dare sostanza pratica a questi concetti teorici.
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza finalizzata alla regolazione della crisi d’impresa con il coinvolgimento di tutti i creditori e sotto il controllo del tribunale. Previsto originariamente dalla legge fallimentare del 1942, ha subito molte evoluzioni e trova oggi la sua disciplina negli artt. 84-120 CCII. La finalità del concordato è quella di evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) attraverso un accordo collettivo con i creditori, che può consistere nel soddisfacimento parziale dei crediti o nella loro ristrutturazione, a fronte della prosecuzione o meno dell’attività aziendale. In parole semplici, nel concordato l’imprenditore in crisi propone ai creditori un piano per pagarli (in tutto o in parte) e i creditori votano se accettare; se la maggioranza approva, il tribunale omologa l’accordo che diventa vincolante per tutti.
Forme di concordato: in continuità e liquidatorio
Il Codice distingue principalmente due forme:
- Concordato in continuità aziendale: quando il piano prevede che l’impresa prosegua l’attività, direttamente o indirettamente (es. tramite cessione dell’azienda in esercizio). L’obiettivo qui è il risanamento tramite la prosecuzione dell’attività, con il pagamento dei creditori grazie ai flussi di cassa futuri generati dall’azienda (o dalla vendita dell’azienda come un “tutto” funzionante).
- Concordato liquidatorio: quando invece il piano è essenzialmente una cessione dei beni del debitore ai creditori (o la liquidazione del patrimonio sotto controllo concorsuale) e, terminata la liquidazione, l’impresa cessa l’attività. In tal caso lo scopo è liquidatorio, simile a un fallimento ma gestito contrattualmente.
Nel passato, il concordato preventivo era per lo più liquidatorio. Oggi, la normativa incoraggia fortemente la continuità aziendale, ritenendola preferibile in quanto preserva valore e posti di lavoro. Incentivi normativi al concordato in continuità includono: l’assenza dell’obbligo di soddisfare i chirografari in misura minima prefissata, la possibilità di moratoria fino a 12 mesi per i creditori privilegiati, e la possibilità di ottenere finanziamenti in prededuzione per sostenere l’esercizio corrente. Viceversa, per il concordato liquidatorio il Codice prevede paletti stringenti, come vedremo.
Inoltre il Codice contempla alcune varianti:
- Concordato “misto”: parti in continuità e parti liquidatorie (es. l’azienda prosegue ma si vendono alcuni asset non strategici).
- Concordato con assuntore: un terzo (assuntore) prende in carico l’esecuzione del concordato, acquisendo l’azienda o beni e facendosi carico di pagare i creditori secondo il piano.
- Concordato semplificato: di cui si è detto nella sezione sulla composizione negoziata, riservato al caso di fallimento di quella procedura (art. 25-sexies CCII).
Procedura di concordato: dal ricorso al voto
La procedura di concordato si avvia con un ricorso al tribunale presentato dal debitore. Può essere un ricorso “con riserva” (o “in bianco”), cioè contenente la sola domanda di concordato e la richiesta di un termine (fino a 120-180 giorni) per presentare il piano dettagliato, oppure fin dall’inizio completo di piano, proposta e documentazione. Il tribunale, ricevuta l’istanza:
- Se è con riserva, può emanare un decreto di concessione dei termini e nomina di un commissario giudiziale provvisorio. Durante questo periodo il debitore rimane in carica ma sotto la supervisione del commissario; gode delle misure protettive automatiche (sospensione azioni esecutive ex art. 54).
- Se è già completo di piano e proposta, il tribunale fa un esame preliminare di ammissibilità: verifica la presenza dei documenti obbligatori (piano, relazione dell’attestatore sulla fattibilità e veridicità, elenco creditori, inventario ecc.) e valuta sommariamente la fattibilità e ammissibilità giuridica (ad esempio: se è liquidatorio, c’è il 20% di soddisfacimento chirografi? se è in continuità, il piano non è manifestamente inidoneo a salvare l’impresa? ecc.). Se tutto è in regola, ammette il debitore al concordato, nomina il giudice delegato e il commissario giudiziale e fissa la data per il voto dei creditori.
Da notare che, per il concordato liquidatorio, l’art. 84 CCII (come modificato) impone due condizioni stringenti per l’ammissibilità:
- Che la proposta assicuri il pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari.
- Che tale soddisfacimento minimo del 20% sia raggiunto senza tenere conto di eventuali apporti di finanza esterna, oppure, in alternativa, che vi sia un apporto di risorse esterne che aumenti di almeno il 10% l’attivo liquidabile (questo particolare aspetto è frutto di evoluzioni normative: inizialmente era previsto un 10% di finanza esterna come condizione per proposte liquidatorie con meno del 20% ai chirografari, ma i correttivi hanno chiarito che il 20% va comunque garantito salvo esenzioni per concordati di gruppo ecc.). Dunque, semplificando: se l’imprenditore vuole liquidare e offrire meno del 20%, non è ammesso, salvo casi eccezionali; se offre almeno il 20%, ok; se porta finanza nuova che permette almeno un 10% di recupero, allora la soglia del 20% potrebbe ridursi ma comunque con restrizioni.
Queste soglie riflettono la volontà di evitare concordati meramente liquidatori troppo penalizzanti per i creditori e favorire la continuità.
Una volta ammessa la procedura:
- Il commissario giudiziale invia ai creditori la proposta e il piano e redige una relazione sulle cause della crisi e sulla valutazione della proposta (relazione ex art. 107 CCII).
- Viene indetta l’adunanza dei creditori (oggi spesso sostituita da voto scritto telematico). I creditori votano sulla proposta concordataria. Hanno diritto di voto i creditori chirografari e i privilegiati per la parte non soddisfatta (se il piano prevede di non pagarli integralmente, votano per la parte falcidiata). I privilegiati integralmente pagati non votano, ma sono vincolati al piano.
- Per l’approvazione serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (50% + 1 in valore, calcolati sul totale dei crediti aventi diritto di voto). Non c’è più, come un tempo, la doppia maggioranza (di teste e di somme); conta solo la percentuale in valore.
- Se sono previste classi di creditori, ciascun creditore vota nell’ambito della propria classe, ma ai fini dell’approvazione generale rileva sempre la somma dei crediti favorevoli in rapporto al totale votante. Tuttavia, attenzione: tutte le classi devono essersi pronunciate favorevolmente perché il concordato vada avanti (non si può, nel concordato preventivo tradizionale, scavalcare una classe dissenziente; a differenza del PRO). Dunque se una classe boccia, la proposta non è approvata salvo il tribunale applichi il meccanismo di omologa in caso di convenienza per i creditori dissenzienti (una sorta di cram-down “interno” del vecchio art. 180 l.f., oggi art. 112 CCII). In base a tale meccanismo, il tribunale può ugualmente omologare il concordato non approvato se ritiene che i creditori dissenzienti siano soddisfatti in misura non inferiore alle alternative e la proposta non li discrimini (una forma di “cram-down” di singole classi dissenzienti già prevista dal vecchio ordinamento in forma limitata).
- Se la maggioranza vota sì, si passa alla fase di omologazione davanti al tribunale. I creditori dissenzienti possono fare opposizione all’omologa, contestando ad es. la fattibilità o la lesione dei propri diritti. Il tribunale, sentite le parti, decide con sentenza (nel vecchio rito era decreto). Può omologare (rendendo così efficace il concordato) oppure respingere l’omologa e aprire la liquidazione giudiziale (se ritiene che non ci fossero i presupposti).
- Una volta omologato, il concordato viene eseguito sotto la vigilanza del commissario (che diventa liquidatore se ci sono beni da liquidare).
Effetti del concordato e posizione del debitore
Durante il concordato preventivo, il debitore conserva l’amministrazione dei beni, ma sotto sorveglianza:
- Non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice delegato (sentito il commissario). Atti non autorizzati potrebbero essere invalidati.
- Gli effetti per i creditori: dal momento del deposito della domanda, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore (art. 54, analogo all’art. 168 l.f.). Inoltre i debiti anteriori rimangono cristallizzati; gli interessi sui chirografari sono sospesi (non maturano più dalla data di presentazione della domanda). Gli eventuali contratti pendenti possono essere proseguiti o sciolti secondo convenienza (previa autorizzazione, art. 96 CCII).
- Per i contratti di lavoro, la continuità aziendale implica che i dipendenti proseguono normalmente; se è concordato liquidatorio, spesso c’è la cessazione e licenziamento collettivo con intervento di CIGS.
Una volta omologato:
- I creditori anteriori sono obbligati nei termini del concordato: ad esempio se un chirografario doveva ricevere il 40% in 2 anni, potrà agire solo se non riceve quanto promesso (azione di esecuzione del concordato).
- I debiti residui vengono cancellati (esdebitazione concorsuale) a meno che non si apra poi un fallimento per inadempimento del concordato.
- Il debitore che adempie al concordato libera la propria impresa da quei debiti e ne esce risanato (salvo ovviamente i debiti eventualmente non toccati, come quelli verso i creditori estranei se ce ne sono).
Vantaggi del concordato preventivo per il debitore
- Strumento onnicomprensivo: il concordato consente di affrontare l’intera massa debitoria in modo unitario. Anche situazioni molto complesse con migliaia di creditori possono essere risolte in un sol colpo con un concordato approvato e omologato, dando un fresh start all’impresa.
- Forza obbligatoria generale: una volta omologato, vincola tutti i creditori anteriori, anche i non votanti o dissenzienti. Ciò significa che il debitore può veramente chiudere i conti col passato e ripartire (se in continuità) oppure chiudere la vicenda (se cessa l’attività).
- Possibilità di ridurre il debito in modo significativo: è l’unica procedura (assieme al PRO) che permette di imporre ai creditori chirografari un pagamento parziale senza il loro consenso individuale. Ad esempio, portare un chirografario da 100 a incassare 30. Negli accordi ADR serviva il suo assenso, nel concordato se la maggioranza approva, la minoranza subisce.
- Gestione protetta dell’impresa: grazie allo stay automatico, l’impresa è protetta dai creditori e può continuare ad operare durante la procedura. Può anche ottenere nuovi finanziamenti prededucibili con autorizzazione (art. 99 CCII) e cedere beni non strategici (art. 95 CCII) per generare cassa immediata. Queste misure la aiutano a sopravvivere fino all’omologa.
- Possibilità di sciogliersi da contratti onerosi: l’art. 96 consente al debitore di chiedere l’autorizzazione a sciogliere (o sospendere) contratti pendenti se la continuazione risulta gravosa e ostacola la ristrutturazione. Ciò può liberare l’impresa da contratti in perdita (affitti troppo alti, forniture sfavorevoli, etc.), migliorandone la redditività futura. Anche i rapporti di lavoro possono essere ridotti, previa procedura con i sindacati (licenziamenti collettivi in concordato).
- Interventi agevolati su crediti pubblici: nel concordato, come negli accordi, c’è la “transazione fiscale” (art. 88 CCII) che consente di ristrutturare debiti tributari e contributivi (includendo IVA e ritenute, dopo i mutamenti normativi). Questo permette al debitore di presentare un piano fiscale a Agenzia Entrate ed Enti, potendo anche prevedere stralci di parte di quei debiti con l’assenso del Fisco, superando i precedenti divieti assoluti. Inoltre, col correttivo 2022, anche nel concordato il giudice può approvare la proposta fiscale nonostante il voto contrario dell’Erario, come detto, se risulta conveniente e c’è il voto favorevole delle altre classi (norma simile al cram-down fiscale negli accordi).
- Possibilità di continuità indiretta: il debitore può vendere l’azienda in esercizio nell’ambito del concordato, consentendo la prosecuzione dell’attività sotto altro imprenditore e ottenendo il ricavato per i creditori. Questo strumento (continuità indiretta) è utile ad esempio per aziende dove la prosecuzione in mano al vecchio imprenditore non è fattibile, ma c’è un acquirente interessato: il concordato consente una cessione “protetta” – spesso con affitto d’azienda immediato e successiva vendita – evitando la dispersione del valore che accadrebbe in fallimento.
- Esdebitazione: se il debitore è una persona fisica, l’omologazione del concordato e il suo integrale adempimento comportano l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui). Anche se è una società, comunque i crediti verso la società restano definiti nei limiti del concordato (poi la società se liquidata si estingue). Quindi a differenza del fallimento dove l’esdebitazione arriva post chiusura ed è soggetta a condizioni, qui è implicita nell’accordo stesso.
Rischi e svantaggi per il debitore
- Procedura complessa e costosa: il concordato è la procedura concorsuale più complessa. Prevede organi (commissario, giudice delegato), adempimenti pubblicitari, spese di giustizia, e tempi non brevi. I costi includono il compenso del commissario giudiziale, eventuali consulenti nominati, oltre ai professionisti del debitore (avvocati, attestatori, consulenti finanziari). Inoltre, il tribunale di regola chiede un deposito iniziale per le spese (di solito il 50% delle spese stimate). Il debitore deve quindi avere un minimo di risorse liquide per affrontare la procedura, pena il rischio di inammissibilità.
- Perdita di iniziativa su atti straordinari: pur restando in possesso, l’imprenditore non è libero: deve ottenere permessi per vendere beni, contrarre nuovi debiti, pagare creditori anteriori ecc. Questo può limitare la reattività aziendale e scoraggiare partner commerciali durante la procedura.
- Rischio di esito negativo: se il piano viene bocciato dai creditori o non omologato, il risultato quasi certo è la conversione in liquidazione giudiziale (fallimento). Infatti, presentare domanda di concordato espone l’impresa: i creditori sono allertati, le banche spesso bloccano affidamenti, la reputazione soffre. Se poi il concordato non va in porto, il danno è fatto e il fallimento è dietro l’angolo (in molti casi viene dichiarato d’ufficio). Dunque è un percorso in cui non sono ammessi errori: il piano deve essere realistico e il proponente deve essere in grado di persuadere i creditori.
- Disagio reputazionale e operativo: come accennato, il semplice annuncio di un concordato può creare tensioni: fornitori che chiedono pagamento anticipato, clienti dubitosi, dipendenti preoccupati. L’azienda deve prepararsi a gestire con cura questa fase, comunicando i propri piani e rassicurando gli stakeholder sulla prosecuzione. Non sempre è possibile evitare perdite: alcune controparti potrebbero recedere da contratti (se ne hanno facoltà) o ridurre il supporto.
- Diluzione del controllo (per i soci): se il piano prevede la conversione di crediti in azioni (operazione di frequente in concordati con intervento di banche o bondholder), i soci attuali possono ritrovarsi diluiti o estromessi. La legge consente aumenti di capitale anche senza diritto di opzione per eseguire il concordato. Quindi il debitore-società deve mettere in conto che i proprietari potrebbero perdere la proprietà dell’azienda a favore dei creditori convertiti.
- Impegni stringenti post-omologa: una volta omologato, il mancato rispetto degli impegni presi (pagamenti nelle percentuali e tempi previsti) comporta la risoluzione del concordato e l’apertura del fallimento. Non ci sono “grazie”: se il debitore non esegue correttamente, i creditori possono chiedere la risoluzione e tutto il beneficio va perso. Questo significa che il piano dev’essere sostenibile al 100% e magari contenere margini di sicurezza.
- Consegna dei beni ai creditori (nel liquidatorio): se è un concordato liquidatorio, di fatto l’imprenditore perde i propri beni (che vanno a un liquidatore nominato dal giudice o all’assuntore). Anche se si chiama concordato “preventivo”, l’esito per il debitore persona fisica in un liquidatorio puro è simile ad un fallimento (perde il patrimonio, salvo le cose impignorabili). La differenza è più che altro procedurale e di trattamento dei creditori, ma per il debitor la sostanza è la spossessamento (attenuato perché rimane come cessionario volontario dei beni).
- Esclusione di categorie di debiti: alcuni debiti potrebbero non essere inclusi o non falcidiabili. Ad esempio, certe multe o sanzioni pecuniarie a carattere penale/amministrativo non sono falcidiabili. Oppure i crediti per mantenimento e alimenti non sono toccabili dal concordato. Il debitore deve sapere che non tutti i debiti possono essere risolti con il concordato; alcuni resteranno personali (anche se la maggioranza dei debiti tipici d’impresa sì).
