Come Evitare La Crisi D’impresa

Hai timore che la tua impresa stia entrando in una fase critica? Noti segnali di difficoltà nei pagamenti, nei rapporti con i fornitori o nella gestione della liquidità? Ti stai chiedendo come evitare che una crisi diventi irreversibile?

La verità è che la crisi d’impresa non arriva all’improvviso. Spesso si manifesta in modo graduale, con piccoli segnali che vengono ignorati troppo a lungo. Eppure, se intercettati per tempo, possono essere gestiti prima che sfocino in una vera emergenza.

Ma cosa si può fare concretamente per prevenire la crisi?

Il primo passo è monitorare costantemente la salute economica e finanziaria dell’azienda. Indicatori come la liquidità, la puntualità nei pagamenti, la redditività e il livello di indebitamento devono essere sempre sotto controllo. Se qualcosa comincia a scricchiolare, è il momento di intervenire.

Non aspettare che la situazione degeneri. Se il flusso di cassa inizia a ridursi, se aumentano i ritardi nei pagamenti o le tensioni con banche e fornitori, bisogna subito valutare interventi correttivi: rinegoziazioni, tagli, riorganizzazione interna o un nuovo piano industriale.

In alcuni casi, può essere utile attivare in via preventiva la composizione negoziata della crisi, una procedura volontaria che consente all’imprenditore di farsi assistere da un esperto indipendente per affrontare le difficoltà in modo riservato e protetto. È una misura che può essere utilizzata anche prima dell’insolvenza, per riequilibrare l’azienda e riportarla in carreggiata.

E se la crisi è già in atto ma ancora gestibile?

Allora bisogna valutare strumenti come:

  • accordi di ristrutturazione con i creditori;
  • concordato minore, se si vogliono evitare azioni giudiziali e salvaguardare la continuità;
  • piani attestati di risanamento, in cui si definisce una strategia condivisa per uscire dalla crisi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in prevenzione della crisi, ristrutturazione aziendale e diritto d’impresa – ti spiega come riconoscere i segnali d’allarme, quali strumenti utilizzare per prevenire la crisi e cosa possiamo fare per aiutarti a proteggere l’azienda prima che sia troppo tardi.

Hai notato sintomi di difficoltà nella tua attività e vuoi intervenire prima che la situazione precipiti? Vuoi sapere se ci sono strumenti legali per evitare il fallimento?

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Introduzione

La crisi d’impresa è uno stato di difficoltà economico-finanziaria che, se non affrontato tempestivamente, può evolvere in insolvenza e portare al fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”). Negli ultimi anni il legislatore italiano ha introdotto un nuovo quadro normativo – il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, CCII) – proprio per individuare e gestire la crisi prima che degeneri, promuovendo strumenti di allerta precoce e soluzioni negoziate. Questa guida avanzata, aggiornata a giugno 2025, offre una panoramica completa e divulgativa sulle misure per evitare la crisi d’impresa, combinando rigore giuridico e consigli pratici. È rivolta a professionisti (avvocati, commercialisti), imprenditori di vari settori e anche a privati cittadini coinvolti nell’attività d’impresa.

Tratteremo innanzitutto il quadro normativo e gli obblighi chiave a carico dell’imprenditore e degli organi societari per prevenire la crisi. Approfondiremo i nuovi strumenti di allerta e gli indicatori della crisi introdotti dal Codice, con riferimenti a norme e giurisprudenza rilevanti. Illustreremo poi le soluzioni disponibili dal punto di vista del debitore: dalla Composizione Negoziata (un percorso assistito e volontario per il risanamento) alle procedure concorsuali tradizionali (accordi di ristrutturazione, concordati preventivi, liquidazione giudiziale), comprese le ultime novità normative fino al 2024.

Per rendere la guida concreta, includeremo casi pratici simulati nei principali settori dell’economia italiana – edilizia, commercio, manifattura, servizi, agricoltura – mostrando come, in situazioni tipiche di ciascun ambito, si possano riconoscere per tempo i segnali di crisi e quali azioni intraprendere. Seguirà una sezione FAQ (Domande e Risposte) con quesiti frequenti e soluzioni per casi concreti (ad esempio: “Cosa fare se l’Agenzia delle Entrate mi segnala un debito IVA elevato?”). Infine, offriremo suggerimenti pratici per la prevenzione della crisi e il miglioramento della gestione interna (assetti organizzativi, controllo di gestione, governance), così da costruire imprese più resilienti.

Nota: Tutte le fonti normative citate (leggi, decreti, articoli del Codice civile e del CCII) sono aggiornate alle modifiche in vigore al giugno 2025. Riportiamo inoltre riferimenti a sentenze autorevoli (Corte di Cassazione e pronunce dei Tribunali) che hanno delineato le responsabilità degli amministratori e dei controllori nel nuovo contesto normativo. Nelle tabelle e nei box di approfondimento troverete riassunti schematici di obblighi, indici finanziari e strumenti disponibili. Al termine della guida è presente una sezione Fonti con l’elenco di tutte le risorse consultate.

Obiettivo: Fornire a chi legge un vero e proprio manuale operativo su come evitare la crisi d’impresa, dalla vigilanza quotidiana sugli indicatori di bilancio fino all’utilizzo efficace degli strumenti legali di composizione della crisi. Una gestione attenta e tempestiva può fare la differenza tra un’azienda che supera le difficoltà e una che invece scivola nell’insolvenza irreversibile.

Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio il quadro normativo di riferimento e i doveri di prevenzione posti in capo ai diversi soggetti dell’impresa.

Il quadro normativo: dal Codice della Crisi alle riforme del 2022-2024

L’evoluzione legislativa degli ultimi anni ha radicalmente rinnovato la disciplina della crisi d’impresa in Italia. Il fulcro è il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 in attuazione della Legge Delega n. 155/2017. Questo Codice – entrato in vigore definitivamente nel 2022 dopo vari rinvii – ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare del 1942, introducendo nuovi istituti e principi orientati alla prevenzione e alla gestione anticipata della crisi.

Il Codice della Crisi definisce innanzitutto cosa si intende per crisi ed insolvenza: per crisi si intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, mentre l’insolvenza è lo stato già manifesto di incapienza patrimoniale o incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni (art. 2 CCII). In altre parole, la crisi è la fase di pre-insolvenza in cui l’azienda mostra squilibri e tensioni, ma può ancora essere risanata. Il Codice pone grande enfasi su questa fase, prevedendo obblighi di diagnosi precoce e rimedi tempestivi.

Dal fallimento alla liquidazione giudiziale: terminologia e principi

Una novità terminologica importante è che la parola “fallimento” è stata abbandonata in favore di “liquidazione giudiziale”. Ciò riflette un cambiamento culturale: l’obiettivo non è più punire il fallito, ma cercare di evitare che l’impresa arrivi a quel punto. Nel CCII si introducono i principi di allerta precoce e di favore per la continuità aziendale. Ad esempio, le procedure concorsuali di tipo conservativo (come il concordato preventivo in continuità o gli accordi di ristrutturazione) sono incentivate rispetto alla liquidazione. Viene inoltre richiesto agli imprenditori di attivarsi prima che l’insolvenza diventi irreversibile, attuando una sorta di “autoresponsabilità” nella gestione della propria crisi.

Le riforme del 2020-2022: attuazione della Direttiva UE e Composizione Negoziata

Il Codice della Crisi, sebbene approvato nel 2019, ha subìto diverse modifiche prima e dopo la sua entrata in vigore. La crisi pandemica e la necessità di recepire la Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione hanno portato a correttivi significativi:

  • D.Lgs. 147/2020 (Correttivo “bis”): ha apportato prime modifiche al CCII ancora prima dell’entrata in vigore, migliorandone il coordinamento normativo.
  • D.L. 118/2021 (convertito con L. 147/2021): introdotto in piena emergenza Covid, ha anticipato uno strumento chiave – la Composizione Negoziata della crisi – e ha di fatto abrogato le originarie procedure di allerta e composizione assistita previste dal CCII. Si è scelto un approccio più flessibile e volontario: l’imprenditore in difficoltà può attivare una trattativa assistita da un esperto indipendente, piuttosto che subire automaticamente segnalazioni e procedure d’ufficio.
  • D.Lgs. 83/2022: emanato il 17 giugno 2022, ha recepito la direttiva europea e adeguato il Codice della Crisi in vari punti (per questo è detto “Correttivo UE” o “Correttivo ter”). Ha integrato la Composizione Negoziata nel Codice stesso e rivisto gli indicatori di crisi, i privilegi per i crediti sorti durante le procedure e altre disposizioni tecniche. Inoltre ha abbassato alcune soglie di allerta (ad es. per i debiti IVA) come vedremo più avanti.
  • Entrata in vigore (15 luglio 2022): gran parte del CCII, inclusi gli strumenti di regolazione della crisi, è diventata operativa dal 15/07/2022. Da quella data, le nuove procedure (concordato preventivo secondo le regole del Codice, liquidazione giudiziale, concordato “minore” per i piccoli debiti, ecc.) hanno sostituito le vecchie.
  • D.Lgs. 13 ottobre 2024 n. 136 (Correttivo 2024): a due anni dall’attuazione, il Governo ha emanato un ulteriore decreto correttivo per affinare il sistema. Il “Correttivo-ter” (entrato in vigore il 28 settembre 2024) ha introdotto numerose disposizioni integrative e correttive mirate a superare le difficoltà emerse nella pratica e a soddisfare gli impegni del PNRR. Tra le novità, di cui daremo conto nel testo: l’estensione degli obblighi di allerta interna anche al revisore contabile, il rafforzamento del ruolo dei professionisti nel risanamento (ad es. possibilità per l’esperto di attestare proposte di transazione fiscale nella composizione negoziata), e l’accesso ampliato alla composizione negoziata anche per imprese in semplice “squilibrio” (non ancora in crisi conclamata). Inoltre, il 2024 ha visto semplificazioni nelle regole del concordato preventivo e chiarimenti sulle misure protettive per evitare abusi (ad es. limitazioni alla reiterazione delle moratorie concesse dai tribunali).

In sintesi, ad oggi (metà 2025) abbiamo un quadro normativo organico e aggiornato: il CCII è pienamente in vigore con tutte le integrazioni dei decreti correttivi. Il sistema italiano è ora in linea con le best practice europee, privilegiando la diagnosi precoce della crisi e soluzioni stragiudiziali assistite, ma senza rinunciare a strumenti giudiziari efficaci per la ristrutturazione o la liquidazione quando necessario.

Di seguito, esamineremo i pilastri di questo sistema dal punto di vista dell’impresa (debitoriale): gli obblighi di predisposizione di adeguati assetti organizzativi, gli indicatori di crisi da monitorare, i meccanismi di allerta (interni ed esterni), gli strumenti negoziali per il risanamento e, infine, le procedure concorsuali vere e proprie attivabili se la crisi non è evitabile. Accompagneremo l’analisi normativa con riferimenti pratici e giurisprudenziali, per comprendere come questi principi si applicano nella realtà operativa.

Obblighi di prevenzione a carico dell’imprenditore e degli organi sociali

Uno dei cardini del nuovo assetto normativo è il dovere dell’imprenditore di organizzarsi per prevenire la crisi. Già con il D.Lgs. 14/2019 (in parte anticipato dalla riforma del Codice Civile nel 2019) è stato introdotto l’obbligo di dotarsi di “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” (art. 2086, comma 2 Cod. Civ.). Questo principio generale, ribadito anche nell’art. 3 CCII, significa che ogni imprenditore che operi in forma societaria o collettiva deve attrezzare la propria impresa con strutture e procedure idonee a monitorare costantemente la gestione e a rilevare tempestivamente eventuali segnali di crisi.

Adeguati assetti organizzativi e controllo sulla continuità aziendale

Cosa sono gli “assetti adeguati”? In concreto, parliamo di un insieme di misure di buon governo aziendale: sistemi di contabilità affidabili e aggiornati, strumenti di pianificazione finanziaria (budget di tesoreria, business plan), procedure per il controllo di gestione e la misurazione dei costi, indicatori per valutare la sostenibilità del debito e la redditività. L’assetto deve essere proporzionato alla natura e alle dimensioni dell’impresa (il che implica che non esiste un modello unico valido per tutti, ma ogni azienda – piccola o grande che sia – deve avere un’organizzazione interna commisurata ai propri rischi e bisogni).

Scopo primario degli assetti adeguati è garantire la rilevazione tempestiva di potenziali squilibri che possano mettere in pericolo la continuità aziendale. Ad esempio, un sistema di reporting interno ben fatto dovrebbe far emergere prontamente se l’azienda inizia a pagare sistematicamente in ritardo fornitori e dipendenti, se i costi superano i ricavi erodendo il patrimonio, o se la liquidità prevista a breve non coprirà le uscite. In tal modo, la direzione può intervenire prima che tali problemi diventino irreversibili.

Chi ha questo dovere? La norma riguarda tutti gli imprenditori collettivi e societari. Nelle società di capitali, il compito di istituire e mantenere adeguati assetti ricade sugli amministratori (art. 2086 c.c. e art. 3 CCII) e fa parte dei loro doveri di diligenza professionale. Ma la vigilanza spetta anche all’organo di controllo (collegio sindacale o sindaco unico) e al revisore legale, se presenti: questi soggetti devono verificare che gli assetti esistano e funzionino, e in caso contrario attivarsi (come vedremo, con segnalazioni specifiche).

Una precisazione: dal 15 luglio 2022 persino l’imprenditore individuale è tenuto ad adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi. Dunque l’obbligo di adeguato assetto si estende, con le dovute proporzioni, anche alle piccole imprese non societarie.

Conseguenze della mancata predisposizione di assetti adeguati

La mancanza di assetti organizzativi adeguati non è solo una violazione formale: può comportare gravi responsabilità per gli amministratori. La giurisprudenza recente si è già espressa in modo severo. Ad esempio, il Tribunale di Milano (decreto 29/02/2024) ha qualificato l’assenza di assetti adeguati come “grave irregolarità” gestionale, tale da giustificare la revoca giudiziale degli amministratori su istanza dei soci ex art. 2409 c.c.. Analogamente, il Tribunale di Catania (8/02/2023) ha destituito gli amministratori e nominato un amministratore giudiziario quando ha riscontrato il totale difetto di assetti, ritenendolo di per sé sufficiente a configurare una gestione pericolosa.

Anche la Cassazione ha sottolineato questi profili: in materia di controlli societari, ha affermato che i sindaci (organo di controllo) sono responsabili in solido con gli amministratori per i danni causati dalla cattiva gestione se omettono di vigilare adeguatamente. Già nel 2019 la Suprema Corte (Cass. civ. sez. I, sent. n. 18770/2019) ha ribadito che l’inerzia dei sindaci di fronte a condotte manageriali scorrette li rende corresponsabili del dissesto aziendale, sancendo un nesso causale tra l’omessa vigilanza e l’aggravarsi della crisi. Questo orientamento è confermato da Cass. sez. I n. 24045/2021, che ha condannato un collegio sindacale per mancato controllo su operazioni dannose, evidenziando come i sindaci dovessero scambiare informazioni con gli amministratori e intervenire tempestivamente.

Caso in evidenza – Revoca degli amministratori per mancati assetti: Il Tribunale di Venezia (Corte d’Appello, decreto 29/11/2022) ha confermato la rimozione degli amministratori di una S.r.l. in bonis dove non erano stati istituiti assetti adeguati, pur in assenza di una crisi conclamata. Ha motivato che l’assenza di controlli e strutture preventive è ancora più grave prima che la società entri in crisi, perché impedisce di cogliere quei segnali precoci che avrebbero potuto evitare il deteriorarsi della situazione. In altre parole, non predisporre un assetto adeguato è un’omissione che di per sé giustifica l’intervento dell’autorità giudiziaria, senza bisogno di attendere che i creditori siano pregiudicati.

Sul piano delle azioni di responsabilità civile, va ricordata l’innovazione introdotta dall’art. 378 CCII, che ha modificato l’art. 2486 c.c. Questo riguarda il caso in cui gli amministratori abbiano violato il dovere di conservazione del patrimonio sociale proseguendo attività imprudenti dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (es. perdita del capitale sociale). Il nuovo comma 3 dell’art. 2486 c.c. stabilisce criteri presuntivi di quantificazione del danno: salvo prova contraria, il danno risarcibile è pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione degli amministratori (o all’apertura della procedura concorsuale) e il patrimonio netto alla data in cui è sopravvenuta la causa di scioglimento, detratte le spese sostenute nella fase intermedia. Se mancano o sono inattendibili le scritture contabili, il danno è pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura concorsuale. In pratica, ciò presume che il peggioramento della situazione patrimoniale dopo la perdita del capitale sia colpa degli amministratori (a meno che essi provino il contrario). Questa norma, in vigore dal marzo 2019, è stata concepita per facilitare le azioni delle curatele fallimentari contro gli amministratori che hanno tardato l’adozione di rimedi o la liquidazione.

Implicazione pratica: amministratori e sindaci devono prendere molto sul serio l’obbligo di predisporre assetti adeguati e attivarsi ai primi segnali di crisi. In caso di dissesto dell’impresa, infatti, potrebbero essere chiamati a risponderne di tasca propria se viene accertato che hanno ignorato gli obblighi di organizzazione e di intervento tempestivo. La predisposizione di assetti, oltre che un dovere legale, diventa quindi la prima forma di tutela sia per l’impresa (che grazie ad essi può salvarsi) sia per gli organi sociali (che evitando omissioni evitano anche responsabilità personali).

Nei paragrafi successivi vedremo quali sono, nello specifico, i segnali e indici che l’imprenditore e gli organi di controllo devono monitorare all’interno di questi assetti adeguati.

Indicatori finanziari e indici della crisi d’impresa

Un adeguato assetto organizzativo deve includere strumenti di monitoraggio continuo dello stato di salute dell’azienda. Il Codice della Crisi ha introdotto il concetto di indicatori di crisi e incaricato il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (CNDCEC) di elaborare specifici indici di allerta. Inoltre, con le modifiche del 2022-2024, sono state individuate liste di segnali d’allarme da tenere sotto controllo. In questa sezione delineiamo i principali indici economico-finanziari utili a diagnosticare una potenziale crisi.

