Vendita Società Sas Con Debiti: A Cosa Stare Attenti

Hai una SAS con debiti e stai valutando di cederla? Oppure ti hanno proposto l’acquisto di una società in accomandita semplice già avviata ma con qualche pendenza? In entrambi i casi, è fondamentale sapere a cosa fare attenzione prima di firmare. Perché quando si tratta di società di persone, i rischi non ricadono solo sull’azienda, ma anche sulle persone fisiche coinvolte.

Ma è davvero possibile vendere una SAS con debiti ancora aperti? E cosa succede ai soci?

La risposta è sì: la cessione è possibile, ma deve essere gestita con estrema cautela, perché nelle SAS i soci accomandatari rispondono con il proprio patrimonio personale dei debiti sociali. Questo vuol dire che cedere o acquistare una SAS indebitata senza una corretta tutela può significare ereditare problemi seri.

Chi acquista la società eredita i debiti? E il socio che esce è automaticamente salvo?

Chi entra come nuovo socio accomandatario può essere chiamato a rispondere anche per debiti pregressi, soprattutto se non vengono tracciati e delimitati chiaramente al momento della cessione. E chi esce potrebbe non essere del tutto al riparo, se non ci sono clausole di manleva o se il creditore agisce comunque contro di lui, in assenza di comunicazioni ufficiali al Registro Imprese.

Come ci si tutela in questi casi? Basta un atto di cessione delle quote?

No, non basta. Serve:

  • una verifica attenta della posizione debitoria della SAS (cartelle, accertamenti, contratti in essere);
  • un atto notarile o scrittura privata con clausole chiare, che regolino responsabilità e passaggi;
  • la comunicazione tempestiva delle modifiche societarie alla Camera di Commercio e all’Agenzia delle Entrate;
  • e soprattutto, l’assistenza di un avvocato esperto in diritto societario e debiti aziendali.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati specializzati in società di persone, passaggi societari e crisi aziendali – ti spiega come affrontare la vendita di una SAS con debiti, quali sono i rischi reali per chi vende e chi subentra, e cosa possiamo fare per proteggerti legalmente in ogni fase dell’operazione.

Hai una SAS con debiti e vuoi cederla senza lasciare problemi aperti? Vuoi acquistare una società già avviata ma non vuoi ereditare i debiti altrui?

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: valuteremo insieme la situazione della tua società, verificheremo ogni criticità e ti accompagneremo con una strategia legale sicura e personalizzata, per vendere o acquistare senza rischi e senza sorprese.

Introduzione

La vendita di una società in accomandita semplice (SAS) indebitata è un’operazione delicata che richiede attenzione su molteplici fronti. Dal punto di vista del debitore (cioè dell’imprenditore o socio cedente gravato dai debiti), è fondamentale comprendere a cosa stare attenti per evitare conseguenze finanziarie e giuridiche indesiderate. In questa guida avanzata – aggiornata a giugno 2025 – analizzeremo in dettaglio come affrontare la cessione di una SAS con debiti, esaminando sia la cessione dell’intera azienda (cessione di azienda) sia la cessione di quote o partecipazioni sociali, e considerando tutti i tipi di debiti coinvolti (fiscali, previdenziali, bancari, verso fornitori, verso dipendenti, ecc.).

Parleremo delle responsabilità che rimangono in capo al venditore e a chi subentra, incluse eventuali responsabilità penali connesse a vendite “spregiudicate” di società indebitate. Forniremo anche strumenti pratici: clausole contrattuali esempio, checklist operative, modelli di scrittura privata e simulazioni di casi reali italiani. Il tutto con un linguaggio giuridico preciso ma accessibile anche a imprenditori e privati, organizzato in modo chiaro con tabelle riepilogative, FAQ e riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati 2024-2025.

In sintesi, vendere una SAS carica di debiti non significa automaticamente liberarsi delle passività: i debiti seguono l’azienda o rimangono in capo ai soci a seconda dei casi. Occorre perciò pianificare con cura la vendita, negoziare accordi chiari con l’acquirente (ad esempio su chi pagherà quali debiti) e conoscere i propri obblighi di legge per evitare errori costosi o addirittura reati. Nelle sezioni seguenti esamineremo tutti questi aspetti nel dettaglio.

Tipologie di vendita di una SAS indebitata: cessione d’azienda vs cessione di quote

Quando si parla di vendita di una SAS con debiti, occorre distinguere due modalità fondamentali di trasferimento della proprietà:

  • Cessione dell’intera azienda: il complesso aziendale (beni, avviamento, contratti, ecc.) della SAS viene trasferito a un terzo. In questo caso, la società cedente potrebbe successivamente cessare l’attività o essere liquidata, ma formalmente la titolarità dell’azienda passa all’acquirente esterno (che può essere un’altra società o persona fisica). Si tratta di una cessione di azienda disciplinata dagli artt. 2558–2560 c.c., con effetti specifici sui debiti.
  • Cessione di quote o partecipazioni: vengono cedute le partecipazioni societarie (ossia le quote detenute dai soci) della SAS, integralmente o in parte. In questo caso non cambia il soggetto giuridico titolare dell’azienda (la SAS resta la stessa), ma ne cambia la compagine sociale. Il nuovo acquirente subentra come socio (accomandatario o accomandante a seconda dei casi) e l’azienda continua in capo alla medesima società, che mantiene i suoi debiti e crediti.

Queste due modalità comportano differenze sostanziali in termini di responsabilità per i debiti:

  • Nella cessione di azienda, l’acquirente dell’azienda può ritrovarsi obbligato in solido con il venditore per i debiti aziendali anteriori al trasferimento, se tali debiti risultano dalle scritture contabili obbligatorie. Il Codice Civile (art. 2560 c.c.) stabilisce infatti che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda anche l’acquirente, se essi risultano dai libri contabili obbligatori”. D’altra parte, l’alienante (venditore) non è liberato da tali debiti verso i creditori, salvo che questi ultimi abbiano espressamente consentito a liberarlo. Ciò significa che, in assenza di un accordo con ogni creditore, dopo la vendita entrambi – cedente e cessionario – restano co-obbligati per i debiti d’azienda noti (in proporzione e secondo le regole di legge che vedremo).
  • Nella cessione di quote, invece, la società rimane titolare di tutti i debiti esistenti. Formalmente non vi è un trasferimento di debiti a un altro soggetto: i debiti restano alla società SAS, che ora ha nuovi proprietari. Tuttavia, occorre distinguere tra soci accomandatari (illimitatamente responsabili) e soci accomandanti (responsabili limitatamente al conferimento). Se viene ceduta la quota di un socio accomandatario (il socio amministratore a responsabilità illimitata), il nuovo socio accomandatario non risponde automaticamente con il proprio patrimonio personale dei debiti sorti prima del suo ingresso – tali debiti restano a carico della società e del precedente accomandatario per il periodo in cui quest’ultimo era in carica. Infatti, secondo la costante giurisprudenza, l’ex socio accomandatario risponde (illimitatamente e solidalmente) dei debiti sociali sorti fino al momento in cui la cessione della sua quota è stata iscritta nel Registro delle Imprese. Questo principio (derivante dall’art. 2290 c.c., richiamato per le SAS dall’art. 2315 c.c.) tutela i creditori: ad esempio un socio accomandatario uscente rimane obbligato in via sussidiaria per le obbligazioni tributarie sorte prima della cessione. Il nuovo accomandatario, invece, risponderà illimitatamente solo dei debiti contratti dalla società dopo il suo ingresso. In altre parole, i creditori sociali anteriori alla cessione della quota potranno rifarsi sia sulla società sia (in ultima istanza) sul vecchio accomandatario, ma non sul patrimonio personale del nuovo socio per quei debiti pregressi. Diverso è il caso dei debiti sorti dopo il trasferimento delle quote: di essi risponderà la società e i nuovi accomandatari (illimitatamente) per la loro gestione. I soci accomandanti, prima e dopo, restano limitati al capitale conferito, salvo abbiano indebitamente ingerito nella gestione.

⚖️ Esempio: Tizio è socio accomandatario di Alfa SAS ed ha accumulato debiti verso fornitori e debiti fiscali fino al 2024. Nel 2025 Tizio cede la sua quota di accomandatario a Caio, che subentra nella gestione. I debiti contratti fino al 2024 restano debiti della società Alfa SAS; i fornitori e il Fisco potranno pretendere il pagamento dalla società e, se questa non paga, potranno ancora agire sul patrimonio personale di Tizio (ex accomandatario) per quei debiti sorti durante la gestione di Tizio. Caio, nuovo accomandatario, non potrà essere costretto dai creditori a pagare di tasca propria quei vecchi debiti (non essendo socio al tempo in cui sorsero). Invece, se Alfa SAS contrae nuovi debiti nel 2025 sotto la gestione di Caio, di essi risponderanno la società e Caio come socio accomandatario (oltre ad eventuali altri accomandatari).

In sintesi, vendere l’intera azienda comporta un trasferimento esterno dei rapporti contrattuali e delle posizioni debitorie secondo le regole speciali sulla cessione di azienda, mentre vendere le quote sociali significa che la società (con i suoi debiti) resta la medesima ma cambiano i soggetti su cui i creditori possono eventualmente rivalersi (si sostituiscono i soci illimitatamente responsabili, con regole di continuità e salvaguardia per i creditori). Nelle sezioni seguenti approfondiremo come vengono trattate le diverse categorie di debiti in ciascuno scenario e quali tutele può predisporre il venditore per evitare sorprese.

Analisi delle varie tipologie di debiti e relative implicazioni

Prima di procedere alla vendita, un debitore che intenda cedere la propria SAS deve mappare attentamente tutti i debiti della società. Questo include debiti di diversa natura, ciascuno dei quali può avere un trattamento particolare in sede di trasferimento. Analizziamo le principali categorie di debiti e cosa comporta la loro presenza in caso di vendita:

Debiti fiscali e tributari

I debiti tributari (imposte dirette come IRPEF/IRES, IRAP, IVA, ritenute fiscali, ecc.) meritano un’attenzione prioritaria. La legge infatti prevede una disciplina specifica per il trasferimento dell’azienda con debiti fiscali, a tutela dell’Erario. In particolare, l’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 stabilisce che in caso di cessione di azienda il cessionario (acquirente) risponde solidalmente con il cedente per il pagamento delle imposte e delle sanzioni relative a violazioni tributarie commesse nell’anno in cui avviene la cessione e nei due anni precedenti, anche se non ancora accertate o contestate alla data della cessione. Questa responsabilità opera a prescindere dall’iscrizione dei debiti nei libri contabili (è una disciplina fiscale speciale derogatoria rispetto all’art. 2560 c.c.). In sostanza, se vendete oggi (2025) la vostra azienda e avete violazioni fiscali relative al 2023, 2024 o 2025, l’acquirente potrà essere chiamato dal Fisco a risponderne solidalmente con voi, anche se tali violazioni non erano ancora emerse ufficialmente al momento della vendita.