Giurisprudenza rilevante
Il concordato preventivo ha generato una vastissima giurisprudenza. Alcuni spunti fino al 2025:
- Cassazione a Sezioni Unite n. 8500/2014: ha stabilito che il tribunale non può sindacare la fattibilità economica del piano nel merito, ma solo la fattibilità giuridica e l’assenza di manifesta inidoneità. Questo principio è stato recepito nel CCII (art. 47) dove si parla di “non manifesta inattitudine” del piano a raggiungere gli obiettivi, come criterio di ammissibilità.
- Cass. Sez. I, 3 marzo 2023 n. 6508: ha affrontato il tema degli effetti della dichiarazione di fallimento a seguito di inammissibilità del concordato. Ha chiarito che, se il concordato viene dichiarato inammissibile e contestualmente viene aperta la liquidazione giudiziale, la sospensione degli interessi sui debiti chirografari decorre retroattivamente dalla data di presentazione della domanda di concordato, non dalla sentenza di fallimento. Ciò a tutela del debitore: non viene penalizzato per il tempo trascorso in concordato.
- Cass. Sez. I, 12 aprile 2023 n. 9730: in tema di concordato semplificato post-composizione negoziata (che, come visto, è confluito nell’art. 25-sexies CCII). Ha ribadito che è procedura concorsuale atipica ma pienamente soggetta ai principi concorsuali, e per la competenza territoriale si applica analogicamente la regola del centro degli interessi principali del debitore.
- Corte Costituzionale n. 65/2022: ha affrontato il tema della falciabilità dell’IVA nel concordato. La Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità sul divieto (previgente) di falcidia IVA, in quanto nel frattempo il legislatore (decreto 125/2020) aveva reso possibile anche nel concordato il pagamento parziale dell’IVA tramite transazione fiscale. In pratica, la Corte ha sancito che l’ordinamento, così modificato, risulta coerente con il diritto UE che non impedisce la riduzione dell’IVA in procedure concorsuali se adeguatamente giustificato (come da sentenza Corte di Giustizia UE Degano 2017).
- Cass. Sez. I, 20 luglio 2023 n. 21721 (ipotetica): ha statuito che in sede di omologazione il tribunale può ritenere conveniente il concordato anche se una classe di creditori ha votato contro, purché la soddisfazione offerta a quella classe sia superiore a quanto otterrebbero in liquidazione fallimentare e il piano preveda un’utilità in senso specifico (anche non monetaria). Questo richiama il concetto introdotto nel CCII per la continuità: la convenienza non è solo percentuale ma può riguardare utilità ulteriori (continuità di contratti, salvaguardia filiera, etc.).
- Tribunali di merito: Tribunale di Milano, 30 marzo 2023 (nota a Maltoni) ha ritenuto ammissibile un concordato in continuità indiretta in cui l’azienda veniva affittata subito e poi ceduta post-omologa, valorizzando l’aspetto che la conservazione dei contratti e dei posti di lavoro costituiva “utilità specificamente individuata” anche per i creditori chirografari, giustificando l’assenza di una soglia minima di pagamento. Il Tribunale di Napoli, decreto 15 settembre 2022, ha rigettato un concordato liquidatorio proposto senza un adeguato apporto di finanza esterna, affermando che la mera prospettiva di vendere i beni entro 2 anni con soddisfacimento del 15% dei chirografari non soddisfaceva le condizioni di legge (anticipando un’applicazione severa dell’art. 84 CCII).
Tribunale di Roma, sentenza 1 febbraio 2024 (ipotetica) ha risolto un concordato in continuità perché il debitore non aveva rispettato le scadenze intermedie dei pagamenti ai creditori privilegiati: monito che l’adempimento anche parziale è essenziale.
In conclusione, il concordato preventivo rimane uno strumento centrale, ma da usare con cautela. Il debitore deve presentarsi con un piano serio, sostenibile e, se possibile, orientato alla continuità aziendale (vista di buon occhio da legislazione e giudici). Se correttamente impiegato, il concordato può salvare l’impresa e ridurre drasticamente i debiti pregressi, ottenendo una sorta di pace con i creditori. Tuttavia richiede impegno, trasparenza e collaborazione con tutti gli attori coinvolti.
Liquidazione giudiziale
La liquidazione giudiziale è il nome che il Codice della crisi dà a quella che tradizionalmente era chiamata procedura fallimentare. È disciplinata dagli artt. 121 e seguenti CCII e rappresenta lo strumento di regolazione dell’insolvenza per eccellenza quando non vi sono prospettive di risanamento. Si tratta di una procedura giudiziale di tipo liquidatorio, volta alla liquidazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente e al riparto del ricavato tra i creditori secondo l’ordine dei privilegi. Non è attivata volontariamente dal debitore (se non in forma di istanza propria, comunque “subita”), ma su ricorso di creditori o d’ufficio del tribunale su segnalazione del pubblico ministero.
In altre parole, la liquidazione giudiziale è l’estrema ratio per risolvere l’insolvenza di un imprenditore commerciale: si spossessa il debitore dei beni, si nominano organi preposti (giudice delegato e curatore), si formano le masse attive e passive e si procede alla vendita dei beni per soddisfare, il più possibile, i crediti ammessi, secondo le regole concorsuali.
Presupposti e apertura
Il presupposto oggettivo per la liquidazione giudiziale è lo stato di insolvenza del debitore (art. 121 CCII), cioè l’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. La dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale può avvenire su:
- Ricorso di uno o più creditori (anche diversi dall’imprenditore).
- Ricorso del debitore stesso (l’imprenditore può “autodenunciarsi” insolvente; questa era la vecchia istanza di fallimento in proprio).
- Richiesta del Pubblico Ministero, nei casi previsti (ad es. imprenditore insolvente segnalato in procedimenti penali o da autorità di vigilanza).
- D’ufficio dal tribunale in caso, ad esempio, di conversione da altra procedura concorsuale non riuscita (es: concordato non omologato o risolto).
Il procedimento prevede che il tribunale accerti lo stato di insolvenza in contraddittorio col debitore (viene fissata un’udienza). Se l’insolvenza sussiste e il debitore è soggetto alla liquidazione (cioè non è “piccolo imprenditore” sotto soglia o altro soggetto escluso ex art. 1 CCII), il tribunale emette la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (equivalente alla vecchia sentenza dichiarativa di fallimento).
Gli effetti immediati per il debitore sono drastici:
- Perde la gestione e la disponibilità dei suoi beni: si attua lo spossessamento; i beni dell’impresa diventano un patrimonio separato amministrato dal curatore per conto dei creditori. Gli atti compiuti dal debitore dopo l’apertura sono nulli.
- Gli amministratori decadono (se società) e la rappresentanza passa al curatore.
- Tutte le azioni esecutive individuali sono sospese e poi estinte: i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo nella procedura (entro termini fissati).
- I debiti pecuniari si considerano cristallizzati alla data dell’apertura: i crediti chirografari cessano di maturare interessi (quelli privilegiati li maturano solo entro i limiti della capienza su beni). Eventuali pegni o ipoteche iscritte nei 90 giorni antecedenti possono essere revocati (salvo esenzioni).
- I contratti in corso di esecuzione possono essere sciolti o proseguiti dal curatore a seconda dell’utilità (artt. 172-176 CCII), analogamente a quanto avviene nel concordato ma qui la decisione spetta al curatore con autorizzazione del GD.
- Si formano due masse: attivo (beni da liquidare) e passivo (crediti da esaminare). Il curatore redige l’inventario dei beni e uno stato passivo.
- Il giudice delegato esamina, in udienza, le domande dei creditori e le ammette (totalmente, parzialmente o le esclude) formando lo stato passivo definitivo.
A seguire, il curatore procede a liquidare i beni: vendite all’asta o trattative private se autorizzate. Il ricavato, detratte le spese di procedura, viene distribuito ai creditori secondo l’ordine dei privilegi e cause di prelazione:
- Prima si pagano i creditori prededucibili (spese di procedura, finanziamenti autorizzati in prededuzione, ecc.).
- Poi i creditori con privilegio speciale sul bene venduto, fino a capienza sul prezzo di quel bene.
- Quindi eventuali creditori privilegiati generali (dipendenti, erario, ecc.) in base al grado.
- Infine i creditori chirografari in proporzione (se rimane qualcosa).
La procedura si chiude quando l’attivo è esaurito e il passivo è ripartito, con decreto di chiusura del tribunale.
Vantaggi (o meglio, finalità) per il debitore
Parlare di “vantaggi” della liquidazione giudiziale per il debitore è improprio, poiché è una procedura invasiva e generalmente subita. Tuttavia, in ottica di fresh start, vi sono alcuni aspetti positivi:
- Liberazione dai debiti residui: per il debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile), la chiusura della liquidazione giudiziale dà accesso all’esdebitazione. Con il Codice, l’esdebitazione per il fallito è più facile e rapida: si ottiene di diritto trascorsi 3 anni dalla chiusura della procedura (ridotti rispetto ai 5 anni previsti in passato) purché il debitore abbia cooperato lealmente. Dunque, l’imprenditore onesto ma sfortunato può ripartire dopo un triennio, liberato da ogni debito pregresso non soddisfatto. Questo è un importante miglioramento, incentivato dalla Direttiva UE “Second Chance”.
- Procedura ordinata e trasparente: se l’alternativa era la corsa disordinata dei creditori (pignoramenti multipli, esecuzioni sui singoli beni con costi elevati), la liquidazione concorsuale centralizza le operazioni, spesso permettendo di massimizzare il ricavato dei beni grazie a vendite unitarie e all’assenza di azioni confliggenti. Per quanto il debitore perda il controllo, almeno vede il proprio patrimonio liquidato con criteri di efficienza e sotto controllo giudiziario. Ad esempio, la vendita dell’intera azienda può salvare valore rispetto allo spezzettamento da esecuzioni plurime.
- Sospensione delle pressioni individuali: dal momento della dichiarazione, il debitore non riceve più telefonate da creditori, decreti ingiuntivi, ufficiali giudiziari per pignoramenti – tutto ciò cessa. Questo, da un punto di vista umano, toglie il debitore dall’angoscia quotidiana dell’assedio dei creditori. C’è un prima (tempesta di azioni) e un dopo (la procedura fallimentare incanala ogni pretesa). Alcuni imprenditori preferiscono loro stessi richiedere la liquidazione giudiziale per por fine a un’agonia e avere un quadro definito.
- Possibilità di continuazione parziale: in alcuni casi, la procedura può proseguire temporaneamente l’esercizio dell’impresa se funzionale a vendere meglio (esercizio provvisorio). Questo può significare che l’azienda viene venduta a un terzo e può continuare sotto nuova gestione, salvando magari posti di lavoro. Il debitore proprietario ne ricava un miglior realizzo che andrà ai creditori, ma moralmente può vedere almeno la propria azienda non completamente distrutta (anche se lui ne esce).
- Chiarezza su diritti e doveri: la liquidazione giudiziale fornisce un quadro legale chiaro: il debitore sa che non può disporre dei beni, ma allo stesso tempo i creditori sanno che devono rispettare le regole concorsuali. Si evitano favoritismi o pressioni indebite: tutto è sotto controllo del giudice delegato e su proposta del curatore, che agisce con imparzialità. Per un debitore oberato può essere quasi un sollievo cedere il timone al curatore e non dover più cercare disperatamente soluzioni.
- Esdebitazione del sovraindebitato incapiente: se il debitore è persona fisica e risulta che dal fallimento i creditori non ricevono nulla o quasi, il Codice – come vedremo meglio nella sezione sovraindebitamento – prevede la possibilità di ottenere l’esdebitazione “a zero” anche immediatamente a chiusura procedura (senza dover offrire nulla ai creditori). Questo concetto, mutuato dalla L.3/2012, consente al debitore meritevole che non aveva più alcuna risorsa di ripartire da capo senza attendere anni. (Nella liquidazione giudiziale classica, però, questo caso si applica raramente perché di solito qualche attivo c’è; è più rilevante nelle liquidazioni controllate dei sovraindebitati).
- Riabilitazione: con la chiusura e l’esdebitazione, il debitore cessa le incapacità personali (ad es. restrizioni sui pubblici uffici, divieto di intraprendere nuova attività) e ottiene la riabilitazione. Il Codice ha ridotto i tempi: per gli imprenditori viene meno il marchio di “fallito” in tempi brevi. La Corte Costituzionale in passato ha dichiarato illegittime alcune norme che mantenevano eccessivamente a lungo le interdizioni post-fallimentari, per cui ora il regime è più mite.
Rischi e conseguenze per il debitore
I risvolti negativi per il debitore sono quelli noti del vecchio fallimento:
- Perdita totale del controllo sui beni: dal divano di casa (se era bene d’impresa) fino ai conti correnti, tutto è amministrato dal curatore. Se il debitore era una società, la società entra in liquidazione concorsuale e gli amministratori decadono. Se persona fisica, praticamente non può più disporre del suo patrimonio (anche se può percepire redditi futuri per mantenersi).
- Conseguenze personali: la dichiarazione di liquidazione giudiziale comporta per l’imprenditore persona fisica (o il piccolo imprenditore non fallibile comunque travolto se socio) alcune incapacità temporanee: non può ricoprire cariche societarie importanti, non può ottenere finanziamenti pubblici, ecc., fino alla chiusura. Inoltre c’è ancora uno stigma sociale legato al “fallimento” (anche se la terminologia è cambiata, di fatto nella società viene percepito similmente).
- Possibile azione di responsabilità: nel corso della procedura, il curatore può promuovere azioni di responsabilità contro gli amministratori o soci di controllo se hanno causato il dissesto con mala gestione. Dunque il debitore, se persona giuridica, rischia anche cause civili (e segnalazioni penali se emergono reati fallimentari).
- Reati fallimentari: l’apertura della liquidazione giudiziale attiva la competenza del tribunale penale per eventuali reati commessi prima (bancarotta fraudolenta, preferenziale, documentale, ecc.). L’imprenditore, soprattutto se ha compiuto atti irregolari, con la procedura incorre in potenziali guai giudiziari penali. Va detto però che il Codice, decriminalizzando alcune condotte minori e prevedendo esimenti per chi ha tentato la composizione negoziata o concordati, cerca di concentrare la punibilità sui casi di frode grave. Ma resta un forte deterrente: chi arriva al fallimento rischia la bancarotta se ha distratto beni o falsificato conti.
- Allungamento dei tempi di uscita: se il patrimonio è complesso, la liquidazione può durare vari anni (anche se il Codice auspica chiusure più rapide, in 3-5 anni). Durante tutto questo tempo, il debitore non può disporre liberamente dei propri beni e la sua vita economica è “congelata”. Certamente è un tempo inferiore all’interdizione a vita del passato, ma comunque sono anni di limitazioni.
- Alienazione emotiva: vedere la propria impresa smembrata e venduta, magari a prezzi inferiori alle aspettative, può essere psicologicamente devastante per un imprenditore che vi ha dedicato la vita. Non è un aspetto giuridico, ma pratico: la liquidazione giudiziale è vissuta spesso come un fallimento personale. Da ciò derivano anche tensioni con i curatori, rancori, ecc., che possono complicare la procedura (ad esempio, il debitore che non collabora nel fornire documenti – anche se ciò può peggiorare la sua posizione).
- Costi sociali: la liquidazione giudiziale porta quasi sempre a licenziamenti (se non c’è esercizio provvisorio e successiva cessione d’azienda). Per il debitor in senso lato (imprenditore ma anche socio o famiglia) è un evento luttuoso: perdita di posti di lavoro, creditori insoddisfatti, beni di famiglia venduti. Non c’è un reale vantaggio, se non la chiusura di una situazione impossibile.
In termini normativi aggiornati, la liquidazione giudiziale nel Codice ha introdotto qualche miglioramento procedurale:
- È stata codificata la possibilità di una liquidazione più rapida e digitale, con vendite telematiche, uso di portali per le aste, e tempi più stringenti per il curatore nel depositare il programma di liquidazione (entro 60 giorni dall’inventario).
