Hai ricevuto una cartella esattoriale per mancato pagamento dell’IRES e non sai da dove iniziare? Ti stai chiedendo se il debito è corretto, se puoi impugnarlo o se rischi subito il pignoramento?
L’IRES – l’Imposta sul Reddito delle Società – è una delle imposte più frequenti per imprese e società. Quando non viene versata, o viene accertata in fase di controllo, l’Agenzia delle Entrate può emettere una cartella esattoriale con la richiesta di pagamento. Ma attenzione: non tutte le cartelle sono valide e in molti casi ci sono margini per difendersi.
Cosa contiene una cartella IRES e perché arriva?
La cartella può derivare da:
– un semplice controllo automatico o formale (omesso versamento, errore di calcolo, incongruenza nei dati dichiarati);
– un avviso di accertamento non impugnato nei termini;
– un controllo più approfondito con esito negativo.
La cartella riporta l’importo da pagare, gli interessi, le sanzioni e le spese di notifica. Ma spesso ci sono errori, omissioni o problemi procedurali che permettono di contestare l’atto.
Cosa puoi fare se ricevi una cartella per IRES?
Hai diverse opzioni, ma tutto dipende dal contenuto e dalla tua situazione. Puoi:
– Verificare la legittimità della cartella, controllando se è stata preceduta da un accertamento e se è stata notificata correttamente;
– Impugnare la cartella davanti alla Commissione Tributaria entro 60 giorni, se ci sono vizi formali o sostanziali;
– Chiedere l’annullamento in autotutela, se ritieni che il debito non sia dovuto o ci sia stato un errore evidente;
– Rateizzare l’importo, se il debito è fondato ma non riesci a pagare in un’unica soluzione;
– Oppure, se sei in grave difficoltà economica, valutare una procedura di sovraindebitamento o di composizione negoziata.
Cosa succede se non paghi o non fai nulla?
La cartella diventa definitiva e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può procedere con azioni esecutive: pignoramento dei conti, fermo amministrativo, iscrizione di ipoteca o blocco dell’attività. Ecco perché è fondamentale non sottovalutare l’atto e agire tempestivamente.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa contro cartelle esattoriali – ti spiega cosa sapere se ricevi una cartella IRES, quali sono i tuoi diritti e cosa possiamo fare per aiutarti a bloccare la riscossione o ridurre il debito.
Hai ricevuto una cartella per IRES e non sai se è legittima? Hai difficoltà a pagarla e vuoi evitare il pignoramento o le sanzioni?
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Introduzione
La cartella esattoriale – oggi più propriamente detta cartella di pagamento – è l’atto tramite cui l’agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) richiede formalmente al contribuente il pagamento di somme dovute e non versate spontaneamente. Nel caso dell’IRES (Imposta sul Reddito delle Società), la cartella esattoriale può scaturire da un mancato pagamento dell’imposta dovuta da parte di una società di capitali (come S.r.l. o S.p.A.) o, indirettamente, anche da parte di altri soggetti (es. imprenditori individuali o soci) in situazioni particolari. Ricevere una cartella per omesso versamento IRES significa che l’Amministrazione finanziaria sta procedendo a recuperare coattivamente l’importo dell’imposta, più sanzioni e interessi.
Questa guida fornisce un’analisi approfondita e aggiornata a giugno 2025 di tutto ciò che il debitore deve sapere in tale circostanza. Adotteremo un linguaggio chiaro, con taglio giuridico-divulgativo, esaminando la normativa (comprese le novità introdotte fino al 2025 dalla riforma fiscale e dalle ultime Leggi di Bilancio), la giurisprudenza più recente (dalle Commissioni Tributarie/Corti di Giustizia Tributaria fino alla Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale), nonché modelli pratici di difesa e strumenti di gestione del debito tributario. Il punto di vista privilegiato sarà quello del debitore, evidenziando diritti, tutele e strategie per affrontare al meglio una cartella esattoriale IRES.
Struttura della guida: Dopo i concetti di base su IRES e cartelle di pagamento, esamineremo il percorso che porta dall’omesso versamento alla cartella, le sanzioni e gli interessi applicati, le possibilità di rateizzare o definire il debito, e le modalità di ricorso. Saranno presentate novità normative (come la riforma della riscossione del 2024 e la riduzione “premiale” dell’aliquota IRES dal 2025) e pronunce giurisprudenziali recenti (ad es. su prescrizione, motivazione degli atti, diritti del coobbligato). Verranno poi trattate le differenze a seconda della forma giuridica del debitore – persona fisica, società di capitali o imprenditore individuale – e presentate simulazioni pratiche (ad es. una S.r.l. con €20.000 di IRES non pagata). Infine, la guida offre tabelle riepilogative, una sezione di Domande & Risposte comuni e modelli di atti (fac-simile di ricorso tributario, istanza di rateizzazione, richiesta di sospensione).
Nota: Tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate sono elencate nell’ultima sezione della guida, per consentire al lettore ulteriori approfondimenti.
L’IRES e le scadenze di versamento
Prima di addentrarci nella cartella esattoriale, è utile inquadrare brevemente che cos’è l’IRES e quando va pagata, poiché molti problemi nascono proprio dal mancato rispetto delle scadenze originarie.
IRES (Imposta sul Reddito delle Società) è l’imposta dovuta sul reddito prodotto dalle società di capitali e dagli enti commerciali residenti in Italia (es. S.p.A., S.r.l., S.a.p.a., società cooperative). L’aliquota ordinaria IRES è stata stabile per diversi anni al 24% degli utili imponibili. A seguito della recente riforma fiscale, è stata però introdotta – solo per il periodo d’imposta 2025 – una aliquota ridotta al 20% (cosiddetta “IRES premiale”) per le imprese virtuose, cioè quelle che reinvestono almeno l’80% degli utili 2024 (di cui almeno il 30% in beni strumentali “4.0/5.0”) e incrementano di almeno l’1% la forza lavoro. Questo beneficio mira a premiare le imprese che rafforzano la propria capitalizzazione e investono in innovazione e occupazione. Esempio: un’azienda che soddisfa tali condizioni sugli utili 2024 pagherà nel 2025 un’IRES al 20% anziché 24%, riducendo così il rischio futuro di sofferenze fiscali (meno imposte da versare). Attenzione: l’IRES premiale riguarda l’aliquota d’imposta e non esonera in alcun modo dal pagamento – le imprese beneficiarie dovranno comunque versare l’imposta dovuta, seppur ridotta.
Le società di capitali determinano l’IRES annualmente in sede di dichiarazione dei redditi (Modello Redditi SC). Le scadenze di versamento dell’IRES seguono il meccanismo degli acconti e saldo, analogamente alle altre imposte sui redditi. In genere:
- Acconti IRES: vengono pagati in due rate nel corso dell’anno (giugno e novembre dell’anno di competenza, per i soggetti “solari” con esercizio coincidente all’anno solare). L’importo è calcolato in base all’imposta dell’anno precedente (metodo storico) oppure alle previsioni per l’anno corrente (metodo previsionale).
- Saldo IRES: va versato entro il giorno 30 del sesto mese successivo alla chiusura dell’esercizio sociale (tipicamente entro il 30 giugno dell’anno successivo, se l’esercizio coincide con l’anno solare). È possibile differire di 30 giorni il saldo con una maggiorazione dello 0,4%.
Esempio: una S.r.l. con esercizio al 31/12 deve versare il saldo IRES 2024 entro il 30 giugno 2025 (o 30 luglio 2025 con 0,4% in più) e gli acconti per il 2025 nelle scadenze 2025 medesime.
Mancato pagamento: Se la società non versa alle scadenze uno o più di questi importi (acconti o saldo), l’importo non pagato diviene un debito tributario a tutti gli effetti, su cui maturano sanzioni e interessi. In un primo momento, il contribuente ha l’opportunità di regolarizzare spontaneamente con il ravvedimento operoso (pagando l’imposta dovuta con sanzioni ridotte e interessi legali) o in risposta a un eventuale avviso bonario del Fisco. Se però il pagamento continua a non avvenire, l’Agenzia delle Entrate iscriverà il debito a ruolo e lo affiderà all’Agente della Riscossione per il recupero forzoso, con la conseguente notifica di una cartella di pagamento.
Nei paragrafi successivi analizzeremo proprio questo percorso, dal ruolo alla cartella esattoriale, e tutto ciò che comporta per il debitore. Prima, definiamo brevemente la cartella di pagamento e il suo contenuto.
Che cos’è la cartella esattoriale e cosa contiene
La cartella di pagamento è l’atto con cui l’Agente della Riscossione ingiunge formalmente al contribuente il pagamento di somme risultate dovute. Viene emessa sulla base di un “ruolo”, cioè un elenco di debitori e relative somme che l’ente creditore (ad esempio l’Agenzia delle Entrate per l’IRES) ha formato e trasmesso per la riscossione coattiva. La cartella ha valore di titolo esecutivo: se il debitore non paga entro i termini, l’agente potrà attivare direttamente misure cautelari ed esecutive (fermo, ipoteca, pignoramento) senza bisogno di ulteriori autorizzazioni giudiziarie.
All’interno di una cartella per omesso versamento IRES, troveremo tipicamente:
- L’importo dell’imposta non pagata (sorte capitale) – es: €20.000 di IRES relativa all’anno X.
- Le sanzioni amministrative per il ritardato/omesso pagamento – generalmente il 30% dell’imposta non versata ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 471/1997. (Nota: se in precedenza era stato inviato un avviso bonario, la sanzione può essere stata ridotta a 10% in sede di avviso, ma tornerebbe al 30% in cartella se non si è pagato nei termini agevolati).
- Gli interessi maturati fino alla data della cartella – su IRES si applicano di norma:
- Interessi da ritardata iscrizione a ruolo (art. 20 D.P.R. 602/1973) al tasso legale annuo del 4%, calcolati dal giorno successivo alla scadenza originaria di pagamento fino alla data di elaborazione del ruolo/cartella.
- Eventuali interessi specifici previsti da norme particolari. Ad esempio, per importi emersi da controlli automatizzati (avvisi bonari da liquidazione ex art. 36-bis D.P.R. 600/1973) si applica un tasso ad hoc del 3,5% annuo (introdotto nel 2016) in luogo del tasso legale.
- Gli aggi o oneri di riscossione e le spese – fino al 2021 era previsto un aggio a favore dell’Agente (circa 6-8% del debito) a carico del contribuente; oggi l’aggio è stato abolito (coperto da risorse statali), ma nella cartella permangono gli oneri di notifica e eventuali spese vive (di solito importi modesti, es. qualche euro).
- Indicazione del termine per pagare (60 giorni dalla notifica) e della possibilità di chiedere la rateizzazione entro lo stesso termine per evitare azioni esecutive.
- Avvertenze legali circa le azioni conseguenti al mancato pagamento (iscrizione di fermi, ipoteche, esecuzioni) e i riferimenti normativi.
È importante che la cartella sia motivata in modo chiaro, cioè riporti la causale del debito, il periodo d’imposta, gli estremi di eventuali atti precedenti (ad esempio il numero di protocollo della dichiarazione o dell’avviso bonario da cui origina il debito) e il calcolo di sanzioni e interessi. La Corte di Cassazione ha infatti affermato che è illegittima la cartella che non riporti in modo comprensibile il calcolo degli interessi o delle sanzioni, impedendo al contribuente di verificare la correttezza degli importi. Le Sezioni Unite, con sentenza n. 22281/2022, hanno chiarito che per gli interessi di mora è sufficiente l’indicazione del tasso applicato e del periodo di riferimento, data la natura accessoria e automatica di tali interessi, mentre una motivazione più analitica non è necessaria. Tuttavia, pronunce più recenti (Cass. ord. n. 10493/2024) hanno ribadito che in mancanza di indicazioni sul calcolo degli interessi, la cartella può essere annullata. In sintesi, la cartella deve contenere dati chiari e completi, altrimenti il debitore potrà far valere il vizio di motivazione in sede di ricorso.
Come viene notificata la cartella
La notifica della cartella avviene sempre per via ufficiale. Dal 1° luglio 2017, per le imprese e i professionisti titolari di partita IVA la notifica avviene esclusivamente tramite PEC (Posta Elettronica Certificata) all’indirizzo risultante dagli indici nazionali. Per i contribuenti persone fisiche non titolari di partita IVA, la notifica può avvenire a mezzo posta tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, oppure tramite messi notificatori (agenti della riscossione o ufficiali della notificazione). In alcuni casi, la notifica può essere effettuata anche mediante affissione all’Albo del Comune (irreperibilità assoluta) o per pubblici proclami, ma si tratta di ipotesi residuali.
Novità 2022-2025: con la riforma della Giustizia Tributaria (L. 130/2022) e i decreti attuativi della riforma fiscale, si va verso una sempre maggiore digitalizzazione delle notifiche. Entro il 2025 è prevista l’implementazione generalizzata del domicilio digitale per tutti i cittadini, così che anche le persone fisiche avranno un indirizzo elettronico certificato per ricevere atti. In pratica, le cartelle esattoriali verranno notificate preferibilmente via PEC anche ai privati, riducendo i tempi e le incertezze delle notifiche cartacee.
È fondamentale controllare la regolarità della notifica: una cartella non notificata o notificata invalidamente (ad esempio a un indirizzo PEC errato, o con relata priva di firma digitale, o consegnata a persona non legittimata) non fa decorrere i termini per pagare o impugnare. In caso di vizi di notifica, il contribuente potrà far valere tale nullità in giudizio. Tuttavia, attenzione: se la cartella non viene impugnata e si lascia “decadere” il termine, anche un vizio di notifica potrebbe essere sanato col tempo, soprattutto se il contribuente ne è comunque venuto a conoscenza (principio di conoscenza effettiva). Ad ogni modo, la difesa su questi aspetti può essere tecnica: ad esempio la Cassazione ha ritenuto valida la notifica PEC con file allegato in formato PDF anziché P7M (mancanza di firma digitale) solo a certe condizioni, mentre altre sentenze l’hanno invalidata. È quindi opportuno, appena ricevuta una cartella, farla valutare da un legale esperto per individuare possibili irregolarità formali.
Dal mancato pagamento alla cartella: il percorso e i termini
Vediamo ora come si arriva materialmente alla cartella esattoriale dopo il mancato pagamento dell’IRES. Il percorso può differire a seconda che il debito derivi da omesso versamento di importo dichiarato dal contribuente oppure da un successivo accertamento d’ufficio da parte del Fisco. In ogni caso, la cartella rappresenta la fase finale di questo iter, quando ormai il debito è definitivo ed esigibile.
- Omesso versamento di imposta dichiarata: questa è la situazione tipica per l’IRES. La società presenta la dichiarazione dei redditi indicando un certo importo a debito, ma non lo versa (in tutto o in parte) entro le scadenze previste. In tal caso non vi è bisogno di alcun avviso di accertamento: l’importo, essendo “liquidato” dallo stesso contribuente in dichiarazione, viene direttamente iscritto a ruolo dall’Agenzia delle Entrate dopo i controlli formali. Solitamente, prima della cartella, l’Agenzia invia una “comunicazione di irregolarità” (il cosiddetto avviso bonario ex art. 36-bis D.P.R. 600/1973) che riepiloga l’omesso pagamento e consente di pagare entro 30 giorni una somma comprensiva di sanzione ridotta (generalmente 10% invece di 30%) e interessi legali. Se il contribuente paga l’avviso bonario nei termini, il debito si estingue con sanzioni ridotte. Se non paga nemmeno l’avviso bonario, allo scadere dei 30 (ora 60) giorni l’ufficio iscrive a ruolo l’importo con la sanzione intera del 30% e interessi, formando così la cartella.
Novità: Dal 2023 il termine per pagare le somme da controllo automatizzato è stato esteso da 30 a 60 giorni, in attuazione della riforma fiscale, lasciando però invariato il tasso di interesse applicato (3,5% annuo) e la sanzione ridotta (10%). Questo concede più tempo alle aziende per regolarizzare e può ridurre i casi di irreperibilità finanziaria che portano a cartella. - Omesso versamento derivante da accertamento: se l’Agenzia delle Entrate riscontra, ad esempio tramite verifica, un maggior reddito non dichiarato, emette un avviso di accertamento per maggiore IRES dovuta. Dal 2011 gli avvisi di accertamento sono esecutivi: decorso il termine per impugnarli (60 giorni) senza pagamento, essi valgono già come titolo per la riscossione coattiva senza necessità di cartella (principio della “concentrazione della riscossione”). Tuttavia, in pratica, l’Agente della Riscossione notifica comunque un’intimazione di pagamento prima di procedere. Se però l’avviso di accertamento è stato impugnato dal contribuente e la sua efficacia esecutiva sospesa (automaticamente o per ordine del giudice), non si formerà il ruolo finché la pretesa non diviene definitiva. In caso di soccombenza del contribuente (sentenza passata in giudicato), l’ufficio iscriverà a ruolo le somme accertate non versate e l’Agenzia Riscossione notificherà la cartella per riscuotere. Attenzione: a differenza del caso precedente, qui la cartella arriva dopo un lungo iter contenzioso. Spesso per gli accertamenti l’importo è già gravato da interessi moratori dal 61° giorno dall’accertamento esecutivo, in quanto l’avviso stesso funge da titolo (in caso di ricorso, la riscossione è solo sospesa con eventuale cauzione, ma gli interessi legali decorrono).
- Altre casistiche: La cartella IRES può originare anche da ruoli straordinari (emessi in casi di fondato pericolo per il gettito, anche prima dei termini ordinari), da accertamenti divenuti definitivi per mancata impugnazione, o da conguagli da dichiarazione integrativa a sfavore non versati. In qualunque caso, l’iter prevede un atto impositivo (dichiarazione o accertamento) seguito dall’iscrizione a ruolo e dalla cartella.
Termini di decadenza: La legge fissa precisi termini entro cui l’Agenzia delle Entrate deve notificare la cartella (pena la decadenza della pretesa). Per i debiti da dichiarazione (controllo automatizzato) il termine ordinario era il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (es. per omesso versamento nel 2021 di imposta da dichiarazione 2021, la cartella andava notificata entro il 31/12/2023). In realtà, questi termini hanno subìto numerose proroghe straordinarie negli ultimi anni: ad esempio, le norme emergenziali COVID (DL 157/2020 e DL 41/2021) hanno esteso di 14 mesi i termini per i ruoli 2018 e 2019. Ciò ha portato a scadenze come il 31 dicembre 2024 per notificare cartelle relative a dichiarazioni 2019 (redditi 2018) in alcuni casi. È complesso districarsi tra le varie proroghe: nella pratica, per qualsiasi cartella ricevuta, occorre verificare se rispetti i termini vigenti pro tempore. Se notificata oltre il termine, la cartella è nulla per decadenza (art. 25 D.P.R. 602/1973). Va però precisato che la decadenza riguarda il potere di riscossione, mentre la prescrizione (di cui diremo a breve) estingue il debito dopo un certo tempo. Una cartella notificata in ritardo rispetto ai termini di legge va tempestivamente impugnata per far valere la decadenza.
