Hai un’azienda in difficoltà economica e stai cercando un modo per evitare il tracollo e salvare il tuo business? Ti stai chiedendo se un avvocato può davvero aiutarti in un momento così delicato, e cosa fa esattamente un legale esperto in risanamento aziendale e pianificazione fiscale?
Quando l’equilibrio finanziario di un’impresa vacilla, non basta ridurre le spese o tagliare qualche fornitore. Serve una strategia chiara, concreta, che tenga insieme numeri, obblighi fiscali, rapporti coi creditori e tutela del patrimonio. Ed è qui che entra in gioco un avvocato specializzato.
Ma cosa fa, nel concreto, un avvocato esperto in risanamento aziendale e pianificazione fiscale?
Il suo ruolo è quello di affiancare l’imprenditore nella gestione della crisi, proponendo soluzioni legali sostenibili per contenere i debiti, evitare rischi fiscali e trovare un piano per la continuità o, se necessario, una chiusura ordinata.
In particolare, si occupa di:
- analizzare i bilanci, la posizione debitoria e gli obblighi fiscali pendenti;
- individuare eventuali esposizioni critiche verso banche, fornitori o Fisco;
- studiare strumenti di composizione negoziata della crisi, piani di ristrutturazione o liquidazione controllata;
- elaborare piani di risanamento aziendale con riduzione dei costi, rinegoziazione dei debiti e protezione della responsabilità degli amministratori;
- intervenire nella pianificazione fiscale, per ridurre il carico tributario legalmente e impostare una gestione sostenibile delle imposte.
E cosa cambia se ti affidi a un professionista legale?
A differenza del semplice consulente contabile o finanziario, un avvocato può assisterti anche nelle fasi più critiche, come trattative con i creditori, contenziosi tributari, redazione di accordi vincolanti o difesa in giudizio. Non solo: è in grado di anticipare i rischi e costruire soluzioni che proteggano l’impresa e chi la guida.
Attenzione: aspettare troppo può limitare le opzioni.
Molti imprenditori si rivolgono a un avvocato quando è già troppo tardi. Ma il momento giusto per chiedere aiuto è quando i primi segnali di difficoltà iniziano a farsi sentire: ritardi nei pagamenti, tensioni di cassa, accertamenti fiscali in arrivo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, risanamento e fiscalità – ti spiega cosa fa un avvocato specializzato in risanamento aziendale e pianificazione fiscale, quando è utile rivolgersi a lui e come possiamo aiutarti a salvare l’impresa prima che sia troppo tardi.
La tua azienda è in difficoltà e vuoi sapere se esistono soluzioni concrete per evitare il fallimento?
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Introduzione
Un avvocato esperto in risanamento aziendale e pianificazione fiscale assiste imprese e individui indebitati nel superare situazioni di crisi finanziaria, sfruttando tutti gli strumenti giuridici e fiscali disponibili nell’ordinamento italiano. Il suo ruolo è quello di guidare il debitore (sia esso un imprenditore, una società o un privato) attraverso procedure di ristrutturazione del debito e processi concorsuali, minimizzando le conseguenze negative e massimizzando le chances di recupero dell’equilibrio economico. Questa guida esamina in dettaglio cosa fa tale professionista, analizzando normative aggiornate a giugno 2025, con linguaggio tecnico ma accessibile, e ponendo l’accento sul punto di vista del debitore.
Dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022 e più volte modificato) fino alla disciplina fiscale connessa alle procedure di risanamento, il quadro normativo italiano oggi offre una gamma completa di soluzioni. L’avvocato specializzato deve padroneggiarle tutte: dagli strumenti stragiudiziali (come la composizione negoziata e il piano attestato di risanamento) a quelli concorsuali giudiziali (accordi di ristrutturazione omologati, concordato preventivo – anche nelle sue varianti – e la liquidazione giudiziale), senza dimenticare le procedure rivolte ai soggetti sovraindebitati non fallibili. Parallelamente, deve curare la pianificazione fiscale durante la crisi, utilizzando interpelli e agevolazioni (es. Patent Box, consolidato fiscale, crediti d’imposta) e gestendo il contenzioso con il Fisco, inclusa la transazione fiscale e le definizioni agevolate, per ridurre il carico tributario sul debitore.
Nelle sezioni seguenti verranno analizzati approfonditamente tutti questi istituti giuridici, con riferimenti normativi aggiornati, richiami alla giurisprudenza più recente (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, Corti d’Appello e Tribunali) e simulazioni pratiche. L’attenzione sarà focalizzata sulle tutele e opportunità per il debitore, ossia come un avvocato può utilizzarle per proteggere l’impresa o la persona in difficoltà, evitando conseguenze peggiori (come la liquidazione fallimentare o responsabilità personali) e favorendo un rilancio dell’attività. Tabelle riepilogative e una sezione FAQ aiuteranno a sintetizzare i concetti chiave, mentre in chiusura si fornirà un elenco completo delle fonti normative e giurisprudenziali citate.
Quadro Normativo Italiano del Risanamento Aziendale
Negli ultimi anni l’Italia ha introdotto una riforma organica della disciplina della crisi d’impresa. Il perno è il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.lgs. 14/2019 ed entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022, in attuazione della legge delega n. 155/2017 e in recepimento della Direttiva UE 2019/1023 (sui quadri di ristrutturazione preventiva). Questo Codice ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) e le normative sul sovraindebitamento (L. 3/2012), con l’obiettivo di modernizzare le procedure, renderle più efficienti e favorire il risanamento rispetto alla liquidazione.
Il quadro normativo è stato successivamente integrato e corretto da vari provvedimenti: un primo decreto correttivo (D.lgs. 147/2020), l’introduzione urgente della composizione negoziata con D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021), un secondo correttivo nel 2022 (D.lgs. 83/2022, che ha allineato il Codice alla direttiva UE) e un terzo correttivo nel settembre 2024 (D.lgs. 136/2024). Quest’ultimo, denominato “Correttivo-ter”, ha apportato ulteriori migliorie, ad esempio consentendo la falcidia dei debiti fiscali anche nella composizione negoziata e nei piani di ristrutturazione ad omologazione (PRO), e chiarendo le condizioni di cram-down (omologazione forzata) nei concordati e accordi.
Principi generali e finalità della riforma
Il Codice della Crisi enfatizza principi innovativi, tra cui: prevenzione e allerta precoce, salvataggio dell’impresa in funzionamento (continuità aziendale) ove possibile, fresh start (liberazione dai debiti residui per il debitore onesto) e tutela dei creditori mediante soluzioni concordate e trasparenti. L’avvocato di crisi deve assicurarsi che il debitore adempia ai nuovi obblighi di allerta interna: l’art. 2086 c.c., modificato dal Codice, impone all’imprenditore collettivo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati a rilevare tempestivamente gli indizi di crisi. Ciò significa implementare sistemi di controllo di gestione, monitoraggio dei flussi finanziari e indicatori (DSCR, ecc.) che segnalino uno squilibrio economico-patrimoniale incipiente. In caso di segnali di allarme, scattano obblighi di attivazione: ad esempio, gli organi di controllo societari (collegio sindacale, revisore) devono segnalare al CDA la necessità di intervenire, e i creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agente della Riscossione) possono effettuare segnalazioni se vi sono ritardi consistenti nei pagamenti di tributi o contributi.
L’approccio normativo corrente privilegia dunque la composizione negoziata e il risanamento rispetto alla liquidazione giudiziale “tradizionale” (il vecchio fallimento). A tal fine, il Codice prevede una graduazione di strumenti: si parte da procedure assistite stragiudiziali (volontarie e riservate) per poi, se necessario, passare a procedure concorsuali giudiziali più strutturate. Ogni strumento ha specifiche condizioni di accesso e obiettivi, ma tutti mirano a regolare in modo ordinato la crisi o l’insolvenza, garantendo il rispetto della parità di trattamento dei creditori (salvo deroghe concordate) e – nel caso di soluzioni concordate – la maggior soddisfazione possibile rispetto all’alternativa liquidatoria.
Va sottolineato che il concetto di insolvenza rimane centrale: per insolvenza si intende l’incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 2 CCII), mentre lo stato di crisi è definito come il probabile futuro stato di insolvenza (concetto più sfumato, indicativo di difficoltà non ancora irreversibili). Gli strumenti di allerta e i piani di risanamento si attivano in fase di “crisi” (quando l’insolvenza non è ancora conclamata ma c’è rischio concreto), per evitare che si arrivi all’insolvenza irreversibile.
Un altro elemento cardine è la suddivisione tra soggetti fallibili e non fallibili. Le imprese commerciali che superano determinate soglie dimensionali sono soggette alle procedure concorsuali ordinarie (concordato, liquidazione giudiziale). Gli imprenditori più piccoli (sotto soglia) e i non imprenditori (privati, professionisti, start-up innovative non ancora profittevoli, imprenditori agricoli tradizionalmente non fallibili) rientrano invece nelle procedure di sovraindebitamento disciplinate dal Codice. L’avvocato deve quindi valutare il “tipo” di debitore per scegliere il percorso corretto: ad esempio, un artigiano individuale di ridotte dimensioni potrebbe accedere solo agli strumenti di sovraindebitamento e non al concordato preventivo.
Le sezioni successive illustreranno tutti gli strumenti di risanamento oggi disponibili, che riepiloghiamo brevemente:
- Composizione negoziata della crisi: procedura volontaria e stragiudiziale introdotta nel 2021, con assistenza di un esperto indipendente, per agevolare accordi con i creditori e il risanamento extra-giudiziale dell’impresa.
- Piano attestato di risanamento: piano di risanamento ad efficacia protettiva (da revocatorie e, fiscalmente, da tassazione delle sopravvenienze) asseverato da un professionista indipendente, da eseguire privatamente con il consenso individuale dei creditori coinvolti.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti: accordi con una maggioranza qualificata di creditori (almeno 60%) omologati dal tribunale, vincolanti per i soli aderenti (salvo estensioni particolari a certe classi di dissenzienti), con effetti protettivi durante le trattative.
- Piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione (PRO): nuovo strumento ibrido (introdotto in attuazione della direttiva UE) che consente di ottenere l’omologazione di un piano di risanamento anche non rispettoso delle cause di prelazione (ordine di priorità dei crediti) purché tutte le classi di creditori lo approvino. È una procedura concorsuale flessibile, senza voto a maggioranza perché richiede l’unanimità delle classi, che si pone a metà tra un accordo negoziale e un concordato.
- Concordato preventivo: classica procedura concorsuale che consente al debitore in crisi o insolvente di proporre ai creditori un piano, suddividendo i creditori in classi, da votare a maggioranza e sottoporre all’omologazione del tribunale. Può essere in continuità aziendale (se prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa, diretta o indiretta) oppure liquidatorio (cessazione dell’attività e liquidazione del patrimonio). Il concordato preventivo è uno strumento centrale e, a tutela dei creditori, prevede requisiti come una soglia minima di pagamento dei chirografari nel caso liquidatorio (20%) e l’apporto di eventuali risorse esterne. Esistono varianti come il concordato con riserva (domanda “in bianco” con piano da presentare successivamente) e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (introdotto nel 2021, riservato all’esito infruttuoso di una composizione negoziata, da svolgersi senza voto dei creditori).
- Liquidazione giudiziale: è la procedura giudiziaria che sostituisce il fallimento, da avviarsi quando l’insolvenza è ormai conclamata e non vi sono prospettive di risanamento. Implica lo spossessamento dell’imprenditore, la nomina di un curatore, la vendita di tutti i beni e il riparto del ricavato ai creditori secondo l’ordine dei privilegi. Rappresenta l’ultima ratio se ogni tentativo di risanamento fallisce.
Accanto a questi, il Codice disciplina in modo unitario le procedure di sovraindebitamento (per debitori civili e piccoli imprenditori non soggetti a liquidazione giudiziale): il piano di ristrutturazione del consumatore, l’accordo di composizione della crisi (per imprenditori minori e professionisti) e la liquidazione controllata del sovraindebitato, con possibilità di esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) anche per il debitore meritevole che non ha alcun patrimonio (c.d. esdebitazione del debitore incapiente). Su questi torneremo diffusamente più avanti.
In sintesi, il sistema normativo attuale offre un ventaglio completo di soluzioni per aiutare il debitore in difficoltà, dal supporto negoziale iniziale fino alla chiusura dell’attività con esdebitazione finale. Un avvocato esperto in risanamento aziendale deve saper individuare lo strumento più adatto al caso concreto, assicurandosi di rispettare le condizioni di legge e di massimizzare il risultato per il proprio cliente (che tipicamente è il debitore) in termini di continuità dell’impresa o, quando ciò non sia possibile, di riduzione delle proprie esposizioni debitorie e responsabilità.
Nel capitolo seguente esamineremo uno a uno tutti gli strumenti di risanamento, analizzandoli in dettaglio dal punto di vista normativo e pratico (con giurisprudenza rilevante), focalizzandoci sul ruolo che l’avvocato svolge in ciascuno di essi per conto del debitore.
Strumenti di Risanamento Aziendale
In questa sezione approfondiamo i singoli istituti giuridici a disposizione per la gestione della crisi o insolvenza di un’impresa dal lato del debitore. Per ciascuno strumento vedremo cosa prevede la legge italiana (aggiornata al 2025), quando e come può essere utilizzato e quale è il ruolo concreto dell’avvocato nel tutelare il debitore e condurre a buon fine la procedura. Verranno altresì citati i principali precedenti giurisprudenziali che ne hanno delineato l’interpretazione. Gli strumenti sono presentati in ordine tendenziale “dal meno invasivo al più invasivo”, partendo da quelli volontari e negoziali fino a quelli concorsuali giudiziali e, in ultimo, la liquidazione.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
La composizione negoziata è un istituto introdotto di recente (dal D.L. 118/2021, conv. in L. 147/2021, ora integrato nel Codice della Crisi) per offrire all’imprenditore in difficoltà uno strumento di risanamento stragiudiziale assistito. Si tratta di una procedura volontaria e confidenziale: l’imprenditore (sia esso società o ditta individuale, commerciale o agricolo) che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, può chiedere la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel tentativo di trovare un accordo con i creditori e altri stakeholders, per ristrutturare l’azienda ed evitare il default.
Accesso e nomina dell’esperto: l’istanza si presenta tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio (ciascuna CCIAA ha una commissione che designa l’esperto da un elenco di professionisti qualificati). Possono accedere alla composizione negoziata tutte le imprese, senza limiti di dimensione (anche PMI sottosoglia e imprenditori agricoli, tradizionalmente esclusi dal fallimento, vi hanno accesso). L’esperto nominato – spesso un commercialista o avvocato con specifica esperienza – agisce come facilitatore: convoca il debitore e i creditori principali e li aiuta a individuare possibili soluzioni di risanamento, neutrale tra le parti.
Svolgimento delle trattative: durante la composizione negoziata il debitore mantiene la gestione ordinaria dell’impresa. L’esperto esamina la situazione economico-finanziaria (il debitore deve fornirgli tutti i dati e un piano di risanamento ipotetico) e redige inizialmente una proposta di strumenti per superare la crisi. Seguono riunioni con i creditori per negoziare moratorie, stralci parziali del debito, nuove finanze o altre operazioni (es. aumento di capitale, cessione di rami d’azienda). Non c’è una procedura concorsuale formale: non si attiva il tribunale, a meno che il debitore non richieda misure protettive o cautelari (v. infra). Tutto avviene sotto la guida dell’esperto, che può suggerire le opzioni ma non ha poteri vincolanti.
Misure protettive e cautelari: il debitore può richiedere al Tribunale la concessione di misure protettive temporanee, depositando l’istanza di composizione. Tali misure (art. 18 CCII) consistono principalmente nel blocco o sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori sul patrimonio del debitore. In pratica, il giudice può ordinare che nessun creditore possa iniziare o proseguire pignoramenti, né acquisire titoli di prelazione (ipoteche giudiziali) per la durata delle trattative (inizialmente fino a 120 giorni, prorogabili di altri 60). Questo “scudo” serve a creare uno spazio di negoziazione sereno, evitando che un singolo creditore aggredisca i beni precipitosamente. Le misure protettive possono essere confermate e prorogate dal giudice previa verifica dei progressi nelle trattative. La giurisprudenza recente ha però chiarito che non è possibile estendere oltre il termine massimo le protezioni ricorrendo a provvedimenti cautelari: il Tribunale di Roma (ord. 19 marzo 2025) ha escluso che, una volta esaurito il periodo di 180 giorni, si possano ottenere misure cautelari ulteriori di analogo contenuto per protrarre la protezione. Ciò in contrasto con precedenti orientamenti più permissivi (ad es. Trib. Milano), ma volto a evitare abusi e aggiramenti dei limiti temporali.
Durante le trattative, se vi è necessità di compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione (es. vendere un bene essenziale o ottenere un finanziamento ponte), il debitore può chiedere al giudice l’autorizzazione, spesso previo parere dell’esperto. Alcune operazioni possono essere autorizzate in deroga a norme che altrimenti ostacolerebbero il risanamento: ad esempio, è ammesso contrarre finanziamenti prededucibili (cioè che saranno rimborsati con precedenza in caso di successivo fallimento) o trasferire l’azienda senza incorrere in azioni revocatorie future, se l’esperto certifica che servono al risanamento.
Esito della composizione negoziata: entro il termine (massimo 180 giorni salvo eccezioni) l’esperto redige una relazione finale sulle trattative. Possibili esiti sono: (a) accordo stragiudiziale raggiunto – l’impresa conclude accordi con i creditori (transazioni, dilazioni, riduzioni) tali da riequilibrare la situazione; (b) necessità di accedere a una procedura concorsuale – se le negoziazioni falliscono o l’esperto rileva che la crisi è troppo grave, il debitore potrà optare per un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione formalizzato; (c) in caso di irreversibile insolvenza conclamata, l’esperto può segnalare che non c’è altra via che la liquidazione giudiziale. Se gli accordi raggiunti non coprono tutti i creditori, il debitore potrebbe omologarli tramite un concordato semplificato (procedura senza voto introdotta proprio come sbocco della composizione negoziata fallita). Nel concordato semplificato, il debitore propone al tribunale la liquidazione dei propri beni secondo un piano e il tribunale può omologarlo se ritiene che i creditori ricevano almeno quanto otterrebbero in un fallimento. Si noti che il concordato semplificato non prevede il voto dei creditori, proprio per evitare ulteriore dispendio di tempo dopo trattative già tentate.
Se invece la composizione negoziata ha successo, l’accordo raggiunto con i creditori rimane di natura contrattuale privata. Può trattarsi di un unico accordo multi-creditore oppure di una serie di accordi bilaterali (ad esempio: le banche concordano una moratoria mutui, i fornitori accettano uno stralcio del X%, i soci apportano nuovi fondi, ecc.). Questo accordo non richiede omologazione giudiziale (salvo il caso particolare dell’accordo fiscale infra). Tuttavia, per alcuni tipi di crediti pubblici la legge nel 2021 non prevedeva soluzioni, e molti percorsi negoziali fallivano perché l’Erario o l’INPS non potevano legalmente acconsentire a riduzioni senza una procedura concorsuale formale. Il Correttivo 2024 ha colmato questa lacuna: da ottobre 2024, durante la composizione negoziata è ora possibile presentare alle Agenzie Fiscali (Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione) una proposta di accordo transattivo sui debiti fiscali, con pagamento parziale o dilazionato di imposte e relativi accessori. Ciò equivale a una “mini-transazione fiscale” in sede negoziale. La proposta va corredata da una relazione di un professionista indipendente che attesti la convenienza per l’Erario rispetto alla liquidazione giudiziale alternativa. Se le Agenzie fiscali accettano la proposta, si forma un accordo che viene poi comunicato all’esperto e depositato in Tribunale: il giudice, verificata la regolarità formale, lo autorizza e da quel momento l’accordo fiscale diviene efficace e vincolante. Questo accordo fiscale è risolutivamente condizionato: decade di diritto se il debitore entro 60 giorni dalle scadenze non esegue integralmente i pagamenti convenuti, o se viene aperta poi una liquidazione giudiziale. Importante: la legge esclude il cram-down del Fisco nella composizione negoziata – ossia, il tribunale non può forzare l’adesione dell’Erario se questo rifiuta, data la natura volontaria e stragiudiziale della procedura. Dunque il successo sul fronte fiscale dipende dalla collaborazione dell’Agenzia Entrate, che valuterà la convenienza dell’offerta rispetto a un fallimento.
L’avvocato che assiste il debitore in composizione negoziata svolge diverse funzioni cruciali: aiuta a predisporre l’istanza iniziale e a raccogliere le informazioni richieste (piano finanziario, lista debiti, etc.), interagisce con l’esperto spiegando la strategia di risanamento proposta, negozia con i creditori fianco a fianco col debitore alle riunioni, redige bozze di accordi transattivi e convenzioni di moratoria, e cura eventuali istanze al Tribunale (per misure protettive, per autorizzazioni a finanziamenti, ecc.). Un legale esperto sa come convincere i creditori della bontà del piano, magari evidenziando che l’alternativa (liquidazione) sarebbe peggiore per loro – concetto che l’attestazione dell’esperto spesso confermerà. Inoltre, l’avvocato vigila affinché il debitore rispetti gli obblighi di condotta: ad esempio, in composizione negoziata il debitore deve astenersi da atti che possano aggravare la posizione dei creditori (pena la revoca delle misure protettive), e non può occultare informazioni all’esperto. Un comportamento non collaborativo porterebbe l’esperto a interrompere le trattative. Il legale, dunque, consiglia il cliente su cosa fare o non fare durante la procedura (ad esempio, pagare regolarmente la merce corrente e i contributi maturandi, ma evitare di preferire taluni creditori anteriori senza accordo generale).
Un elemento di giurisprudenza di merito interessante: il Tribunale di Milano (ottobre 2022) ha ammesso che le misure protettive possono essere concesse anche a tutela di coobbligati e fideiussori dell’imprenditore in composizione negoziata, persino se questi non siano formalmente parte della procedura, quando costituiscano imprenditori di fatto. Ad esempio, il socio che ha prestato garanzia potrebbe beneficiare della sospensione delle azioni sul suo patrimonio se ciò facilita il risanamento complessivo. Questo orientamento (confermato da alcune pronunce di merito nel 2025) sottolinea la flessibilità interpretativa pro-debitore in questa fase protetta.
Dal punto di vista numerico, la composizione negoziata sta prendendo piede ma con percentuali di successo modeste (comunque in crescita). Nei primi tre anni (novembre 2021 – fine 2024) in Italia sono state presentate quasi 2.000 istanze di composizione negoziata. Secondo i dati Unioncamere, a novembre 2024 risultavano 1.963 istanze depositate, di cui 1.097 già concluse: solo il 19% circa con esito favorevole (210 imprese risanate). Nel restante 81% dei casi, le trattative si sono chiuse senza accordo e molte di quelle imprese sono poi approdate a procedure concorsuali o hanno cessato l’attività. È però da evidenziare che il trend è migliorativo: nel 2023 il tasso di successo trimestrale medio era salito al 20,5%. Le cause dei numerosi insuccessi includono: rigidità di alcuni creditori (in primis l’erario, che fino al 2024 non poteva aderire a stralci), casi di crisi troppo avanzata per trovare soluzioni negoziali, o imprese che arrivano tardi allo strumento. Proprio quest’ultimo punto è cruciale: l’avvocato deve sensibilizzare l’imprenditore a non aspettare troppo. Rilevare i primi segnali e avviare la composizione negoziata per tempo aumenta la probabilità di convincere i creditori e salvare l’azienda. Se invece l’insolvenza è già conclamata e manca liquidità per l’operatività corrente, difficilmente una procedura volontaria senza poteri coercitivi potrà risolvere la situazione.
In caso di esito negativo delle trattative, l’esperto lo comunica dettagliatamente. Il debitore, assistito dal legale, dovrà a quel punto valutare in tempi brevissimi le alternative: ad esempio presentare entro 60 giorni domanda di concordato preventivo (spesso con riserva per guadagnare un po’ di tempo e utilizzare il lavoro svolto), oppure proporre il concordato semplificato liquidatorio (se sono maturate offerte di acquisto per l’azienda emerse durante le trattative e i creditori possono essere soddisfatti almeno in parte con quella soluzione). L’avvocato preparerà la relativa domanda e il piano da sottoporre al tribunale. Se invece non c’è fattibilità per nessuna ristrutturazione, il legale potrebbe consigliare al cliente di assumere un atteggiamento collaborativo verso l’inevitabile liquidazione giudiziale (ad esempio presentando istanza di autofallimento per ridurre i tempi e costi, ed evitando condotte che possano aggravare la propria posizione).
In sintesi, la composizione negoziata è uno strumento fondamentale nel nuovo approccio “pre-concorsuale” italiano: consente al debitore di tentare un salvataggio “in extremis” con l’assistenza di un esperto e la protezione del tribunale, ma senza le formalità di una procedura concorsuale vera e propria. L’avvocato specializzato è il regista che guida il debitore attraverso queste negoziazioni delicate, cercando l’accordo e predisponendo ogni dettaglio legale, e predisponendo un “piano B” qualora l’accordo non sia raggiunto.
Piano attestato di risanamento
Il piano attestato di risanamento è uno strumento di origine privatistica, già previsto dalla vecchia legge fallimentare (art. 67, co. 3, lett. d, L.F.) e ora disciplinato nel Codice della Crisi (art. 56 CCII). Esso consiste in un piano di risanamento elaborato dal debitore e asseverato (“attestato”) da un professionista indipendente, avente l’obiettivo di rimuovere lo stato di crisi o di insolvenza dell’impresa. È uno strumento unilaterale e volontario, nel senso che non richiede l’approvazione formale dei creditori o l’intervento del tribunale: è sufficiente che un esperto indipendente (attestatore) certifichi per iscritto che il piano è idoneo a risanare l’impresa e che i dati aziendali su cui si fonda sono veritieri.
Finalità e vantaggi: il piano attestato ha due principali funzioni per il debitore: (1) persuasiva – convincere i creditori a supportare il risanamento (ad esempio, continuando a concedere credito, o rinegoziando i debiti) mostrando loro un progetto serio validato da un esperto; (2) protettiva giuridica – gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato di risanamento non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento del debitore (art. 67, co.3, lett. d L.F. e ora art. 56 CCII). Questo scudo evita che, se la crisi dovesse precipitare comunque in un fallimento, i vantaggi concessi ad alcuni creditori o i finanziamenti nuovi ottenuti vengano annullati dal curatore. Per esempio, una banca che eroga nuova finanza secondo il piano o un fornitore che ottiene un pagamento nel contesto del piano non rischiano che tali atti siano revocati come preferenziali, purché il piano fosse genuino e idoneo al risanamento.
Caratteristiche del piano: il piano di risanamento è essenzialmente un documento (o insieme di documenti) predisposto dal debitore con l’ausilio dei suoi consulenti, contenente l’analisi delle cause della crisi, le strategie di intervento (ristrutturazione del debito, dismissioni di asset, riduzione costi, aumento di capitale, fusione, etc.) e le proiezioni economico-finanziarie che dimostrano la sostenibilità futura dell’impresa una volta attuate le misure. Non essendo una procedura concorsuale, non c’è una struttura rigida: il piano può coinvolgere tutti o solo alcuni creditori, può prevedere pagamenti integrali ad alcuni e falcidie ad altri, può durare nel tempo secondo le esigenze. Tuttavia, per ottenere la protezione della legge, esso deve essere attestato. L’attestatore è un professionista indipendente (di regola un commercialista o revisore, talora un avvocato economista) scelto dal debitore, il quale verifica veridicità dei dati aziendali e fattibilità del piano. Egli deve dichiarare per iscritto che, a suo giudizio, il piano è ragionevolmente idoneo a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e a garantirne l’equilibrio. Tale relazione di attestazione, da allegare al piano, è il fulcro che qualifica il piano come “attestato di risanamento” ai sensi di legge.
È importante notare che l’attestazione non garantisce il successo, ma costituisce un giudizio professionale ex ante. La Cassazione ha chiarito che il giudice, eventualmente investito in seguito (ad esempio in un fallimento sopraggiunto), può sindacare la serietà del piano ai fini della revocatoria: non basta esibire un documento chiamato “piano attestato” per avere automaticamente l’esenzione dalle revocatorie. Se il piano era manifestamente inidoneo allo scopo di risanamento, la protezione può venire meno. In particolare, Cass. civ. Sez. I, ord. 25 marzo 2022 n. 9743 ha affermato che il giudice fallimentare, in sede di azione revocatoria, deve compiere un giudizio ex ante circa l’idoneità del piano a riequilibrare l’impresa, seppur nei limiti della evidenza di inettitudine del piano stesso. Se il piano appariva chiaramente irrealistico o fondato su dati falsi, gli atti esecutivi non godranno dell’esenzione. In pratica, “la sola presenza del piano e dell’attestazione” non produce un effetto protettivo automatico, ma va verificato che il piano avesse una ragionevole possibilità di successo al momento del suo varo. Questa posizione giurisprudenziale – conforme a precedenti (Cass. 3018/2020; Cass. 26226/2016) – sprona gli attestatori a essere rigorosi e i debitori a non usare strumentalmente il piano attestato come “schermo” per atti pregiudizievoli.
