Hai ricevuto una cartella, un avviso di pagamento o una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate per debiti erariali e ti stai chiedendo se sia possibile cancellarli? Temevi che si trattasse di una situazione definitiva, ma ora vuoi capire se c’è una via d’uscita legale per liberarti dal peso fiscale?
Quando si parla di debiti con l’Erario – come IVA, IRPEF, contributi, accertamenti e sanzioni – la sensazione è quella di essere incastrati. Ma in molti casi, questi debiti possono essere annullati, ridotti o definitivamente cancellati, a patto di conoscere le regole giuste e i momenti in cui agire.
Cosa si intende per cancellazione dei debiti erariali?
Significa far venir meno l’obbligo di pagamento nei confronti dell’Agenzia delle Entrate o dell’Agenzia Entrate Riscossione, quando si verificano condizioni specifiche: ad esempio la prescrizione, un errore dell’amministrazione, oppure una procedura legale di sovraindebitamento che permette di azzerare i debiti non più sostenibili.
E in quali casi i debiti si possono cancellare davvero?
– Quando sono prescritti, cioè se è trascorso troppo tempo senza che l’ente riscossore abbia agito validamente;
– Quando contengono errori formali o materiali, ad esempio cartelle notificate in modo scorretto o relative a imposte già pagate;
– Quando viene accolta una istanza in autotutela, cioè una richiesta di annullamento da parte del contribuente per vizi evidenti;
– Quando il contribuente accede a una procedura di sovraindebitamento (come la liquidazione controllata o il concordato minore) e ottiene l’esdebitazione, cioè la cancellazione legale dei debiti non più pagabili.
E se ci sono pignoramenti in corso? Posso comunque agire?
Sì. Anche se l’Agenzia ha già avviato azioni esecutive (blocco del conto, pignoramento dello stipendio, fermo auto), ci sono margini per sospendere, impugnare o bloccare tutto, a patto di muoversi con tempestività e tramite i canali giusti. Attendere passivamente, invece, può peggiorare la situazione.
Attenzione: non sempre la cancellazione è automatica. Serve una strategia.
Molti pensano che i debiti si cancellino da soli dopo un certo numero di anni. In realtà, la prescrizione va fatta valere con atti precisi e nei tempi corretti. Altri credono che basti una semplice domanda per chiudere tutto: purtroppo non è così. Serve valutare la tua posizione fiscale completa e capire quale procedura avviare per arrivare davvero alla cancellazione.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti fiscali, contenzioso tributario e sovraindebitamento – ti spiega cosa sono i debiti erariali, quando possono essere cancellati, come funziona la procedura legale e cosa possiamo fare per aiutarti a uscire dalla situazione, prima che diventi ingestibile.
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Introduzione
I debiti erariali verso l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER) rappresentano un problema comune per molti contribuenti – privati cittadini, imprenditori e persino professionisti del settore legale e fiscale. Si tratta dei debiti derivanti da imposte non pagate (come IVA, IRPEF, IRES, IMU, ecc.), contributi previdenziali omessi (INPS, INAIL) e sanzioni o multe amministrative affidate all’agente della riscossione per il recupero. In questa guida, aggiornata a giugno 2025, esamineremo in modo approfondito **tutte le strategie legali e procedurali per cancellare o estinguere i debiti erariali, adottando un linguaggio tecnico-giuridico ma con taglio divulgativo, adatto a un pubblico avanzato non specialista. L’obiettivo è fornire un manuale completo dal punto di vista del debitore, indicando come affrontare i debiti fiscali e contributivi, quali strumenti normativi permettono di ottenerne la cancellazione (totale o parziale) e quali sono i tempi e le condizioni da rispettare.
Struttura della guida: Dopo aver classificato le tipologie di debito verso il Fisco, analizzeremo i termini di decadenza e prescrizione che possono portare all’annullamento naturale dei debiti, per poi illustrare le strategie difensive e procedurali attivabili dal contribuente (vizi delle cartelle, opposizioni giudiziarie, istanze in autotutela, sospensioni, rateizzazioni e definizioni agevolate come la “rottamazione” e il “saldo e stralcio”). Verranno quindi esaminate le procedure concorsuali (sovraindebitamento per privati e piccoli imprenditori, concordato preventivo o “minore”, liquidazione controllata, fallimento e esdebitazione) che consentono di cancellare i debiti residui sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Troverete tabelle riepilogative con scadenze, termini, strumenti di definizione e modalità di cancellazione per ciascuna tipologia di debito, nonché simulazioni pratiche di casi-tipo per comprendere l’applicazione concreta di questi strumenti. Una sezione finale di Domande & Risposte affronterà i quesiti più frequenti (FAQ) dal punto di vista del debitore. Infine, tutte le fonti normative, giurisprudenziali e di prassi citate nel testo saranno elencate nella sezione Fonti e Riferimenti, in modo da consentire ulteriori approfondimenti.
Nota: i termini “cancellazione” o “annullamento” del debito, in questa guida, sono usati in senso lato per indicare ogni modalità attraverso cui il debito viene eliminato o reso inesigibile (prescrizione, decadenza, annullamento giudiziale, stralcio per legge, condono, esdebitazione, ecc.). La cancellazione può avvenire per effetto di legge (ad esempio per decorso del tempo o sanatorie fiscali) o tramite provvedimenti di un giudice o della stessa amministrazione finanziaria. In ogni caso, trattandosi di materia complessa e in costante evoluzione, è essenziale riferirsi alle norme vigenti e alla giurisprudenza più recente – entrambe aggiornate al giugno 2025 in questa trattazione – per valutare la soluzione più adeguata al proprio caso.*
Tipologie di debiti verso Agenzia delle Entrate e AdER
I debiti verso il Fisco che possono essere affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) comprendono una vasta gamma di tributi, contributi e sanzioni. È importante conoscere la natura del proprio debito, perché a seconda della tipologia si applicano regole diverse in termini di prescrizione, possibilità di definizione agevolata o inclusione in procedure concorsuali. Di seguito esaminiamo le principali categorie:
Debiti tributari statali (imposte erariali)
Rientrano in questa categoria tutte le imposte dirette e indirette dovute allo Stato, tra cui:
- IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche) e IRES (Imposta sul reddito delle società) – imposte sui redditi annuali di persone e società;
- IVA (Imposta sul valore aggiunto) – imposta sui consumi che le imprese riscuotono e versano per conto dello Stato;
- IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive) – tributo locale ma con natura di imposta periodica d’impresa;
- Imposte sostitutive e ritenute (ad es. cedolare secca sugli affitti, imposta sostitutiva su regime forfettario, ritenute d’acconto operate e non versate, ecc.);
- Imposte indirette statali (registro, successione, bollo, concessioni governative, canone TV, ecc.).
Questi tributi erariali presentano generalmente un termine di prescrizione decennale ai fini della riscossione coattiva. In altri termini, una volta che l’imposta è liquidata (ad esempio mediante avviso di accertamento definitivo o cartella di pagamento), il Fisco ha fino a 10 anni per poterla riscuotere, salvo atti interruttivi che possano far decorrere nuovamente il termine (vedremo oltre i dettagli su decadenza e prescrizione). Fanno eccezione le componenti accessorie come sanzioni amministrative tributarie e interessi di mora, che – pur collegati alle imposte principali – si prescrivono in 5 anni, essendo considerate obbligazioni di natura periodica. Ad esempio, se non si versa un’IVA dichiarata, l’imposta in sé rimane esigibile per 10 anni, mentre la sanzione per omesso versamento e gli interessi moratori maturati si estinguono dopo 5 anni (a meno che nel frattempo intervengano atti interruttivi o una sentenza).
È importante segnalare che dal 2011 in poi molte imposte erariali vengono richieste con avvisi di accertamento “esecutivi”, cioè atti emessi dall’Agenzia delle Entrate che, decorsi 60 giorni dalla notifica, valgono già come titolo esecutivo per la riscossione senza bisogno della tradizionale cartella esattoriale (ai sensi dell’art. 29 del DL 78/2010, conv. in L. 122/2010). Questi avvisi contengono una intimazione a pagare entro 30 giorni dall’invio di una successiva “presa in carico” da parte di AdER e, in caso di mancato pagamento, permettono di attivare direttamente le procedure esecutive. L’introduzione degli accertamenti esecutivi ha ridotto i tempi tra la fase di accertamento e quella di riscossione, ma non elimina i diritti del contribuente di difendersi: l’atto è impugnabile entro 60 giorni dinanzi alla giustizia tributaria come qualunque avviso di accertamento, e in tal caso la riscossione rimane sospesa per legge fino a 180 giorni dalla notifica (ulteriori sospensioni richiedono un provvedimento del giudice). Se l’accertamento esecutivo non viene pagato né impugnato, AdER può procedere con la riscossione coattiva (fermi, ipoteche, pignoramenti) decorsi i termini di legge. In ogni caso, per i nostri fini, gli importi da esso derivanti diventano debiti a ruolo analoghi a quelli da cartella tradizionale.
Esempi comuni di debiti tributari statali: IRPEF dichiarata e non versata, IVA non versata sulle liquidazioni periodiche, accertamenti dell’Agenzia su maggior reddito imponibile, avvisi bonari non pagati trasformati in cartelle, imposta di registro su un atto registrato ma non pagato, ecc. Tutti questi rientrano nell’ambito erariale e seguono regole di riscossione statale.
Debiti per tributi locali e altre entrate locali
Molti tributi locali, pur essendo di competenza di Comuni o Regioni, vengono riscossi tramite ruolo dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Tra questi possiamo citare:
- IMU (Imposta Municipale Unica) e storicamente ICI – tassa sugli immobili di proprietà (escluse prime case non di lusso);
- TARI/TARSU – tassa sui rifiuti; TASI (fino al 2019) – tributo per i servizi indivisibili comunali;
- Bollo auto (tassa automobilistica regionale);
- Altre tasse locali o regionali: imposta sulla pubblicità e pubbliche affissioni, COSAP/TOSAP (canone per l’occupazione di suolo pubblico, ora confluito nel Canone Unico), addizionale comunale/reg.le IRPEF, contributi consortili, diritti camerali alle Camere di Commercio, ecc.
- Sanzioni amministrative locali: multe per violazioni di regolamenti comunali, sanzioni dell’ASL o di altri enti locali, ecc., se iscritte a ruolo.
I tributi locali ricorrenti (come IMU, TARI, bollo auto) sono in genere considerati “obbligazioni periodiche di carattere annuale”, quindi soggetti a prescrizione breve quinquennale. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte confermato l’applicazione del termine di 5 anni ai tributi locali annuali. Ad esempio, un mancato pagamento IMU relativo al 2020 si prescrive al 31 dicembre 2025 se nel frattempo il Comune (o chi per esso) non notifica alcun atto interruttivo. Analogamente, la tassa automobilistica (bollo auto) ha un termine di prescrizione di soli 3 anni dalla scadenza del pagamento, termine fissato espressamente da normativa statale (art. 5, DL 2/1986) e confermato dalla giurisprudenza. In pratica, un bollo dell’anno 2022 si prescriverà allo scadere del 2025 se la Regione non ne ha richiesto il pagamento entro tale data.
Bisogna tuttavia distinguere la decadenza dalla prescrizione per i tributi locali: la legge finanziaria 2007 aveva previsto termini perentori entro cui notificare gli accertamenti in materia di tributi locali (di solito entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo doveva essere pagato). Ad esempio, per l’IMU 2020 l’ente locale deve emettere un avviso di accertamento entro il 31/12/2025; se non lo fa in tempo, la pretesa tributaria decade e l’eventuale cartella successiva può essere annullata per tardività (vizio di decadenza). Se invece l’accertamento è stato notificato tempestivamente e il contribuente non paga né impugna, il debito verrà iscritto a ruolo e la cartella si prescriverà in 5 anni, come detto.
Va segnalato inoltre che non tutte le entrate locali sono automaticamente incluse nelle definizioni agevolate “statali” (come la rottamazione delle cartelle): la Legge di Bilancio 2023, ad esempio, ha previsto che per applicare la rottamazione-quater e lo stralcio dei mini-debiti ai tributi locali fosse necessaria un’adesione da parte degli enti locali creditori. Quindi, in presenza di debiti comunali, bisogna verificare caso per caso se il Comune o la Regione abbiano deliberato di aderire a tali sanatorie; in mancanza di delibera, il debito locale rimane escluso e dovrà essere pagato integralmente (o trattato con altri strumenti, come ricorsi o procedure di insolvenza). Approfondiremo questo aspetto nella sezione sulle definizioni agevolate.
Debiti per contributi previdenziali e assistenziali (INPS, INAIL)
Un’altra categoria rilevante è quella dei debiti verso gli enti previdenziali, primo fra tutti l’INPS. I contributi obbligatori non versati (ad esempio i contributi dovuti dai datori di lavoro per i dipendenti, oppure i contributi personali di artigiani, commercianti, professionisti, gestione separata, ecc.) possono essere iscritti a ruolo e affidati all’AdER per il recupero forzoso. Lo stesso dicasi per i premi assicurativi INAIL non pagati dalle aziende.
Per i contributi previdenziali la legge prevede una prescrizione breve di 5 anni dalla data in cui il contributo è esigibile. Questo termine quinquennale fu introdotto dalla riforma del 1995 (L. 335/1995, art. 3, commi 9-10) e poi mantenuto anche dopo che dal 2011 la riscossione INPS è passata dalle cartelle alle nuove avvisi di addebito INPS (titoli immediatamente esecutivi analoghi agli accertamenti fiscali). Le Sezioni Unite della Cassazione hanno confermato definitivamente che il termine di prescrizione per i contributi previdenziali dovuti all’INPS è di 5 anni, non convertendosi in 10 nemmeno se il debitore non fa opposizione all’ingiunzione. Solo in casi eccezionali un credito contributivo può godere del termine decennale, ad esempio se sfocia in una sentenza penale di condanna per omesso versamento (per somme oltre le soglie di reato), perché in quel caso il credito contributivo si consolida in un titolo giudiziale. Nella prassi comune, tuttavia, ciò è raro: tipicamente un’omissione contributiva del 2020 viene richiesta con avviso nel 2021 e, se non vengono notificati ulteriori atti interruttivi, si prescriverà nel 2026.
Un aspetto importante è che dal 2018 l’INPS non utilizza più le cartelle esattoriali per i nuovi crediti, ma emette direttamente avvisi di addebito con valore di titolo esecutivo (DL 78/2010 e succ. mod.). Questi avvisi seguono procedure simili agli accertamenti fiscali esecutivi: se non vengono pagati entro 60 giorni, l’INPS li affida all’AdER per l’esecuzione forzata. L’opposizione a tali avvisi deve essere presentata dal contribuente entro 40 giorni al tribunale (sezione lavoro), non alle commissioni tributarie, trattandosi di materia previdenziale. In caso di mancata opposizione, l’avviso diventa definitivo ma – come detto – la prescrizione resta quella quinquennale originaria e non diviene decennale solo per effetto della mancata impugnazione.
Oltre ai contributi, rientrano in questa categoria eventuali sanzioni civili per ritardato pagamento di contributi (che di norma vengono considerate aggiunte al contributo e soggiacciono allo stesso termine di 5 anni, salvo diversa indicazione normativa) e i contributi a casse private se iscritti a ruolo (es. Cassa Geometri, Cassa Forense – raramente affidano ad AdER, ma è possibile in teoria).
Multe e altre sanzioni amministrative
Tra i carichi affidati all’Agente della Riscossione figurano anche le multe stradali e molte altre sanzioni amministrative irrogate da vari enti (Prefetture, Comuni, Autorità amministrative). Queste entrate, pur non essendo tributi, seguono il percorso della riscossione coattiva mediante cartella di pagamento se il trasgressore non paga entro i termini volontari. Esempi comuni: contravvenzioni al Codice della Strada non pagate, sanzioni per violazioni amministrative (es. sanzioni antiriciclaggio da parte del MEF, multe dell’Antitrust, sanzioni per violazione di norme sul lavoro comminate dall’Ispettorato, ecc.).
Le multe stradali hanno un regime particolare: prima dell’iscrizione a ruolo c’è una fase di accertamento (verbale di contestazione e eventuale ordinanza-ingiunzione se la multa viene opposta al Prefetto). Una volta divenuta definitiva, la sanzione amministrativa pecuniaria viene iscritta a ruolo entro determinati termini (generalmente entro 2 anni dall’esecutività, ai sensi dell’art. 206 Codice della Strada) e la cartella di pagamento deve essere notificata al massimo entro 5 anni dall’esecutività del verbale. In difetto, scatta la decadenza. Inoltre, tutte le sanzioni amministrative pecuniarie si prescrivono in 5 anni dal momento in cui il provvedimento sanzionatorio è divenuto definitivo. Ciò significa che, ad esempio, una multa stradale non pagata diviene definitiva dopo 60 giorni; da lì decorre il termine quinquennale di prescrizione (salvo atti interruttivi come la cartella stessa o un sollecito). La Corte di Cassazione ha affermato chiaramente che il credito per sanzioni amministrative non originate da reato è soggetto al termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., a meno che la sanzione non sia confermata da una sentenza passata in giudicato, nel qual caso si applicherebbe il termine decennale da giudicato (art. 2953 c.c.). Nella stragrande maggioranza dei casi, comunque, le multe non vengono convalidate da un giudice (se il cittadino non fa opposizione) e quindi restano con prescrizione a 5 anni.
Un debitore con cartelle per multe noterà spesso che l’importo lievita nel tempo: questo accade perché, oltre alla sanzione originaria, vengono applicati interessi e maggiorazioni di legge. In particolare, sulle sanzioni del Codice della Strada si applica una maggiorazione semestrale del 10% (art. 27 L. 689/1981) per ogni semestre di ritardo dopo che la multa è definitiva, oltre agli interessi legali. La buona notizia è che nelle definizioni agevolate (rottamazioni) è previsto lo stralcio proprio di queste maggiorazioni e interessi, consentendo di pagare solo la sanzione base. Approfondiremo più avanti.
Infine, possono essere affidati ad AdER anche altri tipi di crediti verso privati: ad esempio il recupero di aiuti di Stato illegittimi, le spese di giustizia penali a carico del condannato, le somme dovute per danni erariali accertati dalla Corte dei Conti, ecc. Questi crediti “patrimoniali” dello Stato hanno spesso anch’essi prescrizioni decennali (salvo indicazioni specifiche) e sono difficilmente cancellabili se non tramite pagamento o provvedimenti ad hoc (per esempio, le spese di giustizia possono essere condonate solo con norme eccezionali, e i danni erariali sono inestensibili in procedure concorsuali perché considerati risarcimenti).
Conseguenze del mancato pagamento e poteri di riscossione
Prima di esaminare le modalità per liberarsi dei debiti fiscali, è utile riassumere brevemente cosa accade in mancanza di pagamento e quali strumenti ha a disposizione l’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Comprendere le conseguenze del mancato pagamento aiuta anche a valutare l’urgenza di intervenire per cancellare o ridurre il debito.
- Interessi e sanzioni: Un debito iscritto a ruolo aumenta col tempo a causa degli interessi di mora (calcolati al tasso annuale fissato per legge, attualmente intorno al 3-4% annuo) e, nel caso di tributi, per via delle sanzioni tributarie già incluse. Anche piccole somme possono lievitare in alcuni anni. Fortunatamente, come vedremo, strumenti come la rottamazione consentono di abbattere proprio interessi di mora e sanzioni.
