Debiti Aziendali Con Banche E Istituti Finanziari: Cosa Fare

Hai un’impresa con debiti verso banche o istituti finanziari che non riesci più a gestire? Ti trovi in difficoltà con mutui, leasing o affidamenti bancari? Ti stai chiedendo cosa puoi fare per evitare che la situazione degeneri in segnalazioni, revoche o pignoramenti?

I debiti finanziari sono tra i più delicati per un’azienda, perché un’interruzione dei rapporti bancari può bloccare operatività, liquidità e credibilità. Ecco perché è fondamentale agire subito, prima che sia troppo tardi.

Ma cosa si può fare, in concreto, se non si riesce più a sostenere i pagamenti alle banche?

La prima regola è non chiudersi nel silenzio. Quando il flusso di cassa non basta a coprire rate e interessi, è importante intervenire tempestivamente, rivedendo le scadenze, negoziando una moratoria o cercando un piano di rientro concordato.

E se le banche non vogliono trattare? O iniziano a revocare gli affidamenti?

In questi casi si può valutare l’attivazione di una composizione negoziata della crisi, procedura riservata che consente di:

  • trattare con banche e istituti finanziari con l’aiuto di un esperto;
  • bloccare le azioni esecutive per un periodo di protezione;
  • presentare un piano realistico, sostenibile e verificato.

Se la crisi è più avanzata, si può invece accedere a strumenti più strutturati, come:

  • l’accordo di ristrutturazione dei debiti, che permette di ridefinire gli impegni con le banche con l’omologazione del tribunale;
  • il concordato minore, utile quando l’impresa è in difficoltà ma vuole preservare la continuità;
  • oppure, nei casi più critici, la liquidazione controllata, per chiudere ordinatamente la posizione debitoria.

E nel frattempo le banche possono agire? Possono iscrivere segnalazioni o avviare pignoramenti?

Sì, se non intervieni per tempo. Le banche possono segnalare la tua azienda come cattivo pagatore, revocare i fidi o procedere giudizialmente. È per questo che è fondamentale valutare subito con un avvocato le alternative disponibili, prima che le decisioni vengano prese da altri.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, gestione della crisi e ristrutturazione del debito – ti spiega cosa fare se la tua azienda ha debiti con banche o finanziarie, quali strumenti puoi usare per rinegoziare o proteggerti e come possiamo aiutarti a tutelare l’attività prima che sia troppo tardi.

Hai rapporti in tensione con le banche? Temi di non riuscire più a rientrare dai debiti finanziari?

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Debiti aziendali con banche e istituti finanziari: cosa fare

Nel caso di imprese in difficoltà finanziaria, il debitore ha a disposizione una serie di strumenti giuridici per tentare di gestire o risolvere i debiti contratti con banche e istituti finanziari (mutui, affidamenti, leasing, factoring, ecc.). Questa guida aggiornata a giugno 2025, rivolta ad avvocati, imprenditori e privati, spiega in modo approfondito e divulgativo le soluzioni tradizionali e innovative del diritto concorsuale italiano, con particolare attenzione agli strumenti alternativi alla liquidazione giudiziale. Si illustrano anche gli orientamenti giurisprudenziali più recenti (Cassazione e, ove rilevante, Corte di giustizia UE), tabelle riepilogative dei rimedi per il debitore, esempi pratici (simulazioni) di situazioni tipiche e una sezione FAQ finale. In chiusura è fornito l’elenco delle fonti normative e giurisprudenziali richiamate.

1. Inquadramento normativo e tipologie di debito

I debiti con banche e istituti finanziari possono assumere diverse forme: prestiti e mutui (generalmente garantiti da ipoteca o altri beni), affidamenti o linee di credito, contratti di leasing (noleggio finanziario di beni mobili o immobili) e factoring (cessione di crediti commerciali, talvolta con garanzia di riacquisto). Ciascuno di essi comporta rischi specifici (ad es. il leasing può portare alla restituzione coattiva del bene in caso di inadempimento) e diversi gradi di prelazione. In linea generale, il creditore bancario dispone di forti poteri esecutivi e di garanzie che possono complicare la vita del debitore moroso.