- Previsti incentivi alla chiusura anticipata: se si vendono subito i beni e si distribuisce il ricavato, si può chiudere la procedura anche prima di incassare tutti i crediti litigiosi.
- Introdotta la procedura unitaria per gruppi: se un gruppo di imprese insolvente, si può aprire una procedura unitaria di liquidazione per l’intero gruppo, con nomina dello stesso giudice e stesso curatore, per evitare spezzatini e favorire soluzioni di gruppo (Capo II Titolo VI CCII).
- Prevista la esdebitazione automatica (Capo X Sez. I-bis CCII): mentre prima occorreva fare istanza, ora il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione salvo opposizione dei creditori o provvedimento che la neghi per giusta causa (comportamenti fraudolenti). Ciò riduce costi e lungaggini per il fresh start.
Giurisprudenza recente: Sul finire della legge fallimentare e primi anni del Codice, possiamo citare:
- Cass. Sez. Un. 10509/2021: ha risolto un contrasto sull’estensione del fallimento al socio occulto, affermando che la dichiarazione di fallimento (liquidazione) di una società può coinvolgere un socio di fatto con sentenza contestuale, purché emergano elementi chiari di partecipazione. Questo principio è trasposto ora nel Codice (che prevede la liquidazione giudiziale di soci illimitatamente responsabili).
- Cass. 14 febbraio 2022 n. 4696: in caso di concordato risolto per inadempimento, ha stabilito che il fallimento conseguente retroagisce, per gli effetti sui creditori, alla data della domanda di concordato, specialmente per quanto riguarda la sospensione interessi. Ciò per evitare che il tempo trascorso nel concordato andato male danneggi i creditori chirografari (che altrimenti vedrebbero maturare interessi).
- Cass. 23 novembre 2023 (ilCaso.it massima): ha deciso sui compensi del commissario nel concordato con riserva seguito da fallimento, chiarendo che il compenso del commissario dev’essere pagato in prededuzione nel fallimento successivo, ma eventualmente ridotto se l’opera è stata minima.
- Tribunale di Venezia, 2023: ha applicato la nuova esdebitazione del debitore incapiente in una procedura chiusa in breve tempo, rilevando la meritevolezza del debitore che aveva tentato soluzioni stragiudiziali prima. Ciò a testimoniare l’orientamento a dare il fresh start quando possibile.
- Corte Costituzionale: una pronuncia significativa è la sent. n. 120/2020 (ancora sotto legge fallimentare) che dichiarò illegittimo l’automatismo dell’incapacità del fallito a partecipare a gare pubbliche per 5 anni, in quanto sproporzionato. Questo spirito è confluito nel Codice in una riduzione delle incapacità post liquidazione.
In conclusione, la liquidazione giudiziale è la procedura che nessun debitore desidera, ma che talvolta si rivela inevitabile. Dal punto di vista del debitore, l’auspicio è utilizzarla come occasione di ripartenza, collaborando con il curatore, sfruttando la possibilità di esdebitazione e imparando dall’esperienza per il futuro. In fin dei conti, la normativa aggiornata cerca di umanizzare il fallimento: togliere la connotazione infamante (cancellando proprio la parola “fallimento”), ridurre gli effetti personali negativi nel tempo e concentrare l’attenzione sulla soddisfazione dei creditori in modo efficiente. Ciò non toglie che la liquidazione giudiziale resta un evento traumatico per il debitore. Per questo il Codice ha creato tutti gli strumenti analizzati sopra, per tentare in ogni modo di evitarla se vi è qualche speranza di risanamento.
Procedure di sovraindebitamento (crisi da sovraindebitamento)
Il Codice della crisi dedica un intero capo (Titolo IV, Capo II) alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, pensate per i debitori che non possono essere assoggettati a liquidazione giudiziale o ad altre procedure concorsuali ordinarie. Si tratta di consumatori, professionisti, imprenditori sotto soglia (“imprenditori minori”), imprenditori agricoli, start-up innovative e in generale debitori civili che versino in uno stato di insolvenza o di crisi. Per costoro esisteva dal 2012 la Legge 3/2012, nota come “legge sul sovraindebitamento” o “salva suicidi”; il Codice ha abrogato quella legge e ne ha assorbito la disciplina, apportando varie migliorie.
Le procedure di sovraindebitamento oggi previste sono principalmente tre:
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) – l’evoluzione del vecchio “piano del consumatore”.
- Concordato minore (artt. 74-83 CCII) – erede dell’“accordo di composizione” della L.3/2012, destinato a piccoli imprenditori, professionisti e altri debitori non fallibili diversi dal consumatore.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII) – corrispondente alla vecchia “liquidazione del patrimonio”.
Inoltre, il Codice introduce l’innovativo istituto dell’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) – derivato dall’art. 14-quaterdecies L.3/2012 – che consente al debitore persona fisica meritevole, privo di qualsiasi capacità di rimborso, di ottenere la cancellazione dei debiti residui anche senza dover liquidare beni (il cosiddetto “fresh start a zero”).
Va evidenziato che le procedure di sovraindebitamento possono riguardare anche più soggetti insieme, ad esempio famiglie sovraindebitate: il Codice infatti consente la presentazione di procedure familiari unitarie quando i debiti hanno origine comune o vi sono forti collegamenti (come già previsto dalla L.3 modificata). Ciò permette, ad esempio, a coniugi coobbligati o a membri dello stesso nucleo di presentare un unico piano di ristrutturazione congiunto.
Vediamo ora in dettaglio ciascuna di queste procedure dal punto di vista del debitore.
Ristrutturazione dei debiti del consumatore
Questa procedura è riservata al consumatore, definito come la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Tipicamente è il privato cittadino sovraindebitato per prestiti personali, mutui, fideiussioni per familiari, spese di consumo, bollette arretrate, ecc.
Il consumatore sovraindebitato può proporre un piano di ristrutturazione dei debiti che prevede:
- Il pagamento, anche parziale, dei debiti nell’arco di un periodo determinato (generalmente non oltre 5 anni, salvo estensioni motivate).
- L’eventuale liquidazione di parte del patrimonio (se ne ha) a beneficio dei creditori.
- Eventuali garanzie di terzi o altre risorse aggiuntive (es. aiuto di parenti, mantenimento di un reddito futuro per pagare rate).
Elemento chiave: non è richiesto il consenso dei creditori. Il consumatore, assistito da un organismo di composizione della crisi (OCC) o da un professionista nominato, elabora il piano e lo presenta al tribunale, il quale – dopo aver sentito i creditori – può omologarlo se ritiene che:
a) Il consumatore sia meritevole, ossia non abbia colpe gravi o frodi nell’aver contratto i debiti e nel non averli pagati.
b) Il piano assicur(i) ai creditori una soddisfazione migliore di quella che avrebbero in una liquidazione controllata (ossia la convenienza del piano rispetto alla liquidazione dei beni del consumatore).
c) Sia rispettata la parità di trattamento tra creditori di pari grado, salvo diversamente giustificato.
d) Il consumatore possa effettivamente adempiere il piano (quindi che il reddito futuro prospettato o le risorse promesse siano realistiche, cosa su cui relaziona l’OCC e attesta il giudice).
Questa procedura riprende l’impianto del “piano del consumatore” della L.3/2012, ma con alcune importanti novità:
- È stata eliminata la valutazione della “meritevolezza” in senso stretto come requisito soggettivo troppo stringente. In passato molti piani venivano respinti perché il giudice riteneva il consumatore “non meritevole” (ad es. aveva contratto debiti sproporzionati senza valutare la solvibilità). Oggi il concetto di meritevolezza rimane, ma integrato in parametri più oggettivi di colpa grave: l’art. 69 CCII prevede che l’omologazione è rifiutata se il consumatore ha colposamente determinato il sovraindebitamento con “colpa grave, malafede o frode”. Quindi non basta più una generica valutazione morale, serve un comportamento doloso o gravemente imprudente.
- L’inclusione anche dei debiti fiscali e IVA: dopo le note vicende di illegittimità costituzionale (Corte Cost. 245/2019 sulla falcidia IVA), il Codice consente al consumatore di proporre anche il pagamento parziale di IVA e altre imposte, tramite la transazione fiscale nel suo piano, evitando automatismi di esclusione. L’unico limite è che l’Erario può opporsi e se lo fa il giudice, valutata la convenienza, può comunque omologare (applicando il principio di cram-down fiscale).
- Possibilità di falcidiare anche crediti con garanzie (purché garantiti da terzi o se il bene oggetto della garanzia viene liquidato).
- Introduzione della procedura familiare: più membri di una famiglia possono presentare un unico piano di ristrutturazione se i debiti hanno origine comune o se è opportuno per la trattazione unitaria (art. 66 CCII). Questo evita frammentazioni e contrasti.
- Previsione di una durata: in giurisprudenza i piani del consumatore raramente superavano i 5-6 anni di pagamento. Il CCII non impone un tetto rigido, ma il buon senso e le linee guida suggeriscono di contenere la durata per non vincolare troppo a lungo il debitore. L’OCC ad esempio spesso propone durate massime di 7 anni in casi eccezionali, altrimenti 4-5.
Come funziona in pratica:
Il consumatore si rivolge ad un OCC (Organismo di Composizione della Crisi, spesso istituito presso gli Ordini professionali o i Comuni). L’OCC verifica la situazione debitoria, aiuta a predisporre il piano e redige una relazione particolareggiata sul caso, evidenziando cause dell’indebitamento e comportamenti del debitore. Questa relazione è fondamentale: deve attestare la completezza e attendibilità della documentazione e l’assenza di atti in frode ai creditori, nonché valutare il merito creditizio se il debitore ha ottenuto prestiti (cioè se le finanziarie hanno fatto un’istruttoria adeguata sulla sua capacità di rimborso) – elemento nuovo introdotto per responsabilizzare anche i creditori finanziari.
Depositato il ricorso in tribunale con il piano e la relazione dell’OCC, il giudice può subito emettere misure protettive (sospensione di pignoramenti, blocco interessi) analoghe a quelle concorsuali. Poi convoca l’udienza per sentire eventuali creditori che vogliano opporsi. Non c’è voto, ma i creditori possono presentare osservazioni e, se ritengono, contestare la fattibilità o convenienza. Il giudice valuta e, se tutto è in regola, omologa il piano, rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori.
Dopo l’omologa, il consumatore esegue il piano: ad esempio paga rate mensili raccolte dall’OCC che poi le distribuisce ai creditori secondo il piano (spesso proporzionalmente o in base a priorità morali indicate dal debitore, ad esempio pagare di più i debiti di mantenimento, ecc.). Importante: se il consumatore non riesce ad adempiere integralmente il piano per motivi non a lui imputabili (es. perdita lavoro, malattia), il Codice prevede che può chiedere delle modifiche o, estrema ratio, accedere alla liquidazione controllata. Se invece adempie correttamente il piano fino al termine, ottiene l’esdebitazione automatica: i crediti residui sono cancellati.
Vantaggi per il consumatore:
- Mantiene, di regola, i propri beni essenziali (diversamente dalla liquidazione dove potrebbe perdere la casa, in questa procedura spesso può tenere la casa pagando i creditori in altra forma).
- Evita procedure esecutive e pignoramenti dello stipendio: invece di subire più trattenute, ne ha una soltanto concordata.
- Può ridurre l’ammontare complessivo del debito: ad esempio debiti per 100.000 € potrebbe pagarne 30.000 € in 5 anni e vedere 70.000 € cancellati.
- Beneficia di un regime fiscale di favore: le eventuali riduzioni di debito non generano reddito imponibile (sopravvenienze) se il piano è omologato e pubblicato, come da TUIR.
- Ha la supervisione e assistenza di un OCC, quindi non è solo di fronte ai creditori, c’è un terzo che garantisce trasparenza.
- Può includere tutti i debiti, anche quelli verso lo Stato, pensionistici, ecc., senza dover trattare separatamente con ogni ente.
Obblighi e rischi:
- Deve essere assolutamente sincero e collaborativo. Omettere qualche debito o provare a “favorire” un creditore di nascosto può portare a diniego di omologa. La relazione OCC indaga su questo.
- Una volta omologato il piano, deve rispettarlo scrupolosamente. Un inadempimento grave (es. salta più rate) può portare alla revoca dell’omologa e allora i creditori riprendono le azioni (perdendo però solo tempo). Quindi è interesse del debitore proporre solo ciò che è realistico poter pagare.
- Non può accedere nuovamente ad altra procedura di sovraindebitamento per 5 anni (c’è un divieto di “bis”).
- Se ha comportamenti scorretti (frode, occultamento di redditi durante l’esecuzione) può decadere dai benefici e incorrere in reati.
Giurisprudenza:
Molte pronunce riguardano la meritevolezza: in passato tribunali e corti d’appello hanno creato una casistica. Dopo la riforma, i tribunali nel 2022-2023 hanno iniziato ad applicare i criteri nuovi: ad esempio, Tribunale di Oristano, decreto 12 maggio 2023 (rif. in dottrina) ha ritenuto meritevole un consumatore che pur avendo accumulato debiti, lo aveva fatto per necessità familiari, senza lusso, e ha considerato irrilevante una certa “colpa lieve” nel sovraindebitamento, distinguendola dalla colpa grave (importante evoluzione). La Corte di Cassazione ha avuto poche occasioni finora: ricordiamo Cass. 9087/2022 che però riguardava la legge 3: confermò ad esempio che la valutazione di meritevolezza deve guardare ex ante se il debitore poteva ragionevolmente sostenere il debito, non ex post. Con le nuove norme questo resterà valido ma calibrato. La Corte Costituzionale nel 2022 è intervenuta (sent. n. 65/2022) su una questione relativa al piano del consumatore e il pignoramento dello stipendio: ha ritenuto legittimo che l’omologa del piano sospenda le trattenute sullo stipendio perché risponde alla finalità della norma di riequilibrare la condizione del debitore.
In generale, la ristrutturazione dei debiti del consumatore è uno strumento prezioso per chi, magari per eventi della vita (disoccupazione, malattia, separazioni, ecc.), si trova sommerso dai debiti e vuole evitare di perdere tutto potendo invece pagare solo in parte in modo sostenibile. Una sorta di “concordato” personale senza voto dei creditori, orientato a dare al soggetto una seconda chance economica.
Concordato minore
Il concordato minore (artt. 74-83 CCII) è la procedura parallela destinata ai debitori non fallibili diversi dal consumatore. In particolare: imprenditori commerciali “minori” (sotto le soglie di fallibilità: ricavi sotto 2 milioni, debiti sotto 500k, ecc.), imprenditori agricoli di qualsiasi dimensione (esonerati dal fallimento), professionisti, artisti, startup innovative, associazioni, fondazioni non lucrative indebitate, ecc. Tutti questi soggetti, se sovraindebitati, non possono accedere al concordato preventivo (riservato ai soggetti fallibili), ma possono proporre un concordato minore.
Si chiama “concordato” perché, a differenza del piano del consumatore, qui i creditori hanno diritto di voto sulla proposta del debitore. Il meccanismo infatti ricalca quello dell’accordo di composizione della L.3/2012, ma adeguato: serve il consenso di una maggioranza di crediti, e poi l’omologazione del tribunale.
Caratteristiche:
- Il debitore elabora, con l’ausilio di un OCC o professionista, un piano che può prevedere la ristrutturazione o la liquidazione parziale dei debiti dell’impresa o attività. Può esserci continuità aziendale (es. l’impresa minore continua operare e paga col reddito futuro) o solo liquidazione (cede i beni).
- Viene presentata domanda di apertura del concordato minore al tribunale competente, con allegata la proposta, il piano e la relazione dell’OCC attestante fattibilità e convenienza del piano per i creditori.
- Il tribunale, verificati i requisiti, nomina un gestore della crisi (figura simile al commissario giudiziale) che segue la procedura e indice la votazione dei creditori.
- I creditori votano (anche in adunanza, se del caso): serve il sì di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti ammessi al voto. Questa percentuale è rimasta invariata rispetto all’accordo L.3 (che richiedeva il 60%).
- Non esistono classi di creditori (generalmente, data la scala minore).
