Hai una società in fase di liquidazione volontaria e ti stai chiedendo se possa comunque essere dichiarata fallita? Ti preoccupa l’idea che, nonostante la chiusura in corso, i creditori possano ancora agire e spingere per l’apertura di una procedura concorsuale?
Molti pensano che mettere una società in liquidazione significhi automaticamente metterla al riparo dal fallimento. In realtà non è così. Se ci sono le condizioni previste dalla legge, una società in liquidazione può fallire eccome.
Ma cosa significa, esattamente, che una società in liquidazione può fallire?
Vuol dire che, anche se la società ha cessato l’attività e sta liquidando i suoi beni, può comunque essere dichiarata fallita dal tribunale su richiesta di un creditore, del Pubblico Ministero o – in certi casi – della stessa società, se si trova in stato di insolvenza.
E cosa si intende per stato di insolvenza in questo contesto?
Significa che la società non è più in grado di pagare regolarmente i propri debiti, nemmeno attraverso la liquidazione del patrimonio. Ad esempio: non ci sono abbastanza beni per saldare i debiti fiscali, le banche hanno già bloccato i conti, i fornitori stanno avviando cause o pignoramenti.
Quindi: la liquidazione non è una protezione contro il fallimento?
Esatto. La liquidazione è un procedimento ordinario e volontario che serve a chiudere un’attività economicamente sana o semplicemente inattiva. Se però, durante la liquidazione, emerge che i debiti superano l’attivo, o che non si riesce a pagare ciò che è dovuto, il tribunale può comunque aprire una liquidazione giudiziale (ex fallimento), con tutte le conseguenze del caso.
Cosa cambia se scatta il fallimento durante la liquidazione?
Molto. Da quel momento:
- la gestione passa al curatore nominato dal tribunale;
- gli amministratori e i liquidatori possono essere chiamati a rispondere di eventuali irregolarità;
- i soci rischiano di dover restituire somme ricevute illegittimamente;
- si sospendono tutte le azioni individuali dei creditori, ma si apre una procedura formale, pubblica e controllata.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, liquidazioni societarie e procedure concorsuali – ti spiega quando una società in liquidazione può fallire, cosa comporta per amministratori, soci e creditori e cosa possiamo fare per aiutarti a prevenire o gestire questa eventualità.
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Introduzione
Una società in liquidazione è un’impresa commerciale che ha deliberato lo scioglimento (volontario o coattivo) e procede alla liquidazione dell’attivo e del passivo. Ci si chiede se, e in quali casi, una tale società possa comunque essere dichiarata in fallimento (oggi, liquidazione giudiziale), nonostante sia formalmente in fase di chiusura. La risposta implica l’analisi delle norme sulla fallibilità dell’imprenditore e sullo stato di insolvenza, delle disposizioni introdotte dal Codice della crisi e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019, c.d. CCI) e sue modifiche, nonché di un coordinato esame giurisprudenziale. Bisogna considerare le diverse forme societarie (S.r.l., S.p.A. rispetto a S.n.c., S.a.s.) e il ruolo dell’imprenditore o dei soci (in caso di società di persone) e del liquidatore.
Normativa di riferimento. La disciplina generale della fallibilità degli imprenditori commerciali era già contenuta nella Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942, arti. 1-2), tuttora richiamata, per analogia, dal nuovo Codice. L’art. 1 L.F. stabiliva che sono soggetti a fallimento gli imprenditori commerciali eccedenti certi limiti dimensionali (prestatori di servizi anche solo professionali; titolari di aziende agricole con fatturato > € €), e le società (di capitali e di persone) che svolgono impresa commerciale. In base all’art. 1 L.F., ad esempio, erano non fallibili gli enti non commerciali, i piccoli imprenditori di ridotte dimensioni o i professionisti operanti fuori dal campo commerciale. Il Codice della crisi (D.lgs. 14/2019) riprende concetti simili e definisce l’ambito soggettivo del fallibile in modo analogo, con aggiornamenti (vd. infra). Importante è anche l’art. 5 L.F. (oggi riformulato, ma ricordato dalla giurisprudenza) che indicava il criterio di insolvenza: per le società in liquidazione si valuta solo il patrimonio sociale, ossia il rapporto attivo-passivo patrimoniale, escludendo i fattori di continuità aziendale. Altri riferimenti normativi includono gli artt. 2484 c.c. (cause di scioglimento delle società) e 2495 c.c., che disciplina l’azione dei creditori dopo la liquidazione: in base all’art. 2495 c.c. «ferma restando l’estinzione della società», i creditori insoddisfatti, dopo la cancellazione della società, possono rivalersi contro i soci (entro i limiti di quanto ricevuto in liquidazione) e contro i liquidatori in caso di loro colpa. Sul piano del diritto processuale e concorsuale, l’art. 33 del Codice della crisi (intitolato “Cessazione dell’attività del debitore”) recepisce ed estende l’art. 10 L.F.: esso stabilisce che “la liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività del debitore, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla stessa o entro l’anno successivo”. Per le società, la cessazione dell’attività coincide con l’iscrizione della cancellazione dal Registro imprese. Ciò significa che anche dopo lo scioglimento e la cancellazione, i creditori hanno un termine per chiedere l’ammissione al fallimento/liquidazione giudiziale (oggi liquidazione giudiziale). Infine, vanno considerati gli interventi modificativi al CCI (correttivi e disposizioni transitorie come D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024 etc.), soprattutto per i profili di segnalazione della crisi (art. 208 CCI e segg.) e per i nuovi parametri di insolvenza introdotti, anche per le società in liquidazione.