Dal punto di vista normativo, va ricordato che il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCI”), in vigore dal 2021, disciplina le procedure concorsuali per le imprese (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, ecc.) e alcuni strumenti stragiudiziali di composizione della crisi. Rimangono inoltre vigenti disposizioni speciali, come la Legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (L. 3/2012), che si applica a imprenditori più piccoli e a soggetti non fallibili (c.d. “sovraindebitamento”). Molti istituti previsti dalla vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) sono stati coordinati nel nuovo Codice, ma per semplicità continueremo a usare i termini tradizionali (ad es. art. 182-bis l.f. per “accordo di ristrutturazione dei debiti”) quando ci riferiamo agli strumenti di ristrutturazione del debito.

2. Strumenti tradizionali di rinegoziazione (piani di rientro e transazioni)

In una prima fase, il debitore può tentare di negoziare direttamente con la banca o il finanziatore una dilazione o una modifica delle condizioni contrattuali. Ad esempio, può proporre un piano di rientro (o “piano di rateizzazione”): un accordo bonario per pagare il debito in più rate anziché in un’unica soluzione. Oppure può cercare una vera transazione con la banca, ovvero un compromesso che riduca o stralci parte del debito in cambio di un pagamento parziale (ad es. un saldo e stralcio). Questi accordi sono negoziazioni private e possono riguardare anche altri creditori (fornitori, fisco, ecc.), ma si svolgono al di fuori di procedure giudiziali.

  • Piano di rientro (dilazione): è un accordo meramente negoziale in base al quale la banca consente di rateizzare il debito. Attenzione: tale piano non sospende automaticamente le scadenze né impedisce la prosecuzione delle azioni esecutive del creditore. In particolare, la giurisprudenza di legittimità conferma che un piano di rientro non estingue il debito né sostituisce le obbligazioni originali, ma si limita a una mera “ricognizione” delle somme dovute. Ciò significa che la banca, salvo accordi specifici, può proseguire le azioni legali (ad es. pignoramenti) per il recupero delle somme non pagate. Esempio: la Cassazione (ordinanza n. 2855/2022) ha stabilito che un piano di rientro concordato con la banca, in quanto semplice riconoscimento di debito, non preclude al debitore di contestare la nullità di clausole del contratto originario né obbliga la banca a rinunciare alle garanzie.
  • Transazione: è un contratto con cui le parti (debitore e creditore) definiscono consensualmente una controversia o prevenendola rinunciano a pretese reciproche (art. 1965 c.c. e ss.). Nel contesto bancario, può significare ridurre l’importo del debito (ad es. stralcio di interessi) o concedere una lunga dilazione in cambio di garanzie o pagamenti straordinari. Come per i piani di rientro, si tratta di un rimedio privato non soggetto a particolari formalità di legge se non quelle generali dei contratti (ad es. forma scritta per gli interessi ultralegali). La transazione deve essere equa e non può violare disposizioni inderogabili (ad es. patto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c. o 134 l.f.). Anche qui non vi è sospensione automatica delle azioni esecutive, a meno che la banca, di sua volontà, conceda una moratoria.

Vantaggi per il debitore: flessibilità e rapidità (si evita ogni procedimento giudiziario).
Rischi: le soluzioni informali dipendono dalla buona fede della banca e non forniscono protezioni legali: se il debitore non rispetta il piano di rientro o la transazione, il creditore potrà rilanciare l’esecuzione forzata. La banca può, in ogni momento, dichiarare risolto il rapporto per inadempimento e agire in via giudiziaria (salvo rinuncia espressa).

3. Accordi stragiudiziali assistiti da professionisti

Per imprese ancora tecnicamente solventi, ma in forte difficoltà, la legge italiana offre strumenti di composizione stragiudiziale della crisi con assistenza di professionisti. Tra i principali, segnaliamo:

  • Composizione negoziata della crisi (DL 118/2021 – art. 56 ss. CCI): si tratta di un percorso volontario e confidenziale, gestito tramite una piattaforma telematica presso le Camere di commercio, e supervisionato da un esperto indipendente. Possono accedervi tutte le imprese iscritte al Registro delle Imprese (comprese ditte individuali e società agricole), purché non siano in liquidazione volontaria o concorsuale. Il debitore presenta un progetto di piano di risanamento, lo sottopone ai creditori con l’ausilio di un esperto (nomina di fiducia del tribunale), e si cerca un accordo multilaterale. È un processo esclusivamente volontario e stragiudiziale: non comporta voti assembleari né decisioni giudiziali formali (salvo che all’esito si richieda una omologazione tecnica). In pratica, se si giunge a un’intesa sostenibile, il piano negoziato può poi essere trasformato in accordo di ristrutturazione o concordato preventivo, ma fino ad allora il ruolo dell’esperto è di facilitare le trattative. La Corte ha riconosciuto che la composizione negoziata mira a risanare imprese con squilibrio economico-finanziario “probabile insolvenza” ma con chance di continuità.
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l. fall.): è lo strumento giudiziale più rilevante per ristrutturare grandi debiti bancari. L’imprenditore (soggetto “fallibile” sotto il profilo civile) può negoziare un piano di ristrutturazione con i creditori (compresi banche, finanziarie, grandi fornitori), ottenendone l’adesione di almeno il 60% dei crediti (o anche di minoranza nei casi di ristrutturazioni “minori” sotto i 300mila €). Una volta sottoscritto l’accordo, l’imprenditore deposita in tribunale sia l’accordo stesso sia un’istanza di omologazione giudiziale. L’omologazione comporta una moratoria legale: fino alla pronuncia il pagamento dei debiti anteriori è sospeso e i creditori vincolati al piano (maggioranza e, se richiesto, non aderenti) godono dei vantaggi convenuti. In particolare, come prescrive il CCI, dalla presentazione della domanda producono effetto immediato “misure protettive” (previa conferma giudiziale in 30 giorni) che impediscono ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni impresa o le garanzie, e sospendono prescrizioni e decadenze. In parole semplici: se richieste, le misure protettive di cui all’art. 54 CCI bloccano le attività esecutive bancarie, garantendo ossigeno al piano. Altrimenti, senza domandarle, opera almeno la moratoria ex lege dopo l’ammissione. Una volta omologato, l’accordo è vincolante anche per i creditori finanziari non aderenti, e questi non potranno agire separatamente (es. pignorare le cose del debitore) per i debiti oggetto del piano. Ciò fornisce al debitore un importante strumento di protezione collettiva: il pagamento dei debiti è rinviato fino a omologazione, beneficiando di tassi e termini rinegoziati, e senza iniziativa di esproprio da parte di singoli creditori.
  • Piani attestati di risanamento (art. 56 CCI, ex art. 67 legge fall.): è un istituto di diritto privatistico transposto nel nuovo Codice (prima nella legge fallimentare 2005/2012). In questo caso l’imprenditore in stato di crisi (o già insolvente) predispone unilaterale un piano di risanamento scritto, corredato dalla “attestazione” di un professionista indipendente (revisore, avvocato, commercialista). L’attestatore certifica la veridicità dei dati e la fattibilità economica del piano. Il debitore quindi negozia privatamente con ogni creditore (banche, fornitori, ecc.) le modifiche contrattuali previste dal piano (ad es. dilazioni, riduzioni di capitale o interessi, nuovi finanziamenti). A differenza del concordato o dell’accordo di ristrutturazione, non c’è omologazione giudiziale né votazione assembleare: il piano è attuato attraverso singoli accordi bilaterali rispettosi del piano stesso. Il potere pubblico entra solo ex post: se in futuro viene aperta una liquidazione giudiziale (perché il piano fallisce), i pagamenti eseguiti “in esecuzione” del piano attestato godranno di esenzione da revocatoria fallimentare (cioè non possono essere revocati). In sintesi, il piano attestato è uno strumento flessibile (quasi privatistico) che consente di risanare l’esposizione debitoria con la credibilità dell’attestatore, senza ricorrere subito al tribunale. Esso è riservato agli imprenditori fallibili (soggetti agli ordini del liquidatore), mentre gli imprenditori non soggetti a liquidazione giudiziale (piccoli operatori, agricoltori “puri”, consumatori imprenditori) possono solo negoziare forme analoghe ma senza piena copertura legale.