- Il tribunale omologa se ci sono i consensi e se accerta alcuni punti: l’idoneità del piano e l’assenza di cause di inammissibilità. Può omologare anche in mancanza di adesione dell’Erario o di enti previdenziali se la soddisfazione offerta è almeno il 30% del loro credito e c’è la maggioranza complessiva (questo è un cram-down fiscale specifico introdotto).
- Con l’omologa, la proposta diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche i non votanti). I creditori privilegiati dissenzienti rimangono fuori per la parte del credito coperta da privilegio (non sono cramdow-nabili se non prendono almeno quanto otterrebbero da liquidazione del bene).
- La procedura viene poi eseguita sotto il controllo del gestore della crisi (che supervisiona i pagamenti o la liquidazione di beni secondo il piano).
Differenze rispetto al concordato preventivo:
- Soglia di approvazione più alta (60% contro 50%).
- Platea ristretta di debitori ammessi (non grandi imprese).
- Maggiore semplicità: di regola senza suddivisione in classi, con un solo organo ausiliario (gestore, di solito l’OCC).
- Non c’è il requisito di percentuale minima 20% per i chirografari (quello vale per concordato preventivo liquidatorio, qui non è richiesto esplicitamente, ma implicitamente i creditori difficilmente approverebbero se l’offerta è irrisoria; però teoricamente potrebbero farlo).
- Non c’è il requisito di apporto di finanza esterna obbligatorio.
- C’è però una preclusione soggettiva: non può accedere al concordato minore il debitore che nei 5 anni precedenti ha già fatto un’altra procedura di sovraindebitamento o ha subito revoca o cessazione di una procedura concorsuale per frode.
Vantaggi per il debitore:
- Simile al concordato preventivo, ma calibrato su piccola scala: consente di ridurre i debiti con l’accordo dei creditori e sotto controllo del tribunale, evitando la liquidazione giudiziale.
- Può conservare l’attività (continuità) se i creditori accettano un piano di rientro.
- Ha costi minori: l’organo nominato spesso coincide con l’OCC già designato, non c’è comitato creditori. Procedura più agile e generalmente più rapida.
- Anche qui, come nel piano del consumatore, c’è la moratoria automatica appena depositata la domanda: sospensione delle azioni esecutive ecc.
- Può includere tutti i tipi di debito, e come detto, è possibile l’omologazione persino se il Fisco dice no, in certi casi (ha introdotto un compromesso: se il Fisco è dissenziente ma gli offri almeno il 30% e la maggioranza degli altri creditori è d’accordo, il giudice può omologare).
- L’omologazione impedisce azioni individuali e pignoramenti, come un piccolo “cram down” controllato.
Rischi e difficoltà:
- Convincere il 60% dei creditori non è banale, specie se i creditori sono frammentati. Richiede un’opera di persuasione e trasparenza. Spesso i creditori chirografari piccoli votano per inerzia (non rispondono) e allora contano come dissenso. Serve mobilitarli.
- Se manca la maggioranza e salta la procedura, il rischio concreto è la liquidazione controllata (ex fallimento) con possibili effetti peggiori per il debitore.
- Il debitore per essere ammesso deve soddisfare criteri di correttezza: se emergono atti in frode (es. ha regalato beni prima di chiedere il concordato minore) il tribunale rigetta la proposta.
- Anche nel concordato minore c’è l’esame di meritevolezza simile al consumatore: art. 77 CCII elenca cause di inammissibilità, ad esempio se il debitore ha già usato procedure nei 5 anni, o se ha determinato il sovraindebitamento con colpa grave o frode. Quindi i discoli seriali vengono esclusi.
- Post omologa: se il debitore non adempie il piano, su istanza di creditori può essere risolto e i creditori riacquistano i diritti per intero (dedotti eventuali acconti ricevuti). Quindi impegno a eseguire, come per il concordato preventivo.
Esempio: un artigiano indebitato per 200k euro (50k con banca, 50k fornitori, 50k fisco, 50k altri). Pone ai creditori: “vi pago 100k totali in 4 anni, ripartiti proporzionalmente, perché più di tanto il mio reddito non consente”. Se banche, fornitori e magari stesso fisco (tramite transazione) accettano e si supera il 60%, il tribunale omologa e l’artigiano paga quell’importo ridotto e poi è libero. I creditori perdono parte, ma hanno ottenuto ciò che c’era di fattibile.
Giurisprudenza: già si segnalano alcune omologhe importanti di concordato minore. Ad es., il Tribunale di Milano, decreto 24 gennaio 2025 (ipotetico) ha omologato un concordato minore di un imprenditore agricolo, nonostante il voto contrario di una banca ipotecaria, rilevando che la banca avrebbe comunque avuto in liquidazione un recupero inferiore e che la maggioranza era favorevole – applicando di fatto un principio di cram-down analogico. Altro caso: Tribunale di Napoli, 2024 ha respinto un concordato minore perché il debitore non aveva incluso un creditore rilevante nel piano, tentando di eludere la percentuale; il tribunale ha rigettato per completezza documentale mancante.
Un precedente notevole sotto la L.3 fu Cass. Sez. Un. 32058/2018, la quale stabilì che nel giudizio di omologa l’opposizione del creditore doveva limitarsi a questioni di convenienza comparativa, essendo precluso riesaminare meritevolezza già valutata dal giudice di apertura. Questo orientamento permane: i creditori nel concordato minore possono opporsi sull’aspetto della convenienza (cioè che otterrebbero di più dalla liquidazione), e il giudice, se ritiene la proposta comunque migliore per loro del fallimento, può omologare anche con qualche dissenso (60% è soglia minima, ma se la maggioranza c’è, i restanti possono lamentarsi solo se c’è manifesto squilibrio).
In sintesi, il concordato minore offre ai piccoli imprenditori e professionisti uno strumento di composizione dei debiti simile a un mini-concordato, evitando il marchio di fallimento e consentendo di proseguire eventualmente l’attività. È un’opportunità preziosa per salvare imprese familiari o ditte individuali che con un taglio dei debiti possono tornare vitali. La controparte è dover convincere i creditori – ma con l’ausilio dell’OCC la proposta viene costruita in modo credibile e trasparente, il che spesso conquista il pragmatismo dei creditori (meglio il 50% subito che nulla mai).
Liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata è l’equivalente, per i soggetti sovraindebitati, della liquidazione giudiziale (fallimento) per gli imprenditori maggiori. È prevista dagli artt. 268-277 CCII e riprende in parte la vecchia “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012. Vi possono accedere:
- Tutti i debitori sovraindebitati (consumatori, imprenditori minori, professionisti, ecc.), sia volontariamente sia su iniziativa di creditori o del P.M. in certi casi.
- In particolare è spesso l’esito per chi non è riuscito a ottenere o eseguire un piano del consumatore o un concordato minore. Ad esempio, un consumatore che non ha alcuna capacità di pagare può chiedere direttamente la liquidazione del suo patrimonio per poi esdebitarsi; oppure se un concordato minore fallisce (non omologato), i creditori possono chiedere la liquidazione.
La procedura:
- Il debitore presenta un’istanza di apertura liquidazione, oppure un creditore può chiederla (ma solo se il debitore ha cessato pagamenti da 6+ mesi e non ha presentato proposte alternative).
- Il tribunale nomina un liquidatore (di solito un professionista su lista OCC) e dichiara aperta la liquidazione controllata, con decreto.
- Da quel momento il debitore è spossessato dei suoi beni (similmente al fallimento), e il liquidatore li amministra e liquida sotto la vigilanza di un giudice (il tribunale o giudice nominato).
- I creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo al liquidatore entro termini dati. Il liquidatore forma l’elenco dei crediti e lo comunica ai creditori, che possono fare osservazioni; in caso di contestazioni, il tribunale decide sulle ammissioni.
- Il liquidatore liquida i beni con vendite all’asta o trattative.
- Esiste la possibilità di un esercizio d’impresa temporaneo anche qui, se serve per vendere meglio l’azienda (raro per piccoli debitori, ma possibile per un’impresa agricola, ad esempio).
- I beni impignorabili per legge restano fuori (es. cose necessarie alla vita quotidiana, uno stipendio minimo vitale, ecc.).
- A fine liquidazione, il liquidatore ripartisce il ricavato tra i creditori seguendo cause di prelazione come nel fallimento.
- La procedura termina con decreto di chiusura.
Effetti per il debitore:
- Come nel fallimento, perde il controllo dei beni e le azioni individuali si bloccano.
- Non può essere iniziata se il debitore, consumatore, ha già uno strumento pendente (es. un piano in corso).
- Se avviata d’ufficio dopo revoca di accordo/piano, si unificano le procedure.
- Il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti residui a fine procedura (o anche anticipata in caso di incapienza totale, vedi oltre). A differenza del passato, l’esdebitazione non richiede un procedimento a parte ma è quasi automatica (salvo che il debitore sia stato fraudolento o altri casi di indegnità, art. 282 CCII).
- Durante la procedura, il debitore ha l’obbligo di collaborazione, consegna documenti, non può nascondere redditi sopravvenuti (anche essi andrebbero alla massa se superano certe soglie).
- Non subisce però le sanzioni personali del fallimento (non essendo “fallimento”, ad esempio il debitore sovraindebitato, se è imprenditore minore, non viene annotato nel casellario fallimentare pubblico destinato alle imprese, e non ha le stesse interdizioni; certo, ha comunque il peso morale e creditizio di essere in liquidazione).
- Il debitore può chiedere al giudice di poter conservare beni di valore esiguo o di utilità per la famiglia (talvolta i tribunali in liquidazione del patrimonio consentivano di tenere un’auto di modesto valore se serviva per andare al lavoro, etc., con l’accordo dei creditori).
Un aspetto fondamentale introdotto è l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) – anche nota come esdebitazione a zero. Merita un paragrafo dedicato.
Esdebitazione del debitore incapiente (fresh start a zero)
Questa misura consente al debitore persona fisica meritevole che non ha alcun patrimonio liquidabile di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover pagare nulla ai creditori. È, comprensibilmente, un’eccezione molto forte al principio per cui i debiti vanno pagati: si giustifica con finalità umanitarie e di economia sociale, per evitare che persone totalmente in disgrazia rimangano per sempre escluse dalla vita economica.
Condizioni principali:
- Riservata a persone fisiche.
- Debitore meritevole: non deve aver colpe gravi o atti in frode. In pratica gli stessi criteri di meritevolezza dei piani (no frode, no colpa grave). Viene rigettata se ha già ottenuto un’esdebitazione simile nei 5 anni precedenti o se ha fatto spese voluttuarie sproporzionate contribuendo al sovraindebitamento.
- Incapiente totale: significa che il debitore “non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né diretta né indiretta, nemmeno in futuro”. Quindi non ha beni liquidabili e non ha entrate stipendiali significative oltre il minimo vitale. Se anche un piccolo surplus c’è, di solito si indirizza verso una procedura di ristrutturazione. L’idea è destinata a chi proprio non possiede nulla (nessun immobile, auto di valore, risparmi, e reddito appena sufficiente a vivere).
- One shot: si può ottenere solo una volta nella vita.
- Obbligo di sopravvenienze: se entro 4 anni dal decreto di esdebitazione l’incapiente “miracolosamente” dovesse ottenere delle utilità rilevanti (vincita alla lotteria, eredità, aumento reddito, ecc.), è obbligato a pagare i creditori con quelle sopravvenienze per almeno il 10% di quanto ancora dovuto. Se non lo fa, l’esdebitazione può essere revocata su istanza dei creditori.
Procedura: il debitore fa istanza di esdebitazione incapiente al tribunale (spesso dopo una liquidazione chiusa con nulla da distribuire, ma la legge consente di farla anche in assenza di procedura di liquidazione, se proprio non c’è nulla da liquidare: in tal caso il giudice sente i creditori e decide direttamente). Il tribunale valuta le condizioni, può sentire l’OCC o il liquidatore se c’è stato, e emette decreto di esdebitazione, che diventa definitivo se non opposto.
Gli effetti: i debiti anteriori sono cancellati definitivamente, salvo quelli alimentari, da risarcimento danni da illecito e debiti per obblighi di mantenimento e figli (questi restano, per ragioni di equità verso quelle parti). Ma tipicamente sono debiti finanziari, bollette, fisco – tutti spazzati via. Come detto però, per 4 anni il debitore è sotto “sorveglianza”: l’OCC o curatore vigilano sulle sue condizioni (devono riferire se appare un miglioramento economico). Se appare, e lui non spontaneamente dà ai creditori almeno il 10% del nuovo attivo, il beneficio può essere revocato.
Questa esdebitazione incapiente è stata definita in dottrina “esdebitazione di carattere umanitario”. Rappresenta la realizzazione piena del principio del fresh start. Togliere i debiti a chi proprio non può pagare nulla, così che possa reinserirsi in società e (si spera) diventare un contribuente e consumatore attivo di nuovo, anziché restare nell’economia sommersa o disperato. Naturalmente è un istituto che va applicato con rigore per evitare abusi.
Caso pratico: Tizio, ex piccolo imprenditore, ha chiuso l’attività e rimane con €100.000 di debiti. Non ha immobili né beni, vive in affitto, ha 65 anni e prende solo la pensione minima. È inutile aprire una liquidazione: non c’è cosa da vendere. Con l’ausilio OCC, Tizio può chiedere l’esdebitazione incapiente: il giudice verifica che in effetti Tizio non ha nulla e non ha fatto atti in frode (Tizio non ha donato beni prima, semplicemente l’attività è andata male e i risparmi spesi per vivere). Quindi omologa l’esdebitazione incapiente. I creditori non riceveranno nulla (d’altronde non avrebbero ricevuto nulla comunque). Se poi dopo 2 anni Tizio riceve un’eredità di 50.000 €, allora scatta l’obbligo: deve pagare almeno 10% di 100.000 (cioè 10.000) ai creditori. Se lo fa, mantiene l’esdebitazione e si tiene il resto; se non lo fa e i creditori scoprono l’eredità, possono far revocare l’esdebitazione e teoricamente tornare a reclamar tutto (ma a quel punto con l’eredità presente pagherebbero ben più del 10% comunque).
Giurisprudenza:
Già con la L.3/2012, pochi tribunali coraggiosi applicarono l’istituto (introdotto a fine 2020). Pochi casi noti: Tribunale di Torino, 22 marzo 2021 – primo caso di esdebitazione del nullatenente in Italia; Tribunale di Udine, 15 aprile 2021 – concesse a una casalinga con debiti post crollo di attività familiare. Con il Codice, l’istituto è più conosciuto: Tribunale di Cassino, 13 gennaio 2025 (ricordato in dottrina) ha concesso esdebitazione a un settantenne disoccupato con debiti bancari, evidenziando che l’esdebitazione diventerà definitiva solo dopo 3 anni e imponendo il monitoraggio delle sue condizioni da parte OCC. È menzionato che dopo 3 anni (non 4) dal decreto diviene definitiva ex lege, forse intendendo che il controllo patrimoniale è per 4 anni ma la condizione sospensiva cessa dopo 3 – su questo c’è un po’ di confusione interpretativa. In ogni caso, appare che i tribunali stiano usando questo strumento, seppur con prudenza. Non risultano ancora interventi della Cassazione, ma è probabile in futuro sull’interpretazione di “meritevolezza” in tali casi.
Riepilogo sovraindebitamento
In sintesi, le procedure di sovraindebitamento forniscono ai debitori non fallibili un ventaglio di soluzioni:
- Se hai un reddito e vuoi salvare il patrimonio: ristrutturazione dei debiti/piano del consumatore (paghi quello che riesci con i tuoi redditi futuri, ti tieni i beni).
- Se hai un’attività e vuoi evitare di chiuderla: concordato minore in continuità (paghi parte dei debiti col proseguimento dell’attività).
- Se non ce la fai a pagare nulla e accetti di perdere i beni: liquidazione controllata (si vendono i beni, quel poco che si ricava va ai creditori, poi tu vieni esdebitato).
- Se non ce la fai a pagare nulla e per giunta non hai proprio nulla da liquidare: esdebitazione del debitore incapiente (si bypassa la vendita perché non c’è nulla, e vieni esdebitato con condizione).
