Hai ricevuto una cartella esattoriale per mancato pagamento dell’IVA e non sai come reagire? Ti stai chiedendo se puoi impugnarla, rateizzarla o se rischi il pignoramento immediato?
La cartella IVA è uno degli atti più temuti dagli imprenditori e dai titolari di partita IVA, perché può avere conseguenze rapide e gravi se non viene gestita subito. Tuttavia, in molti casi esistono strumenti per contestarla, sospenderla o rientrare nei pagamenti in modo protetto.
Ma da cosa deriva una cartella per IVA non pagata?
Può derivare da vari scenari: mancato versamento dell’imposta dichiarata, errori formali nel modello F24, controllo automatizzato o accertamento d’ufficio da parte dell’Agenzia delle Entrate. In tutti questi casi, l’Agenzia – una volta chiusi i termini di pagamento – può affidare il debito alla Riscossione e far partire la cartella.
Cosa contiene la cartella?
Troverai l’importo dovuto, gli interessi, le sanzioni e le spese di notifica. Ma attenzione: non è detto che l’importo sia corretto o legittimo, e in alcuni casi è possibile impugnare l’atto per errori di calcolo, prescrizione o vizi nella procedura.
Cosa puoi fare se ricevi una cartella IVA?
Hai diverse opzioni, e tutto dipende da tempistiche e contenuto:
– Hai 60 giorni per impugnare la cartella davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, se ci sono vizi sostanziali o formali.
– Puoi chiedere la rateazione alla Riscossione, se il debito è corretto ma non riesci a pagare subito.
– Puoi anche chiedere l’annullamento in autotutela, se l’atto è manifestamente errato.
– In caso di grave crisi, puoi accedere a strumenti straordinari come la composizione negoziata o il sovraindebitamento, per sospendere tutto e trattare il debito globalmente.
E se non fai nulla?
Trascorsi i termini senza alcuna azione, la cartella diventa definitiva e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può procedere con pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche o blocco dei conti. Per questo è essenziale non restare fermo e agire subito, con l’assistenza giusta.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria, riscossione e procedure d’urgenza – ti spiega cosa fare se ricevi una cartella IVA, quali sono i tuoi margini di manovra e come possiamo aiutarti a proteggere il tuo patrimonio e la tua attività.
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Introduzione
Una cartella esattoriale per mancato pagamento IVA rappresenta uno degli strumenti più incisivi con cui il Fisco italiano (tramite l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) procede al recupero coattivo dei crediti tributari. Si tratta di un atto formale, indirizzato al debitore, contenente l’intimazione a pagare entro 60 giorni determinati importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, con l’avvertimento che in mancanza si darà corso all’esecuzione forzata. In questa guida, aggiornata a giugno 2025, offriremo una panoramica avanzata e normativa sull’argomento, dal punto di vista del debitore.
Il linguaggio utilizzato sarà giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia a imprenditori e privati cittadini che vogliono comprendere a fondo i propri diritti e doveri. Affronteremo la disciplina delle cartelle di pagamento IVA e altri tributi, includendo i casi in cui l’ente creditore (detto ente impositore) non sia l’Agenzia delle Entrate, ma ad esempio un Comune, un ente previdenziale (INPS) o altro. Saranno analizzati tutti i rimedi esperibili dal debitore – dal ricorso in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria) alle istanze di autotutela, dalla rateizzazione del debito alle opposizioni giudiziarie speciali. Verranno inoltre esaminate le misure esecutive e cautelari collegate al mancato pagamento: dall’ipoteca sugli immobili al fermo amministrativo dei veicoli, fino ai vari tipi di pignoramento.
Per rendere la trattazione più concreta, includeremo casi pratici e simulazioni basati su situazioni tipiche in Italia, evidenziando come applicare le norme ai casi reali. Ogni sezione conterrà tabelle riepilogative (ad esempio sui termini di impugnazione, gli enti coinvolti, le differenze procedurali) per facilitare la consultazione rapida. Sarà presente anche una sezione di FAQ – Domande frequenti, con risposte concise ai dubbi più comuni dei debitori.
Infine, chiuderemo con una sezione dedicata a riferimenti normativi e giurisprudenziali: verranno citate le fonti (leggi, decreti, articoli di legge) e le principali sentenze aggiornate al 2025 (dalle Commissioni Tributarie fino alla Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale) che regolano la materia.
Nota bene: la guida è focalizzata sulle cartelle derivanti da tributi (in primis IVA, ma anche imposte dirette, tributi locali, contributi) e non su altre forme di riscossione (come l’ingiunzione fiscale utilizzata da alcuni enti locali), sebbene molti principi siano analoghi. L’obiettivo è fornire al debitore una visione completa di cosa fare quando si riceve una cartella esattoriale per IVA non pagata, come difendersi legalmente e quali strategie adottare per gestire o risolvere il debito, alla luce delle ultime novità legislative di giugno 2025.
Cos’è la cartella esattoriale e come funziona
La cartella di pagamento (o “cartella esattoriale”) è un atto formale con il quale l’Agente della Riscossione richiede al contribuente il pagamento di somme iscritte a ruolo. In termini semplici, è la “bolletta” (con valore legale di precetto) che segue la formazione di un ruolo esattoriale, ossia l’elenco dei debiti che l’ente creditore ha trasmesso al soggetto riscossore per la riscossione coattiva. La cartella viene emessa a nome dell’ente impositore (ad esempio l’Agenzia delle Entrate per l’IVA statale, o un Comune per un tributo locale, o l’INPS per contributi), ma notificata al debitore dall’Agenzia Entrate-Riscossione (AdER), che è il concessionario pubblico incaricato di riscuotere quei crediti. Dal 1° luglio 2017 AdER ha preso il posto di Equitalia, centralizzando la riscossione nazionale.
La funzione della cartella è duplice: contiene sia il titolo esecutivo (costituito dal ruolo, che rende certa e liquida la pretesa) sia l’intimazione di pagamento entro 60 giorni, svolgendo in un solo atto la stessa funzione che, nel processo civile ordinario, hanno la notifica del titolo e del precetto. In pratica, ricevere una cartella significa che il debitore ha ufficialmente 60 giorni di tempo dalla notifica per pagare l’importo indicato. Trascorso questo termine senza pagamento, la cartella diviene esecutiva e l’Agente della Riscossione potrà avviare direttamente le azioni di espropriazione forzata (pignoramenti mobiliari, immobiliari, ecc.) senza bisogno di ulteriori avvisi o autorizzazioni giudiziarie. La cartella, dunque, è l’ultimo avvertimento: dopo, la “macchina” della riscossione coattiva può mettersi in moto rapidamente.
Forma e contenuto: la cartella di pagamento è redatta su un modello ministeriale standard. Essa indica il dettaglio delle somme dovute (sorte capitale, sanzioni, interessi, aggi e spese) e riporta per ciascun credito il riferimento all’ente impositore che lo ha iscritto a ruolo. In calce contiene l’intimazione ad adempiere entro 60 giorni dalla notifica, con l’avvertimento che in difetto si procederà a esecuzione forzata. Deve inoltre indicare il responsabile del procedimento di emissione e di notifica, in ottemperanza allo Statuto del Contribuente (L. 212/2000). La notifica può avvenire via PEC (Posta Elettronica Certificata, obbligatoria per imprese e professionisti) oppure tramite messo notificatore o posta raccomandata per i soggetti non obbligati alla PEC. Eventuali vizi di notifica (ad esempio cartella consegnata a indirizzo errato, o a familiare convivente senza l’invio della raccomandata informativa) possono rendere nulla la cartella e costituiscono motivo di impugnazione (ne riparleremo nei rimedi).
Quando nasce una cartella? Tipicamente la cartella segue il mancato pagamento spontaneo di un tributo o di una sanzione. Ecco le casistiche più comuni nel caso dell’IVA e di altri tributi:
- Omesso versamento di imposta dichiarata: se un contribuente dichiara un debito IVA nella propria liquidazione o dichiarazione annuale ma non lo versa entro la scadenza, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere il dovuto a ruolo. Di regola, prima di emettere la cartella, il contribuente riceve un avviso bonario (ex art. 36-bis DPR 600/1973 o art. 54-bis DPR 633/1972) con l’invito a pagare entro 30 giorni con sanzioni ridotte. Se non si paga l’avviso bonario, il debito viene iscritto a ruolo e trasmesso all’AdER, che notificherà la cartella entro i termini di legge (vedi oltre). La cartella conterrà l’imposta non pagata, la sanzione per omesso versamento (generalmente il 30% dell’imposta, salvo riduzioni per acquiescenza) e gli interessi maturati dal giorno di scadenza originaria fino alla cartella (interessi di ritardata iscrizione a ruolo, di solito al tasso del 4% annuo).
- Accertamento d’ufficio divenuto definitivo: se l’IVA dovuta deriva da un controllo o verifica (es. un avviso di accertamento per IVA non dichiarata o indebitamente detratta), oggi l’Agenzia delle Entrate emette atti immediatamente esecutivi. Dal 2011 per i tributi erariali vige infatti il sistema dell’accertamento esecutivo: l’avviso stesso, decorsi 60 giorni dalla notifica (senza ricorso), vale come titolo esecutivo e viene affidato all’AdER per la riscossione senza bisogno di cartella. In tal caso il contribuente riceverà un “avviso di presa in carico” o un’intimazione di pagamento (non una cartella tradizionale) prima dell’esecuzione. Tuttavia, se l’accertamento è antecedente a tale riforma, oppure riguarda annualità in cui non si applicava l’accertamento immediatamente esecutivo, o se l’atto impositivo non è stato pagato né impugnato ed è divenuto definitivo, allora verrà emessa una cartella entro il 2° anno successivo alla definitività dell’atto. La cartella in questo caso contiene le somme accertate (imposta, sanzioni amministrative per infedele dichiarazione, interessi) e rappresenta l’ultima chance di pagamento prima dell’esecuzione.
- Altri crediti non tributari: la cartella esattoriale può riguardare anche sanzioni amministrative (multe stradali, violazioni amministrative) o contributi previdenziali e altre entrate, se l’ente creditore si avvale dell’AdER per la riscossione. Ad esempio, una multa stradale non pagata dopo la notifica del verbale e del successivo ruolo viene iscritta a ruolo dal Comune e affidata ad AdER, che notifica una cartella con l’importo della sanzione raddoppiato ex lege, oltre interessi e spese. Ancora, fino al 2011 l’INPS iscriveva a ruolo i contributi non versati, notificando cartelle ai debitori; oggi invece emette avvisi di addebito (anch’essi titoli esecutivi immediati), ma per vecchi periodi si possono ricevere cartelle INPS. Queste fattispecie “non tributarie” seguono regole in parte differenti (specie per i rimedi e i termini, che vedremo), ma la struttura base della cartella è la stessa.
Sintesi: la cartella di pagamento è dunque l’atto cardine della riscossione esattoriale. Per il debitore, ricevere una cartella significa trovarsi di fronte a un credito definitivo e immediatamente esigibile: i margini per contestare il merito del debito sono ristretti (se non si è precedentemente agito), e occorre muoversi tempestivamente per evitare le pesanti conseguenze dell’inadempimento. Nei capitoli seguenti vedremo quali sono le tutele e i rimedi a disposizione del debitore, ma prima riepiloghiamo la cornice normativa che regola l’emissione delle cartelle e i termini da rispettare per l’ente e per il contribuente.
Disciplina normativa e termini di emissione
La disciplina delle cartelle esattoriali trova fondamento principalmente nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (“Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”), in particolare agli articoli 24-30 per quanto riguarda il ruolo e la cartella di pagamento. L’art. 25 DPR 602/73 stabilisce i termini di decadenza entro cui la cartella deve essere notificata al contribuente, a pena di perdere efficacia. Tali termini variano a seconda della natura del debito:
- Tributi derivanti da dichiarazione (liquidazioni automatiche ex art. 36-bis DPR 600/73, es. IVA dichiarata e non versata): entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (termine aumentato rispetto al passato, in quanto fino al 2015 era il secondo anno). Ad esempio, per un’IVA dichiarata e non versata nel 2022, la cartella va notificata entro il 31/12/2025. Se la dichiarazione non è stata presentata affatto (omissione dichiarativa), l’attività di accertamento segue altri termini (5 o 7 anni a seconda dei casi), dopodiché eventuale cartella va notificata entro i termini dall’accertamento definitivo (vedi oltre).
- Tributi da controllo formale (ex art. 36-ter DPR 600/73, ad es. verifiche documentali su dichiarazioni): entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla dichiarazione. Ciò copre situazioni in cui l’Agenzia rileva errori formali o documentali (per es. oneri non spettanti) e li liquida: la relativa cartella, se dovuta, deve arrivare entro il quarto anno seguente.
- Somme da atti di accertamento: se l’ufficio emette un avviso di accertamento e questo diviene definitivo (per mancato ricorso o a seguito di sentenza passata in giudicato), l’iscrizione a ruolo deve essere notificata entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo. Esempio: avviso di accertamento IVA per l’anno 2018, divenuto definitivo (nessun ricorso) il 10/10/2021 – la cartella va notificata entro il 31/12/2023. Nota: Questa regola ha perso importanza per i tributi erariali oggetto di accertamento esecutivo post-2011, perché in tali casi non c’è cartella ma si procede direttamente dopo 60 giorni. Resta invece applicabile per gli accertamenti di tributi locali pre-2020 (oggi anch’essi esecutivi immediatamente dal 2020 in poi, vedi dopo) e per i casi in cui, pur emesso l’atto, l’ente preferisca il ruolo (ad esempio, accertamenti doganali).
- Decadenza per ruoli da rateazioni decadempite: l’art. 25 include anche un termine (lettera c-bis) per i casi in cui un contribuente decada da un piano di rateazione su un avviso bonario (art. 15-ter DPR 602/73): in tali situazioni la cartella deve essere notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo alla scadenza dell’ultima rata non pagata. Questa previsione evita che l’ente attenda troppo dopo la decadenza dal beneficio della rateazione sugli avvisi bonari.
