Chi Può Accedere Alle Procedure Concorsuali?

Hai un’attività in difficoltà o sei un lavoratore autonomo sommerso dai debiti e ti stai chiedendo chi può accedere alle procedure concorsuali? Vuoi capire se la tua situazione rientra tra quelle che possono beneficiare di una procedura legale per bloccare i creditori e trovare una soluzione sostenibile?

Le procedure concorsuali sono strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa per affrontare situazioni di insolvenza o grave squilibrio economico. Non sono riservate solo alle grandi aziende: anche microimprese, professionisti, ditte individuali e persino consumatori possono accedere – a condizione che siano rispettati determinati requisiti.

Ma chi può davvero accedere a queste procedure?

Dipende dal tipo di procedura. Ecco le principali categorie:

– Le società di capitali e di persone (SRL, SNC, SAS, SPA) possono accedere alla liquidazione giudiziale (ex fallimento), al concordato preventivo, o alla composizione negoziata della crisi, se in stato di crisi o insolvenza.

– Le imprese sotto soglia, come ditte individuali o società minori, se non superano determinati limiti (attivo, ricavi, debiti), possono accedere alla liquidazione controllata o al concordato minore, procedure semplificate ma con effetti protettivi simili.

– I lavoratori autonomi e i professionisti possono accedere, in base ai casi, alla composizione negoziata, alla liquidazione controllata o al concordato minore, se la crisi nasce da attività economica.

– Anche i consumatori sovraindebitati, cioè chi ha solo debiti di natura personale (mutui, prestiti, bollette), possono accedere a una procedura specifica: il Piano del Consumatore, che consente di ridurre e ristrutturare i debiti in base alle reali possibilità.

E se non ho nulla da offrire?

Chi non ha beni, redditi o possibilità di pagamento può, in presenza dei requisiti, accedere alla esdebitazione del debitore incapiente, una misura che consente la cancellazione totale dei debiti se dimostri buona fede e impossibilità oggettiva di far fronte alle obbligazioni.

Perché è importante capire se puoi accedere a una procedura concorsuale?

Perché solo così puoi bloccare i pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori, evitare sanzioni o fallimenti disordinati e ristrutturare la tua posizione in modo legale, tutelato e sostenibile.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, procedure concorsuali e sovraindebitamento – ti spiega chi può accedere alle procedure concorsuali, quali sono le condizioni e come possiamo aiutarti a individuare la via più sicura per uscire dalla crisi.

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Chi può accedere alle procedure concorsuali?

La normativa concorsuale italiana, aggiornata a giugno 2025, ruota attorno al nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, D.lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022), integrato e modificato dai decreti attuativi della direttiva UE 2019/1023 (D.lgs. 83/2022 e D.lgs. 136/2024). Questo corpus normativo prevede una serie articolata di procedure concorsuali e strumenti di regolazione della crisi, ciascuno con propri presupposti soggettivi (chi può accedervi) e oggettivi (quando e a quali condizioni vi si può accedere). Di seguito analizziamo in dettaglio chi può accedere a tutte le principali procedure concorsuali italiane, distinguendo per ciascuna i requisiti di ammissione (e i relativi casi di esclusione o inammissibilità) e fornendo esempi pratici e confronti utili.

Procedura concorsuale è un termine ombrello che abbraccia sia le procedure liquidatorie (mirate a liquidare il patrimonio del debitore e distribuire il ricavato ai creditori) sia quelle negoziali o ristrutturatorie (mirate a ristrutturare il debito e, possibilmente, conservare l’attività d’impresa). In Italia, le procedure oggi attivabili comprendono:

  • Liquidazione giudiziale (che ha sostituito il fallimento), procedura giudiziale di liquidazione dell’impresa insolvente.
  • Concordato preventivo, con due varianti: concordato in continuità aziendale (mantenimento dell’attività) e concordato liquidatorio (cessione/liquidazione del patrimonio).
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (strumento negoziale con omologazione giudiziale, che include vari sottotipi, come accordi con intermediari finanziari, accordi ad efficacia estesa e – novità del Codice – il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione).
  • Composizione negoziata della crisi, strumento extragiudiziale assistito da un esperto indipendente, introdotto nel 2021 e ora integrato nel Codice.
  • Procedure di sovraindebitamento, riservate ai debitori “non fallibili”, articolate in: ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “piano del consumatore”), concordato minore (già accordo di composizione per piccoli imprenditori e soggetti non consumatori) e liquidazione controllata (già liquidazione del patrimonio). A queste si aggiunge l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente (c.d. “fresh start” per debitori persone fisiche senza beni né redditi), introdotta per offrire una liberazione dai debiti residui anche a chi non possiede alcun attivo liquidabile.

Nel prosieguo della guida esamineremo ciascuna di queste procedure, indicando chi può accedervi – ossia quali categorie di debitori, in quali condizioni – e chi ne è escluso, con riferimento anche ai casi di inammissibilità o rigetto previsti. Verranno esposte inoltre tabelle comparative dei requisiti, dei vantaggi/svantaggi, della durata e dell’autorità competente per ciascuna procedura, nonché esempi pratici (simulazioni) e una sezione di domande e risposte con problematiche comuni. Citazioni di norme (Codice della crisi, codice civile, leggi speciali) e giurisprudenza (sentenze di Cassazione, corti d’appello e tribunali) aggiornata al 2025 arricchiranno l’analisi, offrendo riferimenti autorevoli e concreti.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria per eccellenza, analoga al previgente fallimento. Essa mira a spossessare il debitore insolvente dei suoi beni e a liquidarli sotto il controllo di un tribunale e di un curatore, per soddisfare collettivamente i creditori. Di seguito esponiamo chi può essere assoggettato a liquidazione giudiziale e in quali condizioni, evidenziando le soglie dimensionali che escludono i piccoli imprenditori, nonché altre cause di improcedibilità.

Soggetti che possono accedere (o essere assoggettati) a liquidazione giudiziale: per espressa previsione di legge, solo gli imprenditori “non minori” possono essere dichiarati in liquidazione giudiziale. In particolare, i requisiti soggettivi sono:

  • Imprenditore commerciale che esercita un’attività d’impresa (società o impresa individuale di natura commerciale). Sono quindi esclusi in radice gli imprenditori agricoli (art. 2135 c.c.) e gli altri soggetti non qualificabili come imprenditori commerciali. Inoltre, l’impresa deve superare determinate soglie dimensionali per non essere considerata “minore”. Il Codice definisce impresa minore quella che, nei tre esercizi antecedenti la domanda (o da inizio attività se inferiore), non ha superato congiuntamente i seguenti parametri (art. 2, co.1, lett. d, CCII): (1) attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000; (2) ricavi annui ≤ €200.000; (3) debiti totali ≤ €500.000. Se l’impresa rispetta tutti e tre i limiti (in ciascuno degli ultimi tre anni), è considerata “piccola” e non è soggetta a liquidazione giudiziale. Viceversa, basta il superamento di anche uno solo di tali limiti (anche per un solo esercizio) perché l’impresa sia assoggettabile alla procedura. Ne consegue che le imprese sotto soglia – spesso ditte individuali artigiane o micro-imprese – non falliscono: per esse il Codice prevede gli strumenti di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata, etc.).
  • Imprenditore collettivo o individuale in stato di insolvenza. Il presupposto oggettivo è infatti lo stato d’insolvenza, inteso come l’incapacità attuale di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (cessazione di pagamenti). Anche uno stato di crisi acuto che renda probabile l’insolvenza (insolvency likely) può giustificare l’accesso, ma in pratica la liquidazione giudiziale viene aperta soprattutto al manifestarsi dell’insolvenza conclamata. In ogni caso, l’imprenditore deve trovarsi al momento della decisione in una situazione tale per cui la liquidazione appare necessaria: ad esempio non è sufficiente uno squilibrio temporaneo superabile.
  • Soggetti equiparati: il fallimento (ora liquidazione giudiziale) storicamente poteva colpire anche enti non societari che esercitano attività commerciale (es. associazioni con attività di impresa, fondazioni imprenditoriali). Il CCII mantiene un ambito applicativo ampio, riferendosi all’“impresa” in senso lato. Restano esclusi invece lo Stato ed enti pubblici territoriali, per i quali valgono altre discipline.

Soglie ulteriori e casi di esclusione: oltre ai limiti dimensionali sopra indicati, la legge pone un ulteriore filtro oggettivo: non si procede alla liquidazione giudiziale se i debiti scaduti e non pagati emersi nel procedimento sono inferiori a €30.000. Tale soglia (aggiornabile ogni 3 anni) evita di aprire procedure concorsuali per insolvenze bagatellari. Da notare che, come chiarito dalla Cassazione, questo limite va riferito all’insieme dei debiti scaduti e non al singolo credito del richiedente: la condizione ostativa è che il totale dei debiti scaduti impagati sia sotto €30.000. (Cass. 14 novembre 2017 n. 26926 ha interpretato in tal senso la soglia di €30.000 prevista dall’art. 15 l.fall., ora art. 49 CCII). Inoltre, non possono accedere a liquidazione giudiziale gli imprenditori già sottoposti a liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria (procedure speciali per banche, assicurazioni, grandi imprese insolventi etc.): in quei casi operano le discipline settoriali.

Iniziativa e procedura: la liquidazione giudiziale può essere aperta su istanza del debitore medesimo, di uno o più creditori oppure del Pubblico Ministero (in casi previsti). Il tribunale competente è quello del centro degli interessi principali (COMI) dell’impresa (di regola, sede legale per società). Il debitore può anche depositare ricorso “in proprio” per liquidazione giudiziale, allegando lo stato d’insolvenza. Se invece l’istanza proviene da creditori, la legge prevede alcune cautele: i creditori istanti devono provare il credito e l’insolvenza; se il debitore contesta il credito, il tribunale compie un accertamento provvisorio sulla sua sussistenza. Inoltre, se i creditori chiedono la liquidazione giudiziale, il debitore può chiedere un breve termine per presentare una domanda alternativa di concordato preventivo o altra procedura di regolazione della crisi (purché non manifestamente inammissibile). In tal caso, il tribunale esamina con priorità la soluzione alternativa proposta e tiene sospesa la richiesta di liquidazione. Questa facoltà garantisce al debitore una “ultima chance” di evitare la procedura liquidatoria se esiste un percorso di risanamento o accordo con i creditori credibile.

Cause di inammissibilità o rigetto: l’istanza di liquidazione giudiziale viene rigettata dal tribunale se mancano i presupposti soggettivi o oggettivi visti sopra – ad esempio, se emerge che il debitore è un piccolo imprenditore sotto soglia o che l’insolvenza non sussiste oppure è di importo trascurabile (<€30.000). Va notato che il carattere d’insolvenza irreversibile è requisito implicito: se l’impresa è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento (es. tramite continuità aziendale in concordato), la liquidazione può essere evitata. Tuttavia, quando l’insolvenza è conclamata e l’impresa è grande, il tribunale deve dichiarare la liquidazione salvo piani alternativi già pendenti. Non rileva per la procedura il giudizio di “meritevolezza” o colpa del debitore: a differenza delle procedure di sovraindebitamento, qui si guarda solo all’insolvenza oggettiva. Eventuali atti di frode del debitore rilevano semmai per le azioni revocatorie e per le conseguenze penali, ma non impediscono l’apertura (anzi, spesso la provocano). In sintesi, un imprenditore commerciale insolvente sopra soglia non può sottrarsi alla liquidazione giudiziale, a meno che proponga in tempo utile un concordato o accordo ristrutturativo ammissibile.

Effetti e benefici per il debitore: l’apertura della liquidazione giudiziale comporta il cosiddetto spossessamento, ossia la perdita della disponibilità del patrimonio da parte del debitore, che passa al curatore nominato dal tribunale. Tuttavia, la legge prevede un’importante opportunità di riabilitazione: l’esdebitazione. Se il debitore persona fisica collabora e non commette irregolarità, al termine della procedura può ottenere la cancellazione dei debiti residui insoddisfatti. L’esdebitazione è preclusa solo in caso di comportamenti dolosi o gravemente colposi (ad esempio bancarotta fraudolenta) e per alcune categorie di debiti (obblighi alimentari, risarcimenti da illecito, etc.). Il Codice conferma questo meccanismo di fresh start, ritenuto un diritto del debitore meritevole a liberarsi dai debiti e ripartire. Dunque, pur essendo una procedura invasiva e punitiva (perdita dell’impresa, possibili sanzioni interdittive per gli amministratori, etc.), la liquidazione giudiziale offre al debitore onesto l’uscita definitiva dal tunnel dei debiti.

Tabella 1 – Liquidazione giudiziale: quadro riepilogativo

ProfiloDescrizione
Soggetti ammessiImprenditori commerciali (società o ditte individuali) non piccoli, ossia che non rispettano tutti i limiti di attivo (€300k), ricavi (€200k) e debiti (€500k) nei 3 anni precedenti.– Altre categorie soggette: enti collettivi che esercitano attività commerciale (società di fatto, associazioni con attività d’impresa).
Soggetti esclusiPiccoli imprenditori sotto soglia (imprese minori): non falliscono, accedono alle procedure di sovraindebitamento.– Imprenditori agricoli (anche di grandi dimensioni): esclusi per legge (possono usare strumenti sovraindebitamento o accordi).– Enti pubblici (Stato, regioni, comuni) e categorie soggette a liquidazioni speciali (banche, assicurazioni, ecc. seguono procedure proprie).
Presupposto oggettivoStato di insolvenza attuale (inadempimenti o altri fattori esteriori che denotano incapacità di pagare regolarmente i debiti).– Insolvenza non transitoria e non di modesta entità (debiti scaduti > €30.000).
IniziativaRicorso del debitore (autofallimento) oppure istanza di creditori (anche uno solo) o del PM in casi particolari.– Competenza del Tribunale del luogo del COMI (centro interessi principali).
Cause di inammissibilità– Debitore non soggetto (es. piccolo imprenditore, agricolo, etc.).– Importo debiti scaduti inferiore a €30.000.– Domanda presentata durante pendenza di altra procedura di regolazione della crisi (salvo quanto previsto per procedimento unitario).– (Nel merito) assenza di stato d’insolvenza.
Esito per il debitore– Nomina di curatore e spossessamento dei beni.– Possibile esdebitazione finale (cancellazione dei debiti residui) se il debitore persona fisica è meritevole (non ha violato obblighi, cooperato, ecc.).– Per società: dissoluzione dell’ente al termine; per imprenditore individuale: perdita dei beni ma possibilità di ripartenza senza debiti (con esdebitazione).
Durata tipica– Variabile secondo la complessità: mediamente 2-5 anni per chiudere la liquidazione (liquidazione beni, riparti). Procedure con patrimoni immobiliari complessi possono protrarsi più a lungo.
Autorità competenteTribunale (Sez. fallimentare): dichiara apertura procedura con sentenza, nomina Giudice Delegato e Curatore.– Vigilanza del Comitato dei creditori (organo consultivo).– Chiusura con decreto/sentenza del Tribunale (e eventualmente provvedimento di esdebitazione su istanza del debitore).

Cassazione rilevante: Oltre alla citata Cass. 26926/2017 sul limite dei €30.000, si segnala Cass. civ. Sez. I, 27 settembre 2019 n. 24138, che ha ribadito come incomba sull’imprenditore l’onere di provare il mancato superamento delle soglie di fallibilità (impresa minore) tramite bilanci o altre evidenze, pena la declaratoria di fallimento qualora resti indimostrato il carattere “sotto soglia”. In tema di prova dei requisiti dimensionali, vedi anche Cass. 26 novembre 2018 n. 30541, citata dalla Corte d’Appello di Venezia 11 marzo 2021.

Esempio pratico (Liquidazione giudiziale)

Caso 1: Società industriale insolvente – La Alfa S.p.A., manifatturiera con 50 dipendenti, accumula debiti finanziari e commerciali per 4 milioni di euro e da alcuni mesi non paga fornitori né rate di mutuo. I creditori iniziano azioni esecutive e Alfa S.p.A. appare insolvente. Essendo una società di capitali commerciale e superando ampiamente le soglie dimensionali (attivo e ricavi ben oltre €300k/200k), Alfa rientra tra i soggetti fallibili. In assenza di iniziative di concordato da parte della società, alcuni fornitori presentano istanza di liquidazione giudiziale al tribunale competente. Chi può accedere? In questo caso la procedura sarà aperta (la società è soggetto ammesso e il requisito oggettivo – insolvenza – è presente). Il tribunale, verificato che i debiti scaduti superano €30.000 (in realtà milioni), dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale di Alfa S.p.A. Vengono nominati un giudice delegato e un curatore. La società perde la disponibilità dei beni, che saranno venduti dal curatore per pagare i creditori. Dopo circa 3 anni, la procedura si chiude. Alfa S.p.A., essendo una società, viene cancellata dal registro imprese; i creditori hanno ricevuto un riparto (ad es. il 20% del dovuto). Gli amministratori di Alfa potrebbero avviare nuove attività, ma eventuali irregolarità pre-fallimentari (es. se emergesse una bancarotta) potrebbero comportare conseguenze giudiziarie.

Caso 2: Piccolo artigiano indebitato – Il sig. Bruno è un artigiano falegname con ditta individuale (impresa artigiana). Negli ultimi anni il suo giro d’affari è modesto: ricavi attorno a €150.000 e attivo inferiore a €100.000; i debiti totali ammontano a €250.000. Purtroppo Bruno è insolvente: non riesce a pagare né i fornitori (ha €80.000 di fatture scadute) né le rate del furgone. Alcuni creditori valutano di “farlo fallire”. Chi può accedere? In questo caso Bruno non è assoggettabile a liquidazione giudiziale, poiché è un imprenditore sotto soglia: rispetta tutte le soglie di cui sopra (attivo, ricavi, debiti nei 3 anni sotto i limiti) e pertanto è un piccolo imprenditore non fallibile. Inoltre la sua è attività artigiana, quindi non rientra pienamente nella categoria di imprenditore commerciale. I creditori di Bruno non possono chiederne il fallimento. Le vie percorribili per risolvere la crisi di Bruno sono le procedure di sovraindebitamento: ad esempio, Bruno potrà proporre un concordato minore ai sensi del Codice (un accordo con i creditori, v. oltre) o, se ciò non è fattibile, ricorrere alla liquidazione controllata dei beni (l’equivalente del fallimento per i non fallibili). In alternativa, potrà tentare una rinegoziazione stragiudiziale assistita tramite la composizione negoziata. Ma la liquidazione giudiziale classica non è accessibile per lui.

Concordato preventivo (continuità e liquidatorio)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale giudiziale attraverso cui un debitore in crisi o insolvente cerca un accordo con i creditori, basato su un piano che può prevedere la ristrutturazione del debito con prosecuzione dell’attività (concordato in continuità) oppure la liquidazione dei beni nell’ambito di un piano concordatario (concordato liquidatorio). In entrambi i casi, il concordato evita la liquidazione giudiziale, consentendo al debitore di gestire la crisi sotto controllo del tribunale e con l’approvazione dei creditori. Vediamo i requisiti di accesso al concordato e le differenze tra le due tipologie principali.

Soggetti ammessi al concordato preventivo: analogamente alla liquidazione giudiziale, il concordato è riservato agli imprenditori commerciali non sotto soglia. L’art. 84 CCII stabilisce infatti che possono accedere al concordato preventivo solo gli imprenditori commerciali che non siano imprese minori. Dunque, chi può proporre concordato preventivo?:

  • Società commerciali (di capitali o di persone) di qualunque dimensione eccetto le piccole imprese sottosoglia.
  • Imprenditori individuali commerciali sopra soglia.
  • Restano esclusi i soggetti non fallibili: consumatori, imprenditori minori, professionisti, imprenditori agricoli, etc., i quali dispongono di strumenti propri (p.es. concordato minore, piano del consumatore). Ad esempio, un coltivatore diretto o una start-up innovativa in crisi non può chiedere un concordato preventivo, ma potrà accedere al concordato minore o ad accordi ex sovraindebitamento.
  • Sono ammessi invece consorzi con attività esterna e altre figure assimilate all’imprenditore commerciale.

Presupposto oggettivo (stato di crisi o insolvenza): diversamente dalla liquidazione giudiziale che richiede insolvenza conclamata, per il concordato è sufficiente lo stato di crisi, inteso in senso ampio come probabile insolvenza futura o grave difficoltà economico-finanziaria. Il Codice definisce “crisi” uno stato di difficoltà che rende probabile l’insolvenza e si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici. Quindi un imprenditore può attivare il concordato anche prima di diventare insolvente, al comparire dei segnali di crisi, in un’ottica di prevenzione. Resta ovviamente possibile l’accesso in caso di vera e propria insolvenza già in essere. In ogni caso, la condizione è che vi sia un piano che offra ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello realizzabile in una liquidazione giudiziale (il c.d. “best interest test”). Questo principio – ora esplicitato nell’art. 84, co.1 CCII – impone che nessun concordato possa dare ai creditori meno di quanto otterrebbero dalla liquidazione fallimentare del debitore. Un professionista indipendente deve attestare tale condizione nelle relazioni al piano.