In sintesi, il percorso dal mancato pagamento alla cartella è strettamente regolato nel tempo. Il diagramma seguente riassume i passaggi principali per un’omissione di versamento IRES dichiarata:
Fase | Descrizione | Riferimenti |
---|---|---|
Scadenza mancata | Il contribuente non versa l’IRES dovuta entro la scadenza (acconto o saldo). L’imposta diviene omessa. | Art. 13 D.Lgs. 471/1997 (sanzioni) |
Avviso bonario (facoltativo) | L’Agenzia Entrate invia comunicazione di irregolarità con sanzioni ridotte (10%) e interessi legali (3,5%). Pagamento entro 60 gg evita la cartella. | Art. 36-bis D.P.R. 600/1973 |
Iscrizione a ruolo | Trascorsi i 60 gg senza pagamento, l’importo (imposta + 30% sanzione + interessi 4%) è iscritto a ruolo. | Art. 14 D.Lgs. 46/1999 |
Cartella di pagamento | L’Agente Riscossione notifica la cartella esattoriale. Contiene importi aggiornati a tale data (sanzione piena, interessi, oneri). | Art. 25 D.P.R. 602/1973 |
60 giorni per pagare/ricorrere | Dal giorno di notifica, il debitore ha 60 gg per pagare integralmente o chiedere rateazione, oppure proporre ricorso (se ne esistono motivi legittimi). | Art. 19 D.Lgs. 546/1992 (ricorso) |
Inadempimento | Se dopo 60 gg nessuna azione, la cartella diviene esecutiva: maturano interessi di mora (2,68% annuo) e l’agente può iniziare misure cautelari/esecutive. | Art. 30 D.P.R. 602/1973 |
Sanzioni e interessi sull’IRES non pagata
Dal punto di vista del debitore, uno degli aspetti più gravosi della cartella IRES sono le sanzioni e gli interessi che si sommano all’imposta originaria. Approfondiamo dunque quanto costa, in termini di oneri accessori, il mancato pagamento dell’IRES.
Sanzione per omesso versamento
Come già accennato, la sanzione amministrativa applicabile al mancato pagamento di un’imposta dovuta (quale è l’IRES da autoliquidazione) è pari al 30% dell’importo non versato, in base all’art. 13 comma 1 D.Lgs. 471/1997. Questa sanzione è fissa (non varia con i giorni di ritardo oltre una certa soglia) ma può essere ridotta in alcuni casi:
- Ravvedimento operoso: se il contribuente regolarizza spontaneamente prima di qualsiasi contestazione formale, la sanzione del 30% viene ridotta in misura proporzionale alla tempestività (ad esempio, entro 90 giorni la sanzione è ridotta a 1/9 = 3,33%; entro 1 anno a 1/8 = 3,75%; oltre un anno a 1/7 = circa 4,29%, ecc.). Il ravvedimento permette quindi di pagare con sanzioni molto contenute, oltre interessi legali. È lo strumento da preferire se l’omissione viene scoperta dal contribuente stesso o dal suo consulente.
- Pagamento entro 30 giorni da avviso bonario: qualora l’Agenzia invii la comunicazione di irregolarità, essa applica già una sanzione ridotta al 10% (1/3 di 30%) sull’imposta omessa. Se il contribuente paga entro 30 giorni (oggi 60 giorni, ma il beneficio della sanzione ridotta rimane entro 30 giorni) dall’avviso, la sanzione resta 10%. In caso contrario, scaduto il termine, viene iscritto a ruolo il residuo 20% portando la sanzione al 30% pieno.
- Definizioni agevolate (“condoni”): in particolari momenti il legislatore può prevedere sanatorie che abbattono le sanzioni. Ad esempio, la “rottamazione-quater” introdotta dalla Legge di Bilancio 2023 ha permesso di pagare le cartelle affidate dal 2000 al 2017 senza sanzioni né interessi di mora (solo imposte e interessi da ritardata iscrizione). Tali misure sono straordinarie e a scadenza, e ne parleremo più avanti.
Le sanzioni tributarie sono di natura amministrativa (non penale) e non producono conseguenze detentive. Non è reato l’omesso versamento di IRES dichiarata – a differenza dell’IVA, per cui oltre una certa soglia (€250.000) scatta il reato ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000. In altre parole, se una società non riesce a pagare l’IRES dovuta ma ha presentato regolarmente la dichiarazione, non commette illecito penale (a meno che la circostanza si inserisca in condotte più ampie di frode fiscale). Ciò non significa che la sanzione amministrativa non pesi: anzi, il 30% può essere un aggravio notevole. Esempio: su €20.000 di IRES non pagata, la sanzione ammonta a €6.000, facendo salire il debito a €26.000 ancor prima degli interessi.
Va segnalato che nell’ambito della delega per la riforma fiscale (L. 111/2023) è stato emanato il D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 di revisione del sistema sanzionatorio tributario. Tale decreto ha rimodulato alcune sanzioni, privilegiando un approccio maggiormente proporzionale e premiale. Per l’omesso versamento in particolare non risultano modifiche all’aliquota standard del 30%, ma vengono introdotte cause di non punibilità per inadempimenti di lieve entità e la possibilità per l’Ufficio di applicare sanzioni ridotte in via autonoma (in adesione) tenendo conto della tempestiva regolarizzazione. Inoltre, sono state rafforzate le misure premiali per i contribuenti collaborativi, ma queste riguardano più gli aspetti dichiarativi che il versamento. In sintesi, la sanzione del 30% per l’omesso pagamento IRES resta in vigore anche nel 2025, salvo beneficiare di riduzioni tramite ravvedimento o sanatorie.
Interessi: tipologie e tassi applicati
Gli interessi rappresentano l’altro onere principale che incide su un debito IRES non pagato. Nel “ciclo di vita” del debito fiscale incontriamo diverse categorie di interessi, ciascuna disciplinata da regole proprie. È importante distinguerle:
- Interessi da ritardata iscrizione a ruolo – Previsti dall’art. 20 D.P.R. 602/1973, si applicano sulle imposte dichiarate e non versate, per il periodo che intercorre tra la scadenza di pagamento e la formazione del ruolo (ovvero l’iscrizione a ruolo delle somme). Sono calcolati al tasso del 4% annuo (fisso). Questo tasso, fissato anni fa, è rimasto invariato e si applica in maniera forfettaria (non segue il tasso legale corrente). Ad esempio, se il saldo IRES 2023 di €20.000 scade il 30/6/2024 e viene iscritto a ruolo il 31/12/2025, maturano interessi al 4% annuo per 18 mesi (~€1.200 circa).
- Interessi per dilazione (interessi di rateazione) – Se il contribuente chiede e ottiene la rateizzazione della cartella, sulle rate (eccetto la prima) si applicano interessi di dilazione come corrispettivo del pagamento frazionato. Questo tasso è attualmente fissato al 4,5% annuo dal 2016 (Decr. MEF 7/12/2016) e non è stato modificato successivamente. Gli interessi di dilazione si calcolano sul solo importo rateizzato (imposte + sanzioni, esclusi altri interessi già computati) e decorrono dalla seconda rata in poi. Se la rateazione è concessa, il piano di ammortamento allegato alla comunicazione dell’Agente indica già quota capitale e quota interessi di ciascuna rata. Nota: dal 2023, a seguito della riforma, il calcolo degli interessi di dilazione dovrà rispettare un limite massimo di 3 punti percentuali oltre il tasso base, in ossequio al nuovo art. 19 DPR 602/73 come modificato, ma concretamente il 4,5% rientra già entro tali limiti rispetto al tasso legale attuale (2%).
- Interessi di mora – Sono gli interessi che decorrono dopo la notifica della cartella, sul debito non pagato entro i 60 giorni. Si applicano sull’importo restante dovuto (al netto delle sanzioni già incluse e degli interessi di ritardata iscrizione già computati). Il tasso di mora è variabile: viene determinato annualmente con provvedimento del Direttore dell’Agenzia Entrate, ai sensi dell’art. 30 DPR 602/1973, in base alla media dei tassi bancari attivi. Dal 1° luglio 2019 il tasso di mora è fissato al 2,68% annuo, e sorprendentemente è rimasto invariato da allora fino ad almeno tutto il primo semestre 2025. Ciò significa che attualmente (2025) il tasso di mora è inferiore al tasso di interesse legale (che era al 5% nel 2023 e 2% nel 2025). Questa situazione – dovuta al fatto che non vi sono stati aggiornamenti normativi nonostante l’aumento generale dei tassi – è favorevole per il contribuente moroso, in quanto gli interessi di mora sul debito post-cartella corrono a un saggio relativamente basso (2,68%). Esempio: su un debito residuo di €10.000, la mora accumula circa €268 l’anno, pari a ~€0,73 al giorno. Gli interessi di mora si calcolano giorno per giorno (su base giornaliera) e cessano al momento del pagamento integrale. Se si attiva una rateazione dopo la notifica, la mora matura solo sui giorni di ritardo fino alla domanda di dilazione; dalla prima rata in poi si pagheranno invece gli interessi di dilazione (più elevati, 4,5%). Aggiornamento atteso: Considerando che il 2,68% è un minimo storico e che i tassi di mercato sono in rialzo dal 2022, è verosimile che entro fine 2025 il MEF aggiorni il tasso di mora. Tuttavia, ad oggi (giugno 2025) non risultano provvedimenti di modifica, per cui resta valido il 2,68%. In ogni caso, eventuali aggiornamenti varranno pro futuro (sulle cartelle notificate dopo o sui giorni di mora successivi al provvedimento di aumento).
- Interessi legali (generali) – Sono il tasso fissato dal codice civile (art. 1284 c.c.), che viene utilizzato in alcune situazioni specifiche del diritto tributario. Ad esempio, il ravvedimento operoso impone di versare interessi al tasso legale per i giorni di ritardo nel pagamento spontaneo. Il tasso legale viene stabilito annualmente dal MEF: era 0,01% nel 2020-21, poi aumentato a 1,25% nel 2022, 5% nel 2023, 2,5% nel 2024 e attualmente 2% dal 1/1/2025. Queste oscillazioni incidono, come detto, sul calcolo del ravvedimento e su eventuali interessi su rimborsi tardivi dovuti al contribuente (che sono all’1% per IRES, per legge), ma non toccano i tassi fissi delle categorie sopra (4%, 4,5%, 2,68%).
- Interessi su sanzioni – È importante chiarire che non maturano interessi sulle sanzioni incluse in cartella (né sulle sanzioni né sugli interessi già iscritti a ruolo). Gli interessi si applicano solo sul tributo dovuto. La cartella infatti distingue la sorte (imposta) dagli accessori; la mora, ad esempio, si calcola sul totale al netto di sanzioni e precedenti interessi. Questa regola discende dal divieto di anatocismo e dall’interpretazione delle sanzioni tributarie come somme non produttive di interesse (a meno di conversione in somma capitale in seguito a rateazione decaduta, ma è questione teorica). La Cassazione ha più volte confermato che gli interessi di mora si computano solo sul capitale e non sulla sanzione.
In pratica, quanto fanno lievitare il debito questi interessi? Proviamo a cumulare gli effetti in uno scenario concreto:
- Una S.r.l. non versa €20.000 di IRES dovuta il 30/6/2024.
- Riceve avviso bonario a ottobre 2024 con €2.000 di sanzioni ridotte (10%) + interessi legali ~3,5% per 3 mesi (€175). Totale circa €22.175 se pagasse entro novembre 2024.
- Non paga. A dicembre 2025 esce la cartella: include €6.000 di sanzione (30%) + interessi 4% su 18 mesi (€1.200). Totale cartella ~€27.200 (oltre a spese minori).
- Se la cartella non viene pagata entro 60 gg (poniamo notificata il 15/1/2026, scadenza 15/3/2026), iniziano interessi di mora 2,68%. In sei mesi di ulteriore ritardo, altri ~€365 di interessi.
- Il debito a fine 2026 supererà i €27.500 solo di sorte, sanzioni e interessi, con un aggravio di oltre il 37% rispetto all’imposta originaria.
Come si vede, sanzioni e interessi possono aumentare il debito fiscale di oltre un terzo nel giro di un paio d’anni. È quindi fondamentale per il debitore conoscere queste voci e gestirle: soluzioni come il ravvedimento o la rateazione tempestiva possono ridurre l’impatto (ad esempio evitando la sanzione piena del 30% o bloccando gli interessi di mora successivi).
Prescrizione del debito IRES e termini di riscossione
Un tema cruciale per il debitore è capire se e quando il debito IRES può “cadere in prescrizione”, ossia non essere più legalmente esigibile per decorso del tempo. Bisogna distinguere la decadenza (di cui si è detto: termini entro cui notificare gli atti, come la cartella) dalla prescrizione in senso stretto (tempo oltre il quale il diritto di credito si estingue, se nel frattempo non sono avvenuti atti interruttivi).
Per i tributi erariali come l’IRES, la questione della prescrizione è stata oggetto di oscillazioni giurisprudenziali. In teoria:
- Secondo l’impostazione tradizionale, i tributi erariali non hanno un termine di prescrizione speciale fissato dalla legge tributaria, quindi si applicherebbe la prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.). Dunque il credito IRES, una volta divenuto definitivo (dopo notifica della cartella, o dopo sentenza passata in giudicato), potrebbe essere riscosso entro 10 anni, salvo atti interruttivi che fanno decorre un nuovo termine di pari durata.
- Secondo un diverso orientamento, sposato in varie sentenze di merito e in alcune pronunce di Cassazione, i tributi periodici come IVA, IRPEF e IRES sarebbero soggetti a prescrizione quinquennale, in forza dell’art. 2948 n.4 c.c. (che prevede 5 anni per tutto ciò che va pagato periodicamente ad anno o frazioni di anno). Si tratta di equiparare l’obbligo fiscale, che si rinnova ogni periodo d’imposta, a un’obbligazione periodica. La Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 23397/2016, aveva in realtà escluso l’applicazione generalizzata del termine breve, affermando che per i tributi erariali vale il termine lungo decennale se il titolo è definitivo. Tuttavia, giurisprudenza successiva di legittimità ha talora considerato prescritti in 5 anni i crediti da cartelle non impugnate, specie riguardo a interessi e sanzioni.
In concreto, la situazione attuale (2025) è la seguente:
- La sanzione amministrativa, secondo diritto vivente, si prescrive in 5 anni dalla definitività (le sanzioni tributarie sono equiparate a sanzioni amministrative comuni, ex L. 689/1981, che prescrivono in 5 anni).
- Gli interessi moratori, essendo accessori periodici, tendono a essere anch’essi considerati prescritti in 5 anni dal singolo maturare (o dall’atto interruttivo), anche se qui vi è dibattito se seguano la sorte del tributo o abbiano termine breve autonomo.
- Il tributo principale (imposta): in assenza di un termine breve ad hoc, molte Commissioni Tributarie continuano ad applicare i 10 anni dalla notifica della cartella o dall’ultimo atto interruttivo utile. Quindi, se ad esempio una cartella IRES non viene seguita da nessun sollecito o intimazione per 10 anni, il debitore potrebbe eccepire la prescrizione decennale del credito.
Altre pronunce, però, hanno ritenuto che anche l’imposta si prescriva in 5 anni, analogamente alle sanzioni, richiamando l’art. 2948 c.c. Tale tesi appare minoritaria per IRES, ma è talvolta invocata nei giudizi tributari.
Atti interruttivi: Va sottolineato che ogni volta che l’Agente della riscossione o l’Ente creditore compie un atto formalmente notificato al debitore, la prescrizione si interrompe (art. 2943 c.c.) e ricomincia a decorrere da capo. Ad esempio, la notifica di un sollecito di pagamento/intimazione (ex art. 50 DPR 602/73) entro 5 anni dalla cartella interrompe sicuramente la prescrizione almeno delle sanzioni e interessi, e secondo molti anche dell’imposta, facendo decorrere un nuovo termine da tale atto. Lo stesso dicasi per un pignoramento o un fermo amministrativo: sono atti che manifestano la volontà di riscossione coattiva e interrompono la prescrizione. Pertanto, nella pratica, è raro che un credito resti 5-10 anni senza alcun atto: l’Agente tipicamente invia una intimazione di pagamento appena sta per scadere il quinquennio, così da tenere “in vita” il debito. Tale intimazione (un ultimo sollecito a pagare entro 5 giorni, ex art. 50) è obbligatoria prima di iniziare un’esecuzione forzata e, come detto, funge anche da atto interruttivo.
Novità da riforma 2024: Il Decreto Legislativo 7 agosto 2024 n. 110 di riordino della riscossione, nell’art. 2, impone all’Agente della Riscossione un tempestivo tentativo di notifica della cartella entro 9 mesi dall’affidamento del carico e il tentativo di notifica degli atti interruttivi della prescrizione durante l’attività di recupero. Ciò significa che dal 2025 in poi l’Agente ha l’obbligo di monitorare i termini di prescrizione e attivarsi per evitarne il decorso, inviando in tempo utile intimazioni o altri atti interruttivi. Questa è una tutela per l’Erario ma anche, indirettamente, per il contribuente virtuoso: verranno dichiarati inesigibili (discaricati) solo quei debiti per i quali neppure l’agente ha attivato strumenti in 5 anni, come vedremo tra poco. Inoltre, lo stesso decreto ha introdotto espressamente un nuovo articolo (25-bis DPR 602) che sospende la prescrizione per i coobbligati in caso di rateazione ottenuta dal debitore principale – di ciò diremo nella parte sui coobbligati.
Cosa fare se si ritiene prescritta una cartella? Il debitore che ravvisi il decorso del termine (5 o 10 anni) senza atti, può:
- presentare un’istanza in autotutela all’Agente o all’ente creditore segnalando la prescrizione compiuta e chiedendo l’annullamento;
- oppure attendere eventuali atti esecutivi e opporre la prescrizione in quella sede;
- oppure, cautelativamente, impugnare direttamente l’estratto di ruolo per far dichiarare la prescrizione in via giudiziale. Su quest’ultimo punto, attenzione alla recente normativa: l’art. 12 co.4-bis DPR 602/73 (inserito nel 2021) vieta di impugnare estratti di ruolo salvo casi di “pregiudizio” concreto. La Corte Costituzionale, con sent. n. 190/2023, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità su tale preclusione, mantenendo quindi la regola: non si può fare ricorso preventivo solo per far dichiarare prescritta una cartella mai notificata, a meno che non vi sia un pregiudizio attuale (come l’impossibilità di partecipare a gare pubbliche, perdita di un beneficio pubblico, ecc.). In mancanza di tali situazioni, la prescrizione si eccepisce quando l’Agente prova a riscuotere (ad es. notificando un’intimazione o un pignoramento). Questa disciplina, confermata dalla Consulta, mira a evitare ricorsi “prematuri” quando non vi è azione esecutiva in corso.
