Ti stai chiedendo quanti debiti servano perché una società venga dichiarata fallita? Hai paura che, con l’aumento delle passività, la tua impresa possa essere portata in tribunale da un creditore o dall’Agenzia delle Entrate?
Contrariamente a quanto molti pensano, non esiste una soglia fissa di debiti che fa scattare automaticamente il fallimento. La quantità di debito è importante, certo, ma non è l’unico fattore determinante. Quello che conta davvero è la condizione di insolvenza.
Ma cosa si intende per insolvenza?
Una società è considerata insolvente quando non è più in grado di pagare regolarmente i propri debiti. Non basta essere in ritardo su una scadenza: devono esserci segnali concreti che l’azienda non è più capace di far fronte alle obbligazioni con mezzi ordinari.
Quindi, anche con pochi debiti si può fallire?
Sì. Se una società ha anche solo 50.000 euro di debiti, ma non ha più beni, fatturato, liquidità o accesso al credito, può essere dichiarata fallita, soprattutto se i creditori chiedono l’intervento del tribunale e l’insolvenza è evidente.
E allora: quando il debito diventa rilevante ai fini del fallimento?
Oltre allo stato di insolvenza, il Codice della Crisi prevede alcuni requisiti oggettivi:
- ricavi superiori a 200.000 euro annui negli ultimi tre esercizi;
- attivo patrimoniale maggiore di 300.000 euro;
- debiti totali superiori a 500.000 euro.
Se la società supera almeno uno di questi limiti, può essere sottoposta a liquidazione giudiziale (ex fallimento) se c’è insolvenza. Se invece rientra sotto soglia, può accedere a strumenti alternativi come la liquidazione controllata.
Cosa succede se non si interviene per tempo?
Se i debiti aumentano e la società non fa nulla, il rischio è che il tribunale venga coinvolto su richiesta di un creditore. E se viene accertata l’insolvenza, si apre la procedura, con tutte le conseguenze: curatore, blocco della gestione, responsabilità patrimoniale degli amministratori, revoche, azioni risarcitorie.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto fallimentare, responsabilità d’impresa e procedure concorsuali – ti spiega quali sono i requisiti per essere dichiarati falliti, quando i debiti diventano critici e cosa possiamo fare per aiutarti a intervenire in tempo, prima che sia troppo tardi.
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Introduzione
In Italia non esiste un numero fisso di debiti che faccia scattare automaticamente il fallimento: ciò che conta è l’impossibilità attuale di pagare le obbligazioni (stato di insolvenza) in un contesto economico-finanziario complessivo. Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019 e ss.mm.ii.) distingue però tra “crisi d’impresa” (fase anticipatoria, in cui sono visibili squilibri) e “insolvenza” conclamata (incapacità attuale di far fronte ai debiti). Solo quando una società è insolvente e non è classificabile come “impresa minore”, può essere avviata la procedura liquidatoria (il fallimento): per le società di capitali ciò equivale alla liquidazione giudiziale, mentre per le società di persone ai sensi del Codice valgono regole analoghe. In questa guida, aggiornata a giugno 2025, illustriamo il quadro normativo attuale: i requisiti di accesso alle procedure (fallimentari e alternative), le soglie dimensionali (soglie di non fallibilità), le conseguenze patrimoniali e personali per l’imprenditore/amministratore, e il ruolo di Agenzia delle Entrate, Riscossione e INPS.
Fonti principali: D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi), R.D. 267/1942 (Legge Fallimentare), D.L. 118/2021 conv. L.147/2021, D.L. 152/2021 conv. L.233/2021, correttivi normativi post-pandemia (D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024 ecc.), giurisprudenza recente (p.es. Cass. SS.UU. 27/9/2019 n.24138, Cass. 2023 n.3552, Cass. 2024 n.2885, Corte App. Venezia 11/3/2021, ecc.).
1. Crisi d’impresa vs. Insolvenza
Il CCII ribadisce (art.2 CCII) e la dottrina concorda: la crisi d’impresa è uno stato anticipatore in cui l’azienda, pur potendo ancora pagare i debiti attuali, mostra squilibri (perdite, flussi di cassa negativi, erosione del patrimonio) tali da rendere probabile l’insolvenza futura se non si interviene. La insolvenza è invece il momento in cui l’impresa non è più in grado di pagare regolarmente i debiti scaduti con i propri mezzi ordinari. Il legislatore punta oggi sulla prevenzione: strumenti di allerta (interni/esterni) e procedure stragiudiziali permettono di affrontare la crisi prima che diventi irreversibile, rimandando la liquidazione giudiziale (fallimento) all’extrema ratio.
Gli amministratori e imprenditori devono dotarsi di assetti organizzativi e contabili adeguati alla dimensione dell’impresa e monitorare costantemente la situazione finanziaria. In caso contrario, ritardi o omissioni nell’adozione di correttivi o nell’attivare procedure formali possono essere fonte di responsabilità (civili e penali). In particolare, il Codice Civile (art.2086, co.2 c.c., modificato dal CCII) impone di prevenire l’insorgere della crisi con assetti contabili ed amministrativi adeguati.