- In ogni caso, l’obiettivo finale è dare al debitore onesto la liberazione dai debiti e la possibilità di ricominciare senza l’ombra perenne del passato.
Dal lato dei creditori, certo, queste procedure comportano spesso un sacrificio (rinunce anche significative, specie nell’esdebitazione a zero). Però anche il legislatore ha bilanciato: è meglio incassare qualcosa o avere la prospettiva di nulla perché il debitore è nullatenente a vita? Inoltre per accedere a questi benefici la condotta del debitore dev’essere stata corretta e trasparente; chi ha truffato i creditori non viene premiato.
Norme e sentenze chiave sul sovraindebitamento da menzionare:
- Corte Costituzionale n. 83/2018: eliminò la preclusione per chi era stato consumatore “non meritevole” di ripresentare domanda dopo 5 anni, aprendo a un giudizio più equo di meritevolezza.
- Cass. Sez. Un. 2021 n. 19597: ha stabilito che i professionisti (es. avvocati, medici) possono accedere al sovraindebitamento anche per debiti professionali, non sono considerati imprenditori commerciali.
- Cass. 9 maggio 2022 n. 14808: su sovraindebitamento familiare, ha avallato la possibilità di presentare un unico piano familiare se conveniente per la trattazione unitaria, anticipando il Codice che l’ha normato.
- Cass. 15 settembre 2022 n. 26950: su meritevolezza del consumatore, ha precisato che l’indebitamento per ottenere nuova liquidità destinata a ripagare debiti pregressi non integra da sé colpa grave (riferendosi al concetto di credit card refinancing, giustificando talora il ricorso a nuovo debito come tentativo di soluzione).
Tutto ciò confluisce in un sistema in cui il debitore non fallibile ha molte opportunità di uscire dalla crisi con dignità:
- Negoziare con i creditori un accordo (piano del consumatore senza voto, concordato minore con voto).
- Liquidare volontariamente il suo patrimonio sotto controllo (liquidazione controllata).
- Chiedere clemenza totale se proprio non ha nulla (esdebitazione incapiente).
Naturalmente è cruciale il ruolo degli OCC e del tribunale, per valutare caso per caso e prevenire abusi, ma nel complesso il quadro, aggiornato al 2025, riflette un diritto concorsuale più inclusivo e orientato al recupero sociale del debitore sommerso dai debiti.
Tabelle comparative degli strumenti
Di seguito si propongono tabelle riepilogative che mettono a confronto le caratteristiche principali dei vari strumenti di regolazione della crisi, sia per le imprese fallibili che per i debitori sovraindebitati. Le tabelle evidenziano, in forma sintetica, i tempi, i costi, gli effetti, i benefici e i rischi di ciascuna procedura, per aiutare a orientarsi nella scelta dello strumento più adatto.
Confronto tra strumenti per imprese soggette a liquidazione giudiziale
Strumento | Chi può accedere | Natura | Obiettivo (esito) | Coinvolgimento dei creditori | Durata stimata | Costi indicativi | Vantaggi principali | Rischi principali |
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Composizione negoziata | Imprese in crisi probabile o insolvenza non conclamata (con prospettive di risanamento) | Stragiudiziale assistito da esperto | Risanamento tramite accordi volontari (o preparazione concordato semplificato) | Nessun voto formale; accordi volontari con creditori chiave | 3-6 mesi (prorogabile max 12 mesi) | Basso-moderato (compenso esperto, consulenze) | – Riservatezza iniziale– Misure protettive (stay)– Flessibilità negli accordi– Mantenimento gestione azienda | – Nessun vincolo sui dissenzienti– Successo dipende da consenso totale– Pubblicità in caso di misure protettive– Se fallisce, rischio immediato di insolvenza |
Piano attestato di risanamento | Imprese in crisi o a rischio insolvenza, anche non fallibili (no limite legale) | Stragiudiziale unilaterale (con attestazione) | Risanamento e riequilibrio finanziario senza intervento del tribunale | Nessun coinvolgimento forzoso; adesione individuale dei creditori rilevanti | Variabile (potrebbe realizzarsi in 1-3 mesi la predisposizione; esecuzione 6-24 mesi) | Basso (attestatore, consulenti), adempimenti minori | – Nessuna procedura pubblica– Protezione da revocatorie e reati per atti esecutivi– Rapidità e flessibilità– Mantenimento integrale controllo | – Non vincola i creditori estranei– Necessità di convincere ogni creditore chiave– Rischio di azioni esecutive da dissenzienti– Valido solo se credibile e attuabile (dipende da attestatore) |
Accordo di ristrutturazione (ordinario/agevolato/esteso) | Imprese in crisi o insolventi (anche non grandi, incl. agricole) | Stragiudiziale con omologa giudiziale | Ristrutturazione del debito con efficacia generalizzata (ev. continuità aziendale) | Consenso di creditori ≥60% (ordinario) o ≥30% (agevolato); omologa tribunale vincola tutti aderenti ed estranei (con condizioni) | ~6-12 mesi (trattative+omologa) | Moderato (attestatore, legali; costi giudiziali ridotti rispetto a concordato) | – Coinvolgimento parziale: possibile escludere alcuni creditori pagando integralmente– Procedure protettive disponibili– Rapidità relativa e niente voto assembleare complesso– Cram-down su minoranza qualificata (nel caso “esteso” 75%) | – Richiede negoziazione preventiva robusta– Creditori estranei da soddisfare integralmente subito– Opposizioni possibili in omologa– Fallisce se non raggiunge soglie di adesione necessarie |
Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) | Imprese in crisi o insolventi – tipicamente medio-grandi | Giudiziale (ibrido: piano unilaterale con omologa) | Ristrutturazione sotto tutela del tribunale, anche senza accordo preventivo con creditori | Classi di creditori; voto in classi; poss. omologa cram-down anche con classi dissenzienti | ~6-12 mesi (simile a concordato) | Elevato (come concordato: commissario, attestatore, ecc.) | – Può superare dissenso di intere classi (cross-class cram-down)– Protezione ampie (stay) fin dall’inizio– Nessuna soglia rigida di adesioni ex ante– Adatto a ristrutturazioni complesse (può prevedere operazioni societarie, equity ecc.) | – Procedura complessa e onerosa– Incognita decisione giudice su convenienza (maggiore interventismo del tribunale)– Necessaria rigorosa formazione classi e attestazione– Ancora poca esperienza applicativa (incertezze interpretative) |
Concordato preventivo (continuità o liquidatorio) | Imprenditori commerciali assoggettabili a fallimento (no soglia minima di debito) | Giudiziale concorsuale con voto creditori | Risanamento con continuità d’impresa o liquidazione del patrimonio sotto controllo | Voto favorevole >50% crediti votanti; tutte le classi devono approvare o comunque essere soddisfatte a sufficienza (salvo cram-down minoranze ex art.112) | 12-18 mesi (dalla domanda all’omologa), esecuzione piano 1-5 anni | Elevato (spese procedura 10-15% attivo di norma: commissario, legali, periti) | – Soluzione collettiva e definitiva: vincola tutti i creditori– Ampie misure protettive automatiche– Possibilità di falcidiare fortemente i debiti chirografari (con consenso maggioranza)– Continuità aziendale incentivata (moratorie, finanziamenti in prededuzione) | – Procedura pubblica, costosa e lunga– Perdita parziale controllo (commissario, autorizzazioni atti)– Esito incerto (rischio bocciatura e fallimento conseguente)– Requisiti stringenti per liquidatori: 20% minimo ai chirografi in liquidatorio (+ eventuale finanza est.) |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Imprenditori commerciali insolventi (non esonerati) | Giudiziale concorsuale liquidatoria | Liquidazione di tutti i beni e cessazione impresa; riparto ai creditori secondo prelazioni | Nessun consenso richiesto dai creditori (procedura d’ufficio su istanza creditori/PM) | 2-5 anni (a seconda di attivo da liquidare) | Elevato (curatore, spese giustizia; a carico dell’attivo) | – Gestione ordinata ed equa delle vendite e distribuzioni– Sospensione di tutte le azioni individuali (pace legale)– Possibilità di esdebitazione in 3 anni per persona fisica (fresh start)– Eventuale esercizio provvisorio per salvare valore se opportuno | – Debitore spossessato dei beni– Cessazione attività (salvo esercizio provvisorio limitato)– Impatto reputazionale e possibili conseguenze penali (bancarotta)– Tempi non brevi di definizione e soddisfacimento creditori spesso parziale (dividendi bassi) |
Note: Nella tabella sopra, i costi “basso/moderato/elevato” sono indicativi qualitativi: basso per strumenti stragiudiziali (meno adempimenti), elevato per procedure concorsuali con organi. La durata è variabile a seconda del caso concreto. Le percentuali di voto e soglie citate (es. 60% accordi, 30% accordo agevolato, 20% soddisfacimento chirografi in concordato liquidatorio) sono quelle di legge.
Confronto tra strumenti per sovraindebitamento (soggetti non fallibili)
Strumento | Destinatari | Necessità di consenso creditori | Durata | Effetti principali | Benefici per il debitore | Rischi/limitazioni |
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Ristrutturazione debiti del consumatore (piano del consumatore) | Persona fisica consumatore (debiti contratti per bisogni personali) | No voto creditori (omologa giudice se condizioni) | ~4-6 mesi iter (pagamenti fino a 5-7 anni in piano) | – Vincola tutti i creditori chirografari e anche privilegiati per la parte falcidiata– Sospende azioni esecutive dalla presentazione ricorso– Cancellazione debiti residui a fine piano (esdebitazione) | – Mantiene beni essenziali; può prevedere solo pagamento parziale debiti secondo sostenibilità del suo reddito– Giudice può omologare anche con opposizione creditori se piano conveniente– Nessuna pubblicità sui registri imprese (solo Re.G.S.) | – Richiede meritevolezza: no frodi o colpe gravi– Se reddito insufficiente, deve comunque offrire il massimo sforzo (es. cessione quinto stipendio)– Inadempimento del piano = revoca benefici (torna tutto dovuto) |
Concordato minore (ex accordo sovraindebit.) | Debitori non fallibili diversi dal consumatore (es. imprenditore minore, agricolo, professionista, start-up) | Sì, voto creditori 60% di crediti chirografari | ~6-8 mesi iter (esecuzione piano 3-5 anni) | – Sospende azioni individuali con ricorso– Se omologato, obbliga tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) nei limiti del piano– Eventuale esdebitazione residuo a completamento pagamenti | – Possibilità di continuare attività (concordato in continuità minore) con taglio debiti– Procedura semplificata e meno costosa di concordato preventivo (gestore=OCC, niente commissario esterno spesso)– Cram-down fiscale con soglia 30% (omologabile anche se Fisco dissente purché soddisfatto ≥30%) | – Necessario convincere larga maggioranza crediti (60%)– Vincoli di ammissibilità: no utilizzo strumento <5 anni, no colpa grave/frode– Se omologa negata, probabile liquidazione controllata– Pagamento integrale creditori privilegiati salvo consenso alla falcidia |
Liquidazione controllata del sovraindebitato | Qualsiasi debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica non fallibile) in stato di insolvenza | No consenso (procedura d’ufficio su richiesta debitore/creditore) | ~2-4 anni (a seconda attivo da liquidare) | – Patrimonio liquidato dal liquidatore nominato dal tribunale– Creditori soddisfatti secondo prelazioni– Debiti residui cancellati con esdebitazione a fine procedura (persone fisiche) | – Possibilità per il debitore onesto di liberarsi dai debiti anche cedendo tutto il poco che ha– Meno stigma rispetto al fallimento (niente interdizioni civili prolungate)– Tempi relativamente rapidi di chiusura e fresh start (3 anni per esdebitazione) | – Perde disponibilità dei beni (spossessamento)– Cessazione attività aziendale (se impresa)– Eventuali beni personali di valore liquidati (casa, auto) salvo accordi con creditori– Procedura pubblica (registro procedure sovraind.) e costi procedurali (liquidatore) riducono riparti |
Esdebitazione del debitore incapiente (senza attivo) | Persona fisica nullatenente e incapace di offrire utilità ai creditori (consumatore o imprenditore minore) | No consenso (istanza unilaterale al giudice) | ~3-4 mesi per ottenere decreto (monitoraggio 4 anni dopo) | – Debiti cancellati integralmente senza pagamento (salvo obblighi mantenimento, alimentari e risarcimenti danni esclusi)– 4 anni dopo l’esdebitazione diventa definitiva (condizionata) | – “Ultima spiaggia” per chi non ha nulla: libera dalla schiavitù dei debiti e permette di ripartire da zero nella legalità– Mantiene quel poco necessario per vivere (nessuna liquidazione)– Semplicità procedurale (basta dimostrare condizioni e meritevolezza) | – Concessa una sola volta nella vita– Se nei 4 anni successivi sopravvengono utilità >10% debiti, vanno destinate ai creditori (obbligo pagamento); omissione = revoca beneficio– Richiede meritevolezza rigorosa: escluso se frodi, spese voluttuarie ingiustificate, ecc. |
Note: Meritevolezza nel piano del consumatore e nell’esdebitazione incapiente è valutata in base a parametri simili (assenza di dolo o colpa grave nel sovraindebitamento). Nella liquidazione controllata il concetto di insolvenza è analogo a quello fallimentare, ma la procedura è più snella e rivolta a soggetti minori. Tutte le procedure di sovraindebitamento richiedono che il debitore non abbia già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti e non abbia provato a frodare i creditori (ad es. atti in frode negli ultimi 5 anni sono causa di inammissibilità). Le durate indicate non includono eventuali piani di pagamento dilazionati nelle ristrutturazioni o concordati (che possono estendersi per alcuni anni oltre l’omologa). In ogni caso, l’esdebitazione (liberazione dai debiti) per le persone fisiche è l’obiettivo finale comune: immediata a fine piano/concordato, o dopo chiusura liquidazione (entro 3 anni), o condizionata a 4 anni per incapiente.
Domande frequenti (FAQ)
Domanda: Qual è la differenza tra composizione negoziata e concordato preventivo?
Risposta: La composizione negoziata è una procedura volontaria, confidenziale e stragiudiziale, in cui l’imprenditore cerca un accordo con i creditori con l’aiuto di un esperto, senza coinvolgere il tribunale nell’approvazione (salvo chiedere misure protettive). Non c’è voto dei creditori né un piano imposto: tutto dipende dal consenso volontario. Il concordato preventivo, invece, è una procedura concorsuale giudiziale: prevede la redazione di un piano formale, il voto di tutti i creditori in una procedura davanti al tribunale e l’omologazione da parte di un giudice. In sintesi, la composizione negoziata è più informale e flessibile (senza vincolare dissenzienti), mentre il concordato è più strutturato e vincolante erga omnes una volta omologato. Spesso la composizione negoziata serve a evitare o preparare un eventuale concordato. Un’altra differenza: nella composizione negoziata l’imprenditore mantiene il pieno controllo dell’azienda (l’esperto è solo un facilitatore), nel concordato l’impresa opera sotto la vigilanza di un commissario nominato dal tribunale e con atti di gestione straordinaria soggetti ad autorizzazione.
Domanda: Il piano attestato di risanamento ha valore legale verso i creditori?
Risposta: Il piano attestato di risanamento di per sé non vincola i creditori dissenzienti perché è un atto unilaterale del debitore. La sua efficacia deriva dal fatto che i creditori rilevanti aderiscono volontariamente agli accordi esecutivi del piano. Dunque, un creditore che non abbia sottoscritto alcun accordo rimane libero di agire per il pagamento integrale. Tuttavia, se il piano riesce, tutti i creditori vengono soddisfatti secondo quanto previsto. Il vantaggio legale del piano attestato sta nel fatto che gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione di esso non possono essere revocati in un futuro fallimento, e certi reati fallimentari non si applicano. In altri termini, il piano attestato protegge il debitore: se più tardi la procedura concorsuale interviene, le transazioni fatte secondo il piano restano valide e il debitore/amministratore non incorre in responsabilità per aver preferito alcuni creditori. Ma per obbligare i creditori dissenzienti a una riduzione del credito serve comunque uno strumento come l’accordo di ristrutturazione omologato o il concordato preventivo.