4. Strumenti concorsuali (giudiziali)

Quando le trattative extragiudiziali non sortiscono effetto o l’impresa è (quasi) insolvente, si entra nell’ambito delle procedure concorsuali vere e proprie:

  • Concordato preventivo (artt. 160-186 CCI, previgente T.U. Fall.): è un procedimento giudiziale che mira a rimodulare i debiti aziendali in continuità d’impresa (tramite vendita anche competitiva dell’azienda) o, in alternativa, a liquidare l’attivo per soddisfare i creditori. L’imprenditore presenta al tribunale un piano concordatario (di solito redatto in coordinamento con un professionista attestatore) e ottiene l’ammissione alla procedura. In seguito i creditori si esprimono con voto in assemblea: se approvano il piano (con maggioranze assembleari di legge), il tribunale lo omologa e il concordato diventa vincolante. Fatta salva una quota minima di pagamento ai creditori privilegiati e chirografari, il piano può prevedere pagamenti dilazionati, sconti (patti di non petendo), cessione di beni, ecc. Se i creditori non approvano, può essere assunto il “cram-down” (decisore giudiziario impone il piano stesso se rispetta i diritti dei creditori di classe) o dichiarata la liquidazione giudiziale. Vantaggi: durante il concordato si sospendono le azioni esecutive (misure protettive obbligatorie ex art. 168 CCI); si può ottenere l’esdebitazione da revocatorie e responsabilità (nei limiti di legge); si ristabilisce un piano di pagamenti. Svantaggi: è una procedura complessa e costosa; fallimento del concordato comporta liquidazione giudiziale coatta e possibile responsabilità degli amministratori. Dal punto di vista del debitore, il concordato richiede convinzione da parte della maggioranza dei creditori e buon piano di risanamento: serve trasparenza massima, perché la Cassazione ha ribadito più volte che l’attestatore o gli amministratori devono fornire informazioni complete e non fuorvianti (ad es., Cass. 36401/2023 ha sottolineato che l’omissione di dati rilevanti nell’attestazione costituisce illecito).
  • Liquidazione giudiziale (ex-fallimento): è l’extrema ratio. Se l’impresa è insolvente senza possibilità di concordato, il tribunale la dichiara in liquidazione giudiziale e nomina un curatore. Tutti i rapporti aziendali cessano (salvo continuazione dell’attività con autorizzazione), i beni aziendali sono venduti e il ricavato distribuito ai creditori secondo le priorità di legge. Dal lato debiti bancari, il ricorso alla liquidazione giudiziale comporta che il debitore perda ogni controllo sull’azienda: la banca potrà agire liberamente sulle garanzie (salvo il nuovo regime delle misure protettive automatiche immediatamente abrogate prima della liquidazione). Inoltre, il fallimento espone gli amministratori a gravi controlli (in caso di colpa o dolo) e alla revoca di pagamenti pregressi. Di solito ogni altro strumento va tentato prima del fallimento, data l’estrema severità della procedura.

5. Organismi di composizione della crisi (OCC) e sovraindebitamento

Oltre agli istituti sopra descritti, per i soggetti non rientranti nella liquidazione giudiziale (imprenditori minori, lavoratori autonomi, etc.) esiste la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012). Essa prevede procedure semplificate di composizione del debito da tenersi davanti agli “Organismi di composizione della crisi” (OCC), enti autorizzati presso le Camere di commercio. In questo contesto, il debitore propone un piano di ristrutturazione o transazione ai propri creditori (anche banche) e, se necessario, si può ricorrere alla “liquidazione del patrimonio” (piano di Liquidazione del patrimonio con cessione di beni). L’Organismo riceve la domanda, ne verifica la regolarità e tenta la conciliazione. In pratica, gli OCC offrono assistenza specializzata per negoziazioni extra-giudiziali dei debiti da parte di piccoli imprenditori sovraindebitati. Come spiega l’Ordine degli Avvocati, l’Organismo è “un ente terzo, imparziale e indipendente al quale ciascun debitore […] può rivolgersi al fine di far fronte all’esposizione debitoria con i propri creditori”. L’esito può essere un accordo (piano del consumatore o accordo di composizione dei debiti) che, se omologato, vale come transazione efficace verso tutti i creditori. L’accesso è limitato ai soggetti non fallibili: il titolare di partita IVA con morosità insostenibili, ad es. su leasing o prestiti, può rivolgersi a un OCC e proporre ai creditori un piano di rientro semplificato o la vendita forzata di beni. Ciò consente spesso di evitare procedure concorsuali formali e di ottenere sconti o dilazioni anche con le banche.

