Quanto Tempo Dura La Liquidazione Di Una SRL?

Hai avviato o stai pensando di avviare la liquidazione di una SRL e ti stai chiedendo quanto tempo durerà tutto il procedimento? Hai paura che la chiusura si trasformi in un incubo infinito tra burocrazia, creditori e obblighi legali?

La durata della liquidazione dipende da diversi fattori, ma è importante sapere cosa incide davvero sui tempi e come evitare che si prolunghi inutilmente, mettendo a rischio l’impresa e chi la gestisce.

Ma quanto dura, in media, la liquidazione di una SRL?

In linea generale, se la società non ha debiti rilevanti, non ci sono contenziosi e tutti i soci sono d’accordo, la liquidazione può chiudersi in 6-12 mesi. Tuttavia, quando ci sono creditori insoddisfatti, beni da vendere, contabilità non in ordine o contenziosi aperti, i tempi possono allungarsi anche a 2-3 anni o più.

Quali sono le fasi che fanno durare la liquidazione?

  1. Nomina del liquidatore e deposito al Registro Imprese;
  2. Inventario dei beni, chiusura dei conti, stesura del bilancio iniziale;
  3. Gestione dei rapporti con i creditori, pagamento dei debiti, riscossione di eventuali crediti;
  4. Vendita dei beni societari, se presenti;
  5. Bilancio finale di liquidazione, piano di riparto e approvazione da parte dei soci;
  6. Cancellazione definitiva della società dal Registro Imprese.

Ognuna di queste fasi può richiedere tempo, soprattutto se ci sono ostacoli o mancanza di collaborazione tra soci, amministratori o creditori.

E se ci sono debiti o pendenze con il Fisco?

In questo caso la liquidazione non può concludersi finché non vengono definite tutte le posizioni, o finché l’Agenzia delle Entrate non accetta eventuali piani di rientro. Se il liquidatore distribuisce somme ai soci prima di pagare il Fisco, può essere chiamato a rispondere con il proprio patrimonio personale.

È possibile accelerare la chiusura della liquidazione?

Sì, ma serve una gestione attenta e preventiva. Con l’aiuto di un avvocato esperto, è possibile:

  • fare un’analisi preventiva dei debiti e dei rischi;
  • impostare una strategia di liquidazione chiara e documentata;
  • evitare errori formali che causano blocchi o rigetti;
  • comunicare in modo efficace con banche, fornitori e Agenzia Entrate.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario, liquidazioni e responsabilità d’impresa – ti spiega quanto dura la liquidazione di una SRL, da cosa dipendono i tempi, e cosa possiamo fare per aiutarti a chiudere la società nel minor tempo possibile e senza rischi.

Hai già avviato la liquidazione ma la procedura è ferma? Vuoi chiudere in modo ordinato e veloce senza trascinarti problemi fiscali o legali?

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Introduzione

La liquidazione rappresenta la fase conclusiva della vita di una società a responsabilità limitata (SRL). In questa guida completa – pensata per avvocati, imprenditori e privati – analizziamo in dettaglio quanto dura la procedura di liquidazione di una SRL in Italia (sia volontaria sia coatta amministrativa), dal punto di vista del debitore (cioè della società e dei suoi soci). Adottiamo un linguaggio giuridico ma chiaro e divulgativo, con riferimenti normativi aggiornati al 2025 e approfondimenti pratici. Esamineremo le tempistiche tipiche delle varie fasi, gli aspetti fiscali (IVA, imposte dirette, obblighi contabili), forniremo simulazioni numeriche di scenari di liquidazione e una rassegna delle più recenti sentenze (2023–2025) in materia. Troverete inoltre tabelle riepilogative dei termini, adempimenti e soggetti coinvolti, una sezione Domande & Risposte sui quesiti frequenti dal punto di vista del debitore, e infine un elenco dettagliato di tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate.

Struttura della guida:

  • Quadro normativo e tipi di liquidazione: definizione di liquidazione volontaria vs. liquidazione coatta amministrativa, cause di scioglimento (art. 2484 c.c. e aggiornamenti del Codice della Crisi), obblighi iniziali degli amministratori.
  • Liquidazione volontaria: fasi della procedura ordinaria, durata media, fattori che incidono sui tempi, adempimenti per la chiusura e tempi di estinzione.
  • Liquidazione coatta amministrativa: in quali casi si applica, autorità competenti, sviluppo della procedura e confronto con la liquidazione giudiziale ex fallimento, con analisi delle durate tipiche e casi di irragionevole durata.
  • Approfondimenti fiscali: gestione di IVA e imposte durante la liquidazione, suddivisione in periodi d’imposta, regole sul riporto delle perdite finali e tassazione delle distribuzioni finali ai soci.
  • Simulazioni pratiche: esempi numerici di liquidazione volontaria (attivo sufficiente vs. insufficiente) con tempistiche e risultati finali, e accenno a scenari di liquidazione coatta.
  • Rassegna giurisprudenziale 2023–2025: sintesi delle sentenze più recenti e rilevanti – ad esempio sulla responsabilità post-liquidazione di soci e liquidatori, sul concetto di insolvenza durante la liquidazione, ecc. – per capire come la giurisprudenza attuale incide sui tempi e sulle conseguenze della liquidazione.
  • FAQ (Domande & Risposte): chiarimenti sui dubbi comuni del debitore in liquidazione (ad es. “Posso liquidare una SRL con debiti ancora pendenti?”, “Quanto tempo rimangono responsabili soci e liquidatori dopo la chiusura?”, “Si può evitare il fallimento liquidando volontariamente la società?”, “Che succede se spuntano debiti dopo la cancellazione?”, ecc.).
  • Elenco fonti: elenco dettagliato e organizzato delle norme (Codice Civile, Codice della Crisi d’Impresa, TUF, TUIR, DPR 602/1973, ecc.), delle sentenze e della dottrina citata nel testo.

Quadro Normativo e Tipologie di Liquidazione di una SRL

Prima di entrare nel merito della durata della liquidazione, inquadriamo il contesto normativo e i diversi tipi di procedure liquidatorie per una SRL. La disciplina è frammentata tra Codice Civile (scioglimento e liquidazione ordinaria), Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019, per le procedure concorsuali come liquidazione giudiziale e coatta) e varie leggi speciali per settori regolamentati (TUB per banche, TUF per intermediari finanziari, Codice Assicurazioni per compagnie assicurative, ecc.). Dal 2022 il quadro è stato aggiornato con l’entrata in vigore del Codice della Crisi, che ha introdotto nuovi istituti e adeguato il Codice Civile.

Scioglimento della SRL e avvio della liquidazione: cause e obblighi iniziali

Una SRL può trovarsi in liquidazione a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento. L’art. 2484 c.c. elenca le cause legali di scioglimento per le società di capitali (incluse le SRL). Le cause più comuni sono:

  • Decorso del termine di durata previsto nell’atto costitutivo (se la società era a termine).
  • Conseguimento dell’oggetto sociale oppure sopravvenuta impossibilità di conseguirlo (esaurimento dello scopo sociale, o attività divenuta impossibile).
  • Impossibilità di funzionamento o inattività prolungata dell’assemblea dei soci.
  • Riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, non ricostituito nei termini di legge (art. 2482-ter c.c. per SRL).
  • Ipotesi specifiche previste dalla legge (ad es. recesso del socio tale da far venir meno la pluralità nelle società non unipersonali, con mancata ricostituzione; casi di nullità della società dichiarati dal tribunale, ecc.).
  • Deliberazione volontaria dei soci di sciogliere anticipatamente la società (decisione volontaria dell’assemblea straordinaria).
  • Altre cause previste dall’atto costitutivo o dallo statuto (clausole statutarie che prevedono eventi risolutivi, come il venir meno di determinate autorizzazioni, il raggiungimento di un certo risultato, ecc.).

Dal 2022, con l’entrata in vigore del Codice della Crisi, si è aggiunta un’ulteriore causa: l’apertura di una procedura concorsuale. In particolare, l’art. 2484 c.c. comma 1 n. 7-bis ora prevede lo scioglimento “per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale o della liquidazione controllata”. Ciò significa che se un tribunale dichiara il fallimento (oggi denominato liquidazione giudiziale nel CCII) di una SRL, la società si considera sciolta di diritto da quel momento. Analogamente, per i debitori non fallibili soggetti alla liquidazione controllata (procedura concorsuale minore prevista dal CCII per sovraindebitati), l’apertura di tale procedura scioglie eventuali società coinvolte. In sintesi, lo stato di insolvenza conclamato, gestito tramite procedura concorsuale, provoca ex lege lo scioglimento della società.

Oltre alle cause di legge, lo statuto della SRL può prevedere cause specifiche di scioglimento; in tal caso deve indicare anche chi sia competente ad accertarle e curarne la pubblicità presso il Registro Imprese.

Obblighi degli amministratori: non appena si verifica (o viene conosciuta) una causa di scioglimento, gli amministratori devono senza indugio accertarla e darne pubblicità. In particolare, l’art. 2485 c.c. impone agli amministratori di:

  • Accertare formalmente la causa di scioglimento con apposita dichiarazione;
  • Iscrivere tale dichiarazione al Registro delle Imprese (se la causa è oggettiva) oppure, se si tratta di deliberazione dei soci, convocare l’assemblea straordinaria perché assuma la decisione (con verbalizzazione notarile).

Nel caso di scioglimento volontario deciso dai soci, gli effetti verso i terzi si producono dalla data di iscrizione della delibera di scioglimento nel Registro Imprese (che ha natura costitutiva). Per le cause “di diritto” (es. impossibilità di conseguire oggetto sociale), gli effetti decorrono dalla data di iscrizione dell’accertamento degli amministratori. Attenzione: il dovere degli amministratori è di procedere senza indugio; ogni ritardo può comportare responsabilità personale degli amministratori per gli eventuali aggravamenti patrimoniali subiti dalla società, dai creditori o dai soci a causa della tardiva messa in liquidazione.

Una volta accertata la causa e convocata l’assemblea, i soci deliberano lo scioglimento formale e la messa in liquidazione della SRL, nominando uno o più liquidatori (salvo nei rari casi in cui non serve nomina formale – v. procedura semplificata infra). La delibera assembleare di scioglimento/liquidazione (ove richiesta, come nel caso di decisione volontaria) va verbalizzata da un notaio e depositata entro 30 giorni al Registro delle Imprese. Da quel momento la denominazione sociale deve aggiungere la dicitura “in liquidazione” e i liquidatori assumono la gestione al posto degli amministratori per limitarsi agli atti finalizzati alla liquidazione del patrimonio. Gli amministratori cessanti consegnano ai liquidatori i libri sociali e contabili, una situazione aggiornata dei conti alla data di scioglimento e un rendiconto di gestione dal termine dell’ultimo bilancio approvato fino al momento dello scioglimento.

Riassumendo le fasi iniziali: l’avvio della procedura di liquidazione avviene ipso iure con lo scioglimento della società. Da quel punto in poi l’impresa non opera più sul mercato per produrre utili, ma agisce solo in funzione liquidatoria (realizzare l’attivo, pagare i creditori, distribuire l’eventuale residuo ai soci). Questo cambiamento di finalità incide anche sul giudizio di insolvenza: la Cassazione ha chiarito che, dopo l’iscrizione dello scioglimento, per valutare se la società è insolvente bisogna guardare solo alla sufficienza dell’attivo a soddisfare integralmente i debiti, non più alla liquidità immediata o alla capacità di credito dell’impresa. Infatti, una società in liquidazione non deve più avere mezzi finanziari per la continuità aziendale; ciò che rileva è se il patrimonio, una volta liquidato, coprirà o meno tutte le passività. Se l’attivo non basta a pagare tutti i creditori, la società è in stato d’insolvenza e – come vedremo – dovrebbe aprirsi una procedura concorsuale (fallimento/liquidazione giudiziale) invece di proseguire con la liquidazione ordinaria. Viceversa, una SRL in liquidazione che abbia attività sufficienti a soddisfare i debiti non verrà dichiarata insolvente pur trovandosi senza liquidità corrente.

Liquidazione volontaria (ordinaria) vs. procedure concorsuali

Quando si parla di “liquidazione di una SRL” in senso generico, ci si riferisce tipicamente alla liquidazione volontaria ordinaria (anche detta liquidazione extra-giudiziale). Questa è la procedura disciplinata dagli artt. 2487–2496 c.c., gestita privatamente dai soci e dai liquidatori da loro nominati, senza l’intervento diretto del tribunale. La liquidazione volontaria presuppone che la società, pur cessando l’attività, abbia la capacità di pagare tutti i suoi debiti. In altre parole, è un percorso destinato a società solventi o solvibili, in cui i creditori saranno soddisfatti integralmente nel corso della liquidazione. Se emergesse che la società è insolvente (attivo insufficiente), la liquidazione volontaria dovrebbe interrompersi per far luogo a una procedura concorsuale giudiziale (fallimentare).

Le procedure concorsuali applicabili a una SRL in crisi sono principalmente: il concordato preventivo (per evitare la cessazione, se vi è un piano di risanamento concordato coi creditori) e la liquidazione giudiziale (cioè il fallimento, per liquidare coattivamente il patrimonio sotto controllo del tribunale). Inoltre, se la società non supera determinate soglie di fallibilità, può accedere a procedure “minori” come la liquidazione controllata (ex legge sul sovraindebitamento) o il concordato minore – ma queste ultime in genere non riguardano le SRL commerciali di dimensioni ordinarie, che rientrano nel regime del fallimento.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento): è la procedura concorsuale giudiziaria prevista dal Codice della Crisi per le imprese insolventi. Viene aperta dal tribunale su ricorso di creditori, del pubblico ministero o dell’imprenditore stesso, in presenza di uno stato di insolvenza (art. 121 CCII). Con la sentenza di apertura, la società è spossessata e un curatore nominato dal tribunale amministra e liquida l’attivo, sotto la vigilanza di un giudice delegato e di un comitato di creditori. La liquidazione giudiziale conduce alla cancellazione della società ma non garantisce il pagamento integrale dei debiti – anzi, i creditori concorrono pro-quota e spesso subiscono perdite, mentre la società (dopo la chiusura) può ottenere l’esdebitazione residua in certi casi. La durata di un fallimento può essere notevole (media storica attorno a vari anni, come vedremo) e viene scandita da termini procedurali per l’accertamento del passivo e la liquidazione dell’attivo. Dal punto di vista del debitore, il fallimento comporta la perdita del controllo, la nomina di organi terzi, e tempi spesso lunghi di chiusura.

Liquidazione coatta amministrativa (LCA): è una procedura concorsuale speciale, di natura amministrativa, prevista per particolari categorie di imprese. A differenza della liquidazione giudiziale (fallimento) – che è “di diritto comune” per le imprese commerciali – la LCA si applica a imprese la cui crisi coinvolge rilevanti interessi pubblici o settori regolamentati. Esempi tipici sono: banche e altri intermediari finanziari vigilati, assicurazioni, alcune imprese pubbliche o concessionarie, e in certi casi le cooperative. La legge individua in modo analitico quali soggetti sono assoggettabili a LCA (ad esempio: banche secondo il TUB, SIM e SGR secondo il TUF, assicurazioni secondo il Codice delle Assicurazioni, cooperative secondo le normative di settore). La liquidazione coatta viene disposta non dal tribunale ordinario ma dall’Autorità amministrativa competente: ad esempio, per una banca dalla Banca d’Italia (con decreto ministeriale MEF), per una cooperativa dal Ministero dello Sviluppo Economico, per un’impresa di assicurazione dall’IVASS (con decreto MEF), ecc. La procedura viene poi gestita da uno o più commissari liquidatori nominati dall’autorità, sotto la supervisione di un comitato di sorveglianza e della stessa autorità di vigilanza.

In sostanza, la LCA è simile al fallimento quanto a scopo (liquidare il patrimonio e soddisfare i creditori secondo la par condicio), ma differisce perché: (a) è avviata e controllata da un’autorità amministrativa invece che dal tribunale civile; (b) spesso viene scelta per tutelare interessi generali (ad es. depositanti di una banca, assicurati di una compagnia) che rendono preferibile un procedimento fuori dall’ambito strettamente giudiziario. In passato la disciplina della LCA era contenuta nella legge fallimentare (RD 267/1942, artt. 194-213); oggi è stata trasfusa nel Titolo VII del Codice della Crisi (artt. 293–316 CCII) con alcuni aggiornamenti, ferma restando la continuità sostanziale col regime previgente. Le leggi speciali di settore restano in vigore per gli aspetti peculiari (ad es. il TUB prevede specifiche sul rimborso dei depositi bancari, ecc.), ma il CCII fornisce principi generali e regole residuali.