- Iscrizione di ipoteche e fermi: AdER può iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore se il debito supera €20.000, previo preavviso, e fermo amministrativo sui veicoli se il debito supera €500. Questi provvedimenti cautelari non cancellano il debito ma ne garantiscono il futuro recupero vincolando i beni (ad es. un fermo auto impedisce di circolare e vendere l’auto). La cancellazione di ipoteche e fermi è possibile solo pagando il debito o ottenendo un provvedimento di annullamento/sospensione (oppure con la chiusura della procedura di esdebitazione). Va ricordato che per legge è vietata l’espropriazione dell’abitazione principale del debitore da parte di AdER, salvo sia un immobile di lusso o vi siano altri immobili su cui rivalersi (DL 69/2013, art. 52); tuttavia, il divieto di pignoramento della “prima casa” non impedisce l’iscrizione di ipoteca: quest’ultima rimane, ma AdER non potrà procedere al pignoramento finché l’immobile ha i requisiti di impignorabilità (unica casa, residenza anagrafica, non di lusso). In ogni caso, con la cancellazione del debito (per pagamento, prescrizione o altro) vi sarà diritto alla cancellazione dell’ipoteca dai registri immobiliari.
- Pignoramenti: Decorso il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella (o dell’avviso esecutivo) senza pagamento né sospensione, AdER può avviare l’esecuzione forzata. I pignoramenti possono colpire conti correnti bancari, stipendi/pensioni (nei limiti di 1/5 per stipendi e pensioni sopra una certa soglia), beni mobili (pignoramenti presso la residenza o sede, anche se questa forma è meno frequente) e beni immobili (tranne prima casa impignorabile come sopra). L’avvio del pignoramento è preceduto, per legge, da una formale intimazione di pagamento (art. 50 DPR 602/1973) se sono trascorsi più di 180 giorni dalla notifica della cartella: questa intimazione dà altri 5 giorni di tempo per pagare prima di procedere. Se il debitore riesce a far annullare il debito con un ricorso o altra procedura, anche i pignoramenti in corso decadono; viceversa, in assenza di opposizione, AdER può procedere alla vendita all’asta di beni mobili e immobili trascorsi i termini di rito.
- Blocchi su crediti verso terzi: Un’altra azione è il pignoramento “presso terzi”, tipicamente pignoramento del conto in banca o di crediti che il debitore vanta verso altri (ad es. somme presso clienti, affitti dovuti da inquilini, ecc.). AdER notifica l’atto alla banca o al terzo debitore, congelando le somme fino a concorrenza del debito. Il contribuente ha poi 60 giorni per agire, altrimenti le somme vengono assegnate allo Stato automaticamente. Anche qui, l’annullamento del debito in sede giudiziale o concorsuale libera le somme pignorate se non ancora assegnate.
- Sanzioni penali: Il mero mancato pagamento di imposte dovute (ad esempio non pagare un debito risultante in cartella) non costituisce reato. Tuttavia, esistono reati tributari per omesso versamento di alcune imposte qualora l’omissione superi soglie rilevanti: in particolare, l’omesso versamento di IVA oltre €250.000 per periodo d’imposta o l’omesso versamento di ritenute oltre €150.000 sono reati penali (D.Lgs. 74/2000). Questi reati sono legati al momento del mancato versamento alla scadenza legale, non alla fase di riscossione tramite cartelle. Ciò significa che, se un contribuente ha debiti IVA ingenti in cartella, potrebbe già esservi un procedimento penale alle spalle se le soglie erano superate. La cancellazione del debito tributario tramite pagamento o definizione agevolata può estinguere il reato (se avviene prima del giudizio, grazie a cause di non punibilità introdotte di recente), ma la prescrizione o l’annullamento giudiziario del debito non estinguono l’eventuale reato già perfezionato al momento dell’omesso versamento. In sintesi, questa guida tratta dei rimedi civilistici/tributari per cancellare i debiti; le responsabilità penali seguono logiche proprie e richiedono assistenza specializzata distinta.
Riassumendo, il debitore inadempiente si trova esposto a una serie di misure coercitive che possono incidere sul patrimonio e sul reddito. Tanto più vecchio e “fermo” è un debito (ad esempio una vecchia cartella mai sollecitata), tanto maggiori sono le chance che possa essere cancellato per prescrizione o interessare misure di stralcio automatico. Viceversa, un debito recente e di importo elevato potrebbe richiedere iniziative attive (ricorsi, piani di rientro o procedure concorsuali) per essere risolto. Nel prossimo capitolo, affronteremo proprio i concetti di decadenza e prescrizione, fondamentali per capire se un debito è ancora legittimamente esigibile o no.
Decadenza e prescrizione: quando il debito si annulla con il tempo
Uno dei primi aspetti da considerare per la cancellazione di un debito fiscale o contributivo è il decorso del tempo. L’ordinamento prevede infatti due istituti – decadenza e prescrizione – che limitano temporalmente il potere del Fisco di accertare e riscuotere le somme dovute. Se tali termini scadono, il debito diventa non più dovuto per legge, e il contribuente può ottenerne l’annullamento totale eccependo la decadenza o prescrizione. Vediamo di chiarire la differenza tra i due concetti e quali sono i principali termini applicabili.
Termini di decadenza (accertamento e riscossione)
La decadenza fissa un limite di tempo entro cui l’amministrazione finanziaria deve compiere un determinato atto, pena la perdita del potere di far valere il credito. In materia fiscale, i termini di decadenza più rilevanti sono:
- Decadenza per l’accertamento: Entro un certo numero di anni dal periodo d’imposta di riferimento, l’Agenzia delle Entrate (o l’ente locale per i tributi di sua competenza) deve notificare l’atto impositivo (avviso di accertamento o di liquidazione) al contribuente, altrimenti il tributo non può più essere richiesto. Ad esempio, per le imposte sui redditi e l’IVA attualmente il termine ordinario è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (se il 2020 è l’anno d’imposta, entro fine 2025); se la dichiarazione è omessa, il termine è il 31 dicembre del settimo anno successivo. Questi termini possono essere prorogati in caso di reati tributari (raddoppio dei termini) o di sospensioni legali (es. sospensioni Covid per il 2020). Decorso inutilmente il termine di accertamento, il tributo per quell’anno si considera definito e non più accertabile. Analoghi termini esistono per i tributi locali (es. IMU: 5 anni).
- Decadenza per la notifica della cartella di pagamento: Riguarda i casi in cui un debito emerge da controlli formali o automatizzati senza bisogno di un avviso di accertamento (ad es. controlli automatizzati delle dichiarazioni, liquidazioni di imposte dovute da dichiarazione). La legge prevede termini entro cui l’Agente della Riscossione deve notificare la cartella. Ad esempio, le somme dovute a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione (c.d. avvisi bonari non pagati) devono essere iscritte a ruolo e notificate con cartella entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (art. 25 DPR 602/1973, come modificato). Se l’Agenzia Entrate affida il ruolo in ritardo e la cartella arriva oltre tale termine, è decaduta. Un altro esempio: per le imposte dichiarate e non versate, la cartella va notificata entro la fine del secondo anno successivo a quello di scadenza del pagamento (art. 25 DPR 602/1973). Anche per le multe stradali esiste un termine di decadenza: la cartella va notificata entro 2 anni dall’affidamento del ruolo da parte dell’ente creditore (termine che in pratica porta a circa 5 anni dal verbale, considerando i passaggi).
In sintesi, la decadenza colpisce l’inerzia dell’ente impositore: se non agisce in tempo, il debito si annulla automaticamente. Per far valere la decadenza, il contribuente deve eccepirla in sede di ricorso o opposizione: il giudice, verificato il superamento del termine, annullerà la cartella o l’atto tardivo. Ad esempio, se ricevo nel 2024 una cartella per IRPEF 2017 da dichiarazione non versata, eccepirò che la cartella è tardiva (avrebbe dovuto arrivare entro il 31/12/2020); la Commissione Tributaria, accertato ciò, annullerà la cartella per intervenuta decadenza del diritto di riscossione.
Termini di prescrizione (estinzione del debito per inattività)
La prescrizione è l’istituto generale in base al quale un diritto si estingue se il titolare non lo esercita entro un determinato periodo di tempo. Nel nostro contesto, significa che il diritto di credito del Fisco si estingue se la riscossione non viene effettuata (o sollecitata con atti interruttivi) entro il termine di legge, che varia a seconda della natura del credito. A differenza della decadenza – legata a un singolo atto e a termini spesso brevi – la prescrizione riguarda l’inerzia protratta dopo che il debito è divenuto esigibile (ad esempio dopo la notifica della cartella o la scadenza di un accertamento definitivo).
I termini di prescrizione applicabili ai debiti fiscali e affini li abbiamo anticipati nel capitolo precedente per ciascuna tipologia. Possiamo riassumerli così, in via generale:
- Tributi erariali (imposte statali): 10 anni dalla data in cui il tributo è definitivamente accertato (o dalla scadenza di pagamento se autodichiarato). Rientrano qui IRPEF, IRES, IVA, IRAP, imposte di registro, successione, canone Rai, ecc. La Cassazione a Sezioni Unite ha confermato nel 2024 che per i tributi erariali il termine è decennale, non essendo obbligazioni periodiche.
- Tributi locali periodici (IMU, TARI, ecc.): 5 anni, in quanto considerati obbligazioni di carattere periodico annuale. (Bollo auto: 3 anni per legge speciale).
- Contributi previdenziali obbligatori (INPS, INAIL): 5 anni, per previsione di legge e conferma giurisprudenziale.
- Sanzioni amministrative e interessi (tributari e non): 5 anni, salvo che siano sfociati in un titolo giudiziario. Le sanzioni tributarie, ad esempio, sono per legge quinquennali (art. 20 D.Lgs. 472/1997). Una multa stradale non pagata si prescrive in 5 anni dal momento in cui è divenuta definitiva, a meno che intervenga un giudice (ad es. il giudice di pace annulla parzialmente la multa e ingiunge un importo: in tal caso, quell’ordine sarebbe titolo con prescrizione decennale).
- Altri crediti erariali (es. da sentenze di danno erariale, ripetizione indebiti pensionistici): in genere 10 anni (trattandosi di diritti patrimoniali dello Stato non periodici, salvo diversamente disposto).
La prescrizione decorre tipicamente dalla data in cui il credito poteva essere azionato. Nella pratica della riscossione, spesso si considera la data di notifica della cartella esattoriale come dies a quo: dopo la notifica della cartella, se per 5 o 10 anni (a seconda del credito) il concessionario non compie alcun atto di riscossione, quel debito si prescrive.
Interruzione e sospensione: La prescrizione non decorre in modo irreversibile come la decadenza – può infatti essere interrotta o sospesa. Un atto interruttivo è un atto con cui il creditore manifesta la volontà di far valere il diritto, e ha l’effetto di far “ripartire da zero” il termine di prescrizione (art. 2945 c.c.). Nel nostro ambito, costituiscono atti interruttivi: la notifica della cartella stessa, la notifica di un sollecito di pagamento intimante il pagamento del debito, la notifica di una intimazione ex art. 50 DPR 602/73, la notifica di un atto di pignoramento, iscrizione di ipoteca o fermo (secondo la giurisprudenza, anche questi atti portano a conoscenza del debitore la volontà di riscuotere). Dopo ciascun atto, il termine di 5 o 10 anni ricomincia daccapo dal giorno successivo. Esempio: cartella IRPEF notificata il 10 marzo 2015 → prescrizione 10 anni da tale data, cioè 10 marzo 2025 se nulla accade; ma se AdER invia un’intimazione il 1 febbraio 2020, il termine si interrompe e riparte da zero, andando quindi al 1 febbraio 2030 (salvo ulteriori atti). È evidente che con atti periodici l’Agente può teoricamente mantenere “in vita” il credito all’infinito; tuttavia, dal 2025 la legge di riforma della riscossione prevede lo stralcio automatico dei crediti non riscossi entro 5 anni dall’affidamento (lo vedremo a breve), il che mette un freno pratico a tali rinnovi continui.
La sospensione è invece un periodo in cui la prescrizione è temporaneamente congelata per legge. Ad esempio, durante il periodo di sospensione feriale dei termini processuali (di solito dal 1 al 31 agosto) la prescrizione non si considera decorre per i termini brevi; oppure, durante una trattativa di definizione agevolata, il termine è sospeso. Un caso importante è la sospensione legale legata al Covid: il legislatore ha sospeso i termini di prescrizione della riscossione per un certo periodo tra il 2020 e il 2021; tuttavia, la Cassazione ha chiarito che ciò non equivale a “aggiungere” in automatico 18 mesi a tutti i termini, ma bisogna valutare caso per caso. Ad ogni modo, si tratta di tecnicismi: per semplicità, supporremo che decadenze e prescrizioni indicate siano al netto di sospensioni straordinarie.
Eccepire la prescrizione: Come la decadenza, anche la prescrizione non opera d’ufficio ma dev’essere eccepita dal debitore, ad esempio nel ricorso contro un atto di riscossione o persino mediante semplice istanza in autotutela. Una volta eccepita, se il termine è decorso senza atti interruttivi validi, il giudice (o l’ente in autotutela) dichiarerà il credito estinto per prescrizione e annullerà la cartella o l’atto impugnato. C’è però una differenza: mentre la decadenza colpisce un atto (es. cartella notificata tardi) e va eccepita con un ricorso entro termini per non perdere la chance, la prescrizione matura nel tempo e può essere opposta anche in una fase esecutiva. Ad esempio, se AdER notifica un pignoramento nel 2025 per una cartella del 2010 su cui non ha mai agito prima, il debitore può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. davanti al giudice ordinario eccependo la prescrizione del credito (quinquennale o decennale) e ottenere la chiusura dell’esecuzione per intervenuta prescrizione. Dunque, non è mai “troppo tardi” per far valere la prescrizione, purché questa sia effettivamente maturata e il credito non sia stato nel frattempo azionato.
Riassunto termini principali: Nella tabella seguente riepiloghiamo i termini di prescrizione ordinari per le varie tipologie di debito verso AdER, insieme ai riferimenti normativi o giurisprudenziali:
Tipologia di debito | Termine di prescrizione | Fonte normativa/giurisprudenza |
---|---|---|
Imposte erariali (IRPEF, IRES, IVA, IRAP, ecc.) | 10 anni | Art. 2946 c.c. (termine ordinario); Cass. SS.UU. 23397/2016; Cass. SS.UU. 11676/2024 |
Imposte indirette statali (registro, successione, bollo…) | 10 anni | Art. 2946 c.c. (come sopra, natura erariale) |
Sanzioni tributarie amministrative (omessi versamenti, infedele dichiarazione, ecc.) | 5 anni | Art. 20 D.Lgs. 472/1997 (esplicito); Cass. 23397/2016; Cass. 25790/2009 |
Interessi di mora su cartelle | 5 anni | Art. 2948 n.4 c.c. (obbligazioni periodiche: interessi); Cass. 25790/2009; Cass. 27055/2022 |
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.) | 5 anni | Art. 2948 n.4 c.c.; Cass. 13683/2020; Cass. 31260/2022 |
Bollo auto (tassa automobilistica) | 3 anni | Art. 5, DL 2/1986; Cass. 9091/2018 |
Contributi previdenziali INPS/INAIL | 5 anni | L. 335/1995, art. 3, co.9; Cass. SS.UU. 23397/2016 |
Sanzioni amministrative (multe stradali, etc.) | 5 anni | Art. 28 L. 689/1981; art. 209 CdS; Cass. 11749/2019 (multe stradali) – salvo titolo giudiziale (allora 10 anni ex art.2953 c.c.) |
Eccezioni (titoli giudiziari) | 10 anni | Art. 2953 c.c. – Sentenze passate in giudicato o altri provvedimenti definitivi equiparati a giudicato trasformano il termine in decennale (es: sentenza tributaria irrevocabile che conferma un tributo, decreto ingiuntivo non opposto). |
Nota: La tabella sopra non contempla eventuali sospensioni straordinarie (es. sospensioni COVID) né il nuovo meccanismo di “discarico automatizzato” dopo 5 anni introdotto dalla riforma 2024 (che tratteremo a breve). Inoltre, per semplicità non abbiamo distinto ogni tributo locale (alcuni tributi locali minori potrebbero avere regole proprie, ad es. i diritti camerali delle Camere di Commercio sono annuali e quindi 5 anni, come da Tar Lazio 22041/2014).
Novità 2024-2025: lo stralcio automatico dei ruoli dopo 5 anni
Un intervento normativo recentissimo ha modificato lo scenario della prescrizione: si tratta del Decreto Legislativo 29 luglio 2024 n. 110 (cd. “Decreto Riscossione”) attuativo della riforma fiscale, il quale – a partire dal 1° gennaio 2025 – dispone lo stralcio automatico dei crediti affidati ad AdER che risultino non riscossi trascorsi 5 anni dall’affidamento. In pratica, la norma (art. 3 D.Lgs. 110/2024) stabilisce che per i ruoli consegnati ad AdER dal 2025 in poi, se entro il 31 dicembre del quinto anno successivo all’affidamento il credito non è stato riscosso, l’agente della riscossione procede al discarico automatico restituendo il carico all’ente creditore. Questo discarico può avvenire anche anticipatamente se AdER accerta prima dei 5 anni che il debitore è nullatenente o se interviene una procedura concorsuale (fallimento, liquidazione giudiziale) che rende inesigibile il credito. Inoltre, il discarico dopo 5 anni non si applica temporaneamente in alcune situazioni: ad esempio, se il debitore ha ottenuto una dilazione in corso, se il debito è oggetto di definizione agevolata decaduta, o se sono pendenti contenziosi o procedure concorsuali non ancora concluse (art. 4 D.Lgs. 110/2024).
L’obiettivo dichiarato di questa riforma è di evitare l’accumulo di crediti “inesigibili” all’infinito nel magazzino di AdER. Di fatto, il legislatore ha introdotto un meccanismo di “taglio” dopo 5 anni che si affianca (e in parte supera) la prescrizione civile: anche se, in teoria, un tributo erariale avrebbe 10 anni di prescrizione, l’Agente della Riscossione non potrà più conservarlo all’infinito e dovrà liberarsene dopo 5 anni se non riesce a recuperarlo. Attenzione: il discarico significa che AdER toglie il credito dal ruolo attivo restituendolo all’ente impositore, ma non equivale automaticamente a un annullamento del debito per il contribuente. Occorre capire se l’ente creditore (Agenzia Entrate, INPS, Comune…) una volta riavuta la partita possa ancora pretendere il pagamento. Su questo punto, il MEF emanerà decreti attuativi: l’idea è che trascorsi 5 anni senza recupero, il credito venga classificato come inesigibile e difficilmente verrà riaffidato, tranne forse in caso si scopra che il debitore è tornato abbiente (il decreto parla di possibili casi di “riaffidamento” delle somme discaricate). Per il debitore, dunque, sarà importante verificare dal 2025 in avanti lo stato dei propri carichi: se un debito risulta “discaricato per inesigibilità” decorso il quinquennio, è verosimile che nella sostanza non verrà più riscosso (salvo miglioramenti futuri patrimoniali che portino a un riaffido). In ogni caso, questa novità non ha effetto retroattivo generale: riguarda i carichi affidati dal 1/1/2025. Per i debiti affidati prima, restano i meccanismi tradizionali (prescrizione civilistica e i vari condoni di legge). Ci sono però stati stralci automatici mirati per i carichi passati, come vedremo (es. stralcio 2000-2015 per importi fino 1.000 euro).
