Acquiescenza Avviso Di Accertamento: Cos’è E Come Funziona – La Guida

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate e ti stai chiedendo se accettarlo per chiudere tutto rapidamente e con il minor danno possibile? Vorresti sapere se esiste un modo per pagare meno sanzioni ed evitare un contenzioso lungo e incerto?

L’acquiescenza all’avviso di accertamento è uno strumento che ti permette di definire la tua posizione fiscale in modo immediato e agevolato, se accetti integralmente quanto richiesto dal Fisco. In cambio, le sanzioni vengono abbattute e si evita ogni ulteriore procedimento.

Ma cosa significa fare acquiescenza, in concreto?

Vuol dire che, entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, scegli di non fare ricorso e di accettare integralmente gli importi richiesti, beneficiando così di una riduzione della sanzione a un terzo. Si tratta di una scelta definitiva, ma che – se ben valutata – può farti risparmiare tempo, denaro e stress.

Quando conviene fare acquiescenza?

Quando sai che l’accertamento è fondato, quando non hai elementi validi per contestarlo o quando vuoi evitare il rischio e i costi di una causa tributaria. In questi casi, pagare subito con lo sconto può essere la soluzione più sensata, soprattutto se hai la possibilità di rateizzare l’importo dovuto.

Come funziona la procedura?

Devi semplicemente effettuare il pagamento dell’importo richiesto (comprensivo della sanzione ridotta e degli interessi) entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento. Puoi farlo in un’unica soluzione oppure chiedere una rateizzazione fino a 8 rate trimestrali. Una volta effettuato il pagamento, l’accertamento diventa definitivo e non è più impugnabile.

E se cambi idea o non riesci a pagare le rate?

Attenzione: l’acquiescenza non è reversibile. Se salti i pagamenti, perdi il beneficio della riduzione e l’Agenzia può avviare la riscossione integrale del debito, con sanzioni e interessi pieni. Ecco perché è fondamentale valutare attentamente la tua capacità di pagamento prima di scegliere questa strada.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, adesione e definizione agevolata – ti spiega cos’è l’acquiescenza all’avviso di accertamento, quando può essere utile, quali sono i vantaggi e i rischi, e come possiamo aiutarti a prendere la decisione giusta per chiudere la questione fiscale senza sorprese.

Hai ricevuto un accertamento e non sai se conviene accettarlo o fare opposizione? Vuoi capire se puoi risolvere tutto con una soluzione semplice e vantaggiosa?

Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme il contenuto dell’avviso, valuteremo se l’acquiescenza è la strada più adatta e ti accompagneremo in ogni fase, dal calcolo degli importi alla chiusura della tua posizione con il Fisco.

Introduzione

Ricevere un avviso di accertamento tributario può generare preoccupazione in imprenditori, professionisti e privati. Si tratta dell’atto con cui l’Amministrazione finanziaria formalizza una pretesa fiscale a seguito di controlli, indicando imposte non versate, sanzioni e interessi dovuti. Davanti a un avviso di accertamento, il destinatario ha di fronte diverse opzioni: impugnarlo davanti alle Commissioni Tributarie, attivare strumenti deflativi del contenzioso (come l’adesione all’accertamento) oppure accettare integralmente l’atto. Quest’ultima opzione – su cui ci concentriamo in questa guida – è detta acquiescenza all’avviso di accertamento.

L’acquiescenza consiste nella scelta del contribuente di non presentare ricorso contro l’accertamento e di pagare quanto richiesto nei termini di legge, beneficiando così di una significativa riduzione delle sanzioni amministrative. In altre parole, il contribuente “accetta” l’esito dell’accertamento rinunciando a contestarlo, e in cambio la legge prevede uno sconto sulle sanzioni irrogate (tipicamente ridotte a un terzo dell’importo). Si tratta di un istituto introdotto per incentivare la rapida definizione delle controversie fiscali, evitando lunghi contenziosi e garantendo al Fisco un incasso tempestivo.

In questa guida completa ed avanzata esamineremo cos’è e come funziona l’acquiescenza all’avviso di accertamento dal punto di vista del contribuente-debitore. Analizzeremo l’ambito di applicazione (imposte dirette, IVA, imposte indirette come registro, successione, ecc.), i benefici e gli effetti di tale scelta (sull’impugnabilità dell’atto, sulla riscossione e sulla rateizzazione del debito) e gli riferimenti normativi di dettaglio (D.P.R. 600/1973, D.P.R. 633/1972, D.Lgs. 218/1997, D.Lgs. 546/1992, Statuto del Contribuente e altre leggi collegate). Richiameremo anche la giurisprudenza rilevante – incluse sentenze di Cassazione e delle Commissioni Tributarie fino al 2025 – e la prassi amministrativa (circolari e risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate) sul tema.

Per facilitare la comprensione, forniremo tabelle riepilogative che confrontano l’acquiescenza con gli altri istituti e simulazioni pratiche (casi realistici) illustrando come cambia la situazione fiscale di un contribuente scegliendo l’acquiescenza rispetto all’impugnazione o all’inattività. In chiusura troverete una sezione di Domande Frequenti (FAQ) con risposte ai dubbi più comuni e un elenco completo e aggiornato delle fonti normative, giurisprudenziali e di prassi consultate.

Importante: Tutte le informazioni sono aggiornate a giugno 2025, tenendo conto delle novità introdotte dalla recente riforma fiscale (Legge delega n. 111/2023 e decreti attuativi del 2024) e dalla legislazione dell’ultimo biennio.

Cos’è l’acquiescenza a un avviso di accertamento

In ambito tributario italiano, per acquiescenza all’avviso di accertamento si intende l’atto di accettazione integrale, da parte del contribuente, delle contestazioni contenute in un avviso di accertamento (o in un avviso di liquidazione) notificato dall’ente impositore. In pratica, il contribuente rinuncia espressamente a impugnare l’atto dinanzi al giudice tributario e rinuncia a utilizzare altri strumenti come l’accertamento con adesione, procedendo invece al pagamento di quanto dovuto. In cambio, la legge premia questo comportamento con un’agevolazione: le sanzioni amministrative sono ridotte a un terzo dell’importo altrimenti previsto.

La base normativa di questo istituto è l’art. 15 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (rubricato “Sanzioni applicabili nel caso di omessa impugnazione”), il quale testualmente dispone: “Le sanzioni irrogate […] sono ridotte a un terzo se il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e a formulare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute […]”. Ciò esprime chiaramente la ratio deflattiva dell’istituto: incentivare il contribuente a definire bonariamente la pretesa tributaria (da qui il termine talvolta usato di “definizione agevolata dell’accertamento”) evitando il contenzioso, grazie allo sconto sulle sanzioni accordato in caso di pagamento rapido.

Da notare che l’acquiescenza non incide sull’imposta accertata: il contribuente deve versare integralmente le maggiori imposte (oltre agli interessi maturati), ma beneficia della riduzione delle sole sanzioni amministrative. Tale riduzione è generalmente pari a 1/3 (un terzo) dell’importo della sanzione originariamente irrogata, salvo eccezioni particolari che vedremo. In altri termini, il contribuente paga soltanto un terzo della sanzione, con un abbattimento del 66,6% rispetto al dovuto in caso di contestazione o inerzia.

Esempio: se in un avviso di accertamento per maggiore IRPEF l’Agenzia delle Entrate calcola una sanzione da infedele dichiarazione pari a €9.000 (pari, ipotizziamo, al minimo edittale del 90% su un’imposta accertata di €10.000), tramite l’acquiescenza il contribuente potrà definire l’atto pagando €3.000 di sanzione invece di €9.000, oltre all’imposta e interessi. La differenza di €6.000 viene condonata per effetto della definizione agevolata.

Va sottolineato che l’acquiescenza è un’adesione integrale e incondizionata all’atto: comporta infatti l’accettazione di tutti gli addebiti contestati nell’avviso. In genere non sarebbe possibile accettare solo alcuni rilievi e impugnarne altri, poiché la legge richiede la rinuncia all’impugnazione dell’atto nel suo complesso. Su questo punto, però, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato un principio importante: in presenza di contestazioni autonome e distinte all’interno di un unico avviso, il contribuente può effettuare una acquiescenza parziale, aderendo ad alcuni addebiti e impugnando solo gli altri. Torneremo su questo aspetto più avanti, ma è bene evidenziare sin d’ora che la Cassazione (ord. n. 11497/2018) ha ritenuto ammissibile l’acquiescenza limitata a singoli rilievi autonomi contenuti nell’atto, in ossequio al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.. In linea generale, tuttavia, l’acquiescenza resta un istituto “tutto o nulla”: salvo il caso particolare appena menzionato, si applica a condizione che il contribuente accetti integralmente le risultanze dell’accertamento.

Riassumendo, l’acquiescenza all’avviso di accertamento è una facoltà concessa al contribuente, che si traduce in una definizione agevolata dell’atto impositivo: nessun ricorso e pagamento tempestivo in cambio di sanzioni ridotte. Non è un obbligo: il contribuente può sempre scegliere di contestare l’atto se ritiene infondato il rilievo fiscale. Questa scelta andrà ponderata considerando i pro (riduzione delle sanzioni, niente spese di lite, fine immediata della vicenda) e i contro (necessità di pagare subito, rinuncia a far valere ragioni o vizi dell’atto in giudizio). Nei prossimi paragrafi esamineremo dettagliatamente l’ambito di applicazione, la procedura da seguire, gli effetti e le alternative, fornendo gli strumenti per una decisione consapevole.

Ambito di applicazione: a quali atti e tributi si applica

L’istituto dell’acquiescenza si applica ai provvedimenti di accertamento o liquidazione riguardanti la generalità dei tributi erariali principali. In particolare, l’art. 15 D.Lgs. 218/1997 la prevede espressamente con riferimento alle violazioni in materia di: imposte dirette (es. IRPEF, IRES, addizionali), IVA, imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni, e relative sanzioni. Ciò significa che un contribuente che riceve un avviso di accertamento su tali tributi – ad esempio un avviso per maggior IRPEF o IVA, un avviso di rettifica sull’imposta di registro per un valore dichiarato inferiore al reale, o un avviso di liquidazione per imposta di successione – può ricorrere all’acquiescenza per definire l’atto con sanzioni ridotte.

Più in dettaglio, rientrano nel campo di applicazione:

  • Avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate in materia di imposte sui redditi (IRPEF, IRES), IRAP e IVA, inclusi gli atti di accertamento “parziale” o “integrativo” (un avviso integrativo è comunque definibile con acquiescenza, limitatamente agli importi integrativi). Ad esempio, un avviso di accertamento per maggior reddito non dichiarato o per indebita detrazione IVA rientra nell’istituto.
  • Avvisi di liquidazione e di rettifica relativi alle imposte indirette diverse dall’IVA, come l’imposta di registro (DPR 131/1986) e l’imposta sulle successioni e donazioni (DPR 346/1990). Il D.Lgs. 218/1997 richiama espressamente gli artt. 71 e 72 del DPR 131/1986 e gli artt. 50 e 51 del DPR 346/1990, che disciplinano rispettivamente le sanzioni per omessa/infedele dichiarazione di valore ai fini dell’imposta di registro e per omessa/infedele dichiarazione di successione. Dunque, anche in caso di accertamento su queste imposte (es. un avviso che contesti un valore di vendita immobiliare dichiarato troppo basso, con conseguente maggiore imposta di registro, oppure un avviso per una donazione non dichiarata), il contribuente può prestare acquiescenza pagando le somme dovute con sanzioni ridotte a un terzo.
  • Atti di contestazione di sole sanzioni tributarie connessi a controlli fiscali: ad esempio un provvedimento di irrogazione di sanzioni emesso autonomamente (senza maggiore imposta, magari per violazioni formali). La stessa Agenzia delle Entrate chiarisce che “anche gli atti di contestazione con cui vengono irrogate solo sanzioni possono essere definiti per acquiescenza. Il contribuente ha la possibilità di definire le sanzioni irrogate con il pagamento, entro il termine previsto per il ricorso, di 1/3 della sanzione indicata”. Quindi se arriva un atto che contesta, ad esempio, solo una violazione formale con sanzione amministrativa, pagando 1/3 di tale sanzione entro i termini si chiude la questione (questo è spesso il caso di verbali o atti per omessa presentazione di comunicazioni, ecc.).
  • Avvisi relativi a omessa dichiarazione dei redditi o dell’IVA: in tali casi la sanzione base è molto elevata (generalmente dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, minimo 250€) ma la definizione in acquiescenza è comunque ammessa e risulta particolarmente conveniente. Ad esempio, per un omesso redditi con imposta accertata di €10.000 e sanzione pari al minimo edittale del 120% (€12.000), l’acquiescenza consente di pagare solo €4.000 di sanzione (1/3 di €12.000) invece di €12.000. (Nota: La Legge di Bilancio 2023 ha escluso le dichiarazioni omesse da talune sanatorie speciali, come il “ravvedimento speciale”, ma non ha modificato la disciplina generale dell’acquiescenza ordinaria per gli avvisi emessi in caso di omessa dichiarazione. Dunque un avviso per omessa dichiarazione dei redditi può ancora essere definito con sanzioni ridotte ad un terzo).
  • Violazioni in materia di contributi previdenziali obbligatori (IVS) accertate dall’Agenzia delle Entrate: talvolta, nell’ambito di un accertamento fiscale, possono emergere anche omissioni contributive (ad esempio, redditi di lavoro non dichiarati con contributi INPS evasi). In questi casi è prevista la possibilità di definizione analoga, con l’effetto di rendere inapplicabili sanzioni e interessi dal punto di vista previdenziale. Ciò significa che, accettando gli addebiti contributivi contestati e versando i contributi dovuti, l’INPS non applicherà ulteriori sanzioni civili o interessi di mora su tali somme. Si tratta di un aspetto peculiare, frutto del coordinamento tra fisco e previdenza: in sostanza, la definizione agevolata estingue anche il contenzioso contributivo correlato, senza oneri aggiuntivi.
  • Tributi locali e regionali: per completezza, segnaliamo che anche la legislazione locale prevede istituti analoghi. Ad esempio, per i tributi comunali (IMU, TARI, TASI) la normativa consente la definizione agevolata degli avvisi con sanzioni ridotte (spesso a 1/3) in caso di mancata impugnazione. La Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) ha espressamente introdotto l’acquiescenza per la nuova IUC (Imposta Unica Comunale) prevedendo la riduzione delle sanzioni ad 1/6 se l’avviso non era stato preceduto da un invito al contraddittorio (incentivando i Comuni a inviare previamente un “invito” al contribuente). Inoltre, dal 2020 gli avvisi di accertamento esecutivi locali prevedono che, se non impugnati, diventino titolo esecutivo con sanzioni ridotte in caso di pagamento spontaneo. Tuttavia, poiché questa guida è focalizzata sul punto di vista del contribuente nazionale e sulla disciplina statale, non entreremo nel dettaglio delle norme locali, limitandoci a richiamarle nella sezione finale delle fonti.