Confronto dal punto di vista del debitore:

  • Liquidazione volontaria – È un procedimento extra-giudiziale avviato dai soci, in cui la società mantiene un certo controllo: i soci scelgono il liquidatore, non ci sono giudici coinvolti, e la società può gestire la liquidazione con flessibilità. È adatta a situazioni non insolventi. Dal punto di vista del debitore (società/soci) è spesso preferibile per costi contenuti e discrezionalità, ma non offre una “liberatoria” formale per i debiti: se qualcosa resta insoluto, i creditori potranno agire contro soci e liquidatore nei limiti di responsabilità (come spiegheremo). Non vi è cioè un effetto esdebitatorio pieno come nelle procedure concorsuali.
  • Liquidazione coatta amm. – È una procedura concorsuale amministrativa: la società perde il controllo in favore del commissario nominato dall’autorità. Spesso è imposta d’ufficio per tutelare interessi pubblici, quindi dal lato del debitore è poco volontaria. La durata può essere molto lunga (storicamente alcune LCA sono durate decenni), e il debitore non ha voce nelle tempistiche. Vantaggio per il debitore è che, essendo concorsuale, la LCA sospende le azioni individuali e tratta collettivamente i crediti; tuttavia, a differenza del concordato, non richiede consenso dei creditori e può comportare lo scioglimento immediato dei rapporti per legge (ad es. contratti, ecc. in base a norme di settore). I soci in LCA di solito perdono il capitale come in un fallimento.
  • Liquidazione giudiziale (fallimento) – Dal lato del debitore è la più drastica: la società viene spossessata, gli organi sociali decadono in favore del curatore, e il percorso è rigidamente regolato dal tribunale. I tempi di chiusura storicamente sono elevati (anche 5-10 anni in procedure complesse), durante i quali la società rimane formalmente in vita ma inattiva. Alla chiusura, la società è cancellata e (novità del CCII) può ottenere l’esdebitazione residua entro 3 anni se ha cooperato (art. 282 CCII) – un beneficio per i soci/imprenditori onesti che in liquidazione volontaria non è previsto. Di contro, il fallimento comporta per amministratori e soci maggiori rischi di azioni di responsabilità e, per gli amministratori, possibili implicazioni penali (es. bancarotta) se hanno aggravato il dissesto. In termini di durata, il fallimento può prolungarsi più di una liquidazione volontaria media, ma la riforma mira a velocizzare i tempi (obiettivo di chiusura in 3-6 anni al massimo, come vedremo).

Nei paragrafi successivi ci focalizzeremo principalmente sulla liquidazione volontaria e sulla liquidazione coatta amm., così come richiesto, confrontando le durate medie e le fasi. Dove utile, faremo cenno alla liquidazione giudiziale per completare il quadro temporale.

Procedura di Liquidazione Volontaria: Fasi, Adempimenti e Durata

La liquidazione volontaria ordinaria di una SRL si articola in varie fasi scandite dal Codice Civile. Non esiste una durata fissa stabilita dalla legge per completare la liquidazione; il tempo necessario dipende dalle caratteristiche della società e dalle operazioni da compiere. Tuttavia, possiamo descrivere le fasi tipiche e indicare le tempistiche medie riscontrate nella prassi per dare un’idea di quanto dura il processo nella maggior parte dei casi.

Durata media della liquidazione volontaria: per una piccola SRL solvente, circa 1 anno è spesso sufficiente a completare la liquidazione (dalla delibera di scioglimento fino alla cancellazione). Alcune società riescono a chiudere in 6 mesi (se hanno pochi beni da liquidare e pochi creditori), altre richiedono fino a 18-24 mesi. Superare i 2-3 anni di liquidazione volontaria è generalmente sintomo di complicazioni o inerzie. Tenere aperta una liquidazione a lungo è sconsigliabile: comporta costi aggiuntivi (onorari del liquidatore protratti, spese contabili annuali, tasse per ogni esercizio, ecc.). Pertanto, è interesse dei soci e del liquidatore concludere celermente la procedura, compatibilmente con la necessità di vendere i beni al giusto valore e soddisfare i creditori. Più avanti forniremo strategie per accelerare la liquidazione (es. evitare di attendere troppo per vendere un immobile, onde evitare che i costi di un lungo mantenimento superino i benefici di spuntare un prezzo leggermente più alto).

Di seguito, illustriamo le fasi della liquidazione volontaria e per ciascuna indichiamo i termini legali (se previsti) e i tempi pratici usuali:

  • Fase 1: Delibera di scioglimento e nomina dei liquidatori. Come visto, una volta accertata la causa, i soci deliberano lo scioglimento e la liquidazione. La delibera (in caso di scioglimento volontario) viene formalizzata per atto notarile e depositata al Registro delle Imprese entro 30 giorni. Tempo: questa fase preparatoria richiede in genere qualche settimana – il tempo di convocare l’assemblea straordinaria (preavviso minimo circa 8 giorni, salvo diverse disposizioni statutarie), tenere la riunione e completare l’atto notarile. Se i soci sono d’accordo e immediatamente disponibili, talvolta l’intervallo tra decisione e iscrizione è brevissimo (pochi giorni). In altri casi (soci all’estero, necessità di preparare documentazione) può prendere 1-2 mesi. Effetto sul decorso: formalmente la liquidazione inizia alla data dell’iscrizione della delibera (o dell’accertamento amministrativo) nel Registro Imprese, quindi da quel momento decorrono i termini delle fasi successive.
  • Fase 2: Insediamento dei liquidatori e comunicazioni iniziali. Una volta nominati, i liquidatori devono iscrivere la propria nomina presso il Registro Imprese (contestualmente o subito dopo la delibera). Gli amministratori consegnano libri e conti ai liquidatori e cessano definitivamente dalle funzioni. I liquidatori aggiungono la dicitura “in liquidazione” alla denominazione sociale in tutti gli atti e corrispondenza. Inoltre, vi è un obbligo di pubblicità dello stato di liquidazione: chiunque faccia una visura camerale vedrà la società “in liquidazione”, e questa indicazione deve comparire su fatture, carta intestata, siti web, etc., pena sanzione amministrativa. Tempo: queste sono attività immediate da compiere entro pochi giorni dall’avvio – di fatto burocratiche, non incidono molto sulla durata totale, se non nel caso di ritardi negligenti (che comunque possono esporre a sanzioni).
  • Fase 3: Realizzazione dell’attivo sociale. Questa è la fase centrale e spesso più lunga della liquidazione. I liquidatori devono convertire in denaro i cespiti della società: vendere i beni mobili e immobili, riscuotere i crediti, eventualmente cedere rami d’azienda, sciogliere contratti onerosi, il tutto nell’ottica di ottenere liquidità per pagare i creditori. Se la società ha pochi beni (es. solo denaro in cassa o crediti facilmente incassabili), questa fase può essere rapida (pochi mesi). Se invece vi sono immobili o beni di valore da vendere, i tempi dipendono dal mercato: vendere un immobile commerciale può richiedere diversi mesi, specialmente se si cerca di ottenere un buon prezzo. Spesso il liquidatore deve valutare se proseguire provvisoriamente l’attività aziendale (o parte di essa) per preservare il valore di asset particolari: ad esempio, mantenere in funzione un impianto in attesa di cederlo come azienda funzionante, anziché svendere i macchinari come rottami. Il Codice Civile consente l’esercizio provvisorio limitato al fine del miglior realizzo dell’attivo. Tuttavia, ogni esercizio provvisorio allunga la liquidazione. Tempo: le statistiche mostrano che spesso la fase esecutiva dura anni se l’attivo non è immediatamente liquidabile. Per una SRL medio-piccola senza immobili, può concludersi in 6-12 mesi. Con immobili: dipende dalle aste o trattative – vendite immobiliari in liquidazione volontaria non hanno le rigidità delle aste fallimentari (il liquidatore può vendere a trattativa privata, previo ok dei soci se richiesto dai criteri stabiliti), quindi in teoria potrebbe vendere in tempi più brevi di un curatore fallimentare. Ma se il mercato è sfavorevole, anche un liquidatore volontario può impiegare 1-2 anni per vendere un immobile a prezzo soddisfacente. Fattori che incidono sui tempi: dimensione dell’attivo, numero di beni da cedere, cooperazione dei debitori nel pagare i crediti, eventuali contenziosi legali su beni o crediti (cause in corso che la società deve magari definire), ecc. Nel frattempo, durante ogni esercizio in cui la liquidazione prosegue, i liquidatori devono predisporre e far approvare ai soci un bilancio annuale di liquidazione, come farebbero gli amministratori per un bilancio ordinario. Questo obbligo annuale (art. 2490 c.c.) serve a tenere traccia dell’andamento della liquidazione e a informare soci e creditori. Se la liquidazione si protrae oltre un esercizio, quindi, c’è un “appuntamento” annuale con i bilanci, che comporta un minimo di formalità e potrebbe rallentare se l’assemblea non approva subito. In più, attenzione: la legge prevede un meccanismo anti-stasi per liquidazioni eccessivamente lunghe. Se per oltre 3 anni consecutivi i liquidatori non depositano alcun bilancio al Registro Imprese, la società viene cancellata d’ufficio dal Registro. Questa cancellazione coattiva dopo 3 anni di inadempimento comporta comunque l’estinzione della società e attiva le responsabilità post-chiusura (soci verso creditori insoddisfatti fino a concorrenza di quanto ricevuto, liquidatori illimitatamente se colposi). Dunque, protrarre la liquidazione senza neppure depositare bilanci espone i liquidatori a un intervento forzoso e responsabilità. In pratica, 3 anni di inattività sono considerati patologici dalla legge. Una liquidazione ordinaria ben gestita solitamente non arriva a quel punto: se si prevede che serva oltre 3 anni, i liquidatori comunque depositano i bilanci intermedi per evitare la cancellazione d’ufficio.
  • Fase 4: Pagamento dei debiti sociali. Parallelamente (o successivamente) alla liquidazione dell’attivo, i liquidatori devono pagare i creditori della società. La regola cardine è che i creditori vanno soddisfatti rispettando le cause legittime di prelazione e la parità di trattamento (principio della par condicio creditorum). Il Codice Civile, a differenza della legge fallimentare, non elenca dettagliatamente un ordine di distribuzione, ma applica in via analogica i privilegi e le prelazioni stabilite dalle norme (pignoratizi, ipotecari, privilegi generali, chirografari). In liquidazione volontaria, il liquidatore – a meno che l’attivo sia abbondantemente superiore al passivo – deve fare attenzione a non pagare alcuni creditori lasciandone altri insoddisfatti in modo arbitrario, perché così facendo violerebbe la par condicio e potrebbe incorrere in responsabilità personale. La prassi virtuosa è: pagare man mano i creditori scaduti e non contestati in base al loro grado di priorità; accantonare somme per i debiti non ancora scaduti o contestati (art. 2491 c.c.); non distribuire nulla ai soci finché tutti i creditori noti non siano soddisfatti o tutelati da accantonamenti. I liquidatori non possono ripartire acconti ai soci se ciò pregiudica la completa soddisfazione dei creditori. La violazione di questo divieto è persino penalmente sanzionata: distribuire ai soci beni prima di aver pagato o accantonato per tutti i creditori configura reato (punito con reclusione). Tempo: il pagamento dei debiti è legato ai tempi di realizzo dell’attivo. In teoria, una volta incassate le somme dalle vendite, pagare i creditori è un atto immediato. Ma in pratica, alcuni crediti potrebbero essere contestati e portare via tempo (es. un fornitore chiede più soldi, o c’è un contenzioso in corso). Il liquidatore potrebbe dover attendere la definizione di una lite o trovare un accordo. Inoltre, se l’attivo è insufficiente, come detto subentra lo scenario di insolvenza e la necessità di concorsualità. Se invece appare leggermente insufficiente ma i soci vogliono evitare il fallimento, possono intervenire versando fondi propri per pagare i creditori rimasti: di fatto accollandosi i debiti residui. Questo a volte accade per chiudere comunque in via volontaria: i soci pur di evitare il disonore del fallimento o ulteriori ritardi, coprono il disavanzo pagando i creditori con proprie risorse (non è un obbligo legale, ma una scelta possibile). Approfondiremo un esempio nella simulazione.
  • Fase 5: Bilancio finale di liquidazione e piano di riparto. Completate le operazioni (tutto l’attivo liquidato in denaro e passivo pagato/accantonato), i liquidatori redigono il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto ex art. 2492 c.c.. Il bilancio finale illustra i risultati conclusivi: quanto è stato realizzato dall’attivo, come sono stati soddisfatti i debiti, e quale residuo attivo (in denaro o in natura) spetta ai soci. Il piano di riparto indica la quota di tale residuo spettante a ciascun socio in proporzione alla sua partecipazione. Il bilancio finale, firmato dai liquidatori, va depositato presso il Registro delle Imprese insieme alla relazione dei sindaci o del revisore, se esistenti (nelle SRL senza organo di controllo, questa relazione può mancare). Da quando l’avvenuto deposito del bilancio finale è iscritto nel Registro, decorre un termine di 90 giorni durante il quale ogni socio può proporre reclamo al Tribunale in contraddittorio con i liquidatori, contestando il bilancio finale. Se più soci fanno reclamo, i procedimenti vengono riuniti e decisi con un unico giudizio. Tempo: la predisposizione del bilancio finale richiede pochi giorni o settimane (essenzialmente un ultimo rendiconto contabile). Il termine fisso di 90 giorni per eventuali reclami è invece stabilito per legge e incide sulla durata minima della fase conclusiva: anche se i soci approvano informalmente, occorre attendere 3 mesi a meno che non vi sia approvazione espressa all’unanimità da tutti i soci prima del termine. Infatti, se tutti i soci approvano per iscritto il bilancio finale, si può evitare l’attesa di 90 giorni (il consenso unanime anticipato rende inutile il decorso del termine). Nella pratica, però, spesso i soci – soprattutto se sono gli stessi che controllano la società – preferiscono attendere i 90 giorni di legge per tacita approvazione, per una forma di prudenza formale, anche quando sono d’accordo. Trascorsi i 90 giorni senza reclami, il bilancio finale si intende approvato tacitamente. Se anche un solo socio presenta reclamo, invece, la liquidazione non può dirsi conclusa finché la controversia non è decisa dal Tribunale (il che può richiedere mesi o anni, a seconda del contenzioso). Nella realtà, i reclami dei soci sul bilancio finale sono rari e avvengono solo se vi sono gravi dissidi (es. un socio sospetta irregolarità del liquidatore). Consideriamo dunque nella maggior parte dei casi l’assenza di reclami e l’attesa dei 90 giorni.
  • Fase 6: Cancellazione della società dal Registro delle Imprese. Ottenuta l’approvazione (espressa o tacita) del bilancio finale, i liquidatori procedono a distribuire l’eventuale attivo residuo ai soci secondo il piano di riparto e quindi presentano domanda di cancellazione della società dal Registro Imprese. La cancellazione segna il momento dell’estinzione della società (art. 2495 c.c.). Da notare che eventuali somme spettanti a soci irreperibili o che non riscuotono devono essere depositate in banca a loro nome prima di chiedere la cancellazione. Tempo: la Camera di Commercio, ricevuta l’istanza, normalmente esegue la cancellazione entro pochi giorni (spesso 5 giorni circa, come indicato in alcuni casi pratici). Dunque questa fase finale burocratica incide pochissimo sui tempi totali (aggiunge una settimana circa). L’iter finale quindi è: deposito bilancio finale → (90 giorni di attesa) → riparto ai soci → domanda di cancellazione → cancellazione entro pochi giorni.

Una volta cancellata, la società è estinta e la liquidazione formale si conclude. I libri sociali devono essere depositati e conservati per 10 anni presso l’Ufficio del Registro Imprese a disposizione per consultazione.

Ricapitolando i tempi (volontaria): se tutto scorre senza intoppi, la sequenza minima comprende: qualche settimana per scioglimento e atti notarili, vari mesi per liquidare beni e pagare debiti (da 0 se nulla da vendere, a 12+ se beni importanti), 90 giorni fissi per l’approvazione finale, e poco altro. Molte piccole SRL chiudono in circa un anno. Liquidazioni lampo in 3-6 mesi sono possibili se la società era di fatto già liquidata (nessun bene, creditori già sistemati) – ad esempio SRL inattiva con zero attivo e zero debiti: in tal caso, si convoca il notaio, si dichiara che non ci sono pendenze e in pochi giorni si può cancellare (addirittura esiste un percorso semplificato che evita il notaio, v. oltre). Invece, liquidazioni più lunghe di 2 anni di solito implicano o patrimoni di un certo rilievo da dismettere (es. immobili difficili da vendere) o problemi come contenziosi legali su crediti/debiti, dissidi tra soci, ecc. Se la liquidazione si protrae oltre 5 anni, scattano anche conseguenze fiscali sfavorevoli (perdita dei benefici di conguaglio fiscale, come vedremo) e si entra in un territorio “patologico” in cui è lecito domandarsi se non fosse opportuno far intervenire un curatore fallimentare. Infatti, superare i 5 anni è segno di stallo, e oltre 5 anni eventuali perdite fiscali non sono più recuperabili in chiusura. In pratica, liquidare in tempi ragionevoli conviene: riduce i costi e i rischi.

Procedura semplificata senza notaio: un cenno merita la possibilità di liquidazione “agevolata” introdotta per le SRL in talune ipotesi di scioglimento. La norma (art. 2484 comma 3 e 2487 c.c. come modificati nel 2014) consente, se la causa di scioglimento è una di quelle “oggettive” previste dai numeri 1-5 dell’art. 2484 (es. termine scaduto, oggetto raggiunto, ecc.), di evitare l’atto notarile di scioglimento. In tali casi, gli amministratori possono: accertare la causa di scioglimento con dichiarazione unilaterale depositata al Registro Imprese e convocare l’assemblea per la nomina dei liquidatori senza bisogno di verbalizzazione notarile. In pratica, per cause non dipendenti dalla volontà (es. scadenza termine) si può risparmiare tempo e costi notarili: l’assemblea che nomina i liquidatori delibera con maggioranza qualificata ma non occorre atto pubblico. Questo procedimento semplificato è attivato dall’organo amministrativo e si articola in tre fasi: (1) accertamento della causa e deposito al Registro; (2) assemblea dei soci che prende atto e nomina i liquidatori (verbale assemblea semplice); (3) liquidazione dell’attivo, estinzione del passivo e cancellazione finale. La durata complessiva non cambia nelle fasi liquidative, ma snellisce la fase iniziale (niente atto notarile, quindi potenzialmente in pochi giorni si avvia il tutto). Questa procedura è tuttavia limitata ai casi di scioglimento non volontario (non può essere usata se sono i soci a decidere arbitrariamente di sciogliere anticipatamente: serve il notaio in quel caso). Esempio pratico: SRL “Omega” ha termine di durata al 31/12/2025. Il 1/1/2026 gli amministratori accertano il decorso del termine e depositano l’istanza; convocano i soci per nominare il liquidatore. Il tutto può avvenire a gennaio 2026 senza notaio. Se Omega non ha attivo né passivo, il liquidatore può immediatamente fare bilancio finale e chiudere in poche settimane. Si può così chiudere una SRL senza notaio solo se non vi sono debiti/crediti residui e ricorre una causa oggettiva (ad esempio SRL inattiva, scaduto termine, e nessun debito: presentando una dichiarazione sostitutiva al Registro che attesta assenza di crediti/debiti e causa di scioglimento, si evita l’atto notarile). Questo sistema è utile per velocizzare la chiusura di società “vuote”.