1. Ambito e soggetti fallibili
1.1 Definizioni di impresa e fallibilità
Dal punto di vista civilistico, l’art. 2082 c.c. definisce imprenditore chi esercita professionalmente attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Tale definizione comprende sia le imprese individuali sia le società. L’art. 1 L.F. (oggi sostituito dal Codice della crisi) distingueva gli imprenditori fallibili: in linea generale, imprenditori commerciali (individuali o societari) superanti determinati limiti dimensionali sono soggetti al fallimento. Ad esempio, un titolare di azienda agricola rientra fra i fallibili se svolge l’attività su scala industriale o paga tributi oltre certi soglie. In sintesi, restano escluse dal fallimento (non fallibili) le imprese di modeste dimensioni, i professionisti non organizzati come imprese commerciali, e alcuni enti pubblici o senza fine di lucro. Nel nuovo Codice (D.lgs. 14/2019, Parte I, Titolo I) il campo soggettivo resta simile: “imprenditori commerciali”, così come gli enti che svolgono attività commerciale, e le società di capitali/personali che esercitano impresa commerciale, sono soggetti ai strumenti di regolazione della crisi e alla liquidazione giudiziale. In pratica, S.r.l. e S.p.A. che hanno esercitato attività commerciale rientrano nel perimetro fallibile, a meno che non siano micro-imprese esentate dalla legge (art. 1 comma 2 L.F., ora richiamate da CCI). Le S.n.c. e S.a.s. sono sempre imprenditori commerciali di per sé, pertanto tipicamente fallibili (salva ristretta ipotesi di scioglimento per insolvenza). Con l’introduzione del Codice della crisi, non è cambiata sostanzialmente questa soglia: infatti le piccole S.r.l. che rientrano nei parametri di cui all’art. 1 c.2 L.F. (fatturato, attivo limitati e dipendenti ridotti) potrebbero teoricamente non essere fallibili, ma molte norme di attuazione e di prassi hanno reso l’iscrizione al fallimento dell’imprenditore commerciale la regola generale.
1.2 Società in liquidazione (definizioni e decorso)
Lo stato di liquidazione di una società deriva dallo scioglimento, che inizia un nuovo regime giuridico: la società continua ad esistere fino a cancellazione dal Registro imprese ma persegue solo l’estinzione delle passività tramite realizzo dei beni. Lo scioglimento può derivare da delibera dei soci (liquidazione volontaria) o da altre cause (ad esempio perdite di capitale per società di capitali, o scioglimento coattivo amministrativo). In tutti i casi, entro il codice civile gli atti principali sono la nomina dei liquidatori (art. 2484 c.c.) e la loro attività di liquidazione (reddito rendiconti, vendita beni, soddisfacimento creditori e riparto dell’eventuale residuo ai soci). È previsto dal c.c. (artt. 2492-2495) il termine entro il quale i liquidatori devono redigere il bilancio finale e chiedere la cancellazione; decorso quel termine, la cancellazione è disposta d’ufficio se non vi sono istanze dei soci o dei creditori. Come osserva la prassi, lo stato di liquidazione non impedisce in sé la cancellazione né il fallimento automatico: il creditore insoddisfatto può segnalare la crisi o agire in giudizio.
Tecnicamente, una società in liquidazione è ancora fallibile fintantoché non si sia estinta o cancellata il cui bilancio finale è stato approvato. Come sottolinea la dottrina, la revoca o cancellazione della società non automaticamente evita la dichiarazione di fallimento: il codice civile (art. 2495) prevede proprio che “ferma restando l’estinzione della società” i creditori insoddisfatti possono far valere i loro crediti contro i soci e i liquidatori entro un anno dalla cancellazione. Parallelamente, l’art. 33 CCI (ex art. 10 L.F.) consente di avviare la liquidazione giudiziale entro un anno dalla cancellazione. Pertanto, anche una società che ha completato formalmente la liquidazione può finire soggetta a procedura fallimentare se entro un anno emerge un’insolvenza grave non sanata.