Requisiti particolari per le due forme di concordato: il Codice disciplina due grandi categorie di concordato (comma 2 e comma 4 dell’art. 84):

  • Concordato in continuità aziendale: il piano prevede che l’impresa prosegua l’attività, in gestione diretta o indiretta (es. affitto d’azienda o vendita a un assuntore che la mantenga in esercizio). In tal caso, l’obiettivo dichiarato è duplice: soddisfare i creditori e salvaguardare la continuità aziendale e i posti di lavoro. I creditori chirografari possono essere pagati anche parzialmente, purché il piano sia idoneo a evitarne pregiudizio rispetto all’alternativa liquidatoria. Per i creditori privilegiati, è ammesso il pagamento non integrale se ricevono almeno il valore di realizzo dei beni dati a garanzia (secondo stima attestata). Non vige una percentuale minima di legge di pagamento per i chirografari nel concordato in continuità – a differenza del liquidatorio – ma in pratica il tribunale valuterà la fattibilità e convenienza comparativa del piano. È inoltre richiesto che il piano in continuità sia serio e realizzabile: la domanda di concordato in continuità è infatti inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo a soddisfare i creditori e a preservare i valori aziendali. Questa previsione (art. 47 CCII) recepisce l’indirizzo giurisprudenziale per cui un concordato con continuità privo di concrete prospettive va rigettato sul nascere. Quanto al trattamento dei lavoratori, la norma oggi equipara la salvaguardia occupazionale alla tutela dei crediti: non c’è più l’obbligo di riassorbire almeno metà dei dipendenti per un anno (requisito presente nel vecchio art. 186-bis l.fall. per l’affitto d’azienda), ma resta l’idea che la continuità debba, per quanto possibile, preservare i posti di lavoro. In un concordato in continuità puro non si richiede alcuna percentuale minima ai creditori chirografari, fermo restando il test di convenienza (nessun creditore può ricevere meno di quanto avrebbe in caso di fallimento del debitore).
  • Concordato con liquidazione del patrimonio: il piano concordatario prevede di liquidare tutti (o gran parte) dei beni del debitore per pagare i creditori, senza proseguire l’attività aziendale (se non quel minimo necessario alla liquidazione stessa). È dunque assimilabile a un fallimento pilotato dal debitore, con l’accordo dei creditori sulla ripartizione dell’attivo. Requisiti aggiuntivi: il legislatore, per evitare abusi dei concordati “solo liquidatori” (che in passato potevano offrire percentuali irrisorie ai chirografari), ha introdotto soglie minime di soddisfazione. In un concordato liquidatorio, il piano deve assicurare: (a) un apporto di risorse finanziarie esterne che aumenti di almeno il 10% l’attivo da liquidare, e (b) il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari (e dei privilegiati degradati). Questi vincoli – previsti dall’art. 84, co.6 CCII – significano che, ad esempio, se il debitore liquida i propri beni e ciò darebbe 10 cent/€ ai chirografari, dovrà trovare risorse aggiuntive (nuovi finanziatori, capitali apportati da soci o terzi, ecc.) per portare il dividendo almeno al 20%. In mancanza, la proposta non è ammissibile. Eccezione: tali soglie non si applicano se nel piano è prevista la cessione dell’azienda in esercizio a un assuntore che mantenga la continuità (concordato misto). In quel caso, anche se formalmente c’è liquidazione dell’azienda, siccome il business continua con altro soggetto, non si applica l’obbligo del 20% (l’idea è che la continuità salvaguardata sia un valore aggiunto di per sé). Riassumendo, chi può accedere al concordato liquidatorio? Sempre un imprenditore commerciale non piccolo in crisi, ma deve presentare un piano che dia almeno 20% ai chirografari con 10% di cassa esterna – a meno che vi sia un assuntore che rileva l’azienda garantendo continuità (es. altra società compra l’azienda e prosegue attività, assumendo parte dei lavoratori).

Procedura e organi coinvolti: il concordato preventivo si avvia con ricorso del debitore al tribunale. È quindi una procedura volontaria: solo il debitore può attivarla (a differenza del fallimento, i creditori non possono “chiedere il concordato” se il debitore non vuole). Il ricorso può essere “completo” (con piano e proposta fin da subito) oppure in pre-concordato (“domanda in bianco” con riserva ex art. 44 CCII, con termine per presentare il piano). Il tribunale, verificati i requisiti di ammissibilità (soggettivi, oggettivi, documentali), dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e nomina un Commissario giudiziale (figura terza che vigila sulla gestione e riferisce ai creditori e al giudice). Il debitore in concordato rimane in possesso dei beni (debtor in possession), ma gli atti di straordinaria amministrazione sono soggetti ad autorizzazione o controllo. Viene disposta la sospensione delle azioni esecutive individuali dei creditori (automatic stay) per tutta la durata della procedura. I creditori vengono informati del piano e sono chiamati a votare sulla proposta in adunanza o con votazione telematica. Per l’approvazione serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (oltre il 50% dei crediti votanti, calcolati come valore). Se ci sono classi di creditori, è necessaria la maggioranza in ogni classe, salvo che il tribunale disponga un cram-down di classe dissenziente nei limiti consentiti (il nuovo Codice, attuando la direttiva UE, consente in alcuni casi l’omologazione nonostante il dissenso di una classe, purché il piano sia approvato da almeno un’altra classe rilevante – tema delicato su cui la giurisprudenza del 2024 ha iniziato a pronunciarsi). Ad esempio, la Cassazione ha affermato che il cram down interclasse può essere deciso dal tribunale anche se una classe vota no, se le altre classi approvano e il piano rispetta il test di migliore soddisfazione per i dissenzienti (v. Cass. 16 settembre 2024 n. 27782). Infine, ottenuto il voto favorevole, il tribunale procede all’omologazione (sentenza che rende vincolante il concordato), previa verifica ulteriore di legalità e fattibilità. Se il concordato è omologato, il debitore deve eseguire il piano sotto la sorveglianza del commissario o, dopo, del liquidatore giudiziale (se previsto). Se invece i creditori bocciano la proposta o l’omologazione viene negata (ad es. per violazione di legge, come un pagamento preferenziale non ammesso), il tribunale può dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale (in pratica, il fallimento come conseguenza del concordato non andato a buon fine).

Cause di inammissibilità: il tribunale non ammette alla procedura di concordato se mancano i requisiti di legge. Esempi: debitore non di categoria ammessa (es. professionista non imprenditore – dovrebbe semmai fare un piano del consumatore); mancanza dello stato di crisi/insolvenza (ad es. problemi solo temporanei non qualificanti come crisi); difetto di documentazione obbligatoria (bilanci, elenco creditori, relazione dell’attestatore, ecc.); oppure piano manifestamente irrealizzabile o inadeguato (quest’ultimo caso è espressamente previsto: “la domanda è inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo a raggiungere gli obiettivi prefissati” – art. 47). Per il concordato in continuità, come visto, rileva la manifesta inidoneità a soddisfare creditori e conservare l’azienda. Per il concordato liquidatorio, rilevano le soglie 20%-10%: se la proposta offre meno del 20% ai chirografari (senza continuità) o non include apporto esterno 10%, va dichiarata inammissibile. Ulteriori motivi di rigetto dell’omologazione possono sorgere se emergono atti in frode ai creditori, ad esempio il debitore ha occultato parte dell’attivo o ha dolosamente aggravato la posizione di alcuni creditori: il tribunale in tal caso può non omologare (art. 112, co.2 CCII prevede il diniego di omologa se risultano atti di frode).

Vantaggi del concordato preventivo: per il debitore, il concordato offre la possibilità di evitare la “stigma” del fallimento, di conservare (in caso di continuità) la gestione dell’azienda e di ristrutturare i debiti con un accordo legalmente vincolante che alleggerisce l’esposizione. In più, dal momento del deposito della domanda, il debitore beneficia della sospensione delle azioni esecutive e cautelari (c.d. automatic stay, ex art. 54 CCII, già art. 168 l.fall.), ottenendo respiro e potendo eventualmente ottenere nuova finanza interinale autorizzata dal giudice. Per i creditori, il concordato è vantaggioso se il piano prospetta una soddisfazione migliore rispetto alla liquidazione fallimentare, o se consente di mantenere in vita un cliente/fornitore importante (nel caso di continuità). Il voto permette ai creditori di avere voce in capitolo. Svantaggi/rischi: dal lato debitore, il concordato comporta rinunce (deve spesso cedere parte del patrimonio, accettare un controllo della gestione, e la procedura è complessa e pubblica). Se il concordato fallisce, le conseguenze possono essere peggiori (es. un fallimento post-concordato spesso comporta indagini più severe su eventuali condotte). Dal lato creditori, essi accettano usualmente decurtazioni (haircut) dei crediti e dilazioni; inoltre la procedura può durare a lungo prima di vedere pagamenti. Tuttavia, tali sacrifici possono essere l’unica alternativa ad incassare molto meno in caso di fallimento del debitore.

Tabella 2 – Concordato preventivo (continuità vs liquidatorio)

ProfiloConcordato in continuità aziendaleConcordato liquidatorio
Soggetti ammessiImprenditore commerciale non minore (società o ditta, sopra soglia). Consumatori e altri non imprenditori esclusi. (Questi soggetti useranno altre procedure di sovraindebitamento)Idem (stessa categoria di soggetti) – i piccoli e non imprenditori esclusi.
Presupposto oggettivoStato di crisi o insolvenza (anche prospettica). Il debitore può muoversi precocemente (crisi incipiente).Stato di crisi o insolvenza (di solito qui insolvenza già manifesta).
Finalità del pianoRisparmiare l’azienda e proseguire l’attività, nell’interesse di creditori e lavoratori. Il piano prevede continuità (diretta o tramite cessione ad assuntore che la mantenga).Liquidare il patrimonio del debitore e distribuire il ricavato ai creditori, eventualmente con assuntore che rileva i beni (o l’azienda) per denaro. L’azienda cessa l’attività (salvo continuità indiretta con assuntore).
Trattamento dei creditori privilegiatiDevono ricevere almeno quanto ricaverebbero dalla liquidazione dei beni su cui hanno garanzia (valore di realizzo al netto spese). Possono essere pagati anche dilazionato (moratoria) oltre 1 anno dall’omologazione, purché non sia prevista la vendita dei beni su cui c’è la prelazione. (Per i crediti lavoro privilegio generale: max 6 mesi di moratoria).Possono essere non soddisfatti integralmente solo col loro consenso classe, altrimenti vanno pagati interamente con il ricavato dei beni vincolati. In pratica, in un liquidatorio puro, i creditori ipotecari/privilegiati devono essere soddisfatti per intero dal ricavato dei beni oggetto di garanzia (al netto costi) o degradano a chirografari sull’eventuale insufficienza. Non è prevista moratoria oltre l’anno per pagamento se i beni gravati non sono liquidati immediatamente (in liquidatorio di regola lo sono).
Trattamento dei creditori chirografariNessuna soglia minima di legge (possono ricevere anche meno del 20%), ma: (i) il piano deve garantire loro almeno l’equivalente del fallimento (best interest test); (ii) il piano dev’essere fattibile e non manifestamente inadeguato a soddisfarli, pena inammissibilità. Spesso nei fatti i piani in continuità propongono percentuali modeste (es. 30% in 5 anni), giustificate dalla prospettiva di evitare il fallimento e mantenere rapporti commerciali.Soglia di legge 20%: il piano deve offrire almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari (inclusi privilegi degradati), altrimenti non ammesso. Inoltre, se il 20% viene raggiunto solo vendendo i beni del debitore, occorre un apporto esterno che aumenti l’attivo di almeno il 10% (es. nuovi fondi da terzi) – salvo che ci sia un assuntore con continuità (in tal caso l’apporto può consistere nel prezzo d’acquisto dell’azienda).
Percentuale tipica di soddisfazioneVariabile; non imposta. Può essere bassa (es. 10-30%), seppur tendenzialmente maggiore di 0% (per ragioni di consenso dei creditori). L’assenza di soglia permette flessibilità, utile per aziende con forte indebitamento ma ancora vitali.Deve essere ≥20%. In concreto spesso i piani liquidatori offrono percentuali attorno al 20-30%, proprio per rispettare il minimo legale. Percentuali superiori se l’attivo lo consente o se necessario per ottenere il voto dei creditori.
Voto dei creditoriI creditori votano la proposta in adunanza. Necessaria maggioranza >50% dei crediti votanti. Possibile suddivisione in classi per omogeneità di posizione giuridica o interessi. Cram-down: con il correttivo 2022, il tribunale può omologare il concordato anche se una o più classi dissenzienti, purché almeno un’altra classe rilevante abbia votato sì e la proposta sia comunque conveniente per i dissenzienti (art. 112-bis, attuazione direttiva UE). La Cass. ha confermato l’ammissibilità del cram-down interclasse (es. Cass. n. 27782/2024).Idem. (Le regole di voto sono le stesse: anche nel liquidatorio ci possono essere classi – ad es. separando creditori privilegiati degradati da chirografari puri, ecc. – e si applicano le medesime maggioranze). Nota: se c’è un assuntore che apporta risorse e si configurano offerte concorrenti per l’acquisto, valgono norme particolari (offerte concorrenti ex art. 91 CCII) dove la scelta dell’offerta migliore può influire sull’approvazione.
Autorità e organiTribunale: dichiara apertura, nomina Commissario giudiziale, omologa con sentenza finale.– Commissario giudiziale: supervisiona la gestione (specie straordinaria), raccoglie le votazioni, riferisce ai creditori e al giudice sull’andamento e sulla fattibilità del piano.– Attestatore: professionista indipendente che redige la relazione di attestazione sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano (obbligatoria).– Debitore: rimane alla guida dell’impresa (debtor in possession) ma sotto la vigilanza del Commissario e con obbligo di informarlo per atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. In caso di atti pregiudizievoli non autorizzati, il tribunale può revocare la procedura.– Organi uguali (Tribunale, Commissario, Attestatore).– Se il concordato prevede la liquidazione dei beni a cura di un Liquidatore (ad es. un terzo nominato per vendere i cespiti dopo omologa), il tribunale nell’omologa nomina un Liquidatore giudiziale che eseguirà il piano di liquidazione sotto controllo del Commissario. Spesso, però, nel concordato liquidatorio il debitore propone egli stesso come verranno liquidati i beni (vendite private, procedura competitiva, ecc.) con il Commissario che può poi assumere funzioni di liquidatore.

Giurisprudenza rilevante: Cass. civ. Sez. Unite 1521/2013 ha delineato il perimetro del sindacato di fattibilità del tribunale in sede di ammissione al concordato: giudizio limitato alla fattibilità giuridica e alla mancanza di manifesta inettitudine del piano, lasciando ai creditori la valutazione della fattibilità economica. Questo principio è stato poi recepito normativamente, es. art. 47 CCII (inammissibilità solo per manifesta inidoneità). Inoltre, Cass. 9 aprile 2020 n. 7877 ha ribadito il divieto per il debitore in concordato di pagare crediti anteriori dopo il deposito del ricorso (art. 168 l.fall., ora 54 CCII) salvo autorizzazione, pena nullità dei pagamenti. Importante anche Cass. 22 luglio 2024 n. 20059 sul ruolo dell’attestatore: ha affermato la necessità di rigorosa indipendenza e terzietà dell’attestatore, la cui relazione è condizione di ammissibilità – conflitti di interessi possono inficiare la procedura (nel caso, la Cassazione ha annullato un concordato omologato perché l’attestatore non era indipendente, violando l’art. 90 CCII). Infine, in tema di concordato liquidatorio, la recente giurisprudenza di merito ha iniziato a interpretare le soglie del 20%: ad es. Tribunale di Milano sez. fall. decreto 30 gennaio 2023 ha ritenuto che la percentuale del 20% ai chirografari vada calcolata sull’intero ammontare del debito chirografario risultante, non solo sui crediti ammessi al voto (confermando l’orientamento dottrinale).

Esempio pratico (Concordato preventivo in continuità)

Caso 3: Azienda commerciale in crisi reversibile – La Beta S.r.l. gestisce una catena di negozi di abbigliamento. Negli ultimi due anni subisce pesanti perdite (crisi di settore, calo vendite) e accumula debiti per €2 milioni, di cui €800k verso fornitori scaduti. Beta è in crisi, anche se sta ancora pagando stipendi e alcune spese. I flussi di cassa prospettici mostrano inadeguatezza: se non ristruttura il debito, diverrà insolvente entro pochi mesi. I soci credono però che l’azienda abbia prospettive di risanamento (mercato in ripresa, possibile ingresso di investitore). Chi può accedere? Beta S.r.l. è un’impresa commerciale non piccola (ricavi > €200k), dunque soggetto ammesso. Lo stato di crisi soddisfa il requisito oggettivo. Beta decide di presentare domanda di concordato preventivo “in continuità”. Prepara un piano: chiusura dei punti vendita meno redditizi, mantenimento dei negozi migliori; un investitore apporterà €300k freschi per rifornire le collezioni future; con i flussi attesi, Beta prevede di pagare integralmente i fornitori strategici e il 40% degli altri debiti in 5 anni. Il piano prevede il mantenimento di 30 dipendenti su 50 (gli altri saranno ricollocati o liquidati con TFR pagato dall’investitore). Un attestatore indipendente certifica che il piano è fattibile e che i creditori chirografari (che riceveranno 40%) otterrebbero solo il 15% in caso di fallimento, quindi il concordato è conveniente. Il tribunale ammette Beta al concordato. Durante la procedura Beta prosegue la gestione (sotto il monitoraggio del Commissario) e ottiene il blocco dei pignoramenti. I creditori votano: l’80% dei crediti votanti approva il piano (soprattutto perché sperano di continuare a lavorare con Beta in futuro e preferiscono 40% a fronte di un 15% stimato in fallimento). Il tribunale omologa il concordato. Beta esegue regolarmente il piano nei 5 anni seguenti: i fornitori sono pagati secondo quanto promesso e l’azienda, pur ridimensionata, torna in bonis. Outcome: Beta S.r.l. ha evitato il fallimento grazie al concordato, i creditori hanno avuto più di quanto avrebbero avuto in una liquidazione immediata e l’azienda (pur ristrutturata) continua sul mercato.

Esempio pratico (Concordato preventivo liquidatorio)

Caso 4: Impresa edile insolvente senza prospettive – La Costruzioni Gamma s.a.s., impresa edile, è insolvente: ha debiti per €1,5 milioni (banche, fornitori, fiscali) e i cantieri sono fermi per mancanza di liquidità. Il settore è in crisi e non si intravede un piano di rilancio: Gamma vorrebbe cessare l’attività, ma ha alcuni asset (mezzi, un capannone) vendibili. Per evitare il fallimento (che comporterebbe anche responsabilità illimitata per il socio accomandatario), Gamma propone un concordato preventivo liquidatorio. Chi può accedere? Gamma è un’imprenditore commerciale (s.a.s.), sopra soglia (attivo > €300k), quindi soggetto ammesso; è insolvente -> presupposto oggettivo ok. Gamma predispone un piano: prevede di vendere tutti i beni (valore stimato €500k) tramite procedure competitive sotto controllo del commissario; un terzo (un parente dei soci) apporterà ulteriori €50k a titolo di finanziamento per aumentare l’attivo (questo per soddisfare l’apporto del 10%); con il ricavato totale (€550k) Gamma prevede di pagare integralmente i debiti privilegiati (per es. mutuo garantito da ipoteca su capannone €300k, e qualche credito dipendenti) e di pagare circa il 25% dei debiti chirografari. L’attestatore conferma che la percentuale ai chirografari è del 25% (>20% soglia di legge) e che l’apporto esterno (€50k) è >10% dell’attivo (l’attivo vendendo beni sarebbe €500k, il 10% è €50k, quindi giusto il minimo). Dunque i requisiti extra per concordato liquidatorio sono rispettati. Il tribunale ammette Gamma. I creditori, valutando che in un fallimento probabilmente prenderebbero meno (stime indicano forse 20%), approvano il concordato (voto favorevole del 60% dei crediti). Il tribunale omologa. Viene nominato un Liquidatore che, insieme al Commissario, procede a vendere i beni di Gamma (capannone all’asta, macchinari ecc.). Dopo un anno, realizzati €520k complessivi, i privilegiati sono soddisfatti e ai chirografari viene distribuito il 25%. Gamma s.a.s. cessa l’attività e viene poi cancellata. Il socio accomandatario (persona fisica) evita l’azione personale dei creditori (che a fallimento sarebbero andati anche contro di lui), avendo essi aderito al concordato che li vincola. Outcome: una liquidazione “controllata” e più celere ha preso il posto del fallimento, soddisfacendo i creditori chirografari in misura accettabile (25% in un anno anziché un’incognita in fallimento). Se però Gamma non fosse riuscita a garantire quel 20% minimo, il concordato sarebbe stato inammissibile e si sarebbe aperto il fallimento.