- Crediti previdenziali, multe e altre entrate non tributarie: i termini decadenziali sopra descritti sono espressamente riferiti a imposte. Per altre tipologie di credito iscritto a ruolo (ad esempio contributi INPS, sanzioni amministrative), la norma non prevede un termine di decadenza analogo, salvo disposizioni specifiche. In generale, per questi crediti valgono i termini di prescrizione (di cui parleremo più avanti) più che termini decadenziali per la cartella. Va tuttavia segnalato che per le multe stradali il D.Lgs. 285/1992 (Codice della Strada) prevede un termine di notifica del ruolo di 2 anni dall’esecutività del verbale o dell’ordinanza, oltre il quale il diritto alla riscossione si prescrive (art. 209 CdS). Per i contributi, la L. 335/1995 ha fissato termini di prescrizione (5 anni) ma non decadenze per l’iscrizione a ruolo – l’INPS può emettere avvisi anche oltre, ferma la prescrizione eventualmente maturata.
In sintesi, il rispetto dei termini di decadenza per la notifica della cartella è un primo fondamentale baluardo a tutela del contribuente: se l’ente impositore o l’Agente della Riscossione notificano la cartella in ritardo (oltre il termine previsto), il debitore potrà far valere la decadenza e l’atto sarà annullabile. Ad esempio, una cartella IVA notificata dopo tre anni dall’anno in cui si sarebbe dovuta emettere è illegittima e può essere impugnata per decadenza del potere di riscossione. Le eccezioni e i casi particolari (concordati preventivi, piani di ristrutturazione, procedure di sovraindebitamento) sono normati dalle lettere da a) a c) dell’art. 25, comma 1-bis, e introducono termini ad hoc in caso di risoluzione/annullamento di tali procedure, ma rientrano in scenari molto specifici.
Soggetti coinvolti nella cartella: in ogni cartella troviamo indicati chiaramente:
- L’Ente impositore (creditore originario): es. Agenzia delle Entrate per IVA o IRPEF, Comune X per IMU/TARI, INPS per contributi, Ministero Y per sanzioni, etc. È l’ente che ha “generato” il debito iscrivendolo a ruolo.
- L’Agente della riscossione: oggi è sempre l’AdER per i ruoli nazionali (in passato poteva essere una società concessionaria privata per ambiti locali, ma dal 2011 la riscossione è stata ri-centralizzata). L’Agente provvede alla notifica, incassa le somme e applica le procedure esecutive.
- Il debitore (e gli eventuali coobbligati o garanti iscritti a ruolo). Se, ad esempio, parliamo di IVA in ambito societario, i coobbligati potrebbero essere i responsabili solidali se previsti, ma nella maggior parte dei casi il debitore è l’intestatario della partita IVA o il soggetto passivo dell’imposta.
- Il responsabile del procedimento: come detto, la legge impone di indicare un nominativo dirigenziale che risponde della correttezza della procedura di formazione o notifica della cartella (questo per garantire trasparenza secondo lo Statuto del Contribuente, art. 7 L. 212/2000).
Aggiornamenti normativi recenti (2023-2025): va evidenziato che il settore della riscossione ha subito importanti novità negli ultimi anni:
- Il D.Lgs. 149/2022 (riforma della giustizia tributaria) ha ridenominato le Commissioni Tributarie in Corti di Giustizia Tributaria, ma ai fini pratici il meccanismo di impugnazione della cartella resta analogo.
- La Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha introdotto misure di “pace fiscale”, tra cui la rottamazione-quater (definizione agevolata delle cartelle dal 2000 al 30/6/2022) e lo stralcio automatico dei debiti fino a €1.000 affidati a ruolo entro il 2015. Questo impatta sui carichi iscritti ma non riguarda la procedura generale (se non per le opportunità di sgravio per il debitore, di cui diremo).
- La Legge 130/2022 e il successivo D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 110 hanno delegato e attuato un riordino del sistema nazionale di riscossione, in vigore dal 2025. Tra le novità: maggiore flessibilità nelle dilazioni (rate fino a 84-120 mesi, vedi oltre), soglia di importo elevata a €120.000 per ottenere piani di rateazione con semplice richiesta, pianificazione annuale dei carichi per codice fiscale, ed altre misure volte a rendere più efficiente e “mirata” la riscossione. L’art. 13, comma 3, del D.Lgs. 110/2024, ad esempio, conferma che per le istanze di rateizzazione presentate fino al 31/12/2024 valgono le vecchie regole, mentre dal 1/1/2025 si applicano i nuovi limiti e condizioni.
- Il DL “Milleproroghe” 2025 (convertito con L. 15/2025) ha prorogato alcuni termini di pagamento delle definizioni agevolate e riaperto parzialmente i termini per chi era decaduto dalla rottamazione-quater, nonché esteso al 2024 la possibilità per i Comuni di aderire allo stralcio dei mini-debiti. Queste misure puntuali confermano la tendenza del legislatore a intervenire frequentemente in materia di riscossione con norme eccezionali.
In quadro normativo così complesso, la presente guida cercherà di mettere in ordine i vari aspetti, distinguendo tra regole generali (valide ordinariamente) e misure speciali o eccezionali. Nel prossimo capitolo entreremo nel vivo dei rimedi a disposizione del debitore che riceva una cartella esattoriale, iniziando dal ricorso in sede tributaria, passando per l’autotutela, le sospensioni, la rateizzazione, fino alle opposizioni e ai casi particolari.
Tabella 1 – Termini di notifica della cartella di pagamento (principali casi)
Causale del debito | Termine di notifica cartella | Riferimento normativo |
---|---|---|
IVA (o IRPEF, IRES) da dichiarazione non pagata | 31 dicembre del 3° anno successivo alla dichiarazione | Art. 25, c.1 lett. a) DPR 602/1973 |
Tributi da controllo formale (36-ter) | 31 dicembre del 4° anno successivo alla dichiarazione | Art. 25, c.1 lett. b) DPR 602/1973 |
Somme da accertamento divenuto definitivo | 31 dicembre del 2° anno successivo a definitività | Art. 25, c.1 lett. c) DPR 602/1973 |
Decadenza rateazione avviso bonario (15-ter) | 31 dicembre del 3° anno successivo a scadenza ultima rata | Art. 25, c.1 lett. c-bis) DPR 602/1973 |
Multe Codice della Strada (ruolo dal Prefetto) | ≈ 2 anni dall’esecutività del verbale/ordinanza (prescr.) | Art. 209 D.Lgs. 285/1992 (prescrizione 5 anni) |
Contributi previdenziali INPS | Nessun termine di decadenza fisso (prescrizione 5 anni) | L. 335/1995; Cass. SS.UU. 23397/2016 (prescr.) |
Nota: i termini sopra indicati sono quelli generali fissati dalla legge. Eventuali notifiche oltre tali scadenze possono essere contestate per decadenza. Restano ferme le eventuali sospensioni normative (es. moratorie Covid 2020-21 che hanno esteso i termini di notifica degli atti per quei periodi) e i casi particolari previsti da norme speciali. La prescrizione indica invece l’estinzione del diritto di credito per decorso del tempo dopo la notifica (se non intervenuta alcuna azione interruttiva): di questa tratteremo in dettaglio più avanti.
Rimedi del debitore contro la cartella di pagamento
Passiamo ora alla panoramica dei rimedi esperibili dal debitore che riceve una cartella esattoriale. È fondamentale distinguere tra:
- Rimedi amministrativi (istanze all’ente o all’AdER per correggere o sospendere la cartella, senza adire immediatamente un giudice).
- Rimedi giudiziari (ricorsi o opposizioni innanzi all’autorità giudiziaria competente, sia essa la Corte di Giustizia Tributaria, il Giudice di Pace o il Tribunale, a seconda del tipo di debito).
Vedremo inoltre le possibilità di rateizzazione del debito come strumento per gestire il pagamento, nonché le azioni per ottenere la sospensione delle procedure esecutive. Infine tratteremo delle opposizioni in sede civile alle azioni esecutive, le quali rappresentano rimedi di carattere eccezionale in ambito tributario (disciplinati da norme speciali). Cominciamo dal rimedio fondamentale per contestare il merito della pretesa tributaria: il ricorso in Commissione Tributaria.
Ricorso in Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria)
Il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) – dal 2023 denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado – è lo strumento giurisdizionale principale per impugnare una cartella esattoriale relativa a tributi. Questo ricorso rientra nel cosiddetto contenzioso tributario, regolato dal D.Lgs. 546/1992 (recentemente modificato dalla riforma del 2022). Ecco i punti chiave da sapere:
- Atti impugnabili: ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 546/1992, sono impugnabili innanzi al giudice tributario, tra gli altri, la cartella di pagamento e l’avviso di intimazione emesso ai sensi dell’art. 50 DPR 602/73, in quanto atti della riscossione relativi a tributi. Pertanto, se si contesta il contenuto della cartella (es. la debenza del tributo, un vizio dell’atto presupposto, o errori nel calcolo), il ricorso tributario è la via appropriata. Va ricordato che la cartella è spesso l’atto conseguente ad altri, come un avviso di accertamento o un avviso bonario. Se tali atti “presupposti” non sono stati impugnati a suo tempo, il debitore può contestare la cartella solo per vizi propri (es. la mancata notifica dell’atto precedente, la decadenza, la prescrizione maturata, errori materiali), mentre non può più rimettere in discussione nel merito la pretesa tributaria già cristallizzata. Ad esempio, se ricevo una cartella IVA perché non ho impugnato un avviso di accertamento entro 60 giorni, non potrò eccepire in ricorso ragioni di merito sull’accertamento (quelle sono coperte da “giudicato interno”), ma potrò eccepire l’eventuale omessa notifica dell’avviso stesso o la decadenza della cartella oltre i termini.
- Termine per ricorrere: il ricorso va proposto entro 60 giorni dalla notifica della cartella (il computo è a giorni “liberi”, escluso il dies a quo, ed è prorogato al primo giorno lavorativo successivo se il 60° cade di sabato, domenica o festivo). Il termine è perentorio: decorso inutilmente, la cartella diviene definitiva e non più contestabile nel merito. Non sono ammessi ricorsi “tardivi” in ambito tributario, salvo il caso in cui si contesti la mancata notifica della cartella stessa: in tal caso, se il contribuente ne viene a conoscenza solo più tardi (ad esempio tramite un’estratto di ruolo o un’intimazione), potrà impugnare quello che per lui è il primo atto conosciuto, deducendo l’omessa notifica a suo tempo della cartella. La Cassazione ha ammesso che l’estratto di ruolo (il documento interno con l’elenco dei debiti) possa essere impugnato dal contribuente solo in casi eccezionali di mancata notifica e concreto pregiudizio, ma la normativa dal 2022 ha ristretto questa facoltà (vedi paragrafo successivo). Pertanto, è fondamentale rispettare il termine di 60 giorni dal ricevimento della cartella.
- Giurisdizione e competenza: per i tributi erariali e locali, la giurisdizione è sempre delle Commissioni Tributarie (ora CGT). La competenza territoriale della Commissione Provinciale è generalmente determinata dal domicilio fiscale del contribuente o dalla sede dell’ente impositore. Ad esempio, un contribuente di Milano che riceve una cartella IVA dall’Agenzia Entrate – Direzione Regionale Lombardia, presenterà ricorso alla CTP di Milano. Se la cartella riguarda un tributo locale, competente è la CTP della provincia in cui ha sede l’ente locale (spesso coincidente col domicilio del contribuente se il tributo è territoriale). Il ricorso si propone con atto scritto, da notificare all’ente impositore (e per conoscenza all’AdER se riguarda la riscossione) anche a mezzo PEC, e va poi costituito in giudizio presso la segreteria della Commissione entro 30 giorni dalla notifica.
- Motivi di ricorso: i motivi possono riguardare vizi formali della cartella (vizi di notifica, carenza di motivazione, mancata indicazione del responsabile, mancata sottoscrizione, ecc.) e vizi sostanziali, ossia la non debenza del tributo. Per quest’ultima categoria, come detto, occorre distinguere:
- Se la cartella segue un atto precedente non impugnato (avviso di accertamento, avviso bonario divenuto definitivo), in genere il merito del tributo è ormai definito. Sarà possibile però eccepire l’eventuale prescrizione del credito sopravvenuta (ad esempio se la cartella è stata notificata oltre il quinquennio/decennio dalla scadenza – vedi sezione sulla prescrizione), oppure l’nullità dell’atto presupposto mai notificato (es. accertamento mai ricevuto), o la decadenza per tardiva iscrizione a ruolo. In pratica, la cartella può essere il veicolo processuale per far valere quelle eccezioni che, senza colpa, il contribuente non poteva sollevare prima (perché ignaro dell’atto originario).
- Se la cartella deriva da controllo formale o automatico (quindi non c’è stato un avviso impugnabile prima, a parte l’eventuale comunicazione bonaria), è ammesso contestare anche il merito del rilievo. Ad esempio, cartella per “omesso versamento” a seguito di liquidazione automatica: si può contestare che in realtà il pagamento fu effettuato o che l’importo non era dovuto (magari per un credito non considerato).
- Se la cartella riguarda sanzioni tributarie (ad esempio per tardiva dichiarazione), si possono far valere cause di non punibilità o errori di calcolo anche in sede di ricorso.
- Effetti del ricorso: la proposizione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Significa che, decorso il termine di 60 giorni, l’AdER può comunque procedere alla riscossione anche se il contribuente ha fatto ricorso, salvo che il contribuente ottenga una sospensione cautelare. È quindi cruciale presentare istanza di sospensione al giudice tributario (contestualmente al ricorso) se si vuole congelare l’obbligo di pagamento in attesa della sentenza. In genere, il giudice tributario può accordare la sospensione se ricorrono fumus boni iuris (motivi fondati) e periculum in mora (danno grave e irreparabile dalla riscossione). In mancanza, l’AdER potrebbe iniziare ad esigere un terzo delle imposte in contestazione anche durante il processo, in virtù di norme che consentono una riscossione frazionata: ad esempio, per gli accertamenti esecutivi, in caso di ricorso è prevista comunque la riscossione di una parte del tributo (di regola il 1/3) senza attendere l’esito definitivo. Va detto però che attualmente, per le cartelle da ruoli, l’AdER spesso attende almeno la decisione di primo grado prima di procedere, se il contribuente ha chiesto e ottenuto sospensione.