2. Requisiti per la liquidazione giudiziale (“fallimento”)
Per avviare la procedura liquidatoria (ex-fallimento) di una società occorrono due presupposti concomitanti:
- Presupposto oggettivo – Insolvenza: la società deve essere effettivamente insolvente, ossia incapace di pagare regolarmente i debiti in scadenza. Tale condizione si ricava dalla situazione di fatto (mancati pagamenti plurimi, protesti, pignoramenti, crediti in sofferenza ecc.).
- Presupposto soggettivo – Imprenditore commerciale fallibile: l’impresa deve rientrare nella categoria degli “imprenditori commerciali” fallibili. In base all’art.121 CCII, hanno accesso alla liquidazione giudiziale solo gli imprenditori commerciali che non dimostrino di possedere congiuntamente i requisiti di “impresa minore”. In pratica, sono fallibili tutte le società di capitali (S.p.A., S.r.l. ordinarie, unipersonali, semplificate) – che di per sé sono già imprenditori commerciali – salvo le esenzioni generali (es. enti pubblici, alcune cooperative, start-up innovative), mentre le società di persone e le imprese individuali rientrano anch’esse nella procedura se superano certi limiti dimensionali.
Soglie di fallibilità (impresa minore): il CCII (art.2, co.1,d) rinvia ai limiti previsti dalla Legge Fallimentare (R.D. 267/1942 art.1, co.2 lett. a-c) per le piccole imprese. Secondo tale disciplina, si considera impresa minore (non assoggettabile a fallimento) chi in ciascuno degli ultimi tre esercizi ha registrato congiuntamente:
- Attivo patrimoniale complessivo annuo ≤ €300.000;
- Ricavi lordi annui ≤ €200.000;
- Debiti (anche non scaduti) ≤ €500.000.
Se anche uno solo di questi limiti viene superato in almeno un esercizio, l’azienda è fallibile: può essere dichiarata in liquidazione giudiziale se è insolvente. In sintesi: se una società di capitali o di persone supera i tre limiti di “piccola impresa” (attivo ≤300k, ricavi ≤200k, debiti ≤500k) non può opporsi al fallimento. L’onere di provare il mancato superamento spetta all’impresa stessa (ad es. con bilanci ufficiali).
Tabella 1 – Soglie dimensionali e impresa minore:
Società/Imprenditore Attivo ≤ €300.000 Ricavi ≤ €200.000 Debiti ≤ €500.000 Esito Impresa minore (piccola impresa) ✔ (tutte e tre le soglie rispettate) ✔ ✔ Non fallibile: esclude liquidazione giudiziale. Altra impresa commerciale × (almeno una soglia superata) – – Fallibile: possibile liquidazione giudiziale in caso di insolvenza.
I valori di 300k/200k/500k sono aggiornabili ogni tre anni con decreto del Ministero della Giustizia (indice ISTAT). Tuttavia, fino a presente (2025) il limite debiti €500.000 è ancora in vigore. Da notare che queste soglie non sono particolarmente alte: superare anche una di esse rende una PMI soggetta a fallimento, mentre chi rientra in tutti e tre i limiti gode di procedure più snelle (per es. concordato semplificato o liquidazione volontaria).
3. Liquidazione giudiziale (“fallimento”): procedura e conseguenze
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale tradizionale (ex “fallimento”) per aziende insolventi non più risanabili. Può essere chiesta da qualsiasi creditore con credito scaduto, dal Pubblico Ministero (solo in caso di bancarotta fraudolenta), o dall’imprenditore stesso. Quando il Tribunale rileva lo stato di insolvenza e la fallibilità dell’impresa, pronuncia l’apertura della procedura con sentenza. Da quel momento l’azienda viene spossessata della gestione: gli amministratori perdono i loro poteri e subentra un curatore fallimentare che procede alla liquidazione dell’attivo e al riparto dell’eventuale ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.
Gli effetti immediati della dichiarazione di fallimento sono:
- Sospensione dei pagamenti: vengono bloccati pagamenti ai creditori (salvo privilegiati, pignoramenti passati).
- Blocco delle azioni esecutive: (pignoramenti, sequestri) si fermano o diventano parte del concorso dei crediti.
- Decadenza degli amministratori: l’amministratore delegato o consiglio perdono la gestione aziendale.
- Blocco dell’attività: in genere l’azienda cessa l’attività continuativa (salvo casi di concordato in continuità), e l’assetto aziendale diventa oggetto di liquidazione ordinata.
Durante la procedura, il curatore accerta il patrimonio dell’impresa (compresi atti anteriori al fallimento) e redige l’elenco dei crediti ammessi. Dopo la vendita dell’attivo, i creditori vengono soddisfatti a seconda della tipologia: privilegiate (per l’erario e INPS, crediti privilegiati di legge), pignorate (su beni soggetti a privilegio ipotecario), e chirografarie (non garantite). Solo in casi eccezionali (es. concordato liquidatorio) i chirografari possono ottenere percentuali minime. Va sottolineato che in società di capitali i soci rischiano solo il patrimonio investito (responsabilità limitata); mentre in società di persone, i soci rispondono illimitatamente con i loro beni personali per i debiti sociali.