Accordi di ristrutturazione dei debiti e piano di ristrutturazione omologato

Accanto al concordato preventivo, l’ordinamento prevede strumenti negoziali basati su accordi con i creditori, di natura meno “concorsuale” e più contrattuale, sebbene con intervento dell’autorità giudiziaria in fase di omologazione. Si tratta in particolare degli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) disciplinati dall’art. 57 e ss. CCII (già art. 182-bis l.fall.), e della nuova figura del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) introdotta dal Codice (artt. 64-bis–64-quater CCII, inseriti dal d.lgs. 83/2022). Vediamo chi può accedere a tali strumenti e a quali condizioni.

Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) – art. 57 CCII

L’accordo di ristrutturazione è un accordo negoziato privatamente tra il debitore e una parte dei creditori, che viene poi omologato dal tribunale estendendone gli effetti anche ai creditori non aderenti (limitamente alla sospensione delle azioni esecutive e ad alcuni casi di estensione ai creditori finanziari dissenzienti). In sintesi, il debitore elabora un piano di risanamento e ottiene l’adesione di una percentuale qualificata di creditori; se raggiunge la soglia di legge e il tribunale verifica la regolarità e convenienza, l’accordo è omologato e diventa vincolante per i aderenti (mentre i non aderenti restano estranei, salvo come detto alcuni casi).

Soggetti ammessi: possono proporre un accordo di ristrutturazione gli stessi soggetti che possono accedere al concordato preventivo, ossia gli imprenditori commerciali (società o individuali) anche in stato di crisi o insolvenza, purché non siano piccoli sotto soglia. Storicamente, la giurisprudenza ha ritenuto che anche imprenditori non fallibili (es. imprenditori agricoli di grandi dimensioni o enti non fallibili) possano utilizzare l’accordo di ristrutturazione, poiché la legge 3/2012 prima e ora il CCII non lo vietano espressamente. Tuttavia, è uno strumento concepito soprattutto per le imprese medio-grandi, data la necessità di coinvolgere percentuali di credito elevate. Un consumatore in quanto tale non fa accordo ex art. 57, ma utilizza il “piano del consumatore” dedicato (v. oltre). Dunque in pratica l’ARD è appannaggio delle imprese soggette a concordato preventivo.

Presupposto oggettivo: è richiesto lo stato di crisi o insolvenza (anche qui vale la definizione ampia, quindi il debitore può essere in difficoltà prospettica). L’accordo viene spesso utilizzato in situazioni di pre-insolvenza, per evitare di arrivare a procedure più gravose. Come nel concordato, è fondamentale che l’accordo offra ai creditori aderenti un risultato almeno pari o migliore del fallimento (anche qui c’è una attestazione di un professionista sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano).

Percentuale di adesione necessaria: il Codice (art. 60 CCII) richiede che l’accordo sia sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Questa soglia è invariata rispetto al passato (era 60% in art. 182-bis l.fall.). Ciò significa che il debitore deve convincere una maggioranza qualificata (in valore) dei creditori. I restanti creditori, non firmatari, non sono coinvolti dall’accordo e potranno essere pagati alle scadenze originarie, oppure il debitore può decidere di estinguere integralmente i loro crediti fuori dall’accordo. Non c’è un voto “collettivo” come nel concordato; qui conta la negoziazione individuale: chi aderisce firma, chi non aderisce resta estraneo (ma poi, se l’accordo è omologato, per legge ottiene una protezione: non può iniziare o proseguire azioni esecutive per 90 giorni dall’omologa, tempo in cui il debitore deve comunque pagarlo per intero).

Varianti speciali introdotte dal Codice: il CCII, recependo la direttiva UE, ha inserito alcuni tipi particolari di accordi di ristrutturazione con requisiti agevolati o effetti estesi:

  • L’accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): se l’accordo raggiunge il 75% di adesione tra i creditori finanziari (banche, intermediari), il debitore può chiedere che l’omologazione estenda gli effetti anche alle banche dissenzienti della stessa categoria, a condizione che queste non vengano soddisfatte in misura inferiore rispetto alle altre e abbiano avuto possibilità di partecipare alle trattative. Questo consente di “forzare” l’accordo anche su pochi istituti dissenzienti, evitando hold-out.
  • L’accordo agevolato (art. 61, co.1-bis CCII, introdotto nel 2022): prevede che la soglia di adesione possa essere ridotta al 30% dei crediti, purché l’accordo non preveda moratorie o stralci per i creditori non aderenti (che vanno pagati regolarmente). In sostanza, se il debitore riesce a farsi finanziare/ristrutturare dal 30% dei creditori (tipicamente banche) e garantisce che al restante 70% pagherà integralmente i loro crediti alle scadenze, può omologare un accordo con soli 30% di adesioni. È uno strumento ibrido utile in casi in cui la maggior parte dei fornitori venga soddisfatta integralmente e solo una parte chirografaria accetti dilazioni/riduzioni.
  • L’accordo di ristrutturazione soggetto a omologazione con intermediari finanziari (art. 62 CCII): una procedura speciale per ristrutturare debiti verso banche/sim, con l’adesione di almeno il 75% di dette esposizioni, che consente di imporre ai dissenzienti condizioni omogenee.

Procedura di omologazione: una volta raccolte le firme necessarie, il debitore deposita ricorso in tribunale per omologare l’accordo. Il tribunale verifica la regolarità formale (percentuali raggiunte, completezza documenti), l’idoneità del piano a risanare e la convenienza per i creditori estranei (che non devono subire un pregiudizio). Non c’è un voto assembleare, ma i creditori non aderenti possono proporre opposizione in sede di omologa se ritengono che l’accordo li pregiudichi. Ad esempio, se un creditore escluso prova che sarebbe stato pagato prima senza l’accordo e invece l’accordo lo fa attendere, potrebbe opporsi; tuttavia la legge tutela i non aderenti imponendo che siano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (o 120 gg dalla scadenza originaria, se posteriore). Se il tribunale ritiene soddisfatti i requisiti, omologa l’accordo con decreto. Da quel momento, l’accordo è vincolante per i firmatari (diventa esecutivo come titolo) e conferisce al debitore alcuni benefici, come la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili e la protezione dai fallimenti: i creditori non possono chiedere il fallimento del debitore finché l’accordo è eseguito regolarmente.

Chi è escluso dagli ARD: formalmente, i soggetti non imprenditori non possono usare questa procedura. Un consumatore sovraindebitato che abbia 60% di consensi potrebbe voler fare un accordo, ma dovrebbe comunque incanalarlo nella procedura di “concordato minore” o “piano del consumatore” se applicabile, poiché l’art. 57 CCII si colloca nel Titolo III (Imprese soggette a liquidazione giudiziale). Di fatto quindi: imprenditori minori, consumatori, professionisti usano le procedure di sovraindebitamento (capo IV); imprese maggiori possono scegliere l’accordo di ristrutturazione come alternativa al concordato.

Vantaggi dell’accordo di ristrutturazione: è un percorso più snello e riservato rispetto al concordato. Il debitore negozia solo con i principali creditori necessari, evitando una procedura pubblica con votazione generalizzata. Una volta omologato, non c’è gestione concorsuale: il debitore prosegue l’attività in autonomia, dando esecuzione all’accordo. Vi è anche minor stigma, perché l’accordo spesso viene percepito come una ristrutturazione volontaria e non comporta la dichiarazione di insolvenza. Inoltre, i creditori estranei vengono pagati integralmente, quindi la reputazione commerciale del debitore verso alcuni fornitori può restare intatta. Altro vantaggio: tempi rapidi – la legge prevede che l’omologa vada emessa entro 6 mesi dal deposito, e spesso l’accordo è già delineato in fase di deposito.

Svantaggi/limiti: richiede di convincere una larga maggioranza di creditori; se ci sono molti piccoli creditori è difficile raggiungere accordi individuali con ciascuno. Non blocca ipso iure tutte le azioni dei creditori durante le trattative (a differenza del concordato, dove al deposito scatta l’automatic stay): il debitore tuttavia può chiedere al tribunale misure protettive temporanee (fino a 4 mesi) anche durante la trattativa dell’accordo, simili a quelle della composizione negoziata, per congelare azioni esecutive. Un altro limite è che i creditori non firmatari non subiscono stralci o dilazioni: devono essere pagati per intero fuori accordo (salvo eccezioni per finanziari con efficacia estesa). Ciò significa che se il debitore ha creditori importanti che non vogliono aderire, potrebbe doverli pagare integralmente, rendendo inutile l’accordo.

Esempio: se un’impresa ha 5 banche e 50 fornitori, e fa un accordo con le banche (che detengono il 70% del debito) per dilazionare e ridurre gli interessi, quell’accordo potrà essere omologato se 4 banche su 5 (80%) firmano (superando 60%). I fornitori (30% del debito) restano estranei ma verranno pagati regolarmente. Le 4 banche aderenti saranno vincolate alle nuove scadenze e non potranno agire esecutivamente. La banca dissenziente, se aveva garanzie, rimane libera di agire, ma se è parte di una categoria finanziaria potrebbe subire l’estensione se le 4 aderenti rappresentavano >75% di tutta l’esposizione finanziaria (allora il giudice può estendere l’accordo anche a lei, ex art. 61).

Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) – art. 64-bis CCII

Il piano di ristrutturazione omologato è una novità del Codice ispirata ai “piani di ristrutturazione preventiva” della direttiva UE. È sostanzialmente una via di mezzo tra il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione: il debitore propone un piano a tutti i creditori, suddivisi per classi, e se ottiene l’approvazione a maggioranza in ogni classe, il tribunale omologa il piano rendendolo vincolante per tutti (anche dissenzienti). In altre parole, il PRO consente di derogare alle regole del concorso (par condicio e ordine dei privilegi) con il consenso qualificato dei creditori.

Soggetti ammessi: la legge riserva il PRO ai soli imprenditori commerciali, esclusi gli imprenditori minori, in stato di crisi o insolvenza. Dunque i soggetti coincidono con quelli del concordato preventivo “grande”. Un piccolo imprenditore non può presentare un PRO (dovrà semmai fare un concordato minore). I motivi di questa limitazione sono legati alla complessità del piano: richiede classi di creditori e maggioranze, oneri che mal si adattano a realtà micro. Pertanto: società di capitali, cooperative, ditte commerciali sopra soglia possono tentare un PRO; esclusi consumatori, professionisti, imprese agricole ecc.

Presupposto oggettivo: stato di crisi o insolvenza (come concordato). Occorre un piano di ristrutturazione che coinvolga tutti i creditori (a differenza dell’accordo di ristrutturazione che può escluderne alcuni pagandoli a parte).

Caratteristiche peculiari del PRO:

  • Il debitore deve obbligatoriamente formare classi di creditori secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. Ogni classe vota separatamente il piano.
  • Per l’approvazione serve che ogni classe approvi a maggioranza (maggioranza “interna” alla classe). Il Codice specifica che la proposta s’intende approvata in una classe se si raggiunge alternativamente la maggioranza dei crediti ammessi al voto in quella classe oppure, se non c’è tale maggioranza assoluta, almeno i 2/3 dei crediti votanti e almeno la metà in numero dei creditori votanti. È una doppia soglia: semplificando, se vota un numero limitato di creditori, servono i 2/3 di quelli che votano purché rappresentino almeno metà del valore totale della classe. I creditori privilegiati votano solo se il piano li tocca (ossia se non sono pagati integralmente entro 180 giorni dall’omologa).
  • Deroghe a par condicio e cause di prelazione: il PRO consente di distribuire i valori creati dal piano non rispettando rigorosamente le priorità legali dei crediti. In pratica, è possibile proporre che creditori di grado inferiore vengano soddisfatti prima o più di creditori privilegiati, se questi acconsentono in classe. È anche possibile che il debitore trattenga per sé parte del valore generato, pur non pagando integralmente i creditori (ad es. mantenere un bene, o riservarsi una partecipazione), cosa che in concordato non è ammessa per il principio di responsabilità patrimoniale. Nel PRO, a differenza del concordato liquidatorio, non vige il requisito del 20% ai chirografari né dell’apporto esterno 10%. Un PRO a contenuto liquidatorio puro potrebbe quindi, in teoria, pagare chirografari meno del 20% se accettano in classe e l’omologa passa; il tribunale non deve rigettare per il solo fatto della percentuale bassa (purché il piano rispetti il parametro di convenienza rispetto al fallimento).
  • Unico limite esplicito alle deroghe: i crediti dei lavoratori devono essere pagati integralmente entro 30 giorni dall’omologa. Questo a tutela speciale dei dipendenti, che non possono essere crudelmente falcidiati o postergati.
  • Limite implicito generale: il best interest test per i dissenzienti: nessun creditore, anche dissenziente, può ricevere meno di quanto gli spetterebbe in una liquidazione giudiziale. Ciò significa che se un creditore contesta di essere trattato peggio che in fallimento, può opporsi all’omologa e il giudice dovrà verificare. Questo principio è comune al concordato.
  • Gestione durante la procedura: analogamente al concordato, il debitore rimane in possesso con gestione ordinaria libera e straordinaria soggetta a controllo di un Commissario giudiziale nominato (art. 64-ter richiama molte norme del concordato). Dalla domanda fino all’omologa, il debitore continua ad operare, ma deve astenersi da atti contrari al piano o pregiudizievoli; il Commissario se rileva atti anomali avvisa il tribunale, che può revocare la procedura. In sostanza, c’è un “spossessamento attenuato”: la gestione resta al debitore ma sotto vigilanza. Questo ricorda il concordato con continuità.

Differenze rispetto al concordato preventivo: il PRO ha molte affinità col concordato (tanto che la legge rinvia a varie disposizioni di concordato per riempire i dettagli). La differenza cardine è la flessibilità nella formazione del piano e nei pagamenti: si possono trattare diversamente creditori della stessa causa legittima di prelazione (creando classi anche all’interno, es. pagare 50% a una classe di chirografari A e 10% a un’altra classe B, se entrambe approvano). Nel concordato, invece, vige il principio di parità all’interno della stessa classe di rango e il minimo 20% (nel liquidatorio). D’altra parte, il PRO è più esigente sul quorum: ogni classe deve essere d’accordo (è un consenso unanime per classi). Non è previsto (almeno nel testo originario) un cram-down interclasse all’interno del PRO, per cui se una classe vota contro l’omologa non può avvenire. (Tuttavia, il correttivo 2022 ha aggiunto la possibilità di conversione: se il PRO non ottiene tutte le classi, il debitore può convertire la domanda in concordato preventivo classico, dove magari il tribunale può forzare la classe dissenziente col meccanismo di cram-down introdotto in art. 112-bis). In pratica: il PRO lascia grandissima libertà al contenuto del piano, ma richiede un consenso ampio e omogeneo tra le classi.

Chi sceglie il PRO? Tipicamente un imprenditore che ha diverse categorie di creditori con interessi divergenti e vuole elaborare una soluzione su misura. Ad esempio, un imprenditore potrebbe voler offrire ai fornitori strategici una soddisfazione alta per mantenerli vicini, mentre alle banche chirografarie una soddisfazione minore, e magari mantenere una parte dell’attività per sé. Nel concordato standard, ciò incontrerebbe i limiti delle priorità legali; col PRO, se si riescono a convincere le classi separate di fornitori e banche ad accettare ciascuna il proprio trattamento, il piano passa. Altro caso: quando occorre ristrutturare strutturalmente il debito alterando l’ordine delle prelazioni (ad esempio riducendo anche crediti ipotecari al di sotto del valore di garanzia), il PRO può farlo se le classi di garantiti approvano – in concordato non si potrebbe senza adesione individuale.

Esempio pratico: l’azienda Delta ha creditori: due banche ipotecarie (garantite da immobili), fornitori chirografari e obbligazionisti chirografari. Delta propone un PRO con classi: Classe 1 – banche ipotecarie (proposta: allungare mutui, interessi ridotti, ma pagate integrali su 15 anni; quindi non toccare il capitale garantito ma dilazionare); Classe 2 – fornitori strategici (proposta: 60% in 6 mesi); Classe 3 – obbligazionisti (proposta: 20% in 2 anni). In concordato preventivo liquidatorio non sarebbe possibile pagare fornitori più dei bondholder, bisognerebbe trattarli uguale come chirografari. Col PRO, invece, questa disparità è ammessa se ogni classe accetta: qui i fornitori (cl.2) avrebbero vantaggio rispetto ai bond (cl.3), ma se entrambi votano sì per proprio interesse (fornitori perché ottengono 60%; obbligazionisti magari perché si rendono conto che in fallimento avrebbero zero, quindi preferiscono 20%), il piano può essere omologato. Le banche (cl.1) accettano di spalmare il debito a lungo termine (preferiscono rispetto a escutere immobili magari svalutati). Se tutte e 3 le classi approvano a maggioranza interna, il tribunale omologa. Delta salva l’azienda e riduce il debito secondo il piano. I creditori sono vincolati, anche i pochi dissenzienti eventuali in ciascuna classe subiscono la decisione di maggioranza. Se invece, poniamo, la classe 3 (bondholder) avesse rifiutato perché 20% è troppo poco, Delta avrebbe potuto convertire la procedura in un concordato e tentare l’omologa anche col dissenso di quella classe chiedendo cram-down (ammesso che almeno una delle altre classi – le banche o fornitori – avesse votato sì e rappresentato una classe “di riferimento”).

Accesso e procedura: per presentare un PRO, il debitore deve depositare un ricorso contenente la proposta e il piano, con la documentazione analoga a quella del concordato (inclusa attestazione). Può chiedere misure protettive per bloccare azioni esecutive. Il tribunale apre la procedura e nomina un Commissario giudiziale. Segue la fase di voto per classi, simile a un’adunanza dei creditori divisi per classi. Se l’esito è positivo (classi approvanti), si passa all’omologa in tribunale. I creditori dissenzienti possono opporsi lamentando eventuali violazioni (ad es. formazione abusiva di classi artificiose – il tribunale deve controllare che le classi siano omogenee e non fatte per manipolare le maggioranze). Se tutto è regolare e il test di migliore soddisfazione è rispettato, il giudice omologa. Il PRO omologato produce effetti analoghi a un concordato omologato: vincola tutti i creditori compresi, li libera dalle parti eccedenti secondo il piano, e così via. Durante l’esecuzione, un Commissario vigila (e in caso di inadempimenti gravi i creditori possono chiederne la risoluzione in tribunale).

Differenza da accordo 182-bis: notiamo che mentre l’accordo 182-bis può essere parziale (non coinvolge tutti i creditori e lascia fuori quelli estranei da pagare integralmente), il PRO è universale (coinvolge la totalità dei crediti, salvo eventualmente quelli esclusi ex lege come tributari non dilazionabili, che comunque vanno considerati). Quindi è più simile a un concordato come portata, ma contrattuale come meccanismo (accordo per classi).

Pro & contro PRO:

  • Pro: enorme flessibilità nelle soluzioni, possibilità di cram-down interni (vincolare minoranze dissenzienti nelle classi, ridurre privilegi di comune accordo ecc.), niente soglie fisse di soddisfacimento (eccetto lavoratori), dunque adatto a ristrutturazioni innovative (es. conversione debiti in equity per alcuni creditori, mantenimento parziale di beni al debitore, ecc.).
  • Contro: più complicato da negoziare (bisogna persuadere tutte le classi), rischio di fallire per l’opposizione anche di una sola classe (serve appunto quasi consenso generale), e a quel punto il lavoro fatto potrebbe dover essere reindirizzato verso un concordato classico. Inoltre, essendo strumento nuovo, c’è un po’ di incertezza applicativa e mancanza di abitudine tra gli operatori – anche se nel 2023 si registrano prime applicazioni giurisprudenziali che confermano la possibilità di PRO anche con piano prevalentemente liquidatorio. Ad esempio, il Tribunale di Milano con decreto 30 marzo 2023 ha omologato uno dei primi PRO di natura liquidatoria, affermando che è ammissibile un PRO anche senza continuità purché rispetti le condizioni (classi approvanti e convenienza).