In sintesi, l’acquiescenza è generalmente possibile per tutti gli atti impositivi emessi dall’Agenzia delle Entrate (o enti impositori equiparati) che il contribuente potrebbe altrimenti impugnare davanti al giudice tributario: avvisi di accertamento (in materia di imposte dirette e IVA), avvisi di liquidazione (in materia di registro, successione, ecc.), provvedimenti di irrogazione sanzioni. Al contrario, non si applica a atti non autonomamente impugnabili come le comunicazioni di irregolarità ex artt. 36-bis DPR 600/1973 e 54-bis DPR 633/1972 (i cosiddetti “avvisi bonari”), che già prevedono loro specifiche riduzioni sanzionatorie del 1/3 o 2/3 in caso di pagamento entro 30/60 giorni. Quelle comunicazioni, infatti, non sono avvisi di accertamento definitivi ma semplici esiti di controlli automatici/formali: il contribuente può definirli pagando una sanzione ridotta (es. 10% o 8,33% anziché 30% nel caso di controllo automatizzato, grazie alle novità 2024), ma tale procedimento è diverso dall’acquiescenza disciplinata dall’art. 15 D.Lgs. 218/1997. Quest’ultima si riferisce agli atti impositivi “finali” e già impugnabili, non alle fasi interlocutorie. Una volta che la comunicazione si tramuti (eventualmente) in un avviso di accertamento in caso di mancato riscontro, allora tornerà applicabile l’acquiescenza su tale avviso.

Riepilogo – Principali atti definibili con acquiescenza e relative norme:

  • Avviso di accertamento (IRPEF, IRES, IRAP, IVA) – art. 15 D.Lgs. 218/97.
  • Avviso di liquidazione (registro, successione, bollo, ecc.) – art. 15 D.Lgs. 218/97 (richiama DPR 131/86 e DPR 346/90).
  • Atto di contestazione/irrogazione sanzioni tributarieart. 15 D.Lgs. 218/97 e art. 16 D.Lgs. 472/97 (quest’ultimo consente definizione pagando 1/3 sanzioni entro 60gg).
  • Accertamento esecutivo (introdotto da DL 78/2010 e esteso dal D.Lgs. 110/2024): equiparato a un avviso di accertamento con intimazione di pagamento – acquiescenza applicabile con sanzioni ridotte.
  • Avvisi di accertamento/contestazione enti locali (IMU, TARI, ecc.): sì, se previsti dai regolamenti/locali (generalmente sanzione 1/3 o 1/6).

Come si vede, l’ambito è molto ampio e copre la quasi totalità dei casi in cui un contribuente riceve una pretesa fiscale formalizzata in un atto ufficiale. Nei prossimi paragrafi vedremo come procedere concretamente per prestare acquiescenza e quali sono i termini e le condizioni da rispettare.

Procedura: come prestare acquiescenza e tempi da rispettare

Per perfezionare l’acquiescenza non è necessario alcun modulo o istanza formale: è sufficiente il comportamento concludente del contribuente che effettua il pagamento di quanto dovuto entro i termini di legge. In altri termini, l’acquiescenza si manifesta implicitamente tramite il mancato ricorso e il versamento delle somme dovute con la riduzione sanzionatoria. Non esiste un “modulo di acquiescenza” da presentare all’Agenzia delle Entrate; la rinuncia a impugnare è implicita nel fatto stesso di non presentare ricorso entro la scadenza. Vediamo passo passo la procedura:

1. Ricezione dell’avviso di accertamento: l’atto viene notificato al contribuente secondo le norme previste (raccomandata, PEC per i soggetti obbligati, ufficiale giudiziario, etc.). È fondamentale annotare la data di notifica, perché da essa decorre il termine di 60 giorni per il ricorso o per la definizione in acquiescenza. Se la notifica avviene a mezzo posta con raccomandata e avviso di ricevimento, occorre considerare la data di ricezione (o, in caso di compiuta giacenza, la data di perfezionamento della notifica per compiuta giacenza). La busta o PEC contiene l’avviso stesso e spesso un prospetto riepilogativo delle somme dovute, dove vengono evidenziati gli importi di imposta, interessi e sanzioni (sia in misura piena sia in misura ridotta per acquiescenza). L’avviso inoltre indica espressamente le modalità di pagamento e i termini entro cui pagare per avvalersi della definizione agevolata, nonché l’ufficio competente e l’organo giurisdizionale per l’eventuale ricorso. Tali indicazioni sono obbligatorie per legge (Statuto del Contribuente) e la loro assenza può rendere nullo l’atto; in pratica, sull’avviso troverete quasi sempre una sezione dedicata alle “istruzioni per la definizione ai sensi dell’art.15 D.Lgs.218/97”, che spiega come pagare 1/3 delle sanzioni entro 60 giorni.

2. Decisione di non impugnare e calcolo delle somme dovute: se il contribuente decide di aderire all’atto, deve astenersi dal presentare ricorso e predisporre il pagamento. È consigliabile verificare attentamente i calcoli dell’ufficio. L’importo complessivo da versare in caso di acquiescenza comprende: la maggiore imposta accertata, gli interessi maturati (calcolati di norma dalla data in cui l’imposta sarebbe dovuta fino alla data di notifica, e oltre fino alla data di versamento) e le sanzioni ridotte. Come visto, la sanzione ridotta è pari a 1/3 di quella irrogata nell’avviso. Ad esempio, se l’avviso indica €10.000 di imposta, €2.000 di interessi e una sanzione da €9.000, per l’acquiescenza bisognerà versare €10.000 + €2.000 + €3.000 = €15.000. È importante assicurarsi di versare esattamente le somme “tenendo conto delle riduzioni”: un pagamento insufficiente (anche di poco) entro il termine può far perdere il beneficio (vedi infra sul “lieve inadempimento”). Il conteggio è facilitato dalle indicazioni fornite nell’atto stesso: spesso l’ufficio indica chiaramente l’“importo per definizione art.15 D.Lgs 218/97” già comprensivo delle riduzioni.

3. Versamento entro il termine di legge: il pagamento deve avvenire entro il termine per la proposizione del ricorso, che ordinariamente è di 60 giorni dalla notifica dell’atto. Questo termine è perentorio. Significa che, entro il 60° giorno (calcolato includendo eventuali giorni festivi, ma con slittamento al primo giorno lavorativo successivo se il 60° cade di sabato o festivo), il contribuente deve aver eseguito il pagamento (o almeno la prima rata, in caso di rateizzazione, come vedremo). Attenzione: dal 1° agosto al 31 agosto di ogni anno i termini processuali tributari sono sospesi per legge (art. 1 della L. 742/1969, c.d. “sospensione feriale”); di conseguenza, se il termine di 60 giorni ricade in tale periodo, esso è prorogato di 31 giorni. Ad esempio, per un avviso notificato il 20 giugno, il 60° giorno sarebbe il 19 agosto, ma cade durante la sospensione: il termine effettivo per ricorrere o aderire slitta al 19 settembre. Questa sospensione si applica anche al termine per perfezionare l’acquiescenza, essendo un termine “per la proposizione del ricorso”. Dunque il contribuente può beneficiare di agosto per avere più tempo per pagare, senza perdere lo sconto.

Il pagamento va effettuato tramite modello F24 (per i tributi erariali) utilizzando i codici tributo specifici indicati nell’avviso e nelle istruzioni. Nell’avviso sono riportati i codici tributo per versare l’imposta, gli interessi e la sanzione ridotta, nonché il codice atto e altre informazioni da riportare in delega F24. È fondamentale compilare correttamente l’F24, poiché un errore può portare a mancata registrazione del pagamento. Se l’atto riguarda tributi non pagabili via F24 (casi rari, es. alcuni tributi locali), bisognerà seguire le istruzioni dell’ente (es. modello F23 o altri sistemi).

Non è obbligatorio comunicare formalmente all’ufficio l’intenzione di prestare acquiescenza: come detto, nessuna comunicazione formale di rinuncia al ricorso è richiesta. Alcuni contribuenti inviano volontariamente una lettera all’Agenzia delle Entrate allegando copia dei versamenti e dichiarando di aver definito l’accertamento in acquiescenza, per scrupolo; non è una procedura imposta, ma può avere utilità pratica per assicurarsi che l’ufficio registri correttamente la definizione e non avvii per errore la riscossione coattiva. In ogni caso, ciò che conta giuridicamente è che il pagamento sia effettuato nei termini e per l’importo dovuto.

4. Facoltà di pagamento rateale: il contribuente che intende fare acquiescenza ma ha difficoltà a versare tutto in un’unica soluzione può ricorrere alla rateizzazione del debito tributario. L’acquiescenza infatti non preclude la dilazione: anche definendo l’accertamento, il pagamento può avvenire a rate, analogamente a quanto previsto per l’accertamento con adesione. Le condizioni per la rateazione sono stabilite dall’art. 8 del D.Lgs. 218/1997 (richiamato dall’art.15 stesso) e dall’art. 15-bis DPR 602/1973: attualmente, è consentito fino a 8 rate trimestrali di pari importo, oppure fino a 16 rate trimestrali se l’importo complessivo dovuto supera €50.000. In sostanza:

  • Per importi dovuti (imposta + interessi + sanzioni ridotte) fino a €50.000, massimo 8 rate trimestrali.
  • Per importi sopra €50.000, sono concesse fino a 16 rate trimestrali.

Le rate sono trimestrali e scadono ciascuna l’ultimo giorno di ogni trimestre successivo (prima rata entro 60 giorni dalla notifica, seconda rata dopo 3 mesi, e così via). La prima rata va pagata entro lo stesso termine di 60 giorni previsto per l’acquiescenza. Il pagamento della prima rata perfeziona la definizione: in tal modo il contribuente attiva l’acquiescenza e blocca eventuali azioni esecutive. Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi legali (attualmente il tasso legale è 5% annuo nel 2024, variabile di anno in anno) calcolati dal giorno successivo al pagamento della prima rata fino alla scadenza di ciascuna rata. Il versamento dilazionato segue le stesse regole dell’adesione: non è più richiesta alcuna garanzia fideiussoria (tale obbligo, previsto un tempo per importi elevati, è stato eliminato dal 2011).

Esempio di rateazione: importo totale €60.000, di cui €40.000 imposte e interessi e €20.000 sanzioni piene ridotte a €6.667 (un terzo). Poiché supera €50.000, si possono chiedere fino a 16 rate. Si opta per 12 rate trimestrali: prima rata da €5.000 entro 60gg, poi altre 11 rate da circa €5.000 ciascuna ogni tre mesi. Sulle rate 2-12 maturano interessi legali. Pagando la prima rata entro il termine, l’accertamento è definito e non ulteriormente impugnabile; l’omesso pagamento delle rate successive comporterà la decadenza dalla dilazione, ma non la “riapertura” del contenzioso (l’atto resta definito, si procederà solo a riscuotere il dovuto).

La scelta tra pagamento in unica soluzione o rateizzato dipende dalla capacità finanziaria del contribuente. Da un lato, pagare subito evita l’onere degli interessi di dilazione e chiude immediatamente la partita. Dall’altro, la rateizzazione offre respiro finanziario, spalmando l’esborso su 2-4 anni (nel caso massimo di 16 rate trimestrali). In entrambi i casi, gli effetti giuridici dell’acquiescenza decorrono dal pagamento tempestivo (della totalità o almeno della prima rata). Pertanto, non c’è differenza in termini di rinuncia al ricorso e di definizione dell’atto: anche chi rateizza ottiene la riduzione delle sanzioni e la cessazione della materia del contendere, a condizione di rispettare il piano di rateazione.

5. Lieve inadempimento e decadenza: è fondamentale rispettare le scadenze e gli importi previsti, ma la legge ammette alcune tolleranze per errori di lieve entità, in base al principio del lieve inadempimento. Introdotto dall’art. 15-ter DPR 602/1973 (dal 2015), il lieve inadempimento “non preclude il perfezionamento della definizione né comporta la decadenza dalla rateazione” in determinate condizioni. In particolare, si considerano “lievi” e non fanno decadere l’acquiescenza:

  • Ritardo nel pagamento della prima rata (o dell’unica soluzione) non superiore a 7 giorni rispetto alla scadenza. (Se la scadenza era tra il 1° e 20 agosto, i 7 giorni decorrono dal 20 agosto).
  • Insufficienza nel versamento della prima rata (o unica soluzione) non superiore al 3% dell’importo dovuto e comunque non eccedente €10.000. Ad esempio, se dovevo versare €50.000 e per un errore ne ho versati €49.000 (2% in meno, differenza €1.000), lo scostamento è sotto 3% e €10.000, quindi rientra nella soglia di tolleranza.
  • Per le rate successive, è lieve inadempimento il pagamento effettuato entro la scadenza della rata successiva (quindi un ritardo massimo di meno di 3 mesi), oppure un importo insufficiente entro i limiti del 3%/€10.000 analoghi a quelli sopra (da valutare su ogni singola rata).

Se l’errore rientra in questi limiti, l’acquiescenza non decade e la definizione resta valida. Ciò non significa però che l’errore sia gratuito: il contribuente dovrà comunque corrispondere quanto omesso, con relativi interessi moratori e sanzioni per il ritardo. L’ufficio procederà infatti all’iscrizione a ruolo delle sanzioni e interessi commisurati ai giorni di ritardo o all’importo non versato. Tali sanzioni aggiuntive, di norma, sono la sanzione da omesso versamento (30% ridotta a metà se pagata entro 90 gg) applicata sulla parte tardiva, o interessi di mora. Il contribuente potrà comunque evitare l’iscrizione a ruolo attivando il ravvedimento operoso su quell’omissione parziale, versando spontaneamente la sanzione ridotta e gli interessi dovuti sul ritardato pagamento. In pratica, ad esempio: se pago la prima rata con 5 giorni di ritardo (entro il lieve inadempimento), l’acquiescenza è salva ma dovrò versare una mini-sanzione per quei 5 giorni di ritardo (circa lo 0,1% al giorno) tramite ravvedimento.