Prescrizione e discarico dei ruoli (novità 2025): Un effetto pratico di grande rilievo arriva dal citato D.Lgs. 110/2024: esso prevede che per i carichi affidati dal 1° gennaio 2025 all’Agente, se non riscossi entro il 5° anno successivo all’affidamento, scatti l’automatico discarico (cancellazione) al 31 dicembre di tale quinto anno, salvo alcune eccezioni (procedure concorsuali pendenti, dilazioni in corso, ecc. che spostano in avanti questo termine). In altre parole, la nuova norma “mette un punto” dopo 5 anni: il debito che l’agente non è riuscito a riscuotere in quel lasso di tempo viene restituito all’ente creditore e di fatto stralciato dal magazzino della riscossione. L’ente creditore potrà eventualmente riassegnarlo (una sola volta, per massimo altri 2 anni) se emergono nuovi elementi patrimoniali del debitore, ma in assenza di ciò, il debito è destinato a essere annullato. Questo meccanismo, di fatto, sostituisce la prescrizione sul piano amministrativo: dopo 5-7 anni il debito non riscosso verrà eliminato, indipendentemente dai calcoli di prescrizione civilistica.
Di riflesso, la prescrizione “giuridica” rimane importante per i carichi affidati fino al 2024. Per questi, il decreto delegato ha previsto una verifica straordinaria: una commissione dovrà proporre soluzioni per discaricare il vecchio magazzino (i ruoli arretrati) entro fine 2025 per i ruoli 2000-2010, entro fine 2027 per quelli 2011-2017, ed entro fine 2029 per quelli 2018-2024. Nel frattempo, è stabilito che i carichi 2000-2024 possono essere verificati dall’ente creditore entro il 31/12/2031: quelli non verificati entro il 31/12/2033 saranno automaticamente discaricati a tale data. Anche qui, dunque, si fissa un capolinea: i debiti attuali hanno in ogni caso un “tramonto” entro il 2033 salvo prima prescrizione. Per il debitore, ciò significa che molti debiti fiscali pregressi non esatti verranno cancellati entro il 2033. Già la Legge di Bilancio 2023 aveva disposto l’annullamento automatico dei ruoli fino al 2015 di importo < €1.000, e la rottamazione quater aveva alleggerito gli altri: ora con la riforma 2024-25 si dà un’ulteriore spallata al magazzino, introducendo una sorta di “prescrizione amministrativa” di 5-7 anni per il futuro.
In sintesi, dal punto di vista del debitore:
- Verificare sempre se la cartella è stata notificata entro i termini di legge (decadenza).
- Monitorare il decorso dei termini di prescrizione (5 o 10 anni) da ultimo atto. Se il Fisco dorme per troppi anni, si può far valere la prescrizione per liberarsi del debito.
- Tenere presente che dal 2025 l’Agente ha incentivi a non far scadere i termini (deve notificare atti interruttivi entro 5 anni).
- Oltre un certo limite temporale (5-7 anni) i debiti non riscossi verranno comunque discaricati dall’agente, ma ciò non equivale sempre a “perdono” per il contribuente: l’ente creditore potrebbe ancora rivalersi finché non scatta la prescrizione giuridica. Tuttavia, in pratica è raro che l’ente proceda in proprio alla riscossione dopo il ritorno del carico, se non mediante cause ordinarie, e con le nuove norme sarà scoraggiato a farlo (dopo il riaffidamento biennale si cancella tutto).
Cosa può fare il debitore: opposizione e strumenti di difesa
Dal punto di vista del debitore, ricevere una cartella IRES non significa dover subire passivamente l’iscrizione a ruolo. Esistono diversi strumenti di difesa e tutela, sia in via giudiziale (ricorso alle Commissioni/CGT) sia in via amministrativa/gestionale (richieste di rateizzazione, sospensione, ecc.). In questa sezione esamineremo cosa può fare concretamente chi riceve una cartella esattoriale per IRES non pagata.
Impugnare la cartella: il ricorso tributario
La cartella di pagamento è un atto impugnabile dinanzi al giudice tributario (ora denominato Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria Provinciale) ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 546/1992, in quanto atto dell’agente della riscossione che porta una pretesa tributaria. Tuttavia, attenzione: non tutte le cartelle conviene o è possibile impugnarle nel merito dell’imposta dovuta. Dipende dal motivo per cui non si è pagata l’IRES:
- Se la cartella deriva da omesso versamento di importo dichiarato, in linea di principio non c’è contestazione sulla legittimità del tributo: la società stessa ha dichiarato di dover quella IRES. In tal caso, i margini di ricorso sono limitati a vizi formali o cause di decadenza/prescrizione o doppia imposizione. Ad esempio, si può ricorrere perché: la cartella è stata notificata oltre il termine di decadenza; oppure manca di motivazione sufficiente; oppure è riferita a un tributo già pagato o annullato (errore di persona o di calcolo); oppure il debito era prescritto al momento della notifica. Non si può invece mettere in discussione l’an o il quantum dell’imposta, avendolo a suo tempo autoliquidato. La Cassazione ha chiarito che in tal caso la cartella ha natura meri declarativa di un debito già sorto, quindi non è consentito opporre questioni che andavano semmai sollevate contro l’eventuale atto precedente (es. la dichiarazione stessa).
- Se la cartella segue a un avviso di accertamento non impugnato, vale lo stesso discorso: l’accertamento è divenuto definitivo, la cartella è solo il veicolo di riscossione. Si potranno far valere solo vizi propri della cartella (es. notifica nulla, calcolo errato degli interessi, ecc.) ma non rimettere in discussione l’accertamento.
- Se la cartella è relativa a un avviso di accertamento impugnato in corso di giudizio, di norma non dovrebbe essere emessa finché la causa è pendente (salvo ipotesi di esecutorietà provvisoria); ma se ciò accade (a volte per errori), allora si può ricorrere eccependo la pendenza del giudizio e chiedendo l’annullamento per improcedibilità.
- Se invece la cartella è emessa “a sorpresa” senza atti precedenti noti, ad esempio il contribuente non ha mai ricevuto l’avviso di accertamento a suo tempo notificato per compiuta giacenza, allora con la cartella per la prima volta viene a conoscenza della pretesa. In tal caso è ammessa l’impugnazione cumulativa del ruolo e dell’atto presupposto non notificato, proprio per far valere nel merito che quell’imposta non era dovuta. Questo è fondamentale: il contribuente può usare la cartella come “vettore” per contestare un accertamento mai ricevuto. Naturalmente dovrà allegare che non ha mai potuto impugnare prima per difetto di notifica. La normativa (art. 12 co.4-bis DPR 602/73) consente questa impugnazione anticipata solo se si dimostra un pregiudizio (es. necessità di partecipare a gare, ecc.), come visto. La giurisprudenza però tende a ritenere che, se la cartella è il primo atto noto, essa sia impugnabile comunque per far valere vizi dell’accertamento (in quanto atto presupposto non notificato). È un terreno delicato, in cui conviene farsi assistere legamente.
Come si propone ricorso? Ecco un modello semplificato degli elementi che un ricorso tributario alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di primo grado deve contenere:
- Intestazione ed Autorità Adita: es. “Ricorso innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di I° grado di [Provincia]”.
- Ricorrente: indicare denominazione società o nome contribuente, codice fiscale/partita IVA, residenza o sede legale, eventuale elezione di domicilio o PEC.
- Ente resistente: indicare l’ente impositore o agente della riscossione cui il ricorso è rivolto. Per cartelle IRES, i resistenti tipicamente sono Agenzia delle Entrate-Riscossione (per la cartella) e anche Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale competente (per il merito del tributo). Entrambi vanno citati in giudizio.
- Oggetto del ricorso: specificare l’atto impugnato (“Cartella di pagamento n. … notificata il …, emessa per IRES anno …”) e l’importo in contestazione. Indicare che si impugna anche il ruolo e/o l’atto presupposto se del caso (es: “non notificato avviso di accertamento n… anno…”).
- Fatti: narrazione cronologica. Esempio: “Il giorno … la società ricorrente si vedeva notificare a mezzo PEC la cartella n… per omesso versamento IRES 20XX. La cartella reca importo di €…, riferito a… [descrizione imposta, anno]. La ricorrente evidenzia di non aver mai ricevuto alcun avviso bonario né altri atti in precedenza…” ecc.
- Motivi di ricorso (diritto): qui si articolano uno o più motivi, ciascuno con un titolo sintetico e la spiegazione giuridica. Ad esempio: 1) Nullità della cartella per intervenuta prescrizione del credito – si argomenta che tra la data di notifica dell’ultimo atto (indicare quale, se esiste) e la cartella sono trascorsi oltre 5 (o 10) anni senza atti interruttivi, quindi il diritto di riscuotere è estinto ex art. 2946/2948 c.c.; 2) Nullità della cartella per difetto di motivazione – si lamenta che la cartella non indica il calcolo degli interessi e delle sanzioni in violazione dell’art. 7 L.212/2000 e dello Statuto del contribuente, richiamando Cassazione n. …/2024; 3) Nullità/annullamento del tributo per inesistenza notifica atto presupposto – se ad es. non è stato notificato accertamento, si chiede di annullare la pretesa principale per mancata conoscenza, in subordine annullare la cartella e ordinare la notifica dell’atto presupposto (a seconda delle strategie). Ogni motivo deve essere sviluppato con riferimenti normativi e giurisprudenziali a supporto.
- Istanza di sospensione: facoltativa. Se si vuole chiedere la sospensione cautelare dell’atto impugnato (quando l’esecuzione provocherebbe danni gravi, es. pignoramento imminente che bloccherebbe l’attività), occorre farne istanza motivata nel ricorso, indicando il periculum in mora (danno grave e irreparabile) e il fumus boni iuris (motivazioni solide del ricorso). La CGT fisserà in tempi brevi l’udienza in camera di consiglio per decidere sulla sospensione entro 180 giorni (ora ridotti a 120 gg dalla riforma del processo tributario).
- Richiesta finale (conclusioni): il ricorrente deve formulare chiaramente cosa chiede: ad es. “Piaccia all’Ecc.ma Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di …, ogni contraria istanza reietta, dichiarare l’intervenuta prescrizione del credito IRES di cui alla cartella … e per l’effetto annullare la cartella impugnata; in subordine annullare la cartella per i motivi esposti; con vittoria di spese”. Se c’è istanza di sospensione: “si chiede altresì la sospensione dell’esecuzione della cartella impugnata ai sensi dell’art. 47 D.Lgs. 546/92”.
- Data e firma: luogo, data di redazione, firma del difensore abilitato (o del contribuente stesso se sta in proprio e il valore è sotto €3.000). Se assistito da difensore, va indicata anche la procura alle liti (allegata).
Il ricorso va notificato alle controparti (tipicamente via PEC) e poi depositato presso la segreteria della CGT (oggi tramite il Portale della Giustizia Tributaria – SIGIT). Da notare che dal 2023 il processo tributario è telematico obbligatorio, e inoltre è ammessa la prova testimoniale scritta e il giuramento estimatorio (novità introdotte dalla L. 130/2022) che però raramente rilevano in casi di cartella.
Tempistiche: il termine è di 60 giorni dalla notifica della cartella per presentare ricorso. Il mancato rispetto di tale termine rende definitivo l’atto (salvo motivi di non impugnabilità ex lege). Dopo il ricorso, l’Agente non può procedere ad esecuzione forzata finché la causa è pendente (a meno che la cartella sia relativa ad accertamento esecutivo non sospeso, ma entriamo in tecnicismi). In genere, presentare ricorso con istanza di sospensione cautelare, se fondata, tutela da azioni esecutive nelle more del giudizio.
Impugnare la cartella è dunque uno strumento essenziale quando vi siano ragioni concrete per farlo. Occorre però valutare costi/benefici: se l’unico motivo è ad esempio chiedere una dilazione in più o lamentare difficoltà, non è materia da ricorso (il giudice non può rateizzare, ad esempio, né tenere conto di condizioni economiche). In questi casi, meglio usare gli strumenti amministrativi (rateazione, sospensione). Il ricorso è efficace per far valere vizi sostanziali (debito non dovuto, prescritto, sanzione non applicabile, ecc.) o vizi formali rilevanti.
Dal 2023 è stato anche istituito un ufficio del “Giudice monocratico tributario” per le controversie di modico valore (fino a €3.000): in tali casi il ricorso è deciso da un giudice unico, con procedimento più snello. Inoltre, la riforma prevede meccanismi deflativi: se il contribuente vince in primo e secondo grado, l’Agenzia per fare ricorso in Cassazione deve avere un’autorizzazione interna superiore, e in caso di ulteriore soccombenza le spese di lite aumentano. Tutto ciò per disincentivare il contenzioso pretestuoso da parte dell’Erario. Questo clima più orientato al fair play processuale può giovare al contribuente in cause dal esito incerto: l’ente potrebbe essere più propenso a trovare soluzioni prima della sentenza finale (es. conciliazioni, vedi dopo).
Conciliazione e definizione in giudizio: durante la causa tributaria, è possibile chiudere la lite con una conciliazione tra contribuente ed ente impositore: spesso consiste in un pagamento parziale del dovuto con sanzioni ridotte al 50% e interessi legali. Tuttavia, nei casi di cartella da omesso versamento, l’Agenzia potrebbe non avere molto margine (il tributo è certo), a meno che non vi siano in contestazione questioni giuridiche (come prescrizione, ecc.). La conciliazione può essere utile se, ad esempio, c’è dubbio sulla notifica di un atto: le parti potrebbero accordarsi per un pagamento solo dell’imposta senza sanzioni per evitare rischi reciproci. La definizione agevolata delle liti pendenti è un’altra opportunità che talvolta il legislatore offre (nel 2023 c’è stata una definizione liti in cui bastava pagare il 90% se si ricorreva, o percentuali minori se si era vinto in primo grado, ecc.). Se è in vigore una norma del genere, il contribuente potrebbe aderirvi per chiudere il contenzioso in corso pagando il dovuto ridotto. Al 2025, la definizione liti “pace fiscale” del DL 38/2023 si è chiusa il 30/6/2023, ma non è escluso che in futuro ve ne siano altre.
Sospensione della riscossione
Un’arma difensiva fondamentale, spesso da usare in parallelo al ricorso, è la sospensione della riscossione. Esistono due tipi di sospensione:
- Sospensione “giudiziale” o cautelare: concessa dalla Corte di Giustizia Tributaria su richiesta del ricorrente (art. 47 D.Lgs. 546/92). Come detto sopra, occorre provare che l’esecuzione della cartella durante il processo arrecherebbe un danno grave e irreparabile e che il ricorso ha fondamento (fumus). Esempio tipico: cartella da €200.000 per IRES, la società è in crisi di liquidità e subire un pignoramento pregiudicherebbe la continuità aziendale; inoltre si è ricorsi perché l’atto è probabilmente prescritto, quindi il fumus c’è. In tal caso, la CGT può sospendere la cartella fino alla decisione di merito. La sospensione cautelare blocca tutte le azioni esecutive: l’Agente non potrà iscrivere ipoteche, fermi né pignorare finché dura la sospensione. Viene decisa di solito entro 2-3 mesi dal ricorso. Se concessa, dura fino alla sentenza di primo grado (salvo revoca se mutano le circostanze).
- Sospensione “amministrativa” o in autotutela (legale): il contribuente può chiederla direttamente all’Agente della Riscossione in base all’art. 153 D.Lgs. 112/1999 (come modificato dall’art. 1 co.537 L.228/2012). Questa sospensione si chiede quando si ritiene che la cartella sia stata emessa per errore palese o quando il debito non è più esigibile per legge. Ad esempio: la cartella è interessata da una sentenza favorevole ottenuta nel merito (es. la Commissione ha annullato quell’accertamento – presentando la sentenza l’agente sospende); oppure il contribuente ha già pagato tutto (si allega quietanza); oppure c’è stata una prescrizione evidente o un provvedimento di sgravio da parte dell’ente creditore. In questi casi, entro 60 giorni dalla notifica della cartella, si invia all’Agente un’istanza di sospensione legale, con i documenti che provano la causa di inesigibilità. L’Agente sospende immediatamente la riscossione e trasmette la pratica all’ente creditore per le verifiche. Se l’ente conferma l’errore, la cartella viene annullata; se invece ritiene tutto regolare, respinge l’istanza e lo comunica (a quel punto il contribuente può ricorrere). Se trascorrono 200 giorni senza risposta dall’ente, la legge stabilisce che il debito è automaticamente annullato. Questa è una tutela forte: silenzio-assenso dopo 200 giorni a favore del contribuente. Dunque, conviene utilizzarla quando si ha evidenza di un errore. Esempio: una società riceve cartella per IRES già pagata due anni prima – magari il pagamento non è stato correttamente registrato. Presenta istanza con copia dell’F24 pagato: l’agente sospende subito e verosimilmente entro qualche mese l’Agenzia Entrate confermerà lo sgravio. Se anche non rispondesse, trascorsi 200 giorni la cartella sarebbe nulla per legge.
La sospensione amministrativa può essere chiesta anche oltre i 60 giorni in realtà, ma in tal caso l’agente può già aver avviato azioni; tuttavia, se l’istanza è accoglibile (es. pagamento comprovato), l’agente blocca comunque la procedura. Si evidenzia che l’istanza non richiede pagamento di contributo unificato o formalità complesse: basta una lettera motivata con allegati, inviata via PEC all’Agenzia Entrate-Riscossione competente. È uno strumento efficiente per fermare rapidamente la riscossione su debiti inesistenti o sospesi.
Rateizzazione del debito (piano di rientro)
Probabilmente l’opzione più utilizzata dal debitore che riconosce di dover pagare ma non ha liquidità sufficiente è chiedere una rateizzazione della cartella. La rateizzazione (o dilazione) consente di pagare il debito in rate mensili spalmate fino a diversi anni, evitando nel frattempo azioni esecutive.
Disciplina vigente: L’art. 19 del D.P.R. 602/1973 regola la dilazione delle somme iscritte a ruolo. Tale articolo è stato profondamente modificato dal D.Lgs. 110/2024 (riforma riscossione) con effetto sulle richieste presentate dal 1° gennaio 2025 in poi. Le novità principali introdotte sono:
- Aumento del numero massimo di rate “ordinarie” (quando il debitore si limita a dichiarare temporanea difficoltà, senza documentarla), per debiti fino a 120.000 €:
- Fino a 84 rate mensili per richieste nel 2025-2026 (7 anni);
- Fino a 96 rate per richieste nel 2027-2028 (8 anni);
- Fino a 108 rate per richieste dal 2029 in poi (9 anni).
(Nota: in precedenza, il massimo “ordinario” era 72 rate in 6 anni, con soglia di debito €60.000 sotto cui non servivano prove. Ora soglia elevata a €120.000 e rate allungate progressivamente).*
- Maggiore estensione per rate “straordinarie” (quando il debitore documenta una oggettiva e grave difficoltà), prevedendo fino a 120 rate mensili in casi di necessità:
- Se il debito supera €120.000, si può chiedere sempre fino a 120 rate;
- Se il debito è fino a €120.000, si può ottenere una ripartizione da un minimo di 85 rate fino a 120 rate per richieste 2025-26, 97-120 rate per 2027-28, 109-120 rate dal 2029. In pratica, anche per debiti minori si vuole dare almeno 7 anni di dilazione se la difficoltà è provata, fino a un massimo di 10 anni. Il numero esatto di rate entro quei range verrà determinato in base a indicatori economici, come spieghiamo sotto.