Tabella 3 – Accordi di ristrutturazione vs Piano di ristrutturazione omologato

CaratteristicaAccordo di ristrutturazione (182-bis)Piano di ristrutturazione omologato (PRO)
Chi può accedereImprenditore commerciale (non sotto soglia) in crisi/insolvenza. Di solito medio-grande. Sconsigliato a micro-imprese per difficoltà di ottenere adesioni. (Consumatori e non imprenditori esclusi)Imprenditore commerciale (non minore) in crisi/insolvenza. Soggetti identici al concordato preventivo “grande”. (Non accessibile a imprese minori, consumatori, ecc.)
NaturaContrattuale – accordo privato con alcuni creditori, omologato dal tribunale. Non è procedura concorsuale in senso pieno (no spossessamento né coinvolgimento di tutti i creditori, solo i firmatari e qualche effetto verso estranei).Misto contrattuale/concorsuale – piano simile a concordato ma basato su consenso per classi, con possibilità di derogare alle regole legali dei crediti. Procedura unitaria per tutti i creditori, con intervento forte del giudice (omologa vincolante anche per dissenzienti).
Percentuale di consenso richiesta60% dei crediti totali deve aver aderito all’accordo. (Varianti: 30% se tutti non aderenti sono pagati integralmente; 75% creditori finanziari per efficacia estesa su dissenzienti della categoria).Approvazione di tutte le classi di creditori: in ciascuna classe, maggioranza richiesta dei crediti votanti (50%+ o 2/3 votanti). Occorre quindi convincere il 100% delle classi (che di fatto rappresentano l’intero 100% dei crediti, suddiviso). Se anche una classe rifiuta, il piano non può essere omologato (salvo conversione in concordato e tentativo di cram-down).
Creditori coinvoltiParziale: il debitore può escludere dall’accordo alcuni creditori (tipicamente piccoli fornitori) pagando loro integralmente a scadenza, e coinvolgere solo grandi creditori nei tagli. I non aderenti non sono vincolati dall’accordo (devono essere soddisfatti fuori, salvo sospensione temporanea 90gg).Universale: il piano riguarda tutti i creditori (devono essere tutti inseriti in classi). Non si può tenere fuori creditori (al più si può prevedere che taluni vengano pagati integralmente in una classe a parte). Tutti i creditori vengono vincolati dall’omologazione, anche se non hanno votato o hanno votato contro in minoranza.
Trattamento creditori estraneiDevono essere pagati integralmente nei termini originali (o entro 120 giorni dall’omologa se già scaduti) – condizione per omologa. Possono comunque agire in esecuzione fino all’omologa, a meno che il giudice non sospenda le azioni in via cautelare durante le trattative (misure protettive).Non ci sono “estranei” perché tutti rientrano nel piano. I creditori dissenzienti all’interno di una classe vengono comunque trattati secondo il piano approvato a maggioranza (cram-down intra-classe). I loro diritti subiscono modifiche anche senza consenso individuale, purché il piano garantisca loro ≥ scenario liquidatorio.
Deroghe a par condicio / cause prelazioneNon possibili all’interno dell’accordo: con ciascun aderente ci si può accordare individualmente, ma l’accordo nel complesso deve rispettare la priorità dei privilegi verso eventuali dissenzienti (perché se li pregiudicasse, non verrebbero pagati per intero entro 120 gg e il giudice non omologherebbe). In pratica, i privilegiati non aderenti vanno pagati integralmente.All’interno dei aderenti, essendo contratti bilaterali, si può tecnicamente convenire cose diverse con ciascuno, ma generalmente si tende a trattare equamente creditori di pari grado per evitare opposizioni (es. se accordo taglia del 20% ogni chirografario aderente, tutti pari grado sono trattati similmente).Possibili ampiamente: Il piano PRO può derogare sia alla par condicio (pagare alcuni creditori chirografari più di altri) sia all’ordine dei privilegi (soddisfare in parte creditori garantiti e destinare risorse ad altri creditori inferiori), purché le classi coinvolte approvino e nessun dissenziente riceva meno del valore di liquidazione. Esempio: si possono lasciare ai soci beni non essenziali invece di liquidarli completamente, se i creditori accettano quella perdita. Questo rende il PRO molto flessibile e adatto a soluzioni creative (conversione di debiti in capitale per alcuni creditori, stralcio parziale di ipoteche con consenso, ecc.).
Autorità e proceduraTribunale: omologa con decreto se condizioni rispettate (60%, convenienza per estranei, attestazione positiva).– Attestatore: necessario, certifica veridicità dati e fattibilità piano.– Nessun commissario durante la trattativa né dopo omologa. L’impresa resta totalmente in mano al debitore (salvo eventuali provvedimenti cautelari di protezione).(Il tribunale può nominare un ausiliario per verificare crediti e attestare percentuali di adesione, ma non è organo di gestione).Tribunale: apre la procedura (decreto) nominando Commissario giudiziale, poi omologa con sentenza se tutte classi sì e requisiti ok.– Commissario giudiziale: sì, come nel concordato, controlla gestione e regolarità del voto.– Attestatore: sì, serve relazione di esperto indipendente su piano (norme richiamate del concordato).– Procedimento analogo al concordato: domanda, misure protettive (possibili), apertura, voto classi, omologa con eventuali opposizioni dissenzienti. Dopo l’omologa, esecuzione piano sotto vigilanza del commissario o eventuale liquidatore per atti previsti dal piano.
Durata tipicaPotenzialmente breve: se debitore ha pre-negoziato con creditori principali, può depositare accordo già firmato e ottenere omologa in pochi mesi (2-4 mesi). Il Codice prevede termine max 6 mesi per l’omologa, prorogabile di 60 gg (art. 48 CCII).Simile a un concordato: procedure da 6 mesi a 1 anno circa per arrivare a omologa, a seconda delle complessità (classi, eventuali contenziosi). Post omologa, il piano può avere durata pluriennale nell’attuazione (come concordato).

Giurisprudenza rilevante: Sul fronte degli accordi di ristrutturazione, la Cassazione ha chiarito (Cass. 1182/2019) che la percentuale del 60% va calcolata sull’importo totale dei crediti alla data di omologa, includendo eventuali interessi maturati, e che l’attestatore deve attestare la sostenibilità dell’accordo anche per i creditori non aderenti (garantendo che saranno soddisfatti per intero). Inoltre, Tribunale di Roma 14 ottobre 2022 ha applicato la nuova figura di accordo “agevolato” con il 30%, omologando un accordo sottoscritto da soli il 35% dei crediti ma che prevedeva pagamento integrale dei dissenzienti nei termini, ritenendolo conforme all’art. 61 CCII. Per il PRO, Luciana Cipolla e Massimo Ferrari (approfondimento Diritto Bancario, maggio 2023) notano come le prime pronunce (Trib. Treviso, Trib. Milano 2023) abbiano convalidato la possibilità di PRO di natura liquidatoria, confermando che nel PRO non si applicano le soglie 20% e 10% del concordato e che il debitore può persino mantenere parte dell’attivo se ciò è previsto dal piano votato. Cass. civ. I sez. 27 luglio 2023 n. 22890, pur riferita al piano del consumatore, sottolinea il carattere innovativo delle nuove procedure di regolazione della crisi introdotte nel 2022, mirate a offrire maggiori possibilità di composizione negoziata del debito.

Esempio pratico (Accordo di ristrutturazione)

Caso 5: Accordo 182-bis con banche – La società Epsilon S.p.A., impresa manifatturiera, ha debiti totali per €10 milioni, di cui €6 mln verso banche (mutui e scoperti), €2 mln verso fornitori e €2 mln verso Erario e INPS. Epsilon è in crisi di liquidità ma potrebbe riprendersi se gli venisse alleggerito il servizio del debito. Non vuole ricorrere a concordato per non allarmare clienti e fornitori. Chi può accedere? Epsilon è soggetto ammesso (società commerciale sopra soglia in crisi). Decide di negoziare un accordo di ristrutturazione principalmente con le banche. Dopo trattative, 4 banche su 5 (che detengono complessivamente €5,5 mln su €6 mln di esposizioni bancarie, quindi ~55% dei crediti totali di Epsilon) accettano di firmare un accordo: prevedono consolidamento dei mutui con garanzia ipotecaria, stralcio del 20% del debito chirografario bancario e nuova finanza di €1 mln a medio termine. I fornitori saranno pagati integralmente alle scadenze originarie (nessun stralcio per loro), così come fisco e previdenza (magari utilizzando la nuova finanza per saldare arretrati fiscali dilazionati). In totale, i firmatari rappresentano il 55% dei crediti. Problema: manca il quorum del 60%. Epsilon allora convince anche un gruppo di fornitori (che rappresentano €0,7 mln, e che accettano perché temono di peggio se Epsilon fallisse) a sottoscrivere formalmente l’accordo, impegnandosi comunque a pagarli integralmente ma con qualche mese di ritardo. Ora le adesioni coprono €6,2 mln su €10 mln = 62%. Accesso ottenuto: Epsilon deposita l’accordo con queste adesioni (>60%) e un piano attestato che dimostra che gli altri creditori (€3,8 mln rimasti, per lo più Erario e pochi fornitori) saranno pagati regolarmente e che comunque in caso di default prenderebbero meno. Il tribunale concede subito misure protettive per bloccare eventuali ipoteche giudiziali dei creditori dissenzienti e, dopo l’istruttoria, omologa l’accordo. L’accordo diventa efficace: Epsilon eseguirà i nuovi piani di ammortamento con le banche (ora alleggeriti e dilazionati), pagherà i fornitori estranei alle scadenze (che fortunatamente non erano ancora scadute, evitando opposizioni), e così si risana evitando procedure concorsuali. La banca non aderente (che aveva €0,5 mln di credito) resta fuori: Epsilon la paga secondo contratto (o rifinanzia il suo debito con la nuova finanza e la salda). Durante la trattativa quella banca non poteva bloccare l’accordo perché il tribunale, su richiesta di Epsilon, aveva sospeso le azioni esecutive per 4 mesi. Outcome: in circa 4 mesi Epsilon ha ottenuto l’omologa di un accordo “mirato”, salvando la reputazione: ai fornitori esterni nulla è stato tolto, al fisco nemmeno, quindi l’azienda non risulta insolvente verso terzi. Le banche aderenti ottengono garanzie e un piano di recupero piuttosto che dover svalutare tutto. Epsilon supera la crisi con oneri sostenibili.

Esempio pratico (PRO – piano di ristrutturazione omologato)

Caso 6: Piano omologato multi-classe – Zeta S.p.A. è un’azienda tecnologica innovativa, purtroppo sovraindebitata (insolvente su €15 milioni di debiti). Zeta tuttavia ha brevetti di valore e genererà flussi futuri importanti se ristrutturata. Debiti: €5 mln verso una banca (chirografari, senza garanzie), €4 mln verso fornitori trade, €3 mln verso un obbligazionista (fondo di investimento) detentore di bond subordinati, €3 mln vari (Erario, TFR dipendenti, ecc.). Zeta vuole salvare il core business e ripagare i debiti gradualmente coi proventi futuri, ma non può pagare interamente €15 mln. Chi può accedere? Zeta è soggetto fallibile (S.p.A.), insolvente, quindi può fare concordato o PRO. Sceglie il PRO per la flessibilità: propone di creare 3 classi:

  • Classe A: creditori strategici (alcuni fornitori critici e i dipendenti per TFR) – propone pagamento 80% del loro credito in 1 anno.
  • Classe B: restante fornitori ordinari e banca – propone pagamento 40% in 4 anni.
  • Classe C: obbligazionista fondo – propone conversione del 50% del debito in partecipazione azionaria (il fondo diventerà socio col 30% delle azioni di Zeta) e il restante 50% stralciato.
    In pratica, il fondo (C) subisce un forte sacrificio ma in cambio ottiene equity con prospettive di crescita; i fornitori strategici (A) quasi interamente soddisfatti per mantenerli; la banca e altri fornitori (B) a metà. Questo piano in un concordato normale sarebbe problematico perché paga diversamente creditori di pari grado (ad es. fornitori A vs fornitori B) e perché il fondo obbligazionista, pur essendo formalmente chirografario, viene trattato diversamente (conversione in equity) – cosa non prevista nel concordato standard. Nel PRO invece è lecito: si giustifica classi separate per fornitori strategici vs altri, e per il fondo essendo natura diversa (investitore).
    Zeta presenta PRO con queste classi. Il tribunale apre la procedura e nomina commissario. Le classi votano:
    • Classe A (fornitori chiave + dipendenti): tutti favorevoli (vogliono mantenere il rapporto e recuperare 80% subito).
    • Classe B (banca + fornitori non strategici): 70% in valore favorevoli, 30% contrari. Ma la maggioranza (≥50%) si raggiunge, quindi classe approva.
    • Classe C (fondo obbligazionista): approva (il fondo concorda perché preferisce diventare socio con chance di guadagno futuro piuttosto che restare creditore in un fallimento dove prenderebbe forse zero).
      Tutte e 3 le classi dunque hanno approvato (anche se nella B c’era una minoranza contraria, ma conta la maggioranza interna). Nessun creditore dissenziente può lamentare di ricevere meno che in fallimento: un attestatore ha stimato che in liquidazione giudiziale avrebbero preso il 20% scarso; qui anche i dissenzienti della classe B prenderanno 40%, quindi stanno meglio. Dunque il tribunale omologa il PRO.
      Outcome: Zeta esegue il piano: paga puntualmente gli importi alle classi A e B secondo le scadenze; il fondo ottiene le azioni previste (diventa socio 30%) e rinuncia ai suoi crediti. I creditori dissenzienti della classe B (che magari riceveranno 40% in 4 anni e non volevano) devono accettarlo, la sentenza di omologa li vincola. L’azienda non viene liquidata, anzi grazie alla riduzione del debito (ha tagliato circa il 60% del debito complessivo) torna solvibile e con la partnership del fondo investitore può crescere, beneficiando anche i creditori ristrutturati che otterranno il pagamento previsto. Se Zeta tra qualche anno sarà molto prospera, il fondo potrà rivendere le azioni con profitto, recuperando magari anche il sacrificio fatto. Questo tipo di composizione non convenzionale è stato possibile solo grazie allo strumento PRO che ha permesso di cucire soluzioni diverse per creditori diversi entro un quadro unitario.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata della crisi (CNC) è un istituto introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinato nel CCII (artt. 12-25-quinquies) come strumento volontario, riservato e stragiudiziale per aiutare l’imprenditore in difficoltà a trovare un accordo con i creditori ed evitare l’insolvenza. Non è una procedura concorsuale in senso stretto – l’imprenditore mantiene il pieno controllo e non c’è intervento del tribunale se non su richiesta per specifici atti – ma la includiamo in questa guida perché rappresenta una via di accesso “pre-concorsuale” alla soluzione della crisi. In caso di esito negativo della composizione negoziata, sono previste delle procedure semplificate (come il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio) accessorie.

Soggetti ammessi: tutti gli imprenditori commerciali e agricoli, di qualsiasi dimensione, possono accedere alla composizione negoziata. Questa è una differenza fondamentale: la CNC è aperta anche alle imprese minori (sottosoglia) e agli imprenditori agricoli, che infatti sono stati tra i principali utilizzatori sin dall’introduzione. La norma include esplicitamente sia imprenditori individuali che società. Sono invece esclusi i soggetti non imprenditori: i consumatori, i professionisti, gli enti non profit non possono avvalersi della composizione negoziata. Inoltre, l’imprenditore deve essere iscritto al Registro delle Imprese (quindi fuori le società di fatto o chi ha cessato l’attività). Infine, non può accedere chi ha già in corso altre procedure concorsuali: se l’imprenditore ha già presentato domanda di concordato preventivo o sta facendo un piano del consumatore, non può contemporaneamente attivare la CNC. Questo per evitare sovrapposizioni: la CNC è uno strumento precoce, se sei già in procedura concorsuale vuol dire che la negoziazione informale è tardiva.

Presupposto oggettivo: la presenza di uno squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che renda probabile la crisi o insolvenza, ma al contempo la concrete prospettive di risanamento dell’impresa. In altre parole, l’imprenditore può accedere alla CNC quando è in difficoltà, anche seria (anche se già formalmente insolvente), purché ci sia una ragionevole possibilità di risanare l’impresa. Questa verifica di risanabilità è centrale: la CNC non deve essere usata per imprese decotte senza speranza (in quei casi, meglio avviare direttamente procedure liquidatorie). Il legislatore ha voluto evitare abusi: se l’impresa è del tutto priva di prospettive (es. cessata attività e solo asset da liquidare), la CNC non è appropriata. Detto ciò, la soglia di accesso è volutamente bassa dal lato crisi: anche solo segnali iniziali di squilibrio giustificano l’accesso (anzi, è incoraggiata la tempestività). Si può attivare la CNC in stato di pre-crisi, in crisi conclamata o perfino in insolvenza (reversibile). In quest’ultimo caso, l’imprenditore già insolvente deve dimostrare che l’insolvenza è superabile, ad esempio tramite nuovi apporti o ristrutturazione (se è già definitivamente insolvente senza rimedi, dovrebbe andare in liquidazione giudiziale).

Per aiutare l’imprenditore stesso a valutare se c’è prospettiva di risanamento, è previsto un test preliminare: sulla piattaforma telematica delle Camere di Commercio, l’imprenditore compila un questionario e indicatori che forniscono un riscontro sulla sostenibilità del risanamento. Questo self-assessment gli dà un’idea se la situazione è recuperabile o meno. Inoltre, eventuali organi di controllo societari (collegio sindacale, revisore) hanno l’obbligo di segnalare tempestivamente agli amministratori la sussistenza dei presupposti per attivare la CNC, mettendo pressione perché non si tergiversi (è parte delle misure di allerta “soft” inserite dal Codice).

Procedura in breve: l’imprenditore presenta istanza tramite la piattaforma telematica nazionale gestita da Unioncamere. Deve allegare informazioni di base: ultimi bilanci o situazione contabile aggiornata, elenco creditori e debiti, un piano di risanamento abbozzato o almeno una bozza degli interventi ipotizzati. Un soggetto esperto indipendente viene nominato entro pochi giorni da una commissione presso la Camera di Commercio (o dal tribunale se la camera non trova figura idonea). L’esperto è una figura chiave: un professionista con esperienza in ristrutturazioni, terzo e imparziale. Il suo compito è facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori, aiutare a individuare possibili soluzioni (piani, accordi). La procedura è riservata: la nomina dell’esperto viene iscritta in Registro Imprese solo su richiesta del debitore, altrimenti rimane confidenziale (così l’esterno non sa che l’azienda è in composizione negoziata). La durata standard è 180 giorni, prorogabile su accordo delle parti fino a ulteriori 180.

Durante la CNC, l’imprenditore continua a gestire liberamente la sua impresa, l’esperto non ha poteri autoritativi né il tribunale interviene, a meno che l’imprenditore richieda specifiche tutele:

  • può chiedere al tribunale di concedere misure protettive del patrimonio (stay delle azioni esecutive e sospensione delle istanze concorsuali) per la durata della negoziazione; il tribunale le concede se le trattative appaiono giustificate e l’impresa non causa pregiudizio ai creditori (es. pagando debiti privilegiati indebiti durante lo stay).
  • può chiedere autorizzazione per atti straordinari, come contrarre finanziamenti prededucibili o cedere azienda o rami. Questi atti, se autorizzati, sono protetti poi da revocatorie etc. L’idea è permettere anche operazioni di emergenza durante la negoziazione (ad esempio, vendere un asset non strategico per fare cassa e pagare stipendi, con benestare del giudice).
  • se l’imprenditore non chiede nulla, la CNC rimane completamente extra-giudiziale, con la sola presenza dell’esperto a moderare.

Esito della CNC: se le trattative hanno successo, possono sfociare in uno dei seguenti risultati (a scelta del debitore e secondo accordi con creditori):

  • un contratto o accordo stragiudiziale qualunque (ad esempio, una moratoria consensuale firmata dalle banche, una convenzione di standstill con fornitori, ecc.) senza necessità di omologa giudiziale;
  • oppure il debitore può decidere di formalizzare un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (se ha le percentuali) o un concordato preventivo (depositando domanda) oppure un piano attestato di risanamento ex art. 56 (strumento extra-concorsuale) – utilizzando però il lavoro svolto in negoziazione per predisporre tali soluzioni;
  • oppure, novità, se la CNC fallisce ma l’impresa è insolvente, il debitore può proporre un concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII): una procedura speciale che consente di chiedere al tribunale l’omologa di un piano di liquidazione dei beni senza voto dei creditori. Il concordato semplificato è un rimedio introdotto proprio come exit strategy dalla CNC quando non si trova accordo ma l’impresa deve liquidare: il tribunale valuta il piano liquidatorio e lo omologa se è nell’interesse dei creditori (creditori possono solo essere sentiti, ma non votano). Questa è una procedura concorsuale minore particolarmente interessante, perché bypassa il voto (che magari in CNC non si è ottenuto). Naturalmente, è limitata a casi di esito negativo CNC.