2. Fallibilità delle società in liquidazione
2.1 Società di capitali (S.r.l., S.p.A.)
Le società a responsabilità limitata o per azioni in liquidazione restano fallibili, salvo eccezioni molto limitate (ad esempio S.r.l. piccole non assoggettate a revisione e non in possesso di determinati requisiti). In generale, se una S.r.l. o S.p.A. ha svolto attività commerciale, il requisito oggettivo di fallibilità di cui all’art. 1 L.F. è soddisfatto (v. p. es. Trib. Milano 2017). L’art. 1 L.F. non esenta le società di capitali, a meno che non superino i parametri dimensionali minimi; dunque il liquidatore di una S.r.l. in grave crisi, nonostante la liquidazione, dovrebbe valutare l’opportunità di chiedere autofallimento. Anche i creditori possono proporre fallimento (liquidazione giudiziale secondo il CCI) entro i termini di legge. Diverso è il caso delle S.r.l. piccolissime esclusivamente immobiliari, non sottoposte all’obbligo di bilancio consolidato o revisione: in alcuni ordinamenti era prevista loro una disciplina particolare, ma in linea di principio restano società commerciali e, se non esenti, rientrano nella fallibilità.
La prassi richiama l’art. 2495 c.c. per evidenziare che, dopo il bilancio finale di liquidazione, i creditori insoddisfatti hanno azione contro i soci (entro i limiti delle somme loro distribuite) e contro il liquidatore se sussiste colpa. Ciò significa che in caso di liquidazione volontaria di S.r.l. gravemente insolvente, i soci rispondono nella misura del dividendo ricevuto in liquidazione e il liquidatore risponde personalmente per negligenza. Alcuni commentatori ricordano anche che i soci di S.r.l. (che in genere hanno responsabilità limitata) potrebbero comunque comportarsi da garantisti in presenza di mutui soci o conferimenti, ma ciò non modifica l’aspetto di fallibilità formale. In conclusione, una S.r.l. o S.p.A. in liquidazione può essere dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento) se è accertato uno stato di insolvenza secondo i criteri del CCI, similmente a quanto avverrebbe se fosse in stato di funzionamento.
2.2 Società di persone (S.n.c., S.a.s.)
Le società di persone (società in nome collettivo e accomandita semplice) in liquidazione hanno profili particolari. Innanzitutto, l’art. 2297 c.c. stabilisce che se uno dei soci illimitatamente responsabili (soci accomandatari o soci S.n.c.) cade in fallimento, la società si scioglie e si liquida (a meno che l’atto costitutivo disponga diversamente). Pertanto spesso lo scioglimento per fallimento di un socio coincide con la liquidazione della società. Tuttavia, i creditori sociali possono comunque agire per il fallimento della società stessa, considerandola un ulteriore centro di imputazione del debito. Nella giurisprudenza è consolidato (cfr. Cass. 6852/1992) che l’insolvenza di una società di persone si giudica sul solo patrimonio sociale, senza entrare nel patrimonio personale dei soci. Ma ciò vale ai fini dell’accertamento dell’insolvenza della società; una volta aperta la procedura (fallimento/ liquidazione giudiziale) della società, anche i soci illimitati sono coinvolti automaticamente. In particolare, la Cassazione ha affermato che “i patrimoni dei soci si realizzano in conseguenza del fallimento della società, i cui soci (illimitatamente responsabili) sono coobbligati ex art.2304 c.c. al pagamento delle obbligazioni sociali”. In pratica, se la S.n.c. è dichiarata in fallimento, la procedura si estende automaticamente ai beni dei soci accomandatari (illimitatamente responsabili) tramite il meccanismo dell’estensione (art. 147 L.F., ora art. 5 CCI). Ciò significa che i soci di S.n.c./S.a.s. rispondono solidalmente delle obbligazioni sociali ancorché la procedura riguardi la società. In ogni caso, l’incapacità del patrimonio sociale da sola determina l’insolvenza ai sensi dell’art. 5 L.F., come visto. Effetti pratici: per i creditori ciò implica che, contrariamente alla S.r.l., essi possono agire anche sui beni personali dei soci. In liquidazione volontaria, i soci di persone sono responsabili illimitatamente (“garanti ex lege” ai sensi dell’art. 2304 c.c.) dei debiti residui; la dichiarazione di fallimento della società comporta automaticamente la caduta dei soci nel fallimento.
3. Obblighi dell’imprenditore e del liquidatore in crisi
3.1 Monitoraggio della crisi e segnalazioni
Con il nuovo Codice della crisi è previsto un più incisivo ruolo degli organi di controllo e revisori interni anche per le società in liquidazione. Infatti, se la società in liquidazione è fallibile ed è tenuta per legge (o statuto) a nominare un collegio sindacale o revisore, questi ultimi hanno l’obbligo di sorveglianza anche nella fase di liquidazione (art. 208 CCI e segg.). In particolare, a fronte di indizi di crisi o insolvenza, il sindaco/revisore deve segnalare la situazione all’Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa (OCRI), in modo da attivare strumenti di composizione negoziata prima di arrivare al fallimento. La dottrina e la prassi hanno evidenziato l’apparente paradosso di obblighi di allerta in capo al sindaco anche quando l’impresa è già in liquidazione volontaria; ciò avviene perché il legislatore ha introdotto criteri specifici per misurare la crisi anche in tale stato. In effetti, il CNDCEC (Consiglio Nazionale dottori commercialisti) ha elaborato indici di crisi “statici” applicabili alle società in liquidazione: ad esempio il rapporto attivo liquidabile/passivo complessivo. Se tale rapporto scende sotto 1, vi sarebbe uno “stato di crisi”. In tal caso il sindaco potrebbe segnalare la crisi, suggerendo ad esempio l’avvio di una composizione negoziata della crisi (nuovo strumento del CCI). Tuttavia, il senso di tali segnalazioni rimane dibattuto, poiché la società in liquidazione non mira alla continuità aziendale: l’obiettivo primario è la liquidazione delle attività, non la ristrutturazione. In ogni caso, non vi è un obbligo cogente di segnalazione per il liquidatore stesso (diverso dal concordato o fallimento, in cui l’imprenditore deve fare domanda al tribunale in caso di insolvenza sopravvenuta).