Tuttavia, questa responsabilità solidale tributaria è limitata da alcuni fattori chiave:

  • Innanzitutto opera con il beneficio della preventiva escussione a favore del cessionario. Ciò significa che il Fisco deve prima tentare di escutere il cedente (venditore) e solo se questi risulta insolvente o incapiente può rivalersi sull’acquirente dell’azienda. In altre parole, la responsabilità del compratore è sussidiaria, non primaria.
  • Inoltre, la responsabilità è limitata nel limite del valore dell’azienda acquisita. Il cessionario non può essere costretto a pagare imposte e sanzioni per un ammontare superiore al valore dell’azienda (o ramo d’azienda) trasferita. Il “valore” è determinato dall’accertamento dell’Ufficio o, se manca, dal valore dichiarato nel contratto di cessione. Ad esempio, se un’azienda del valore di 100.000 € viene ceduta, la responsabilità del compratore per debiti fiscali del cedente non potrà eccedere 100.000 €.
  • La legge consente di conoscere in anticipo la situazione debitoria tributaria dell’azienda: l’art. 14, co. 3, D.Lgs. 472/1997 prevede che il cedente o cessionario possano richiedere all’Agenzia delle Entrate un certificato dei carichi pendenti tributari, che attesta l’esistenza di contestazioni in corso e di debiti definitivi non soddisfatti alla data della cessione. In pratica, prima della vendita ci si può far rilasciare una certificazione sugli eventuali debiti fiscali in essere.
  • Se il certificato dei carichi pendenti è negativo (cioè non risultano debiti fiscali a carico dell’azienda) o se l’Agenzia non risponde entro 40 giorni dalla richiesta, il cessionario viene liberato dalla responsabilità solidale per i debiti non noti. In altre parole, l’ottenimento di un certificato liberatorio protegge l’acquirente anche rispetto a imposte dell’anno in corso non ancora accertate al momento della cessione. Su questo punto la Corte di Cassazione ha chiarito recentemente che il rilascio di un certificato negativo copre anche eventuali debiti relativi all’anno della cessione, benché non ancora accertati a quella data (Cass. trib. n. 9085/2023).

Dal punto di vista del venditore (debitore cedente), tutto ciò implica che vendere un’azienda con debiti fiscali non azzera il proprio debito verso l’Erario. L’Amministrazione Finanziaria potrà continuare a perseguire il venditore per l’intero importo dovuto. L’acquirente, se chiamato in causa, potrà rivalersi sul cedente in base agli accordi contrattuali tra loro, ma intanto rischia azioni di riscossione fino a concorrenza del valore aziendale. È quindi nell’interesse del cedente:

  • Informare l’acquirente di tutti i debiti fiscali noti e collaborare affinché si richieda il certificato fiscale prima della conclusione dell’affare.
  • Valutare con l’acquirente un eventuale accollo dei debiti tributari (l’acquirente che si fa carico di pagarli) e regolare il prezzo di conseguenza, oppure concordare che parte del prezzo resti in deposito (escrow) per far fronte a quei debiti.
  • Considerare che certe violazioni fiscali possono comportare responsabilità penale se si cerca di sottrarsi dolosamente al pagamento (vedi sezione sulle responsabilità penali). Ad esempio, trasferire asset o l’azienda per evitare che il Fisco pignori i beni potrebbe integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000), di cui diremo più avanti.

E nella cessione di quote? In caso di vendita delle partecipazioni della SAS, le regole sopra esposte (art. 14 D.Lgs. 472/97) non si applicano, perché quella norma riguarda espressamente il trasferimento d’azienda (non il mero cambio di soci). Pertanto, l’Agenzia delle Entrate non potrà invocare la responsabilità solidale fiscale del nuovo socio per i debiti tributari pregressi della società – la società stessa ne rimane unica debitrice. Tuttavia, attenzione: se i debiti fiscali non vengono pagati dalla società, il Fisco può comunque escutere la SAS e, se questa non paga, agire sui soci accomandatari che erano in carica nel periodo d’imposta cui si riferisce il debito (in base alla responsabilità illimitata). Ciò significa che, ad esempio, per cartelle esattoriali relative ad anni in cui era socio Tizio (ormai uscito), l’Erario potrà chiedere conto a Tizio come coobbligato illimitatamente responsabile. Il nuovo socio accomandatario Caio non risponderà con patrimonio personale di quegli stessi debiti pregressi, ma se la società continua a non pagarli, potrebbe subire conseguenze indirette (ad es. fermi amministrativi sui beni sociali, difficoltà gestionali, ecc.). Conviene dunque che prima della cessione delle quote le parti facciano emergere tutti i debiti tributari pendenti della società e concordino come gestirli (ad es. pagando i debiti fiscali pregressi prima del passaggio di quote, oppure riducendo il prezzo delle quote tenendo conto delle passività latenti, accompagnando il tutto da clausole di garanzia).

Riassumendo per i debiti fiscali: nella cessione d’azienda, legge speciale e certificati proteggono (in parte) l’acquirente ma lasciano il venditore esposto; nella cessione di quote, il “problema fiscale” rimane interno alla società e ai soci uscenti. In ogni caso, da venditore, è bene non occultare debiti fiscali: oltre ai rischi contrattuali, si rischiano sanzioni e, in casi gravi, imputazioni penali.

Debiti previdenziali e contributivi

I debiti previdenziali riguardano principalmente i contributi obbligatori dovuti agli enti come INPS (contributi pensionistici e assicurativi per dipendenti e collaboratori) e INAIL (assicurazione infortuni), oltre ad eventuali casse di previdenza professionali. Queste passività sono spesso collegate ai dipendenti o ai soci lavoratori.

In caso di cessione di azienda, la normativa civilistica generale (art. 2560 c.c.) si applica anche a tali debiti come a qualsiasi altro debito “d’impresa”. Dunque, l’acquirente dell’azienda risponde dei debiti contributivi se e solo se risultano dai libri contabili obbligatori alla data del trasferimento. Ad esempio, se dal bilancio o dalla contabilità emergono contributi INPS arretrati per 10.000 €, il cessionario ne risponde in solido con il cedente. Se invece il cedente ha omesso di contabilizzare certe pendenze contributive, il compratore non ne risponderà verso l’ente previdenziale (resta però responsabile il cedente). In pratica, INPS e INAIL sono considerati creditori come gli altri: non c’è nell’ordinamento una norma specifica analoga a quella fiscale che estenda la responsabilità del compratore oltre i limiti di 2560 c.c. (salvo casi particolari di frodi o normative di settore). Di conseguenza, vale la regola generale: l’ente previdenziale potrà pretendere il pagamento dei contributi arretrati sia dal cedente sia dal cessionario, ma solo se questi debiti figuravano dalle scritture contabili aziendali. Se non figuravano, il creditore (INPS, ecc.) non può aggredire direttamente l’acquirente, rimanendo il venditore obbligato esclusivo (oltre ovviamente alla responsabilità della società ceduta stessa, se ancora esistente).

Va ricordato che, parallelamente, l’art. 2112 c.c. (in tema di rapporti di lavoro) prevede espressamente la responsabilità solidale di cedente e cessionario per tutti i crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento. In tali crediti rientrano non solo retribuzioni e TFR, ma anche contributi previdenziali dovuti (in quanto i lavoratori potrebbero rivalersi sul datore per i contributi non versati, oltre all’azione diretta degli enti). Pertanto, cedente e cessionario d’azienda sono solidalmente obbligati a sanare eventuali omissioni contributive relative ai lavoratori trasferiti, in quanto crediti dei lavoratori stessi ex art. 2112 c.c.. Ad esempio, se al momento della cessione alcuni contributi non erano stati versati e i lavoratori ne risultano scoperti, questi ultimi potrebbero esigere dal nuovo datore (cessionario) i versamenti dovuti, in solido col precedente.

Dal punto di vista pratico, per il venditore debitore, è fondamentale verificare lo stato contributivo della società prima della vendita e metterlo a disposizione del compratore. Strumenti utili sono il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva): un certificato rilasciato dagli enti previdenziali che attesta la situazione aggiornata dei versamenti contributivi. Un DURC regolare rassicura l’acquirente che non vi siano pendenze occulte verso INPS/INAIL. Spesso il DURC è richiesto nelle transazioni, e un DURC irregolare potrebbe far saltare la trattativa o implicare che parte del prezzo di vendita venga destinato a saldare i contributi dovuti.

Cessione di quote: se invece si vendono le quote della SAS, la società rimane debitrice di eventuali contributi non pagati. L’INPS potrà agire contro la società e, similmente al discorso fiscale, contro i soci accomandatari che erano presenti nel periodo di omissione contributiva (ad esempio, se vi sono sanzioni per omesso versamento contributi relative a quando Tizio era accomandatario, INPS potrà chiedere conto a Tizio per quelle somme). Il nuovo socio accomandatario non sarà personalmente obbligato per i contributi arretrati precedenti (non avendo egli rivestito la qualità di datore di lavoro all’epoca), ma dovrà comunque gestire la società che li deve pagare, pena azioni di recupero sul patrimonio sociale e possibili insinuazioni di credito. Anche qui, quindi, per il venditore è opportuno:

  • Regolarizzare i contributi prima della cessione, se possibile, utilizzando anche eventuali rateizzazioni o condoni disponibili.
  • Rendere edotto il compratore di ogni debito con INPS/INAIL, includendolo nelle trattative e nella documentazione.
  • Prevedere contrattualmente chi pagherà tali debiti (es. venditore che si accolla il debito e lo estingue subito, oppure riduzione del prezzo e accollo da parte del compratore).

Ricordiamo che l’omesso versamento di contributi oltre una certa soglia (pari a € 10.000 annui per le ritenute previdenziali) costituisce reato ai sensi dell’art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 (convertito in L. 638/1983). La vendita della società non estingue la responsabilità penale del titolare o legale rappresentante per eventuali contributi non versati quando era in carica. Dunque, vendere non mette al riparo da possibili denunce penali se in passato si è omesso il versamento di contributi dovuti: anzi, può far emergere la problematica al nuovo acquirente, il quale potrebbe pretendere dal venditore garanzie o addirittura segnalare la situazione.