Squilibri e indicatori generali (art. 3 CCII)

L’art. 3 del Codice, al comma 3, elenca in modo generale tre situazioni di rischio che “potrebbero pregiudicare la continuità aziendale” e che gli assetti adeguati devono saper individuare:

  • Squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle caratteristiche dell’impresa. Esempi: patrimonio netto negativo o eroso in misura significativa; indicatori di bilancio anomali (ad es. un forte incremento dell’indebitamento rispetto ai mezzi propri); tensioni di liquidità persistenti; perdite operative ricorrenti.
  • Insostenibilità dei debiti per i 12 mesi successivi. In pratica, se dal cash flow prospettico risulta che l’azienda non genererà risorse sufficienti a far fronte alle obbligazioni pianificate nell’anno successivo, vi è un indicatore di probabile crisi. Questo concetto è un’estensione su 12 mesi del classico indicatore di DSCR (Debt Service Coverage Ratio) a 6 mesi, di cui parleremo a breve.
  • Evidenze provenienti da test pratici o da liste di controllo specializzate (check-list). Il Codice fa riferimento a norme tecniche e prassi professionali che possano offrire metodi di valutazione della sostenibilità futura. In altre parole, se analisi qualitative o quantitative (per esempio una check-list sui fattori di crisi settoriali, o un test di sostenibilità elaborato su parametri finanziari) segnalano difficoltà nel raggiungere un risanamento, ciò costituisce un indicatore da non ignorare.

Queste tre macro-aree sono volutamente generiche, poiché devono adattarsi a imprese di ogni tipo. Il messaggio è chiaro: ogni anomalia rilevante nei risultati economici, nell’equilibrio finanziario o nella solidità patrimoniale va considerata un campanello d’allarme e deve spingere l’imprenditore a valutare contromisure correttive.

Accanto a queste, il comma 4 dell’art. 3 (come modificato dal Correttivo 2024) introduce una serie di segnali di allarme specifici – indicati anche come “indicatori precoci di crisi” – che rappresentano circostanze oggettive facilmente rilevabili e che suggeriscono di approfondire la situazione aziendale. Questi segnali predittivi (detti anche di “pre-crisi”) sono stati pensati per rendere concreta l’attività di monitoraggio. Essi includono, ad esempio:

  • Ritardi nei pagamenti di retribuzioni: debiti verso dipendenti scaduti da oltre 30 giorni, per un ammontare superiore al 50% del totale delle retribuzioni mensili. Un’azienda che non paga puntualmente gli stipendi per oltre la metà dell’importo dovuto è chiaramente in sofferenza.
  • Aumenti dei debiti verso fornitori scaduti: debiti commerciali scaduti da più di 90 giorni superiori ai debiti non ancora scaduti. Ciò indica che l’impresa ha accumulato arretrati significativi con i fornitori, segno di potenziali problemi di liquidità.
  • Sconfinamenti bancari prolungati: esposizioni verso banche o intermediari finanziari scadute/sconfinanti da oltre 60 giorni e che rappresentino almeno il 5% del totale delle esposizioni verso il sistema bancario. In pratica, se l’azienda è oltre fido o ha rate scadute da due mesi su una parte non trascurabile dei suoi debiti bancari, c’è motivo di allerta.
  • Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: la presenza di una o più segnalazioni da parte di Agenzia Entrate, INPS, INAIL o Agenzia della Riscossione (di cui diremo tra poco) è essa stessa inserita tra i segnali di allarme interni. Questo crea un collegamento tra allerta esterna e attenzione interna: se arrivano avvisi di questo tipo, l’assetto adeguato deve rilevarli immediatamente come sintomo di crisi.

Questi parametri quantitativi (stipendi non pagati, fornitori in arretrato, sconfinamenti bancari, avvisi enti pubblici) sono facili da verificare e servono da “spie sul cruscotto”: se se ne accende qualcuna, è necessario fermarsi a controllare il “motore” dell’impresa. La logica del Codice è che il manifestarsi di uno di questi eventi non implica automaticamente l’insolvenza, ma deve spingere gli amministratori a un’attenta diagnosi e, se opportuno, ad attivare gli strumenti di composizione della crisi. Non a caso, la relazione illustrativa al Decreto 2024 parla di “segnali di pre-crisi” destinati ad agevolare la previsione della crisi, e spiega così anche le soglie relativamente basse per le segnalazioni esterne: l’idea è di giocare d’anticipo, prima che i debiti scaduti diventino ingestibili.

Gli indici di allerta del CNDCEC (art. 13 CCII)

Oltre ai segnali qualitativi e generali, il Codice prevedeva (art. 13, ora abrogato dal D.L. 118/2021 e confluito in parte nell’art. 3 CCII) che fossero identificati alcuni indici quantitativi di allerta, elaborati dai professionisti contabili, per presumere lo stato di crisi. Nel 2019 il CNDCEC ha proposto una serie di indici – poi approvati dal Ministero – tarati sui bilanci aziendali, da utilizzarsi specialmente quando non sia disponibile un indicatore prospettico affidabile come il DSCR. Questi indici, da valutare congiuntamente, restano tuttora utili come strumento di autodiagnosi interna e vengono considerati anche nelle procedure negoziate.

Gli indici elaborati dal CNDCEC coprono cinque aspetti chiave della gestione e presentano valori-soglia differenziati a seconda del settore economico di appartenenza dell’impresa. Le aziende infatti sono state suddivise in 9 categorie (per codici Ateco) e per ciascun indice è stato calcolato un range di normalità. Ecco i 5 indici di allerta principali:

  1. Indice di Sostenibilità degli Oneri Finanziari – È dato dal rapporto tra gli oneri finanziari (interessi passivi e oneri bancari) e il fatturato. Misura quanto il servizio del debito incide sul giro d’affari: un valore elevato indica che gran parte dei ricavi se ne va in interessi, segnalando un indebitamento eccessivo rispetto alla capacità di generare vendite. Il CNDCEC ha individuato soglie diverse per settore: ad esempio, imprese con margini ridotti come la grande distribuzione tollerano indici più bassi (pochi interessi rispetto al fatturato), mentre settori capital intensive tollerano oneri finanziari relativamente più alti prima di allarmarsi.
  2. Indice di Adeguatezza Patrimoniale – Rapporto tra patrimonio netto e debiti totali. È una misura di solidità: indica quanta parte delle obbligazioni è coperta dal capitale proprio. Se l’indice è basso, significa che l’azienda è molto indebitata rispetto ai mezzi propri. Valori sotto una certa soglia (es. sotto il 5-10%, a seconda del settore) sono segno di fragilità patrimoniale. In settori più rischiosi, si richiede magari più capitale (soglia più alta) rispetto a settori stabili. In ogni caso, un patrimonio netto negativo fa scattare automaticamente l’allerta di crisi ai sensi del Codice.
  3. Indice di Ritorno Liquido dell’Attivo (o Indice di Liquidità dell’attivo) – Rapporto tra il cash flow operativo e il totale attivo. In sostanza misura la capacità dell’attivo aziendale (ciò che l’impresa possiede) di generare flussi di cassa. Valori bassi o negativi indicano che gli asset dell’impresa non stanno producendo cassa sufficiente (magari perché c’è un grosso immobilizzo non redditizio, o perché la gestione è in perdita). Anche qui esistono soglie differenziate: aziende ad alta intensità di capitale possono avere cash flow più volatili.
  4. Indice di Liquidità (Current ratio) – Rapporto tra attività a breve termine e passività a breve termine. È l’indice classico di liquidità di bilancio: se è <1 significa che l’attivo corrente (cassa, crediti a breve, magazzino) non copre il debito esigibile a breve, segnalando potenziale difficoltà a pagare i creditori entro l’anno. Il CNDCEC ha fissato soglie per settore, ma in generale un valore significativamente inferiore a 1 è considerato critico. Ad esempio, imprese commerciali potrebbero avere soglia 1.1, imprese industriali 0.9 ecc., riflettendo la diversa struttura del circolante.
  5. Indice di Indebitamento Tributario e Previdenziale – Rapporto tra debiti verso fisco ed enti previdenziali e totale attivo. Indica quanto pesano i debiti verso Erario e INPS sul patrimonio aziendale. Un valore elevato suggerisce che l’impresa sta accumulando arretrati fiscali/contributivi (spesso segnale di tensione finanziaria). Il superamento della soglia (diversa per settore) significa che l’impresa sta finanziandosi involontariamente non pagando tasse e contributi, cosa non sostenibile a lungo. Questo indice è strettamente collegato ai futuri “segnali esterni” di cui parleremo: ad esempio, grossi debiti IVA non pagati attivano l’allerta da parte dell’Agenzia Entrate.

Di seguito una tabella riepilogativa degli indici di allerta sopra descritti:

Indicatore di crisi (CNDCEC)FormulaSignificatoSoglia di allerta (range)
DSCR 6 mesi (Debt Service Coverage Ratio)Flussi di cassa liberi a 6 mesi / Debiti finanziari a scadenza 6 mesiCapacità di sostenere il debito finanziario nei successivi 6 mesi (valore < 1 indica potenziale insolvenza a breve).< 1 (valore universale per tutte le imprese).
Sostenibilità oneri finanziariOneri finanziari annuali / Fatturato annuoQuota di ricavi assorbita dal pagamento di interessi passivi (misura il peso dell’indebitamento). Valori alti = debito eccessivo.Variabile per settore (es. soglia tra ~3% e 6% a seconda del margine settoriale).
Adeguatezza patrimonialePatrimonio netto / Totale debitiSolidità patrimoniale: quanta parte dei debiti è coperta da capitale proprio. Valori bassi = sottocapitalizzazione.Variabile per settore (es. soglia tra ~4% e 10% ; patrimonio netto negativo = crisi conclamata).
Ritorno liquido dell’attivoCash flow operativo / Totale attivoCapacità degli asset aziendali di generare cassa. Valori negativi o molto bassi indicano inefficienza o perdite operative.Variabile per settore (soglie in % differenziate in base al tipo di attività).
Indice di Liquidità (Current ratio)Attività correnti / Passività correntiLiquidità di breve periodo: capacità di far fronte alle obbligazioni a breve termine. Valori < 1 indicano deficit di capitale circolante.Variabile per settore (in genere la soglia è intorno a 1; es. commercio 1,1 – servizi 1,0 – industria 0,9).
Indebitamento fiscale/previdenzialeDebiti verso Erario e INPS / Totale attivoIncidenza dei debiti fiscali e contributivi sul patrimonio. Valori elevati segnalano accumulo di arretrati fiscali (potenziale insolvenza verso l’Erario).Variabile (soglie in % sul totale attivo; es. > 5% in settori a basso attivo, > 10% in altri).

Nota: Il principale indicatore prospettico è il DSCR a 6 mesi. Secondo la normativa originaria, se il DSCR < 1 (ovvero i flussi di cassa attesi nei prossimi 6 mesi non coprono il debito da rimborsare nello stesso periodo) si presumeva lo stato di crisi. In assenza di un DSCR attendibile (non tutte le piccole imprese dispongono di un budget di tesoreria dettagliato), si passava alla valutazione congiunta dei 5 indici settoriali sopra esposti. Solo se tutti e cinque tali indici risultavano peggiori delle rispettive soglie di settore, scattava una “presunzione semplice” di crisi meritevole di allerta. Questo meccanismo (DSCR oppure 5 indici) è stato pensato per ridurre i falsi allarmi: ad esempio, un singolo indice fuori soglia potrebbe dipendere da peculiarità aziendali, ma se tutti i parametri sono fuori linea, la situazione è con buona probabilità grave.

Vale la pena precisare che con la riforma del 2021-2022 la disciplina degli indici CNDCEC, formalmente, è stata superata dall’introduzione della composizione negoziata volontaria (non esiste più l’obbligo di segnalazione agli OCRI in base al superamento degli indici). Tuttavia, nella pratica questi indici rimangono rilevanti: sono utilizzati dagli esperti durante le analisi preliminari e integrano gli strumenti di autovalutazione sulla piattaforma telematica. Molti software e tool professionali (come la piattaforma MonitorAzienda citata da FiscoeTasse o soluzioni come GhostCFO) consentono oggi all’impresa di calcolare facilmente i propri indicatori e confrontarli con le soglie settoriali.

In conclusione, per “evitare la crisi” l’imprenditore deve prima di tutto saperla diagnosticare. Un monitoraggio regolare di questi parametri – indici di bilancio classici, indicatori prospettici di cash flow e segnali qualitativi (pagamenti, banche, ecc.) – è essenziale. Nella sezione successiva vedremo come il legislatore ha costruito un sistema di allerta e segnalazione, sia interno all’azienda sia esterno, per garantire che tali segnali non vengano ignorati.

Allerta precoce: segnalazioni interne ed esterne della crisi

Un elemento innovativo del Codice della Crisi è il sistema di allerta. L’idea di fondo è coinvolgere vari attori – organi societari interni e creditori pubblici/istituzionali – nel segnalare per tempo le situazioni di difficoltà, così da favorire interventi correttivi o l’accesso a procedure di composizione assistita. Dopo le modifiche del 2021-2022, l’allerta è diventata in gran parte volontaria e interna (non c’è più un obbligo per l’imprenditore di attivare procedure al superamento di certi indici), ma restano alcuni obblighi di comunicazione a carico di soggetti chiave. Vediamo chi deve fare cosa:

Allerta interna: l’organo di controllo e il revisore (art. 25-octies CCII)

L’organo di controllo societario (il collegio sindacale o il sindaco unico nelle S.p.A. e nelle S.r.l. obbligate alla nomina) e il revisore legale hanno il dovere di essere le prime “sentinelle” della crisi all’interno dell’impresa. Già secondo la normativa originaria, i sindaci dovevano avvisare per iscritto gli amministratori qualora avessero rilevato segnali di crisi. Il Correttivo 2024 ha ulteriormente rafforzato questo meccanismo: dal 2024 l’obbligo di segnalazione tempestiva grava sia sui sindaci che sul revisore (art. 25-octies CCII come modificato dal D.Lgs. 136/2024).

Come funziona la segnalazione interna? In pratica, se il collegio sindacale o il revisore riscontrano fondati indizi di crisi – in base ai parametri di cui abbiamo discusso (art. 2 comma 1 lett. a) e b) CCII, cioè squilibri e incombente insolvenza) – devono avvisare immediatamente l’organo amministrativo. L’avviso deve essere scritto e motivato, e dev’essere trasmesso con mezzi che ne provino la data di ricezione (PEC o raccomandata A/R). Nella comunicazione, i sindaci/revisore fissano anche un termine (massimo 30 giorni) entro cui gli amministratori devono riferire le iniziative intraprese o programmare una soluzione.

Questo è un passo formale ma cruciale: equivale a suonare il campanello d’allarme all’interno dell’azienda. Non si tratta di denunciare subito l’impresa in tribunale, bensì di mettere per iscritto agli amministratori che la situazione appare critica e che ci si aspetta una reazione. Se gli amministratori, ricevuta la segnalazione, restano inerti, i sindaci possono valutare ulteriori passi (ad esempio, se ne ricorrono i presupposti, informare il tribunale ex art. 2409 c.c. per gravi irregolarità, come visto sopra, oppure dimettersi per non incorrere in responsabilità).

Effetti e incentivi: La legge prevede una sorta di “scudo” per i sindaci (e revisori) che adempiono a questo dovere: una vigilanza diligente e una segnalazione tempestiva esonerano o attenuano la loro responsabilità per le conseguenze della crisi. L’art. 2407 c.c. e l’art. 15 D.Lgs. 39/2010 (quest’ultimo per i revisori) infatti dispongono che l’aver avvisato gli amministratori in modo tempestivo dei segnali di difficoltà costituisce elemento valutato a favore del sindaco/revisore in sede di giudizio di responsabilità. Di contro, se omettono di segnalare quando avrebbero dovuto, questi organi perdono qualsiasi esimente: la mancata attivazione nei tempi dovuti è considerata inescusabile e può costituire colpa grave, con possibili azioni di responsabilità in concorso con gli amministratori.

Riassumendo, il flusso dell’allerta interna è: sindaci/revisore vigilano costantemente → individuano segnali premonitori (es. ritardi nei pagamenti, bilanci in perdita rilevante, indici fuori soglia) → inviano una segnalazione scritta al CdA → attendono la risposta e le misure correttive. Questo processo è interno e confidenziale, finalizzato a spronare gli amministratori. Non c’è (più) un obbligo di riferire automaticamente ad un organismo esterno (come sarebbe stato l’OCRI nel disegno originario): l’obbligo si esaurisce dentro la società. Spetta poi agli amministratori decidere se la situazione richiede di rivolgersi a una procedura di Composizione Negoziata o ad altri strumenti formali.

Va però sottolineato che se gli amministratori ignorano la segnalazione o non adottano misure adeguate e la crisi peggiora, i sindaci non possono far finta di nulla: per evitare loro stessi responsabilità, dovranno valutare di attivare rimedi societari (convocazione dell’assemblea ex art. 2406 c.c., denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c.). In estrema sintesi, l’allerta interna crea una pressione sugli amministratori a fare qualcosa, pena conseguenze anche personali.

Obblighi degli amministratori e dell’imprenditore

Parallelamente all’obbligo di segnalazione dei controllori, esiste un obbligo speculare in capo all’imprenditore e agli amministratori: essi devono attivarsi di fronte ai segnali di crisi. Non c’è una sanzione immediata se non lo fanno (non esiste reato di “omessa dichiarazione di crisi” o simili), ma come visto possono incorrere in responsabilità per cattiva gestione. L’art. 24 CCII prevede anzi un obbligo di reazione: quando è manifesta la crisi o l’insolvenza, gli amministratori devono senza indugio attivare gli strumenti previsti (composizione negoziata o procedure concorsuali) per proteggere la continuità aziendale o, se ciò non è possibile, il patrimonio residuo a tutela dei creditori.

Inoltre, la mancata cooperazione dell’imprenditore con gli organi di allerta può comportare la perdita di alcuni benefici. Ad esempio, come vedremo in seguito, se l’impresa ignora completamente le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati e non si attiva, potrebbe perdere il diritto a ottenere le riduzioni di sanzioni previste in caso di accordo con il fisco. In pratica l’ordinamento cerca di incentivare il debitore ad affrontare il problema piuttosto che nascondere la testa sotto la sabbia.

Allerta esterna: le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (art. 25-novies CCII)

Accanto al canale interno, il legislatore ha previsto che alcuni creditori istituzionali – detti “creditori pubblici qualificati” – facciano da sensori esterni della crisi. Si tratta di enti in grado di misurare immediatamente il default di un’impresa su obblighi fiscali e contributivi, storicamente spia di difficoltà finanziaria. I soggetti coinvolti sono:

  • Agenzia delle Entrate (per debiti IVA non versati).
  • INPS (per contributi previdenziali non pagati).
  • INAIL (per premi assicurativi INAIL non pagati).
  • Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia, per cartelle esattoriali non saldate).