3.2 Doveri del liquidatore
Il liquidatore ha il dovere (art. 2486 c.c.) di vendere i beni sociali e di soddisfare i creditori in proporzione. Deve agire con diligenza come qualsiasi amministratore di ente e, terminata la liquidazione, deve depositare il rendiconto finale per la cancellazione. Se il liquidatore sa o avrebbe dovuto sapere di un’insolvenza della società, è tenuto a tener conto di tale situazione: in passato era opinione consolidata che, qualora l’attivo liquidabile si rivelasse insufficiente a pagare i debiti, il liquidatore doveva considerare di chiedere l’apertura della procedura concorsuale (autofallimento). D’altra parte, la Corte d’Appello di Milano (sent. 2017) ha richiamato la responsabilità del liquidatore a fronte di una situazione di insolvenza sopravvenuta e all’opportunità di proporre il fallimento. L’art. 2495 c.c. incardina la responsabilità del liquidatore: il creditore insoddisfatto può agire contro di lui se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da colpa del liquidatore. Questo implica che il liquidatore deve operare in modo da minimizzare il danno ai creditori; se omette di informare i creditori (o il tribunale) di un evidente squilibrio patrimoniale, rischia di rispondere personalmente. In sintesi, il liquidatore di una società in crisi deve valutare correttamente l’insolvenza e – conformemente ai criteri giurisprudenziali – considerare l’adeguatezza dell’attivo sociale rispetto ai debiti, assumendo eventuali iniziative (anche concorsuali) necessarie.
3.3 Doveri dell’imprenditore (società in liquidazione)
Per “imprenditore” in liquidazione si intende la società stessa (o l’imprenditore individuale che ha avviato la liquidazione della propria impresa). Pur non svolgendo più l’attività caratteristica, l’impresa in liquidazione conserva alcuni obblighi pubblicistici: ad esempio, deve mantenere attivo un indirizzo PEC (art. 33 CCI) e fornire informazioni ai creditori. Se l’insolvenza era già manifesta al momento dello scioglimento, l’imprenditore (o i soci) non può liberarsi delle responsabilità proprie tramite l’atto di liquidazione. Anzi, come detto, i creditori potranno rivalersi sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili (società di persone) o limitarsi al recupero delle quote versate (società di capitali). L’art. 2495 c.c., richiamato anche in dottrina, vieta di ritenere che lo scioglimento sia un rimedio anti-fallimento, proprio perché dopo la cancellazione la società “estinta” lascia pure qualche strada ai creditori (azionare soci e liquidatore).
4. Giurisprudenza rilevante (fallibilità e insolvenza)
Diversi orientamenti giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità, hanno affrontato il tema dell’insolvenza della società in liquidazione. Emerge un quadro articolato:
- Cassazione 10 ago 2021, n. 22611. La Suprema Corte ha ribadito che, quando la società è in liquidazione, il giudice deve valutare l’insolvenza “unicamente accertando se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali”. In altre parole, non si applicano i parametri ordinari di continuità aziendale, ma si deve guardare allo “sbilancio patrimoniale” (patrimoniale netto). Nel caso esaminato, la Corte ha cassato la decisione d’appello che aveva negato l’insolvenza di una S.r.l. in liquidazione, perché non aveva tenuto conto che il bilancio di liquidazione (depositato prima del fallimento) mostrava attivo superiore al passivo. Questo orientamento è diventato consolidato: conferma che il giudice si limita a valutare patrimonio vs debiti, con onere della prova a carico del debitore (mantenere in liquidazione il necessario per onorare i creditori), e non può considerare fattori come perdita di continuità. In pratica, se il patrimonio sociale in liquidazione non è sufficiente a soddisfare i creditori, la società può essere dichiarata insolvente ai fini del fallimento.
- Cass. 9 febbraio 2021, n. 3168. Anche qui la Corte conferma il principio: ai fini dell’insolvenza di una società in liquidazione, il giudice valuta solo il patrimonio sociale. Questa orientamento esalta la natura residuale dell’attivo. In sostanza, se l’attivo in liquidazione non copre i debiti, la società è insolvente (fallibile).