Procedimento: l’apertura della liquidazione giudiziale, una volta disposta, segue la disciplina dell’art. 121 CCII. Il curatore assume la gestione operativa e la liquidazione del patrimonio, i dipendenti (se presenti) possono essere licenziati con procedura accelerata, e si procede al riparto finale. Il tributo e i contributi previdenziali maturati e non pagati fino alla sentenza rientrano nel concorso dei creditori con massima prelazione.
Conseguenze per amministratori e imprenditori: gli amministratori, da quel momento, non possono più agire per conto dell’azienda e diventano potenziali destinatari di azioni di responsabilità. Essi infatti hanno il dovere di cooperare con il curatore e fornire tutta la documentazione societaria. Eventuali “mala gestio” (distrazioni di beni, occultamento di documenti, falsa contabilità) o grave negligenza nella fase pre-fallimentare possono portare a responsabilità civile (risarcimento danni) e penale (reati fallimentari di bancarotta semplice o fraudolenta). Inoltre, eventuali irregolarità tributarie (omesso versamento di imposte o contributi) possono configurare reati (es. omesso versamento IVA) con conseguente responsabilità personale degli amministratori. Da ultimo, se il fallimento è stato causato da comportamenti dolosi o fraudolenti degli amministratori, questi possono subire interdizione o altre sanzioni.
In sintesi, la liquidazione giudiziale distoglie l’imprenditore dalla gestione aziendale e può portare alla perdita totale dell’azienda. L’imprenditore titolare (soprattutto se persona fisica o socio di persone) rischia anche di compromettere il proprio patrimonio personale per soddisfare i creditori. Per tali ragioni il CCII incoraggia soluzioni alternative (v. sez. 5).
4. Strumenti di composizione e ristrutturazione del debito (soluzioni alternative)
Il CCII privilegia oggi soluzioni che salvino l’impresa quando possibile. Oltre alla liquidazione giudiziale, sono previsti diversi strumenti pre-fallimentari o stragiudiziali:
- Composizione negoziata della crisi: introdotta dal D.L. 118/2021 (art. 43-bis CCII) e in vigore dal 2022, è una procedura volontaria e stragiudiziale. L’imprenditore in crisi può chiedere assistenza a un esperto indipendente (iscritto in apposito albo) che conduce trattative riservate con i creditori, alla ricerca di un accordo di ristrutturazione (rateizzazioni, ribassi, nuovi apporti di capitale, ecc.). Durante la negoziazione i creditori cessano temporaneamente le azioni esecutive (sospensione legale di 6 mesi), e l’istruttoria si svolge tramite una piattaforma telematica dedicata. Non c’è approvazione formale del tribunale finché non si decide un accordo: se si raggiunge un’intesa significativa con i creditori, si può definire un accordo extragiudiziale; in caso di fallimento successivo il comportamento del debitore (aver cercato soluzioni diligenti) potrà essere valutato positivamente. La finalità è risanare l’impresa mantenendo l’attività, se ragionevole, senza aprire subito il fallimento. Esempio: una SRL con debiti fiscali (IVA arretrata di €20.000) e contributivi (€18.000) riceve segnalazioni da Agenzia Entrate e INPS; decide quindi di avviare la composizione negoziata chiedendo all’esperto di rinegoziare il pagamento con dilazioni e nuovi finanziamenti.
- Piano attestato di risanamento: previsto dall’art.56 CCII, è uno strumento unilaterale riservato all’imprenditore (in stato di crisi o insolvenza) che intende rimodulare i debiti con un accordo di massima tra i creditori. Il debitore predispone un piano contenente strategie di ristrutturazione (rateizzazioni, riduzioni, apporto di nuova finanza, ecc.) che deve essere attestato da un professionista indipendente (commercialista o avvocato autorizzato) sulla base di dati economico-finanziari. L’attestazione certifica la plausibilità del piano e l’effettiva situazione patrimoniale. Un vantaggio essenziale è che gli atti e i pagamenti compiuti in esecuzione del piano attestato sono esclusi dalla revocatoria fallimentare (salvo dolo dell’attestatore o consapevolezza dei creditori): ciò significa che l’imprenditore può fare assegnamenti di beni o pagamenti conformemente al piano, con la garanzia legale che tali operazioni non verranno “rispedite indietro” in sede fallimentare. Il piano attestato non richiede l’omologazione giudiziale preventiva e non vincola obbligatoriamente i creditori (è un accordo privato), ma spesso viene usato per concordare transazioni, ottenere finanziamenti o preparare un futuro concordato preventivo. Esempio: un’imprenditore artigiano accumula debiti con fornitori per €80.000; redige un piano di risanamento che prevede dilazioni biennali con tassi agevolati. Un commercialista certifica la fattibilità: l’imprenditore mostra poi il piano ai fornitori, che in cambio accettano di non escutere.