- Procedimento e decisione: il processo tributario è documentale e di regola non prevede istruttorie orali complesse. Nel ricorso il debitore può chiedere l’annullamento totale o parziale della cartella. La Commissione emetterà una sentenza: se accoglie il ricorso, la cartella viene annullata (o rideterminata negli importi); se lo rigetta, la cartella resta valida. La sentenza di primo grado è impugnabile con appello alla Commissione Tributaria Regionale (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) entro 60 giorni dalla notifica, e poi eventualmente con ricorso per Cassazione. Durante questo iter, si può chiedere nuovamente la sospensione dell’esecutività delle decisioni se occorre.
Riassumendo, il ricorso tributario è lo strumento principe per far valere le proprie ragioni su cartelle riguardanti imposte (IVA, imposte dirette, tributi locali). Non è invece utilizzabile per cartelle che riguardino entrate non tributarie, come vedremo a breve: quelle seguono altre giurisdizioni (es. Giudice di Pace per multe, Tribunale per contributi). È dunque fondamentale capire bene la natura del debito per rivolgersi al giudice giusto. La tabella seguente riepiloga le giurisdizioni di ricorso per tipologia di cartella:
Tabella 2 – Impugnazione delle cartelle: Giudice competente e termini
Tipo di debito in cartella | Giudice competente | Termine per ricorso | Riferimenti |
---|---|---|---|
IVA, IRPEF, IRES, IRAP (tributi erariali) | Commissione Tributaria (C.G. Tributaria) | 60 giorni dalla notifica | D.Lgs. 546/1992, art. 19 |
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.) | Commissione Tributaria (C.G. Tributaria) | 60 giorni dalla notifica | D.Lgs. 546/1992, art. 19 |
Contributi previdenziali (INPS, INAIL) | Tribunale Ordinario – Sez. Lavoro (opposizione) | 40 giorni dalla notifica | Art. 24 D.Lgs. 46/1999 |
Sanzioni amministrative (es. multe stradali) | Giudice di Pace (opposizione L.689/81) | 30 giorni dalla notifica | Art. 7 D.Lgs. 150/2011 (rinvio L.689/81) |
Altre entrate (es. diritti camerali, tasse CCIAA) | Commissione Tributaria se tributarie; altrimenti Tribunale ordinario (caso per caso) | 60 gg (tributi) o 40 gg/30 gg come da natura del credito | – |
Nota: Per le multe stradali, la cartella esattoriale può essere opposta al Giudice di Pace entro 30 giorni solo per vizi della notifica o per far valere la prescrizione quinquennale sopravvenuta (la multa non pagata infatti si prescrive in 5 anni). Il merito della violazione stradale non è più contestabile se la sanzione è divenuta definitiva per mancato ricorso nei 30 giorni dal verbale/ordinanza originari. In sede di opposizione tardiva, il GdP può annullare la cartella se ad esempio il verbale non fu notificato correttamente o se il diritto si è estinto. – Per i contributi INPS, dal 2011 l’avviso di addebito ha sostituito la cartella; l’opposizione va proposta al Tribunale entro 40 giorni. Se però si riceve una cartella relativa a contributi (ruoli antecedenti), la giurisprudenza applica analogicamente lo stesso termine di 40 giorni (opposizione ex art. 24 D.Lgs. 46/99). – In caso di dubbio sulla giurisdizione, è importante farsi assistere, perché un ricorso al giudice sbagliato può essere dichiarato inammissibile.
Istanze di autotutela e sospensione (rimedi amministrativi)
Parallelamente (o in aggiunta) al ricorso giurisdizionale, il debitore ha la possibilità di attivare alcuni rimedi in via amministrativa per ottenere l’annullamento o la sospensione della cartella, senza dover attendere i tempi (e i costi) di un giudizio. Tali strumenti rientrano nell’autotutela della Pubblica Amministrazione e nella sospensione legale della riscossione. Vediamo di cosa si tratta:
- Istanza di autotutela all’ente impositore: consiste in una richiesta rivolta direttamente all’ente creditore (Agenzia Entrate, Comune, ecc.) affinché riesamini la posizione e annulli o rettifichi la cartella qualora vi siano errori palesi o motivi di illegittimità. L’autotutela non è un diritto del contribuente esigibile, ma un potere discrezionale dell’Amministrazione: ciò significa che l’ente può annullare d’ufficio un atto errato (es. doppia iscrizione a ruolo, scambio di persona, pagamento già effettuato, errore di calcolo), ma non è obbligato a farlo e il contribuente non può imporlo giudizialmente (potrà semmai ricorrere al giudice, come visto sopra). Conviene tuttavia presentare un’istanza di autotutela quando la cartella presenti un errore evidente, allegando le prove (ad esempio la ricevuta di un pagamento già avvenuto, un provvedimento di sgravio, ecc.). In molti casi l’ente riconoscerà l’errore e emetterà uno sgravio: lo sgravio è l’atto amministrativo con cui l’ente ordina all’AdER di annullare in tutto o in parte la riscossione (la cartella viene cancellata o ridotta). L’autotutela non sospende i termini di ricorso: quindi è importante, se i 60 giorni stanno per scadere, presentare comunque il ricorso per sicurezza, e magari segnalare in esso che si è anche chiesto l’annullamento in autotutela.
- Istanza di sospensione legale della riscossione (L. 228/2012): si tratta di uno strumento introdotto dal 2013 a tutela del contribuente, spesso poco conosciuto. La Legge n. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013, commi 537-543) ha previsto che, in presenza di certe cause tassative, il debitore possa inviare all’Agente della Riscossione una dichiarazione attestante l’esistenza di una causa di non esigibilità del debito, ottenendo l’immediata sospensione delle procedure. Le cause previste sono:
- Prescrizione o decadenza del credito già maturata prima della formazione del ruolo.
- Sgravio o annullamento dell’ente impositore già emesso (ad esempio l’ente ha annullato il debito ma AdER non ne era ancora a conoscenza).
- Sospensione amministrativa già concessa dall’ente impositore sul debito (es. rateizzazione concessa dallo stesso ente, o altro provvedimento di sospensione).
- Sospensione giudiziale ottenuta in un contenzioso oppure sentenza di annullamento del credito (es: la Commissione Tributaria ha sospeso la riscossione, o ha annullato l’atto in primo grado e la sentenza è passata in giudicato).
- Pagamento effettuato prima della formazione del ruolo (ossia si dimostra che il debito era già stato pagato).
- AdER sospende immediatamente la riscossione di quel carico e inoltra la pratica all’ente impositore per le verifiche del caso.
- L’ente impositore ha 220 giorni di tempo per rispondere ad AdER confermando la legittimità del debito oppure disponendo lo sgravio.
- Se entro 220 giorni l’ente non risponde, il debito è annullato di diritto. Cioè, scaduto quel termine senza riscontro, la cartella (o il carico) si considera annullata ex lege e ogni atto di riscossione diviene inesigibile.
- Sospensione “di ufficio” dell’AdER per ricorso pendente: indipendentemente dall’istanza ex L.228/2012, l’AdER ha una prassi interna di sospendere la riscossione se viene informata che c’è un contenzioso in corso sul merito del debito. Ad esempio, se il contribuente comunica all’AdER di aver presentato ricorso e magari ottenuto una sospensiva dal giudice tributario, l’Agente può sospendere in autotutela le azioni esecutive in attesa dell’esito (questo rientra in una facoltà dell’AdER ai sensi dell’art. 2-quater D.L. 564/1994). Anche la presentazione di una domanda di definizione agevolata (rottamazione) comporta per legge la sospensione delle azioni esecutive sul carico in oggetto fino all’esito della domanda.
In generale, l’autotutela e la sospensione legale sono rimedi da attivare tempestivamente in parallelo al ricorso (quando ci sono fondati motivi). Il vantaggio è che possono risolvere il problema in via amministrativa, evitando il contenzioso, oppure bloccare la riscossione nelle more del giudizio. È sempre consigliabile inviare all’AdER un’istanza di sospensione se, ad esempio, si è ottenuta una sospensiva dal giudice tributario, o se si ravvisa un errore palese: l’Agente dovrà attenersi e fermare le procedure fino a chiarimento.
Caso pratico: Mario riceve nel 2025 una cartella per IVA non versata del 2019. Dall’estratto di ruolo scopre che tale debito deriva da un avviso bonario del 2020 mai ricevuto (forse inviato a vecchio indirizzo). Mario, entro 60 giorni, presenta ricorso in Commissione Tributaria eccependo la nullità della cartella per mancata notifica dell’avviso bonario e (nel merito) l’insussistenza di sanzioni perché avrebbe diritto al ravvedimento. Contestualmente, invia all’AdER un’istanza ex L.228/2012 dichiarando che l’atto presupposto non è stato notificato e allegando una dichiarazione dell’Agenzia Entrate locale che attesta l’omessa notifica. L’AdER sospende il carico. L’ente, verificata la situazione, non risponde entro 220 giorni. Mario si vede annullare il debito automaticamente e anche il giudice tributario, informato di ciò, dichiarerà cessata la materia del contendere. – Questo esempio mostra come autotutela e ricorso possano agire sinergicamente. Se invece l’ente avesse risposto confermando la legittimità (magari sostenendo di aver notificato regolarmente), allora la sospensione sarebbe stata revocata ma Mario avrebbe proseguito il ricorso per far accertare dal giudice la verità.
Rateizzazione del debito (pagamento dilazionato)
Affrontiamo ora un rimedio/soluzione non contenzioso ma molto pratico: la rateizzazione della cartella. Dilazionare il pagamento può non “eliminare” il debito, ma consente di evitare azioni esecutive e gestire l’esborso nel tempo, eventualmente contestando parallelamente il debito se necessario. La normativa di riferimento è l’art. 19 DPR 602/1973, profondamente modificato dal D.Lgs. 110/2024 con decorrenza 1° gennaio 2025.
Chi può chiedere la rateizzazione? Qualsiasi debitore di somme iscritte a ruolo (cartelle, avvisi esecutivi, avvisi INPS) può chiedere all’AdER una dilazione, purché non sia già intervenuta decadenza da precedenti piani salvo eccezioni. Sono rateizzabili i tributi erariali, quelli locali affidati ad AdER, i contributi previdenziali e anche le sanzioni amministrative affidate, con rare eccezioni (es: sanzioni penali da sentenze). In pratica, se avete una o più cartelle, potete presentare istanza di rateizzazione all’AdER, che gestisce in modo unificato il piano.
Condizioni (importi e durata): dal 2025 le condizioni sono più favorevoli:
- Per debiti fino a €120.000: la concessione è automatica su semplice richiesta (non serve documentare lo stato di difficoltà economica). È possibile ottenere piani fino a:
- 84 rate mensili (7 anni) per le richieste presentate nel 2025-2026;
- 96 rate (8 anni) per richieste nel 2027-2028;
- 108 rate (9 anni) per richieste dal 2029 in poi.
Ogni rata non può essere inferiore a €50.
- Per debiti oltre €120.000: la rateazione è concessa previa dimostrazione della temporanea situazione di obiettiva difficoltà del debitore (tramite ISEE per persone fisiche/imprese minori, o indici di bilancio per società). In questo caso si possono ottenere piani fino a 120 rate (10 anni) indipendentemente dall’anno di richiesta. Anche per debiti sotto 120k, se si vuole andare oltre le 84-108 rate standard, si può documentare lo stato di difficoltà per ottenere piani estesi fino a 120 rate (come indicato, per richieste 2025-26 fino a 120 rate presentando documenti, mentre senza documenti max 84).
- Situazioni straordinarie: L’art. 19 prevede la rateazione straordinaria (fino a 120 rate) nei casi di grave e comprovata difficoltà. Questa concorre con quanto sopra (di fatto coincide col caso >120k, ma può essere concessa anche per importi minori se sussistono calamità naturali o eventi eccezionali, v. ad es. in caso di residenza in zona colpita da disastri, automaticamente considerata difficoltà).
Procedura: la domanda di dilazione si presenta online sul portale AdER o tramite modulo agli sportelli. Per importi <= 120k basta una dichiarazione di temporanea difficoltà economica senza allegare nulla (istanza semplificata). Per importi superiori, vanno allegati i documenti richiesti (ad es. l’ISEE per persone fisiche, i bilanci e il calcolo dell’indice di liquidità per le società). L’AdER valuta e concede il piano comunicando l’esito. In caso di rigetto (raro, di solito solo se non si rispettano i requisiti) c’è la possibilità di ripresentare istanza con integrazioni.
Effetti della rateizzazione: con la concessione del piano, sono sospese le azioni esecutive relative alle cartelle incluse (non possono iniziare pignoramenti; quelli già avviati subiscono la sospensione degli effetti esecutivi, ad es. un fermo auto viene sospeso). Inoltre, se c’è un fermo amministrativo già iscritto sul veicolo, l’AdER lo revoca dopo il pagamento della prima rata (questo per favorire la prosecuzione dell’attività lavorativa del debitore). Durante la rateizzazione:
- Sulle rate si applicano gli interessi di dilazione, stabiliti da decreto (attualmente il tasso è intorno al 4-5% annuo: nel 2023 era 4,5%, soggetto a modifica).
- Se si paga la prima rata oltre 60 giorni dalla cartella, comunque sulle somme rateizzate si dovranno gli interessi di mora per i giorni di ritardo (ma se la rateizzazione è chiesta entro 60 gg generalmente la prima rata viene fissata dopo la scadenza dei 60 gg con moratorium normativo).
- Importante: La richiesta di rateizzazione non equivale a riconoscimento del debito in termini giuridici: la Cassazione ha chiarito che la domanda di dilazione non costituisce accettazione della pretesa né interruzione della prescrizione da riconoscimento di debito. In passato si riteneva il contrario (che chiedere le rate fosse ammettere il debito), ma con la sentenza Cass. n. 5549/2021 si è stabilito che il mero richiedere la dilazione, spesso dettato dalla necessità di evitare guai peggiori, non implica una volontà univoca di riconoscere il debito. Questo significa che, ad esempio, se un contribuente chiede la rateizzazione per prudenza ma poi vince un ricorso sul merito, non perde il diritto e può ottenere lo sgravio residuo. Tuttavia, attenzione: il pagamento anche parziale potrebbe complicare il contenzioso (si può discutere sull’interesse a ricorrere dopo aver pagato interamente). È sempre bene eventualmente riservarsi la contestazione all’atto della richiesta o valutare l’opportunità caso per caso con un legale.