Al di fuori di queste ipotesi di lieve scostamento, un mancato o tardivo pagamento comporta conseguenze più gravi. In particolare:

  • Se non viene pagata la prima rata o l’importo in unica soluzione entro 60 giorni, l’acquiescenza non si perfeziona affatto. Trascorso il termine perentorio, il contribuente perde il beneficio della riduzione delle sanzioni e l’atto diviene definitivo e immediatamente esecutivo per l’intero importo iniziale. La Cassazione ha chiarito che il lieve inadempimento non si applica alla perdita del beneficio delle sanzioni ridotte quando il contribuente non ha effettuato il pagamento entro il termine per impugnare. Ad esempio, versare tutto il dovuto al 70° giorno (10 giorni di ritardo) non consente di invocare la definizione: l’ufficio considererà l’acquiescenza decaduta e iscriverà a ruolo l’intero importo con sanzioni piene, nonostante il contribuente abbia pagato (il quale dovrà eventualmente chiedere rimborso di quanto versato o vederselo imputare in conto, ma senza beneficio). Dunque il termine dei 60 giorni è improrogabile, salvo i soli 7 giorni di tolleranza esposti (oltre i quali l’errore non è più “lieve”).
  • Se viene pagata la prima rata nei termini ma poi il contribuente salta una rata successiva e non la paga neppure entro la scadenza della rata immediatamente successiva, si verifica la decadenza della rateazione. In caso di decadenza, il residuo debito diventa immediatamente riscuotibile in unica soluzione. Inoltre, decadendo dalla definizione, il contribuente perde il beneficio della sanzione ridotta? Su questo punto occorre distinguere: la norma (art. 15-ter DPR 602/73) tutela dalla decadenza l’aspetto della rateazione, ma non sembra rimettere in discussione la definizione in sé se la prima rata era stata pagata tempestivamente. In altre parole, l’accertamento resta definito (non si può più impugnare) e le sanzioni restano ridotte, però l’Agenzia procederà a riscuotere tutte le rate rimanenti in unica soluzione, eventualmente tramite cartella o ingiunzione. Tuttavia, se la decadenza avviene prima che siano passati 60 giorni (ipotesi remota, perché di solito la prima rata è quella critica), allora equivarrebbe a non aver definito nei termini. Nella pratica comune, la decadenza interviene dopo, quindi riguarda la rateazione ma non fa “rivivere” le sanzioni piene. Il contribuente sarà tenuto a pagare il residuo del dovuto (imposte, interessi e la parte residua di sanzione già ridotta) senza ulteriori benefici di dilazione.

Ricordiamo infine che l’acquiescenza copre solo quanto contestato nell’atto. Se successivamente l’ufficio emette un ulteriore accertamento (ad esempio integrativo su altri componenti di reddito sfuggiti al primo), esso costituirà un nuovo atto autonomo. Il contribuente potrà definire anche quello eventualmente, ma dovrà avviare una nuova procedura di pagamento. Inoltre, se nell’atto erano presenti sanzioni penali (ad esempio per dichiarazione fraudolenta, scenario raro direttamente nell’avviso) o se la violazione configura reato, l’acquiescenza non estingue di per sé l’illecito penale – su questo si veda oltre la parte dedicata ai profili penali.

In conclusione, la procedura per l’acquiescenza può essere sintetizzata così: entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso occorre pagare imposte + interessi + 1/3 delle sanzioni, in unica soluzione o come prima rata di un piano di rateazione trimestrale (massimo 8 o 16 rate). Il pagamento sancisce la rinuncia al ricorso e la definizione dell’accertamento. Piccoli errori entro 7 giorni o 3% di scostamento non pregiudicano il beneficio (ma vanno sanati), mentre errori maggiori comportano la perdita della definizione agevolata. Effettuato correttamente il versamento, l’Agenzia delle Entrate considererà l’atto definito per acquiescenza ai sensi dell’art. 15 D.Lgs. 218/97 e di norma non iscriverà a ruolo le somme (se non eventualmente per le rate future o per sanzioni da lieve inadempimento). Si consiglia di conservare con cura le ricevute dei versamenti F24 effettuati, in caso fosse necessario dimostrare l’avvenuto pagamento.

Effetti dell’acquiescenza: rinuncia al ricorso, sanzioni ridotte e titolo esecutivo

La scelta di prestare acquiescenza comporta una serie di effetti giuridici importanti, che analizziamo di seguito dal punto di vista del contribuente (debitore):

1. Definitività dell’accertamento e rinuncia all’impugnazione: l’effetto principale dell’acquiescenza è rendere definitivo l’avviso di accertamento. Il contribuente, avendo rinunciato a presentare ricorso entro i termini, perde la possibilità di far valere in giudizio qualsiasi motivo di contestazione dell’atto. In pratica, l’accertamento diventa inoppugnabile e acquisisce forza di cosa decisapassata in giudicato amministrativo. Qualsiasi eventuale ricorso presentato successivamente sarebbe dichiarato inammissibile per decorrenza dei termini o per intervenuta definizione agevolata. Anche la Cassazione ha affermato che, una volta perfezionata l’adesione o acquiescenza, l’originario atto impositivo non è più impugnabile, poiché un ricorso implicherebbe la revoca di quanto già concordato e pagato.

In sostanza, l’acquiescenza chiude il contenzioso sul nascere: il contribuente non potrà più rivolgersi alla Commissione Tributaria per contestare né il merito né eventuali vizi formali dell’atto. Questo implica che eventuali errori o illegittimità dell’accertamento vengono “digeriti” dal contribuente in cambio del beneficio sanzionatorio. Dunque, prima di aderire conviene valutare se l’atto presenti profili contestabili (es. errori evidenti, prescrizione, notifica nulla, violazioni del diritto di difesa come mancato contraddittorio quando dovuto, ecc.): se si rinuncia al ricorso, quei vizi non potranno più essere fatti valere, a meno di tentare la strada dell’autotutela (istanza all’ufficio di annullamento in via di autotutela) che però è discrezionale e di rado praticata in caso di atto già “accettato” con pagamento.

La rinuncia al ricorso è implicita ma vincolante. Non è necessario, come visto, formalizzare alcun atto di rinuncia in Commissione perché il ricorso non viene proprio presentato. Se il contribuente avesse inizialmente presentato ricorso e poi volesse optare per l’acquiescenza, dovrebbe rinunciare al ricorso già proposto (in genere depositando un’istanza di desistimento in Commissione) ed effettuare il pagamento entro il 60° giorno. Questa ipotesi è però poco frequente e può essere problematica – di solito, o si paga o si ricorre, non entrambi. In ogni caso, l’effetto è la preclusione definitiva di ogni azione in giudizio relativa a quell’atto.

2. Riduzione delle sanzioni amministrative: come ampiamente detto, l’effetto incentivante dell’acquiescenza è la riduzione a 1/3 delle sanzioni contenute nell’atto. Questo comporta un alleggerimento notevole dell’esborso. Le sanzioni in questione sono quelle tributarie amministrative, non eventuali sanzioni penali (che seguono altre regole). La riduzione si applica sull’importo irrogato nell’avviso, purché non si scenda sotto determinati minimi. Infatti l’art. 15 stabilisce che “in ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore a un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo”. Ciò significa che se, teoricamente, nell’atto fosse stata irrogata una sanzione già al minimo di legge, la riduzione dovrà comunque arrestarsi al minimo di 1/3 di quel minimo edittale. Esempio: se la violazione più grave per quel tributo ha minimo 90%, e nell’atto la sanzione era stata messa a 90%, la riduzione a 1/3 porterebbe a 30%, ma 30% è proprio 1/3 del minimo (90%), quindi va bene. Se invece nell’atto per qualche ragione la sanzione fosse inferiore al minimo (ipotesi scolastica), la riduzione non la porterebbe sotto 1/3 del minimo di legge. In pratica, questo vincolo garantisce che non si vada mai sotto soglie di sanzione ritenute “di rigore” dal legislatore. Nella stragrande maggioranza dei casi, comunque, l’ufficio irroga la sanzione piena o almeno superiore a 1/3 del minimo, quindi la riduzione a 1/3 dell’irrogato rispetterà tale limite.

È importante sottolineare che la riduzione riguarda tutte le sanzioni contenute nell’atto. Se l’avviso comprende più violazioni sanzionate (es. sanzione per infedele dichiarazione ai fini IRPEF e sanzione per omessa fatturazione IVA), l’acquiescenza si estende a tutte e ciascuna viene ridotta proporzionalmente. Non è possibile scegliere di accettare l’imposta ma contestare solo la sanzione: la definizione è un pacchetto unico, e comporta il pagamento della (sola) sanzione ridotta. Una volta pagato e perfezionato il tutto, l’ufficio non potrà più pretendere la differenza delle sanzioni (i 2/3 “scontati”), a meno che il contribuente non decada dal beneficio (ad esempio per mancato pagamento di una rata, come visto).

Accanto all’ordinaria riduzione a un terzo, esistono alcuni casi particolari in cui la legge ha previsto riduzioni ancor maggiori delle sanzioni in acquiescenza, per incentivare ulteriormente la definizione. Storicamente, ad esempio, era previsto che se l’avviso non era preceduto dal cosiddetto “invito al contraddittorio” (una sorta di proposta di adesione) le sanzioni fossero ridotte a 1/6 anziché 1/3. Questa previsione (introdotta nel 2011) è stata abrogata nel 2016, uniformando di nuovo la misura al 1/3 per tutti. Tuttavia vale la pena citarla come curiosità storica: dal 2012 al 2015 circa, se l’Agenzia delle Entrate emetteva un accertamento senza prima inviare un invito al contribuente, quest’ultimo poteva definire con 1/6 delle sanzioni (quindi pagando solo circa il 16,6%). Oggi non è più così a livello statale. Tuttavia, per i tributi locali, alcune norme ispirate a quel principio sono in vigore: ad esempio la L. 147/2013 per IMU/TARI consentiva 1/6 se l’avviso non preceduto da invito del Comune. Ma ripetiamo, per IRPEF, IVA, ecc., attualmente la riduzione è 1/3 in ogni caso, fatte salve eventuali sanatorie speciali.

In tempi recenti, il legislatore ha introdotto misure agevolative straordinarie (cosiddetta “tregua fiscale” 2023) con sanzioni molto più basse (addirittura 1/18, pari al 5.56%), ma si tratta di disposizioni una tantum applicabili solo a specifici atti e periodi. In particolare la Legge 197/2022 (Bilancio 2023) ha permesso, per gli avvisi non impugnati al 1° gennaio 2023 o notificati entro il 31 marzo 2023, la definizione agevolata con sanzioni ridotte a 1/18 del minimo edittale. Questa possibilità – alternativa all’acquiescenza ordinaria – richiedeva il pagamento entro determinate scadenze nel 2023 e non era ammessa per alcune situazioni, come atti relativi a profili penali o derivanti da omessa dichiarazione (in altri termini, la “tregua fiscale” escludeva le dichiarazioni omesse dal ravvedimento speciale, mentre per gli avvisi di accertamento consentiva comunque la definizione 1/18 a prescindere dalla causa, purché rientrassero nelle date). Chi ha potuto approfittare di tale misura nel 2023 ha definito pagando sanzioni simboliche; per gli altri casi, dal 2024 si è tornati al regime ordinario dell’art. 15, con il 1/3 come regola. È importante non confondere l’acquiescenza “ordinaria” con queste definizioni agevolate straordinarie: quest’ultime hanno natura di condono parziale temporaneo e seguono regole a sé. Nella presente guida trattiamo principalmente dell’acquiescenza ordinaria, pur avendo accennato a queste eccezioni per completezza e perché possono aver impatto su pendenze recenti.

3. Inoppugnabilità e effetti processuali: come effetto correlato alla rinuncia al ricorso, l’acquiescenza comporta che l’atto definito non può più essere oggetto di giudizio. Non solo: se il contribuente avesse altri contenziosi collegati, potrebbe subire riflessi. Ad esempio, poniamo che un avviso di accertamento riguardi IVA e il contribuente presenti ricorso solo per far valere un vizio formale ma contestualmente paghi (sperando di non perdere lo sconto): così facendo sta in realtà accettando l’atto e il ricorso sarà dichiarato improcedibile. Oppure, se per lo stesso fatto vi fosse un procedimento penale, il pagamento delle somme in sede amministrativa potrebbe influire positivamente (lo vedremo). Ma dal punto di vista strettamente processuale tributario, non ci sarà alcun processo: l’acquiescenza è un atto sostanziale che elimina la controversia prima che nasca il giudizio. Ciò significa anche nessuna spesa di lite, nessun rischio di condanna alle spese e nessuna sanzione per lite temeraria ecc., perché non si arriva proprio in Tribunale. Dal punto di vista dello Statuto del Contribuente, l’Agenzia deve dare atto della definizione e non iscrivere a ruolo le somme oggetto di pagamento, né applicare sanzioni ulteriori. Se per errore partisse una cartella per quelle somme già definite, il contribuente potrebbe far valere l’avvenuta definizione producendo le quietanze.

4. Effetti sulla riscossione e sul titolo esecutivo: l’avviso di accertamento notificato al contribuente, decorsi i 60 giorni senza ricorso, diventa per legge un titolo esecutivo per la riscossione coattiva. In altri termini, in assenza di impugnazione, l’atto acquista efficacia paragonabile a una sentenza passata in giudicato, e l’Amministrazione può procedere a riscuotere le somme dovute senza dover emettere una cartella di pagamento separata. Questa caratteristica è stata introdotta dal 2011 (DL 78/2010) per i tributi erariali e recentemente estesa ad altri atti dal D.Lgs. 110/2024. Qual è l’effetto dell’acquiescenza su tale meccanismo?

Se il contribuente paga tempestivamente (tutto o la prima rata), l’atto è definito e l’iter di riscossione coattiva si interrompe sul nascere. L’Agenzia delle Entrate non iscriverà a ruolo le somme oggetto di acquiescenza né affiderà nulla all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione). In pratica, il pagamento volontario evita che, trascorsi 60 giorni + 30 giorni di intimazione, si passi alla fase di recupero forzoso (fermo, ipoteca, pignoramenti ecc.). Il contribuente, avendo ottemperato, non riceverà alcun avviso di intimazione né altre ingiunzioni. Al contrario, se il contribuente non avesse pagato né ricorso, dopo 60 giorni l’atto sarebbe comunque definitivo ma a quel punto l’Agenzia procederebbe a iscriverlo a ruolo e dopo ulteriori 30 giorni a trasmetterlo al riscossore per esecuzione forzata. Questo comporterebbe l’emissione di una sorta di “cartella” (tecnicamente l’avviso stesso funge da cartella) e l’aggiunta dell’aggio di riscossione (cioè una maggiorazione percentuale a favore dell’Agente, oggi per lo più a carico dell’Erario ma con alcune spese fisse a carico del debitore) nonché degli interessi di mora (interessi aggiuntivi calcolati dal giorno successivo alla scadenza dei 60 giorni, attualmente attorno al 2% annuo).

Optare per l’acquiescenza, quindi, evita costi ulteriori legati alla riscossione coattiva. Non saranno dovute né le spese di notifica della cartella né gli eventuali diritti di aggio, e soprattutto non matureranno gli interessi di mora (che sono diversi e più alti rispetto ai normali interessi da ritardata iscrizione a ruolo calcolati fino alla notifica). In pratica, pagando entro i 60 giorni il contribuente blocca il conto al dovuto indicato nell’avviso, mentre se lasciasse andare a ruolo vedrebbe lievitare ulteriormente il debito di qualche punto percentuale.

Va evidenziato che l’acquiescenza non sospende automaticamente la riscossione: semplicemente, prevenendola, rende inutile qualsiasi atto esecutivo. Tuttavia, se il contribuente paga a rate e non versa qualche rata successiva, l’Agenzia potrà comunque riprendere la riscossione coattiva per le rate mancanti, eventualmente notificando un avviso di intimazione (che è un sollecito di pagamento, di per sé non impugnabile) e poi proseguire con pignoramenti ecc. Resta il fatto che la parte definita e pagata non può più essere contestata. Se per errore l’Agenzia iscrivesse a ruolo anche sanzioni già scontate, il contribuente avrebbe diritto all’annullamento di quella parte.