Conclusione pratica su prescrizione/decadenza: Il debitore dovrebbe sempre controllare: (a) quando è stato notificato l’ultimo atto valido relativo al debito, e (b) se sono trascorsi più di 5 o 10 anni senza alcun altro atto. In caso affermativo, può eccepire la prescrizione per far cancellare il debito. Inoltre, deve verificare se l’ente creditore ha rispettato i termini di decadenza iniziali (ad esempio, una cartella arrivata fuori termine di legge è annullabile per decadenza indipendentemente dal merito). Questi rilievi possono essere sollevati tramite ricorso alle commissioni tributarie o opposizioni, come si vedrà, oppure con istanze in autotutela.
Strategie difensive e procedurali per l’annullamento dei debiti
Oltre al decorso del tempo, esistono numerose strategie difensive e strumenti procedurali a disposizione del debitore per ottenere la cancellazione (totale o parziale) di un debito verso Agenzia delle Entrate/AdER. Tali strategie vanno dall’impugnazione formale degli atti (per vizi procedurali o di merito) alle istanze in autotutela, dalle sospensioni amministrative o giudiziali fino alle definizioni agevolate (sanatorie fiscali) che condonano sanzioni e interessi. Analizziamo in dettaglio le principali opzioni, ricordando che molte di esse possono essere cumulate o alternate a seconda della situazione: ad esempio, si può contestare un debito per motivi formali, ma contemporaneamente chiedere una rateizzazione per congelare le azioni esecutive, oppure aderire a una rottamazione per chiudere il residuo dopo aver fatto annulare una parte in giudizio. Il punto di vista che terremo è sempre quello del debitore che cerca di ridurre o azzerare l’esposizione debitoria.
Vizi della cartella esattoriale e degli atti della riscossione
Le cartelle di pagamento (o gli analoghi avvisi esecutivi) sono atti amministrativi e, come tali, devono rispettare una serie di requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge. Vizi di notifica o vizi contenutistici della cartella possono renderla nulla, offrendo al contribuente un appiglio per farla annullare dal giudice. Ecco alcuni tra i più comuni vizi delle cartelle esattoriali:
- Notifica irregolare o inesistente: È forse il vizio più frequente. Se la cartella non viene notificata secondo le forme di legge (ad es., consegnata a persona non autorizzata, indirizzo errato, mancanza di invio della raccomandata informativa in caso di consegna a familiare/portiere, notifica via PEC non conforme, ecc.), essa può essere dichiarata nulla. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che la notifica è parte integrante del procedimento: una notifica viziata impedisce al debitore di avere conoscenza tempestiva dell’atto e pertanto costituisce motivo valido di ricorso. Esempio tipico: la cartella viene consegnata a un soggetto che si dichiara “convivente” ma che in realtà non lo è; il contribuente, ignaro, lo scopre anni dopo magari da un estratto di ruolo. In tal caso, in sede di ricorso può far valere la nullità della notifica originaria e far caducare la cartella. Attenzione: secondo la giurisprudenza prevalente, se il contribuente viene comunque a conoscenza dell’iscrizione a ruolo (ad es. tramite estratto di ruolo) può impugnare la cartella viziata anche oltre i termini ordinari, proprio perché la mancata notifica lo ha privato della possibilità di impugnarla prima. Su questo tema si è avuta una certa evoluzione giurisprudenziale e anche interventi della Corte Costituzionale (sent. n. 190/2023, che ha ritenuto inammissibili ma ha di fatto sollecitato il legislatore a disciplinare meglio l’impugnabilità delle cartelle conosciute solo via estratto). In pratica, oggi è ammesso ricorrere contro il ruolo/cartella appena se ne ha conoscenza documentata, se si lamenta un vizio di notifica originaria.
- Difetto di motivazione o di elementi essenziali: La cartella deve contenere la spiegazione chiara di cosa si richiede (imposta, anno, atto a monte) e la base giuridica. Se manca l’indicazione dell’atto presupposto (ad es. numero e data dell’accertamento da cui scaturisce il ruolo) o se non è chiara la ripartizione tra imposta, interessi e sanzioni, può configurarsi nullità per carenza di motivazione (ex L. 212/2000, Statuto del contribuente). Ad esempio, Cassazione ha annullato cartelle prive della indicazione delle cause del debito o delle modalità di calcolo degli interessi, ritenendole non sufficientemente motivate.
- Cartella per tributo decaduto o sanzione annullata: Se l’ente creditore iscrive a ruolo un importo per il quale era già decorso il termine di decadenza, la cartella è affetta da un vizio originario (il ruolo è illegittimo). Similmente, se il tributo o la sanzione erano già stati annullati da un provvedimento precedente (ad esempio un accertamento annullato in autotutela o da una sentenza) ma nonostante ciò viene emessa cartella, quest’ultima è nulla. In questi casi, il ricorso del contribuente verte sulla violazione di legge (aver iscritto a ruolo un credito ormai non più esigibile) e il giudice annullerà la cartella riconoscendo la decadenza o l’intervenuto annullamento.
- Vizi del ruolo o della delega: Sono più tecnici e rari, ma esistono. Ad esempio, il ruolo (l’elenco dei debiti formato dall’ente impositore) deve essere sottoscritto digitalmente dal dirigente competente; se emergesse che non vi è firma valida o che il funzionario non era legittimato, si potrebbe eccepire la nullità. Oppure, la cartella deve indicare chi è il responsabile del procedimento: la mancanza di tale indicazione è stata a lungo dibattuta se fosse causa di nullità. La Cassazione (SS.UU. n. 11722/2019) ha chiarito che l’omessa indicazione del responsabile non comporta nullità, ma resta un’irregolarità sanabile. Diverso il caso in cui manchi la firma del soggetto legittimato a emettere la cartella: se, per dire, la firma è di soggetto non autorizzato, potrebbe invalidare l’atto.
- Errata intestazione o mancanza di notifica degli atti presupposti: Se si riceve una cartella senza aver mai ricevuto l’atto precedente (ad es. un avviso di accertamento) che invece risulta indicato, si può eccepire la nullità derivata. In Commissione Tributaria si chiederà di provare che l’accertamento non fu notificato regolarmente: se il Fisco non prova la notifica, la cartella viene annullata per invalidità dell’atto presupposto (che avrebbe dovuto essere notificato, pena nullità della successiva cartella). Questo ricade più sotto il profilo “vizio proprio dell’atto presupposto”, ma con effetto di travolgere la cartella.
In generale, tutti questi vizi formali/procedurali vanno fatti valere mediante ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie) se trattasi di crediti tributari, oppure mediante opposizione al giudice ordinario se trattasi di crediti non-tributari (multe, contributi) o se si è già in fase esecutiva (lo vedremo meglio più avanti). I termini per impugnare una cartella decorrono dalla notifica e sono ordinariamente di 60 giorni (per tributi) o 30 giorni (per multe, al giudice di pace, o 40 giorni al tribunale per contributi INPS). Tuttavia, come accennato, per vizi di notifica si può fare opposizione oltre tali termini non appena si viene a conoscenza del debito, invocando l’estraneità dell’atto precedente.
Far annullare una cartella per vizi significa cancellare il debito in essa contenuto, salvo che l’ente possa emettere un nuovo atto valido (cosa impossibile se nel frattempo sono decorsi i termini di decadenza). Quindi, è una via “definitiva” di cancellazione, anche se basata su aspetti formali: ad esempio, una cartella da €50.000 annullata per notifica nulla fa sì che quel credito non possa più essere riscosso in quella forma, e se i termini di accertamento o di notifica del ruolo sono passati, il Fisco non può riprovarci.
Opposizione e ricorsi: contestare il debito in giudizio
Quando si ritiene che un debito con il Fisco non sia dovuto – per ragioni formali (vizi) o di merito (ad es. l’imposta è stata calcolata male, oppure si è già pagato) – lo strumento principale è il ricorso al giudice competente. A seconda della natura del debito, cambiano il giudice e la procedura:
- Debiti da tributi (imposte): competenza delle Corti di Giustizia Tributaria (CGT) provinciali e regionali, ossia il giudice tributario. Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (cartella, avviso, intimazione). Si tratta di un processo tributario, in cui il contribuente può far valere sia vizi formali sia motivi di merito relativi al tributo. Ad esempio, può impugnare una cartella esattoriale eccependo la prescrizione, la decadenza, la non debenza totale o parziale del tributo, errori di calcolo, ecc. Nel processo tributario si instaura un contraddittorio con l’ente impositore (Agenzia Entrate o altro ente creditore) e spesso si può chiedere anche la sospensione dell’atto se si teme un danno grave nel frattempo (vedi oltre). Dal 2023, con la riforma del contenzioso tributario (D.Lgs. 119/2022), questi giudici si chiamano CGT di primo e secondo grado (ex Commissioni Tributarie) e vi sono anche nuove regole sul giudizio di appello. Ma per il contribuente il meccanismo non è cambiato: la cartella o l’avviso vanno impugnati lì.
- Debiti da contributi previdenziali INPS/INAIL: competenza del Tribunale ordinario – sezione Lavoro, in quanto materia previdenziale. Se si riceve una cartella per contributi (soprattutto se relativa a periodi antecedenti il 2011, perché poi come detto dal 2011 in poi INPS emette avvisi propri), occorre fare un’opposizione ex art. 24 D.Lgs. 46/1999 al tribunale entro 40 giorni. Si tratta di un atto di citazione (o ricorso) in cui si spiegano i motivi dell’opposizione (prescrizione, pagamento già avvenuto, ecc.). La giurisprudenza ha ammesso, per semplificare, che se la cartella contiene sia tributi che contributi, il contribuente possa presentare doppio ricorso (in Commissione per la parte tributi, in Tribunale per la parte INPS) oppure tutto in Commissione se i contributi sono marginali – ma la scelta del foro corretto è tecnica e va valutata caso per caso. Se invece si tratta di un avviso di addebito INPS (titolo esecutivo emesso dall’INPS), quello va opposto sempre al Tribunale Lavoro in 40 giorni.
- Debiti da sanzioni amministrative (multe): competenza del Giudice di Pace (per multe stradali o altre sanzioni fino a €20.000 circa) o del Tribunale ordinario in composizione monocratica (per sanzioni più elevate, tipicamente rare via ruolo). Tuttavia, attenzione: la cartella esattoriale che riscuote una multa stradale di solito non è impugnabile davanti al Giudice di Pace se la multa originaria non fu mai contestata entro 30 giorni. In tal caso, la cartella costituisce titolo esecutivo e l’opposizione è limitata ai vizi propri o alla richiesta di verifica della notifica. Spesso, per multe, se sono decorsi più di 30 giorni dalla cartella, l’unica via è attendere eventualmente un atto esecutivo (tipo fermo amministrativo o pignoramento) e fare opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. in tribunale, eccependo magari la prescrizione quinquennale. Questo settore è complesso perché la legge 689/81 e il Codice della Strada prevedono percorsi propri: l’ideale è contestare sempre la multa all’origine, ma se si arriva alla cartella senza averlo fatto, rimangono le eccezioni di forma (notifica nulla, prescrizione maturata).
- Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (artt. 615, 617 c.p.c.): Queste sono azioni che il debitore può intraprendere quando la riscossione è già sfociata in atti esecutivi (pignoramenti, fermi, ecc.). Se ad esempio viene notificato un atto di pignoramento, il debitore – entro precisi termini – può proporre opposizione all’esecuzione (se contesta il diritto a procedere, tipicamente per prescrizione sopravvenuta o pagamento effettuato) oppure opposizione agli atti esecutivi (se contesta vizi formali del pignoramento stesso). Il giudice competente è il Tribunale civile (se il debito è tributario, comunque la Cassazione ha stabilito che il giudice ordinario può conoscere della prescrizione in fase esecutiva, trattandosi di fatto estintivo successivo, senza invadere la giurisdizione tributaria). Quindi, ad esempio, per una cartella di 10 anni fa non contestata all’epoca, se oggi arriva un pignoramento del conto, il debitore in Tribunale può far valere la prescrizione quinquennale maturata e bloccare l’esecuzione. Questa è un’ancora di salvezza finale, quando non si è agito prima.
In tutti questi procedimenti, se il giudice accoglie il ricorso/opposizione, emetterà una sentenza (o ordinanza) che annulla in tutto o in parte il debito impugnato. La sentenza della Commissione Tributaria, se definitiva, comporterà per l’ente il dovere di sgravare (cancellare) le somme annullate. La sentenza del Tribunale civile, analogamente, farà cessare la validità esecutiva della cartella per i motivi dichiarati (es: prescrizione).
Va sottolineato che la giurisprudenza recente è molto attenta a bilanciare le posizioni: ad esempio, la Corte Costituzionale nel 2025 (sent. n. 36/2025) è intervenuta su una questione di processo tributario relativa all’onere della prova in appello, ma ai fini pratici ha ribadito l’importanza di garantire al contribuente il diritto di difesa anche in appello, ad esempio in tema di produzione di documenti sulle notifiche. Questo per dire che il quadro normativo è in evoluzione, ma la tendenza è rendere il processo più equo (tra l’altro, la riforma 2022 ha introdotto il giudice monocratico in primo grado per cause fino a €3.000 e ha aperto al giudizio di revocazione per contrasto con la Cassazione).
In pratica, contestare il debito in giudizio è la strada da percorrere se si hanno argomentazioni solide di illegittimità o infondatezza. Richiede tempi e costi (un contributo unificato se il valore supera €3.000, eventuali compensi di avvocati, ecc.), ma può portare all’annullamento definitivo del debito e anche al rimborso di quanto eventualmente già pagato (se si era pagato con riserva, si può chiedere restituzione). Nei casi dubbi, a volte può convenire percorrere la via amministrativa (istanze di autotutela) o aderire a una definizione agevolata, come vedremo di seguito, specie se il contenzioso è rischioso.
Autotutela e istanza di sgravio
Non sempre è necessario arrivare davanti a un giudice per far valere le proprie ragioni: l’ordinamento consente al contribuente di rivolgersi direttamente all’ente impositore o allo stesso agente della riscossione per chiedere la correzione di errori evidenti o il ritiro (sgravio) di atti illegittimi. Questa possibilità rientra nell’istituto dell’autotutela amministrativa.
- Istanza in autotutela all’ente creditore (Agenzia delle Entrate, INPS, Comune, ecc.): Consiste in una richiesta scritta motivata in cui il debitore espone il motivo per cui ritiene il debito non dovuto (ad esempio: “Ho già pagato in data X, allego quietanza”; oppure “Il tributo è decaduto perché l’accertamento è tardivo”; o ancora “Non ero tenuto a pagare questa tassa per esenzione Y”, etc.) e chiede all’ente di riesaminare il proprio operato. L’ente ha facoltà – ma non obbligo – di annullare in tutto o in parte l’atto. L’autotutela è tipicamente utilizzata per errori palesi (doppia imposizione, scambio di persona, errore di calcolo) e in passato l’amministrazione finanziaria era restia ad annullare per vizi formali o interpretativi; negli ultimi anni, però, anche grazie a circolari interne, l’Agenzia delle Entrate e gli enti locali mostrano maggiore disponibilità a correggere atti palesemente errati. Ad esempio, Circolari come la n. 198/1998 del Ministero Finanze incentivavano l’uso dell’autotutela per evitare contenziosi inutili. In caso di accoglimento, l’ente emette un provvedimento di sgravio che comunica ad AdER per cancellare la cartella. In caso di diniego (espresso o, spesso, silenzio-assenso negato), il contribuente dovrà eventualmente procedere col ricorso giudiziario.
- Istanza di sospensione e sgravio ad AdER (art. 1, commi 537-543 L. 228/2012): Esiste una procedura particolare introdotta dal 2013 che consente di rivolgersi direttamente all’Agente della Riscossione quando si ritiene che il debito iscritto a ruolo sia indebito per cause evidenti. In pratica, il contribuente può presentare ad AdER un’istanza dichiarando, sotto responsabilità, una delle seguenti situazioni: a) pagamento già effettuato prima dell’iscrizione a ruolo; b) provvedimento di sgravio/annullamento già ottenuto dall’ente ma non ancora recepito; c) prescrizione o decadenza del credito; d) altra causa di inesigibilità (es. sentenza favorevole). AdER, ricevuta l’istanza, sospende le attività esecutive immediatamente e inoltra la pratica all’ente creditore per avere conferma. Se l’ente conferma l’irregolarità, dispone lo sgravio; se contesta, AdER comunica al contribuente il diniego e le procedure riprendono. Se l’ente non risponde entro 220 giorni, la legge prevede che il debito venga comunque annullato di diritto. Questa è una tutela forte per il contribuente introdotta dalla “legge di stabilità 2013”. In sostanza, l’assenza di risposta viene considerata assenso all’annullamento. Ecco perché è consigliabile, in casi di errori manifesti, fare ricorso a questa istanza: ad esempio, se una cartella include un tributo già pagato, allegando la ricevuta a un’istanza ex L.228/2012, si ottiene in genere la sospensione immediata e poi lo sgravio definitivo in tempi neanche troppo lunghi.
Va detto che l’autotutela non sospende i termini di ricorso: quindi, se si è prossimi alla scadenza dei 60 giorni per impugnare una cartella e si tenta la via dell’autotutela, è prudente presentare comunque ricorso per non perdere il diritto, salvo che AdER conceda la sospensione amministrativa (cosa che come visto può fare). Spesso comunque AdER, ricevuta l’istanza di sgravio in autotutela, sospende per 90+ giorni in attesa di riscontro ente.
In generale, autotutela e ricorso giudiziale possono coesistere: nulla vieta di fare istanza di autotutela e contemporaneamente – o poco dopo – fare ricorso. Se l’ente annulla in autotutela, si potrà sempre rinunciare al ricorso.
L’autotutela è particolarmente utile in situazioni come: doppie iscrizioni (cartella emessa due volte per lo stesso debito), erronea intestazione (cartella intestata a persona con codice fiscale simile, ecc.), pagamenti non incrociati (ad es. F24 correttamente pagato ma non attribuito dal sistema, capita non di rado), sgravio già deciso ma non attuato (es. vince in Commissione ma la cartella viene comunque emessa per tempi tecnici). In questi casi l’ente spesso riconosce l’errore e annulla.
Sospensione della riscossione (amministrativa e giudiziale)
Quando un debito è contestato o si è in attesa di una definizione (es. condono, rateizzazione), può essere fondamentale ottenere una sospensione delle azioni di riscossione, per evitare pignoramenti o altre misure nel frattempo. Abbiamo due macro-tipologie: la sospensione amministrativa (concessa da AdER o dall’ente) e quella giudiziale (disposta da un giudice).