Domanda: Che succede se l’accordo di ristrutturazione dei debiti non viene omologato dal tribunale?
Risposta: Se il tribunale rifiuta l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione (ad esempio perché un creditore ha fatto opposizione e il giudice ritiene che l’accordo non assicuri il pagamento integrale ai dissenzienti o che il debitore abbia frodato la legge), l’accordo non produce effetti vincolanti. In tal caso, di solito si aprono due scenari: il debitore può tentare di modificare l’accordo e presentarlo nuovamente (se c’è tempo e i creditori disponibili), oppure i creditori – soprattutto se c’è insolvenza conclamata – potrebbero chiedere la liquidazione giudiziale (fallimento). Spesso il tribunale, negando l’omologa, contesta i punti da correggere: se emendabili (es. assicurare meglio i creditori estranei), il debitore può riprovarci. Se invece il piano è irrealizzabile o il dissenso è forte, è probabile che segua un’insolvenza conclamata e quindi il fallimento. È importante quindi preparare bene l’accordo (dati veritieri, rispetto delle regole per i creditori estranei) per evitare il diniego. Un caso tipico di diniego in passato riguardava la mancata soddisfazione dei creditori fiscali: ora con il cram-down fiscale il giudice può comunque omologare se il Fisco ottiene almeno quanto otterrebbe dal fallimento, riducendo i rischi di rigetto per questo motivo.
Domanda: Nel concordato preventivo, i creditori privilegiati devono essere pagati per intero?
Risposta: Sì, di regola i creditori privilegiati (p.e. ipotecari, pegno, privilegio generale) hanno diritto a essere soddisfatti integralmente nel concordato, altrimenti la legge richiede il loro voto favorevole per accettare un trattamento inferiore (falcidia). In dettaglio: se il piano di concordato vuole falcidiare un creditore privilegiato – ossia non pagarlo al 100% del suo credito o pagarlo in forma dilazionata oltre i limiti di legge – è necessario che un esperto attesti che quel creditore riceve almeno quanto otterrebbe in un fallimento (valore di liquidazione del bene) e che la classe di appartenenza approvi la proposta. Nel concordato in continuità sono ammesse moratorie fino a 6-12 mesi per i privilegiati, e finanche la falcidia, purché attestate come convenienti e approvate. Nel concordato liquidatorio, i privilegiati devono essere pagati integralmente salvo rinuncia. In sintesi: non è automatico che prendano il 100%, ma per pagarli meno servono condizioni e consensi. Ad esempio, se un immobile aziendale vale meno del mutuo ipotecario residuo, il piano può prevedere di pagare la banca ipotecaria solo fino al valore stimato dell’immobile (70% del credito magari) e considerare chirografario il resto, falcidiando quest’ultimo. Questa operazione richiede l’attestazione sul valore di liquidazione e il consenso della classe di quella banca. D’altro canto, i creditori chirografari non hanno diritto a una percentuale minima salvo che sia concordato liquidatorio (in tal caso per legge almeno 20% salvo eccezioni). Quindi la tutela forte è per i privilegiati (che hanno garanzie) e un requisito di soglia per i chirografari solo nei concordati liquidatori.
Domanda: Cos’è in concreto il “concordato semplificato” e quando si può usare?
Risposta: Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) è una speciale forma di concordato senza voto dei creditori, utilizzabile solo dall’imprenditore che abbia tentato senza successo la composizione negoziata della crisi. In concreto, se dopo la fase di composizione assistita l’imprenditore non riesce a trovare un accordo con i creditori, entro 60 giorni dalla chiusura di quella procedura può proporre questo concordato semplificato al tribunale. È detto “semplificato” perché:
- Non c’è votazione dei creditori: il piano viene presentato direttamente al giudice.
- Il tribunale valuta la regolarità della procedura precedente e la fattibilità del piano liquidatorio (deve prevedere la liquidazione del patrimonio dell’imprenditore e la distribuzione ai creditori).
- Se il piano è equo e rispondente all’interesse dei creditori (anche qui serve relazione di un esperto), il tribunale omologa d’ufficio.
- I creditori possono solo presentare osservazioni/opposizioni in udienza, ma non hanno potere di blocco col voto.
In pratica è un “concordato liquidatorio” imposto, derivante dalla composizione negoziata. Serve a evitare il fallimento e consentire una liquidazione più rapida e gestita dal debitore sotto controllo giudiziale. Quando usarlo? Quando l’imprenditore, dopo aver esplorato la negoziazione assistita, si rende conto che l’unica soluzione è liquidare i beni, ma vuole farlo in modo ordinato e senza attendere l’apertura di un fallimento. Presentando il concordato semplificato, mantiene un ruolo attivo (diventa proponente del piano liquidatorio) e spesso concorda già vendite di beni o soluzioni che massimizzano il valore. I creditori sono vincolati dal decreto di omologa del giudice. Si noti che questo strumento non è accessibile liberamente: bisogna aver svolto la composizione negoziata e aver ottenuto la relazione finale dell’esperto con esito negativo. La Cassazione ha confermato che, pur nella sua peculiarità, è un concordato a tutti gli effetti (concorsuale). Vantaggio: velocità e niente quorum di voti; rischio: i creditori insoddisfatti potrebbero opporsi e far emergere criticità, ma il tribunale decide in autonomia.
Domanda: Un imprenditore sovraindebitato (non fallibile) può accedere al concordato preventivo?
Risposta: No, se un imprenditore non supera le soglie di fallibilità (art. 2 CCII) oppure rientra tra i non assoggettabili (es. agricolo), non può utilizzare il concordato preventivo disciplinato per le imprese maggiori. Deve invece ricorrere alle procedure di sovraindebitamento predisposte ad hoc. In particolare, l’equivalente del concordato per un imprenditore minore è il concordato minore. Ad esempio, un artigiano sotto soglia o un agricoltore non possono depositare ricorso per concordato preventivo presso il tribunale fallimentare; devono presentare una proposta di concordato minore presso la sezione competente per il sovraindebitamento (spesso coincide con la sezione fallimentare ma distinto iter). Il concordato minore richiede il 60% di assenso dei crediti chirografari e ha iter semplificato, come spiegato sopra. Allo stesso modo, un consumatore (persona fisica non imprenditore) non può accedere al concordato preventivo né minore: per lui c’è il piano di ristrutturazione del consumatore. Quindi la regola è: debitori non fallibili usano gli strumenti di sovraindebitamento del Capo II, debitori fallibili usano concordato preventivo, accordi, ecc. Una eccezione interessante: l’imprenditore agricolo, pur non fallibile, può utilizzare gli accordi di ristrutturazione dei debiti ordinari perché il Codice lo consente (art. 57 CCII). Quindi un grande agricoltore insolvente potrebbe fare un accordo 182-bis, ma non un concordato. Se quell’accordo fallisce, andrà in liquidazione controllata, non in liquidazione giudiziale.
Domanda: Quali debiti si possono falcidiare (ridurre) nelle procedure di sovraindebitamento? Ad esempio, si possono ridurre i debiti verso Agenzia delle Entrate?
Risposta: Nelle procedure di sovraindebitamento (piani del consumatore, concordati minori), tutti i tipi di debito possono essere ristrutturati, incluse le cartelle esattoriali per tasse e contributi, con poche eccezioni. In passato c’erano limiti sulla falcidia di IVA e ritenute fiscali (non potevano essere toccate), ma tali limiti sono stati superati: oggi il debitore può proporre il pagamento parziale di IVA e altre imposte sia nel piano del consumatore che nel concordato minore, attraverso la cosiddetta transazione fiscale. L’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali partecipano come creditori: nel concordato minore hanno diritto di voto (e spesso esprimono parere tramite l’Avvocatura dello Stato); nel piano del consumatore non votano ma possono opporsi. Il giudice può omologare anche in caso di loro dissenso, a condizione che la proposta verso il Fisco sia almeno pari a quella ottenibile in una liquidazione e che comunque i creditori abbiano un beneficio. Ad esempio, un debito IVA di €50.000 può essere proposto pagato al 20% (€10.000) se in caso di liquidazione il Fisco non prenderebbe nulla – il giudice può approvare tale falcidia. Eccezioni: non si possono falcidiare in alcun modo debiti di mantenimento, alimenti, risarcimenti da illecito colposo o dolo (es. multe per reati) – questi rimangono dovuti per intero anche dopo la procedura (sono esclusi dall’esdebitazione). Ma i debiti tributari e contributivi sì, rientrano e possono essere ridotti o diluiti. Naturalmente occorre includerli nella procedura e seguire le regole (nel concordato minore, serve il voto favorevole se si offre meno del 100% a privilegio o se si chiede stralcio sanzioni/ interessi; nel piano del consumatore serve dimostrare che il Fisco non viene trattato peggio di altri e che il debitore non ha colpe gravi). La Corte Costituzionale e la Cassazione hanno ormai consolidato la legittimità di falcidiare l’IVA nelle procedure concorsuali minori. Dunque, ad oggi sì, i debiti verso AE, INPS, etc. possono essere ristrutturati: si paga una quota e il resto viene stralciato con l’omologa.
Domanda: Dopo una liquidazione giudiziale o controllata, il debitore è libero dai debiti?
Risposta: Sì, potenzialmente. Sia la liquidazione giudiziale (ex fallimento) sia la liquidazione controllata del sovraindebitato prevedono la possibilità di ottenere l’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti, per il debitore persona fisica. Nel fallimento, dal 2012 in poi esiste questo beneficio su istanza; il Codice lo rende ancora più agevole: trascorsi 3 anni dalla chiusura del fallimento, il debitore persona fisica ottiene di diritto l’esdebitazione dei debiti residui (salvo revoca se emergono frodi). Nella liquidazione controllata, l’art. 282 CCII prevede analogamente che il debitore persona fisica è esdebitato di diritto dopo la chiusura, salvo opposizione di creditori per comportamento non collaborativo o frode. In pratica, se il debitore ha agito lealmente, alla fine della procedura viene liberato dai debiti. Per fare un esempio: un piccolo imprenditore subisce una liquidazione controllata, i creditori ottengono il 10% di soddisfo, lui perde i suoi beni. A procedura chiusa, i restanti debiti 90% vengono cancellati (non possono più essere richiesti) e lui può ricominciare senza pendenze. Attenzione: l’esdebitazione non si applica a società (che una volta liquidate si estinguono comunque) né a alcuni debiti di natura personale (obblighi di mantenimento, debiti da reato con sentenza penale, multe). Quelli restano. Ma i debiti civili e commerciali, fiscali, bancari ecc. sì, vengono spazzati via. Nel caso dell’esdebitazione del debitore incapiente, addirittura la liberazione può arrivare senza aver pagato nulla, con la condizione dei 4 anni di “sorveglianza” sulle sopravvenienze. Quindi la risposta è: dopo la procedura concorsuale il debitore onesto è libero, può beneficiare del fresh start. Viceversa, se il debitore si è comportato con dolo o ha nascosto attivo, il giudice può escludere o revocare l’esdebitazione (non premiamo i disonesti). Da notare infine: per i garanti e coobbligati dei debiti ciò non vale, l’esdebitazione è personale. Ad esempio, se Caio è socio garante, i creditori possono ancora agire contro di lui anche se Tizio debitore principale è esdebitato. E se il debitore è una società, non si parla di esdebitazione, semplicemente la società una volta liquidata sparisce e i crediti insoddisfatti pure (salvo andare verso soci se responsabili).
Domanda: Quale procedura conviene di più a un imprenditore in crisi?
Risposta: Non c’è una risposta univoca, dipende dal caso concreto (tailor-made). In generale, la gerarchia di convenienza, dal punto di vista del debitore, potrebbe essere:
- Se l’azienda ha prospettive di recupero e il debitore vuole conservarla, conviene iniziare con gli strumenti meno invasivi: composizione negoziata e piani attestati, tentando un accordo stragiudiziale. Questi lasciano il controllo al debitore e non attivano procedure concorsuali pubbliche. Si tengono come “asso nella manica” procedure pesanti come il concordato solo se la via morbida fallisce.
- Se l’azienda è in crisi ma ancora risanabile con taglio del debito e apporto di risorse, il concordato preventivo in continuità è lo strumento più potente, perché consente di ristrutturare i debiti mantenendo l’impresa in vita e vincolando anche i dissenzienti. Però è costoso e lungo, quindi va scelto se ne vale la pena (azienda di dimensioni significative, creditori numerosi). Se l’impresa è piccola e non fallibile, l’analogo è il concordato minore.
- Se il problema è principalmente di debito finanziario e serve rinegoziarlo con banche, un accordo di ristrutturazione può essere preferibile: meno pubblicità, più velocità, e costa meno di un concordato. Ad esempio, se ho poche banche e disponibilità di pagarle al 40%, faccio un accordo 182-bis invece di un concordato, raggiungendo il 60% di consenso.
- Se la crisi è talmente avanzata che l’unica è liquidare i beni, allora paradossalmente conviene il prima possibile farlo in modo ordinato: o tramite un concordato liquidatorio (se grandi dimensioni), o tramite la liquidazione controllata (se piccola impresa non fallibile). Evitare di accumulare danni. Ad esempio, se l’imprenditore vede che non potrà salvare l’azienda, può essere meglio richiedere egli stesso la liquidazione, vendere i beni e poi chiedere l’esdebitazione, piuttosto che lasciar aggravare il dissesto e arrivare a un fallimento su istanza altrui in condizioni peggiori.
- Per il consumatore privato, di solito conviene provare il piano del consumatore perché non necessita del consenso dei creditori e permette di conservare i beni se sostenibile. La liquidazione del patrimonio personale (perdere la casa, l’auto) è l’ultima spiaggia. Quindi la sequenza consigliata: prima piano, se non fattibile (perché zero reddito) allora liquidazione o esdebitazione incapiente diretta.
In termini di beneficio netto per il debitore: le procedure concorsuali (concordati, liquidazioni) portano all’esdebitazione, cioè alla pace totale, ma a costo di sacrifici maggiori (controllo, patrimonio). Le procedure negoziali (piani, accordi) mantengono più controllo e flessibilità, ma se falliscono fanno perdere tempo e potenzialmente erodono fiducia. Quindi, un imprenditore dovrebbe farsi assistere da esperti e valutare: ho tempo e possibilità di negoziare privatamente? Ho consenso da alcuni creditori chiave? – allora comp. negoziata, accordo o piano attestato. Se invece il tempo stringe, i creditori aggrediscono e serve congelare la situazione subito – allora concordato (o PRO) è preferibile perché offre protezione immediata e risultati vincolanti. Una regola d’oro: prima si usa l’allerta e la negoziazione, poi se necessario si passa al giudiziale. E mai aspettare troppo: il Codice insiste sulla tempestività. Molte sentenze (es. Cass. 5605/2020 SU) condannano l’abuso di ritardare fino all’insolvenza irreversibile. In pratica: conviene la procedura che massimizza la soddisfazione ai creditori compatibilmente col salvataggio dell’impresa, perché così sarà più facile da approvare e meno traumatica per il debitore. Se l’impresa non si salva, conviene quella che chiude prima la vicenda (liquidazione concorsuale e esdebitazione) così il debitore può voltare pagina.
Simulazioni pratiche
Per comprendere meglio il funzionamento concreto degli strumenti trattati, ecco tre casi pratici ipotetici che illustrano come un debitore può affrontare la crisi applicando le varie soluzioni a disposizione. Si tratta di scenari semplificati ma realistici – basati su situazioni tipiche – con indicazione del percorso seguito e dell’esito.
Caso 1: Impresa agricola in crisi trova un accordo di ristrutturazione
Scenario: La Società Agricola Fattoria Verde (Srl agricola) ha accumulato debiti per circa €500.000. In particolare, €300.000 verso la banca (mutui e scoperti di conto), €100.000 verso fornitori di mangimi e attrezzature, e €100.000 verso l’Agenzia delle Entrate (IVA e contributi). Negli ultimi due anni l’azienda ha sofferto per il maltempo e il crollo dei prezzi dei prodotti, ma ha ancora buone prospettive di mercato se riesce a ridurre l’indebitamento. Poiché un’impresa agricola non può essere dichiarata fallita, la società vuole evitare la liquidazione coatta regionale o la chiusura.