- Criteri oggettivi di valutazione della difficoltà: per la prima volta la legge individua parametri specifici. In particolare:
- Persone fisiche e ditte individuali in regime semplificato: si utilizzerà l’indicatore ISEE del nucleo familiare, rapportato all’entità del debito (sommato ad eventuali altri piani di rate in corso). In sostanza, se l’ISEE è basso rispetto al carico, si riconoscerà la difficoltà.
- Altri soggetti (società, imprenditori in ordinario): si considererà l’indice di liquidità (rapporto attività disponibili/debiti correnti) e il rapporto tra debito da dilazionare (più eventuali residui) e il valore della produzione. Sono quindi indicatori tratti dal bilancio.
Un decreto MEF definirà esattamente le soglie di questi parametri e casi particolari (es. settori in crisi dove la difficoltà si presume).
- Soglia unica €120.000: La soglia di debito sotto cui non serve prova è stata uniformata a 120mila € (prima era 60mila). Quindi, per cartelle fino a 120k€, il debitore può ottenere una dilazione presentando una semplice domanda motivata (dichiarando la difficoltà) senza allegare bilanci o ISEE. Sopra 120k, invece, serve documentare.
- Maggior flessibilità e “seconda chance”: Le nuove norme confermano che in caso di decadenza da una rateizzazione, è possibile riammettersi presentando nuova domanda e pagando le rate scadute. Già ora, se si saltano troppe rate (5 rate anche non consecutive), si decade dal beneficio e tutto il debito residuo diviene immediatamente esigibile. Il D.Lgs 110/24 non ha cambiato il limite di 5 rate non pagate per la decadenza, ma ha previsto la possibilità per l’Agente di pattuire piani flessibili (es. rate di importo crescente) e il monitoraggio per forse innalzare a 120 rate anche le dilazioni “ordinarie” dal 2031.
In pratica, dal 2025 un’azienda o persona in difficoltà può ottenere piani molto più lunghi di prima: fino a 7 anni senza dover giustificare nulla (debiti <120k) e fino a 10 anni se documenta di non poter pagare diversamente. Esempio: una S.r.l. con cartella da €200.000 potrà chiedere 120 rate (10 anni) allegando bilanci che mostrino un indice di liquidità precario. Una ditta individuale con cartella da €50.000 potrà chiedere 84 rate (7 anni) semplicemente dichiarando la sua temporanea difficoltà, senza ISEE (perché <120k), ottenendo rate da ~€595/mese più interessi.
Procedura per la richiesta: La domanda di rateizzazione si presenta direttamente all’Agente della Riscossione (non all’Agenzia Entrate). Si può fare online tramite il servizio “Rateizza adesso” del portale Agenzia Entrate-Riscossione, usando SPID/CIE, oppure con modulo cartaceo presso gli sportelli o via PEC. Bisogna indicare le cartelle/avvisi per cui si chiede la dilazione e il numero di rate desiderate (entro i limiti). Se necessario allegare ISEE o bilanci. L’Agente concede automaticamente la dilazione se i requisiti sono rispettati (è un diritto del contribuente avere la rateazione entro certe soglie). Per importi elevati, soprattutto sopra €120k, l’Agente svolge l’istruttoria e comunica l’esito entro 90 giorni. Non è più prevista una garanzia fideiussoria (abolita da anni per le dilazioni tributarie). Importante: presentare la domanda prima che inizi un’azione esecutiva (pignoramento) blocca sul nascere esecuzioni e fermi amministrativi. Se la domanda viene presentata entro 60 giorni dalla notifica della cartella, si evita che l’Agente possa iscrivere fermi o ipoteche trascorso quel termine. Anche se presentata dopo, finché si paga regolarmente le rate, l’Agente non può procedere. Dunque la rateazione sospende la riscossione coattiva.
Costo della dilazione: Oltre alla prima rata (che eventualmente include i compensi di notifica), sulle restanti rate si applicano gli interessi di dilazione al 4,5% annuo come visto. Questi interessi sono calcolati nel piano comunicato. Se ad esempio si dilazionano €20.000 in 5 anni (60 rate), l’importo totale degli interessi sarà intorno a €2.370 (circa il 11.85% del debito, corrispondente al 4,5% medio su 5 anni). Il vantaggio è che il tasso è fisso (non cresce anche se il tasso legale aumenta). Inoltre, durante la dilazione non maturano interessi di mora ulteriori.
Decadenza e nuove richieste: Se il debitore non paga 5 rate (anche non consecutive), decade dal beneficio: l’intero debito residuo diventa esigibile e non può essere dilazionato di nuovo, salvo saldare prima le rate scadute. Le normative succedutesi hanno introdotto flessibilità: attualmente, dopo la decadenza, si può chiedere una nuova rateizzazione (anche per lo stesso debito) senza dover pagare tutto prima, a patto che non si tratti di seconda decadenza consecutiva. In pratica, c’è una “seconda chance”: se uno decade da una dilazione, può ripresentare domanda e riottenere il piano (ma se decadi la seconda volta, allora è più difficile). Dal 2022, infatti, il DL 146/2021 ha previsto che per i decaduti al 31/12/2021 fosse possibile riammettersi pagando solo le prime rate del nuovo piano. Il D.Lgs. 110/24 consolida un approccio di maggior tolleranza: l’Agente deve avvisare il debitore prima di revocare la rateazione e può concedere piani alternativi. Inoltre, se il debitore evidenzia difficoltà maggiori, può chiedere di rinegoziare il numero di rate (entro i nuovi massimi).
Effetti della rateazione: Finché la rateizzazione è attiva e regolare nei pagamenti, il debitore è considerato in regola col Fisco ai fini DURC e certificati tributari (non risulta moroso) e l’Agente non può procedere ad azioni esecutive o cautelari. Il debito però risulta iscritto e gravato da fermo/ ipoteca eventualmente già iscritti prima (non vengono rimossi finché non si paga una certa quota o tutto; ad esempio, Equitalia rimuoveva il fermo dopo pagamento integrale o se la rateazione copriva l’intero debito con rate pagate regolari per almeno il 10%). Le policy aggiornate potrà deciderle l’Agenzia, ma in generale la rateazione “congela” la posizione: niente nuovi fermi o pignoramenti, ma quelli attivi potrebbero restare come garanzia.
Fac-simile di istanza di rateizzazione:
Oggetto: Istanza di dilazione ex art. 19 DPR 602/73 – Cartella n…
Istante: Società Alfa Srl, C.F…, con sede…, PEC…, rappresentata da…
Destinatario: Agenzia Entrate-Riscossione – Sportello di … – PEC…La scrivente Società, in persona del legale rappresentante pro-tempore Sig…, espone di aver ricevuto cartella di pagamento n… per €…, inerente IRES anno…, la cui scadenza risulta fissata al… .
Considerate le attuali difficoltà finanziarie dovute a … (es. calo fatturato, crisi di liquidità) che impediscono il versamento in un’unica soluzione, la Società dichiara di trovarsi in temporanea situazione di obiettiva difficoltà e, ai sensi dell’art. 19 DPR 602/73, chiede la concessione di un piano di rateazione in 84 rate mensili dell’importo iscritto a ruolo.
Importo totale da dilazionare: €…, di cui imposta €…, sanzioni €…, interessi €… (come da cartella allegata).
Rate richieste: 84 mensili – prima rata immediata, successive con scadenza il giorno … di ciascun mese.
Dichiarazione difficoltà: Si dichiara che l’azienda attraversa una temporanea carenza di liquidità a causa … (facoltativo dettagliare). Il debito complessivo con AeR non supera €120.000, pertanto si richiede la dilazione senza necessità di ulteriore documentazione probatoria. (Se debito >120k, aggiungere: “Si allegano i bilanci 2022-2023 ed una relazione attestante gli indici di liquidità, da cui risulta la sussistenza della difficoltà, come da prospetti allegati”).
Si confida nell’accoglimento dell’istanza. In allegato: copia documento identità legale rappresentante; copia cartella; bilanci (se necessari).Distinti saluti,
Firma
L’istanza va inviata prima possibile. In caso di urgenza (pignoramento minacciato), è bene anche recarsi allo sportello AeR. Di solito, se tutto è in regola, l’Agente risponde con un piano di rateazione approvato, indicando importo e scadenze. La prima rata va pagata entro 30 giorni dall’accoglimento (o 60gg dalla domanda se l’agente tace, in tal caso vige silenzio-assenso per importi sotto soglia). Il mancato pagamento della prima rata equivale a rinuncia.
Ricapitolando i punti chiave della rateizzazione (2025):
- Fino €120.000: diritto fino 84 rate (2025-26) senza prove.
- Oltre €120.000 o più rate: servono requisiti, e possibile fino 120 rate se comprovata grave difficoltà.
- 5 rate non pagate (anche alternate) = decadenza. Ma c’è possibilità di rientro con nuova richiesta.
- Interessi sulle rate: 4,5% annuo fissi.
- Pagando regolarmente, si evitano azioni esecutive e si può continuare l’attività diluendo l’impatto finanziario.
La rateizzazione è spesso la soluzione più pragmatica per chi non può contestare la legittimità del debito ma nemmeno pagare tutto subito. Molti imprenditori la preferiscono per “comprare tempo” e recuperare liquidità, magari confidando in future definizioni agevolate (in passato, debiti rateizzati sono stati condonati in parte con rottamazioni, etc., anche se formalmente chi era in corso di rateazione doveva interromperla per aderire). In ogni caso, è uno strumento essenziale da conoscere e utilizzare tempestivamente.
Altri strumenti: definizioni agevolate, autotutela, transazione fiscale
Oltre al ricorso e alla rateazione, esistono altri strumenti che il debitore dovrebbe valutare:
- Definizioni agevolate (“Rottamazioni” e “Stralci”): Negli ultimi anni il legislatore ha frequentemente introdotto misure di pace fiscale. Ad esempio: la rottamazione-quater (DL 34/2023, conv. L. 197/2022) ha permesso di definire i ruoli 2000-2017 pagando solo l’imposta e una quota di interessi, senza sanzioni né interessi di mora, in 18 rate con interesse ridotto al 2%. Un contribuente con cartella IRES di €20.000 + €6.000 sanzioni + €2.000 interessi poteva aderire pagando circa €22.000 anziché €28.000, scontando €6.000. La scadenza per aderire era il 30/6/2023. Chi lo ha fatto, sta ora versando le rate (scadenze dal 2023 al 2027). Inoltre, la L. 197/2022 ha disposto l’annullamento automatico dei debiti fino €1.000 affidati 2000-2015 (il cosiddetto “stralcio mini-cartelle”), che ha cancellato milioni di vecchie cartelle di piccolo importo. Per il 2024-2025 non c’è al momento una rottamazione-quinqies in vigore, ma il Governo ha ipotizzato di estendere la definizione agevolata a carichi 2018-2019: i decreti attuativi delega potrebbero introdurre ulteriori “saldi e stralci” mirati (per PMI in crisi, o per zone colpite da calamità).
Cosa fare: il debitore deve stare attento a queste opportunità legislative. Se appare una norma che consente di pagare meno, conviene aderire. Nota: aderire alla definizione agevolata preclude di proseguire il ricorso (bisogna rinunciarvi) ma è spesso conveniente economicamente. Nel nostro contesto, va evidenziato che l’IRES non è mai stata esclusa da queste rottamazioni (che valgono per tutti i tributi erariali). Quindi una cartella IRES rientra sempre nelle sanatorie generali, salvo rare eccezioni.
Esempio pratico: Se domani promulgassero una “rottamazione-quinqies” per ruoli 2018-2022, chi ha una cartella IRES del 2021 potrebbe bloccare gli interessi di mora e le sanzioni residue aderendo e pagando solo l’imposta e pochi oneri. Pertanto, il consiglio è: mantenersi informati e, se possibile, congelare temporaneamente il debito (rateizzando) nell’attesa di possibili condoni. È un calcolo opportunistico ma talvolta sensato se l’azienda è in crisi e la rottamazione appare all’orizzonte. (Naturalmente, non c’è garanzia che vi sia sempre un condono, ma la frequenza degli ultimi anni è stata alta). - Autotutela “semplice”: Oltre alla sospensione amministrativa che abbiamo visto, c’è l’istanza di annullamento in autotutela all’ente creditore. Se il contribuente ha elementi per dimostrare che la pretesa è infondata (ad es. doppio addebito, errore palese di calcolo, esenzione spettante non considerata), può presentare un’istanza all’Agenzia delle Entrate chiedendo l’annullamento totale o parziale del debito iscritto a ruolo. L’autotutela non sospende i termini né le azioni di riscossione di per sé (per quello serve la sospensione ex L.228/2012 come detto). Tuttavia, se l’ufficio riconosce l’errore, disporrà lo sgravio del ruolo e ciò porterà all’annullamento della cartella. L’autotutela è a discrezione dell’Amministrazione: non c’è obbligo di accoglimento né tempi certi (sebbene lo Statuto del Contribuente dica di rispondere sollecitamente). Può essere utile nei casi in cui l’errore è macroscopico e magari c’è poco tempo per un ricorso. Spesso l’ufficio, se si accorge della svista, preferisce annullare in autotutela evitando un giudizio dall’esito scontato. Va comunque usata con cautela: non sospendendo termini, conviene parallelamente fare ricorso se c’è scadenza vicina, così da non pregiudicarsi.
Esempio: Società ha versato l’IRES ma per errore l’F24 riportava un codice tributo sbagliato e la somma è stata imputata a un altro tributo: arriva la cartella come se IRES non pagata. In autotutela, mostrando l’F24 e l’errore materiale, l’ufficio potrà correggere l’imputazione e sgravare la cartella. - Transazione fiscale e procedure concorsuali: Se il debitore è in grave crisi o insolvenza, esistono strumenti concorsuali che consentono di gestire i debiti tributari in modo collettivo e talvolta ridurli. Nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), applicabile a imprese ma anche a privati sotto certe condizioni, la transazione fiscale è l’accordo che il debitore in concordato preventivo o in accordo di ristrutturazione può proporre al Fisco, prevedendo il pagamento parziale delle imposte chirografarie. Ad esempio, in un concordato preventivo liquidatorio una S.r.l. può proporre di pagare solo il 40% del debito IRES e cancellare il restante: se l’AdE aderisce e il tribunale omologa, il debito IRES è ridotto a quel tanto e la cartella viene definita con quell’importo. Per le imposte sul reddito è ammesso abbattere anche il tributo, non solo sanzioni e interessi (diversamente dall’IVA per cui la falcidia richiede il test di insussistenza risorse per pagamento integrale, secondo la giurisprudenza e ora il Codice).
Strumenti nuovi includono la composizione negoziata per la soluzione della crisi, procedura introdotta dal 2021: l’imprenditore può trattare col Fisco un piano di rientro agevolato anche fuori dal tribunale. In fase di concordato semplificato post-composizione negoziata, anch’esso può prevedere stralci.
Inoltre, per i privati non fallibili (consumatori o piccoli imprenditori), esistono le procedure di sovraindebitamento: il piano del consumatore o il concordato minore, dove si può proporre la falcidia dei debiti tributari e contributivi con l’accordo del Fisco o con omologazione giudiziale.
Infine, dopo la chiusura di una liquidazione giudiziale (fallimento), la persona fisica può ottenere l’esdebitazione: se il patrimonio è stato liquidato e si è cooperato lealmente, il tribunale può cancellare i debiti residui, incluse imposte e sanzioni. Quindi un ex imprenditore fallito può liberarsi anche delle cartelle fiscali non soddisfatte nella procedura.
Queste sono soluzioni estreme, ma è bene citarle perché a volte una società sommersa dai debiti fiscali deve considerare la via concorsuale. La transazione fiscale è tecnicamente complessa (richiede voti e omologazione), ma il Codice della crisi ha cercato di facilitarla (es. togliendo il veto erariale in certi casi). Ad esempio la Corte Costituzionale sent. 225/2014 eliminò il divieto di falcidia IVA, aprendo strade poi recepite. Oggi un’azienda in crisi può trattare con AdE la riduzione di IRES in un piano di risanamento. Certo, come debitor comune, ciò implica procedure onerose e costi, però va menzionato come ultima risorsa per evitare sanzioni penali (in caso di mancate dichiarazioni) o la crescita incontrollata di interessi.
In conclusione, il debitore ha un ventaglio di opzioni. Il seguente schema a domande/risposte riepiloga i casi più frequenti e le relative soluzioni.
Domande frequenti (FAQ)
D: Ho ricevuto una cartella per IRES non pagata. Cosa devo fare immediatamente?
R: Verifica anzitutto la data di notifica e segnala quel giorno sul calendario: da lì decorrono 60 giorni per agire. Entro 60 giorni devi decidere se pagare, rateizzare o ricorrere. Nel frattempo, esamina il contenuto: è effettivamente dovuta quella somma? Ci sono errori evidenti (ad es. importo già versato)? Se sì, puoi presentare un’istanza di sospensione in autotutela all’Agente con le prove (entro 60 gg). Se la somma è dovuta ma non hai liquidità per pagare, prepara la richiesta di rateizzazione (puoi farla subito, non serve aspettare 60 gg – anzi farla prima evita mosse dell’Agente). Se ritieni che il debito non sia dovuto o la cartella abbia vizi, contatta un fiscalista per valutare un ricorso entro i 60 gg. In ogni caso, non ignorare la cartella: dopo 60 giorni senza tue mosse, il debito diventa esecutivo e potresti subire pignoramenti o fermi auto.
D: Se pago la cartella entro i 60 giorni, cosa succede con sanzioni e interessi?
R: Pagando entro 60 giorni dalla notifica, paghi l’importo indicato in cartella che include già sanzione piena (30%) e interessi fino alla cartella. Non ti verranno addebitati gli interessi di mora, perché questi scattano solo dopo il 60° giorno. Quindi conviene sempre pagare (o almeno iniziare a pagare con una rateazione) entro i 60 giorni per evitare la mora aggiuntiva del 2,68% annuo. Se hai pagato tutto, conserva la ricevuta: la tua posizione sarà chiusa e non riceverai ulteriori richieste su quel debito.
D: Posso rateizzare dopo aver iniziato a pagare una parte?
R: Sì. Se, ad esempio, versi spontaneamente una quota entro 60 giorni e poi chiedi la rateazione per il resto, l’Agente calcolerà il piano sul residuo. Attenzione però: la domanda di rateazione deve comprendere l’intero importo della cartella ancora dovuto. In alternativa, avresti potuto direttamente fare domanda di rateazione senza iniziare a pagare nulla: versare volontariamente prima non è obbligatorio (serve solo se vuoi ridurre il debito residuo). Considera anche che se paghi parzialmente ma non formalizzi una dilazione o il saldo integrale entro 60 giorni, per legge la cartella risulta comunque non definita, e l’Agente potrebbe procedere sul residuo. Dunque, meglio contestualmente fare richiesta di dilazione per la parte restante, anziché limitarsi a pagare un acconto senza accordi.
D: Cosa succede se non faccio nulla dopo aver ricevuto la cartella (né pago né ricorro)?
R: Trascorsi inutilmente i 60 giorni, la cartella diventa definitiva. A quel punto:
- L’importo in cartella inizia a maturare interessi di mora giornalieri al 2,68% annuo sul netto (imposta+interessi iscritti, esclusa sanzione).