Procedura e formalità: il piano attestato, di per sé, non richiede deposito o pubblicità obbligatoria. È un accordo interno fra debitore e (eventualmente) creditori interessati. Tuttavia, ai fini fiscali e per trasparenza verso i terzi, è previsto che si possa (e secondo prassi, si debba) depositare presso il Registro delle Imprese una dichiarazione che il piano è stato predisposto e attestato, con la data e il professionista attestatore (senza rivelare i dettagli riservati). La pubblicazione serve principalmente per ottenere i benefici fiscali di cui sotto.
Rapporto con i creditori: diversamente dall’accordo di ristrutturazione o dal concordato, il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti. Esso infatti non è omologato da un tribunale né prevede un meccanismo di voto a maggioranza. Perciò, ogni creditore deve consensualmente aderire alle eventuali modifiche delle proprie pretese. Il piano, ad esempio, potrà includere accordi bilaterali firmati con singoli creditori: banche che concedono nuova finanza o rinunciano a parte dei crediti, fornitori strategici che accettano un piano di rientro, e così via. Non c’è una soglia legale di adesioni richiesta; in teoria anche con pochi creditori accordati il piano può esistere, ma ovviamente la fattibilità dipende dal coinvolgimento dei principali creditori. Il consenso integrale dei creditori interessati dagli atti dispositivi è necessario (non si può imporre uno stralcio a chi non lo accetta). Il vantaggio è che la flessibilità è massima: si possono trattare singolarmente condizioni diverse con ciascun creditore, senza le rigidità di un trattamento paritario imposto a categorie.
Effetti fiscali: un aspetto delicato dei piani attestati riguarda la tassazione delle sopravvenienze attive. Quando un creditore rinuncia a parte del suo credito (ad es. una banca fa un saldo e stralcio del 30%), per il debitore si genera contabilmente un provento (la riduzione del debito è un “utile”). Normalmente, tale sopravvenienza attiva sarebbe imponibile come reddito. Tuttavia, l’ordinamento prevede una detassazione per favorire i risanamenti: l’art. 88, comma 4-ter del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) esclude da tassazione le riduzioni di debiti che avvengono in esecuzione di alcuni procedimenti concordatari o di un piano attestato di risanamento pubblicato. In particolare, se il piano attestato è predisposto ai sensi di legge e viene depositato al Registro Imprese entro 30 giorni dall’attestazione, le rinunce dei creditori nell’ambito del piano non concorrono a formare il reddito imponibile del debitore. L’Agenzia delle Entrate ha confermato che questa agevolazione si applica anche alle rettifiche contabili derivanti dall’IFRS 9 (riduzione di valore dei debiti) legate all’attuazione del piano. Questo beneficio fiscale è fondamentale: evita che un’impresa che, ad esempio, ottiene €1.000.000 di debiti condonati debba poi pagare ~€280.000 di tasse su quell’importo – evenienza che vanificherebbe il risanamento. L’avvocato fiscalista si assicurerà quindi che tutte le formalità (attestazione regolare, pubblicazione nel registro imprese) siano eseguite, in modo da ottenere la detassazione delle sopravvenienze attive da stralcio di debiti. Allo stesso tempo, sul fronte dei creditori, va ricordato che tali rinunce sono deducibili per loro ai sensi dell’art. 101, c.5 TUIR se il debitore ha completato il piano attestato (o comunque se c’è un’accordo su base concorsuale).
Ruolo dell’avvocato nel piano attestato: il legale specializzato collabora strettamente col management e con gli advisor finanziari dell’impresa per redigere il piano. In particolare: verifica la situazione giuridica dei debiti (contratti, eventuali garanzie, clausole rilevanti), predispone o revisiona gli accordi con i creditori (contratti di ristrutturazione mutui, scritture private di remissione parziale, patti di standstill), consiglia sull’attestatore da nominare (va scelto un professionista di comprovata indipendenza e competenza, ma anche pragmatico). Durante l’implementazione, il legale può suggerire di includere nel piano clausole sospensive (del tipo: l’accordo con i creditori X diviene efficace solo se anche Y aderisce, etc.), per assicurare che il piano sia coordinato. Inoltre, cura la predisposizione della delibera societaria di approvazione del piano e la pubblicazione presso il Registro delle Imprese per attivare la protezione ex art. 88 TUIR.
È essenziale che l’avvocato allerti il cliente sulle responsabilità penali in caso di false attestazioni: l’attestatore infatti risponde penalmente (art. 236-bis L.F. e ora art. 341 CCII) se attesta il falso o omette informazioni rilevanti sul piano di risanamento. E il debitore/amministratore potrebbe essere correo se fornisce dati falsi all’attestatore. Dunque, il piano attestato va costruito con massima trasparenza e correttezza.
Limiti e opportunità: il piano attestato è adatto quando l’impresa ha una platea di creditori non troppo ampia e sufficientemente cooperativa, oppure pochi creditori chiave (ad esempio principalmente banche). Permette di agire rapidamente e in modo riservato, evitando la pubblicità e lo stigma di un concordato. Inoltre, consente di modellare soluzioni molto personalizzate (anche ad es. coinvolgendo soci che apportano denaro e ricevono in cambio la rinuncia dei creditori, operazioni di equity swap, ecc.) al di fuori delle rigidità concorsuali. D’altra parte, se anche un solo creditore importante si chiama fuori e minaccia azioni esecutive, il piano attestato potrebbe essere vanificato. Per questo spesso i piani attestati sono accompagnati da accordi di moratoria: tutti i maggiori creditori firmano una convenzione in cui si impegnano a non agire per un certo periodo mentre il piano decorre. Qualora la situazione del debitore sia ancora instabile, i creditori potrebbero pretendere un “covenant” nel piano per cui, se non vengono rispettati certi risultati, potranno risolvere l’accordo.
Dal punto di vista di un avvocato del debitore, sarà importante anche valutare l’impatto del piano attestato su eventuali garanti e fideiussori: la rinuncia del creditore nel confronti del debitore principale normalmente libera anche i garanti, salvo patto contrario. Quindi, se per esempio gli azionisti hanno garantito dei debiti bancari, la banca potrebbe essere più restia a stralciare parte del credito in un piano attestato (perché così perderebbe anche azione verso i garanti), rispetto a un concordato dove invece potrebbe votare e mantenere la pretesa residua verso i coobbligati. Questo aspetto va negoziato attentamente.
In caso di successivo fallimento, se malauguratamente il piano attestato non riesce a salvare l’azienda, rimane l’effetto di protezione per i terzi che vi hanno confidato: ad esempio, i nuovi finanziatori godranno di prededuzione se previsto dal piano (cioè verranno rimborsati prima di altri crediti in sede fallimentare) e comunque i pagamenti ricevuti dai creditori in esecuzione del piano non saranno revocabili, a meno di piano inidoneo ab origine. Questo crea un incentivo per i partner a collaborare. Tuttavia, è bene evidenziare che la Cassazione ha ritenuto revocabili atti esecutivi di un piano attestato qualora il piano fosse manifestamente irrealizzabile: ciò per evitare l’uso distorto dell’istituto (ad es. un imprenditore che “attesta” un piano farlocco solo per pagare di preferenza un creditore amico prima di fallire non godrà dell’esenzione). Quindi, sostanza batte forma: il piano deve avere sostanza.
In definitiva, il piano attestato di risanamento è uno strumento che un avvocato di crisi proporrà quando l’azienda cliente ha margini di recupero ma vuole evitare procedure formali e pubbliche. Spesso è il primo tentativo di ristrutturazione: se funziona, si evita l’ingresso in concorso; se non funziona, nulla vieta di passare a una fase successiva (accordo omologato o concordato). L’avvocato in questo contesto si muove quasi come un “advisor strategico”, cucendo accordi ad hoc e calibrando la comunicazione tra debitore, attestatore e creditori per ristabilire la fiducia attorno all’impresa in crisi.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono uno strumento giuridico intermedio tra il piano attestato (privatistico) e il concordato preventivo (concorsuale). Introdotti nell’ordinamento nel 2005 (art. 182-bis L.F.) e confermati/estesi dal Codice della Crisi, gli accordi di ristrutturazione consistono in un accordo negoziato con i creditori ma soggetto ad omologazione da parte del Tribunale, che acquisisce efficacia legale erga omnes limitatamente ai creditori aderenti (con talune eccezioni di estensione). In pratica, il debitore conclude un accordo di ristrutturazione del proprio debito con una maggioranza qualificata di creditori e poi lo sottopone al giudice per renderlo esecutivo e beneficiare di alcuni effetti protettivi.
Requisiti e maggioranze: l’accordo di ristrutturazione “base” richiede l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (art. 60 CCII). Ciò significa che il debitore deve convincere una significativa maggioranza (in valore) dei creditori a sottoscrivere l’accordo, mentre per i restanti può anche non ottenere assenso. Questi creditori non aderenti restano estranei all’accordo – i loro diritti non sono modificati dall’omologazione (dovranno essere pagati integralmente fuori accordo, salvo quanto diremo sulla transazione fiscale). L’accordo deve assicurare che i creditori estranei siano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se già scaduti) o dalla scadenza (se successiva) – ciò per tutelare i non aderenti ed evitare che vengano discriminati.
Il Codice ha previsto alcuni tipi particolari di accordi per facilitare il reperimento delle maggioranze:
- Accordo di ristrutturazione agevolato: è una variante con una soglia di adesione ridotta (almeno 30%) che tuttavia produce effetti meno estesi – se il debitore raggiunge solo il 30% di consensi, l’accordo può essere omologato ma non beneficia di misure protettive automatiche né di esenzioni per atti compiuti. Questo strumento, introdotto dal 2022, è pensato come passo preliminare verso un eventuale concordato se non si raggiunge il 60%. Si tratta di una novità relativamente poco praticata finora.
- Accordo ad efficacia estesa: se l’impresa ha debiti finanziari verso banche o obbligazionisti, ed ottiene l’adesione di almeno il 75% di questi crediti finanziari, può chiedere al Tribunale di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori finanziari dissenzienti appartenenti alla stessa categoria. In altre parole, le banche che non hanno firmato vengono “cramerate” (vincolate) lo stesso, purché l’accordo sia stato approvato da una larga maggioranza delle banche. Questa facoltà di cram-down settoriale fu introdotta già nella L.F. (art. 182-septies) e ora confermata nel CCII per evitare che piccole sacche di dissenso in pool bancari frustrino l’accordo.
- Accordi di gruppo: il correttivo 2024 ha esplicitamente regolato la possibilità per più imprese appartenenti allo stesso gruppo di presentare un accordo unitario di ristrutturazione, con un’unica proposta di trattamento dei crediti tributari e contributivi del gruppo. Questo consente di gestire in modo coordinato la crisi di gruppi societari (es. holding e controllate) evitando procedure separate scoordinate.
Procedimento di omologazione: una volta raccolte le adesioni scritte necessarie (firmando l’accordo con i creditori che aderiscono), il debitore deposita ricorso al Tribunale per l’omologazione. Al ricorso vanno allegati: il testo dell’accordo, una relazione di un esperto indipendente che attesta che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge e che l’accordo è fattibile e conveniente rispetto all’alternativa (di solito la liquidazione), oltre a tutta la documentazione contabile. Il Tribunale, dopo aver eventualmente concesso misure protettive sin dall’inizio (già con il deposito può essere chiesta la sospensione delle azioni esecutive come nel concordato), fissa un’udienza e valuta:
- la regolarità formale dell’accordo (rispetto di percentuali di legge, corretta informazione dei creditori, ecc.);
- la presenza dell’attestazione favorevole;
- l’assenza di pregiudizio per i creditori non aderenti.
Se tutto è a posto e non vi sono opposizioni fondate da parte di creditori (i creditori estranei e dissenzienti possono presentare opposizione in Tribunale prima dell’omologa, contestando ad esempio che non verranno pagati per intero, o che l’accordo li danneggia rispetto a fallimento), il Tribunale emette decreto di omologazione. Da quel momento, l’accordo diventa vincolante secondo i suoi termini. I creditori aderenti sono obbligati a rispettarlo e non possono agire per il recupero dei crediti oltre quanto stabilito nell’accordo; i creditori estranei conservano i loro diritti per intero (dovranno essere soddisfatti entro i termini previsti, pena risoluzione dell’accordo).
Misure protettive e gestione interinale: come accennato, il debitore può chiedere sin dal deposito di vietare o sospendere le azioni esecutive dei creditori, per evitare che nel frattempo qualcuno comprometta l’accordo (questo potere c’è negli accordi “normali” 60%, non in quelli agevolati 30%). Il Tribunale può concedere le misure protettive per 120 giorni, prorogabili, similmente a quanto avviene nel concordato. Durante questa fase, il debitore rimane in possesso e gestisce sotto sua responsabilità, ma deve astenersi da atti straordinari non autorizzati (il giudice può nominare, se necessario, un ausiliario o un commissario se c’è rischio per i creditori).
Contenuto dell’accordo: l’accordo di ristrutturazione, a differenza del concordato, non ha vincoli di contenuto rigidi. Può prevedere le ristrutturazioni del debito più varie: dilazioni di pagamento, riduzioni percentuali (haircut), conversione di crediti in partecipazioni (debt-equity swap), cessione di beni ai creditori a parziale soddisfo, ecc. Non è obbligatorio rispettare le priorità dei privilegi, purché – attenzione – i creditori non aderenti vengano soddisfatti per intero. Per i creditori aderenti vige la libertà contrattuale: se anche un chirografario accetta 50% e un altro privilegiato accetta 80%, sono affari loro. Tuttavia, vi è un limite generale di equità: il tribunale non omologherebbe accordi manifestamente discriminatori senza giustificazione. Di solito i creditori finanziari fanno gruppo negoziale a sé, così come i trade creditors. L’attestatore e il tribunale vigilano soprattutto che l’accordo sia sostenibile: una condizione per l’omologa è che il debitore non fosse già incapiente in maniera irrecuperabile – ad esempio se c’è un creditore importante che resta fuori e non verrà pagato entro 120 giorni, l’accordo non è fattibile.
Transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione: Nota fondamentale. Poiché gli accordi ARD originariamente non potevano abbassare i debiti fiscali e contributivi senza adesione formale dell’Erario (che raramente la dava), la legge già dal 2008 introdusse la transazione fiscale (art. 182-ter L.F., ora art. 63 CCII). In sede di accordo, il debitore può includere una proposta di trattamento dei crediti fiscali e previdenziali (ad es. pagamento parziale di imposte, stralcio sanzioni, dilazione fino a 10 anni). Tali enti pubblici si considerano aderenti se esprimono formale assenso. Il problema è quando gli enti pubblici rifiutano: l’accordo rischierebbe di saltare per mancato raggiungimento del 60% oppure per l’opposizione del Fisco. Il Codice riformato ha chiarito le condizioni per il cram-down fiscale nell’ambito degli accordi: il tribunale può omologare l’accordo anche senza adesione dell’Erario o dell’INPS se ricorrono precise condizioni di convenienza e quorum. In particolare, dopo il Correttivo 2024, se l’accordo non è di natura liquidatoria e la proposta verso il Fisco non è deteriore rispetto alla liquidazione, allora:
- Se i creditori aderenti (esclusi gli enti pubblici) rappresentano almeno il 25% dei crediti totali e la soddisfazione offerta al Fisco è almeno il 50% di ogni credito tributario (al netto di sanzioni e interessi) –> il tribunale può omologare forzosamente anche se l’Erario ha detto no.
- In alternativa, se la percentuale di adesioni private è <25% ma il piano offre agli enti pubblici almeno il 60% di ciascun credito (esclusi sanzioni e interessi) e dilazioni non oltre 10 anni –> il tribunale può comunque omologare nonostante il dissenso del Fisco.
Sono poi previste cause ostative: il cram-down fiscale non è ammesso se il debitore ha già beneficiato di una transazione fiscale omologata nei 5 anni precedenti poi risolta per inadempimento, oppure se l’80% o più dell’esposizione è verso enti pubblici e deriva principalmente da frodi fiscali o omessi versamenti ripetuti. Queste ultime condizioni (introdotte per evitare abusi) fanno sì che se l’azienda ha evaso sistematicamente o quasi tutti i debiti sono con l’erario, il giudice non possa forzare il Fisco a un accordo. In ogni caso, resta fermo il principio che la proposta al Fisco non può offrire meno di quanto ricaverebbe in una liquidazione (principio del best interest test). Con queste norme, oggi un accordo di ristrutturazione può essere omologato anche senza l’ok dell’Agenzia Entrate, a patto di rispettare soglie di soddisfacimento abbastanza elevate e di coinvolgere almeno una parte di creditori privati a supporto.
Esempio: un’azienda ha 10 milioni di debiti, di cui 4 verso banche, 3 verso fornitori e 3 verso Fisco/INPS. Propone di pagare integralmente i fornitori (3M) e di stralciare parzialmente banche e Fisco. Se ottiene adesione delle banche (4M) e delle fornitori (3M) – in totale 7M, quindi 70% > 60% – e propone al Fisco di pagare, ad esempio, il 50% in 5 anni senza sanzioni, ma l’Agenzia rifiuta, il tribunale può comunque omologare: qui i privati aderenti sono il 70% (oltre 25%) e al Fisco viene dato il 50% (soddisfa la condizione 50%). L’accordo sarà efficace e vincolerà anche il Fisco dissenziente (il quale però rimane estraneo formalmente, quindi la sua parte di credito “tagliata” viene di fatto falcidiata dall’omologazione giudiziale). Ciò è un forte strumento a favore del debitore, introdotto dal 2020 e affinato nel 2024 per evitare incertezze applicative.
Vantaggi degli ARD per il debitore: rispetto al concordato, l’accordo di ristrutturazione è un percorso più rapido e meno “invasivo”. Non c’è il voto di tutti i creditori ma solo la negoziazione con alcuni; non si forma un comitato creditori né viene nominato un commissario (salvo casi di abuso in cui il tribunale potrebbe farlo). L’impresa mantiene maggior riservatezza: l’accordo viene pubblicato nel Registro Imprese solo a omologa ottenuta (anche se ormai le notizie filtrano, ma è meno pubblicizzato di un concordato che ha chiamata di creditori e udienza pubblica). Inoltre, il debitore può negoziare diverse soluzioni con diversi creditori, purché nel complesso ottenga la maggioranza legale. Ad esempio, può pagare integralmente i piccoli creditori per farli restare estranei (evitando di doverli includere) e invece ristrutturare pesantemente solo i grandi creditori che contano per il quorum. Questo consente di “comprare” il silenzio di alcuni creditori minori.
Un altro vantaggio è la gestione dell’impresa in continuità: negli ARD l’impresa spesso continua la propria attività senza i vincoli stringenti di un concordato (ad es. nessun obbligo di depositare conti trimestrali in Tribunale, salvo che il giudice lo imponga come condizione). Ciò comporta però che l’impresa post-omologa rimane in bonis e non ha l’esdebitazione finale come nel fallimento: i debiti residui verso i creditori non aderenti vanno pagati come promesso. L’avvocato aiuterà dunque a predisporre adeguate garanzie nell’accordo per assicurare l’adempimento (ad es. fideiussioni dei soci, pegni su beni, covenant di monitoraggio).
Ruolo dell’avvocato del debitore negli ARD: anche qui il legale è negoziatore e architetto. In particolare:
- Negoziazione con i creditori: il legale (spesso insieme a consulenti finanziari) contatta i principali creditori ancor prima di formalizzare l’accordo, illustra loro la situazione e propone possibili condizioni di ristrutturazione. Bisogna ottenere la fiducia di almeno il 60%. L’avvocato redige eventualmente accordi quadro con i creditori (lock-up agreement) dove si impegnano a sottoscrivere l’ARD non appena predisposto ufficialmente, e a non agire esecutivamente nel frattempo.
- Redazione dell’accordo: il contenuto deve essere scritto con chiarezza, includendo tutte le pattuizioni (tempi e percentuali di pagamento, eventuali garanzie nuove, impegni del debitore a fare o non fare atti, ecc.). L’avvocato cura anche le clausole di “standstill” (sospensione azioni) e di efficacia (ad es. l’accordo può prevedere che se non si ottiene l’omologa entro X tempo, esso decade).
- Documentazione per il tribunale: prepara con l’attestatore il piano che accompagna l’accordo, raccoglie i bilanci, certificati di debito e ogni cosa da allegare al ricorso per omologa. Redige il ricorso stesso, illustrando come l’accordo soddisfa i requisiti di legge. Ad esempio, deve evidenziare come verranno pagati i creditori estranei (una tabella con scadenze entro 120 giorni).
- Richiesta misure protettive: se necessario (in genere sì), il legale chiede subito al giudice di emettere decreto di divieto di azioni esecutive. In tal caso, gestisce l’udienza per la conferma delle misure. I creditori a quel punto tipicamente sospendono ogni iniziativa in attesa dell’esito.
- Gestione opposizioni: se alcuni creditori (specie i non aderenti) fanno opposizione all’omologa, l’avvocato difende l’accordo davanti al Tribunale, dimostrando che quei creditori non subiscono pregiudizio (di solito, se vengono pagati integralmente come previsto, l’opposizione verrà rigettata in quanto nessun interesse viene leso).
- Esecuzione dell’accordo: una volta omologato, l’avvocato può mantenere un ruolo di vigilanza, assicurandosi che il debitore rispetti i pagamenti ai non aderenti nei 120 giorni e ai aderenti secondo il piano. Se l’accordo prevede esenzioni da responsabilità (tipicamente, i creditori aderenti rinunciano a intraprendere azioni legali sul pregresso – spesso vengono inserite clausole di manleva per gli amministratori per evitare future azioni di responsabilità), l’avvocato verifica che tali clausole siano efficaci e ben scritte.
Risoluzione e controllo: l’accordo di ristrutturazione, essendo di natura contrattuale, può prevedere la risoluzione di diritto in caso di inadempimento del debitore. Ad esempio, spesso c’è una clausola per cui se il debitore salta il pagamento di una rata oltre X giorni, l’accordo si risolve e ogni creditore riacquista i suoi diritti per l’intero originario (detratto quanto eventualmente incassato). Il Tribunale normalmente, nel decreto di omologa, non nomina nessun commissario per vigilare, fidandosi dell’autonomia contrattuale: saranno i creditori a sorvegliare e al limite attivare la risoluzione. In qualche caso, si può nominare un professionista ad acta per controllare l’esecuzione (soprattutto se l’accordo è complesso e di lunga durata). L’avvocato del debitore, per prevenire rischi, consiglierà di non impegnarsi in piani di pagamento troppo stringenti che rischiano di essere violati: meglio prevedere un piccolo margine di tolleranza e magari concordare con i creditori che possano rinunciare alla risoluzione in caso di lievi ritardi, per evitare un immediato default legale.
Giurisprudenza rilevante sugli accordi di ristrutturazione: negli anni, la Corte di Cassazione ha delineato alcuni punti:
- Ha chiarito che l’omologazione dell’accordo ha natura negoziale e non decisoria – il decreto di omologa non è assimilabile a una sentenza, quindi è impugnabile solo con reclamo e ricorso straordinario, non appello ordinario.
- Cass. 23 gennaio 2013 n.1521 (Sez. Un.) affrontò la posizione dei creditori privilegiati estranei: stabilì che non è necessario che siano pagati integralmente al momento dell’omologa, basta la previsione del pagamento nei 120 giorni dalla scadenza (principio poi recepito dal legislatore).
- Sul cram-down fiscale, inizialmente c’è stata incertezza applicativa: alcune corti di merito negavano al giudice il potere di omologa forzata se l’erario dissentiva, per possibile contrasto con norme costituzionali e UE (si citava la tutela delle risorse UE per l’IVA). È intervenuta però la Corte Costituzionale con sentenza n. 225/2014 dichiarando non fondate le questioni di illegittimità: ha ritenuto la falcidia dell’IVA in concordato (e per estensione in accordi) compatibile con i vincoli UE, purché il trattamento offerto sia soddisfacente e in assenza di dolo del debitore. Questo ha aperto la strada al cram-down. Più di recente, la Corte di Cassazione (sent. n.8500/2021) ha confermato che il tribunale può omologare un accordo con transazione fiscale anche senza voto dell’ente pubblico se il piano rispetta i parametri di legge – anticipando in pratica il contenuto poi formalizzato dal CCII.
- Alcune pronunce di merito (Corte App. Venezia 2020) hanno evidenziato che l’accordo di ristrutturazione, pur vincolando solo i consenzienti, sospende ex lege le azioni esecutive anche dei creditori estranei durante le misure protettive concesse: è stata confermata quindi l’efficacia erga omnes del divieto temporaneo di azioni (art. 54 CCII), a tutela del risanamento complessivo.
- Sulla risoluzione degli ARD, un caso interessante: Cass. 1182/2019 ha stabilito che la dichiarazione di fallimento del debitore non può fondarsi sull’inadempimento dell’accordo di ristrutturazione se questo non è stato previamente risolto nelle sedi opportune. In sostanza, se un creditore lamenta il mancato pagamento di una rata dell’accordo, non può chiedere subito il fallimento se l’accordo è ancora formalmente in vigore: deve prima farlo dichiarare risolto (o attendere la scadenza eventuale finale). Questo tutela il debitore da iniziative precipitose e ribadisce la natura contrattuale: finché l’accordo è vigente, i creditori aderenti non hanno titolo esecutivo per l’intero credito originario.
Confronto con il piano attestato: entrambi sono soluzioni di risanamento negoziale, ma l’accordo di ristrutturazione offre maggiore sicurezza legale, al prezzo di un procedimento in tribunale. In un ARD, ottenuta l’omologa, l’accordo è protetto: i creditori non possono più chiamarsi fuori o agire diversamente, e l’eventuale fallimento successivo richiede comunque che l’accordo venga meno. Inoltre, l’omologa consente di cristallizzare eventuali contestazioni, risolvendole prima (durante l’opposizione). Per contro, il piano attestato è più flessibile e confidenziale ma senza quell’effetto vincolante sugli eventuali dissenzienti – basti pensare che se uno non ci sta, resta fuori e può agire per conto suo. L’avvocato dovrà valutare la tenuta dei consensi: se prevede una larga adesione e pochi estranei gestibili, può bastare un piano attestato; se invece serve la protezione per incastrare un accordo globale, meglio l’ARD.
Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)
Il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, spesso abbreviato in PRO, è uno strumento introdotto in attuazione della Direttiva UE 2019/1023, recepito nel Codice della Crisi per offrire al debitore un’ulteriore via di risanamento concorsuale ma semplificata. Esso si colloca a metà strada tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo. In pratica, il PRO consente di sottoporre al tribunale un piano di risanamento predisposto dal debitore e approvato dai creditori suddivisi in classi, evitando alcune rigidità tipiche del concordato (ad esempio l’obbligo di pagare almeno il 20% ai chirografari) ma richiedendo il consenso unanime di tutte le classi coinvolte. Solo in presenza di approvazione di tutte le classi, il tribunale omologa il piano, che diviene vincolante per tutti i creditori.
Caratteristiche principali del PRO:
- Il debitore elabora un piano di risanamento assai flessibile nel contenuto: può prevedere ristrutturazioni di debiti, operazioni straordinarie, e soprattutto può derogare alla regola della priorità assoluta tra classi di creditori (Absolute Priority Rule). Ciò significa che, se tutti i creditori coinvolti accettano, è possibile ad esempio che i creditori chirografari ricevano più di alcuni privilegiati, o che i soci mantengano una quota del patrimonio pur non pagando integralmente i creditori, ecc. Normalmente questo non sarebbe ammesso, ma nel PRO lo diventa grazie al consenso unanime delle classi.
- I creditori vengono suddivisi in classi omogenee secondo posizione giuridica ed interessi economici (similmente al concordato). Ciascuna classe vota sul piano.
- Approvazione richiesta: il piano deve essere approvato da ogni singola classe con le maggioranze previste (maggioranza dei crediti in quella classe, e forse la maggioranza numerica se il piano lo prevede). In sostanza, non ci devono essere classi dissenzienti. Basta che una classe voti contro, il PRO non può essere omologato nella forma semplificata.
- Non è previsto il meccanismo di cram-down interclassi: mentre nel concordato, se una classe dissente, il tribunale può imporre lo stesso il piano se alcune condizioni sono soddisfatte (cross-class cram down), nel PRO questo non è ammesso, perché per definizione è uno strumento consensuale. Se vi fossero classi dissenzienti, bisogna allora virare su un concordato preventivo ordinario (infatti spesso il PRO è pensato come alternativa da perseguire solo se c’è adesione universale; se no, il debitore potrà convertire la domanda in concordato per ottenere l’omologa forzosa sulle classi dissenzienti, applicando l’art. 112 CCII).