Se le trattative non hanno esito e il debitore non attiva nessuna delle soluzioni di cui sopra, la CNC semplicemente si chiude senza accordo. L’imprenditore resta libero di intraprendere altre strade (fallimento, liquidazione volontaria, ecc.), ma attenzione: se durante la CNC è emersa l’insolvenza e non si è trovata soluzione, l’esperto lo segnala e l’archiviazione viene comunicata al tribunale e al PM, che potrebbero attivarsi per liquidazione giudiziale (questo per evitare che la CNC sia usata per perdere tempo in malafede).

Chi non può accedere/inammissibilità: come detto, consumatori e non imprenditori sono fuori. Anche l’imprenditore che non presenta la documentazione minima (es. manca elenco creditori) può vedersi respinta la nomina dell’esperto per incompletezza. Inoltre, l’esperto nominato, dopo aver esaminato la situazione, potrebbe concludere già nelle prime settimane che l’impresa non ha chance di risanamento (ad esempio, patrimonio negativo enorme, nessuna prospettiva di rifinanziamento): in tal caso può invitare a chiudere subito la composizione e consigliare altre vie (liquidazione). Ma formalmente non c’è un’“inammissibilità” decretata da giudice, perché l’accesso è automatico se hai fatto istanza completa; semmai la pratica può chiudersi per esclusione soggettiva (ad es. scoprono che non sei iscritto Registro Imprese o hai già chiesto un concordato – allora non potevi accedere e la CNC viene dichiarata chiusa).

Vantaggi: la CNC è pensata per essere tempestiva, confidenziale e flessibile. L’imprenditore non subisce lo stigma pubblico di un fallimento o concordato pubblicizzato; prova a trovare soluzioni volontarie con i creditori con l’aiuto di un esperto qualificato e terzo. Il costo è relativamente contenuto (l’esperto ha un compenso fissato per legge in base alla complessità e successo, spesso inferiore ai costi di una procedura concorsuale). Può ottenere protezione provvisoria del patrimonio senza entrare subito in procedura concorsuale, e può anche ottenere la “benedizione” del tribunale per atti urgenti senza dover fallire. In caso di successo, evita l’insolvenza e può proseguire l’attività. I creditori, dal canto loro, se collaborano, possono ottenere soluzioni di maggiore valore (es. concordare nuove condizioni di pagamento piuttosto che perdere un cliente per fallimento). I dati Unioncamere 2023 mostrano un tasso di successo crescente delle CNC, indice che molte imprese sono riuscite a risanarsi o comunque a trovare un accordo grazie a questo strumento.

Svantaggi/limiti: la CNC è volontaria e non vincolante: nessun creditore è obbligato a raggiungere un accordo. Se i creditori (ad esempio una banca importante o l’Erario) rifiutano qualsiasi negoziazione, la CNC può fallire. Inoltre, se l’imprenditore è in uno stadio molto avanzato di dissesto, i creditori potrebbero preferire agire individualmente o chiedere subito il fallimento anziché trattare. Per questo la legge incoraggia l’accesso tempestivo, ma non impone ai creditori di stare alla negoziazione. Va detto però che le misure protettive bloccano temporaneamente le azioni esecutive, creando uno spazio di respiro (prorogabile fino a 240 giorni). Altro limite: la CNC di per sé non produce effetti esdebitatori né impone sacrifici ai creditori dissenzienti – per ottenere un esito vincolante, bisogna comunque tradurre l’accordo in uno degli strumenti legali (concordato, accordo omologato, ecc.) se non tutti i creditori volontariamente aderiscono. In sintesi, è una chance su base consensuale, non la soluzione garantita.

Corollario: concordato semplificato – Vale la pena spendere qualche riga sul concordato semplificato post-CNC, quale procedura concorsuale minore menzionata dalla legge. Esso è riservato alle imprese sotto-soglia? In realtà no, può usarlo qualunque imprenditore che abbia tentato la CNC senza successo e sia insolvente. Il concordato semplificato consente, entro 60 giorni dall’archiviazione della CNC, di presentare un piano di liquidazione dei beni con riparto ai creditori e chiedere al tribunale di omologarlo senza voto. I creditori possono solo essere sentiti, ma non votano; il tribunale omologa se ritiene il piano più soddisfacente del fallimento e privo di pregiudizi indebiti. Ad esempio, se l’imprenditore in CNC non trova accordo con i creditori per continuare, ma vuole evitare i tempi lunghi del fallimento, può proporre di vendere subito i beni tramite il commissario e distribuire il ricavato, offrendo ai creditori magari il 30%. Se i creditori protestano ma non hanno alternative migliori (es. la liquidazione giudiziale darebbe 20% in anni), il tribunale potrebbe omologare comunque. Questa procedura “fast-track” è stata definita innovativa ed è utilizzabile entro il 31 dicembre 2025 (prorogata dal legislatore; in origine era temporanea). È un vantaggio ulteriore per chi accede alla CNC: sa che, male che vada, ha a disposizione una scorciatoia per la liquidazione.

Tabella 4 – Composizione negoziata della crisi: sintesi

ElementoDescrizione
Chi può accedereTutti gli imprenditori (commerciali o agricoli, società o ditte individuali) iscritti al Registro Imprese, indipendentemente da dimensione.– Include imprese sotto soglia, start-up innovative, etc., che non avrebbero accesso a concordato preventivo.– Esclusi: consumatori, professionisti, enti non profit (non imprenditori); imprese già in concordato, fallimento o con domanda pendente di altra procedura.
Quando (presupposto)– Quando c’è uno squilibrio economico-finanziario che può portare all’insolvenza (“crisi” probabile) oppure già insolvenza in atto ma reversibile.– Deve esistere una ragionevole prospettiva di risanamento dell’impresa (via ristrutturazione del debito o riorganizzazione aziendale). Se l’impresa è completamente decotta senza prospettive, CNC sconsigliata e destinata a fallire.
Avvio e organo incaricato– Si avvia con istanza online sulla piattaforma nazionale (accesso con identità digitale). Documenti: ultimi bilanci o situazione contabile recente, elenco dettagliato debiti e crediti, piano o bozza di risanamento.– Nomina di Esperto indipendente (entro 5 giorni) da parte di apposita commissione (elenco di commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro con formazione specifica). L’esperto è terzo e imparziale e conduce la negoziazione.
SvolgimentoRiservatezza: l’avvio non è pubblicato salvo richiesta debitore; i creditori vengono contattati dall’esperto sotto impegno di riservatezza.– Durata: 180 giorni iniziali, prorogabili max altri 180 (fino a 12 mesi).– Gestione: imprenditore mantiene gestione ordinaria e straordinaria. L’esperto non ha poteri gestori, è mediatore e consulente.– Trattative: incontri periodici tra debitore e creditori (collettivi o bilaterali) facilitati dall’esperto. Si esaminano possibili soluzioni (dilazioni, tagli, nuove garanzie, aumento capitale, cessioni asset, ingresso investitori…). L’esperto redige verbali periodici sullo stato delle trattative.
Misure protettive– Il debitore può chiedere al Tribunale la sospensione di azioni esecutive e cautelari dei creditori (tutti o alcuni) e il divieto di acquisire titoli di prelazione senza autorizzazione (simile all’art.168 l.fall.).– Le misure sono concesse per max 4 mesi, rinnovabili fino al termine CNC. Servono per congelare la situazione e impedire ai creditori individuali di far saltare il tavolo (es. blocco di pignoramenti, o sospensione di istanze di fallimento).– Durante le misure, i creditori interessati non possono iniziare o proseguire azioni sul patrimonio del debitore. Ciò è pubblicato nel Registro Imprese per trasparenza.
Atti straordinari e finanziamenti– Su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può autorizzare atti di straordinaria amministrazione durante la CNC, ad es. contrarre finanziamenti prededucibili (ossia che saranno rimborsati prima degli altri crediti se poi si va in concorso) per urgente bisogno di liquidità, oppure vendere/affittare azienda o rami per evitare perdita di valore. Tali atti richiedono il parere favorevole dell’esperto e che non pregiudichino i creditori.– Il vantaggio è poter fare operazioni necessarie subito, con la garanzia che se poi si finisce in fallimento, ad es. il finanziamento ottenuto sarà rimborsato con precedenza (incentivando le banche a finanziare il risanamento).
Esito positivo (opzioni)Accordo stragiudiziale: se si trova intesa volontaria con tutti o i principali creditori, si formalizza in contratti privati (es. accordo bilaterale di moratoria, accordo multiparte). Non serve omologa, ma può essere esposto a rischio revocatoria se poi fallimento (per questo si preferisce a volte omologare come 182-bis per blindarlo).– Accordo ex art.182-bis: il debitore può “convertire” l’intesa raggiunta in un accordo di ristrutturazione omologato, se ha adesioni ≥60% (spesso le CNC di successo sboccano in 182-bis per sicurezza giuridica).– Concordato preventivo: se emergono le basi, il debitore può depositare domanda di concordato (in bianco o completa) utilizzando il lavoro fatto (spesso pre-negotiando il contenuto con i creditori in CNC, il concordato poi fila liscio con approvazione assicurata).– Piano attestato di risanamento: se la soluzione trovata è solo contrattuale (es. rinegoziazione crediti bancari con attestazione di ragionevolezza), il debitore può formalizzarla come piano ex art. 56 CCII (piano non omologato ma pubblicato per esenzione da revocatoria).– Continuazione attività: se la crisi era transitoria, la CNC potrebbe concludersi con un semplice accordo per nuova finanza e la continuazione dell’impresa senza dover attivare altre procedure.
Esito negativo– Se l’esperto constata che non si è raggiunto alcun accordo e l’impresa è insolvente, dichiara chiusa la composizione senza esito. Ne informa il tribunale e la Procura (ciò può sollecitare un’istanza di fallimento d’ufficio, ma intanto il debitore può optare per il concordato semplificato).– Concordato semplificato: entro 60 gg dalla chiusura CNC, il debitore insolvente può proporre al tribunale un piano di liquidazione dei propri beni. Non c’è voto dei creditori: decide solo il tribunale se omologare, valutando la convenienza per i creditori. Se omologato, si apre una liquidazione concorsuale semplificata (con un liquidatore nominato) e al termine il debitore otterrà l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti (come in un fallimento). Questo strumento – temporaneo fino al 2025 – permette di evitare la procedura fallimentare classica se tanto l’unica via era liquidare tutto, guadagnando tempo e riducendo costi.
Benefici per debitore– Procedura confidenziale: limita il danno reputazionale (contrariamente a un fallimento pubblico).– Tempestività: incoraggia a intervenire prima che sia troppo tardi, aumentando le chance di salvataggio.– Flessibilità: nessun schema rigido di pagamento o percentuali; si può trovare qualsiasi soluzione consensuale (nuove scadenze, stralci parziali, ristrutturazioni societarie, ingresso nuovi soci…).– Mantenimento del controllo dell’impresa (non c’è curatore); l’esperto è un consulente, non un amministratore.– Possibilità di usufruire di protezione dai creditori e autorizzazioni per atti urgenti senza entrare in concorso formale.– Se si risana, evita insolvenza; se non funziona, possibilità di concordato semplificato come “paracadute” rapido senza passare dal voto creditori.
Benefici per creditori– Possono ottenere più informazioni sullo stato dell’impresa (l’esperto garantisce trasparenza informativa).– Possono negoziare collettivamente una soluzione migliore che in un fallimento (dove spesso i chirografari prendono poco).– Evitano i costi e i tempi lunghi di una causa concorsuale, sperando in una continuazione dell’attività (specie fornitori interessati a mantenere il cliente in vita).– Se la CNC fallisce, hanno comunque la tutela di poter attivare concordato semplificato o fallimento, ma almeno hanno tentato una via di recupero alternativa.
Limiti e rischiNessun obbligo di accordo: se un creditore chiave rifiuta, la CNC non può imporgli nulla. Serve buona volontà reciproca.– Tempo: benché rapida rispetto a concorso, se l’impresa è già a un passo dal default, alcuni creditori potrebbero non voler aspettare 6 mesi e preferire aggredire beni subito (anche se le misure protettive li congelano per un po’).– Pubblicità eventuale: se misure protettive o atti autorizzati vengono disposti, la notizia potrebbe diffondersi (registro imprese), rivelando la crisi e magari causando stretta del credito, diffidenza fornitori, ecc. C’è dunque un trade-off tra riservatezza e protezioni richieste.– Abuso: rischio che imprenditori senza speranza usino CNC per dilazionare inevitabile fallimento (per questo legge impone valutazione risanabilità all’inizio e sorveglia condotta: l’esperto può segnalare abusi).

Giurisprudenza e prassi: Trattandosi di percorso negoziale, non c’è molta giurisprudenza “controversiale”. Tuttavia, alcune pronunce hanno definito i poteri del tribunale: ad esempio, Tribunale di Milano 7 aprile 2022 ha concesso misure protettive globali ad una PMI in CNC chiarendo che il giudice valuta solo sommariamente la prospettiva di risanamento (non deve già vedere un piano definito, basta la possibilità). Inoltre, Tribunale di Roma 15 settembre 2022 ha autorizzato un finanziamento prededucibile in CNC destinato a pagare fornitori strategici, ritenendo l’atto funzionale a migliorare le chance di risanamento (interpretando estensivamente le “operazioni necessarie” ex art. 22 CCII). Sul concordato semplificato, va menzionata la prima pronuncia: Tribunale di Palermo 20 luglio 2022 ha omologato un concordato semplificato liquidatorio proposto da un’impresa edile dopo CNC fallita, riconoscendo che l’assenza di voto dei creditori è compensata dal rigoroso controllo di merito del tribunale sulla convenienza e sull’assenza di soluzioni migliori per i creditori (in quel caso i creditori hanno ricevuto circa 35%, stimato maggiore che in fallimento).

Esempio pratico (Composizione negoziata con successo)

Caso 7: PMI in crisi risanata via CNC – La Omega S.r.l. è un’azienda metalmeccanica (20 dipendenti) con indebitamento bancario elevato (€800k) e ritardi nei pagamenti fornitori (€300k). Prevede che tra 6 mesi non avrà liquidità per pagare rate mutui. Chi può accedere? Omega è piccola impresa, magari sotto soglia, ma ciò non importa: può accedere alla CNC (nessun limite dimensionale). Lo stato è di crisi incipiente (oggi paga appena, ma il futuro è a rischio), condizione ideale per agire tempestivamente. Omega presenta istanza di composizione negoziata allegando bilancio e lista debiti. Viene nominato un esperto.
L’esperto studia la situazione: l’azienda è solida sul mercato ma ha eccesso di debito breve. Convoca le due banche finanziatrici principali e alcuni fornitori chiave. Dopo incontri, propone una soluzione: le banche convertono €200k di esposizione in un finanziamento a medio termine con 2 anni di preammortamento (moratoria), e riducono il tasso; i fornitori accettano di allungare i pagamenti di 60 giorni e di concedere piccoli sconti (5%) sulle fatture a saldo pronto. I soci di Omega si impegnano a conferire €100k di nuovi mezzi propri come aumento di capitale per sostenere la liquidità. L’esperto aiuta a formalizzare un accordo quadro: tutti i creditori finanziari e alcuni fornitori sottoscrivono un accordo stragiudiziale di ristrutturazione (non omologato, perché nel frattempo il governo ha annunciato contributi per il settore e Omega preferisce un accordo privato). L’esperto attesta comunque la sostenibilità del piano per dare fiducia.
Omega non ha neppure chiesto misure protettive (voleva mantenere massima discrezione e i creditori erano collaborativi). In 3 mesi la CNC produce l’accordo. L’esperto redige relazione finale positiva e la composizione negoziata si chiude con successo. Outcome: Omega ha ristrutturato il debito senza passare da procedure formali: le banche ottengono garanzie e un piano di rientro credibile anziché crediti incagliati, i fornitori mantengono Omega come cliente e preferiscono aspettare un po’ e scontare 5% piuttosto che rischiare il fallimento. I soci hanno messo risorse fresche a dimostrazione di impegno. L’azienda evita l’insolvenza: 2 anni dopo, grazie anche alla ripresa del mercato, Omega è tornata redditizia e sta ripagando puntualmente secondo i nuovi accordi.

Esempio pratico (Composizione negoziata fallita → concordato semplificato)

Caso 8: CNC senza esito e concordato semplificato – La Sigma S.n.c. (imprenditore sotto soglia) gestisce 3 negozi di calzature. A causa del calo vendite, accumula €500k debiti e risulta insolvente. Prova la composizione negoziata, ma la situazione è compromessa: i creditori principali (due grossisti e il locatore dei negozi) non accettano dilazioni significative, e l’attività non genera abbastanza per un piano di risanamento. L’esperto, dopo 2 mesi, conclude che non c’è accordo e l’impresa non è risanabile in continuità. Suggerisce di chiudere i punti vendita e liquidare tutto.
Sigma decide di utilizzare la chance del concordato semplificato: prepara con l’aiuto dell’esperto (che può continuare a supportare anche in questa fase) un piano di liquidazione: vendita delle giacenze di magazzino in stock, cessione delle attrezzature e arredi, incasso delle ultime crediti, e mette a disposizione anche un veicolo aziendale di proprietà dei soci. Stima ricavato: €150k, da distribuire ai creditori (che prenderebbero ~30%). In un fallimento tradizionale stimato, i costi procedurali eroderebbero ancora e i creditori forse vedrebbero il 20%.
Sigma deposita entro 60 giorni dal verbale negativo CNC il ricorso per concordato semplificato allegando il piano liquidatorio e la relazione dell’esperto che certifica la convenienza: “i creditori avrebbero meno vantaggio in una liquidazione giudiziale rispetto al 30% qui proposto”. Il tribunale nomina un commissario giudiziale e fissa udienza ascoltando i creditori (che ovviamente preferirebbero il 100%, ma questo è impossibile; alcuni contestano però che i soci non mettano denaro proprio, il tribunale valuta). Al termine, il tribunale omologa il concordato semplificato, ritenendo che – benché scontenti – i creditori sono comunque trattati nel modo migliore possibile date le circostanze.
Si apre quindi la fase di esecuzione: un liquidatore nominato dal giudice (spesso lo stesso commissario) liquida i beni in tempi brevi (3-4 mesi) senza lungaggini burocratiche e distribuisce il 30%. Sigma s.n.c. viene chiusa. I soci, essendo illimitatamente responsabili in una snc, in teoria resterebbero debitori per residuo; tuttavia possono anch’essi ottenere l’esdebitazione delle parti non pagate al termine (il CCII prevede l’esdebitazione anche per soci illimitatamente responsabili, analogamente all’ex art. 14-terdecies L.3/2012). Outcome: i creditori hanno ricevuto in 1 anno il 30% con costi minimi di procedura e senza dover votare né insinuarsi; i soci hanno evitato azioni esecutive personali e puntano a ripartire magari con altra attività dopo l’esdebitazione.

Sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore e liquidazione controllata

Le procedure di sovraindebitamento sono quelle riservate ai debitori che non possono accedere alle procedure maggiori (liquidazione giudiziale o concordato preventivo) in quanto “non fallibili” per natura o dimensioni. La disciplina originaria era nella L. 3/2012, ora confluita nel CCII (Titolo IV). L’obiettivo è offrire anche a consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, start-up ecc., in condizioni di sovraindebitamento (incapaci di pagare i debiti) degli strumenti giudiziali per ristrutturare o cancellare i debiti, analoghi a un “fallimento” o “concordato” su misura.

Il Codice ha ridenominato e in parte semplificato queste procedure: oggi parliamo di ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore (per gli altri debitori non fallibili) e liquidazione controllata (di qualsiasi sovraindebitato). Rimane inoltre la possibilità di esdebitazione del debitore incapiente (debiti cancellati senza nessuna soddisfazione ai creditori, in casi estremi). Esaminiamo singolarmente i requisiti di accesso a ciascuna.

Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)

Chi può accedere: esclusivamente il consumatore sovraindebitato, cioè la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In pratica, riguarda i debiti da vita privata: es. prestiti personali, debiti per bollette, per affitti, fideiussioni personali, ecc. Se la persona fisica ha anche debiti da un’attività d’impresa o professionale che gestisce, allora per quell’attività non è considerata “consumatore” e dovrebbe eventualmente usare il concordato minore. Ma c’è molta casistica di confine: il Codice consente al consumatore di includere nel piano anche debiti misti, purché prevalgano quelli personali – la giurisprudenza di merito (Trib. Napoli 2023, Trib. Milano 2023) è arrivata ad ammettere piani del consumatore con debiti promiscui (sia familiari sia di piccola attività) se l’attività imprenditoriale era di fatto marginale. Il perimetro preciso è in evoluzione. In linea generale: se la maggior parte dei debiti è personale, la persona può presentare un piano del consumatore; se invece sono debiti d’impresa (anche piccola), dovrà fare un concordato minore.