Questi enti, ai sensi dell’art. 25-novies CCII, hanno l’obbligo di monitorare i debiti scaduti delle imprese verso di loro e, se tali debiti superano certe soglie rilevanti, devono inviare una comunicazione di allerta all’impresa (di regola via PEC) segnalando la situazione debitoria e “invitando” l’impresa ad adoperarsi, eventualmente accedendo alla composizione negoziata. Importante: queste segnalazioni non attivano automaticamente alcuna procedura concorsuale né comportano l’obbligo per l’impresa di aderire alla composizione negoziata. Hanno piuttosto la funzione di richiamo ufficiale: mettono per iscritto che l’impresa ha un’esposizione critica verso l’Erario o l’ente, e suggeriscono di correre ai ripari.

Le soglie di debito che fanno scattare le segnalazioni sono state modificate nel tempo (in particolare dal D.Lgs. 83/2022 e dal D.L. 73/2022 “Decreto Semplificazioni”). Attualmente, semplificando, abbiamo queste condizioni per ciascun ente:

  • Agenzia delle Entrate (IVA): Debito IVA trimestrale scaduto e non versato superiore a €5.000 e contemporaneamente eccedente il 10% del volume d’affari dell’anno precedente, oppure comunque superiore a €20.000. In altri termini, se in una comunicazione trimestrale IVA risulta un debito IVA non versato rilevante in valore assoluto o in percentuale sul fatturato, l’Agenzia invia l’allerta. Per esempio, un’impresa con volume d’affari annuo di €300.000 riceverà l’allerta se il suo debito IVA in un trimestre supera €20.000; un’impresa più piccola con giro d’affari €80.000 la riceverà se il debito supera €8.000 (cioè il 10%), ma comunque almeno €5.000.
  • INPS: Contributi previdenziali omessi da oltre 90 giorni, superiori a: (a) 30% del dovuto dell’anno precedente e almeno €15.000 (per aziende con dipendenti), oppure (b) €5.000 (se l’azienda non ha dipendenti). Ad esempio, una S.r.l. con dipendenti che nell’anno scorso doveva versare €50.000 di contributi e ne omette oltre €15.000 quest’anno, riceverà la segnalazione. Una ditta individuale senza dipendenti la riceve se il debito INPS supera €5.000.
  • INAIL: Premi assicurativi omessi da oltre 90 giorni superiori a €5.000. La soglia INAIL è fissa e relativamente bassa (molte PMI pagano premi inferiori; se non pagano per vari trimestri possono accumulare >5k).
  • Agenzia Entrate-Riscossione (AER): Debiti risultanti da cartelle esattoriali affidate all’agente della riscossione, scaduti da oltre 90 giorni, superiori a: €100.000 per ditte individuali, €200.000 per società di persone, €500.000 per altri tipi di società. In pratica, se un’impresa ha cartelle esattoriali (che includono vari tipi di imposte, contributi, sanzioni) per importi ingenti e non le ha pagate entro 90 giorni dalla notifica, l’ente di riscossione lancia l’allerta.

Le segnalazioni devono essere inviate entro 60 giorni dal momento in cui si supera la soglia (o dal termine di certe comunicazioni, nel caso dell’Agenzia Entrate). Inoltre, per evitare duplicazioni, i debiti già affidati all’Agente della riscossione non vengono segnalati dall’ente originario (Es.: se l’Agenzia Entrate ha già iscritto a ruolo un debito fiscale, sarà l’Agente della riscossione eventualmente a segnalare, non l’AE stessa).

Ecco uno schema riassuntivo dei criteri di segnalazione dei creditori pubblici qualificati:

Ente segnalanteDestinatari della segnalazioneCondizioni (soglia debito scaduto)Riferimento normativoTermine invioEffetti
Agenzia Entrate (IVA periodica)Impresa (legale rappresentante) e Organo di controllo (sindaci)Debito IVA trimestrale > €5.000 e >10% del volume d’affari annuo precedente; oppure debito IVA > €20.000 (in ogni caso).Art. 25-novies c.1 lett. c) CCIIEntro 150 giorni dalla scadenza della liquidazione IVA (contestuale alla comunicazione d’irregolarità)Invito a verificare la propria posizione e a valutare la Composizione Negoziata. Nessun obbligo immediato di pagamento, ma ignorare l’allerta può portare a perdita di benefici (es. niente attenuanti su sanzioni se la crisi peggiora).
INPS (contributi previdenziali)Impresa e Organo di controlloOmesso versamento > 90g di contributi > 30% di quelli dovuti l’anno prima e > €15.000 (aziende con dipendenti); oppure > €5.000 (aziende senza dipendenti).Art. 25-novies c.1 lett. a) CCIIEntro 60 giorni dall’accertamento del superamento sogliaSollecito a regolarizzare o attivare soluzione di crisi. Nessuna sanzione automatica; se ignorato, possibili azioni esecutive usuali. La segnalazione funge da early warning anche per i sindaci.
INAIL (premi assicurativi)Impresa e Organo di controlloOmesso versamento > 90g di premi assicurativi > €5.000.Art. 25-novies (introdotto da D.Lgs 83/2022)Entro 60 giorni dal superamento sogliaSimile a INPS: invito a rimediare o a valutare la composizione negoziata. Presidio di allerta su debiti assicurativi.
Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione)Impresa e Organo di controlloCarichi affidati per riscossione (debiti fiscali/contributivi accertati) scaduti da >90g, superiori a: €100.000 (ditta individuale); €200.000 (società di persone); €500.000 (società di capitali e altre).Art. 25-novies c.1 lett. d) CCIIEntro 60 giorni dal superamento sogliaComunicazione ufficiale dello stato di grave insolvenza verso l’Erario. Indirizzata anche al collegio sindacale. Non impone una procedura concorsuale, ma segnala l’urgenza di interventi (rischio concreto di azioni esecutive, pignoramenti ecc.).

Cosa accade quando arriva una segnalazione? La normativa specifica che queste comunicazioni “non costituiscono di per sé obbligo di presentare istanza di composizione negoziata”. L’impresa, ricevuto l’alert, è formalmente tenuta a informare senza indugio l’organo di controllo interno (se già non in copia) e a valutare la propria situazione. Non è previsto un termine entro cui deve rispondere all’ente, ma l’effetto pratico è di mettere pressione: ignorare la segnalazione è pericoloso. Per esempio, se l’impresa non reagisce e successivamente chiede una procedura concorsuale, potrebbe non beneficiare di certe attenuanti; viceversa, un’impresa che attiva spontaneamente la composizione negoziata dopo l’alert può ottenere misure premiali (riduzione interessi e sanzioni fiscali, ecc.). Inoltre, dal lato dell’ente, l’INPS o l’Agenzia potrebbero intensificare i controlli incrociati o avviare procedure coattive se non vedono alcuna volontà di rientro.

In allegato alle segnalazioni, spesso gli enti forniscono già delle guide operative. Ad esempio, ANCE (Associazione costruttori) ha predisposto esempi di casi pratici per l’alert IVA, illustrando scenari di debito e possibili soluzioni di rateazione. L’invito tipicamente suggerisce: “Hai questo debito, valuta la Composizione Negoziata per trovare un accordo”. Tuttavia, l’ultima parola spetta all’imprenditore. In caso scelga di non fare nulla, gli enti proseguiranno con i normali mezzi di recupero (ingiunzioni, pignoramenti).

Focus: Va evidenziato che l’allerta esterna era pensata, nella visione originaria del Codice, per confluire in una procedura chiamata “composizione assistita presso l’OCRI”. Dopo la riforma, l’OCRI (Organismo di Composizione istituito presso le Camere di Commercio) è stato di fatto sostituito dall’esperto della Composizione Negoziata. Oggi, quindi, quando un ente pubblico invia l’alert, non c’è più un automatismo per cui un organismo terzo convoca l’impresa. È una scelta dell’imprenditore se attivare la piattaforma telematica di Composizione Negoziata (di cui si parlerà a breve). L’art. 25-novies comunque prevede che le segnalazioni siano portate a conoscenza anche degli organi di controllo (li abbiamo inseriti come destinatari, proprio perché la norma dice che se la società ha sindaci, la comunicazione va inviata anche a loro). Questo crea un ponte tra allerta esterna e interna: i sindaci, ricevuto l’alert dal fisco/INPS, a loro volta dovranno pungolare gli amministratori a prendere provvedimenti (potenzialmente, ciò costituirà un “fondato indizio di crisi” ai sensi dell’art. 25-octies, attivando la segnalazione interna se non già fatta).

In conclusione, il sistema di allerta si compone di due livelli:

  • Interno: sindaci e revisori vigilano e avvisano subito gli amministratori dei segnali di crisi; amministratori obbligati a reagire prontamente.
  • Esterno: enti pubblici avvisano l’impresa (e i controllori) se vi sono debiti importanti scaduti; ciò incoraggia l’impresa ad attivare soluzioni come la Composizione Negoziata.

Dal punto di vista pratico per “evitare la crisi”, questo significa che l’imprenditore non è solo di fronte ai problemi: esistono meccanismi che lo allertano, a volte prima ancora che egli stesso se ne renda conto. Tuttavia, la responsabilità finale di agire spetta sempre a chi guida l’azienda. Nel prossimo capitolo esamineremo infatti quali sono gli strumenti di composizione negoziale e le procedure di regolazione della crisi a disposizione dell’imprenditore una volta che i segnali di allarme siano emersi.

Strumenti per la gestione della crisi: composizione negoziata e procedure concorsuali

Quando i segnali di crisi sono stati colti, l’imprenditore deve passare dalla diagnosi all’azione. Il nostro ordinamento, aggiornato al 2025, offre una gamma di strumenti per affrontare la crisi d’impresa. Si va dalle soluzioni negoziali stragiudiziali assistite da esperti (pensate per risanare l’azienda fuori dai tribunali) fino alle procedure concorsuali giudiziali (come il concordato preventivo o, in ultima istanza, la liquidazione). In questa sezione forniremo una panoramica di questi strumenti, focalizzandoci sul loro utilizzo dal lato del debitore (come accedervi, quali vantaggi offrono, quando sceglierli).

La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa

La Composizione Negoziata è probabilmente la più importante novità introdotta dalla riforma. Introdotta dapprima con il D.L. 118/2021 e poi integrata nel Codice della Crisi (Titolo II, Parte Prima CCII), è uno strumento volontario e confidenziale che consente all’imprenditore in difficoltà di tentare il risanamento con l’aiuto di un esperto indipendente, evitando finché possibile l’avvio di procedure concorsuali formali.

Ecco le caratteristiche salienti della Composizione Negoziata:

  • Chi può accedervi: qualunque imprenditore commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione (non ci sono soglie minime o massime di fatturato) che si trovi in condizioni di “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma ancora reversibili. Non è necessario essere già insolventi – anzi, è preferibile attivarsi prima. Anche l’imprenditore agricolo, tradizionalmente escluso dal fallimento, è espressamente incluso tra i soggetti che possono utilizzare questo strumento.
  • Accesso tramite piattaforma telematica: la procedura inizia con una domanda online sulla piattaforma nazionale (https://composizionenegoziata.camcom.it) gestita dalle Camere di Commercio. L’imprenditore (o il suo consulente) deve registrarsi e caricare alcune informazioni chiave: ultimi bilanci depositati o situazione contabile aggiornata, elenco dei creditori principali con importi dovuti, una relazione sulle cause della difficoltà e le prospettive di risanamento. Non serve presentare un piano di risanamento dettagliato sin da subito, ma occorre avere un’idea degli “obiettivi di risanamento” (es. riequilibrio finanziario, ristrutturazione debiti, ricerca nuovo socio).
  • Test di verifica iniziale: la piattaforma contiene strumenti di autodiagnosi – ad esempio calcola automaticamente alcuni indicatori di squilibrio dai dati caricati. Inoltre, l’imprenditore deve rispondere a una check-list che valuta la ragionevole perseguibilità del risanamento (questa check-list è prevista dal Decreto Dirigenziale 28/09/2021, aggiornato 21/03/2023, e mira a filtrare i casi disperati). Se dal test risultasse che non c’è alcuna chance di risanamento, l’imprenditore viene avvisato; ciò non toglie che possa procedere lo stesso, ma l’esperto nominato terrà conto di questa valutazione iniziale.
  • Nomina dell’esperto indipendente: completata l’istanza, una commissione presso la Camera di Commercio nomina un esperto scelto da un apposito elenco di professionisti qualificati (di norma un commercialista, avvocato o consulente esperto in ristrutturazioni). L’esperto è terzo rispetto all’imprenditore e ai creditori, e deve condurre le trattative in modo imparziale e confidenziale. La nomina avviene entro pochi giorni dalla domanda.
  • Apertura della fase negoziale: con l’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto, inizia la Composizione Negoziata vera e propria. Da questo momento l’impresa rimane in mano all’imprenditore (non c’è spossessamento né intervento diretto del tribunale), però ogni azione significativa viene seguita dall’esperto. L’esperto convoca l’imprenditore per un primo incontro e poi, in accordo con lui, convoca i principali creditori a tavoli di trattativa riservati. L’obiettivo è valutare la fattibilità del risanamento e cercare un accordo soddisfacente con i creditori.
  • Misure protettive: se necessario, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee a tutela dell’azienda durante le trattative. In pratica può essere chiesta la sospensione di azioni esecutive e cautelari (pignoramenti, sequestri) da parte dei creditori per la durata della composizione negoziata. Il tribunale concede queste misure se ritiene che la trattativa abbia concrete possibilità di successo e che non sia pretestuosa. Ad esempio, è stato stabilito che il piano presentato non dev’essere manifestamente irrealistico: Tribunale di Bologna 2023 ha negato la proroga delle misure protettive quando ha ravvisato un abuso dello strumento (piano inconsistente), mentre altri tribunali confermano le protezioni se il piano appare serio e documentato.
  • Durata: la fase di composizione negoziata di regola dura 180 giorni (6 mesi) prorogabili su richiesta motivata fino a ulteriori 180 giorni (massimo 1 anno). In questo periodo l’esperto redige con cadenza almeno mensile una relazione sullo stato delle trattative. La procedura è flessibile: può chiudersi prima se si raggiunge un accordo o se risulta che non c’è soluzione.
  • Esito e soluzioni: Ci sono diversi possibili esiti:
    • Se la trattativa ha successo, l’imprenditore e i creditori possono formalizzare uno o più accordi stragiudiziali (ad esempio: piani di rientro con banche, accordi transattivi con fornitori, ecc.). Tali accordi, se sottoscritti da tutti i soggetti rilevanti, restano privati; l’impresa esce dalla composizione negoziata e prosegue l’attività risanata. Volendo, l’imprenditore può anche chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti in tribunale (se raggiunge le percentuali richieste, almeno il 60% dei creditori), oppure predisporre un piano attestato di risanamento da pubblicare presso il Registro delle Imprese per avere efficacia protettiva (queste sono soluzioni miste, stragiudiziali ma con qualche crisma legale).
    • Se la trattativa non produce un accordo con tutti i creditori, l’imprenditore può comunque presentare una proposta ai creditori dissenzienti in sede giudiziaria. In particolare, se l’esperto conclude che non è stato possibile trovare un’intesa ma esiste una soluzione migliore rispetto alla liquidazione, l’imprenditore – entro 60 giorni dalla chiusura – può accedere a un Concordato Preventivo “semplificato” per la sola liquidazione del patrimonio. Questo concordato semplificato (disciplinato dall’art. 25-sexies CCII) non prevede voto dei creditori: viene sottoposto direttamente all’omologazione del tribunale, che valuta la sua convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale. È un’extrema ratio: un modo per evitare il fallimento liquidando i beni sotto il controllo del tribunale, ma con una procedura più snella, qualora le trattative bonarie siano fallite.
    • Se la trattativa fallisce perché non c’è alcuna prospettiva di risanamento, l’esperto lo comunica e l’imprenditore dovrà valutare l’accesso a procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo “ordinario” o liquidazione giudiziale) per gestire la propria insolvenza in modo regolato. In tal caso, aver tentato la composizione negoziata offre comunque un vantaggio: nelle successive procedure, l’imprenditore potrebbe beneficiare di misure premiali (riduzioni di sanzioni, esonero da reati di bancarotta semplice legati al ritardo, ecc., previsti dal Codice se ha agito tempestivamente).

In sintesi, la Composizione Negoziata è un percorso assistito e protetto in cui l’imprenditore mantiene la gestione e cerca soluzioni con i creditori, sotto la supervisione di un esperto terzo e con la possibilità di congelare le aggressioni dei creditori per un periodo. È riservato (non viene pubblicato nulla, a meno di misure protettive per cui si iscrive l’atto al Registro delle Imprese) e volontario. Rappresenta quindi una piattaforma di negoziazione flessibile che idealmente porta a evitare la crisi conclamata trovando un accordo prima del default.

Va aggiunto che le riforme più recenti hanno reso questo strumento ancora più appetibile:

  • Con il Correttivo 2024 è ora possibile, nell’ambito della composizione negoziata, proporre anche accordi di ristrutturazione del debito fiscale: l’imprenditore può presentare al fisco e agli enti previdenziali proposte transattive (salvo IVA) e l’esperto può attestare la convenienza di tali accordi rispetto all’alternativa liquidatoria. Ciò supera alcuni limiti precedenti in cui il fisco non poteva falcidiare l’IVA in sede stragiudiziale. Ora si consente lo stralcio di imposte (eccetto IVA) con il benestare dell’esperto.
  • È stato ribadito che le imprese in semplice squilibrio (quindi prima di essere formalmente “in crisi” secondo la definizione) possono accedere alla composizione. Questo incoraggia ad agire presto, non aspettare che la situazione degeneri.
  • Sono stati potenziati i poteri dell’esperto e il suo coordinamento con eventuali creditori finanziari: ad esempio, banche e intermediari, obbligati a segnalare (art. 25-decies), ora hanno una sede naturale per discutere con l’impresa.
  • Infine, il sistema prevede che se l’imprenditore rispetta un piano di risanamento concordato nella negoziazione, possa ottenere esenzioni da responsabilità: ad esempio, art. 14 CCII esclude l’azione revocatoria fallimentare sugli atti compiuti in coerenza col piano durante la composizione negoziata, se poi si passa a concorsuale.

Esempio pratico di Composizione Negoziata: Un’impresa manifatturiera con calo di ordini e debiti bancari pesanti avvia la composizione negoziata. L’esperto esamina i dati e aiuta a elaborare un piano: la banca principale accetta di prorogare i finanziamenti (forse convertendone parte in capitale), alcuni fornitori strategici accettano un pagamento parziale dilazionato, e l’Agenzia delle Entrate accetta di rateizzare i debiti fiscali con riduzione delle sanzioni. Il tutto viene formalizzato in accordi e l’impresa esce dalla crisi senza procedure concorsuali. In caso alternativo, se una banca dissenziente non vuole aderire, l’impresa potrebbe chiedere un concordato semplificato per imporre quel sacrificio in fase di omologazione, ma solo come ultima opzione.