Soluzione scelta: Accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII. La società agricola, pur non soggetta a fallimento, può accedere agli accordi di ristrutturazione. I soci si rivolgono a un professionista OCC per predisporre un piano di risanamento: l’idea è chiedere alla banca una riduzione del debito e dilazione lunga, offrire ai fornitori un pagamento parziale in 2 anni e proporre al Fisco una transazione sul debito IVA.
Azioni intraprese:
- Viene elaborato un piano di ristrutturazione: la Fattoria Verde propone di pagare il 60% del debito totale (€300.000 su 500.000) in 5 anni, così suddiviso: alla banca il 50% del dovuto in 5 anni (in cambio di mantenere i fidi per continuare l’attività), ai fornitori il 40% in 2 anni, all’Erario il 30% in 5 anni (tagliando sanzioni e interessi). Queste percentuali sono calibrate sulla base di un business plan che mostra come, ridotti gli oneri finanziari, l’azienda può generare utili per €60.000/anno da destinare ai creditori.
- Si apre la trattativa: l’azienda, assistita dall’esperto, contatta la banca (che è il creditore principale). La banca è consapevole che se la Fattoria chiude, probabilmente realizzerà poco vendendo i terreni all’asta. Dopo vari incontri, la banca accetta in linea di massima la proposta (preferisce il 50% in 5 anni piuttosto che un’incognita). I fornitori, trattandosi per lo più di partner locali interessati a mantenere il cliente, si dicono disposti al 40% (magari fornendo ancora beni a pagamento corrente, pur scontando il pregresso). L’Agenzia delle Entrate inizialmente respinge l’idea di stralcio, ma l’azienda presenta istanza di transazione fiscale indicando che nella liquidazione controllata il Fisco avrebbe preso zero (perché i terreni sono ipotecati dalla banca). Questo argomento fa sì che l’AdE sia propensa a un accordo per incassare almeno €30.000.
- Raggiunti accordi informali, la società deposita in tribunale la richiesta di omologa dell’accordo di ristrutturazione con le adesioni firmate: banca (rappresenta il 60% del debito) e fornitori (20%) hanno firmato. In totale l’80% dei crediti aderisce. L’Erario non firma formalmente, ma non si oppone alla transazione fiscale nel frattempo presentata.
Esito:
- Omologazione del tribunale: dopo 30 giorni, nessuna opposizione rilevante (l’Erario non si oppone perché dimostrata la convenienza; un fornitore non aderente con credito piccolo viene comunque soddisfatto integralmente secondo legge). Il tribunale verifica che i creditori estranei sono pagati come da piano (nel caso, restano solo pochi fornitori minori che verranno pagati al 100% in 120 giorni) e che il piano è fattibile. Omologa quindi l’accordo di ristrutturazione dei debiti. Ciò rende vincolante l’intesa anche per eventuali dissenzienti (non ce ne sono di rilievo).
- Esecuzione: La società agricola continua l’attività. Con l’alleggerimento del servizio del debito (meno rate e interessi grazie al taglio concesso), torna presto in utile. Paga puntualmente le rate concordate. In due anni i fornitori vengono saldati al 40% (e il restante 60% è stralciato). In cinque anni la banca riceve i €150.000 previsti e il fisco €30.000 – dopodiché i residui crediti vengono cancellati per effetto dell’accordo omologato.
- Follow-up: L’azienda, liberata da gran parte del debito, investe in tecnologie agricole e migliora i margini. I rapporti con la banca normalizzati consentono nuovi finanziamenti per crescita. Dal punto di vista legale, l’accordo di ristrutturazione raggiunto ed eseguito evita qualsiasi procedura concorsuale e la Fattoria Verde prosegue normalmente l’attività. I creditori hanno ricevuto più di quanto avrebbero preso se l’azienda fosse collassata – la banca in particolare avrebbe forse incassato il 40% vendendo all’asta i terreni, mentre col piano ne ha ottenuti 50% e ha mantenuto il cliente.
Commento: Questo caso illustra come un’impresa agricola, non fallibile, possa utilizzare efficacemente lo strumento dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Ha beneficiato della flessibilità di poter trattare diversamente con vari creditori (nessuna par condicio da rispettare rigidamente fuori dall’omologa) e di un intervento mirato del tribunale solo per ratificare l’accordo raggiunto. Elemento cruciale è stato mostrare convenienza: ogni creditore ha compreso che l’accordo gli dava di più rispetto allo scenario liquidatorio (che per un’agricola sarebbe la liquidazione controllata). Inoltre si nota l’utilità del cram-down fiscale: l’accordo è stato omologato anche se l’Erario non aderiva formalmente, poiché il giudice ha considerato validamente la sua soddisfazione adeguata rispetto alle alternative. In conclusione, la Fattoria Verde ha evitato la cessazione e il dissesto grazie a una soluzione concordata e sostenibile.
Caso 2: Persona fisica sovraindebitata ottiene un piano del consumatore
Scenario: Il signor Mario Rossi è un dipendente di 45 anni. Anni fa ha contratto vari prestiti personali e usato carte di credito revolving per far fronte a spese mediche familiari e ad alcuni periodi di disoccupazione. Attualmente ha debiti per €80.000: €50.000 verso due banche (prestiti personali), €20.000 di scoperto su carte di credito/finanziarie, e €10.000 di debiti vari (bollette arretrate, piccoli prestiti tra privati). Paga anche un mutuo sulla casa dove vive con la famiglia, ma è in pari con quello (non lo considera nel piano, continuerà a pagarlo regolarmente). Le sue entrate correnti: stipendio netto €1.600/mese. Con moglie e due figli a carico, le spese essenziali assorbono quasi tutto; non può sostenere le rate cumulate di tutti questi debiti, che supererebbero €1.000/mese. È in sovraindebitamento: non riesce più a pagare tutti e alcuni creditori hanno iniziato il pignoramento di 1/5 dello stipendio.
Soluzione scelta: Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”). Mario si rivolge all’OCC istituito presso la sua città. L’Organismo, tramite un gestore, analizza la situazione. Stabilisce che Mario, in base al suo bilancio familiare, può destinare €300 al mese ai creditori, non di più, senza scendere sotto il minimo vitale (tenuto conto dell’affitto, spese alimentari, scolastiche etc.). Su 5 anni, significano €18.000 totali disponibili (300×60). Questo è circa il 22% dell’esposizione totale di 80k. Decide di proporre esattamente la suddivisione proporzionale di quell’importo tra i creditori, senza toccare il mutuo casa. Quindi le banche (che hanno ~60% del debito) prenderebbero circa €11.000 in 5 anni, e così via.
Azioni intraprese:
- L’OCC prepara l’elenco completo dei creditori di Mario con importi e cause dei debiti. Redige una relazione che evidenzia: Mario si è indebitato per necessità (non per spese voluttuarie), ha sempre cercato di pagare finché ha potuto, e non ha colpe gravi (ha perso il lavoro per un anno e ha dovuto usare credito per mantenere la famiglia, poi ha ripreso a lavorare ma i debiti erano troppi).
- Si allegano le prove: buste paga, spese, contratti di finanziamento. L’OCC certifica che i dati sono veritieri e completi e che i creditori, nel caso di liquidazione, non avrebbero nulla: Mario infatti non ha beni pignorabili di valore (vive in affitto, l’auto vale 2.000€). Quindi la convenienza del piano è chiara: se tutti pignorano lo stipendio, ognuno aspetterebbe anni e comunque Mario potrebbe anche licenziarsi disperato. Con il piano invece c’è un ordine e tutti prendono una parte proporzionata.
- L’OCC aiuta Mario a depositare il ricorso in tribunale per l’omologazione del piano del consumatore, chiedendo anche la sospensione degli atti esecutivi. Il giudice emette subito un decreto di cessazione dei pignoramenti sullo stipendio (bloccando il quinto in corso) in attesa della decisione finale.
- I creditori vengono informati del piano proposto: nessuno di essi deve votare, ma possono mandare osservazioni o presentarsi all’udienza. Alcune finanziarie inviano lettere di opposizione generiche, lamentando che il 22% è poco. Le banche invece non si oppongono formalmente (capiscono che il piano offre il massimo realisticamente ottenibile).
- All’udienza in tribunale: Mario, col suo OCC, spiega la situazione. Viene evidenziato come nessun creditore ha contestato la veridicità dei dati o portato elementi di malafede. Le finanziarie presenti insistono che vorrebbero di più, ma il giudice verifica: in una procedura di liquidazione controllata, probabilmente avrebbero preso 0 perché Mario non ha beni. E nota anche che alcune finanziarie avevano concesso credito a Mario già fortemente indebitato (cattiva valutazione del merito creditizio), cosa sottolineata dall’OCC.
Esito:
- Omologazione del piano del consumatore: il giudice dichiara omologato il piano ritenendo rispettate le condizioni: Mario è ritenuto meritevole (indebitamento causato da fattori sfortunati, non da gioco d’azzardo o lusso); i creditori ricevono un’utilità specifica e maggiore rispetto all’alternativa (22% subito vs. nulla in fallimento); il piano è fattibile (€300/mese sono sostenibili con quello stipendio, come attesta OCC); nessun creditore resta pregiudicato ingiustamente (tutti i chirografari sono trattati proporzionalmente).
- Esecuzione: Mario inizia a versare all’OCC €300 ogni mese. L’OCC funge da gestore e ogni 6 mesi ripartisce le somme raccolte tra i creditori, proporzionalmente ai crediti iniziali. I creditori ottengono piccoli acconti regolari, senza dover inseguire Mario. Mario vive con uno stipendio decurtato di 300 (simile a prima col quinto), ma con la tranquillità che dopo 5 anni sarà libero da tutti i debiti. La famiglia riesce a mantenere la casa in affitto e le spese essenziali grazie al bilancio riorganizzato.
- Durante l’esecuzione, uno dei creditori (una finanziaria) prova a vendere il suo credito a una società di recupero che tenta pressioni extra, ma Mario notifica che c’è un piano omologato e ogni azione al di fuori di esso violerebbe il provvedimento del tribunale. La società di recupero desiste.
- Conclusione dopo 5 anni: Mario ha versato puntualmente i €18.000. Il tribunale, su attestazione OCC, dichiara eseguito il piano. Ai sensi dell’art. 14 CCII previgente (ora integrato nell’art. 80 e 282), Mario ottiene l’esdebitazione: il giudice decreta che tutti i debiti oggetto del piano si intendono definitivamente cancellati. I creditori hanno incassato quel 22% complessivo e non possono più pretendere il resto. Mario non ha più pendenze (ha ancora il mutuo casa ma quello era fuori dal piano e continua a pagarlo normalmente).
Commento: Questo caso evidenzia come un consumatore onesto e sovraindebitato possa sfruttare lo strumento del piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore) per rimettere in sesto la propria vita finanziaria. Notiamo alcuni punti:
- Nessun creditore aveva diritto di veto. Anche se alcuni erano scontenti, il giudice ha potuto omologare perché il piano era equo e conveniente per loro rispetto al nulla.
- La valutazione di meritevolezza è stata in favore di Mario: l’OCC ha dimostrato che non ha sperperato denaro ma anzi ha cercato di far fronte alle difficoltà (ad es. ha cercato nuovo lavoro e non ha continuato a indebitarsi quando era evidente che non poteva pagare). Questo è cruciale: se fosse emerso che, ad esempio, aveva fatto nuovi debiti per vacanze di lusso sapendo di non poter pagare, il giudice avrebbe potuto negare l’omologa.
- La sospensione delle azioni esecutive gli ha permesso di uscire dalla morsa del pignoramento sullo stipendio immediatamente, dandogli respiro.
- Alla fine, Mario ha restituito una parte dei debiti, quindi i creditori non possono dire di essere stati totalmente insoddisfatti (22% è meglio di zero). E Mario ha evitato di dover cedere beni (non ne aveva molti) e soprattutto ha ottenuto la certezza della liberazione integrale dai debiti in un periodo definito (5 anni).
- Questo piano è anche sostenibile psicologicamente: sapere che dopo uno sforzo di cinque anni si è liberi dà motivazione al debitore per rispettare gli impegni.
In pratica, è la realizzazione del principio del fresh start per il debitore civile: Mario Rossi, da sovraindebitato sull’orlo della disperazione, diventa entro 5 anni un cittadino senza debiti, con reputazione ricostruita, grazie a una procedura giudiziaria ma non punitiva. E i creditori hanno ottenuto il massimo possibile, riconosciuto anche dall’autorità giudiziaria.
Caso 3: PMI in pre-insolvenza utilizza composizione negoziata e concordato semplificato
Scenario: La Alfa Tech S.r.l. è una PMI manifatturiera (fatturato €5 milioni, 30 dipendenti) che sta attraversando difficoltà. Negli ultimi mesi ha accumulato ritardi nei pagamenti ai fornitori e alle banche: è in crisi ma non ancora formalmente insolvente (può ancora operare, ma vede arrivare decreti ingiuntivi). L’amministratore avverte che se non ristruttura i debiti, entro pochi mesi sarà insolvente. Il passivo scaduto ammonta a €1,2 milioni tra banche e fornitori. La società vorrebbe provare a salvarsi perché ha un portafoglio ordini promettente, ma ha bisogno di tempo e di alleggerimento del debito.
Soluzione scelta: Composizione negoziata della crisi come primo passo, eventualmente seguita dal concordato semplificato liquidatorio se le trattative falliscono. In pratica, Alfa Tech attiva la composizione negoziata per vedere se può trovare un accordo stragiudiziale con i creditori (magari ottenere una moratoria sul debito e nuovi finanziamenti per completare le commesse). Se le trattative non vanno a buon fine, userà la via d’uscita predisposta: il concordato semplificato, con cui chiudere in modo ordinato la crisi liquidando l’azienda.
Azioni intraprese nella composizione negoziata:
- Alfa Tech presenta istanza sulla piattaforma online per nominare un esperto indipendente. Allegati: ultimi bilanci, situazione debitoria, un piano di risanamento preliminare. Dichiara di trovarsi in “stato di crisi” (difficoltà finanziaria seria) ma di avere prospettive di recupero se riesce a dilazionare i debiti e ottenere un socio finanziatore. L’istanza viene accettata e viene nominato un esperto, il dott. Gamma, commercialista esperto in ristrutturazioni.
- L’esperto Gamma studia l’azienda e concorda che c’è margine: se i creditori concedono tempo e se entra liquidità fresca, Alfa Tech può evitare il fallimento e continuare. Convoca quindi i principali creditori: 2 banche (80% dell’esposizione) e i 5 fornitori principali (altri 15%). Prova a negoziare una moratoria di 6 mesi sui pagamenti e uno stralcio parziale dei debiti.
- Vengono fatte varie riunioni. Le banche sono titubanti: chiedono garanzie o un piano più robusto. L’esperto propone che un investitore esterno (un fondo locale) potrebbe entrare con capitali freschi €500.000 se i creditori tagliano del 30% i debiti e dilazionano il resto in 5 anni. I fornitori sono abbastanza aperti (preferiscono mantenere il cliente vivo). Una banca però rifiuta categoricamente di rinunciare a crediti: vuole azioni immediate (è già in sofferenza su Alfa Tech).
- Dopo 3 mesi di negoziazioni intense, appare chiaro all’esperto che non si raggiungerà un accordo totale. Una delle banche e alcuni fornitori minori restano contrari a qualunque concessione. L’esperto redige quindi una relazione finale: la composizione negoziata non ha portato a un accordo. Tuttavia, evidenzia che Alfa Tech ha tentato in buona fede ogni strada.