- Sospensione amministrativa: L’Agente della Riscossione, su indicazione dell’ente creditore o su istanza del contribuente, può sospendere la riscossione di uno o più carichi. Esempi: se presento un’istanza in autotutela o la suddetta istanza L.228/2012, AdER sospende immediatamente per legge fino a esito (come visto, c’è obbligo di sospendere e termini per ente). Oppure, se l’ente comunica di sua iniziativa un provvedimento di sgravio, AdER sospende/esclude quel carico. Inoltre, con la richiesta di rateizzazione, AdER mette in stand-by nuove procedure esecutive sui debiti oggetto di dilazione, finché il piano di rate procede regolarmente. Anche l’adesione a una definizione agevolata (rottamazione) comporta la sospensione automatica delle azioni esecutive per i debiti “rottamati” fino alla scadenza della prima o unica rata. Dunque, molte volte l’istanza stessa che il contribuente attiva (ricorso, rate, condono) produce un effetto sospensivo de jure. Vi è poi la sospensione per provvedimento interno: in alcuni casi AdER può congelare temporaneamente la posizione anche in assenza di un obbligo di legge – ad esempio se il contribuente mostra di aver presentato un ricorso con istanza di sospensiva e l’udienza è vicina, l’agente può attendere l’esito senza procedere immediatamente a pignorare (questo però è discrezionale).
- Sospensione giudiziale: Nei ricorsi tributari, il contribuente può chiedere al giudice una sospensione dell’atto impugnato in caso di “grave e irreparabile danno” che deriverebbe dall’esecuzione dello stesso (art. 47 D.Lgs. 546/92). Tipicamente, se arriva una cartella molto pesante e AdER minaccia di eseguire, il contribuente nel ricorso chiede la sospensione; la Corte di Giustizia Tributaria fissa un’udienza cautelare entro circa 30-60 giorni e decide con ordinanza se sospendere fino a sentenza. Se concede la sospensione, AdER non potrà procedere in quell’intervallo (e se avesse avviato un pignoramento, dovrebbe arrestarsi). Nel diritto tributario non esiste l’automatica sospensione presentando ricorso (a differenza del processo amministrativo), quindi è fondamentale presentare istanza motivata e provare il “danno grave” (es. dimostrando che il pagamento toglierebbe i mezzi di sostentamento o pregiudicherebbe l’attività). Le statistiche mostrano che una percentuale significativa di sospensive viene accolta, specie quando il fumus (possibilità di vittoria) appare non trascurabile e la somma è elevata rispetto al reddito del ricorrente. Allo stesso modo, nelle opposizioni contro atti esecutivi in tribunale, il debitore può chiedere al giudice civile di sospendere l’esecuzione in corso (ex art. 624 c.p.c. per l’esecuzione nel suo complesso, ex art. 615 co.2 c.p.c. in caso di opposizione all’esecuzione prima della vendita). Ad esempio, se un immobile sta per andare all’asta, si chiede al giudice di sospendere la vendita finché non si decide sul merito dell’opposizione (magari perché si è eccepita una prescrizione che appare chiara).
Ottenere la sospensione giudiziale è cruciale per guadagnare tempo e proteggere il patrimonio mentre si discute la causa. Durante la sospensione, maturano comunque gli interessi, ma l’AdER non può proseguire con nuove azioni. Qualora né AdER né il giudice concedano sospensioni, c’è il rischio che il debitore debba subire il pignoramento e poi, in caso di vittoria, chiedere la restituzione di quanto eventualmente espropriato, con i limiti del caso.
In situazioni di emergenza, esiste anche la sospensione “ex lege”: ad esempio, quando il Governo nel 2020 bloccò tutte le attività di riscossione per alcuni mesi causa pandemia, si è avuta una sospensione generale. Oppure la legge impone che, se uno fa domanda di rateizzazione prima che inizi un’esecuzione, l’esecuzione non può partire finché è in corso la valutazione (questo di solito avviene per i nuovi debiti).
In sintesi, chi attiva una contestazione seria del debito dovrebbe anche curarsi di ottenere una sospensione, per evitare di vincere la battaglia troppo tardi. Nei capitoli successivi su definizione agevolata e rateazione vedremo come l’adesione a quelle procedure sospende di per sé le azioni esecutive.
Definizione agevolata dei debiti fiscali (Rottamazione delle cartelle)
Negli ultimi anni il legislatore italiano ha introdotto diverse misure di “pace fiscale” volte a permettere ai contribuenti di definire in maniera agevolata i debiti iscritti a ruolo. Queste misure, comunemente note come rottamazione delle cartelle (o anche “definizione agevolata dei ruoli”), consentono la cancellazione di una parte consistente del debito – generalmente sanzioni e interessi – a fronte del pagamento integrale del capitale dovuto e di una piccola quota di interessi base. Si tratta di strumenti amministrativi, cioè non richiedono l’intervento di un giudice né lo stato di insolvenza del debitore: basta presentare un’apposita domanda ed effettuare i pagamenti dovuti nei termini per beneficiare dello stralcio parziale previsto dalla legge.
Dal 2016 ad oggi si sono succedute varie edizioni: rottamazione 2016 (D.L. 193/2016), rottamazione-bis 2017 (D.L. 148/2017), rottamazione-ter 2018 (D.L. 119/2018), un “saldo e stralcio” 2019 per contribuenti in difficoltà (L. 145/2018) e infine la rottamazione-quater 2023 (L. 197/2022) attualmente in corso di attuazione. Ciascuna di queste misure aveva ambiti applicativi e condizioni leggermente diverse, ma tutte condividevano l’idea di base: paghi solo il dovuto in origine (capitale + interessi legali minimi) ed eviti sanzioni e more. Vediamo i punti salienti della Definizione agevolata 2023 (rottamazione-quater) quale esempio attuale:
- Ambito oggettivo: Debiti risultanti da carichi affidati ad AdER dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022. Questo significa praticamente la quasi totalità delle cartelle dal 2000 in poi (in rottamazione-ter l’ambito si fermava al 2017, qui è stato esteso fino a metà 2022). Sono inclusi tributi erariali, contributi previdenziali, premi INAIL, multe stradali, ecc., salvo alcune eccezioni espressamente escluse dalla legge. Le principali esclusioni: IVA all’importazione (essendo risorsa UE non condonabile per norma comunitaria), somme dovute per aiuti di Stato da recuperare, crediti derivanti da sentenze di condanna della Corte dei Conti (danni erariali), sanzioni penali e poche altre voci minori. Tutto il resto è ammesso. Per i tributi locali e le multe gestite tramite AdER, l’adesione alla rottamazione-quater era subordinata a delibera del Comune/ente entro fine gennaio 2023: quindi, se il Comune ha scelto di aderire, anche IMU/TARI e multe comunali erano rottamabili; altrimenti, no. Molti Comuni grandi hanno aderito.
- Beneficio: Aderendo, si paga solo: l’importo del debito residuo a titolo di capitale (imposta, contributo, multa base) e gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo (un piccolo tasso annuo normalmente calcolato tra scadenza e iscrizione, circa 1-3%), oltre alle spese di notifica e pochi diritti di esecuzione se maturati. Non si pagano invece: interessi di mora (quelli maturati dopo la notifica della cartella), sanzioni incluse nei carichi (tributarie o aggiuntive sui contributi) e maggiorazioni sulle multe. In pratica, ad esempio per una cartella IRPEF il cui debito iniziale era €10.000 di imposta e €4.000 di sanzioni e €2.000 di interessi, se rottamata il contribuente paga €10.000 + un piccolissimo interesse “da ritardata iscrizione” (di solito pochi percento) e risparmia €4.000 + €2.000 + ulteriori interessi di mora. Per le multe stradali, attenzione: la sanzione è l’importo base della multa stessa, che non viene abbuonato (a differenza delle sanzioni tributarie). Ciò che si annulla sono gli interessi del 10% semestrale e le maggiorazioni. Quindi, se una multa era €200 originari diventati €400 con interessi, rottamandola si pagano €200 (il “multa base”) più poche decine di euro di spese.
- Dilazione del pagamento: La rottamazione-quater permette di pagare in un massimo di 18 rate su 5 anni (2023-2027) con un leggero interesse del 2% annuo sulle rate dal 2024 in poi. Le prime due rate (scad. 31 ottobre e 30 novembre 2023) ciascuna pari al 10% del dovuto, e le restanti 16 rate trimestrali dal 2024 al 2027. Pagamenti puntuali sono cruciali: un ritardo oltre 5 giorni fa perdere il beneficio (tolleranza di 5 gg). Questa dilazione è più lunga rispetto alle rottamazioni precedenti (che si chiudevano in 2-3 anni). Inoltre, è compatibile con altre rateizzazioni: si poteva aderire alla rottamazione anche per debiti precedentemente rateizzati (con obbligo però di saldare eventuali rate scadute al 31/12/2022).
- Effetti: Con la presentazione della domanda (scaduta il 30 giugno 2023), sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza e sono sospese tutte le azioni esecutive su quei debiti. Ciò significa che AdER non può avviare nuovi pignoramenti né proseguire quelli in corso (salvo quelli già con aggiudicazione fissata) per i debiti rottamati. Se il contribuente paga tutte le rate, il debito si estingue con l’importo agevolato; se non paga (decade), i pagamenti fatti valgono come acconti sul debito originario e l’AdER riprende le azioni sul residuo non versato (reintegrando sanzioni e interessi come se nulla fosse, detratto quanto pagato). Quindi, bisogna essere certi di poter sostenere il piano prima di aderire, altrimenti si rischia di perdere il beneficio e tornare al punto di partenza – benché la legge a volte conceda “riaperture” per i decaduti (per la rottamazione-ter ad esempio fu concesso di pagare entro 2021 per rientrare). Per la rottamazione-quater, la Legge n. 197/2022 non prevedeva riammissioni, ma in sede di conversione del DL 51/2023 si è introdotta la possibilità di pagare la prima rata entro 31 ottobre 2023 (invece che 31 luglio) e di riammettere chi non paga 5 rate nei termini entro fine 2025 (questa parte in evoluzione).
Al di là dei dettagli specifici dell’edizione 2023, il concetto chiave è: la rottamazione non cancella il capitale del debito (salvo casi particolari del “saldo e stralcio 2019” di cui sotto), ma cancella tutte le penalità e gli interessi di mora. Questo in molti casi significa tagliare il debito anche del 30-50%. È particolarmente vantaggiosa per debiti molto datati, dove gli interessi di mora sono alti quasi quanto il capitale.
Saldo e stralcio 2019: Una menzione merita quella misura una tantum del 2019 rivolta ai contribuenti in difficoltà economica (ISEE fino a €20.000) prevista dalla Legge 145/2018. In quel caso, per i debiti personali (non business) relativi a omessi versamenti di imposte risultanti da dichiarazione o contributi, veniva consentito di pagare solo una percentuale del debito (16%, 20% o 35% a seconda dell’ISEE) cancellando il resto. Era quindi un condono parziale anche sul capitale. Questa misura è stata un unicum e non si è ripetuta nel 2023 (dove invece non c’è stato saldo e stralcio “per ISEE”, ma solo stralcio automatico dei mini-debiti di importo minore, vedi sotto). Oggi, nel 2025, quel saldo e stralcio è concluso, ma chi vi aveva aderito ha ottenuto fortissimi sconti se ha pagato regolarmente.
Stralcio automatico dei piccoli debiti 2000-2015: Un’altra misura di definizione agevolata recente, introdotta sempre dalla L. 197/2022, è stato l’annullamento automatico dei debiti fino a €1.000 affidati dal 2000 al 2015. In pratica, la legge di bilancio 2023 ha disposto che al 31 marzo 2023 si annullassero d’ufficio tutti i ruoli di importo residuo fino a 1.000€ risalenti a quel periodo (capitale + sanzioni + interessi). Con l’eccezione di alcune tipologie (anche qui escluse IVA UE, aiuti di Stato, sanzioni penali). Questo stralcio è avvenuto in automatico: il contribuente non doveva fare nulla e ad AdER è stato ordinato di cancellare quei crediti (in parte se il creditore locale non ha deliberato diversamente: Comuni potevano scegliere di non stralciare sanzioni e interessi delle proprie entrate). Il risultato è che milioni di piccole cartelle vecchie sono state azzerate ad aprile 2023, alleggerendo il carico. Dunque, se un debitore aveva vecchie cartelle di modesto importo, oggi potrebbe ritrovarsele sparite per legge. Questo stralcio è complementare alla rottamazione-quater: quest’ultima escludeva infatti quei debiti in quanto già destinati all’annullamento automatico.
Definizione agevolata delle liti tributarie: un cenno va fatto anche se esula un po’ dal focus “Agenzia Entrate Riscossione”, alla misura parallela offerta dalla stessa L.197/2022 per chi aveva contenziosi tributari pendenti. Era possibile definire con pagamento ridotto le cause in corso (ad esempio pagando il 90%, 40%, 15% o 5% del valore a seconda se si era perso o vinto nei precedenti gradi). La Corte Costituzionale ha giudicato legittima questa definizione agevolata, respingendo dubbi di disparità. Chiuse le adesioni nel 2023, oggi quelle liti definite si estinguono con pagamento facilitato. Questo strumento non cancella il debito via prescrizione o insolvenza, ma con una transazione legale. È importante sapere che esistono state queste opportunità di chiudere le liti e i debiti fiscali in via transattiva senza arrivare a fine giudizio.
Riassumendo, la definizione agevolata/rottamazione è una via di mezzo tra pagare tutto e non pagare nulla: consente un risparmio consistente, evita contenziosi e blocca subito le azioni esecutive. Dal punto di vista del debitore è ideale se: il debito è riconosciuto come dovuto (quindi poche chance di annullarlo del tutto in giudizio), ma è gravoso per via di aggiunte; se si dispone delle risorse (o le si avrà) per pagare il capitale; e se si preferisce la certezza della riduzione allo sconto incerto di una causa. Dal punto di vista dell’Erario, è un recupero accelerato di crediti che altrimenti forse non incasserebbe (perché troppe spese e opposizioni). Nel 2025, l’ipotesi di nuove rottamazioni è incerta: quella 2023 era collegata al post-pandemia e alla riforma fiscale. Potrebbero essercene in futuro, ma non vi è garanzia.
“Saldo e stralcio” e transazioni sul debito
Abbiamo già descritto il Saldo e Stralcio 2019 come misura legislativa straordinaria. Al di fuori di quel contesto, spesso si parla di “saldo e stralcio” intendendo una trattativa privata con il creditore per pagare una parte del dovuto a saldo dell’intero debito. È importante chiarire che, al di fuori delle procedure concorsuali o delle definizioni agevolate di legge, non esiste un diritto del contribuente di ottenere un saldo e stralcio. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può autonomamente accordare riduzioni di imposta: deve riscuotere quanto affidato. Dunque, non è possibile ad esempio dire “ho 50.000€ di cartelle, ne pago 10.000 se voi chiudete la partita”: AdER non ha potere di accettare una proposta simile. Le uniche situazioni in cui un vero saldo e stralcio è possibile sono:
- Procedure concorsuali giudiziali (ne parleremo nel prossimo capitolo): in un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione o piano del consumatore si può proporre ai creditori (incluso il Fisco) un pagamento parziale e il restante debito viene stralciato con l’omologazione del giudice. In tal caso c’è la cosiddetta transazione fiscale (art. 182-ter L.F. e ora art. 63 CCII) in cui l’Erario può accettare di essere pagato pro quota. Se i creditori (o il giudice nel caso di piano del consumatore) approvano, si ha una riduzione legale del debito.
- Definizioni agevolate di legge: quelle appunto descritte (rottamazioni, stralci automatici) che sono in sostanza dei saldo e stralcio normativi, dove la legge fissa quanto paghi e cosa viene condonato.
Fuori da questi ambiti, talvolta gli enti creditori possono rinunciare a crediti di modesta entità o inesigibili, ma si parla di importi minimi (ad esempio taluni Comuni rinunciano a riscuotere coattivamente sanzioni sotto una certa soglia per ragioni di economicità). AdER invece non può accettare pagamenti parziali liberatori senza una norma o un ordine del creditore.
Insomma, il “saldo e stralcio volontario” non è ammesso nel nostro sistema: o paghi tutto (magari a rate), o sfrutti uno strumento di legge. Questo è bene chiarirlo, perché molti sperano di “pattare” con il Fisco come si fa con una banca per un debito, ma non è contemplato. L’unica eccezione è, come detto, passare da una procedura concorsuale (il che implica coinvolgere il tribunale e magari essere insolventi conclamati).
Rateizzazione del debito
Se il debito non può essere cancellato né ridotto, resta comunque la possibilità di dilazionarne il pagamento in comode rate, evitando così le misure esecutive immediate e distribuendo l’esborso nel tempo. La rateizzazione di cartelle e avvisi esecutivi è disciplinata dall’art. 19 DPR 602/1973, recentemente modificato dal D.Lgs. 110/2024, ed è uno strumento cruciale per i debitori in difficoltà. Pur non trattandosi di una “cancellazione” del debito, la rateazione spesso si accompagna ad altre soluzioni (es. rinuncia al ricorso in cambio di rate lunghe, o combinata con rottamazione su altre parti del debito). Vediamo i punti essenziali aggiornati al 2025:
- Chi può chiedere la rateizzazione: Qualsiasi debitore (persona fisica o società) che si trova in temporanea difficoltà economica nel pagare in unica soluzione può chiedere un piano di rate. Non serve essere nullatenenti o insolventi gravi: basta dichiarare di avere una situazione di obiettiva difficoltà a pagare in unica soluzione.
- Importi e durate: Dal 2025, sono state ampliate le durate massime. Si distinguono due tipi:
- Rateazione ordinaria: concessa per debiti complessivi fino a €120.000 (soglia aumentata dal precedente €60.000) su semplice richiesta senza bisogno di documentare il reddito. La durata massima ordinaria è stata portata gradualmente fino a 10 anni: in particolare, per richieste fatte nel 2025-2026 si possono avere fino a 84 rate mensili (7 anni), nel 2027-2028 fino a 96 rate (8 anni) e dal 2029 in poi fino a 108 rate (9 anni). Tuttavia, il decreto prevede che per i debiti fino a 120 mila l’agente possa concedere anche direttamente fino a 120 rate (10 anni) valutando la situazione – in pratica, sembrerebbe introdotta una flessibilità: sicuramente, almeno 7 anni si ottengono, e progressivamente di più negli anni successivi, con l’obiettivo di arrivare a 10 anni come standard.
- Rateazione straordinaria: per debiti oltre €120.000, o per debiti di qualunque importo in casi di grave e comprovata difficoltà. Richiede di presentare indici patrimoniali (per le imprese) o ISEE per le persone fisiche, per dimostrare che non si riesce a pagare con rate ordinarie. La durata massima straordinaria resta 120 rate mensili (10 anni). La novità è che anche in questi casi il decreto ha modulato la gradualità: ad esempio per debiti poco sopra 120k si può ottenere un numero di rate leggermente inferiore inizialmente, aumentando poi (forse simile allo schema di 85-97-109 rate menzionato nel decreto). In ogni caso, 10 anni è il tetto massimo previsto dalla legge delega.
- Procedura: La domanda si presenta online sul sito AdER (servizio “Rateizza Adesso”) oppure tramite modulo in caso di procedura tradizionale. Fino a €120.000 la domanda è automaticamente accolta (“rateizzazione a semplice richiesta”) senza bisogno di allegare documenti finanziari. Oltre soglia, bisogna allegare documentazione (bilanci, ISEE > la soglia attuale è ISEE oltre €20.000 serve). AdER verifica gli indici di liquidità o l’ISEE e concede il piano se risultano sotto certi parametri (es. rate > 1/5 del reddito disponibile). Se rifiuta, si può fare reclamo e presentare nuove prove.