6. Riepilogo e comparazione degli strumenti (tabelle)

Di seguito si riportano due tabelle riepilogative delle principali soluzioni a disposizione dell’imprenditore debitore, con vantaggi e criticità.

Tabella 1 – Rimedi stragiudiziali (negoziazioni private)

  • Piano di rientro / dilazione (accordo privato): rapidità e flessibilità; consente ripianificazione dei pagamenti. Limiti: nessuna sospensione legale dell’azione esecutiva, il debitore rimane formalmente inadempiente fino a pagamento e la banca può agire (Cass. 2855/2022 conferma che il piano è mera ricognizione del debito).
  • Transazione sui debiti: possibile riduzione del debito (saldo e stralcio) o moratoria concordata; simile al piano di rientro ma con intese più ampie. Limiti: esito incerto, non ci sono tutele pubbliche; i termini convenuti devono essere rispettati rigorosamente oppure la banca potrà agire nuovamente.
  • Rinegoziazione garanzie: rinegoziare o refinanziare le garanzie (ad es. svincolo di beni, richiesta mutuo sostitutivo). Vantaggio: può alleggerire la pressione sui beni aziendali; rischio: richiede nuova capacità di credito; le banche normalmente non abbassano garanzie senza solide motivazioni.

Tabella 2 – Strumenti assistiti da professionisti e procedurali

  • Composizione negoziata (L. 118/2021): procedimento volontario, confidenziale, con esperto; facilita accordi con creditori; pro: mantiene controllo dell’imprenditore, nessun vincolo giudiziale iniziale; contro: non sono automatici effetti esecutivi positivi; serve credibilità del piano.
  • Accordo di ristrutturazione (art. 182-bis l.f. / art. 67 CCI): omologazione giudiziale della ristrutturazione; blocca le esecuzioni e tiene congelati i debiti fino all’omologazione; pro: tutela legale forte (moratoria legale, esecutività condizionata dei creditori non aderenti); contro: complessità procedurale, obbligo di ottenere adesione almeno al 60%; se fallisce, si apre la liquidazione.
  • Piano attestato di risanamento (art. 56 CCI): piano predisposto dal debitore con certificazione di un professionista; pro: applicazione semplificata, nessuna procedura pubblica; credibilità grazie all’attestazione; contro: privo di protezioni giudiziali preventive; i creditori tengono mano libera (salvo controllo successivo in eventuale fallimento); l’esenzione da revocatoria opera solo ex post se si apre una liquidazione.
  • Concordato preventivo (artt. 160-186 CCI): piano giudiziale approvato dai creditori o imposto dal giudice (cram-down); pro: sospensione di azioni esecutive (art. 168 CCI), voto collegiale, pianificazione complessiva; contro: procedura onerosa e lunga; la crisi viene portata alla luce del tribunale, con rischi reputazionali e possibili controlli; il fallimento concordato prevede comunque il rimborso parziale dei debiti.
  • OCC / Sovraindebitamento (L. 3/2012): piani di composizione semplificata dei debiti davanti all’Organismo; pro: riservato a piccoli imprenditori, modalità snelle; contro: applicabile solo ai soggetti non fallibili, importi limitati; comunque necessita di approvazione dell’OCC e spesso di un piano liquidatorio in caso di fallimento del piano.

In pratica, la scelta fra questi strumenti dipende dallo stato di salute dell’impresa e dalla disponibilità dei creditori a collaborare. Se l’impresa ha potenzialità di ripresa e i creditori intendono evitare di trovarsi in una fallimentare, è opportuno prediligere soluzioni concordate (composizione negoziata, accordi di ristrutturazione, piani attestati). Se invece l’impresa è ormai insolvente e i creditori temono il precipitare della crisi, si rischia di finire rapidamente in concordato o liquidazione giudiziale.