- Accordi di ristrutturazione del debito: sono strumenti ancora in vigore (art.56 bis-quinquies CCII) che consentono di concordare con i creditori (anche un singolo tipo) piani di ristrutturazione con validità anche verso creditori dissentienti (cram‑down), previo deposito di determinati documenti in tribunale e l’attestazione di un esperto. Tali accordi operano internamente alla procedura concorsuale (o pre-fallimentare) e prevedono omologazione. Anche questo strumento punta alla continuità aziendale e alla soddisfazione dei creditori in via negoziata. (Non approfondito in questa guida per ragioni di sintesi.)
Tabella 2 – Caratteristiche delle procedure alternative alla liquidazione:
Procedura | Fase di crisi | Strumentista | Finalità principale | Esempi di esito |
---|---|---|---|---|
Composizione negoziata | Situazione di crisi precoce; insolvenza iniziale | Esperto indipendente (avvocato/commercialista) | Ristrutturare il debito extragiudizialmente; mantenere l’azienda | Accordo con creditori per dilazioni, tagli; possibile nuova finanza (risanamento) |
Piano attestato di risanamento | Crisi o insolvenza (imprenditore) | Professionista attestatore | Concordare ristrutturazione tramite piano unilaterale (con effetto anti-revocatorio) | Rinegoziazione debiti, definizioni stragiudiziali, nuovi conferimenti; protezione degli atti eseguiti |
Concordato preventivo (continuativo) | Insolvenza conclamata | Tribunale/Commissario | Salvare l’impresa o cederla; soddisfare i creditori con piano coordinato | Piano con continuazione (total o parziale) dell’attività, obblighi di pagamento rateale, possibili cambiamenti gestionali |
Concordato preventivo (liquidatorio) | Insolvenza conclamata, impresa non risanabile | Tribunale/Commissario | Liquidare gli asset aziendali in modo organizzato, anziché fallire | Vendita concordata di beni e distribuzione incassi: Piano che assicura ai chirografari ≥20% di soddisfazione e apporto esterno ≥10% dell’attivo |
Concordato semplificato | Insolvenza (piccole imprese) | Tribunale/Commissario (minimo) | Semplificare la procedura per PMI: deposito semplificato, no votazione creditori sui piani < dato %, niente commissario | Piano di liquidazione o continuazione senza formalità (p.es. creditori non votano sui piani minori) |
Nota: per il concordato in continuità non esistono soglie fisse di soddisfacimento: il piano deve semplicemente garantire ai creditori un risultato “migliore” rispetto alla liquidazione fallimentare. Per il concordato liquidatorio, il CCII richiede espressamente minimo 20% di soddisfazione ai chirografari e un apporto di risorse esterne pari almeno al 10% dell’attivo liquidabile. Questi requisiti aggiuntivi mirano a superare quanto avviene solitamente in un fallimento puro, assicurando qualche vantaggio ai creditori.
- Piano di ristrutturazione omologato (PRO): è una procedura concorsuale introdotta dal CCII (art.67-bis) e attivata dal D.M. ministeriale del 28.4.2025. Permette a un’impresa in crisi di chiedere al tribunale l’omologazione di un piano di ristrutturazione (anche con deroga ai diritti dei creditori dissentienti, ossia cram-down). Funziona come un “concordato stragiudiziale” coadiuvato da un mediatore e propone un modello flessibile di soluzione. (Per ragioni di sintesi, non entriamo nei dettagli, ma si segnala come ulteriore opzione giudiziale flex.)
In tutti questi strumenti alternativi il punto di vista è incentrato sul debitore: essi consentono all’imprenditore di intervenire attivamente (anche privatamente) per ristrutturare il debito, evitando o ritardando la liquidazione giudiziale. La legge richiede comunque che le soluzioni proposte tutelino i creditori almeno come farebbe la liquidazione (principio del miglior soddisfacimento alternativo), garantendo un livello di soddisfazione non inferiore al fallimento.
5. Ruolo di Agenzia delle Entrate, Riscossione e INPS
Il CCII riconosce a Fisco, Agenzia delle Entrate–Riscossione e INPS la qualifica di “creditori pubblici qualificati”. Secondo il D.L. 152/2021 (conv. L.233/2021) e il CCII, tali enti monitorano automaticamente i debiti tributari e contributivi dell’impresa e devono inviare una segnalazione formale all’imprenditore (e all’organo di controllo societario) se vengono superate determinate soglie di debito. Tali soglie – in vigore dal 1° gennaio 2022 – sono:
- INPS: ritardo >90 giorni nel versamento dei contributi previdenziali superiore a €15.000 (per imprese con dipendenti, purché sia almeno il 30% del dovuto annuo) o >€5.000 (imprese senza dipendenti).
- Agenzia delle Entrate (IVA): debito scaduto e non versato di imposte dirette o IVA superiore a €5.000 (accertato dalle liquidazioni periodiche).
- Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia): crediti affidati per riscossione (ad es. cartelle tributarie o contributive definitivamente accertate) scaduti da oltre 90 giorni e di importo superiore a €100.000 (per imprese individuali), €200.000 (società di persone) o €500.000 (altre società di capitali).