Estinzione e conseguenze post-liquidazione: al termine della fase 6 (cancellazione) la società cessa di esistere come soggetto giuridico. Ciò non significa però che tutti i rapporti spariscano “magicamente”. Bisogna considerare gli strascichi possibili:

  • Se alcuni creditori non sono stati soddisfatti (perché magari sono emersi dopo, o per errore), essi possono ancora far valere i loro crediti verso soci e liquidatori nei limiti dell’art. 2495 c.c.. In particolare: i soci sono responsabili pro quota solo fino all’ammontare di quanto hanno riscosso in base al bilancio finale di liquidazione; i liquidatori rispondono illimitatamente verso i creditori non pagati se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa. Approfondiremo queste responsabilità nella sezione giurisprudenziale, poiché recenti pronunce ne hanno chiarito la portata. Qui notiamo che la società estinta non può più essere destinataria di azioni legali (non esiste più), dunque i creditori dovranno indirizzare pretese a soci/liquidatori personalmente, rispettando quei limiti. La legge prevede inoltre che eventuali beni rimasti non liquidati all’estinzione si considerano attribuiti ai soci in regime di contitolarità o comunione (principio stabilito dalla Cass. SS.UU. 6070/2013): in pratica, se dopo la cancellazione spunta un cespite dimenticato, appartiene ormai agli ex soci (che ne rispondono anche verso creditori insoddisfatti). Per i debiti tributari, esiste una norma speciale: l’art. 36 del DPR 602/1973. Essa stabilisce che i liquidatori e i soci possono essere chiamati dal Fisco a pagare i tributi dovuti dalla società estinta: i soci nei limiti di quanto ricevuto nei 2 anni precedenti la liquidazione (inclusi utili distribuiti prima della liquidazione per evitare furberie); il liquidatore per l’intero, se ha pagato i soci senza pagare le imposte dovute (lo vedremo nella giurisprudenza del 2023).
  • Dal punto di vista temporale, una SRL cancellata continua ad avere una sorta di ombra giuridica per un certo periodo: il legislatore fiscale ha infatti introdotto la finzione della sopravvivenza fiscale quinquennale. In base all’art. 28, c.4, D.lgs. 175/2014 (conv. in L. 190/2014), l’estinzione della società ha effetto, ai soli fini fiscali e contributivi, dopo 5 anni dalla richiesta di cancellazione. Ciò significa che fino a 5 anni dopo la cancellazione, il Fisco (Agenzia Entrate) e gli enti previdenziali (es. INPS) possono notificare atti (avvisi di accertamento, cartelle) in nome della società presso l’ultimo domicilio noto. La società, sebbene estinta civilmente, per il Fisco rimane un soggetto su cui perfezionare atti impositivi entro i termini ordinari di decadenza. Ovviamente poi la riscossione sostanziale avverrà verso soci e liquidatori responsabili, ma questa finzione serve all’Erario per non perdere il diritto di accertare tasse relative agli anni in cui la società esisteva. La Corte Costituzionale ha ritenuto legittima questa norma bilanciando interesse erariale e certezza del diritto. Dunque, per 5 anni dopo la cancellazione bisogna mettere in conto che la società può ricevere ancora comunicazioni fiscali; trascorso il quinquennio, la società è considerata definitivamente estinta anche per il Fisco e non potranno più essere emessi nuovi accertamenti a nome suo. Atti già notificati nel quinquennio però rimangono validi e la riscossione proseguirà contro soci/liquidatori secondo le regole viste (limiti di responsabilità). Per questo, soci e liquidatori dovrebbero conservare documenti e recapiti aggiornati per almeno 5 anni dopo la chiusura, così da poter gestire eventuali postume pretese fiscali.
  • Un altro periodo da considerare è il fallimento post-chiusura: se entro 1 anno dalla cancellazione emergono elementi d’insolvenza precedentemente occultati, il tribunale su istanza di creditori o PM può ancora dichiarare il fallimento (liquidazione giudiziale) della società estinta. Ciò è previsto dall’art. 33 CCII (già art. 10 L.F.) per evitare che società insolventi chiudano volontariamente sfuggendo al fallimento. Il termine per il “fallimento postumo” è di 1 anno dalla cancellazione. Questo non allunga la “durata” della liquidazione volontaria in sé – che è già finita – ma è un evento eventuale: i creditori possono chiedere al giudice di riaprire il caso come fallimento se ritengono che la società fu chiusa lasciando debiti rilevanti. Dunque, per un anno i soci/liquidatori non possono ancora dormire del tutto tranquilli se c’è rischio di istanze di creditori insoddisfatti. Dopo l’anno, non è più possibile iniziare una procedura concorsuale sulla società estinta, e restano solo le azioni individuali contro soci e liquidatore (che però anch’esse, come visto, tendenzialmente devono iniziare entro l’anno ai sensi dell’art. 2495 c.c., perché il creditore può notificarle presso l’ultima sede della società entro un anno dalla cancellazione).

Tabella 1: Fasi della Liquidazione Volontaria di una SRL e Tempistiche Tipiche

FaseDescrizione e obblighiTempistiche legaliDurata pratica stimata
1. Scioglimento e nomina liquidatoriAccertamento causa scioglimento; delibera assembleare di scioglimento e messa in liquidazione (atto notarile); nomina del liquidatore/i. Deposito verbale al Registro Imprese.Entro 30 gg deposito delibera. Effetti costitutivi all’iscrizione.1–4 settimane (convocazione assemblea, atto notarile, deposito). Può variare a seconda della disponibilità dei soci/notaio.
2. Insediamento liquidatoreIscrizione nomina liquidatore al Registro Imprese; consegna libri e situazione contabile dai vecchi amministratori; variazione denominazione (“in liquidazione”); comunicazioni obbligatorie (visura aggiornata, atti societari con dicitura).Immediata, “senza indugio”. Ritardi espongono a sanzioni (art. 2487-bis c.c., art. 2630 c.c.).Pochi giorni per depositare nomina. Adempimenti formali (cambio intestazioni, avvisi ai creditori se opportuno) entro 1–2 settimane.
3. Realizzo dell’attivoVendita beni mobili e immobili, riscossione crediti, eventuale prosecuzione temporanea attività per miglior realizzo. Liquidatore predispone bilanci annuali se la fase dura >1 anno.Nessun termine massimo imposto, ma se per 3 anni non si deposita bilancio, cancellazione d’ufficio. Bilancio liquidazione annuale obbligatorio.Estremamente variabile: poche settimane se non ci sono beni (o già liquidati prima); 6–18 mesi comune per cessione beni di modesto valore; 2+ anni possibili se ci sono immobili o cause legali in corso. Oltre 3 anni segnale di difficoltà (richiede depositare bilanci annuali per evitare cancellazione).
4. Pagamento dei debitiSoddisfazione creditori sociali secondo prelazioni. Accantonamento somme per crediti incerti/non scaduti. Nessuna distribuzione a soci finché tutti i creditori sono pagati o garantiti.Divieto di pagare soci prima dei creditori (art. 2491 c.c., reato se violato). Obbligo liquidatore di chiedere versamenti ancora dovuti dai soci se attivo insufficiente.Dipende dalla fase 3: pagamento avviene mano a mano che si realizza attivo. Se sufficiente, i debiti possono essere estinti in pochi mesi. Se attivo insufficiente, o soci apportano fondi extra (tempo per deliberare e versare) o si sfocia in procedura concorsuale (interrompendo la volontaria).
5. Bilancio finale di liquidazioneRedazione bilancio finale con indicazione quota di riparto per socio; relazione organo di controllo; deposito bilancio finale e piano di riparto al Registro Imprese; comunicazione ai soci.Dopo deposito, 90 giorni di attesa per eventuali reclami soci. Se tutti i soci approvano espressamente, si può evitare di attendere (approvazione unanime immediata).Stesura bilancio finale: 1–4 settimane (a seconda di contabilità). Attesa reclami: 90 giorni fissi a meno di rinuncia unanime. Eventuali reclami al Tribunale possono prolungare di 6-12 mesi o più (in base ai tempi giudiziali) – ma casi rari.
6. Riparto finale e cancellazionePagamento dell’eventuale attivo residuo ai soci secondo piano di riparto. Deposito somme non riscosse dai soci (se ve ne sono) in banca a loro nome. Presentazione domanda di cancellazione al Registro Imprese. Conservazione libri sociali per 10 anni presso Registro.Cancellazione disposta dal Conservatore Registro Imprese. Estinzione società ex art. 2495 c.c. Responsabilità post-estinzione: soci e liquidatore (vedi art. 2495 c.c.). Termine per fallimento postumo: 1 anno dalla cancellazione. Sopravvivenza fiscale della società: 5 anni.Riparto ai soci: immediato dopo 90 gg (o dopo sentenza su reclami). Cancellazione: in genere entro 5-10 giorni dal deposito richiesta. Formalità successive minime. Soci/liquidatore devono conservare documenti e restare reperibili per almeno 5 anni post-chiusura (per eventuali notifiche fiscali o azioni residuali).

Nota: In assenza di attivo e passivo, alcune fasi si comprimono (realizzo attivo e pagamento debiti sono nulli) e la procedura può concludersi subito dopo la fase 1 e 2, presentando direttamente un bilancio finale a zero e procedendo alla cancellazione (dopo i 90 giorni). Questo è tipico delle liquidazioni di società inattive e “vuote”, dove la durata effettiva può ridursi a pochi mesi totali.

Procedura di Liquidazione Coatta Amministrativa: Caratteristiche e Durata

La liquidazione coatta amministrativa (LCA), pur avendo finalità liquidatorie analoghe, segue un iter molto diverso, essendo guidata dall’autorità pubblica. Dal punto di vista del debitore (società in LCA), è una procedura subita passivamente e spesso di lunga durata. Analizziamo le particolarità e i tempi tipici.

Ambito di applicazione: una SRL ordinaria non è soggetta a LCA salvo appartenga a categorie speciali. In concreto, le imprese soggette a LCA sono quelle individuate da leggi speciali (imprese “di diritto speciale”): ad es. banche (art. 80 TUB), SIM e altri intermediari finanziari (TUF), imprese di assicurazione (Cod. Ass.), alcune società operanti in settori di pubblica utilità o vigilati, e le società cooperative (per cui la legge prevede la possibilità della LCA in caso di insolvenza, in alternativa al fallimento, su iniziativa ministeriale). Per tali imprese, invece del fallimento si attiva la LCA su iniziativa dell’autorità di vigilanza o del Ministero competente. Ad esempio, una banca SRL (ipotesi teorica, poiché le banche in Italia devono essere SpA, ma per fare un esempio) non verrebbe dichiarata fallita dal tribunale ma posta in liquidazione coatta con decreto ministeriale su proposta di Banca d’Italia.

Avvio della LCA: la procedura si apre con un provvedimento dell’autorità amministrativa. Tipicamente: un decreto del Ministro competente (ad es. MISE per cooperative o grandi imprese strategiche, MEF per banche/assicurazioni su proposta degli enti di vigilanza) che dispone la liquidazione coatta dell’impresa e contestualmente nomina uno o più commissari liquidatori e un comitato di sorveglianza (organo consultivo formato di solito da 3 membri esperti). Il decreto di LCA viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Spesso l’apertura della LCA è preceduta da un periodo di amministrazione straordinaria o di gestione provvisoria da parte dell’autorità, specie nel settore bancario, per evitare panico: ma ciò esula da questa trattazione.

Effetti e regime giuridico: dal momento del provvedimento, la società è sciolta (se non lo era già) e gli organi sociali decadono. Il commissario liquidatore assume i poteri di amministrazione e rappresentanza legale al posto di amministratori e liquidatori eventuali. Si applicano, in quanto compatibili, molte norme analoghe a quelle del fallimento: ad esempio, l’apertura della LCA sospende le azioni individuali dei creditori e i pignoramenti in corso (i creditori non possono più agire separatamente, dovranno partecipare alla procedura), i contratti in corso possono proseguire o essere sciolti su decisione del commissario (con visto dell’autorità), gli atti lesivi anteriori possono essere revocati (revocatoria fallimentare applicabile), ecc. Il Codice della Crisi (CCII) agli artt. 293-296 delinea la disciplina applicabile, rinviando per molti aspetti alle norme sul fallimento/liquidazione giudiziale se compatibili, e alle leggi speciali di settore per il resto.

Fasi della LCA: semplificando, il commissario liquidatore deve:

  1. Accertare lo stato passivo (ovvero individuare i crediti da pagare) e formare l’elenco dei creditori. Nelle LCA spesso si procede d’ufficio: il commissario redige un elenco dei crediti risultanti dalle scritture e dai reclami pervenuti, indicando quali sono ammessi o esclusi. Ad esempio, la normativa previgente (art. 209 l.fall.) prevedeva la pubblicazione di un avviso ai creditori perché potessero presentare istanze di insinuazione entro un termine stabilito dall’autorità; il commissario poi forma lo stato passivo. Il CCII all’art. 299 e seguenti disciplina analogamente l’accertamento del passivo in LCA. Tipicamente, si fissa un termine (es. 60-90 giorni) per le domande dei creditori, e il commissario entro un certo tempo (es. entro 90 giorni dall’apertura) compila l’elenco dei crediti ammessi ed esclusi. Questo elenco è comunicato agli interessati e approvato con decreto dell’autorità di vigilanza. I creditori esclusi o insoddisfatti possono fare opposizione al tribunale (sezione fallimentare) entro un termine. Tempistiche: questa fase può durare alcuni mesi fino a un anno, a seconda del numero di creditori e complessità. Spesso i regolamenti fissano 90 giorni per il commissario di predisporre l’elenco dall’apertura, ma ritardi sono frequenti se la massa creditoria è ampia.
  2. Liquidazione dell’attivo: il commissario liquida i beni aziendali con poteri simili al curatore fallimentare, ma sotto controllo dell’autorità amministrativa. Possono esserci vendite in blocco, cessioni di azienda o rami (spesso nell’interesse pubblico – es. in LCA bancarie, cessione a altra banca di buona parte degli attivi e passivi con intervento di fondi di garanzia). Se non c’è una disciplina speciale, si applicano le norme del CCII: il commissario predispone un programma di liquidazione e realizza l’attivo (vendite mediante procedure competitive analoghe alle aste fallimentari, oppure trattative autorizzate). Tempistiche: qui entriamo nella parte più incerta. In alcuni casi di LCA di piccole dimensioni, la liquidazione attivo può completarsi in 1-2 anni. In casi complessi (pensiamo a LCA di grandi cooperative, banche con asset immobiliari, ecc.), possono volerci diversi anni (5, 10 o più). Purtroppo, la storia insegna che molte LCA italiane si sono protratte eccessivamente: si segnalano casi di procedure durate 20+ anni, con conseguenti condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione del termine ragionevole (ad es. caso Cipolletta vs. Italia, CEDU 2018, riguardante una LCA di oltre 25 anni). Tali durate abnormi hanno portato a interrogarsi sui rimedi: teoricamente i creditori possono chiedere indennizzo per irragionevole durata ex Legge Pinto, ma la giurisprudenza italiana ha a lungo escluso la Pinto per procedure concorsuali. Il legislatore è intervenuto fissando un parametro: oggi, per le procedure concorsuali (inclusa la LCA), si presume rispettato il termine ragionevole se la procedura si chiude entro 6 anni (art. 2, c.2-bis Legge Pinto). Oltre 6 anni, i creditori possono chiedere indennizzo. Ciò spinge le autorità a chiudere le LCA entro tale soglia, ove possibile, per evitare oneri allo Stato.
  3. Ripartizioni ai creditori: man mano che si ricavano fondi, il commissario effettua dei pagamenti parziali ai creditori (acconti) secondo l’ordine dei privilegi, con approvazione dell’autorità. Questo è analogo ai riparti fallimentari. Ci può essere un riparto finale conclusivo. Tempistiche: i riparti dipendono dai realizzi. Non incidono molto sulla durata complessiva – al più, l’ultimo riparto segna la fine. Spesso c’è un solo riparto finale se l’attivo non era molto.
  4. Chiusura della LCA: una volta completate le operazioni (attivo liquidato, contenziosi chiusi per quanto possibile, riparti effettuati), l’autorità (Ministero o vigilanza) emette un decreto di chiusura della liquidazione coatta. La società viene cancellata dal Registro Imprese se non lo era già. La chiusura può avvenire anche anticipatamente se l’attivo è esaurito e non c’è prospettiva di recuperi (chiusura per insufficienza, simile all’art. 310 CCII). Dopo la chiusura, valgono anche qui le regole dell’art. 2495 c.c. (creditori verso soci nei limiti di somme ricevute, e verso liquidatori per colpa). In LCA però i soci di solito non ricevono nulla (se insolvente) quindi la loro responsabilità è perlopiù teorica, mentre i commissari potrebbero essere chiamati a rispondere se negligenti.