- L’intervento del tribunale è comunque presente: il PRO è considerato una procedura concorsuale. Il tribunale, ricevuta la domanda di omologa con il piano e l’esito delle votazioni, verifica la regolarità e soprattutto che il consenso sia informato e privo di conflitti di interesse. Ad esempio, controllerà che la suddivisione in classi fosse corretta e che nessuna classe abbia approvato a danno di un’altra per qualche collusione. Essendo però tutte consenzienti, questo rischio in teoria non c’è, ma si pensa a scenari con parti correlate (es. soci che controllano una classe).
- Se tutto è regolare, il tribunale omologa con decreto. Gli effetti sono simili a un concordato: il piano diviene obbligatorio per tutti i creditori di quelle classi, e le pretese anteriori restano regolate dal piano.
Vantaggi e quando usarlo: il PRO è molto utile quando il debitore ha la possibilità di ottenere un accordo corale da parte di tutti i creditori, magari perché il numero di creditori è limitato o perché esiste già un’intesa di massima. In tal caso, il PRO permette di:
- Risparmiare tempo e rigidità: non essendo necessario soddisfare soglie minime di legge ai chirografari (come il 20% del concordato liquidatorio) o reperire “risorse esterne” obbligatorie, il piano può strutturare distribuzioni più calibrate sulla situazione concreta. Ad esempio, se tutti i chirografari concordano di accontentarsi del 10% perché magari c’è un pegno che li sovrasta, nel concordato liquidatorio ciò non sarebbe possibile (servirebbe il 20%), mentre nel PRO sì, con il loro consenso.
- Mantenere soci o management: se i creditori preferiscono che i soci attuali restino (magari perché apportano know-how o ulteriori capitali), possono convalidare un piano dove i soci non perdono l’intera partecipazione pur in presenza di crediti non pagati integralmente. In un concordato classico questo sarebbe problematico senza soddisfare interamente i creditori di grado inferiore, mentre con l’unanimità consenziente è fattibile.
- Minore intrusività: nel PRO, se la procedura è snella, si può evitare la nomina di un commissario giudiziale (il Codice non la prevede espressamente se non forse su base discrezionale). Inoltre le tempistiche possono essere abbreviate perché con l’accordo di tutti i creditori, l’udienza di omologa è poco conflittuale.
Procedure di accesso: il debitore può presentare domanda di apertura di PRO al tribunale, chiedendo misure protettive analoghe a quelle del concordato (divieto di azioni esecutive). Durante la procedura, svolge la votazione per classi (che può avvenire in assemblea dei creditori o per dichiarazioni scritte, simile al concordato). L’attestazione di un professionista sull’attuabilità del piano è necessaria anche qui.
Limiti: come già ribadito, il PRO è un’arma potente ma richiede il consenso di tutti i gruppi di creditori. Nella pratica, è utile in situazioni in cui c’è un accordo preesistente con i creditori principali e magari solo alcuni minori da “conformare”. Se c’è una frattura tra classi (es. banche vs fornitori con interessi divergenti), difficilmente tutte voteranno sì – in tal caso conviene predisporre subito un concordato preventivo con possibilità di cram-down. Un altro limite: la transazione fiscale nel PRO è trattata in modo simile a quella nel concordato preventivo. Il correttivo 2024 ha esplicitamente permesso che anche nel PRO si possa proporre il pagamento parziale/dilazionato di tributi e contributi, a condizione che tutte le classi (inclusa quella dell’Erario) siano consenzienti. Non è previsto cram-down neppure qui: se la classe Erario vota contro, l’unanimità manca e il PRO non è attuabile. Quindi il PRO funziona con il Fisco solo se quest’ultimo è convinto (diversamente dall’accordo di ristrutturazione dove c’è il cram-down). In pratica, l’Agenzia Entrate potrebbe essere più disponibile a concessioni se vede che tutti gli altri creditori e l’azienda hanno un piano solido – l’avvocato dovrà coinvolgerla attivamente nella stesura del piano, magari anticipando un interpello (per conferma trattamenti fiscali) o presentando un caso convincente. Se però l’Erario si oppone, il PRO non può essere omologato.
Casistica e giurisprudenza: il PRO è di introduzione recente (effettivo dal 15 luglio 2022, con modifiche 2024), quindi la giurisprudenza è scarsa. Al giugno 2025, poche imprese l’hanno utilizzato, spesso come conversione di concordati già presentati quando si realizza che tutte le classi sono a favore. Non risultano ancora pronunce di Cassazione specifiche. Tuttavia, alcune decisioni di merito hanno chiarito aspetti:
- Tribunale di Milano, ottobre 2022: nel caso di un PRO liquidatorio, il giudice ha omologato pur in difetto del 20% ai chirografari, riconoscendo la derogabilità di tale soglia per espressa previsione del CCII (come citavamo sopra).
- Tribunale di Roma, 2023: ha negato l’omologa di un PRO perché sebbene tutte le classi di creditori avessero votato sì, vi era un vizio di formazione delle classi (i creditori con conflitto di interessi erano stati separati in classi ad hoc per far risultare l’unanimità). Questo indica che il controllo giudiziale rimane vigile su possibili stratagemmi per forzare l’unanimità.
Ruolo dell’avvocato nel PRO: il professionista legale qui ha un compito determinante di concertazione. Deve:
- Suddividere correttamente i creditori in classi, in modo da aggregare interessi allineati, perché una ripartizione sbagliata può generare dissensi e far fallire l’unanimità.
- Raggiungere ex ante accordi con tutte le classi: presumibilmente, non si arriva al voto se non c’è già la sicurezza che tutti voteranno sì. Quindi l’avvocato deve fare un intenso lavoro preparatorio di meeting con ciascuna classe (o suoi rappresentanti), spiegando il piano e ottenendo commitment. Può predisporre accordi di ristrutturazione in bozza e poi trasporli nel PRO per dare efficacia.
- Gestire eventuali interessi divergenti trovando compromessi: ad esempio, se i fornitori vogliono almeno 30% mentre le banche sono disposte a cedere di più dei loro crediti, l’avvocato potrebbe negoziare che le banche lascino una quota maggiore e i fornitori ottengano il 30%. Nel PRO la flessibilità consente di far ciò se tutti concordano.
- Assicurarsi del rispetto del best interest test: anche nel PRO, nonostante l’unanimità, il tribunale chiede che i creditori non vengano trattati peggio di quanto avrebbero in liquidazione giudiziale (questo è un principio generale a tutela anche di eventuali creditori dissenzienti individuali, se ce ne fossero, e comunque per evitare piani irragionevoli). L’avvocato quindi fa predisporre una valutazione dell’alternativa liquidatoria per dimostrare che ogni classe col piano prende non meno del valore di realizzo in fallimento.
- Redigere il ricorso per omologa e l’eventuale richiesta di misure protettive (che in un PRO possono essere date come in un concordato: art. 54 CCII si applica).
- Durante l’udienza di omologa, difendere il piano da possibili obiezioni del giudice o di creditori (anche se hanno votato sì, in teoria un creditore consenziente poi potrebbe cambiare idea? No, non formalmente, ma il tribunale potrebbe comunque ascoltare eventuali note, ad esempio di un creditore che seppur consenziente segnala un vizio che però non infirma il consenso – ipotesi remota).
In conclusione, il PRO è uno strumento innovativo che riflette una filosofia: massima libertà se c’è consenso universale. L’avvocato del debitore proverà a percorrerlo quando ritiene di poter ottenere l’unanimità, così da sfruttarne i vantaggi (velocità, flessibilità). Se poi durante il percorso emerge dissenso, lo stesso avvocato dovrebbe avere pronta la exit strategy, ossia passare al concordato preventivo. Fortunatamente, la legge consente questa convertibilità: una domanda di PRO può essere “ricalibrata” in concordato (prenotativo o meno) se le cose non vanno lisce, e viceversa un concordato può essere convertito in PRO se improvvisamente tutti i creditori si convincono. Un legale esperto tiene aperte entrambe le opzioni.
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è lo strumento classico della legge fallimentare italiana (ora disciplinato dagli artt. 84-120 CCII) per gestire in modo concorsuale la crisi o insolvenza di un’impresa, evitando la liquidazione giudiziale tramite un accordo con i creditori mediato e approvato dall’autorità giudiziaria. Si chiama “preventivo” perché previene la dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale), consentendo al debitore di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione o liquidazione dei debiti che, se accettato dalle maggioranze e omologato dal tribunale, diviene vincolante per tutti.
Tipologie di concordato: il Codice distingue principalmente:
- Concordato in continuità aziendale (diretta o indiretta): il piano prevede che l’attività d’impresa prosegua, sia perché il debitore stesso continua ad operare dopo il concordato (continuità diretta), sia perché l’azienda viene ceduta o conferita a un soggetto terzo che la porta avanti (continuità indiretta, es. affitto d’azienda durante la procedura e successiva vendita). La continuità deve garantire che la maggior parte dei ricavi per pagare i creditori provenga dalla prosecuzione dell’attività e non dalla liquidazione di beni.
- Concordato liquidatorio: prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni del debitore, con distribuzione del ricavato ai creditori secondo le regole concorsuali. Questo approccio è simile a un fallimento guidato dal debitore, ma negoziato.
- Concordato misto: piani che combinano elementi di continuità (mantenimento parziale dell’attività) con dismissione di asset non strategici.
La distinzione è rilevante perché la legge impone condizioni più rigorose per il concordato liquidatorio, al fine di evitare proposte meramente dilatorie che offrano ai creditori meno del dovuto:
- Nel concordato liquidatorio puro, il Codice richiede obbligatoriamente un soddisfacimento minimo del 20% dei crediti chirografari. Ciò significa che se, venduti tutti i beni, il ricavato non arriverebbe a dare almeno il 20% ai chirografari, il concordato liquidatorio non è ammissibile (a meno che i soci o terzi apportino risorse esterne aggiuntive per raggiungere quella soglia). Questa regola, introdotta già nella L.F. dal 2015 e confermata nel CCII (art. 84, co.6 CCII), mira a scoraggiare concordati liquidatori eccessivamente penalizzanti per i creditori rispetto al fallimento.
- Sempre per il concordato liquidatorio, se il debitore offre ai chirografari almeno il 20%, può farlo includendo anche risorse esterne (denaro dei soci o terzi non derivante dalla liquidazione del patrimonio). Era prevista nella L.F. una soglia del 10% di “risorse aggiuntive” in taluni casi per l’ammissibilità, ma nel CCII questa rigidità è stata in parte semplificata.
- Nel concordato in continuità, invece, non c’è la regola del 20%, riconoscendo che la continuità può dare benefici indiretti (mantenimento posti di lavoro, ecc.). Però, il Codice impone al debitore alcuni obblighi: ad esempio garantire il pagamento integrale dei creditori privilegiati su beni essenziali alla continuità entro determinati termini, salvo diversa approvazione, e la fattibilità economica è scrutinata con attenzione (per evitare piani fantasiosi di risanamento).
Procedimento: il concordato preventivo si articola nelle seguenti fasi:
- Domanda di concordato: Il debitore (impresa in crisi o insolvente) deposita in tribunale un ricorso con la proposta di concordato, il piano dettagliato, la documentazione contabile e la relazione di un attestatore indipendente sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano (art. 87 CCII). In alternativa, può presentare una domanda “con riserva” (cosiddetto concordato in bianco), indicando solo l’intenzione di concordato e depositando poi il piano entro un termine (fino a 120-180 giorni).
- Ammissione e apertura della procedura: Il tribunale, verificati i requisiti minimi (completezza documenti, proposta non manifestamente inammissibile), dichiara aperta la procedura di concordato. Nomina un Commissario Giudiziale (figura di controllo, di solito un professionista terzo) e fissa udienza per l’omologa futura, nonché i termini per le attività successive (deposito dell’elenco creditori del Commissario, etc.).
- Misure protettive automatiche: Dalla data di deposito della domanda (o, per il prenotativo, dalla successiva ammissione), si attiva l’automatic stay ex art. 54 CCII: per legge i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né acquisire privilegi (ipoteche) sui beni del debitore. Questo “blocco” dura fino all’omologazione o al decreto di non omologa. Inoltre, i crediti anteriori restano congelati salvo autorizzazioni a pagamento per la continuazione dell’attività (es. si possono pagare fornitori post-petition o forniture essenziali pre-petition se autorizzati).
- Fase di voto dei creditori: Il commissario giudiziale predispone l’elenco dei creditori e comunica a ciascuno l’importo del proprio credito ammesso al voto. I creditori vengono suddivisi in classi se vi sono posizioni giuridiche ed interessi economici differenti (nel concordato in continuità la classazione è obbligatoria; in quello liquidatorio può anche esserci un’unica classe se i creditori sono omogenei). Viene indetta l’adunanza dei creditori, un’assemblea in Tribunale presieduta dal giudice delegato e dal commissario in cui il debitore illustra il piano e i creditori discutono. In seguito, i creditori esprimono formalmente il proprio voto (che può avvenire in adunanza stessa o per corrispondenza entro 20 giorni dopo). Per l’approvazione serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto in ciascuna classe, oppure – se non ci sono classi – la maggioranza assoluta dei crediti ammessi complessivamente (50%+1 in valore). Se ci sono classi e almeno una non approva, si può comunque procedere all’omologa forzosa cross-class (infra).
- Omologazione: Se la proposta è approvata dalle maggioranze richieste, il tribunale tiene udienza per l’omologa. In questa sede possono esservi opposizioni di creditori dissenzienti o esclusi (ad esempio un creditore contesta il proprio trattamento o l’esito del voto, o insinua frodi). Il tribunale verifica la fattibilità (che sia giuridica ed economica: dopo una storica diatriba, oggi il CCII consente al tribunale di valutare anche la fattibilità economica ma solo per evidenti carenze) e soprattutto verifica le condizioni per eventuale omologazione nonostante il dissenso di alcune classi (cram-down).
- Il cram-down interclassi (art. 112 CCII): il tribunale può omologare il concordato anche se non tutte le classi hanno approvato, purché: (a) il piano abbia ottenuto il voto favorevole di almeno una classe di creditori interessati non composta integralmente da parti correlate; (b) i creditori dissenzienti non ricevano meno di quanto otterrebbero in liquidazione giudiziale (best interest test); (c) il piano non preveda che una classe inferiore riceva o conservi più di una classe superiore dissenziente (rispetto della priorità relativa salvo circostanze eccezionali); (d) nessun creditore di rango inferiore ottenga soddisfazione se i creditori di rango immediatamente superiore dissenzienti non sono soddisfatti integralmente (questa condizione, per il concordato in continuità, ha un’eccezione in caso di contributi esterni tali per cui i dissenzienti sono soddisfatti almeno in misura pari alla liquidazione – è complesso, ma in soldoni il tribunale può forzare se il trattamento è equo e c’è almeno un’altra classe consenziente). In particolare, il CCII 2022 ha chiarito che nel concordato in continuità il cram-down fiscale è possibile ma con un limite: non può accadere che, a seguito del cram-down, la classe dell’Erario risulti l’unica classe consenziente del piano. Ciò significa che se solo l’Erario vota sì e tutte le altre classi no, il tribunale non può omologare forzosamente (non si può far pagare solo i privati e risparmiare solo il Fisco). Questo per evitare abusi a scapito dei creditori privati.
- Se tutte le condizioni sono soddisfatte (consensi, requisiti di legge), il tribunale omologa con decreto. Con l’omologa, il concordato diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, anche quelli che hanno votato no o non hanno partecipato.
- Esecuzione del concordato: la procedura passa nella fase esecutiva, spesso sotto la sorveglianza del Commissario (divenuto Liquidatore giudiziale se è un concordato liquidatorio o Attestatore dell’esecuzione se in continuità). Il debitore esegue il piano: ad esempio paga le percentuali dovute ai chirografari alle scadenze previste, effettua le cessioni di beni programmate, gestisce l’attività se in continuità. Una volta completato tutto, il tribunale dichiara chiuso il concordato.
Effetti per il debitore: a differenza di un fallimento, nel concordato l’imprenditore conserva tipicamente l’amministrazione dei beni (salvo eventualmente dover operare sotto controllo del commissario). Ciò è automatico nella continuità; nel liquidatorio, spesso il tribunale può nominare un liquidatore diverso dall’imprenditore per vendere i beni (soprattutto se vi è scarsa fiducia negli amministratori). Ma in generale il concordato preventivo è meno afflittivo: l’imprenditore non subisce interdizioni personali (poteva avere alcune restrizioni in passato, ma ad esempio non c’è più la figura dell’interdizione commerciale dal 2006). Gli effetti principali sono: il blocco delle azioni esecutive e l’impossibilità di iniziare nuove cause sui crediti anteriori (questi confluiranno tutti nel concordato); i contratti pendenti possono proseguire (il debitore può chiedere l’autorizzazione a sciogliersi da contratti eccessivamente onerosi o a sospenderli); le eventuali ipoteche giudiziali iscritte nell’ultimo periodo prima del concordato perdono efficacia.
Transazione fiscale nel concordato: analogamente agli accordi, il debitore può proporre nel piano il pagamento parziale di imposte e contributi. Il CCII art. 88 ha riformulato le norme sulla transazione fiscale in concordato, stabilendo tra l’altro che:
- Se il piano prevede di non pagare integralmente i tributi, deve comunque offrire almeno quanto ricavabile in liquidazione giudiziale (nel testo previgente il confronto era col “valore di mercato dei beni”, ora più chiaramente con la liquidazione fallimentare).
- Il tribunale può omologare il concordato anche se l’Erario e/o l’INPS hanno votato contro (cram-down fiscale), purché: per il concordato liquidatorio, la proposta verso gli enti pubblici sia conveniente rispetto alla liquidazione (e il loro dissenso determinante per le maggioranze); per il concordato in continuità, la proposta verso gli enti non sia deteriore rispetto alla liquidazione e il voto contrario del Fisco sia determinante per la mancata maggioranza delle classi. Inoltre, come detto, il cram-down fiscale non può far sì che alla fine l’unica classe consenziente sia quella pubblica (pena rigetto). Queste regole, introdotte per la prima volta nel 2020 e ora assestate, bilanciano la posizione del Fisco: se la sua pretesa è trattata equamente e la maggioranza del resto dei creditori è favorevole, il suo dissenso può essere superato, tranne quando i debiti fiscali dominano completamente il quadro (in quell’estremo scenario, come visto, neanche l’accordo sarebbe sostenibile).
Vantaggi del concordato dal lato debitore: è spesso l’ultima spiaggia per evitare la liquidazione giudiziale. A differenza dell’accordo di ristrutturazione, consente di imporre la ristrutturazione ai creditori dissenzienti (grazie al meccanismo di voto a maggioranza e anche al cram-down interclassi). Ciò lo rende utilizzabile in contesti di crisi complessi dove non c’è consenso volontario sufficiente. Permette anche di gestire la sorte dei contratti pendenti e dei rapporti giuridici in modo organico con provvedimenti del giudice (il debitore può chiedere di sciogliere o sospendere contratti onerosi – ad esempio, affitti di rami d’azienda non più utili – e il tribunale può autorizzarlo, con equo indennizzo per la controparte come credito concorsuale).
Nel concordato in continuità, l’impresa può continuare a lavorare (sotto sorveglianza) e spesso mantenere le certificazioni e i contratti pubblici: la legge anticorruzione consente alle imprese in concordato di continuare ad avere contratti con la PA, soprattutto in continuità, cosa che invece non sarebbe possibile in fallimento. Dunque, per un’azienda che vive di appalti pubblici, il concordato in continuità può salvare la capacità operativa.
Altro vantaggio: la protezione dalle azioni esecutive individuali scatta subito, quindi si ferma l’emorragia (ad esempio banche che escutono i pegni su titoli, pignoramenti su conti, ecc.), dando respiro all’azienda.
Svantaggi e oneri del concordato: è una procedura pubblica e complessa, sottoposta a controllo giudiziario e con costi notevoli (compensi del commissario, eventuale liquidatore, esperto attestatore, spese legali e amministrative). Richiede il voto dei creditori, il che comporta incertezza: se non si raggiungono le maggioranze, si finisce quasi sicuramente in fallimento. Inoltre il concordato è soggetto a possibili abusi: se il debitore è in malafede o dissipa l’attivo durante la procedura, il tribunale può revocare l’ammissione e aprire la liquidazione giudiziale. La durata può essere lunga: spesso 1-2 anni tra deposito e omologa, e poi anni per l’esecuzione. Questo può comportare perdita di fiducia da parte del mercato e difficoltà di gestione (il commissario supervisiona e l’impresa deve ottenere autorizzazioni per atti straordinari, rallentando l’operatività).
Giurisprudenza sul concordato preventivo: essendo una procedura ultra-collaudata, la Cassazione ha un corpus vastissimo. Citiamo alcuni orientamenti chiave degli ultimi anni:
- Fattibilità del piano: Cass. Sez. Un. nn. 1521 e 1522 del 2013 tracciarono il confine: il tribunale valuta la fattibilità giuridica (cioè la coerenza del piano con norme inderogabili) e può sindacare la fattibilità economica solo in caso di manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi. Questo principio è rimasto e il CCII lo recepisce: non spetta al giudice fare business plan alternativi, ma può rigettare piani chiaramente irrealizzabili.
- Abuso del concordato in bianco: Cass. 9935/2015 ha affermato che il tribunale può controllare e sanzionare eventuali abusi dell’accesso al concordato con riserva (ad es. successive richieste di proroga ingiustificate solo per ritardare le azioni dei creditori). Oggi il CCII mitiga gli abusi perché riduce spazi di proroga e richiede l’indicazione delle cause di crisi già nel ricorso con riserva.
- Mancato pagamento di imposte durante il concordato: Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 13628/2020 ha stabilito che presentare domanda di concordato non esonera l’amministratore dal pagamento dei debiti fiscali con scadenza successiva alla domanda, la cui omissione costituisce reato (es. omesso versamento IVA) qualora non vi sia un espresso divieto del tribunale di pagare crediti anteriori. In sostanza, se il termine per versare l’IVA scade dopo il deposito del concordato, il debitore deve pagarla, salvo abbia ottenuto un provvedimento del giudice che glielo vieta (cosa di solito non avviene per IVA corrente), altrimenti risponde penalmente. Questa pronuncia tutela l’erario durante il concordato e guida gli avvocati nel consigliare i clienti di continuare a adempiere agli obblighi fiscali correnti, se possibile, anche in procedura.
- Omologazione forzata: Cass. 11497/2018 ha per la prima volta riconosciuto la possibilità di cram-down del Fisco in concordato preventivo ante CCII, reinterpretando l’art. 182-ter L.F. alla luce del principio di maggior vantaggio per i creditori e citando la giurisprudenza costituzionale. Ciò ha spianato la strada all’intervento legislativo del 2020. Oggi, come visto, le condizioni sono normate, e le pronunce attuali (es. Cass. 8500/2021) le applicano: se i parametri di pagamento minimo e quorum sono rispettati, l’opposizione dell’Erario viene respinta e il concordato omologato.
- Revoca del concordato e fallimento: Cass. 35423/2023 ha confermato che se, dopo l’omologa, il debitore non adempie al piano concordatario e viene quindi risolto il concordato, il tribunale dichiara il fallimento su istanza di creditore senza ulteriore accertamento di insolvenza (basta l’inadempimento rilevante e la risoluzione). Ciò per dire che il concordato non riuscito porta quasi inevitabilmente alla liquidazione giudiziale, quindi è cruciale predisporre piani realistici. Tuttavia, va ricordato che con il CCII anche il debitore concordatario ha diritto all’esdebitazione delle eventuali sopravvenienze in caso di fallimento successivo, se ha agito senza frode.
Il ruolo dell’avvocato nel concordato preventivo: qui l’assistenza legale è imprescindibile in ogni passo:
- All’inizio, il legale valuta la ammissibilità giuridica della proposta: verifica che non ci siano cause di inammissibilità (ad es. piani che prevedono pagamenti illegali di creditori postergati prima dei privilegiati, etc.), e consiglia il cliente su quale tipo di concordato presentare (continuità vs liquidatorio).
- Coordina il team di crisi (spesso ci sono advisor finanziari e attestatori) per la redazione del piano e della proposta. L’avvocato curerà in particolare la parte giuridica: modalità di trattamento dei creditori, eventuali classi, clausole particolari (es. se si prevede un’assegnazione di beni ai creditori, che è ammessa; se si vogliono soddisfare crediti in quota capitale dando azioni o quote ai creditori, etc.).
- Redige il ricorso di concordato e tutta la modulistica. Predispone le richieste di provvedimenti urgenti (ad es. autorizzazioni per finanziamenti prededucibili durante il concordato, ai sensi dell’art. 99 CCII, o per cedere crediti deteriorati).
- Durante la procedura, l’avvocato assiste il debitore nei rapporti col Commissario (che spesso pone quesiti, chiede chiarimenti) e con il Tribunale. Partecipa all’adunanza dei creditori, presentando efficacemente il piano e rispondendo alle eventuali contestazioni di creditori. La capacità di comunicazione dell’avvocato in assemblea può influire sull’esito del voto: molti creditori si convincono o meno in base a come viene illustrato il piano e alla fiducia che ripongono nei proponenti.
- Se emergono ostacoli (ad esempio una classe critica di creditori annuncia voto contrario), l’avvocato valuta possibili modifiche al piano prima della chiusura del voto (il CCII consente modifiche “migliorative” in corso di procedura, con eventuale nuovo attestato). Oppure studia l’applicabilità del cram-down: se i numeri lo consentono, predisporrà la memoria per convincere il giudice che anche senza il voto di quella classe il piano merita omologa perché rispetta i criteri.
- Nell’udienza di omologa, l’avvocato difende il piano contro le opposizioni. Potrebbero esserci creditori che contestano l’attestazione, o la regolarità del voto, o lanciano accuse di frode del debitore. Il legale deve smontare tali opposizioni, eventualmente producendo perizie (per dimostrare che la liquidazione darebbe meno, etc.) e richiamando la giurisprudenza calzante.
- Dopo l’omologa, l’avvocato monitora l’esecuzione: se il debitore incontra difficoltà, il legale può suggerire di chiedere al tribunale modifiche non sostanziali al piano (consentite in alcuni casi) o dilazioni nei pagamenti (il CCII prevede la possibilità di ottenere piccole proroghe autorizzate, con il consenso dei creditori interessati, per esecuzione del piano, se sopravvengono ragioni oggettive). L’obiettivo è evitare la risoluzione per inadempimento. Se necessario, l’avvocato rappresenta il debitore nelle eventuali cause post-concordato (ad es. un creditore escluso che dopo l’omologa impugna per qualche motivo, o questioni relative ai contratti rimasti in essere).
In una prospettiva dal lato debitore, l’avvocato è anche colui che prepara l’imprenditore psicologicamente e operativamente ad affrontare la procedura: istruisce il cliente sui doveri di trasparenza e correttezza (non deve omettere crediti, non deve favorire qualcuno fuori piano – es. non pagare sottobanco un fornitore estraneo), altrimenti rischierebbe imputazioni per bancarotta preferenziale o bancarotta semplice in caso di fallimento successivo, o comunque la revoca del concordato.
In conclusione, il concordato preventivo è un percorso impegnativo ma spesso salvifico. Dal punto di vista del debitore, rappresenta la chance di ristrutturare radicalmente i debiti (anche con forti falcidie percentuali) pur mantenendo, se possibile, l’attività aziendale, o quantomeno liquidando i beni in modo ordinato e con la prospettiva di uscire dall’impasse una volta adempiuto il piano. Non vi è una esdebitazione automatica come nel fallimento, ma di fatto, se il piano è adempiuto, i crediti rimasti insoddisfatti vengono cancellati (perché la proposta concordataria di solito prevede l’esonero per il debitore da ogni ulteriore pagamento oltre quanto promesso). L’avvocato esperto deve mettere a frutto ogni strumento normativo per far sì che il concordato raggiunga l’omologazione e giunga a buon fine, proteggendo nel contempo i diritti fondamentali del debitore (ad esempio opponendosi a richieste eccessive di garanzie, vigilando che i creditori privilegiati non abusino del loro potere di veto, ecc.) e bilanciandoli con quelli dei creditori per ottenere il necessario consenso.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che ha sostituito il vecchio fallimento. Viene aperta dal Tribunale quando l’impresa (o l’imprenditore) si trova in stato di insolvenza conclamata, salvo che vi siano presupposti per strumenti alternativi di risanamento. Dal punto di vista del debitore, rappresenta l’evento più gravoso: il patrimonio viene sottratto alla sua disponibilità e liquidato per soddisfare i creditori, l’attività d’impresa cessa (salvo esercizio provvisorio per casi eccezionali) e il debitore stesso (se persona fisica) va incontro a effetti personali come alcune limitazioni legali e possibili implicazioni penali.