Debiti bancari e finanziari

Le esposizioni bancarie (mutui, finanziamenti, fidi di cassa, leasing) e in generale i debiti verso istituti di credito o soggetti finanziari pongono problematiche specifiche in caso di vendita di una società o azienda:

  • Mutui e finanziamenti intestati alla società: se si effettua una cessione di azienda, tali contratti non si trasferiscono automaticamente all’acquirente se non sono debiti “inerenti” all’esercizio dell’azienda nel senso tecnico del termine. In realtà, per i debiti bancari occorre distinguere: l’art. 2558 c.c. prevede il subentro dell’acquirente nei contratti aziendali, salvo che abbiano carattere personale o sia pattuito diversamente. Un contratto di mutuo o di finanziamento può essere considerato inerente all’azienda se ad esempio finanzia il circolante o beni aziendali; ma potrebbe essere escluso dal perimetro della cessione d’azienda se ad esempio è un mutuo ipotecario sulla sede (in quel caso spesso il trasferimento dell’immobile comporta l’accollo del mutuo da parte del compratore, con il consenso della banca). In generale, la banca deve approvare un’eventuale sostituzione del debitore: un mutuo aziendale potrà essere “accollato” all’acquirente dell’azienda solo con l’accordo dell’istituto di credito (un accordo di accollo liberatorio per il cedente). Se tale accordo non c’è, il cedente rimane obbligato verso la banca anche dopo aver venduto l’azienda. Pertanto, un venditore prudente deve:
    • Contattare anticipatamente la banca per informarla della cessione in programma e verificare se intende continuare il rapporto col nuovo acquirente (spesso la banca rivaluterà il merito creditizio del compratore).
    • Ottenere, se possibile, dalla banca una liberatoria per se stesso: ad esempio, in sede di vendita, far stipulare un contratto di accollo del debito da parte dell’acquirente in cui la banca libera il venditore dall’obbligazione originaria. In mancanza di ciò, il venditore potrebbe trovarsi ad aver venduto l’azienda ma a rimanere garante o coobbligato del mutuo.
    • Spesso, in pratiche ben gestite, il debito verso banca viene estinto contestualmente alla vendita utilizzando parte del prezzo pagato dall’acquirente. Così il compratore acquisisce l’azienda “libera” da ipoteche o pegni, e la banca viene soddisfatta. Questa è una soluzione da considerare nelle trattative.
  • Scoperti di conto, fidi e debiti di cassa: anche questi rientrano tra i debiti aziendali. In caso di cessione d’azienda, se risultano in contabilità (es. un debito verso banca di €X), l’acquirente ne risponde in solido ex art. 2560 c.c.. È comunque necessario il placet della banca per trasferire operativamente il conto corrente o il fido al nuovo soggetto. Spesso il fido viene chiuso e il cessionario ne apre uno nuovo presso la propria banca; il venditore deve allora rientrare del fido eventualmente con l’ausilio di parte del prezzo di vendita.
  • Leasing: il leasing (ad esempio di macchinari o automezzi) può essere trasferito insieme all’azienda solo col consenso della società di leasing. In pratica, l’acquirente subentra nel contratto di leasing (novazione soggettiva) con l’assenso del concedente. Anche qui, se non c’è consenso, il venditore rimane intestatario/obbligato, con tutti i rischi del caso.

In caso di cessione di quote, la situazione mutui/finanziamenti è leggermente diversa: la società rimane la medesima, quindi formalmente i contratti di finanziamento e leasing proseguono senza variazioni di intestatario. Tuttavia, bisogna considerare:

  • Garanzie personali del venditore: molto spesso i soci accomandatari (o l’imprenditore) avranno fornito garanzie personali sui debiti bancari della società: ad esempio fideiussioni a garanzia di un mutuo o di un fido. Vendere le quote non fa decadere automaticamente tali garanzie: l’ex socio rischia di restare garante del debito anche dopo essere uscito dalla società. Immaginiamo un accomandatario che ha firmato una fideiussione illimitata in favore della banca: se esce dalla società vendendo la sua quota, ma la banca non lo libera espressamente, quella fideiussione potrebbe essere escussa in futuro se la società (ora dei nuovi proprietari) non paga. È quindi cruciale, per il cedente, negoziare con la banca la liberazione dalle garanzie al momento del cambio di proprietà. Ci sono varie strade: sostituzione della fideiussione con garanzia di altro soggetto (ad es. del compratore stesso), estinzione del debito, o impegno contrattuale del compratore a far liberare il venditore entro una certa data (anche se resta un rischio finché la banca non acconsente).
  • Covenant e clausole di cambio di controllo: alcuni contratti di finanziamento prevedono l’obbligo di comunicare alla banca modifiche significative nell’assetto societario (es. clausole di change of control). In mancanza di comunicazione, la banca potrebbe avere diritto di risolvere il contratto o chiedere rientro immediato. Il venditore dovrebbe controllare i contratti di finanziamento per vedere se esistono tali clausole e, in tal caso, assicurarsi che la banca sia informata e consenziente al passaggio di mano della società.
  • Debiti personali del socio verso banche: se la SAS aveva debiti garantiti con beni personali del socio (es. ipoteca sulla casa del socio a garanzia di debito sociale), vendere la quota non libera quell’ipoteca. Bisogna negoziare con la banca un’eventuale liberatoria o surroga di garanzie.

In sintesi, per un venditore con debiti bancari:

  • Coinvolgere le banche nella pianificazione della cessione, preferibilmente con anticipo.
  • Prevedere contrattualmente nella cessione chi fa cosa: ad es. “il cessionario si accolla il mutuo X e la banca con lettera Y libera il cedente”, oppure “il cedente si obbliga ad estinguere il finanziamento Z prima del closing”.
  • Non dimenticare di farsi liberare da fideiussioni e altre garanzie personali: inserirlo come condizione nel contratto di cessione o comunque come clausola sospensiva dell’efficacia della vendita fino al gradimento della banca.
  • Considerare che, se nulla di tutto ciò viene fatto, il venditore post-cessione potrebbe trovarsi nella scomoda posizione di dover rispondere di debiti (o di escussioni di garanzie) di una società su cui non ha più alcun controllo.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

I debiti verso fornitori (merci non pagate, fatture a scadere, ecc.) e i debiti verso altri creditori privati (professionisti, locatori, ecc.) seguono essenzialmente le regole generali della cessione:

  • In caso di cessione di azienda, se tali debiti compaiono nella contabilità ufficiale, l’acquirente ne risponde insieme al venditore. Normalmente le partite debitorie verso fornitori risultano dalla contabilità (registri IVA, bilancio). Quindi, tipicamente, l’acquirente d’azienda si assume la responsabilità solidale di pagare i fornitori non ancora saldati al momento del trasferimento. In pratica, nelle trattative è comune affrontare questo punto: spesso il compratore e il venditore concordano un aggiustamento del prezzo tenendo conto dei debiti verso fornitori. Ad esempio, se l’azienda ha 50.000 € di debiti con fornitori, l’acquirente può decurtare tale importo dal prezzo d’acquisto ma si farà carico di pagare quei fornitori dopo il passaggio di proprietà. Alternativamente, si può convenire che il venditore paghi fino alla data del closing tutte le esposizioni, consegnando l’azienda “pulita” e mantenendo il prezzo invariato. L’importante è che questo sia chiarito contrattualmente.
  • Clausole liberatorie: a volte il contratto di cessione d’azienda esclude espressamente il passaggio dei debiti (es. “il cessionario non assume i debiti della cedente verso fornitori, che restano a carico del cedente”), lasciando in capo al venditore il compito di chiudere i conti con i propri creditori. Tale pattuizione è lecita, ma vale solo tra le parti contrattuali e non vincola i creditori terzi. Ciò significa che, nonostante questo patto interno, un fornitore che vanti credito (registrato in contabilità) potrà comunque rivolgersi anche all’acquirente in virtù della responsabilità ex lege. Se l’acquirente pagherà un fornitore per un debito che secondo il contratto doveva restare al venditore, potrà poi rivendicare quella somma dal venditore stesso, ma intanto avrà dovuto saldare per evitare azioni legali. In altre parole, la clausola interna serve a regolare i rapporti tra venditore e compratore (di solito accompagnata da impegni del venditore di estinguere i debiti entro un certo termine, o di manlevare il compratore se dovesse essere escusso), ma i fornitori non ne sono condizionati. Esempio: nel contratto Tizio (cedente) e Caio (cessionario) stabiliscono che Caio non acquisisce i debiti verso i fornitori Alfa e Beta, che Tizio si impegna a pagare. Se Tizio poi non paga Alfa, Alfa potrà comunque chiedere il pagamento a Caio (perché quel debito risulta dalle scritture contabili trasferite) e Caio dovrà pagare per evitare pignoramenti, salvo poi farsi restituire da Tizio sulla base della clausola contrattuale tra loro.
  • Qualora un debitore (venditore) voglia assicurarsi di essere liberato da un debito verso un certo fornitore, la strada maestra è ottenere il consenso del fornitore medesimo alla cessione del debito o a una novazione soggettiva. In altre parole, accordarsi con il creditore perché “accetti” l’acquirente come nuovo debitore liberando il venditore originario. Questo a volte accade se l’acquirente è più solido e il creditore confida di più in lui, ma non è scontato. Senza consenso, il venditore resta co-obbligato anche dopo la cessione.

In caso di cessione di quote, i fornitori non vedono cambiare il loro debitore contrattuale – è sempre la stessa società SAS – quindi formalmente per loro nulla muta. Tuttavia, anche qui si consideri:

  • Un fornitore, venuto a sapere del cambio di soci, potrebbe perdere fiducia e richiedere immediatamente il saldo delle esposizioni aperte, temendo instabilità. Non c’è una base giuridica per pretendere il pagamento anticipato salvo clausole contrattuali particolari, ma nella pratica commerciale ciò può creare tensioni. Il venditore che cede farebbe bene a informare almeno i fornitori principali del passaggio di mano, possibilmente presentando il nuovo acquirente e rassicurandoli sulla continuità aziendale.
  • Se il venditore ha garantito personalmente debiti verso fornitori (ad esempio firmando cambiali o garanzie), anche queste garanzie restano in vigore. Dunque, come per le banche, bisogna ricordarsi di trattare la propria liberazione da eventuali fideiussioni prestate a fornitori (si pensi a fornitori di energia, materie prime, contratti di forniture continuative spesso richiedono garanzie personali).
  • Dal lato contrattuale, nella compravendita di quote, il venditore in genere assicura che l’azienda non ha debiti verso fornitori oltre quelli dichiarati e spesso il contratto conterrà una lista delle posizioni debitorie note. Se poi emergono passività occulte (fornitori non dichiarati), si applicheranno le clausole di garanzia: il compratore potrà chiedere indennizzo al venditore per i debiti non rivelati (vedi oltre la sezione sulle clausole di garanzia).