- Decadenza del beneficio: il debitore deve rispettare le scadenze delle rate. La legge concede una tolleranza di 5 giorni per il pagamento di ciascuna rata (cioè pagare con pochi giorni di ritardo non comporta decadenza, basta versare anche gli interessi di mora per quei giorni). Se invece la rata viene pagata oltre i 5 giorni di tolleranza, essa è considerata omessa ai fini della decadenza dal piano. La decadenza avviene quando si accumulano un certo numero di rate non pagate:
- Per i piani concessi dal 16/7/2022 in avanti (e dunque anche quelli dal 2025): la decadenza scatta al mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive. Questa è la regola attuale, più permissiva.
- Per i piani concessi tra 1/1/2022 e 15/7/2022: decadenza con 5 rate non pagate (era la norma in quel periodo).
- Per i piani concessi durante la pandemia (9/3/2020 – 31/12/2021): decadenza con 10 rate non pagate, grazie alle misure emergenziali.
- Prima del 2020 (regola allora vigente): decadenza con 5 rate non pagate (dopo il 2015, perché prima ancora era 2 consecutive; la norma è cambiata più volte, qui diamo i riferimenti recenti).
- Vantaggi collaterali: durante il piano, come anticipato, l’AdER non iscrive ipoteche o fermi su nuovi carichi dilazionati, e non procede a nuovi pignoramenti. I pignoramenti già iniziati possono essere sospesi su istanza (tranne il caso di pignoramento presso terzi già perfezionato con assegnazione, che è tardi). Questo offre respiro al debitore. Inoltre, l’adesione a una rateizzazione può evitare il contenzioso penale in caso di debiti IVA rilevanti: ad esempio, l’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 prevede la punibilità per omesso versamento IVA > €250.000, ma se il contribuente inizia a pagare ed estingue il debito (anche a rate) prima della sentenza, può andare esente da pena. Attenzione però: l’avvio di una rateizzazione non sospende di per sé un eventuale procedimento penale già in corso, ma dimostra la volontà di sanare (utile in giudizio). Solo il pagamento integrale entro il dibattimento estingue il reato. Questo tema penal-tributario è complesso, lo accenniamo perché strettamente connesso al mancato pagamento IVA: se ci si avvicina a soglie penalmente rilevanti, occorre agire con ancora maggiore tempestività.
Definizioni agevolate (“rottamazioni” e condoni): A completamento del quadro dei “rimedi” del debitore, vanno ricordate le misure straordinarie di definizione agevolata dei ruoli, che negli ultimi anni sono state introdotte con varie leggi:
- La “rottamazione” delle cartelle consente di pagare i debiti iscritti a ruolo senza sanzioni né interessi di mora, in forma dilazionata. Ci sono state la rottamazione-ter nel 2018 (18 rate in 5 anni) e la rottamazione-quater nel 2023 (18 rate in 5 anni, con prima e seconda rata 2023, poi fino al 2027). La rottamazione-quater è stata prevista dalla L. 197/2022 per i debiti 2000-30/6/2022 e ha scadenze di pagamento dal 2023 al 2027, con un tasso di interesse agevolato del 2% annuo sulle rate. Chi ha presentato domanda entro il 30/6/2023 può aderire a questo piano; il “Milleproroghe 2023” ha poi prorogato alcune scadenze di pagamento.
- Il “saldo e stralcio” è un’altra misura (mirata a contribuenti in difficoltà con ISEE basso) che nel 2019 ha permesso di pagare percentuali ridotte del debito in base all’ISEE, cancellando il resto.
- Lo “stralcio dei mini-debiti”: la L. 197/2022 ha previsto l’annullamento automatico al 31 marzo 2023 di tutti i debiti fino a €1.000 affidati dal 2000 al 2015. Questo stralcio ha cancellato molte vecchie cartelle piccole. Per i debiti verso enti diversi dallo Stato (es. Comuni), l’annullamento riguardava solo sanzioni e interessi, a discrezione degli enti (diversi Comuni vi hanno aderito).
- Ulteriori condoni settoriali: talvolta sono stati introdotti mini-condoni per specifici settori (ad es. stralcio interessi e sanzioni su sanzioni tributarie non penali con soli 5 anni prescrizione, ecc.). Ad esempio, recentissima la Cassazione 12/03/2024 n. 6588 che ha ribadito come l’estratto di ruolo di per sé non sia impugnabile se non in quei casi di pregiudizio introdotti nel 2021, segno di come il legislatore avesse “limitato” quell’ambito dopo una fase di ampli condoni giurisprudenziali.
In ogni caso, quando il legislatore offre queste opportunità, il debitore farebbe bene a valutarle: ad esempio, aderire a una rottamazione non significa ammettere il debito nel merito, ma consente di chiudere la posizione con un forte sconto su sanzioni e interessi. La rottamazione-quater, in particolare, ha generato molto interesse: se il debitore l’ha richiesta, le cartelle incluse sono sospese automaticamente fino al termine di pagamento della prima rata (31/10/2023, poi prorogato al 31/10/2023 con tolleranza al 5/11/2023). Il mancato pagamento di una rottamazione invece fa decadere e si ritorna alla situazione di partenza, ma con slittamento in avanti dei termini.
In sintesi sulla rateazione: la dilazione è uno strumento fondamentale per chi non può pagare subito. Permette di evitare il trauma di un pignoramento, protegge alcuni beni (perché AdER sospende le ganasce fiscali in essere con pagamento prima rata) e compra tempo. Non impedisce di contestare il debito in parallelo, né di aderire a condoni se riaperti (anzi, spesso chi è in rateizzazione può comunque aderire a definizioni agevolate per il residuo, su questo le norme di volta in volta specificano dettagli). È però essenziale rispettare il piano per non aggravare la propria posizione.
Opposizioni giudiziarie alle procedure esecutive
Quando la cartella non viene pagata né altrimenti definita, l’Agente della Riscossione attiva le procedure esecutive (pignoramenti, fermi, ipoteche) per recuperare coattivamente il credito. In questa fase, il debitore potrebbe trovarsi a dover reagire non tanto contro la cartella in sé (che magari è definitiva), quanto contro gli atti esecutivi specifici posti in essere, se ritiene che essi siano illegittimi o il credito nel frattempo si sia estinto. Entriamo quindi nel campo delle opposizioni in sede civile all’esecuzione esattoriale.
Va premesso che il legislatore aveva cercato di limitare fortemente il ricorso ai giudici ordinari per le esecuzioni fiscali. L’art. 57 DPR 602/1973 stabiliva originariamente che non sono ammesse le opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c. (opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi) in materia di riscossione tributi, salvo quelle riguardanti la pignorabilità dei beni. Ciò significava: se un contribuente subiva un pignoramento per tasse, non poteva opporsi in Tribunale sostenendo ad esempio che il debito non era dovuto (questioni di merito spettavano al giudice tributario), né contestare vizi formali se riguardavano la cartella o il titolo. Poteva solo eventualmente opporsi per questioni sulla pignorabilità (es: bene impignorabile). Questa preclusione è stata però in parte dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 114/2018: la Consulta ha aperto la possibilità di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. per far valere fatti estintivi sopravvenuti al titolo. In altre parole, se dopo che la cartella è definitiva interviene un fatto che estingue il debito (es. pagamento, condono, prescrizione maturata successivamente), il contribuente deve avere un rimedio per impedirne l’esecuzione: la Corte ha individuato questo rimedio nell’opposizione all’esecuzione innanzi al Giudice dell’Esecuzione (Tribunale civile) nonostante l’art. 57. Dunque oggi la situazione è la seguente:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): è ammessa limitatamente a far valere fatti estintivi o impeditivi del credito sopravvenuti dopo la formazione del titolo. Esempi: il debitore, scaduti i 60 giorni, paga interamente ma per un disguido AdER pignora lo stesso – potrà opporsi al GE esibendo la quietanza e chiedendo l’estinzione; oppure il debito è stato condonato dal legislatore (es. stralcio) ma AdER procede – anche qui opposizione per inesistenza del credito; o ancora, è decorso il termine di prescrizione del diritto dopo la notifica della cartella (caso frequente: la cartella fu notificata, passano 5-10 anni senza atti interruttivi e poi iniziano un pignoramento) – il contribuente può opporsi eccependo la prescrizione sopravvenuta. Rientra in quest’ambito pure la decadenza del beneficio di una rottamazione (es. aveva aderito a condono L. 289/2002, la Cassazione già nel 2014 ammise opposizione se il concessionario procedeva ignorando l’intervenuta definizione). L’opposizione 615 preventiva (prima che inizi l’esecuzione) rimane preclusa se riguarderebbe contestare il merito di un tributo ormai definitivo, cosa che va fatta in sede tributaria; ma post pignoramento può essere usata come detto per fatti successivi. Per sicurezza, la Corte Cost. 114/2018 ha rimosso la parte di art. 57 che la impediva in tali casi.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): è teoricamente ammessa per vizi formali propri degli atti dell’esecuzione (es: un pignoramento notificato senza rispetto delle formalità). Tuttavia, la Cassazione SS.UU. nn. 13913/2017 e 7822/2020 hanno stabilito che se il vizio attiene alla notifica del titolo esecutivo (es: cartella non notificata regolarmente), ciò rientra nella giurisdizione tributaria e non può essere fatto valere con 617. In sostanza, non si può usare l’opposizione agli atti per questioni che avrebbero dovuto essere trattate dal giudice tributario (mancata notifica della cartella = motivo da far valere in Commissione appena se ne ha conoscenza, impugnando il primo atto utile come l’intimazione). Resta invece possibile la 617 per vizi puramente formali del pignoramento stesso, ad esempio mancato rispetto dei termini di preavviso, notifica dell’atto incompleta, errori nella procedura di incanto, ecc. Cass. SS.UU. nn. 4845-4846/2021 hanno chiarito che se si contestano insieme vizi formali del pignoramento e vizi afferenti al titolo (notifica), il giudice ordinario può decidere il vizio formale e ciò assorbe il resto, che resterebbe di giudice tributario astrattamente. Insomma, 617 c.p.c. è praticabile solo per aspetti procedurali che non toccano la debenza del tributo.
- Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.): caso in cui un terzo rivendica la proprietà di un bene pignorato. AdER pignora ad esempio un’auto intestata a Tizio ma che Caio sostiene essere in realtà sua (leasing, ecc.): Caio può opporsi. Questo è raro e analogo al regime civile.
- Giudice competente: le opposizioni 615/617 vanno proposte al Tribunale civile – sezione esecuzioni competente per territorio (luogo dell’esecuzione). Ad esempio, per un pignoramento immobiliare sul bene sito in Roma, è competente il Tribunale di Roma; per un pignoramento mobiliare eseguito a carico del debitore presso la sua residenza, il tribunale di quella residenza. Per i pignoramenti presso terzi (stipendi, conti correnti), il luogo è quello di residenza del terzo (es. per stipendio, sede del datore di lavoro). Queste opposizioni hanno termini stretti: la 617 va fatta entro 20 giorni dall’atto viziato. La 615 può essere preventiva (prima del pignoramento, se si vuole bloccare un precetto, ma in materia tributaria non c’è precetto) oppure successiva (entro termini ragionevoli, meglio prima che la procedura si concluda). Nota bene: in virtù dell’art. 57, il precetto non è previsto nella riscossione esattoriale; l’atto equivalente è la cartella o l’intimazione che contengono già l’intimazione ad adempiere. Dunque, un’opposizione all’esecuzione preventiva contro la cartella si scontrerebbe con il fatto che la giurisdizione spetta al giudice tributario finché non inizia l’esecuzione. È solo dopo l’inizio dell’esecuzione (pignoramento) che il giudice ordinario può intervenire per i detti fatti sopravvenuti.
In definitiva, le opposizioni civili sono rimedi di ultima istanza, da utilizzare quando:
- Il contribuente non ha potuto prevenire l’azione esecutiva in sede tributaria (perché magari ignorava la cartella).
- Oppure quando dopo la cartella definitiva è accaduto qualcosa (pagamento, prescrizione, sanatoria) che l’AdER non ha considerato.
È sempre preferibile comunque agire prima in sede tributaria ove possibile. Le opposizioni civili infatti non permettono di rimettere in discussione la validità sostanziale del tributo a monte (non posso dire davanti al giudice dell’esecuzione “non dovevo quella IVA” se non l’ho mai contestata: su quello farà stato la cartella). Posso solo far valere “non la devi esigere perché da allora è successo X”.
Esempio pratico: Luigi riceve nel 2025 un pignoramento del conto corrente per una cartella IRPEF del 2014 a suo dire mai notificata. Luigi non ha mai impugnato perciò la cartella (non sapeva) e scopre il debito con il pignoramento. Cosa può fare? La via migliore è presentare sia opposizione agli atti ex 617 c.p.c. sia ricorso in Commissione Tributaria contro il primo atto utile (ad esempio l’intimazione di pagamento se gli è stata notificata insieme al pignoramento, o direttamente la cartella in via differita). Nel 617 al Tribunale eccepirà la nullità della procedura esecutiva per omessa notifica del titolo esecutivo (cartella), ma il Tribunale, in base alla giurisprudenza, probabilmente dichiarerà inammissibile questa doglianza, in quanto materia tributaria riservata al giudice tributario. Tuttavia, Luigi può far valere davanti al giudice tributario l’omessa notifica e quindi ottenere l’annullamento della cartella e degli atti successivi in sede propria. Nel frattempo, potrebbe chiedere al GE la sospensione temporanea dell’esecuzione per permettere al giudice tributario di decidere (spesso c’è collaborazione tra giurisdizioni in questi casi). – Se invece Luigi nel 2020 aveva aderito a una rottamazione e quindi il debito è sospeso o ridotto, avrebbe potuto fare opposizione 615 per dire “non potete pignorare perché ho aderito al condono, quindi il credito è sospeso/estinto”. In tal caso, grazie alla Corte Cost. 2018, il giudice civile può accoglierla e bloccare l’esecuzione.