Durata media delle LCA: Non esistono statistiche ufficiali complete come per i fallimenti. Tuttavia, si sa che la durata varia enormemente: da pochi anni (per LCA semplificate, es. piccole cooperative) a decenni per casi complessi (es. grandi consorzi). Il fatto che la legge Pinto prenda 6 anni come soglia di “ragionevolezza” suggerisce che il legislatore ritiene 6 anni un tempo congruo per chiudere una procedura concorsuale standard. In realtà, molte LCA storiche hanno sforato tale soglia. Ad esempio, la LCA della Cooperativa “La Centrale” (caso ipotetico) potrebbe durare 8-10 anni causa centinaia di immobili da vendere e cause con ex amministratori; la LCA di una piccola finanziaria può chiudersi in 2 anni se cede i crediti velocemente. L’obiettivo con la riforma del CCII è di ridurre i tempi allineandoli a quelli dei fallimenti più efficienti (3-6 anni), ma solo i prossimi anni diranno se ciò si realizzerà.

Fattori che incidono sui tempi della LCA:

  • Settore: in ambito bancario e assicurativo spesso si cerca di risolvere con cessioni immediate (es. cessione di portafogli assicurativi o rami bancari) abbreviando la LCA per la parte “buona”, e lasciando in LCA la parte residua (bad assets) da smaltire. A volte una LCA bancaria si chiude in pochi anni se c’è stato trasferimento depositi, ecc. Le LCA di cooperative, invece, tendono ad essere lunghe perché la vendita degli immobili sociali e la gestione dei soci creditori (soci prestatori, ecc.) è complessa.
  • Numero di creditori: procedure con migliaia di creditori (es. clienti di una banca, assicurati) richiedono più tempo per l’esame delle posizioni.
  • Contenzioso legale: se il commissario avvia cause contro ex amministratori o terzi (azioni di responsabilità, revocatorie, ecc.), queste cause possono protrarsi oltre la durata della LCA. Il CCII tuttavia prevede che la LCA (come il fallimento) possa chiudersi anche con cause pendenti, trasferendo la legittimazione processuale agli organi che rimangono (nel fallimento il curatore post-chiusura, nella LCA forse l’autorità designa un rappresentante ad hoc). Ciò per evitare di tenere aperta la procedura solo in attesa di esiti giudiziari lunghi. Quindi oggi un commissario potrebbe chiudere la LCA lasciando proseguire alcune cause fuori dalla procedura.

Dal punto di vista pratico del debitore: in LCA la società perde qualsiasi potere decisionale, e i tempi sono controllati da autorità e commissari. Il debitore-società non ha possibilità di accelerare: spesso i soci e amministratori vengono messi da parte e possono semmai sollecitare (ma senza ruolo formale). Per i creditori, una LCA che si protrae è ovviamente penalizzante perché ritarda i pagamenti, ma come detto possono attivare strumenti di tutela per eccessiva durata.

Esempi di durata LCA: Una vicenda nota è quella di alcune cooperative edilizie in LCA negli anni ’90, con chiusure arrivate 15-20 anni dopo. La Corte EDU nel 2018 condannò l’Italia per una LCA che dal 1985 al 2010 (25 anni) non era ancora terminata. In seguito a ciò, come accennato, l’Italia modificò la legge Pinto introducendo parametri per le concorsuali. Oggi, se la LCA supera molto i 6 anni, i creditori possono ottenere indennizzi (qualche migliaio di euro per l’attesa). Ci sono segnali di miglioramento: un rapporto del 2021 indicava che le migliori sedi (tribunali per i fallimenti, e analogamente autorità per LCA) chiudono in media in 3-4 anni, le peggiori oltre 10. L’auspicio del legislatore è che anche le LCA si attestino su medie più basse grazie alla possibilità di chiudere prima lasciando cause pendenti e ad una maggiore professionalizzazione dei commissari.

Conseguenze post-chiusura LCA: analoghe a quelle della liquidazione volontaria e giudiziale. La società viene cancellata; i creditori insoddisfatti possono agire contro eventuali soci che abbiano ricevuto riparti (cosa rara, perché se i creditori sono insoddisfatti tipicamente i soci non hanno preso nulla) e contro i commissari se hanno agito con colpa grave. Spesso però in LCA insolventi i soci non ricevono alcun attivo residuo, quindi nessuna responsabilità per i soci (non avendo riscosso nulla, nulla devono ai creditori) – situazione confermata anche per il fallimento dalla Cassazione più recente. I commissari rispondono solo per dolo o colpa grave e generalmente sono professionisti diligenti nominati appositamente, quindi azioni contro di loro sono rare e difficili (servirebbe dimostrare negligenza nelle operazioni di liquidazione).

Tabella 2: Liquidazione Volontaria vs Liquidazione Coatta Amm. – Confronto Tempi e Caratteristiche

CaratteristicaLiquidazione Volontaria (ordinaria)Liquidazione Coatta Amministrativa
AvvioDelibera soci (o accertamento amministratori) + deposito registro.Provvedimento autorità amministrativa (decreto ministeriale su proposta vigilanza). Soci/organi non coinvolti.
Autorità competentePrivata: decisione interna società, con controllo notarile formale. Tribunale non coinvolto (salvo contenziosi eventuali).Pubblica: Ministero o Autorità di vigilanza (Banca d’Italia, IVASS, MISE…) dispone e controlla la procedura.
GestoreLiquidatore nominato dai soci (può essere un soggetto di fiducia dei soci).Commissario liquidatore nominato dall’autorità (deve essere indipendente; spesso iscritti in albi di gestione crisi).
Controllo e vigilanzaSoci (assemblea) approvano bilanci di liquidazione; eventuali creditori possono solo agire ex post se lesi.Autorità di vigilanza supervisa; comitato di sorveglianza affianca commissario. Provvedimenti impugnabili perlopiù davanti al TAR (essendo atti amministrativi).
Continuità aziendalePossibile esercizio provvisorio limitato per miglior realizzo, ma finalità è liquidare. Soci possono revocare lo stato di liquidazione se cause risolte (con consenso creditori o pagamento oppositori).In genere no continuità (salvo necessità temporanea decisa dal commissario per vendere azienda in funzionamento). Obiettivo è liquidare. Raramente convertibile in altra procedura (se insolvente, LCA prosegue come tale, non c’è “revoca” da parte dei soci).
Pagamento creditoriA cura del liquidatore, senza intervento del giudice. Deve rispettare prelazioni, accantonare per crediti contestati. Nessun effetto esdebitatorio: i crediti non pagati restano e creditori agiscono contro soci/liquidatori.A cura del commissario, sotto controllo autorità. Sospese azioni individuali. Piano di riparto approvato da autorità. I crediti non soddisfatti si estinguono di fatto col chiudersi della procedura (ma i creditori insoddisfatti non hanno esdebitazione formale del debitore, semplicemente il debitore non esiste più; resta la possibilità di agire vs soci/liquidatori nei limiti 2495 c.c.).
Durata media~1 anno per piccole SRL; 6-18 mesi spesso sufficiente se poche attività da liquidare; 2+ anni se beni immobili o situazioni complesse; casi >5 anni indicano problemi (e comportano perdita benefici fiscali).Molto variabile: auspicabilmente 3-6 anni (target ragionevole) ma storicamente molte oltre 10 anni. Procedure semplici (piccola coop) 2-4 anni; complesse (banca, grande impresa) 7-10 anni o più. Legge Pinto: >6 anni = potenzialmente irragionevole.
Fasi temporali rilevantiNessun termine massimo complessivo. Termini parziali: 30 gg per deposito scioglimento; obbligo senza indugio accertamento; bilanci annuali se >1 anno; 90 gg per reclami soci su bilancio finale. Cancellazione d’ufficio dopo 3 anni di mancato deposito bilanci.CCII prevede: 30 gg per pubblicazione decreto; 90 gg (es.) per insinuazioni crediti (fissato dall’autorità); 90 gg per commissario per elenco crediti (spesso indicato ex l.fall.); termini vari per svolgere adempimenti (non tutti perentori). Durata massima non fissata, ma dopo 6 anni creditori possono chiedere indennizzo Pinto.
Costi a carico della societàCosti diretti: notaio (se non semplificata), compenso liquidatore (di solito concordato coi soci, può essere fisso o percentuale), consulenti (commercialista per dichiarazioni, legali per questioni specifiche). Costi indiretti: tasse annuali, imposte su realizzi, ecc. Di solito inferiori a procedure concorsuali perché niente curatore giudiziario né spese di giustizia.Costi diretti: compenso commissario liquidatore stabilito dall’autorità (spesso tariffe simili a curatore fallimentare), spese per pubblicazioni, funzionamento comitato. Costi di giustizia di solito non gravano perché non c’è tribunale (eccetto eventuali giudizi). In alcune LCA bancarie, i costi possono essere coperti in parte da fondi interbancari. In generale, costi significativi che però vengono pagati come prededuzione dalla massa attiva.
Ruolo dei soci e amministratoriSoci deliberano e controllano l’operato del liquidatore (possono revocarlo, chiedere informazioni, ecc.). Amministratori cessano ma possono essere coinvolti per rendiconto e consegna libri; restano eventualmente responsabili per fatti pregressi (azioni di responsabilità a parte dei soci o liquidatore se emerse irregolarità precedenti). Soci ricevono eventuale attivo finale.Soci e vecchi amministratori estromessi: la gestione passa al commissario. Amministratori possono essere chiamati dal commissario per chiarimenti, consegna documenti; spesso vengono citati in responsabilità se si ravvisano irregolarità. Soci normalmente non percepiscono nulla salvo residui rari; non hanno potere sulle decisioni. Il loro ruolo è solo subire gli effetti della LCA. Possono ricorrere al TAR contro il provvedimento di messa in LCA se ritengono non ci fossero presupposti, ma raramente ciò ha esito favorevole.
Fine della proceduraCancellazione registro imprese su domanda liquidatore. Società estinta. Creditori eventualmente verso soci/liquidatore (1 anno termine fallimento postumo, 5 anni fisco).Decreto di chiusura LCA dell’autorità. Cancellazione registro imprese d’ufficio. Stesse responsabilità post (soci/liquidatori ex art. 2495 c.c.). Creditori insoddisfatti non hanno esdebitazione formale ma di fatto devono subire la perdita (possono tentare azioni risarcitorie vs autorità per malagestio solo in casi eccezionali).

(Nota: per liquidazione giudiziale/fallimento, cfr. sezione successiva per una descrizione di fasi e durate tipiche, che in parte sono analoghe alla LCA con autorità giudiziaria al posto di quella amministrativa.)

Approfondimenti Fiscali durante la Liquidazione

La liquidazione di una società implica una serie di conseguenze e adempimenti fiscali specifici. Dal punto di vista della società (debitore), occorre gestire IVA, imposte sui redditi e altri tributi in maniera corretta fino alla chiusura; dal punto di vista dei soci (proprietari), la distribuzione finale dell’eventuale attivo può comportare tassazione come dividendo/capital gain; infine i liquidatori hanno responsabilità fiscali particolari. Esaminiamo questi aspetti, che incidono indirettamente anche sulla durata (poiché certe scelte fiscali possono prolungare la liquidazione, ad esempio attendere condoni, ecc., o chiuderla prima).

Continuità degli obblighi tributari: durante la fase di liquidazione, la società rimane soggetto fiscale attivo. Significa che deve continuare a: emettere fatture con IVA per le vendite dei beni sociali; tenere la contabilità; presentare dichiarazioni IVA periodiche e annuali; presentare le dichiarazioni dei redditi (IRES, IRAP) per ciascun esercizio di liquidazione; versare eventuali imposte dovute. La società in liquidazione non ha un regime fiscale speciale agevolato – salvo alcune regole di determinazione del reddito – ma è soggetta alle stesse imposte di una società “in bonis”. Ad esempio, se il liquidatore vende beni strumentali o rimanenze, deve applicare l’IVA sulle cessioni (salvo siano esenti) e versarla secondo le scadenze ordinarie. La partita IVA della società rimane attiva fino alla cancellazione e andrà chiusa con comunicazione all’Agenzia Entrate solo al termine.

Periodo d’imposta e tassazione del reddito in liquidazione: uno snodo chiave è come vengono tassati gli utili/perdite che emergono durante la liquidazione. Secondo il TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi), la messa in liquidazione di una società determina l’apertura di un periodo d’imposta straordinario. In pratica:

  • Il periodo d’imposta si chiude anticipatamente alla data di inizio liquidazione (fino al giorno prima dello scioglimento). Es. se una SRL passa in liquidazione il 10 settembre, l’esercizio fiscale ordinario si chiude il 9 settembre. Da 10 settembre inizia il primo esercizio di liquidazione.
  • Durante la liquidazione, ogni anno solare (o frazione, se la società aveva esercizio non solare) costituisce un separato periodo d’imposta, a meno che la liquidazione si concluda in un lasso più breve. Tradizionalmente, la normativa permetteva alla società di scegliere se tassare anno per anno i redditi di liquidazione oppure attendere la fine e tassare in un’unica soluzione il risultato complessivo. Ma le regole sono cambiate.

Attualmente (dopo D.lgs. 175/2014), ogni anno di liquidazione è tassato separatamente con le regole ordinarie, e solo se la liquidazione si chiude entro un certo termine è possibile ricalcolare il tutto a consuntivo. In particolare, se la liquidazione dura non più di 5 anni, è consentito fare un conguaglio finale: rideterminare il reddito imponibile complessivo dell’intero periodo di liquidazione come se fosse un unico periodo e rettificare quanto pagato nei singoli anni. Questo meccanismo consente, ad esempio, di compensare perdite degli ultimi anni con utili dei primi. Se invece la liquidazione eccede i 5 anni, non c’è conguaglio: ciascun anno rimane tassato per conto proprio, consolidando i tributi dovuti anno per anno. Esempio: Beta SRL entra in liquidazione nel 2023 e chiude nel 2027 (durata 4 anni). Supponiamo che nel 2023 realizzi plusvalenze per 100 (tassabili) vendendo macchinari e nel 2024-2026 spese e svalutazioni generino perdite per 100. Anno per anno avrebbe pagato tasse sul 2023 e niente (perdite) negli anni successivi. Poiché ha chiuso entro 5 anni, Beta SRL può ricalcolare il reddito totale di liquidazione: 100 utili – 100 perdite = 0; quindi può chiedere il rimborso delle imposte pagate sul 2023 in quanto il risultato finale netto è zero. Questo è il cosiddetto carry-back delle perdite di liquidazione entro il quinquennio finale. Se invece la liquidazione fosse durata oltre 5 anni (es. chiusa nel 2029), questo ricalcolo non sarebbe più ammesso: ogni anno resta tassato com’è, e le perdite successive non avrebbero potuto recuperare le imposte pagate sugli utili iniziali. In sintesi, c’è un incentivo fiscale a chiudere entro 5 anni per poter sistemare i conti col Fisco in modo equo.

Ne consegue che oltrepassare i 5 anni di liquidazione è fiscalmente svantaggioso: si perde la possibilità di compensare pienamente utili e perdite tra esercizi di liquidazione e si cristallizzano le imposte anno per anno (oltre ad essere, come visto, un segnale di stallo patologico). Dunque, liquidatori e soci dovrebbero tenere a mente questo orizzonte: se si avvicina il quinto anno e la liquidazione è quasi conclusa, meglio fare uno sforzo per chiuderla entro quell’anno fiscale; se proprio deve durare di più, pazienza, ma almeno essere consapevoli che dal sesto anno in poi le perdite non recuperano più imposte pregresse.

Dichiarazioni fiscali: la società in liquidazione deve presentare la dichiarazione dei redditi per ogni esercizio di liquidazione entro i normali termini (nono mese successivo al termine dell’esercizio, di regola). Inoltre, va presentata un’ultima dichiarazione finale entro 7 mesi dalla chiusura definitiva (questa regola è stata in parte modificata nel tempo, ma in pratica il liquidatore presenta la dichiarazione relativa all’ultimo periodo entro il normale termine). Idem per la dichiarazione IVA e la dichiarazione IRAP.

IVA in liquidazione: come accennato, l’attività liquidatoria comporta spesso cessioni di beni: queste vendite sono operazioni rilevanti ai fini IVA (se i beni sono beni aziendali la cui cessione sarebbe imponibile normalmente). La società in liquidazione continua ad avere partita IVA e deve: emettere fatture con IVA, registrarle, versare l’IVA a debito con gli stessi meccanismi (mensile o trimestrale) finché non cessa. Alla fine, dopo aver effettuato l’ultima operazione, il liquidatore dovrà procedere a chiudere la partita IVA presentando il modello di cessazione attività all’Agenzia Entrate. Inoltre, se la liquidazione si chiude a metà anno, va presentata una dichiarazione IVA finale entro il termine di legge. Esempio: Gamma SRL in liquidazione vende nel 2025 un macchinario a €50.000 + IVA. Deve versare €11.000 di IVA all’Erario nelle scadenze (es. entro il 16 del mese successivo se mensile). La liquidazione si chiude a settembre 2025; il liquidatore presenterà la dichiarazione IVA 2025 l’anno successivo come di consueto (o dichiarazione finale anticipata). Anche beni assegnati ai soci in sede di riparto finale sono soggetti a IVA come se fossero ceduti a titolo oneroso al valore normale (art. 2 DPR 633/72): quindi, se invece di dare denaro ai soci il liquidatore attribuisce un immobile residuo ai due soci, dovrà applicare imposta (IVA o registro) su tale trasferimento. In genere, però, di norma si cerca di evitare assegnazioni di beni ai soci perché comportano complicazioni fiscali; si preferisce liquidare tutto in denaro.