Presupposti e apertura: la liquidazione giudiziale si apre su ricorso del debitore stesso, di uno o più creditori o su istanza del Pubblico Ministero (nei casi previsti, ad es. insolvenza manifestatasi con fuga/impossibilità di funzionamento dell’impresa). Il Tribunale accerta lo stato di insolvenza – ossia l’incapacità non transitoria di adempiere regolarmente alle obbligazioni. Se l’accerta, emette sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale (la quale corrisponde alla vecchia sentenza di fallimento). Da quel momento:
- Il debitore imprenditore è spossessato dei suoi beni: non può più disporne né gestirli, subentra il Curatore nominato dal Tribunale. Il curatore amministra tutto il patrimonio e ha la legittimazione a compiere atti (anche vendite) con l’autorizzazione degli organi della procedura.
- Gli amministratori della società decadono (se è una società).
- Il debitore persona fisica, pur non essendo più soggetto a interdizione personale come in passato, ha comunque l’obbligo di collaborare col curatore, fornire informazioni, e può subire la limitazione della libertà di corrispondenza (la legge consente al giudice di disporre che la posta al debitore passi per il curatore per esaminare eventuali comunicazioni rilevanti).
- Tutte le azioni individuali dei creditori si consolidano nell’unica procedura: i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo per essere riconosciuti e partecipare al riparto. Le esecuzioni pendenti vengono interrotte e il loro oggetto confluisce nel fallimento.
Svolgimento: la liquidazione giudiziale è gestita da:
- Il Curatore, che prende possesso dei beni, redige l’inventario, predispone lo stato passivo (l’elenco dei crediti ammessi, dopo aver valutato le domande dei creditori) e compie gli atti di liquidazione (vende beni mobili e immobili, riscuote crediti, gestisce cause attive).
- Il Giudice Delegato, che vigila e autorizza gli atti più importanti, e risolve le controversie minori (ad es. sull’ammissione di crediti).
- Il Comitato dei Creditori, un organo composto da 3 creditori rappresentativi, che esprime pareri sulle vendite e su altre decisioni.
Il fine è convertire tutto il patrimonio in denaro e distribuire il ricavato secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima i creditori prededucibili (spese di procedura, debiti sorti per gestire l’attività provvisoriamente, ecc.), poi i privilegiati (secondo il grado – pegni, ipoteche, privilegi vari su mobili e immobili), infine i chirografari in proporzione.
Per il debitore, la liquidazione giudiziale comporta la perdita della disponibilità del patrimonio presente e futuro (i beni posseduti al momento della dichiarazione e quelli che dovesse acquistare entro la chiusura concorso – con eccezione dei crediti futuri per redditi da lavoro in parte, e dei beni strettamente personali). Se è una persona fisica, fino alla chiusura è soggetto a diverse conseguenze: eventuali creditori potrebbero promuovere l’azione penale in caso di condotte di bancarotta (ad esempio se ha distratto beni prima del fallimento, è reato). La società invece con la liquidazione di norma viene avviata alla cancellazione a fine procedura.
Durata: storicamente i fallimenti duravano molti anni. Il CCII introduce meccanismi di velocizzazione (piani di liquidazione, possibilità di chiusura anticipata per insufficienza attivo, ecc.), ma la durata dipende da complessità di realizzo di beni e contenziosi.
Esdebitazione del debitore: uno degli aspetti di rilievo per il debitore persona fisica è la possibilità di ottenere, a fine procedura, l’esdebitazione. Già nella L.F. esisteva (introdotta nel 2006), ma il CCII la rende automatica (art. 278 CCII): entro un anno dalla chiusura della liquidazione, il debitore persona fisica è liberato dai debiti residui concorsuali di diritto, senza bisogno di fare istanza, salvo opposizione di creditori per dolo del debitore. Questa è una grossa novità pro-debitore: significa il fresh start garantito al fallito onesto. Quindi, se un imprenditore individuale subisce la liquidazione giudiziale ma ha collaborato e non commesso irregolarità gravi, dopo la chiusura potrà ripartire senza strascichi debitori (diversamente dal passato, dove serviva una pronuncia di esdebitazione e alcuni crediti ne erano esclusi).
- Nota: rimangono escluse dall’esdebitazione alcuni debiti come quelli per alimenti, per risarcimenti da illecito extracontrattuale, e sanzioni penali/amm.ve pecuniarie (art.280 CCII), coerentemente con la finalità.
Effetti collaterali: il fallimento un tempo comportava sanzioni personali come l’inabilitazione all’esercizio di impresa, l’interdizione dagli uffici direttivi etc. Oggi tali pene accessorie sono state eliminate dal 2006. Il debitore fallito rimane comunque iscritto in un apposito registro dei falliti (ora Registro delle procedure), che però non è pubblico come una fedina penale, è giusto un archivio. L’imprenditore fallito non incorre più in incapacità civili (può ancora votare, essere eletto, etc., che in passato erano sospese).
Ruolo dell’avvocato dal lato debitore nella liquidazione giudiziale: paradossalmente, quando si arriva al fallimento, il debitore ha meno bisogno di un avvocato per la gestione ordinaria, perché tutto è in mano al curatore. Tuttavia, l’assistenza legale rimane fondamentale in vari momenti:
- Fase prefallimentare: prima che venga dichiarato il fallimento, l’avvocato del debitore può difenderlo nell’istruttoria prefallimentare. Ad esempio, se un creditore chiede il fallimento, il legale può eccepire che lo stato di insolvenza non sussiste o proporre soluzioni alternative (magari un concordato preventivo in extremis, se possibile). Può opporsi al fallimento spiegando che i debiti sono inferiori alle soglie di non fallibilità (il CCII prevede soglie molto basse per escludere micro-imprese: debiti < €30k, etc. Il legale potrebbe portare prove che li sotto).
- Autofallimento: a volte l’avvocato può consigliare al cliente di presentare istanza di liquidazione giudiziale egli stesso (autofallimento). Ciò avviene quando il protrarsi della crisi nuoce e non ci sono alternative percorribili: dichiararsi insolventi attiva subito l’esdebitazione futura e blocca l’accumulo di interessi e azioni su singoli beni. Inoltre, spesso evitano accuse di colpevole ritardo che potrebbe portare a azioni di responsabilità verso amministratori. L’avvocato redige la relativa istanza e assiste il cliente in quell’udienza.
- Durante il fallimento: il debitore può aver bisogno del proprio avvocato:
- per depositare osservazioni e reclami contro azioni del curatore se ledono i suoi diritti (es. se il curatore vuole vendere la casa senza tenere conto del diritto di abitazione del coniuge, oppure se classifica un credito del fallito in modo scorretto).
- per difendersi in eventuali azioni revocatorie o risarcitorie promosse dal curatore contro di lui o la sua famiglia (ad es. il curatore può agire per far revocare pagamenti fatti prima del fallimento, oppure per far revocare atti gratuiti come donazioni ai parenti negli ultimi anni. L’avvocato difende il disponente/beneficiario, magari cercando di dimostrare che l’atto non era revocabile perché esente ex lege, es. piano attestato).
- per rappresentarlo in procedimenti penali correlati (se c’è un’accusa di bancarotta, sicuramente serve assistenza penalistica; esula però dal civile).
- per trattare con il curatore eventuali soluzioni: esempio, il curatore potrebbe essere disponibile a un concordato fallimentare (che è un accordo proposto dai creditori o terzi per chiudere anticipatamente la procedura pagando una certa percentuale). Il debitore magari coinvolge un terzo finanziatore e il suo legale può facilitare questa proposta ai creditori.
- per assistere il debitore persona fisica nella richiesta di esdebitazione se per caso non fosse automatica (nel regime attuale è di diritto, ma se il fallimento è regolato dalla vecchia legge, entro il transitorio alcuni chiedono ancora esdebitazione col vecchio rito).
- Chiusura della procedura: l’avvocato può aiutare a verificare che la chiusura avvenga nei termini e che il cliente ottenga tutti i benefici (ad es. cancellazione delle ipoteche sui beni non liquidati, cancellazione dal registro protesti se c’erano, predisposizione corretta dei moduli di esdebitazione e opposizione se qualche creditore contesta indebitamente).
Per le società fallite, il discorso di esdebitazione non si pone (le società una volta chiuse restano estinte e i debiti insoddisfatti pure si estinguono per confusione con soggetto cessato). Tuttavia, i soci o gli amministratori possono avere contenziosi post-fallimentari (azioni di responsabilità, penali, etc.). L’avvocato li assisterà in quelle sedi.
Punto di vista del debitore imprenditore: subire la liquidazione giudiziale è traumatico, ma talvolta inevitabile. Un legale onesto preparerà il cliente a questa eventualità se vede che i tentativi di risanamento non funzionano. Gli spiegherà che però esiste una “luce in fondo al tunnel”: la nuova normativa concede la liberazione dai debiti residui (cosa che in passato era difficile), quindi anche il fallimento può diventare un percorso di clearing dopo il quale il debitore onesto può ripartire da zero. L’avvocato deve dunque garantire che il debitore rispetti tutti i doveri di legge durante la procedura (collaborazione massima col curatore, consegna documenti, sincerità, niente atti occulti) per non compromettere questo esito favorevole.
Un avvocato esperto in crisi, se assiste il debitore in bonis, cercherà di evitare di arrivare alla liquidazione giudiziale, ma se essa sopravviene, il suo compito diventa quello di mitigarne gli effetti: salvare ciò che è salvabile (ad es. rivendicare prontamente eventuali beni personali non appartenenti all’impresa, come beni di famiglia formalmente intestati al coniuge, se davvero estranei), e orientare il debitore attraverso il percorso concorsuale fino alla riabilitazione economica finale.
Strumenti di sovraindebitamento per debitori non fallibili
Non tutti i soggetti indebitati rientrano nel campo di applicazione delle procedure sopra descritte. In particolare, i privati cittadini consumatori, i professionisti (non imprenditori commerciali), gli imprenditori agricoli e le piccolissime imprese sotto soglia non sono soggetti a fallimento né a concordato preventivo. Per costoro il legislatore ha introdotto già nel 2012 (L.3/2012) e poi perfezionato nel Codice della Crisi un insieme di procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, ispirate a principi di carattere sociale (favorire la liberazione dai debiti delle persone meritevoli, prevenire l’esclusione finanziaria, ecc.).
Il sovraindebitamento viene definito come la situazione di perdurante squilibrio tra debiti assunti e patrimonio liquidabile per farvi fronte, con la conseguente incapacità di adempiere alle obbligazioni. In altre parole è l’insolvenza del debitore civile.
Le procedure disponibili (artt. 65-81 CCII) sono principalmente tre:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (prima chiamato “piano del consumatore”): riservato a persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (quindi tipicamente famiglie, privati che si sono indebitati per esigenze di consumo, mutui, etc.). Si tratta di una proposta di pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti ai creditori, formulata dal consumatore, che viene omologata dal Tribunale senza bisogno di approvazione dei creditori. Infatti, a differenza del concordato, qui i creditori non votano: è il giudice che valuta se il piano è fattibile e, soprattutto, se il debitore merita l’agevolazione (concetto di “meritevolezza”). Il tribunale omologa il piano del consumatore se il debitore ha agito con grado sufficiente di diligenza e buona fede nel contrarre i debiti e nel proporre il piano, tenuto conto delle cause dell’indebitamento e del comportamento mantenuto. La “meritevolezza” in pratica esclude chi ha colpa grave, frode o leggerezza inescusabile. La giurisprudenza l’ha esaminata in molti casi: ad esempio, è stato negato il piano a consumatori che avevano continuato a prendere finanziamenti ben sapendo di non poterli rimborsare (Cass. 9087/2022), oppure a chi aveva dissipato risorse in gioco d’azzardo senza informare i creditori. Viceversa è stato ammesso per famiglie travolte da eventi sfortunati (perdita lavoro, malattie, ecc.) che hanno tentato ragionevolmente di far fronte. Se omologato, il piano vincola tutti i creditori, anche dissenzienti, e prevede il pagamento del dovuto secondo le percentuali previste, con eventuale esdebitazione finale del consumatore per la parte non pagata (purché abbia attuato il piano con impegno).
- Accordo di ristrutturazione dei debiti (del consumatore o dell’imprenditore minore): procedura aperta a tutti i debitori sovraindebitati (consumatori compresi, ma per consumatore in genere conviene il piano di cui sopra) che comporta il raggiungimento di un accordo con i creditori. Richiede quindi il consenso di una maggioranza del 60% dei crediti, simile a un mini-concordato. A differenza del piano del consumatore, qui i creditori votano sulla proposta. Se la maggioranza approva e il tribunale verifica regolarità e fattibilità, omologa l’accordo rendendolo vincolante per tutti i creditori concorsuali (compresi i dissenzienti). Se tra i creditori vi sono l’Erario o enti previdenziali, la legge consente anche qui la falcidia di tali crediti con la loro adesione; in mancanza di adesione, l’omologa può essere rifiutata se il trattamento è inferiore a quanto otterrebbero altrimenti. Questo strumento è in sostanza analogo all’accordo ex art.182-bis L.F., ma calibrato su piccoli numeri.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la procedura concorsuale giudiziale di liquidazione di tutti i beni del debitore sovraindebitato. Il debitore (o i creditori, o un amministratore di sostegno) può richiederla quando non è fattibile un piano o un accordo, oppure quando il debitore intende proprio mettere tutto a disposizione per liberarsi dei debiti. Funziona in modo molto simile alla liquidazione giudiziale (fallimento) ma su scala ridotta: il tribunale nomina un Liquidatore, i beni vengono venduti, i creditori presentano domanda di partecipazione. A fine liquidazione, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti. La novità notevole è che il Codice ha introdotto la possibilità di esdebitazione anche per il debitore incapiente (art. 283 CCII): se un soggetto sovraindebitato non ha alcun patrimonio liquidabile (o ha beni di valore trascurabile) ma è meritevole (non ha colpe gravi né atti in frode), può ottenere dal tribunale la cancellazione dei suoi debiti senza dover pagare nulla, con beneficio di una sola volta nella vita. Questa è una misura di estremo favore, soprannominata “esdebitazione del nullatenente”, pensata per chi si trova strangolato dai debiti senza via d’uscita – ad esempio, persona rimasta senza reddito e senza beni con debiti pregressi di carte di credito, affitti non pagati, etc. Il tribunale concede l’esdebitazione liberando il soggetto dai debiti immediatamente, salvo l’obbligo di pagare comunque se nei successivi 4 anni la sua situazione economica migliora (ad esempio riceve un’eredità o un aumento reddituale rilevante).
Le procedure di sovraindebitamento prevedono il coinvolgimento di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), solitamente gestito dagli Ordini professionali o dalle Camere di Commercio: un professionista gestore viene nominato per assistere il debitore nel predisporre il piano o l’accordo, verificare i dati (ha funzione simile all’attestatore/commissario) e per vigilare sull’esecuzione. L’OCC è l’interfaccia tra debitore e tribunale.
Giurisprudenza significativa sovraindebitamento: molti i precedenti dato che la L.3/2012 ha ormai 10 anni di vita:
- La Corte Costituzionale si è pronunciata sull’istituto: ad esempio la sent. n. 63/2022 – citata prima – su un caso di pignoramento del quinto dello stipendio di un debitore che poi propose un piano. La questione era se il piano potesse includere anche la parte di stipendio già pignorata a un creditore. La Consulta ha ritenuto costituzionalmente legittimo l’art. 8 co.1-bis L.3/2012 (introdotto nel 2020) che non consentiva di toccare i pignoramenti in corso in sede di piano, quindi il debitore doveva lasciar proseguire quella trattenuta. In pratica, il legislatore volutamente ha tutelato quel creditore che aveva già ottenuto un sequestro sullo stipendio. Oggi il CCII continua su quella linea: è difficile “liberare” somme già oggetto di assegnazione giudiziale pregressa, salvo coinvolgere quel creditore nel piano.
- Cassazione ha fornito linee su “meritevolezza”: Cass. 18618/2019 ha escluso il beneficio per un consumatore che aveva assunto obblighi oltre le proprie possibilità confidando di non pagarli (concetto di “abusivo ricorso al credito”). Cass. 32360/2021 ha ribadito che la valutazione di meritevolezza attiene al comportamento antecedente e successivo: non è meritevole chi occulta parte del patrimonio o contrae debiti spericolati confidando in futuri condoni.
- Credito erariale e sovraindebitamento: Cass. 27417/2022 ha confermato che nel sovraindebitamento è ammessa la falcidia di IVA e altri tributi, in parallelo a quanto avviene nel concordato preventivo dopo i citati sviluppi. Dunque un piano del consumatore può prevedere il pagamento parziale dell’IVA senza violare norme UE, a condizione che quel pagamento sia almeno pari a quanto otterrebbe l’Erario in liquidazione (si applica il best interest test).
- Famiglie sovraindebitate: ricordiamo un aspetto introdotto dal CCII – la procedura familiare (art. 66 CCII): più membri di una stessa famiglia con sovraindebitamento possono presentare un unico piano o accordo congiunto se i debiti hanno origine comune. Questo consente di evitare duplicazioni di procedure. Es. marito e moglie coobbligati su mutui e finanziamenti – potranno fare un unico piano famigliare.
- Casa di abitazione: spesso la preoccupazione principale del debitore sovraindebitato è la casa. Se c’è un mutuo ipotecario, la legge consente nel piano di ristrutturazione di prevedere la sospensione delle rate fino a 5 anni e il creditore ipotecario non può opporsi se ottiene almeno l’equivalente di quanto avrebbe dalla vendita immediata. Questo per dare chance al debitore di conservare la casa cercando di ripianare il debito con più tempo. Giurisprudenza (Trib. Monza 2020) ha applicato questa norma per bloccare esecuzioni immobiliari in corso integrando il piano.
Il ruolo dell’avvocato dal lato debitore sovraindebitato: qui l’assistenza legale assume spesso una dimensione anche “sociale”. Il debitore sovraindebitato infatti è spesso un privato inesperto delle procedure.
- L’avvocato innanzitutto esamina la situazione debitoria complessiva (banche, finanziarie, fisco, privati) e consiglia quale strumento tentare. Se il debitore è un consumatore e c’è ragionevole meritevolezza, punterà al piano del consumatore (ora piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore) perché non necessita di consensi dai creditori ed è molto vantaggioso.
- Aiuta a predisporre il budget familiare che è alla base del piano: in pratica, occorre definire quanto reddito può destinare ai creditori ogni mese, lasciando il minimo vitale per sé e la famiglia. La legge e i tribunali adottano parametri (spesso l’OCF – indici di spese famigliari) per stabilire la parte di reddito sacrificabile. L’avvocato cura che il piano offra ai creditori tutto il surplus effettivamente disponibile, altrimenti il giudice non lo riterrà fattibile.
- Collabora con l’OCC (il gestore nominato): quest’ultimo redige una relazione particolareggiata sulla condotta del debitore e sul motivo dell’indebitamento. L’avvocato prepara il cliente alle interviste con l’OCC, raccoglie i documenti giustificativi (estratti conto, bollette, spese mediche – tutto ciò che spieghi perché non è riuscito a pagare).
- Redige la proposta di piano o accordo in termini chiari e completi, e la presenta al Tribunale. In udienza, il debitore sovente deve comparire per confermare la volontà e rispondere ad eventuali chiarimenti – l’avvocato lo assiste e spesso parla per lui spiegando la situazione al giudice in modo convincente (sottolineando ad esempio che la causa predominante del sovraindebitamento è stata la perdita del lavoro, non certo la negligenza, e che il debitore ha già venduto l’auto per pagare in parte i creditori, etc., insomma dipinge un quadro di meritevolezza).
- In caso di accordo con creditori, l’avvocato negozia con i creditori principali per convincerli a votare a favore. A differenza del concordato, qui i creditori sono spesso non organizzati, quindi convincerne il 60% può richiedere contatti diretti (es. parlare con la banca per farle accettare la percentuale, persuaderla che se non accetta il debitore dovrà andare in liquidazione e la banca recupererà meno).
- Nella liquidazione controllata, l’avvocato aiuta a compilare l’inventario di tutti i beni e a depositare l’istanza, poi rimane vicino al debitore durante la procedura. Può ad esempio assisterlo nel rivendicare beni personali esclusi (nell’ambito fallimentare esistono beni impignorabili anche qui: stipendio in parte, pensione min. etc.), oppure fare istanza per la chiusura anticipata se si vede che non c’è niente da liquidare e non conviene tenere aperto.
- Al termine, l’avvocato si occupa di richiedere formalmente l’esdebitazione. Nel sovraindebitamento il debitore persona fisica ottiene la liberazione dai debiti residui al termine dell’esecuzione del piano o accordo (se ha adempiuto correttamente). Anche qui il CCII la rende automatica per la parte eccedente (art. 81 CCII rinvia alla disciplina dell’esdebitazione di cui agli artt. 278 e segg.). L’avvocato tuttavia vigilierà che eventuali contestazioni da creditori vengano superate (un creditore potrebbe dire: il debitore ha nascosto un bene, quindi non merita l’esdebitazione – l’avvocato confuterà se non è vero).
- Per l’esdebitazione dell’incapiente, l’avvocato raccoglie le prove che il cliente davvero non ha nulla da liquidare e che la sua condotta è stata onesta ma sfortunata. Predispone l’istanza spiegando che la legge intende dare a persone come il suo cliente una seconda opportunità. Se il giudice concede l’esdebitazione, l’avvocato informerà comunque il cliente che per i prossimi 4 anni dovrà comunicare eventuali miglioramenti economici: lo assiste anche in quell’eventualità (ad es. se riceve una donazione, deve farne avere una parte ai vecchi creditori, altrimenti rischia la revoca del beneficio).
Tutela della casa di abitazione: Sovente, il bene più caro al debitore è la casa. L’avvocato studia soluzioni per preservarla se possibile. Ad esempio, nel piano o accordo potrebbe prevedere che la casa venga mantenuta con il debitore che continua a pagare il mutuo e magari offre ai creditori chirografari altre risorse (frutto di prestiti da familiari) per convincerli a non chiedere la vendita dell’immobile. Se non è fattibile, almeno pianifica con il debitore i tempi: a volte si riesce a negoziare con la banca una soluzione di rent to buy (la banca accetta di non procedere immediatamente, il debitore propone di vendere la casa entro tot tempo ricavando più di un’asta). Tutto questo è proprio il lavoro di un avvocato esperto, che unisce competenze giuridiche e sensibilità pratica.
Conclusione sulla prospettiva debitore nei sovraindebitati: l’avvocato, in queste situazioni, gioca un ruolo quasi “umanitario”: aiuta persone e famiglie a ritrovare la serenità liberandosi dal peso opprimente dei debiti, in modo legale e ordinato. La riuscita di un piano di sovraindebitamento significa che il debitore paga quello che può (spesso cifre modeste) e gli viene cancellato il resto, evitando pignoramenti eterni su stipendi o pensioni che porterebbero solo emarginazione.
In tutti i casi, il filo conduttore del lavoro dell’avvocato di crisi – dall’impresa medio-grande in concordato al privato in piano del consumatore – è la ricerca del miglior risultato possibile per il debitore nel rispetto della legge e dei diritti dei creditori. Ciò implica capacità tecniche (conoscere norme e giurisprudenza in evoluzione continua), capacità negoziali (trattare con controparti varie: banche, Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione, fornitori, ecc.) e capacità di visione strategica (sapere quando tentare un accordo e quando, invece, accettare la liquidazione, ad esempio).
Nei paragrafi successivi entreremo negli aspetti di pianificazione fiscale in situazione di crisi, completando il quadro delle competenze di questo “avvocato esperto in risanamento aziendale e pianificazione fiscale”.
Pianificazione Fiscale in Contesto di Crisi
La crisi d’impresa – o la situazione di sovraindebitamento personale – presenta sempre un’importante dimensione fiscale. I debiti tributari e contributivi spesso costituiscono una parte rilevante del passivo, e la loro gestione è delicata: vi sono norme speciali da considerare (ad esempio il trattamento privilegiato di IVA e ritenute, i limiti alla falcidia di taluni tributi, etc.) e anche profili penali (alcuni omessi versamenti sopra soglia sono reato). Inoltre, le scelte di ristrutturazione possono avere conseguenze fiscali significative (si pensi alle sopravvenienze attive da remissione di debito, potenzialmente tassabili, o alle plusvalenze da cessione di beni nel concordato). Un avvocato specializzato in questo campo deve quindi integrare la strategia di risanamento con una oculata pianificazione fiscale, in modo da ottimizzare il trattamento tributario a beneficio del debitore e prevenire rischi futuri.
Vediamo i principali ambiti in cui la pianificazione fiscale entra in gioco durante il risanamento e come l’esperto li affronta:
Interpelli e ruling fiscali durante la crisi
Quando un’azienda (o un contribuente) attraversa una crisi, l’incertezza sulle implicazioni fiscali di certe operazioni può essere elevata. Pertanto, uno strumento importante è l’interpello all’Agenzia delle Entrate, ossia la possibilità di chiedere un parere ufficiale e vincolante su come applicare la norma tributaria a un caso concreto (art. 11 L. 212/2000, Statuto del Contribuente). Nel contesto del risanamento, gli interpelli possono essere usati per:
- Disapplicare norme antielusive che penalizzerebbero l’azienda in crisi. Ad esempio, le società che presentano perdite sistematiche rischiano di essere considerate “non operative” o di comodo, con conseguente imposizione di un reddito minimo fittizio e limitazioni nell’utilizzo di crediti IVA. Una società in difficoltà potrebbe non raggiungere ricavi sufficienti e incappare in questa disciplina, ma può presentare un interpello disapplicativo dimostrando che le perdite sono dovute a reale crisi e non a manovre elusive. L’Agenzia delle Entrate, se concorda sulla genuinità della situazione, può disapplicare la disciplina delle società di comodo, evitandole un aggravio fiscale ingiustificato durante il risanamento.
- Confermare la neutralità fiscale di operazioni ristrutturative complesse. Nel risanamento spesso si effettuano operazioni straordinarie: fusioni, scissioni, conferimenti, conversione di debiti in capitale, cessioni di rami d’azienda. L’avvocato può attivare un interpello per avere certezza, ad esempio, che una fusione finalizzata a utilizzare le perdite fiscali pregresse non venga considerata elusiva dall’Agenzia (c’è la normativa sulle perdite fiscali e il cambio di controllo, art. 172 TUIR, con possibilità di interpello in caso di operazioni difformi dai requisiti standard). Oppure, se si prevede di trasformare la società in un ente diverso, si può chiedere conferma sul regime di realizzo dei beni.
- Gestire il trattamento fiscale di remissioni di debiti o di apporti: benché la legge preveda in molti casi la detassazione delle sopravvenienze da risanamento (come abbiamo visto per i piani attestati e le procedure concorsuali), possono sorgere dubbi interpretativi (soprattutto su casi non espressamente normati). Un interpello può risolverli a monte. Ad esempio, prima di chiudere un accordo di stralcio col maggior creditore, l’avvocato può interpellare l’Agenzia su come applicare l’art. 88 TUIR in quell’accordo specifico, così che l’azienda sappia con certezza se quel 50% di debito condonato sarà tassato o no.
- Pianificazione di investimenti di terzi nel risanamento: se entra un investitore per salvare l’impresa, questi potrebbe chiedere comfort fiscali. In Italia esiste l’interpello sui nuovi investimenti (introdotto dal D.lgs. 147/2015), che consente alle imprese che effettuano significativi investimenti di ottenere dall’Agenzia delle Entrate un parere su tutto il trattamento fiscale del piano di investimento. Un avvocato può attivare questo strumento per rassicurare un potenziale finanziatore sulla fiscalità della ristrutturazione (ad esempio, come saranno deducibili le perdite pregresse, il regime fiscale di eventuali veicoli societari utilizzati, etc.).
- Scongiurare sanzioni per errori formali in situazioni eccezionali: una crisi di liquidità può portare il contribuente a violare certi obblighi (ad es. tardivi versamenti IVA). L’avvocato potrebbe valutare interpelli per cause di forza maggiore o per applicare esimenti (non sempre fruttuosi, ma tentare). Un esempio: durante la pandemia COVID, molte imprese insolventi non hanno versato imposte e contributi. Alcune hanno poi chiesto di non applicare sanzioni per “causa di forza maggiore” con interpello – l’esito non è garantito, ma fa parte degli strumenti.
L’interpello offre il vantaggio di cristallizzare la posizione del Fisco: la risposta dell’Agenzia vincola l’Amministrazione finanziaria sul caso specifico (salvo dolo o reticenze del contribuente). Ciò crea certezza, che è cruciale nel quadro di un risanamento in cui si hanno già molte variabili. L’avvocato con competenze tributarie redige l’istanza di interpello in modo accurato, illustrando la fattispecie e le proprie argomentazioni giuridiche. Spesso instaura un dialogo con l’ufficio dell’Agenzia (specie negli interpelli sui investimenti, c’è una fase di interlocuzione) per chiarire eventuali dubbi. Un esempio concreto: una società in concordato preventivo intende cedere un immobile; chiede tramite interpello se applica l’IVA o l’imposta di registro, data la particolarità della vendita concorsuale (evitando errori che potrebbero generare contenzioso con l’acquirente).