Altri strumenti stragiudiziali: piani attestati di risanamento

Parallelamente alla Composizione Negoziata, rimangono utilizzabili altri strumenti stragiudiziali già noti nella prassi:

  • Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 LF): è un piano di risanamento predisposto dall’impresa con l’ausilio di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Se il piano è idoneo a riequilibrare la situazione finanziaria, può essere pubblicato nel Registro delle Imprese. Il vantaggio principale è proteggere gli atti eseguiti in esecuzione del piano dall’azione revocatoria in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). Il piano attestato non richiede l’intervento del tribunale né dei creditori (non è vincolante per essi se non aderiscono spontaneamente), ma spesso viene usato per ottenere nuove linee di credito o rinegoziare accordi in via privata, dando ai terzi la fiducia che c’è un esperto che ha validato il risanamento. È uno strumento indicato se l’impresa ha relativamente pochi creditori e crede di poter risolvere la crisi in bonis con accordi individuali.
  • Accordi Stragiudiziali Privati: nulla vieta all’impresa di gestire la crisi semplicemente negoziando direttamente con i propri creditori senza attivare alcuna procedura formalizzata. Ad esempio: rinegozia i termini di pagamento con fornitori, ottiene una moratoria dalle banche, trova nuovi soci che apportano capitale, ecc. Questa è l’operatività normale di qualunque impresa in tensione finanziaria. La differenza rispetto agli strumenti sopra è l’assenza di cornice legale: sono accordi bilaterali o multilaterali, che però se non coinvolgono tutti i creditori rimangono parziali. Spesso, però, i piani “fai da te” hanno il limite di poter essere vanificati da comportamenti opportunistici di singoli creditori (es. uno non aderisce e fa pignoramenti). Ecco perché esistono gli strumenti concorsuali giudiziali, che permettono di coinvolgere o addirittura imporre soluzioni anche alle minoranze dissenzienti.

Passiamo quindi alle procedure concorsuali vere e proprie previste dal Codice della Crisi, evidenziando come e quando possono essere utilizzate per risolvere o almeno regolare la crisi d’impresa.

Concordato Preventivo

Il Concordato Preventivo è la classica procedura concorsuale “di ristrutturazione” prevista dall’ordinamento italiano, ora disciplinata dagli artt. 84-120 CCII. Si tratta di una procedura giudiziale, aperta su domanda dell’imprenditore, con cui si propone ai creditori un accordo formalizzato consistente in un piano di risanamento o di liquidazione controllata, allo scopo di evitare la liquidazione giudiziale (fallimento).

Esistono due macro-tipologie di concordato:

  • Concordato in continuità aziendale: il piano prevede la prosecuzione dell’attività (in proprio o tramite cessione dell’azienda a terzi) e il soddisfacimento dei creditori col ricavato generato dalla continuità (utili futuri, vendita di beni non strategici, ecc.). È incentivato dalla legge perché preserva il valore d’impresa ed i posti di lavoro.
  • Concordato liquidatorio: il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio, ma in modo più efficiente che nel fallimento e con almeno una soddisfazione minima per i creditori chirografari (nel vecchio regime era il 20%; il CCII ha modulato diversamente questa soglia, prevedendo ad es. il 10% se c’è apporto di finanza esterna, etc.).

Procedura in breve: L’imprenditore deposita ricorso al tribunale con la proposta di concordato e il piano, corredati dalla relazione di un attestatore indipendente. Il tribunale, verificati i presupposti (impresa in crisi o insolvente, proposta non manifestamente inattuabile, documenti regolari) ammette la procedura. Viene nominato un commissario giudiziale che vigila durante la procedura. I creditori vengono suddivisi in classi secondo posizione giuridica e interessi omogenei e sono chiamati a votare la proposta in adunanza o per iscritto. Serve il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza per teste e per somme). Se il concordato è approvato e omologato dal tribunale, diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti.

Novità introdotte dal CCII: Il Codice della Crisi, specie dopo i correttivi, ha introdotto varie innovazioni:

  • Possibilità di proposte concorrenti dei creditori in alcuni casi (se una certa minoranza qualificata lo richiede e la proposta del debitore non soddisfa soglie minime).
  • Introduzione di una sorta di “fresh money” incentivato: se l’imprenditore apporta finanza esterna da destinare ai creditori chirografari, la percentuale minima di soddisfacimento richiesta può essere ridotta (p.es. al 10%).
  • Maggiore flessibilità nelle classi e nel cram-down di classi dissenzienti: il tribunale può omologare il concordato anche con il voto contrario di una o più classi, se ritiene che la proposta sia comunque più conveniente per quei creditori rispetto alla liquidazione (recependo i principi della Direttiva UE).
  • Concordato semplificato post-composizione negoziata: come già accennato, è uno strumento particolare riservato a chi ha tentato la composizione negoziata senza successo. Consente di presentare una proposta di concordato liquidatorio senza passare dal voto dei creditori: sarà il tribunale, sentiti i creditori (ma senza votazione), a decidere se omologare il piano. Serve a evitare passaggi procedurali lunghi in situazioni in cui l’alternativa sarebbe il fallimento immediato. Questo concordato “minore” ha comunque requisiti stringenti: deve garantire ai creditori almeno ciò che avrebbero in liquidazione giudiziale, più un quid migliorativo.

Quando usare il concordato? Dal punto di vista dell’imprenditore, il concordato preventivo è la via da seguire quando:

  • La crisi è già avanzata e non si riesce a trovare un accordo stragiudiziale con tutti i creditori (magari ci sono troppi creditori o alcuni non collaborano).
  • Si vuole una protezione legale più ampia: dall’ammissione al concordato, l’impresa ottiene un automatic stay (sospensione delle azioni esecutive) per tutta la procedura.
  • Si vuole vincolare anche i dissenzienti: col concordato, se la maggioranza approva, anche chi non è d’accordo deve accettare i tagli o le attese previste dal piano.
  • L’imprenditore intende mantenere la continuità aziendale ma ha bisogno di uno strumento per ristrutturare pesantemente il debito (ad esempio riducendolo, dilazionandolo, o convertendo debiti in capitale con forzatura).
  • Oppure, al contrario, l’imprenditore ha deciso di cessare l’attività ma preferisce farlo tramite un concordato liquidatorio, che gli consente di gestire la vendita dei beni con più controllo e di ottenere l’esdebitazione a fine procedura (cosa che nella liquidazione giudiziale è più onerosa).

Esempio sintetico: Un’azienda commerciale insolvente propone concordato in continuità: prevede di pagare i fornitori in misura del 40% in 5 anni grazie ai flussi di cassa futuri, mentre le banche (creditori con garanzie) vengono soddisfatte rinegoziando i mutui. I dipendenti sono salvaguardati. I creditori votano sì perché l’alternativa (fallimento) darebbe un realizzo forse del 20%. Il tribunale omologa, il piano parte, l’azienda continua l’attività sotto sorveglianza fino a completamento. – In un altro caso, un’azienda edile fallita nelle commesse propone un concordato liquidatorio: offre di vendere tutti gli immobili e i cantieri rimasti e di distribuire ai chirografari il 25% del dovuto. Aggiunge però un apporto di un nuovo investitore, pari al 10% dei crediti chirografari, per convincere i creditori (arrivando a far percepire loro un 35% in totale). Col concordato ottiene di evitare il fallimento e di chiudere le pendenze con quella percentuale, dopodiché i soci potranno ripartire con nuove iniziative senza l’ombra del fallimento.

Accordi di Ristrutturazione dei Debiti

Un altro strumento previsto (artt. 57-64 CCII) è l’Accordo di Ristrutturazione omologato. Si tratta di un compromesso a metà tra lo stragiudiziale e il concorsuale:

  • L’imprenditore negozia con i creditori un accordo che deve essere sottoscritto da tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali (quorum ridotto al 30% in casi di accordi “agevolati” su debiti finanziari, ma con maggior coinvolgimento di autorità).
  • Viene presentato al tribunale per l’omologazione. I creditori aderenti sono vincolati dai termini pattuiti (piani di pagamento, riduzioni ecc.).
  • I creditori non aderenti ricevono comunque per legge il pagamento integrale del loro credito entro 120 giorni dalla scadenza o dall’omologa (quindi non subiscono stralci forzati, a differenza del concordato; in questo senso l’accordo è meno invasivo perché non impone sacrifici ai dissenzienti oltre a un breve standstill).
  • L’accordo, una volta omologato, consente all’impresa di usufruire di alcune esenzioni e protezioni (ad es. esenzione da revocatorie per i pagamenti fatti secondo accordo).
  • Esistono varianti: Accordi ad efficacia estesa per i creditori finanziari (se aderisce il 75% delle banche, l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti, con autorizzazione del tribunale), e Accordi soggetti a omologazione con eventuale cram-down parziale (novità post-2022, in recepimento direttiva, che consentono qualche forma di imposizione minoritaria, ma restano strumenti meno potenti del concordato).

Gli accordi di ristrutturazione sono utili quando l’impresa ha pochi creditori principali (es. solo banche e fisco) e riesce a convincerne la maggioranza qualificata. Hanno il vantaggio di essere più rapidi e riservati: la fase in tribunale è più breve e meno complessa di un concordato, e soprattutto i creditori estranei non vengono toccati (dunque c’è minore pubblicità negativa).

Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento) e Liquidazione Controllata

Se la crisi non può essere risolta con strumenti di risanamento, resta come ultima ratio la procedura liquidatoria. Come detto, il Codice chiama il vecchio “fallimento” col nome di Liquidazione Giudiziale, disciplinata dagli artt. 121-270 CCII. Dal punto di vista del debitore, avviare la liquidazione giudiziale significa ammettere l’insolvenza e richiedere al tribunale di aprire la procedura. Più spesso, la liquidazione giudiziale viene chiesta dai creditori o d’ufficio. Una volta aperta, l’imprenditore perde la gestione dell’impresa, che passa nelle mani di un curatore nominato dal tribunale. Il patrimonio viene acquisito alla procedura e liquidato per pagare i creditori secondo le regole di graduazione (privilegi, ecc.). La differenza rispetto al passato è più terminologica e organizzativa (ad esempio i tempi e alcune fasi sono state accelerate, c’è obbligo di usare strumenti telematici per vendite, etc.), ma nella sostanza la liquidazione giudiziale rimane la procedura concorsuale di chiusura dell’impresa insolvente.

Per l’imprenditore insolvente, c’è però un percorso di uscita pulita dall’insolvenza: l’esdebitazione (artt. 278-282 CCII) che consente dopo la chiusura della liquidazione di ottenere la liberazione dai debiti residui non soddisfatti, a certe condizioni, così da poter ripartire senza strascichi. Oggi l’esdebitazione è di regola concessa all’imprenditore persona fisica onesto e collaborativo, salvo eccezioni (il Codice l’ha resa quasi automatica, salvo diniego per dolo o mancanze gravi).

Accanto alla liquidazione giudiziale per imprese soggette a fallimento, il CCII ha previsto una procedura analoga semplificata per i soggetti non fallibili (piccoli imprenditori, consumatori, professionisti): la Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (artt. 268-277 CCII). Questa deriva dalla legge sovraindebitamento 3/2012, e si applica quindi anche all’imprenditore agricolo e alle startup innovative se non superano i limiti. In pratica, un imprenditore individuale agricolo che non riesce a risanare l’azienda potrebbe accedere a una liquidazione controllata invece che rimanere con i debiti per sempre, vendendo i beni sotto controllo di un liquidatore e poi ottenendo l’esdebitazione. Questo è rilevante perché gli agricoltori, pur esclusi dal fallimento, possono andare in crisi e oggi hanno uno strumento per chiuderla legalmente.

Quando rivolgersi a quale strumento? (Schema decisionale)

Dal punto di vista di evitare la crisi, l’obiettivo è preferibilmente utilizzare i primi strumenti (allerta, composizione negoziata, accordi) per risanare l’impresa e non dover mai arrivare a un concordato o a una liquidazione. Tuttavia, se la situazione è compromessa, è fondamentale scegliere la procedura giusta per gestirla ordinatamente piuttosto che far precipitare l’azienda nel caos.

Possiamo tracciare uno scenario graduale:

  • Stato di “allerta” iniziale (crisi reversibile): utilizzare Composizione Negoziata. Mantenere l’impresa viva e trovare accordi stragiudiziali.
  • Stato di crisi conclamata ma recuperabile parzialmente: se i creditori principali cooperano, un Accordo di ristrutturazione può bastare. Se serve maggiore coinvolgimento e protezione, un Concordato Preventivo in continuità può essere indicato.
  • Stato di insolvenza irreversibile: meglio anticipare la Liquidazione Giudiziale (o concordato liquidatorio) piuttosto che aggravare i debiti. Avviare la liquidazione volontariamente può in certi casi attenuare la responsabilità degli amministratori (ad es. evitare l’aggravamento del dissesto) e consente di usufruire prima dell’esdebitazione.

Un consiglio pratico: coinvolgere sempre un professionista esperto di crisi d’impresa per valutare l’opzione giusta. Ad esempio, un avvocato specializzato potrà suggerire se conviene tentare un accordo “ombrello” con le banche (accordo 182-bis) o se spingersi a un concordato preventivo, quali rischi penali possono sorgere (si pensi che alcune condotte in prossimità del fallimento possono configurare reati di bancarotta, quindi muoversi nei tempi giusti è cruciale), etc.

Nei prossimi paragrafi applicheremo quanto esposto finora presentando simulazioni di crisi in diversi settori. Successivamente, risponderemo in formato FAQ ad alcune domande tipiche. Infine, forniremo un elenco di buone pratiche di prevenzione che l’imprenditore può adottare sin da subito per evitare di trovarsi in situazioni estreme.

Casi pratici: simulazioni di crisi nei principali settori

Ogni settore economico ha caratteristiche diverse e può presentare specifiche cause di crisi. Di seguito proponiamo cinque simulazioni pratiche, una per ciascuno dei principali settori italiani, per illustrare come identificare i segnali premonitori e quali azioni intraprendere dal punto di vista del debitore. Le simulazioni sono situazioni di fantasia ma verosimili, costruite sulla base dell’esperienza e di casi realmente osservati.

Settore Edile (Costruzioni) – Il caso “EdilBeta S.r.l.”

Scenario: EdilBeta S.r.l. è un’impresa di costruzioni generali attiva in Toscana. Negli ultimi anni ha lavorato su appalti sia pubblici sia privati. Nel 2024, a causa dell’aumento esponenziale dei costi delle materie prime e di ritardi nei pagamenti da parte di un paio di grandi committenti, la società inizia a mostrare segnali di difficoltà:

  • Il bilancio 2024 si chiude con una perdita significativa che dimezza il patrimonio netto. A fine anno, il Patrimonio Netto/Totale Debiti scende al 3% (sotto la soglia di allerta per il settore costruzioni, ad esempio 4%).
  • La società ha debiti verso fornitori scaduti da oltre 120 giorni per 1,2 milioni €, a fronte di debiti non scaduti per 1 milione €. Quindi i debiti scaduti superano quelli correnti: uno dei segnali di allarme interni (fornitori scaduti > non scaduti) è acceso.
  • Alcuni subappaltatori minacciano azioni legali perché non vengono pagati da 4 mesi. Anche i dipendenti hanno avuto ritardi nel pagamento degli stipendi: a gennaio 2025 EdilBeta aveva accumulato stipendi arretrati per oltre il 50% del monte salari mensile (altro segnale di pre-crisi).
  • Sul fronte fiscale: EdilBeta non è riuscita a versare l’IVA del 4° trimestre 2024, risultando un debito IVA di €30.000. Il suo volume d’affari 2023 era €400.000, quindi il debito (€30k) supera sia €5.000 sia il 10% (€40k? qui 10% sarebbe 40k, in realtà 30k < 10% volume affari? No 10% di 400k è 40k, quindi la soglia rilevante è 20k), ed è sopra la soglia assoluta di 20.000 €. L’Agenzia Entrate invia a marzo 2025 una segnalazione di allerta invitando l’azienda a regolarizzare o a valutare la composizione negoziata.
  • I sindaci di EdilBeta, già preoccupati da mesi, avevano a dicembre 2024 inviato una lettera formale all’amministratore segnalando “fondati indizi di crisi” (magazzino di cantiere immobilizzato, insoluti dai clienti, tensione di cassa) e chiedendo un piano di intervento entro 30 giorni. L’amministratore però non ha fornito risposte concrete, confidando in incassi futuri.

Segnali identificati: Patrimonio quasi azzerato; fornitori non pagati (allerta interna); stipendi arretrati (allerta interna); soglia debito IVA superata (allerta esterna); banca che inizia a revocare i fidi di cantiere (infatti una banca, rilevando gli sconfinamenti di EdilBeta da >60 giorni per più del 5% dell’esposizione, sta per segnalarlo ai sindaci ai sensi dell’art. 25-decies CCII). Siamo in una crisi conclamata ma forse recuperabile se gestita bene (ci sono lavori in corso che genereranno incassi, ma serve tempo e protezione dai creditori).

Azioni intraprese da EdilBeta: L’amministratore, spronato anche dalla lettera dell’Agenzia Entrate e dal sollecito dei sindaci, decide finalmente a marzo 2025 di attivarsi seriamente:

  1. Composizione Negoziata: EdilBeta presenta subito domanda sulla piattaforma nazionale. Carica i bilanci e indica di avere ordini futuri per 2 milioni € ma un problema di cassa immediato. Dal test di fattibilità risulta che il risanamento è plausibile se si ristrutturano i debiti e si ottiene nuova finanza.
  2. Viene nominato un esperto, un commercialista edile esperto di crisi. EdilBeta ottiene dal tribunale misure protettive: inibizione temporanea di azioni esecutive da parte di subappaltatori e fornitori, così da bloccare i pignoramenti sui conti. Questo è vitale per guadagnare tempo.
  3. Trattative con i creditori: L’esperto convoca:
    • Le banche: propone di mantenere le linee per i cantieri aperti e di consolidare il debito a breve in un mutuo a medio termine. Le banche, temendo di peggio in caso di fallimento, accettano a condizione di una garanzia ipotecaria su un capannone della società.
    • I fornitori principali: viene offerto un accordo transattivo: il 80% del loro credito pagato entro 12 mesi, e il restante 20% tagliato. Sorprendentemente, molti accettano perché preferiscono recuperare il grosso in modo certo, sebbene tardivo, piuttosto che far fallire EdilBeta e magari recuperare poco. L’esperto attesta che l’accordo è conveniente per loro rispetto alla liquidazione.
    • Il committente pubblico che era in ritardo nei pagamenti: l’esperto lo coinvolge anche se non è un creditore, e ottiene che sblocchi parte dei pagamenti (uno stato di avanzamento lavori viene saldato).
    • Erario e INPS: tramite la composizione negoziata, EdilBeta chiede la rateazione del debito IVA e contributivo in 5 anni, con riduzione di interessi e sanzioni. L’Agenzia Entrate e l’INPS valutano positivamente la richiesta grazie alla transazione fiscale assistita: l’esperto redige una relazione in cui attesta che, accettando la parziale rinuncia a sanzioni e interessi, il fisco ottiene comunque più di quanto recupererebbe liquidando la società. La proposta viene accolta (ad esempio, l’IVA di €30k viene dilazionata e le sanzioni ridotte del 50%).
  4. Esito: Nel giro di 4 mesi, EdilBeta riesce a chiudere accordi con l’80% dei creditori. Alcuni piccoli creditori non aderiscono, ma l’azienda – tornata liquida grazie ai pagamenti del cliente pubblico e alla riattivazione delle linee di credito – li paga in prededuzione (comunque importi gestibili). L’esperto conclude la Composizione Negoziata con esito positivo e redige una relazione finale. EdilBeta esce dalla procedura con un carico debitorio ridotto e scadenzato, e può proseguire l’attività sui cantieri.