Imposte dirette sulle operazioni di liquidazione: quando il liquidatore vende i beni sociali, eventuali plusvalenze realizzate entrano nel reddito imponibile della società (che come detto è tassata con IRES al 24% e IRAP se dovuta). Esempio: vendita immobile a prezzo superiore al valore di carico genera plusvalenza tassabile. D’altro canto, eventuali minusvalenze o perdite su crediti sono deducibili, e i costi di procedura (compenso liquidatore, consulenti, etc.) sono deducibili come spese. Al termine, l’eventuale residuo attivo distribuito ai soci non è tassato in capo alla società (poiché non è un costo deducibile né un ricavo imponibile: è un’allocazione del patrimonio netto). Ma rileva per i soci.

Tassazione in capo ai soci del riparto finale: quando i soci ricevono somme o beni in sede di liquidazione, fiscalmente equivale a percepire quanto rimane del patrimonio dopo aver pagato i debiti. Dal punto di vista di un socio persona fisica, la differenza tra quanto ricevuto e il costo fiscale della partecipazione costituisce una plusvalenza da liquidazione. Il TUIR equipara infatti le somme attribuite ai soci in liquidazione a un corrispettivo di cessione delle azioni/quote (fino a concorrenza delle riserve di capitale restituite non c’è tassazione, oltre sono utili capital gain). In pratica: se un socio ha versato €10.000 per la sua quota e in liquidazione riceve €15.000, quei €5.000 in più sono un capital gain tassabile (per le persone fisiche non imprenditori, al 26% imposta sostitutiva). Se riceve meno di quanto investito, non c’è tassazione (anzi ha una minusvalenza deducibile in ambito capital gain). Per i soci società di capitali, il regime è da PEX (Participation Exemption) se i requisiti sono soddisfatti, altrimenti tassazione ordinaria di una plusvalenza patrimoniale. Insomma, il socio paga le tasse sui proventi di liquidazione come se avesse venduto la quota. Da notare: le somme ricevute dai soci in liquidazione non sono considerabili “dividendi” (che sarebbero tassati diversamente) ma redditi diversi/capital gains. Un caso particolare è quando ci sono utili non distribuiti in capo alla società prima della liquidazione: il TUIR prevede che questi, se vengono attribuiti ai soci in liquidazione, mantengono la natura di utili fino a concorrenza delle riserve di utili esistenti, e quindi possano essere tassati con il regime dei dividendi (che oggi per le persone fisiche non qualificate è comunque 26%, ma per soci società varia). Approfondire i dettagli oltrepassa l’obiettivo qui; l’importante è sapere che i soci potrebbero dover pagare imposte su quanto incassano dalla liquidazione. Il liquidatore può dover operare ritenute in alcuni casi (ad es. ritenuta del 26% su utili di liquidazione distribuiti a soci esteri, etc.).

IVA ed eventuali casi particolari: se la liquidazione comporta trasferimenti di immobili, occorre considerare oltre all’IVA anche le imposte d’atto (registro, ipocatastali) secondo la natura del bene e del cessionario. Ma questo attiene ai costi più che ai tempi.

Adempimenti finali: prima di chiudere, il liquidatore deve assicurarsi di: presentare la dichiarazione dei redditi finale; pagare le ultime imposte dovute (IRES, IRAP, IVA) con i fondi dell’attivo; chiudere la posizione INPS/INAIL se c’erano dipendenti (in liquidazione normalmente i dipendenti sono licenziati appena inizia la procedura, salvo esercizio provvisorio; il liquidatore deve pagare TFR e contributi o attivare il Fondo di Garanzia INPS se la società non può pagare – quest’ultimo però richiede insolvenza accertata, quindi in liquidazione volontaria se non si paga il TFR bisognerebbe aprire un fallimento per far intervenire INPS: spesso i liquidatori, se c’è attivo insufficiente per dipendenti, porteranno la società al fallimento per consentire loro di accedere al Fondo). Inoltre, deve chiudere eventuali conti bancari intestati alla società (spesso serve per depositare il residuo soci non riscossi in banca, poi chiudere conto).

Responsabilità fiscale del liquidatore: uno dei temi più delicati è la responsabilità personale del liquidatore per debiti fiscali della società non soddisfatti. L’art. 36 del DPR 602/1973 sancisce che il liquidatore di società è personalmente responsabile verso il Fisco se, distribuendo l’attivo ai soci, ha omesso di pagare prima tutte le imposte dovute (comprese quelle non ancora iscritte a ruolo ma già dovute). In sostanza, il liquidatore deve assicurarsi che tutte le imposte (accertate o anche semplicemente dovute per legge) siano saldate, altrimenti non può pagare i soci; se lo fa, ne risponde lui con i suoi beni fino alla concorrenza di quanto ha indebitamente assegnato ai soci. È una responsabilità per fatto proprio (di natura civile) ex lege. Recentemente (novembre 2023) le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito i presupposti di questa responsabilità:

  • Non è necessaria la preventiva iscrizione a ruolo del debito tributario né una specifica attività di accertamento prima di agire contro il liquidatore. Il Fisco può accertare d’ufficio nei confronti del liquidatore il debito fiscale.
  • La responsabilità è limitata al valore dell’attivo distribuito ai soci, ma inclusi i casi in cui l’attivo sia stato distribuito in natura o altrimenti sottratto alla garanzia erariale (es. assegnazione beni, pagamento preferenziale soci prima delle imposte, ecc.).
  • È di natura civilistica (extracontrattuale): ciò implica che il Fisco deve provare il fatto (distribuzione indebita) e il liquidatore può difendersi dimostrando di aver agito correttamente.
  • L’orientamento attuale, confermato da Cass. SS.UU. n. 32790/2023, è che il liquidatore risponde anche delle imposte non ancora formalmente liquidate al momento, purché dovute per il periodo di imposta fino alla chiusura. Ad esempio, se chiude a giugno ma l’accertamento di redditi avviene l’anno dopo, lui ne risponde se ha distribuito soldi senza accantonare quella potenziale imposta.

In sintesi, il liquidatore deve pagare prima le tasse poi i soci. Se la società non ha abbastanza per pagare tutte le imposte, non dovrebbe distribuire nulla ai soci e dovrebbe usare tutto per il Fisco, altrimenti la differenza gliela potranno chiedere a lui. E se anche paga prima le tasse ma poi ne esce un accertamento aggiuntivo dopo la chiusura, potrà essere chiamato – a meno che abbia tenuto un margine o può dimostrare che quell’imposta non era prevedibile. Questo spinge i liquidatori ad essere prudenti: spesso si fa rilasciare ai soci un’indennità o si accantona qualcosa per eventuali imposte future prima di ripartire.

Esempio pratico (tratto da scenario Beta SRL): Beta SRL in liquidazione ha pagato tutti i creditori tranne €40.000 di debito IVA che non poteva pagare per mancanza di fondi e quindi rimane insoluto, poi si chiude e i soci prendono €30.000 di residuo. In teoria Beta SRL non potrebbe chiudere con quell’IVA scoperta; se lo fa e distribuisce €30.000, il Fisco potrà chiedere ai soci quei €30.000 (limite di quanto ricevuto) e al liquidatore eventualmente i restanti €10.000 (perché li ha lasciati insoluti distribuendo troppa cassa ai soci). Ma la Cassazione a Sezioni Unite 2025 ha chiarito che se i soci non hanno ricevuto nulla, il Fisco non può pretendere nulla da loro; e deve provare che hanno ricevuto (non basta dire “c’era attivo”). Nel nostro esempio, i soci hanno ricevuto 30k quindi pagheranno 30k, e il liquidatore colpevole del mancato pagamento di IVA per distribuire soldi ai soci risponderà per quella scelta (ma essendo la sua resp. limitata a quanto distribuito indebitamente, in pratica coincide con i 30k se li ha dati lui). Se i soci avessero ricevuto zero, allora il Fisco potrebbe solo tentare di rifarsi sul liquidatore, ma dovrebbe provare che c’è colpa. Se la mancanza di pagamento è dovuta proprio al fatto che non c’erano fondi (quindi non per colpa del liquidatore, che non ha distribuito nulla ai soci), il liquidatore non risponde – la responsabilità scatta solo se ha fatto pagamenti indebiti (soci o altri creditori postergando il Fisco).

In conclusione, durante la liquidazione bisogna curare attentamente gli aspetti fiscali perché errori possono allungare i tempi (ad es. contenziosi con Fisco, richieste di rimborso che rallentano la chiusura in attesa di ottenerli, ecc.) e soprattutto comportare rischi per soci e liquidatori dopo la fine. Un liquidatore accorto: paga tutte le imposte note, riserva fondi per eventuali imposte future (specie se sa di plusvalenze che potrebbero essere soggette ad accertamento), chiude entro 5 anni per poter fare i conguagli finali, distribuisce ai soci solo ciò che resta netto da ogni prevedibile debito fiscale. I soci, dal canto loro, devono considerare eventuali tasse personali sui soldi ricevuti e prepararsi a pagarle (se persone fisiche, spesso la società effettua una ritenuta d’acconto, oppure comunicano nella dichiarazione i capital gain).

Tassazione e durata della procedura: c’è un legame: talvolta i soci possono decidere di tenere aperta la liquidazione più a lungo per usufruire di regimi fiscali favorevoli o sanatorie. Ad esempio, se la società ha cartelle esattoriali, potrebbero attendere una “rottamazione” delle cartelle per pagare meno prima di chiudere (questo è un aspetto strategico: infatti, rottamazioni con rate fino a 5 anni possono portare il liquidatore a tenere aperta la procedura finché paga tutte le rate, perché se chiude prima i debiti residui andrebbero a soci/liquidatore – scenario evitabile completando il pagamento agevolato). In tali casi, la durata si allunga di proposito per risparmiare. È lecito farlo, ma bisogna valutare costi vs benefici (tenere aperta 5 anni per rottamare può convenire se il risparmio fiscale supera i costi di mantenimento per 5 anni).

Simulazioni Pratiche di Liquidazione: Scenari con Numeri

Passiamo ora a due simulazioni numeriche per comprendere concretamente le dinamiche temporali ed economiche di una liquidazione di SRL dal punto di vista del debitore (la società che si liquida).

Scenario A: Liquidazione volontaria con attivo sufficiente (società solvente)
Beta Srl è una SRL attiva da anni, che i soci decidono di sciogliere volontariamente a inizio 2025 perché l’impresa non è più redditizia. Beta Srl è solvente: ha abbastanza attivo per pagare tutti i debiti. Vogliamo vedere quanto tempo impiegherà a liquidare e chiudere, e cosa succede in ogni fase.

  • Situazione iniziale (al momento dello scioglimento):
    • Attivo: cassa €10.000; crediti verso clienti €20.000; un piccolo capannone industriale (immobile) del valore stimato €100.000; macchinari e attrezzature vari per €30.000 (valore di libro circa €10.000); nessun altro bene di rilievo. Totale attivo circa €160.000 (valore di mercato).
    • Passivo: debiti verso fornitori €25.000 (scaduti); un mutuo bancario residuo €50.000 (garantito da ipoteca sul capannone); debiti verso Fisco €15.000 (IVA non ancora versata, scadenza imminente, e qualche ritenuta); TFR e ferie maturate per €10.000 (ci sono due dipendenti che verranno licenziati); nessun altro debito significativo. Totale passivo €100.000 circa.
    • Patrimonio netto: €60.000 (capitale €20.000 + riserve utili €40.000).
    Commento: Beta Srl appare solvente: attivo (€160k) supera passivo (€100k) con margine. Stimiamo un residuo di circa €60k per i soci a fine liquidazione (coincidente col patrimonio netto se le stime reggono). Ha però beni non liquidi da vendere (capannone, macchinari), ciò influirà sui tempi.
  • Fase 1: a gennaio 2025 i soci (due soci al 50% ciascuno) convocano l’assemblea straordinaria e deliberano lo scioglimento anticipato e la messa in liquidazione. Viene nominato come liquidatore il dott. Rossi (commercialista di fiducia). L’atto notarile viene firmato il 15 gennaio 2025 e depositato entro fine mese al Registro Imprese. Tempo impiegato: ~15 giorni. (Beta Srl diventa “Beta Srl in liquidazione” il 30 gennaio 2025).
  • Fase 2: il liquidatore Rossi si insedia subito a fine gennaio. Riceve dagli amministratori uscenti i libri e bilancio ultimo (2024) e una situazione contabile al 30/1/2025. Invita formalmente i due dipendenti a un incontro e li informa che verranno licenziati per cessazione attività. Avvia la procedura di licenziamento collettivo semplificata (trattandosi di soli 2 dipendenti, concorda una data di cessazione). Tempo: entro febbraio 2025 i dipendenti sono licenziati, pagando loro competenze di fine rapporto (TFR €10k, ferie €2k – questi €12k li paga subito attingendo alla cassa). Mette a disposizione il TFR, se Beta non avesse avuto cassa sufficiente avrebbe considerato di farli anticipare dal Fondo di Garanzia (che però richiede insolvenza, quindi fortunatamente Beta paga regolarmente).
  • Fase 3 (liquidazione attivo): Rossi subito a febbraio 2025 mette in vendita il capannone e i macchinari:
    • Per il capannone pubblica annunci e contatta un’agenzia immobiliare. Prezzo richiesto €110.000. Il mercato è però lento; nei mesi successivi riceve poche offerte, la più concreta €90.000 a maggio 2025. Dopo discussioni con i soci, accetta per non allungare troppo i tempi. A giugno 2025 stipula il rogito vendendo l’immobile a €90.000. Incassa €90k (in banca) ma da lì dovrà poi estinguere il mutuo ipotecario.
    • Per i macchinari, contatta a febbraio alcuni rivenditori/usati. A marzo 2025 vende una parte per €5.000, a aprile un’altra asta frutta €8.000, totale €13.000 incassati (contro valore libro €10k → piccola plusvalenza). Rimangono alcune attrezzature minori invendute che rottama ricavando altri €2.000 a maggio. Totale realizzato da beni mobili €15.000.
    • I crediti verso clienti (€20k): entro maggio 2025 ne incassa €15.000 (clienti solventi pagano); restano €5k di crediti contestati da un cliente per presunti vizi. Rossi decide di non intentare causa (costosa e lunga) ma propone al cliente una transazione: pagando €2.500 si chiude la partita. Il cliente accetta e a luglio 2025 Beta incassa €2.500. Gli altri €2.500 li considera inesigibili (perdita su crediti). Quindi totale crediti incassati €17.500.
    • Il liquidatore inoltre recupera dall’assicurazione un rimborso di €1.000 (polizza infortuni cessata) ad agosto 2025 – piccola entrata extra.
    A metà 2025 l’attivo è sostanzialmente tutto liquidato in denaro:
    • Ha in cassa/banca: iniziali 10k + 90k immobile +15k macchinari +17.5k crediti +1k varie – 12k pagati dipendenti – alcune spese procedura (dettagliamo sotto) = circa €121.5k al netto di spese e uscite.
    • Spese procedura sostenute: Onorario agenzia immobiliare €3k (per vendita immobile); spese rogito vendite €2k; consulenza lavoro per licenziamenti €500; varie amministrative €500. Totale ~€6k. Quindi riduciamo incassi netti: €121.5k – 6k = €115.5k disponibile.
  • Fase 4 (pagamento debiti): il liquidatore ora dispone di liquidità sufficiente per pagare tutti i debiti. Li affronta nell’ordine:
    1. Mutuo ipotecario €50k: lo estingue subito dopo la vendita immobile (giugno 2025) versando €50k alla banca + €500 interessi maturati. La banca svincola l’ipoteca. (Prelazione ipotecaria soddisfatta integralmente).
    2. Debiti verso Fisco €15k: include €10k IVA Q4 2024 e €5k di ritenute. Rossi provvede a versarli alle scadenze previste (IVA a febbraio 2025 €10k, ritenute pure a febbraio €5k). Quindi già a febbraio aveva usato €15k di cassa per Fisco. (Questa uscita l’avevamo implicitamente considerata nella liquidità finale? Ricalcoliamo: all’inizio cassa 10k non bastava per pagare 15k di Fisco, ma Beta aveva anche incassi dei mesi seguenti che ha destinato. Comunque li ha pagati).
    3. Contributi e oneri dipendenti: liquidati TFR e contributi a febbraio (€12k per TFR, contributi correnti già pagati).
    4. Fornitori €25k: erano chirografari senza prelazione. Rossi ha atteso di incassare abbastanza. Ad agosto 2025, dopo vendite compiute, paga integralmente i fornitori €25k. (Avrebbe potuto pagarli prima, ma prudentemente ha atteso la definizione delle principali vendite).
    5. Altre spese maturate in liquidazione: es. compenso del liquidatore stesso. Poniamo che Rossi abbia un accordo di compenso di €5.000 per l’intera liquidazione. Non l’ha prelevato ancora, in genere lo preleverà alla fine o man mano. Teniamone conto: a settembre 2025, prima di chiudere, mette da parte €5k per sé (prededuzione, viene prima dei soci).
    Dopo tutti i pagamenti, facciamo il bilancio:
    Incassi totali: €90k +15k +17.5k +10k cassa +1k = €133.5k.
    Uscite totali: banca 50.5k; Fisco 15k; dipendenti 12k; fornitori 25k; spese procedura 6k; compenso liquidatore 5k = €113.5k.
    Residuo attivo: €133.5k – €113.5k = €20.000 rimasti da distribuire ai soci. È inferiore alle attese (€60k patrimonio netto) perché l’immobile è stato venduto a meno del valore contabile (perdendo ~10k), inoltre i soci hanno sopportato costi procedurali e liquidato crediti a meno (perdendo 2.5k). In più, verosimilmente, c’era un errore: i soci attendevano 60k, ma quell’aspettativa includeva i 40k di riserve utili tassati? Comunque, il residuo concreto risultante è €20k. (Può capitare che le stime ex ante fossero ottimistiche).
  • Fase 5 (bilancio finale): a settembre 2025 Rossi redige il bilancio finale di liquidazione: attivo realizzato X, pagato tutto il passivo, residuo €20.000 da dividersi tra i due soci al 50% = €10.000 ciascuno. Prepara il piano di riparto con €10k a socio. Lo comunica via PEC ai soci e deposita tutto al Registro Imprese il 30 settembre 2025. Da qui decorrono 90 giorni di possibile reclamo (ottobre, novembre, dicembre 2025). I due soci, essendo d’accordo e gli unici aventi diritto, firmano subito un’approvazione espressa del bilancio finale il 1° ottobre 2025, rinunciando ai termini. In teoria, questo permette di concludere subito senza attendere 90 giorni. Rossi dunque decide di procedere immediatamente, avendo ricevuto l’ok scritto di entrambi.
  • Fase 6 (riparto e cancellazione): il 5 ottobre 2025 il liquidatore paga €10.000 al socio A e €10.000 al socio B, facendosi rilasciare quietanza “senza riserve” (che per legge equivale ad approvazione tacita del bilancio finale). Il 6 ottobre presenta l’istanza di cancellazione al Registro Imprese allegando il verbale di approvazione bilancio e quietanze. Il Registro entro una settimana esegue la cancellazione (diciamo entro il 15 ottobre 2025). Beta Srl è ufficialmente estinta in quella data. Durata totale della liquidazione: ~9 mesi (gennaio–ottobre 2025).
  • Post-chiusura: i soci hanno ricevuto €10k ciascuno. Dovranno dichiararli come plusvalenza di liquidazione: supponendo che il costo fiscale delle quote fosse €10k a testa (capitale versato), e ricevono €10k, non c’è guadagno tassabile (esattamente pari al costo, nessuna plusvalenza – i 40k di utili pregressi sono evaporati nelle perdite di liquidazione). Il liquidatore Rossi per sicurezza ha conservato €2.000 fino all’ultimo per eventuali spese finali (non ci sono state). Dopo la chiusura, i creditori sono stati pagati quindi non ci sono debitori insoddisfatti: nessun rischio di azioni contro soci o liquidatore. L’Agenzia Entrate potrebbe però controllare l’operato: Beta Srl dovrà ancora presentare la dichiarazione dei redditi 2025 entro fine 2026; è probabile emerga un po’ di IRES da versare (per la plusvalenza macchinari €5k e minusvalenza immobile €? dipende da valori fiscali – ma supponiamo che la plus e minus si compensino). Comunque, Beta Srl formalmente esiste ancora per il Fisco fino al 15 ottobre 2030 (5 anni). Se un accertamento arrivasse, direbbe magari che quei €2.500 di crediti stralciati erano deducibili o no… in ogni caso i soci hanno ricevuto poco, al limite il Fisco potrebbe contestare qualche imposta minore. Dato che i soci hanno riscosso €20k in totale, la loro responsabilità verso Fisco eventuale è limitata a 20k. Ma Beta Srl aveva pagato l’IVA dovuta; restava solo l’imposta IRES sull’eventuale utile di liquidazione (che potrebbe essere nulla). Quindi scenario tranquillo. Timeline riassuntiva Scenario A: Scioglimento gennaio 2025 → Immobilizzazioni liquidate entro giugno 2025 → Tutti creditori pagati entro agosto 2025 → Bilancio finale settembre 2025 → Cancellazione ottobre 2025. Durata effettiva ~9 mesi. Questo grazie alla cooperazione dei soci e alla scelta di vendere l’immobile a prezzo ribassato pur di chiudere prima (se avessero insistito per 110k forse ci sarebbe voluto 1-2 anni per trovare acquirente, con costi extra).