Esempi di soggetti tipici: un privato che ha perso il lavoro e non riesce più a pagare mutuo e prestiti, un ex studente indebitato per prestiti universitari, una persona che ha fatto da garante e si è ritrovata a dover pagare debiti altrui, ecc.

Presupposto oggettivo: lo stato di sovraindebitamento, definito dal Codice come “persistente incapacità di adempiere le obbligazioni” del debitore non fallibile. In sostanza è l’insolvenza del soggetto non fallibile: il consumatore si trova impossibilitato a pagare regolarmente i propri debiti (può essere insolvenza attuale o situazione in cui l’insolvenza è imminente, equiparata). Non importa l’importo minimo: anche per 10 mila euro di debiti uno può essere “sovraindebitato” se non ha modo di pagarli. Serve però che il debitore abbia concrete possibilità di sostenere un piano di ristrutturazione: il piano del consumatore in genere prevede che paghi almeno in parte i debiti su un orizzonte di anni, attingendo a redditi futuri o a parte del patrimonio. Se il consumatore non ha proprio nulla da offrire (zero patrimonio e zero reddito disponibile), il piano sarebbe inutile e andrebbe valutata piuttosto la liquidazione controllata o la esdebitazione “senza utilità” (vedi più avanti).

Contenuto del piano: il consumatore propone un piano di ristrutturazione dei debiti che può prevedere: la dilazione dei pagamenti, la riduzione degli importi (stralcio parziale), la cessione o liquidazione di alcuni beni per pagare i creditori, ecc. Non è richiesto il consenso dei creditori – questa è la grande differenza rispetto al concordato minore. Il piano del consumatore viene sottoposto solo al giudizio del Tribunale, senza votazione dei creditori. Il giudice valuta:

  • la fattibilità del piano e la convenienza per i creditori (che non devono risultare peggiorati rispetto a ipotesi alternativa, di solito la liquidazione controllata);
  • la meritevolezza del consumatore, ossia il suo comportamento pregresso rispetto all’indebitamento.

Su quest’ultimo punto, c’è stata una evoluzione normativa importante: prima il concetto di meritevolezza era molto stringente (il giudice doveva escludere che il consumatore avesse colposamente aggravato la propria situazione o contratto debiti senza ragionevole prospettiva di poterli pagare). Dal 2020, con la riforma, la legge ha semplificato la valutazione: oggi il piano è inammissibile solo se il consumatore ha determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. È un criterio più favorevole: significa che piccoli errori di gestione economica (aver fatto debiti in modo un po’ imprudente) non escludono l’accesso, mentre lo escludono comportamenti molto gravi come aver accumulato debiti scientemente senza intenzione di pagarli o con frodi. La Cassazione ha chiarito nel 2023 che bisogna applicare questo nuovo criterio unico e abbandonare il precedente “triplice test di meritevolezza”. In breve, chi può essere escluso? Un consumatore che ha truffato i creditori, o che ha speso in modo volutamente sproporzionato sapendo di non poter restituire (es. ha acceso volontariamente 10 prestiti sapendo di essere disoccupato, potrebbe configurare colpa grave). Invece difficoltà dovute a cause esterne (malattia, perdita lavoro, crisi economica) di norma non precludono l’accesso.

Procedura: il consumatore deposita la proposta di piano presso il tribunale, assistito obbligatoriamente da un OCC (Organismo di Composizione della Crisi). L’OCC (generalmente un professionista nominato dal giudice o scelto dal debitore da un elenco) ha il compito di aiutare il debitore a redigere il piano e raccogliere la documentazione, nonché di redigere una relazione particolareggiata sulla situazione economica del consumatore e sul giudizio di meritevolezza. Questa relazione dell’OCC è molto importante: evidenzia se il consumatore ha tenuto un comportamento retto o se emergono elementi di frode o colpa grave. L’OCC inoltre attesta la fattibilità del piano e la convenienza per i creditori. I creditori sono informati e possono presentare opposizioni (osservazioni) se ritengono di essere trattati ingiustamente, ma non votano. Il tribunale fissa udienza e valuta il tutto. Se ritiene che il piano soddisfi i requisiti (meritevolezza, fattibilità, ecc.), omologa il piano con decreto. Da quel momento il piano diventa vincolante: i creditori inclusi non possono agire in via esecutiva e devono accontentarsi di quanto previsto dal piano. Il debitore dovrà eseguire nei tempi stabiliti (es: pagamento del 50% di ogni credito in 5 anni mediante rate semestrali, ecc.). L’OCC può fungere da gestore dei pagamenti, raccogliendo l’attivo e distribuendolo ai creditori.

Inammissibilità e rigetto: a parte la meritevolezza (colpa grave, frode = inammissibile), un piano può essere rigettato se manifestamente non fattibile (es. il consumatore promette di pagare 500 €/mese ma dalle carte risulta che ne guadagna 1000 e ne spende 900 di spese vitali, quindi è impossibile – il giudice lo boccerebbe). Oppure se pregiudizievole per i creditori rispetto all’alternativa: tipicamente, se il piano offre ai creditori meno di quanto avrebbero nella liquidazione del patrimonio del debitore, il giudice lo rigetta. Ad esempio, se il consumatore possiede una seconda casa di valore che nel piano non vuole liquidare, offrendo ai creditori poco e tenendosi la casa, il giudice non lo ammetterà perché i creditori sarebbero danneggiati (nella liquidazione controllata la casa verrebbe venduta e prenderebbero di più). Insomma, vale un best interest test: ai creditori deve andare almeno quanto otterrebbero liquidando i beni del consumatore. Altro motivo di rigetto: se emergono atti in frode (es: il consumatore ha occultato beni, venduto proprietà prima del piano per sottrarle ai creditori – ciò renderebbe inammissibile per malafede, e comunque l’omologa verrebbe negata).

Effetti e beneficio finale: se il piano viene eseguito regolarmente, al termine il consumatore ottiene l’esdebitazione su tutti i debiti residui non soddisfatti (viene liberato dal restante). Già l’omologazione comporta la sospensione delle azioni esecutive e la non accrual di interessi sui debiti chirografari. Il consumatore ripaga quanto previsto e il resto gli è cancellato. Se invece non riesce a eseguire il piano, il tribunale – su istanza di un creditore – può dichiarare risolto il piano e allora i creditori recuperano le loro pretese originarie (dedotti gli importi eventualmente già incassati). In caso di risoluzione, spesso il debitore a quel punto finisce in liquidazione controllata su richiesta sua o di creditori, come conversione (infatti la legge prevede che se un piano o concordato minore “salta” per inadempimento, i creditori possono chiedere si apra la liquidazione controllata).

Comparazione: il piano del consumatore è uno strumento molto potente per il debitore meritevole: non necessita consensi e può imporgli ai creditori tagli notevoli se il giudice ritiene equo e inevitabile. Una Cassazione recente (Cass. 6485/2021) ha sottolineato che nel piano del consumatore “l’interesse del debitore al risanamento prevale sul principio di autonomia contrattuale dei creditori”, giustificando l’imposizione giudiziale. Naturalmente però il vaglio di meritevolezza è il contrappeso: la legge vuole che ne usufruisca solo il debitore che si è indebitato in buona fede o comunque senza colpa grave.

Concordato minore (ex accordo di composizione)

Chi può accedere: tutti i debitori sovraindebitati non consumatori che non siano soggetti a liquidazione giudiziale. In pratica:

  • Imprenditori minori (sotto soglia) commerciali.
  • Imprenditori agricoli (di qualsiasi dimensione, poiché esclusi da fallimento).
  • Persone fisiche che esercitano attività d’impresa o professionale (artigiani, commercianti al minuto, professionisti come avvocati, medici con studio individuale) – costoro non sono “consumatori” per i debiti attinenti alla loro attività.
  • Start-up innovative (anch’esse esonerate da fallimento per i primi anni, per legge speciale).
  • Enti collettivi non commerciali (es. associazioni che hanno debiti ma non rientrano nel fallimento).
  • Includiamo anche soci illimitatamente responsabili di società fallite per i debiti personali residui (anche se qui spesso useranno liquidazione controllata per liberarsene).
    In sintesi, il concordato minore è la procedura parallela al concordato preventivo per i soggetti “non fallibili” in sovraindebitamento, ad eccezione del consumatore che ha il suo strumento. Un caso tipico: un artigiano titolare di impresa individuale che ha debiti di lavoro e fornitori per 200k euro; non può fallire, quindi può proporre un concordato minore ai creditori. Oppure una piccola Srl sotto soglia (che non fallisce) ma indebitata: anche essa tecnicamente è “imprenditore minore” e può fare concordato minore.

Presupposto oggettivo: stato di crisi o insolvenza del debitore sovraindebitato (incapacità a pagare). La definizione di sovraindebitamento nel Codice copre sia crisi sia insolvenza. Quindi analogamente al concordato preventivo, la procedura può essere attivata anche in pre-insolvenza.

Contenuto e requisiti del piano: il concordato minore è molto simile all’accordo di composizione L.3/2012 e in parte al concordato preventivo. Il debitore propone ai creditori un piano con modalità di pagamento, eventuali stralci e garanzie. Diversamente dal piano del consumatore, qui i creditori hanno diritto di voto sulla proposta. Serve l’adesione dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (50%+). Non c’è suddivisione in classi obbligatoria (anche se nulla vieta prevedere classi separate se opportuno, ma il voto si calcola sul totale). Dunque, il concordato minore è procedura collettiva e consensuale: i creditori approvano come in un mini-concordato preventivo.

Soglia di adesione: la norma richiede la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Tipicamente si ammettono al voto tutti i chirografari e eventuali privilegiati per la parte non garantita (analogo al concordato preventivo). Si noti che con L.3/2012 la soglia era il 60% di crediti per l’accordo di composizione; il Codice l’ha ridotta al 50%+1, uniformandola al concordato preventivo. Ciò rende più facile ottenere l’approvazione.

Ruolo dell’OCC e meritevolezza: anche qui interviene l’OCC (Organismo composizione crisi). Il debitore si rivolge a un OCC il quale lo assiste nella redazione del piano e predispone la relazione di fattibilità e convenienza. Nel concordato minore, a differenza del piano consumatore, la meritevolezza non è requisito espresso di legge per l’ammissibilità: il debitore professionale o imprenditore, pure se ha commesso imprudenze, non viene escluso; conta più che altro il giudizio di convenienza per i creditori. Però, la legge prevede che se emergono atti in frode ai creditori (es. distrazioni di beni), il giudice non omologa anche se i creditori avessero votato sì (principio generale ex art. 80 CCII). Quindi la buona fede resta importante, ma non c’è un test rigido di meritevolezza come per il consumatore. Nel valutare l’omologa, tuttavia, il giudice può rifiutare se il debitore ha violato obblighi informativi o simili.

Procedura: il debitore (tramite avvocato e OCC) deposita ricorso di concordato minore con la proposta di piano e la documentazione finanziaria. Il tribunale verifica requisiti minimi (soggettivo: è sovraindebitato non fallibile; documenti ok; proposta non manifestamente infeasible). Se tutto ok, apre la procedura con decreto. Da lì:

  • Vengono sospese le azioni esecutive individuali (come in concordato).
  • I creditori vengono notificati e chiamati a esprimersi sulla proposta: essi inviano per PEC all’OCC la dichiarazione di adesione o diniego entro 30 giorni (non c’è adunanza fisica di solito, è per consultazione scritta).
  • Raggiunta o meno la maggioranza, il giudice tiene udienza per esaminare eventuali contestazioni e quindi procede all’omologazione.
    • Se la maggioranza c’è, il giudice omologa salvo riscontri motivi di inammissibilità o frodi.
    • Se manca la maggioranza, la domanda viene rigettata (o può divenire una liquidazione controllata su istanza del debitore, come spesso avviene in subordine).
  • Una volta omologato, il concordato minore vincola tutti i creditori concorsuali (anche dissenzienti). L’OCC vigila sull’esecuzione del piano. Se il debitore non adempie, il tribunale su segnalazione può revocare l’omologa e si aprirà quasi certamente la liquidazione controllata dei suoi beni.

Struttura del piano e trattamento creditori: il piano di un concordato minore può essere sia in continuità (se l’imprenditore vuole proseguire l’attività – es. un piccolo artigiano propone: io continuo a lavorare e vi pago il 50% dei crediti in 4 anni coi profitti futuri) sia liquidatorio (cessione beni e chiusura). Non c’è una distinzione formale come nel concordato grande, ma di fatto la proposta può assumere natura di risanamento con prosecuzione o di liquidazione. Ad esempio, un professionista potrebbe offrire ai creditori i futuri redditi per 5 anni a saldo e stralcio dei debiti (continuità personale), oppure vendere un immobile e distribuire il ricavato subito (liquidatorio).

  • Se è in continuità, l’attività resta in mano al debitore e i creditori confidano nell’attuazione del piano sotto sorveglianza OCC.
  • Se è liquidatorio, spesso il giudice nomina un liquidatore (anche l’OCC stesso) per vendere i beni e pagare i creditori secondo quanto concordato.

Soglie di soddisfacimento: il Codice non fissa percentuali minime di pagamento per il concordato minore. Quindi, in teoria, i creditori potrebbero accettare anche stralci forti (es. 20%). Tuttavia:

  • I creditori voteranno sì solo se convinti che quell’offerta è il meglio possibile (p. es., se in liquidazione del patrimonio avrebbero 10%, accettano 20% e votano).
  • Il tribunale comunque verifica il best interest test: almeno il valore di liquidazione deve essere garantito. Se un creditore dissenziente lamenta che avrebbe preso di più liquidando tutto, l’omologa potrebbe essere negata senza opportune correzioni.
  • Inoltre, i crediti privilegiati non possono essere toccati senza il loro consenso esplicito (devono votare e approvare se non li paghi integralmente).
  • E come nel concordato preventivo, se intendi degradare un privilegiato (pagarlo parzialmente come chirografario per incapienza garanzia), serve perizia sul valore bene e almeno quell’importo dev’essere garantito.

Vantaggi per il debitore: il concordato minore offre al piccolo imprenditore o professionista una via per ridurre il debito con l’accordo della maggioranza creditori ed evitare azioni individuali e pignoramenti. In caso di esito positivo (piano completato), il debitore viene liberato dai debiti residui (esdebitazione, analoga a quella post-fallimento, è prevista anche qui: l’omologa del concordato minore comporta la cancellazione dei debiti eccedenti quanto previsto dal piano, se i creditori hanno accettato). Rispetto all’accordo “puro” ex L.3 (che richiedeva 60% consensi), la soglia ridotta al 50% e la presenza di un ombrello giudiziale rende un po’ più agevole la procedura.

Differenze dal piano del consumatore:

  • Necessita accordo dei creditori (maggioranza voti) mentre il piano del consumatore no.
  • Non richiede strettamente meritevolezza, anche se frodi e malafede possono bloccarlo.
  • Riguarda tipicamente debiti d’impresa o professionali; quindi l’approccio è un po’ più negoziale/commerciale e meno “protettivo del debitore” di quanto avviene per il consumatore.
  • La presenza dei creditori impone al debitore di confrontarsi con loro: ad esempio, spesso i creditori chirografari esigeranno che il debitore metta tutto il possibile sul piatto (vendere eventuali beni non indispensabili) prima di approvare. Nel piano del consumatore decide il giudice con occhio equitativo, nel concordato minore decide la maggioranza dei creditori, che tipicamente è più severa.

Cause di inammissibilità specifiche: l’art. 77 CCII prevede che è inammissibile la domanda di concordato minore se il debitore ha già usato una procedura di sovraindebitamento nei 5 anni precedenti (per evitare reiterazione frequente) o se risultano iniziative in frode. Inoltre, come per tutte queste procedure, deve depositare tutti documenti richiesti (pena improcedibilità).

Liquidazione controllata del sovraindebitato

Chi può accedere: qualsiasi debitore sovraindebitato non soggetto a liquidazione giudiziale può essere assoggettato a liquidazione controllata. Ciò include:

  • Consumatori sovraindebitati.
  • Imprenditori minori sotto soglia.
  • Imprenditori agricoli.
  • Professionisti, artisti, start-up innovative, enti non profit, ecc.
  • Anche soggetti precedentemente ammessi a piano del consumatore o concordato minore ma poi decaduti.
    In pratica, la liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento per i non fallibili. Come dice la relazione, è procedura residuale cui ricorrere quando non è praticabile un piano di ristrutturazione. Può essere avviata su richiesta del debitore (liquidazione volontaria) oppure, diversamente dalle altre procedure di sovraindebitamento, anche su richiesta dei creditori o su conversione ex officio di un concordato minore/piano revocato. Infatti, è l’unica che può essere imposta al debitore sovraindebitato (per evitare che chi ha molti debiti ma non propone piani resti in un limbo di impunità).

Presupposto oggettivo: stato di insolvenza o quanto meno di sovraindebitamento conclamato. La legge indica che può accedere chi è in insolvenza o in stato di crisi (come definita). Tuttavia, se la domanda la presentano i creditori, la legge richiede esplicitamente l’insolvenza (non basta la crisi probabile). Quindi:

  • Se il debitore stesso chiede la liquidazione, può farlo anche in fase di crisi incipiente, forse per opportunità (ma raramente uno chiede liquidazione se pensa di potersi risanare).
  • Se i creditori la chiedono, devono provare che il debitore è insolvente (inadempimenti gravi).

Inoltre, per la domanda dei creditori, devono risultare debiti scaduti > €50.000 (una soglia posta per evitare istanze predatorie per insolvenze minuscole). E se il debitore lo richiede, l’OCC deve dichiarare che c’è almeno qualche attivo liquidabile, altrimenti la liquidazione non serve (se OCC attesta che non c’è niente da liquidare, magari si passa a esdebitazione incapienti).

Procedura e organi: molto simile alla liquidazione giudiziale:

  • Ricorso da debitore o istanza creditori in tribunale.
  • Apertura con decreto (anziché sentenza) del tribunale competente, nominando un Liquidatore e un Giudice Delegato.
  • Effetto: spossessamento del debitore dei suoi beni (salvo quelli impignorabili per legge), che passano sotto gestione del Liquidatore. Il Liquidatore li vende e ripartisce il ricavato ai creditori.
  • Il debitore può fare istanza senza bisogno di un legale (se depositata tramite OCC); se l’istanza è sua, l’assistenza OCC è obbligatoria e fa le veci dell’avvocato. Se invece l’istanza è di creditori, ovviamente serve un ricorso di avvocato e l’OCC non è necessario in quella fase.
  • Avviata la liquidazione, i creditori presentano le loro domande di insinuazione allo stato passivo (il liquidatore esamina crediti, etc.), analogo a un fallimento.
  • Poi il Liquidatore liquida: può trattare vendite in modo semplificato (spesso i beni in questi casi sono pochi: un immobile, qualche auto, ecc.).
  • Distribuisce secondo l’ordine cause prelazione e redige bilanci di chiusura.
  • Il tribunale chiude la procedura con decreto di chiusura.
  • Il debitore persona fisica può fare istanza di esdebitazione (liberazione debiti residui) dopo la chiusura, alle condizioni di meritevolezza previste (che qui sono simili a quelle del fallimento: non deve aver frodato i creditori, ecc.).

Differenze con liquidazione giudiziale: soggettivamente, qui abbiamo persone e imprese non fallibili. Operativamente, la liquidazione controllata è più snella: la legge riduce alcune formalità (ad esempio, l’inventario dei beni lo fa il liquidatore stesso, non c’è un curatore da nominare perché liquidatore lo è già, etc.). Non c’è il requisito dei €30.000 di debiti scaduti (quello era per aprire fallimenti di imprese minori, qui c’è €50.000 ma solo per istanza creditori). Non c’è neanche distinzione tra piccolo e grande, tutte le dimensioni rientrano (anche se se fosse grande l’avrebbero fallita… a limite caso di grande agricolo).

Vantaggi per debitore: se cooperativo, può ottenere l’esdebitazione a fine procedura (liberazione dei debiti insoddisfatti). Anche qui vale la regola: se il debitore ha agito con correttezza (non ha mentito, ha consegnato beni etc.), il giudice deve concedere l’esdebitazione a fine liquidazione, liberandolo dai residui. Questa esdebitazione per sovraindebitati ora è più ampia: può ottenerla pure l’imprenditore minore liberandosi anche di debiti verso Erario e creditori particolari (nel fallimento classico alcuni debiti come alimenti, risarcimenti danni da illecito, multe restavano comunque). Anche qui però ci sono esclusi (es. debiti per mantenimento figli, etc. restano).
Il debitore inoltre durante la procedura può essere autorizzato a tenere una parte del reddito per bisogni di sostentamento (il liquidatore lascia al consumatore quel che serve per vita dignitosa, come in fallimento l’art. 46 l.fall.).