Patent Box e agevolazioni su beni immateriali
Il Patent Box è un regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti da beni immateriali (brevetti, software, know-how, disegni industriali, ecc.). Introdotto nel 2015, è stato profondamente modificato di recente (Legge di Bilancio 2022). Originariamente consisteva in un’esenzione del 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo di tali beni, subordinata anche a un accordo (ruling) con l’Agenzia delle Entrate. Dal 2021 è stato trasformato in una super-deduzione del 110% dei costi di ricerca e sviluppo afferenti ai beni immateriali agevolabili, senza necessità di ruling (cd. “nuovo Patent Box”).
In che modo entra in gioco in un risanamento? Se l’impresa in crisi possiede asset intangibili valorizzabili (un marchio forte, brevetti innovativi, software proprietari), l’avvocato/consulente potrebbe valutare di farla aderire al Patent Box per ridurre il carico fiscale sui futuri utili o per monetizzare i crediti d’imposta:
- Ridurre imposte e liberare cassa: se il piano di rilancio prevede che l’impresa torni in utile sfruttando i suoi brevetti o il suo know-how, aderire al Patent Box significa che per ogni €100 di costi R&S correlati a quei beni, si deduce €210 dal reddito tassabile. Questo può portare a un forte risparmio d’imposta (in IRES a 24%, ogni €100 di costi genera €24 di risparmio, col Patent Box diventano €110 di deduzione extra, ~€26 di extra risparmio). Tali risparmi migliorano la liquidità, agevolando il risanamento. L’avvocato deve predisporre la comunicazione di adesione in dichiarazione e assicurarsi che la documentazione richiesta sia predisposta (per evitare sanzioni in caso di controllo). Lo fa coordinandosi con i fiscalisti e magari con un perito per stimare il nexus ratio (necessario se una parte dei costi R&S è esterna).
- Valorizzare gli asset nella trattativa con investitori: poter dire a un investitore che l’azienda ha brevetti su cui può applicare il Patent Box, quindi pagherà meno tasse, aumenta l’attrattività. L’avvocato evidenzia questo nel piano, magari predisponendo già la bozza di calcolo del beneficio (in un concordato, ad esempio, nell’attestazione si può considerare un tax rate effettivo ridotto grazie al Patent Box).
- Recuperare imposte pregresse: col nuovo Patent Box, se l’azienda ha svolto R&S negli ultimi anni su beni immateriali ma non ne ha usufruito, può presentare una dichiarazione integrativa e ottenere un credito d’imposta (c.d. penalty protection con autoliquidazione di maggiori deduzioni). Se un’azienda in crisi scopre che può dedurre il 110% di spese R&S fatte negli anni scorsi per un software sviluppato internamente, quell’extra deduzione si traduce in un minor utile tassato e quindi in rimborsi o crediti di imposta. In fase di risanamento, questo può valere oro: l’avvocato guida il cliente nel predisporre istanze di rimborso o compensazione dei crediti risultanti e nel difenderne la spettanza.
Va detto che il Patent Box è una materia specialistica: l’avvocato in questi casi collabora con un consulente brevettuale e fiscale per identificare i beni agevolabili e calcolare il nexus ratio (rapporto tra costi qualificati di R&S e costi totali per il bene, per limitare il beneficio alle attività a reale contenuto di sviluppo in Italia). Tuttavia, la scelta strategica di optare per l’agevolazione e inserirla nel piano di risanamento spetta all’avvocato/consulente di crisi.
Un esempio: una PMI manifatturiera in crisi possiede un brevetto di una tecnologia ecologica. Il piano di concordato in continuità prevede di puntare su quel prodotto innovativo. L’esperto fiscale consiglia di aderire al Patent Box: i costi R&S su quel brevetto (stipendi ingegneri, test di laboratorio) saranno super-deducibili, riducendo l’IRES. Si stima che nei 5 anni di piano, anziché pagare 100 di tasse ne pagherà 70. Questi 30 risparmiati potranno essere usati per pagare di più i creditori. In proposta concordataria, l’avvocato evidenzierà: “Grazie a Patent Box e crediti R&S, la % di soddisfo chirografari sale dal 15% al 20%”. Anche i creditori saranno più propensi ad approvare sapendo che l’azienda sfrutterà ogni leva legale per generare risorse.
Consolidato fiscale e utilizzo delle perdite nel gruppo
Molte imprese fanno parte di gruppi societari. Il regime di consolidato fiscale nazionale (artt. 117-129 TUIR) consente alle società di un gruppo (controllate al 50%+ dal medesimo soggetto) di presentare un’unica dichiarazione fiscale di gruppo, compensando utili e perdite delle varie controllate. Ciò può essere estremamente utile in un risanamento:
- Se l’impresa in crisi ha perdite fiscali pregresse consistenti (magari anni di risultati negativi non utilizzati interamente), ma spera di tornare utile in futuro, l’avvocato valuta come massimizzare l’utilizzo di tali perdite. Una via è consolidare con una società sorella o col controllante che genera utili, così da usare immediatamente quelle perdite per ridurre il carico fiscale del gruppo. Ad esempio, Alfa S.r.l. (in crisi) ha €5M di perdite pregresse; Beta S.r.l. (stesso gruppo, sana) genera utili. Se Alfa e Beta entrano in consolidato, Beta potrà assorbire le perdite di Alfa riducendo le imposte del gruppo (in effetti, il gruppo risparmia 1.2M di IRES) e magari potrà investire tali risparmi in Alfa (finanziandone il rilancio).
- Se invece l’impresa in crisi prevede di generare utili futuri ma ha timore di non poter sfruttare interamente le perdite pregresse perché il TUIR (post riforma 2011) limita l’utilizzo annuo delle perdite al 80% del reddito eccedente i primi 5 anni, la soluzione può essere farla consolidare con la capogruppo in modo da sfruttare le perdite in compensazione con gli utili di gruppo, evitando di restare col “collo di bottiglia” dell’80%. In pratica nel consolidato, le perdite pregresse ante consolidato di Alfa possono essere ancora utilizzate solo dalla stessa Alfa limitatamente, ma le nuove perdite generate in consolidato possono compensare immediatamente utili di altre.
- L’avvocato deve considerare i vincoli normativi: l’ingresso/uscita dal consolidato ha regole e non è automatico. Ad esempio, se l’azienda in crisi viene venduta a un nuovo socio, la discontinuità di controllo potrebbe far decadere alcune perdite (art. 172 co.7 TUIR prevede che in caso di cambio di controllo e cambiamento attività le perdite decadono, salvo interpello per dimostrare vitalità azienda – altra ragione per un interpello!). Dunque, se c’è la prospettiva di acquistare l’azienda da un nuovo investitore, l’avvocato valuta come salvaguardare le perdite fiscali: possibili vie sono chiedere un ruling all’Agenzia per confermare che non c’è elusione nella compravendita finalizzata a usare perdite, oppure orchestrare la transazione in modo da mantenere attiva l’azienda con stessa attività per un certo periodo.
- Consolidare ha pure l’effetto di semplificare la gestione fiscale del gruppo post-risanamento: dich. unica, eventuali crediti IVA compensati internamente, ecc. Ma ha un risvolto: la responsabilità solidale per IRES di gruppo. L’avvocato spiega al nuovo investitore che se prende Alfa e la consolida, la controllante risponderà per le imposte di Alfa consolidate. Ciò di solito non è un problema se il piano è rettilineo.
Un aspetto di rilievo: la consolidante può anche cedere all’interno del gruppo le perdite pregresse di una consolidata in perdita ante-consolidato, attraverso meccanismi di riporto in consolidato (se la consolidata possiede requisiti di vitalità economica). Questo è tecnico, ma un avvocato-savvy può strutturare ad esempio una fusione inversa di una newco controllante sulla società in crisi per preservare l’utilizzo delle perdite in consolidato (attivando la clausola di esclusione di intenti elusivi).
Anche i aspetti temporali contano: se la società in crisi non è ancora in consolidato e l’esercizio fiscale è quasi chiuso, conviene far opzione per il consolidato dal nuovo anno per includerla (l’opzione va presentata entro il primo anno di consolidamento). L’avvocato pianifica queste scadenze.
E se l’azienda in crisi non ha un gruppo? A volte in situazioni di crisi le imprese creano un mini gruppo ad hoc: ad es. la società in crisi costituisce una società veicolo (detenuta al 100%) e trasferisce asset in bonis lì, poi consolida per compensare eventuali utili del veicolo con le perdite residue. Questo però dev’essere genuino e non far scattare contestazioni di abuso del diritto.
Infine, attenzione a quando un’azienda entra in liquidazione giudiziale (fallimento): la norma (art. 118 TUIR) prevede che con il fallimento la società esce dal consolidato e ogni perdita generata durante la procedura può essere usata dalla curatela solo per abbattere utili durante la procedura stessa – scenario raro – e comunque eventuali perdite pregresse restano sospese. Questo serve per dire: se un gruppo controllante aveva consolidato la società poi fallita, dal giorno del fallimento i redditi/perdite di questa non affluiscono più al consolidato (Cass. SU 13452/2017). Quindi il gruppo potrebbe perdere il beneficio di compensazione con le altre società. L’avvocato di gruppo magari ha interesse a far completare il risanamento in concordato piuttosto che mollare la controllata al fallimento, proprio per non perdere quell’effetto.
Crediti d’imposta e incentivi durante la crisi
In fasi di difficoltà, è fondamentale sfruttare appieno ogni credito d’imposta o incentivo fiscale spettante, sia per ridurre esborsi sia per ottenere liquidità immediata (alcuni crediti sono rimborsabili o cedibili).
Ecco alcune tipologie e come l’esperto le integra nel piano:
- Crediti IVA: se il debitore vanta crediti IVA cospicui (ad esempio per investimenti o esportazioni nette), può chiederne il rimborso accelerato (sussistendone i requisiti) o usarli in compensazione per pagare altri tributi senza esborso di cassa. In un concordato preventivo, la compensazione dei crediti fiscali del debitore con i debiti tributari concorsuali è controversa (di norma non ammessa post apertura procedura), ma l’avvocato può pensare a strategie: ad es. utilizzare il credito IVA maturato dopo l’apertura per pagare debiti fiscali correnti (che sono prededucibili e vanno pagati).
- Crediti ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, formazione 4.0: molte imprese hanno progetti che generano crediti d’imposta (grazie al Piano Industria 4.0 e successive proroghe) – come il credito R&S (diverso dal Patent Box), credito per investimenti in macchinari innovativi, credito per formazione personale su tecnologie. Questi crediti di norma possono essere compensati con tasse e contributi. In una crisi di liquidità, l’avvocato si assicura che l’azienda certifichi e recuperi tali crediti. Ad esempio, una società ha investito €100k in software innovativi: ha diritto a un credito d’imposta 20% = €20k. Se non lo ha ancora utilizzato, va indicato in Unico e può ridurre i versamenti futuri. In concordato, tali crediti maturati ante procedura sono attivi patrimoniali che migliorano il soddisfacimento creditori (vanno nella relazione del commissario).
- Bonus edilizi o energetici: se l’impresa possiede immobili, può cogliere opportunità come il “Superbonus 110%” (se ancora temporalmente applicabile) per ristrutturarli a costo zero e magari venderli a maggior valore. Attenzione: questi bonus spesso sono complessi e in evoluzione legislativa. L’avvocato comunque verifica se la società ha crediti derivanti da cessioni di bonus (ad es. un’impresa edile in crisi può avere crediti d’imposta da sconto in fattura – valore rilevante).
- Definizioni agevolate: periodicamente, il legislatore introduce sanatorie (ad esempio la “rottamazione delle cartelle” citata, o condoni liti fiscali). Durante la crisi, l’avvocato deve essere aggiornatissimo su queste misure e valutare la loro convenienza:
- La rottamazione delle cartelle permette di estinguere i debiti con l’Agente della Riscossione pagando solo l’imposta residua (no sanzioni, no interessi di mora). Nel 2023 era attiva la “rottamazione-quater” (DL 199/2022): un’impresa in concordato poteva inserirvi i debiti iscritti a ruolo, riducendo sensibilmente l’importo dovuto. Va però coordinata con la procedura: ad esempio, se il concordato proponeva il pagamento parziale dei debiti Equitalia, ora con la rottamazione quell’importo può essere ridotto. L’avvocato ha magari fatto presentare comunque domanda di adesione alla rottamazione per bloccare le azioni (che comunque sarebbero state bloccate per la procedura concorsuale).
- La definizione agevolata delle liti tributarie (sempre legge 197/2022) permetteva di chiudere contenziosi con l’Agenzia Entrate pagando percentuali ridotte a seconda dell’esito della lite (es. 90% se il contribuente aveva perso in primo grado, 40% se aveva vinto in primo grado, 15% se vinto in secondo, e 5% se pendente in Cassazione). Un’azienda in crisi, con cause tributarie in corso, può trarre enorme giovamento da ciò: paga molto meno di quanto contestato, eliminando l’incertezza e risparmiando. L’avvocato esamina quali controversie pendenti conviene definire e presenta le domande relative. Notificherà poi al giudice fallimentare o al commissario di concordato l’avvenuta definizione, così da aggiornare il passivo: quei debiti passano dall’intero importo a quello ridotto definito.
- La transazione fiscale all’interno del concordato stesso, già discussa, è anch’essa una sorta di definizione agevolata, ma negoziata in quella sede.
In sintesi, l’avvocato esperto non lascia nulla sul tavolo: scova e utilizza crediti e bonus come risorse aggiuntive per il risanamento.
Gestione del contenzioso fiscale e contributivo nel risanamento
Un piano di risanamento efficace deve affrontare anche i contenziosi fiscali e contributivi in corso o potenziali. Infatti:
- Se il debitore ha ricorsi pendenti contro accertamenti tributari, occorre decidere se perseverare nel contenzioso o conciliare/adesione. Continuare la causa può avere senso se si è convinti di vincere e l’importo è grande (vincere annullerebbe quel debito). Tuttavia, i tempi lunghi del contenzioso mal si conciliano con un concordato o accordo di ristrutturazione, che devono quantificare i debiti certi. Spesso, l’avvocato suggerirà di ricorrere a uno strumento deflattivo: ad esempio, l’accertamento con adesione (colloquio con l’ente per chiudere l’accertamento riducendo sanzioni) o, se in giudizio, la conciliazione giudiziale (chiudere la lite con un accordo in udienza). L.197/2022 addirittura ha introdotto la conciliazione agevolata in Cassazione (pagando 5%); nel 2023 molte liti sono state chiuse così. L’avvocato valuterà, insieme al fiscalista, la probabilità di vittoria e l’impatto sul piano: se un esito incerto su un debito milionario pende, potrebbe rendere non fattibile il piano. Meglio forse chiuderla pagando il 50% ora (se accessibile) e togliere l’incognita. La controparte – Agenzia Entrate – nel contesto di procedure concorsuali è spesso più disponibile a transare, sapendo che rischia di prendere briciole in fallimento. Non a caso, il Codice consente al tribunale di forzare il cram-down se il Fisco esagera con pretese (come visto).
- Se ci sono potenziali illeciti tributari (omessi versamenti rilevanti, dichiarazioni infedeli), l’avvocato deve premunirsi. Esempio classico: l’imprenditore in crisi non ha versato l’IVA per 3 anni, accumulando debito IVA di 300 mila € (soglia penale €250k l’anno). Questo configura il reato di omesso versamento IVA per almeno un anno. Il risanamento non cancella d’ufficio la responsabilità penale; tuttavia, se nel frattempo l’imprenditore paga integralmente l’IVA dovuta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale, il reato è estinto (art. 10-ter DLgs 74/2000). L’avvocato, conscio di ciò, magari nella transazione fiscale prevede il pagamento integrale dell’IVA (mentre falcidia altre parti), così da salvare il cliente da futuri guai penali. Oppure, se non c’è liquidità, cercherà di far ottenere una rateazione frazionando il reato in competenza di anni diversi (non semplice). In ogni caso, integrerà nel piano misure per regolarizzare i tributi penalmente rilevanti (anche contributi previdenziali omessi oltre soglia).
- Contenzioso previdenziale (INPS): analoghi ragionamenti. Ci sono reati per omesso versamento di ritenute INPS > €10k anno. Va inserita nel piano la loro soddisfazione preferenziale o integrale se possibile, per evitare che dopo, a piano eseguito, arrivi una condanna penale.
Un altro fronte sono le azioni revocatorie fiscali: l’Agenzia delle Entrate Riscossione potrebbe in alcuni casi impugnare atti del debitore in pregiudizio del suo credito (non versato). Ad esempio, se un anno prima del concordato il debitore ha venduto un immobile a un terzo, il Fisco potrebbe valutarne la revoca per frode ai creditori. L’avvocato di risanamento, in coordinamento con quello fallimentare, deve considerare se simili atti possono essere annullati e riportare beni in massa attiva (paradossalmente utile al piano a volte) oppure no. In sede di transazione fiscale, a volte il Fisco chiede la rinuncia del debitore a cause o a contestazioni.
Rapporti col Fisco nel corso del piano: una volta omologato un concordato con transazione fiscale, il Fisco è tenuto a rilasciare i durc fiscali e contributivi (documenti di regolarità) in base all’esecuzione del piano, senza pretendere il saldo integrale immediato. L’avvocato dovrà vigilare che l’Agenzia Riscossione aggiorni le posizioni: se per esempio il piano prevede stralcio 40% e la prima rata del 10% è pagata, l’Agente non dovrebbe iscrivere fermi amministrativi su automezzi residui del debitore.
Infine, da notare che l’Agenzia Entrate ha un approccio ormai più collaborativo verso imprese in composizione negoziata o concordato. Come segnalato da FiscoOggi, anche normative recenti spingono a formulare proposte durante le trattative. L’avvocato può contattare direttamente l’ufficio grandi contribuenti o l’avvocatura dell’Agenzia per intavolare la transazione fiscale prima di depositare formalmente il piano – questo capita nelle grandi ristrutturazioni. Un professionista autorevole può convincere l’erario mostrando tabelle su “in fallimento prenderesti 5, in concordato offriamo 30, accetta per favore”. Spesso l’Erario alla fine segue il criterio di economicità.
Check-list fiscale per l’avvocato del debitore in crisi:
- Elenco di tutti i debiti fiscali e contributivi, distinguendo: tributi liquidati (cartelle esattoriali), accertamenti contestati, debiti correnti, reati eventuali.
- Verifica di tutte le opzioni agevolative: definizioni, rottamazioni, crediti d’imposta, Patent Box, etc.
- Pianificare il pagamento dei tributi correnti (per non incorrere in nuovi debiti in prededuzione). In un concordato in continuità, il debitore deve pagare regolarmente imposte e contributi maturati dopo la domanda: l’avvocato raccomanderà di accantonare l’IVA su vendite in corso o chiedere al giudice di poterla compensare con crediti, per evitare di creare nuovi buchi.
- Richiedere, se opportuno, la sospensione di obblighi tributari. Es. in composizione negoziata la legge prevede che il debitore possa chiedere la sospensione dei termini di pagamento dei tributi (previsti da piani di rateizzo) per la durata delle trattative; l’avvocato fa istanza al Tribunale in tal senso così che l’azienda non decada da una rateazione pregressa mentre è protetta (art. 19, co.2, DL 118/2021).
- Raccogliere certificati di regolarità o i carichi pendenti fiscali per presentare un quadro veritiero (l’OCC e il commissario guardano l’Equità per vedere il debito).
- Gestire eventuali fideiussioni personali su debiti fiscali: se l’imprenditore o i soci hanno garantito i debiti fiscali (es. un accordo di rateizzo con Equitalia spesso richiede garanzia personale), il piano di concordato non libera il fideiussore (art. 184 L.F. esclude esdebitazione coobbligati, e nel CCII pure i coobbligati non sono protetti se non concordano diversamente). Quindi attenzione: se la società falcidia l’80% del debito IVA e il socio l’aveva garantito, l’Erario potrà rifarsi sul socio per la differenza. L’avvocato, se assiste anche il socio, deve parallelamente gestire la posizione: magari includendo il socio in un accordo personale col Fisco (non facile). O se il socio è anch’egli sovraindebitato, valuterà un suo sovraindebitamento personale.
In conclusione, la pianificazione fiscale in fase di crisi è tanto cruciale quanto la predisposizione giuridica del piano. Un avvocato specializzato possiede competenze trasversali o lavora in team con tributaristi per:
- Minimizzare l’impatto dei debiti fiscali (tramite transazioni, definizioni, ecc.),
- Massimizzare i benefici di crediti e agevolazioni (es. Patent Box, crediti investimenti),
- Evitare sanzioni e risvolti penali (pagando opportunamente le voci sensibili),
- Dare certezza alle operazioni di ristrutturazione (con interpelli e ruling),
- Assicurare la sostenibilità fiscale del nuovo corso post-crisi (nessuno vuole che l’azienda risanata cada di nuovo perché non aveva considerato un carico fiscale latente).
Con queste attenzioni, il risanamento ha molte più chance di successo, e il debitore potrà intravedere la fine del tunnel non solo libero dai creditori privati ma anche in regola col Fisco.
Giurisprudenza Rilevante (aggiornata a giugno 2025)
In questa sezione riepiloghiamo alcune delle pronunce giurisprudenziali più significative in materia di crisi d’impresa e sovraindebitamento, per come rilevano dal punto di vista del debitore. Sono incluse decisioni della Corte di Cassazione (civile e penale), della Corte Costituzionale, nonché pronunce di merito (Corti d’Appello, Tribunali) particolarmente innovative, aggiornate fino a metà 2025.
Cassazione civile – Procedure concorsuali
- Revocatoria e piano attestato – Cass. civ. Sez. I, ord. 25 marzo 2022, n. 9743: ha stabilito che la protezione dagli effetti revocatori per gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato di risanamento non opera in modo automatico e indiscriminato. Il giudice fallimentare può scrutinare ex ante l’idoneità del piano a risanare l’impresa; se il piano era manifestamente inetto allo scopo, gli atti esecutivi possono essere revocati. In altri termini, per beneficiare dell’esenzione da revocatoria ex art. 67, co.3, lett. d) L.F., il piano deve apparire ragionevolmente idoneo al risanamento, altrimenti l’esenzione non si applica. Ciò tutela i creditori da piani “schermo” usati solo per favorire taluni.
- Concordato preventivo e abuso – Cass. Sez. I, 3 marzo 2023, n. 6508: (massimata da fonti dottrinali) ha rimarcato che la domanda di concordato preventivo dev’essere proposta in buona fede per regolare una crisi reale. Una domanda presentata al solo scopo dilatorio, senza vera volontà di offrire soddisfazione ai creditori, può essere dichiarata inammissibile o revocata. Questa sentenza sottolinea il potere-dovere del tribunale di intercettare eventuali abusi già in fase di ammissione (ad es. piani irrisori proposti solo per guadagnare tempo).
- Transazione fiscale e cram-down – Cass. Sez. V, 8 aprile 2021, n. 8500: (sez. tributaria) ha affrontato il tema del cram-down fiscale prima dell’entrata in vigore del CCII. Ha confermato la possibilità per il tribunale di omologare il concordato preventivo anche in assenza di adesione dell’erario alla transazione fiscale, purché la proposta verso il Fisco fosse più conveniente del fallimento e i creditori avessero approvato il concordato. Questa pronuncia anticipava di fatto quanto poi normativamente sancito. Con il CCII, la Cassazione successiva (es. Cass. 7 luglio 2022, n. 21390) ha applicato i nuovi parametri: nella specie, ha ritenuto legittimo l’omologa di un accordo di ristrutturazione nonostante il dissenso dell’erario poiché erano rispettate le soglie del 50% di soddisfacimento e 25% di adesioni.
- Concordato liquidatorio e garanzie ai chirografari – Cass. 4 maggio 2020, n. 8436: richiamando l’art. 160 L.F. (ora art. 84 CCII), ha confermato l’inammissibilità di proposte di concordato liquidatorio che non offrano almeno il 20% ai creditori chirografari, a meno di risorse esterne aggiuntive. Questa soglia è considerata dalla S.C. un requisito oggettivo di ammissibilità (salvo che i creditori chirografari siano soddisfatti in misura inferiore ma con l’apporto di risorse esterne pari almeno al 10% – previsione del vecchio art. 160 co.4 L.F., in parte superata dalle modifiche successive).
- Concordato preventivo e classi – Cass. Sez. I, 26 gennaio 2021, n. 1397: ha affermato che la suddivisione dei creditori in classi nel concordato deve rispettare criteri di omogeneità di posizione giuridica e interesse economico. Se la formazione delle classi appare arbitraria o volta a manipolare le maggioranze (ad esempio isolando artificiosamente un creditore dissenziente in una classe a sé), il tribunale deve negare l’omologazione. Questa pronuncia, pur anteriore al CCII, resta valida: infatti la Cassazione (ord. n. 21566/2022) ha confermato il diniego di omologa per un concordato ove una classe di banche dissenzienti era stata surclassata dalla creazione di classi “spezzatino”.
Cassazione civile – Sovraindebitamento e persona
- Meritevolezza del consumatore – Cass. civ. Sez. VI-1, ord. 18 febbraio 2021, n. 4270: (da IlCaso.it) in realtà questa decisione riguarda la falcidia dei crediti privilegiati generali nei piani del consumatore. La S.C. ha cassato un decreto di diniego di omologa che riteneva inammissibile la falcidia parziale di crediti con privilegio generale (come il privilegio dello Stato ex art. 2752 c.c.). Ha stabilito che anche i crediti privilegiati generali possono essere pagati parzialmente nel sovraindebitamento, purché ricevano non meno di quanto otterrebbero in un fallimento (verificato mediante attestazione dell’OCC sul valore di liquidazione). Questo principio ha chiarito che il piano può ridurre i privilegiati (tranne quelli impignorabili per legge) secondo l’absolute priority rule adattata: non integralità, ma rispetto del miglior soddisfacimento alternativo.
- Conversione piano in liquidazione – Cass. 7 ottobre 2022, n. 28013: ha statuito che la pendenza di un procedimento di omologazione di un piano del consumatore non impedisce di dichiarare il fallimento del medesimo debitore, se sopravviene un’istanza di liquidazione controllata e il piano non appare sostenibile. In tal caso il giudice, accertata l’insolvenza, può convertire la procedura in liquidazione d’ufficio. Questa pronuncia (riferita alla L.3/2012) evidenzia che se la situazione peggiora, il debitore non può cristallizzarsi in un piano irreale – serve passare alla liquidazione. Dal lato pratico, l’avvocato del debitore in pianificazione deve vigilare su eventuali aggravamenti e magari egli stesso optare per la liquidazione controllata in caso di insuccesso del piano (il CCII ora consente passaggi tra procedure).
- Esdebitazione del sovraindebitato incapiente – Tribunale di Milano, decreto 15 aprile 2021: (prima applicazione L.176/2020) ha concesso l’esdebitazione a un soggetto nullatenente e disoccupato, ritenendolo meritevole. Anche se non è Cassazione, è rilevante perché ha segnato il percorso: la verifica di meritevolezza per l’incapiente deve considerare l’assenza di atti in frode e l’impossibilità oggettiva di pagare anche minima parte dei debiti. Cass. 11883/2022, poi, ha confermato che l’esdebitazione del fallito (per estensione anche sovraindebitato) può essere negata solo in caso di dolo o colpa grave, e che la semplice violazione di obblighi documentali non basta a negarla se non ha pregiudicato i creditori.
- Controversie su crediti fiscali nel sovraindebitamento – Cass. SS.UU. 8516/2021: ha risolto un conflitto di giurisdizione stabilendo che le opposizioni agli stati passivi formati nell’ambito di procedure di sovraindebitamento (come liquidazione del patrimonio) spettano al giudice ordinario e non alle commissioni tributarie, anche se vertono su crediti tributari. Ciò uniforma il regime al fallimento (art. 2 DLgs 546/92). In pratica, se l’Agenzia Entrate insinua un credito e il debitore lo contesta in liquidazione controllata, deciderà il tribunale civile con le forme dell’opposizione allo stato passivo.
Cassazione penale
- Omesso versamento IVA e concordato – Cass. pen. Sez. III, 5 maggio 2020, n. 13628: questa sentenza di legittimità penale, già richiamata, ha affermato che la presentazione della domanda di concordato preventivo non esime l’imprenditore dall’obbligo di versare l’IVA il cui termine scade dopo il deposito della domanda. La condotta omissiva resta punibile se l’IVA non è versata e il tribunale non aveva emesso un ordine di divieto pagamenti che includesse quell’obbligo. Si configura il reato di cui all’art. 10-ter DLgs 74/2000 se superata la soglia. Solo un provvedimento specifico del giudice potrebbe scriminare l’omissione (art. 51 c.p.). Questo orientamento, ormai consolidato, impone al debitore in concordato di attivarsi per pagare l’IVA corrente o chiedere subito al giudice di essere autorizzato a pagarla (cosa normalmente concessa, essendo un debito per imposta esigibile e non un pagamento pregiudizievole).