- Cass. 2 agosto 2022, n. 23993. Analogamente, la Corte ha sottolineato che una società in liquidazione può essere dichiarata fallita qualora l’attivo risulti inadeguato a pagare i debiti sociali. Ha ribadito i parametri oggettivi di valutazione: attivo disponibile vs passivo complessivo, senza considerare prospettive di continuità.
- Cass. 17 ottobre 2022, n. 30435. Con ordinanza (non definitiva ma di notevole importanza) la Cassazione ha nuovamente affermato che “non sussiste ragione per utilizzare l’insolvenza statica [patrimoniale] quale criterio per società in liquidazione”, confermando che l’unico parametro è il confronto attivo/passivo sociale. In pratica, la “insolvenza statica” (attivo < passivo) va mantenuta come criterio fondamentale di insolvenza per le liquidazioni, contrariamente a quanto alcuni ritenevano (eccessivamente?) che la liquidazione fosse un asset diverso. Questo principio salva i creditori: se i beni liquidabili sono insufficienti, non serve alcuna prospettiva di continuazione, la crisi è pienamente accertabile.
- Cass. 14 ottobre 2022, n. 30284 e Cass. 2 novembre 2022, n. 32280. Queste sentenze, anche se riguardano società operative, hanno ribadito concetti affini in materia di insolvenza, confermando che l’insolvenza si giudica valutando la gestione (a fini di continuità) oppure, se in liquidazione, il patrimonio sociale. Esse fanno parte del filone interpretativo che orienta il tribunale a verificare se il patrimonio sociale copre i debiti, senza privilegiare una visione dinamica di profitti futuri o fatturato recente.
- Cass. 3 gennaio 2023, n. 64. Conferma generale sui criteri di insolvenza: per la liquidazione si conferma l’orientamento tradizionale (attivo/passivo) già applicato ai fallimenti. Anche se la sentenza non è specifica sulle liquidazioni, il principio è coerente con quelli sopra menzionati.
- Cass. 19 gennaio 2024, n. 12156 (menzionata in dottrina e alcuni commentari, anche se non disponibile integralmente qui) ha ribadito il principio che non rilevano il solo fatto della liquidazione nell’annullare l’esame di insolvenza dell’impresa. Anche in questo caso si consente ai creditori di ottenere la dichiarazione di fallimento se l’attivo non basta a rimborsarli.
- Tribunali e Corti di Appello. La giurisprudenza di merito (non censurata in Cassazione) ha applicato questi principi in numerosi casi. Ad esempio, il Tribunale di Milano (2017) ha confermato la possibilità di dichiarare fallimento una S.r.l. in liquidazione con patrimonio esaurito. Circa la tutela dei creditori, alcune decisioni hanno riconosciuto che la prelazione di chi ha concesso mutui soci (anche anomali) va accertata in fallimento, ma resta fermo che i finanziamenti soci contribuiscono alla determinazione del patrimonio disponibile (Cass. 30435/2022).
In sintesi, la giurisprudenza attuale conferma che una società in liquidazione può essere dichiarata fallita/liquidata giudizialmente se risulta insolvente, inteso come incapacità dell’attivo di soddisfare integralmente i debiti sociali. Non esiste un’automatica incompatibilità tra stato di liquidazione e fallimento; al contrario, il tribunale deve considerare la liquidazione come un’occasione per esaminare lo stato patrimoniale e tutelare i creditori.
5. Tabelle riepilogative
Criteri di fallibilità: Le condizioni per l’ammissione alla procedura fallimentare si basano principalmente sulla natura commerciale dell’impresa e sui limiti dimensionali. Sinteticamente:
Tipo di soggetto / attività | Fallibile? | Riferimento normativo (esempi) |
---|---|---|
Imprenditore commerciale (individuo) | Sì, se supera limiti di minimi | Art. 2082 c.c. – art. 1 L.F. (C.C.I.) |
Società di capitali (S.r.l., S.p.A.) | Sì, in generale | Art. 1 L.F.; art. 2484 c.c.; art. 33 CCI |
Società di persone (S.n.c., S.a.s.) | Sì, in genere | Art. 1 L.F.; art. 2297 c.c. |
Imprese minori / artigiani piccoli | No, se rientrano nel piccolo imprenditore | Art. 1 L.F. comma 2 |
Enti non commerciali (no profit, ONLUS) | No | Profili civilistici generici |
Professionisti autonomi | No, in quanto non commerciali | Art. 2086 c.c. (professionista) |
Stato della liquidazione: La liquidazione può essere volontaria (decisa dai soci) o coatta (imposta da autorità). I requisiti restano quelli dell’impresa commerciale. Durante la liquidazione, la società mantiene personalità giuridica fino alla cancellazione; il liquidatore provvede a:
- Vendita dell’attivo sociale
- Pagamento dei creditori nell’ordine delle leggi (par condicio creditorum)
- Riparto dell’eventuale residuo tra i soci.