Un ulteriore effetto su cui fare chiarezza: a seguito dell’acquiescenza, l’accertamento è definito ma ciò non equivale a un riconoscimento formale di debito oltre quanto pagato. Alcuni si chiedono: posso, dopo aver pagato con acquiescenza, richiedere un rimborso se scopro che l’accertamento era infondato? In linea di massima no. Avendo rinunciato a impugnare nei termini, il contribuente ha accettato la pretesa; l’unica via sarebbe sperare in un intervento in autotutela dell’ufficio (estremamente raro se non in caso di errore palese di calcolo) oppure un evento eccezionale (es. Corte Costituzionale che abroga la norma impositiva retroattivamente – caso praticamente accademico). Dunque il pagamento in acquiescenza cristallizza la pretesa: di lì in avanti, quell’imposta diventa dovuta definitivamente. Per questo si dice talvolta che l’acquiescenza ha efficacia assimilabile a un accordo transattivo: l’Erario rinuncia a una parte (2/3 sanzioni) e il contribuente rinuncia a contestare e versa il resto. È quindi fondamentale essere convinti che la pretesa sia corretta (o comunque che non convenga intraprendere un contenzioso) prima di aderire.

5. Effetti sulla pena pecuniaria in caso di reati tributari: un aspetto non immediatamente evidente ma rilevante per gli imprenditori è il riflesso in ambito penale tributario. Alcune violazioni fiscali gravi costituiscono reato (es. dichiarazione infedele se l’imposta evasa supera soglie, omessa dichiarazione, omesso versamento IVA oltre soglia, etc.). La normativa penale tributaria (D.Lgs. 74/2000) prevede all’art. 13 talune cause di non punibilità legate al pagamento del debito tributario. In particolare, per reati come l’omesso versamento di imposte dovute in dichiarazione (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000), il pagamento integrale del dovuto prima dell’apertura del dibattimento penale comporta l’estinzione del reato. Inoltre, nel 2023 è stata introdotta (art. 23 DL 34/2023) una causa speciale di non punibilità per i reati di omesso versamento e indebita compensazione, collegata all’utilizzo delle procedure di definizione della “tregua fiscale” 2023.

Che relazione ha ciò con l’acquiescenza? Ebbene, se l’accertamento riguarda un’omissione che integra reato (ad es. omessa dichiarazione oltre soglia), pagando tramite acquiescenza il contribuente estingue il debito tributario prima ancora di un eventuale processo penale. Questo potrà consentirgli di beneficiare delle cause di non punibilità previste: la nuova norma del 2023 richiama tutte le procedure della Legge 197/2022 (tra cui l’acquiescenza agevolata degli atti) come cause per non punire i reati di omesso versamento; ma anche al di fuori di tali finestre, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 già prevedeva che l’estinzione del debito, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione previste dalle norme tributarie, esclude la punibilità. In altre parole, se un contribuente aveva commesso un reato di mancato pagamento IVA e poi, ricevendo l’accertamento, versa tutto con sanzioni (magari ridotte) prima della sentenza, non sarà punibile penalmente.

Questo è un forte incentivo indiretto all’acquiescenza in casi potenzialmente penalmente rilevanti: meglio pagare con lo sconto amministrativo che affrontare un processo. Attenzione però: ciò vale solo per i reati di omesso versamento o indebita compensazione (artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater c.1 D.Lgs.74/2000) e non per i reati di dichiarazione fraudolenta o infedele. Per questi ultimi (es. dichiarazione infedele, art.4, o frode fiscale, art.2-3), il pagamento non estingue il reato, ma può essere considerato semmai come attenuante del danno risarcito. Quindi, in caso di dichiarazione omessa, definire l’accertamento (che tipicamente copre imposta, interessi, sanzione amministrativa) prima che inizi il dibattimento penale fa venir meno la punibilità (art.13 co.1 lett.b D.Lgs.74/2000). Anche la recente Cassazione penale ha confermato che il richiamo alle procedure deflative nelle norme penali comporta che l’utilizzo di acquiescenza, adesione, conciliazione o ravvedimento e il conseguente pagamento integrale del dovuto precludono la punibilità per i reati minori di omesso versamento. Dunque, se il vostro avviso riguarda IVA evasa oltre 250k euro (potenzialmente reato), col pagamento eviterete sia la sanzione amministrativa piena sia il processo penale (ovviamente dovrete pagare anche le eventuali sanzioni penali accessorie come multa se previste, ma quelle solitamente decadono se il reato è non punibile).

6. Conclusione sugli effetti: in definitiva, l’acquiescenza produce una rapida chiusura della posizione fiscale oggetto di accertamento, con un costo ridotto rispetto alla pretesa iniziale (grazie allo sconto sanzioni) e con l’eliminazione di ogni incertezza giuridica (niente più contestazioni su quell’anno/tributo). L’Erario incassa prima e rinuncia a una parte della penalità; il contribuente evita guai peggiori (multe piene, spese, forse sanzioni penali) e può pianificare sapendo che quel debito è definito. È un compromesso previsto dalla legge nell’ottica di “pace fiscale” individuale, distinta dalle varie paci fiscali generali. Naturalmente, tutto ciò vale limitatamente all’oggetto dell’avviso: se il contribuente ha altre annualità in contenzioso o altri rilievi pendenti, quelle seguiranno il loro corso separatamente.

Prima di analizzare le differenze con gli altri strumenti e di esaminare casi pratici, dedichiamo un focus alla possibilità di acquiescenza parziale, data la sua rilevanza pratica.

Acquiescenza parziale: è possibile accettare solo parte dell’accertamento?

Come accennato, l’istituto nasce con un’impostazione “tutto-o-nulla”: l’art. 15 D.Lgs. 218/97 parla di rinuncia a impugnare “l’avviso di accertamento” e pagamento delle somme dovute, sottintendendo l’atto nella sua interezza. Non esiste formalmente una procedura di acquiescenza limitata ad alcuni rilievi contenuti nell’atto. In teoria, se un contribuente con un avviso che contesta 3 violazioni decidesse di pagare solo l’importo relativo a 2 violazioni e di ricorrere sulla terza, staremmo fuori dallo schema normativo. Per molto tempo, questa possibilità è stata controversa.

Nella prassi degli uffici, spesso non viene ammessa l’acquiescenza parziale: se il contribuente presenta ricorso anche parziale, l’atto è considerato impugnato e perde efficacia la definizione agevolata, potendo semmai arrivare ad accordi in sede di contenzioso. In passato alcune Commissioni Tributarie hanno invalidato tentativi di definizione parziale ritenendo che la legge non la prevedesse.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità più recente ha aperto spiragli importanti. La Corte di Cassazione, Sez. V, con ordinanza 11 maggio 2018 n. 11497 ha affermato espressamente che l’acquiescenza, per la ratio ad essa sottesa, può operare anche in relazione a singoli addebiti autonomi compresi in un accertamento unitario. In quel caso, relativo a un avviso con più rilievi eterogenei, la Suprema Corte ha ritenuto ragionevole e conforme all’art. 3 Cost. permettere al contribuente di aderire ad alcuni rilievi e contestarne altri. La motivazione è chiara: se non fosse possibile, il contribuente sarebbe svantaggiato solo perché l’ufficio ha “cumuliato” in un unico avviso contestazioni molto diverse. Così facendo, l’Erario potrebbe costringere il contribuente a rinunciare a benefici su un rilievo infondato per avere la definizione su quelli fondati, il che è irragionevole.

La Corte ha enucleato il seguente principio di diritto: “In materia tributaria, l’istituto dell’acquiescenza di cui all’art. 15 D.Lgs. 1997 n. 218 può operare, in ragione della ratio deflattiva ad esso sottesa, anche in relazione a singoli addebiti dotati di rilevanza autonoma, pur se ricompresi in un accertamento unitario”. Questa pronuncia, molto autorevole, costituisce un riferimento fondamentale.

Ne discende che oggi, in linea di principio, l’acquiescenza parziale è ammissibile in presenza di rilievi autonomi. In pratica, il contribuente può:

  • Versare, entro 60 giorni, l’importo (imposta + interessi + sanzioni 1/3) relativo ad alcuni dei rilievi contenuti nell’avviso, e
  • Presentare ricorso avverso gli altri rilievi che ritiene illegittimi o errati.

Così facendo, per i rilievi pagati egli ha perfezionato la definizione e non potranno più essere oggetto di giudizio, mentre per gli altri la controversia prosegue davanti al giudice. È come se l’avviso si “sdoppiasse”: una parte definita in via amministrativa, l’altra parte discussa in contenzioso.

Attenzione: questa strada, per quanto aperta dalla Cassazione, può essere insidiosa. Innanzitutto occorre che i rilievi siano realmente autonomi e scindibili: se sono dipendenti l’uno dall’altro (es. uno è sanzione accessoria dell’altro, oppure uno è maggiore IVA dovuta su maggior ricavo IRPEF), definire uno e litigare l’altro rischia di essere incoerente. Inoltre, l’Agenzia potrebbe non riconoscere immediatamente la parzialità e resistere comunque in giudizio sostenendo che l’intero avviso è impugnato e dunque la definizione non vale. Nel caso del 2018, la Cassazione ha convalidato l’interpretazione della CTR favorevole al contribuente. Ma non è escluso che in casi futuri possano sorgere contestazioni su cosa sia autonomo e cosa no.

Per esempio, se un avviso accerta sia IRPEF sia IVA evasa, il contribuente potrebbe voler accettare l’IVA (difficilmente contestabile) e fare ricorso sull’IRPEF (magari per una detrazione negata): qui i rilievi sono relativi a imposte diverse, dunque autonomi, e la separazione appare fattibile. Egli pagherà tutto il dovuto per IVA con sanzioni ridotte 1/3, e impugnerà solo gli aspetti IRPEF. Nel ricorso dovrà esplicitare di aver definito la parte IVA e chiedere al giudice di pronunciarsi solo sull’IRPEF. Il giudice, idealmente, si limiterà a quella (riconoscendo la parziale definizione). Se però il ricorso fosse impostato male, c’è il rischio che la Commissione lo consideri comunque contro l’intero atto e dichiarino magari cessata materia del contendere su tutto se notano il pagamento. Sarà importante essere chiari.

In ogni caso, con la pronuncia del 2018 la legittimità dell’acquiescenza parziale ha ottenuto un forte avallo. Successivamente, altre sentenze di merito si sono adeguate. Ad esempio, la CTR Lombardia nel 2019 ha ammesso la definizione limitata ad alcuni coobbligati e non ad altri; la CTR Lazio ha ritenuto valida l’acquiescenza su alcuni anni e il ricorso su altri accorpati in un unico atto.

Va sottolineato che la circolare dell’Agenzia Entrate sul punto non risulta emanata: l’Agenzia non ha pubblicato linee guida ufficiali post-Cassazione 2018, per cui gli uffici a livello operativo potrebbero fare resistenza. In tal caso, l’ultima parola spetterebbe al giudice tributario se il contribuente eccepisce la validità del proprio operato.

In sintesi: Sì, è possibile in casi particolari accettare solo parte dell’accertamento – ossia usufruire delle sanzioni ridotte su alcuni rilievi – e contestare i restanti. Ciò è supportato dalla giurisprudenza di legittimità, in nome del principio di ragionevolezza e di economia processuale. Resta però un’operazione sofisticata da maneggiare con cautela e con l’assistenza di un tributarista esperto, per evitare di incorrere in decadenze o confusioni sul piano processuale. Per la platea generale, comunque, l’acquiescenza continuerà ad essere applicata tipicamente in modo integrale sull’intero atto.

Confronto con altri istituti: adesione, ricorso, conciliazione, silenzio

Per contestualizzare la scelta dell’acquiescenza, è utile confrontarla con le altre opzioni a disposizione del contribuente destinatario di un accertamento. Le alternative principali sono: presentare ricorso (eventualmente cercando una conciliazione in sede giudiziale), oppure attivare l’accertamento con adesione (strumento deflattivo amministrativo), oppure ancora non fare nulla (ipotesi sconsigliata, come vedremo). Ciascuna scelta ha implicazioni diverse in termini di sanzioni, tempi e rischi. Ecco un confronto sintetico:

– Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97, artt. 6-12): è la procedura che consente un confronto con l’ufficio per rideterminare consensualmente il contenuto dell’accertamento. A differenza dell’acquiescenza, qui c’è margine di negoziazione sul merito: il contribuente può presentare memorie, documenti e argomentazioni e l’ufficio può ridurre l’imponibile accertato o le imposte in base alle prove, raggiungendo un accordo su una pretesa inferiore a quella iniziale. Se si raggiunge l’accordo (formalizzato in un atto di adesione), il contribuente paga le somme concordate e gode comunque della riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo. Dunque l’adesione offre lo stesso beneficio sanzionatorio dell’acquiescenza (1/3 delle sanzioni), ma in più può comportare un taglio della base imponibile e dell’imposta dovuta. Di contro, comporta un allungamento dei tempi: il contribuente deve presentare istanza di adesione entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o accettare un invito al contraddittorio se l’ufficio lo invia), dopodiché i termini per il ricorso si sospendono per 90 giorni mentre si svolge il contraddittorio. Entro questi 90 giorni (prorogabili di altri 60 su accordo), bisogna concludere l’accordo o abortire. Se l’accordo si perfeziona con la firma e il pagamento (o prima rata) entro 20 giorni, l’accertamento è definito e non impugnabile. Se non si raggiunge l’accordo, il contribuente ha ulteriori 30 giorni (dalla chiusura del contraddittorio) per fare ricorso. In tal caso, però, non potrà più avvalersi dell’acquiescenza sull’atto, avendo ormai superato i 60 giorni e avendo presentato istanza di adesione (che è incompatibile con l’acquiescenza).

In pratica, l’accertamento con adesione conviene quando il contribuente ritiene di avere buone argomentazioni per far ridurre sensibilmente l’importo (ad esempio contestare alcuni rilievi e convincere l’ufficio a toglierli, o ottenere il riconoscimento di costi). Se c’è spazio per dimezzare l’imponibile o simili, l’adesione è preziosa. Se invece l’accertamento appare fondato e difficilmente smontabile, l’ufficio non avrà motivo di concedere sconti sull’imposta: in tal caso l’adesione si risolve in un pro forma che porta via tempo, e tanto varrebbe fare acquiescenza subito, risparmiando i 90 giorni e pagando comunque 1/3 delle sanzioni senza ulteriori attese. Inoltre, l’adesione richiede impegno attivo (incontri, discussioni tecniche) spesso sostenibile con l’ausilio di un consulente.