7. Esempi pratici (simulazioni)

Caso 1 – Microimpresa con leasing: un artigiano individuale ha in scadenza un contratto di leasing per attrezzature (debito residuo € 50.000) e un piccolo mutuo bancario (€ 40.000). Con fatturato in calo del 30%, il suo cash flow non copre le rate. Possibili strategie:

  • Accordi informali: può contattare la banca per rinegoziare il mutuo (allungamento termini) e il locatore per un piano di rientro del leasing. Se il locatore accetta, ottiene tempo; tuttavia deve dimostrare buona volontà pagare (es. garanzie addizionali).
  • Sovraindebitamento/OCC: essendo imprenditore individuale non soggetto a fallimento, potrebbe rivolgersi a un Organismo di composizione della crisi. Deposita domanda (con bilanci e piano di rientro) e l’OCC convoca i creditori. Se convince locatore e banca con un piano di pagamento realistico e magari ridotto (es. saldo e stralcio parziale), si ottiene un accordo formale. In questo contesto, grazie alla procedura, si possono includere anche altri crediti (es. Agenzia delle Entrate) in un unico piano. L’adesione all’accordo, se omologata, vincolerà anche i creditori non aderenti.
  • Piano attestato: se a rigore il lavoratore autonomo non è “fallibile”, può tentare un piano di risanamento privato, attestarne la fattibilità da parte di un professionista e provare a concludere accordi individuali di pagamento con la banca e il fornitore di leasing. L’esenzione da revocatoria opererebbe solo se successivamente si aprisse liquidazione, però.

Caso 2 – PMI con esposizione bancaria rilevante: una srl opera nel settore commerciale con due fornitori finanziari (debiti totali € 1.200.000). L’impresa ha passività (mutui ipotecari, fidi) che superano gli attivi e sta accumulando insoluti. Azioni possibili:

  • Accordo di ristrutturazione (art. 182-bis): insieme ai consulenti, i soci preparano un piano di ristrutturazione che prevede: rinegoziazione dei mutui (allungamento con riduzione di rata), stralcio parziale dei crediti verso l’istituto factoring, e nuovi finanziamenti ponte garantiti dagli attivi. Ottengono il 65% dei crediti bancari in adesione. Depositano il piano al tribunale insieme alla richiesta di misure protettive. Il tribunale, verificata l’attestazione di un professionista, concede le misure protettive: i creditori non possono più agire esecutivamente sui beni aziendali dall’istruttoria (art. 54 CCI). Dopo 30 giorni le misure vengono confermate (testa dell’udienza con i creditori di maggior peso). Alla scadenza, se il tribunale omologa l’accordo, tutte le banche devono rispettare il piano di pagamento. Se qualche banca non avesse aderito (es. creditore estraneo), dovrà comunque accettare l’esito dell’omologazione (ad esempio subendo un eventuale “cram-down” del tribunale se la maggioranza lo impone).
  • Composizione negoziata: alternativamente, la srl potrebbe accedere preventivamente alla composizione negoziata (piattaforma camcom.it). Nomina un esperto indipendente, effettua il test di sostenibilità ed elabora un piano di salvataggio (taglio costi, vendita di un ramo d’azienda). L’esperto convoca le banche e i fornitori, e agevola le trattative. Se si raggiunge un accordo complessivo (senza crisi aperta), il piano può essere formalizzato come accordo di ristrutturazione con attestazione. Dal punto di vista del debitore, la composizione negoziata porta benefici analoghi a quelli del concordato semplificato (tutelare l’azienda, evitare il fallimento) mantenendo maggiore discrezionalità e riservatezza.
  • Concordato preventivo: se le trattative extragiudiziali falliscono o le banche non vogliono patti, l’imprenditore potrebbe optare per un concordato preventivo con continuità o liquidatorio. Ciò richiede però la presentazione di un’istanza al tribunale e l’elaborazione di un piano credibile, da sottoporre poi ai votanti. Nell’intervallo, un amministratore giudiziario potrebbe essere nominato, e le misure protettive art. 168 CCI impedirebbero comunque azioni di esecuzione. Il concordato richiede il sostegno dei creditori (con la soglia apposita) ma, se approvato e omologato, vincola tutti, compresi quelli resistenti.

In ogni scenario si evidenziano rischi: richiedere più tempo può non essere gradito alle banche, che possono alternativamente insistere con vie legali; un piano mal bilanciato può far saltare ogni accordo. Viceversa, i vantaggi per il debitore di giungere a un accordo strutturato (anche formalmente) sono una maggiore certezza dei tempi di rientro e una vera sospensione delle pretese esecutive (almeno per i debiti oggetto del piano).