- Effetti della rateazione: La concessione del piano di dilazione comporta l’immediata sospensione di nuove azioni esecutive da parte di AdER sui debiti inclusi. Gli eventuali fermi amministrativi già iscritti permangono finché non si paga una certa parte (di solito bisogna pagare almeno 10% per chiederne la revoca), mentre i pignoramenti in corso possono essere sospesi dall’agente se il creditore non si oppone (di solito AdER, in presenza di pignoramento avviato, chiede come condizione il pagamento di un acconto prima di revocarlo, ma formalmente la legge consente di dilazionare anche a pignoramento avviato, se non c’è già un’assegnazione). Importante: la rateizzazione sospende i termini di prescrizione per tutta la durata del piano, il che significa che il “conto alla rovescia” dei 5 o 10 anni si ferma e riprende solo in caso di decadenza dal piano.
- Decadenza dalla rateazione: Avviene se non si pagano 2 rate consecutive (prima del 2022 erano 5, poi ridotte a 2 con il DL 146/2021). Quindi saltare due rate di fila fa perdere il beneficio. In caso di decadenza: riprendono gli interessi di mora su tutto, AdER può ripartire col recupero e non è ammessa una nuova dilazione salvo – novità del 2022 – la possibilità di ottenere la riammissione una sola volta pagando tutte le rate scadute. C’è anche la possibilità di chiedere un piano di rateizzazione nuovo sui residui se nel frattempo non sono cambiate le condizioni, ma serve ricominciare l’iter (in passato, se decadevi dovevi pagare tutto o aspettare 2 anni per nuova rateazione; ora hanno tolto questo vincolo, permettendo di rateizzare di nuovo anche dopo decadenza, ma occorre pagare un 20% subito). Il D.Lgs. 110/2024 ha anche qui introdotto flessibilità: nel 2025 è possibile per chi era decaduto entro il 2024 richiedere una nuova dilazione entro il 30 aprile 2025 pagando le rate scadute.
- Interessi di dilazione: Sulle rate si pagano interessi calcolati al tasso legale di dilazione (che non è quello di mora). Attualmente il tasso di rateizzazione è attorno al 3-4% annuo. Nel 2024 c’è stato un aggiornamento con DM Economia per uniformarlo. Questo incide sui piani lunghi: su 10 anni si pagheranno interessi aggiuntivi, ma comunque inferiori agli interessi di mora che scatterebbero altrimenti.
- Compatibilità con rottamazione: Si può rateizzare un debito rottamato? No, non oltre le rate previste dalla legge di rottamazione (quelle rate non rientrano in art.19). Ma se uno è decaduto da rottamazione, può chiedere rateazione sul residuo tornato esecutivo (perdendo però benefici condono). Inoltre, la legge 197/2022 consente di rateizzare eventuali importi dovuti a seguito di definizione di avvisi bonari, ma sono casi specifici.
In conclusione, la rateizzazione non cancella nulla, ma è spesso l’unico modo per rendere sostenibile il pagamento e soprattutto per fermare le azioni esecutive. Molti debitori la usano come “piano di rientro” spontaneo: ad esempio, rinunciano a contestare il debito (magari perché effettivamente dovuto) e preferiscono chiedere 8-10 anni di tempo. Con le novità 2025, la rateazione sarà ancora più generosa in termini di durata massima e soglie, in linea con l’idea di dare respiro e al contempo evitare stratificazione di crediti impagati.
Vale la pena sottolineare che la rateizzazione è spesso un prerequisito per accedere ad altre opportunità: ad esempio, se in futuro esce una rottamazione, di solito possono aderirvi anche i contribuenti che stanno rateizzando (salvo decaduti). Inoltre, tenere un debito “a rate” impedisce ad AdER di iscrivere nuove ipoteche o fermi. Se un contribuente possiede un bene che vuole vendere, avere il debito rateizzato e certificato (DURC fiscale regolare se in rate) può agevolare, perché il creditore potrebbe acconsentire alla cancellazione del vincolo in cambio del pagamento del residuo.
Tabelle riepilogative – Strumenti e soluzioni: Riassumiamo in una tabella i principali strumenti difensivi/procedurali e il loro effetto sul debito:
Strumento | Effetto sul debito | Vantaggi | Limiti |
---|---|---|---|
Ricorso / opposizione giudiziale (Commissione Tributaria, Tribunale ecc.) | Annullamento totale o parziale del debito se accolto (es: annullamento cartella, sgravio) | Cancella il debito riconosciuto illegittimo; fa giurisprudenza; può portare a rimborso somme | Tempi lunghi; esito incerto; costi di lite; bisogna eccepire entro termini (salvo eccez. prescrizione) |
Eccezione di prescrizione/decadenza (in ricorso o opposizione) | Estinzione del debito per legge se riconosciuta (prescrizione maturata o atto decaduto) | Debito annullato definitivamente; eccepibile anche tardivamente (prescriz.) | Necessaria inattività Fisco per anni; va provata la mancanza di atti interruttivi; autorità deve confermarla |
Autotutela e istanza di sgravio (all’ente o ad AdER) | Annullamento amministrativo del debito (sgravio totale/parziale) | Risolve senza processo; tempi più brevi; nessun costo; sospende riscossione se L.228/2012 | Facoltà e non obbligo per l’ente; in caso di diniego si perde tempo; non opponibile se rifiutano |
Sospensione amministrativa (AdER) | Congelamento temporaneo della riscossione (il debito resta) | Evita pignoramenti durante verifiche o definizioni; facile da ottenere se condizioni rispettate | Temporanea, il debito rimane da risolvere; serve causa pendente o motivo riconosciuto |
Sospensione giudiziale (sentenza/ordinanza) | Blocco legale dell’esecutività dell’atto fino a decisione | Protegge il patrimonio nell’attesa; pressa l’ente a trattare; concessione rapida (in 2 mesi) | Requisiti di danno grave; non elimina il debito, solo rinvia; se causa persa, esecuzione riprende |
Definizione agevolata – Rottamazione | Stralcio sanzioni e interessi; pagamento solo del capitale (con ridotti interessi base) | Riduzione consistente (spesso 30-50%); nessuna lite; rate pluriennali; sospende esecuzioni | Non abbatte il capitale; richiede comunque pagamento; decadenza se no pagamento; non sempre aperta (finestre legislative) |
Stralcio automatico mini-debiti | Annullamento integrale per legge dei piccoli importi | Cancellazione senza sforzo (a costo zero per debitore) | Solo per importi < €1000 e periodi specifici (2000-15); misura straordinaria attuata nel 2023 |
Saldo e stralcio concorsuale (piano del consumatore, concordato, ecc.) | Pagamento parziale del debito con esdebitazione del residuo non pagato | Riduzione anche del capitale; debito completamente cancellato a fine procedura (se esdebitazione) | Necessario stato di crisi/insolvenza e omologa in tribunale; tempi medio-lunghi; costi procedura |
Rateizzazione (piano di dilazione) | Nessuno stralcio, ma pagamento dilazionato (fino 10 anni) | Evita immediata escussione; rende sostenibile l’importo; preserva regolarità fiscale (DURC) | Debito pagato integralmente con interesse; decadenza se 2 rate saltate; impegno prolungato |
Transazione extra-giudiziale (accordo privato) | Non prevista (salvo ente locale per spese > entrate) – non applicabile per AE/Riscossione | Nessuno | AE/AdER non possono ridurre il debito senza norma o sentenza |
Con questo quadro, il debitore può scegliere la combinazione di strumenti più adatta. Ad esempio: contestare in giudizio le cartelle viziate e rottamare quelle corrette ma onerose; oppure rateizzare quelle escluse da rottamazione; oppure, se la situazione è insostenibile nel complesso, valutare l’accesso a una procedura di sovraindebitamento per stralciare anche il capitale.
Nei capitoli successivi affronteremo proprio tali procedure concorsuali applicabili ai debiti fiscali, come ultima risorsa (ma potentissima) per il debitore che non riesce altrimenti a far fronte ai propri obblighi tributari.
Procedure concorsuali e di esdebitazione applicabili ai debiti fiscali
Quando un debitore si trova in una condizione di grave crisi finanziaria o insolvenza, gli strumenti difensivi ordinari potrebbero non bastare: se il debito complessivo è troppo elevato per essere pagato, anche in forma agevolata o rateale, la legge offre la possibilità di ricorrere a procedure concorsuali giudiziarie. Queste procedure – essenzialmente il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) per le imprese e le procedure di sovraindebitamento per i soggetti non fallibili – consentono di affrontare tutti i debiti insieme sotto controllo del tribunale, arrivando in molti casi a una cancellazione definitiva (esdebitazione) dei debiti residui al termine del procedimento. I debiti verso l’Agenzia delle Entrate e AdER, pur avendo alcune peculiarità (come privilegi su parte di essi), possono essere inclusi in queste procedure e subire decurtazioni o essere del tutto cancellati. Analizziamo le principali procedure oggi vigenti, anche alla luce della recente riforma avvenuta col Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022), che ha innovato termini e istituti.
Sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore e liquidazione controllata
Il termine sovraindebitamento indica la situazione di perdurante squilibrio tra i debiti di un soggetto e il suo patrimonio liquidabile, tale da rendere impossibile pagare con regolarità tutti i creditori. La Legge 3/2012 introdusse per la prima volta in Italia procedure ad hoc per i debitori civili (privati non fallibili, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up innovative, enti non commerciali, ecc.). Oggi quelle procedure sono state inglobate e in parte modificate dal nuovo Codice della Crisi (CCII) che parla di “Composizione della crisi da sovraindebitamento” (Titolo IV, Capo II CCII). Le principali vie offerte sono:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”): riservato ai debitori persone fisiche che non sono imprenditori (o che lo sono stati ma hanno cessato l’attività da almeno un anno). Il consumatore, cioè colui che ha debiti personali (verso fisco, banche, privati) derivanti non da attività d’impresa, può proporre un piano ai creditori che non richiede il voto di questi: è il giudice che valuta la fattibilità e soprattutto la “meritevolezza” del consumatore. Se il giudice ritiene che il debitore abbia agito senza frode o colpa grave nell’indebitarsi, può omologare il piano anche senza consenso dei creditori. Il piano consiste in un pagamento parziale dei debiti in proporzione alle risorse del debitore, con eventualmente stralcio di quote di debito. Può prevedere pagamenti rateizzati nel tempo utilizzando redditi futuri, e anche la liquidazione parziale di beni non essenziali. Ad esempio, un consumatore con 100.000€ di debiti (tra cui debiti fiscali e prestiti) e uno stipendio modesto potrebbe proporre di pagare 500€ al mese per 5 anni (totale 30.000€) da ripartire tra i creditori, impegnandosi a cedere magari il quinto dello stipendio e conservando il minimo vitale per sé. Se il giudice verifica che con 30.000€ si paga almeno quello che i creditori otterrebbero da un’alternativa liquidatoria e che il debitore è di buona fede, omologa il piano. Effetto: i creditori sono obbligati a accontentarsi di quanto previsto e il residuo €70.000 viene cancellato (esdebitato) a fine piano. Nel piano del consumatore, i debiti fiscali possono essere inclusi e falcidiati (anche l’IVA può essere falcidiata, grazie all’evoluzione normativa e giurisprudenziale: il divieto di falcidia IVA, prima presente, è stato rimosso dal Codice della Crisi in coerenza con la Corte Cost. 245/2019 e con la giurisprudenza comunitaria che ora lo consente). Quindi il consumatore può proporre di pagare il fisco solo in parte come gli altri chirografari. Non serve transazione fiscale separata perché nel piano del consumatore non vi è voto dei creditori.
- Concordato minore (ex “accordo di composizione dei debiti”): è la procedura destinata ai debitori diversi dal consumatore che non superano le soglie di fallibilità (imprenditori sotto soglia, professionisti, ditte individuali, start-up, imprenditori agricoli, enti non profit, etc.). In pratica, se un piccolo imprenditore artigiano è sovraindebitato, non può accedere al concordato preventivo classico perché non è “fallibile”, ma può ricorrere a questo concordato minore. Funziona in modo simile a un concordato preventivo: il debitore propone un accordo di ristrutturazione in cui si impegna a pagare ai creditori una certa percentuale sui loro crediti (in base alle sue possibilità) e i creditori vengono chiamati a votare. Serve l’approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (esclusi eventuali crediti privilegiati che vengono soddisfatti integralmente o secondo le regole, e altri non votanti). Una volta raggiunta la maggioranza e se il tribunale omologa riscontrando convenienza per i creditori dissenzienti, l’accordo è vincolante per tutti. In sostanza, è un concordato preventivo semplificato per piccoli soggetti, e infatti sostituisce il vecchio “accordo di composizione” della legge 3/2012. Il trattamento dei debiti fiscali nel concordato minore: il Codice della Crisi prevede che non è obbligatorio presentare una transazione fiscale separata (come invece richiesto nel concordato preventivo ordinario se si intende falcidiare l’IVA o le ritenute, art. 63 CCII). Quindi anche qui l’IVA può essere falcidiata in base al principio generale (purché si offra almeno quanto il Fisco otterrebbe liquidando i beni su cui ha privilegio). Il Fisco partecipa al voto come creditore e può essere crammato (vincolato) dalla maggioranza se dissente, a condizione che il trattamento offertogli non sia inferiore al valore di realizzo in una liquidazione (questa regola del “best interest of creditors” è fondamentale e vale per tutti i creditori: in altre parole, non puoi offrire al Fisco lo 0% se in caso di liquidazione giudiziale recupererebbe il 20% dal realizzo di beni su cui ha privilegio – devi dargli almeno quel 20%). Se il concordato minore va a buon fine e il debitore esegue ciò che ha promesso (pagando magari il 30% di ogni credito chirografario ad esempio), il tribunale dichiara l’esdebitazione e tutti i debiti residui sono cancellati.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”): è l’equivalente del fallimento ma per i soggetti non fallibili o per i consumatori che vi accedono volontariamente o su iniziativa dei creditori. In pratica, il debitore (o i creditori) chiedono al tribunale di liquidare tutto il patrimonio disponibile del debitore sotto la guida di un liquidatore nominato (spesso l’Organismo di Composizione della Crisi – OCC). Si vendono beni, si ripartisce il ricavato tra i creditori secondo le cause di prelazione (quindi il Fisco prenderà per primo sulle somme fino a capienza di privilegio per IVA, ritenute, ecc., poi vengono gli altri privilegiati, poi gli chirografari). Al termine della procedura, se il debitore è una persona fisica, può ottenere l’esdebitazione di tutti i debiti rimasti insoddisfatti. La liquidazione controllata è in sostanza identica al vecchio fallimento (tanto che molti la chiamano “il fallimento del consumatore”), con la differenza che la può chiedere anche il debitore volontariamente per liberarsi dei debiti, e che vi accedono soggetti prima esclusi (consumatori, piccoli imprenditori). Durante la procedura, i creditori non possono agire individualmente (c’è il blocco delle azioni esecutive). Il ruolo dell’OCC o del liquidatore è di gestire la cessione dei beni. I debiti fiscali nella liquidazione vengono trattati come in un fallimento: alcuni sono privilegiati (IVA, ritenute, contributi – privilegio generale mobiliare ex artt. 2752 e 2753 c.c. – e ipotecari se ci sono su immobili), quindi partecipano come privilegiati; altri come chirografari (es. sanzioni tributarie, interessi, multe stradali non coperte da privilegi). Alla fine, tipicamente i crediti privilegiati vengono pagati in parte e i chirografari poco o nulla. Ciò che non viene pagato, rimane insoddisfatto ma… non è più esigibile se viene concessa l’esdebitazione.
In aggiunta a queste tre vie principali, il Codice della Crisi ha introdotto una quarta opzione importante:
- Esdebitazione del debitore incapiente (anche detta “esdebitazione senza utilità”, art. 283 CCII): è una novità assoluta. Consente al debitore persona fisica meritevole che non ha alcun patrimonio né capacità di offrire nulla ai creditori, di ottenere comunque l’esdebitazione di tutti i debiti. In pratica, se uno è nullatenente e proprio non può proporre né un piano né offrire beni da liquidare, può chiedere al tribunale l’esdebitazione immediata. Viene spesso chiamata “fresh start” o procedura di esdebitazione del debitore incapiente. Le condizioni: aver diligentemente cercato una soluzione (di solito bisogna prima aver provato a vedere se un piano o liquidazione è fattibile e risulta che non c’è nulla da dare), essere meritevole (no frodi, no spese voluttuarie sproporzionate che han causato il debito, ecc.), non avere prospettive di miglioramento a breve. Se concessa, questa misura cancella tutti i debiti subito (tranne alcune eccezioni come alimenti, risarcimenti da illecito extracontrattuale e debiti eventualmente esclusi dal giudice). Per 4 anni successivi, però, se il debitore ottiene redditi sopra una certa soglia, deve pagare i creditori in proporzione fino a concorrenza del debito (una sorta di “condizione risolutiva parziale”). Se trascorsi i 4 anni non è emersa alcuna utilità, la liberazione diventa definitiva. Questa è davvero l’ultima spiaggia per chi è sommerso dai debiti (fiscali e non) e non possiede nulla – consente di ripartire da zero. Anche i debiti fiscali sono compresi (lo stesso Codice prevede che si possa chiedere esdebitazione incapiente anche con debiti erariali, il fisco ovviamente non viene pagato ma la legge glielo impone). Ovviamente, deve trattarsi di soggetti in situazioni quasi disperate, e l’istituto può essere utilizzato solo una volta nella vita (al massimo due volte, con almeno 5 anni di distanza, secondo le modifiche in corso).
Passando alla vecchia terminologia per chiarezza: ciò che era chiamato “fallimento” ora nel Codice è liquidazione giudiziale, e l’esdebitazione post-fallimentare di cui all’art. 142 L.F. è ora trasfusa negli artt. 278-281 CCII. I concordati preventivi per soggetti maggiori rimangono (artt. 84 e ss CCII) ma per i piccoli sono rimpiazzati dal concordato minore. La legge 3/2012 è stata abrogata ma i suoi strumenti continuano in forma aggiornata.
I debiti fiscali e contributivi in procedure concorsuali: Qualche regola specifica da evidenziare:
- Il Fisco ha privilegio generale per IVA, ritenute non versate e contributi INPS, quindi in liquidazione prende prima di chirografari su attivo mobiliare (e ipoteca se ce l’ha su immobili). In un concordato, ciò significa che devi almeno soddisfare questi crediti privilegiati in misura non inferiore a quanto otterrebbero liquidando i beni su cui insite il privilegio (spesso richiede pagarli in percentuale >0, a meno che il patrimonio libero sia zero). Tuttavia, è possibile degradare parte del loro importo a chirografario se la garanzia patrimoniale è insufficiente (art. 109 CCII): esempio, se ho 100 di debiti IVA privilegiati ma asset che darebbero 30, i restanti 70 possono essere trattati come chirografari e falcidiati.