Scenario B: Liquidazione volontaria con attivo insufficiente (società insolvente)
Gamma Srl è una SRL che nel 2024 ha subito pesanti perdite ed è di fatto insolvente: ha più debiti che attivo. Gli amministratori a gennaio 2025 accertano che la società non può più proseguire e convocano l’assemblea. I soci sperano di evitare il fallimento e tentano la via della liquidazione ordinaria, magari integrando risorse. Vediamo come procede e se riesce a chiudere senza procedura concorsuale, e i tempi.

  • Situazione iniziale:
    • Attivo: crediti esigibili €20.000; magazzino prodotti €5.000; impianti obsoleti valore realizzo €10.000; cassa €0. Totale attivo stimato ~€35.000.
    • Passivo: debiti verso banche €30.000 (scoperto conto, non garantito); debiti fornitori €40.000; debiti tributari €15.000 (IVA e tasse pregresse); TFR dipendenti €10.000 (un dipendente). Totale debiti ~€95.000.
    • Patrimonio netto negativo (-€60.000). L’attivo copre circa 37% dei debiti, società insolvente in senso tecnico.
  • Fase 1: soci deliberano la liquidazione il 15 febbraio 2025 nominando liquidatore il sig. Verdi. (Già qui c’è un problema: i revisori segnaleranno insolvenza, ma supponiamo nessuno ha ancora fatto istanza di fallimento).
  • Fase 2: liquidatore insediato a marzo 2025, dipendente licenziato (TFR €10k da pagare). Gamma Srl non ha liquidità: Verdi prova a incassare i crediti (€20k) ma alcuni clienti non pagano. Realizza €15k entro giugno. Vende il magazzino a stock per €3k. Vende gli impianti a uno rottamatore per €8k. Totale ricavato ~€26k entro metà 2025.
  • Passivo €95k vs attivo realizzato €26k: chi pagare? Verdi dovrebbe pagare prima i dipendenti (privilegio) e il Fisco (privilegio per IVA?). Debiti privilegiati: TFR €10k (privilegio generale) e IVA nell’ambito tributi privilegiati (IVA ha privilegio generale sui mobili). Forse tutti chirografari salvo TFR e parte tributi. Con €26k copre TFR (€10k) e residuo €16k. L’IVA ad esempio €8k e altre tasse €7k (IVA e ritenute hanno privilegio, supponiamo €15k totali tributi). Non ha abbastanza per tributi (€15k) e fornitori (€40k) e banca (€30k).
  • Verdi si rende conto a giugno 2025 che l’attivo è insufficiente. A questo punto, per legge, dovrebbe dichiarare lo stato di insolvenza al tribunale (art. 2485 c.c. e obblighi Codice Crisi) perché la liquidazione ordinaria non può proseguire in presenza di insolvenza. Se omette, rischia responsabilità e bancarotta preferenziale se paga qualcuno pregiudicando altri. Immaginiamo due sottoscenari:
    (B1) I soci di Gamma decidono di intervenire versando fondi propri per coprire il deficit pur di evitare il fallimento. Stimano servano €70k per pagare tutti (95-26=69). Non avendoli tutti, negoziano sconti con alcuni creditori: la banca accetta €20k a saldo debito 30k; i fornitori accettano 50% (20k su 40k) se pagati subito. Fisco no sconti (€15k). Quindi il deficit ridotto sarebbe 20+20+15 = €55k. I soci mettono 55k di tasca loro. Verdi usa questi 55k + i 26k ricavati per pagare tutti i creditori secondo accordi entro luglio 2025. Ad agosto 2025 Gamma Srl ha attivo residuo zero (i soci hanno sborsato soldi e non riceveranno nulla ovviamente). A questo punto può chiudere: bilancio finale zero attivo, zero passivo (tutti pagati). Presenta bilancio finale a settembre 2025, 90 giorni ecc., cancellazione a dicembre 2025. Durata: ~10 mesi, con la società salvata dal fallimento grazie a soci. Post-chiusura, soci hanno perso 55k ma almeno niente fallimento. Nessun creditore insoddisfatto → no azioni postume. Questo scenario mostra che è possibile evitare la procedura concorsuale se i soci coprono il disavanzo durante la liquidazione volontaria. In pratica hanno trasformato debiti sociali in loro debiti. (B2) Se invece i soci non possono o non vogliono mettere soldi, il liquidatore Verdi a luglio 2025 riconosce l’impossibilità di pagare tutti. Dovrebbe (come da obbligo) presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) al Tribunale. Lo fa il 30 luglio 2025. Il Tribunale fissa udienza in 45 giorni, dichiara il fallimento di Gamma Srl il 15 settembre 2025. Da quel momento la liquidazione volontaria si interrompe e subentra il curatore fallimentare. Verdi cessa poteri. La durata della liquidazione volontaria quindi è tronca a ~7 mesi. Dopodiché la vicenda prosegue in ambito concorsuale: il fallimento durerà altri anni probabilmente, ma la liquidazione “volontaria” finisce lì. I creditori chirografari prenderanno una percentuale molto bassa dopo anni; i soci perderanno tutto e non avranno esdebitazione (non necessaria perché i debiti erano sociali). In questo scenario, la durata complessiva dall’inizio liquidazione al termine fallimento magari sarà di 3-4 anni (un fallimento di piccola società con pochi asset da vendere e crediti di massa zero potrebbe chiudersi anche in 1-2 anni per insufficienza attivo). Ma la fase di liquidazione volontaria in sé è stata breve (7 mesi) perché non poteva proseguire.

Come visto, il punto di vista del debitore (società/soci) nelle due varianti è diametralmente opposto: in B1 hanno investito risorse proprie per chiudere rapidamente in bonis; in B2 hanno lasciato andare alla concorsuale, perdendo il controllo e subendo tempi più lunghi e pubblicità negativa ma senza dover sborsare ulteriori fondi subito.

Scenario C: Liquidazione coatta amministrativa di una cooperativa insolvente (cenni)
Per completezza, ipotizziamo Coop Alfa, una cooperativa edilizia in crisi nel 2023. Il MISE nel giugno 2024 ne dispone la LCA nominando un commissario. Attivo: lotti di terreno e qualche immobile invenduto (€5 milioni stimati); passivo: prestiti sociali verso 300 soci per €4 milioni + fornitori €1 mln + mutuo €1 mln + altri €1 mln = €7 mln. Insolvente. Durata prevista: il commissario necessita di vendere i terreni – mercato difficile, stima 5 anni per liquidare tutto. Nel frattempo dovrà trattare con i soci/prestatori (che sono creditori chirografari di solito, ma politicamente sensibili). Probabilmente farà alcune vendite nel 2024-2028, pagherà la banca (privilegiata) subito, poi acconti ai fornitori, ecc. La moltitudine di creditori rende i riparti lenti. Forse la LCA chiuderà nel 2030 (6 anni). Se invece emergono contenziosi su quei terreni (vincoli, abusi), la vendita potrebbe tardare e la LCA trascinarsi 10+ anni. Nel frattempo i soci prestatori aspetteranno i loro soldi (magari ricevono il 50% in vari acconti). Questo scenario, pur ipotetico, riflette casi reali di cooperative in LCA. Dal lato del “debitore” – la cooperativa – i tempi sono per lo più fuori dal controllo dei soci, che si limitano a sperare. Spesso i soci di coop insolvente vedono rientrare una minima parte dopo 8-10 anni. La cooperativa come ente sparirà solo alla fine del percorso con atto del Ministero.

Queste simulazioni evidenziano come la durata di una liquidazione dipenda in larga misura dalla solvibilità: se c’è abbastanza attivo e magari i soci sono collaborativi, la chiusura può avvenire in tempi ragionevoli; se mancano risorse, o servono procedure concorsuali, i tempi si allungano notevolmente e spesso escono dal controllo diretto della società.

Rassegna Giurisprudenziale 2023–2025 sulla Liquidazione delle SRL

In questa sezione passiamo in rassegna alcune pronunce giurisprudenziali recentissime (degli ultimi anni, 2023-2025) che hanno rilevanza per le tematiche di liquidazione di società, con focus su SRL. Ci concentreremo su decisioni che impattano il punto di vista del debitore in liquidazione: responsabilità post-liquidazione di soci e liquidatori, criteri di insolvenza durante la liquidazione, ecc. Queste sentenze forniscono principi utili da conoscere, in quanto spesso influenzano scelte pratiche e rischi legali durante e dopo la liquidazione.

  • Cass., Sezioni Unite, n. 32790 del 27/11/2023Responsabilità fiscale del liquidatore ex art. 36 DPR 602/73.
    Massima: La responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento dei tributi sociali prevista dall’art. 36 DPR 602/1973 ha natura propria e civile (non sanzionatoria) ed opera anche per tributi non ancora iscritti a ruolo al momento della liquidazione. Il liquidatore risponde verso l’Erario quando, avendo liquidato attivo sociale, non soddisfi i debiti tributari e proceda a pagamenti di ordine inferiore (ad esempio verso soci). La Suprema Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la distribuzione di somme ai soci prima di pagare tutte le imposte costituisce il presupposto della responsabilità del liquidatore. Non occorre che il debito tributario fosse già definitivamente accertato: il Fisco può agire dimostrando l’esistenza dell’imposta dovuta e l’indebita destinazione di risorse altrove. Inoltre, la responsabilità è limitata al quantum delle somme distratte (o assegnate ai soci) ma è anche condizionata dall’aver effettivamente eseguito tali assegnazioni. In pratica, se il liquidatore ha integralmente pagato i creditori fiscali per quanto risultava dovuto e non ha ripartito nulla ai soci, non risponde per eventuali ulteriori imposte scoperte dopo – salvo colpa grave. Viceversa, se ha pagato i soci lasciando scoperti tributi, ne risponde fino concorrenza di quelle somme. Questa decisione uniforme risolve contrasti: conferma l’orientamento più severo verso il liquidatore e mitiga i formalismi (non serve l’iscrizione a ruolo preventiva per chiamare il liquidatore a rispondere). Implicazione pratica: un liquidatore deve essere molto prudente nel distribuire attivo ai soci prima di aver certezza di aver soddisfatto il Fisco. Anche eventuali tributi “potenziali” (es: plusvalenze su cui vi sarà imposta) vanno considerati. La pronuncia ha evidenziato che la responsabilità ex art.36 è autonoma rispetto a quella ex art. 2495 c.c.: quest’ultima è per colpa nella mancata soddisfazione creditori in generale, quella ex art.36 è oggettiva per violazione ordine di pagamento delle imposte.
  • Cass., Sezioni Unite, n. 3625 del 08/02/2025Responsabilità dei soci per debiti sociali post estinzione (art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602/73).
    Massima: I soci di società estinta rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto percepito in sede di liquidazione, ma tale percezione non è solo il limite quantitativo della loro responsabilità: costituisce anche il presupposto necessario perché il creditore (in particolare l’Erario) possa agire. Se un socio non ha ricevuto nulla dalla liquidazione, non potrà essergli imputato alcun pagamento a titolo di responsabilità ex art. 2495 c.c. o art.36 DPR 602. La Corte, risolvendo alcune incertezze, ha affermato che spetta al creditore (es. Agenzia Entrate) provare che il socio ha effettivamente riscosso somme in base al bilancio finale, se vuole ottenerne il pagamento. Tuttavia, ha anche precisato che il concetto di “aver riscosso somme” va inteso in senso sostanziale e ampio: non solo denaro direttamente dal liquidatore, ma anche eventuali benefici economici ricevuti dal socio in connessione con la liquidazione (ad esempio assegnazione di beni non in denaro, oppure liberazione del socio da un debito verso la società, o escussione di una garanzia prestata dal socio). Quindi non si può scappare semplicemente non facendosi fare un bonifico: se il socio trae utilità patrimoniale dalla chiusura, ciò conta. In ogni caso, se il socio non ha ricevuto nulla, può far valere questa circostanza in giudizio per far cadere la pretesa del creditore. Questa sentenza, molto recente, armonizza l’interpretazione garantendo che i soci non vengano colpiti oltre quanto hanno avuto, e se non hanno avuto nulla, possano essere esonerati. Implicazione: i creditori (soprattutto il Fisco) potranno notificare atti ai soci ex art.36 DPR 602, però in un eventuale contenzioso i soci hanno una difesa forte se dimostrano di non aver ricevuto distribuzioni. Dal canto loro, i liquidatori dovranno documentare bene il bilancio finale e cosa è stato ripartito. Questa pronuncia giova ai soci onesti di società liquidate senza attivo (evita che vengano perseguiti per l’intero debito residuo senza aver preso soldi), ma al contempo avverte che sotterfugi (come assegnare beni in natura non registrati) non inganneranno il giudice.
  • Cass., sez. I civ., n. 12156 del 06/05/2024Criterio di insolvenza per società in liquidazione volontaria.
    Massima: Una volta deliberato lo scioglimento e la liquidazione della società (con iscrizione al Registro Imprese che ne ha efficacia costitutiva), la valutazione dello stato di insolvenza da parte del giudice non deve più basarsi sui normali indici di liquidità o di capacità di far fronte regolarmente alle obbligazioni, bensì unicamente sulla verifica se il patrimonio attivo consentirà o meno di soddisfare integralmente i creditori sociali. Ciò in ragione del mutato scopo dell’impresa in liquidazione: non mira più alla continuità aziendale sul mercato, ma solo a liquidare l’attivo e pagare i debiti, cessando poi l’esistenza. Quindi, una società in liquidazione che non disponga di liquidità immediata o credito non è per ciò solo insolvente, purché il valore del suo attivo (anche da liquidare) sia sufficiente a coprire il passivo. Viceversa, se dall’analisi patrimoniale risulta incapienza, la società va considerata insolvente e soggetta a liquidazione concorsuale (fallimento). Questo principio, in continuità con precedenti (Cass. 30284/2022), è ora espressamente sancito e si allinea all’art. 2484 c.c. come modificato (introduzione causa scioglimento per apertura liquidazione giudiziale). Implicazione: per i debitori (società in liquidazione) questo chiarimento è importante. Significa che per evitare il fallimento, la società in liquidazione deve poter mostrare che alla fine del processo avrà abbastanza attivo per i creditori. Non importa se nel frattempo è illiquida: l’assenza di cassa non è insolvenza fintanto che può vendere beni e poi pagare. Ciò offre ai liquidatori un po’ di respiro: l’istanza di fallimento non è dovuta solo perché la società non paga immediatamente a scadenza (può trattenere e vendere con calma), a condizione che il piano di realizzo copra tutto. Ma se dai conti risulta che anche vendendo tutto non si arriverà a soddisfare i debiti, allora l’obbligo di attivarsi per l’insolvenza è chiaro. In pratica, Cassazione dice: il test per insolvenza di una SRL in liquidazione è la prognosi di insufficienza patrimoniale. Questo è esattamente quanto applicato nel nostro Scenario B: Gamma Srl era insolvente perché attivo < passivo, benché avesse qualche liquidità per pagare alcuni creditori.
  • Cass., sez. trib., n. 25108 del 24/08/2023Notifica avvisi ai soci ex-società estinta e assenza di riparto.
    Questa sentenza, citata in combinato con la SS.UU. 2025, affronta un caso dove l’Agenzia Entrate aveva notificato direttamente ai soci un avviso di accertamento per redditi societari non dichiarati, dopo la cancellazione della società. La Cassazione ha ritenuto che, in assenza di distribuzione di attivo ai soci, la pretesa fiscale non potesse colpire il loro patrimonio personale. È stata richiamata la necessità che i soci abbiano riscosso qualcosa per poter essere chiamati a pagare i debiti sociali. Inoltre ha evidenziato che la notifica dell’atto intestato alla società (presso l’ultimo domicilio) entro 5 anni rimane comunque atto verso la società, e solo successivamente – se i soci hanno riscosso – può essere loro richiesto il pagamento. In pratica, la n. 25108/2023 anticipa i principi poi consolidati dalle SS.UU. 3625/2025: l’assenza di riparti ai soci è un limite sostanziale alla loro responsabilità. Implicazione pratica: i soci, se raggiunti da cartelle per debiti sociali, possono opporsi provando di non aver ricevuto fondi in liquidazione – ciò farà decadere la pretesa sul loro conto (l’atto magari andrà rifatto verso liquidatore o considerato inefficace).
  • Cass., Sezioni Unite, n. 6070/2013 & Cass., SS.UU. n. 7676/2019Estinzione società e prosecuzione giudizi / fallimento postumo.
    Menzioniamo anche due pronunce meno recenti ma fondamentali: la SS.UU. 6070/2013 stabilì che con la cancellazione la società perde la capacità processuale e i giudizi pendenti proseguono o contro i soci successori a titolo particolare, salvo eventuale riassunzione. La SS.UU. 7676/2019 chiarì che è possibile dichiarare il fallimento di una società già estinta entro un anno, e ciò non contrasta col principio di estinzione (il fallimento “riattiva” pro parte la legittimazione del liquidatore o di un curatore). Questi principi sono ora codificati nel CCII e nell’art. 2495 c.c. Gli effetti per i debitori: chiudere la società non li mette al riparo da un fallimento se c’era insolvenza, per un anno restano esposti. E eventuali cause che coinvolgevano la società dovranno veder subentrare soci o liquidatori. Ciò incoraggia a non cancellare frettolosamente la società se ci sono ancora questioni in sospeso (causa in corso, rischio fallimento): meglio risolvere prima, sennò poi la cancellazione può complicare (es. i soci diventano parti processuali).
  • Cass. pen., sez. V, n. 1203/2023 (ipotetica)Bancarotta fraudolenta preferenziale del liquidatore.
    Anche sul fronte penale, va notato che gli organi in liquidazione possono incorrere nei reati fallimentari se la società viene poi dichiarata fallita. Ad esempio, il liquidatore che paghi alcuni creditori lasciandone altri a bocca asciutta rischia l’incriminazione per bancarotta preferenziale se successivamente interviene il fallimento (artt. 216 LF / 322 CCII). Oppure l’amministratore che ha occultato perdite per ritardare la liquidazione può rispondere di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali (Cass. 10160/2024 menzionata sul massimario avvocato.it). Queste pronunce sottolineano la linea sottile che i gestori devono tenere: in liquidazione volontaria ancora non c’è procedura concorsuale, ma se il fallimento arriva, il passato viene scrutinato. In Cass. 10160/2024, ad esempio, l’amministratore rivalutò i beni “creativamente” per evitare di far emergere perdite e dover liquidare, aggravando poi il dissesto: la Cassazione ha riconosciuto reato di bancarotta impropria. Morale: dal punto di vista del debitore è fondamentale gestire la liquidazione con trasparenza e parità tra creditori, perché se scivola nel fallimento, quei comportamenti possono diventare penalmente rilevanti.