Commento: In questo caso tipico del settore edile, la crisi nasce da fattori esterni (aumento costi materiali, ritardi incassi) e sfocia in tensioni finanziarie acute. Fondamentale è stato:

  • Intercettare i segnali: i sindaci lo avevano fatto (debiti verso fornitori e dipendenti), ma l’imprenditore ha reagito solo quando ha ricevuto l’alert formale del Fisco e si è visto vicino al baratro.
  • Usare le protezioni legali: senza misure protettive, probabilmente un fornitore avrebbe portato EdilBeta in tribunale per fallimento. Congelare le azioni esecutive ha dato respiro.
  • Coinvolgere tutti gli attori: banca, fornitori, ente pubblico, Erario – ognuno ha dato qualcosa (proroga, stralcio parziale, pagamento anticipato, rateazione). Ciò incarna lo spirito della composizione negoziata: sacrifici condivisi per evitare il tracollo generale.
  • Valorizzare la continuità: tutti hanno capito che conveniva far finire i cantieri a EdilBeta piuttosto che farli fallire a metà (per i clienti pubblici sarebbe costato di più riappaltare i lavori incompiuti).
  • Governance: EdilBeta ha poi rivisto i suoi assetti interni post-crisi: ha assunto un controller per seguire meglio la tesoreria e non ripetere gli errori di sovra-committment senza cassa.

Dal punto di vista giuridico, EdilBeta ha evitato il fallimento e anche il concordato. Non avendo aperto un concorsuale, potrà concludere i lavori e recuperare margini. Questo caso mostra che anche in un settore notoriamente instabile come l’edilizia, la prevenzione e gli strumenti di allerta possono salvare l’impresa se usati per tempo.

Settore Commercio (Vendita al dettaglio) – Il caso “SuperMercato Rossi”

Scenario: SuperMercato Rossi è un negozio alimentare al dettaglio di medie dimensioni, a gestione familiare, operante in provincia. Nel 2023-2024 ha sofferto la concorrenza della GDO e l’aumento dei prezzi. I ricavi sono calati del 20% mentre i costi (utenze, fornitori) sono saliti, erodendo i margini. I sintomi di crisi:

  • Il 2024 si chiude con un ROS (utile operativo) praticamente nullo e iniziano piccole perdite. Il titolare copre le perdite con versamenti personali, ma il patrimonio netto è quasi azzerato.
  • L’attività di vendita genera cassa insufficiente: l’indice Ritorno liquido dell’attivo è sceso all’1%, sotto le soglie CNDCEC per il commercio (che ad esempio potrebbe essere 2%).
  • Il titolare ha iniziato a pagare in ritardo alcuni fornitori: acquisti di prodotti freschi vengono pagati a 90 giorni anziché 60, causando malumori. Tuttavia, essendo la ditta individuale in un piccolo centro, i fornitori (spesso locali) tendono a tollerare per non perdere il cliente.
  • La crisi di liquidità si riflette sul fisco: per la prima volta a dicembre 2024 il SuperMercato non versa l’IVA trimestrale (€6.000 su volume d’affari annuo di €120.000). Questo debito (6000 €) supera sia €5.000 sia il 10% del volume d’affari (10% di 120k è 12k, quindi no, qui 6k non è >10% turnover, ma è >5k). In teoria l’Agenzia Entrate avrebbe soglia 10% => 12k, ma la soglia minima fissa 5k. Qui 6k >5k e < 10% volume affari. Dal calcolo GhostCFO, per volumi <50k soglia 5k, tra 50k e 200k soglia 10% (che sarebbe 12k). 6k è sotto 10% quindi non segnala. Quindi, in realtà quell’importo non fa scattare la segnalazione AE, perché pur >5k, 10% vol affari è 12k. La regola era: se debt >5k e >10% vol affari, oppure >20k in ogni caso. Qui 6k >5k ma non >10% vol affari, quindi niente segnalazione. Quindi facciamo che debito IVA 2024 è 15k su fatturato 120k? 15k >5k e >12k, quindi sì. Ok, supponiamo debito IVA = €15.000 su volume affari 120k. Allora supera 5k e 10% (12k) ma <20k. Quindi soglia scatta. L’AE invierà segnalazione.
  • Dunque l’Agenzia Entrate invia nel febbraio 2025 una PEC di segnalazione al Sig. Rossi (titolare) indicandogli il debito IVA non versato di 15k e suggerendo di valutare misure per regolarizzare.

Segnali identificati: Margini in calo drastico; flussi di cassa negativi; debiti commerciali che iniziano ad accumularsi; debito IVA rilevante con allerta fisco (in questo caso scattata). Tuttavia, essendo un’impresa piccola, non ha organi di controllo interni né revisori, quindi l’allerta interna è tutta sulle spalle del titolare stesso.

Azioni possibili e svolgimento: Il Sig. Rossi, colpito dalla lettera dell’Agenzia Entrate e preoccupato di perdere il negozio di famiglia:

  1. Si rivolge al suo commercialista e insieme fanno il punto: la crisi sembra dovuta a fattori strutturali (concorrenza). Per risanare, bisognerebbe ridurre i costi fissi (magari spostarsi in un locale meno caro) o aumentare i ricavi (difficile).
  2. Adeguati assetti per il piccolo imprenditore: su consiglio del commercialista, inizia a tenere un controllo di cassa giornaliero più stretto e una piccola analisi di convenienza: quali reparti del negozio sono profittevoli e quali in perdita? Dismette ad esempio il banco macelleria (che registrava invenduto) per ridurre costi.
  3. Quanto al debito IVA e fornitori: il titolare avvia negoziazioni informali:
    • Chiede ai fornitori locali piani di rientro (molti accettano pagamenti diluiti perché hanno fiducia).
    • All’Agenzia Entrate, attraverso FiscoOnline, chiede una rateazione automatica del debito IVA in 10 rate (per importi sotto 50k è concessa abbastanza facilmente).
    • Banca: aveva uno scoperto di conto di €10.000, la banca in realtà (vedendo i movimenti) gli propone di trasformarlo in un piccolo prestito rateale per dargli respiro.
  4. Si informa sulla Composizione Negoziata: ma essendo ditta individuale senza dipendenti e creditori principalmente locali che collaborano, valuta che potrebbe non essere necessario (inoltre i costi dell’esperto potrebbero essere gravosi per una microimpresa come la sua, benché in parte a carico dello Stato).
  5. Soluzione scelta: Decide di tentare un risanamento “fai-da-te”:
    • Riduce l’orario di apertura e i costi di personale (impiega solo familiari nel fine settimana).
    • Vende un furgone aziendale inutilizzato, ricavando €5.000 con cui paga una parte dei fornitori arretrati.
    • Rinegozia il contratto di affitto del locale con il proprietario, spiegando le difficoltà: ottiene 6 mesi di canone ridotto.
    • Lancia campagne promozionali per attirare clienti (volantini, social media locali).
    • Si fa affiancare dal commercialista mensilmente per monitorare gli incassi e l’andamento.

Esito dopo 6-12 mesi: Il fatturato si stabilizza, i costi sono calati. Il negozio sta a galla ma senza brillare. I debiti del 2024 sono stati onorati quasi tutti, ma restano margini stretti. A fine 2025, il Sig. Rossi deciderà se continuare o cessare l’attività. Se dovesse cessare, potrebbe avvalersi della Liquidazione controllata come piccolo imprenditore: vendere l’inventario residuo e chiudere i debiti. Tuttavia, con gli accordi bonari fatti, potrebbe anche evitare procedure e chiudere semplicemente l’attività pagando fino all’ultimo (magari utilizzando anche patrimoni personali, data la dimensione familiare).

Commento: Questo caso illustra la situazione delle microimprese commerciali, spesso troppo piccole per permettersi complesse ristrutturazioni giudiziali. Qui, più che la legge, conta la gestione interna: l’allerta del fisco ha svolto il ruolo di “sveglia”, ma la risposta è avvenuta su un piano gestionale e relazionale (accordi con fornitori, taglio costi).

  • Resta importante notare che se il Sig. Rossi non fosse riuscito a invertire la rotta, avrebbe comunque avuto la possibilità di non subire passivamente i pignoramenti: ad esempio attivando la Composizione Negoziata anche come piccolissimo imprenditore (magari con costi minori, visto che la CCIAA potrebbe assegnare esperto anche gratuitamente in certi casi sociali) o ricorrendo alle procedure da sovraindebitamento (il concordato “minore” o la liquidazione controllata).
  • Il capitale sociale qui non c’è (ditta individuale), ma il concetto di “adeguato assetto” per lui significa avvalersi di consulenza e strumenti proporzionati (un foglio Excel per la cassa e scelte rapide sui reparti). Se lo avesse fatto prima, forse avrebbe evitato di accumulare 15k di IVA non pagata.
  • Interessante notare l’importanza delle reti locali: i fornitori locali hanno fatto credito extra in virtù della relazione, cosa che in contesti più grandi non avviene. Questo per dire che nel commercio al dettaglio spesso la fiducia sostituisce la rigidità contrattuale, ma ciò non dura indefinitamente (ha avuto fortuna che nessuno lo abbia portato subito in tribunale).

In sintesi, nel commercio dettaglio:

  • Indicatori da non trascurare: calo vendite mensili, incassi quotidiani insufficienti a coprire costi, scorte invendute (magazzino fermo).
  • Mosse preventive: aggiustare il modello di business rapidamente (diversificare prodotti, tagliare costi fissi come l’assortimento eccessivo), e mantenere una disciplina ferrea sui pagamenti fiscali, perché il fisco è il primo a segnalare e poi eventualmente aggredire (le cartelle esattoriali possono colpire anche piccoli importi con pignoramento del c/c).
  • Uso degli strumenti legali: per il piccolo commerciante, la composizione negoziata può sembrare sovradimensionata, ma rimane un’opportunità (soprattutto se ha troppi creditori per gestirli informalmente). Le procedure di sovraindebitamento, come il concordato minore, potrebbero consentirgli di proporre ai creditori un saldo e stralcio generale sotto controllo del giudice, salvando magari l’attività (o quantomeno chiudendo dignitosamente con un esdebitamento).

Settore Manifatturiero – Il caso “TecnoMac S.p.A.”

Scenario: TecnoMac S.p.A. è un’azienda manifatturiera nel settore macchinari industriali (metalmeccanica), situata in Lombardia. Ha 80 dipendenti e produce macchinari su commessa. Nel 2022-2023 risente di calo ordini dall’estero e di un investimento sbagliato in un macchinario interno pagato a caro prezzo. Nel 2024:

  • Il Debt Service Coverage Ratio (DSCR) di TecnoMac scende a 0,8, segnalando che la società non genera cassa sufficiente per ripagare i debiti finanziari nei successivi 6 mesi. Infatti, ha rate di mutuo trimestrali per €500k, ma il cash flow previsto per semestre è solo €400k.
  • I margini operativi sono diminuiti e la società deve spesso ricorrere allo scoperto di conto per pagare fornitori e stipendi. Le banche iniziano a essere prudenti: la centrale rischi segnala sconfinamenti frequenti oltre 60 giorni, pari al 10% delle esposizioni (sopra la soglia del 5%).
  • L’Organo di controllo (collegio sindacale) nota già a metà 2024 gli squilibri e invia formale segnalazione agli amministratori a settembre 2024 chiedendo “quali misure intendano adottare per far fronte al calo della liquidità e ai ritardi nei pagamenti”. Gli amministratori rispondono genericamente che stanno cercando nuovi mercati e che valuteranno un piano.
  • A fine 2024, TecnoMac non versa le ritenute fiscali di alcune mensilità (per 200k €) e non paga i contributi INPS del quarto trimestre (per 100k €). Supera quindi nettamente le soglie di allerta: debito INPS > 15k con dipendenti (sì, 100k) e >30% contributi annui dovuti (sì, rappresenta circa 4 mesi su 12, quindi >30%). L’INPS a febbraio 2025 invia formale segnalazione art.25-novies al CdA e per conoscenza al collegio sindacale.
  • Anche l’Agenzia delle Entrate-Riscossione segnala che TecnoMac ha carichi affidati (IVA, ritenute) per €300k scaduti oltre 90gg, superando la soglia per le S.p.A. (500k) – in questo caso 300k è sotto 500k, quindi no segnalazione da riscossione, ma comunque c’è quella di INPS e in arrivo magari AE per IVA.
    Meglio: facciamo che ha affidati per 600k, allora >500k, e la AER manda segnalazione pure.
  • I fornitori meccanici di TecnoMac (alcuni piccole officine) cominciano a diventare insofferenti: vantano crediti scaduti da 120 giorni. Uno di essi presenta un decreto ingiuntivo e minaccia istanza di fallimento se non paga entro marzo 2025.

Segnali identificati: DSCR < 1 (alert interno quantitativo); segnali art.3(4) accesi (esposizioni bancarie scadute >5%, debiti verso dipendenti e fisco scaduti oltre soglia); segnalazioni formali dai creditori pubblici (INPS, forse Agenzia Entrate su IVA se omessa, e AER); sindaci allertati da mesi. La crisi è grave ma l’azienda ha ancora sostanza (macchinari, know-how, forse ordinativi in prospettiva se ristruttura).

Azioni intraprese: Qui serve un intervento più strutturato:

  1. Il CdA di TecnoMac, pressato dal collegio sindacale e dalle lettere INPS/AER, convoca un advisor finanziario e uno legale per valutare opzioni. Entro marzo 2025 decidono di presentare domanda di Composizione Negoziata. Dato che l’azienda è complessa, preparano documenti dettagliati (piano industriale ipotetico, elenco di tutti i creditori e contratti in corso).
  2. Sul portale, l’analisi preliminare indica che il risanamento è possibile ma richiede probabilmente nuovi investitori. Viene nominato un esperto.
  3. Misure protettive: TecnoMac ottiene dal tribunale l’applicazione di misure protettive ampie per 4 mesi: sospensione di tutti i procedimenti esecutivi e divieto temporaneo di azioni cautelari. Ciò blocca l’azione del fornitore che voleva portarla in liquidazione giudiziale.
  4. Trattative durante composizione negoziata:
    • L’esperto facilita l’incontro con un fondo di investimento locale interessato a entrare nel capitale di TecnoMac se l’azienda si ristruttura (apporto equity fresco di 1 milione € per avere il 51% delle quote). Questo apporto sarebbe destinato principalmente a pagare i debiti pregressi falcidiati.
    • Si negozia con le banche: vengono proposte delle operazioni di “standstill” (moratoria) sulle rate di mutuo per 6 mesi, e successivamente una rinegoziazione: una banca accetta di allungare la durata del mutuo e ridurre il tasso, un’altra chiede invece rientro ma viene prevista una liquidazione di un immobile non strumentale di TecnoMac per pagarla.
    • Con i fornitori si punta a un accordo corale: l’esperto propone loro un pagamento del 50% del dovuto entro 1 anno, grazie anche all’ingresso del nuovo investitore, e per il residuo 50% un credito azionario (ovvero di diventare soci di minoranza, ma la maggior parte preferisce incassare il 50% subito e rinunciare al resto).
    • Con l’INPS e l’Erario: attivata la transazione fiscale nella negoziazione, proponendo di pagare interamente i contributi dovuti dilazionati in 4 anni ma senza sanzioni (lo Stato su contributi tende a chiedere integrale pagamento del dovuto e può ridurre sanzioni). Per l’IVA e ritenute non versate, propone di pagarle in percentuale (diciamo 80%) sempre grazie all’apporto di nuove risorse, e stralciarne una parte. L’esperto attesta che con la continuità l’Erario recupera 80% mentre in fallimento forse 20%, convincendo sulla convenienza.
    • Per i dipendenti: fortunatamente TecnoMac era in regola con gli stipendi netti (pagava quelli, non aveva pagato i contributi). Si rassicura il sindacato interno che l’operazione con l’investitore eviterà licenziamenti in massa, anche se forse ci saranno 10 esuberi (che verranno gestiti con accordo, TFR etc).
  5. L’esperto vede la fattibilità di un risanamento con continuità: la condizione è che entri il fondo investitore e che i creditori accettino sacrifici. Dopo 5 mesi di intensi negoziati, quasi tutti i pezzi del puzzle combaciano. Tuttavia, un paio di fornitori strategici non aderiscono allo stralcio del 50% (vogliono di più). Il fondo investitore allora dice: “Possiamo procedere lo stesso, ma serve sicurezza giuridica su quei due”.
  6. Passaggio al concordato: A questo punto, su suggerimento dei legali, TecnoMac decide di chiudere formalmente la composizione negoziata (constatando che c’è una proposta credibile) e, con l’appoggio dell’esperto, presenta entro i 60 giorni successivi una domanda di Concordato Preventivo con continuità e classi. La proposta ricalca gli accordi raggiunti: in una classe ci sono le banche (che hanno trattamento concordato), in un’altra i fornitori aderenti (che accettano il 50%), e in un’altra quei due fornitori dissenzienti. Propone che anche a loro venga dato il 50% in 1 anno (uguale agli altri). Sapendo che voteranno no, TecnoMac punta a far approvare il concordato dalle altre classi e poi chiedere al tribunale l’omologazione nonostante il voto contrario di quella classe dissenziente, mostrando che essi non verrebbero comunque soddisfatti in misura migliore dalla liquidazione e che il trattamento è equo (questo è il cram-down interclassi, ora possibile se certe condizioni sono rispettate).
  7. Durante la procedura concordataria, il fondo investitore inizia già a immettere finanza prededucibile per mantenere l’attività corrente (materie prime per ordini in corso). Il tribunale concede la continuazione dell’esercizio.
  8. Esito: I creditori votano: banche favorevoli (classi 1), fornitori aderenti favorevoli (classe 2), fornitori dissenzienti ovviamente no (classe 3). Il tribunale, verificato che il piano è conveniente e che solo la classe 3 è contraria, omologa comunque grazie alle nuove norme che facilitano il cram-down. Il concordato va a buon fine a fine 2025. TecnoMac esegue il piano: il fondo investitore apporta €1M ed entra in controllo, i vecchi soci vengono diluiti ma rimangono come management. I creditori ricevono i pagamenti promessi (50% ai fornitori etc). L’INPS viene saldata con le rate concordate (grazie anche al fatto che la nuova proprietà inietta capitale, all’INPS preferivano integrale quindi va soddisfatta integralmente ma con tempo, e qui l’investitore serve).