- Le sanzioni amministrative (tributarie e non) sono considerate chirografarie puri (nessun privilegio) e spesso equiparate a crediti postergati (in alcuni concordati i giudici le considerano al livello più basso, in quanto di natura punitiva). Ciò vuol dire che in procedure concorsuali le sanzioni fiscali possono essere totalmente discharged anche se i crediti fiscali principali vengono pagati parzialmente.
- L’esdebitazione a fine procedura non si applica per legge ad alcuni debiti specifici: in particolare, debiti per mantenimento/alimenti dovuti per legge, multe penali e sanzioni per reati, danni da fatto illecito extracontrattuale (se il creditore ha chiesto esclusione), obblighi di restituzione di finanziamenti abusivi ai soci. I debiti tributari non rientrano tra le esclusioni (a parte eventuali sanzioni penali pecuniarie). Un tempo c’era dubbio se esdebitazione liberasse da debiti IVA (per via del divieto falcidia), ma ormai è pacifico che sì, una volta concessa l’esdebitazione, cancella anche IVA e altre imposte rimaste insolute. Quindi il debitore persona fisica esdebitato esce pulito anche verso il fisco, salvo che abbia commesso reati fiscali (ma lì parliamo di sanzioni penali, altra storia).
- Per le società, va detto, l’esdebitazione in senso proprio non esiste perché una società che chiude in liquidazione giudiziale viene cancellata dal registro imprese e cessa di esistere – non c’è bisogno di liberarla dai debiti residui, semplicemente i creditori insoddisfatti non possono più rifarsi perché il soggetto giuridico è estinto. La novità del Codice è la possibilità (non ancora in vigore a giugno 2025, ma se ne parla nel terzo correttivo) di un’esdebitazione dell’imprenditore estesa anche ai soci illimitatamente responsabili o a soci di SNC fallite. Ma in generale, la persona fisica meritevole è l’unica che può ottenere un provvedimento formale che la libera dai debiti rimasti.
Vantaggi e svantaggi concorsuali: Il vantaggio ovvio è che tramite queste procedure si possono tagliare drasticamente i debiti, ben oltre quanto con le definizioni agevolate. Si può arrivare anche a pagare zero (nei casi di esdebitazione incapiente) o comunque a pagare solo quello che si può permettere, ottenendo la cancellazione di decine o centinaia di migliaia di euro di esposizioni. Inoltre, durante la procedura si è protetti (in gergo, c’è l’automatic stay delle azioni esecutive), quindi il Fisco non può fare nuove cartelle né pignoramenti: deve presentare domanda di credito al procedimento e stare alle regole lì. Gli svantaggi sono: la procedura concorsuale richiede l’intervento di un OCC o di professionisti (quindi qualche costo professionale c’è, anche se spesso commisurato alle possibilità del debitore), inoltre sottopone il debitore a controlli sulla sua condotta passata (la meritevolezza). Se risultano atti in frode o mala fede, il giudice può non omologare il piano o non concedere l’esdebitazione. Ad esempio, se un debitore ha accumulato debiti fiscali evadendo scientemente tasse, non pagando dipendenti e magari distraendo beni, potrebbe vedersi negare l’esdebitazione per indegnità. In caso di diniego, i debiti restano, quindi è un rischio. In genere comunque le procedure cercano di dare la seconda chance se non ci sono state frodi grossolane o reati gravi.
Un altro aspetto: l’accesso a queste procedure può comportare la cessione dei beni di pregio del debitore. Nel piano del consumatore di norma si tengono i beni necessari, ma qualcosa va messo sul piatto (se possibile). Nella liquidazione, si perde tutto il non impignorabile. Quindi se uno possiede casa (non prima casa lussuosa perché pignorabile in concorsuale sì, la regola di impignorabilità AdER non vale in concorso), auto, risparmi, dovrà sacrificarli, salvo accordi diversi col piano.
Integrazione con altre soluzioni: Procedura concorsuale e definizioni agevolate di AdER sono mutualmente esclusive in parte – se sei in concordato, non puoi fare rottamazione parallela a meno di includerla nel piano stesso. Spesso se la situazione è recuperabile, meglio rottamare e rateizzare; se è disperata, meglio sovraindebitamento e tagliare tutto. Ci sono casi in cui prima si prova la rottamazione (perché più semplice e extragiudiziale) e se non si riesce a sostenere, poi si ricorre alla procedura concorsuale come ultima istanza.
Esempio pratico: Un piccolo imprenditore edile ha €300.000 di debiti con AdER (IVA, IRPEF e contributi di ex dipendenti) e €100.000 con banche. Il lavoro è calato e non può pagare né rottamazione (dovrebbe pagare comunque magari €200k di capitale). Attraverso un concordato minore, potrebbe proporre di liquidare i pochi mezzi aziendali e pagare nei 4 anni successivi, con commesse sperate, un totale di €80.000 a tutte le classi di creditori, dimostrando che in caso di fallimento prenderebbero forse €50k. Se i creditori (banche e fisco) approvano (o anche se Fisco dissente ma banche approvano e globalmente c’è maggioranza), il tribunale omologa e lui paga gli €80k in 4 anni. A completamento, viene esdebitato dei restanti €320.000 circa. Torna attivo e libero da debiti (salvo eventuali garanzie personali di terzi, che però riguardano quei terzi).
Infine, giova ricordare che l’Italia è stata storicamente restia a consentire che le tasse non pagate venissero scaricate, ma col tempo – e spinte dall’Europa – ha dovuto adeguarsi a principi di uguaglianza: non avrebbe senso escludere il Fisco, altrimenti le procedure fallirebbero (nessuno le farebbe se le tasse restassero tutte). La Corte di Giustizia UE e la Corte Costituzionale hanno avuto un ruolo: la CGUE nel 2016 (causa C-546/14) e la Consulta nel 2019 hanno spianato la strada alla falcidia dell’IVA anche per i piccoli, ritenendo che il principio della neutralità IVA non impedisce allo Stato di rinunciare a parte del credito in un quadro giudiziario paritario (diverso sarebbe un condono mirato sull’IVA, ma all’interno di fallimenti e piani è accettato). Da notare: se il debitore ha commesso reati tributari (dich. fraudolente, emissione fatture false, ecc.), l’aver falcidiato il debito IVA non ferma il processo penale per quel reato; però se paga almeno il profitto del reato prima della sentenza gode di attenuanti/eximenti (questo è un tema penal-fiscale ma connesso: a volte l’esdebitazione cancella il debito d’imposta dopo che il reato è già integrato, quindi comunque la sanzione penale può essere applicata; l’effetto estintivo di pagare il debito entro certi termini su reati come omesso versamento è invece una spinta a pagare che talvolta scoraggia dall’andare in insolvenza).
Fallimento (Liquidazione giudiziale) ed esdebitazione del fallito
Per completezza, consideriamo anche la procedura di fallimento tradizionale (ora chiamata liquidazione giudiziale) per le imprese commerciali sopra soglia. Se una società di capitali o un imprenditore fallibile va in fallimento su istanza di creditori (Fisco compreso, che spesso chiede fallimenti per debiti grandi), i debiti fiscali rientrano nel passivo come da regole. L’apertura della liquidazione giudiziale comporta che AdER e gli altri devono presentare domanda di insinuazione al passivo entro le scadenze. Il curatore fallimentare liquiderà i beni e distribuirà secondo prelazioni. Il Fisco, di solito, è uno dei principali creditori: avrà quote privilegiate e chirografarie. A fine fallimento, se il debitore è una persona fisica (ad es. ditte individuali, soci illimitatamente responsabili), può chiedere l’esdebitazione del fallito entro 1 anno. Tale esdebitazione (introdotta nel 2006) libera il fallito persona fisica dai debiti residui non pagati nel fallimento. Era l’equivalente di ciò che ora è generalizzato. Nel Codice della Crisi è confermata (artt. 278 e seguenti): viene concessa se il fallito ha collaborato, non ha nascosto atti, ecc. La novità del correttivo 2021 è che si può concedere l’esdebitazione anche al fallito incapiente che non ha pagato nulla ai creditori (prima serviva che avesse soddisfatto almeno parzialmente creditori; ora possono esdebitare anche chi ha zero attivo). Quindi, per esempio, un imprenditore fallito con 1 milione di debiti fiscali, se il fallimento non ha attivo o paga briciole, può comunque ripartire senza quel milione dopo la chiusura, grazie all’esdebitazione.
Se il debitore è una società di capitali, come detto, cessando di esistere la società i debiti fiscali rimangono insoddisfatti ma non c’è un soggetto da perseguitare (a meno di garanzie personali degli amministratori o soci su quei debiti, ma questo è altro discorso).
Transazione fiscale nei concordati: Per i concordati preventivi ordinari (non minori), la legge richiede di solito una trattativa specifica col Fisco per i crediti tributari e contributivi. Nel Codice, l’art. 63 CCII dice che se il debitore vuole stralciare IVA o ritenute, deve presentare una proposta di trattamento dei crediti fiscali aderendo alle disposizioni del DPR 74/2000 (che richiede il pagamento di almeno il 20% per l’IVA se ricordo bene, ma quell’articolo è in evoluzione). Comunque, questo esula dal nostro focus sui debitori civili, ma è bene sapere che nelle procedure grandi serve negoziare col Fisco che di solito partecipa come creditore e a volte è decisivo (avendo magari il 50% del credito). La normativa attuale (post Decreto Fiscale 2021) consente al giudice di omologare un concordato anche senza voto favorevole dell’Erario, se la proposta per l’Erario è almeno pari al valore di mercato dei beni o diritti su cui ha garanzia (di nuovo il criterio di convenienza rispetto alla liquidazione). Questo è un meccanismo di cram-down del Fisco introdotto per evitare che il Fisco possa, col suo dissenso, far saltare piani che magari sarebbero convenienti per tutti.
Conclusione sulle procedure concorsuali: Esse rappresentano l’ultima linea di difesa del debitore oberato, quando non esistono altre vie “amichevoli” di sistemazione. Il punto di vista del debitore qui è di ammettere l’incapacità di pagare tutto e chiedere l’aiuto del tribunale per voltare pagina, pagando quanto possibile e facendosi perdonare il resto. Dal punto di vista del Fisco, subire una falcidia o un’esdebitazione è sgradito, ma la legge lo consente per dare una chance di reinserimento al cittadino indebitato. La Cassazione in numerose pronunce ha anche chiarito aspetti applicativi della legge 3/2012: ad esempio, Cass. Sez. Un. 755/2017 stabilì che il provvedimento di omologa di un accordo di composizione non è ricorribile per cassazione dal Fisco (limitando le impugnazioni per evitare allungamenti). Altre sentenze hanno definito i confini della falcidia IVA (prima del Codice) e la Consulta come visto ha tolto i divieti incostituzionali. Oggi (2025) queste procedure sono a regime, anche se non diffusissime perché serve farle conoscere e far superare lo stigma del “fallimento”, specie tra i privati.
Nei paragrafi successivi vedremo delle simulazioni pratiche di casi-tipo, includendo esempi in cui le procedure di sovraindebitamento risolvono situazioni altrimenti ingestibili di debiti fiscali.
Simulazioni pratiche (casi-tipo)
Per meglio comprendere come le varie soluzioni descritte possano applicarsi nella realtà, proponiamo alcune simulazioni pratiche di casi-tipo. Si tratta di esempi semplificati ma basati su situazioni che effettivamente si presentano, nei quali un debitore riesce a cancellare o ridurre i propri debiti con il Fisco adottando una o più delle strategie illustrate. Ogni caso evidenzia un differente approccio, tenendo conto del profilo del debitore (consumatore, piccolo imprenditore, società) e della natura dei debiti.
Caso 1: “Piano del consumatore” per un privato sommerso dai debiti
Profilo: Mario è un impiegato cinquantenne. Qualche anno fa ha perso il lavoro per un periodo e ha accumulato debiti: €20.000 di IRPEF non versata su redditi da lavoro autonomo occasionale, €5.000 di multe stradali non pagate, €15.000 rimasti di un prestito personale. Ora ha di nuovo un impiego a stipendio di €1.500/mese, vive in casa in affitto, non ha immobili di proprietà né altri beni di valore (solo un’auto utilitaria). Il totale dei suoi debiti è circa €40.000. Mario sa di non poterli pagare integralmente, ma vuole risolvere la situazione per non avere pignoramenti sullo stipendio a vita.
Problema: AdER ha già inviato cartelle per IRPEF e multe. Mario rischia un pignoramento 1/10 dello stipendio (avendo reddito modesto). Anche volendo rateizzare, 40k sarebbero 10 anni di rate ~€400/mese con interessi, insostenibili per lui. Nessuna rottamazione è aperta ora, e comunque avrebbe dovuto pagare il capitale di 35k (escludendo sanzioni). Mario risulta sovraindebitato.
Soluzione: Mario si rivolge a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) presso la sua provincia e avvia una procedura di Piano del Consumatore. Con l’aiuto dell’OCC, elabora una proposta: impegnarsi a versare €300 al mese del suo stipendio per 5 anni (totale €18.000) ai creditori, suddividendo proporzionalmente: all’Erario andranno, ad esempio, €12.000 a saldo dei €20.000 IRPEF (60%), alle multe €2.000 su €5.000 (40%) e alla finanziaria €4.000 su €15.000 (circa 27%). Il piano prevede di falcidiare le sanzioni tributarie e gli interessi maturati, concentrando i pagamenti sul capitale fiscale e parte di quello finanziario. L’OCC verifica che: (a) Mario è meritevole (ha perso il lavoro, non ha colpe gravi, non ha tenuto un tenore di vita sproporzionato), (b) €18.000 è il massimo che realisticamente può pagare senza scendere sotto il minimo vitale (con €1.500 di stipendio, €300 sono sostenibili), (c) i creditori non riceverebbero di più nemmeno se qualcuno lo pignorasse per anni, perché oltre €300/mese non potrebbe togliere senza fargli perdere casa o lavoro.
L’OCC quindi assevera il piano e lo presenta al tribunale. Non occorre il voto dei creditori nel piano del consumatore, quindi si va direttamente in omologazione giudiziale. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (per IRPEF e multe) può comparire ed eventualmente contestare la mancanza di meritevolezza o la sottostima di quanto potrebbero ottenere, ma nel nostro scenario non ci sono elementi per opporsi efficacemente: Mario non ha beni da liquidare e la somma offerta è ragionevole. Il giudice verifica la documentazione e omologa il piano, ritenendo Mario meritevole. Dispone eventualmente già la sospensione delle azioni esecutive dei creditori durante il piano (di fatto, AdER non potrà pignorare lo stipendio mentre Mario esegue i pagamenti mensili all’OCC per distribuirli).
Esito: Mario onora i €300/mese per 5 anni sotto controllo OCC. Al termine, ha versato €18.000. Il tribunale dichiara l’esdebitazione: i debiti residui (€22.000 circa non pagati: i restanti IRPEF, multe, ecc.) sono cancellati definitivamente. Mario viene liberato da tutte le cartelle esattoriali pendenti: l’AdER non potrà più richiedere nulla su quei ruoli. Le eventuali ipoteche o fermi decadono (non ne aveva, ma se ci fossero stati, verrebbero rimossi perché il credito è estinto). Mario conserva la sua auto e il suo stipendio, avendo sopportato un sacrificio sostenibile. In 5 anni è tornato a una situazione di piena solvibilità. Il costo della procedura (compenso OCC, qualche centinaio di euro) era già incluso nei €18.000 o affrontato a parte con un piccolo acconto iniziale.
Commento: Questo caso mostra come un privato cittadino abbia usato la procedura di sovraindebitamento per stralciare circa il 60% dei debiti inclusi quelli fiscali e multe. Senza questa procedura, avrebbe avuto decenni di pignoramenti e interessi crescenti. Con il piano, l’Erario stesso incassa una parte subito e rinuncia al resto, ma ottiene una posizione formalizzata. La chiave è stata la meritevolezza: Mario non aveva generato i debiti con dolo o frode. Se, in variante, fosse emerso che Mario aveva speso migliaia di euro in gioco d’azzardo (pregiudicando la meritevolezza), il giudice avrebbe potuto rigettare il piano.
Caso 2: Opposizione a cartella per prescrizione maturata
Profilo: Lucia è una ex commerciante. Ha chiuso l’attività nel 2015 ma aveva delle cartelle per IVA e IRAP degli anni 2010-2011 per totali €30.000. Dopo il 2016 non ha più ricevuto nulla dal Fisco (nessun sollecito, nessuna intimazione). Nel 2023 AdER notifica a Lucia un pignoramento immobiliare sulla sua seconda casa (non abitazione principale) per quelle cartelle, lievitate a €40.000 con interessi di mora. Lucia, sorpresa, verifica con un accesso agli atti che in effetti l’ultima notifica risale proprio alle cartelle originali del 2014. Da allora sono trascorsi quasi 9 anni senza atti.
Problema: Le cartelle di Lucia riguardano tributi erariali (IVA, IRAP). La prescrizione applicabile, secondo Cassazione, è decennale. Dal 2014 al 2023 son passati 9 anni, quindi non ancora 10: sembra non prescritta. Tuttavia, Lucia ricorda di aver presentato ricorso contro una delle due cartelle nel 2015 e di aver vinto in Commissione nel 2018 per un vizio di notifica dell’accertamento. Quindi parte di quel debito (diciamo €15.000) è stato annullato da sentenza passata in giudicato nel 2018, e AdER avrebbe dovuto sgravarlo. Ma AdER nel 2023 ha pignorato l’intera somma come se nulla fosse. Dunque, almeno €15.000 del debito erano inesigibili già dal 2018. Per l’altra cartella (€15.000 rimasti) sono passati 9 anni senza atti: sarà prescritta a fine 2024, ma non ancora. C’è però un altro appiglio: l’intimazione di pagamento richiesta dall’art. 50 DPR 602/73: se sono decorsi oltre 180 giorni dalla notifica della cartella, prima di avviare esecuzione AdER deve notificare un’intimazione almeno 30 giorni prima. Nel caso di Lucia, nessuna intimazione è stata notificata nel 2023 prima del pignoramento. Questo è un vizio procedurale grave.
Azione intrapresa: Lucia presenta un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. innanzi al Tribunale civile (essendo esecuzione su immobile, competente il Tribunale). Nel ricorso (in via d’urgenza) eccepisce:
- Che €15.000 del carico sono nulli in quanto oggetto di sentenza di annullamento definitiva (quindi AdER sta eseguendo su un credito inesistente). Chiede quindi lo stralcio di tale parte.
- Che per i restanti €15.000 mancava l’intimazione di pagamento nei 180 giorni precedenti, richiesta a pena di nullità dall’art. 50 co.2 DPR 602/73. Quindi il pignoramento è nullo. In subordine, anche se il giudice non ritenesse necessaria l’intimazione (ci sono state altalene giurisprudenziali), eccepisce la prescrizione imminente: avendo la cartella quasi 10 anni, il Tribunale potrebbe sospendere l’esecuzione in attesa del decorso completo (questo argomento è debole, meglio puntare su nullità).
- Chiede quindi la sospensione immediata dell’esecuzione immobiliare e, a seguire, l’estinzione della stessa per insussistenza del titolo esecutivo (in parte annullato, in parte non azionato correttamente).