In casi di pignoramento presso terzi (conto, stipendio) l’Agente della Riscossione spesso utilizza la procedura “speciale” prevista dall’art. 72-bis DPR 602/73: notifica direttamente un atto al terzo (banca o datore) intimando di pagare a sé le somme dopo 60 giorni. Se il debitore non fa nulla, dopo 60 giorni quelle somme vengono assegnate automaticamente all’Erario senza necessità di un’udienza di assegnazione. È quindi cruciale che il debitore, se intende opporsi, agisca in tempi rapidi (prima che la banca versi i soldi). L’opposizione sospende la procedura (di solito il GE emette decreto di sospensione se vede fumus, specie in caso di vizi grossolani).
Conclusione sulle opposizioni: sono strumenti tecnici e complessi, dove è altamente consigliato farsi assistere da un legale specializzato, perché intrecciano profili tributari e processual-civili. La Cassazione a Sezioni Unite ha progressivamente definito i confini per evitare conflitti di giurisdizione: in linea di massima, il merito della pretesa e gli atti impositivi restano al giudice tributario, mentre il giudice ordinario può intervenire solo su aspetti dell’esecuzione in sé e su eventi successivi al titolo.
Misure cautelari ed esecutive: ipoteca, fermo e pignoramento
L’inadempimento di una cartella esattoriale entro i 60 giorni comporta, come più volte detto, l’avvio delle procedure di recupero forzato. Prima di giungere al pignoramento vero e proprio, l’Agente della Riscossione può avvalersi di misure cautelari quali l’iscrizione di ipoteca su immobili e il fermo amministrativo di beni mobili registrati (veicoli). Queste misure non soddisfano immediatamente il credito, ma servono a vincolare i beni del debitore a garanzia del debito, inducendolo a pagare per evitare conseguenze maggiori. Esaminiamo separatamente ipoteca, fermo e poi la fase del pignoramento/espropriazione forzata, con relative tutele.
Ipoteca esattoriale sugli immobili
Cos’è: l’ipoteca è un diritto reale di garanzia su beni immobili del debitore, che AdER può iscrivere a tutela del credito. L’iscrizione avviene presso i Registri Immobiliari, in forza del ruolo esecutivo. Non comporta immediata perdita della proprietà, ma impedisce di fatto al debitore di disporre liberamente dell’immobile (chi comprerebbe una casa ipotecata dal fisco?) e consente ad AdER, qualora il debito persista, di procedere successivamente al pignoramento e vendita dell’immobile ipotecato (nel rispetto di condizioni di legge).
Limiti e soglie: la normativa (art. 77 DPR 602/1973) prevede che l’ipoteca possa essere iscritta solo se il debito complessivo supera €20.000. Questa soglia è tassativa: per importi inferiori AdER non può ipotecare (ciò fu introdotto nel 2013 per evitare misure sproporzionate su piccoli debiti). Inoltre, l’Agente deve notificare un preavviso di iscrizione ipotecaria al debitore almeno 30 giorni prima di iscrivere l’ipoteca. Il preavviso serve a dare un’ultima chance di pagamento ed è imposto dallo Statuto del Contribuente: la Cassazione ha affermato che la mancata notifica del preavviso rende nulla l’iscrizione ipotecaria, per violazione del diritto di difesa (sent. Cass. 4587/2017). Dunque, se AdER iscrive ipoteca senza aver mandato il preavviso, il contribuente può impugnarla e farla annullare.
Ipoteca sulla prima casa: l’ipoteca può essere iscritta anche sull’unico immobile di residenza del debitore (la legge vieta il pignoramento, ma non l’ipoteca su di esso). Quindi, se Mario ha solo la casa dove vive, AdER può ipotecarla per un debito > €20.000, pur non potendo poi espropriarla se rientra nelle tutele “prima casa”. La Cassazione ha ritenuto legittima l’ipoteca sulla prima casa anche se non pignorabile, in quanto comunque garanzia del credito. Bisogna allora distinguere tra ipoteca (possibile sopra 20k su qualunque immobile) e pignoramento immobiliare (che ha ulteriori limiti, vedi oltre).
Procedura e notifica: AdER invia il preavviso di ipoteca indicando le cartelle e l’importo dovuto, dando 30 giorni per pagare. Se decorso il termine il debito è ancora insoluto (e non ci sono impedimenti es. sospensioni), AdER iscrive l’ipoteca presso la Conservatoria. La prova dell’iscrizione (nota di iscrizione) viene poi notificata al debitore.
Effetti dell’ipoteca: l’immobile rimane al debitore ma è vincolato. Un’eventuale compravendita successiva vedrebbe comunque gravare l’ipoteca (il compratore dovrebbe accollarsi il debito o pretenderne la cancellazione). L’ipoteca fiscale ha grado dal momento di iscrizione e dura 20 anni rinnovabile. Se il debitore paga il dovuto, AdER deve procedere a cancellare l’ipoteca (a spese di solito del debitore, salvo diverse disposizioni) e rilasciare assenso formale. L’ipoteca garantisce l’intero credito con interessi fino a concorrenza e consente al Fisco, come un creditore ipotecario qualunque, di intervenire su quella garanzia in caso di esecuzione.
Pignoramento immobiliare e prima casa: la legge (art. 76 DPR 602/73, mod. dal DL 69/2013) prevede che AdER non può procedere all’espropriazione della casa di abitazione del debitore se essa possiede determinati requisiti:
- Deve essere unico immobile di proprietà del debitore e destinato a uso abitativo principale.
- Non deve essere di lusso (no categorie A/8 ville, A/9 castelli).
- Il debitore vi risiede anagraficamente.
- Il debito totale non deve superare €120.000.
Se tutte queste condizioni sono soddisfatte, la “prima casa” è impignorabile da AdER. Se invece il debitore ha altri immobili, oppure l’immobile è di categoria lusso, o il debito supera 120 mila €, allora l’espropriazione è possibile (previo rispetto di ulteriori condizioni). In particolare, per procedere al pignoramento di un immobile (non prima casa o decorsi i limiti sulla prima casa):
- Il debito complessivo deve essere > €120.000.
- Deve essere stata già iscritta ipoteca da almeno 6 mesi (questo per dare un ulteriore periodo di preavviso al debitore: se vede l’ipoteca e continua a non pagare, passati 6 mesi AdER può avviare l’esecuzione).
In sintesi: per debiti tra 20k e 120k, AdER può ipotecare l’immobile ma non potrà pignorarlo se è l’unica casa e il debito resta sotto 120k. Se il debito supera 120k o il debitore ha altri immobili, dopo ipoteca può partire il pignoramento trascorsi 6 mesi.
Tutela contro l’ipoteca: il contribuente può impugnare l’atto di iscrizione ipotecaria innanzi alla Commissione Tributaria entro 60 giorni, esattamente come fosse un atto autonomo di riscossione (la giurisprudenza lo assimila a un atto impugnabile ex art. 19, spesso come “atto di fermo o ipoteca”). Motivi tipici di ricorso:
- Mancata notifica del preavviso 30 gg (motivo formale, causa di nullità).
- Assenza dei presupposti (debito sotto 20k, quindi ipoteca illegittima ab origine).
- Vizio nelle cartelle sottostanti: l’ipoteca può essere contestata anche per far valere vizi delle cartelle se ancora deducibili (qui c’è dibattito, ma Cass. tende a consentire l’impugnazione dell’ipoteca facendo valere ad es. prescrizione del debito, poiché l’ipoteca rende attuale l’interesse a impugnare anche se la cartella era antica).
- Violazione dell’art. 76 (se erroneamente ipotecata e pure pignorata la prima casa protetta).
- Sproporzione o abuso di mezzi: talora si è invocata la tutela civilistica dell’abuso del diritto se l’ipoteca viene iscritta su beni di valore enormemente superiore al debito; tuttavia su questo non c’è un riconoscimento pieno, ma qualche sentenza di merito ha considerato nullo un atto di ipoteca per eccesso di garanzia in mala fede.
In caso di accoglimento del ricorso, l’ipoteca viene cancellata (lo stesso giudice tributario può ordinare la cancellazione). Se invece il contribuente paga spontaneamente dopo l’iscrizione, può chiedere la cancellazione dell’ipoteca: questa avviene con atto di assenso di AdER, solitamente dopo circa 30-60 giorni dalla richiesta di “sblocco” post-pagamento.
Fermo amministrativo dei beni mobili registrati
Cos’è: il fermo amministrativo (spesso noto come “ganascia fiscale”) è il provvedimento con cui l’Agente della Riscossione iscrive un vincolo di indisponibilità su un veicolo (auto, moto, autocarro) intestato al debitore. Il fermo è iscritto al Pubblico Registro Automobilistico (PRA) e impedisce la circolazione e la vendita del mezzo. In pratica, il veicolo fermato non può circolare legalmente (se si circola, scattano sanzioni e sequestro del mezzo) e non può essere radiato o esportato. Rimane di proprietà del debitore ma inutilizzabile finché il debito non è risolto.
Presupposti: per disporre il fermo, l’AdER deve seguire la procedura dell’art. 86 DPR 602/73:
- Notifica al debitore un Preavviso di fermo (detto anche “intimazione di pagamento pre-fermo”), indicando le cartelle impagate, l’importo e il numero di beni registrati da sottoporre a fermo. Nel preavviso si dà un termine (generalmente 30 giorni) per pagare o produrre documentazione che il veicolo è strumentale all’attività.
- Trascorso inutilmente il termine, l’Agente richiede al PRA l’iscrizione del fermo sul veicolo (individuato tramite targa). Questa iscrizione è comunicata poi al debitore.
Non esiste, a differenza dell’ipoteca, una soglia di legge per il fermo. Tuttavia, in passato Equitalia adottava soglie di prassi: ad esempio, nessun fermo per debiti sotto €800, fermo su un solo veicolo se debito < €2.000, e così via. Queste erano direttive interne (ci risultano da linee guida 2013) e dovrebbero essere ancora seguite da AdER: infatti molte fonti indicano €800 come soglia minima di fatto. Ufficialmente, come detto, la norma non fissa un importo minimo, ma AdER tende a non attivare fermo per cifre irrisorie, e comunque deve sempre mandare il preavviso e attendere 30 gg.
Veicoli strumentali: la legge ha escluso il fermo per i veicoli che siano strumentali all’attività di impresa o professionale del debitore (introdotto dal DL 69/2013). Ciò significa che se il contribuente utilizza quell’auto o mezzo per la propria attività lavorativa (ad esempio un furgone per l’artigiano, l’auto per un agente di commercio), non può essergli bloccata. In pratica, se il debitore riceve preavviso di fermo e il mezzo è strumentale, deve comunicarlo ad AdER entro i 30 giorni, preferibilmente con prove (es. se è unico veicolo usato per attività, o se è autocarro aziendale). Spesso il solo fatto di essere titolare di P.IVA e avere un unico veicolo viene preso in considerazione. Se AdER accetta la prova, rinuncia al fermo su quel mezzo.
Effetti del fermo: come detto, dal momento dell’iscrizione al PRA, il veicolo:
- Non può circolare (pena multa e sequestro).
- Non può essere venduto, né si può fare passaggio di proprietà, se non dopo pagamento e cancellazione del fermo.
- Il fermo rimane finché non viene pagato il debito, oppure se è stato annullato l’atto presupposto con vittoria in giudizio (in tal caso va richiesta la cancellazione presentando la sentenza favorevole).
- Non genera di per sé introiti per il Fisco; è un “blocco” coercitivo.
Cancellazione: una volta pagato interamente il debito (o ottenuta una rateizzazione e pagata la prima rata), AdER rilascia il provvedimento di revoca del fermo da presentare al PRA per la cancellazione (con pagamento di emolumenti modesti). Anche in caso di vittoria in giudizio sul merito e annullamento delle cartelle, il debitore potrà chiedere gratuitamente la cancellazione, allegando copia del dispositivo.
Tutela contro il fermo: anche il fermo amministrativo è un atto impugnabile davanti al giudice competente (che dipende dalla natura del debito):
- Se riguarda tributi, va impugnato in Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla comunicazione di iscrizione del fermo (o dal preavviso, che è atto impugnabile anch’esso secondo alcune pronunce, essendo equiparato a un avviso di mora).
- Se riguarda multe o contributi, rispettivamente Giudice di Pace o Tribunale Lavoro, entro 30 o 40 giorni.
Motivi tipici:
- Debito non dovuto o già prescritto (si fa valere indirettamente contestando le cartelle sottostanti).
- Mancata notifica delle cartelle: il fermo (o il preavviso) potrebbe essere il primo atto noto al contribuente, che quindi impugna per far valere l’omessa notifica precedente.
- Mancato invio del preavviso: la Cassazione ha ritenuto anche il preavviso di fermo un obbligo procedurale ex art. 6, c.2 Statuto Contribuente, la cui omissione rende nullo il fermo (similmente al preavviso di ipoteca). È prudente quindi sempre eccepire se non si è ricevuto preavviso.
- Violazione esenzione veicoli strumentali: se nonostante le prove AdER ha fermato un mezzo strumentale, si può ricorrere.
- Sproporzione: ad esempio fermo su 5 automezzi aziendali per un debito di pochi mila euro – si può sostenere l’eccesso di cautela (ma non sempre con successo, in mancanza di norma specifica sul numero di beni).
Sanzioni in caso di utilizzo: ricordiamo che se si circola con un veicolo in fermo, si rischia una multa da €1.988 a €7.953 (art. 214 Codice della Strada) e la confisca del veicolo. Inoltre l’assicurazione potrebbe non coprire eventuali sinistri. Quindi è altamente sconsigliato far circolare un veicolo con fermo.