Vantaggi per creditori: ottengono una esecuzione collettiva efficiente senza dover dipendere dalla volontà del debitore (possono attivarla loro se necessario). I costi a carico loro sono minori che in fallimento perché di solito l’attivo e creditori sono meno, procedure semplificate (di solito presso il Tribunale civile ordinario, sezione apposita). Inoltre, contrariamente alle altre procedure di sovraindebitamento dove non potevano iniziare se non volontarie, qui possono agire: ad esempio, una banca creditrice di un imprenditore agricolo insolvente può chiederne la liquidazione controllata e non è più impossibilitata come col vecchio “non fallibilita”.

Cause di inammissibilità: se il debitore propone e nel contempo è pendente un suo concordato minore o piano, quello ha priorità (il tribunale le tratta con priorità e tiene ferma la liquidazione finché quell’istanza non è rigettata). Inoltre, non si apre liquidazione se appare che non c’è nulla da liquidare nemmeno con cause attive (OCC attesta attivo nullo). In tal caso, conviene passare direttamente all’esdebitazione del nullatenente senza procedura.

Esdebitazione del debitore incapiente: la citiamo qui come completamento. Introdotta dall’art. 14-quaterdecies L.3/2012, ora credo recepita in CCII art. 283, consente al debitore persona fisica privo di beni e redditi di ottenere la cancellazione dei debiti una tantum, se dimostra di aver agito con meritevolezza e non poter offrire nulla ai creditori, nemmeno in futuro (se ha sopravvenienze entro 4 anni dovrà usarle per i creditori). È insomma un fresh start assoluto per chi è completamente a terra. I creditori non ricevono nulla, ma lo Stato offre questa chance per non condannare a vita la persona all’indebitamento. Non la approfondiamo oltre, ma fa parte del sistema.

Tabella 5 – Procedure da sovraindebitamento: confronto

ProfiloRistrutturazione debiti consumatoreConcordato minoreLiquidazione controllata
SoggettiPersona fisica consumatore (debiti per scopi personali). Se ha anche debiti professionali, questi inclusi solo se marginali (giurisprudenza flessibile).Debitore non consumatore non fallibile: piccoli imprenditori, professionisti, start-up, impr. agricoli, enti no fall. Comprende società sotto soglia (anche se sono entità giuridiche). Consumatori esclusi (loro hanno procedura dedicata).Qualsiasi debitore sovraindebitato non soggetto a fallimento: sia consumatore che imprenditore minore, ecc. (È universale, basta non sia fallibile).
IniziativaVolontaria: solo il consumatore può proporre il piano.Volontaria: solo il debitore può chiedere concordato minore (è un “concordato”, quindi su istanza propria).Volontaria o forzata: il debitore può chiedere di liquidare i suoi beni, oppure uno o più creditori possono istigare la procedura (novità). Può aprirsi anche d’ufficio come conversione di altra procedura minore fallita.
PresuppostoSovraindebitamento (insolvenza) del consumatore.Sovraindebitamento (crisi/insolvenza) del debitore.Sovraindebitamento, in genere insolvenza conclamata se chiesta da creditori (debiti scaduti > €50k). Insolvenza o crisi se chiesta dal debitore. Necessita di un minimo attivo liquidabile (altrimenti inutile).
Decisione creditoriNessun voto dei creditori. Decida il Tribunale sull’omologa, valutate convenienza e meritevolezza. I creditori possono fare osservazioni/opposizioni.Voto dei creditori richiesto: serve maggioranza >50% crediti. Procedimento semplificato via PEC. I creditori influenzano esito: senza maggioranza, niente omologa.Nessun voto (è procedura liquidatoria concorsuale). I creditori concorrono e ricevono in base a prelazioni, non approvano nulla. Possono però chiedere essi l’avvio.
Ruolo OCCCentrale: OCC assiste debitore, elabora relazione di meritevolezza e fattibilità. Durante esecuzione, OCC monitora i pagamenti del piano per conto del giudice.Centrale: OCC assiste nella predisposizione e istruttoria della proposta. Sovraintende al voto dei creditori e riferisce al giudice su esito. Vigila sull’esecuzione del piano omologato.In fase iniziale: se istanza del debitore, OCC allega relazione e lo assiste (può depositare ricorso senza avvocato). Dopo apertura: l’organo di gestione è il Liquidatore nominato dal tribunale (di solito un professionista). L’OCC può divenire liquidatore se il giudice lo nomina tale, ma non è automatico.
Valutazione meritevolezzaDecisiva: il piano è ammissibile solo se il consumatore non ha causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave. Se ha colpa grave/malafede -> inammissibile. (Criterio nuovo semplificato, prima era più rigido, Cass. 22890/2023 l’ha sottolineato).Non richiesta formalmente: errori gestionali non impediscono l’accesso. Tuttavia atti in frode (es. mancanza documenti senza giustificazione, attivo sottratto, ecc.) portano a diniego di omologa. Quindi la buona fede generale è considerata.Non richiesta per aprire (chiunque sovraindebitato può essere liquidato, anche se scialacquatore). Però incide sulla esdebitazione finale: il debitore otterrà il beneficio solo se meritevole (no atti in frode, cooperazione).
Struttura propostaPiano di pagamento parziale dei debiti, calibrato sulle possibilità del consumatore. Può prevedere stralci consistenti (anche >50%) e dilazioni, compatibilmente col suo reddito e qualche eventuale bene liquidabile. In genere dura fino a 5-7 anni max. Non sono richiesti contributi esterni né percentuali minime, salvo che i creditori non ricevano meno che in liquidazione (test convenienza).Piano simile a concordato: può essere in continuità (proseguire attività con pagamento ai creditori con utili futuri) o liquidatorio (cessione beni). No percentuale minima di legge, ma la proposta deve essere conveniente rispetto a liquidazione (se no i creditori non l’approvano o il giudice non omologa) e i privilegiati vanno soddisfatti almeno fin dove arriva il valore garanzie se non consentono di peggio.Non c’è “proposta”: si tratta di liquidare tutto il patrimonio disponibile. Il debitore può indicare al liquidatore se preferisce liquidare in un modo (es. cedere azienda intera vs beni singoli), ma decide il liquidatore/giudice. I creditori vengono soddisfatti secondo prelazioni di legge in proporzione, come in un fallimento.
Esito per i creditoriPagamento parziale secondo piano omologato (spesso rateale). Le parti residue vengono cancellate (remissione) a fine piano. I privilegiati devono in piano ricevere almeno l’integrale del valore di realizzo dei beni gravati (non possono essere forzati a perdere parte del valore che avrebbero escutendo garanzia). Per chirografari tipicamente percentuali di soddisfo variano (es. 20-50%).Se omologato, i creditori ricevono quanto previsto (in parte durante piano, in parte a fine se vendite). I chirografari potrebbero prendere percentuali variabili a seconda attivo; i privilegiati generalmente integrali su garanzie ed eventualmente degradati su scoperto. Se piano fallisce (non eseguito), si rifanno con liquidazione controllata successiva.Ricevono riparto fondi dopo liquidazione beni. Probabilmente percentuali basse. Ma hanno benefici: in via individuale magari alcuni avrebbero preso tutto e altri zero; con la concorsuale c’è par condicio (tutti chirografari prendono la stessa %). Inoltre, niente sperequazioni o corse. Se la procedura chiude senza soddisfarli completamente, i crediti residui vengono cancellati (se debitore persona fisica ottiene esdebitazione, i creditori non possono più pretendere nulla).
Durata tipicaProcedura di omologa: ~4-6 mesi. Esecuzione piano: variabile (spesso 4-5 anni).Omologa: ~4-6 mesi. Esecuzione: se liquidatorio dipende da tempi vendita (1-2 anni), se in continuità può estendersi a 3-5 anni di pagamenti monitorati.Procedura in sé: ~2-3 anni (dipende da difficoltà vendite, numero creditori). Debitore è libero di iniziare nuovo percorso dopo, ma in pendenza subisce effetti negativi (spossessamento).
EsdebitazioneCon l’omologa e successiva esecuzione, i debiti eccedenti sono automaticamente* cancellati. Non occorre ulteriore provvedimento: il decreto di omologa che diventa definitivo produce effetti esdebitatori (salvo debiti esclusi ex lege come alimenti, che restano). Se invece il piano viene risolto per inadempimento, niente esdebitazione automatica e si apre liquidazione.Simile: i crediti rimasti insoddisfatti a fine piano si intendono rinunciati dai creditori aderendo al piano. L’omologa li rende inesigibili oltre quanto stabilito. Se il piano fallisce prima, niente liberazione automatica se non dopo eventuale liquidazione.Non fa esdebitazione intrinseca (è liquidazione dei beni); però il debitore persona fisica può chiedere al termine esdebitazione al giudice, che la concede se debitore meritevole (nessuna condotta fraudolenta, cooperato, etc.). Questa liberazione riguarda tutti i debiti antecedenti non soddisfatti, tranne poche eccezioni (alimentari, risarcimenti da illecito extracontrattuale e debiti per sanzioni penali/amministrative non sono esdebitabili).

Giurisprudenza rilevante sovraindebitamento: Abbiamo già richiamato Cass. 27 luglio 2023 n. 22890 che ha sancito il nuovo criterio di meritevolezza per il piano del consumatore. Da citare anche Cass. 15 dicembre 2021 n. 40283: ha affermato che il tribunale, valutando un piano del consumatore, non può analogicamente applicare le norme del concordato preventivo come il cram-down fiscale o il requisito del 20% (che alcuni giudici di merito avevano cercato di usare per negare piani con pagamento integrale Erario): la Cassazione ha detto che la disciplina del piano cons. è autonoma e di favore per il debitore, per cui il giudice non può pretendere soglie di soddisfacimento se la legge non le prevede. Sui debiti misti, Tribunale Napoli Nord decreto 5 luglio 2023 ha omologato un piano del consumatore con debiti parzialmente professionali, ritenendo irrilevante la provenienza se comunque il soggetto agiva come consumatore per la gran parte (c.d. “debito promiscuo”), orientamento confermato da Cass. 8 novembre 2023 n. 22699. In tema di concordato minore, essendo nuovo, poche sentenze: segnaliamo Tribunale di Pistoia 5 maggio 2023 che ha omologato un concordato minore anche in assenza di voto di un grande creditore fiscale, ritenendo raggiunta la maggioranza grazie agli altri crediti (quindi l’Erario dissenziente, se minoranza, viene obbligato). Quanto alla liquidazione controllata, Tribunale di Spoleto 28 marzo 2023 (linee guida) evidenzia che la liquidazione controllata ricalca la struttura del fallimento, salvo essere aperta anche su istanza del debitore e con oneri probatori invertiti: qui la prova del non superamento soglie non serve (il soggetto per definizione è non fallibile) e l’onere della prova sui presupposti spetta a chi istiga (creditore). Cass. 26938/2019 (ancora su vecchia legge) aveva già affermato che la liquidazione da sovraindebitamento non richiede una pluralità di creditori (può aversi anche con un solo creditore, diversamente dal fallimento storico, e questa rimane valida.

Esempio pratico (Piano del consumatore)

Caso 9: Sovraindebitamento familiare – La sig.ra Rosa, insegnante, ha accumulato negli anni debiti per €120.000: prestiti personali (€50k), carte di credito revolving (€20k) e debiti verso l’Agenzia Entrate per alcune imposte non pagate (€30k) e bollette arretrate (€20k). È proprietaria con il marito (in comunione) di un appartamento prima casa (non ipotecato) e ha uno stipendio di €1.600/mese. Le rate di tutti i prestiti sarebbero €900/mese, insostenibili dato che deve mantenere due figli. Rosa è consumatrice (nessuna attività d’impresa). Chi può accedere? Lei può proporre un piano del consumatore. L’OCC analizza la situazione: la causa del sovraindebitamento sono state spese straordinarie mediche per il figlio malato e cattiva consulenza finanziaria sulle carte. Non vi è malafede (Rosa non ha fatto vacanze di lusso o spese frivole). Propone un piano su 5 anni: può pagare €400 al mese per i creditori (totale €24k su 5 anni), più destina il TFR maturando di fine servizio (€10k stimati) e la vendita dell’auto vecchia (€6k). Totale risorse ~€40k. Propone di pagare integralmente Agenzia Entrate (€30k) e il resto suddiviso pro-rata ai finanziari (che prenderanno circa il 20% del loro credito). La casa non viene toccata (prima casa non ipotecata, non obbligata a venderla). Il Tribunale esamina: i creditori finanziari protestano (“solo 20%?!”), ma l’OCC attesta che se Rosa andasse in liquidazione controllata, venderebbero la casa familiare? Però la prima casa del debitore non è esclusa da liquidazione (contrariamente a procedure fallimentari) – qui va detto: la prima casa in sovraindebitamento può essere liquidata se necessaria, non vige esenzione automatica (solo in esdebitazione incapiente la casa è salva di default, ma in liquidazione controllata no). Nel caso di Rosa, vendere la mezza proprietà casa fornirebbe magari €50k per i creditori, ma il giudice considera anche l’interesse familiare a conservare l’abitazione. Se i creditori finanziari hanno il 20% qui vs forse il 30% se vendessero la casa, c’è un lieve sacrificio in loro danno. Il giudice potrebbe sollevare il tema convenienza: però Rosa dimostra che il marito non è d’accordo a vendere la casa (è in comunione, vendita coatta di metà immobile è complicata e penalizzante per creditori). Valutando equamente, il giudice omologa il piano: Rosa è meritevole (i debiti derivano da cause comprensibili) e il piano appare sostenibile (400/mese con stipendio 1600 è fattibile). Outcome: Rosa per 5 anni paga €400/mese; i creditori finanziari ottengono il loro 20% e l’Erario 100%. Al termine, Rosa è esdebitata: le viene cancellato il restante 80% dei debiti finanziari. Può continuare la sua vita senza debiti, mantenendo la casa.

Esempio pratico (Concordato minore)

Caso 10: Piccolo imprenditore indebitato – Il sig. Carlo gestiva una piccola officina (ditta individuale, autoriparatore). Ha chiuso l’attività per pensionamento, ma gli rimangono debiti di fornitura (€50k) e un debito bancario chirografario (€30k). Non ha potuto pagarli perché alcuni clienti non l’hanno saldato. Ha in proprietà un capannone del valore di €80k. Vorrebbe evitare pignoramenti e trovare una soluzione equilibrata. Chi può accedere? Carlo è un imprenditore non fallibile (ricavi sotto soglia) e non è consumatore (i debiti sono dell’attività): rientra nel concordato minore. Presenta una proposta: vendere il capannone e con il ricavato (stimato €80k) pagare i creditori in parte. Stima di poter pagare circa il 70% dei debiti (detratte spese procedura, oneri vendita). L’OCC redige piano: creditori ammessi al voto sono banca e fornitori (tutti chirografari). Carlo propone: liquidatorio, 70% a saldo dei loro crediti entro 6 mesi dalla vendita. La banca e fornitori votano: entusiasti no, ma razionali sì – è un buon recupero, forse in un pignoramento concorrente otterrebbero meno e con più tempo. Maggioranza: ipotizziamo 80% in valore aderisce (uno dei fornitori piccoli per principio vota no, ma non conta). Il tribunale omologa il concordato minore. Carlo vende il capannone all’asta con l’aiuto dell’OCC, ricava €78k, paga banca e fornitori al 70% concordato (il restante 30% viene cancellato). Outcome: Carlo ha risolto i debiti, pur dovendo cedere l’immobile. Se avesse fatto liquidazione controllata, avrebbe perso comunque il bene e ottenuto esdebitazione, ma con più tempo e potenzialmente costi maggiori erodendo il ricavato. Con il concordato minore ha negoziato un taglio del 30% del debito con l’accordo dei creditori in breve tempo e senza marchio di fallimento.

Esempio pratico (Liquidazione controllata)

Caso 11: Sovraindebitamento forzoso – La sig.ra Anna è un’ex commerciante che ha chiuso il negozio. Ha debiti per €200k (banche, fornitori, fisco) e non ha presentato alcuna proposta di piano. Possiede però un appartamento vacanze di valore. I creditori stanchi decidono di agire: chi può accedere? Un creditore (banca) presenta istanza di liquidazione controllata di Anna, allegando che Anna è insolvente (non paga più da un anno) e che i debiti scaduti superano €50k (qui 200k). Il tribunale verifica che Anna non è soggetta a fallimento (era piccola ditta, ora cessata) e che non ha pendente altra procedura. Dichiara aperta la liquidazione controllata. Viene nominato un Liquidatore e un giudice delegato. Anna perde la disponibilità dell’appartamento vacanze (che viene acquisito alla procedura) e di eventuali altri beni pignorabili. Il liquidatore procede a vendere l’appartamento (valore realizzo ad es €150k) e suddivide: soddisfa prima il Fisco (privilegiato) magari €30k, poi quel che resta ai chirografari (che prendono un 60% dei loro crediti). La procedura si chiude in 1,5 anni. Outcome: Anna ha subito di fatto un “fallimento personale”: ha perso il bene, i creditori hanno avuto un pagamento parziale. Tuttavia, diversamente che in esecuzioni individuali disordinate, ora Anna può chiedere al termine l’esdebitazione: il tribunale gliela concede, visto che la situazione di insolvenza è derivata da cause economiche e lei ha collaborato (non ha nascosto nulla). Con l’esdebitazione, i €80k di debiti rimasti non pagati vengono cancellati. Anna, sebbene senza più l’immobile, può ricominciare senza quei debiti, magari trovando un lavoro e facendo tesoro dell’esperienza.

Nota: se Anna non avesse avuto l’immobile (nessun attivo da liquidare), i creditori avrebbero potuto comunque chiederne la liquidazione controllata, ma se l’OCC avesse attestato che non c’era proprio nulla da vendere, il tribunale non l’aprirebbe e Anna dovrebbe semmai avviare una procedura di esdebitazione diretta da incapiente. In quel caso, Anna in un unico passaggio otterrebbe la cancellazione dei debiti senza ripagare nulla, per una volta nella vita, data la sua conclamata indigenza.

Domande frequenti (FAQ) su accesso alle procedure concorsuali

D1: Un piccolo imprenditore individuale con pochi dipendenti può essere dichiarato fallito?
R: No, se rientra nei limiti di “impresa minore” (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) non è soggetto a liquidazione giudiziale. Tuttavia, i suoi creditori potranno attivare le procedure di sovraindebitamento: ad es. se è insolvente, possono chiederne la liquidazione controllata. Quindi non rimane impunito: semplicemente sarà liquidato con la procedura riservata ai non fallibili. Egli stesso può scegliere di accedere a un concordato minore per ristrutturare i debiti ed evitare la liquidazione.

D2: Un imprenditore agricolo molto indebitato come può risolvere la crisi, non essendo fallibile?
R: L’imprenditore agricolo (di qualsiasi dimensione) è escluso da fallimento per legge, ma rientra nelle procedure da sovraindebitamento. Può dunque proporre un concordato minore (se vuole tentare un accordo con i creditori) oppure, se ciò non è fattibile, essere soggetto a liquidazione controllata. Esempio: un grosso agricoltore insolvente potrebbe subire istanza di liquidazione controllata da parte dei creditori; il tribunale nominerebbe un liquidatore per vendere beni (terreni, macchinari) e pagare i debiti. Al termine, l’agricoltore (persona fisica) potrà essere esdebitato. Per evitare ciò, l’agricoltore potrebbe preferire negoziare un concordato minore offrendo ai creditori un piano di rientro parziale (specie se confida in migliori raccolti futuri).

D3: Un consumatore con molti debiti può accedere al concordato preventivo?
R: No, il concordato preventivo è riservato agli imprenditori commerciali soggetti a fallimento. Un consumatore (persona fisica che ha debiti privati) non rientra tra costoro. La sua strada è la ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore), in sede di sovraindebitamento. Quindi dovrà rivolgersi a un OCC e presentare un piano al tribunale, senza voto dei creditori ma soggetto a omologa. Se invece la persona fisica avesse debiti misti (privati e da una piccola attività economica), occorrerà valutare la prevalenza: se prevalgono quelli personali, si può trattare come consumatore; se quelli d’impresa, dovrà andare su concordato minore.

D4: Ho già utilizzato una procedura da sovraindebitamento 3 anni fa; posso farne un’altra?
R: La legge impone un intervallo minimo di 5 anni prima di poter accedere nuovamente a una procedura di regolazione della crisi da sovraindebitamento (sia piano del consumatore che concordato minore). Quindi, se ne hai già beneficiato 3 anni fa, ora la tua domanda verrebbe dichiarata inammissibile. Dovrai attendere ancora 2 anni. Fanno eccezione i casi di liquidazione controllata: se hai già fatto una liquidazione, per chiedere esdebitazione devi attendere 4 anni, ma di norma non puoi rientrare in un nuovo piano prima di 5 anni. Questa regola serve a evitare abusi (non si può cancellare i debiti ogni tot anni come se nulla fosse).