8. Domande frequenti (FAQ)

D1. Cosa succede se non pago un debito bancario aziendale?
Il creditore può agire immediatamente con pignoramenti mobiliari o immobiliari, fermi amministrativi e iscrizioni ipotecarie. Può inoltre chiedere il fallimento (se sei un imprenditore fallibile) o l’apertura di una procedura da sovraindebitamento. Senza ulteriori accordi, la banca può pretendere il pagamento integrale e far valere le proprie garanzie. È dunque fondamentale reagire subito con trattative o strumenti di composizione del debito.

D2. L’impresa può fare bancarotta?
In Italia non esiste più il reato di “bancarotta” in senso comune (salvo reati degli amministratori nella crisi). Parliamo di procedura di fallimento/liquidazione giudiziale per l’azienda (non un reato). Se si arriva al fallimento, l’attività può essere cessata o proseguita in liquidazione, ma gli amministratori rischiano responsabilità civili e penali per gestione negligente o fraudolenta.

D3. Qual è la differenza tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione?
Entrambi mirano a ridurre i debiti, ma il concordato è una procedura giudiziale completa (coinvolge l’assemblea dei creditori e l’omologazione del tribunale) e può prevedere anche la cessione dell’azienda o dei beni; ha obblighi formali più stringenti. L’accordo di ristrutturazione (art. 182-bis) è più snello: si limita all’omologazione in tribunale di un piano negoziato con i creditori qualificati e già approvato dalla maggioranza. In pratica, il concordato è una “procedura prefissata” mentre l’accordo di ristrutturazione è uno “strumento di negoziazione” che necessita comunque dell’intervento del tribunale per diventare opposabile a tutti.

D4. Che garanzie ho se faccio un piano attestato o un accordo di ristrutturazione?

  • Nel piano attestato non c’è alcuna sospensione giudiziale: i creditori restano liberi di pignorare finché non viene perfezionato un accordo. L’unica “garanzia” è l’attestazione professionale, che conferisce credibilità, e la possibilità di esenzione da revocatoria (solo se si giunge poi a fallimento) per i pagamenti effettuati in attuazione del piano.
  • Nell’accordo di ristrutturazione, invece, la legge (art. 54 CCI) consente di ottenere misure cautelari che fermano le azioni esecutive una volta depositata l’istanza di omologazione. In seguito, se il tribunale omologa l’accordo, vincola anche i creditori non partecipanti.

D5. Cosa fa l’esperto nella composizione negoziata?
L’esperto (Figurante come “NED” – Nomina di Esperto della composizione della crisi) valuta la fattibilità del piano, convoca debitore e creditori, supporta le trattative e propone soluzioni. Non decide al posto dei creditori o del debitore, ma lavora per allineare le parti e preparare un accordo di risanamento condiviso. La sua presenza dà credibilità al processo e spesso facilita l’adesione dei creditori, ma non sostituisce la volontà delle parti (il debitore resta libero di trattare).

D6. Che succede se un debitore viola un piano di rientro o un accordo?
Se il debitore non rispetta le scadenze concordate, il creditore può riprendere le azioni giudiziali interrotte (ipoteche, pignoramenti). Nel caso di un accordo omologato (es. accordo 182-bis), la mancata esecuzione integrale entro 90 giorni comporta la decadenza dall’omologazione e la dichiarazione di fallimento di diritto. In sintesi, l’inadempimento cancella ogni benefit dell’accordo e spalanca le porte al fallimento o alle ulteriori esecuzioni.

D7. Le mini-imprese (sotto i 300.000 € di debiti) hanno strumenti speciali?
Sì. Il Codice della crisi prevede il “concordato minore” riservato agli imprenditori individuali e alle micro-imprese, con regole semplificate (minoranze ridotte per la delibera). In alternativa, per piccoli debiti esistono procedure semplificate di composizione del sovraindebitamento (piano del consumatore o accordo del debitore). Questi strumenti permettono di sanare debiti senza i vincoli completi di un concordato standard.