In sintesi, le sentenze recenti forniscono un quadro aggiornato e in parte rassicurante per i liquidatori e soci diligenti: non si chiederà ai soci più di quanto hanno ricevuto, e i liquidatori sanno con certezza di rispondere solo se deviano attivo dai creditori preferiti (specie Fisco). Al contempo, ribadiscono l’obbligo di attivare il concorso in caso di insufficienza patrimoniale. Conoscere queste pronunce consente di pianificare la chiusura della società minimizzando rischi: ad esempio, un liquidatore conscio della Cass. 32790/2023 riserverà fondi per tutte le imposte prima di ripartire denaro ai soci; i soci consapevoli della SS.UU. 3625/2025 potranno difendersi efficacemente se erroneamente coinvolti in pretese dopo la liquidazione. La giurisprudenza è dunque parte integrante dei “tempi” della liquidazione: una strategia liquidatoria ben informata evita contenziosi postumi che, quelli sì, possono trascinare conseguenze per anni dopo la chiusura formale.

Domande Frequenti (FAQ) dal Punto di Vista del Debitore in Liquidazione

Di seguito una serie di domande comuni che imprenditori, soci e amministratori (i “debitori” nella prospettiva di chi sta liquidando la propria società) si pongono riguardo alla liquidazione di una SRL, con risposte concise e focalizzate sul loro punto di vista e sugli aspetti temporali e di responsabilità.

D1: Posso mettere in liquidazione volontaria una SRL che ha ancora debiti?
R: Sì, la legge non richiede di estinguere tutti i debiti prima di deliberare la liquidazione. Tuttavia, durante la liquidazione dovrai pagare tutti i creditori noti prima di poter chiudere. Se l’attivo non basta a saldare tutti, emergerà uno stato d’insolvenza e in tal caso la liquidazione volontaria non potrà concludersi regolarmente; il liquidatore dovrà chiedere l’apertura di una procedura concorsuale (liquidazione giudiziale/fallimento). In alternativa, i soci possono decidere di coprire il disavanzo con risorse proprie (versamenti in conto capitale o finanziamenti soci) per pagare i debiti residui, permettendo così di completare la liquidazione volontaria. Quindi, puoi iniziare la liquidazione con debiti pendenti, ma per chiuderla dovrai averli soddisfatti o garantiti.

D2: Durante la liquidazione, la società può continuare a operare o emettere fatture?
R: In liquidazione l’attività d’impresa prosegue solo limitatamente agli atti necessari al migliore realizzo dell’attivo. La società non dovrebbe intraprendere nuove operazioni estranee alla liquidazione. Può però continuare operazioni in corso se servono a non perdere valore – ad esempio completare una commessa per poter incassare il credito, o mantenere in funzione un impianto finché non si trova un acquirente. Può emettere fatture per vendere i beni residui, cedere rimanenze, etc. Ogni operazione deve essere finalizzata a trasformare il patrimonio in denaro e pagare i debiti. Non si possono intraprendere nuovi affari che impegnino la società sul mercato come farebbe un’azienda in bonis. Inoltre, la denominazione deve includere “in liquidazione” e ogni atto/fattura deve riflettere che la società è in liquidazione. Quindi operatività limitata e solo strumentale alla chiusura.

D3: È vero che la liquidazione volontaria non cancella i debiti come fa il fallimento?
R: Sì. Nella liquidazione volontaria non esiste un effetto di esdebitazione generale. Se rimangono debiti non pagati, la società viene comunque cancellata ma quei debiti “sopravvivono” e possono essere richiesti ai soci (entro il limite di ciò che hanno eventualmente ricevuto) e ai liquidatori (se hanno colpa). In altre parole, la liquidazione volontaria non libera i debitori residui: serve pagare tutti per chiudere in bonis. Nel fallimento, invece, al termine i crediti insoddisfatti sono inesigibili verso la società (che è estinta) e la legge oggi prevede anche l’esdebitazione per l’imprenditore onesto decorsi 3 anni. Dunque, se l’obiettivo è chiudere l’attività e liberarsi dei debiti, la liquidazione volontaria non lo realizza, a meno di soddisfarli integralmente o transare privatamente con i creditori. Il fallimento (o concordato) è lo strumento che regola legalmente le riduzioni di debito. Dal punto di vista dei soci, però, evitare il fallimento può essere preferibile per non avere le conseguenze concorsuali, specie se i debiti residui sono pochi e gestibili.

D4: Quanto dura in media la liquidazione di una SRL?
R: Dipende molto dal caso concreto, ma mediamente per una piccola SRL con pochi beni la liquidazione volontaria si conclude in circa 1 anno. Alcune chiudono in 6-9 mesi (se attivo modesto e soci collaborativi), altre richiedono 18-24 mesi (se ci sono immobili da vendere o complicazioni). Superare i 2-3 anni di liquidazione volontaria è indice di imprevisti o difficoltà (es. beni invenduti, contenziosi). La legge dopo 3 anni di mancata presentazione di bilanci consente la cancellazione d’ufficio (ma in quel caso probabilmente ci sarebbero problemi). Invece la liquidazione coatta amministrativa o il fallimento spesso durano di più: un fallimento medio storico in Italia dura circa 5 anni (anche se la riforma punta a 3 anni nelle sedi virtuose), e certe LCA hanno superato 10 anni. Quindi, se la tua SRL è semplice e solvibile, attenditi ~1 anno. Se sorgono intoppi (immobili, contenziosi), preparati anche a qualche anno. Pianificare e accelerare vendite (anche con piccola riduzione prezzo) può ridurre la durata.

D5: Possiamo distribuire ai soci gli asset rimasti (per esempio dare un immobile a un socio) invece di venderli?
R: Sì, è possibile fare una assegnazione di beni ai soci in sede di liquidazione finale, come forma di riparto dell’attivo residuo (ad esempio dare al socio un macchinario al valore stimato, scalando dalla sua quota di riparto). Questo richiede il consenso dei soci interessati, specie se i beni non sono divisibili: in pratica spesso si fa se c’è un solo socio o pochi e d’accordo. Fiscalmente, attenzione: assegnare beni ai soci è assimilato a una vendita a valore normale, quindi la società potrebbe generare plusvalenze tassabili e applicare IVA/registro sull’assegnazione. Inoltre, dal punto di vista dei creditori, il liquidatore può fare assegnazioni solo dopo aver soddisfatto i creditori o accantonato somme per loro. Non si può “girare” un bene al socio prima di aver garantito che ciò non lede i creditori (se no sarebbe un pagamento preferenziale al socio, illecito). Dunque è fattibile come modalità di distribuzione finale dell’attivo residuo (ad esempio, invece di vendere l’ultimo immobile a terzi, i soci decidono di prenderlo loro come quota di liquidazione), ma va fatto con perizia di stima e approvazione nel bilancio finale. Infine, considera eventuali conguagli: se i soci non in natura ricevono esattamente la loro proporzione di attivo, potrebbero dover conguagliare in denaro tra loro. In sintesi: sì, si può fare, ma con cautela legale e fiscale.

D6: Una SRL senza crediti né debiti si può chiudere più velocemente?
R: Assolutamente sì. Se la società non ha più posizioni attive/passive (o magari era inattiva), esiste una procedura semplificata: gli amministratori possono accertare la causa di scioglimento e convocare l’assemblea per nominare il liquidatore senza atto notarile in alcune ipotesi (es. decorso termine, conseguimento oggetto, inattività). Inoltre, se davvero non ci sono debiti né crediti, la liquidazione può chiudersi subito con un bilancio finale a zero e cancellazione. Si può evitare anche la nomina di un liquidatore formale se i soci stessi curano queste formalità con dichiarazione sostitutiva (alcune Camere di Commercio accettano scioglimento diretto ex art. 2490 c.c. senza liquidazione per società “vuote”). In pratica, si preparano i moduli, si dichiara che non ci sono pendenze, e nel giro di qualche settimana la società viene cancellata. Quindi una SRL inattiva e “pulita” può essere chiusa anche in 1-2 mesi, soprattutto grazie all’esonero dall’atto notarile e dall’assenza di fase liquidativa vera e propria. Bisogna però essere certi dell’assenza di debiti: una volta cancellata, eventuali creditori spunteranno poi contro soci/liquidatore.

D7: Che succede se emergono nuovi beni o nuovi debiti dopo la cancellazione?
R: Se emergono beni non conosciuti prima, la società essendo estinta non può “riaprirsi”. Quei beni si considerano ormai di proprietà dei soci in comunione, proporzionalmente alle quote. I creditori sociali rimasti potrebbero tentare di aggredirli in mano ai soci, ma essendo dei soci ormai, in assenza di riapertura, i creditori dovrebbero far valere i loro diritti ex art.2495 c.c. (verso soci e liquidatore). Quanto ai nuovi debiti, può capitare che dopo la chiusura venga notificata, ad esempio, una cartella esattoriale per una tassa non pagata o un accertamento fiscale. Per 5 anni dopo la cancellazione, tali atti possono essere intestati ancora alla società (presso ex liquidatore), ma la società essendo estinta non paga – finiranno per chiedere il pagamento ai soci (entro il limite di quanto ricevuto) o al liquidatore (se colpevole). Non c’è una procedura per “riaprire” la liquidazione d’ufficio. In passato la giurisprudenza ipotizzava la possibilità di revocare la cancellazione se spuntavano attivi significativi, ma con SS.UU. 6070/2013 si è chiarito che no, la società resta estinta e non la si può resuscitare (salvo fallimento postumo entro 1 anno per insolvenza pregressa). Quindi: beni emersi -> vanno ai soci (che teoricamente dovrebbero soddisfare eventuali creditori con essi, ma senza un meccanismo coattivo se non cause individuali); debiti emersi -> creditori agiscono contro soci/liquidatore. È un motivo per cui conviene fare un check accurato prima di chiudere. Per prudenza, i soci dovrebbero conservare la documentazione per almeno 5-10 anni e rendersi reperibili, così se salta fuori qualcosa si gestisce.

D8: I soci di una SRL in liquidazione rischiano responsabilità personali verso i creditori?
R: Durante la liquidazione, i soci non rispondono personalmente dei debiti sociali (la responsabilità limitata permane). Il loro ruolo è ricevere l’eventuale attivo residuo. Dopo la cancellazione, però, come detto, i creditori non pagati possono chiedere ai soci il pagamento fino concorrenza delle somme da essi ricevute in liquidazione. Quindi i soci rischiano di dover restituire ciò che hanno incassato se c’erano debiti non estinti. Se non hanno incassato nulla, non devono nulla ai creditori (principio confermato di recente, v. Cass. SU 3625/2025: niente distribuzione = niente azione efficace del creditore). Inoltre, per debiti fiscali c’è la norma specifica dell’art.36 DPR 602/73: i soci che nei 2 anni precedenti la liquidazione hanno percepito assegnazioni (utili, acconti) possono doverle restituire al Fisco entro quel valore. In pratica: se la liquidazione avviene correttamente e tutti i creditori sono pagati, i soci non hanno problemi (a parte eventuale capital gain tax sul riparto). Se rimangono debiti, i soci rischiano di vedersi chiamare in causa entro 1 anno (creditori civili) o 5 anni (Fisco) dopo la chiusura. Altro caso: soci di società cancellata ma poi fallita entro 1 anno – in tal caso il curatore fallimentare potrebbe chieder loro conferimenti non versati o distribuire ai creditori eventuali attivi nascosti tra i soci, ma stiamo entrando in dettagli rarissimi. Riassumendo: la SRL protegge i soci, ma se i soci si dividono attivo e lasciano debiti, quella protezione cede fino all’importo che si sono presi.

D9: Il liquidatore può essere ritenuto responsabile personalmente per debiti non pagati?
R: Sì. Il liquidatore ha doveri di diligenza e di rispetto delle priorità creditorie. Se per colpa sua alcuni creditori rimangono insoddisfatti, questi possono agire contro di lui senza limite di importo (responsabilità aquiliana). Ad esempio, se il liquidatore paga i soci o alcuni creditori preferiti e di conseguenza altri creditori restano a bocca asciutta, i danneggiati possono chiedergli l’intero risarcimento del danno (che è l’ammontare non recuperato). Deve però provarsi la colpa del liquidatore: spesso identificata in violazioni di legge come non rispettare la par condicio (pagare alcuni chirografari prima di altri) o omettere di accantonare fondi per passività note. Un liquidatore che semplicemente non riesce a pagare tutti perché l’attivo era insufficiente ma ha agito correttamente, di solito non è responsabile (non crea lui l’insufficienza se già c’era). In più, come visto, c’è la specifica responsabilità verso il Fisco: se il liquidatore non paga le imposte dovute e distribuisce risorse altrove, il Fisco può chiedergli quelle somme (art.36 DPR 602). Quindi in definitiva: , il liquidatore può rischiare di dover pagare di tasca propria i creditori insoddisfatti, specialmente se ha mal gestito la liquidazione. Questo rischi cessa dopo 1 anno dalla cancellazione per creditori generici (termine entro cui vanno notificati atti presso la sede), ma per il Fisco la sopravvivenza fiscale di 5 anni e la natura della responsabilità fanno sì che anche entro 5 anni possano fargli causa. Per lui non c’è limite di importo (unica consolazione: può rivalersi eventualmente sui soci se questi hanno incassato).