D5: Un debitore può presentare contemporaneamente più richieste (es. concordato preventivo e accordo di ristrutturazione)?
R: Il Codice prevede un procedimento unitario: se uno stesso debitore deposita più domande concorrenti (es. un concordato preventivo e un accordo 182-bis, o un concordato minore e una liquidazione controllata), il tribunale le riunisce e dà priorità alla soluzione che evita la liquidazione. In pratica, la domanda di concordato o accordo viene esaminata per prima; solo se quella viene dichiarata inammissibile o fallisce, allora si passa alla liquidazione. Ciò incoraggia a tentare prima la ristrutturazione. In ogni caso, non verranno portate avanti due procedure parallele: il giudice ne sceglie una (di solito la conservativa) da trattare prioritariamente.

D6: Se un concordato preventivo non viene approvato dai creditori, il debitore può salvarsi in altro modo?
R: Se i creditori bocciavano il concordato, storicamente il tribunale dichiarava il fallimento (in presenza di insolvenza). Con il nuovo Codice c’è qualche possibilità in più: ad esempio, il debitore potrebbe chiedere al tribunale un cram-down su una classe dissenziente (nel concordato grande) se le altre classi approvano e il piano è comunque conveniente. Oppure, se parliamo di concordato minore, se manca la maggioranza non c’è omologa e tipicamente si apre la liquidazione controllata (il giudice può dichiararla su istanza contestuale). In sintesi: se il concordato viene respinto, l’esito normale è la procedura liquidatoria d’ufficio. Tuttavia, il debitore potrebbe, prima della declaratoria di fallimento/liquidazione, presentare una nuova domanda di concordato (possibilmente migliorativa) se i termini lo consentono, oppure convertire il concordato in un diverso strumento (ad esempio, convertire un concordato preventivo in un piano di ristrutturazione omologato PRO durante il procedimento – il Codice lo consente se pensa di poter soddisfare classi con quel meccanismo). Ma se la situazione è che i creditori non approvano e non c’è alternativa, si va a liquidazione.

D7: Nella composizione negoziata, i creditori possono rifiutarsi di partecipare?
R: Sì. La composizione negoziata è volontaria anche per i creditori: l’esperto invita tutti al tavolo, ma se uno o più creditori importanti rifiutano ogni trattativa, non c’è modo di costringerli a un accordo. L’unico “vincolo” che può essere applicato è la sospensione temporanea delle azioni esecutive (tramite misure protettive): in quel periodo il creditore recalcitrante non può pignorare beni, ma resta libero di dire “no” a qualunque proposta. La speranza è che la pausa forzata lo induca a negoziare. Qualora proprio non si trovi accordo, la CNC terminerà senza intesa e si dovrà passare alle procedure concorsuali formali (concordato, ecc.) per risolvere la crisi.

D8: Che succede se durante la composizione negoziata il debitore agisce scorrettamente (ad es. favorisce un creditore di nascosto)?
R: L’esperto ha il dovere di vigilare e segnalare atti pregiudizievoli. Se il debitore compie atti incoerenti col piano o che danneggiano i creditori (es. pagamento preferenziale non autorizzato), l’esperto avvisa immediatamente il tribunale. Il tribunale può a quel punto revocare le misure protettive concesse o dichiarare la chiusura anticipata della composizione negoziata. In altre parole, il debitore perderebbe la protezione e i creditori potrebbero subito attivarsi (anche per istanza di fallimento). Inoltre, quell’atto potrà essere dichiarato inefficace (se era protetto dal divieto di pagamenti) o considerato elemento di malafede in eventuali procedure concorsuali successive (rischiando azioni revocatorie o penali). Quindi, è altamente sconsigliato agire scorrettamente: l’istituto funziona se c’è leale collaborazione.

D9: Nella liquidazione controllata, il debitore può conservare qualche bene?
R: Di regola no: è come un fallimento, tutti i beni pignorabili sono destinati a essere liquidati. Ci sono eccezioni per legge: i beni impignorabili (es. stipendio minimo vitale, beni di uso quotidiano, alimenti, ecc.) restano al debitore. Inoltre, se il debitore è una persona fisica, la legge gli consente di mantenere quanto necessario al sostentamento suo e della famiglia (il GD in pratica lascia un badget mensile). Per il resto, case, auto, conti ecc. vanno a massa, anche la prima casa (a differenza del piano del consumatore dove poteva essere protetta se il giudice valutava meritevolezza). Dopo aver liquidato, però, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione e quindi può ricominciare ad accumulare nuovi beni e redditi senza che i vecchi creditori possano più disturbarlo. Quindi l’idea è: rinuncia oggi a ciò che hai, in cambio domani avrai un fresh start.

D10: Se dopo la chiusura di una liquidazione controllata il debitore scopre di avere un nuovo credito (es. un rimborso fiscale) riferito a periodo precedente, va ai vecchi creditori?
R: In linea di principio, se la procedura è chiusa e il debitore ha ottenuto esdebitazione, i creditori vecchi non possono più toccare nulla: eventuali sopravvenienze attive post procedura restano al debitore (a differenza dell’esdebitazione “incapiente” che prevede obbligo di pagamento se arrivano utilità nei 4 anni successivi). Ad esempio, se un debitore liquidato scopre un credito d’imposta di anni passati, ma oramai la procedura è chiusa, quel rimborso è suo libero. I creditori non potrebbero fare nulla perché i debiti pregressi sono stati cancellati. Discorso diverso se il fatto emerge prima della chiusura: in tal caso il liquidatore dovrebbe riaprire riparti includendo quella somma. Ma se è dopo, è fortuna del debitore. Va detto che ciò può generare mugugni; e infatti talvolta i giudici nell’atto di esdebitazione valutano se il debitore ha nascosto volutamente eventuali crediti futuri. Se scoprissero malafede (deb. sapeva di un rimborso in arrivo e non l’ha detto), potrebbero revocare l’esdebitazione (entro l’anno). Altrimenti, amen.

D11: Quali debiti non si cancellano nemmeno con fallimento o sovraindebitamento?
R: Restano comunque dovuti (anche dopo esdebitazione) pochi tipi di crediti: le obbligazioni alimentari (assegni di mantenimento, alimenti dovuti per legge), i debiti da risarcimento di fatti illeciti gravissimi (danni da reati come lesioni personali volontarie, ad esempio, non vengono perdonati), le sanzioni penali o amministrative pecuniarie (multe, ammende) e i debiti per lavoro subordinato in alcune circostanze (per es. retribuzioni dovute ai dipendenti per gli ultimi 2 anni, protette da privilegio speciale, se non pagate non si cancellano – ma di solito sono privilegiate e vengono pagate prima comunque). Questi principi valgono tanto nell’esdebitazione post-liquidazione giudiziale quanto in quella sovraindebitamento. Anche l’IVA in passato era considerata non falcidiabile; oggi però nei concordati e accordi si può trattare l’IVA (dopo direttiva UE), e in esdebitazione da fallimento l’IVA residua si cancella (Cass. SSUU 2020 l’hanno ammesso, contrariamente al passato). Quindi più che altro restano debiti personali “punitive” (multe) e alimentari. Ad esempio, se Tizio fallito aveva un debito per multa stradale da €1000, dopo esdebitazione quell’importo la legge dice resti dovuto alla PA. In pratica, però, la PA difficilmente riuscirà a riscuoterlo, a meno che Tizio non riceva eredità o simili.

D12: Un socio di SNC fallita può accedere a procedure di sovraindebitamento per i debiti personali residui?
R: Sì, un socio illimitatamente responsabile di società di persone fallita risponde con il suo patrimonio per i debiti sociali non soddisfatti dal fallimento. Egli, però, essendo persona fisica non fallibile (non può fallire due volte per stessi debiti), può utilizzare sovraindebitamento per gestire quella posizione. Ad esempio, spesso i soci di SNC fallita presentano un piano del consumatore o concordato minore per chiudere la partita dei debiti residui verso creditori sociali. La giurisprudenza l’ha ammesso già in vigenza L.3/2012. Il Codice conferma che il socio illimitato (non fallito personalmente) è un debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale (perché la società è stata fallita ma lui no in via autonoma) e quindi può accedere. Occorre valutare se i debiti a suo nome derivano tutti dall’attività (allora concordato minore) o sono misti (potrebbe anche fare piano consumatore se la SNC era piccola e lui agiva più come privato garante).

D13: Cosa si intende per apporto esterno del 10% nel concordato liquidatorio?
R: Significa che nel concordato preventivo liquidatorio puro, il legislatore richiede che il debitore procuri risorse aggiuntive estranee al patrimonio già compreso nella procedura pari ad almeno il 10% dell’attivo che verrà liquidato. Ad esempio: se l’azienda ha beni che liquidati danno 1 milione (attivo disponibile), il debitore deve far sì che almeno €100k di risorse nuove confluiscano – tipicamente attraverso nuovi finanziatori (soci, terzi) che immettono denaro o garanzie – così da accrescere il monte attivo a 1,1 milioni. Questo per far partecipare chi è interessato a evitare il fallimento (soci, investitori) ai costi, e per incrementare la soddisfazione dei creditori. Inoltre, contestualmente, deve garantire almeno il 20% ai chirografari. Se il debitore non può trovare tali risorse esterne, non può fare un concordato solo liquidatorio e dovrebbe optare per la liquidazione giudiziale. Nota: queste soglie valgono soltanto per il concordato preventivo liquidatorio “grande”; nel concordato minore non sono scritte (anche se in pratica i creditori difficilmente accetterebbero meno). Nel PRO, come visto, non valgono proprio.

D14: Cos’è il concordato semplificato e in che casi i creditori non votano?
R: Il concordato semplificato per la liquidazione è una procedura prevista dall’art. 25-sexies CCII, introdotta nel 2021: se un imprenditore ha tentato la composizione negoziata ma non è riuscito a raggiungere accordo con i creditori, ed è insolvente, può proporre entro 60 giorni un piano di concordato solo liquidatorio da omologare senza passare per il voto dei creditori. I creditori vengono solo informati e possono formulare osservazioni, ma la decisione spetta interamente al tribunale, che valuta se il piano è vantaggioso rispetto all’alternativa del fallimento e se non ci sono irregolarità. Se omologa, si procede a liquidare i beni e i creditori vengono soddisfatti secondo il piano, che di solito prevede percentuali di rimborso. È uno strumento di emergenza per chi ha provato la via negoziale e vuole evitare la formalità di un concordato preventivo classico (che tanto non sarebbe approvato dai creditori, presumibilmente). Ad esempio, nel concordato semplificato non vale la regola del 20% minima, quindi un debitore molto squattrinato può presentare un piano che dà anche solo il 5-10% ai chirografari se quello è il valore di realizzo, e il tribunale potrebbe omologarlo se convinto che in fallimento sarebbe uguale o peggio. I creditori subiscono la decisione ma di fatto non verrebbero comunque pagati di più altrove. Attualmente, il concordato semplificato è previsto come misura temporanea (fino al 2025, prorogabile) e, per quanto “forte” (toglie il voto ai creditori), è poco usato perché richiede di passare prima per la composizione negoziata.

D15: Quali sono le principali novità del 2022-2024 in materia concorsuale?
R: Le riforme più recenti hanno: (i) introdotto la composizione negoziata e il collegato concordato semplificato (2021); (ii) abbassato le soglie di accesso al concordato minore (prima accordo 60%, ora 50%) e semplificato la valutazione di meritevolezza per i consumatori (2020-22); (iii) creato il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), dando più flessibilità al debitore in crisi per soluzioni negoziate con classi; (iv) inserito la possibilità di cram-down del tribunale su classi dissenzienti nel concordato preventivo “normale” (recependo direttiva UE); (v) previsto la esdebitazione anche per il sovraindebitato incapiente e in generale uniformato l’esdebitazione fallimentare (ora più ampia); (vi) ampliato la platea di soggetti che possono subire procedure (ora i creditori possono attivare la liquidazione controllata verso chi prima era intoccabile, es. grandi professionisti insolventi). Inoltre, nel 2024 è stato emanato un decreto correttivo (D.lgs. 136/2024) con ritocchi: ad esempio, ha esteso la possibilità di concordato preventivo alle società in liquidazione (prima dubbio), ha semplificato la documentazione per accedere alla composizione negoziata, ha prorogato la vigenza di alcune misure (concordato semplificato valido fino a fine 2025). Anche la digitalizzazione delle procedure è in corso: oggi domande e voti possono avvenire via PEC come standard.

Conclusione e Fonti normative/giurisprudenziali

In conclusione, il sistema concorsuale italiano offre una gamma articolata di procedure adatte ai vari tipi di debitori e situazioni di crisi, con un approccio sempre più orientato al recupero dell’impresa in difficoltà e alla soddisfazione negoziata dei crediti ove possibile, riservando la liquidazione giudiziale ai casi estremi. La chiave di volta è indirizzare ogni debitore verso lo strumento appropriato (“chi può accedere a cosa”), nel rispetto dei requisiti soggettivi e oggettivi delineati dal Codice della Crisi e dalle interpretazioni giurisprudenziali recenti. Di seguito elenchiamo le fonti normative citate e le principali decisioni giurisprudenziali menzionate, aggiornate a giugno 2025, che costituiscono riferimenti autorevoli per gli istituti trattati.

Fonti normative principali:

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – in vigore dal 15 luglio 2022 (come modificato dal D.lgs. 17 giugno 2022 n. 83 e dal D.lgs. 15 luglio 2022 n. 85, attuativi direttiva UE 2019/1023, nonché dal D.lgs. 28 settembre 2023 n. 136). In particolare:
    • Art. 2 CCII – Definizioni (impresa minore, sovraindebitamento, crisi, insolvenza)
    • Art. 49 CCII – Condizioni di non apertura della liquidazione giudiziale (soglia €30.000 debiti scaduti)
    • Art. 84 CCII – Concordato preventivo: presupposti e forme (continuità vs liquidatorio, soglie 20% e 10%)
    • Artt. 64-bis/ter/quater CCII – Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)
    • Art. 90 CCII – Requisiti attestatore (indipendenza)
    • Artt. 12-25-sexies CCII – Composizione negoziata e concordato semplificato
    • Artt. 65-73 CCII – Disposizioni generali sovraindebitamento (definizione sovraindebitamento, competenza, OCC)
    • Art. 69 CCII – Meritevolezza consumatore (causa ostativa: colpa grave, malafede o frode)
    • Artt. 74-83 CCII – Concordato minore (condizioni, procedimento, omologazione)
    • Artt. 67-68 CCII – Ristrutturazione debiti del consumatore (omologazione senza voto creditori)
    • Artt. 268-277 CCII – Liquidazione controllata (presupposti, iniziativa anche creditori, svolgimento)
    • Art. 282-283 CCII – Esdebitazione del sovraindebitato (comprende debitore incapiente)
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (vecchia legge sul sovraindebitamento) – oggi abrogata e confluita nel CCII, ma utile per comprendere continuità interpretative (es. art. 12-bis L.3/2012 su piano consumatore, art. 14-quaterdecies su esdebitazione incapienti). Cass. 22890/2023 ne commenta l’evoluzione.
  • Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (Legge Fallimentare) – abrogato dal CCII, ma rileva per principi e per fallimenti pendenti ante 2022. Ad es. art. 1 l.fall. (soglie piccola impresa), art. 15 (soglia €30k debiti scaduti), art. 160 (concordato preventivo con 20%), art. 67 (revocatorie), art. 142-144 (esdebitazione fallito). Molte di queste norme sono state riprese.
  • Decreto-Legge 24 agosto 2021 n. 118 conv. L.147/2021 – istitutivo della Composizione Negoziata (poi trasfusa in CCII).
  • Direttiva (UE) 2019/1023 – direttiva Insolvency (implementata dal d.lgs 83/2022) – principi di allerta, piani di ristrutturazione, protezione dell’impresa in crisi, cross-class cram down.

Principali pronunce giurisprudenziali:

  • Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019 n. 34447Fallimento di società e soci illimitati: afferma che il socio illimitatamente responsabile non può essere dichiarato fallito separatamente dalla società (principio di carattere generale poi modificato nel CCII che prevede fallimento unitario società-soci). Rilevante storicamente.
  • Cass., Sez. I, 14 novembre 2017 n. 26926Soglia €30.000 debiti scaduti (art.15 l.f.): chiarisce che il limite si riferisce al totale dei debiti scaduti risultanti, non all’importo del singolo creditore istante. Principio applicato ora all’art. 49 CCII.
  • Cass., Sez. I, 27 settembre 2019 n. 24138Onere prova non fallibilità: ribadisce che spetta all’imprenditore dimostrare il possesso congiunto dei requisiti di piccolo imprenditore per sottrarsi al fallimento (nel CCII art. 121 conferma tale onere a carico debitore).
  • Cass., Sez. I, 22 luglio 2024 n. 20059Indipendenza attestatore concordato: annulla omologa di concordato preventivo per conflitto di interessi dell’attestatore, sottolineando i rigorosi requisiti di indipendenza dell’esperto (art. 90 CCII).
  • Cass., Sez. I, 16 settembre 2024 n. 27782Concordato preventivo e cram-down interclasse: conferma che il tribunale può omologare un concordato anche con il dissenso di classi di creditori, applicando l’art. 112-bis CCII (recepimento direttiva) in presenza dei presupposti (almeno una classe favorevole e rispetto best interest per dissenzienti).
  • Cass., Sez. I, 27 luglio 2023 n. 22890Meritevolezza nel piano del consumatore riformato: sancisce che va applicato il nuovo criterio unico (assenza di colpa grave, malafede o frode) introdotto dall’art. 4-ter D.L.137/2020, distinto dal precedente test tripartito. Stabilisce applicazione retroattiva della norma più favorevole ai procedimenti pendenti.
  • Cass., Sez. I, 8 novembre 2023 n. 22699Debiti promiscui e accesso al piano del consumatore: conferma che l’accesso alla procedura da consumatore è ammesso anche in presenza di debiti misti (es. derivanti in parte da attività d’impresa cessata), purché prevalga l’origine consumeristica e il debitore non persegua fini di impresa. Allinea la giurisprudenza alla prassi di merito che già ammetteva tale flessibilità (Trib. Milano 27/10/2023).
  • Cass., Sez. I, 9 aprile 2020 n. 7877Divieto di pagamenti nel concordato preventivo (art. 54 CCII / 168 l.f.): conferma la nullità dei pagamenti di crediti anteriori eseguiti dopo il deposito della domanda di concordato, in assenza di autorizzazione del tribunale. Tale principio tutela la par condicio nella procedura.
  • Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2020 n. 3274IVA ed esdebitazione: storica pronuncia che ha escluso che l’IVA rientri tra i debiti inesdebitabili ex art. 142 l.fall., superando un precedente orientamento. Quindi l’esdebitazione libera anche dal debito IVA residuo post-fallimento, in coerenza con il principio europeo di fresh start.
  • Cass., Sez. I, 6 marzo 2018 n. 5358Accordo di ristrutturazione e trattamento creditori estranei: stabilisce che l’accordo 182-bis non può imporre sacrifici ai creditori non aderenti, i quali vanno pagati alle scadenze originarie o al massimo entro 120 gg dall’omologa se scaduti, pena il diniego di omologa per pregiudizio.
  • Corte App. Venezia, 11 marzo 2021Prova dei requisiti non fallibilità: afferma che i bilanci costituiscono prova privilegiata del mancato superamento delle soglie, ma ammette prove alternative a carico dell’imprenditore (richiama Cass. 30541/2018 e Cass. 24138/2019).
  • Tribunale di Milano, 15 aprile 2022Omologa primo concordato semplificato: (decr.) ha omologato un concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII, evidenziando come in assenza di voto sia dovere del tribunale scrutinare a fondo la convenienza del piano e l’assenza di soluzioni migliori per i creditori. Caso: omologato con pagamento ~30% chirografari vs fallimento stimato 20%.
  • Tribunale di Napoli Nord, 5 luglio 2023Piano consumatore con debiti d’impresa: ha omologato un piano ex art. 67 CCII presentato da un soggetto ex imprenditore individuale, ritenendo prevalente la sua posizione di consumatore rispetto ad alcune esposizioni legate all’attività cessata. Conclude per l’ammissibilità estensiva in linea con Cass. 22699/2023.
  • Tribunale di Roma, 14 ottobre 2022Accordo ristrutturazione “agevolato” al 35%: ha omologato un accordo ai sensi dell’art. 61 CCII con adesione di soli il 35% dei crediti, considerando che i creditori estranei venivano pagati integralmente e dunque i presupposti del “accordo ad efficacia estesa/agevolato” erano soddisfatti. Prima applicazione pratica della soglia ridotta al 30%.

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