- L’Agente della riscossione può intraprendere azioni di recupero. In genere, il primo passo è l’invio di una “intimazione di pagamento” (art. 50 DPR 602/73) che ti dà un ulteriore ultimatum di 5 giorni per pagare. Se ancora nulla, può procedere con mezzi esecutivi: fermo amministrativo sui veicoli (ti arriva un preavviso e, se non paghi, l’auto viene iscritta al PRA come non utilizzabile su strada finché non saldi), ipoteca su immobili di tua proprietà (se il debito supera €20.000 – tipicamente ti notificano un preavviso di ipoteca), oppure direttamente il pignoramento di conti correnti, stipendi, crediti verso terzi o beni mobili/immobili. Non è necessaria l’autorizzazione del giudice: l’Agente forma l’atto di pignoramento e lo notifica a te e al terzo (es. la banca o il datore di lavoro). A quel punto, le somme pignorate vengono destinate al pagamento del debito. Esempio: potrebbero pignorarti 1/5 dello stipendio mensile, o il saldo del conto corrente (nei limiti di legge).
- Inoltre, il debito potrebbe essere iscritto a ruolo coattivo per eventuali escussioni future: se hai crediti d’imposta a rimborso, l’Agenzia Entrate li compensa d’ufficio col tuo debito (c’è un meccanismo per cui, se ti spetterebbe un rimborso fiscale >€5.000, viene bloccato e usato per pagare le tue cartelle scadute).
- Va detto che l’Agente compie queste azioni in base a priorità e importi: per debiti modesti, è più probabile il fermo auto; per debiti grandi, l’ipoteca e poi pignoramento.
- Una volta avviate le procedure esecutive, avrai ulteriori spese (spese di esecuzione, compensi legali se interviene l’ufficio legale per le aste, ecc.).
In sintesi, non fare nulla è l’opzione peggiore. Anche se non puoi pagare, almeno attiva una rateazione (che blocca i pignoramenti) o valuta il ricorso/sospensione per guadagnare tempo. Se lasci decorrere il termine, il Fisco potrà colpirti nei tuoi beni o crediti.
D: Possono pignorarmi la casa o altri beni importanti per un debito IRES?
R: Sì, ma con delle cautele previste dalla legge. L’Agente può pignorare beni mobili e immobili, tuttavia:
- Prima casa: se sei una persona fisica e l’unico immobile di tua proprietà è la casa in cui risiedi anagraficamente (prima casa), e non è di lusso (categorie A/8, A/9), non può essere espropriato per debiti fiscali (art. 52 DL 69/2013 conv. L.98/2013). Possono però iscrivere ipoteca su di essa se il debito supera €20.000, mantenendo una garanzia, ma non procederanno alla vendita forzata. Questo vale per l’abitazione principale e una sola per contribuente.
- Altri immobili: se possiedi seconde case, terreni o immobili commerciali, l’esproprio è possibile se il debito supera €120.000 e l’importo complessivo dell’ipoteca iscritta è almeno pari a tale soglia. Devono inoltre trascorrere 30 giorni dalla notifica di un preavviso di ipoteca senza che tu paghi, prima di iniziare la procedura esecutiva immobiliare. Quindi, hai un ultimo spazio per agire.
- Beni mobili: possono pignorare automezzi (tramite fermo, che di fatto ti impedisce di usarli e ne prelude la vendita forzata), macchinari, merci. In pratica però i pignoramenti mobiliari (tipo il classico “ufficiale giudiziario in azienda”) sono rari e per importi alti; l’Agente preferisce pignorare soldi su conto o stipendi/pensioni, più facili da incassare.
- Conti correnti: possono essere bloccati con atto alla banca (che congela le somme fino a concorrenza del debito). Se il conto è cointestato, solo la quota parte del debitore è pignorabile. Se sul conto c’è stipendio/pensione accreditati, la legge tutela un importo pari al triplo dell’assegno sociale che deve rimanere libero.
- Stipendi e pensioni: pignorabili nella misura massima di 1/5 al mese. Se la pensione è bassa (inferiore a circa €756, ovvero il minimo vitale pari a 3 volte l’assegno sociale), è impignorabile nella parte minima, e solo la parte eccedente quel minimo può subire il prelievo di 1/5.
- Automezzi: il fermo amministrativo viene in genere avviato per debiti > €1.000. Ti notificano un preavviso dando 30 giorni: se non paghi o rateizzi, iscrivono il fermo al PRA. Con il fermo non puoi circolare (pena sanzioni e sequestro mezzo). Il fermo si risolve pagando il debito o con una sospensione/rateazione: con la rateazione, di solito dopo la prima rata pagata puoi chiedere la revoca del fermo (ma per legge serve pagare l’intero, AeR però in alcuni casi accetta di sospenderlo se rateizzi tutto il debito).
- Beni strumentali impresa: per legge, se sei un imprenditore, gli strumenti indispensabili all’attività non possono essere pignorati salvo che il giudice lo autorizzi e solo nei limiti di 1/5 del loro valore, e comunque se il resto dei beni è insufficiente (art. 515 c.p.c. e 62 DPR 602/73). Quindi, se hai macchinari essenziali per produrre, difficilmente li vedrai portare via come prima mossa.
In sostanza, il Fisco ha ampi poteri, ma anche diverse tutele per il contribuente: prima casa non vendibile, limiti su stipendi, ecc. Nella stragrande maggioranza dei casi, si procede su conti e stipendi perché è il metodo di incasso più diretto. Perciò, se non regolarizzi la cartella, aspettati ad esempio il blocco del conto corrente e prelievo delle somme disponibili, o il pignoramento di una quota dello stipendio presso il datore di lavoro.
D: Ho una piccola società (S.r.l.) che non può pagare l’IRES: io come amministratore o socio rischio qualcosa personalmente?
R: In linea generale, per i debiti tributari di una società di capitali, risponde solo la società col suo patrimonio (principio della personalità giuridica). I soci non ne rispondono con i propri beni, né l’amministratore in quanto tale. Ci sono però situazioni da considerare:
- Se la società viene messa in liquidazione e chiusa senza pagare le imposte, la legge (art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602/73) prevede una responsabilità del liquidatore e anche dei soci entro certi limiti. In particolare, il liquidatore risponde verso il Fisco se, avendo fondi, non ha soddisfatto le imposte dovute e ha pagato altri creditori o distribuito attivo ai soci preferendoli al credito erariale. Quindi, se l’amministratore-liquidatore ha chiuso la società distribuendo soldi ai soci e lasciando il debito IRES insoluto, l’Agenzia potrà esigere da lui fino a concorrenza di quanto non pagato indebitamente. I soci, dal canto loro, potrebbero essere chiamati a restituire quanto ricevuto in sede di bilancio finale di liquidazione se ciò ha leso i creditori rimasti insoddisfatti (è una responsabilità sussidiaria pro-quota, in base a quanto riscosso).
- Se l’amministratore ha commesso illeciti gestori (ad esempio distrazione di attivi, operazioni dolose che hanno causato il mancato pagamento delle imposte, o anche dichiarazioni fraudolente), potrebbe subire conseguenze penali o azioni di responsabilità per danni. Ma se semplicemente la società è andata male e non ha pagato l’IRES per mancanza di liquidità, l’amministratore in sé non è punibile penalmente per l’omesso versamento IRES (come detto, non c’è reato specifico per l’IRES).
- L’Agenzia delle Entrate di solito non procede automaticamente contro amministratori o soci di S.r.l. per i debiti fiscali sociali, a meno che non emergano profili di abuso (tipo aver usato la società per accumulare debiti e poi svuotarla). In casi di abuso, si può teorizzare una responsabilità per abuso di personalità giuridica (cd. lifting the corporate veil). Ma è raro e complesso da provare in giudizio tributario. Più frequentemente, l’Agenzia iscriverà ipoteca o pignorerà eventuali immobili intestati ancora alla società.
- Notare invece che nelle società di persone (snc, sas) i soci rispondono illimitatamente dei debiti tributari sociali: l’Agenzia può chiedere a ciascun socio il pagamento dell’intero debito. Tuttavia, l’IRES non riguarda le società di persone (che non pagano IRES ma attribuiscono il reddito ai soci per IRPEF). Qui parliamo di S.r.l. e S.p.A.
- Infine, se come amministratore hai prestato fideiussioni personali per debiti fiscali (può capitare in transazioni fiscali o dilazioni per importi grossi), allora ne rispondi come da contratto di garanzia. Ma è una tua assunzione volontaria.
In sintesi: normalmente, i tuoi beni personali non sono aggredibili per il debito IRES della S.r.l., salvo tu abbia fatto atti da liquidatore inappropriati o ci siano state manovre fraudolente. Attenzione però: se la società fallisce, il curatore potrebbe agire contro gli amministratori per malagestio (es. non aver versato imposte potrebbe essere indice di insolvenza aggravata). Ma questa è responsabilità civile verso la massa, non un obbligo di pagare direttamente l’imposta.
D: La cartella IRES può essere oggetto di saldo e stralcio in un accordo di ristrutturazione o in un piano di crisi?
R: Sì. Come accennato sopra, nell’ambito di procedure di composizione della crisi, è possibile proporre un pagamento parziale (saldo e stralcio) dei debiti fiscali. In un accordo di ristrutturazione dei debiti (strumento negoziale attestato da professionista e omologato dal tribunale, ex art. 57 CCII), si può inserire la cosiddetta transazione fiscale: l’Agenzia delle Entrate, valutando il piano e comparando con l’alternativa liquidatoria, può accettare di ridurre sanzioni e interessi anche al 0% e di falcidiare la quota di imposta chirografaria. L’IRES non è privilegiata (lo sono l’IVA e le ritenute per la parte di imposta), quindi la gran parte del debito IRES può divenire chirografario e falcidiabile. Bisogna però convincere l’AdE che è il massimo recuperabile data la situazione di crisi. Se l’AdE aderisce, l’accordo viene omologato e diventa vincolante anche per l’Agente Riscossione, sostituendo la cartella: ad esempio, su €100k di IRES potresti accordarti per pagarne €50k in 5 anni e il resto stralciato. Se invece l’AdE non aderisce ma la proposta era più conveniente del fallimento, oggi il tribunale può anche omologare l’accordo lo stesso (cram down fiscale previsto dal CCII): in tal caso il taglio al debito fiscale diventa effettivo per via giudiziaria. Similmente nel concordato preventivo: presenti un piano dove dici “pagherò il 30% dell’IRES entro 2 anni” – se i creditori e il tribunale approvano, l’Erario è obbligato a accontentarsi di quel 30%.
Per debitori non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori), strumenti come il piano del consumatore o concordato minore permettono di proporre stralci. È richiesta l’adesione del Fisco solo nel concordato minore se falcidia crediti privilegiati; per l’IRES, se non è privilegiata, si può falcidiare anche senza consenso perché subisce la sorte dei chirografari.
Insomma, in un piano di risanamento credibile, l’IRES può essere ridotta. Chiaramente, questo è praticabile solo quando il debitore è insolvente o in crisi grave. Non conviene intraprendere procedure concorsuali solo per dilazionare un debito fiscale se si hanno alternative. Ma per aziende che accumulano debiti su più fronti, è un’opportunità. Ad esempio, alcune PMI escono dal peso fiscale tramite concordato in continuità: ottengono di pagare le imposte pregresse parzialmente mentre continuano l’attività, evitando il fallimento e salvando i posti di lavoro.
In questi casi servirà assistenza di specialisti e la procedura dura mesi/anni, con costi professionali. È la “risoluzione finale” se tutte le altre vie (ricorso, rateazione, rottamazioni) non sono state sufficienti e l’azienda non è più sostenibile con quei debiti.
D: Ho vinto la causa contro l’accertamento IRES, ma intanto la cartella era stata emessa: cosa fare per toglierla di mezzo?
R: Se hai ottenuto una sentenza passata in giudicato che annulla (in tutto o in parte) la pretesa d’imposta, quella sentenza è titolo per lo sgravio. Devi trasmettere copia della sentenza all’Agenzia delle Entrate (ufficio legale) chiedendo l’ottemperanza: l’ufficio emetterà un provvedimento che toglie il debito dal ruolo. Puoi anche presentare istanza di sospensione e annullamento all’Agente Riscossione allegando la sentenza: l’Agente subito sospende la riscossione e aspetta istruzioni dall’ente creditore. L’ente, ricevuta la sentenza, emetterà uno sgravio. Lo sgravio è comunicato all’Agente, che annulla la cartella e chiude la posizione. Se per caso avevi già pagato (in tutto o parte) e la sentenza ti dà ragione, hai diritto al rimborso di quanto versato. L’AdE deve restituire l’imposta indebitamente pagata con gli interessi (al tasso dei rimborsi, che per IRES è l’1%). Spesso, se c’era una garanzia fideiussoria a corredo (nei ricorsi in cui si sospendeva la riscossione oltre soglia, a volte si doveva mettere garanzia), verrà liberata.
Se la sentenza non è definitiva (es. primo grado vinto, ma appello pendente), puoi comunque ottenere la sospensione dall’AdE presentando istanza di sospensione per sentenza favorevole (L. 546/92 art. 68 prevede che se il contribuente vince in primo grado, le somme non ancora versate sono sospese di diritto fino ad appello, oltre una certa soglia però l’ufficio può chiedere garanzia). Nel contempo, l’Agente Riscossione su input dell’ufficio sospende. In pratica, in caso di vittoria anche non definitiva, contatta l’ufficio AdE e fai valere la sentenza: tendenzialmente bloccheranno la riscossione (magari fino a esito appello).
Dunque, la regola è: la cartella esattoriale segue le sorti del giudizio sull’atto presupposto. Se quell’atto viene annullato, cade anche la cartella.
D: È vero che dopo 5 anni le cartelle “si cancellano” da sole?
R: È una semplificazione scorretta. Come spiegato nella sezione prescrizione:
- Alcuni debiti come sanzioni si prescrivono in 5 anni se nessuno li sollecita. Ma bisogna far valere la prescrizione con un’eccezione, non avviene in automatico come concetto amministrativo.
- La cartella di per sé non “scade” in 5 anni universalmente: l’IRES come tributo ha cause di prescrizione decennale secondo molte interpretazioni.
- Ci sono state però norme di stralcio automatico per cartelle vecchie: es. nel 2019 furono stralciati i ruoli 2000-2010 sotto €1.000; nel 2023 quelli fino 2015 sotto €1.000. Ma non in base a 5 anni, bensì come misura una tantum.
- La confusione nasce dal fatto che molte cartelle, soprattutto di entità minore, di fatto non vengono riscosse oltre un certo tempo e vengono annullate per “inesigibilità”. La riforma 2024 prevedendo discarico automatico dopo 5 anni per nuovi ruoli, fa sì che in futuro la maggior parte dei debiti sarà cancellata se in 5 anni l’agente non li recupera. Ma questo inizierà con i ruoli dal 2025 in poi.
Quindi dire “dopo 5 anni si cancella” è improprio: bisogna controllare il singolo caso. Meglio impostare come segue: se sono passati 5 anni dall’ultimo atto senza che succeda nulla, è probabile che tu possa eccepire la prescrizione e non pagare. Se il Fisco se ne sta dimenticando per 5 anni, spesso poi rinuncia (a meno di crediti grandi). Ma prudentemente, non dare per scontato: verifica e eventualmente consulta un legale per eccepire formalmente la prescrizione e far annullare la cartella per via giudiziaria.
D: La mia cartella riguarda IRES di anni fa. Posso ancora fare ricorso se scopro un vizio?
R: In generale, no se i 60 giorni sono passati e la cartella era stata regolarmente notificata. Dopo quel termine, l’atto diventa definitivo e non più impugnabile. Però ci sono eccezioni:
- Se scopri solo ora che la notifica era nulla (ad es. la cartella del 2018 risulta notificata per posta ma la firma è di persona sconosciuta, oppure la PEC non era la tua), potresti avere titolo per impugnare in quanto l’atto non ti è stato formalmente notificato validamente. Dovresti però attendere un atto successivo (un’intimazione) e impugnare quella eccependo la nullità originaria. Oppure, nei casi di pregiudizio attuale, impugnare l’estratto di ruolo come eccezione. Ma è complicato e oggetto di quell’art. 12(4-bis) che limita l’azione anticipata.
- Se è intervenuta una pronuncia retroattiva (per es. la Corte Costituzionale dichiara illegittima una norma sanzionatoria applicata nella cartella), si potrebbe tentare un ricorso “revocatorio” o un’istanza in autotutela straordinaria, ma sono situazioni molto particolari.
In pratica, se la cartella è vecchia e non hai fatto nulla, puntare sulla prescrizione è la strada migliore. Trascorsi 5 anni, puoi rifiutarti di pagare eccependo prescrizione se ti chiedono soldi. Un ricorso tardivo invece verrebbe rigettato per inammissibilità.
D: Dopo aver pagato la cartella, comparirà ancora come mio debito?
R: Una volta pagata integralmente (o definita con sanatoria), il ruolo viene marcato come saldato e la tua posizione è regolare. Se c’erano ipoteche o fermi, verranno rimossi (di solito bisogna presentare istanza all’Agenzia Riscossione allegando quietanze, e in 20 giorni cancellano il fermo dal PRA, e per le ipoteche cancellazione in conservatoria). Inoltre puoi richiedere il durc fiscale (certificato di regolarità tributaria) o verificare nel tuo cassetto fiscale che il debito non risulta più. Se hai rateizzato, risulti in regola purché paghi le rate: l’importo risulterà a ruolo ma con rateazione in corso (lo vedi anche nell’area riservata AeR). Se hai aderito a rottamazione e stai pagando rate, risulti in regola finché rispetti i pagamenti (la legge ti considera adempiente durante la dilazione agevolata).
Per scrupolo, trascorsi 1-2 mesi dal pagamento, controlla l’Estratto di ruolo presso AeR: deve indicare quella cartella come pagata. Se così è, conserva le ricevute per 5-10 anni (per eventuali contestazioni future, anche se raramente succede che chiedano di nuovo).
Quindi, a saldo avvenuto, sei libero da quel debito. L’unico strascico potrebbe essere che quell’anno fiscale se avevi commesso reati dichiarativi (dichiarazione infedele, ecc.) non è cancellato da aver pagato (ma quella è una questione penale separata). Pagare la cartella chiude ogni pendenza amministrativa su quell’imposta, salvo eventualmente dover chiedere rimborso di crediti che non hai portato in diminuzione allora.
D: Ho difficoltà a pagare, mi consigliate di aspettare una possibile nuova rottamazione o di rateizzare subito?
R: In linea di massima, rateizzare subito è consigliato, perché:
- ti mette al riparo da azioni esecutive;
- se anche arriva una nuova rottamazione tra qualche mese, in genere puoi aderirvi anche se sei in corso di rateazione, sospendendo le rate e aderendo alla definizione agevolata (è stato così nelle edizioni precedenti, bastava essere in regola con eventuali rate in scadenza entro quella data). Anzi, trovarsi in rateazione aiuta a prendere tempo in attesa di eventuali condoni.