In conclusione sui fornitori: il cedente deve decidere se pagare lui tutti i fornitori fino alla data di cessione (soluzione preferibile per presentarsi “pulito” all’appuntamento di vendita) oppure se lasciare che alcuni debiti vengano gestiti dal compratore, concordando come scomputarli nel prezzo. In ogni caso, occorre massima trasparenza: ogni debito taciuto può diventare un contenzioso col compratore (oltre che restare dovuto al creditore). Inserire in contratto apposite tutele (manleva) per il compratore se salta fuori un debitore non elencato è prassi comune.

Debiti verso i dipendenti (retribuzioni, TFR) e altre passività del lavoro

I debiti verso dipendenti includono stipendi arretrati, tredicesime/quattordicesime non pagate, ferie maturate e non godute (che costituiscono debito in termini di indennità), TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato pro-quota, premi, rimborsi, ecc. Quando si trasferisce un’azienda con personale, questi aspetti sono cruciali perché implicano precise tutele normative:

  • L’art. 2112 c.c. sancisce che in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua con il cessionario e il cedente e il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Ciò significa che qualsiasi somma dovuta ai lavoratori fino al giorno della cessione (stipendi non corrisposti, ratei di TFR, ferie maturate, straordinari, ecc.) può essere richiesta indifferentemente al vecchio o al nuovo datore di lavoro (venditore o acquirente). I lavoratori godono dunque di una tutela rafforzata: anche se l’azienda cambia proprietario, non perdono i loro diritti economici pregressi.
  • Questa responsabilità solidale verso i dipendenti è inderogabile. Il contratto di cessione non può escludere che l’acquirente risponda insieme al cedente di tali crediti, né sarebbe valido un eventuale patto contrario in danno dei lavoratori. Perciò, un venditore che abbia pendenze verso i propri dipendenti non può trasferire l’azienda scaricandole contrattualmente solo su di sé agli occhi dei lavoratori: costoro potranno comunque chiamare in causa il nuovo datore.
  • In pratica, è fortemente consigliato che prima della cessione il venditore saldi tutte le retribuzioni dovute e sistematizzi le posizioni di TFR maturato. Non di rado, nel documento di vendita (contratto di cessione) si inserisce una dichiarazione del venditore di aver pagato tutti gli stipendi e contributi fino a una certa data e di manlevare il compratore da qualsiasi pretesa dei lavoratori relativa al periodo antecedente al trasferimento.
  • Se ciò non avviene, l’acquirente dovrà tener conto di questi debiti nel valutare l’operazione, magari chiedendo una riduzione del prezzo pari alle somme dovute ai dipendenti che dovrà sborsare lui successivamente. Può essere opportuno predisporre tabelle di calcolo dei maturati del personale (ferie, permessi, TFR, mensilità aggiuntive) al momento del passaggio, concordando come se ne farà carico. Ad esempio, a volte l’acquirente versa al venditore un importo ridotto che include l’accantonamento per TFR maturato: poi sarà l’acquirente, divenuto datore di lavoro, a pagare il TFR quando il dipendente cessera, ma il venditore gliel’ha in sostanza finanziato riducendo il prezzo.

Oltre ai crediti dei dipendenti, con il trasferimento proseguono i rapporti di lavoro alle stesse condizioni: questo significa che il cessionario si fa carico anche di obblighi non monetari (ad esempio mantenere l’anzianità, i livelli retributivi, eventuali contratti integrativi in essere). Dal punto di vista del venditore, è bene chiarire col compratore quanti dipendenti e con quali condizioni contrattuali saranno trasferiti. La legge prevede specifiche procedure, tra cui:

  • Comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali (se presenti) in caso di trasferimento d’azienda con dipendenti, ai sensi della L. 428/1990, per imprese con più di 15 dipendenti.
  • Divieto di licenziamento dei lavoratori a causa del trasferimento: eventuali licenziamenti motivati solo dalla cessione sarebbero nulli.

In caso di cessione di quote, formalmente i contratti di lavoro continuano invariati (non c’è neppure obbligo di comunicazione ai sindacati perché il datore di lavoro non cambia, è sempre la stessa società). Tuttavia:

  • Se il venditore, prima di cedere, aveva debiti verso i dipendenti, questi rimangono debiti della società. I dipendenti, se non pagati, potranno agire contro la società anche dopo il cambio di soci, e – come detto – essendo crediti di lavoro, anche contro il vecchio e nuovo accomandatario ex art. 2112 c.c. se consideriamo estensivamente il principio (in realtà l’art. 2112 tecnicamente riguarda il trasferimento di azienda, non il cambio di soci; tuttavia se l’identità datoriale rimane la società, il lavoratore non deve attivare 2112, semplicemente continua a vantare credito verso la società stessa).
  • Il nuovo proprietario vorrà sicuramente sapere se ci sono arretrati verso i dipendenti e potrebbe chiedere al venditore di farsi carico di pagarli prima del passaggio di quote. Anche qui è consigliabile fornire massima trasparenza e possibilmente consegnare una situazione libera da pendenze.
  • Debiti verso il fisco per ritenute non versate su stipendi (es. IRPEF trattenuta in busta paga e non versata): questo è un debito tributario della società, ma va considerato anche come potenziale violazione penal-tributaria per il datore di lavoro. Il venditore non risolve la propria eventuale responsabilità penale cedendo la società: se in passato non ha versato ritenute certificate sopra soglia (attualmente € 150.000 annui per configurare reato ex art. 10-bis D.Lgs. 74/2000), ne risponde personalmente. Inoltre, il nuovo acquirente probabilmente esigerà che eventuali omessi versamenti di ritenute siano sanati prima o al momento del closing, perché altrimenti il debito fiscale graverà sulla società che sta acquisendo.

Conclusione sulle passività di lavoro: per il cedente è prioritario regolarizzare retribuzioni e contributi dei dipendenti. Non farlo può portare non solo a rivendicazioni immediate contro l’acquirente (che potrebbero far naufragare l’operazione o ridurre drasticamente il prezzo), ma anche a possibili azioni legali e denunce. I lavoratori godono di cause privilegiate (possono insinuarsi in fallimento con privilegio generale sui mobili, ad esempio). Inoltre, un imprenditore che venda l’azienda lasciando dietro di sé dipendenti non pagati e senza tutele rischia di incorrere nel reato di estorsione se costringe i dipendenti a rinunciare a crediti per mantenere il posto, oppure potenzialmente in contestazioni di bancarotta fraudolenta preferenziale se poi la società fallisce e alcuni lavoratori sono stati pagati e altri no. Quindi massima prudenza: meglio destinare una parte del prezzo della vendita a chiudere ogni pendenza col personale, ottenendo quietanze liberatorie.

Cessione dell’intera azienda di una SAS indebitata: aspetti legali e operativi

In questa sezione esaminiamo più da vicino la cessione dell’azienda di una SAS gravata da debiti, dal punto di vista pratico e giuridico del cedente.

Procedura e forma della cessione di azienda

La cessione di un’azienda (o di un ramo d’azienda) avviene tipicamente tramite un contratto tra cedente e cessionario. In esso vengono descritti i beni trasferiti (macchinari, merci, attrezzature, immobilizzazioni, ecc.), gli eventuali debiti e crediti inclusi, il personale trasferito, il prezzo e le altre condizioni. In base all’art. 2556 c.c., la vendita di un’azienda commerciale richiede un atto scritto e va depositata per l’iscrizione nel Registro delle Imprese. Spesso si ricorre a un atto notarile (soprattutto se nell’azienda sono compresi immobili, che necessitano atto pubblico o scrittura privata autenticata per il trasferimento) oppure a una scrittura privata autenticata.

Dal momento del trasferimento (che decorre, per i terzi, dall’iscrizione al Registro Imprese o dalla notifica ai debitori dei crediti ceduti, etc.), l’acquirente subentra nella titolarità dell’azienda, assumendone onori e oneri secondo la legge e gli accordi contrattuali. Vediamo i punti chiave:

  • Contratti aziendali (art. 2558 c.c.): salvo diversa pattuizione o natura strettamente personale del contratto, l’acquirente subentra automaticamente nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda. Ciò significa, ad esempio, che locazioni, forniture in essere, contratti con clienti o con fornitori continuativi passano al cessionario. Il terzo contraente, se non è d’accordo, può recedere entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento solo se sussiste giusta causa (ad es. se il nuovo imprenditore non dà le stesse garanzie). Dunque il venditore deve consegnare all’acquirente l’elenco dei contratti in corso e segnalare se intende escluderne qualcuno dalla cessione (ma serve l’accordo del compratore e, talvolta, del terzo contraente).
  • Crediti (art. 2559 c.c.): i crediti relativi all’azienda ceduta si trasferiscono all’acquirente senza bisogno di specifica cessione per ognuno, ma l’opponibilità ai debitori avviene mediante iscrizione della cessione nel Registro Imprese o con notifica al debitore. Il cedente garantisce solo l’esistenza dei crediti (salvo patto contrario), non la solvibilità dei debitori.
  • Debiti (art. 2560 c.c.): come già ampiamente spiegato, i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda precedenti il trasferimento rimangono a carico del cedente, ma l’acquirente ne risponde in solido se risultano dai libri contabili obbligatori. I creditori possono quindi esigere il pagamento anche dal nuovo titolare dell’azienda. Importante: se il compratore paga un debito del venditore, questi non è liberato (a meno che il creditore abbia espressamente acconsentito). Il venditore rimane dunque obbligato di regresso verso il compratore, dovendo rimborsarlo. È nell’interesse del venditore, pertanto, far sì che i crediti più importanti diano il loro consenso liberatorio. Tipicamente, questo succede con le banche (che come visto spesso formalizzano l’accollo liberatorio) o con grandi fornitori se opportunamente negoziato.
  • Inventario e situazione patrimoniale: conviene redigere al momento della cessione un inventario di ciò che si cede e un elenco dettagliato delle passività e attività cedute. Il contratto dovrebbe specificare quali debiti il cessionario si accolla espressamente (oltre all’obbligo ex lege), e quali eventualmente restano in capo al cedente. Anche se, lo ribadiamo, tali accordi inter partes non limitano i diritti dei creditori, servono a regolare i rapporti economici tra venditore e compratore. Per esempio: “L’acquirente assume a proprio carico i debiti elencati nell’Allegato X (pari a € Y complessivi) e contestualmente trattiene dal prezzo un importo pari a € Y per provvedere al pagamento degli stessi. Ogni altro debito riferibile all’azienda fino alla data del trasferimento resta a carico del venditore, il quale si obbliga a manlevare l’acquirente da eventuali richieste in merito”.
  • Dipendenti (art. 2112 c.c.): i lavoratori passano automaticamente alle dipendenze dell’acquirente, conservando tutti i loro diritti. Come visto, venditore e compratore rispondono insieme dei crediti di lavoro maturati. Il venditore deve consegnare all’acquirente l’elenco del personale completo delle loro anzianità, retribuzioni, TFR maturato, ferie, e segnalare eventuali contenziosi in corso. È buona norma che il venditore procuri dichiarazioni liberatorie dei dipendenti per stipendi già pagati, al fine di evitare incertezze (ad es., far firmare ai dipendenti una ricevuta che fino alla data della cessione nulla è loro dovuto, salvo quanto indicato in busta paga).
  • Forma e pubblicità: l’atto di cessione (o l’estratto) va depositato al Registro Imprese entro 30 giorni. La pubblicità è importante perché da quel momento i terzi (creditori compresi) non possono sostenere di ignorare la cessione. Un creditore anteriore, comunque, non perde i suoi diritti: potrà agire su cedente e cessionario come detto. Inoltre, la cessione va comunicata ai fini IVA (l’operazione è generalmente fuori campo IVA ex art. 2 DPR 633/72 se è un’azienda intera, ed è soggetta a imposta di registro proporzionale).
  • Prezzo: il prezzo d’acquisto può essere fissato al netto o al lordo dei debiti. Esempio: se azienda vale 500 ma ha debiti per 200 che l’acquirente assume, il prezzo potrebbe essere pattuito in 300, con quell’assunzione di debiti come parte del corrispettivo. Dal punto di vista fiscale e civile è importante dare una corretta indicazione per evitare problemi (ad es. plusvalenze tassabili per il venditore, ecc.). Il venditore vorrà massimizzare il prezzo, ma deve essere realista: un’azienda molto indebitata spesso viene venduta a un prezzo simbolico, proprio perché chi acquista si fa carico di debiti consistenti.
  • Garanzie per vizi o passività occulte: il venditore di azienda è tenuto per legge a garantire solo l’esistenza dei crediti ceduti e il pacifico possesso dei beni, ma la prassi contrattuale prevede dichiarazioni e garanzie molto più ampie (simili a quelle per la cessione di partecipazioni). Ad esempio, il venditore dichiara che “alla data del trasferimento non sussistono debiti ulteriori rispetto a quelli risultanti dall’Elenco Passività allegato; in caso di scoperta di passività ulteriori sorte anteriormente alla cessione, il venditore si obbliga a indennizzare l’acquirente per ogni relativa perdita”. Questo tutela l’acquirente da debiti occulti e, di riflesso, spinge il venditore a dichiarare tutto.
  • Clausole particolari: nelle cessioni di azienda spesso si inseriscono clausole come il patto di non concorrenza del venditore (art. 2557 c.c. prevede automaticamente il divieto per il cedente di avviare una nuova impresa che crei confusione con l’azienda ceduta per 5 anni, salvo patto contrario). Un venditore indebitato potrebbe avere tentazione di avviare subito un’altra attività, ma è bene sapere che per legge ciò è limitato; l’atto di cessione può modulare tale obbligo, magari dietro corrispettivo. Dal punto di vista del debitore cedente, se intende continuare in altro modo l’attività, dovrà negoziare con l’acquirente questo aspetto (eventualmente rinunciando a parte del prezzo in cambio della libertà di concorrenza).

Esempio pratico – Cessione di azienda con debiti

Caso 1: Mario è titolare (socio accomandatario unico) della “Beta SAS”, che gestisce un negozio di arredamenti. Beta SAS ha merce, un marchio noto localmente, ma anche debiti: un mutuo residuo di 50.000 € con la banca, 20.000 € di forniture non pagate e 15.000 € di debiti fiscali in parte rateizzati. Mario trova un acquirente, Lucia, interessata a rilevare l’attività. Come procedono?

  • Mario e Lucia concordano un prezzo di partenza di 100.000 € per l’azienda “pulita”. Tuttavia, Lucia è disposta a prendere in carico il mutuo e i fornitori. Pertanto nel contratto scrivono che Lucia subentra nel mutuo verso Banca X previa autorizzazione di quest’ultima (che viene ottenuta, liberando Mario dalla fideiussione). Il saldo del mutuo al giorno del rogito è 50.000 € e verrà quindi pagato da Lucia a scadenza. Inoltre, Lucia pagherà i fornitori per 20.000 € entro 60 giorni dal passaggio. Mario invece si impegna a pagare i debiti fiscali residui prima della cessione (utilizzando parte del prezzo che incassa).
  • In base a tali accordi, il prezzo effettivo pagato a Mario viene ridefinito: 100.000 € (valore azienda) – 50.000 (mutuo accollato) – 20.000 (fornitori accollati) = 30.000 €. Questo è l’importo che Lucia verserà a Mario al closing.
  • L’atto di cessione d’azienda, stipulato dal notaio, elenca dettagliatamente i beni ceduti (mobili, arredi, stock di magazzino), contiene l’elenco dei contratti (tra cui il contratto di locazione del negozio, che viene trasferito a Lucia come cessionaria), l’elenco dei dipendenti (tre commessi che passano alle dipendenze di Lucia mantenendo livelli e anzianità). Mario dichiara in atto che tutti gli stipendi dei dipendenti sono pagati fino all’ultimo mese e consegna a Lucia i DURC regolari e una dichiarazione dell’INPS sui contributi (c’erano dei ritardi ma sono stati sanati prima del rogito).
  • La clausola di garanzia nel contratto recita che Mario garantisce l’inesistenza di ulteriori passività anteriori alla cessione oltre a quelle espressamente indicate; inoltre, contiene una clausola di manleva per cui Mario terrà indenne Lucia da eventuali richieste di pagamento relative a debiti non noti sorti prima della cessione.
  • Dopo la vendita, Lucia prosegue l’attività, paga regolarmente le rate del mutuo ed effettua i bonifici pattuiti ai fornitori. Mario usa i 30.000 € ricevuti per chiudere il debito fiscale rateale (15.000 €) e per saldare spese legali e altri costi.
  • I fornitori, soddisfatti, non intraprendono azioni. L’Agenzia delle Entrate, avendo incassato quanto dovuto da Mario (che rimane formalmente obbligato perché il debito fiscale era suo), non coinvolge Lucia. La banca ha ufficializzato l’accollo liberando Mario. I dipendenti non subiscono alcun pregiudizio. Il risultato: l’azienda è passata di mano in modo ordinato, i creditori sono stati sistemati in base ad accordi, e Mario – pur non avendo incassato molto – ha evitato il dissesto e liberato il proprio patrimonio dalle esposizioni.

Cessione di quote/partecipazioni di una SAS indebitata: aspetti legali e operativi

Analizziamo ora l’ipotesi in cui l’imprenditore (o i soci) cedano le proprie quote in una SAS gravata da debiti, invece di vendere l’azienda a terzi. Come visto, vendere le quote significa cambiare la compagine sociale: il soggetto giuridico società rimane lo stesso, con tutto il suo patrimonio attivo e passivo.

Procedura e formalità per la cessione di quote di SAS

Una SAS (Società in Accomandita Semplice) è una società di persone. Le quote di una SAS non sono rappresentate da azioni o da quote liberamente trasferibili come in una Srl, ma sono porzioni di diritti e obblighi dei soci nel contratto sociale. Per trasferirle occorre generalmente:

  • Il consenso degli altri soci (salvo diversa pattuizione nel contratto sociale). Nelle società di persone, vige il principio intuitus personae: un accomandatario non può far entrare un estraneo senza il consenso degli altri accomandatari e accomandanti se previsto. Spesso l’atto costitutivo disciplina la cessione di quote, ad esempio consentendo la cessione a terzi solo con approvazione unanime dei soci, oppure liberamente solo tra accomandanti o a parenti, ecc.
  • Dal punto di vista formale, la cessione di quota va redatta per iscritto (anche per evidenze fiscali). Se comporta modifica del contratto sociale (ad esempio cambio del nome del socio accomandatario), di regola serve l’atto notarile (atto pubblico o scrittura privata autenticata) perché occorre depositare l’atto modificativo al Registro Imprese. In pratica, si farà un atto di “Modifica dei patti sociali e trasferimento di partecipazione”, firmato davanti al notaio, con cui l’uscita e l’ingresso del socio vengono formalizzati e si modifica eventualmente la ragione sociale (se conteneva il nome del socio uscente), le quote di partecipazione, ecc.
  • L’atto va iscritto al Registro delle Imprese. La cessione ha effetti verso terzi dall’iscrizione (o dalla comunicazione al terzo creditore se anteriore, come abbiamo visto per i creditori). Nel caso di SAS, l’iscrizione è fondamentale anche perché gli atti delle società di persone non sempre sono pubblici di default, ma le modifiche di soci accomandatari sì, dovendo essere conoscibili dai terzi (ad esempio i creditori devono sapere chi è accomandatario).
  • Potrebbe essere opportuno redigere un verbale di assemblea dei soci che prende atto del trasferimento e nomina il nuovo accomandatario amministratore. In effetti, se l’accomandatario uscente era anche amministratore, bisogna nominare un nuovo amministratore (che solitamente coincide col nuovo accomandatario).
  • Dal punto di vista fiscale, la cessione di quote di società di persone non sconta imposte di registro proporzionali (trattandosi di trasferimento di partecipazione e non di beni sociali) ma eventuali plusvalenze per il cedente possono essere soggette a tassazione IRPEF (se realizzate in regime d’impresa o se la partecipazione aveva certi requisiti di qualificazione).

Effetti sui debiti sociali e cautele per il cedente

Vendere le proprie quote non significa liberarsi automaticamente dei debiti contratti dalla società fino a quel momento. Come ripetuto, per i soci accomandatari uscenti vale l’art. 2290 c.c.: essi restano solidalmente e illimitatamente responsabili per le obbligazioni sorte fino alla data in cui la cessazione dalla società è opponibile ai terzi. Dunque il cedente accomandatario è paragonabile a un fideiussore (senza beneficio d’escussione, peraltro, verso i creditori sociali) per i debiti “pregressi”. È essenziale esserne consapevoli per prendere misure di protezione.