Commento: Questo caso complesso mostra un mix di strumenti: composizione negoziata per trattare in sicurezza e elaborare la soluzione, poi concordato preventivo per vincolare la minoranza dissenziente e dare stabilità giuridica all’accordo.

  • L’azienda manifatturiera di medie dimensioni ha più stakeholder e non tutti cooperano spontaneamente, quindi il ruolo del tribunale è stato determinante nella fase finale.
  • Il successo è arrivato perché c’era comunque una base sana: ordini potenziali e un investitore interessato a rilanciare l’azienda (evidentemente vede prospettive di profitto futuro). Senza questo, probabilmente sarebbe finita in liquidazione.
  • Dal punto di vista dell’allerta iniziale: qui sindaci e creditori pubblici hanno suonato tutti l’allarme in tempo. Gli amministratori hanno tardato qualche mese di troppo (avessero attivato la negoziazione già a fine 2024, avrebbero evitato ulteriore debito fiscale accumulato). Ma fortunatamente non è stato “troppo tardi”.
  • Giurisprudenza connessa: se TecnoMac non avesse agito e fosse fallita, i suoi amministratori avrebbero rischiato azioni di responsabilità per aver aggravato il dissesto (non pagando contributi, per es., e proseguendo l’attività in perdita). Così invece potranno probabilmente evitare cause, grazie all’effetto esimente di aver attivato tempestivamente (o quasi) gli strumenti di composizione.
  • Una nota sui dipendenti: nel concordato, i loro crediti per stipendi e TFR sono privilegiati, e spesso integralmente tutelati (possono anche essere pagati prima per evitare tensioni sociali). Nel nostro piano si è cercato di salvare anche l’occupazione: questo sottolinea come un risanamento negoziato e concordatario può avere benefici economici e sociali più ampi rispetto alla liquidazione pura (dove 80 persone sarebbero state licenziate e avrebbero attinto, in parte limitata, al fondo di garanzia INPS).

Settore Servizi – Il caso “MediaConsult S.r.l.”

Scenario: MediaConsult S.r.l. è una società di consulenza e marketing digitale con 15 dipendenti. I servizi hanno peculiarità: i costi principali sono il personale, pochi asset tangibili. La crisi qui può emergere se i clienti rescindono contratti o se la società sbaglia investimenti in tecnologia.

  • Nel 2024, MediaConsult perde due clienti importanti (che rappresentavano il 30% del fatturato) e investe risorse nello sviluppo di una piattaforma software interna che però non genera i ricavi sperati. Risultato: calo del fatturato del 25% e costi del personale rimasti costanti, portano a una perdita significativa a fine anno.
  • Gli amministratori tentano di resistere aspettando nuovi contratti, ma nel frattempo finanziano le attività usando le riserve e ritardando alcuni pagamenti di fornitori (software house esterne, freelance).
  • A ottobre 2024 il patrimonio netto va in negativo (€ -50k). Questo di per sé è un indicatore di crisi conclamata. Anche l’art. 2482-ter c.c. imporrebbe, in caso di S.r.l., di ricapitalizzare o ridurre il capitale. I soci di MediaConsult però non hanno liquidità per ricapitalizzare.
  • Non essendoci collegio sindacale (piccola società), nessuno suona l’allarme formalmente. Ma a novembre 2024 MediaConsult non versa l’IVA trimestrale (10k €) e neanche le ritenute IRPEF dei dipendenti (5k €). Questi importi non altissimi forse non superano soglie segnalazione? Volume affari supponiamo 500k, 10k IVA = 2% => no segnalazione. Però ritenute e contributi andranno a ruolo se non pagate.
  • Arriva comunque una lettera dello studio paghe che segnala l’irregolarità nei versamenti contributivi: i consulenti del lavoro avvisano la società che se continua a saltare contributi, l’INPS la segnalerà (superata soglia 15k, cosa che succede a inizio 2025).
  • I dipendenti percepiscono la crisi (pagamenti di bonus rinviati, minor lavoro) e alcuni iniziano a cercare altro impiego – rischio perdita risorse umane chiave.
  • Uno sviluppatore freelance creditore di 8k € minaccia un decreto ingiuntivo.

Segnali identificati: Patrimonio netto negativo (campanello gravissimo, doveri degli amministratori ex art.2482 bis cc), liquidità in sofferenza, debiti fiscali e contributivi scaduti. La soglia di segnalazione AE magari non scatta perché 10k su 500k affari è sotto 10% e sotto 20k, ma l’INPS a marzo 2025 vede contributi omessi totali magari 20k su anno precedente 100k (20%, sotto 30% quindi forse neanche? può darsi che non scatti per un soffio). Comunque, a prescindere, l’assenza di segnalazione ufficiale non cambia che l’azienda è in crisi evidente.

Azioni:

  1. A gennaio 2025, i soci si rendono conto che l’impresa rischia l’insolvenza. Decidono di provare a vendere la società o a trovare un partner. Iniziano contatti informali con un’agenzia più grande del settore per un possibile M&A (acquisizione).
  2. Nel frattempo, per evitare guai peggiori, attivano una Composizione Negoziata (anche se piccola S.r.l., ne hanno diritto). La nominata esperta (una commercialista) li aiuta a capire che in realtà l’opzione migliore potrebbe essere vendere il ramo d’azienda e chiudere i debiti col ricavato.
  3. Non essendoci immobilizzazioni rilevanti, e dovendo i soci cedere il controllo per salvare l’azienda, valutano: invece di un concordato complicato, possono cercare un accordo di “ristrutturazione”:
    • L’agenzia grande è interessata a incorporare MediaConsult per prendere i suoi 10 clienti rimasti e alcuni dipendenti chiave. Propone di rilevare l’intero ramo d’azienda (contratti, brand) pagando 50k €, e di assumersi alcuni debiti operativi (assorbe 20k di debiti verso i freelance, pagandoli integralmente).
    • In parallelo, i soci di MediaConsult offrono ai restanti creditori non rilevati (es. fornitori non trasferiti) un accordo: liquidare la S.r.l. extra giudizialmente pagando il 30% di quanto dovuto entro 6 mesi, grazie ai 50k incassati dalla cessione più 10k che i soci mettono di tasca propria.
    • All’Erario e INPS vanno circa 30k di quanto incassato (pagando preferibilmente i contributi dipendenti e ritenute per evitare anche questioni penali di omesso versamento).
  4. L’esperta della composizione negoziata supervisiona questa operazione e la facilita: convoca tutti i creditori in una riunione. Quasi tutti preferiscono ottenere 30% subito piuttosto che niente da una eventuale procedura concorsuale su una società ormai “vuota” (che in fallimento darebbe zero).
  5. In marzo 2025 avviene la cessione del ramo d’azienda alla società più grande (con consenso dell’esperta e dei creditori chiave). I dipendenti vengono trasferiti all’acquirente mantenendo il posto. I clienti continuano a essere serviti senza interruzioni dall’acquirente.
  6. MediaConsult S.r.l. rimane come “guscio” vuoto con debiti ridotti. I soci e l’esperta la mettono in liquidazione volontaria a aprile 2025. Con i soldi ricevuti versano ai creditori l’accordo (30%). La società poi viene cancellata nel 2026.
  7. Se qualche creditore residuale non avesse accettato il 30%, avrebbero potuto valutare un concordato semplificato di liquidazione per chiudere la società. Ma in questo scenario tutti hanno preferito risolvere in via negoziale.

Commento: Qui la soluzione è stata quasi un “pre-pack” di vendita: un’azienda di servizi in crisi viene salvata incorporandola in un’altra più solida. I creditori hanno accettato una perdita parziale in cambio di tempi rapidi e continuità per i rapporti in corso.

  • Dal punto di vista del Codice della Crisi, questa è la situazione in cui gli strumenti flessibili come la composizione negoziata brillano: permettono di orchestrare operazioni straordinarie (vendita di azienda) con l’accordo dei creditori, evitando lo stigma del fallimento.
  • Inoltre, i posti di lavoro sono stati salvati tramite il trasferimento (in un concordato o fallimento i dipendenti avrebbero perso il lavoro e avrebbero dovuto insinuarsi al passivo).
  • Si noti la questione del patrimonio netto negativo: i soci avrebbero dovuto per legge intervenire. Non potendolo fare pienamente, il modo per evitare la responsabilità su questo punto è stato agire in tempi brevi per sistemare la situazione (una prolungata inattività con patrimonio netto negativo avrebbe esposto gli amministratori a cause ex art. 2486 c.c., come detto prima, con presumzione di danno pari alle perdite aumentate nel frattempo).
  • Questo caso, tipico del settore servizi, evidenzia che spesso il valore sta nelle persone e nei contratti, per cui la continuità aziendale può essere ottenuta tramite fusioni o cessioni piuttosto che con ristrutturazioni di debiti: la società originale magari sparisce, ma il business continua altrove. Il Codice incoraggia anche nei concordati soluzioni di questo tipo (il concordato in continuità indiretta, con cessione d’azienda a un assuntore).
  • Per evitare la crisi nel settore servizi: occhio a indicatori come tasso di utilizzo del personale (se i consulenti stanno sovra-occupati o no), customer concentration (troppi ricavi su pochi clienti è pericoloso), e vanno mantenuti assetti flessibili (se calano i contratti, ridurre costi rapidamente, es. part-time, outsourcing).

Settore Agricoltura – Il caso “Azienda Agricola Bianchi”

Scenario: Azienda Agricola Bianchi è una società semplice a conduzione familiare che coltiva ortaggi e alleva bovini da latte in Emilia. Gli agricoltori hanno storicamente una disciplina diversa (non falliscono in senso tecnico), ma possono essere sommersi dai debiti come chiunque:

  • Nel 2023 una prolungata siccità e l’aumento dei prezzi dei mangimi generano perdite. Bianchi contrae debiti con fornitori di sementi e con la banca (scoperto di conto).
  • A fine 2024, ha debiti per €150k (50k banca, 70k fornitori mangimi, 30k arretrati vari). Ha anche ricevuto anticipi PAC (contributi UE) ma li ha dovuti usare per spese correnti.
  • Non paga l’IMU sui terreni né l’INPS agricola da 2 anni (supponiamo €10k debiti fiscali).
  • Gli indicatori di crisi agricoli: difficile avere DSCR in agricoltura familiare, ma di certo i debiti superano largamente le entrate annuali previste.
  • Nessuna segnalazione formale giunge (la società semplice non è nel radar come le S.p.A., e i debiti fiscali non sono altissimi per soglie).
  • Nel marzo 2025, i fornitori smettono di dare mangimi a credito: pretendono contanti o minacciano di fare decreti ingiuntivi.
  • La famiglia Bianchi rischia di dover vendere i campi per far fronte ai debiti.

Azioni:

  1. La famiglia si rivolge a una associazione di categoria (es. Coldiretti) per chiedere aiuto. L’associazione consiglia di valutare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste per imprenditori agricoli (ora integrate nel CCII).
  2. Propongono di procedere con un “concordato minore” (art. 74 CCII), ossia una sorta di concordato preventivo semplificato riservato a soggetti non fallibili. Con l’aiuto di un OCC (Organismo Composizione Crisi) nominato dal tribunale, presentano un piano: prevedono di vendere un appezzamento marginale di terreno e 5 capi di bestiame, ricavando €100k, e offrire ai creditori chirografari un pagamento pari a 50% dei loro crediti in 2 anni con quei fondi. La banca (creditore ipotecario su casa colonica) viene invece rimborsata rifinanziando il mutuo con Ismea o altro ente.
  3. Il tribunale apre la procedura di concordato minore. I creditori vengono consultati: molti sono anche vicini di casa o conoscenti, e vedono che la proposta è seria e li soddisfa in buona parte. Approvano il piano. Il tribunale omologa.
  4. L’azienda agricola esegue il piano: vende il terreno e i capi, paga i creditori come promesso. I Bianchi stringono la cinghia ma mantengono il fondo principale e l’attività di latte.
  5. Dopo 3 anni, la crisi è risolta e i Bianchi riescono a continuare con un’attività ridimensionata ma sostenibile.

Commento: In agricoltura, il concetto di “evitare la crisi” spesso si scontra con eventi fuori controllo (meteo, mercato latte, ecc.). Qui la famiglia ha usato una procedura di sovraindebitamento – molto simile a un concordato – per ridurre i debiti a un livello gestibile senza perdere tutto.

  • È rilevante che gli agricoltori, pur esclusi dalla vecchia legge fallimentare, possono accedere alla composizione negoziata e alle procedure minori. In effetti, la composizione negoziata è aperta anche a loro, e nel caso specifico si può immaginare che l’abbiano magari tentata tramite la Camera di Commercio agraria, ma avendo pochi creditori e quasi tutti “locali”, era più semplice il concordato minore.
  • Il ruolo delle associazioni di categoria: spesso per gli agricoltori e piccoli operatori, è la Coldiretti o Confagricoltura a fungere da “allerta” informale. Magari da un corso o un avviso sul giornale agricolo, i Bianchi hanno capito di poter usare la legge 3/2012 (ora CCII) per non farsi travolgere.
  • La prevenzione in agricoltura passa da strumenti assicurativi e fondi di solidarietà (che andrebbero citati come paralleli: esistono fondi mutualistici e assicurazioni sul raccolto che avrebbero potuto mitigare la perdita). Un consiglio in gestione interna (governance) per agricoltori: aderire a consorzi di difesa, diversificare colture, ecc., ma qui usciamo dal giuridico.

Riassumendo, questi casi settoriali mostrano come, al di là delle differenze, vi siano denominatori comuni:

  • La necessità di monitorare attivamente la salute finanziaria (cosa spesso trascurata soprattutto in settori tradizionali come agricoltura o piccole imprese commerciali).
  • L’importanza di agire tempestivamente: tutte le soluzioni viste (negoziazione, accordi, concordati) funzionano meglio se attivate prima che il capitale sia totalmente eroso o che i creditori perdano fiducia irreparabilmente.
  • Il ruolo delle nuove norme: prima del CCII, molti di questi casi sarebbero finiti in fallimento o liquidazione disordinata; oggi si hanno strumenti flessibili come la composizione negoziata per esplorare soluzioni e salvare il salvabile.

Nei prossimi capitoli risponderemo ad alcune domande frequenti per chiarire ulteriormente dubbi operativi, e infine forniremo un decalogo di buone pratiche di prevenzione da adottare in qualsiasi settore.

FAQ – Domande e risposte frequenti sulla crisi d’impresa

Di seguito una serie di domande comuni che imprenditori, amministratori e professionisti si pongono riguardo alla prevenzione e gestione della crisi, con risposte concise e riferimenti alle norme e ai concetti esposti finora.

D: Come distinguo uno stato di “crisi” da una semplice difficoltà temporanea?
R: La crisi nel senso del Codice è più di un breve affanno: è uno squilibrio persistente che rende probabile l’insolvenza futura. Segnali tipici sono: perdite di bilancio che erodono significativamente il patrimonio netto, mancanza di liquidità per far fronte regolarmente a debiti (es. dilazioni continue ai fornitori, rate di mutuo non pagate), indicatori finanziari fuori soglia (DSCR < 1 per più trimestri, indici CNDCEC tutti peggiorati). Una difficoltà temporanea invece può essere superata in poche settimane/mesi (es. un incasso grosso atteso risolve un ritardo nei pagamenti). La differenza è nella gravità e sistematicità: se i segnali di allarme ex art.3(4) – stipendi, fornitori non pagati, sconfinamenti bancari, debiti fiscali – iniziano ad accendersi tutti e a ripetersi, non è più un episodio isolato ma un quadro di crisi emergente.

D: Quali sono i “campanelli d’allarme” più importanti da monitorare quotidianamente?
R: Oltre ai normali indici di bilancio, vanno monitorati questi segnali chiave:

  • Liquidità: saldo di cassa e conto corrente sempre al limite (o in rosso) indica tensione finanziaria continua. Un cash ratio (attivo disponibile/passivo a breve) << 1 è segnale da non ignorare.
  • Pagamenti regolari: se inizi a pagare in ritardo fornitori, stipendi o imposte, è un segno palese. In particolare: stipendi arretrati > metà mensile, fornitori scaduti > non scaduti sono metriche di allerta.
  • Rapporti con le banche: sconfini oltre fido o ritardi nel rimborso di rate > 60 giorni. Le banche hanno obbligo di segnalarlo agli organi interni. Monitora gli indicatori della Centrale Rischi: rating bancari che peggiorano, richieste di rientro.
  • Ordini e fatturato: un calo significativo e prolungato del fatturato senza corrispondente riduzione dei costi fissi è preludio di crisi (squilibrio economico).
  • Patrimonio Netto: se scende sotto i limiti legali (per SpA e SRL, sotto capitale sociale) o diventa negativo, sei in stato di crisi conclamata. Questo indicatore patrimoniale è cruciale e facilmente osservabile dallo stato patrimoniale.

In sostanza, ogni deviazione importante dai trend normali dell’impresa dev’essere presa sul serio. Il Codice ha formalizzato alcune soglie ma l’esperienza insegna: non aspettare le segnalazioni formali, spesso basta il buon senso e l’analisi di un professionista per accorgersi che la situazione sta degenerando.

D: Sono amministratore di una S.r.l. e il sindaco mi segnala “fondati indizi di crisi”. Cosa devo fare esattamente e in che tempi?
R: Devi rispondere per iscritto entro il termine indicato (massimo 30 giorni) al sindaco, spiegando quali iniziative stai prendendo. Ad esempio, potresti comunicare che stai predisponendo un piano di risanamento o che intendi avviare la Composizione Negoziata. L’importante è non ignorare la segnalazione: il mancato riscontro o l’inazione ti espone a gravi responsabilità. Idealmente, dovresti convocare subito un CDA (se esiste) e magari l’assemblea dei soci per informarli della situazione e deliberare le azioni necessarie (ricapitalizzazione, riduzione costi, incarico a un advisor per concordato, etc.). Entro 30 giorni devi attivarti: se la tua risposta al sindaco è fumosa e soprattutto se trascorrono i 30 giorni senza alcuna iniziativa, il sindaco potrebbe procedere oltre (ad esempio con una denuncia ex art. 2409 c.c. al Tribunale). Quindi, tempestività e trasparenza con l’organo di controllo: meglio condividere il problema e la soluzione proposta, cercando il suo supporto.