D8. Posso resistere alla banca proponendo sempre pagamenti parziali?
Solo con un accordo preventivo solido. Se versi solo parzialmente una rata senza formalizzare un nuovo piano, la banca potrebbe accettare il pagamento (presupponendone tacitamente la rinegoziazione) oppure insistere sul residuo e chiedere l’adempimento integrale. Dopo il pagamento parziale, la banca non può più dichiarare immediatamente fallito l’imprenditore per quell’adempimento parziale (Cass. 7361/2019), ma può riprendere le azioni appena fallisce il pagamento complessivo.

D9. Che ruolo hanno le garanzie (ipoteche, fideiussioni)?
Le garanzie personali o reali (es. ipoteca su immobile) assicurano alla banca la possibilità di recuperare il credito anche se l’azienda fallisce. In una ristrutturazione del debito, può essere necessario negoziare anche su queste garanzie (ad esempio, mantenimento dell’ipoteca in cambio di condizioni migliori sul piano di rientro). Attenzione a non consentire patti di pegno o fideiussione che prevedano la risoluzione automatica del contratto in caso di insolvenza (il “patto commissorio”), perché è vietato per legge (art. 2744 c.c.). Inoltre, l’imprenditore deve valutare se sia utile coinvolgere i garanti (fideiussori): essi possono subire ugualmente azioni dopo le misure protettive o il fallimento.

D10. La Corte UE ha diritto applicabile ai debiti d’impresa?
La Corte di giustizia dell’UE ha emesso sentenze che influiscono sul diritto concorsuale (ad es. in materia di pignoramenti transfrontalieri, salva pignoramento di beni posti in leasing, e sul diritto dei lavoratori in fallimento). Tali pronunce sottolineano principi generali di parità dei creditori e di rispetto di diritti fondamentali, ma in concreto la materia rimane governata principalmente dalle norme italiane (CCII, TUB, codici). Si segnala, ad esempio, che la Cassazione ha recepito il diritto UE nel confermare che anche nelle procedure concorsuali italiane vanno rispettati i diritti dei creditori minori (principio del cram-down compatibile con il Trattato) e ha chiarito che, in caso di leasing internazionale, si applica l’art. 17 del regolamento europeo fallimentare (la materia è complessa e occorre consulenza specializzata).

9. Conclusioni e fonti normative/giurisprudenziali

In sintesi, il debitore aziendale ha diverse opzioni prima di ricorrere alle estreme procedure di liquidazione giudiziale. È fondamentale valutare tempestivamente la propria situazione finanziaria e intraprendere azioni preventive: aprire un dialogo con le banche, assistersi a un professionista in composizioni negoziate, o depositare un piano ristrutturativo. Ogni strada ha vincoli formali (maggioranze, atti pubblici, ecc.) che vanno attentamente rispettati. Le pronunce di Cassazione più recenti confermano l’importanza dell’attestazione indipendente e della buona fede negoziale (ad es. Cass. n. 2855/2022 sulla natura ricognitiva del piano di rientro; Cass. 36401/2023 sull’obbligo di verità dell’attestatore), e sottolineano che i creditori devono comunque fornire trasparenza nel concordato.

La scelta di una soluzione piuttosto che un’altra dipenderà dalle concrete circostanze: un piano di ristrutturazione richiede la collaborazione di più banche ed è adatto a medie/grandi imprese; un piano attestato o la composizione negoziata sono più accessibili a PMI capaci di accordi diretti; gli strumenti di sovraindebitamento assistono i più piccoli; infine il concordato preventivo resta il rimedio giudiziario complessivo più strutturato. In ogni caso, la consulenza legale specializzata è essenziale: si tratta di procedure tecniche, dove i dettagli possono fare la differenza tra successo e fallimento.

Fonti normative e giurisprudenziali citate: R.D. 16/3/1942, n. 267 (Legge Fallimentare, in particolare artt. 182-bis ss. sull’accordo di ristrutturazione); D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, artt. 2-8, 54-55, 56-64, 160-186, ecc.); Legge 3/2012 (composizione della crisi da sovraindebitamento); D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021 (introduzione della composizione negoziata); Cass. civ., ord. 31/1/2022 n. 2855; Cass. 23/10/2023 n. 36401; Cass. 14/7/2016 n. 13719;

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