In sintesi, Acquiescenza vs Adesione: entrambe riducono le sanzioni a 1/3, ma:

  • L’adesione può ridurre anche le imposte accertate, l’acquiescenza no (si paga il 100% delle imposte accertate).
  • L’adesione sospende i termini e richiede un accordo bilaterale; l’acquiescenza è unilaterale e immediata.
  • L’adesione sposta in avanti il pagamento (prima rata entro 20gg dall’accordo, che potrebbe essere oltre 60gg dalla notifica), l’acquiescenza richiede pagamento entro 60gg.
  • Se salta l’accordo, si torna al contenzioso (ma il contribuente ha almeno guadagnato tempo per prepararsi al ricorso); se uno punta all’acquiescenza, evita del tutto il contenzioso.

– Ricorso e processo tributario (D.Lgs. 546/92): è l’opzione di chi intende contestare l’accertamento in sede giudiziale. Il contribuente deve presentare un ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (estesi di 30 per il nuovo procedimento di mediazione/reclamo se il valore è fino a €50.000, come da art.17-bis D.Lgs.546/92). Il ricorso sospende l’esecutività del solo 2/3 delle imposte: infatti, la legge prevede che, in pendenza di giudizio, il contribuente debba intanto versare 1/3 delle imposte accertate (non delle sanzioni) entro 60 giorni, a meno che non chieda e ottenga una sospensione cautelare dal giudice. Questo 1/3 è dovuto per evitare che il contribuente ottenga un ingiusto vantaggio ritardando il pagamento con liti pretestuose. Dunque, fare ricorso implica quasi sempre dover pagare subito circa il 30-33% del solo tributo (niente sanzioni per ora) oppure intraprendere un ulteriore mini-contenzioso per ottenere la sospensione (con esito incerto). In termini di sanzioni, presentare ricorso non dà diritto ad alcuna riduzione ex lege: se si arriva a sentenza e il contribuente perde, pagherà le sanzioni integralmente (salvo interessi legali nel frattempo). C’è però la possibilità di ridurre ex post le sanzioni tramite la conciliazione giudiziale: vediamola.

– Conciliazione giudiziale (art. 48 D.Lgs. 546/92): durante il processo tributario è possibile trovare un accordo transattivo con l’ufficio, su autorizzazione del giudice, che chiuda la lite con reciproche concessioni. La conciliazione può avvenire in udienza o fuori udienza e comporta in ogni caso la riduzione delle sanzioni al 40% se avviene in primo grado, o al 50% se in grado di appello. Ad esempio, se in accertamento c’era una sanzione di €9.000, in conciliazione (primo grado) se ne pagheranno €3.600. È una riduzione meno vantaggiosa rispetto all’acquiescenza/adesione (che è al 33%, ovvero un terzo), ma comunque significativa (taglio del 60% delle sanzioni). La conciliazione richiede però che sia iniziato un ricorso e che entrambe le parti siano disposte a venirsi incontro. Spesso si conciliano importi a metà strada tra quanto chiede il Fisco e quanto sostiene il contribuente. I tempi: la conciliazione di solito avviene qualche mese (a volte anni) dopo il ricorso, in prossimità o durante l’udienza. Il pagamento va fatto entro 20 giorni dalla conciliazione, generalmente in un’unica soluzione o con rate analoghe a quelle dell’adesione.

Quindi, in ottica Ricorso vs Acquiescenza: il ricorso è indicato se si confidano buone chance di annullamento o riduzione significativa dell’accertamento tramite il giudice o per ottenere chiarimenti di diritto. Ma comporta costi (spese legali, contributo unificato se dovuto), un’attesa prolungata (il giudizio di primo grado può durare da mesi a qualche anno) e l’incertezza dell’esito. Inoltre, pendente giudizio maturano interessi sulle imposte (al tasso da iscrizione a ruolo, circa 3.5-4% annuo negli ultimi anni) che poi, se si perde, vanno pagati. E come detto, se niente conciliazione, le sanzioni restano per intero. L’acquiescenza evita tutto ciò, ma al prezzo di pagare subito e di rinunciare a far valere ragioni.

In molti casi pratici, i contribuenti scelgono di ricorrere soprattutto quando la pretesa fiscale appare sproporzionata o manifestamente ingiusta, quando ci sono vizi formali dell’atto (es. nullità per motivazione mancante) o questioni di principio, oppure quando l’importo è tale da mettere in pericolo la sopravvivenza economica: in quei casi tentare il ricorso (e magari dilazionare con la sospensiva e i gradi di giudizio) può essere l’unica strada per non fallire. L’acquiescenza invece viene scelta quando l’importo è gestibile, l’atto è solido e il contribuente preferisce chiudere senza strascichi.

– Inerzia (non fare nulla): questa, purtroppo, è talora la “scelta” di fatto di contribuenti che ignorano l’avviso, vuoi per scarso consiglio o per mancanza di liquidità. Non presentare ricorso e non pagare entro 60 giorni è in assoluto l’opzione più sfavorevole. Come visto, l’accertamento diventa definitivo ed esecutivo trascorsi i termini. L’Agenzia provvederà a iscrivere a ruolo l’intero importo (imposte + interessi + sanzioni piene) senza alcuna riduzione. Dopo 60 giorni, se nulla è stato pagato, il contribuente perde per sempre la chance di ottenere lo sconto sulle sanzioni. Non solo: dopo ulteriori 30 giorni, le somme saranno affidate all’Agente della Riscossione, il quale potrà avviare le misure cautelari/esecutive (fermo amministrativo di veicoli, ipoteca su immobili, pignoramenti di conti, stipendio, ecc.). In aggiunta, scatteranno gli interessi di mora dal 61° giorno in poi finché non paga, e potenzialmente le spese di esecuzione. Il contribuente potrà ancora chiedere una rateizzazione all’Agente della Riscossione (ex art.19 DPR 602/73, fino a 72 o 120 rate mensili a seconda dell’entità e della situazione economica), ma intanto la sanzione è rimasta piena (di norma 100% o quant’era stata irrogata).

Inoltre, non avendo fatto ricorso, il contribuente non può più contestare nulla di quell’accertamento. L’unica sua ancora potrebbe essere sperare in una qualche definizione agevolata successiva (es. rottamazione delle cartelle o condono liti pendenti), ma quelle riguardano di solito cartelle esattoriali (per le quali la sanzione resta piena, al più tagliano interessi e aggio) o liti già in corso (ma qui non c’è lite). Nel 2023 c’è stata una misura di definizione per atti non impugnati a inizio 2023 (quella dell’1/18); ma se uno “non fa nulla” confidando in futuri condoni, gioca d’azzardo: potrebbe non essercene affatto, e nel frattempo il debito lievita.

In sintesi: l’inazione è la peggiore scelta perché si pagherà di più (sanzioni intere + interessi di mora + eventuali aggi) e si subirà la riscossione forzata con possibili pregiudizi patrimoniali. È un po’ l’equivalente di perdere la causa senza nemmeno difendersi, ma con più costi. Salvo situazioni di assoluta impossibilità finanziaria (in cui comunque conviene presentare ricorso per guadagnare tempo e magari ottenere rate in sede di giudizio), l’inerzia andrebbe evitata.

Per chiarire le differenze, ecco una tabella comparativa che riassume i principali aspetti:

CaratteristicaAcquiescenza (art.15)Accertamento con adesioneRicorso giudizialeConciliazione giudizialeInerzia (nessuna reazione)
Termine di attivazioneEntro 60 gg dalla notifica dell’avviso (pagamento)Istanza entro 60 gg dalla notifica (sospende termini per 90 gg)Ricorso entro 60 gg dalla notificaProposta possibile dopo ricorso, tipicamente in prossimità udienzaNessuno (atto definitivo dopo 60 gg)
Riduzione sanzioni1/3 delle sanzioni irrogate (≈33%)1/3 del minimo edittale (≈33%), se accordoNessuna (0%) se si arriva a sentenza senza conciliazione40% in 1° grado, 50% in appello (quindi sconto 60% o 50%)Nessuna, sanzioni piene (100%)
Riduzione impostaNessuna (imposta accertata dovuta al 100%)Possibile (esito di trattativa, imposta concordata spesso intermedia)Possibile solo se vince o parzialmente in sentenza (incerto)Possibile: oggetto di accordo transattivo in udienza (compromesso su imposta)Nessuna (imposta dovuta al 100%)
Pagamento inizialeEntro 60 gg: totale o prima rata. Rate: 8 o 16 trimestrali, interessi legali sulle successive.Prima rata entro 20 gg da accordo. Rate simili (fino 8/16 trimestrali).1/3 imposta entro 60 gg (salvo sospensione giudice); il resto solo dopo sentenza (se perde) o come da sentenza.Versamento intero o prima rata entro 20 gg da conciliazione (rate come adesione).Nessuno entro 60 gg (inadempimento). Dopo: possibile domanda rateazione cartella (fino 72/120 rate mensili).
Esito sul contenziosoNiente ricorso: chiude tutto immediatamente.Se accordo, chiude senza ricorso. Se no accordo, ricorso entro 30 gg (atto ancora impugnabile).Si apre causa in CTP (e possibili appello Cass.). Tempi lunghi e esito incerto.Chiude la lite in quel grado con estinzione del giudizio.Nessuna causa, ma atto definitivo. Nessuna possibilità di difesa successiva (irretrattabile).
Costo aggiuntivoNo spese legali (facoltative se consulenza). No contributo unificato. Nessun aggio riscossione.Eventuale costo consulenza per contraddittorio. Nessun contributo unificato se niente ricorso.Spese legali (se assistito), contributo unificato (oltre €3.000 valore). Possibile condanna a spese se perde.Spese legali ridotte se accordo rapido. Contributo unificato comunque dovuto inizialmente.Aggio riscossione su cartella (attualmente onere in gran parte a carico Erario, ma con spese fisse a carico debitore). Interessi di mora su ritardo. Eventuali spese per procedure esecutive.
VantaggiSanzioni ridotte al minimo (1/3). Niente lite né tempi lunghi. Pace fiscale immediata.Sanzioni ridotte. Possibile risparmio imposta. Rapporto dialogico col Fisco.Chance di far annullare o ridurre accertamento da giudice. Tempo per pagare (anni di causa).Sanzioni ridotte (40/50%). Possibile risparmio imposta. Fine anticipata del processo.Nessun vantaggio economico, anzi peggioramento debito. Unico “vantaggio”: procrastina pagamento fino a azione esecutiva (ma con aggravio).
SvantaggiBisogna pagare subito (anche se rateizzabile). Rinuncia a far valere ragioni anche valide.Necessità di negoziare; allunga iter (contraddittorio). Se fallisce, perso tempo. Comporta ammissione parziale debito.Esito incerto; tempi e stress; se si perde si paga tutto + interessi. Necessario 1/3 subito (o ottenere sospensione).Richiede avvio causa e negoziazione; riduzione sanzioni meno generosa di acquiescenza; va pagato comunque un importo transattivo.Debito lievita; rischio azioni esecutive (pignoramenti, fermi, ipoteche); perdita totale benefici; nessuna difesa sui vizi dell’atto.

Questa comparazione evidenzia come l’acquiescenza sia lo strumento più rapido e sicuro per chiudere la pendenza, garantendo il massimo sconto sulle sanzioni. Di contro, richiede di accettare integralmente la pretesa e di trovare le risorse per pagare in tempi brevi (anche se con la possibilità di rate). L’adesione condivide con l’acquiescenza lo sconto sanzionatorio ma offre l’opportunità di mitigare l’imposta, utile se l’atto presenta elementi discutibili; paga il rovescio di dilatare i tempi e di dover convincere l’ufficio (non sempre facile). Il ricorso giudiziale è la via di chi contesta nel merito o nel diritto l’accertamento: è appropriato se si ravvisano errori o illegittimità serie, e se l’importo giustifica la battaglia legale. Può portare all’annullamento completo (miglior scenario) o a una riduzione (in caso di vittoria parziale o conciliazione), ma comporta rischi e costi, con sanzioni che – salvo conciliazione – restano per intero. L’inerzia, infine, non dovrebbe mai essere una scelta consapevole: è il frutto magari di non conoscenza o fatalismo, e porta al risultato peggiore in termini economici.

Caso particolare – rapporto con il ravvedimento operoso: un lettore potrebbe chiedersi: se ho ricevuto un avviso, posso evitare l’avviso con ravvedimento? Ormai no, perché il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) è ammesso solo prima che la violazione sia già contestata o avviata a controllo. Una volta notificato l’avviso, si esce dall’ambito del ravvedimento spontaneo e restano solo gli strumenti sopra discussi. Dunque l’acquiescenza può essere vista come una sorta di “ravvedimento tardivo imposto”: consente di chiudere pagando sanzioni ridotte come fosse un ravvedimento speciale, ma dopo che l’ufficio vi ha già scoperti.

In conclusione, la scelta tra acquiescenza, adesione o ricorso va ponderata caso per caso, preferibilmente con l’assistenza di un professionista, valutando: la fondatezza delle pretese, la sostenibilità del pagamento, le conseguenze di un eventuale contenzioso e gli obiettivi del contribuente (ad esempio evitare precedenti, chiudere velocemente, etc.). La sezione seguente presenterà alcune simulazioni pratiche per mostrare in cifre e situazioni reali l’impatto delle varie opzioni.

Simulazioni pratiche: casi concreti a confronto

Di seguito proponiamo alcune simulazioni semplificate che illustrano gli effetti economici e procedurali dell’acquiescenza rispetto ad altre scelte (impugnazione o inattività), in diverse situazioni tipiche. I numeri sono arrotondati per semplicità, ma servono a dare un’idea delle grandezze in gioco.

Caso 1: Avviso di accertamento per redditi non dichiarati (imprenditore individuale)
Contesto: Il Sig. Rossi, titolare di una ditta individuale, riceve un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2021. L’ufficio contesta ricavi non dichiarati per €50.000, determinando una maggiore IRPEF dovuta di €22.000 (aliquote Irpef progressive, supponiamo) e maggiore IVA di €11.000, oltre a interessi e sanzioni. Le sanzioni irrogate sono: 100% dell’imposta evasa ai fini IRPEF (€22.000) e 90% dell’IVA evasa (€9.900), per infedele dichiarazione. In totale:

  • Imposte accertate: €33.000 (22k IRPEF + 11k IVA).
  • Interessi fino alla notifica (calcolati su imposte non versate 2022-2023): supponiamo €3.000.
  • Sanzioni totali irrogate: €31.900 (22.000 + 9.900).