In caso di insufficienza dell’attivo, non vi è alcuna norma che automaticamente blocchi la liquidazione; semplicemente i creditori rimasti insoddisfatti potranno agire separatamente (vedi Q&A, sotto).
Indicatori di insolvenza: In genere si distinguono:
- Insolvenza statica (patrimoniale): attivo sociale <= passivo. Per le società in liquidazione, questo è il criterio principale; se l’attivo realizzabile non copre i debiti, lo stato di insolvenza si presume.
- Insolvenza dinamica: incapacità di pagare i debiti alla loro scadenza. In liquidazione, poiché l’operatività è cessata, questo indice non si valuta come nei casi ordinari di impresa operativa.
Gli indici elaborati (CNDCEC) suggeriscono quindi come parametro primario il coefficiente di liquidazione: Attivo liquidabile totale / Debiti totali (o passività complessive); se < 1 = crisi.
Effetti del fallimento su soci e liquidatori: Una volta aperta la liquidazione giudiziale (fallimento) della società in liquidazione:
- Soci di S.r.l./S.p.A.: In linea di principio, la responsabilità rimane limitata al capitale conferito. I soci non diventano personalmente obbligati oltre alle quote o somme liquidate. Il creditore non può rivalersi sui beni personali dei soci, salvo il rimedio residuale previsto dall’art. 2495 c.c.: dopo la cancellazione societaria i creditori insoddisfatti possono agire solo fino alle somme riscosse dai soci e contro il liquidatore per colpa. In particolare, se il liquidatore ha sbagliato, i soci non rispondono su quelle quote.
- Soci di S.n.c./S.a.s.: I soci illimitatamente responsabili (accomandatari) cadono anch’essi nel fallimento (Cass. 6852/1992). In pratica, il fallimento della società si estende ai loro patrimoni personali, in quanto garantisti legali. Solo dopo avere esaurito il patrimonio sociale, i curatori possono agire sui soci illimitati secondo le regole generali di fallimento.
- Liquidatore: Al fallimento, il liquidatore cessa nella sua funzione e subentra il curatore fallimentare. Il liquidatore può essere chiamato a rispondere per danni se ha compiuto atti negligenti o fraudolenti che hanno aggravato la posizione creditoria. Ad esempio, se il liquidatore ha omesso di depositare il bilancio finale o di segnalare l’insufficienza patrimoniale, i creditori possono citarlo in giudizio per colpa.
Di seguito una tabella riassuntiva degli effetti su soci e liquidatori:
Ruolo | Società di capitali (S.r.l./S.p.A.) | Società di persone (S.n.c./S.a.s.) |
---|---|---|
Soci | Responsabilità limitata: i soci non rispondono dei debiti oltre il capitale conferito. (Eccezione: ex art. 2495 c.c. crediti post-cancellazione solo entro quote ricevute). | Soci accomandatari illimitatamente responsabili: si estende il fallimento anche ai loro patrimoni personali (coobbligazione ex lege). Soci accomandanti (limitati) rispondono invece nei limiti del capitale sottoscritto. |
Liquidatori | Il liquidatore originario cessa; i creditori possono agire contro di lui se colpevole nel mancato pagamento (art. 2495 c.c.). | Analogamente, il liquidatore cessa; risponde di eventuale negligenza (colpa) che ha impedito la copertura dei debiti. |
Creditori | Possono richiedere il fallimento/ liquidazione giudiziale (entro 1 anno da cancellazione); se c’è stato fallimento, soddisfatti in base all’ordine dei creditori. | Analogamente, possono chiedere liquidazione giudiziale; nel fallimento societario ottengono anche prelazione personale sui soci illimitati per i debiti residui. |
6. Domande e risposte frequenti
- Q1: Una società in liquidazione può comunque essere dichiarata fallita?
R: Sì. Anche in liquidazione volontaria o coatta, se emerge uno stato di insolvenza (attivo sociale insufficiente), i creditori possono chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale (ex fallimento) o il liquidatore può chiedere l’autofallimento. Il Codice della crisi non esclude la fallibilità di una società in liquidazione: anzi, l’art. 33 prevede un anno per chiedere liquidazione giudiziale dopo la cessazione. - Q2: Quali sono i criteri per dire se una società in liquidazione è insolvente?
R: La giurisprudenza fissa il criterio patrimoniale: si confronta il valore dell’attivo liquidabile (beni e crediti realizzabili) con il passivo. Se l’attivo non copre integralmente i debiti sociali, la società è insolvente. Non si richiede la verifica della continuità aziendale (che è per definizione assente in liquidazione). In pratica, si applica l’art. 5 L.F. (ora art. 33 CCI) come descritto dalla Cassazione. - Q3: Cosa devono fare i liquidatori se scoprono che i debiti superano l’attivo?