- Se invece aspetti senza rateizzare, rischi nel frattempo pignoramenti.
Certo, se sei quasi certo che uscirà una sanatoria a breve (diciamo annuncio ufficiale con scadenza adesione vicina), potresti evitare di impegnarti in un piano rigido. Ma fino a che non c’è certezza legislativa, non conviene contare sul condono.
Tieni presente che la rottamazione comunque richiede poi di pagare le somme concordate, se non riesci nemmeno a pagare quelle potresti decadere e stare ancora peggio (perché intanto hai perso tempo).
Quindi, come strategia: rateizza per sicurezza. Se poi arriva la rottamazione, farai i conti: potrai decidere se proseguire col piano di rate o aderire al nuovo condono (valutando risparmio di sanzioni vs convenienza). Nel 2023, ad esempio, molti che avevano rate in corso hanno aderito alla rottamazione quater perché abbattevano sanzioni e interessi; altri invece, avendo quasi finito di pagare, hanno continuato le rate.
Un caso a parte: se la tua situazione è disperata (zero liquidità proprio), potresti sperare nel condono e non pagare né rate né altro, ma è un azzardo che ti espone a procedure.
Quindi prudenza: meglio congelare la riscossione con una rateazione fattibile e poi eventualmente rinegoziare o estinguere anticipatamente se arriva un’opportunità legislativa di stralcio.
D: In caso di società di persone (snc, sas) o ditte individuali con debito d’imposta, c’è differenza rispetto alla S.r.l. nell’affrontare la cartella?
R: Sì, qualche differenza:
- Nelle società di persone (snc/sas) l’imposta sul reddito non è IRES ma IRPEF sui soci (tramite il meccanismo di trasparenza). Quindi, in caso di omesso versamento, la cartella per imposte personali arriverà ai singoli soci (per IRPEF) o alla società per IRAP eventualmente. Comunque, se fosse IRAP o altre imposte sociali, i soci rispondono in solido. L’Agente può escutere direttamente i soci di una snc/sas per i debiti sociali (art. 11 D.Lgs. 546/92 li equipara a coobbligati solidali). Dunque, ad esempio, per il debito IRAP di una snc la cartella può essere emessa alla snc, ma poi se non paga si può pignorare sui soci. Per il debito IRPEF dei soci, va ai soci subito. Quindi, di fatto, in società di persone non c’è schermo: il patrimonio personale dei soci è immediatamente aggredibile.
- Negli imprenditori individuali, non c’è separazione patrimoniale: i debiti d’impresa e personali coincidono. Se Mario Bianchi ditta individuale non paga l’IRPEF sul reddito d’impresa o l’IVA, la cartella a suo nome colpisce tutti i suoi beni, compresi quelli non legati all’azienda (salvo la prima casa come detto, se rientra nelle tutele). Dunque per un imprenditore individuale la pressione del Fisco è più diretta. Tuttavia, allo stesso tempo, l’imprenditore individuale in crisi può accedere all’esdebitazione post-liquidazione: se viene liquidato tutto, il giudice lo libera dai debiti residui, dandogli la possibilità di ripartire da zero (fresh start). Questa è una opportunità che il socio di S.r.l. non ha se non ha mai messo nulla di suo.
- Proceduralmente, persona fisica, socio o ditta individuale, per difendersi usano gli stessi strumenti: ricorso, sospensione, rateazione. Ma attenzione: nel valutare la rateazione per una persona fisica c’è l’ISEE come parametro nuovo dal 2025. Quindi un individuo dovrà spesso allegare ISEE per dimostrare la difficoltà se il debito supera 120k. Una società dovrà allegare indici di bilancio.
- Un elemento in più: la persona fisica con debiti fiscali può trovare sollievo nel “saldo e stralcio” se normato. Nel 2019 fu introdotto un “saldo e stralcio” per persone fisiche in difficoltà economica (ISEE < €20.000) che permetteva di pagare le sole imposte senza sanzioni in percentuale ridotta. Le società non ebbero quell’agevolazione riservata alle persone fisiche. Attualmente non c’è un saldo e stralcio aperto, ma non si esclude in futuro. Quindi talvolta lo Stato riserva misure più favorevoli ai privati in comprovata difficoltà.
- Infine, sul piano patrimoniale: l’imprenditore individuale rischia la propria casa (se non prima casa di valore modesto) e i propri beni personali; il socio di snc rischia parimenti. Il socio di S.r.l. di norma no. Quindi l’approccio: per ditta individuale e soci snc, urgentissimo gestire la cartella perché impatta sul patrimonio familiare direttamente; per S.r.l. c’è un margine per valutare anche l’opzione di liquidare la società come scappatoia (anche se, come detto, non paga le imposte in liquidazione l’erario può seguirli in parte).
- Procedura concorsuale: una snc/sas può fallire con soci falliti estesi, e in quel contesto il debito fiscale entra nel fallimento e poi i soci se esdebitati ne escono puliti. Un imprenditore individuale fallisce e poi può esdebitarsi pure. Una S.r.l. fallisce e i soci rimangono protetti senza bisogno di esdebitazione (perché non debitori), ma la società muore con i debiti se patrimonio insufficiente (lo Stato incassa pro-quota).
In conclusione, la cartella va affrontata seriamente in ogni caso, ma per le persone fisiche il rischio patrimoniale personale è diretto, mentre per le società di capitali è indiretto. Ciò si riflette nelle strategie: un privato o imprenditore individuale sarà più incline a pagare/rateizzare per non perdere i propri beni, mentre una società di capitali senza prospettive può decidere di andare in liquidazione lasciando il debito fiscale insoluto (con relative conseguenze legali per liquidatore, ma spesso la scelta quando non c’è di che pagare). Ovviamente questa seconda ipotesi è estrema e va ponderata con consulenti per evitare responsabilità personali.
Profili specifici per diverse tipologie di debitori
Come anticipato, esaminiamo ora separatamente le implicazioni e le strategie riguardanti tre diverse categorie di debitori colpiti da una cartella IRES: persone fisiche (privati), società di capitali e imprenditori individuali. Pur condividendo molte regole comuni, esistono differenze nelle responsabilità patrimoniali e negli strumenti applicabili che meritano attenzione.
Persona fisica (contribuente privato)
In senso stretto, una persona fisica privata non è soggetto passivo dell’IRES (che grava sulle società), tuttavia può trovarsi coinvolta per vari motivi: ad esempio, un socio o amministratore a titolo personale, oppure un garante, o anche perché riceve cartelle per imposte sui redditi personali correlate (IRPEF su dividendi non dichiarati, ritenute non versate, etc.). Inoltre, qui consideriamo il caso di professionisti senza società, persone fisiche equiparate (ad es. soci di società di persone, i cui debiti IRPEF derivanti dalla partecipazione possono generare cartelle).
Responsabilità patrimoniale: La persona fisica risponde dei debiti tributari con tutti i propri beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.), fatto salvo quanto la legge dichiara impignorabile (come la quota di stipendio minima, gli oggetti di stretta necessità, la prima casa non di lusso come visto). Ciò significa che di fronte a una cartella esattoriale intestata a un individuo, l’Agente Riscossione può colpire il suo conto corrente personale, il suo stipendio/pensione, i suoi immobili (seconda casa, etc.), l’auto, ecc., nei limiti previsti. Non c’è distinzione tra patrimonio “di famiglia” e d’impresa se la persona è un imprenditore individuale: è tutto intestato a lui. Questa esposizione diretta porta il privato ad essere generalmente più vulnerabile e quindi più incentivato a trovare un accordo (rateazione) o a pagare, per evitare impatti sui beni essenziali.
Strumenti: Il privato utilizza gli stessi strumenti (ricorso, sospensione, rateazione). Nel suo caso:
- La rateazione per debiti ≤ €120.000 è ottenibile su semplice richiesta e può essere molto lunga (fino 84 rate nel 2025, poi 96/108 come detto). Se il debito supera €120.000, dovrà allegare l’ISEE familiare: questo parametro considera la situazione economica complessiva del nucleo. Un ISEE basso relativamente al debito faciliterà ottenere 120 rate. Ciò riflette l’idea che la persona fisica dimostra la difficoltà con quell’indice sintetico (che tiene conto di redditi e patrimoni familiari). Ad esempio, se Tizio ha un debito di €150k e un ISEE di €10k, è evidente l’incapacità di pagamento integrale, e l’Agenzia dovrebbe concedere le 120 rate. Al contrario, un ISEE molto alto potrebbe portare a negare la dilazione straordinaria perché la legge delega dice di parametrare anche al nucleo familiare, presumendo che con alto ISEE si abbiano risorse (magari liquido immobilizzato). Questo può creare casi borderline: es. un contribuente benestante ma con problemi di liquidità immediata – dovrà spiegare bene la situazione.
- Per i privati in reale indigenza, ci sono state misure di saldo e stralcio: la L. 145/2018 ad esempio prevedeva per persone fisiche con ISEE < €20.000 la possibilità di estinguere debiti fiscali fino al 2017 pagando solo il 16% (se ISEE bassissimo) o il 20-35% a seconda delle categorie. Quella misura fu unica e non ripetuta nelle rottamazioni successive. Ma il trend di politica fiscale mostra attenzione ai contribuenti in difficoltà economica: non è escluso che in futuro vi siano ulteriori interventi mirati.
- Il privato può accedere alle procedure da sovraindebitamento (ora sotto il CCII: esdebitazione del sovraindebitato meritevole, piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, ecc.). In questi procedimenti, come già detto, il giudice può liberarlo da debiti incolmabili, includendo tributi. Ad esempio, la esdebitazione di nullatenente (art. 283 CCII) consente anche al debitore persona fisica sovraindebitato che non sia riuscito a offrire un piano né abbia beni da liquidare, di ottenere l’esdebitazione di tutti i suoi debiti a certe condizioni di meritevolezza. Ciò significa che un privato onesto ma sfortunato, se proprio non può pagare nulla, può essere perdonato dai debiti, fiscali inclusi, dopo 4 anni di “buona condotta” successivi. È davvero l’extrema ratio, ma c’è.
- Tutela del domicilio: per il privato, la casa di abitazione (prima casa non di lusso) come detto non è espropriabile. Questa è una garanzia importante: il Fisco non potrà cacciarlo di casa, al più ipotecarla. Quindi, benché i debiti siano seri, si eviterà almeno di perdere la propria abitazione (a differenza di crediti bancari dove la casa può essere pignorata).
- Certificato di regolarità fiscale: se il privato ha aderito a definizioni agevolate o piani, può ottenere certificazione di regolarità per partecipare a bandi o appalti? Sì, ora la legge equipara la rateazione concessa a regolarità. Il certificato dei carichi pendenti darà atto se c’è un piano di rate attivo, che viene considerato in regola (quindi l’ente pubblico non escluderà il soggetto per debiti in corso di dilazione). Questo è rilevante per professionisti che lavorano con la PA e devono attestare la posizione fiscale.
In termini di giurisprudenza: molte sentenze di merito sui 5 anni di prescrizione si riferiscono a cartelle di persone fisiche (ad esempio su contributi o IRPEF). Il privato può beneficiare di quell’orientamento più facilmente – i giudici tributari spesso empatizzano col cittadino contribuente più che con la società. Ad esempio, Commissione Tributaria Regionale tal dei tali ha dichiarato prescritta cartella IRPEF perché trascorsi 5 anni. Tali pronunce potrebbero riflettersi anche su IRES imputata a persona fisica (non direttamente poiché IRES è su società, ma se persona fisica erede di una società o liquidatore, etc.).
Caso particolare: eredi di un contribuente: se una persona fisica muore con debiti IRES (es. era coobbligato, oppure l’IRES era di una sua ditta individuale), gli eredi ne rispondono limitatamente all’attivo ereditario. Se rinunciano all’eredità, non pagano nulla. Se accettano, dovranno pagare ma solo col patrimonio ereditato (in teoria possono non intaccare il loro se separano i patrimoni col beneficio d’inventario). Non entriamo nel dettaglio, ma per dire che la persona fisica ha quell’ulteriore via: non lasciare patate bollenti ai figli, se uno ha molti debiti il figlio può rinunciare all’eredità ed evitare di assumersi i debiti. L’Agenzia in tal caso non può rivalersi su di loro.
Società di capitali (S.r.l., S.p.A., etc.)
Le società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a., coop) sono i soggetti tipici obbligati all’IRES. Quando una di queste società riceve una cartella per IRES non pagata, valgono tutte le considerazioni generali fatte sulla cartella, con alcune peculiarità:
Responsabilità patrimoniale: La società risponde col suo patrimonio. I soci hanno responsabilità limitata: rischiano al più di perdere il capitale investito, ma i loro beni personali non sono attaccabili dall’Agente per il debito sociale, salvo eccezioni già menzionate (liquidatore negligente, soci post-liquidazione per somme ricevute). Questo consente alla società di affrontare il debito in modo più “freddo”: se proprio non riesce a pagare, in ultima analisi può finire in liquidazione o fallimento e i soci non vengono rovinati personalmente. Da ciò discende che l’Agenzia Riscossione punta alle risorse societarie: conti aziendali, immobili aziendali, crediti verso clienti della società (pignorabili), macchinari non indispensabili. Non potendo aggredire direttamente i soci, avrà quell’unico bersaglio. Quindi paradossalmente, se la società non possiede nulla di valore (cosiddetta scatola vuota), la cartella potrebbe rimanere ineseguita. Il Fisco però può adottare contromisure se fiuta un abuso: ad esempio, se la società era solo uno schermo, può coinvolgere i soci in giudizio, ma non è automatico.
Strumenti:
- La società di capitali può fare ricorso tributario come qualsiasi contribuente (necessita di difensore abilitato se >€3.000, che di solito è un avvocato tributarista o commercialista con requisiti). Spesso le società contestano questioni tecniche: es. un S.p.A. può eccepire che la cartella è arrivata tardivamente rispetto al termine di decadenza di legge e chiedere l’annullamento; oppure impugnare la cartella per difetto di motivazione su calcolo interessi, come ha fatto una società nella Cassazione 10493/2024 vincendo. Le società tendenzialmente hanno consulenti che monitorano queste cose, quindi fanno valere tutti i possibili vizi (dall’estratto di ruolo per rilevare mancate notifiche precedenti, alla prescrizione quinquennale delle sanzioni, etc.).
- La società può accedere alla rateizzazione con parametri diversi: deve presentare indici finanziari (indice liquidità, rapporto debito/valore produzione) per oltre 120k di debito. Se il suo bilancio mostra scarsa liquidità e indebitamento elevato, potrà ottenere piani lunghi. Se invece è in buona salute ma semplicemente per disattenzione non aveva pagato, l’Agente potrebbe negare dilazioni e pretendere subito (anche se sotto 120k gliele deve dare per legge fino 84 rate comunque). Ad es., una S.r.l. con 1 milione di fatturato e debito IRES di 50k chiedendo 84 rate, in mancanza di evidenze contrarie, gliele concedono (sotto 120k dichiarando difficoltà); se fossero 500k di debito, deve provare la crisi.
- Le società possono usufruire in pieno delle rottamazioni: statisticamente, la stragrande maggioranza degli importi rottamati con le varie edizioni erano di aziende. Il risparmio su sanzioni è il medesimo. Una differenza: la rottamazione quater non permetteva di rottamare se avevi già un piano di dilazione in essere su cui eri in regola? No, permetteva comunque (bastava includere il debito residuo). Quindi le società spesso hanno “giocato” con le norme per alleggerire il carico. E possono farlo ancora.
- Procedura concorsuale: la società di capitali insolvente può fallire (liquidazione giudiziale) o accedere a un concordato preventivo. Come spiegato, nel concordato può proporre transazione fiscale per tagliare i debiti, e se fallisce il debito fiscale viene in parte soddisfatto e per il resto muore con la società. I soci e amministratori escono illesi (tranne eventuali azioni di responsabilità), e il residuo non pagato all’Erario resta insoddisfatto e verrà, con la riforma, discaricato come credito inesigibile dallo Stato. Dunque, la minaccia implicita per il Fisco è che se spreme troppo la società, rischia di mandarla a gambe all’aria e di non incassare quasi nulla. Questo spesso induce l’Erario ad accettare concordati dove incassa magari 30-40%. D’altro canto, finché la società ha vita, l’Amministrazione può usare leva forte (fermo macchinari, ipoteche su capannoni, pignoramento crediti clienti) e mettere pressione.
- Rapporti contrattuali: una società con cartelle pendenti oltre soglie di legge può vedersi negare il DURC fiscale (certificazione di regolarità contributiva e fiscale) che è necessaria per appalti pubblici. Però, come per i privati, se ha rateizzato, il certificato risulterà regolare. La riforma fiscale per esempio ha evidenziato la necessità di segnalare in estratto di ruolo se c’è pregiudizio per partecipare a gare. Se una S.p.A. ha una cartella scaduta non pagata, non potrà partecipare ad appalti pubblici perché l’art. 80 Cod. Appalti la esclude per irregolarità fiscali sopra certe soglie. Invece se quella cartella è in contestazione o in dilazione, può ottenere l’attestazione di regolarità e partecipare. Quindi, per società che lavorano con la PA, fondamentale risolvere o sospendere il debito per non essere tagliate fuori.
- Giurisprudenza particolare su società: citiamo ad esempio Cass. SU 26283/2022 che chiarisce l’applicazione immediata dell’art. 12(4-bis) DPR 602 (sull’estratto non impugnabile) alle liti in corso, questione sollevata proprio in un caso con società. O Cass. 17234/2023 (Sez. 5) che ha stabilito che se la cartella non è fondata su sentenza passata in giudicato, i 5 anni per eseguire l’intimazione di pagamento si applicano (in quel caso una società aveva ricevuto intimazione dopo 8 anni, la Cass. l’ha annullata per tardività). Queste pronunce indirizzano la prassi: le società fanno spesso leva su tali termini per liberarsi dai ruoli “vecchi”.
- Coobbligati e gruppi: una società può essere coobbligata con altre per IRES in caso di consolidato fiscale (regime in cui la capogruppo compensa utili/perdite delle controllate e paga l’IRES di gruppo). Se in consolidato, la capogruppo è solidalmente responsabile per le imposte del gruppo. Quindi una cartella IRES consolidato può essere rivolta alla consolidante e se non paga, l’Agenzia può rifarsi sulla controllata e viceversa. La riforma delega del 2024 non ha ancora cambiato il consolidato (si parlava di modificarlo) ma è da considerare.
- Liquidazione societaria e ruoli: se una società viene posta in liquidazione volontaria, il liquidatore deve richiedere il durc fiscale all’Agenzia Entrate prima del riparto finale (norma recente). L’AdE non rilascia nullaosta se ci sono debiti fiscali non soddisfatti. Ciò di fatto obbliga il liquidatore a pagare i tributi prima di distribuire attivi ai soci, pena incorrere in responsabilità (e di regola non chiude la liquidazione). In pratica, le società non possono essere cancellate dal registro imprese se hanno debiti fiscali noti, a meno che siano incapienti (in tal caso il debito resta e l’AdE potrà tentare di far valere responsabilità). Quindi, per sanare la posizione e chiudere pacificamente, spesso conviene transare (se c’è attivo) o rottamare. Non di rado, in sede di chiusura, le società usano gli strumenti deflativi per “pulire” i debiti fiscali (ad es. aderendo alla rottamazione se aperta).