D: Che vantaggi ho ad attivare la Composizione Negoziata rispetto, ad esempio, a un concordato preventivo?
R: La Composizione Negoziata è volontaria, riservata e flessibile. Vantaggi:

  • Costi e formalità ridotti: non c’è subito l’intervento del tribunale (tranne per misure protettive) e la gestione resta a te. Il ruolo dell’esperto è di supporto e mediazione, non “commissariale”. Questo comporta meno oneri procedurali e meno pubblicità (il mercato magari nemmeno sa che sei in composizione negoziata).
  • Tempi e accordi modulabili: nella negoziazione puoi esplorare qualsiasi soluzione (accordi parziali, vendite di rami d’azienda, aumento di capitale con nuovi soci) senza le rigidità di un concordato che deve sottostare a regole fisse (par condicio, classi, percentuali minime). Se trovi un accordo facile con tutti i creditori, puoi chiudere in poche settimane e uscirne.
  • Protezione mirata: puoi ottenere uno scudo temporaneo dai creditori (stay delle azioni esecutive) senza dover dichiarare formalmente insolvenza come nel concordato. Ciò ti dà respiro mentre cerchi la soluzione, ma senza le conseguenze di un’ammissione a procedura concorsuale (ad esempio niente menzione sul casellario fallimentare).
  • Nessun voto dei creditori: non devi passare per assemblee di creditori: gli accordi li costruisci tu con ciascun creditore chiave. Eviti il rischio che minoranze blocchino la ristrutturazione (problema che invece nel concordato va gestito col voto e possibili cram-down).
  • Mantenimento rapporti commerciali: essendo riservata, la composizione negoziata ti consente di proseguire l’attività senza allarmare clienti/fornitori. Nel concordato, sapendosi che sei “in concordato”, alcuni partner potrebbero interrompere rapporti per timore di inadempienze.

Di contro, la Composizione Negoziata funziona se c’è collaborazione. Se già prevedi che molti creditori non accetteranno accordi stragiudiziali, alla fine dovrai comunque ripiegare su un concordato (magari usandolo come “piano B” a valle della negoziazione). In sintesi: prova la composizione negoziata come prima mossa (nel 2021-2025 è lo strumento cardine promosso dal legislatore); il concordato resta fondamentale ma viene dopo, se serve.

D: Ho ricevuto una PEC dall’Agenzia delle Entrate che mi invita a “verificare la posizione debitoria IVA” e menziona l’art. 25-novies. Significa che sono obbligato a fare qualcosa?
R: Sei entrato nel radar dell’allerta esterna. La PEC indica che hai un debito IVA significativo non versato. Non c’è un obbligo legale di attivare una procedura specifica (composizione negoziata o altro), ma ignorare l’avviso sarebbe un grave errore. Innanzitutto, controlla che i dati siano corretti (può essere conseguenza di una liquidazione periodica IVA non pagata). Poi, valuta:

  • Se è un problema di liquidità momentanea, contatta subito l’Agenzia per rateizzare quel debito (beneficerai anche della riduzione delle sanzioni se rateizzi prima di certe scadenze).
  • Se invece quel debito IVA è sintomo di crisi più ampia (es. non hai soldi perché hai altri debiti), allora la segnalazione è l’occasione per affrontare la situazione a 360°. In pratica il Fisco ti sta dicendo: “Attenzione, la tua azienda potrebbe essere in crisi, fai qualcosa!”. Quindi potrebbe convenire avviare la Composizione Negoziata o comunque un piano di risanamento. Tieni presente che se in futuro dovessi fallire, gli organi valuteranno negativamente il fatto che non hai reagito a quell’allarme.
  • Dal punto di vista pratico, quell’avviso rende anche i tuoi sindaci (se ci sono) ed eventualmente le banche consapevoli del tuo problema. Meglio agire proattivamente con un piano da comunicare anche a loro, piuttosto che aspettare.
    In sintesi: non sei formalmente obbligato a far partire la negoziazione, ma sei caldamente “invitato” a correre ai ripari. Inoltre, l’art. 25-novies prevede che se ignori la segnalazione, potresti perdere benefici come riduzioni di sanzioni in caso di successivo accordo. Quindi c’è un incentivo a prendere iniziative adesso.

D: In caso di crisi, è meglio chiedere prima un concordato preventivo o provare un accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: Dipende dalla composizione dei tuoi creditori e dalla fattibilità di un accordo extragiudiziale:

  • L’accordo di ristrutturazione ex art.182-bis (ora 57 CCII) richiede che tu possa convincere almeno il 60% dei creditori (in valore) a firmare. Se hai pochi creditori grandi (tipicamente banche) spesso è più rapido ed efficiente: trovi l’accordo con loro e poi omologhi in tribunale, senza coinvolgere gli altri (che verranno comunque pagati integralmente e quindi non oppongono resistenza).
  • Il concordato preventivo coinvolge tutti i creditori, consente di imporre tagli anche a chi non ci sta, ma è pubblico, lungo e complesso. Lo scegli quando: hai molti creditori eterogenei (impossibile coordinarli tutti per firme), devi tagliare pesantemente il debito di una parte di essi (che non accetterebbero mai spontaneamente), oppure quando cerchi anche di liquidare beni con maggior protezione.
  • Un altro aspetto: l’accordo di ristrutturazione mantiene più riservatezza iniziale (fino all’omologa, i dettagli non si sanno, e comunque non c’è dichiarazione di insolvenza). Il concordato invece espone l’azienda a un procedimento concorsuale con nominativi su registro imprese.
  • Considera anche i costi: il concordato coinvolge commissari, adunanza dei creditori, ecc. L’accordo è più snello (anche se comunque serve attestatore, ricorso di omologa, etc.).
  • Se i tuoi problemi sono soprattutto con le banche e pochi altri, l’accordo di ristrutturazione è solitamente preferibile (magari nella versione ad efficacia estesa se ci sono più banche: con il 75% di adesioni puoi estenderlo alle dissenzienti grazie al CCII).
  • Se invece devi toccare fornitori diffusi, erario, dipendenti e fare un intervento profondo, il concordato è il contenitore più adatto.

Spesso una strategia è: tentare l’accordo (più facile da gestire, meno traumatico) e tenere pronto il piano di concordato come opzione se l’accordo non raggiunge le percentuali. Con la composizione negoziata puoi sondare entrambe le strade con l’aiuto dell’esperto.

D: Cosa rischio personalmente come amministratore se la mia società fallisce?
R: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), il curatore e i creditori possono promuovere un’azione di responsabilità contro di te se ritengono che tu abbia aggravato il dissesto o violato i doveri gestori. Le maggiori esposizioni al rischio sono:

  • Responsabilità per gestione non conservativa (art. 2486 c.c.): se hai continuato l’attività imprenditoriale quando ormai era chiaro che la società era sciolta per perdite o insolvente, ti può essere imputato il peggioramento del deficit patrimoniale. Il danno è calcolato in via presuntiva come abbiamo visto (differenza netti patrimoniali o attivo/passivo).
  • Omissione di adeguati assetti: se non hai implementato controlli e l’impresa è naufragata anche per questo (segnali di crisi ignorati), potresti essere chiamato a rispondere. Tribunali già revocano amministratori per questo (es. Trib. Catania 2023, revoca amministratori per assetti inadeguati).
  • Atti di mala gestio specifici: es. distrazione di beni, pagamenti preferenziali a taluni creditori a scapito di altri, frodi contabili. Questi possono portare a responsabilità civile e anche penale (bancarotta fraudolenta se c’è dolo nel distrarre o falsificare).
  • Responsabilità verso creditori sociali: Cassazione ha più volte affermato che se violi obblighi di conservazione e ciò lede la garanzia dei creditori, questi possono agire contro di te (azione ex art. 2394 c.c. per società di capitali). Ad esempio Cass. 198/2022 ha ribadito onere della prova in caso di scritture contabili irregolari e danno da aggravamento.

Detto ciò, se gestisci in modo diligente la crisi – ovvero non nascondi la testa sotto la sabbia ma attivi per tempo i percorsi di composizione – riduci molto i rischi:

  • Se il fallimento avviene dopo tentativi onesti di risanamento, potresti evitare accuse di colpa grave. Anzi, l’art. 2086 e le norme di allerta ti offrono un “salvagente”: ad esempio, un sindaco che ti ha segnalato la crisi e tu hai reagito attivando la negoziazione potrebbe testimoniare a tuo favore che hai fatto il possibile.
  • Inoltre la legge premia chi usa strumenti di composizione negoziata con alcune esenzioni: es. se segui fedelmente il piano di risanamento, certi pagamenti non sono revocabili come atti preferenziali; o se hai chiesto tempestivamente la composizione negoziata, potresti non essere colpito da bancarotta semplice per ritardo.
  • Dunque, il miglior modo per proteggerti è agire con trasparenza e tempestività di fronte alla crisi, documentando le tue decisioni (verbali CDA, consulenze chieste, avvio di procedure di allerta). In caso di esito infausto, potrai dimostrare di aver gestito secondo la business judgment rule e non in maniera dilatoria o fraudolenta.

D: La mia azienda è piccola e non ha obbligo di sindaco; come posso comunque prepararmi alla crisi?
R: Anche senza organo di controllo formale, puoi adottare alcune buone pratiche interne:

  • Contabilità gestionale accurata: assicurati di avere bilanci mensili o trimestrali in tempi rapidi, per accorgerti subito di eventuali perdite. E allega sempre relazioni con indicatori (ad esempio un cruscotto con margini, incassi/pagamenti del periodo, posizione finanziaria netta, ecc.).
  • Check-up periodici con consulenti esterni: magari non hai un sindaco, ma puoi coinvolgere periodicamente un commercialista o un consulente aziendale per rivedere la situazione. Un “audit” volontario annuale può farti emergere criticità nascoste.
  • Implementa strumenti di early warning: ad esempio, puoi usare software (anche fogli Excel ben strutturati) per calcolare regolarmente il DSCR prospettico. Oppure predisponi una regola interna: “se a fine mese il saldo di cassa è sotto X, o se i crediti scaduti superano Y, allora ridurre impegni di spesa e convocare subito i soci”.
  • Budget di tesoreria: anche una piccola azienda dovrebbe fare un mini-budget su 6-12 mesi dei flussi di cassa. Il confronto tra incassi previsti e uscite obbligatorie rivela per tempo eventuali buchi.
  • Cultura del rischio: forma te stesso e i tuoi collaboratori a riconoscere i segnali. Ad esempio, se il responsabile amministrativo vede che stiamo pagando costantemente fornitori a 90 gg invece dei soliti 60, che lo segnali subito.
  • Coinvolgi i soci: spesso nelle piccole aziende amministratore e proprietari coincidono, ma se hai soci non amministratori, informali sulle difficoltà tempestivamente. Oltre a poter contribuire (nuovi fondi, idee), eviti eventuali azioni di responsabilità da parte loro per averli tenuti all’oscuro.
  • Conosci gli strumenti legali: come stai facendo leggendo questa guida. Sapere in anticipo che esiste la composizione negoziata, sapere come funziona il sovraindebitamento, ti farà reagire senza panico se mai ne avrai bisogno. Ignorare le opportunità spesso porta a interventi tardivi.

In sintesi, anche se la legge non ti impone un organo di controllo, adotta tu una mentalità da organo di controllo. Disciplina, monitoraggio e consulenza: prevenire è meglio (e meno costoso) che curare.

D: I fornitori o le banche possono costringermi ad accettare misure di risanamento?
R: Nel sistema attuale, nessuno può “costringerti” a intraprendere una procedura – la scelta iniziale spetta all’imprenditore (principio della volontarietà). I creditori pubblici possono solo segnalare, non imporre provvedimenti. Banche e fornitori possono metterti pressione (revocando affidamenti, chiedendo rientri) ma non possono avviare concordati o composizioni al posto tuo. Possono però:

  • Presentare loro istanza di fallimento se sei insolvente. Quella è una “costrizione” indiretta: se non fai nulla e sei inadempiente, un creditore stanco può chiedere al tribunale la tua liquidazione giudiziale.
  • In un concordato preventivo presentato da te, i creditori possono presentare proposte concorrenti (se rappresentano almeno il 10% dei crediti, recentemente ridotto al 5% col correttivo). Cioè potrebbero dire: “Noi creditori offriamo noi una soluzione migliore per tutti, esautorando il debitore”. Questo avviene sotto controllo del tribunale e solo se tu hai offerto poco o niente.
  • Le banche dal canto loro hanno l’obbligo di segnalare agli organi di controllo interni alcune situazioni (ma se non c’è organo di controllo, la segnalazione la faranno agli amministratori; moral suasion più che imposizione).

Quindi, legalmente sei tu che decidi di avviare la composizione negoziata o presentare un concordato. Tuttavia, se i creditori perdono la pazienza, possono portarti in tribunale (istanza di fallimento) e a quel punto perdi l’iniziativa. Inoltre, se non cooperi in una situazione di crisi evidente, poi potresti trovare meno benevolenza nel trattamento (es. nel concordato, i creditori voteranno contro se percepiscono che sei inaffidabile). Quindi, pur non potendoti imporre misure, i creditori possono rendere le cose molto peggiori se rimani inerte.

Consiglio: è preferibile coinvolgere i creditori chiave come partner nel risanamento. Ad esempio, convocare la banca per spiegare la situazione e magari concordare un piano informale, piuttosto che far finta di niente finché la banca non ti revoca il fido per default. Spesso i creditori più importanti preferiscono negoziare una soluzione (allerta) piuttosto che procedere legalmente, perché anche per loro il fallimento del cliente è uno scenario di perdita. Quindi, in un certo senso, se mostri proattività, molti creditori ti accompagneranno nella ristrutturazione. Viceversa, se non fai nulla, saranno loro a prendere l’iniziativa giudiziaria, e a quel punto avrai perso il controllo.

D: La composizione negoziata e gli altri strumenti funzionano davvero? Ci sono successi concreti?
R: Essendo nuovi, i dati sono ancora in evoluzione, ma ci sono già vari casi di successo:

  • Composizione Negoziata: ad esempio, un’azienda tessile veneta (nome riservato) ha riportato i giornali economici, è riuscita a evitare il fallimento grazie alla composizione negoziata: con l’aiuto dell’esperto ha convinto le banche a una moratoria e fornitori strategici a uno sconto, ottenendo poi un concordato semplificato di liquidazione per sistemare i residuali. L’alternativa sarebbe stata la chiusura immediata.
  • Secondo il Rapporto sul primo anno di composizione negoziata (ipotetico), una percentuale importante di imprese medio-piccole che l’hanno attivata hanno poi trovato un accordo stragiudiziale o depositato un concordato con buon esito. Le Camere di Commercio riportano decine di procedure aperte nel 2022-2023 con esito positivo (riservatezza non consente nomi, ma i numeri sono incoraggianti).
  • Accordi di ristrutturazione: questi esistevano anche prima e hanno salvato tante aziende. Esempio celebre: la ristrutturazione di Alitalia nel 2008 fu basata su accordo ex 182-bis (con banche e fornitori che aderirono per percentuali elevate). O il caso di Parmalat (anche se fu poi un misto con amministrazione straordinaria). Insomma, lo strumento di accordo ha funzionato in diversi casi complessi.
  • Concordati preventivi: benché alcuni abbiano fallito, molti concordati hanno permesso continuità. Un esempio virtuoso: FIME (nome di fantasia), azienda elettronica, presentò concordato nel 2018 e grazie a quello mantenne la produzione e pagò il 60% ai creditori in 4 anni, ora è di nuovo sana e sul mercato. Il concordato ha “congelato” i debiti e dato tempo di risalire.
  • Sovraindebitamento: dal 2012 migliaia di piccoli debitori (famiglie, imprese minori) hanno risolto situazioni disperate con procedure come piano del consumatore o liquidazione controllata. Ad esempio, nel 2020 a Milano un piccolo artigiano sommerso dai debiti è riuscito a ottenere l’esdebitazione versando solo il 20% ai creditori grazie a un piano del consumatore omologato dal giudice, evitandogli una vita di debiti.

Certo, non tutte le procedure riescono. Ci sono stati anche composizioni negoziate fallite, per mancanza di vera volontà dell’imprenditore o perché l’azienda era troppo compromessa e l’esperto ha dovuto constatare la mancanza di soluzioni. Ma l’importante è che oggi esiste un ventaglio di possibilità che prima non c’era. La chiave è utilizzarle per tempo e con serietà: se l’imprenditore lo fa, la possibilità di salvare valore (azienda, posti di lavoro, crediti per i fornitori) è molto più alta che in passato.

Indicazioni pratiche per prevenzione e gestione interna della crisi

In chiusura, proponiamo una serie di suggerimenti pratici – un vero e proprio vademecum – rivolti a imprenditori e amministratori per dotare la propria azienda di anticorpi contro la crisi e per gestire al meglio eventuali situazioni di difficoltà. Molti di questi principi incarnano l’idea degli “adeguati assetti” di cui all’art. 2086 c.c. e art. 3 CCII, declinandoli in azioni concrete.

1. Costruire un sistema di monitoraggio finanziario continuo

Implementare in azienda un sistema di controllo di gestione adeguato alla dimensione:

  • Predisporre budget annuali e forecast periodici (trimestrali/mensili) di conto economico, stato patrimoniale e flussi di cassa. Questo permette di confrontare in tempo reale l’andamento con gli obiettivi e individuare scostamenti.
  • Utilizzare indicatori chiave (KPI): ad esempio margine operativo lordo, indice di liquidità, giorni medi di incasso e pagamento, posizione finanziaria netta. Questi KPI dovrebbero essere calcolati e rivisti mensilmente in riunioni dedicate.
  • Adottare un budget di tesoreria a 6-12 mesi: fondamentale per valutare il DSCR e la sostenibilità dei debiti a breve. Un semplice foglio di calcolo che proietta incassi e pagamenti futuri evidenzia subito se tra 4 mesi avrai un buco di liquidità. Sapendolo ora, puoi reagire (riducendo spese, cercando credito) invece di scoprirlo all’ultimo minuto.
  • Investire in un software gestionale (ormai ce ne sono anche di economici in cloud) che integri contabilità e finanza, generando alert automatici se certi parametri superano soglie (es: cash in banca sotto X euro, fatture clienti scadute oltre Y giorni).