Al superamento di queste soglie, trascorsi 60 giorni senza sanatoria, l’INPS/Entrate/AdER invia una comunicazione via PEC agli amministratori e ai sindaci. La comunicazione non proclama lo stato di crisi, ma è un campanello d’allarme obbligatorio: invita l’imprenditore ad attivare la composizione negoziata o altre misure. In altri termini, il sistema di allerta esterno forza la consapevolezza del debitore: le segnalazioni ufficiali forniscono una linea temporale (data invio) oltre la quale ogni inerzia può essere considerata colposa in caso di insolvenza. Se dopo la segnalazione l’imprenditore non agisce e l’impresa fallisce, amministratori e sindaci saranno chiamati a rispondere delle omissioni. Invece, una reazione pronta (per es., attivare la composizione negoziata) testimonia buona fede e potrebbe poi agevolare, in caso di chiusura concordataria o esdebitazione, il riconoscimento di diligenza nelle decisioni aziendali.
Oltre al meccanismo di allerta, Agenzia delle Entrate e INPS rivestono un ruolo tradizionale di creditori privilegiati nella procedura concorsuale: in caso di fallimento i loro crediti tributari e previdenziali sono fra i primi soddisfatti (con le priorità legali attuali), mentre i soci o amministratori di società di capitali hanno responsabilità limitata e non rispondono con il proprio patrimonio personale per tali debiti. In una società di persone, invece, i soci rispondono sempre illimitatamente, e pertanto l’esposizione verso Fisco e INPS pesa direttamente anche sul patrimonio personale dei soci.
6. Effetti personali e patrimoniali per imprenditore e amministratori
Società di capitali vs. società di persone: in una società di capitali (S.r.l., S.p.A. e affini) l’imprenditore (socio o azionista) gode di responsabilità limitata: in caso di fallimento perde solo il capitale versato nell’impresa (art.2462 c.c.), non rispondendo con i beni personali delle obbligazioni sociali. Viceversa, in una società di persone (S.n.c., S.a.s.) o impresa individuale non esiste separazione patrimoniale: i soci (o l’imprenditore individuale) sono illimitatamente e solidalmente responsabili per i debiti societari (art.2291 c.c.). Ciò significa che, se la società fallisce, i creditori possono aggredire direttamente i beni personali dei soci. Non vi è limite di soglia (salvo le eccezioni delle imprese minori): qualsiasi debito societario, se non onorato, può ricadere sul patrimonio privato dei soci.
Conseguenze per l’amministratore: a prescindere dalla forma sociale, gli amministratori sono tenuti a gestire l’azienda con diligenza e a evitare che la società vada in insolvenza; in caso contrario possono essere chiamati a rispondere personalmente. Se il fallimento (o l’insolvenza) è dovuto a colpa grave o dolo dell’amministratore – p.es. distrazione di beni, false comunicazioni al mercato, omissioni dolose – si configurano azioni di responsabilità civile verso la società o i creditori e potenziali reati fallimentari (bancarotta). Anche eventuali reati tributari (es. omesso versamento IVA) commessi in qualità di amministratore possono tradursi in responsabilità penali. L’amministratore bancale o negligente – specie se ha ignorato gli allarmi esterni – rischia di subire un danno patrimoniale personale rilevante, oltre a eventuali inibizioni. In pratica, dopo l’apertura della procedura, gli amministratori perdono ogni potere gestionale: sono sostituiti dal curatore e hanno il solo obbligo di consegnare documentazione, con il pericolo di dover risarcire se si dimostra colpa nell’insolvenza. Di contro, se la gestione è stata corretta (es. ha attuato tempestivamente misure preventive), l’amministratore mantiene l’esdebitazione limitata (cioè non perde altri beni personali).
Imprenditore e società fallita: in generale, il fallimento di una società di capitali non “spazzola” il patrimonio personale del socio. La legge non prevede esdebitazione né per le società né per i loro soci: i debiti societari vengono soddisfatti solo con l’attivo aziendale. Per l’imprenditore individuale o socio di persone, invece, l’unica via di uscita sono gli istituti del sovraindebitamento (L.3/2012) o l’esdebitazione prevista per le persone fisiche fallite, purché ricorrano i requisiti (buona fede, distrazione minima di beni, ecc.) previsti dagli artt.111-114 CCII. In ogni caso, fallimento o concordato terminano solitamente con la liquidazione dell’azienda (cancellazione dal Registro delle Imprese); l’imprenditore che desideri riavviare un’attività dovrà farlo con nuovo soggetto aziendale.