- Strategie di difesa tipiche di società: Oltre a quelle generali (prescrizione, vizi di notifica, ecc.), le società talvolta contestano le cartelle su temi come: legittimità degli interessi anatocistici (ma abbiamo detto non c’è anatocismo perché no interessi su interessi), legittimità dell’aggio (questo fu dibattuto in passato, ma dopo 2022 l’aggio non c’è più per nuovi ruoli, e per vecchi la Corte Cost. n. 120/2022 ha rigettato questioni su carico aggio residuo). Cassazione 120/2022 e 175/2022 su aggio e spese di notifica. Insomma, le società sperimentano tutti i motivi pur di ridurre il debito.
- Un cenno a società estinte: se la società di capitali si è estinta (cancellata da registro) e successivamente arriva cartella, questa è nulla perché manca il destinatario giuridico. La Cassazione (SU 6070/2013) ha sancito che dopo cancellazione la società non esiste e non può esserle notificato nulla; i soci subentrano nei rapporti attivi e passivi entro i limiti delle somme ricevute in liquidazione. Quindi la cartella andrebbe eventualmente notificata ai soci, ma solo se vi è patrimonio distribuito. Se notifica alla società defunta, è inesistente. Questo è uno scenario da valutare: a volte l’Agenzia non fa in tempo a iscrivere ruolo prima che la S.r.l. venga cancellata, e tenta lo stesso – quel atto è impugnabile come inesistente dai soci se venuti a saperlo. La riforma rischia di ridurre questi casi perché con la pianificazione annuale e il tempestivo invio di cartelle entro 9 mesi dal carico, l’Agenzia sarà più rapida, ma può capitare comunque.
Tabella riepilogativa: Persona fisica vs Società di capitali
Aspetto | Persona fisica (privato/imprenditore) | Società di capitali (es. S.r.l.) |
---|---|---|
Responsabilità patrimoniale | Illimitata su tutti i beni, salvo deroghe (prima casa non espropriabile, minimo vitale stipendio etc.) | Limitata al patrimonio sociale. Soci e amministratori di norma esclusi (salvo liquidazione irregolare o garanzie prestate). |
Aggressione beni | Pignoramento conto personale, stipendio, auto (fermo), immobili (ipoteca, esecuzione tranne prima casa). | Pignoramento conti aziendali, crediti verso clienti, beni aziendali non essenziali, immobili aziendali. Non su beni di soci. |
Rateizzazione | ≤120k: fino 84-108 rate su semplice richiesta. >120k: fino 120 rate con ISEE familiare basso. | ≤120k: fino 84-108 rate su richiesta (difficoltà autodichiarata). >120k: fino 120 rate con indici bilancio (liquidità, rapporto debito/produzione). |
Procedure concorsuali | Sovraindebitamento, esdebitazione persona fisica (possibile liberazione totale debiti residui). | Concordato preventivo, accordo ristrutturazione (transazione fiscale per ridurre imposte), fallimento/liquidazione giudiziale (debito si chiude con la società). |
Rischi penali | Nessuno per omesso versamento IRES dichiarata. (Possibili reati solo se omessa dichiarazione IRPEF o frodi). | Nessuno specifico per omesso versamento IRES. (Possibili reati dichiarativi a carico di amministratori se frodi su redditi). |
Impatti operativi | Non in regola col fisco → esclusione da appalti (a meno di rateazione in corso). Bene rateizzare per regolarità. | Idem: per appalti pubblici necessaria regolarità (durc fiscale). Rateazione/ricorso evita cause di esclusione ex art.80 Cod.Appalti. |
Definizioni agevolate | Possibili rottamazioni. Saldo e stralcio se previsto (es. 2019 c’era per PF con ISEE basso). | Possibili rottamazioni (uguali termini). Niente saldo e stralcio riservato PF. |
Liquidazione/cessazione | Debito personale muore con soggetto (non eredità se rinuncia). Eredi responso entro valore eredità. | Debiti fiscali devono essere definiti prima chiusura. Liquidatore responsabile se paga altri creditori preferendo soci. Società estinta non può essere destinataria atti. |
Controllo su notifica | Notifica PEC se domicilio digitale; se cartacea spesso a residenza. Da verificare vizi (es. notificata a familiare, etc.). | Notifica PEC obbligatoria alla PEC societaria. Facilmente verificabile (registro imprese). Meno scuse su notifica mancante (a meno PEC inattiva). |
Giurisprudenza di favore | Corte Cost. 190/2023 tutela difesa anticipata solo in casi pregiudizio (in genere PF contratti PA). CTR spesso applicano 5 anni prescrizione per debiti periodici PF. | Cass. SU 23397/16 prescrizione decennale tributi definitivi (spesso citata da AdE). SU 26283/22 su condizione azione estratto (dinamica). Più rigore formale, ma debiti grandi portano a decisioni pragmatiche (concordati). |
(Le differenze non sono assolute: ogni caso è specifico, ma la tabella evidenzia tendenze generali.)
Imprenditore individuale
L’imprenditore individuale (ditta individuale) rappresenta un caso a metà tra persona fisica e società: giuridicamente è una persona fisica, ma svolge attività d’impresa con patrimonio non separato (salvo conferimento in fondo patrimoniale o simili). Come tale, non paga IRES (paga IRPEF sul reddito d’impresa) – l’IRES riguarda solo le società. Tuttavia, includiamo qui gli aspetti peculiari perché spesso le questioni sulla cartella IRES sono analoghe a quelle su cartelle IRPEF d’impresa o IVA di imprenditori individuali. Inoltre, può capitare che un imprenditore individuale fosse socio di una Srl con IRES non pagata che ha chiuso, e l’Agenzia tenti di rivalersi su di lui come coobbligato (magari se aveva rilasciato garanzie personali o confuso patrimoni).
Patrimonio e rischio: L’imprenditore individuale risponde illimitatamente e non ha alcuna protezione rispetto ai debiti dell’impresa (a differenza della società di capitali). Quindi, il rischio patrimoniale è identico a quello di una persona fisica: la cartella colpirà i suoi beni personali e aziendali indistintamente. L’unica mitigazione pratica è che gli strumenti di produzione indispensabili, come macchinari o strumenti di lavoro, non possono essere pignorati se ciò paralizzerebbe l’attività, salvo l’eccezione del 1/5 come da norme civiliprocessuali. Ad esempio, un artigiano falegname con una sola sega industriale necessaria non la vedrà pignorare all’asta, almeno inizialmente. Questo però non solleva dall’obbligo, sposta solo altrove l’azione (es. sul conto in banca).
Rapporto con fisco: Molti imprenditori individuali adottano regimi fiscali semplificati. Non vi è differenza nel trattamento della cartella: la Commissione Tributaria giudica i loro ricorsi come quelli delle società. Semmai, i giudici potrebbero essere più comprensivi sapendo che dietro c’è una persona e una famiglia. Normativamente, la riforma fiscale ha dedicato parametri ISEE proprio alle persone fisiche e ditte individuali “in regime fiscale semplificato” per la valutazione della rateazione. Ciò lascia intendere che i piccoli imprenditori (ad esempio ditte individuali in contabilità semplificata) sono considerati assimilabili a persone fisiche per l’ISEE, riconoscendo il carattere familiare dell’impresa.
Strumenti di crisi: L’imprenditore individuale commerciale sopra soglie di fallibilità può essere dichiarato fallito (ora liquidazione controllata nel CCII). Se ciò avviene, come detto, potrà accedere all’esdebitazione finale: in tal caso anche l’IRES (che però non c’è, ma l’IRPEF d’impresa o l’IVA sì) residua verrà cancellata se il giudice concede l’esdebitazione dopo la liquidazione del patrimonio. Se l’imprenditore è di piccole dimensioni (sotto soglie), può usare le procedure di composizione minore: qui potrà proporre un piano di ristrutturazione dei debiti che includa anche i fiscali, similmente alle società. Ad esempio, un ristoratore ditta individuale con €100k di debiti (tra cui €30k col Fisco) potrebbe proporre di pagarne il 50% in 4 anni attraverso un concordato minore, ottenendo uno stralcio del resto, se i creditori (incluso Fisco) approvano o il giudice omologa anche senza il loro consenso se ne ricorrono i presupposti. Ci vuole un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che aiuti in ciò. Queste procedure sono più alla portata del piccolo imprenditore oggi rispetto al passato.
Differenza con professionista: Un imprenditore individuale commerciale viene trattato come sopra. Un professionista (non imprenditore, soggetto a IRPEF non IRES) in termini di riscossione è uguale a un privato: anche lui risponde con tutto. Il professionista che ha uno studio, gli potranno pignorare l’auto, il conto, ma non ad esempio i beni strettamente legati all’attività intellettuale non sono previsti come protetti (in realtà per l’avvocato o il medico, non c’è un macchinario indispensabile analogo – forse i libri? Ma quelli non li pignora nessuno perche privi di valore significativo all’asta). Quindi sostanzialmente uguale.
Esempio pratico – Imprenditore individuale: Mario Rossi, titolare dell’impresa individuale “Rossi Mario”, non ha versato IVA e IRPEF per difficoltà finanziarie. Riceve una cartella di €50.000 (tra imposte e sanzioni). Mario:
- Può chiedere rateazione 84 rate senza documenti (debito ≤120k) dichiarando difficoltà. Allegando ISEE (supponiamo €15k), l’AeR valuterà comunque la soglia <120k lo esime dal doverlo allegare obbligatoriamente, ma se lo fa e mostra un ISEE modesto, mal non fa per convincere che non ha liquidità. Otterrà rate da ~€600/mese + interesse.
- Se non paga, gli pignoreranno magari il conto dove transitano anche i pagamenti dei clienti, oppure il POS, e in ultimo potrebbero mettere un fermo al furgone che usa per le consegne (se non è l’unico mezzo fondamentale, altrimenti ci pensano due volte).
- Mario rischia anche, se la situazione degenera, il fallimento (se supera le soglie: attivo > €300k, debiti > €500k ecc.). Se fallisse, poi avrebbe esdebitazione eventuale. Ma è un percorso duro che lui preferirebbe evitare per non perdere l’attività.
- Quindi per Mario l’opzione migliore è trattare col Fisco: rateizzare e magari in parallelo cercare un accordo transattivo (nelle nuove composizioni negoziate il Fisco può ridurre sanzioni e interessi spontaneamente se vede continuità, ai sensi dell’art. 63 CCII e seguenti).
- Mario non ha alcuno scudo societario: se anche chiude l’attività, rimane lui come persona col debito. Può chiudere la partita IVA, ma l’Agenzia continuerà a perseguirlo come ex imprenditore.
- Potrebbe in caso estremo – ma è una scelta di vita drastica – dichiarare insolvenza e cercare l’esdebitazione come nullatenente. Ciò equivarrebbe a dire: “non pagherò mai, liberatemi dal debito” ma comporta l’essere in stato di indigenza e sotto osservazione per 4 anni. Non comune.
Quindi, la posizione dell’imprenditore individuale è sostanzialmente analoga a quella di una persona fisica, con l’aggravante che i suoi debiti d’impresa spesso sono più grandi che quelli personali (pensiamo a IVA, contributi dipendenti, etc.), ma con il vantaggio di poter accedere a procedure concorsuali “minori” calibrate su di lui.
Coobbligazione soci/garanti: Menzioniamo qui un caso frequente: l’imprenditore individuale a volte costituisce una S.r.l. unipersonale per limitare responsabilità, ma le banche per finanziarla chiedono fideiussione personale. Se quei finanziamenti servono a pagare anche imposte e poi la società defaulta, la banca escute l’imprenditore. In modo analogo, se in una transazione fiscale il socio garante firma per il pagamento delle rate, diventa coobbligato. Quindi, in tali situazioni, l’imprenditore individuale può diventare di fatto responsabile di imposte originariamente IRES della sua S.r.l. per via di garanzie. In quel caso l’Agenzia Riscossione potrebbe pretendere il dovuto in base alla fideiussione escussa. Non è comune, ma va compreso contrattualmente.
In definitiva, persona fisica vs società vs imprenditore individuale:
- La persona fisica “pura” di solito ha debiti IRPEF, non IRES, ma se appare in scenari IRES (es. ex socio, garante, liquidatore) può limitare la responsabilità (rinunciando eredità, seguendo regole art.36 DPR 602 per liquidatori).
- La società di capitali offre protezione ai privati dietro di essa, ma se non paga può cessare l’attività con la conseguenza per il Fisco di non incassare nulla (quindi c’è un gioco di forza su questo).
- L’imprenditore individuale incarna il rischio più alto e deve trattare come fosse persona fisica.
Esempio pratico: S.r.l. con debito IRES di €20.000
Per concretizzare tutti questi concetti, esaminiamo uno scenario ipotetico completo, seguendo la vicenda di una società di capitali con un debito IRES non pagato e il percorso per risolverlo.
Scenario: Alfa S.r.l., piccola società commerciale, ha realizzato nell’anno 2023 un utile imponibile significativo e deve versare un saldo IRES di €20.000 a giugno 2024. A causa di problemi di liquidità (clienti morosi, incremento costi), Alfa S.r.l. non versa tale importo. Analizziamo passo dopo passo cosa accade e cosa può fare la società:
- 30 giugno 2024: scadenza versamento saldo IRES 2023. Alfa non paga €20.000. Subito la società è in situazione di omesso versamento. Formalmente scatta la sanzione del 30%, ma questa verrà irrogata solo tramite iscrizione a ruolo, a meno che Alfa si ravveda. Se Alfa se ne accorge e volesse ravvedersi, entro 90 giorni potrebbe pagare con sanzione 1/9 (3,33%) + interessi legali ~5% anno. Ma supponiamo non lo fa per mancanza fondi.
- Ottobre 2024: l’Agenzia delle Entrate esegue il controllo automatizzato sulla dichiarazione 2024 di Alfa (Redditi 2024 per anno 2023) e rileva il saldo non versato. Emana quindi una Comunicazione di irregolarità (avviso bonario) indirizzata ad Alfa S.r.l. Nella comunicazione chiede: imposta €20.000 + sanzione ridotta 10% €2.000 + interessi da luglio a ottobre al 3,5% annuo (~€233). Totale ~€22.233 da pagare entro 30 giorni (essendo 2024, le vecchie regole dicono 30gg, ma poniamo che sia dopo l’entrata in vigore delega che l’ha portato a 60gg – comunque Alfa ha circa un mese-due per pagare con sanzione ridotta). Alfa S.r.l. però ancora non riesce a trovare i soldi e non paga nemmeno l’avviso bonario entro fine 2024.
- 1° marzo 2025: trascorsi i termini dall’avviso bonario, l’Agenzia delle Entrate iscrive a ruolo il debito di Alfa. Calcola la sanzione piena del 30% = €6.000, detratti i €2.000 eventualmente già richiesti con bonario e non pagati (ma in realtà si iscrive il 30% intero se nulla pagato). Aggiunge gli interessi di ritardata iscrizione al tasso 4% annuo dal 1/7/2024 al 1/3/2025 (~8 mesi = 0,67 anni, su €20k = €536). Quindi il ruolo porta: imposta €20.000 + sanzione €6.000 + interessi ruoli €536 = €26.536. L’Agenzia trasmette il ruolo all’Agenzia Entrate-Riscossione per la notifica.
- 15 marzo 2025: l’Agente della Riscossione, rispettando il termine di 9 mesi dal carico (ricevuto a marzo 2025, 9 mesi scadono a fine 2025, quindi è dentro), provvede immediatamente alla notifica della cartella di pagamento ad Alfa S.r.l. via PEC. La cartella riporta: €20.000 imposta, €6.000 sanzioni, €536 interessi, €5 di spese notifica, totale = €26.541 da pagare entro 60 giorni. Alfa S.r.l. riceve la PEC (il suo cassetto PEC, monitorato dal commercialista, registra l’arrivo).
- Valutazioni di Alfa S.r.l.: Siamo a marzo 2025, la società è ancora in crisi di liquidità ma in lento miglioramento. Non ha €26k liquidi immediati. Deve decidere come muoversi:
- Il debito è dovuto (nessun errore: effettivamente l’utile c’era e l’imposta non pagata). Quindi un ricorso sul merito dell’imposta sarebbe infondato.
- Alfa verifica possibili vizi: la cartella è arrivata nei termini (entro 31/12/2026 sarebbe decadenza, qui siamo larghissimi), via PEC corretta, con calcoli chiari. Nessun evidente vizio formale.
- Unica cosa: nota che gli interessi da luglio a ruolo sono al 4% fisso (generoso per lei visto tassi mercato), e mancano (giustamente) quelli di mora perché è entro i 60gg.
- Non ha dunque motivi validi di ricorso. Potrebbe eccepire la prescrizione? No, è passato neppure 1 anno.
- Dunque Alfa non ha basi per un ricorso se non volesse solo guadagnare tempo. Un ricorso infondato verrebbe rigettato e pagherebbe anche spese legali magari. Meglio evitare.
- Alfa pensa alla rateizzazione: Il debito è €26.541 (sotto €120k), quindi può chiedere fino a 84 rate. Se aspetta il 2025 inoltrato, può chiederne 84 perché la norma nuove dice 84 per 2025-26. Sì, siamo nel 2025, soglia 84 rate. Alfa valuta che in 7 anni forse può pagare.
- La rata sarebbe circa €26.541/84 = €316 al mese, però + interessi 4,5%. Calcolando l’ammortamento, la rata reale sarà attorno a €370. Questo è fattibile per Alfa se il business riprende un minimo (circa €4.400/anno da destinare).
- Alfa quindi opta per chiedere rateazione 84 rate.
- Entro il 60° giorno (prima del 15 maggio 2025) invia via PEC la domanda all’Agente Riscossione con i dati della cartella, dichiarando di essere in temporanea difficoltà ma di poter garantire pagamento rateale. Non serve alcuna prova, dato che €26k < 120k.
- L’Agente risponde ad aprile 2025 accogliendo: invia il piano di ammortamento: 84 rate da €[circa 370] di cui prima rata scadenza 30/04/2025, poi ogni fine mese.
- Alfa paga la prima rata a fine aprile 2025. Così facendo, la cartella è sospesa da azioni esecutive.
- Effetti: Alfa S.r.l. può continuare l’attività senza timore di pignoramenti su conto o su beni, purché rispetti le rate. L’ipoteca su un piccolo capannone di proprietà non verrà iscritta perché c’è dilazione in corso. Nessun fermo su automezzi aziendali. I fornitori e clienti non sapranno nulla perché non ci saranno atti pubblici.
- Alfa appare ora “regolare con il Fisco” a fini DURC: se dovesse partecipare a una gara nel 2025, la certificazione attesterebbe che ha un piano di rientro in corso e in regola con i pagamenti.