Esempio pratico: Anna, debitrice di €5.000 per alcune multe e TARI non pagate, riceve un preavviso di fermo per la sua auto. Se l’auto le serve per lavoro, invierà subito all’AdER una comunicazione (magari con attestazione della camera di commercio che è agente di commercio e quell’auto è l’unica a disposizione) chiedendo di non procedere per strumentalità. Se l’Agente non risponde e iscrive comunque il fermo, Anna potrà impugnarlo al Giudice di Pace (perché debito da multe) entro 30 giorni, chiedendone la revoca. Nel frattempo, potrebbe decidere di rateizzare quei 5.000 €: se la rateizzazione viene accolta e lei paga la prima rata, con la ricevuta può subito ottenere la sospensione/cancellazione del fermo senza dover attendere la fine del pagamento.
Pignoramento ed espropriazione forzata
Il pignoramento è l’atto con cui inizia l’espropriazione forzata dei beni del debitore. In ambito fiscale, il pignoramento avviene secondo le regole del codice di procedura civile, con alcune peculiarità previste dal DPR 602/73:
- Non è preceduto da un atto di precetto (la cartella ha già funzione di precetto).
- Se sono trascorsi più di 12 mesi dalla notifica della cartella, deve essere preceduto da un’intimazione di pagamento (un ultimo sollecito 5 giorni prima).
- L’Agente può avvalersi di procedure semplificate per pignorare crediti del debitore verso terzi (art. 72-bis) e per pignorare stipendi/pensioni (art. 72-ter).
Vediamo i tipi di pignoramento possibili:
- Pignoramento mobiliare presso il debitore: ufficiale della riscossione (ora Ufficiale giudiziario su delega) che si reca presso l’abitazione o sede del debitore e pignora beni mobili (arredi, macchinari) trovati. Questo oggi è poco frequente, AdER lo usa raramente e solo per importi alti e se sa di beni di valore. Comporta poi custodia dei beni e vendita all’asta.
- Pignoramento immobiliare: come detto, può avvenire se debito >120k e proprietà non protetta. AdER notificherà un atto di pignoramento immobiliare, con trascrizione nei registri immobiliari. Segue poi l’espropriazione tramite il Tribunale (con vendita all’asta). La procedura è simile a quella civile: AdER deposita istanza di vendita al tribunale competente e si svolge la vendita giudiziaria. Un aspetto vantaggioso per il contribuente è che l’art. 79 DPR 602/73 prevede che prima della vendita il debitore possa evitare la perdita dell’immobile pagando il debito più spese e interessi maturati, anche oltre i termini normali. Mentre nell’esecuzione civile la possibilità di “salvare” l’immobile si chiude con la pronuncia di ordinanza di vendita, nell’esecuzione esattoriale c’è maggiore flessibilità fino all’ultimo (in pratica, fino all’aggiudicazione, se paghi, viene estinto il processo esecutivo).
- Pignoramento presso terzi: di gran lunga il più usato. AdER individua terzi debitori o custodi di denaro del contribuente e notifica loro un atto di pignoramento. I casi tipici:
- Conti correnti bancari/postali: AdER, tramite l’accesso all’Anagrafe dei Conti, sa dove il debitore ha conti. Può notificare alla banca un ordine ex art. 72-bis DPR 602/73 di bloccare e versare a sé le somme fino a concorrenza del dovuto. La banca immediatamente vincola le disponibilità sul conto alla data di notifica e in genere congela anche eventuali nuove somme in ingresso fino alla concorrenza. Trascorsi 60 giorni senza opposizioni, la somma viene assegnata automaticamente ad AdER. Non c’è quindi un’udienza dal giudice per l’assegnazione, come invece nel pignoramento civile: è un meccanismo più rapido.
- Stipendi, salari o pensioni presso il datore di lavoro o ente pensionistico: qui interviene l’art. 72-ter DPR 602/73, che richiama i limiti dell’art. 545 c.p.c. Quindi AdER notifica al datore di lavoro un pignoramento (generalmente tramite raccomandata o PEC) e il datore dovrà accantonare e versare mensilmente una quota dello stipendio (di solito 1/5 dello stipendio netto) al Fisco. Per le pensioni, vale il limite che la parte di pensione minima (circa 1,5 volte l’assegno sociale, ovvero c. €750 mensili) è impignorabile, e la pignorabilità oltre tale soglia è sempre max 1/5. Anche in questi casi, di solito la trattenuta inizia senza passare dal giudice, salvo contestazioni (se il debitore ritiene errato l’importo, può segnalare o fare opposizione).
- Affitti dovuti al debitore, crediti commerciali, ecc.: AdER può pignorare crediti presso clienti del debitore, pigioni dovute dagli inquilini, rimborsi d’imposta dovuti dall’Agenzia Entrate, ecc. In prassi, pignora spesso i crediti verso Pubbliche Amministrazioni (se il debitore vanta crediti verso enti pubblici, l’art. 48-bis DPR 602/73 prevede che l’ente pubblico, prima di pagare, debba verificare con AdER se ci sono cartelle pendenti sopra €5.000 e in caso bloccare il pagamento – questo è un altro deterrente).
Limiti sulle somme pignorabili:
- Conto corrente: se sul conto affluiscono stipendi/pensioni, la legge distingue: la somma già depositata sul conto al momento del pignoramento è pignorabile solo per la parte eccedente il triplo dell’assegno sociale (~€1.500) se deriva da accrediti stipendiali. Invece, le somme accreditate successivamente (nuovi stipendi) sono pignorabili nella misura di 1/5. In parole povere: se Tizio ha €10.000 sul conto provenienti da stipendio passato, al momento del pignoramento si lasciano intoccati €1.500 circa e il resto si può prendere; poi sui nuovi stipendi che arriveranno sul conto mensilmente, la banca ne dovrà girare 1/5. Queste regole (art. 545 c.p.c. ultimo comma) valgono anche per AdER.
- Stipendio/pensione presso il datore/INPS: come detto, massimo un quinto per stipendi e pensioni normali. Se stipendio netto < ~€2.500, max 1/10; tra 2.500 e 5.000, 1/7; oltre 5.000, sempre 1/5 (questi sono scaglioni che il c.p.c. prevede per concorso di cause, ma tendenzialmente l’AdER applica 1/5 in generale). La pensione, esclusa la parte minima (circa €574 per assegno sociale, quindi min. vitale c. €574*1.5 ≈ €861 impignorabile, il resto pignorato 1/5).
- Beni indispensabili: come nel civile, non si possono pignorare beni di prima necessità (letti, frigorifero, ecc. in casa del debitore). Tuttavia, AdER raramente fa pignoramenti mobiliari in casa, come detto.
- Automezzi: AdER preferisce il fermo all’espropriazione. Può pignorare automezzi di valore (es. flotte di autocarri di un’azienda), ma deve poi gestirne la custodia e vendita – procedimento oneroso. Perciò è più comune bloccarli col fermo per costringere al pagamento.
Svolgimento dell’esecuzione: una volta notificato il pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi), se il debitore continua a non pagare, si procederà:
- Nel caso immobiliare: depositata l’istanza in Tribunale, ci sarà la vendita all’asta. AdER di solito delega a professionisti (notai, avvocati) la gestione, come nelle esecuzioni civili. Il ricavato, dedotte spese, va a saldare il credito.
- Nel caso mobiliare: i beni pignorati vengono presi in custodia e venduti o rottamati. Oggi, se non sono di grande valore, a volte conviene ad AdER lasciarli (la normativa consente di chiudere la procedura se i beni non coprono nemmeno le spese).
- Nel caso di pignoramenti presso terzi: come visto, per conti e stipendi c’è l’assegnazione automatica trascorsi 60 gg, senza bisogno di convalida giudiziale. Per altri crediti (es. crediti commerciali), se il terzo non paga spontaneamente, AdER può chiederne l’intervento del giudice perché il terzo dichiari cosa deve e poi ottenerne l’assegnazione. Spesso, però, se il terzo è cooperativo (specie se PA), paga direttamente.
Costi a carico del debitore: oltre all’importo dovuto e interessi, le procedure esecutive comportano spese di esecuzione (onorari, diritti di custodia, spese di ufficiale giudiziario, pubblicità legale ecc.) che vengono aggiunte al carico e devono essere rimborsate dal debitore. Quindi più si va avanti nell’esecuzione, più il debito cresce di spese. Questo è un altro incentivo a cercare di fermarsi prima.
Tutela del debitore durante l’esecuzione: abbiamo già accennato alle opposizioni (615, 617 CPC) per far valere vizi. Oltre a questo:
- Il debitore può in qualsiasi momento chiedere la conversione del pignoramento (art. 494 CPC): ossia chiedere di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro pari al debito + 5%. AdER l’accetterà praticamente come pagamento integrale e libererà i beni.
- Se il debitore paga integralmente il dovuto prima della vendita o dell’assegnazione finale, la procedura deve essere estinta. Quindi, anche all’ultimo minuto, è possibile evitare l’espropriazione pagando tutto (diverso dal civile dove dopo certi atti non si può più evitare che l’aggiudicatario prenda il bene).
- Limiti di eccesso: per esempio, se AdER pignora uno stipendio e un conto e un immobile tutti insieme per un debito modesto, il debitore può fare istanza al giudice dell’esecuzione per ridurre l’azione ai mezzi proporzionati (nel processo civile c’è il principio di proporzionalità ex art. 483 CPC e 58 DPR 602 prevede che l’esecuzione deve essere “contenuta” entro il necessario). Non di rado, su istanza, i giudici ordinano di liberare i mezzi eccedenti.
Esempio pratico conclusivo: Marco ha ignorato per anni cartelle IVA e IRPEF per €50.000 complessivi. AdER prima gli ha messo ipoteca sulla seconda casa (valore alto). Dopo 6 mesi, vedendo che non paga, avvia pignoramento di quell’immobile. Contestualmente blocca anche un suo conto corrente dove c’erano €5.000 (pignoramento presso terzi) e notifica al datore di lavoro un atto per 1/5 stipendio. Marco finalmente reagisce: presenta tardivamente un’istanza di rateizzazione (che però a questo punto AdER non può accogliere se già pignorato l’immobile, a meno di conversione), e parallelamente avvia opposizione al giudice dell’esecuzione per far sospendere la vendita spiegando che sta vendendo volontariamente la seconda casa per pagare, e che il blocco del conto gli impedisce di pagare affitto etc. Il giudice potrebbe sospendere temporaneamente la vendita se c’è prospettiva concreta di soddisfo rapido, ma la legge non obbliga. Marco allora, vendendo l’auto (non ferma) e chiedendo aiuto ai familiari, racimola €50.000 e paga prima dell’asta. A quel punto, l’esecuzione immobiliare si chiude e l’ipoteca verrà cancellata, il conto sbloccato e lo stipendio libero. Marco però ha dovuto pagare anche varie spese e interessi extra (interessi di mora maturati dal 61° giorno, compenso di riscossione se applicabile fino al 2021, spese legali e di registro ipoteca/pignoramento) per qualche migliaio di euro. La lezione è che agire prima gli avrebbe risparmiato quei costi e tanto stress.
Tabella 3 – Misure esecutive: soglie e condizioni principali
Misura | Condizioni e soglie | Note normative |
---|---|---|
Ipoteca immobiliare | Debito ≥ €20.000. Preavviso 30 gg obbligatorio. | Art. 77 DPR 602/73; soglia €20k (DL 40/2010 conv. L.73/2010); preavviso ex L. 212/2000. Prima casa: possibile ma non espropriabile. |
Fermo amministrativo | Di prassi debito ≥ ~€800 (nessuna soglia legale). Preavviso 30 gg obbligatorio. Esclusi veicoli strumentali. | Art. 86 DPR 602/73; soglia €800 da direttive interne. Preavviso obbligatorio ex Statuto Contribuente. DL 69/2013: esenzione veicoli strumentali. |
Pignoramento immobiliare | Debito > €120.000. Solo su immobili non “prima casa” (oppure prima casa ma debitore con altri immobili). Ipoteca iscritta ≥ 6 mesi prima. | Art. 76 DPR 602/73: divieto su unica casa di residenza salvo debito >€120k. Soglia €120k e ipoteca 6 mesi (DL 69/2013). |
Pignoramento stipendio/pensione | Debito di qualsiasi importo (dopo intimazione se >1 anno da cartella). Quota massima 1/5 (20%) sul netto. Pensioni: impignorabile minimo vitale (~€750), poi 1/5. | Art. 72-ter DPR 602/73 rinvia a limiti art. 545 CPC. Esempi: stipendio €1500→ max €300 al mese; pensione €1000→ su €1000-750=250 → €50/mese. |
Pignoramento conto corrente | Debito di qualsiasi importo (dopo intimazione se >1 anno da cartella). Assegni, depositi: l’importo sul conto al momento del pignoramento è bloccato e dopo 60 gg assegnato fino a concorrenza debito. Se conto su cui affluisce stipendio/pensione: impignorabili 3 x assegno sociale (~€1.500) sul saldo, e per futuri accrediti vale limite 1/5 mensile. | Art. 72-bis DPR 602/73 (procedura senza giudice). Art. 545 c.p.c. c.7: impignorabilità 3x assegno sociale su depositi da stipendi, e regola per accrediti futuri. |
NB: L’intimazione di pagamento (art. 50 DPR 602/73) è atto propedeutico alle azioni esecutive se è trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella. Deve contenere l’ultimatum di 5 giorni e vale 1 anno (dal 2020, prima erano 180 gg). Se AdER avvia il pignoramento senza intimazione dovuta, il pignoramento è nullo (da far valere con opposizione agli atti). – Inoltre, mai il Fisco può pignorare beni essenziali (letto, frigo, cucina, vestiti) né strumenti di lavoro indispensabili oltre il certo limite (un PC per un professionista, ad es., è pignorabile solo se ne ha più d’uno).
Simulazioni pratiche e casi d’uso
Di seguito presentiamo alcune simulazioni pratiche, per illustrare in concreto l’applicazione delle norme e la condotta consigliata al debitore in varie situazioni tipiche.