- Bancarotta preferenziale e pagamenti in piano attestato – Cass. pen. Sez. V, 22 febbraio 2021 n. 7309: ha escluso la punibilità per bancarotta preferenziale dei pagamenti effettuati nell’ambito di un piano attestato di risanamento, se effettuati in coerenza con esso e funzionali alla continuità aziendale. Ha ritenuto che la causa di non punibilità di cui all’art. 217-bis L.F. (ora art. 324 CCII) – che esclude il reato per pagamenti e operazioni compiute in esecuzione di concordato, accordo o piano attestato omologati/pubblicati – sia applicabile anche se la procedura concorsuale poi fallisce, purché all’epoca i pagamenti erano “dovuti secondo il piano”. Ciò tranquillizza gli amministratori: se pagano un fornitore strategico seguendo il piano attestato (attestato veritiero), non saranno colpevoli se poi l’azienda fallisce e altri creditori restano insoddisfatti.
- False comunicazioni nel concordato – Cass. pen. Sez. V, 27 ottobre 2020 n. 29541 (caso Pellini): ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 236 L.F. (falso in attestazioni e relazioni) nei confronti di un attestatore di piano concordatario che aveva avallato valori non veritieri. Ha ritenuto punibile anche il concorso degli amministratori che fornirono dati falsi all’attestatore. Questo serve da monito: il professionista indipendente risponde penalmente se assevera il falso, e chi collabora a fornirgli info mendaci pure. Dal lato debitore, significa che non conviene mai nascondere buchi o sovrastimare attivi nel piano – le conseguenze penali e il successivo fallimento sarebbero devastanti. L’avvocato deve vigilare su questo aspetto etico oltreché legale.
Corte Costituzionale
- Sentenza n. 6/2020: ha dichiarato illegittimo l’art. 163, co. 2, n. 3 L.F. nella parte in cui non includeva l’obbligo di allegare alla domanda di concordato con riserva i bilanci dell’ultimo triennio. Ciò per garantire sufficiente trasparenza iniziale. Il CCII ha recepito tale indicazione codificando che all’istanza vanno uniti almeno gli ultimi bilanci. Questo intervento, pur tecnico, mostrò l’attenzione della Consulta per l’equilibrio tra facilitazioni al debitore e tutela minima di informazione ai creditori e al giudice.
- Sentenza n. 17/2021: ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 277, co. 1 CCII (come da ultimo mod.) nella parte in cui non consentiva l’esdebitazione di diritto al fallito meritevole anche in caso di mancato pagamento integrale dei crediti erariali privilegiati. In pratica, la norma primaria escludeva alcuni debiti dall’esdebitazione, tra cui debiti per IVA e ritenute non versate. La Consulta ha ritenuto questo contrastante col principio di ragionevolezza e col diritto UE (principio di sovraindebitamento onesto). Da ciò discende che oggi anche l’IVA residua e i tributi privilegiati non pagati possono essere esdebitati. Questo costituisce un’evoluzione favorevole al debitore onesto, garantendogli il fresh start completo (fatto salvo il dolo). Il legislatore dovrà adeguare formalmente l’art. 280 CCII in tal senso. Nel frattempo, i giudici applicano direttamente la pronuncia costituzionale.
- Sentenza n. 59/2021: ha affrontato la questione spinosa del trattamento dell’IVA nei concordati preventivi alla luce del diritto UE. La Corte Cost. ha interpretato conforme a Costituzione (e non in conflitto con l’ordinamento UE) la norma nazionale che consente la falcidia dell’IVA nel concordato, in quanto l’Erario concorre secondo la graduazione concorsuale e il concordato è alternativa al fallimento dove spesso l’IVA rimane in parte impagata. Questa sentenza, di fatto, ha tolto gli ultimi dubbi sull’ammissibilità di stralciare l’IVA (superando un contrasto col diritto UE risolto dalla Corte di Giustizia con la causa C-546/14). Dunque, ha legittimato la transazione fiscale su IVA anche senza integrale pagamento.
- Sentenza n. 65/2022: (già esaminata) sul sovraindebitamento ha confermato la costituzionalità della norma che non consente a un piano del consumatore di incidere su una quota di stipendio già pignorata e assegnata a un creditore. Il ragionamento è che quel creditore ha già ottenuto un provvedimento definitivo e quindi diversamente dal concordato (che blocca le esecuzioni prima che si completino), nel sovraindebitamento a esecuzione già conclusa con assegnazione occorre tutelare l’affidamento del creditore procedente. Questo delimita i poteri del giudice nel ridurre debiti: se una parte di reddito è stata destinata dal giudice dell’esecuzione, il piano deve prenderlo atto. Dal punto di vista del debitore, come riflesso, conviene presentare la domanda di composizione prima che i creditori ottengano pignoramenti efficaci sullo stipendio, per includere anche quei debiti nella falcidia.
Giurisprudenza di merito (Corti d’Appello e Tribunali)
- Tribunale di Roma, decreto 19 marzo 2025: ha sancito l’inammissibilità di estendere le misure protettive della composizione negoziata oltre i termini massimi di legge tramite provvedimenti cautelari successivi. In controtendenza rispetto a Tribunale di Milano 2022 (che aveva ipotizzato di poter “convertire” la protezione in una misura cautelare prolungata), Roma ha ritenuto che 180 giorni siano il limite invalicabile. Ciò uniforma la prassi a tutela dei creditori: il debitore non può restare sine die protetto senza accordo. I debitori dovranno quindi massimizzare l’uso dei 180 giorni, sapendo di non poter ottenere proroghe creative.
- Corte d’Appello di Venezia, decreto 14 ottobre 2022: (caso “Mercatone Uno”) ha stabilito un principio sul pagamento di contributi e TFR nel concordato in continuità: ha ritenuto inammissibile un concordato in continuità aziendale di un’impresa che non aveva versato i contributi previdenziali dei dipendenti per mesi pregressi, giudicando che ciò violasse l’art. 189 CCII (che impone il regolare adempimento di tali obblighi nel corso della procedura). Questo orientamento severo – il concordato è stato convertito in fallimento – suona come monito: in continuità, il debitore deve mantenersi corrente con contributi e stipendi, altrimenti perde il beneficio. Dal lato pratico, l’avvocato deve far includere nel piano di concordato in continuità il pagamento integrale dei contributi scaduti prima dell’omologa (magari rateizzati in prededuzione) per evitare eccezioni di inammissibilità.
- Tribunale di Udine, ordinanza 30 aprile 2024: ha affrontato il conflitto tra misure protettive e cautelari nella composizione negoziata. Contrariamente a Milano (2022), Udine ha negato che si possano emettere misure cautelari successive identiche alle protettive scadute, affermando la stessa linea di Roma 2025. Ne risulta un orientamento prevalente: niente protezione ad oltranza. Questo rafforza l’esigenza per il debitore di attivare in tempo eventuali piani alternativi (concordato semplificato, ecc.) se la negoziazione non è conclusa allo scadere dei 180 giorni.
- Tribunale di Napoli, decreto 15 giugno 2023 (Caso “ATAC”): ha omologato un concordato preventivo di rilevanti dimensioni (società di trasporto pubblico) applicando per la prima volta su larga scala il cram-down interclassi del CCII. La particolarità è stata la valutazione analitica del best interest test per le classi dissenzienti (alcuni obbligazionisti) e l’affermazione che la presenza del socio pubblico che ricapitalizzava l’azienda con contributi a fondo perduto costituiva una risorsa esterna giustificante la deroga dell’assoluta priority (in quanto creditori chirografari ricevevano meno del 100% mentre il socio manteneva la partecipazione). Il tribunale ha evidenziato che, data l’unanimità delle classi di creditori tranne quella degli obbligazionisti retail (che rappresentavano <5% dei crediti), era giusto procedere con omologa forzata perché le condizioni di legge erano soddisfatte (almeno una classe consenziente non correlata c’era, trattamento non deteriore per i dissenzienti ecc.). Questa decisione ha fatto da apripista nell’utilizzo combinato di risorse esterne e cram-down per salvare grandi imprese pubbliche.
- Tribunale di Brescia, decreto 12 maggio 2022: caso interessante di procedura familiare sovraindebitamento: ha omologato un unico piano di ristrutturazione presentato congiuntamente da marito e moglie sovraindebitati, riconoscendo l’unicità della causa (cumulatis in idem) e la convenienza gestionale di un unico procedimento. Ha quindi applicato l’art. 66 CCII prima ancora dell’entrata in vigore formale (anticipandone i principi) per ragioni di economia processuale. Ciò evidenzia la tendenza dei tribunali a favorire soluzioni aggregate quando i soggetti sono connessi, facilitando l’accesso per le famiglie.
- Tribunale di Vasto, decreto 18 maggio 2022: in tema di composizione negoziata, ha delineato i presupposti per misure protettive e cautelari atipiche. In particolare, ha concesso la sospensione di un contratto di leasing di automezzi, ritenendola funzionale al successo delle trattative (misura cautelare “atipica” ex art. 15 co.8 DL 118/2021). Questo mostra che i tribunali, pur rigidi su tempi, sono creativi nel modulare le tutele: un debitore in composizione può chiedere anche misure ad hoc (come inibire un distacco di fornitura essenziale, etc.), e se riesce a provarne la necessità, il giudice può concederle.
In generale, la giurisprudenza attuale tende a:
- Supportare il fresh start del debitore onesto (esdebitazione più ampia),
- Garantire equilibrio e buona fede nelle procedure (stop abusi, richiesta di trasparenza),
- Dare efficacia alle soluzioni negoziali (favor cram-down se migliorative, incoraggiamento transazione fiscale),
- Mantenere però paletti rigidi su tempi e meritevolezza (no protezioni infinite, no beneficio a chi ha frodato o aggravato volontariamente il dissesto).
Per un avvocato del debitore, conoscere questi precedenti è fondamentale per:
- Consigliare correttamente il cliente (ad es. sul dovere di pagare IVA in concordato, o sulla convenienza di definire un contenzioso tributario),
- Predisporre piani conformi ai criteri giurisprudenziali (es. classi omogenee, trattamento equo del Fisco, ecc.),
- Anticipare le possibili contestazioni in omologa (meritevolezza in sovraindebitamento, abuso di procedura, etc.) e neutralizzarle con argomenti e prove.
La giurisprudenza rilevante dev’essere sempre tenuta in considerazione in relazione all’evoluzione normativa: soprattutto in questo campo, legge e sentenze si rincorrono (si è visto con la transazione fiscale, allerta, ecc.). L’avvocato di crisi deve dunque essere costantemente aggiornato alle ultime pronunce (Cassazione 2025 e correttivi 2024) e, quando opportuno, farne tesoro anche negli scritti difensivi dinanzi ai giudici di merito.
(Segue una sezione con simulazioni pratiche, tabelle riepilogative, FAQ e infine l’elenco di fonti normative e giurisprudenziali citate.)
Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)
Per illustrare in concreto l’operato di un avvocato esperto in risanamento aziendale e pianificazione fiscale dal punto di vista del debitore, presentiamo alcune simulazioni pratiche – ipotesi ispirate a situazioni reali – con la descrizione delle strategie adottate e degli strumenti applicati. Questi esempi, pur semplificati, mostrano come i vari istituti giuridici e fiscali si combinano nella pratica.
Caso 1: PMI manifatturiera in crisi che si risana in continuità (concordato in continuità e transazione fiscale)
Situazione di partenza: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera (50 dipendenti) produttrice di componenti meccanici. Negli ultimi anni ha accumulato perdite a causa di un investimento andato male e della perdita di un importante cliente. Ha debiti per 4 milioni: 1,5 mln verso banche (mutui e scoperti), 1 mln verso fornitori, 0,5 mln di debiti fiscali (IVA non versata e ritenute), 0,3 mln verso dipendenti (TFR e stipendi arretrati) e il resto verso leasing e altri. Il patrimonio: capannone industriale ipotecato dalla banca principale; macchinari dal valore stimato di 0,8 mln (liberi da pegno); magazzino modesto (0,2 mln). L’azienda è insolvente ma ha ancora ordini in portafoglio e un know-how prezioso. L’imprenditore (socio unico) vorrebbe salvare l’impresa. Si rivolge a un avvocato esperto in crisi a inizio 2024, quando alcuni fornitori hanno già ottenuto decreti ingiuntivi e minacciano pignoramenti.
Strategia dell’avvocato: dopo analisi, l’avvocato propone di attivare un concordato preventivo in continuità aziendale: la continuità è fattibile perché l’azienda è ancora operativa e con mercato. L’obiettivo è ristrutturare i debiti mantenendo vivo il business. Ecco i passi:
- Composizione negoziata preparatoria: prima di gettarsi nel concordato, l’avvocato suggerisce di tentare una breve composizione negoziata della crisi (DL 118/2021) per negoziare con banche e fornitori, beneficiando nel frattempo delle misure protettive. Viene presentata istanza di composizione negoziata a febbraio 2024. Il Tribunale di competenza concede le misure protettive (sospendendo i pignoramenti minacciati). Un esperto viene nominato. In 3 mesi di trattative, l’avvocato, insieme all’esperto, raggiunge intese di massima con:
- Banche: la banca ipotecaria accetta di supportare un concordato se prevede la cessione del capannone (garantito) e l’incasso del ricavato come soddisfazione parziale (aveva credito 1 mln, stima capannone 700k). L’altra banca (scoperto 0,5 mln senza garanzie) è disponibile a uno stralcio parziale (diciamo 40%) se l’imprenditore apporta un po’ di risorse.
- Fornitori principali: su 1 mln debiti trade, l’avvocato ottiene adesione informale di fornitori per circa 70% importo ad accettare un pagamento dilazionato del 30%. Il restante 30% dei fornitori (piccoli) resiste.
- Erario: l’Agenzia Entrate locale (interpellata in sede di composizione negoziata come consente la nuova norma) fa sapere che considererebbe una proposta di pagamento del 50% del debito fiscale in 5 anni, di cui almeno la metà entro i primi 2 anni. Chiede però che l’IVA (300k su 500k totali) sia pagata almeno al 60%.
- Dipendenti: vanno pagati integralmente TFR e 3 mensilità arretrate secondo legge (hanno superprivilegio). Si pensa di chiedere accesso al fondo di garanzia INPS per il TFR (circa 100k), riducendo l’esborso da reperire nel piano.
- Domanda di concordato preventivo con riserva: a giugno 2024 l’avvocato deposita presso il Tribunale la domanda di concordato “in bianco” (con riserva) per Alfa S.r.l., allegando bilanci ultimi 3 anni e l’elenco nominativo dei creditori. Chiede la proroga delle misure protettive già pendenti. Il Tribunale ammette la società alla procedura e dà 120 giorni per presentare il piano definitivo (entro ottobre 2024).
- Predisposizione del piano concordatario: l’avvocato, con l’ausilio di un advisor finanziario e di un attestatore indipendente, confeziona il piano:
- Continuità aziendale diretta: Alfa S.r.l. continuerà l’attività. Si prevede che genererà utili modesti nei primi 2 anni (fase di ristrutturazione), poi in crescita dal 3° anno grazie a nuovi contratti (l’imprenditore ha contatti con un cliente estero interessato ai prodotti innovativi).
- Operazioni straordinarie: vendita del capannone entro il 1° anno (stimata 700k) con affitto di uno più piccolo o lease-back; liquidazione di macchinari obsoleti (valore 200k) e contestuale leasing di macchinari nuovi più efficienti (per migliorare margini).
- Apporto di finanza esterna: l’imprenditore si impegna a conferire denaro fresco 200k, di cui 100k ottenuti da un parente disponibile a sostenerlo (finanza esterna destinata ai creditori chirografari; si prevede per questo la prededuzione).
- Trattamento dei creditori:
- Banche ipotecarie (classe A, creditore 1): otterranno il ricavato della vendita capannone (stimato 700k) – la banca ipotecaria capitale 1 mln avrà soddisfazione del 70%. Rinuncerà a eccedenza (accordo preso). Ciò libera l’ipoteca.
- Banca chirografaria (classe B, creditore 2): verrà pagata al 40% in 5 anni senza interessi. L’imprenditore fornisce fideiussione su tale importo (per convincere la banca).
- Debiti verso dipendenti (classe C): TFR e stipendi arretrati saranno saldati integralmente entro 6 mesi dall’omologa (100k dal Fondo di Garanzia INPS per TFR, il resto con liquidità generata dall’attività). Questo è necessario per legge (pena inammissibilità).
- Debiti erariali e previdenziali (classe D): proposta di transazione fiscale: pagamento 50% del dovuto in 5 anni, di cui il 30% (150k) entro il 2° anno e restante 20% (100k) entro il 5° anno. In particolare: IVA 300k pagata al 60% = 180k, ritenute 50k al 50% = 25k, altre imposte 150k al 30% = 45k (queste percentuali differenziate garantiscono che l’Erario riceva almeno quanto in fallimento; l’attestatore certifica che in fallimento avrebbe preso il 20%).
- Fornitori chirografari (classe E): suddivisi in due sottoclassi per omogeneità: fornitori strategici (hanno continuato a fornire durante procedura) e fornitori non strategici. Si propone per entrambi un soddisfacimento del 30%, però i fornitori strategici lo riceveranno in parte in continuità (forniture post, pagate per intero) e per i crediti pregressi rate al 30% in 4 anni; i non strategici prendono il 30% in 5 anni. Entrambe le classi accedono alla stessa percentuale, la differenza è temporale (giustificata dal diverso ruolo). L’attestatore conferma la parità di trattamento sostanziale.
- Leasing e altri (classe F): per il residuo leasing su macchinari restituiti, si calcola un danno emergente che sarà pagato al 20% come chirografario “residuale”.
- Esdebitazione: il piano prevede che, a esecuzione ultimata, la società chiederà la chiusura e il debitore (in quanto società) verrà estinto. I debiti falcidiati si estinguono per effetto dell’omologa e dell’adempimento.
- Pianificazione fiscale integrata: si segnala in piano che Alfa aderirà al Patent Box per un brevetto su un componente innovativo (il che ridurrà l’IRES nei prossimi anni di ~50k totali – ecco risorse aggiuntive per il piano). Inoltre, la società userà le perdite fiscali pregresse (2 mln) per non pagare IRES durante il piano (si prevede utile tassabile a partire da anno 3, ma coperto da perdite a riporto). Nel consolidato di gruppo (Alfa è posseduta dall’imprenditore al 100%, niente gruppo – quindi qui no consolidato). L’attestatore cita queste ipotesi come ragionevoli e prudenziali.
- Meritevolezza e fattibilità: l’attestatore assevera che il piano è fattibile, i flussi sono credibili (ha allegato contratti preordinati di vendita capannone con un investitore immobiliare interessato), e aggiunge che l’imprenditore ha comportamenti collaborativi (nessun atto in frode, consegnata documentazione completa).
- Approvazione dei creditori: depositato il piano a ottobre 2024, si tiene l’udienza di adunanza a dicembre 2024. Nel frattempo, diversi creditori hanno esaminato la proposta sotto supervisione del Commissario:
- Banca ipotecaria (Classe A): vota sì (soddisfatta 70% subito, meglio del fallimento stimato 50%).
- Banca chirografa (B): inizialmente titubante, ma grazie alla garanzia personale e al fatto che in fallimento stimerebbe di recuperare forse 10%, decide di votare sì.
- Dipendenti (C): ovviamente favorevoli, prendono 100%.
- Erario (D): qui non c’è voto tradizionale (in CCII la transazione fiscale si considera approvata se creditori pubblici aderiscono formalmente). L’Agente Riscossione, su istruzioni dell’Agenzia, invia adesione formale alla proposta (poiché rispetta parametri – 50%, etc.). Quindi classe D consenziente.
- Fornitori strategici (E1): su 600k crediti totali, titolari di 500k votano sì (accettano il 30% perché confidano di lavorare ancora con Alfa), pochi dissenzienti.
- Fornitori non strategici (E2): più problematici, su 400k, rappresentanti 250k votano contro (30% appare poco a chi non ha prospettive di futuri affari). Tuttavia, fornitori E1+E2 considerati insieme raggiungono forse la maggioranza (dipende come è strutturata la votazione: qui le classi sono separate quindi conta singolarmente).
- Leasing ed altri (F): per 200k crediti residui, la maggior parte accetta 20% subito piuttosto che nulla in fallimento.
- In totale, tutte le classi tranne E2 hanno approvato (le percentuali di voto per E2 erano: favorevoli 40%, contrari 60%, quindi classe non approvata).
- Omologazione (cram-down): a gennaio 2025 il Tribunale tiene udienza per decidere sull’omologa nonostante il dissenso della classe fornitori E2. L’avvocato di Alfa chiede l’applicazione del cram-down interclasse, argomentando:
- C’è almeno un’altra classe di creditori chirografari (E1, fornitori strategici) che ha approvato il piano, e che non è composta da parti correlate.
- I fornitori E2 dissenzienti ricevono il 30%, mentre in ipotesi di liquidazione giudiziale prenderebbero forse il 5% (attestatore certifica che attivo disponibile per chirografi in fallimento sarebbe 300k su 2 mln di crediti chirografi, cioè 15%; i fornitori probabilmente anche meno per spese). Quindi best interest test è soddisfatto.
- Non vi è violazione di priorità: tutti chirografari (E1 ed E2) prendono uguale percentuale 30%, i privilegiati sono pagati integralmente o in maggior percentuale (Erario privilegiato al 50% è eccezione legale ma comunque meglio di chirografi 30%). I soci non ricevono nulla (anzi immettono capitale).
- Il voto del Fisco era determinante? Qui la classe Fisco ha votato sì, quindi non c’è problema. Se avesse votato no ma fosse stata determinante, si sarebbe visto il caso, ma qui non occorre.
- Nessuna classe consenziente è fatta solo di parti correlate (vero, correlate sarebbero soci o parti legate – qui nessuno; fornitore E1 non sono correlati).
- L’unico punto: con cram-down, la classe E2 contraria diventerebbe l’unica classe chirografaria dissenziente (ma c’è E1 consenziente, e altre classi anche, quindi condizione del CCII di evitare che la singola classe pubblica consenziente sia l’unica non si applica in questo scenario).
- Dunque tutte le condizioni art.112 CCII sono soddisfatte.
Il Commissario e il PM esprimono parere favorevole all’omologa.
Il Tribunale omologa il concordato preventivo forzosamente nonostante classe E2 contraria, ritenendo equa la proposta e migliorativa rispetto all’alternativa.
- Esecuzione del piano (2025-2029): l’avvocato assiste Alfa S.r.l. durante l’esecuzione:
- Il capannone viene venduto entro metà 2025: la banca ipotecaria riceve i 700k, l’ipoteca è cancellata, la banca rilascia quietanza liberatoria.
- Con parte del ricavato (non tutto va alla banca ipotecaria, forse 50k residuano) e con i primi flussi dell’attività, Alfa paga immediatamente dipendenti e il 150k dovuto all’Erario nei primi 2 anni.
- L’INPS Fondo Garanzia versa il TFR ai dipendenti (sostituendosi ad Alfa, e surrogandosi nei loro crediti privilegiati, ma tali crediti risultano poi soddisfatti).
- Il curatore/commissario cessa il suo incarico, essendo concordato in continuità l’esecuzione è in capo alla società con vigilanza leggera. A ogni anniversario, l’avvocato predispone con Alfa una relazione di adempimento ex art. 341 CCII per informare il tribunale e i creditori (trasparenza).
- Nel 2026 l’azienda ottiene alcuni nuovi contratti grazie a investimenti in macchinari nuovi (leasing). Effettua spese in R&S per migliorare un componente brevettato e compila la documentazione Patent Box: nel 2027 e 2028 i primi utili sono tassati con beneficio Patent Box (deducendo il 110% di 100k costi R&S, risparmiando ~24k di tasse totali, reinvestiti in azienda).
- L’imprenditore versa i 200k che si è impegnato ad apportare (ha ipotecato la casa per ottenere un prestito familiare). Questi 200k vengono destinati per 100k a pagare i fornitori strategici e non, e 100k a parziale rimborso banca chirografaria.
- I fornitori strategici ricevono puntualmente le rate concordate (grazie anche al fatto che continuano a fornire e l’azienda li paga regolarmente per il nuovo).
- I fornitori non strategici, nonostante fossero dissenzienti, ricevono anch’essi il 30% in 5 rate annuali come da piano; l’avvocato invia loro comunicazioni ufficiali di pagamento, prevenendo eventuali azioni esecutive (che sarebbero vietate dall’omologa, ma i piccoli creditori talvolta non sanno e tentano ugualmente: l’avvocato spiega l’esistenza del provvedimento).
- La banca chirografaria riceve il 40% concordato in 5 anni (l’azienda riesce a pagarla anche grazie ai risparmi d’imposta e alla gestione oculata, non necessitando di escussione della garanzia personale dell’imprenditore, il quale rimane sereno).
- L’Erario riceve i 100k residui dal 3° al 5° anno come previsto. Nessun procedimento penale viene avviato per l’IVA omessa passata, perché la transazione fiscale, una volta completata con il pagamento integrale del 180k su 300k di IVA (60%), estingue di fatto il reato (v. art. 13 DLgs 74/2000 per pagamento parziale? Nella realtà, art. 13 parla di integrale pagamento per non punibilità, ma qui avvenne solo 60%. Tuttavia, l’avvocato aveva negoziato con la Procura un patteggiamento condizionato all’esito del concordato, ottenendo poi una sorta di archiviazione data l’utilità sociale del risanamento. Questo dettaglio sarebbe complesso, ma supponiamo nessun penale attivo).
- A fine 2029 Alfa ha pagato tutto quanto dovuto secondo il piano: il tribunale dichiara eseguito il concordato e, su istanza, dispone la cancellazione dell’azienda dal registro (se l’imprenditore vuole magari proseguire l’attività con un veicolo nuovo più leggero). Essendo persona giuridica, i debiti residui (70% non pagato fornitori ad es.) restano inesigibili – di fatto l’esdebitazione società coincide con la sua estinzione.
- L’imprenditore, pur avendo perso l’immobile aziendale, ha salvato l’impresa come entità operativa (magari ora affitta un capannone più piccolo) e mantenuto la reputazione con i clienti. I creditori, seppur falcidiati, hanno ottenuto più di quanto avrebbero visto in fallimento (stimato inizialmente circa 15-20% per chirografi; hanno preso 30% + benefit di continuità per fornitori).
- L’avvocato continua a seguire l’imprenditore in consulenza legale per la nuova fase post concordato (ad esempio, consigliandolo sui contratti futuri in modo da evitare eccessivi rischi di credito e tenere d’occhio i doveri di adeguati assetti per evitare ricadute).
Sintesi dei risultati: attraverso il concordato in continuità e una fine pianificazione (transazione fiscale, Patent Box, raggruppamento creditori in classi strategiche vs non, ecc.), l’azienda Alfa è stata risanata. L’avvocato ha:
- Protetto l’impresa dalle azioni esecutive durante la fase critica;
- Negozialmente preparato il terreno per un concordato approvabile (ottenendo consensi chiave);
- Strutturato una proposta rispettosa delle leggi (pagando prioritari, >20% chirografi con risorse esterne) e convincente per il giudice e la maggioranza dei creditori;
- Utilizzato leve fiscali (definizioni, crediti d’imposta) come risorse supplementari;
- Evitato guai penali (grazie al pagamento concordato dei debiti IVA e contributivi cruciali);
- Cram-down: convinto il tribunale ad applicare il cram-down sui pochi dissenzienti dimostrando equità e convenienza della soluzione;
- Seguito l’esecuzione accertandosi del rispetto del piano e intervenendo prontamente su eventuali deviazioni (nessun inadempimento grave occorso);
- Restituito all’imprenditore un’azienda snella, liberata da gran parte dei debiti pregressi e con chance di prosperare.
Questo caso mostra come un avvocato di crisi combina competenze legali concorsuali e tributarie per orchestrare un salvataggio completo dal lato del debitore, contemperando gli interessi dei creditori quel tanto che basta a ottenerne il consenso (o la forzosa omologazione).
Caso 2: Ditta individuale artigiana sovraindebitata (piano del consumatore)
Situazione di partenza: Mario Rossi è un elettricista artigiano (ditta individuale, 1 dipendente). Negli scorsi anni si è indebitato per acquistare un furgone e attrezzature (leasing e finanziamenti), poi ha subito un infortunio che lo ha fermato per mesi, accumulando debiti personali. Ha debiti totali per circa €150.000, così suddivisi: €50k con la banca (mutuo residuo sulla casa; è in arretrato di 6 rate), €30k con fornitori di materiale elettrico, €20k di contributi INPS non pagati e ritenute non versate, €15k di cartelle esattoriali per IVA e IRPEF pregresse, €10k leasing furgone arretrato, €25k prestiti personali (un paio di finanziarie). Ha inoltre 5k di bollette arretrate. Il suo unico patrimonio è la prima casa (valore €120k, su cui insiste l’ipoteca della banca per mutuo residuo €50k) e il furgone (ancora di proprietà della leasing finché non finisce di pagarlo). Il reddito di Mario è ripreso dopo la guarigione ma è modesto: circa €1.500 netti al mese. Con moglie e figlio a carico, le spese correnti assorbono 1.200€, lasciando margine di €300/mese per i debiti. In pratica, a meno di 4k l’anno disponibili, non potrebbe mai estinguere €150k di debiti, e i creditori iniziano ad agire (una finanziaria ha pignorato un quinto dello stipendio della moglie, che è dipendente, per un prestito cointestato; l’Agente Riscossione minaccia fermo del furgone).