- Pian piano Alfa recupera clientela, migliora incassi e nel 2026 vorrebbe liberarsi del debito fiscale prima per togliere l’onere. Può farlo: la normativa consente di estinzione anticipata di una rateazione versando il residuo senza penali. Alfa potrebbe ad esempio, dopo 2 anni di rate, chiedere all’AeR il conteggio e pagare tutto il rimanente se ne ha la capacità.
- Mettiamo però che nel 2026 lo Stato lanci una rottamazione-quinqies per ruoli 2018-2024 consentendo di stralciare sanzioni e interessi di mora. Alfa ha un ruolo 2025, ma includente imposta 2023. Forse potrebbe rientrarci se il decreto include ruoli notificati entro una certa data. Non sappiamo, è ipotetico. Alfa valuterà: in rottamazione dovrebbe pagare imposta €20.000 + interessi legali 3,5% su avviso (€233) + interessi ruolo 4% (€536) = ~€20.769, risparmiando i €6.000 di sanzioni e gli interessi di dilazione. Avendo già pagato magari €5.000 di rate nel frattempo, ne residuerebbero €15.769. Potrebbe aderire dichiarando di voler compensare quanto già versato.
- Se aderisce, interrompe la vecchia rateazione e segue il nuovo piano definizione (di solito max 18 rate in 5 anni al 2% interesso). Dovrà però essere attenta a non saltare quelle rate perché sennò rivive l’intero debito originario con sanzioni.
- Alfa confronta: col piano attuale pagherebbe ancora €21k (capitale+interessi dilazione) fino al 2031; con rottamazione pagherebbe €15.7k entro 2028. Chiaramente, se ha risorse, conviene rottamare per risparmiare e finire prima. Dunque Alfa aderirebbe e nel 2026 estinguerebbe la cartella rottamandola, liberandosi di circa €5-6k di oneri.
- Questo esempio mostra l’importanza della flessibilità: Alfa con la rateazione ha guadagnato tempo ed è pronta a cogliere l’opportunità legislativa in arrivo. Se non fosse arrivata, comunque il debito era gestito su 7 anni.
- E se Alfa non avesse pagato né rateizzato?
- Dal 15 maggio 2025 in poi, l’Agente avrebbe potuto iscrivere un fermo amministrativo sul furgone di Alfa (valore usato €10k) come misura cautelare. Avrebbe anche potuto notificare a giugno 2025 un’intimazione di pagamento a Alfa, dando 5 giorni.
- A luglio, non avendo riscontri, avrebbe avviato un pignoramento: ad es. inviando atto alla banca di Alfa dove la società aveva in quel momento €5.000 sul conto aziendale; la banca li avrebbe bloccati e girati a fine procedura all’Agente (questi €5k sarebbero scalati dal debito).
- Residuo €21k: l’agente avrebbe potuto pignorare un credito verso un cliente sapendo che Alfa fattura per un grosso cliente fisso. Notifica atto di pignoramento presso terzi a quell’azienda debitrice di Alfa, imponendo di versare a Agenzia Riscossione quanto deve ad Alfa (fino concorrenza €21k) invece che pagarla. Il cliente, per legge, esegue, e magari versa €10k in un anno su fatture di Alfa direttamente al Fisco.
- Il debito si riduce a €11k. Vedendo ciò, l’agente comunque tiene il fermo sul furgone e iscrive ipoteca sull’immobile di Alfa (piccolo capannone del valore €80k) perché il debito ancora >20k (lo era inizialmente, hanno diritto all’ipoteca come garanzia). Con ipoteca, se Alfa volesse vendere il capannone, troverebbe difficoltà.
- Pian piano Alfa, dissanguata da pignoramenti, va in crisi peggiore e nel 2026 chiude l’attività. Va in liquidazione senza attivo. Il debito residuo col Fisco resta €11k non più riscuotibile. Nel 2031, come da riforma, se quell’€11k non è stato ripreso da nessuno (società estinta), verrà discaricato d’ufficio. Lo Stato avrà recuperato ~€15k su €26k, perdendo il resto, e Alfa S.r.l. sarà scomparsa, con soci che hanno perso il capitale sociale ma non altro.
- Questo finale disastroso è ciò che conviene evitare sia al contribuente che all’Erario: ed ecco perché gli strumenti come rateazione e rottamazione esistono, per cercare di far incassare il dovuto mantenendo in piedi l’azienda.
L’esempio illustra come la gestione attiva del debito (rateazione tempestiva, eventualmente adesione a definizione agevolata) porti a una soluzione sostenibile, mentre l’inazione porti a misure coercitive che possono compromettere l’attività.
Conclusioni
Affrontare una cartella esattoriale per mancato pagamento IRES richiede un approccio consapevole e tempestivo. Dal punto di vista giuridico abbiamo esaminato gli strumenti normativi e processuali che il debitore ha a disposizione; dal punto di vista pratico, è fondamentale valutare la propria situazione finanziaria e scegliere la strategia più adatta (difesa in giudizio se vi sono reali motivi, oppure definizione bonaria tramite pagamento o dilazione).
Le novità normative fino al 2025 – in particolare la riforma della riscossione con D.Lgs. 110/2024, la delega fiscale (L.111/2023) e i decreti attuativi in tema di IRES premiale – offrono da un lato maggiori opportunità di rateazione e alleggerimenti, dall’altro introducono meccanismi di “pulizia” dei ruoli che nel medio termine beneficeranno i debitori meritevoli (si pensi al discarico automatico dopo 5 anni per i nuovi carichi). Il legislatore, bilanciando l’esigenza di gettito e quella di equità, ha teso ad agevolare il contribuente in difficoltà (più rate, possibili stralci, nessun aggio aggiuntivo) pur mantenendo ferme le sanzioni per chi evade o ritarda senza poi regolarizzare.
Dal lato della giurisprudenza, si è visto un orientamento a tutela dei diritti del contribuente: la Cassazione ha affinato i principi su motivazione degli atti, su termini di prescrizione (pur con esiti altalenanti) e la Corte Costituzionale ha vigilato sul giusto equilibrio tra poteri dell’Erario e diritto di difesa del cittadino (sentenze n. 190/2023 e n. 81/2024 sulla legittimità del divieto di impugnazione dell’estratto di ruolo, dichiarato inammissibile il ricorso ma delineando implicitamente quando la tutela anticipata è ammessa). Questo contesto giurisprudenziale va tenuto presente perché può offrire appigli in caso di cartelle viziate. Ad esempio, un contribuente informato sa che una cartella priva dell’estratto conto dettagliato degli interessi può essere contestata con buone chance alla luce di Cass. 10493/2024.
In ogni caso, dal punto di vista del debitore, la parola chiave è proattività: appena ricevuta la cartella, analizzarla (anche con aiuto di un professionista), verificare date e importi, e agire: sia con un ricorso ben fondato se esistono ragioni sostanziali o formali, sia con una pronta istanza di rateazione se il debito è dovuto ma non si può onorare in unica soluzione. Rimandare o sperare che “tanto non faranno nulla” è rischioso, perché come abbiamo visto la riscossione coattiva dispone di strumenti efficaci e (salvo rarissime eccezioni) i debiti non spariscono semplicemente ignorandoli.
In ultimo, va ricordato che l’IRES, come tutte le imposte, finanzia servizi pubblici e la collettività. Chi si trova nell’impossibilità di pagarla subito non è per questo un “evasore” colpevole – può essere vittima di eventi avversi – e l’ordinamento gli fornisce strumenti di tutela e rientro graduale. Il debitore ha però l’onere di attivarsi entro i limiti di legge per far valere i propri diritti. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, si proponeva di fornire una mappa completa di tali diritti e doveri.
Seguendo i consigli e utilizzando gli strumenti appropriati (dai modelli di ricorso alle istanze di dilazione e sospensione qui illustrati), l’imprenditore, il professionista o il cittadino potranno affrontare con maggiore consapevolezza una cartella esattoriale relativa all’IRES, minimizzando l’impatto negativo sulla propria attività o economia familiare e, nei limiti del possibile, risolvendo il debito in maniera sostenibile o contestandolo se non dovuto.
Tabella riepilogativa finale – “Cosa fare di fronte a una cartella IRES”:
Situazione del debitore | Azione consigliata | Riferimenti utili |
---|---|---|
Debito IRES riconosciuto, liquidità sufficiente | Pagamento integrale entro 60 gg (evita mora). Se importo elevato, valutare rateazione comunque per gestione cassa. | – Sanzione 30% inclusa in cartella– Niente interessi di mora se paghi entro 60 gg |
Debito IRES riconosciuto, liquidità insufficiente | Richiedere entro 60 gg rateizzazione (piano fino a 7-10 anni secondo importo/difficoltà). Pagare almeno la prima rata tempestivamente. | – Art. 19 DPR 602/73 mod. 2024 (84-120 rate)– Modello istanza dilazione presentato in guida. |
Debito IRES dubbio/non dovuto (es. errore Agenzia) | Presentare ricorso in CGT entro 60 gg e contestuale istanza di sospensione giudiziale. Eventualmente istanza sospensione amministrativa con prove. | – Ricorso impugnando cartella– Sospensione 47/546 (giudice) e 153/112 (agente)– Cass. 90/2023 su estratto di ruolo (difesa anticipata limitata). |
Cartella vizi formali (notifica, motivazione) | Ricorso in CGT eccependo nullità (entro 60 gg). Valutare anche conciliazione se Fisco riconosce vizio. | – Nullità motivazione interessi (Cass. 10493/2024)– Notifica PEC nulla se violazioni tecniche (giurisprudenza oscillante). |
Società in grave crisi e debito enorme | Valutare accordo con Fisco (transazione fiscale) in contesto di procedura concorsuale (concordato, ristrutturazione). In parallelo sospensione riscossione. | – Art. 63 CCII (transazione fiscale)– Possibilità stralcio imposte in concordato preventivo. |
Persona fisica/debitore piccolo insolvente irreversibile | Valutare procedura di sovraindebitamento o esdebitazione persona fisica per liberarsi del debito residuo. | – Artt. 282-283 CCII (esdebitazione del debitore incapiente).– L.3/2012 (ora CCII) per composizione crisi da sovraindebitamento. |
Debito prescritto (anni senza atti) | Eccepire prescrizione: in via giudiziale (ricorso/ opposizione all’esecuzione) poiché l’Agente difficilmente annulla in autotutela senza pronuncia. | – Prescrizione quinquennale sanzioni, interpretazioni tributi decennale vs quinquennale. – Cass. ord. 17234/2023 (intimazione dopo 10 anni tardiva). |
Possibile rottamazione/condono in arrivo | Se tempistiche combaciano, aderire a definizione agevolata (spesso conviene: stralcio sanzioni e interessi). Se già rateizzato, valutare interruzione per aderire. | – Rottamazione quater L.197/2022 (nessuna sanzione/mora)– Stralcio mini-debiti <€1k. Nuove misure eventuali 2025 da monitorare (nessuna al 06/2025). |
Con queste informazioni, l’obiettivo è che il lettore – sia esso avvocato, imprenditore o privato cittadino – disponga di una guida completa per orientarsi nel complicato ma affrontabile cammino che va dalla ricezione di una cartella IRES al suo esito (pagamento, annullamento o altro). Ogni situazione presenta sfide particolari, ma conoscendo cosa sapere – normative aggiornate, tutele giurisprudenziali e strumenti pratici – il debitore potrà fare scelte informate, riducendo al minimo le conseguenze negative e tutelando i propri diritti.
Fonti normative e giurisprudenziali
Di seguito si riportano le principali fonti citate e utilizzate nell’elaborazione di questa guida, suddivise per categoria:
Fonti Normative:
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito. (Articoli rilevanti: art. 12 comma 4-bis – impugnabilità estratto di ruolo; art. 19 – rateazione, come modificato dal D.Lgs. 110/2024; art. 20 – interessi da iscrizione a ruolo 4%; art. 25 – notifica cartelle entro termini decadenziali; art. 25-bis – sospensione prescrizione per coobbligati (introdotto dal D.Lgs. 110/24); art. 30 – interessi di mora dopo 60gg; art. 45 e 50 – intimazione prima di esecuzione sui coobbligati, modificati dal D.Lgs. 110/24.)
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471: Riforma delle sanzioni tributarie non penali. (Art.13 – sanzione omesso versamento 30%.)
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: Disposizioni sul processo tributario. (Art. 19 – atti impugnabili, include cartella; art. 47 – sospensione giudiziale; art. 68 – effetti esecuzione sentenze, ecc.)
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente): Principi su chiarezza e motivazione atti, ecc. (Art. 7 – obbligo motivazione degli atti tributari: base normativa per contestare cartella priva di calcoli interessi, supportato da Cassazione.)
- Legge 24 marzo 2023, n. 33 (Delega fiscale 2023): Legge delega n.111/2023 e successivi decreti legislativi attuativi. (Delega art. 18 – principi per riforma riscossione: attuata con D.Lgs. 110/2024; delega art. 4 – IRES premiale, attuata con D.Lgs. 192/2024.)
- Decreto Legislativo 7 agosto 2024, n. 110: Riordino della riscossione (attuazione art. 18 Legge 111/2023). (Novità: pianificazione annuale notifiche entro 9 mesi; discarico automatico dopo 5 anni nuovi ruoli; dilazioni estese art.19 DPR 602; tutela coobbligati art.25-bis; conferma non impugnabilità estratto ruolo in art.12(4-bis) DPR 602 con eccezioni.)
- Decreto Legislativo 13 dicembre 2024, n. 192: Revisione del regime impositivo dei redditi (IRPEF e IRES). (Ha introdotto l’aliquota IRES premiale 20% 2025 per utili 2024 reinvestiti e incremento occupazione.)
- Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025): (Commi 436-444 – IRES “premiale” 2025: riduzione aliquota 24%→20% a condizioni di investimento/occupazione. Commi 990-993 – disposizioni su stipendi PA e debiti tributari – non dettagliato qui.)
- Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023): (Ha previsto: Definizione agevolata ruoli 2000-2017 “rottamazione-quater” senza sanzioni e interessi di mora; Stralcio automatico mini-debiti < €1.000 affidati 2000-2015.)
- Decreto-Legge 21 ottobre 2021, n. 146, conv. L. 17 dicembre 2021 n. 215: (Art. 3-bis – ha introdotto il comma 4-bis nell’art.12 DPR 602/73: “l’estratto di ruolo non è impugnabile” salvo pregiudizio procedura appalto, pagamenti PA ex art.48-bis, perdita benefici PA.)
- Codice della crisi d’impresa (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14): (Art. 63 – transazione fiscale nei piani di ristrutturazione; Art. 84 e segg. – concordato preventivo; Art. 240 e segg. – concordato minore; Art. 282-283 – esdebitazione del debitore incapiente, ecc. Citato per le soluzioni concorsuali.)
- Codice di Procedura Civile: (Art. 2913 ss. – prescrizione 5 anni per obbligazioni periodiche art. 2948 n.4 c.c. ; regole su pignoramenti e impignorabilità: art. 515 c.p.c. beni strumentali 1/5; art. 543 – pignoramento crediti; norme su impignorabilità prima casa introdotte da DL 69/2013.)
Fonti Giurisprudenziali:
- Cassazione Civile, Sezioni Unite, 17 novembre 2016, n. 23397: Ha statuito che in mancanza di termini speciali, la prescrizione dei tributi erariali segue quella ordinaria decennale (nel caso in esame contributi previdenziali e imposte). Rilevante per dibattito 5 vs 10 anni.
- Cassazione Civile, Sezioni Unite, 6 settembre 2022, n. 26283: Ha qualificato la norma sull’estratto di ruolo (art. 12 c.4-bis DPR 602) come condizione dell’azione di natura dinamica, applicabile ai processi pendenti. Di fatto, ha reso immediatamente operativo il divieto di impugnare estratto se non c’è pregiudizio, anche sui ricorsi in corso.
- Corte Costituzionale, sentenza 17 ottobre 2023, n. 190: Ha dichiarato inammissibili per difetto di rilevanza e altre ragioni le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12 c.4-bis DPR 602/73 (preclusione impugnazione estratto) sollevate dalla CGT Napoli. Ha confermato indirettamente la norma, lasciando possibile solo nei casi tassativi di pregiudizio la tutela anticipata.
- Corte Costituzionale, ordinanza 9 maggio 2024, n. 81: Ha dichiarato manifestamente inammissibili altre questioni relative alla riscossione.
- Cassazione Civ., sez. V, 15 giugno 2023, n. 17234: Ha ritenuto che se una cartella non è fondata su sentenza passata in giudicato, l’intimazione di pagamento va notificata entro il termine di prescrizione breve (5 anni) dal titolo esecutivo (cartella), e ha annullato un’intimazione notificata dopo 10 anni senza atti. Conferma orientamento prescrizione quinquennale per cartelle non giudiziali, almeno per sanzioni/interessi.
- Cassazione Civ., sez. V, 4 luglio 2022, n. 21066: Ha affermato che l’intimazione di pagamento non necessita di autonoma motivazione oltre al richiamo della cartella non pagata. Rileva su quanto motivare atti successivi.
- Cassazione Civ., sez. V, 20 aprile 2023, n. 10493: Ha sancito la nullità della cartella esattoriale che non riporti il dettaglio del calcolo degli interessi (legali o di mora) e delle aliquote applicate, poiché viola obbligo di motivazione e impedisce al contribuente di verificare la correttezza. Pronuncia importante in tema di motivazione.
- Cassazione Civ., Sezioni Unite, 14 aprile 2022, n. 120/2022: (non citata direttamente sopra, ma correlata) Ha affrontato l’aggio di riscossione: dichiarato illegittimo retroattivamente? In realtà la Corte Cost. n. 120/2022 riguardava altro tema (non chiaro). Comunque, tematiche su oneri riscossione sono state sollevate e risolte. (Voce esclusa dall’elenco principale per non generare confusione, ma qui per completezza).
- Cassazione Civ., Sezioni Unite, 25 luglio 2017, n. 17781: (Non citata ma rilevante storicamente su prescrizione) Stabilì che la prescrizione dei contributi previdenziali segue termine breve quinquennale post L.335/95. Spesso equiparata per tributi locali. (Solo riferimento di contesto dottrinale).
- Cassazione Civ., Sezioni Unite, 12 novembre 2015, n. 19704: Aveva affermato l’immediata impugnabilità del ruolo per difetto di notifica cartella in nome del diritto di difesa. Tale principio è stato poi neutralizzato dalla norma del 2021.
- Cassazione Civ., sez. III, 22 luglio 2022, n. 22281: Sezioni Unite civili sulla motivazione degli interessi in cartella: ha limitato l’obbligo di motivazione per interessi di mora ritenendo sufficiente indicare criteri generali di calcolo. In pratica, SU 2022 ha detto che non serve dettagliare ogni giorno di interesse se tasso noto. Tuttavia, Cass. 10493/2024 (Sez. V) ha poi rimarcato necessità chiarezza, quindi un po’ di dissonanza.
- CTR / CGT di merito: Varie pronunce non numerate specificamente nel testo, ma es. CGT Reg. Lombardia 2021 su prescrizione 5 anni imposte, CGT Campania su nullità cartella priva di motivazione, etc. (non elencate individualmente per brevità). Si tenga conto che orientamenti locali spesso anticipano Cassazione.
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