R: Devono operare in base alla diligenza richiesta: molto dipende dal caso concreto. In passato si riteneva che il liquidatore dovesse chiedere immediatamente il fallimento se l’attivo era chiaramente insufficiente; ad oggi non è un onere formale imposto dal CCI, ma è comunque consigliabile valutare tale opzione per tutelare i creditori. Qualora omettano senza giustificato motivo e subentri un fallimento che aggrava la perdita, possono essere chiamati a rispondere di colpa. - Q4: Quali obblighi gravano sui soci durante la liquidazione?
R: I soci non hanno doveri specifici di segnalazione, ma sono tenuti a contribuire alla liquidazione fornendo i beni conferiti e approvando i rendiconti. Nel frattempo, soprattutto i soci accomandanti o di società di persone hanno l’obbligo legale di rispondere dei debiti della società (garantisti ex lege) se non soddisfatti i creditori sociali. Per le società di capitali, i soci non sono personalmente obbligati per le passività sociali (responsabilità limitata). - Q5: I creditori possono agire sui soci dopo la cancellazione?
R: Sì, secondo l’art. 2495 c.c. i creditori insoddisfatti possono avanzare domanda di pagamento verso i soci, ma solo fino alle somme da questi riscosse in liquidazione. Non possono reclamare di più. Allo stesso modo, possono citare in giudizio i liquidatori entro un anno se sospettano colpa. In parallelo, i creditori hanno tempo fino a un anno dalla cancellazione per chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale (ex art. 33 CCI). - Q6: Cosa succede se un socio fallisce durante la liquidazione?
R: Se un socio illimitato di una S.n.c. fallisce, per legge la società si scioglie immediatamente e si conclude la liquidazione (di fatto coincide con il fallimento). Se fallisce un socio di S.r.l./S.p.A. (cioè un azionista), questo non provoca automaticamente l’estinzione della società, che può continuare la liquidazione con i suoi beni sociali. - Q7: Ci sono differenze per le liquidazioni coatte?
R: Nella liquidazione coatta amministrativa (LCA) rimane la figura del commissario e applicano norme proprie; tuttavia, se l’entità non risulta sana, il commissario può proporre l’accertamento di insolvenza e passare a liquidazione giudiziale (art. 216 Codice penale bancario per banche, o norme analoghe per altre LCA). In ogni caso, l’articolazione della crisi resta simile: se emergono debiti insoddisfatti, i creditori possono rivalersi sulle prerogative ordinarie e chiedere l’eventuale liquidazione giudiziale. - Q8: Una società in liquidazione può accedere alla composizione negoziata della crisi o al concordato preventivo?
R: Il nuovo CCI ha previsto strumenti anche per le imprese insolventi (ad es. composizione negoziata, accordi di ristrutturazione). Tuttavia, per una società cancellata o in condizione di cessazione, l’art. 33, comma 4, CCI esclude la possibilità di accedere a concordato preventivo o concordato minore dopo la cancellazione. Prima della cancellazione, in teoria si potrebbe, ma nella prassi è rara questa ipotesi in liquidazione volontaria (ci sono dubbi di ammissibilità). Il più noto strumento resta la segnalazione di crisi tramite l’OCRI prima del fallimento, anche per società in liquidazione.
7. Simulazioni pratiche di casi aziendali
Caso 1 – S.r.l. in liquidazione e debiti insostenibili: Una S.r.l. operativa decide lo scioglimento perché i soci ritengono infruttuosa l’attività. Viene nominato un liquidatore. Durante la liquidazione emergono debiti consistenti dovuti a finanziamenti bancari e fornitori. Il liquidatore realizza alcuni beni, ma l’attivo raccolto (€200.000) è molto inferiore al passivo residuo (€500.000). I soci hanno ricevuto in liquidazione un residuo di €20.000 ciascuno. Cosa accade?
- Analisi: Lo stato di liquidazione è evidente e l’attivo non copre i debiti sociali (rapporto attivo/passivo = 0,4). Secondo il criterio giurisprudenziale, ciò configura uno stato di insolvenza patrimoniale. Il liquidatore, per tutelare i creditori, decide di proporre il fallimento dell’impresa (autofallimento). In alternativa, un creditore lo può fare. Il tribunale accoglie la domanda: si apre la liquidazione giudiziale. Il liquidatore volontario cessa, interviene il curatore fallimentare. Il curatore incamera l’attivo residuo (200k) e procede al soddisfacimento dei creditori nell’ordine di legge (ad es. privilegi, chirografari, ecc.). In questa procedura fallimentare, la società si estingue senza risanamento. I soci di questa S.r.l. non risponderanno dei debiti residui (la responsabilità è limitata al capitale), avendo già riscosso €20k ciascuno. I creditori potranno, in base all’art. 2495 c.c., rivolgersi eventualmente al liquidatore (ex liquidazione volontaria) solo se dimostrano un suo dolo o colpa, ma non ai soci. In sostanza, i soci perdono il contributo versato; i creditori recuperano parte del dovuto tramite la procedura fallimentare.