Caso 1: Cartella IVA non pagata da una società e misure esecutive
La Società Alpha S.r.l. non versa l’IVA dovuta nell’anno 2022 per un importo di €30.000. Nel marzo 2024, l’Agenzia delle Entrate verifica l’omesso versamento (che risultava dalla dichiarazione IVA 2023) e affida il debito a ruolo. Ad aprile 2024, l’AdER notifica ad Alpha una cartella di pagamento di €30.000 + €9.000 di sanzioni (30%) + €1.200 di interessi = €40.200 totali. La società, in crisi di liquidità, ignora la cartella. Trascorsi 60 giorni (giugno 2024), il debito diventa esecutivo. AdER, prima di procedere, invia a luglio 2024 un preavviso di ipoteca indicando che, persistendo il mancato pagamento, iscriverà ipoteca su un capannone di proprietà della società. Alpha ancora non paga, e a settembre 2024 AdER iscrive ipoteca sul capannone (valore commerciale €500.000) a garanzia dei €40.200 dovuti. Nel frattempo, la società non ha fatto ricorso (essendo debito ammesso). Arriviamo a marzo 2025: più di 6 mesi dopo l’ipoteca, la società è sempre insolvente e non ha chiesto rateizzazioni. AdER allora avvia due azioni:
- Notifica un pignoramento immobiliare sul capannone (debito aumentato a €42.000 con interessi di mora e spese).
- Notifica anche un pignoramento presso terzi alla banca dove Alpha ha il conto aziendale (saldo €10.000). La banca blocca la somma.
A questo punto i soci di Alpha decidono di attivarsi: contattano un legale e scoprono che:
- Potevano evitare di arrivare qui chiedendo prima una rateizzazione (che con €40k sarebbe stata concedibile in 84 rate da ~€480/mese dal 2025).
- Ora è tardi per ricorsi sul merito (60 gg passati), ma possono ancora evitare la vendita del capannone se pagano entro l’udienza di vendita.
I soci riescono a ottenere un finanziamento ipotecario di €45.000 offrendo garanzie personali. Con quei fondi, a giugno 2025 pagano all’AdER l’intero dovuto (che nel frattempo, con spese legali, è salito a ~€44.000). Effetti: AdER rilascia quietanza, il Tribunale dichiara estinto il procedimento esecutivo sul capannone (che non viene venduto) e l’ipoteca viene cancellata. La banca sblocca il conto restituendo €10.000 (perché il pignoramento presso terzi non serve più, essendo stato pagato il debito). – Costo totale per Alpha: circa €44.000, ossia €4.000 in più della cartella originaria, dovuti a: interessi di mora maturati dopo i 60 gg, compensi di riscossione (6% circa, se carico antecedente 2022), spese per iscrizione ipoteca e avvio esecuzione. Alpha S.r.l. impara così a sue spese che era preferibile intervenire subito: ad esempio, versando anche tardivamente l’IVA con ravvedimento, avrebbe pagato sanzioni ridotte (se fatto entro pochi mesi, solo il 3-3,75% invece del 30%). Oppure, anche dopo la cartella, avrebbe potuto dilazionare i €40k in 6-7 anni evitando ipoteche e pignoramenti, pagando sì interessi di dilazione ma evitando i pesanti costi di esecuzione. Questo caso illustra come il Fisco ha agito step by step: cartella → ipoteca → pignoramenti, e come il debitore avrebbe potuto intervenire in ogni fase per scongiurare la successiva.
Caso 2: Cartella per contributi INPS e ricorso al giudice del lavoro
Il sig. Bruno, artigiano individuale, non paga una parte dei contributi INPS 2019 (importo €5.000). Nel 2021 l’INPS gli notifica un avviso di addebito per quei contributi, ma Bruno non presenta ricorso entro 40 giorni (Tribunale), né paga. L’avviso diventa titolo esecutivo e passa all’AdER. Nel 2022, AdER notifica una cartella di €5.000 + €500 interessi + €500 sanzioni = €6.000. Bruno, oberato da debiti, ignora la cartella. Nel 2023, AdER gli invia un preavviso di fermo per la sua auto. Bruno continua a non attivarsi; scaduti i 30 gg, scatta il fermo amministrativo sull’auto a inizio 2024. Bruno se ne accorge solo quando viene fermato dalla Polizia per un controllo e scopre di avere l’auto in fermo (multa di €2.000!). A quel punto Bruno finalmente cerca aiuto: il legale nota subito un vizio procedurale importante: l’avviso di addebito INPS originario, a quanto risulta dagli atti, non fu mai notificato correttamente (mandato a un vecchio indirizzo, mai ricevuto). Bruno dunque non lo aveva impugnato perché ignaro. Si decide allora di:
- Impugnare davanti al Tribunale (sez. Lavoro) la cartella esattoriale notificata nel 2022 (o in subordine il preavviso di fermo 2023) deducendo la nullità del titolo (avviso di addebito) per omessa notifica e quindi l’inesistenza del credito. Poiché trattasi di contributi, la giurisdizione è del giudice ordinario, e l’atto da impugnare è la cartella (entro 40 giorni dalla conoscenza, qui usiamo il fermo come dies a quo).
- Chiedere in quella sede la sospensione del fermo e dell’esecuzione.
Il Tribunale accoglie la sospensione, ritenendo plausibile la tesi di mancata notifica del titolo. Nel merito, qualche mese dopo, annulla la cartella ritenendo che effettivamente l’INPS non provò una valida notifica dell’avviso: pertanto il credito non poteva considerarsi esigibile. Con la sentenza, Bruno ottiene la cancellazione del fermo sulla sua auto. Il debito contributivo resta formalmente da accertare in via amministrativa, ma INPS dovrà eventualmente rinotificare un avviso (ormai però i contributi 2019 sono prescritti essendo passati oltre 5 anni senza atti validi). In conclusione Bruno, dopo iniziali inadempienze, riesce a far valere i suoi diritti: il fermo gli ha causato danni (multa di €2.000 e impossibilità di usare l’auto a lungo), ma con l’esito favorevole può richiedere l’annullamento anche di quella sanzione (poiché l’auto non doveva essere in fermo). Questo caso evidenzia:- L’importanza di contestare gli atti anche in sede non tributaria quando riguardano contributi (giudice del lavoro).
- Che gli atti presupposti non notificati correttamente possono essere eccepiti in giudizio anche tardivamente (appena se ne viene a conoscenza), evitando ingiuste riscossioni.
Caso 3: Cartella per multa stradale e opposizione in extremis
La sig.ra Debora nel 2020 riceve un verbale per eccesso di velocità (€300). Non paga né fa ricorso al Prefetto/GdP. Nel 2022, il Comune iscrive a ruolo la sanzione (raddoppiata a €600 più spese) e AdER le notifica nel 2023 una cartella di pagamento di €647 (multa+maggiorazioni). Debora però nel frattempo si è trasferita e non ritira la raccomandata: la cartella viene così notificata per compiuta giacenza. Debora non ne sa nulla. Nel 2025, AdER le invia un intimazione di pagamento per quella cartella, indicando che se non paga entro 5 giorni procederà al pignoramento (o fermo dell’auto). Debora trova nella nuova casella PEC l’intimazione e, sorpresa, scopre di avere questa vecchia multa lievitata (ora €750 con interessi). Che può fare? Siccome la multa originaria non fu mai contestata ed è “giudicato”, non può discutere il merito (“non ho superato il limite” ecc. è tardivo). Tuttavia, Debora ha un appiglio: lei non ha mai ricevuto la cartella 2023, perché inviata al vecchio indirizzo senza che le fosse mai comunicata (la giacenza non venne ritirata, e la relata non fu mai perfezionata via PEC). Ciò le ha impedito di eventualmente chiedere la rateazione o di pagare prima che l’importo aumentasse. Allora:
- Propone un’opposizione tardiva al Giudice di Pace entro 30 giorni dall’intimazione (che considera come primo atto utile), deducendo la nullità della notifica della cartella e chiedendo l’annullamento della stessa e degli atti successivi. Il Giudice di Pace, verificato che in effetti la notifica era stata eseguita presso un indirizzo dove Debora non risiedeva più (il Comune avrebbe dovuto usare la nuova residenza se nota, o comunque inviare un avviso al nuovo indirizzo da ANPR), accoglie l’opposizione limitatamente agli atti di riscossione: annulla la cartella e di conseguenza l’intimazione e ogni successivo atto.
- La multa però rimane dovuta nel merito (perché Debora era effettivamente in ritardo nei 30 giorni originari). Tuttavia, il Comune avendo perso la chance di riscuoterla efficacemente entro i termini, e con la cartella annullata, si trova fuori tempo: la sanzione si è prescritta in 5 anni dal 2020 al 2025. Quindi Debora, paradossalmente, non dovrà più nulla.
In questo caso, un vizio di notifica l’ha fatta franca, ma è stato un rischio: se l’intimazione fosse arrivata dopo 4 anni invece di 5, il Comune avrebbe potuto riemetterla in tempo. In generale, per le multe è sempre consigliato non ignorarle: se si ritiene ingiusta, meglio ricorrere subito al GdP entro 30 gg dal verbale. Se la si accetta, conviene pagare entro 5 giorni (c’è lo sconto 30%). Ignorare porta al raddoppio e alle cartelle. Tuttavia, questo scenario mostra che c’è comunque tutela contro eventuali errori procedurali dell’amministrazione: Debora, pur tardivamente, ha potuto far valere i suoi diritti procedurali.
Caso 4: Rateizzazione come via d’uscita per un imprenditore indebitato
Il sig. Enrico ha una ditta individuale e accumula debiti fiscali (IVA, IRPEF) per €80.000 in cartelle notificate tra il 2018 e il 2022. Non è in grado di pagarle in un’unica soluzione. Nel 2023 subisce un fermo amministrativo sul furgone aziendale e pignoramenti su due conti, che bloccano totalmente la sua attività. Consultatosi con un professionista, Enrico apprende che avrebbe potuto chiedere la rateizzazione prima che la situazione degenerasse. Sebbene siano già iniziate azioni esecutive, la legge gli consente ancora di chiedere un piano di rientro: per avere chance, paga subito in autotutela le prime 3 rate pro-forma e presenta una robusta richiesta di rateazione straordinaria a 10 anni (120 rate) allegando ISEE e bilanci disastrosi. Viste le sue difficoltà, AdER gli concede a fine 2023 un piano di 120 rate mensili da circa €700 l’una. Enrico appena ottiene il provvedimento di rateizzo:
- Fornisce copia al PRA per revocare il fermo sul furgone (gli serve per lavorare), dato che la prima rata l’ha già pagata e per legge il fermo va rimosso al momento della dilazione.
- Comunica alla banca e all’AdER l’avvenuta rateazione, ottenendo il disgelo dei conti (gli importi rimangono pignorati come garanzia, ma AdER sospende la procedura di assegnazione finché Enrico rispetta il piano).
- Riprende fiato e torna operativo.
Naturalmente, Enrico dovrà ora fare i conti con 10 anni di pagamenti mensili e non potrà saltarne più di 7 senza decadere. Ma almeno ha evitato la chiusura immediata. Inoltre, grazie alla rottamazione-quater 2023, ha aderito per i carichi 2018-2019 (inclusi nei €80k) ottenendo lo sconto di sanzioni e interessi. I debiti rottamati sono scorporati dalla rateazione (sospesa per quelli) e li pagherà a parte in 18 rate semestrali a tasso 2%. Questo mix di strumenti – definizione agevolata e dilazione per il resto – è stato possibile perché Enrico si è mosso entro i termini (ha aderito alla rottamazione entro giugno 2023 e chiesto la rateazione per i restanti a luglio 2023). Se fosse rimasto fermo, probabilmente nel 2024 avrebbe visto i suoi beni venduti all’asta. Il caso evidenzia come l’ordinamento offra vie d’uscita, ma spetta al debitore attivarle in tempo utile.
Domande frequenti (FAQ)
D: Ho ricevuto una cartella per IVA non pagata. Cosa devo fare entro i 60 giorni?
R: Entro 60 giorni hai tre opzioni: pagare l’importo (anche parzialmente, magari chiedendo subito una rateizzazione), oppure impugnare la cartella se ritieni che sia errata o illegittima, oppure in alternativa puoi presentare un’istanza di autotutela/sospensione se c’è un motivo palese (es. hai già pagato prima, o c’è prescrizione). L’importante è non lasciar trascorrere i 60 giorni inerme. Se paghi entro 60 gg, beneficerai di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 in caso di accertamento esecutivo (nelle cartelle da dichiarazione invece le sanzioni sono già al minimo edittale 30%). Se fai ricorso entro 60 gg, eviti che la cartella diventi definitiva e puoi far valere le tue ragioni. Se non fai nulla, dal giorno 61 il debito diventa esecutivo, maturano interessi di mora e l’Agente può attivare il recupero.
D: La cartella contiene importi che non riconosco o che credo prescritti: posso contestarla?
R: Sì. Puoi proporre ricorso alla Commissione Tributaria (per tributi) evidenziando i motivi: ad esempio, “questo tributo era già prescrittibile perché la cartella è arrivata dopo 5/10 anni” oppure “avevo diritto a un credito non considerato”, ecc. La Commissione valuterà. Ad esempio la Cassazione ha chiarito che le imposte erariali (IVA, IRPEF) si prescrivono in 10 anni, mentre sanzioni e interessi in 5 anni. Se quindi la cartella ti viene notificata oltre il termine, puoi far valere la prescrizione. Attento: se non ricorri, la prescrizione sarà comunque rilevabile in futuro (ogni atto interruttivo la fa ripartire). Quindi meglio contestare subito per far annullare il carico prescritto.
D: Ho saltato il termine di 60 giorni, posso fare qualcosa “tardivamente”?
R: In generale no, salvo casi particolari. Nel processo tributario non è ammesso il ricorso tardivo, a meno che tu non abbia avuto conoscenza dell’atto solo dopo (es. cartella mai notificata, scoperta via estratto di ruolo). In quel caso, puoi impugnare la cartella quando ne vieni a conoscenza, motivando l’inescusabilità della mancata impugnazione prima. La legge dal 2022 ha limitato la possibilità di impugnare l’estratto di ruolo, quindi conviene attendere un atto formale (es. intimazione) e impugnare quello, eccependo i vizi della cartella non notificata. Per i debiti non tributari, es. multe, è previsto l’opposizione tardiva entro 30 gg da quando hai avuto notizia (solo se non sapevi dell’atto). In sostanza, c’è qualche spiraglio se la notifica a suo tempo era nulla o mancante. Se invece hai semplicemente dimenticato di ricorrere, ormai la cartella è definitiva e potrai solo agire su eventuali vizi di esecuzione (non sul merito del debito).