7. Tabelle riepilogative
Tabella 3 – Soglie di debito per soggetti pubblici di allerta:
Creditore Pubblico | Soglia di debito | Nota |
---|---|---|
INPS (contributi) | > 90 giorni di ritardo e: (a) €15.000+ con dipendenti (almeno 30% del dovuto annuo); (b) €5.000+ senza dipendenti | Segnalazione obbligatoria dopo 60 giorni di superamento |
Agenzia Entrate (IVA) | Debito IVA trimestrale scaduto > €5.000 | L’IVA non versata su una liquidazione trimestrale fa scattare l’allerta |
Agenzia Entrate – Riscossione | Debiti affidati scaduti da >90 gg: €100.000 (Imprenditore individuale), €200.000 (S.persone), €500.000 (Società di capitali) | Cartelle e ingiunzioni non pagate; soglie elevate riflettono crediti trib./contributivi di ampia portata |
Tabella 4 – Confronto tra società di capitali e di persone:
Aspetto | Società di capitali (S.p.A., S.r.l. etc.) | Società di persone (S.n.c., S.a.s.) |
---|---|---|
Qualifica giuridica | Persona giuridica; patrimonio separato | Non soggette a fallimento se sotto soglie; altrimenti uguali alle cap. |
Responsabilità soci | Limitata al capitale conferito (art.2462 c.c.) | Illimitata e solidale per tutti i debiti societari (art.2291 c.c.) |
Soglie “non fallibilità” | Applicabili come per imprenditore commerciale (≤300k attivo, ≤200k ricavi, ≤500k debiti) | Stessi limiti dimensionali; superate le soglie, la società può essere liquidata |
Accesso alla liquidazione giudiziale | Sì, se insolvente e supera soglie “piccola impresa” | Sì, se imprenditore commerciale (materialmente) e insolvente, anche per un solo socio; soglie per esenzione e se si applicano |
Altri strumenti possibili | Tutte le procedure del CCII (composizione negoziata, piano attestato, concordato, PRO) | Analoghi strumenti; in aggiunta, soci insolvibili possono ricorrere anche al sovraindebitamento |
Conseguenze dell’insolvenza | Società è liquidata; soci perdono capitale ma non rispondono oltre; amministratori poss. colpevoli rispondono | Soci rispondono con il proprio patrimonio e possono essere dichiarati falliti; anche qui amministratori (se diversi) rispondono |
Tabella 5 – Procedure di regolazione della crisi (sommario):
Strumento / Procedura | Quando si applica | Requisiti principali | Effetti principali |
---|---|---|---|
Composizione negoziata | Stato di crisi / insolvenza iniziale | Istanza volontaria dell’impr. + deposito della doc. in piattaforma | Sospensione azioni esecutive; trattative riservate; nessun voto formale dei creditori |
Piano attestato di risanamento | Stato di crisi o insolvenza | Piano unilaterale del debitore con attestazione professionista; situazione patrimoniale | Gli atti/pagamenti eseguiti in base al piano sono protetti da revocatoria; accordo con creditori (senza tribunale) |
Concordato preventivo (continuità) | Insolvenza conclamata | Istanza giudiziale con piano; aumento di capitale o risorse esterne possibili; voto creditori | Possibilità di proseguire l’attività o cederla; piano pagamenti (affidamento, indennizzi, ecc.); accordo omologato dal Tribunale |
Concordato preventivo (liquidatorio) | Insolvenza conclamata, impresa da chiudere | Istanza giudiziale con piano di liquidazione; valore aggiunto esterno ≥10% attivo previsto; almeno 20% soddisfazione chirografari | Liquidazione organizzata del patrimonio aziendale; creditori chirografari almeno per il 20% ricevono l’utile; attuazione sotto vigilanza (commissario) |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Insolvenza conclamata + requisiti di fallibilità superati | Dissesto irreversibile; stato di insolvenza secondo art.2247bis c.c. e art.121 CCII | Sentenza di liquidazione; curatore in gestione; attivo venduto e ripartito tra creditori secondo classifica; eventuale cancellazione impresa |
Concordato semplificato | Insolvenza conclamata (PMI) | Istanza leggera (omessa documenti economici dettagliati); piano semplice | Concordato omologato dal Tribunale senza votazione formale dei creditori (soglia 51% semplificata); nessun commissario giudiziale |
8. Simulazioni pratiche
Per illustrare l’applicazione delle norme, riportiamo alcuni esempi ipotetici di imprese in difficoltà e delle possibili procedure:
- Esempio 8.1 – Composizione negoziata (società di capitali): Alfa S.r.l. ha un fatturato annuo di €500.000 ma ha accumulato debiti IVA di €12.000 e contributi INPS di €20.000 (di cui €15.000 scaduti). Riceve le PEC di segnalazione da Agenzia Entrate e INPS. Gli amministratori decidono di attivare immediatamente la composizione negoziata. Depositano il piano di risanamento sulla piattaforma e nominano un esperto indipendente. L’esperto contatta i creditori (fornitori, banche, Erario) in trattativa riservata. Grazie al piano, si concorda di rateizzare i debiti fiscali in 18 mesi e i fornitori accettano di posticipare pagamenti per un importo pari a due mensilità. Si ottiene un finanziamento ponte per il capitale circolante. L’impresa riesce così a superare la fase critica senza ricorrere al tribunale, evitando il fallimento.