Il Sig. Rossi è consapevole di aver effettivamente omesso quei ricavi (magari incassi in nero), quindi nel merito il Fisco ha ragione. Però questi importi lo mettono in crisi: se dovesse pagare tutto con sanzioni piene, sborserebbe circa €33k + €3k + €31.9k = €67.900. Vediamo le opzioni:

  • Acquiescenza: Rossi rinuncia al ricorso e versa entro 60 giorni quanto dovuto con sanzioni ridotte a 1/3. Le sanzioni ridotte saranno: IRPEF €7.333 (un terzo di 22k) + IVA €3.300 (un terzo di 9.9k) ≈ €10.633 totali. Quindi dovrà pagare: imposte €33.000 + interessi €3.000 + sanzioni ridotte ~€10.633 = circa €46.633. Rispetto ai €67.900 iniziali, risparmia oltre €21.000 grazie allo sconto sanzioni. Può chiedere una rateazione se non dispone subito di 46k: per importi di questa entità (>50k), ha diritto fino a 16 rate trimestrali. Supponiamo chieda 12 rate trimestrali: primo pagamento ~€3.886 entro 60gg, poi 11 rate da simili importi ogni 3 mesi, con interessi legali (5%) sulle rate successive. Ciò gli permette di diluire il pagamento su 3 anni. Una volta versata la prima rata, l’atto è definito e non impugnabile. Niente ulteriori azioni del Fisco se rispetta le rate. Il bilancio finale: paga €46.6k + circa €2k di interessi di dilazione = ~€48.6k totali in 3 anni. Sanzioni pagate €10.6k invece di €31.9k.
  • Accertamento con adesione: Rossi presenta istanza di adesione entro 60gg e avvia il contraddittorio. Prova a ottenere qualche riduzione: magari sostiene che alcuni costi non dedotti possono abbassare il reddito evaso. Dopo discussioni, l’ufficio accetta di riconoscere €5.000 di costi, riducendo i ricavi non dichiarati da 50k a 45k. Ciò abbassa l’IRPEF accertata da 22k a, diciamo, €20.000. L’IVA evasa rimane 11k (sui ricavi non dichiarati c’è IVA al 22%: su 45k sarebbe 9.900€, ma supponiamo l’IVA resti pressappoco 11k perché l’omissione rilevava su imponibile diverso, trascuriamo dettaglio). In sostanza, l’accordo prevede: Imposte dovute €31.000 (20k IRPEF + 11k IVA), interessi ricalcolati ~€2.800, sanzioni ridotte a 1/3 del minimo edittale. Ora, le sanzioni minime per infedele sono 90% per IVA e 90% per IRPEF dopo la riforma del 2016. Quindi il minimo edittale IRPEF su 20k è 18k, su IVA 9.9k * 90% = 8.910. Totale minimo 26.910, un terzo = €8.970. Quindi Rossi pagherà: imposte 31k + interessi 2.8k + sanzioni 8.97k = €42.770. Ha risparmiato imposte (€2k in meno) e soprattutto sanzioni (paga 8.97k vs 31.9k). Il totale definito è inferiore all’acquiescenza (€42.8k vs €46.6k). Tuttavia, ha perso 3-4 mesi nel frattempo (contraddittorio) e ha dovuto negoziare. Paga la prima rata (o tutto) entro 20 giorni dalla firma. Può sempre rateizzare fino a 12 rate (importo leggermente minore, entro soglia 50k? 42k è sotto 50k, quindi massimo 8 rate; ecco, importante: se definisce a 42k, può fare solo 8 rate trimestrali perché importo <50k, mentre con 46k poteva farne 12-16. Quindi curiosamente l’aver ridotto sotto 50k restringe le rate possibili, un effetto collaterale). Comunque, 42.8k in 8 rate trimestrali è circa 5.35k a rata, due anni di pagamento. Bilancio finale: risparmio leggero rispetto ad acquiescenza e pagamento un po’ più rapido (8 rate in 2 anni).
  • Ricorso e conciliazione: Rossi fa ricorso, magari eccependo qualcosa (p.e. contesta la percentuale di ricarico usata per stimare i ricavi occulti, o la mancata considerazione di alcuni costi). Dopo un anno arriva l’udienza. Prima dell’udienza, l’avvocato del Sig. Rossi tratta con l’ufficio legale dell’Agenzia: raggiungono un accordo di conciliazione giudiziale in primo grado. L’accordo prevede una riduzione di €10.000 sul reddito imponibile non dichiarato (accogliendo in parte le tesi di Rossi): quindi IRPEF dovuta scende a ~€18.000 (da 22k). L’IVA rimane €11.000 (non transigibile in teoria, ma supponiamo fosse su base e anche quella scende a 10k per arrotondare). Dunque imposte totali concordate: €28.000. Sanzioni per legge al 40%: originariamente su 18k IRPEF e 10k IVA la sanzione piena sarebbe 100% di 18k + 90% di 10k = 18k + 9k = 27k. Al 40% diventano €10.800. Interessi maturati sino ad ora (due anni dopo): su imposte 28k per due anni al 3% ~ €1.680. Quindi Rossi paga: imposte 28k + interessi 1.68k + sanzioni 10.8k = €40.480. Può rateizzare in 8 rate trimestrali (importo <50k, conciliazione segue regole adesione). Totale costo all’incirca paragonabile o leggermente inferiore all’adesione (40.5k vs 42.8k), grazie al maggior taglio su imposte e sanzioni. Però Rossi ha dovuto anticipare comunque 1/3 delle imposte all’inizio: su 33k iniziali, 1/3 = €11.000, pagati entro 60gg dalla notifica (a meno che fosse riuscito ad ottenere sospensione, ma su importo evaso di 33k difficilmente concessa perché non c’è periculum imminente elevatissimo). Quindi in realtà Rossi ha sborsato 11k due anni fa, e ora deve pagare i restanti: imposte residue 17k + sanzioni 10.8k + interessi 1.68k = €29.48k (di cui 11k può dire di aver già pagato come acconto se l’accordo prevede di imputarlo). Insomma, l’esborso totale c’è stato ma diluito. Inoltre, ha dovuto sostenere spese legali (diciamo 3-4k) e pagare un contributo unificato (€100 circa per quel valore). E ha vissuto due anni con la spada di damocle.
  • Non far nulla: se Rossi ignora l’avviso, dopo 60 giorni l’atto è definitivo con debito €67.900. Dopo altri 30 giorni, l’Agenzia iscrive a ruolo e affida a Agenzia Riscossione. Questa notifica una cartella o un avviso di intimazione: sull’importo saranno calcolati interessi di mora (ad es. 2% annuo) dal giorno 61 in poi. Supponiamo che in 4 mesi parta la cartella: maturano interessi di mora ~€67.9k * 2% * (4 mesi) ≈ €452, più spese notifica €5. L’aggio formalmente dal 2022 è a carico dello Stato, ma restano a carico del debitore le spese esecutive vive (circa €6.00 per preavviso e simili). Diciamo costi accessori modesti, ma ci sono. Rossi si trova una cartella di ~€68.400. A questo punto, se non paga, potrà subire pignoramenti o fermi auto. Può ancora chiedere una dilazione a Agenzia Riscossione fino a 72 rate (6 anni) essendo importo <100k senza bisogno di dare garanzie, oppure 120 rate se documenta grave difficoltà. Otterrà comunque un piano ma dovrà pagare tutta la sanzione 100% + interessi di mora in corso. Se dilaziona in 72 rate, pagherà circa €950 al mese per 6 anni (con ulteriore interesse di dilazione 3.5% annuo su quelle rate). Quindi pagherà alla fine forse anche di più di 68.4k, arrivando magari a ~€75.000 considerando gli interessi futuri in 6 anni. E senza alcuna riduzione.

Conclusione caso 1: l’acquiescenza avrebbe fatto pagare circa 46.6k subito (o 48.6k dilazionato) e chiuso la vicenda; l’adesione ha portato a 42.8k (bene, ma con due anni di iter e 8 rate); la conciliazione circa 40.5k (ma con spese legali e 2 anni di attesa, e con anticipo di 11k iniziali); il silenzio costa alla fine sui 75k diluiti in 6 anni e con procedure coattive. Se Rossi dispone di liquidità sufficiente o può permettersi le rate trimestrali, l’acquiescenza appare conveniente per togliersi il pensiero e risparmiare 21k di sanzioni rispetto all’inazione. Se Rossi fosse stato certo di vincere il ricorso su un punto sostanziale (ad esempio avesse prove che i ricavi contestati erano minori), allora ricorso+conciliazione (o sentenza) avrebbe potuto farlo pagare ancor meno – ma qui ipotizziamo che l’ufficio avesse ragione sui dati.

Caso 2: Avviso di accertamento parziale con rilievi autonomi (società)
Contesto: La Alfa Srl riceve un avviso relativo all’anno 2020 con due rilievi: (A) ripresa a tassazione di costi ritenuti indeducibili per €100.000 (imposte IRES 24% = €24.000) e (B) maggior imponibile IRAP per sottostima del valore della produzione di €50.000 (aliquota 3.9%, imposta = €1.950). Inoltre, l’avviso applica sanzione 90% IRES (minimo edittale per infedele, €21.600) e sanzione IRAP 30% (imposta dovuta era €1.950, sanzione €585). Totali: imposte €25.950, interessi €1.000, sanzioni €22.185. La società ritiene fondatamente che il rilievo (A) sia errato (quei costi erano effettivamente deducibili, c’è pronuncia favorevole della Cassazione in materia), mentre il rilievo (B) sull’IRAP è corretto.

Esaminiamo cosa succede con acquiescenza parziale vs ricorso.

  • Acquiescenza parziale: Alfa Srl decide di accettare il rilievo IRAP (B) e contestare il rilievo IRES (A). Entro 60 giorni, paga solo la parte relativa al rilievo B in acquiescenza: imposta IRAP €1.950 + interessi su quella (diciamo €50) + sanzione ridotta ad 1/3 (sanzione IRAP era €585, ridotta a €195). Totale versato ≈ €2.195. Nel modello F24 indicherà i codici tributo IRAP e un codice speciale per sanzione da acquiescenza. Contestualmente, presenta ricorso contro l’avviso limitatamente al rilievo A, dichiarando di aver definito il rilievo B. L’Agenzia probabilmente sosterrà inizialmente che l’atto essendo unico non è definibile parzialmente, ma la CTR in base alla giurisprudenza potrà riconoscere la parzialità. Dopo il processo (magari in appello), Alfa Srl ottiene ragione sul punto A: i costi erano deducibili, quindi l’imposta IRES €24.000 viene annullata integralmente dal giudice. Con ciò, la sanzione IRES €21.600 cade anch’essa. In definitiva, Alfa Srl avrà pagato solo €2.2k per l’IRAP e nulla per l’IRES (salvo spese legali per il contenzioso IRES, mettiamo €5.000). Totale esborso: circa €7.200 (2.2k + 5k). Se l’acquiescenza parziale non fosse stata ammessa, avrebbe dovuto ricorrere su tutto: avrebbe comunque vinto su IRES, ma per l’IRAP avrebbe perso e la sanzione IRAP sarebbe stata piena. In quel caso, in sentenza finale avrebbe pagato €1.950 + €585 + interessi e spese, e magari condanna parziale a spese. Definendo prima il B, ha pagato sanzione solo €195 invece di €585, risparmiando €390 e mostrando buona fede sul punto pacifico. Inoltre non ha dovuto pagare 1/3 provvisorio sull’IRAP (che altrimenti sarebbero stati ~€650 da pagare subito).
  • Se avesse fatto acquiescenza totale: avrebbe pagato imposte €25.950 + int. 1k + sanzioni ridotte €7.395 (1/3 di 22.185) = tot €34.345, rinunciando a far valere la ragione sul punto A. Decisamente sconveniente visto che poteva vincere su A e risparmiare 24k imposte.
  • Se avesse ricorso su tutto senza definire B: paga 1/3 delle imposte totali (€25.950) = €8.650 come provvisorio; va in giudizio, vince su A e perde su B. Dovrà pagare il resto IRAP €1.300 + sanzione IRAP €585 + interessi maturati. Totale finale: €8.650 + €1.300 + €585 + €?? interessi = ~€10.600. (L’8.650 iniziale copriva in gran parte IRES, che viene restituito dopo tempo o compensato con altre posizioni). Più le spese legali diciamo 5k. Totale ~15.6k. Molto peggio dei 7.2k dell’opzione parziale (in cui ha risparmiato di non anticipare inutilmente l’IRES).

Quindi, in questo caso 2, l’acquiescenza parziale ha permesso una strategia ottimale: la società ha pagato subito il dovuto su un punto incontrovertibile (peraltro piccolo), beneficiando dello sconto sanzione su quello, e ha combattuto solo sul punto rilevante, vincendo e non pagando nulla su quello. L’esito è stato il migliore possibile in termini economici. Questo conferma l’utilità della parzialità quando applicabile.

Caso 3: Avviso di liquidazione per imposta di registro su compravendita (con sanzioni)
Contesto: Il Signor Bianchi acquista una seconda casa nel 2022 dichiarando in atto un valore di €100.000. L’Agenzia delle Entrate, con un avviso di liquidazione del 2024, rettifica il valore a €150.000 in base a valori OMI, chiedendo imposta di registro integrativa. L’imposta di registro ordinaria è 9%: su €50.000 di maggior valore, imposta = €4.500. Sanzione prevista per insufficiente valore dichiarato (art. 71 DPR 131/86) va dal 50% al 100% della maggior imposta; l’ufficio applica il 50% (minimo edittale) = €2.250. Interessi €200. Totale atto: €4.500 imposta + €200 int. + €2.250 sanzione = €6.950.

Scelte del sig. Bianchi:

  • Se è convinto che il valore dichiarato fosse giusto (es. la casa era in pessime condizioni, OMI non adeguato), potrebbe fare ricorso. Ma in Commissione la controversia su valutazioni è aleatoria (specie dopo la Cassazione ha ristretto un po’ il sindacato sulle valutazioni automatiche, salvo prova contraria solida).
  • Se fa acquiescenza, paga entro 60gg imposta €4.500 + int. €200 + sanzione ridotta 1/3 di €2.250 = €750. Totale €5.450. Risparmia €1.500 di sanzioni (i 2/3 condonati).
  • Può chiedere rate? Sì, essendo imposta di registro, l’art. 15 è applicabile. Importo 5.45k < 50k, può fare 8 rate trimestrali. Ma attenzione: per avvisi di liquidazione di successioni e registro, la rateazione spesso ha regole leggermente diverse (in caso di agevolazioni decadenza c’era obbligo 20% subito ecc. – come accennato nel fiscooggi, per successione c’è obbligo 20% in 60gg e rate su eccedenza). Nel suo caso specifico (compravendita, valore) dovrebbe poter rateizzare 8 rate senza garanzia. Ad esempio 8 rate da ~€681 cadauna, con interessi 3% annuo circa sul dilazionato.
  • Se fa ricorso: deve pagare comunque l’imposta integrativa senza sanzione per notificarlo (perché registro se non paghi imp. base niente ricorso? In realtà per registro non c’è obbligo pagare prima, però l’ufficio può iscrivere a ruolo la metà se non sospeso). Diciamo niente pagamento immediato obbligatorio, può chiedere sospensiva. Dopo un anno esce la sentenza: supponiamo che la Commissione gli dia torto (spesso sul valore danno ragione al Fisco, salvo perizia convincente). Dovrà pagare €6.950 + interessi di mora (per quell’anno, ~ €150) e magari €200 di spese di giudizio. Totale ~€7.300. Più un anno perso e costi di assistenza (magari 1.500€ di tecnico/perizia + 2.000€ avvocato), per altri €3.500. Totale effettivo 10.8k.
  • Se Bianchi invece vincesse (scenario ideale), non pagherebbe nulla, ma la chance di vincere su valutazione se l’OMI è calibrato è bassa a meno di perizia giurata robusta.