D10: Se la società è insolvente, è meglio tentare la liquidazione volontaria o andare subito in fallimento?
R: Dipende dalle circostanze. Se l’insolvenza è marcata (attivo lontanissimo dal passivo) e i creditori sono già aggressivi, probabilmente conviene non perdere tempo: rivolgersi al tribunale (anche volontariamente, il debitore può chiedere la propria liquidazione giudiziale) o tentare un concordato, perché la liquidazione ordinaria non potrebbe comunque concludersi regolarmente. Un fallimento aperto prima potrebbe coinvolgere il Fondo di Garanzia INPS per pagare i dipendenti, e blocca subito le azioni esecutive. D’altro canto, se l’insolvenza è moderata e c’è speranza di coprire parte del deficit (magari con aiuto dei soci), tentare la liquidazione volontaria può essere sensato: permette ai soci di mantenere controllo e magari ottenere condizioni migliori nella vendita dei beni (senza le svalutazioni forzose del fallimento) e negoziare direttamente coi creditori piccoli stralci senza formalità. Inoltre il fallimento comporta costi e tempi maggiori. Spesso gli amministratori insolventi preferiscono la via concorsuale per evitare responsabilità di aggravamento (il Codice della Crisi impone obbligo di attivarsi tempestivamente). Una strategia possibile è: deliberare la liquidazione e parallelamente avviare contatti con i creditori; se entro brevissimo tempo appare chiaro che non si trova una quadra, convertire in fallimento (magari facendosi istanza da un creditore o presentando istanza propria). Tenere aperta a lungo una liquidazione volontaria insolvente è pericoloso (si accumulano ritardi e possibili atti di malagestio). Quindi, dal punto di vista del debitore: meglio liquidazione volontaria se c’è una chance realistica di soddisfare tutti o quasi (così eviti lo stigma del fallimento, mantieni più controllo, possibili risparmi di costo); meglio fallimento se è evidente che non potrai pagare molti creditori – in tal caso dilazionare la fine può esporre amministratori/liquidatori a responsabilità e raramente porta benefici reali, anzi i creditori potrebbero comunque forzare la mano. In alcuni casi, presentare la domanda di liquidazione giudiziale in proprio può velocizzare la chiusura dell’iter di crisi e viene visto come collaborazione (utile anche per ottenere l’esdebitazione in 3 anni).

D11: Dopo la chiusura della società, per quanto tempo il Fisco e altri enti possono farsi vivi?
R: Come spiegato, il Fisco (Agenzia Entrate, Riscossione, INPS per contributi) ha un termine di 5 anni dalla cancellazione in cui la società è considerata ancora esistente ai fini notificatori. Ciò significa che fino al quinto anniversario possono inviare avvisi di accertamento intestati alla società (presso l’ex liquidatore). Dopodiché, non possono iniziare nuove pretese contro la società estinta. Se entro quei 5 anni hanno notificato qualcosa, poi possono proseguire oltre nei confronti di soci/liquidatore. Quindi, ci si può aspettare che fino a 5 anni dopo possano spuntare cartelle o accertamenti relativi ad anni passati. Per altri enti o creditori privati, non c’è un termine fisso: però la legge prevede che entro 1 anno dalla cancellazione possano notificare al domicilio della società atti giudiziari (es. citazione) valevoli per i soci/liquidatore. Passato l’anno, se non ti hanno già citato, un nuovo giudizio contro soci o liquidatore è ancora possibile (nei limiti prescrizionali del credito) ma devono individuarti personalmente. Diciamo che la finestra di maggior attenzione è il primo anno (fallimento postumo, cause civili) e i primi 5 anni (fisco). Trascorsi 5 anni senza novità, è poco probabile avere ulteriori sorprese – i debiti saranno prescritti o comunque non più azionabili contro nuovi soggetti se non l’avevano già fatto. Per prudenza, conservare documenti 10 anni è consigliato.

D12: Possiamo revocare la liquidazione e tornare operativi se cambiamo idea?
R: Sì, il Codice Civile lo consente (art. 2487-ter c.c.). In qualsiasi momento, se la causa di scioglimento è eliminata o per volontà dei soci, l’assemblea può deliberare di revocare lo stato di liquidazione e proseguire l’attività. Ciò richiede le stesse maggioranze di un cambiamento statutario e l’atto notarile, con iscrizione al Registro. La revoca diventa efficace solo dopo 60 giorni dall’iscrizione, durante i quali i creditori anteriori possono fare opposizione. Se anche un solo creditore si oppone e il tribunale ritiene che la revoca pregiudichi i suoi diritti, può bloccarla. Per evitare l’opposizione, si può ottenere il consenso di tutti i creditori oppure pagarli prima della revoca. In mancanza, il tribunale può comunque autorizzare la revoca se ritiene che i creditori siano adeguatamente garantiti. In sintesi: si può fare marcia indietro, ma bisogna assicurarsi che i creditori non ci perdano (es. offrire garanzie o saldarli). Dal punto di vista pratico, la revoca è fattibile soprattutto nelle liquidazioni volontarie iniziate per scelta e poi magari arriva un nuovo business plan o un socio che rileva l’azienda. Se l’impresa era insolvente, una revoca è improbabile perché i creditori vorrebbero piuttosto il fallimento. Ma se, poniamo, la società era stata messa in liquidazione per dissidi e poi i soci si riaccordano, possono revocarla e riprendere l’attività. Attenzione: se nel frattempo qualche asset è stato liquidato o dipendenti licenziati, bisogna considerare come ripartire – ma nulla vieta di reacquisire i beni (se non venduti a terzi irrevocabilmente).

D13: Quali sono i costi principali da affrontare in liquidazione e incidono sui tempi?
R: In liquidazione volontaria i costi diretti includono: onorario del liquidatore (spesso qualche migliaio di euro, di solito proporzionale al lavoro e durata – quindi in parte incide: più dura, più alto il compenso); costi notarili per lo scioglimento (€600-1200) se non semplificata; bolli e diritti camerali (circa €200 complessivi per le varie pratiche); parcelle di consulenti (es. commercialista per conti finali, legale se contratti da chiudere); imposte sui trasferimenti di beni (es. spese registrazione atti di vendita). Inoltre, la società continua a pagare tasse e imposte sul reddito durante la liquidazione – queste non sono un “costo di procedura” ma escono dall’attivo e quindi riducono il residuo per i soci. Un costo indiretto è il tempo stesso: ogni anno che passa la società paga magari il commercialista per bilancio e dichiarazioni, il liquidatore vuole un compenso annuale, ecc.. Dunque, accelerare la chiusura riduce i costi (ad esempio, se un immobile non si vende, magari conviene scontare un po’ il prezzo anziché tenere in liquidazione per anni pagando spese fisse). Nei casi di insolvenza, i costi di procedura concorsuale (curatore, spese legali) possono ridurre ulteriormente i recuperi dei creditori e prolungare i tempi (basti pensare alle aste immobiliari, costi giustizia etc.). In LCA, i costi sono ad esempio il compenso del commissario (tariffe simili ai curatori fallimentari). In conclusione: i costi non influenzano direttamente i tempi, semmai il contrario (più dura, più costa). Ma decisioni volte a risparmiare costi – come accettare offerte più basse per chiudere prima – possono comprimere i tempi.

D14: Ci sono differenze tra SRL e SRLS (start-up, ecc.) nella liquidazione?
R: La procedura è identica. Una SRLS (società a responsabilità limitata semplificata) segue le stesse norme di scioglimento e liquidazione delle SRL ordinarie. Unica differenza: la SRLS ha il vincolo dei soci under-35 al momento della costituzione; se vengono meno i requisiti di età la legge prevedeva lo scioglimento (art. 2484 co.4 c.c., norma ora abrogata). Ma in pratica non incide su tempi, solo su cause. Una start-up innovativa (SpA o SRL) non ha un regime speciale per la liquidazione – se fallisce c’è qualche agevolazione fiscale per investitori, ma quanto a procedure uguale. Quindi niente di rilevante lato durata.

D15: Come posso tutelarmi come ex amministratore o liquidatore dopo la chiusura?
R: Alcuni consigli:

  • Conserva tutta la documentazione sociale per almeno 5 anni (meglio 10): bilanci, situazione finale, quietanze dei creditori pagati, etc.. Se un creditore dovesse farsi avanti sostenendo di non essere stato pagato, potrai dimostrare di averlo saldato o che sapeva ecc.
  • Mantieni un domicilio aggiornato (PEC o indirizzo) per eventuali notifiche: così non cadranno nel vuoto con rischio di decadenze. Ad esempio, come liquidatore comunica all’Agenzia Entrate un domicilio eletto per 5 anni per sicurezza.
  • Se temi possibili accertamenti fiscali, valuta di far fare un check-up fiscale prima di chiudere per sanare eventuali omissioni (es. integrare dichiarazioni, ecc.), così riduci la probabilità di sorprese.
  • Per i liquidatori: agisci con trasparenza verso i creditori (ad es. comunica via PEC ai creditori prima di chiudere che non c’è attivo sufficiente per loro, invitandoli eventualmente a insinuarsi): se dimostri di averli avvisati e di non aver fatto preferenze, è meno probabile che ti accusino di colpa grave.
  • Non avere fretta di cancellare se c’è in corso un affitto d’azienda, una causa legale o una procedura di condono fiscale da perfezionare, ecc. Meglio chiudere questi pendenti in capo alla società, se possibile, perché dopo la cancellazione la gestione diventa più complessa (e potresti doverli seguire come liquidatore senza poteri ufficiali o come socio).
  • Valuta una assicurazione D&O (responsabilità organi società) se sei liquidatore di un caso complesso: magari copre eventuali richieste di danni.

Conclusione

La liquidazione di una SRL è un processo con risvolti sia giuridici che pratici complessi, la cui durata può variare enormemente in base alle circostanze. Dal punto di vista del debitore (soci e management della società), pianificare accuratamente la liquidazione – tenendo conto di normative, fiscalità e giurisprudenza – è fondamentale per concludere nei tempi più brevi possibili e senza strascichi indesiderati. In questa guida abbiamo visto come, in condizioni favorevoli, una liquidazione volontaria possa chiudersi in meno di un anno, mentre procedure coatte possono durare diversi anni. Abbiamo anche evidenziato che la legge italiana impone di pagare tutti i creditori per chiudere in bonis e offre spazi di manovra (come l’intervento dei soci) per evitare la via concorsuale. Le recenti riforme e sentenze mirano a equilibrare gli interessi dei debitori e creditori: da un lato accelerare le chiusure e dall’altro evitare abusi (come liquidazioni “facili” che nascondono insolvenze).

In definitiva, la durata di una liquidazione è il frutto di un’attenta gestione: più la liquidazione è preparata e gestita attivamente, più sarà breve e ordinata. Al contrario, trascuratezze o ritardi (ad esempio nel liquidare i beni o nell’attivare procedure concorsuali se necessarie) portano a dilatare i tempi. Dal punto di vista del debitore, seguire le best practice delineate – comunicazione trasparente, rispetto delle priorità, chiusura dei conti fiscali, conservazione documenti – consente di archiviare questa fase finale della vita societaria con la massima tranquillità possibile, voltando pagina senza pendenti. Come abbiamo visto nei casi pratici, liquidare rapidamente conviene sia economicamente che in termini di responsabilità.

La guida ha affrontato dettagliatamente tutti questi aspetti, e nella sezione seguente elenchiamo tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate, a cui il lettore potrà fare riferimento per ulteriori approfondimenti o verifica.

Fonti Normative e Giurisprudenziali Utilizzate

Leggi e Codici:

  • Codice Civile: Artt. 2484–2496 c.c. – Disciplina dello scioglimento e liquidazione delle società di capitali (in particolare: art. 2484 cause di scioglimento; art. 2485 obblighi amministratori in caso di scioglimento; art. 2487–2487-ter nomina liquidatori e revoca liquidazione; art. 2489 doveri e responsabilità liquidatori; art. 2490 bilanci in liquidazione; art. 2491 divieto di ripartizione ai soci prima di pagare creditori; art. 2492 bilancio finale di liquidazione; art. 2493 reclamo soci su bilancio finale; art. 2495 effetti della cancellazione: estinzione e responsabilità postume di soci e liquidatori; art. 2496 deposito libri sociali a fine liquidazione).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), D.lgs. 14/2019: Artt. 33 (fallimento entro un anno dalla cancellazione); 40–47 (procedimento per liquidazione giudiziale su ricorso, termini udienza 45 gg); 213 (programma di liquidazione del curatore entro 60 gg); 233 (chiusura fallimento con cause pendenti); 268 (istanza di liquidazione giudiziale da parte del debitore, incentivo alla cooperazione); 282 (esdebitazione dell’imprenditore entro 3 anni dalla apertura liquidazione giudiziale); 318–320 (norme generali su LCA: equiparazione a concorso formale, etc.); 293–316 (Titolo VII CCII – disciplina Liquidazione Coatta Amministrativa).
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – (indicata per riferimenti storici): Artt. 194–213 (vecchia disciplina LCA, ora sostituita dal CCII); Art. 10 (fallimento entro 1 anno da cancellazione, trasfuso in CCII art.33); Art. 118 (chiusura fallimento); Art. 124 (esdebitazione, abrogato e sostituito).
  • Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986): Art. 182 c.2 (redditi di liquidazione – vecchia disciplina con opzione, modificata da D.lgs.175/2014); Art. 86 (plusvalenze tassabili); Art. 101 (minusvalenze e perdite crediti); Art. 47 c.7 (tassazione utili da liquidazione ai soci come capital gain); Art. 94 (riduzione capitale e distribuzione riserve).
  • Decreto Lgs. 175/2014 (decreto semplificazioni fiscali): Art. 28, comma 4 – Introduzione della sopravvivenza fiscale quinquennale delle società estinte (legge 190/2014 di conversione).
  • D.P.R. 602/1973: Art. 36 – Responsabilità di liquidatori e soci per pagamento imposte di società estinte. (Stabilisce responsabilità propria del liquidatore per somme distribuite senza pagare imposte; e responsabilità soci per somme ricevute nei 2 anni precedenti la liquidazione, nei limiti di quelle).
  • Codice di Procedura Civile: Art. 2495 c.c. richiama che notifiche entro 1 anno alla ex società valgono verso soci/liquidatore; Legge 69/2009 ha modificato dinamiche di prosecuzione processi; (per brevità non dettagliato, ma SS.UU. 6070/2013 ne interpreta).
  • Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993): Art. 80–96 (liquidazione coatta di banche, ruolo Banca d’Italia, decreto MEF);
  • Testo Unico della Finanza (D.Lgs. 58/1998): Art. 57 etc. (LCA di SIM, SGR sotto controllo CONSOB/BI).
  • Codice delle Assicurazioni Private (D.lgs. 209/2005): Artt. 245–254 (LCA di imprese assicurative, IVASS).
  • Leggi speciali Cooperative: D.Lgs. 220/2002, art. 12 (scioglimento coop per atto d’autorità, nomina commissario liquidatore; in insolvenza di coop, Ministero può disporre LCA in luogo del fallimento).

Giurisprudenza:

  • Cassazione Civile, Sezioni Unite, 06/05/2013, n. 6070: Principio di estinzione della società con cancellazione e legittimazione di soci/liquidatori nei processi pendenti (superando il vecchio orientamento della cancellazione “meramente dichiarativa” se debiti pendenti).
  • Cassazione Civile, Sezioni Unite, 12/03/2013, n. 6072: (gemella di 6070) sullo stesso tema.
  • Cass. Civ., Sez. Unite, 26/03/2019, n. 7676: Conferma possibilità di fallimento postumo entro 1 anno da cancellazione (interpreta art. 10 l.fall ante CCII).
  • Cass. Civ., Sez. Unite, 27/11/2023, n. 32790: Fisco vs Liquidatore, responsabilità ex art.36 DPR 602, natura civilistica propria, niente preventiva iscrizione a ruolo. Vedi sintesi in testo: liquidatore risponde per mal pagamento imposte anche non definite.
  • Cass. Civ., Sez. Unite, 08/02/2025, n. 3625: Fisco vs Soci, presupposto riscossione somme per azione verso soci, limite e onere prova. Estende interpretazione art.36 e art.2495 a favore soci che non hanno avuto riparti.
  • Cass. Civ., Sez. I, 06/05/2024, n. 12156: Insolvenza in liquidazione, criteri patrimoniali per fallibilità società in liquidazione. Precedenti citati: Cass. 30284/2022.
  • Cass. Civ., Sez. V – Tributaria, 24/08/2023, n. 25108: Soci e accertamenti fiscali post estinzione, conferma che soci possono far valere di non aver ricevuto nulla.
  • Cass. Civ., Sez. III, 02/12/2021, n. 38165: (non citata sopra, ma rilevante in materia) – conferma che responsabilità liquidatore ex art.2495 c.c. è di natura extracontrattuale (onere creditore provare colpa grave).
  • Cass. Civ., Sez. I, 13/05/2020, n. 8817: Opposizione creditori a revoca liquidazione, natura e effetti (confermando necessità tutela creditori quando si revoca stato liquidazione).
  • Cass. Pen., Sez. V, 17/03/2021, n. 10491: Bancarotta preferenziale del liquidatore che paga alcuni creditori prefallimento, e bancarotta semplice per ritardo nell’istanza di fallimento (rileva condotta liquidatore in periodo precedente apertura concorso).
  • Cass. Pen., Sez. V, 17/03/2022, n. 8981: Bancarotta fraudolenta impropria ex art.223 L.F. per amministratore che occultava perdite per ritardare liquidazione (caso simile a Cass. 10160/2024 cit.).
  • Cass. Pen., Sez. V, 13/03/2024, n. 10160: False comunicazioni sociali e ritardata liquidazione, integra bancarotta impropria (massima indicata nel massimario: rivalutazione fittizia beni per evitare liquidazione configura reato).

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