Esito: Il giudice dell’esecuzione, esaminati i documenti, sospende il pignoramento riconoscendo fumus in entrambe le eccezioni (specialmente la mancanza di intimazione e la presenza di una sentenza pro contribuente). In udienza di merito, dispone che l’esecuzione è improcedibile: l’atto di pignoramento è dichiarato nullo per difetto di intimazione. Inoltre, prende atto della sentenza tributaria e ordina che dal debito venga sgravata la quota annullata. Di fatto, l’esecuzione viene chiusa.
Lucia quindi mantiene la sua casa. AdER dovrà ricalcolare il debito residuo: per la cartella rimasta €15.000 (divenuta €18.000 con interessi fino al 2023). Ormai però nel 2024 arriva il decimo anno dal 2014, e AdER, avendo perso tempo, rischia la prescrizione su quella somma. Lucia, forte della decisione ottenuta, scrive all’ente creditore chiedendo l’annullamento in autotutela anche del residuo per intervenuta prescrizione quinquennale degli interessi e (nel 2025) decennale del capitale. L’ente probabilmente non incalzerà oltre, avendo già perso in tribunale.
Commento: In questo caso, una difesa tecnica (opposizione in tribunale) ha portato a cancellare de facto il debito: una parte per effetto di giudicato, l’altra perché AdER non ha rispettato la procedura. Anche se la prescrizione completa non era maturata, l’errore procedurale (mancata intimazione) è stato decisivo per bloccare l’asta. Questo evidenzia come i vizi della riscossione possano proteggere il debitore. Se Lucia non avesse reagito, la casa sarebbe stata venduta: molti debitori ignorano che certi atti sono nulli se non preceduti da intimazioni o notificati male. Qui la combinazione tra esito del contenzioso tributario passato e azione esecutiva attuale ha giocato a favore del contribuente. Si noti che la Cassazione ha in passato discusso sulla necessità dell’intimazione dopo 180 giorni: oggi si ritiene necessaria e la mancata notifica la rende nulla (Cass. 4809/2017). Lucia ha beneficiato di ciò. Inoltre, l’ente aveva ignorato un giudicato: poteva esserci addirittura responsabilità per esecuzione illegittima su credito inesistente (cosa rara, ma il giudice civile se vuole può condannare alle spese e danni in questi casi). Comunque, Lucia ora potrebbe eventualmente aderire a una definizione agevolata per chiudere il residuo se gliela offrissero, oppure rimarrà inattivo fino a prescrizione.
Caso 3: Rottamazione delle cartelle per un imprenditore individuale
Profilo: Antonio è titolare di una ditta individuale nel settore trasporti. Ha accumulato nel periodo 2017-2020 vari debiti fiscali: IVA non versata per €50.000, ritenute non versate per €10.000, IRAP €5.000, oltre a €8.000 di contributi INPS personali. Totale capitale ~€73.000. Tra sanzioni e interessi, le cartelle arrivate ammontano a circa €100.000. L’attività però dal 2021 è ripresa bene e Antonio oggi genera reddito sufficiente per pagare debiti se dilazionati, ma €100k in unico colpo no. Vuole evitare procedure concorsuali perché crede di farcela lavorando.
Problema: Debito ingente con AE-Riscossione, con sanzioni e more. Rischio pignoramenti su mezzi e conti, che bloccherebbero attività. Possibile però sfruttare le misure di definizione introdotte nel 2023.
Soluzione: Antonio aderisce a Rottamazione-quater 2023 per tutti i ruoli 2017-2020. Verifica che includono imposte, contributi e anche eventuali multe stradali (nel suo caso non ne ha). Presenta domanda entro giugno 2023. Il Comune ha aderito per l’IRAP regionale, quindi anche quella rientra. L’AdER gli comunica a settembre 2023 l’esito: per i €100.000 di cartelle, rottamando dovrà pagare circa €75.000, così suddivisi: €73.000 di capitale, €2.000 circa di interessi “legali” di ritardata iscrizione e spese. Azzerati invece €27.000 tra sanzioni e interessi di mora. Il pagamento può farlo in 18 rate: due da ~€7.500 nel 2023 (ottobre, novembre) e le restanti ~€5.500 ogni trimestre dal 2024 al 2027.
Antonio concorda col suo commercialista che €75k su 5 anni (15 rate in 4 anni residui, ~€5.5k/trimestre ovvero ~€1.8k/mese equivalenti) è fattibile coi flussi della ditta, magari stringendo un po’ la cinghia. Firma l’adesione. Da subito, AdER sospende ogni esecuzione: nessun fermo ai camion, nessun pignoramento conti. Antonio paga puntualmente le rate. Nel frattempo, nel 2024 avrebbe potuto anche richiedere una rateazione per nuovi debiti correnti se ne avesse (ma cercherà di non averne).
Esito: Antonio completa i pagamenti entro il 2027. Tutti i suoi debiti fiscali 2017-20 risultano estinti. Ha risparmiato €27.000 rispetto al dovuto originario, pari al 27% di sconto. Soprattutto, ha evitato che sanzioni e interessi continuassero a crescere. L’attività non ha subito fermi o ipoteche in questi anni perché la procedura di definizione li impediva. Antonio ha potuto anche partecipare a gare di appalto presentando il DURC Fiscale regolare (perché i debiti erano “in definizione agevolata”, condizione equiparata a regolarità contributiva). Nel 2025 il Governo ipotizza una nuova rottamazione per i ruoli 2023-24: se fosse varata, Antonio potrebbe aderire per eventuali nuove pendenze sorte (fortunatamente non ne ha generate altre).
Commento: Questo caso illustra la convenienza della rottamazione per un debitore che ha capacità di pagamento ma non vuole buttare soldi in sanzioni e interessi. Antonio ha pagato 100% del capitale e spese, ma 0% di sanzioni e interessi di mora. In totale ha ridotto di circa 1/4 il carico. Avrebbe potuto tentare un concordato minore per pagare magari solo il 50% del capitale e stralciare il resto, ma ciò avrebbe comportato tribunale, costi e possibile stigma. In questo modo ha risolto bonariamente e continuato l’attività. Il rovescio della medaglia è che ha comunque pagato €75k – quindi serve una situazione di ripresa economica. Questo strumento è “win-win” quando il debitore è in grado di pagare il capitale: il Fisco incassa più velocemente e il debitore risparmia su accessori e si mette in regola. Se però Antonio avesse poi mancato delle rate (decadenza), avrebbe perso i benefici: il debito sarebbe tornato €100k meno quanto versato e l’AdER avrebbe ripreso. Fortuna che non è successo: ma statistica vuole che alcuni decadono. Il legislatore per la rottamazione-quater ha previsto che se decadi, le somme versate vanno a ridurre il debito residuo (ovvio) e da lì in poi AdER riprende aggiungendo gli interessi di mora maturati nel frattempo, quindi conviene non decadere.
Caso 4: Liquidazione controllata ed esdebitazione per ex imprenditore
Profilo: Carlo era titolare di una S.n.c. fallita nel 2022. Il fallimento (liquidazione giudiziale) si è chiuso nel 2024 con pochi attivi: i creditori (tra cui AdER con €200.000 di debiti tributari) hanno preso briciole (5%). Carlo e il socio, essendo illimitatamente responsabili, rimangono debitori verso AdER per il residuo enorme (€190.000 circa a testa). Non hanno patrimonio (la casa di Carlo era ipotecata ma venduta in fallimento e non ha coperto tutto). Carlo, 45 anni, vuole tornare a una vita normale, magari come dipendente, ma con €190k di debiti fiscali personali ciò è impossibile (gli pignorerebbero stipendio a lungo).
Problema: Il fallimento della società non ha liberato Carlo personalmente dal debito residuo perché l’esdebitazione fallimentare ex art. 142 L.F. originariamente non si applicava ai soci (si applicava solo al fallito persona). Tuttavia, con la riforma, c’è la previsione di estendere esdebitazione anche ai soci di società cessate (norma che entra in vigore con correttivi nel 2025). Carlo però può comunque usare la legge sovraindebitamento perché lui è una persona fisica non fallita (non è stato dichiarato fallimento per lui, solo per la società).
Soluzione: Carlo si rivolge a un OCC e avvia una Liquidazione Controllata del Sovraindebitato a suo nome. Egli praticamente mette sul piatto quel poco che possiede: ha solo un’auto vecchia e un conto con €5.000 risparmi. Avvia la procedura liquidatoria (ex art. 268 CCII). Un liquidatore nominato vende l’auto per €2.000 e realizza i €5.000 sul conto. Non ci sono altri beni. In totale, €7.000 vengono distribuiti ai suoi creditori chirografari (i privilegiati furono soddisfatti in parte nel fallimento societario, ora rimane quasi tutto chirografo perché i beni personali erano nulli). AdER partecipa ma prende cifre minime. Dopo circa 1 anno il liquidatore chiude la procedura perché completata.
Carlo quindi chiede l’esdebitazione personale. Il tribunale verifica che: Carlo ha cooperato, non ha ostacolato creditori, la sua situazione è stata trattata nel fallimento e ora in liquidazione persona fisica non c’erano attivi ulteriori. Nessuna frode: i debiti derivano dall’attività sfortunata. Pertanto, il giudice emette decreto di esdebitazione di Carlo. Tutti i debiti rimasti (circa €183.000 con AdER e altri fornitori personali come fideiussioni ecc.) sono definiti inesigibili: Carlo è libero dai debiti.
Effetti: AdER non potrà più agire contro Carlo. Le ipoteche sui suoi futuri beni vengono eliminate (c’era ipoteca su casa venduta, oramai inutile). Carlo può accettare nuove intestazioni di beni senza timore di esecuzioni per quei vecchi debiti. Può percepire stipendio integralmente. Tra 3 anni, Carlo riceve un’eredità di €50.000 da una zia. Dovrà informare i creditori perché nei 4 anni post-esdebitazione esiste quell’obbligo (nel nuovo codice). Tuttavia, la norma dice che se entro 4 anni dal decreto esdebitazione il debitore ottiene utilità rilevanti, deve pagare i creditori esdebitati fino a concorrenza del 50% di tali utilità. Carlo prontamente versa €25.000 su un conto dedicato per riaprire in tribunale la questione. AdER e altri creditori allora beneficiano di questa somma pro-quota (AdER magari prende €20k). Ciò non “riattiva” i debiti: è un obbligo postumo. Trascorsi i 4 anni, Carlo è definitivamente sollevato e eventuali ulteriori guadagni o eredità restano a lui.
Commento: Questo caso mostra come la combinazione di fallimento e sovraindebitamento porti alla fine alla liberazione totale. In realtà, se Carlo fosse stato dichiarato fallito personalmente insieme alla snc, avrebbe potuto chiedere esdebitazione ex art. 142 L.F. già in sede fallimentare (il nuovo codice lo prevede espressamente). Ma essendo società di persone, talvolta i soci non vengono dichiarati falliti a parte se il fallimento è solo della società – dipende dalle circostanze. Con la liquidazione controllata ex legge 3/2012 (ora CCII), Carlo ha replicato a livello personale ciò che non era avvenuto. La chiave è l’esdebitazione: è il provvedimento che cancella i debiti fiscali residui immensi. Nessun condono statale avrebbe potuto aiutare su €183k di capitale fiscale: la rottamazione non cancella capitale. Solo l’insolvenza gestita può. Anche i creditori, benché insoddisfatti, hanno dovuto accettare: Carlo non aveva più nulla. Da notare: se Carlo avesse avuto reati tributari pendenti (es. omesso versamento IVA > soglia), l’esdebitazione non estingue il reato. Probabilmente ha un procedimento per omesso versamento IVA €50k (reato, soglia 250k quindi no reato in questo caso, sotto soglia; se fosse stato 500k sarebbe reato). Ma in procedure concorsuali, talvolta il pagamento di una percentuale rilevante prima del dibattimento evita condanna. In ogni caso, dal lato civile Carlo è pulito. Questo è un risultato importantissimo di cui forse pochi imprenditori sanno: anche i debiti Erario molto grandi possono essere azzerati se si passa da una liquidazione concorsuale e ci sono i presupposti di legge.
Questi casi-tipo dimostrano l’applicazione concreta dei concetti teorici discussi: ogni situazione va valutata strategicamente. Il debitore accorto si farà assistere da professionisti per scegliere la strada giusta (ad esempio, un avvocato tributarista per contestare cartelle o un OCC per la crisi da sovraindebitamento). L’obiettivo finale è sempre quello: uscire dal tunnel dei debiti fiscali, sia tramite un pagamento ridotto concordato, sia sfruttando decadenze, sia attraverso un “fresh start” per insolvenza.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande comuni che debitori, professionisti e imprenditori si pongono riguardo ai debiti con l’Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate-Riscossione, con risposte sintetiche basate su quanto esposto nella guida.
D1: Quali debiti con Agenzia Entrate-Riscossione possono essere cancellati?
Tutti i debiti iscritti a ruolo in teoria possono essere annullati o estinti, ma con modalità diverse. Debiti per tributi (IVA, IRPEF, ecc.), contributi previdenziali e multe possono essere: annullati per vizi formali (notifica nulla, atto decaduto), dichiarati estinti per prescrizione se passa il tempo previsto, cancellati tramite sanatorie (rottamazioni, stralcio mini-debiti), o falcidiati nelle procedure concorsuali (piani di sovraindebitamento, concordati) con successiva esdebitazione. In pratica, quasi ogni tipo di debito può essere ridotto o tolto da almeno uno di questi strumenti, tranne poche eccezioni (es: l’IVA all’importazione non può essere condonata per legge, ma può comunque finire in procedura concorsuale).
D2: Dopo quanti anni si prescrive una cartella esattoriale?
Dipende dal tipo di debito originario. In generale: 5 anni per la maggior parte dei crediti (sanzioni, interessi, contributi INPS, tributi locali); 10 anni per le imposte erariali (IRPEF, IVA, IRES). Fanno eccezione il bollo auto (3 anni) e poche altre fattispecie. Il termine decorre dall’esigibilità del debito (di solito dalla notifica della cartella) e si interrompe ad ogni atto di riscossione notificato. Se per tot anni il Fisco/AdER non si fa vivo, si può eccepire la prescrizione e non pagare più. Ad esempio, una cartella IRPEF notifica nel 2012 senza altri atti fino al 2023 è prescritta (10 anni passati). Una multa stradale notificata nel 2017 senza altri atti entro il 2022 è prescritta (5 anni).
D3: Che differenza c’è tra decadenza e prescrizione?
La decadenza è il termine entro cui l’ente deve compiere un atto (accertamento o notifica cartella) pena la nullità di quell’atto. Ad esempio, se un avviso di accertamento doveva uscire entro il 31/12 e arriva dopo, è decaduto: il contribuente non deve pagare nulla perché l’atto è nullo. La prescrizione invece è il termine entro cui, una volta formato il titolo (avviso definitivo o cartella), l’ente può riscuotere il credito. Se passa tale periodo senza riscossione né solleciti, il diritto si estingue. La decadenza va eccepita subito impugnando l’atto tardivo; la prescrizione può essere eccepita anche successivamente (es. in fase esecutiva). Entrambe portano all’annullamento del debito se riconosciute dal giudice.
D4: Ho ricevuto una cartella/avviso: cosa devo fare per contestarla?
Bisogna presentare un ricorso all’autorità competente entro i termini (di regola 60 giorni per atti tributari, 30 per multe). Per tributi, il ricorso va alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale); per contributi INPS, al Tribunale sez. Lavoro; per multe, al Giudice di Pace (se nei 30 gg dalla notifica della cartella) oppure al Tribunale civile (opposizione esecuzione) se si scopre tardi. Nel ricorso bisogna indicare i motivi: vizi di notifica, errori, prescrizione, pagato, ecc. e chiedere l’annullamento. Se il ricorso è accolto, la cartella viene annullata totalmente o parzialmente e il debito relativo cancellato.
D5: Se faccio ricorso, devo pagare intanto?
No, il ricorso contro una cartella sospende l’obbligo di pagamento fino a sentenza. Attenzione però: per gli avvisi di accertamento esecutivi, dopo 60 giorni la riscossione può iniziare anche se hai fatto ricorso, a meno che tu chieda e ottenga una sospensione cautelare dal giudice. Quindi è consigliabile, contestualmente al ricorso, presentare istanza di sospensione all’autorità adita, motivando il danno che subiresti dal pagamento immediato. Se concessa, l’AdER non può procedere finché la causa è pendente. Se non chiedi sospensione, potresti dover versare 1/3 in caso di accertamento esecutivo (norme sul “rischio fiscale” del DL 78/2010) ma in generale finché c’è giudizio nessuno ti costringe a pagare, salvo appunto gli accertamenti esecutivi post-2011 che hanno quella peculiarità. In caso di esito sfavorevole del ricorso, dovrai pagare con interessi; in caso favorevole, nulla è dovuto.
D6: Ho cartelle molto vecchie che non ho mai pagato, come faccio a sapere se sono prescritte?
Puoi recarti (o accedere online) all’Estratto di Ruolo presso AdER. Lì vedi per ogni carico la data di notifica e lo stato. Se vedi che l’ultima notifica risale a oltre 5 o 10 anni fa e non risulta nessun altro atto, c’è alta probabilità di prescrizione. Oppure se sono passati più di 5 anni dall’ultima intimazione di pagamento senza ulteriore azione, idem. A volte AdER smette di sollecitare dopo un tot. Puoi anche presentare un’istanza di autotutela L.228/2012 per far dichiarare la prescrizione da loro (alle volte rispondono negando, costringendoti al giudice). In mancanza, attendi eventualmente un atto (un pignoramento, una nuova intimazione) e a quel punto sollevi l’eccezione di prescrizione in tribunale. Nota: se hai ricevuto nei 5/10 anni anche un semplice sollecito di pagamento via raccomandata, quello può aver interrotto la prescrizione (AdER ne manda alcuni, benché non obbligatori). Quindi verifica bene gli atti notificati.
D7: È vero che i debiti col Fisco non finiscono mai e ti perseguitano per tutta la vita?
No, non è vero: a parte rari casi (danni erariali da reato, ecc.), i debiti tributari seguono le regole civili e si prescrivono oppure possono essere cancellati tramite esdebitazione. Anzi, con la riforma 2024, dal 2025 i ruoli non riscossi in 5 anni saranno automaticamente tolti dal carico di AdER. Già oggi molti ruoli vecchissimi sono inesigibili di fatto. Quindi non sei perseguitato a vita: trascorso il tempo di legge senza che il Fisco agisca, il debito muore. E, come spiegato, esistono procedure per ottenere una cancellazione totale dei debiti residui (esdebitazione) se sei meritevole e insolvente. Certo, se il Fisco è attivo può rinnovare i termini notificandoti atti di tanto in tanto, ma non può farlo oltre un limite ragionevole.
D8: Possono pignorarmi la casa per debiti con l’Erario?
Dipende. La legge impedisce il pignoramento della prima casa di residenza se non di lusso e se non hai altri immobili (art. 52 DL 69/2013). Quindi, se hai una sola casa dove abiti, AdER non può metterla all’asta (può però ipotecarla se il debito supera €20k). Se hai altre case o la casa principale è accatastata lusso (A/1, A/8, A/9), allora AdER può pignorarle se il debito supera €120k e previo ok di un dirigente. Nel caso di multe stradali o altri enti, se passano a ingiunzione ex RD 639/1910, qualche ente locale tenta il pignoramento immobiliare, ma anche lì l’orientamento è di tutela prima casa. In ogni caso, con l’avvio di procedure concorsuali o con la sospensione amministrativa, puoi bloccare eventuali esecuzioni immobiliari. E se la casa te la pignorano, puoi fare opposizione se rilevi vizi (es. mancata intimazione). Inoltre, ricorda: ipoteca non significa subito perdere casa, è un vincolo. Se risolvi il debito, l’ipoteca viene cancellata.