In una situazione del genere – tipica per tanti acquirenti di immobili – l’acquiescenza conviene quasi sempre: consente di pagare solo il 9% sul maggior valore (imposta che comunque, se l’immobile vale di più, è dovuta) e taglia la sanzione al 16.7% (da 50% a 16.7% dell’imposta). L’esborso di 5.45k è comunque spiacevole ma sostenibile, e soprattutto certo e chiude la questione. Contestare 50k di valore in più richiederebbe perizia e incertezza, col rischio di finire a pagare di più dopo. Non a caso la stragrande maggioranza dei contribuenti in questi casi fa acquiescenza (o chiedeva accertamento con adesione se valori enormi, ma su valore case adesione non porta riduzioni perché l’Agenzia raramente transige su OMI).

Caso 4: Violazione formale con solo atto di contestazione sanzioni
Contesto: Un professionista non ha fatto la comunicazione dello spesometro per il 2021. L’Agenzia, dopo sollecito, emette atto di contestazione sanzioni: sanzione €500 per omissione comunicazione, ridotta a €250 se paga entro 60gg (questo in realtà è un caso in cui l’atto stesso offre definizione ai sensi di art.16 D.Lgs.472/97 a 1/3, ma ipotizziamo fosse già 1/3). In situazioni di solo sanzioni, la definizione in acquiescenza consiste nel pagamento di 1/3 entro 60 gg. Qui lo ha già previsto: €250. Il professionista ovviamente paga €250 e chiude (non conviene mai litigare su violazioni formali a meno di motivi gravi). Se non pagasse e facesse ricorso per principio, rischierebbe di pagare €500 + spese. Quindi l’acquiescenza è la prassi: la norma prevede esattamente la definizione a 1/3 per stimolare il contribuente a chiuderla lì.

Conclusione simulazioni: come si evince, l’acquiescenza tende a essere conveniente in tutti i casi in cui il contribuente riconosce la fondatezza sostanziale dell’accertamento (evitando così sanzioni piene e costi di lite). Diventa una mossa strategica utile anche in casi misti (rilievi contestabili e altri no) grazie alla flessibilità riconosciuta giurisprudenzialmente per la definizione parziale. Quando invece il contribuente ha serie possibilità di vittoria su gran parte dell’atto, allora percorrere la via giudiziale può portare a esborsi minori – ma con il rischio di esborsi maggiori se va male. L’acquiescenza in quel caso è la scelta prudenziale (pagare qualcosa subito, ma certo) contro quella speculativa (tentare di non pagare nulla, col pericolo di dover pagare tutto con aggiunta). È un bilanciamento rischio/beneficio.

Nel prossimo paragrafo risponderemo ad alcune domande frequenti per chiarire ulteriori dubbi pratici sull’istituto.

Domande frequenti (FAQ) sull’acquiescenza

D1: Come faccio, in pratica, a comunicare che voglio fare acquiescenza?
R: Non occorre inviare alcuna comunicazione formale o modulistica. L’acquiescenza si perfeziona automaticamente con il pagamento entro 60 giorni delle somme dovute con lo sconto sulle sanzioni. In altre parole, se non presenti ricorso e versi quanto richiesto (al netto delle riduzioni) nel termine, hai automaticamente esercitato l’opzione dell’acquiescenza. Sarà l’ufficio a registrare l’avvenuto pagamento come definizione agevolata. Puoi comunque, per scrupolo, inviare una lettera all’Agenzia allegando copia dei modelli F24 e dichiarando la volontà di definire l’accertamento ex art.15 D.Lgs.218/97: non è obbligatorio, ma può essere utile per evitare malintesi, specie in caso di pagamento parziale (ad esempio su alcuni coobbligati) o in caso di definizione parziale di cui abbiamo parlato. Ricorda di utilizzare i codici tributo esatti indicati nell’atto e nelle istruzioni per l’F24, specifici per il pagamento in acquiescenza. Se sbagli codice, l’Erario potrebbe non accorgersi che hai pagato quel che dovevi. In sintesi: pagare = manifestare acquiescenza.

D2: Quali sono i termini esatti entro cui pagare? Vale la pena aspettare verso la fine?
R: Il termine è di 60 giorni dalla notifica dell’atto, salvo sospensione feriale in agosto (che allunga il termine, se cade in quel periodo). Ad esempio, per un avviso notificato il 10 marzo, devi pagare entro il 9 maggio; se notificato il 20 giugno, 60 giorni scadrebbero il 19 agosto ma slittano al 19 settembre (per la sospensione 1-31 agosto). È prudente non ridursi all’ultimo giorno, specie per i pagamenti telematici: se qualcosa va storto (F24 respinto, problemi bancari) e superi il termine, perdi il beneficio. Tenere un margine di qualche giorno è saggio. La normativa consente un lieve ritardo di 7 giorni senza decadenza, ma è meglio non farvi affidamento, perché quella tolleranza opera in casi ben precisi e, come ha chiarito la Cassazione, non copre il caso di pagamento oltre il termine di ricorso in modo significativo. Quindi pianifica per pagare entro i 60 giorni. Se rateizzi, ricorda che la prima rata deve essere versata entro lo stesso termine (60gg).

D3: Posso pagare a rate tramite acquiescenza? Come funziona e quante rate posso ottenere?
R: Sì, la rateizzazione è ammessa. Devi comunque versare la prima rata entro 60gg. Il numero di rate trimestrali concesse dipende dall’importo: fino a 50.000 € di somma dovuta, massimo 8 rate trimestrali; oltre 50.000 €, massimo 16 rate trimestrali. Le rate sono di importo costante (salvo l’ultima per arrotondamenti) e vanno pagate ogni 3 mesi (es.: prima rata 30 giugno, seconda 30 settembre, etc.). Sulle rate successive alla prima maturano interessi al tasso legale dal giorno dopo la scadenza della prima rata. Il tasso legale può variare di anno in anno (ad esempio 5% nel 2023-2024). Gli interessi di rateazione si versano insieme ad ogni rata (generalmente incorporati nei bollettini o F24). Esempio: dovuto €12.000, prima rata €1.500 il 30/06, poi altre 7 da ~€1.500 + interessi su quella quota per i mesi di dilazione (decrescenti). Non è più richiesta alcuna garanzia (tipo fideiussione) per ottenere la rateazione, a differenza di un tempo. Importante: se salti una rata, hai tempo fino alla scadenza della rata successiva per rimediare (lieve inadempimento). Se non paghi neanche quella successiva, decadi dalla rateazione e devi versare tutto il residuo immediatamente. In caso di decadenza, le sanzioni restano quelle ridotte (non è che tornano piene), ma l’Agenzia potrà procedere con la riscossione forzata sul residuo non pagato.

D4: Cosa succede se pago in ritardo o sbaglio importo? Perdo lo sconto?
R: Dipende dall’entità del ritardo/errore. La legge tollera lievi inadempimenti: se paghi la prima rata con non più di 7 giorni di ritardo o con uno scarto non oltre 3% (massimo €10.000), l’acquiescenza è comunque valida e non decade. Allo stesso modo per le rate successive, un ritardo fino alla scadenza della rata seguente è tollerato. Questi “bonus” però non ti esonerano dalle sanzioni per il ritardo: dovrai pagare una piccola sanzione (di solito il 1.5% se rientri entro 90gg, tramite ravvedimento) più gli interessi giornalieri per quei giorni di differenza. Se invece il ritardo o l’omissione è maggiore – ad esempio paghi 20 giorni dopo la scadenza, o versi solo metà di quanto dovuto – allora perdi il beneficio: l’acquiescenza non si perfeziona (se errore sulla prima rata) o decadi se era su rate successive. Ciò significa che l’atto torna integralmente dovuto con sanzioni piene. La Cassazione ha chiarito che il lieve inadempimento non copre chi non paga entro il termine perentorio di 60 giorni le somme dovute. Quindi un pagamento oltre 7 giorni di ritardo non salva lo sconto: in tal caso l’ufficio considererà l’accertamento non definito e potrà riscuotere tutto (magari detraendo l’importo pagato come acconto). Esempio: dovevi pagare €9.000 entro il 30/09 e paghi il 15/10 – sei fuori tolleranza, perdi lo sconto, l’atto è definitivo con sanzioni intere e quanto versato verrà imputato (ti chiederanno la differenza). In conclusione: rispetta il termine! Gli errori piccoli si possono aggiustare, quelli grossi no. Se ti accorgi di aver sbagliato importo (es. dimenticato di includere interessi) e mancano pochi giorni alla scadenza, versa subito l’integrazione mancante; se ormai hai superato di qualche giorno, versa comunque e spera nell’applicazione del lieve inadempimento, pagando quanto prima anche la sanzioncina da ravvedimento.

D5: Posso fare acquiescenza su una parte dell’avviso e fare ricorso per il resto?
R: Sì, è possibile in casi specifici. La regola generale vorrebbe l’accettazione integrale dell’atto, ma la giurisprudenza ha ammesso l’acquiescenza parziale su singoli addebiti autonomi. Se nell’avviso ci sono più rilievi indipendenti (per diverse imposte o annualità, o comunque separabili), puoi decidere di definire quelli che riconosci corretti e impugnare gli altri. In pratica dovrai pagare entro 60gg la parte dovuta per i rilievi che intendi accettare (imposte + interessi + 1/3 sanzioni relative a quelli) e presentare ricorso contro l’avviso limitatamente agli altri rilievi, indicando che per il resto hai aderito. Ad esempio, avviso include IRPEF e IVA: potresti fare acquiescenza sull’IVA e ricorrere sull’IRPEF, o viceversa. Così non perderai lo sconto sulle sanzioni per la parte accettata e potrai contestare l’altra. Occorre però molta cautela: assicurati che i rilievi siano effettivamente scindibili (es. tassazione di due redditi diversi, o due imposte diverse) e che nel ricorso specifichi bene la parzialità. La Cassazione ha ritenuto legittimo questo modus operandi, ma potresti trovare resistenza dall’ufficio o anche qualche Commissione meno aggiornata. È consigliabile farsi assistere da un avvocato/tributarista che citi le sentenze a supporto. Quindi sì, puoi farlo, ed è strategicamente utile quando solo parte dell’accertamento è contestabile. Naturalmente, se fai acquiescenza parziale, non devi presentare istanza di adesione per l’intero avviso, sennò complichi tutto. Procedi unilateralmente come sopra.

D6: L’acquiescenza mi evita un’accusa penale per evasione fiscale?
R: Dipende dal tipo di violazione. L’acquiescenza implica il pagamento integrale delle imposte evase, sia pur con sanzioni ridotte. In molti casi, ciò aiuta molto in ambito penale: per i reati di omesso versamento di imposte e di compensazione indebita (artt. 10-bis, 10-ter, 10-quater c.1 D.Lgs.74/2000), il pagamento di quanto dovuto prima del processo penale fa scattare la non punibilità (cause di non punibilità ex art.13 D.Lgs.74/2000, rafforzate da disposizioni del 2023). Quindi, ad esempio, se l’accertamento riguarda IVA non versata sopra soglia penale (oltre 250.000 €), pagando tramite acquiescenza stai estinguendo il debito tributario e, se lo fai prima che la tua vicenda penale arrivi a sentenza, non verrai punito per il reato di omesso versamento IVA. Anche per reati come indebita compensazione di crediti, vale lo stesso. Se invece il reato è di dichiarazione infedele o fraudolenta (avere evaso imposta oltre soglie con condotte fraudolente), il pagamento integrale è un potente elemento attenuante e può evitarti misure cautelari, ma non esclude il reato (quei reati restano punibili, anche se magari con pena diminuita, e il giudice valuterà il ravvedimento come attenuante). Va detto che la recente “tregua fiscale” ha previsto la non punibilità speciale solo per i reati di omesso versamento/indebita compensazione, non per i reati di frode o simili. In pratica: se il tuo accertamento è su imposte non versate (caso tipico: non hai versato IVA o ritenute), pagando salvi capra e cavoli (niente processo); se l’accertamento è su redditi nascosti (dichiarazione infedele), pagando risolvi col fisco ma potresti comunque rispondere penalmente, anche se in modo attenuato. In ogni caso, la condotta di acquiescenza (pagare il dovuto) è vista bene dal sistema penale e generalmente evita l’irrogazione di sanzioni penali accessorie (come l’interdizione dai pubblici uffici, che il giudice può non applicare se il debito è estinto).

D7: Se ho già presentato istanza di adesione o ho fatto ricorso, posso ancora optare per l’acquiescenza?
R: Situazione 1 – Hai presentato istanza di accertamento con adesione e sei in attesa: formalmente, l’art.15 richiede la rinuncia a presentare istanza di adesione. Se l’hai già presentata, hai intrapreso quell’altro percorso. Nulla vieta però, se cambi idea, di rinunciare all’adesione: puoi comunicare all’ufficio che non intendi proseguire il contraddittorio e procedere al pagamento entro il termine originario (che era sospeso per adesione, ma qui attenzione: la presentazione dell’istanza sospende i termini di ricorso per 90 gg, ma non è chiaro se sospenda anche il termine per l’acquiescenza, essendo la stessa finestra. In genere si ritiene di sì, perché adesione estende il termine per impugnare e quindi anche per definire). Dunque se sei ancora entro i termini sospesi, probabilmente potresti pagare con sanzioni ridotte e definire. Tuttavia è una zona grigia e rischiosa: una volta chiesta adesione, meglio seguirla o se no fare direttamente ricorso. La prassi consigliata: non attivare adesione se pensi di voler fare acquiescenza. Se l’hai fatto per guadagnare tempo, valutane le conseguenze: l’ufficio potrebbe non riconoscere l’acquiescenza post istanza (sebbene legalmente dovrebbe, se paghi entro i 90+60 gg concessi). Meglio magari trovare un accordo in adesione. – Situazione 2: Hai già presentato ricorso in Commissione, magari di impulso, e poi decidi che sarebbe meglio accettare. Tecnicamente, puoi ancora fare acquiescenza se sei entro i 60 giorni dalla notifica dell’avviso (il ricorso presentato può essere ritirato). Dovresti presentare un’istanza di rinuncia al ricorso al giudice (magari con accordo che ognuno paga le proprie spese) e pagare subito il dovuto ridotto entro il termine. Se il termine è già passato, l’acquiescenza non è più ammessa ordinariamente. In sede di contenzioso, però, puoi ancora chiudere la partita con una conciliazione giudiziale che dà sanzioni al 40% – non buono come 33%, ma sempre vantaggioso. Quindi, dopo aver presentato ricorso, non puoi più fare acquiescenza standard (perché il termine è scaduto), ma puoi usare l’istituto della conciliazione per avere comunque uno sconto sanzioni (non 1/3 ma 40% o 50%). L’importante è: prima di presentare un ricorso, valuta bene se vuoi invece aderire con acquiescenza; se l’hai già depositato, consulta il tuo legale per vedere se conviene rinunciare e pagare (se sei ancora in tempo) o se puntare a conciliare in udienza.