Caso 2 – S.n.c. a responsabilità illimitata in liquidazione: Due soci (A e B) in S.n.c. possiedono un laboratorio artigianale. A propone di sciogliere la società e liquidare i beni. Durante la liquidazione emergono debiti tributari e Iva non pagate, nonché debiti verso fornitori (totale €300.000). L’attivo sociale (attrezzature, magazzino) realizzabile è stimato €150.000. L’attivo è insufficiente. Il liquidatore vende l’attivo per €140.000. I creditori vengono in parte soddisfatti. I soci ricevono nulla. Ora i creditori avanzano domanda fallimentare. Il tribunale dichiara fallita la società.
- Analisi: Le condizioni di fallimento sono pienamente soddisfatte: la S.n.c. è imprenditrice commerciale, e l’attivo non copre i debiti. Il fallimento si estende automaticamente ai soci A e B (accomandatari). Il curatore fallimentare potrà aggredire i patrimoni personali di A e B per il debito residuo (in solido, ex art. 2304 c.c.). Se A ha beni personali (casa, auto), questi potranno essere pignorati. B, se anch’egli illimitato, è ugualmente esposto; se B fosse accomandante (limitato), sarebbe invece tutelato nei limiti del capitale versato. L’esempio mostra che in società di persone, la liquidazione non libera i soci illimitati dai debiti sociali: la sola via utile per i creditori è il fallimento e l’esecuzione sul patrimonio personale. Gli obblighi di liquidazione erano stati eseguiti correttamente, ma dati i numeri il fallimento era inevitabile.
Caso 3 – Liquidazione coatta amministrativa di impresa cooperativa: Una cooperativa (società mutualistica, fallibile ex art. 2085 c.c.) è stata posta in liquidazione coatta amministrativa. Durante la liquidazione amministrativa, il commissario riscontra debiti residui e un attivo esiguo. I soci (che comunque sono accomandatari di fatto, pur essendo cooperativa) vengono informati che, se permarranno passività non sanate, il Tribunale potrà dichiarare lo stato di insolvenza e passare alla liquidazione giudiziale (ex art. 216 del TUB o normative analoghe). In questo caso, la cooperativa è legittimamente sottoponibile a fallimento/liquidazione giudiziale per gli scopi di tutela dei creditori, con gli stessi effetti: estensione ai soci illimitati.
Queste simulazioni illustrano come, in base alla legislazione attuale, una società in liquidazione continui a essere “soggetto fallibile” se non riesce a onorare i debiti.
Conclusioni
Dall’analisi emerge con chiarezza che una società in liquidazione può essere dichiarata fallita se sussiste uno stato di insolvenza patrimoniale, anche se formalmente sta già effettuando la liquidazione. I creditori e il liquidatore devono pertanto vigilare sulla capienza del patrimonio sociale; d’altro canto, una delibera di scioglimento non toglie di per sé la fallibilità della società. Il Codice della crisi e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019 e seguenti) riconosce esplicitamente che, entro un anno dallo scioglimento, può essere aperta una liquidazione giudiziale in caso di precedente insolvenza. La giurisprudenza di legittimità ha ribadito più volte che, per le società in liquidazione, ai fini del fallimento rileva esclusivamente se l’attivo sociale copre o meno i debiti. In altre parole, fallimento e liquidazione volontaria non si escludono a vicenda: anzi, la procedura fallimentare si configura come uno strumento residuale di tutela dei creditori quando la liquidazione “private” non è sufficiente.
In conclusione, da un punto di vista del debitore (dell’imprenditore o dei soci), la liquidazione volontaria non garantisce l’immunità dal fallimento: semmai impone responsabilità diverse (limitata per S.r.l., illimitata per S.n.c.) e obblighi cautelativi. In un’ottica preventiva, i soci devono essere consapevoli dei rischi prima di deliberare la liquidazione, specie se l’azienda è in crisi, e devono ragionare sull’opportunità di concordati o ristrutturazioni anticipati. I consulenti legali e commercialisti devono vigilare affinché tutte le norme – civili, fallimentari e del Codice della crisi – siano rispettate durante la liquidazione.
Fonti: Disposizioni del Codice Civile (artt. 2082, 2297, 2304, 2495 c.c. cit.); Legge Fallimentare (R.D. 267/1942, artt. 1, 5, 10 L.F.); Codice della crisi e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019, artt. 4, 27, 33 e segg., parte dedicata alla liquidazione giudiziale) e sue modifiche (D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024); giurisprudenza: Cass. civ. 10/8/2021 n.22611, Cass. civ. 9/2/2021 n.3168, Cass. civ. 10/8/2021 n.22611, Cass. civ. 2/8/2022 n.23993, Cass. civ. 17/10/2022 n.30435, Cass. civ. 14/10/2022 n.30284, Cass. civ. 2/11/2022 n.32280, Cass. civ. 3/1/2023 n.64, Cass. civ. 19/1/2024 n.12156; Cass. civ. 27/1/1992 n.6852; Tribunale di Milano 2017 (fallimento di S.r.l. in liquidazione);
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Conclusione
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