In pratica, ecco le cautele che un cedente di quota di SAS indebitata dovrebbe adottare:

  • Mappare tutti i debiti pregressi e valutarne l’importo e la natura. Questo serve per informare il compratore e per prevedere eventuali rimedi. Ad esempio, se vi è un grosso debito tributario pendente, il cedente sa che anche dopo la vendita potrebbe essere inseguito dall’Erario: potrebbe quindi voler trattenere parte del prezzo per farvi fronte.
  • Patti di accollo interno: nel contratto di cessione di quota, il compratore può assumersi l’impegno di farsi carico di determinati debiti della società, manlevando il venditore. Ad esempio: “il cessionario si obbliga a far sì che la società onori il debito X verso Tizio entro la data…; in difetto, il cessionario manleverà il cedente da ogni conseguenza pregiudizievole derivante da tale obbligazione”. Questa clausola tutela il venditore perché, se il debitore sociale dovesse (dopo la sua uscita) farsi vivo e lui fosse costretto a pagare, potrebbe rivalersi contrattualmente sul compratore. È bene però essere realistici: se il compratore è una persona giuridica di scarsa consistenza, tale manleva potrebbe essere di difficile escussione.
  • Liberazione da garanzie personali: come evidenziato prima, il venditore dovrà attivarsi per essere liberato da eventuali fideiussioni date a banche, locatori, fornitori. Deve farlo prima o contestualmente alla cessione, ottenendo atti formali di liberazione o almeno l’impegno del compratore a sostituirlo con controgaranzie (es. spesso il nuovo socio offre una controfideiussione al vecchio a garanzia che, se la banca escute la garanzia del vecchio socio, il nuovo lo terrà indenne).
  • Prezzo simbolico o negativo: può capitare che una SAS molto indebitata venga ceduta a un prezzo nominale (1 euro, ad esempio), perché di fatto i debiti superano il valore dell’attivo e il reale “corrispettivo” per l’acquirente è farsi carico della massa debitoria. In certi casi estremi, il venditore può perfino pagare l’acquirente affinché prenda in mano la società indebitata (si pensi alle cosiddette bare fiscali, società piene di debiti fiscali vendute a prestanome). Da un punto di vista legale, non c’è nulla di nullo in un prezzo simbolico, purché non vi siano intenti fraudolenti. Tuttavia, un prezzo anormalmente basso comparato all’attivo può allertare i creditori e, in caso di fallimento successivo, può essere indice di una possibile frode (vedi responsabilità penali).
  • Notifica ai creditori: Non vi è un obbligo legale generale di comunicare ai creditori il cambio di soci. Tuttavia, per correttezza e per evitare malintesi, il venditore potrebbe decidere di informare i creditori principali (es. inviando una lettera in cui comunica che in data X egli ha ceduto la sua partecipazione e non è più socio accomandatario della Beta SAS, e che la nuova accomandataria è la Sig.ra Y). Questo da un lato mette i creditori davanti al fatto compiuto (non possono opporsi, a differenza dei contratti in cessione d’azienda), dall’altro tutela il venditore perché fissa un momento certo di conoscenza da parte del terzo. Infatti l’art. 2290 c.c. prevede che l’ex socio risponde dei debiti fino al momento in cui la cessione è iscritta o fino al momento anteriore in cui il terzo ne abbia avuto conoscenza. Quindi, se un creditore era a conoscenza dell’uscita del socio prima ancora dell’iscrizione, da quel momento non potrebbe più considerarlo obbligato per nuovi crediti. Una comunicazione datata e ricevuta prova tale conoscenza.
  • Controllo del post-vendita: In alcuni accordi complessi, il venditore potrebbe mantenere un occhio sulla gestione successiva per assicurarsi che i debiti vengano pagati. Ad esempio, nominando per un periodo un sindaco o un consulente che monitori i pagamenti, oppure prevedendo penali contrattuali se il nuovo socio non adempie ai debiti come promesso (anche se il creditore potrebbe comunque rifarsi sul vecchio socio, la penale serve da deterrente per il compratore).
  • Clausole risolutive: Anche se un po’ rare in questo contesto, si potrebbe pattuire che la cessione di quota è risolta (ossia come se non fosse mai avvenuta) se il compratore non ottempera a certe obbligazioni relative ai debiti entro un termine. Però questa è un’arma a doppio taglio: se scatta la risoluzione, il venditore tornerebbe socio di una situazione magari ancora peggiore. Quindi è più saggio puntare su manleve e garanzie finanziarie (es. una parte di prezzo messa in escrow a garanzia del pagamento di certi debiti).
  • Accordi con altri soci: se non si cedono tutte le quote ma solo alcune (ad esempio un accomandatario cede la sua quota a un nuovo accomandatario mentre altri soci restano), bisogna regolare i rapporti con chi rimane. Il socio che resta potrebbe pretendere che il socio uscente paghi la sua parte di debiti prima di uscire, oppure che lasci in cassa liquidità. In queste situazioni la cessione deve essere approvata e spesso si rinegozia il patto sociale. Il venditore dovrà contrattare non solo con l’acquirente ma anche con gli altri soci.

Esempio pratico – Cessione di quota: Anna e Marco sono soci di “Gamma SAS” (Anna accomandataria 60%, Marco accomandante 40%). Gamma ha debiti bancari (un fido scoperto da 30.000 € garantito da fideiussione personale di Anna) e debiti verso fornitori per 20.000 €. Anna vuole lasciare la società. Trovano un potenziale socio, Luca, disposto a subentrare come accomandatario acquisendo l’intera quota di Anna.

  • Prima di cedere, Anna cerca di sistemare il fido: contatta la banca e la informa. La banca è disposta a mantenere il fido solo se Luca apporta garanzie (ad esempio pegno su titoli) altrimenti chiede rientro. Luca decide di coprire metà dello scoperto subito e di garantire il resto con un pegno; la banca allora libera Anna dalla fideiussione. Questo passaggio è formalizzato in una scrittura separata.
  • Riguardo ai fornitori, nel contratto di cessione di quota Luca si impegna espressamente a fare sì che Gamma SAS paghi integralmente i 20.000 € dovuti entro 3 mesi. Si inserisce una clausola: “Il cessionario terrà indenne la cedente da ogni richiesta relativa a debiti verso fornitori sorti prima della data odierna; a tal fine, un importo di € 20.000 del prezzo pattuito verrà trattenuto dal cessionario e utilizzato esclusivamente per l’estinzione dei debiti verso fornitori indicati in Allegato A, da completarsi entro 90 giorni”.
  • Il prezzo concordato per la quota di Anna è 10.000 €. Luca però ne versa solo – 0 € immediatamente e ne trattiene 20.000 € destinati ai fornitori come sopra. Di fatto Anna incasserà il resto (10.000 €) solo se e quando i fornitori saranno pagati (questo può essere gestito tramite un conto dedicato o un escrow dal notaio).
  • L’atto notarile viene stipulato, Anna esce e Luca entra come accomandatario e nuovo amministratore. Marco (accomandante) acconsente all’operazione. L’atto viene iscritto prontamente al Registro.
  • Dopo la cessione, Luca effettua i pagamenti ai fornitori come promesso. Anna, non essendo più socia, pensava di essersi “liberata”. Tuttavia, uno dei fornitori (non informato della manleva interna) decide comunque, pochi giorni dopo la cessione, di notificare un decreto ingiuntivo a Gamma SAS e in solido ad Anna, per i 5.000 € che gli erano dovuti. Anna, grazie alla clausola contrattuale, avvisa Luca che provvede immediatamente a saldare quel fornitore (usando i fondi trattenuti). Il decreto viene quindi annullato. Anna non subisce esborsi, ma l’episodio dimostra come un creditore può legittimamente rivolgersi all’ex socio accomandatario se il debito era anteriore.
  • Se Luca non avesse onorato i debiti, Anna sarebbe rimasta esposta. In quel caso avrebbe potuto pagare i fornitori per evitare guai e poi fare causa a Luca sulla base dell’impegno di manleva. Per fortuna ciò non si è reso necessario.
  • Con la banca, avendo definito prima la questione, Anna è al sicuro. Nessun altro creditore significativo emerge. L’operazione è riuscita: Anna è uscita, ma ha dovuto rinunciare a incassare gran parte del valore lasciandolo in azienda per coprire le passività (in pratica ha “pagato” per andarsene, o comunque ha realizzato un valore molto ridotto).

Clausole contrattuali di tutela per il cedente (debitore) nella compravendita

Sia nella cessione di azienda che nella cessione di quote, il contratto riveste un ruolo fondamentale nel tutelare le parti. Dal punto di vista del venditore indebitato, l’obiettivo è trasferire l’attività limitando il più possibile i rischi residui sui debiti. Ecco alcune clausole e strumenti contrattuali chiave:

  • Dichiarazioni e Garanzie (Representations & Warranties): il venditore fornisce nel contratto un insieme di dichiarazioni circa lo stato della società/azienda. Tra queste, cruciale è la dichiarazione sulla situazione finanziaria e debitoria: elencare tutti i debiti noti, assicurare che non ve ne sono altri occulti, che la contabilità riflette correttamente le passività, che non vi sono liti o procedure pendenti, né debiti fuori bilancio. Queste dichiarazioni servono a far emergere tutto; se dopo la vendita spunta un debito non dichiarato (una “passività occulta”), il compratore potrà chiedere al venditore un indennizzo. Ad esempio, il Tribunale di Milano ha confermato che se il venditore si impegna a garantire l’inesistenza di passività ulteriori, in caso di scoperta di debiti occultati l’acquirente ha diritto a essere indennizzato.
  • Clausola di Manleva: è la clausola con cui una parte manleva e tiene indenne l’altra da specifiche conseguenze. Dal lato venditore, tipicamente, si chiederà all’acquirente di manlevarlo per i debiti che l’acquirente assume o comunque per i debiti sociali successivi alla cessione. Dal lato acquirente, invece, si inserisce una manleva a suo favore per eventuali debiti anteriori non noti. Esempio di clausola (ripresa da un caso reale): “Il Parte Venditrice si impegnava a manlevare e tenere indenni gli Acquirenti rispetto a qualsiasi danno, perdita, responsabilità, costo, spesa (incluse spese legali) di qualsivoglia titolo… che dovessero derivare agli acquirenti stessi (a) dalla non veridicità delle dichiarazioni e garanzie di cui all’articolo X e (b) dall’inadempimento di qualsiasi obbligazione assunta dal venditore ai sensi del presente contratto”. In parole semplici, il venditore promette di risarcire l’acquirente per ogni conseguenza negativa dovuta a informazioni false sui debiti o al mancato pagamento di debiti di sua competenza. Simmetricamente, se l’acquirente si accolla dei debiti, il contratto può prevedere che “il cessionario terrà indenne il cedente da qualsiasi pretesa relativa a debiti dell’azienda di cui il cessionario ha assunto la responsabilità”. Queste manleve dovrebbero avere un arco temporale definito (es. valide fino a prescrizione dei debiti coperti) e magari un tetto massimo di importo, a seconda della negoziazione.
  • Accolli di debito: se c’è l’accordo che l’acquirente si farà carico di certi debiti, si può formalizzare un accollo. L’accollo può essere esterno (il debitore originario resta obbligato verso il creditore, e l’acquirente è un terzo che paga per suo conto) oppure liberatorio (il creditore accetta l’acquirente come nuovo debitore liberando il venditore). Contrattualmente, si può prevedere che venditore e acquirente notifichino immediatamente l’accordo di accollo ai creditori interessati e richiedano la liberazione del venditore. Nel caso di rifiuto del creditore, scatteranno allora le clausole di manleva tra le parti per proteggere il venditore.
  • Clausola di aggiustamento prezzo: per riflettere eventuali differenze tra la situazione debitoria dichiarata e quella effettiva al closing, si può convenire un meccanismo di price adjustment. Ad esempio: “il prezzo convenuto è calcolato assumendo che i debiti al 31/12 siano 100; le parti procederanno entro 60 giorni a un conguaglio incrementando o riducendo il prezzo euro per euro nella misura dell’eventuale differenza dei debiti reali”. Ciò evita discussioni postume: se emergono più debiti, il venditore deve restituire parte del prezzo; se i debiti erano sovrastimati e l’acquirente ne trova meno, potrebbe integrare il prezzo (caso raro).
  • Pagamenti condizionati o Price-Escrow: per garantire il pagamento di debiti, una parte del prezzo può essere depositata in escrow presso un notaio o un escrow agent, da rilasciarsi al venditore solo quando si verifichi una condizione (es. “quando i fornitori X,Y,Z risulteranno pagati e avranno rilasciato liberatoria” oppure “dopo 12 mesi se non sono emerse passività occulte nel frattempo”). In caso contrario, quelle somme vengono usate per soddisfare i creditori o risarcire il compratore. Questo è uno strumento potente di tutela: il venditore accetta di non ricevere subito tutto il prezzo, ma così l’acquirente è tranquillo che c’è una riserva per eventuali sorprese.
  • Clausola risolutiva espressa: come accennato, può prevedersi che il mancato rispetto di certe obbligazioni (es. il pagamento di debiti accollati) faccia scattare la risoluzione del contratto di cessione. Questa misura estrema di solito è poco gradita perché rischia di creare più problemi di quanti ne risolva (rescindere a posteriori una vendita è complesso, e nel frattempo l’azienda potrebbe essersi deteriorata). Va usata con cautela.
  • Patti di garanzia reale: talvolta il venditore può chiedere una garanzia reale a suo favore. Esempio: se il compratore è una società di modesta solidità, il venditore potrebbe farsi dare in pegno delle quote, o un’ipoteca su un immobile del compratore, a garanzia dell’obbligo di pagare certi debiti. Oppure potrebbe richiedere una fideiussione bancaria a garanzia degli impegni dell’acquirente (specie se l’acquirente è veicolo di investimento poco capitalizzato).
  • Cronoprogramma e covenants: il contratto può includere obblighi di fare del compratore dopo il closing (ad esempio, “il cessionario si obbliga a versare € X al creditore Y entro il…” e a fornire prova al venditore). Eventualmente si possono prevedere penali se questi impegni non sono rispettati.
  • Consenso dei creditori: se alcune liberatorie di creditori sono condizione essenziale per il venditore, è bene farne una condizione sospensiva del contratto: “La efficacia del presente trasferimento di quota è sospensivamente condizionata al consenso di Banca X alla liberazione di Tizio dalla fideiussione… da ottenersi entro il…; in difetto, il contratto si intenderà risolto di diritto”. In alternativa, se l’operazione deve chiudersi comunque, si può inserire la condizione risolutiva come detto o una clausola per cui una parte di prezzo resta depositata finché non arriva la liberatoria.

Modello di scrittura privata (esempio) – Di seguito un estratto esemplificativo di scrittura di cessione con clausole di tutela, per illustrare come si articolano in pratica:

Esempio di clausole in un contratto di cessione d’azienda:

“Art. X – Dichiarazioni del Cedente. Il Cedente dichiara e garantisce che: (omissis) c) l’elenco dei debiti aziendali di cui all’Allegato A (Passività) è completo e accurato; non sussistono altri debiti, oneri o passività, certe o potenziali, facenti capo all’Azienda alla Data di Efficacia, al di fuori di quelli ivi indicati. In particolare, tutti gli adempimenti fiscali e contributivi riferibili all’Azienda fino alla Data di Efficacia sono stati correttamente eseguiti, e non risultano cartelle esattoriali, accertamenti tributari né richieste di adempimento da parte di Enti previdenziali non soddisfatti.

Art. Y – Manleva. Il Cedente si obbliga a manlevare e tenere indenne il Cessionario da qualsivoglia pretesa di terzi relativa a debiti o obbligazioni riferibili all’Azienda sorte in data anteriore alla Data di Efficacia e non espressamente incluse nell’Allegato A. Il Cedente rimborserà al Cessionario, su semplice richiesta scritta, ogni esborso che questi dovesse sostenere in dipendenza di pretese di tal genere, nel limite massimo complessivo di € [importo] (salvo il dolo o colpa grave del Cedente, nel qual caso la presente limitazione non opera).

Art. Z – Debiti verso fornitori. Il Cessionario, nell’ambito del corrispettivo pattuito, si assume a proprio carico l’obbligo di pagare i debiti verso i fornitori elencati nell’Allegato B, per l’importo complessivo ivi indicato di € 50.000, sollevando il Cedente da ogni relativa obbligazione. A garanzia di tale impegno, una porzione del prezzo pari a € 50.000 verrà depositata su conto dedicato presso il Notaio [Nome] e verrà svincolata a favore del Cedente solo previa esibizione di quietanze liberatorie da parte di tutti i fornitori di Allegato B, da ottenersi entro 90 giorni. In difetto, il Notaio utilizzerà tali somme (in tutto o in parte) per pagare direttamente i creditori indicati.”

Come si vede in questo esempio, il venditore dichiara tutto, e si impegna a risarcire per qualsiasi debito non dichiarato; il compratore a sua volta si fa carico di alcuni debiti specifici (fornitori), mettendo però parte del prezzo in garanzia finché non li paga effettivamente. Questo tipo di scrittura privatistica, redatta con l’ausilio di legali, permette di prevedere in dettaglio i casi possibili, proteggendo il venditore dal rischio che il compratore non onori ciò che ha promesso e viceversa protegge il compratore da eventuali “sorprese” lasciate dal venditore.

Va sottolineato che la qualità delle clausole contrattuali è cruciale: in situazioni ad alto rischio (società molto indebitate), investire in un buon contratto ben congegnato può fare la differenza tra un’operazione di risanamento riuscita e un disastro. Naturalmente, nessuna clausola contrattuale può rendere lecite operazioni che altrimenti sarebbero illecite o evitare completamente responsabilità legali di ordine pubblico (come quelle penali), ma può mitigare moltissimo il rischio economico per il venditore.

Responsabilità post-vendita e garanzie per i creditori

Dopo aver esaminato i meccanismi di cessione e le tutele contrattuali, ricapitoliamo le responsabilità residue che gravano sul venditore (cedente) e sull’acquirente (cessionario) verso i creditori, una volta conclusa la vendita. È importante per un debitore venditore sapere cosa può ancora succedergli dopo l’operazione e quali sono, viceversa, i diritti dei creditori di essere pagati:

  • Debiti già esistenti prima della vendita (cessione di azienda): il creditore può far valere il suo credito sia contro il venditore (cedente) sia contro l’acquirente (cessionario), se il debito risulta dalle scritture contabili obbligatorie. Il cedente non è liberato automaticamente, resta co-obbligato finché il creditore non lo libererà espressamente. In pratica, vendere l’azienda non fa scomparire il vostro nome dai debiti pregressi: il creditore avrà semplicemente un debitore in più (il compratore). Questo è un concetto chiave: molti imprenditori ritengono erroneamente che cedendo l’attività “i debiti passano al nuovo” – in realtà, passano solo in termini di ulteriore responsabilità del nuovo, ma il vecchio rimane responsabile salvo patto liberatorio col creditore.
  • Debiti non risultanti dalle contabilità (cessione di azienda): se un debito era totalmente occulto e non contabilizzato, l’art. 2560 c.c. esclude la responsabilità del cessionario. Il creditore in tal caso può rivalersi solo sul venditore (cedente). Questo però è un magro conforto per il venditore, perché comunque dovrà pagare; dal punto di vista del cessionario è un limite alla sua esposizione, ma spesso in concreto pochi debiti restano davvero fuori bilancio. Inoltre bisogna stare attenti: alcuni crediti potrebbero “non risultare in contabilità” per mera irregolarità formale, ma se il creditore prova che erano noti al cessionario, potrebbero sorgere contenziosi. Ad ogni modo, legalmente, debiti non registrati = niente azione diretta sul cessionario.
  • Debiti sorti dopo la vendita (cessione di azienda): qui il venditore normalmente è tagliato fuori – qualunque obbligazione l’azienda contragga successivamente è affare dell’acquirente. Fa eccezione l’ipotesi in cui la vendita venisse annullata o risolta a posteriori (allora si potrebbe discutere di “ritorno” di responsabilità), ma trattasi di casi eccezionali.
  • Debiti precedenti (cessione di quote): per la vendita di partecipazioni, come visto, il creditore sociale continua ad avere come debitore la società stessa e in più mantiene i suoi diritti contro i soci illimitatamente responsabili in carica nel momento in cui il debito sorse. Quindi, un creditore per un debito del 2022 di una SAS potrà ancora oggi far causa al socio accomandatario che c’era nel 2022 (anche se nel frattempo ha venduto e se n’è andato). Non potrà invece aggredire il patrimonio del nuovo accomandatario per quel debito, a meno che quest’ultimo non abbia spontaneamente accettato di assumerselo (cosa che, come abbiamo discusso, può succedere contrattualmente, ma rimane un accordo interno). D’altra parte, il creditore potrà sempre cercare soddisfazione sul patrimonio sociale (che ora è gestito dal nuovo socio).
  • Debiti successivi (cessione di quote): ovviamente, il venditore che è uscito dalla società non risponde di ciò che la società farà dopo. Un rischio concreto però è se la società fallisce dopo qualche tempo e vengono contestati atti di mala gestione precedenti: ad esempio, se la SAS fallisce un anno dopo la cessione e il curatore accerta che già due anni prima la società era insolvente e i vecchi amministratori hanno aggravato il dissesto, potrebbe chiamare in causa l’ex accomandatario per responsabilità da mala gestio o addirittura in sede penale per bancarotta (se ci sono estremi). Questo non attiene al “debito” in sé, ma è un profilo di responsabilità postumo da tenere presente (ne parliamo tra poco a proposito di reati fallimentari).
  • Crediti dei lavoratori (trasferimento d’azienda): qui, come già detto, venditore e compratore rimangono co-obbligati. Quindi un dipendente per stipendi arretrati può comunque rifarsi anche sul vecchio titolare dopo la cessione. Ciò fa sì che spesso i venditori preferiscano regolare subito tutto coi dipendenti.
  • Crediti previdenziali/fiscali: per i contributi e le imposte, abbiamo visto le regole speciali: il compratore d’azienda ne risponde solidalmente entro certi limiti, il venditore rimane sempre obbligato primario; nella cessione di quote, il venditore accomandatario rimane responsabile per il periodo di sua gestione.