- Esempio 8.2 – Piano attestato di risanamento (società di capitali): Beta S.p.A., industria con perdite recenti, presenta un patrimonio netto negativo. I soci conferiscono nuovi capitali e l’amministratore redige un piano di risanamento con rateizzazioni decennali dei debiti verso banche e fornitori. Un professionista indipendente attesta la veridicità del piano e la fattibilità finanziaria. Beta illustra il piano ai creditori: essi concordano ad esempio su un taglio del 30% degli interessi e l’eliminazione di alcune penali, in cambio di due anni di tempo per i pagamenti. Grazie all’esenzione da revocatoria, Beta ha la certezza che le quote societarie e i pagamenti effettuati non saranno impugnati in futuro.
- Esempio 8.3 – Concordato preventivo in continuità (società di capitali): Gamma S.r.l. è insolvente con debiti per €5 milioni e un patrimonio (immobili e attrezzature) di valore stimato €3 milioni. L’amministratore deposita in tribunale una proposta di concordato preventivo in continuità, con un piano di ristrutturazione a tre anni. Il piano prevede l’impegno di nuovi soci finanziatori a versare €1 milione, mentre i fornitori accettano di ricevere il 40% dei crediti residui in 4 anni, e le banche accordano una ristrutturazione del debito al 50%. Viene nominato un commissario e l’esperto certifica la validità della proposta. Alla votazione, i creditori votano a favore secondo maggioranze legali. Il tribunale omologa il concordato, consentendo a Gamma di continuare l’attività senza cessarla, rispettando il piano concordatario fino al suo completamento.
- Esempio 8.4 – Concordato preventivo liquidatorio (società di capitali): Delta S.p.A. non è più risanabile. Gli amministratori propongono un concordato liquidatorio: vendere tutti i macchinari e immobili, distribuire il ricavato tra i creditori. Il piano prevede che i creditori chirografari (fornitori) ricevano almeno il 25% del credito totale (superiore al minimo 20%) grazie a un apporto di €500.000 da parte degli azionisti (risorse esterne pari a oltre il 10% dell’attivo). Il tribunale verifica i requisiti (20% e 10%) e omologa l’accordo nonostante i dissensi, poiché garantisce un ritorno maggiore di una liquidazione fallimentare pura. Delta conclude la vendita degli asset e ripartisce i fondi secondo il piano, evitando la dichiarazione di fallimento.
- Esempio 8.5 – Liquidazione giudiziale (società di persone): SNC “Omega” (due soci) con fatturato di €250.000 supera le soglie di PMI (debiti €600.000) ed è insolvente. Nessuna procedura alternativa è praticabile (debiti troppo alti, soci privi di risorse). Un creditore scatta la denuncia di fallimento. Il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale. Gli amministratori perdono i poteri, un curatore gestisce la vendita dei beni della SNC. Poiché i soci sono illimitatamente responsabili, una volta esaurito il patrimonio sociale tutti i creditori residui possono rivalersi direttamente sui beni personali dei due soci, fino a soddisfazione completa dei creditori.
Questi esempi mostrano come, a seconda della tipologia di società (capitali vs persone), della situazione patrimoniale e dell’equilibrio debiti/attivo, l’imprenditore possa scegliere o essere obbligato verso una delle diverse procedure disponibili nel CCII. In ciascun caso, risulta fondamentale la tempestività dell’intervento: prima si attivano i rimedi (negoziazione, accordi, esame dei segnali d’allarme), migliori sono le chance di salvare l’azienda.
9. Domande frequenti (FAQ)
- D1: Esiste una soglia minima di debiti che fa scattare il fallimento?
No, l’insolvenza si valuta sulla capacità di pagare i debiti scaduti; non c’è un importo fisso. Tuttavia, in base al Codice della crisi, se la società supera le soglie di “impresa minore” (attivo >300k, ricavi >200k, debiti >500k) è fallibile: in caso di insolvenza può essere dichiarata in fallimento. Se i debiti aziendali rimangono sotto 500k (e gli altri limiti), la società è considerata “piccola impresa” e non può essere liquidata giudizialmente, anche se insolvente. - D2: Chi può chiedere la dichiarazione di fallimento?
Può farlo qualsiasi creditore munito di credito certo ed esigibile (privato o pubblico), oppure il Pubblico Ministero (in presenza di bancarotta dolosa) o lo stesso imprenditore. Anche gli enti previdenziali e fiscali possono, in teoria, presentare istanza, ma prima si limitano alla segnalazione di allerta. L’imprenditore, invece, ha un dovere legale (art.2086 c.c.) di non attendere passivamente: se non interviene, rischia di vedersi pignorati i beni e subire accuse di mala gestio. - D3: Cosa succede dopo una segnalazione di allerta da parte del Fisco o INPS?
La segnalazione via PEC non obbliga legalmente ad aprire nessuna procedura, ma avvisa formalmente l’imprenditore del superamento di soglie critiche. Essa evidenzia la gravità della situazione e invita a regolarizzare o avviare la composizione negoziata. Di fatto, segnalazioni ignorate costituiscono un indizio grave di colpa: in caso di insolvenza ulteriore, si potrà dire che gli amministratori erano stati avvertiti senza reagire. Viceversa, qualunque azione (per esempio avviare un negoziato con creditori) rimane volontaria, ma dimostra buona fede. La PEC, inoltre, viene inviata anche ai sindaci (o revisori) che sono tenuti a vigilare; il loro coinvolgimento rafforza l’allerta interna all’impresa. - D4: Quali sono le differenze tra concordato preventivo in continuità e liquidatorio?