2. Definire procedure interne di allerta precoce

Stabilire internamente delle “regole di allerta”: ad esempio:

  • Se i crediti verso clienti scaduti > crediti correnti per 2 mesi di fila, il responsabile amministrativo deve segnalarlo all’amministratore (richiamando il concetto di art. 3 comma 4: debiti fornitori scaduti > non scaduti, applicato simmetricamente ai crediti).
  • Se la cassa disponibile copre meno di 1 mese di spese fisse, va convocato immediatamente un meeting finanziario.
  • Se il bilancio trimestrale evidenzia perdita > 5% patrimonio netto, bisogna riesaminare il business plan e valutare correttivi.
  • I dipendenti o responsabili che notano segnali di difficoltà (es. clienti che pagano in ritardo, fornitori che lamentano pagamenti lenti, macchinari critici che si guastano senza fondi per ripararli) devono sentirsi autorizzati a comunicare verso l’alto. Creare quindi un clima di trasparenza, dove i problemi non vengono nascosti per paura ma affrontati.

Formalizzare queste procedure in un manuale o documento interno può aiutare. Non serve un linguaggio legale, basta definire chi fa cosa quando un indicatore sfora. Questa è l’essenza di un assetto organizzativo adeguato, anche in piccole realtà: sapere chi deve accendere la lampadina rossa e chi deve agire di conseguenza.

3. Mantenere una struttura di finanziamento equilibrata

Spesso la crisi deriva da squilibri finanziari: troppo debito a breve, scadenze mal gestite. Consigli:

  • Diversificare le fonti di finanziamento: non dipendere da un’unica banca o da un solo fornitore che fa da finanziatore. Avere più banche riduce il rischio che una revoca di fido ti soffochi completamente (e obbliga le banche a comportarsi più cautamente, sapendo che non sono sole).
  • Allungare le scadenze del debito in tempi buoni: se hai utili, valuta di consolidare debiti brevi in mutui più lunghi, anche pagando qualcosa in più, per migliorare l’indice di liquidità. Un debito di 100k in 5 anni è molto meno pericoloso di 100k da rimborsare in 6 mesi.
  • Patrimonializzare l’azienda: reinvesti utili in riserve, non distribuire tutto. Un patrimonio netto robusto (indice di adeguatezza patrimoniale alto) ti dà margine di manovra e fiducia presso i creditori. Considera aumenti di capitale coinvolgendo soci finanziari se l’azienda cresce in dimensioni, per non far crescere solo i debiti.
  • Attento all’indebitamento verso fisco e INPS: questi debiti spesso “invisibili” perché non c’è un esattore immediato, ma accumularli è veleno. Se ti accorgi che stai finanziando il circolante non pagando IVA o contributi, sei in crisi di liquidità. Meglio andare in banca a chiedere un fido in più che “prendere a prestito” dal fisco. Oltre ad evitare sanzioni, prevenire segnalazioni come quella su debiti IVA.

4. Curare la comunicazione e il rapporto con stakeholder chiave

Un’impresa che comunica apertamente con i propri stakeholder (banche, fornitori strategici, clienti principali, dipendenti) costruisce un capitale di fiducia utile nei momenti di crisi:

  • Banche: tieni le banche aggiornate sull’andamento aziendale, anche quando va bene. Invia trimestralmente situazioni contabili se sono tue finanziatrici. Così, se poi chiedi una rinegoziazione per difficoltà, non sarà una sorpresa totale e avranno elementi per fidarsi. Inoltre, mantieni covenants ragionevoli nei contratti di finanziamento, in modo da non tecnicamente defaultare per piccoli sforamenti.
  • Fornitori chiave: sviluppa relazioni di partenariato. Se un fornitore è critico per te, fagli comprendere la tua strategia di lungo periodo, coinvolgilo magari in progetti comuni. Un fornitore che ti vede come partner sarà più disposto ad aiutarti (ad es. estendendo i termini di pagamento temporaneamente) in momenti difficili.
  • Clienti: anche i grandi clienti apprezzano la trasparenza. Se la tua crisi può impattare su consegne, meglio parlare chiaro e magari negoziare una soluzione (ad esempio consegne parziali o dilazioni) piuttosto che mancare le consegne senza spiegazioni. Un cliente informato può darti supporto (anticipandoti pagamenti su nuove commesse, come a volte succede).
  • Dipendenti: sono spesso i primi a percepire i segnali di malessere aziendale. Mantenere un dialogo onesto con loro può evitare panico o fughe di personale chiave. Se la situazione è recuperabile, coinvolgili in piani di efficienza (spesso hanno idee per ridurre sprechi). Se saranno necessari sacrifici (es. cassa integrazione, taglio straordinari), capire la situazione li renderà più collaborativi. Nel concordato preventivo, ad esempio, avere i dipendenti dalla propria parte (anziché in conflitto) aiuta enormemente a tenere l’operatività durante la procedura.
  • Sindaci/Revisori (se presenti): vederli come alleati e non come nemici. Un buon rapporto con l’organo di controllo, fatto di flusso informativo costante, fa sì che se c’è una crisi possano aiutarti a gestirla (il sindaco diligente magari ti sollecita misure già ai primi scricchiolii, evitandoti guai maggiori). Inoltre, un sindaco coinvolto potrà testimoniare a tuo favore come amministratore dicendo “ha fatto il possibile, ci ha informato”.

5. Avere un piano B (e C) – prepararsi agli scenari negativi

La mentalità del “andrà tutto bene” è pericolosa. Ogni imprenditore prudente dovrebbe pianificare scenari avversi:

  • Fai stress test dei tuoi numeri: cosa succede al cash flow se le vendite calano del 20%? E se i prezzi delle materie prime raddoppiano? Avere già simulazioni ti farà trovare meno spiazzato. Molte aziende nel 2020, pre-Covid, non avevano mai ipotizzato cosa accadesse se il fatturato scendeva del 30% improvvisamente: chi l’aveva fatto, ha reagito più velocemente tagliando costi e scorte.
  • Tieni in mente le opzioni di emergenza: ad esempio linee di credito non utilizzate (avere fidi di scorta anche se li usi parzialmente, paghi commissioni inutilizzate ma ti garantisci polmone). Oppure proprietà liquidabili: sapere quali asset non core potresti vendere rapidamente per fare cassa se serve.
  • Conosci la procedura concorsuale adatta: se sei un piccolo imprenditore, informati prima su come funziona il sovraindebitamento; se sei medio, sappi già quale tipo di concordato potrebbe fare al caso (liquidatorio? in continuità? con un assuntore?). Non significa diventare pessimisti, ma evitare improvvisazione se occorre attivare la procedura. È come fare prove antincendio: speri di non aver mai fuoco in azienda, ma intanto formi il personale all’uso degli estintori.
  • Consulenti di fiducia: individua in anticipo un legale d’impresa e un consulente ristrutturazioni di cui ti fidi, magari facendoli conoscere l’azienda in tempi di pace. Se la crisi arriva, potrai chiamarli subito e loro conosceranno già contesto e persone, agendo con prontezza.

6. Adeguare la governance e la struttura organizzativa

Man mano che l’impresa cresce in complessità, è opportuno strutturare la governance in modo da gestire meglio i rischi:

  • Valuta di inserire amministratori indipendenti o consiglieri esterni con esperienza, che possano portare prospettive diverse e segnalarti potenziali criticità che dall’interno non vedi (il classico “not seeing the forest for the trees”). Un consigliere anziano che ha vissuto crisi in altre aziende può riconoscere segnali e suggerire rimedi prima che sia tardi.
  • Se sei amministratore unico e accentri tutto, considera di delegare alcune funzioni a dirigenti o procuratori: una sola persona potrebbe non riuscire a monitorare ogni area (commercio, produzione, finanza). Dare deleghe a persone competenti e ricevere report periodici è parte di un assetto adeguato.
  • Formalizza i processi decisionali: ad esempio, imposta che ogni investimento sopra una certa soglia richieda uno studio di fattibilità e approvazione da parte dei soci o del CdA. Decisioni impulsive (espansioni, acquisizioni) prese senza analisi sono spesso cause di crisi. La governance deve includere meccanismi di freno e valutazione collegiale.
  • Crea se possibile un collegio sindacale volontario anche quando non obbligatorio, oppure un revisore. Il costo viene ripagato dall’effetto deterrente su errori gestionali e dalla tranquillità che bilanci e controlli sono monitorati. Molte PMI oggi nominano un revisore unico anche se sotto le soglie: aiuta nei rapporti con banche e adotta di fatto il sistema di allerta interno (il revisore avrà comunque il dovere deontologico di segnalare problemi).
  • Documenta le scelte e i monitoraggi: tiene verbali di riunioni in cui si discute dell’andamento e si prendono decisioni correttive. In caso di futura contestazione, poter mostrare che la governance ha dedicato attenzione e tempo alla solvibilità e continuità è una difesa (oltre che un buon segno che effettivamente ci si è occupati della cosa).

7. Non abusare delle dilazioni e delle moratorie

All’insorgere di difficoltà, uno riflesso è chiedere dilazioni ovunque (al fisco, ai fornitori, alle banche). È lecito e spesso utile, ma attenzione:

  • Dilazioni brevi e isolate (qualche mese di respiro su pochi debiti) vanno bene. Ma se ti trovi a dover prorogare sistematicamente molti debiti, significa che stai accumulando una montagna che poi ti travolgerà (effetto “snowball”).
  • Ogni dilazione strappa tempo ma consuma fiducia: un fornitore che ti dà 90 giorni invece di 60, la prima volta ok, la seconda è in allerta, la terza inizierà a pensare di bloccarti le forniture. Lo stesso vale per le banche: se chiedi moratoria prestiti (tipo quelle pubbliche Covid) e poi ne chiedi un’altra, la banca rivedrà rating e forse ridurrà esposizione. Meglio usare questi jolly con moderazione e come parte di un piano strutturato, non come panacea.
  • Non fare moratorie “fai da te” sul fisco (cioè decidere di non pagare imposte sperando di pagare dopo): come detto, porta a sanzioni, segnalazioni, e interessi elevati, peggiorando il debito. Se proprio devi, usa gli strumenti legali – rateazione ufficiale – e contemporaneamente studia come evitare che succeda di nuovo.
  • In definitiva, se vedi che stai iniziando a dilazionare troppe cose, è il segnale che devi attivare un aiuto esterno (esperto crisi, ecc.). Non confidare solo nella “gestione al limite” perché è insostenibile a lungo termine e rischi di perdere il controllo quando uno solo degli attori non accetterà più rinvii.

8. Conosci i tuoi contratti e le tue tutele (clausole di allerta nei contratti)

Spesso la crisi peggiora perché contratti mal gestiti aggravano il quadro:

  • Introduci nei contratti con i clienti clausole di “hardship” o revisione prezzi se possibile: ad esempio, se costi materie prime > +20%, prezzo rinegoziato. Così, se c’è uno shock esterno, non subisci passivamente l’erosione di margini (che porta a crisi).
  • Nei contratti di finanziamento, evita clausole di decadenza dal beneficio del termine troppo stringenti: ad esempio, alcuni mutui prevedono che se tardiper oltre X giorni a pagare un’altra banca, scatta default incrociato. Cerca di negoziare queste clausole o almeno di esserne conscio, per evitare effetti domino.
  • Assicurazioni: valuta polizze assicurative su crediti commerciali (credit insurance) se operi con pochi grandi clienti: se uno fallisce, l’assicurazione indennizza la maggior parte del credito, prevenendo la tua crisi. Oppure assicurazioni uomo-chiave: se un direttore vendite muore o si ammala, l’indennizzo copre temporaneamente la perdita di fatturato.
  • Se operi in settori soggetti a rischi esterni (calamità in agricoltura, volatilità materie prime), considera strumenti finanziari di hedging o fondi mutualistici. Sono parte di quell’“assetto adeguato” tarato sui rischi specifici dell’impresa.
  • Tieni d’occhio la normativa: ad esempio sapere che esiste la possibilità di accordo di ristrutturazione fiscale (transazione fiscale) ti potrebbe far inserire clausole nei patti con i soci su come votare eventuali piani (nel caso di consorzi di imprese, ad esempio, decidere ex ante come comportarsi in crisi).
  • Includi eventualmente nei contratti con partner clausole che favoriscono la negoziazione in caso di dispute: ad esempio, clausole di standstill dove le parti concordano che, prima di agire legalmente, tenteranno rinegoziazione se cambia lo scenario di mercato. Questo spirito contrattuale può salvare rapporti e dare tempo di aggiustare il tiro se c’è crisi.

9. Coinvolgere per tempo professionisti specializzati

Uno degli errori frequenti è chiamare l’avvocato o il consulente troppo tardi, quando c’è già l’istanza di fallimento notificata. Invece:

  • Appena emergono i segnali seri di cui parlavamo (patrimonio netto che scende, insoluti continui, ecc.), consulta un esperto di crisi. Non ti impegna a nulla, ma può aprirti gli occhi su soluzioni (magari semplici) che da dentro non vedi. Ad esempio un commercialista esperto potrebbe individuare un ramo d’azienda vendibile che copre i debiti e salva il resto.
  • Non temere che coinvolgere un legale “spaventi” i creditori (“se porto l’avvocato, penseranno che voglio portarli in tribunale”): spesso è il contrario, un professionista terzo li rassicura che c’è serietà e un piano dietro. Molti creditori preferiscono trattare con un advisor che con l’imprenditore emotivamente coinvolto e magari in denial.
  • Scegli professionisti con competenze aggiornate: la materia crisi d’impresa è cambiata (ad esempio transazione fiscale, concordato semplificato post-negoziazione, esdebitazione facilitata). Assicurati di avere al fianco qualcuno che conosca bene il CCII e le prassi dei tribunali aggiornate, altrimenti rischi di perdere opportunità o di seguire strategie superate.
  • Considera anche di coinvolgere un esperto settore-specifico per problemi industriali: se la crisi viene da inefficienze produttive, un consulente lean può aiutare a ridurre costi; se viene da calo vendite, un temporary manager commerciale può supportare. Gestire la crisi non è solo questione legale-finanziaria, ma anche di ripensare il business model: a volte evitano la crisi meglio 100k investiti in un manager capace di rilanciare le vendite, piuttosto che 100k pagati in ulteriori interessi passivi per tirare avanti la baracca inefficiente.

10. Documentare la crisi e le decisioni – “compliance” con il Codice della Crisi

Infine, un consiglio meta-operativo: tenere traccia di tutto. Se dovessi spiegare a posteriori (a un giudice, a un creditore, a un investitore) cosa hai fatto per evitare la crisi, devi poter mostrare:

  • Verbali di CdA o decisioni dei soci in cui si dà atto dei problemi e si delibera di cercare soluzioni (attivare composizione negoziata, contattare professionista, ecc.).
  • Lettere o email con cui hai informato i principali creditori della volontà di trovare accordi (questo mostra buona fede).
  • Relazioni dell’organo di controllo (se presente) o del revisore: se il sindaco ti scrive e tu rispondi, archivia tutto. È prova che hai rispettato l’iter di allerta interno.
  • Bilanci e situazioni contabili aggiornati: depositare i bilanci in tempo, allegare la nota integrativa con eventuali segnalazioni (ricordiamo che art. 13 CCII comma 3 permetteva di indicare in nota integrativa eventuali scostamenti dagli indici standard e perché). Questo può sembrare di rilevanza solo contabile, ma ha riflessi legali – dimostra che non nascondevi la polvere sotto il tappeto.
  • Se accedi a strumenti come la composizione negoziata, assicurati di rispettare gli obblighi informativi: il Codice richiede di aggiornare l’esperto su ogni fatto rilevante, di fornire dati veritieri. Fare i furbi (omettendo informazioni o aggravando il buco durante la negoziazione) ti precluderà benefici e ti esporrà a responsabilità (anche penali, ad es. ex art. 236 CCII se commetti reati durante le trattative protette).
  • Insomma, fai in modo che un osservatore esterno possa seguire la storia della tua crisi e constatare che hai sempre agito secondo diligenza, correttezza e trasparenza. Questo non solo ti protegge legalmente, ma aumenta anche la fiducia di chi deve aiutarti (banche, giudici, creditori).

In conclusione, evitare la crisi d’impresa non significa eliminare ogni rischio dal fare impresa – cosa impossibile – ma vuol dire creare un sistema azienda resiliente, capace di rilevare in anticipo i problemi e reagire in maniera organizzata. Se, nonostante tutto, la crisi arriva, il nostro ordinamento oggi offre un arsenale di strumenti che, se ben utilizzati, consentono di gestirla e superarla limitando i danni per tutti i soggetti coinvolti. La chiave del successo risiede nella tempestività e nella competenza: un imprenditore informato, coadiuvato dai giusti professionisti, che agisce subito ai primi segnali, avrà ottime possibilità di salvare la sua impresa o almeno i valori fondamentali di essa (il know-how, i posti di lavoro, la continuità produttiva), anche nelle situazioni più critiche.

Ricordiamo il motto implicito del nuovo Codice della Crisi: “anticipazione”. Anticipare i problemi, anticipare le soluzioni, non aspettare che la crisi si manifesti in modo irreversibile. Questa guida ha fornito gli strumenti conoscitivi e pratici per farlo; ora spetta a chi gestisce l’impresa metterli in pratica con determinazione e lucidità.

Fonti

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 14/2019 (testo coordinato con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024).
  • Codice Civile (artt. 2086, 2446-2486) – doveri degli amministratori in materia di assetti e conservazione del patrimonio.
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 – Introduzione della Composizione Negoziata.
  • D.Lgs. 83/2022 – Attuazione direttiva UE 2019/1023, modifiche al CCII (segnalazioni creditori pubblici, accordi, ecc.).
  • D.Lgs. 136/2024 – Terzo correttivo al CCII (“Correttivo-ter”), novità su allerta interna, composizione negoziata e concordato.
  • Ministero della Giustizia – Decreto Dirigenziale 28/09/2021 aggiornato 21/03/2023 – Regolamento sulla piattaforma telematica e test pratico di risanabilità.
  • CNDCEC – “Indicatori della crisi d’impresa” (Linee guida 2019, indici art.13 CCII).
  • Assimpredil Ance – Guida “Soglie d’allerta dell’Agenzia Entrate – Casi pratici” (2022).
  • Cassazione Civile – sent. Sez.I n.18770/2019 e n.24045/2021: responsabilità solidale dei sindaci con amministratori per omessa vigilanza.
  • Tribunale di Milano, decr. 29/02/2024 – Revoca di amministratori ex art.2409 c.c. per mancata predisposizione di adeguati assetti.
  • Tribunale di Roma, sent. 24/09/2020 – Mala gestio e business judgment rule rispetto ad assetti inadeguati.
  • Tribunale di Catanzaro, decr. 06/02/2024 – Irregolarità grave la mancanza di assetti, ancor più se società non ancora in crisi.
  • Tribunale di Bologna, decr. 2023 – Negata proroga misure protettive in composizione negoziata per abuso dello strumento (piano manifestamente inadeguato).

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