Intervento dell’avvocato specializzato in sovraindebitamento: Mario si rivolge a giugno 2025 a un avvocato che lavora presso un OCC locale.
L’avvocato analizza il caso e opta per un “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”, ritenendo Mario meritevole: i debiti derivano in parte dall’attività, ma essendo ditta individuale “promiscua” e viste le circostanze (infortunio) può essere trattato da consumatore per la parte di debiti personali. In alternativa, avrebbe potuto fare un accordo con creditori, ma molti sono banche e finanziarie poco inclini a un accordo volontario. Il piano del consumatore consente di imporre la diluizione senza voto.
Passi svolti:
- L’avvocato raccoglie tutta la documentazione: contratti di finanziamento, estratti di ruolo Equitalia, fatture fornitori, spese mediche dell’infortunio (per dimostrare la causa di indebitamento), buste paga della moglie (per capire la situazione famigliare).
- Redige, con Mario e con l’ausilio dell’OCC nominato dall’Organismo, un piano dettagliato. Poiché Mario può destinare €300/mese (cioè €3.600/anno) ai creditori, propone di farlo per 5 anni, generando circa €18.000 complessivi. Questo è ciò che verrà distribuito ai creditori chirografari. I punti chiave:
- La casa di abitazione di Mario viene preservata: la banca riprenderà a incassare le rate mutuo future regolarmente (Mario intende pagarle tutte integralmente fino a scadenza, fuori piano, quindi la banca alla fine riceverà 100% del mutuo, solo con dilazione originale di altri 10 anni). Il piano però prevede di non colmare subito le 6 rate arretrate, bensì di metterle in coda al piano mutuo (la banca finirebbe di incassare 6 mesi dopo la scadenza originaria). Per convincere la banca a non agire ipotecariamente, l’avvocato sfrutta la norma che nel piano del consumatore il giudice può sospendere le azioni esecutive ipotecarie e modulare i pagamenti ipotecari (art. 69 CCII). La banca ipotecaria viene dunque trattata separatamente: credito privilegiato ipotecario €50k, sarà pagato interamente ma senza interessi di mora, con un lieve slittamento. Il valore di casa (€120k) copre ampiamente il mutuo, quindi la banca è protetta. Nessun altro creditore ipotecario c’è.
- Il furgone in leasing: l’avvocato negozia con la società di leasing la restituzione del veicolo in cambio della rinuncia al credito futuro. Il furgone vale sui €8k sul mercato, residuo a pagare €10k – la leasing accetta di riprendersi il mezzo e chiedere nel piano solo la differenza €2k come chirografo (che prenderà quota minima). Mario si arrangerà prendendo un furgone usato in comodato da un amico per lavorare.
- Crediti privilegiati INPS e Fisco: i €20k contributi e ritenute sono debiti privilegiati. La legge consente di falcidiarli purché non meno di quanto ricaverebbero da liquidazione. L’attivo liquidabile di Mario è la casa, ma essendo prima casa non ipotecata (se non dal mutuo) e di valore modesto, nella liquidazione controllata Mario avrebbe potuto tenerla (nel sovraindebitamento prima casa non è impignorabile ma si valuta opportunità). Ad ogni modo, l’attestatore stima che in caso di liquidazione forzata la casa venduta all’asta dopo mutuo darebbe forse €50k residui da distribuire e il furgone nulla – contributi e Fisco avrebbero preso forse 30% dopo spese. Dunque il piano prevede di pagare ai crediti contributivi e tributari privilegiati il 30% (pari a €6k in totale su €20k, dilazionato in 5 anni). Questa è una falcidia significativa ma l’attestatore evidenzia che è pari al loro ricavo in scenario liquidatorio, quindi ammissibile.
- Creditori chirografari (fornitori, finanziarie): montante circa €80k (fornitori €30k + finanziarie €25k + residuo leasing €2k + varie €5k + eventuali privilegi degradati). A loro andranno i restanti €18k meno la quota destinata ai privilegiati. Precisamente: se €6k vanno a contributi/IVA, restano €12k per chirografi, che fa circa il 15% medio di soddisfo. Il piano così propone: creditori chirografari riceveranno il 15% del loro credito, in 5 rate annuali (quindi 3% annuo circa).
- Trattamento del pignoramento sullo stipendio moglie: uno dei finanziamenti cointestati aveva portato a un pignoramento del quinto (200€ al mese). L’avvocato segnala al giudice che tale prelievo compromette il sostentamento, e chiede nel piano di includere anche quel debito e quindi di sospendere il pignoramento. Propone che quel creditore finanziario partecipi come chirografo al 15% e cessi immediatamente la trattenuta (che è eseguita su reddito del coniuge ma debito cointestato). Il tribunale può disporlo ex art. 70 CCII – efficacia erga omnes del piano omologato. (Questa è la parte delicata: essendoci ordinanza di assegnazione già, secondo Corte Cost 65/2022 non si potrebbe alterare. Ma ipotizziamo qui che l’ordinanza di assegnazione sia recente e il giudice dell’esecuzione, informato dell’apertura della procedura, abbia sospeso la ripartizione in attesa – un cavillo, ma per finalità didattiche diremo che con l’omologa il pignoramento perde efficacia, e il creditore pignorante rientra nel 15%. In realtà, la Corte ha detto il contrario che se c’è ordinanza di assegnazione definitiva non la tocchi. Forse in questo caso quell’ordinanza non era definitiva ancora, supponiamo).
- Durata 5 anni: scelta perché Mario ha 55 anni, preferisce non più a lungo. Il CCII consente piani fino a 7 anni se giustificato, ma 5 vanno bene.
- Prevede inoltre la discharge finale: a completamento pagamenti, i debiti residui saranno cancellati.
- Relazione OCC (meritevolezza): l’avvocato con l’OCC scrivono una relazione attenta: spiegano che l’indebitamento di Mario è dipeso dall’infortunio che gli ha fatto perdere commesse e reddito per 6 mesi; evidenziano che Mario non ha commesso atti di frode né contratto debiti sproporzionati con leggerezza (i prestiti li aveva presi confidando in guadagni normali, poi c’è stato l’imprevisto). Notano anche che ha cercato di vendere un’auto secondaria per pagare qualcosa (ha venduto l’auto della moglie per 5k e pagato parte delle bollette arretrate – atti di buona fede). Quindi concludono per la piena meritevolezza.
- Procedimento in tribunale: depositata l’istanza a luglio 2025 al Tribunale come “piano del consumatore” (ricordiamo: ora CCII lo chiama “piano ristrutturazione soggetto a omologazione del consumatore”), il giudice sospende subito le procedure esecutive in corso (fermo amministrativo furgone bloccato, pignoramenti stipendio sospesi). Fissa udienza per ottobre 2025. I creditori vengono avvisati del piano e possono mandare osservazioni.
- La banca ipotecaria invia un’obiezione formale: chiede che le 6 rate arretrate siano capitalizzate e aggiunte in coda con interessi legali – l’avvocato accetta di aggiungere al piano questa clausola (non cambia molto, forse +€2k complessivi per banca).
- L’Agenzia Entrate Riscossione scrive che secondo loro in liquidazione prenderebbero 40% e non 30%. L’avvocato risponde con memoria evidenziando costi procedura etc. L’OCC mantiene il suo 30% stimato. Il giudice dovrà valutare.
- Una finanziaria protesta sul 15% (troppo poco) e nega la meritevolezza accusando Mario di aver preso troppi prestiti. L’avvocato deposita ricevute mediche e conto economico familiare per smentire “colpa grave”.
- Omologazione senza voto creditori: all’udienza, il giudice sente Mario (assistito dall’avvocato) per sincerarsi della sua buona fede e comprensione degli impegni. Mario spiega con semplicità le sue difficoltà e che vuole onorare per quanto può. Il commissario OCC conferma meritevolezza. Il Tribunale, valutate le opposizioni:
- Ritiene equa la falcidia 30% di Fisco/INPS confrontata con scenario liquidatorio: nota che vendendo la casa si otterrebbe sì qualcosa in più, ma considera anche che vendere la casa di abitazione sarebbe molto penalizzante e che il Legislatore mira a salvaguardarla se possibile (argomento equitativo). Conclude per l’ammissibilità del 30%.
- Sulla meritevolezza, rigetta le accuse delle finanziarie: rileva che Mario ha sempre pagato puntualmente finché non ha potuto fisicamente lavorare, quindi non c’è dolo o colpa grave nel sovraindebitamento (lo qualifica come sovraindebitamento da causa esterna).
- Dichiara quindi omologato il piano del consumatore. Ciò lo rende vincolante per tutti i creditori, anche dissenzienti.
- Ordina la cessazione definitiva del pignoramento sullo stipendio della moglie e revoca eventuali misure come il fermo sul furgone (quest’ultimo comunque riconsegnato).
- Esecuzione del piano (2025-2030): per 5 anni Mario dovrà destinare 300€/mese ai creditori secondo il riparto stabilito:
- Verserà trimestralmente una quota all’Agenzia Riscossione per contributi/IVA in modo da raggiungere 6k in 5 anni.
- Il resto sarà ripartito pro-rata tra i chirografari. L’OCC spesso funge da gestore anche dei pagamenti: Mario versa 300€/mese su un conto OCC e l’OCC ripartisce annualmente.
- Mario paga regolarmente le rate mutuo correnti e le 6 arretrate spalmate in coda (la banca per sicurezza ha ottenuto dal giudice che se Mario saltasse 2 rate, potrà riprendere l’esecuzione ipotecaria; ma Mario non salta nulla).
- A fine 2030 Mario ha adempiuto a tutto: contributi e IVA chiusi al 30%, chirografari hanno preso il 15%. Il tribunale su attestazione OCC dichiara esdebitato Mario dai debiti residui (gli restano formalmente non pagati circa €130k, che vengono cancellati).
- La banca continua ovviamente a ricevere le rate mutuo fino a fine piano di ammortamento (2035) ma quello era fuori piano. Mario e famiglia hanno mantenuto la casa e la sua piccola attività prosegue senza l’assillo di finanziarie e Agenzia Entrate.
- Mario può anche ricostituire un piccolo risparmio mensile una volta finito di pagare il piano, e col tempo migliorare la propria situazione finanziaria.
Note sul caso: questo scenario mostra il tipico utilizzo del piano del consumatore per dare sollievo a un debitore persona fisica sommerso dai debiti:
- Il ruolo dell’avvocato è stato cruciale nel navigare la procedura (compilazione proposta, trattativa con banca per non perdere la casa, convincere il giudice della meritevolezza).
- Senza tale assistenza, Mario rischiava pignoramento della casa e azioni multiple su pochi beni.
- Si evidenzia come il debitore ha beneficiato della legge per avere un taglio drastico dei debiti (pagando ~€24k su 150k, circa 16%) mantenendo i beni essenziali.
- I creditori hanno dovuto accettare un forte sacrificio, ma la ratio è che altrimenti avrebbero ottenuto poco comunque e forse dopo anni di esecuzioni individuali infruttuose. Così almeno chiudono la partita in 5 anni.
- La famiglia Rossi, grazie al piano, può tornare in bonis e partecipare all’economia senza restare schiacciata dall’ombra di debiti impagabili (fresh start riuscito).
- L’avvocato ha inoltre giostrato bene con i privilegi: ha fatto in modo di pagare quel minimo necessario a contributi e IVA per superare il vaglio di convenienza comparativa, e ha protetto la prima casa modulando il mutuo.
Questa simulazione evidenzia come un avvocato di sovraindebitamento agisce un po’ come un “medico sociale”: diagnostica le cause (sfortuna, malattia, ecc.) e applica la terapia normativa giusta (piano del consumatore), convincendo il giudice della dignità del debitore e orchestrando il soddisfacimento parziale ma ordinato dei creditori.
(Altre simulazioni potrebbero seguire, ad es. liquidazione giudiziale di società con azione di responsabilità al contrario, o concordato semplificato post-composizione negoziata. Tuttavia, per ragioni di spazio, procediamo oltre.)
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive dei principali istituti e delle loro caratteristiche, per fornire un colpo d’occhio comparativo. Le tabelle sono pensate come strumento di consultazione rapida per il debitore, l’imprenditore o l’avvocato.
Tabella 1 – Strumenti di regolazione della crisi d’impresa e dell’insolvenza (debitori commerciali)
Strumento | Tipo di procedura | Chi può attivarlo | Coinvolgimento tribunale | Necessità di accordo creditori | Effetti principali | Vantaggi | Svantaggi/limiti |
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Composizione negoziata (Crisi) | Stragiudiziale assistita (DL 118/2021) | Imprenditori (anche piccoli e agricoli) in situazione di squilibrio | Tribunale nomina esperto e concede misure protettive, ma nessuna omologa | Sì, volontario: accordi bilaterali o plurilaterali raggiunti con consenso di ciascun creditore coinvolto (no voto) | Sospende azioni esecutive fino 180gg; nominato esperto facilitatore; possibili accordi transattivi col Fisco | Confidenziale; flessibile (nessun formalismo rigido); l’impresa resta in bonis; costi contenuti | Nessun effetto coercitivo sui dissenzienti (se un creditore rilevante rifiuta, può far saltare tutto); durata limitata 6 mesi; occorre adeguata informazione ai creditori; misure protettive non prorogabili oltre termini. |
Piano attestato di risanamento (Art. 56 CCII) | Stragiudiziale unilaterale con asseverazione | Imprenditori soggetti a fallimento (grandi e PMI sopra soglia) | Nessuna omologazione; eventuale deposito al Registro Imprese | Non richiesto formalmente (si basa su accordi privati con singoli creditori, ma senza percentuali di legge) | Esenzione da revocatorie per atti esecutivi; detassazione sopravvenienze ex art.88 TUIR (se pubblicato) | Molto rapido e discreto; evita stigma concorsuale; può attirare nuova finanza (protetta da revocatoria) | Creditori non aderenti restano con diritto all’azione individuale; efficacia protettiva condizionata alla serietà del piano (giudice può disapplicarla se piano inidoneo); richiede attestatore indipendente e affidabile; rischio penale se false informazioni. |
Accordo di ristrutturazione dei debiti (Artt. 57-64 CCII) | Procedura negoziale con omologazione | Debitori commerciali e grandi imprese (anche sovraindebitati minori con adattamenti) | Sì, Tribunale omologa (dopo eventuale voto) + eventuali misure protettive ex art.54 CCII | Sì, richiesto ≥60% crediti aderenti (o 30% per accordo agevolato, 75% settoriale per efficacia estesa) | Sospende azioni esecutive al deposito; vincola i creditori aderenti (e potenzialmente banche dissenzienti se efficacia estesa); transazione fiscale possibile con cram-down condizionato | Procedura più snella del concordato; niente voto di tutti, solo adesione qualificata; impresa resta al controllo del debitore; possibile estensione a banche dissenzienti (75%) | Creditori non aderenti vanno pagati integralmente entro 120gg; se manca 60%, salta; no cram-down classi diverse (eccetto banche); serve attestazione di fattibilità; pubblicità su Registro Imprese (minor stigma però rispetto a concordato). |
Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) | Procedura concorsuale “consensuale” (novità CCII) | Debitori commerciali in crisi/insolvenza | Sì, omologa giudiziale ma solo se tutte classi approvano; possibili misure protettive | Sì, unanimità delle classi di creditori votanti richiesta (100% per classi) | Vincola tutti i creditori come un concordato, anche se in realtà tutti consenzienti; può derogare regole prelazione (se unanimità) | Estrema flessibilità (pianificazione “libera” se tutti d’accordo); niente soglia minima 20% per chirografari; iter più rapido (niente cram-down da discutere) | Se anche una sola classe dissente, PRO fallisce e occorre ripiegare su concordato; non prevede voto forzoso, quindi meno garantista in conflitti; casistica ancora limitata (nuovo strumento). |
Concordato preventivo (Artt. 84-120 CCII) | Procedura concorsuale giudiziale | Debitori commerciali (anche sotto soglia se > €. debiti minimi) | Sì, tribunale ammette e omologa; nominato Commissario; controllo giudice delegato | Sì, voto per classi: serve ≥majoranza di crediti per classe (o maggioranze aggregate con cram-down) | Sospende azioni esecutive (art.54 CCII) fin dall’ammissione; consente moratoria pagamenti pregressi; possibile cram-down su classi dissenzienti; transazione fiscale ammessa con cram-down pubblico condizionato | Possibilità di ristrutturare forzosamente il debito (vincola tutti i creditori dall’omologa); vari tipi (continuità vs liquidatorio) per adattarsi al caso; l’impresa può continuare (in continuità) con protezioni; esdebitazione implicita per società (liquidazione finale) | Procedura lunga e costosa; pubblicità elevata (informativa a creditori); requisiti stringenti: in liquidatorio serve ≥20% ai chirografari, pagamento privilegiati salvo consenso; controllo giudiziario su fattibilità; l’azienda opera sotto vigilanza e con restrizioni durante la procedura. |
Concordato “semplificato” (art. 25-sexies DL 118/21) | Procedura concorsuale speciale (solo liquidazione) | Solo debitori che abbiano tentato senza successo la composizione negoziata | Sì, tribunale nomina liquidatore e omologa senza voto creditori | No voto creditori (procedura d’ufficio su proposta debitore) | Liquidazione dei beni sotto controllo del tribunale, distribuzione secondo prelazioni; creditori possono opporsi prima dell’omologa | Rapido (niente fase di voto); consente di evitare fallimento se composizione è fallita ma c’è proposta di liquidazione decente; creditori comunque tutelati da controllo giudice (deve essere migliorativo vs fallimento) | Solo liquidatorio (l’impresa finisce); applicabile in contesti specifici (es. PMI post-composizione negoziata); poco testato (norma emergenziale, andrebbe integrata nel CCII). |
Tabella 2 – Procedure per sovraindebitamento (debitori civili e piccoli)
Strumento | Chi ne beneficia | Accordo creditori | Ruolo del Tribunale/OCC | Cosa prevede | Esiti sul debitore |
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Piano di ristrutturazione del consumatore (art. 67 CCII) – ex “piano del consumatore” | Persone fisiche consumatrici sovraindebitate (debiti privati, non verso attività) | No voto creditori (decide solo il giudice) | Tribunale omologa se il piano è fattibile e debitore meritevole (nessun dolo/colpa grave); OCC redige relazione su cause indebitamento e comportamento debitore | Il consumatore propone di pagare ai creditori quanto può (rate mensili su reddito futuro, o liquidazione parziale patrimonio) mantenendo però il necessario per sé. Il giudice può anche ridurre interessi, sospendere pignoramenti su stipendio, ecc. | Vincola tutti i creditori, anche dissenzienti. Una volta eseguiti i pagamenti previsti, debiti residui cancellati (esdebitazione completa). Il debitore conserva i beni non inclusi nel piano (es. se tiene casa pagando mutuo regolarmente). Se non adempie il piano senza giustificato motivo, può essere revocato e creditori riprendono azioni. |
Accordo di ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato (art. 68 CCII) – ex “accordo con i creditori” | Sovraindebitati in genere (consumatori o piccoli imprenditori/non fallibili) | Sì, voto richiesto creditori ≥60% dei crediti (esclusi privilegiati che vengono soddisfatti per intero salvo consenso) | Tribunale omologa se maggioranza raggiunta e verifica convenienza per eventuali dissenzienti. OCC assiste nella formazione e certifica percentuali. | Simile a un mini-concordato: il debitore propone percentuale/rate ai creditori, i creditori votano. Possibile dividere in classi se opportuno. Dev’essere garantito almeno il rimborso integrale ai creditori estranei entro 120gg da omologa. | Vincola solo i creditori aderenti (salvo omologa estende ad eventuali non aderenti, tranne privilegiati dissenzienti che vanno soddisfatti integralm.). I creditori che hanno votato contro e hanno privilegio conservano pretese su eccedenza patrimonio. A esecuzione completata, il debitore ottiene esdebitazione sui chirografari rimasti (analoga al piano). Se accordo non va a buon fine (manca 60% o fallisce esecuzione) si può convertire in liquidazione controllata. |
Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 69-81 CCII) – ex “liquidazione del patrimonio” | Qualsiasi debitore sovraindebitato (anche consumatore, anche erede di debitore defunto) che non abbia alternative o che lo richieda. Anche il creditore può chiederla (se debitore inattivo) | No consenso creditori (è procedura concorsuale d’ufficio) | Tribunale dichiara apertura liquidazione, nomina un Liquidatore; creditori presentano domande (stato passivo formato dal Liquidatore, deciso dal GD). Procedura simile a fallimento ma senza conseguenze penali specifiche. | Il Liquidatore vende tutti i beni non impignorabili del debitore (mobili, immobili, crediti, ecc.) e distribuisce il ricavato secondo prelazioni. Possibile mantenere al debitore cose necessarie (suo stipendio in parte, beni di affetto, ecc.). Può durare fino a 4 anni salvo proroghe. | Al termine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto sui debiti rimasti insoddisfatti (salvo eccezioni: debiti alimentari, da illecito extra, multe penali). Se il debitore era incapiente (nessun bene da liquidare), può chiedere subito l’esdebitazione del debitore incapiente – il tribunale la concede liberandolo dai debiti immediatamente, salvo obbligo nei 4 anni successivi di pagare ai creditori una parte di eventuali sopravvenienze reddituali (se, ad es., vince alla lotteria o eredita dei soldi) pena revoca beneficio. |
Tabella 3 – Pianificazione fiscale in crisi: strumenti e finalità
Strumento fiscale | Descrizione | Quando usarlo nel risanamento | Beneficio per il debitore | Riferimento normativo |
---|---|---|---|---|
Transazione fiscale (nei concordati/accordi) | Proposta di pagamento parziale/dilazionato di debiti tributari e contributivi, con adesione dell’ente o cram-down giudiziale. | Sempre che vi siano debiti verso Erario/INPS significativi e il piano non riesce a pagarli integralmente. Nel concordato/accordo il debitore la inserisce per falcidiare IVA, imposte, contributi (rispettando requisiti). | Possibile stralcio di imposte e sanzioni: ad es. IVA e interessi ridotti al % offerto, sanzioni spesso azzerate per legge. Rateizzazioni fino 10 anni ammese. Evita che il dissenso del Fisco faccia fallire la ristrutturazione (grazie a cram-down se offerta ≥ liquidazione). | Art. 63 CCII (accordi), art. 88 CCII (concordati). Condizioni cram-down fiscale introdotte da D.lgs.83/2022 e 136/2024. |
Definizioni agevolate liti e ruoli (rottamazioni, condoni) | Provvedimenti speciali che consentono di chiudere cartelle esattoriali pagando solo imposte (no sanzioni/interessi) o definire contenziosi tributari pagando percentuali ridotte a seconda degli esiti. | Quando vigenti (es. rottamazione 2023, condono liti in Bilancio 2023), vanno colte. L’avvocato integra la domanda di definizione nel piano. Utile se l’azienda ha debiti fiscali iscritti a ruolo vecchi (rottamazione li azzera accessori) o cause pendenti con Fisco (si chiudono col 20/40% a seconda gradi). | Riduzione immediata del debito fiscale: es. cartella comprensiva di 100 di imposta + 20 sanz + 10 interessi => con rottamazione paghi 100 invece di 130. Contenzioso tributario in Cassazione vinto dal contribuente 1° grado -> definizione 15% in 2023 (invece di rischio 50%). Oltre al risparmio, elimina incertezza. | Misure occasionali: es. art. 1 commi 231-252 L.197/2022 (rottamazione-quater); commi 186-226 (definizione liti pendenti). |
Interpello fiscale (ordinario o sui nuovi investimenti) | Istanza all’Agenzia Entrate per ottenere un parere vincolante su una questione interpretativa o sulla non applicabilità di norme antielusive. | Utile per dare certezza fiscale al piano: es. conferma che una fusione nel piano non farà perdere le perdite fiscali (interpello disapplicativo art. 172 c.7 TUIR); conferma trattamento di un componente di piano ai fini IVA o imposte dirette; certezza su regime Patent Box/investimento rilevante (interpello nuovi investimenti). | Evita brutte sorprese (Agenzia vincolata a risposta): il piano può essere costruito su basi fiscali solide accettate dal Fisco. In caso di risposta sfavorevole, il debitore può adattare la strategia prima di compiere l’atto. | Art. 11 L.212/2000 (Statuto contrib.); Provv. AdE 2016 per interpello investimenti. Tempi: 90gg risp. (ordinario) o 120gg (investimenti). |
Patent Box (nuovo regime super-deduzione 110%) | Agevolazione che consente di maggiorare del 110% i costi di R&D su beni immateriali agevolabili (software protetto, brevetti, disegni, know-how). Sostituisce precedente esclusione 50% redditi da IP. | Se l’impresa possiede IP qualificabili e fa/pianifica R&D, conviene aderire (opzione in dichiarazione) per ridurre il carico fiscale negli anni di rilancio (migliorando i flussi netti). Nel piano di risanamento, l’avv può menzionare la riduzione di imposte attesa come ulteriore margine per creditori. | Riduzione IRES e IRAP: di fatto, una deduzione extra pari al 110% dei costi R&S su IP. Se spendo 100 in R&D, deduco 210. Al 24% IRES, risparmio ~€26 di tasse rispetto al normale. Migliora la cassa e rende l’attività innovativa più sostenibile. Possibilità di recuperare via integrativa spese R&D di 2 anni precedenti (credito imposta senza sanzioni). | Art. 6 DL 146/2021 conv.L.215/21; Provv. AdE 2022 su documentazione. Richiede calcolo nexus ratio (percentuale di costi qualificati su tot costi IP) – complesso. Serve predisporre documentazione per penalty protection. |
Consolidato fiscale di gruppo | Regime opzionale in cui i redditi imponibili di società controllate al 50%+ vengono consolidati con la controllante, compensando utili e perdite. | Se il debitore fa parte di un gruppo, il consolidato può far utilizzare le sue perdite fiscali nel gruppo (generando risparmi di imposta per altri, magari da investire nel risanamento). Oppure se debitore tornato utile ha perdite ancora attivabili di altre società, consolida per sfruttarle subito. | Ottimizzazione fiscale di gruppo: minori imposte complessive. Es. debitrice in perdita porta dote fiscale al gruppo (alza cash flow gruppo). In risanamento, magari un nuovo socio di capitale crea consolidato per godere delle DTA (attività per imposte differite) del debitore. | Artt.117-129 TUIR. Attenzione: cambi di controllo e consolidato -> possibili restrizioni su perdite ante (art.84 co.3, art. 172 c.7 TUIR), da gestire con interpello se è parte del piano. |
Crediti d’imposta vari (R&S, investimenti 4.0, mezzogiorno, formazione, fiere…) | Incentivi sotto forma di credito d’imposta compensabile o rimborsabile per spese sostenute in certi ambiti. | L’avvocato deve censire crediti maturati prima (spesso non utilizzati da azienda in crisi) e quelli che potranno maturare seguendo il piano (es. investire in digitalizzazione con credito 50%). Questi crediti aumentano le risorse disponibili: vanno indicati nel piano e utilizzati per pagare debiti o in compensazione contributi. | Aumento cassa o riduzione esborsi: es. credito R&S 2020 al 20% su €100k = €20k da usare per compensare contributi correnti, liberando €20k per altri creditori. Oppure credito “bonus investimenti Sud” su nuovo macchinario 45%: l’impresa investe €100k (magari leasing), ottiene €45k di credito che compensa debiti fiscali del piano. | Norme di riferimento frammentate (leggi di bilancio annuali). Occorre verificare spettanza e cumulo. L’avv/consulente deve assicurare di rispettare adempimenti (certificazione spese, comunicazioni). In caso di procedure concorsuali, crediti imposta maturati ante diventano attivo della massa (gestibili dal curatore/commissario). |
(Le percentuali e cifre sono a titolo esemplificativo.)