D: Posso rateizzare la cartella anche se ho presentato ricorso?
R: Sì, sono due percorsi indipendenti. Chiedere la rateizzazione non preclude di proseguire il ricorso. Tieni presente però che se rateizzi e paghi, poi in caso di vittoria dovrai chiedere il rimborso, con i tempi dell’amministrazione. Secondo la Cassazione, la domanda di dilazione non costituisce riconoscimento del debito né interrompe la prescrizione. Quindi non ti nuoce giuridicamente. Dal punto di vista strategico, alcuni preferiscono aspettare l’esito del ricorso prima di pagare; ma se nel frattempo c’è rischio di pignoramenti, una dilazione può congelare la riscossione. Valuta inoltre che se hai già pagato tutto, il giudice potrebbe dichiarare cessata la materia del contendere (perché l’atto non produce più effetti) e non entrare nel merito. Quindi, se vuoi un accertamento di illegittimità, potrebbe essere meglio rateizzare (per bloccare azioni) ma non pagare tutte le rate subito finché il giudizio non decide, oppure pagare con “riserva” di ripetizione. In ogni caso, la legge oggi permette di non decadere dal ricorso se rateizzi.
D: Quante rate posso saltare in una dilazione senza decadere?
R: Dal 2022 la regola è che puoi accumulare fino a 7 rate non pagate (anche non consecutive) senza perdere il beneficio; alla ottava rata non pagata, decadi. Fino al 2015 erano solo 2 rate, poi 5 rate; durante il Covid era 10 rate ammesse. Ora si è stabilizzato a 8. Ricorda che è fondamentale comunque pagare tutte le rate, solo hai un margine di tolleranza più ampio se hai difficoltà temporanee. Inoltre, ogni rata ha una tolleranza di 5 giorni oltre la scadenza (quindi se scade il 30 del mese, pagando entro il 4 del mese successivo sei ok). Se paghi oltre, quella rata conta come “saltata” ai fini della decadenza. Dunque attenzione al calendario per non sforare questi limiti.
D: Cosa succede se non pago affatto una cartella esattoriale?
R: In sintesi, dopo 60 giorni scatteranno:
- Gli interessi di mora (circa 3-4% annuo attualmente) dal giorno 61 in poi sul debito.
- L’Agente potrà iscrivere fermo sui tuoi veicoli (preavvisandoti) e/o ipoteca sugli immobili se debiti rilevanti (oltre 20k).
- Trascorso ancora del tempo, potrà procedere con pignoramenti di conti, stipendi, immobili ecc. È un’escalation: prima inviano una lettera di intimazione (se la cartella è “vecchia” di oltre un anno), poi passano ai fatti. Potresti ritrovarti il conto corrente bloccato, il quinto dello stipendio trattenuto, l’auto inutilizzabile e, per debiti grossi, anche la casa messa all’asta (se non protetta come prima casa). Insomma, ignorare completamente la cartella porta quasi certamente a conseguenze patrimoniali serie. Inoltre, se il debito è per IVA non versata sopra soglia penale (€250.000), la mancata regolarizzazione può condurre anche a un procedimento penale per omesso versamento IVA (punito con reclusione fino a 2 anni). In tali casi, pagare il dovuto prima del giudizio penale di primo grado estingue il reato (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Quindi, non pagare affatto può esporre anche a guai giudiziari oltre che economici.
D: Il Fisco può togliermi la casa in cui vivo per tasse non pagate?
R: Se è la prima e unica casa di residenza, la legge la protegge dal pignoramento in molte situazioni. Precisamente, se non hai altri immobili, il tuo immobile è di categoria non di lusso e ci risiedi anagraficamente, AdER non può pignorarlo per debiti tributari (a meno che il debito superi €120.000, nel qual caso la prima casa perde la protezione per la parte eccedente, ma anche in tal caso c’è chi discute se resti impignorabile comunque – la norma pone tutte le condizioni insieme). Dunque nella maggior parte dei casi la prima casa è salva. Attenzione però: possono iscriverti ipoteca su di essa se il debito supera 20k, e se non paghi comunque il fisco potrà rifarsi su altri beni (stipendi, conti, auto). Inoltre se hai due case, nessuna è protetta (possono pignorare una delle due, preferibilmente quella non residenziale). Quindi la casa di abitazione unifamiliare è relativamente al sicuro (salvo mega-debiti >€120k come detto). Invece, se hai un capannone o una seconda casa, quelli sono normalmente pignorabili (previa ipoteca). E se la tua casa è di lusso (cat. A/8 o A/9), niente protezione: il Fisco può ipotecarla e venderla come un bene qualsiasi.
D: Mi hanno appena notificato un pignoramento del conto o stipendio senza alcun avviso precedente: è lecito?
R: Se il pignoramento arriva entro un anno dalla cartella, la legge non impone un ulteriore preavviso oltre la cartella stessa. Quindi, in teoria, sì, può capitare (cartella non pagata a gennaio, pignoramento a ottobre stesso anno, ad es.). Se invece è passato oltre un anno, dovevano mandarti un’intimazione di pagamento almeno 5 giorni prima. Controlla le date: se manca l’intimazione dovuta o se l’hai ricevuta fuori termine, il pignoramento è contestabile (opposizione ex art. 617 CPC per vizio procedurale). Purtroppo molti ignorano le cartelle pensando “arriverà qualche altro avviso” e magari trascurano l’intimazione breve. Inoltre considera che per conti e stipendi, l’AdER può attivare la procedura rapida art. 72-bis/72-ter senza passare dal giudice, quindi il blocco può arrivare di colpo. È per questo importante tenere d’occhio la propria PEC e il proprio domicilio fiscale: le comunicazioni arrivano lì. Se cambi indirizzo o PEC, comunicalo all’Agenzia delle Entrate e ai registri d’impresa, altrimenti potresti non accorgerti di un atto (che magari viene notificato validamente altrove) e ritrovarti col pignoramento sul conto “a sorpresa”.
D: Avevo una cartella, ma ora sono nullatenente/disoccupato: possono farmi qualcosa?
R: Se al momento non hai beni aggredibili né un lavoro, l’AdER sospenderà di fatto le azioni in attesa di tempi migliori (non può prendere quello che non c’è). Tuttavia il debito rimane e maturano interessi. Inoltre la prescrizione potrebbe essere interrotta periodicamente da notifiche di solleciti o nuove intimazioni, mantenendo vivo il credito per molti anni. Se in futuro tornerai ad avere disponibilità (un lavoro regolare, un conto con saldo, acquisterai un’auto o casa, ecc.), il Fisco potrà rifarsi allora. In casi di indigenza prolungata, l’unica via per liberarsene può essere la procedura di sovraindebitamento (oggi ricompresa nel Codice della Crisi d’Impresa): ad esempio un piano del consumatore o la liquidazione del patrimonio davanti al Tribunale, che può portare allo stralcio parziale di debiti fiscali con approvazione del giudice. Esiste anche la possibilità che il debito venga cancellato per inerzia: ad esempio i ruoli sotto €1.000 del periodo 2000-2015 sono stati stralciati nel 2023; oppure se il credito rimane non riscosso e non interrotto oltre i termini di prescrizione (5 o 10 anni secondo il caso), decade. Ma confidare nell’oblio è rischioso. Meglio affrontare la situazione con gli strumenti legali (rate, definizioni, ecc.) piuttosto che aspettare.
Bibliografia e riferimenti normativi
Normativa primaria:
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito” – artt. 24-30 (ruolo e cartella di pagamento), 49-51 (intimazione, termine 1 anno), 72-bis e 72-ter (pignoramenti presso terzi), 76-86 (espropriazione e misure cautelari: divieto pignoramento prima casa, soglie €20k e €120k, fermo, ipoteca).
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: “Disposizioni sul processo tributario” – art. 19 (atti impugnabili, tra cui cartella e fermo/ipoteca), art. 21 (60 gg per ricorso). Modificato da L. 130/2022 (riforma giustizia tributaria).
- Codice di Procedura Civile: art. 615 e 617 (opposizioni a esecuzione/atti), art. 545 (limiti pignorabilità stipendi/pensioni e conti correnti, incl. novità depositi stipendiali), art. 480 (precetto, reso non necessario dal DPR 602/73 per esattoriali), art. 491 e segg. (pignoramento mobiliare e immobiliare).
- L. 27 luglio 2000, n. 212: “Statuto dei diritti del contribuente” – art. 6, c. 2 (obbligo di preavviso 30 gg prima di iscrivere ipoteca o fermo); art. 7 (obbligo indicare responsabile procedimento).
- D.L. 6 luglio 2011, n. 98, conv. L. 111/2011: introdotto art. 29 su accertamento esecutivo per tributi erariali (accertamenti IVA/IRPEF esecutivi dopo 60 gg).
- L. 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge Stabilità 2013): commi 537-543 – sospensione legale della riscossione su istanza del contribuente e annullamento dopo 220 gg.
- D.L. 21 giugno 2013, n. 69, conv. L. 98/2013 (“Decreto del Fare”): art. 52 – modifiche a riscossione: introdotta impignorabilità prima casa (art. 76 DPR 602), soglie €50k (poi ridotta a 20k) per ipoteca, 120k per esproprio, esenzione fermo per beni strumentali.
- D.L. 16/2012 conv. L. 44/2012: soglia ipoteca a €20k (modifica art. 77 DPR 602).
- D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159 (“Decr. att. delega fiscale”): abolito aggio di riscossione dal 2016 in poi (compensato da oneri di funzionamento a carico Stato).
- D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. L. 225/2016: scioglimento Equitalia e istituzione Agenzia Entrate-Riscossione dal 1/7/2017.
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio 2019): rottamazione-ter e saldo/stralcio 2019.
- Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio 2020): art. 1, c.792 – accertamenti esecutivi anche per tributi locali dal 2020.
- D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (“Rilancio”) conv. L. 77/2020: proroga 2020, estensione efficacia intimazioni a 12 mesi.
- D.L. 21 ottobre 2021, n. 146 conv. L. 215/2021: art. 3-bis – ha modificato art. 12 DPR 602 aggiungendo comma 4-bis che limita impugnabilità estratto di ruolo.
- Cassazione SS.UU. 22 settembre 2017 n. 22810: afferma impugnabilità del preavviso di fermo come atto autonomo impugnabile (orientamento da confermare).
- Cassazione SS.UU. 17 novembre 2016 n. 23397: ha stabilito che cartella non impugnata non genera giudicato decennale ex art. 2953 c.c., ma resta prescrizione propria del tributo (10 o 5 anni).
- Cassazione SS.UU. 15 febbraio 2024 n. 11676: ha confermato orientamento su prescrizioni: tributi erariali 10 anni, tributi locali 5 anni.
- Cassazione SS.UU. 25 luglio 2017 n. 13913 e SS.UU. 6 aprile 2020 n. 7822: sulla ripartizione giurisdizione opposizioni (615 cpc limitata a fatti successivi titolo; notifica nulla di cartella va a giudice tributario).
- Cassazione SS.UU. 22 febbraio 2021 nn. 4845, 4846: opposizione agli atti esecutivi cumulativa con vizi su titolo: se accolto vizio formale pignoramento, assorbe il resto.
- Corte Costituzionale 31 maggio 2018 n. 114: dichiarata illegittimità dell’art. 57 c.1 lett. a) DPR 602/73 nella parte in cui esclude opposizione ex 615 per fatti sopravvenuti estintivi (ha aperto quindi oppos. esecuzione per pagamento tardivo, prescrizione post-cartella, ecc.).
- Corte Costituzionale 4 giugno 2020 n. 120: su notifica cartelle via PEC (ha escluso illegittimità, confermando validità PEC anche senza firma digitale del messo).
- Cassazione 13 febbraio 2017 n. 6099: nullità cartella notificata a familiare convivente senza raccomandata informativa ex art. 139 cpc.
- Cassazione 22 febbraio 2017 n. 4587: nullità ipoteca senza preavviso 30gg (violazione art. 6 Statuto).
- Cassazione 12 marzo 2019 n. 7269: conferma che fermo senza preavviso è illegittimo (orientamento consolidato).
- Cassazione 18 novembre 2021 n. 34447: interessi di mora su cartella: prescrizione 5 anni (ribadendo natura periodica).
- Cassazione SS.UU. 25 marzo 2021 n. 8500: rateizzazione non è rinuncia a ricorso; atto di riconoscimento debito richiede volontà chiara (conforme a Cass. 5549/2021 citata).
- Cassazione SS.UU. 29 luglio 2022 n. 26283: l’estratto di ruolo non è atto impugnabile salvo le eccezioni di legge 2021 (questa sentenza ha “messo un punto” alla querelle, adeguandosi alla norma restrittiva).
- Cassazione 12 marzo 2025 n. 6588: ha ribadito la stretta su estratto di ruolo: impugnabile solo se c’è pregiudizio per appalti, pagamenti PA, benefici PA.
- Cassazione 16 dicembre 2024 n. 32759: (citata nel testo Brocardi) ha confermato applicabilità retroattiva del divieto pignoramento prima casa anche a procedure in corso.
- Cassazione 20 aprile 2023 n. 9479: prima casa impignorabile non si estende a sequestro penale tributario (quindi reati tributari possono colpire anche prima casa, sentenza citata in Brocardi).
- Cassazione 22 settembre 2022 n. 27055: interessi di mora quinquennali (conferma orientamento per periodicità interessi).
- Corte Cost. 15/2022: (solo richiamo generale, su opposizioni esattoriali, non modificativa).
- Legge 29 dicembre 2022 n. 197 (Bilancio 2023): commi 222-230 (stralcio automatico debiti ≤€1000 2000-2015), commi 231-252 (Definizione agevolata 2023 rottamazione-quater).
- D.Lgs. 29 luglio 2024 n. 110: “Riordino del sistema nazionale della riscossione” – ha ampliato numero rate (mod. art. 19 DPR 602), alzato soglia automatica a 120k, introdotto indici per difficoltà, ecc.
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