D8: L’acquiescenza incide sul mio “storico” fiscale? Ad esempio, finisco in black list o perdo il diritto a qualcosa?
R: L’acquiescenza è una definizione senza contenzioso e senza ammissione formale di colpa oltre alla rinuncia al ricorso. Non comporta effetti extra-fiscali negativi. In particolare:

  • Rating di affidabilità (pagelle fiscali): se sei soggetto a ISA (Indici Sintetici di Affidabilità), l’acquiescenza non credo sia un parametro considerato; al più aver avuto un accertamento abbassa l’affidabilità, ma se lo definisci bonariamente non peggiora ulteriormente.
  • Recidiva sanzioni: Le sanzioni tributarie in alcuni casi se reiteri violazioni aumentano. Definire in acquiescenza significa aver irrogata (e ridotta) la sanzione; quindi quell’illecito risulta contestato. Se rifai la stessa violazione per un altro anno, potresti essere considerato recidivo. Ma questo sarebbe accaduto anche se avessi fatto ricorso e perso. Anzi, se definisci col Fisco, eviti il raddoppio di sanzioni per giudizio (in caso di soccombenza in giudizio, raramente possono aumentare per spese, ma non la sanzione in sé). Quindi direi nessun aggravio.
  • Benefici premiali: alcune norme premiano chi non ha mai avuto accertamenti definitivi (ad es. per adesione, c’era una riduzione di sanzioni addizionale per chi definiva un PVC se prima non aveva avvisi). Ma cose molto specifiche. In generale, definire un atto lo rende definitivo e non impugnabile, ma non è un “marchio d’infamia” pubblico.
  • Procedimenti disciplinari o reputazionali: Se sei iscritto a un Albo (commercialisti, avvocati ecc.), aver definito un accertamento di per sé non comporta comunicazioni disciplinari. Diverso se fosse penale.
    In sintesi, l’acquiescenza non ti mette su alcuna lista nera. Al contrario, potresti evitare guai peggiori come detto (penali). Ovviamente, l’Agenzia potrà considerare quell’anno chiuso e se emergessero dopo altri elementi non potrebbe più fare lo stesso accertamento (lo hai definito). Ma occhio: definire un accertamento non implica “condono tombale” per quell’anno su altre materie che non erano oggetto dell’atto. Se per lo stesso anno emergesse un altro reddito occulto non contestato, potrebbero notificare altro accertamento (entro termini) – l’acquiescenza non offre protezione su ciò che non era in quell’avviso. Off topic, ma utile da sapere.

D9: Dopo aver pagato con acquiescenza, posso chiedere un rimborso se scopro che l’accertamento era sbagliato?
R: In linea generale no, non puoi. Il pagamento in acquiescenza implica un’accettazione dell’obbligazione tributaria. Non essendoci stato un ricorso, non puoi neanche appellarti a gradi successivi. Il debito è estinto per pagamento volontario. L’unica ipotesi di rimborso sarebbe se emergesse un errore di calcolo palese a tuo sfavore nel conteggio – in quel caso potresti fare istanza di rimborso all’ufficio, perché hai pagato più del dovuto (ma se era nel prospetto e tu l’hai accettato, difficile). Oppure se una norma venisse dichiarata incostituzionale con effetto retroattivo dopo che hai definito – anche lì, però, non c’è automatismo di rimborso se il rapporto è concluso. Diciamo che l’acquiescenza chiude il discorso. C’è un principio di diritto civile: soluti retentio – se hai pagato spontaneamente un importo non dovuto, avresti diritto a ripetizione; ma qui non è “non dovuto”, era dovuto in base all’atto che tu hai accettato. Quindi occhio: se paghi e poi trovi un documento che ti avrebbe scagionato, è troppo tardi. In casi estremi si tenta la via dell’autotutela (chiedere all’ufficio di annullare in autotutela l’atto definito se emergono elementi nuovi), ma è discrezionale e raramente l’AE lo fa se l’atto è definito (a meno di errore macroscopico dell’ufficio). Quindi sii certo prima di pagare.

D10: Quali riferimenti normativi principali regolano l’acquiescenza?
R: Il “cuore” è l’articolo 15 del D.Lgs. 218/1997. Lì trovi le condizioni (rinuncia a ricorso e adesione) e la misura 1/3 delle sanzioni. Viene richiamato anche l’art. 2 comma 5 stesso decreto (che elenca le violazioni definibili, tra cui infedele dichiarazione, omessa dichiarazione, etc.), e articoli dei testi unici registro e successione. Inoltre, l’art. 8 del D.Lgs.218/97 disciplina il pagamento e la rateazione per l’adesione, richiamato dal 15 per l’acquiescenza (commi 2-4 su rate, interessi, decadenza). Un altro riferimento cruciale è l’art. 15-ter del DPR 602/1973, introdotto nel 2015, che definisce il lieve inadempimento e i margini del 3% e 7 giorni. Lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) all’art.6 comma 3 impone che negli avvisi sia indicato che “il contribuente può definire la pretesa con abbattimento delle sanzioni” entro certe condizioni – ciò per garantire trasparenza. L’art.17-bis D.Lgs.546/92 vieta l’impugnazione degli atti di adesione e conciliazione, e per analogia l’acquiescenza comporta inimpugnabilità. Infine, ricordo l’art.13 D.Lgs.74/2000 (penale tributario) che collega la non punibilità al pagamento mediante procedure deflative. Nella sezione finale di questa guida troverai un elenco completo delle normative e note di prassi più rilevanti.


Abbiamo dunque esaminato in profondità cos’è l’acquiescenza all’avviso di accertamento e come funziona nei vari scenari. L’istituto si rivela uno strumento prezioso nel quadro del rapporto fisco-contribuente, offrendo un equilibrio tra l’interesse erariale ad incassare rapidamente e l’interesse del contribuente a veder ridotte le sanzioni e chiusa la pendenza. Come ogni scelta, va ponderata con attenzione e alla luce della posizione specifica. Auspichiamo che questa guida avanzata, aggiornata a giugno 2025, sia servita a chiarire dubbi applicativi e a fornire un valido riferimento normativo e pratico. Per ulteriori dettagli, si rimanda alle fonti qui di seguito elencate.

Fonti normative, giurisprudenziali e di prassi consultate

Fonti normative principali:

  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: “Disposizioni in materia di accertamento con adesione…”, art. 15 (Sanzioni in caso di omessa impugnazione – disciplina dell’acquiescenza); art. 8 (Modalità di pagamento e rateazione – richiamato dall’art.15); art. 5 e 6 (adesione su invito e PVC); art. 2 comma 5 (violazioni definibili con sanzioni ridotte a 1/3).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: “Disposizioni sulla riscossione delle imposte”, art. 15-ter (Lieve inadempimento nei pagamenti da deflativi: tolleranza 7gg/3%) introdotto da D.Lgs.159/2015. Art. 14 (Ruoli provvisori e definitivi); art. 19 (Rateazione delle cartelle).
  • D.P.R. 600/1973: art. 42 (contenuto avviso, intimazione a pagare entro 60gg) come modificato da DL 78/2010; art. 43 (termini accertamento).
  • D.P.R. 633/1972: art. 56 (accertamento IVA, richiama norme analoghe a 600/73).
  • D.P.R. 131/1986 (Testo Unico Registro): art. 71 e 72 (sanzioni per occultazione di corrispettivo e sottofatturazione – definibili a 1/3 in acquiescenza).
  • D.Lgs. 346/1990 (Testo Unico Successioni): art. 50 e 51 (sanzioni per infedele/omessa dichiarazione successione – definibili 1/3).
  • D.Lgs. 472/1997: art. 16 (definizione atto di contestazione sanzioni con pagamento 1/3 entro 60gg) – norma generale per atti solo sanzioni.
  • D.Lgs. 546/1992 (Processo tributario): art. 19 (atti impugnabili: avvisi accertamento e liquidazione inclusi); art. 6 (reclamo/mediazione); art. 48 (conciliazione giudiziale, sanzioni ridotte al 40%/50%); art. 15 (compensazione spese); art. 17-bis (reclamo).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente): art. 6, co. 2-3 (obbligo di indicare in avvisi modalità di definizione agevolata e che non si applicano sanzioni se ottemperato spontaneamente); art. 7 (motivazione atti e indicazione ufficio e termini).
  • DL 78/2010 (conv. L.122/2010): art. 29 (introduzione accertamento esecutivo: avvisi per imposte dirette e IVA diventano titoli esecutivi dopo 60gg).
  • Delega fiscale L. 111/2023 e Decreti attuativi 2024: D.Lgs. 110/2024 (estensione accertamento esecutivo ad altri atti, art. 14); D.Lgs. 87/2024 (riforma riscossione locale, ma anche modifica sanzioni base 25%); D.Lgs. 108/2024 (estensione 60gg a avvisi bonari).
  • Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023): art. 1 commi 179-185 (Definizione agevolata atti del procedimento di accertamento con sanzioni 1/18); commi 153-158 (Definizione avvisi bonari); commi 166-173 (irregolarità formali); commi 174-178 (ravvedimento speciale, esclusi omessi dichiarativi).
  • DL 34/2023 (Decreto “Bollette” 2023): art. 23 (introduce causa non punibilità per reati tributari omissivi se definito ai sensi L.197/22).

Principali fonti giurisprudenziali:

  • Cass., Sez. V, ord. 11 maggio 2018, n. 11497: ha statuito l’ammissibilità dell’acquiescenza parziale su singoli rilievi autonomi di un unico avviso, in base al principio di ragionevolezza (art.3 Cost.).
  • Cass., Sez. V, sent. 6 maggio 2016, n. 9176: in tema di lieve inadempimento, ha affermato la non retroattività dell’art.15-ter DPR 602 introdotto nel 2015 e chiarito che la fattispecie di lieve inadempimento non si applica alla perdita del beneficio delle sanzioni ridotte se il contribuente non paga entro il termine per impugnare. (Conferma che pagamento oltre 60gg fa perdere lo sconto).
  • Cass., Sez. V, ord. 14 ottobre 2024, n. 26618: principio (riportato) che se interviene accertamento con adesione, l’atto impositivo originario non è più impugnabile (analogia per acquiescenza).
  • Cass., Sez. III Penale, sent. 25 ottobre 2022, n. 39729: (richiamata in dottrina) sull’applicazione dell’art.13 D.Lgs.74/2000: pagamento integrale debito (anche tramite definizioni agevolate) come causa di non punibilità per omessi versamenti.
  • Cass., SS.UU. 17 aprile 2015, n. 7672: sull’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale (non sempre rilevante per acquiescenza, ma contestazione procedurale frequente) – se non effettuato per tributi armonizzati vizia l’atto, ecc.
  • CTR Liguria, sent. 9 febbraio 2022 n.148: caso in cui la CTP aveva annullato per violazione Statuto contribuente art.6 co.3 (mancato avviso che poteva definire?), CTR ha riformato. Indica l’importanza di quelle tutele.
  • Commissioni Tributarie varie: diverse sentenze di merito hanno recepito Cass.2018 su parzialità (CTR Lombardia 2019, CTR Toscana 2020, etc.), affermando validità acquiescenza su parte dei rilievi e giudizio sugli altri (non citate puntualmente per brevità).

Documenti di prassi e circolari:

  • Agenzia Entrate – Circolare 13/E del 27 marzo 2015: (sul DLgs 158/2015 riforma sanzioni) chiariva tra l’altro la riduzione sanzioni in adesione/acquiescenza e decorrenza nuove misure.
  • Agenzia Entrate – Circolare 17/E del 29 aprile 2016: “La nuova disciplina dei versamenti da controllo”, dedicata in parte ai lievi inadempimenti, con conferma non retroattività e applicabilità dal 22/10/2015. Illustra le soglie 3% e 7 giorni e che non salvano il mancato pagamento entro termine di ricorso.
  • Agenzia Entrate – Circolare 23/E del 25 giugno 1999: (vecchia, su D.Lgs.218) con prime istruzioni su adesione e acquiescenza (es. elencava quando spettava 1/6 se invito, poi norma abrogata).
  • Agenzia Entrate – Circolare 2/E del 27 gennaio 2023: ha fornito istruzioni sulla Definizione agevolata atti del procedimento di accertamento ex L.197/2022, commi 179-185. Spiega atti definibili (invitando a usare art.15 D.Lgs.218/97 ma con 1/18 sanzioni) e casi esclusi.
  • Agenzia Entrate – Circolare 6/E del 20 marzo 2023: su “tregua fiscale”, chiarisce ad esempio che la definizione al 3% (ravvedimento speciale) non si applica a omessi pagamenti in corso di dilazione.
  • Agenzia Entrate – Circolare 38/E del 23 dicembre 2015: sul processo tributario riformato, menziona conciliazione e reclamo (utile per differenze con acquiescenza).
  • Agenzia Entrate – Istruzione operativa prot. 2016/ (non pubblica): in base alle normative D.Lgs.159/2015, agli uffici fu detto di applicare lievi inadempimenti solo su atti dal 2016 in poi. Eutekne riferisce di posizioni di AE in tal senso.
  • Sito Agenzia Entrate – guida “Contenzioso e strumenti deflativi – Acquiescenza”: (pagina web informativa) definisce in termini divulgativi l’istituto.
  • Relazioni illustrative: Relazione al D.Lgs.159/2015 (delega fiscale) su ratio lievi inadempimenti. Relazione alla L.190/2014 su abrogazione 1/6 (comma 637 lett.c n.4 abrogò art.2-bis D.Lgs.218, in G.U. fu notato).
  • Risoluzioni AE sui codici tributo: es. Ris. 108/E 2016 istituì codici per sanzioni ridotte su definizione PVC (non proprio acquiescenza, ma correlato). In genere, ogni atto allega i codici.
  • Ministero Finanze – Circolare 235/E del 1997: (antica ma base) spiegava prime applicazioni del Dlgs218.

Hai ricevuto un avviso di accertamento? Scopri se ti conviene chiudere la questione con l’acquiescenza

L’acquiescenza è uno strumento che ti permette di accettare l’accertamento e chiudere subito la posizione, beneficiando di sanzioni ridotte del 50%. Ma non sempre è la scelta migliore.
Fatti aiutare da Studio Monardo.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Esamina l’avviso ricevuto e verifica se conviene aderire o presentare ricorso
📑 Redige e presenta l’istanza di acquiescenza nei termini previsti per ottenere lo sconto
⚖️ Ti assiste nel calcolo preciso degli importi da versare e nell’eventuale rateazione
✍️ Ti supporta nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate per confermare la regolarità della definizione
🔁 Ti tutela anche dopo la chiusura, per evitare doppi accertamenti o sovrapposizioni

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso e definizione agevolata con Agenzia delle Entrate
✔️ Consulente legale per imprese, partite IVA, professionisti e cittadini
✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia

Conclusione

L’acquiescenza ti consente di chiudere un accertamento in modo rapido e con costi ridotti. Ma è una decisione che va valutata con attenzione.
Con il supporto di un avvocato esperto puoi scegliere consapevolmente e risolvere la questione nel modo più vantaggioso.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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