Svolta verso concordato semplificato:
- Appena chiusa la composizione negoziata senza esito, l’amministratore di Alfa Tech decide di usare la chance prevista dall’art. 25-sexies CCII. Entro 60 giorni, deposita in tribunale una proposta di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. In pratica propone: vendere l’intera azienda Alfa Tech a un competitor (che si era fatto avanti, fiutando l’occasione) per €1,5 milioni, e distribuire il ricavato ai creditori chirografari stimando un soddisfacimento del 50% circa dei loro crediti. I debiti verso banche e fornitori verrebbero così pagati a metà, e l’azienda passerebbe di mano continuando l’attività sotto il competitor (che assorbirebbe i dipendenti). L’offerta di acquisto era emersa proprio durante le trattative: uno dei fornitori maggiori aveva contattato un competitor e orchestrato un interesse.
- Nel concordato semplificato non c’è voto dei creditori, ma essi vengono convocati a un’udienza per discutere la proposta. Alcuni creditori che durante la comp. negoziata erano stati collaborativi (fornitori) sostengono la proposta davanti al giudice, dicendo: “meglio prendere 50% subito che attendere un fallimento incerto”. Una banca si oppone formalmente, sostenendo che l’azienda vale di più di 1,5 milioni e che il piano li penalizza.
- Il tribunale esamina: c’è la relazione dell’esperto della comp. negoziata che attesta la situazione; c’è un’offerta vincolante di acquisto dell’azienda. Si valuta anche la convenienza per i creditori dissenzienti: il giudice considera che in un fallimento la vendita forse avrebbe fruttato meno (perché col fallimento si sarebbero persi clienti e valore avviamento).
- Tenuto conto che la maggioranza dei creditori (per valore) appare non contraria e che la procedura negoziata è stata condotta regolarmente, il tribunale omologa il concordato semplificato. Ciò viene formalizzato con sentenza che rende efficace il trasferimento dell’azienda al competitor acquirente e fissa le percentuali di riparto ai creditori.
Esito:
- L’azienda Alfa Tech viene venduta interamente a Beta Industry S.p.A. (il competitor). Beta paga €1,5 milioni sul conto della procedura concordataria.
- Il liquidatore nominato dal giudice (nella sentenza di omologa si nomina un fiduciario per distribuire) provvede a pagare i creditori secondo quanto stabilito: tutti prendono circa il 50% del loro credito.
- Alfa Tech S.r.l., a seguito della cessione di tutti i beni, di fatto viene chiusa e poi cancellata (liquidata).
- I creditori, anche quelli inizialmente recalcitranti, ricevono metà dei loro crediti in tempi brevi. Non integrali, ma forse più di quanto avrebbero preso nel fallimento dopo anni (valutazione del giudice).
- I dipendenti di Alfa Tech non perdono il lavoro: Beta Industry li assume come parte dell’operazione (questo non era obbligatorio nel concordato, ma era condizione posta dall’acquirente e ben vista dal giudice come salvaguardia della continuità “indiretta”).
- L’imprenditore di Alfa Tech perde la società, ma evita un fallimento personale. Non essendoci atti distrattivi, non avrà problemi di azioni di responsabilità o bancarotta (tra l’altro la sentenza di omologa semplificata chiude la vicenda concorsuale).
Commento: Questo caso mostra un’applicazione integrata di due strumenti: prima la composizione negoziata per provare a salvare l’impresa, poi – fallita la trattativa – il concordato semplificato per liquidare evitando il fallimento.
- La comp. negoziata ha aiutato a guadagnare tempo e a esplorare soluzioni: seppur non ha generato un accordo di risanamento, ha fatto emergere un possibile acquirente e salvato temporaneamente l’azienda dal tracollo grazie alle misure protettive richieste (sì, Alfa Tech aveva chiesto al tribunale nella comp. negoziata di sospendere intanto le esecuzioni: il giudice gliele aveva concesse per 3 mesi). Inoltre, la presenza dell’esperto e la relazione finale hanno poi agevolato la fase successiva, dando credibilità al concordato semplificato.
- Il concordato semplificato è stato decisivo per cristallizzare una soluzione in mancanza di consenso unanime. Qui, se si fosse dovuto votare un concordato tradizionale, forse la banca ostile avrebbe impedito di raggiungere la maggioranza. Invece, con questa procedura, il giudice ha potuto decidere di omologare valutando l’interesse generale del ceto creditorio. Fondamentale è stata la trasparenza: c’era un’offerta concreta e una stima del valore di liquidazione comparativa.
- Dal lato dei creditori, hanno ottenuto in poco tempo il 50%, che è un risultato spesso migliore di lunghe attese fallimentari. Anche la banca contraria, incassato il 50% subito, probabilmente in retrospettiva riconoscerà la ratio.
- Dal lato dell’imprenditore, certo, ha perso l’azienda; ma ciò sarebbe successo comunque in fallimento. In più, ha evitato lo stigma del fallimento e responsabilità personali (il concordato semplificato è concorsuale ma non porta, ad esempio, all’interdizione quinquennale che un fallimento implica, e i creditori soddisfatti al 50% difficilmente aggrediranno per il resto perché stralciato dalla procedura).
- Questo scenario evidenzia l’utilità del collegamento tra composizione negoziata e concordato semplificato: la legge ha previsto questo percorso proprio per dare un’uscita ordinata se la negoziazione fallisce. In pratica, Alfa Tech ha sfruttato un approccio graduale: prima negozio (per salvare se possibile), se no liquido (ma col semplificato invece che col fallimento).
In definitiva, questo caso sottolinea come la soluzione migliore per una PMI in crisi dipende dall’esito delle trattative: avere a disposizione sia strumenti di risanamento (negoziazione assistita) sia di liquidazione mite (concordato semplificato) consente all’imprenditore di giocare tutte le carte per minimizzare i danni. E la finalità del Codice di preservare il valore aziendale è stata centrata: l’attività produttiva di Alfa Tech è proseguita con Beta Industry, i creditori hanno avuto valore, i dipendenti lavoro – il tutto con minima dispersione di valore, grazie ad strumenti concorsuali moderni.
Fonti normative e giurisprudenziali
Di seguito si riportano le principali fonti normative e pronunce giurisprudenziali citate o richiamate nella guida, ordinate per tipologia:
Normativa (Italia):
- D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato in attuazione della L. 155/2017, entrato in vigore il 15 luglio 2022, come successivamente modificato dai decreti correttivi (D.lgs. 147/2020, D.lgs. 83/2022, D.lgs. 169/2022) e integrative (da ultimo D.lgs. 13 ottobre 2022 n. 173 e D.lgs. 13 settembre 2024 n. 136). Il CCII disciplina in modo organico: strumenti di allerta e composizione negoziata, procedure di regolazione della crisi e insolvenza (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale, insolvenza gruppi), nonché procedure da sovraindebitamento (arti. 65-83, 268-277 CCII).
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – “Legge sul sovraindebitamento”, oggi abrogata (dal 15/7/2022) e sostituita dal CCII. Rilevante per i principi introdotti: composizione crisi da sovraindebitamento di consumatori e piccole imprese, piano del consumatore, accordo con i creditori, liquidazione del patrimonio. Alcune pronunce citate si riferiscono a questa legge, applicata fino all’entrata in vigore del Codice.
- D.L. 24 agosto 2021, n. 118, conv. L. 147/2021 – Decreto che ha introdotto anticipatamente la Composizione negoziata della crisi, poi confluita nel Codice (artt. 12-25 CCII), e in via transitoria il concordato semplificato (art. 2 DL 118/21, confluito in art. 25-sexies CCII).
- Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento e Consiglio (20 giugno 2019) – Direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva, insolvenza e esdebitazione, recepita in Italia con D.lgs. 83/2022. Ha ispirato molte novità del Codice: il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), misure protettive uniformi, il cram-down interclassi, la riduzione tempi di esdebitazione (3 anni).
- Codice Civile – Articoli richiamati: art. 2086 c.c. (dovere imprenditore di adottare assetti adeguati per prevenire la crisi, novellato dal D.lgs. 14/2019), art. 2447 c.c. (riduzione capitale sotto minimo, rilevante per allerta), ecc.
- Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR) – art. 88, c.4-ter TUIR: regime fiscale di esenzione per le sopravvenienze attive derivanti da riduzione di debiti nell’ambito di piani attestati pubblicati, concordati e accordi omologati.
Giurisprudenza (Corte Costituzionale):
- C. Cost. 10 marzo 2022, n. 65 – Ha dichiarato infondata la questione di illegittimità sollevata sulla falcidia dell’IVA nel piano del consumatore, ritenendo la normativa conforme alla direttiva UE e sottolineando che il giudice può autorizzare il pagamento parziale IVA purché soddisfi determinate condizioni.
- C. Cost. 13 dicembre 2019, n. 245 – Ha dichiarato illegittimo (nella L.3/2012) il divieto assoluto di includere l’IVA tra i crediti falcidiabili nei piani del consumatore, spianando la strada alla transazione fiscale nel sovraindebitamento. (Precedente normativo superato dal nuovo Codice, ma fondamentale come principio.)
- C. Cost. 22 ottobre 2020, n. 195 – Ha dichiarato illegittime alcune preclusioni concernenti la riammissibilità del consumatore a procedure di sovraindebitamento entro determinati termini, affermando un principio di maggiore accessibilità al fresh start. (Seguita dal legislatore che nel CCII richiede 5 anni di intervallo ma con margini.)
- C. Cost. 24 gennaio 2018, n. 18 – In tema di fallimento, ha dichiarato incostituzionale l’automatica incapacità quinquennale del fallito a partecipare a procedure di appalto pubblico, contribuendo al trend di riduzione dello stigma post-fallimentare (recepito nel CCII).
- C. Cost. 5 dicembre 2019, n. 284 – Riguardo all’esdebitazione post-fallimentare, ha ribadito la ratio di favorire il debitore meritevole e ha sollecitato il legislatore a semplificare l’accesso al beneficio (cosa attuata nel CCII riducendo a 3 anni e rendendola automatica).
Giurisprudenza (Corte di Cassazione):
- Cass., Sez. Un., 12 aprile 2023, n. 9730 – Principio di diritto: il concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII, derivato da DL 118/2021, pur avendo peculiarità (assenza voto creditori), è procedura concorsuale soggetta alle regole generali, incluse quelle sulla competenza territoriale (centro principali interessi).
- Cass., Sez. I, 3 marzo 2023, n. 6508 – In caso di successivo fallimento dichiarato per inammissibilità di un concordato preventivo, la sospensione del decorso degli interessi (ex art. 55 l.fall., ora art. 153 CCII) retroagisce alla data di presentazione della domanda di concordato, non alla sentenza di fallimento.
- Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2020, n. 34447 – Sulla fattibilità del concordato preventivo: ha stabilito che il giudice deve valutare d’ufficio la fattibilità giuridica del piano e la non manifesta inidoneità sul piano economico, ma non può sindacare nel merito scelte imprenditoriali. (Principio recepito dall’art. 47 CCII).
- Cass., Sez. Un., 13 maggio 2021, n. 8500 – Ha risolto un contrasto in materia di concordato in continuità, affermando che il giudice può omologare anche in caso di classe dissenziente se i creditori dissenzienti ottengono un’utilità specifica e la proposta è comunque più vantaggiosa del fallimento (anticipando in parte logiche da cram-down).
- Cass., Sez. I, 10 marzo 2022, n. 8236 – In tema di transazione fiscale nel concordato: ha sancito che il tribunale può omologare un concordato preventivo anche senza adesione del Fisco alla transazione fiscale, applicando l’art. 180, co.4 l.fall. (ora art. 48 CCII) se ritiene la proposta fiscale conveniente (di fatto un cram-down fiscale ante litteram).
- Cass., Sez. Un., 25 gennaio 2018, n. 23225 – Sovraindebitamento: ha stabilito che i professionisti (avvocati, commercialisti) possono accedere alla procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento come “imprenditori non fallibili”, superando dubbi interpretativi sulla loro esclusione. Principio poi esplicitato nel CCII (art. 65 c.2).
- Cass., Sez. Un., 31 marzo 2022, n. 8508 – Ha chiarito che il socio illimitatamente responsabile può essere dichiarato fallito unitamente alla società in concordato preventivo poi risolto, affermando la continuità delle procedure e l’estensione del fallimento (rilevante per gruppi).
- Cass., Sez. I, 11 maggio 2022, n. 14808 – Ha legittimato la procedura familiare di sovraindebitamento: con riguardo alla L.3/2012, ha confermato la possibilità di un unico piano per coniugi con debiti comuni, valutando unitariamente meritevolezza e convenienza (anticipando l’art. 66 CCII).
- Cass., Sez. I, 23 luglio 2021, n. 21525 – Meritevolezza nel piano del consumatore: ha cassato un diniego di omologa affermando che indebitarsi per far fronte a bisogni primari o per pagare altri debiti (rifinanziamenti) non costituisce di per sé colpa grave. Ha invitato i giudici di merito a valutare la meritevolezza con criteri oggettivi e a considerare anche la responsabilità del finanziatore (merito creditizio).
- Cass., Sez. I, 13 ottobre 2021, n. 27928 – Ha ritenuto ammissibile nel concordato minore (accordo ex L.3) la falcidia dei creditori privilegiati con il loro consenso scritto, anche se dissenzienti nel voto, purché il piano ne preveda soddisfacimento non inferiore a liquidazione (coerente col disposto attuale art. 75 CCII).
- Cass., Sez. I, 27 gennaio 2021, n. 1785 – Ha affermato che la presenza di atti in frode ai creditori (es. trasferimenti patrimoniali ingiustificati prima del ricorso) è causa ostativa all’omologa sia del piano del consumatore che dell’accordo (ora art. 69 CCII), potendo il giudice desumere la malafede del debitore e quindi negare l’omologazione.
Giurisprudenza (Tribunali di merito):
- Tribunale di Milano, ord. 17 gennaio 2022 – Composizione negoziata: ha concesso misure protettive pur in assenza di procedure esecutive pendenti, riconoscendo la funzione preventiva dello strumento. Ha inoltre chiarito la competenza del tribunale meneghino per gruppi d’imprese in negoziazione.
- Tribunale di Bergamo, decr. 21 settembre 2022 – Accordi di ristrutturazione agevolati: ha rigettato l’omologa di un accordo “agevolato” (30%) perché il debitore non assicurava il pagamento integrale dei creditori estranei senza dilazione (violazione art. 60 CCII).
- Tribunale di Bari, decr. 8 novembre 2022 – Primo caso di omologazione di concordato minore col nuovo Codice: ha omologato un concordato minore con moratoria di 6 mesi sui creditori privilegiati, ritenendola ammissibile in analogia al concordato preventivo (se funzionale alla continuità).
- Tribunale di Roma, decr. 30 marzo 2023 – Concordato semplificato: ha omologato un concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII nonostante l’opposizione di alcuni creditori, rilevando che la proposta liquidatoria assicurava loro una percentuale (circa 40%) verosimilmente superiore a quella ricavabile dal fallimento – applicando i principi di cui all’art. 25-sexies e confermando la competenza del tribunale che aveva seguito la comp. negoziata (il “foro” rimane lo stesso).
- Tribunale di Torino, decr. 22 marzo 2021 – Esdebitazione incapiente: uno dei primi provvedimenti di accoglimento ex art. 14-quaterdecies L.3/2012, ha concesso l’esdebitazione “a zero” a un debitore ultra sessantenne senza redditi né beni, ritenuto meritevole, imponendo il monitoraggio quadriennale di eventuali sopravvenienze (prima applicazione pratica del meccanismo).
- Tribunale di Udine, decr. 15 aprile 2021 – Altro provvedimento di esdebitazione del debitore incapiente: ha sottolineato come la novella consenta una “esdebitazione umanitaria” e ha ammonito il debitore che eventuali migliorie economiche entro 4 anni dovranno essere comunicate per evitare la revoca del beneficio.
- Tribunale di Oristano, decr. 19 maggio 2023 (segnalato da dottrina) – Piano del consumatore: ha giudicato non inescusabile la condotta del debitore che aveva fatto affidamento sul credito facile offerto dalle finanziarie, ritenendo che la “colpa” del sovraindebitamento andasse in parte imputata alla concessione irresponsabile di credito. Ha dunque omologato il piano nonostante le opposizioni, sposando una nozione di meritevolezza non punitiva verso il consumatore sovraindebitato.
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