Nel concordato in continuità l’azienda continua (totalmente o parzialmente) a operare durante la procedura; il piano può prevedere la prosecuzione dell’attività (anche tramite cessione del ramo d’azienda) e strumenti come riduzione dei debiti, nuove fonti di finanziamento e ristrutturazione del debito. Non esistono soglie minime rigide di soddisfacimento: il tribunale omologa il piano se il risultato è almeno pari a quello che il creditore otterrebbe in fallimento. Nel concordato liquidatorio, invece, l’impresa cessa l’attività: si concorda come liquidare i beni (immobili, attrezzature, crediti) sotto il controllo del commissario. Il piano liquidatorio deve garantire una percentuale minima di soddisfazione ai creditori chirografari (almeno il 20%) e un contributo esterno dell’imprenditore o terzi (almeno il 10% dell’attivo liquidabile). Questi requisiti fanno sì che i chirografari ottengano qualcosa in più rispetto a un fallimento ordinario e che il debitore contribuisca con risorse proprie. In breve: nel concordato in continuità si cerca di salvare l’azienda; in quello liquidatorio si cerca di massimizzare l’incasso dalla vendita dei beni prima del fallimento. - D5: Il debitore o l’amministratore possono continuare a gestire l’impresa dopo aver chiesto una procedura?
Dipende dalla procedura. Nella composizione negoziata o nel piano attestato il debitore mantiene la gestione quotidiana: sono strumenti privati o stragiudiziali con cui l’imprenditore resta al timone. Nel concordato preventivo, fino all’omologa il debitore mantiene l’amministrazione, purché nominato un commissario (almeno per certi atti) e depositati i bilanci; dopo l’omologa, il debitore prosegue secondo il piano concordatario, sempre sotto vigilanza. Nel fallimento (liquidazione giudiziale), invece, gli amministratori vengono depotenziati: al curatore fallimentare subentra ogni potere, e i manager decadono dalle loro cariche. In sostanza: prima dell’omologa di un concordato o prima del fallimento, l’amministratore regge il timone; una volta che la procedura giunge a regime (omologa o sentenza di fallimento), perde il controllo. - D6: E se l’impresa è troppo piccola (sotto soglia)?
Se l’imprenditore individuale o la società di persone rientra nei limiti di impresa minore (≤300k attivo, ≤200k ricavi, ≤500k debiti), essi non sono assoggettabili alla liquidazione giudiziale. In questo caso l’impresa non può essere dichiarata fallita, ma può comunque ricorrere a soluzioni alternative: la composizione negoziata, il concordato semplificato (per le piccole società), o le procedure per sovraindebitamento (piani del consumatore o accordi con creditori). L’obiettivo resta comunque gestire la crisi con gli strumenti previsti (liquidazione volontaria, concordato semplificato, ecc.) senza subire l’“estrema ratio” del fallimento obbligatorio.
Queste FAQ chiariscono alcuni dubbi ricorrenti. In ogni caso, per un’informazione affidabile si rimanda sempre al testo normativo vigente (CCII e disposizioni collegate) e alle sentenze aggiornate più recenti.
10. Fonti e sentenze
- Normativa primaria: D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) e s.m.i.; R.D. 267/1942 (Legge fallimentare) artt.1‑5; D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 (disposizioni urgenti c.d. “Milleproroghe”); L. 147/2021 (conversione D.L.118/2021); D.L. 36/2022 conv. L. 79/2022 (Ulteriori disposizioni anticrisi); D.L. 152/2021 conv. L. 233/2021 (obbligo segnalazione debiti); D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024 (correttivi e disposizioni transitorie); Codice Civile artt.2247-bis e ss. (fallimento), 2086, 2392, 2476, 2462 (responsabilità amministratori, capitale sociale) e 2291 (società di persone).
- Giurisprudenza selezionata: Cass. Civ. SS.UU. 27/09/2019 n.24138 (onere probatorio della non-fallibilità e uso dei bilanci); Cass. Civ. 10/01/2022 n.13221 (conferma onere della prova sul bilancio di non fallibilità); Cass. Civ. 11/03/2021 (CA Venezia) – in diversi gradi – sui presupposti di ammessione al fallimento; Cass. Civ. 08/06/2023 n.3552 (criteri di valutazione dell’attestazione del piano); Cass. Civ. 17/06/2024 n.2885 (ruolo degli organi di controllo nella crisi); Cass. Civ. 25/09/2024 n.15580 (responsabilità tributaria degli amministratori in fase di crisi); Corte App. Milano 15/05/2023 (interpretazione delle soglie di segnalazione dei creditori pubblici); Tribunale di Salerno 03/02/2025 n.6 (interpretazione art.121 CCII su società di capitali fallibili).
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✔️ Consulente per PMI, società di persone e SRL
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Conclusione
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