D9: Posso chiedere uno “sconto” al Fisco e pagare solo una parte spontaneamente (saldo e stralcio)?
No, non esiste nel nostro ordinamento la possibilità di transigere liberamente il debito fiscale, a meno di aderire alle procedure previste (definizioni agevolate o concorsuali). L’Agenzia Entrate-Riscossione non ha potere di fare accordi privati tipo “tu mi dai il 50% e chiudiamo”: deve applicare la legge. Quindi o paghi integralmente (magari a rate) oppure, per ridurre l’importo, devi sfruttare un condono/rottamazione se c’è, oppure inserire il debito in un concordato o piano del consumatore dove la decurtazione è approvata dal giudice. Se provi a offrire informalmente una somma inferiore, l’AdER non può accettarla come saldo finale (potrebbe prenderla in acconto e poi chiedere il resto lo stesso). L’eccezione è con gli enti locali: a volte per ingiunzioni minori i Comuni fanno stralci su sanzioni, ma sempre in base a norme (es. la pace fiscale locale 2023 per sanzioni/ interessi). In sintesi: nessuna trattativa privatistica è ammessa col Fisco. Devi seguire i canali legali.
D10: Cosa succede se aderisco alla rottamazione ma poi non pago le rate?
Se non paghi 2 rate consecutive nella Definizione agevolata, decadi dal beneficio. Questo significa che la rottamazione viene revocata: il debito tornerà quello originario al netto di quanto eventualmente versato. Le sanzioni e interessi condonati “rivivono”. AdER ti iscriverà di nuovo a ruolo le somme e potrà riprendere le azioni esecutive (dopo averti inviato una comunicazione di decadenza). Tuttavia, i pagamenti che hai fatto vengono imputati a capitale quindi riducono il residuo. Spesso il legislatore, nelle rottamazioni passate, ha poi concesso una “seconda chance” per rientrare pagando entro tot (ad esempio, per la rottamazione-ter 2018, chi decadde nel 2019 poté pagare entro 2021 per essere riammesso). Per la rottamazione-quater 2023 è stata introdotta tolleranza di 5 giorni sui termini e la possibilità di slittamento prima rata, ma nessuna riammissione automatica oltre quelle piccole finestre. Quindi, se decadi, potrai solo chiedere una rateizzazione ordinaria del debito residuo (sì, è ammesso: se perdi rottamazione, puoi chiedere rateazione su ciò che rimane, ma ovviamente senza più sconti). In conclusione, impegnati a rispettare le rate se aderisci, altrimenti rischi di vanificare tutto lo sforzo.
D11: I debiti cancellati in procedure di sovraindebitamento comportano problemi futuri col fisco (ad esempio, impossibilità di aprire altre attività)?
No: se ottieni un’esdebitazione, i debiti sono legalmente estinti. Non risulti in nessuna “black list” fiscale pubblica. Certo, all’Agenzia delle Entrate interna rimarrà traccia che quei debiti sono stati annullati per procedura concorsuale, ma non c’è una preclusione a intraprendere nuove attività o ad ottenere un numero di partita IVA nuovo. L’unico “neo” è sul piano creditizio privato: la procedura concorsuale viene registrata nei sistemi (Cerved, registro tribunale) e per un po’ le banche potrebbero vederla. Ma dal punto di vista fiscale, no: anzi, dopo l’esdebitazione sei considerato regolare. Potresti richiedere un DURC e verrebbe pulito. L’importante è non ricadere subito in altri debiti, perché la legge limita le esdebitazioni: non puoi ottenere un’altra esdebitazione prima di 5 anni dalla precedente e comunque più di 2 volte in totale. Questo per evitare abusi. Ma a parte ciò, sei un nuovo contribuente “pulito”.
D12: Ho debiti fiscali e sto pensando di chiudere l’attività e magari trasferirmi all’estero. Il debito mi seguirà?
Chiudere l’attività in sé non cancella i debiti: rimangono a tuo carico personale (se ditta individuale) o a carico della società disciolta (che però se ha patrimonio zero verrà liquidata ma i debiti rimangono insoddisfatti). Trasferirsi all’estero non annulla il debito: l’AdER può comunque notificare atti al tuo ultimo domicilio noto o tentare procedure di recupero transnazionale (specie in UE ci sono strumenti di cooperazione per riscuotere crediti fiscali). Quindi la strategia di “scappare” raramente elimina il problema, a meno di attendere la prescrizione all’estero (ma se AdER notifica qualcosa intanto, interrompe i termini). Esempio: se vai in UK, HMRC può riscuotere per conto di AdER alcuni debiti su richiesta (accordi internazionali). Meglio affrontare la questione legalmente. Anche dall’estero puoi fare una procedura concorsuale in Italia per esdebitarti, o seguire le sanatorie. Inoltre, se pensi di tornare in futuro, troverai il debito aumentato. Quindi no, l’estero non è una soluzione automatica. Diverso il caso di residenza fiscale estera stabile: se dichiari fallimento personale in un altro paese o usi procedure di insolvency locali, potresti liberarti dei debiti (ci sono casi di italiani che hanno usato la “bankruptcy” UK o tedesca per liberarsi di debiti italiani – complesso ma possibile). Ma è un percorso estremo e costoso.
D13: I debiti con l’INPS (contributi) si possono stralciare come quelli fiscali?
Sì, i contributi INPS una volta affidati ad AdER seguono stesse regole: sono stati inclusi nelle rottamazioni (anche quelli a percentuale forfettaria chiamati “aggi” su contributi), e si prescrivono in 5 anni. Esiste anche la rateizzazione per contributi (gestita da AdER se in cartella, o da INPS stessa se con avviso di addebito). Inoltre, rientrano nelle procedure concorsuali come crediti privilegiati (hanno privilegio come tributi). Quindi, ad esempio, nella legge di bilancio 2023 i contributi fino 2015 sotto €1.000 sono stati annullati come le imposte. L’INPS a volte concede transazioni nei concordati (si parla di “transazione previdenziale” simile a quella fiscale). Quindi puoi ridurre/cancellare anche quei debiti. Nota che l’unica differenza: se hai perso rate di dilazioni INPS, prima dovevi pagare tutto l’arretrato per avere DURC; ma con la pace fiscale, se rottami anche quelli, ottieni regolarità.
D14: Ho visto che la mia cartella è intestata a Agenzia delle Entrate-Riscossione, ma il debito è con il Comune (IMU). A chi devo rivolgermi per fare ricorso o chiedere annullamento?
Devi rivolgerti sempre all’ente creditore originario per contestare il merito del debito. AdER è solo il riscossore. Quindi se la cartella riguarda IMU del Comune Alfa, il ricorso va alla Commissione Tributaria (giudice tributario) contro Comune Alfa (non contro AdER, che è litisconsorte ma l’ente principale è il Comune). Se chiedi autotutela, devi chiederla al Comune (anche se AdER ha una procedura di sospensione come detto, in parallelo). Questo vale anche per multe: cartella su multa del Comune Beta – opposizione al Giudice di Pace contro Comune Beta. AdER riscuote e ti può dare info sull’estratto, ma non può decidere di annullare un debito se l’ente non vuole (a meno dei casi L.228/2012 con silenzio 220gg). Quindi identifica sempre la natura del tributo/credito e segui l’iter appropriato.
D15: Quali sono le fonti normative principali da consultare per approfondire questi temi?
Abbiamo elencato nella sezione finale tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate. In particolare, per la riscossione: D.P.R. 602/1973 (ruoli e cartelle), aggiornato con D.Lgs. 46/1999 e ultime modifiche del 2024; D.Lgs. 546/1992 (processo tributario); Legge 3/2012 (sovraindebitamento) e D.Lgs. 14/2019 (Codice Crisi) per le procedure concorsuali; varie Leggi di Bilancio 2017, 2019, 2023 per le rottamazioni e stralci; Codice Civile artt. 2934-2948 per prescrizioni; e molte sentenze di Cassazione e Corte Costituzionale (ad es. Cass. SS.UU. 23397/2016 sulla prescrizione contributi, Cass. SS.UU. 11676/2024 su tributi erariali, Corte Cost. 190/2023 su cartelle non notificate, Corte Cost. 189/2024 su definizione liti). Chi vuole approfondire i dettagli di legge può partire da queste indicazioni. Anche l’Agenzia delle Entrate pubblica circolari esplicative (es. Circ. 2/E 2023 sulla tregua fiscale). Infine, i siti come FiscoOggi, il Sole 24 Ore, o guide online (come quelle citate nelle fonti) offrono commenti aggiornati utili.
Fonti e riferimenti normativi
(Elenco di leggi, sentenze, circolari e prassi citate nella guida per approfondimento.)
Normativa primaria:
- Codice Civile: art. 2934 e ss. – Prescrizione estintiva; art. 2946 (termine ordinario 10 anni), art. 2948 (termini brevi 5 anni per periodiche); art. 2953 (conversione in giudicato 10 anni).
- D.P.R. 29/09/1973 n.602: Artt. 17-20 (ruolo), 25 (notifica cartella entro termini decadenziali), 30-32 (interessi); art. 50 (intimazione prima di esecuzione); art. 19 (rateazione, come modificato da DLgs 110/2024).
- D.P.R. 29/09/1973 n.600: Artt. 43, 57 etc. – Termini accertamento imposte dirette (entro 31/12 del 5° anno, 7° se omessa dichiarazione). D.P.R. 633/1972: art.57 – Termini accertamento IVA (simili a imposte dirette).
- Legge 24/12/2007 n.244 (Finanziaria 2008): commi 161-167 – Termini accertamento tributi locali (5 anni).
- Legge 08/08/1995 n.335: art. 3, commi 9 e 10 – Prescrizione contributi previdenziali 5 anni.
- DLgs 46/1999: art. 24 – Opposizione a cartelle INPS entro 40 giorni al tribunale.
- DL 78/2010 conv. L.122/2010: art.29 – Introduzione avviso di accertamento esecutivo (dal 2011).
- DL 193/2016 conv. L.225/2016: art.6 – Definizione agevolata 2016 (prima “rottamazione”).
- DL 148/2017 conv. L.172/2017: art.1 – Rottamazione-bis 2017 (riapertura).
- DL 119/2018 conv. L.136/2018: art.3 – Rottamazione-ter 2018; art.4 – Stralcio debiti <€1000 (2000-2010) precedentemente; art.12 – definizione liti pendenti 2018.
- L. 30/12/2018 n.145 (Legge Bilancio 2019): commi 184-199 – “Saldo e stralcio” 2019 per persone fisiche con ISEE <20k (pagamento 16-35% e stralcio resto).
- DL 34/2019 conv. L.58/2019: art.16-quater – Riapertura rottamazione-ter e saldo stralcio (termini pagamenti).
- L. 27/12/2019 n.160 (LB 2020): proroga termini rottamazione-ter al 2020 causa COVID.
- DL 18/2020 (Cura Italia) e DL 34/2020 (Rilancio): sospensione termini versamenti e notifiche riscossione durante emergenza Covid (periodo 8/3/20 – 31/8/21 circa, ma dibattito su effetti su prescrizione).
- DL 146/2021 conv. L.215/2021: art.1 – Riammissione decadenze rottamazioni precedenti (pagamento entro 14/12/21); riduzione a 2 rate non pagate per decadenza rateazioni; esonero invio intimazione se cartella in sospeso COVID con ripresa 2022 (norma transitoria).
- DLgs. 14/2019 (Codice Crisi d’Impresa): (in vigore dal 15/07/2022) – Artt. 65-83 (Procedures sovraindebitamento: piano consumatore, concordato minore); Artt. 268-277 (Liquidazione controllata sovraindebitato); Artt. 278-281 (Esdebitazione liquidazione); Art.282-283 (Esdebitazione del debitore incapiente); Art. 63 (transazione fiscale nel concordato, non obbligatoria nel minore); Art.54 (definizioni sovraindebitamento).
- DLgs. 83/2022 (Correttivo CCII): ha modificato alcuni requisiti esdebitazione, es. elimina soglia minimo soddisfo creditori per esdebitazione.
- DLgs. 149/2022: riforma giustizia tributaria – tra cui DLgs 119/2022 istitutivo “Corti Giustizia Trib.” e definizione nuove regole appello (es. art.58 c.3 D.Lgs 546/92 modificato: divieto nuovi documenti in appello, impugnato in Corte Cost).
- L. 29/12/2022 n.197 (Legge Bilancio 2023): commi 222-230 – Stralcio automatico debiti fino €1000 affidati 2000-2015; commi 231-252 – Definizione agevolata 2023 “rottamazione-quater” (carichi 2000-2022, esclusioni, 18 rate); commi 153-159 – Definizione avvisi bonari; commi 186-205 – Definizione liti tributarie pendenti (pagamento % secondo grado di soccombenza); commi 206-221 – Conciliazione agevolata e rinuncia cassazione; commi 174-180 – Regolarizzazione violazioni formali. (Corte Cost. n.189/2024 ha confermato legittimità comma 198, estinzione processi con prima rata).
- DL 51/2023 conv. L.87/2023: ha differito termine prima rata rottamazione-quater al 31/10/23 e introdotto possibilità riammissione per decaduti entro 30/04/2025 se pagano (norma emergente menzionata in circ. AdE 6/2023).
- DLgs. 29/07/2024 n.110 (“Riforma Riscossione”): (pubbl. GU 7/8/24) – art.3: Discarico automatico ruoli dal 2025 dopo 5 anni; art.4: eccezioni a discarico (dilazioni, concorsuali, sospensioni); art.6-7: Nuove soglie rateazioni (estensione a 120k per semplificate, piani 84-120 rate graduali). (Attuazione DM 27/12/24 cit. da leggioggi.it).
Giurisprudenza:
- Cass., Sez. Un. Civili, 22/09/2016 n. 23397: Principio su prescrizione cartella non impugnata = resta termine proprio del tributo, non si converte in decennale. Conferma prescrizione contributi INPS = 5 anni anche se cartella definitiva.
- Cass., Sez. Un., 15/02/2024 n. 11676: (ordinanza SU) Conferma orientamento: tributi erariali prescrizione decennale, tributi locali quinquennale.
- Cass., Sez. Un., 25/07/2007 n.25790: Interessi e sanzioni tributarie = obbligazioni periodiche 5 anni.
- Cass., Sez. Un., 17/04/2023 n.8500: (SU 2021) – Impugnabilità estratto di ruolo: sez. un. chiariscono condizioni (probabilmente citata da Corte Cost 190/2023).
- Cass., Sez. VI – 16/12/2024 n.32679: ribadisce art.2953 c.c. si applica solo a titoli giudiziari, non ad atti amministrativi divenuti definitivi; ergo cartella non impugnata segue prescrizione breve se prevista (cfr. anche SU 23397/16).
- Cass., Sez. V, 14/06/2022 n. 19237: conferma che per tributi locali (ICI/IMU) prescrizione 5 anni (richiama SU 2024 in motivazione).
- Cass., Sez. V, 19/03/2020 n. 8361: contributi consortili e tributi locali -> 5 anni come periodici.
- Cass., Sez. VI, 02/07/2021 n. 18124: nullità cartella se manca prova notifica atti presupposti non impugnati.
- Cass., Sez. III, 14/04/2015 n.7612: multa stradale, prescrizione quinquennale anche se ingiunzione non opposta (art. 2953 non si applica a provvedimenti amministrativi).
- Cass., Sez. III, 13/04/2007 n.8890: fermo amministrativo è atto impugnabile avanti giudice ordinario ex art.615 c.p.c. se cartella prescritta (principio tutela).
- Cass., Sez. Lav., 07/04/2009 n.8138: prescrizione contributi INPS 5 anni anche per cartella (precursore SU 2016).
- Corte Costituzionale:
- Sentenza 07/04/2016 n. 77 – dichiarò illegittimo art. 16-septies DL 34/2019 su irretroattività favor rei condono sanzioni? (non citata direttamente in testo).
- Sentenza 22/11/2019 n.245 – ha dichiarato incostituzionale art.7 co.1 secondo periodo L.3/2012 nella parte in cui escludeva falcidia IVA nel sovraindebitamento. Ha aperto a falcidia IVA.
- Sentenza 17/10/2023 n.190 – questioni su impugnabilità diretta cartella da estratto ruolo: dichiarato inammissibile ma invita legislatore (limiti art. 12 c.4 DLgs 546/92).
- Sentenza 28/11/2024 n.189 – giudica non fondate censure su definizione agevolata liti (art.1 co.198 L.197/22) confermando estinzione processo con 1a rata non irragionevole.
- Sentenza 27/03/2025 n.36 – su divieto nuovi documenti in appello tributario (art.58 c.3 DLgs 546/92 mod. da DLgs 130/2022): probabilmente dichiara illegittima la norma perché irragionevole verso contribuente (da verificare esito, ma contestazione di violazione artt.3 e 24 Cost).
- Ordinanza 09/05/2024 n.81 – dichiarata inammissibile q.l.c. su prescrizione riscossione durante sospensione Covid (questioni sollevate, Corte disse inammissibile).
- Corte di Giustizia UE: Sentenza 07/04/2016 in causa C-546/14 (Degano) – vietava falcidia IVA in concordato salvo integrale pagamento privilegiati. Ma poi: Sentenza 16/07/2020 in causa C-493/19 (Kornhaas), evoluzione? Comunque, regole modificate da L.232/2016 art.1 co.81 (consente falcidia IVA se soddisfa principio). Norme UE: Regolam. 2010/24/UE (mutua assistenza recupero crediti fiscali all’estero).
Prassi amministrativa:
- Circolare Ag.Entrate 13/03/2018 n.2/E: chiarimenti definizione agevolata 2000-17 (rott.ter) e art.1 DL 148/17.
- Circolare Ag.Entrate 13/01/2023 n.1/E: chiarimenti prima tranche “tregua fiscale” L.197/22 (stralcio 1.000€, definizione avvisi bonari, etc).
- Circolare Ag.Entrate 27/01/2023 n.2/E: ulteriori chiarimenti “tregua fiscale” (definizione liti, regolarizzazioni).
- Circolare Ag.Entrate 20/03/2023 n.6/E: FAQ su rottamazione-quater, rate pregresse rott-ter non oggetto definizione.
- Circolare MEF 15/01/2013 n.1/DF: linee guida sospensione su istanza art.1 co.537 L.228/12 (autotutela rafforzata) – prevede annullamento d’ufficio se ente non risponde entro 220gg.
- Circolare AdER (Equitalia) 22/12/2015: su prescrizione 5 anni sanzioni e interessi (presa atto orientamento Cass.).
- Direttiva Dir. AE-Riscossione 11/11/2021: applicazione tolleranza 5 gg su pagamenti rottamazioni (DL 146/21) – interna.
- Prassi INPS: Msg. INPS 09/05/2019 n.1784 – adesione stralcio saldo e stralcio contributi 2019; Circ. INPS 15/02/2023 n.27 – istruzioni su stralcio automatico contributi <1000€.
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