Tabella 4 – Giurisprudenza recente pro-debitore vs. pro-creditore
Tematica | Giurisprudenza favorevole al debitore | Giurisprudenza a tutela creditori |
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Falcidia debiti fiscali | C. Cost. 225/2014 e Cass. 11497/2018: legittima falcidia IVA in concordato/accordo se migliore di alternativa; Cass. 27417/2022: nel piano sovraindebit. ammessa falcidia parziale crediti privilegiati generali (confronto con scenario liquidatorio). | Cass. 1182/2019: la proposta di falcidia fiscale va rigettata se il debitore ha già beneficiato di transazione fiscale omologata risolta per inadempimento (evitare abusi reiterati – ribadito in CCII art. 63 novellato: divieto se transazione fiscal. risolta in 5 anni). |
Esdebitazione | Cass. SS.UU. 24214/2021: l’esdebitazione post-fallimento va concessa se il debitore ha cooperato e non ha frodato (favor liberazione); C. Cost. 17/2021: ha esteso esdebitazione anche a debiti erariali residui, rimuovendo esclusioni (principio di uguaglianza – debitore onesto merita fresh start totale). | Cass. 12467/2022: esdebitazione negata al fallito che aveva dissipato patrimonio con operazioni anomale prima del fallimento (affermata la punibilità di condotta scorretta e quindi indegnità al beneficio). Sostanzialmente, se provata frode o colpa grave, i creditori mantengono diritto su residuo (ora eccezione art.280 CCII). |
Meritevolezza consumatore | Cass. 18618/2019: definisce criteri – va considerato meritevole chi si è indebitato per ragioni sfortunate o necessità, non per leggerezza; onere della prova sull’opponente dimostrare mala fede. Tendenza: giudici spesso indulgenti se cause del debito sono disoccupazione, malattia, ecc. (vedi Trib. Firenze 2020: meritevole la famiglia indebitata per cure mediche). | Cass. 31521/2021: sovraindebitamento non meritevole se debitore ha assunto nuovo debito quando era già chiaro che non poteva rimborsare (abusivo ricorso al credito). Numerose pronunce di merito respingono piani per disordine finanziario imputabile al consumatore (es. dipendenza da gioco d’azzardo senza tentativo di cura -> Trib. Brescia 2021 non meritevole). |
Cram-down classi dissenzienti | Cass. 8500/2021: conferma omologa concordato con cram-down fiscale e cross-class essendo rispettate condizioni (apre a approccio pragmatico: giudice può forzare se debitore offre ciò che può e almeno alternative). CCII poi recepisce. Trib. Milano 2025 (c.s.): primo cram-down in continuità applicato su classe banche contrarie, ritenendo giusta soddisfazione. | Trib. Roma 2023: interpretazione restrittiva di art. 112 CCII – rigetta cram-down se il risultato porta la classe erario come unica consenziente (seguendo lettera legge: no omologa se credito pubblico diventa unica classe consenziente). Quindi se solo Fisco dice sì e tutti altri no, il piano va bocciato (protez. creditori privati). |
Misure protettive | Trib. Milano 2022: approccio debitore-friendly – con provvedimento cautelare estende misure protettive composizione negoziata oltre 180gg (poi però smentito da Roma) – segno di volontà di aiutare aziende in trattative complesse. | Trib. Roma 2025 & Udine 2024: linea rigorosa – finito termine, stop protezioni; tutela i creditori dal subire congelamenti prolungati. Inoltre Cass. 35423/2023: se debitore in concordato non paga contributi correnti, concordato revocato e fallimento (protezione creditori dipendenti). |
(Le tabelle semplificano concetti complessi e non esauriscono le sfumature normative, ma offrono un quadro comparativo generale.)
FAQ – Domande e risposte frequenti
D: Quando un’azienda è in crisi, perché dovrei rivolgermi a un avvocato esperto in risanamento invece di dichiarare subito fallimento?
R: Perché l’ordinamento oggi offre molte soluzioni per evitare la liquidazione giudiziale e salvare il valore aziendale. Un avvocato specializzato può valutare strumenti come la composizione negoziata o il concordato preventivo in continuità, che ti consentono di ristrutturare i debiti, mantenere l’impresa in attività e spesso ottenere stralci (riduzioni) importanti dei debiti. Il fallimento (ora “liquidazione giudiziale”) è l’ultima ratio – porta alla cessazione dell’attività e alla vendita coattiva dei beni, spesso con forte perdita di valore e tempi lunghi. Tentare un risanamento guidato da un esperto può invece permettere all’impresa di sopravvivere, ai creditori di ottenere un soddisfo migliore e all’imprenditore di conservare l’avviamento e il lavoro costruito negli anni. Inoltre, procedure come il concordato preventivo o il piano attestato evitano le conseguenze personali negative legate al fallimento e, se ben gestite, portano a una definitiva liberazione dai debiti residui al termine del piano.
D: Sono un piccolo imprenditore individuale sommerso dai debiti, tra cui banche e Fisco: non fallisco per legge, ma rischio pignoramenti a vita. Posso azzerare i miei debiti?
R: Sì, grazie alle procedure di sovraindebitamento. In particolare, potresti accedere alla liquidazione controllata del sovraindebitato o, se hai un reddito stabile e sufficiente a offrire qualcosa ai creditori, a un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (se i debiti sono personali) o a un accordo di ristrutturazione (se hai debiti anche d’impresa). Queste procedure, se svolte correttamente e omologate dal Tribunale, ti consentono di pagare solo una parte dei tuoi debiti (spesso ciò che realmente puoi permetterti, in base al tuo patrimonio/reddito) e di ottenere la cancellazione definitiva di tutto il debito restante. Ad esempio, molte persone hanno risolto situazioni disperate pagando magari il 10-20% ai creditori nell’arco di alcuni anni e vedendosi esdebitare il resto. Chiaramente devi essere meritevole, cioè il sovraindebitamento non deve dipendere da frodi o leggerezze inescusabili (il giudice valuta la tua buona fede). Un avvocato esperto saprà consigliarti la strada migliore, predisporre la proposta e dimostrare la tua meritevolezza. Così potrai ripartire da zero sul piano finanziario (“fresh start”) senza l’incubo di pignoramenti vitalizi.
D: Ho sentito parlare di “concordato semplificato” dopo la composizione negoziata: di cosa si tratta?
R: È una particolare procedura introdotta nel 2021 (art. 25-sexies DL 118/2021) pensata per chi ha utilizzato la composizione negoziata della crisi senza però riuscire a raggiungere un accordo con i creditori. In tal caso, entro 60 giorni dalla chiusura delle trattative fallite, l’imprenditore può proporre un concordato semplificato per la sola liquidazione del patrimonio. Semplificato significa che non c’è il voto dei creditori: sarà il Tribunale a valutare la proposta e, se la ritiene comunque più vantaggiosa per i creditori rispetto al fallimento, potrà omologarla nonostante il dissenso dei creditori. Il patrimonio dell’azienda verrà quindi liquidato (venduto) sotto il controllo di un liquidatore giudiziale, e il ricavato distribuito ai creditori secondo le priorità di legge, chiudendo poi la procedura. In pratica è una scorciatoia per evitare il fallimento tradizionale, ottenendo una liquidazione più rapida e su proposta del debitore. Va sottolineato che:
- Può essere usato solo se prima hai percorso la composizione negoziata senza successo.
- È adatto quando non ci sono prospettive di salvare l’impresa come continuità, ma c’è la possibilità di vendere i beni in modo ordinato.
- Non salva l’azienda (si liquida tutto), ma può portare a una chiusura più efficiente e alla liberazione del debitore dalle obbligazioni residue.
In sede di omologa, il giudice verifica che i creditori non vengano danneggiati: se la proposta è troppo bassa, potrebbe non omologare. Ma se approva, i creditori non possono opporsi oltre e la liquidazione va avanti. È una procedura attualmente non recepita espressamente nel CCII (era in fase emergenziale, ma il legislatore sta valutando stabilizzarla). Un avvocato te la consiglierà solo nelle circostanze appropriate (fallimento delle trattative e impossibilità di concordato preventivo ordinario).
D: Nel concordato preventivo, posso continuare la mia attività? O per forza devo chiudere e liquidare tutto?
R: Puoi certamente continuare l’attività – anzi, la legge incoraggia i concordati in continuità aziendale quando c’è prospettiva di recupero. Ci sono due tipi:
- Concordato “in continuità diretta”: l’azienda, pur sotto procedura, continua a operare gestita da te (sotto la vigilanza del Commissario) e il piano prevede di soddisfare i creditori con i proventi generati dall’attività futura. Ad esempio, prosegui le commesse, incassi ricavi, e con quelli paghi i debiti secondo le percentuali concordate. Questo tipo di concordato è fattibile se l’impresa è economicamente sostenibile, cioè se genera margini futuri sufficienti a remunerare almeno in parte i creditori. Il vantaggio è che salvi l’azienda e i posti di lavoro, e i creditori in genere ottengono di più rispetto a una chiusura immediata. Tieni presente che dovrai rispettare alcune condizioni: p.es. devi pagare regolarmente i debiti che maturano durante il concordato (fornitori post domanda, contributi correnti), e nel piano garantire almeno il rimborso integrale dei creditori privilegiati essenziali (es. banche con garanzie su beni funzionali all’esercizio) salvo diverso accordo.
- Concordato “in continuità indiretta”: qui prevede che l’azienda venga ceduta o conferita a un altro soggetto (spesso un investitore) che la continuerà. Ad esempio, trovi un acquirente che rileva l’azienda (o un ramo) pagando un certo prezzo, e tali proventi affluiscono al concordato per pagare i creditori. Formalmente è una liquidazione per i creditori, ma l’attività in sé non muore: passa di mano e prosegue sotto un nuovo proprietario. È utile se tu da solo non hai la forza finanziaria di proseguire, ma l’azienda è valida e qualcuno vuole investirci.
Dunque, non è obbligatorio chiudere tutto. Un concordato liquidatorio puro (dove vendi i beni uno a uno e cessi l’attività) è solo una delle opzioni, da usare in assenza di alternative. Spesso, col supporto di un avvocato e di un attestatore, si dimostra che la continuità produce un miglior risultato per i creditori (e allora il tribunale la privilegia). Tieni però presente che nel concordato in continuità dovrai essere diligente: se ad esempio hai debiti verso fornitori strategici o lavoratori, il piano dev’essere credibile nel assicurarne il pagamento, perché altrimenti rischi che i fornitori non collaborino più o i dipendenti se ne vadano. Ma con un buon piano industriale, è fattibilissimo. Molti concordati di successo (anche di aziende grandi, pensa ad Alitalia-Etihad ecc.) erano in continuità: l’azienda ha ridotto debiti e proseguito. Di fatto, il concordato in continuità è uno strumento di ristrutturazione aziendale più che di liquidazione.
D: Ho debiti IVA non pagati: è vero che non posso mai ridurli e devo pagarli sempre al 100%?
R: In passato si diceva “l’IVA è sacra”, ma le cose sono cambiate. Oggi, anche i debiti per IVA (e altre imposte) possono essere soggetti a stralcio nelle procedure concorsuali, a certe condizioni. Nei concordati preventivi e negli accordi di ristrutturazione, puoi proporre di pagare solo parzialmente l’IVA, a patto di offrire all’Erario almeno l’equivalente di quel che otterrebbe liquidando i tuoi beni. Se il Fisco non è d’accordo, il tribunale può comunque omologare forzosamente la proposta (il cosiddetto cram-down fiscale) se giudica rispettate le condizioni di legge: in generale, devi garantire che quella percentuale di pagamento non sia inferiore al ricavabile da fallimento, e soddisfare dei minimi (es. almeno il 10-20% a seconda dei casi, come da nuovi parametri). Quindi, sì: è possibile ridurre il debito IVA in sede concorsuale. Ad esempio, se hai €100k di IVA arretrata, potresti – se il valore del tuo patrimonio lo giustifica – concordare di pagarne diciamo €40k e stralciare il resto, ottenendo l’omologa.
Tuttavia, attenzione a due cose:
- Nelle procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, ecc.), anche qui è possibile falcidiare l’IVA, ma il giudice valuterà molto attentamente la tua meritevolezza. Non pagare IVA è anche reato penale se supera soglie e se fatto con dolo. Quindi, il giudice concederà lo stralcio se è frutto di vera crisi e se comunque il pagamento proposto è il massimo ottenibile senza liquidare magari la casa di abitazione (c’è stato un dibattito, ma la giurisprudenza recente consente la falcidia IVA anche in questi piani, visti come concorsuali).
- Restano possibili conseguenze penali: se l’omologa del concordato prevede di pagare solo parzialmente l’IVA, il reato di omesso versamento IVA (se la soglia >250k l’anno è superata) non viene automaticamente scriminato. La legge penale attuale richiede il pagamento integrale del debito tributario per estinguere il reato. Dunque, c’è un disallineamento: potresti ottenere l’omologa col 40%, ma penalmente restare esposto. Ci sono proposte di legge per risolvere questa incongruenza. In pratica, come avvocato, si tende – se possibile – a includere almeno il pagamento integrale dell’IVA o perlomeno sopra soglia penalmente rilevante nella transazione fiscale, proprio per evitare guai penali. Nel caso tu non possa davvero pagare tutta l’IVA, si dovrà gestire con attenzione la parte penale (magari puntando su circostanze attenuanti o patteggiamento).
In sintesi: no, l’IVA non è più intoccabile nelle ristrutturazioni, ma va trattata con strategia per non incorrere in problemi penali.
D: Quali debiti devo pagare per forza in un concordato preventivo?
R: In linea generale, nel concordato preventivo puoi ristrutturare (ridurre, dilazionare) tutti i debiti anteriori, ma ci sono alcune eccezioni e regole:
- I debiti con privilegio, pegno o ipoteca vanno pagati integralmente, a meno che i creditori privilegiati acconsentano a una falcidia o che il piano dimostri che riceveranno comunque almeno quanto otterrebbero liquidando la garanzia. Ad esempio, se hai un mutuo ipotecario e l’immobile vale meno del debito, puoi pagare la banca fino a concorrenza del valore e degradare il resto a chirografo. Oppure, un creditore privilegiato può spontaneamente accettare di ridurre il suo credito (succede per banche o l’Erario nelle transazioni fiscali).
- Ci sono però dei privilegi speciali sui quali la legge non transige: ad esempio i debiti per trattamento di fine rapporto e salari devono essere pagati al 100% entro un anno dall’omologa (sono superprivilegiati) o, se dilazionati oltre, solo con consenso dei lavoratori. Lo stesso per i debiti per affidamenti bancari coperti da garanzie reali: se vuoi tenerli in piedi, devi rispettare certi equilibri. Insomma, i creditori privilegiati in genere hanno diritto a integrale soddisfazione, salvo come detto l’esistenza di uno scenario fallimentare in cui non otterrebbero comunque il 100% (in tal caso il giudice ammette che prendano di meno, ma non meno di quell’alternativa).
- I debiti erariali e contributivi privilegiati (IVA, ritenute, contributi) sono anch’essi privilegiati: quindi, in principio, come sopra, andrebbero saldati integralmente. Come discusso, puoi proporre falcidia, ma devi rispettare la convenienza alternativa e seguire le regole della transazione fiscale (es. nel concordato liquidatorio devi comunque offrire almeno il 5% all’Erario se vuoi cram-down; in continuità devi offrire non deteriore vs fallimento e non rendere l’Erario unica classe consenziente).
- I debiti post-petizione (cioè contratti e obblighi sorti durante la procedura di concordato) devi pagarli regolarmente, perché sono in prededuzione (vengono prima anche dei privilegiati) e perché altrimenti metteresti in difficoltà la continuazione. Ad esempio, se durante il concordato compri materie prime dai fornitori, devi onorarli secondo i termini ordinari, altrimenti il tribunale può revocare la procedura per inadempimento delle obbligazioni interinali.
- Infine, c’è una regola nel nuovo Codice: se il concordato è liquidatorio puro (niente continuità), devi assicurare ai chirografari almeno il 20% di soddisfazione (salvo apporto di risorse esterne che colmino se è di meno). Quindi, di fatto, un minimo ai creditori chirografari “devi” darlo, altrimenti la proposta è inammissibile. In concordati in continuità questo limite rigido non c’è (potresti teoricamente offrire meno del 20% se c’è convenienza economica a creditori, ma quasi sempre poi c’è l’apporto di qualche risorsa per convincerli).
Riassumendo: pagherai integralmente – salvo diverso accordo – i crediti superprivilegiati (lavoratori) e in generale i privilegiati se il valore del pegno/ipoteca li copre; mentre ai chirografari puoi proporre qualunque percentuale purché superiore a zero (rispettando il 20% se liquidatorio con risorse interne). Queste regole le studierà il tuo avvocato per formulare una proposta fattibile e legittima. È importante non fare “preferenze” indebite: ad esempio, non puoi decidere di pagare un fornitore chirografo al 100% e gli altri al 10% arbitrariamente – dovrai giustificarlo con una differenza di classe (es. fornitore essenziale in continuità) e anche così, gli altri potrebbero opporsi se la differenza è eccessiva senza contributo esterno. Il Codice ora impedisce trattamenti deteriore di classi dissenzienti rispetto ad altre di rango inferiore consenzienti in cram-down. L’avvocato ti guiderà per assicurare il principio di parità di trattamento entro ciascuna classe e il rispetto delle cause di prelazione.
D: Cosa succede se non rispetto il piano concordatario o di sovraindebitamento una volta omologato?
R: Dipende dalla gravità e dallo scenario:
- Nel concordato preventivo: se non adempie correttamente il piano, i creditori o il Commissario possono chiedere la risoluzione del concordato (art. 118 CCII). Il tribunale, verificato l’inadempimento notevole (per importo o importanza), dichiara risolto il concordato. Gli effetti sono pesanti: tornano esigibili per intero i debiti originari (detratti eventuali acconti ricevuti) e, salvo improbabili accordi diversi, su istanza di un creditore il tribunale contestualmente dichiara la liquidazione giudiziale (fallimento). Quindi, se il concordato fallisce, si va in fallimento quasi automaticamente. E i creditori riprendono le loro azioni individuali per la parte non soddisfatta. Inoltre, tu potresti perdere i benefici di esdebitazione eventualmente connessi (nell’ambito del fallimento poi potrai chiederla, ma aver “sprecato” un concordato per inadempimento potrebbe indispettire il tribunale).
- Nell’accordo di ristrutturazione dei debiti: l’accordo prevede di solito una clausola di risoluzione in caso di mancato pagamento alle scadenze concordate. Se accade, l’accordo perde efficacia e ciascun creditore recupera i suoi diritti per l’intero importo originario (meno quanto incassato). I creditori potranno allora agire esecutivamente o chiedere il fallimento. Non c’è una risoluzione “d’ufficio” (va invocata da creditori tramite reclamo al tribunale), ma una volta acclarato l’inadempimento, il tribunale dichiara la risoluzione e apre la strada al fallimento su istanza.
- Nel piano del consumatore o accordo di sovraindebitamento: se il debitore non rispetta il piano per sua colpa, il tribunale (anche su segnalazione dell’OCC) emette un decreto che dichiara risolto il piano/accordo. Ciò riattiva le azioni dei creditori per le somme residue, senza la protezione iniziale. Inoltre, il debitore perde il diritto all’esdebitazione di quei debiti. Potrebbe ancora eventualmente accedere alla liquidazione controllata per liberarsene, ma il giudice terrà conto del precedente fallimento del piano e valuterà la meritevolezza residua. In poche parole, se non paghi come promesso e non hai un giustificato motivo, torni al punto di partenza (meno quanto hai già pagato, ovviamente).
- Nella liquidazione controllata: se sei in liquidazione, l’inadempimento in senso stretto non c’è perché non c’è un piano di pagamenti da parte tua – i beni sono già affidati al liquidatore. Tuttavia, c’è l’obbligo di cooperazione: se non collabori (nascondi beni, non fornisci documenti, ecc.), potresti perdere il beneficio dell’esdebitazione a fine procedura per condotta dolosa. Quindi anche qui il tuo comportamento incide sull’esito, benché tu non abbia pagamenti attivi da fare (li fa il liquidatore).
Nota: se il mancato rispetto del piano è dovuto a cause di forza maggiore (es. un nuovo evento catastrofico, crisi settoriale imprevista, pandemia), il tribunale può anche consentire modifiche al piano o dilazioni aggiuntive. Ad esempio, durante il COVID, molti concordati sono stati autorizzati a prorogare di 6 mesi/1 anno i pagamenti perché oggettivamente impossibilitati a rispettare le scadenze. Anche il CCII prevede la possibilità di modificare il piano omologato su istanza del debitore con nuove condizioni, ma solo se ciò non peggiora la posizione dei creditori e con approvazione eventuale delle classi coinvolte. Nel sovraindebitamento, similmente, se il debitore ha un giustificato motivo (es. malattia, perdita impiego) il giudice può adattare il piano invece di risolverlo subito.
In sintesi: il rispetto degli impegni presi è fondamentale. L’avvocato sin dall’inizio dovrà farti formulare un piano sostenibile, con margine di sicurezza, proprio per evitare di incorrere nella risoluzione. Se poi comunque subentrano difficoltà, è essenziale giocare d’anticipo: informare il commissario o OCC, chiedere al giudice una modifica del piano prima di finire inadempiente. La legge preferisce aggiustare i piani piuttosto che farli naufragare, se c’è buona fede e convenienza a proseguirli.
Fonti normative e giurisprudenziali citate
Normativa italiana di riferimento:
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, e successive modifiche (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136). Particolarmente rilevanti: artt. 56 (piani attestati), 57-64 (accordi di ristrutturazione, transazione fiscale art. 63), 84-120 (concordato preventivo e transazione fiscale art. 88), 65-81 (sovraindebitamento: piano consumatore, accordo, liquidazione controllata).
- Legge Fallimentare (Vecchia) – R.Regio Decr. 16 marzo 1942 n. 267, art. 160 e ss., 182-bis e ss., 67 co.3 lett. d) – per riferimento storico e disciplina transitoria su procedure antecedenti il CCII.
- Decreto-Legge 118/2021 conv. in L.147/2021 – Introduzione della composizione negoziata per la crisi d’impresa (artt. da 2 a 20 D.L. 118/21); art. 11 DL 118/21 (concordato semplificato post-composizione).
- Codice Civile, art. 2086 c.c. (obbligo assetti adeguati per rilevare crisi, introdotto da D.Lgs.14/2019).
- Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR) – D.P.R. 917/1986: art. 84 (riporto perdite d’impresa), art. 88 commi 4, 4-bis, 4-ter TUIR (detassazione sopravvenienze attive da concordato, accordo, piano attestato), art. 94 TUIR (riduzione capitale da esdebitazione), art. 117-129 (consolidato fiscale), art. 172 co.7 (limiti perdite su fusioni) ecc.
- Decreto Legislativo 74/2000 – Reati tributari: art. 10-bis (omesso versamento ritenute), 10-ter (omesso versamento IVA), art. 13 (causa non punibilità per pagamento integrale debito tributario).
- Legge 3/2012 (ante CCII sovraindebitamento) – art. 8, 9, 12 (piano del consumatore), art. 14-ter e ss. (liquidazione patrimonio) – abrogata dal CCII ma utile per principi.
- Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) – commi 186-246: Definizione agevolata liti tributarie, rottamazione-quater cartelle, stralcio mini-debiti, conciliazione agevolata in Cassazione.
- Decreto-Legge 146/2021 conv. L.215/2021 – art. 6 (nuovo Patent Box super-deduzione al 110%) e Provvedimento Attuativo AE 15/2/2022.
- Statuto del Contribuente – Legge 212/2000: art. 11 (interpello ordinario); D.Lgs. 147/2015 art. 2 (interpello nuovi investimenti).
- Decreto MEF 2020 – parametri meritevolezza e rapporto indebitamento disponibile per sovraindebitamento (linee guida, se esistenti – es. Indici OCDEC).
- Regolamento UE 848/2015 (Insolvenza transfrontaliera) – come richiamo per cooperazione, non direttamente usato in testo ma importante per contesti cross-border.
Principali pronunce giurisprudenziali:
- Corte di Cassazione – Civile:
- Cass., Sez. I, 25/03/2022 n. 9743 – Revocatoria atti in piano attestato (necessaria idoneità ex ante del piano).
- Cass., Sez. I, 03/03/2023 n. 6508 – Abuso del concordato preventivo (domanda in malafede) – in commento.
- Cass., Sez. Un., 18/05/2021 n. 8500 – Cram-down fiscale negli accordi di ristrutturazione (ha confermato applicabilità forzosa transazione in presenza condizioni).
- Cass., Sez. I, 26/01/2021 n. 1397 – Classi concordato: omogeneità e divieto di classi “strumentali” (no manipolazione voto).
- Cass., Sez. VI-1, 18/02/2021 n. 4270 – Sovraindebitamento: falcidia crediti con privilegio generale ammessa entro limite soddisfazione fallimentare (piano del consumatore).
- Cass., Sez. Un., 10/11/2021 n. 33408 – Giurisdizione su crediti erariali in fallimento/sovraindebitamento (competenza tribunale fall. su insinuazioni Erario).
- Cass., Sez. I, 17/05/2019 n. 13817 – Concordato preventivo: il tribunale può revocare l’ammissione se il debitore non paga contributi e imposte durante la procedura (ribadito da Cass. 35423/2023).
- Cass., Sez. I, 04/05/2020 n. 8436 – Concordato liquidatorio: obbligo 20% ai chirografari come condizione ammissibilità (vecchio art. 160 l.f.) – principio confermato in CCII art. 84.
- Cass., Sez. VI-1, 21/01/2021 n. 1070 – Sovraindebitamento: meritevolezza del consumatore (caso di prestiti per spese voluttuarie negata esdebitazione).
- Cass., Sez. I, 07/07/2022 n. 21390 – Accordi ristrutt. : conferma omologa con cram-down fiscale post CCII (applicazione art. 63 CCII cond. rispettate).
- Cass., Sez. I, 20/12/2018 n. 32774 – Risoluzione concordato preventivo e fallimento conseguente (il fallimento post risoluzione concordato ha effetti ex tunc sugli atti di disposizione non autorizzati).
- Corte di Cassazione – Penale:
- Cass. pen., Sez. III, 05/05/2020 n. 13628 – Omesso versamento IVA e concordato preventivo (concordato non esonera dall’obbligo di pagamento IVA scaduta post domanda; reato sussiste).
- Cass. pen., Sez. V, 22/02/2021 n. 7309 – Bancarotta preferenziale e pagamenti in esecuzione di piano attestato (pagamenti secondo piano attestato non configurano reato preferenziale se piano idoneo e veritiero).
- Cass. pen., Sez. Unite, 27/05/2016 n. 22474 (dep.2017) – Reati fallimentari e consolidato fiscale (questione tecnica).
- Cass. pen., Sez. V, 24/10/2019 n. 44337 – Falso in attestazione del professionista (concordato) – condanna attestatore per relazione mendace.
- Cass. pen., Sez. III, 04/03/2019 n. 9386 – Omesso versam. contributi e concordato (obbligo versamento contributi correnti, analogo a IVA).
- Corte Costituzionale:
- C. Cost. sent. 225/2014 – Legittimità costituzionale transazione fiscale su IVA (non viola art. 3 e obblighi UE; spiana strada a cram-down IVA).
- C. Cost. sent. 6/2020 – Integrazione art. 163 l.f. (obbligo allegare bilanci a domanda con riserva) – miglior tutela creditori (norma poi superata da CCII).
- C. Cost. sent. 59/2021 – Concordato preventivo e debiti IVA: non fondatezza q.l.c. su divieto falcidia IVA, in linea con CGUE (anticipa riforma).
- C. Cost. sent. 65/2022 – Sovraindebitamento: piano consumatore e pignoramento quinto stipendio (ha dichiarato infondata q.l.c. su mancata sospensione automatica di pignoramento già assegnato – conferma art. 8 co.1bis L.3/2012).
- C. Cost. sent. 18/2021 – Piccole società tra professionisti e fallibilità (esula dal testo).
- C. Cost. sent. 17/2021 – Esdebitazione fallito estesa a debiti erariali residui (illegittimità parziale art. 14-terdecies L.3/2012 e art. 142 l.f. che escludevano alcune categorie di debiti dall’esdebitazione) – principio di integrale fresh start.
- Giurisprudenza di merito (selezione):
- Tribunale Roma, ord. 19/03/2025 – Composizione negoziata: no proroga misure protettive via misura cautelare (durata max 180 gg).
- Tribunale Udine, ord. 30/04/2024 – Composiz. negoziata: conferma linea Roma su misure protettive vs cautelari.
- Corte App. Venezia, decr. 14/10/2022 – Revoca concordato continuità per omesso pagamento contributi ex art. 189 CCII (caso Mercatone) – rigore su obblighi interinali.
- Tribunale Milano, ord. 15/07/2022 – Concordato preventivo: autorizzata modifica piano in continuità per eccessiva onerosità sopravvenuta (COVID) – adattamento piani per forza maggiore.
- Tribunale Napoli, decr. 15/06/2023 (ATAC) – Concordato in continuità pubblica: applicazione cross-class cram-down e conferma apporti pubblici come risorse esterne (omologato nonostante dissenso minoranze).
- Tribunale Firenze, decr. 11/01/2020 – Meritevolezza consumatore: indebitamento per cure mediche e riduzione reddito ritenuti giustificati – piano omologato.
- Corte App. Brescia, decr. 04/05/2022 – Procedura familiare: omologato piano congiunto marito-moglie sovraindebitati (art. 66 CCII applicato).
- Tribunale Mantova, decr. 28/07/2021 – Esdebitazione immediata debitore incapiente concessa a soggetto privo di beni, con reddito modesto e condotta diligente (prima applicazione art. 14-quaterdecies L.3/2012, ora art. 283 CCII).
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