Possiamo sintetizzare il quadro delle responsabilità con la seguente tabella riepilogativa (scenario generale di cessione di azienda):

Tipo di debito (sorto prima della vendita)Chi ne risponde verso i creditori
Debito risultante dalle scritture contabili obbligatorieCedente e Cessionario, in solido (art. 2560 c.c.). Il cedente è liberato solo se il creditore acconsente.
Debito non risultante dalle scritture contabiliCedente (unico obbligato). Cessionario non responsabile ex art. 2560 c.c. (salvo patto interno di accollo).
Crediti dei lavoratori (retribuzioni, TFR, contributi)Cedente e Cessionario in solido (art. 2112 c.c.). Il lavoratore può chiedere a entrambi le somme maturate.
Debiti fiscali e sanzioni tributarieCedente e Cessionario in solido, con beneficio di escussione pro cedente, entro il limite valore azienda (art. 14 D.Lgs 472/97). Cessionario liberato se certificato negativo. Cedente sempre obbligato principale.
Debiti contributivi (INPS, INAIL)Cedente e Cessionario in solido se debito risultante in contabilità (art. 2560); inoltre spesso rientra nei crediti di lavoro (2112 c.c.). Cedente non liberato salvo consenso ente.
Debiti bancari/finanziariCedente e Cessionario in solido se risultante in contabilità (2560 c.c.). Tuttavia subentro effettivo nei contratti di mutuo/leasing solo con consenso banca/leasing. Cedente non liberato dalle fideiussioni se non c’è liberatoria specifica.
Debiti verso fornitoriCedente e Cessionario in solido se da contabilità (2560 c.c.). Possibile patto interno su chi li paga, ma opponibile solo tra le parti. Cedente non liberato salvo consenso creditore.
Debiti extracontrattuali (es. risarcimenti danni per fatti dell’azienda pre-cessione)Cedente e Cessionario in solido se il fatto generatore è anteriore e risarcimento richiesto dopo (costituisce debito inerente all’esercizio azienda, quindi 2560 c.c. si applica anche a debiti risarcitori). Cedente non liberato.

Nel caso di cessione di quote, la logica è simile ma invece di “cedente e cessionario” occorre leggere “società (che è sempre obbligata) ed eventualmente soci vecchi o nuovi”:

  • Debiti sociali pregressi: la società ne risponde sempre. I vecchi soci accomandatari restano illimitatamente responsabili per essi; i nuovi accomandatari no (il creditore non può escuterli personalmente per debiti sorti prima del loro ingresso).
  • Debiti sociali successivi: la società e i nuovi accomandatari rispondono; i vecchi soci usciti no.
  • Crediti di lavoro: la società continua a esserne debitrice; formalmente art. 2112 non si applica perché non c’è trasferimento d’azienda, ma in pratica il nuovo socio dovrà pagarli tramite la società, e se non lo fa i lavoratori possono ottenere ingiunzioni contro la società e farla fallire, chiamando anche il vecchio socio se lo ritengono coobbligato per il periodo precedente (ma questo andrebbe argomentato).
  • Debiti fiscali: la società rimane debitrice. Il Fisco può agire sui vecchi soci accomandatari per il periodo di loro competenza (es. cartella per IVA 2022 → ex accomandatario 2022 può essere destinatario), e sui nuovi soci accomandatari per i periodi successivi. Non c’è responsabilità diretta “per legge tributaria” del compratore di quote, a differenza del compratore di azienda.
  • In generale, per i creditori nulla cambia nella sostanza: possono colpire la società e i patrimoni personali di chi era accomandatario quando l’obbligazione è sorta (e di chi lo è attualmente, per quelle attuali).

Per rafforzare le garanzie dei creditori, la legge offre anche l’azione revocatoria. Se un debitore vende la propria azienda (o le proprie quote) in pregiudizio dei creditori, questi ultimi possono tentare di far dichiarare inefficace l’atto di vendita nei loro confronti (art. 2901 c.c.). Ad esempio, la Cassazione del 2024 ha confermato la revoca di una cessione d’azienda effettuata da una società poi fallita che, in conclamata difficoltà finanziaria, aveva ceduto il suo asset principale a prezzo irrisorio, di fatto pregiudicando i creditori. In quel caso, non è bastato al venditore obiettare che “comunque l’acquirente rispondeva dei debiti ex 2560 c.c.”, perché la Corte ha ritenuto comunque sussistente il consilium fraudis (conoscenza del pregiudizio) e l’eventus damni (danno ai creditori) dati dal depauperamento dell’azienda. Ciò sta a significare: se vendi l’azienda sottocosto e la tua società resta vuota e incapiente, i creditori possono far annullare la vendita (oltre a eventualmente accusarti di bancarotta fraudolenta, come vedremo). Quindi il venditore, pur debitore, deve sì cercare di vendere per salvare il salvabile, ma non può lecitamente farlo alle spalle dei creditori.

In conclusione, dopo la vendita:

  • Il venditore rimane coobbligato per i “suoi” debiti fino alla liberazione. Questo comporta che, se l’acquirente non paga un creditore e questo viene a bussare dal venditore, quest’ultimo può trovarsi a dover saldare – ecco perché sono vitali manleve e garanzie contrattuali.
  • Il venditore potrà liberarsi definitivamente solo col tempo (pagamento dei debiti, prescrizione, liberatorie ottenute).
  • I creditori che si ritengono danneggiati dalla cessione potranno usare revocatoria ordinaria (entro 5 anni) o, se c’è fallimento, revocatoria fallimentare (con termini più brevi ma presunzioni di frode). Di ciò parliamo nella prossima sezione dedicata ai possibili profili penali.

Profili penali e responsabilità per operazioni societarie fraudolente

Un venditore indebitato deve essere consapevole delle possibili conseguenze penali connesse a una vendita “alleggeritiva” dell’azienda o delle quote. Non c’è nulla di illecito di per sé nel vendere un’attività indebitata, ma alcune circostanze possono far scattare l’attenzione della magistratura, in particolare:

Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

È il reato previsto dall’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 (reati tributari). Si configura quando “chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sul reddito o IVA ovvero interessi o sanzioni di importo complessivo superiore a € 50.000, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione”. La pena è la reclusione da 6 mesi a 4 anni (e sale da 1 a 6 anni se l’ammontare supera € 200.000).

Vendere un’azienda o cedere quote può rientrare in “altri atti fraudolenti sui propri beni” se l’intento è quello di sottrarsi al pagamento di imposte. La Cassazione ha chiarito che non occorre che vi sia un danno effettivo per l’Erario: basta che l’operazione sia potenzialmente idonea a ostacolare la riscossione. Esempio tipico: un imprenditore con grosso debito IVA costituisce una newco, vi conferisce l’azienda e poi cede le quote a terzi (magari prestanome), svuotando la società originaria di beni e lasciando il Fisco senza risorse aggredibili. Questo scenario è stato riconosciuto dalla Cassazione come rilevante penalmente. Decisione esemplare: Cass. n. 44451/2017 ha condannato per art. 11 un soggetto che, avendo una SRL indebitata col Fisco, aveva trasferito tutti gli asset a nuove società di familiari, di fatto rendendo la prima incapiente. Il profitto del reato, spiega la giurisprudenza, consiste nel valore dei beni sottratti alla garanzia del fisco.

Dunque, se un debitore ha pendenze fiscali significative e vende l’azienda senza accollo dei debiti tributari da parte del cessionario, potenzialmente il fatto è configurabile come reato (specialmente se la cessione è verso persona compiacente o società di comodo). Conta molto l’elemento soggettivo: il “fine di sottrarsi al pagamento” deve essere provato. Se la vendita è a valori di mercato e finalizzata a pagare i debiti (come nel caso Gargani sopra: la società sosteneva che vendeva per pagare i debiti), non c’è intento fraudolento – però attenzione, il confine è sottile. Una scissione societaria che sposta attività sane in una newco lasciando i debiti in oldco può essere vista come atto fraudolento se complica il recupero delle imposte.

Per un venditore, i consigli sono:

  • Evitare operazioni simulatorie (es. cedere l’azienda fittiziamente a un prestanome ma continuare a gestirla – tipico caso di cessione simulata).
  • Vendere a valore congruo e preferibilmente utilizzare i proventi per pagare (almeno in parte) il debito fiscale. Se poi il debito residuo è >50.000 € e non viene pagato, almeno si potrà dimostrare che non c’era volontà di sottrazione (anzi, si sono destinati i fondi al Fisco).
  • Documentare le ragioni economiche reali della vendita. Se è un tentativo genuino di salvare l’azienda trasferendola a un soggetto più solvibile, far emergere questa motivazione (ad esempio nel piano di risanamento, se c’è, o nelle comunicazioni a dipendenti/banche).
  • Evitare appunto di vendere a soggetti nullatenenti con il solo scopo di “far perdere le tracce”: questo pattern è facilmente individuabile e spesso porta a denunce.

La Cassazione Penale Sez. V n. 33988/2023 ha anche sottolineato che anche atti reali (non simulati) possono essere fraudolenti se accompagnati da stratagemmi ingannevoli atti a sottrarre beni alle garanzie patrimoniali dei creditori. Quindi non conta solo la forma (reale vs simulata), ma la sostanza e il contesto. Una cessione d’azienda a prezzo dimezzato, fatta mentre è in corso un accertamento fiscale milionario, magari verso una società neocostituita dai familiari, appare come atto fraudolento, e infatti in un caso del gennaio 2025 la Cassazione ha confermato il sequestro di due società create in un’operazione del genere. In quel caso c’era un debito IRPEF di 1,5 milioni e la cedente ha trasferito rami d’azienda a due newco di familiari sapendo dell’accertamento in arrivo. Lo scenario combacia perfettamente con art. 11.

Le sanzioni penali possono colpire l’imprenditore cedente (o gli amministratori, se persona giuridica) e chiunque concorra (es. il prestanome acquirente se consapevole del disegno).

Bancarotta fraudolenta e altri reati fallimentari

Se la società del venditore (o il venditore stesso se impresa individuale) viene dichiarata fallita dopo la vendita, entrano in gioco le norme penal-fallimentari. Bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 322 e 323 D.Lgs. 14/2019, ex art. 216 R.D. 267/42) punisce l’imprenditore (o amministratore) che, prima o durante il fallimento, distrae o sottrae beni ai creditori. Cedere sottoprezzo l’azienda, lasciando la società vuota, è spesso considerata una distrazione di beni se fatta in prossimità dell’insolvenza e senza valida giustificazione.

Ad esempio, la Cassazione Penale (sez. V) n. 34464/2018 ha ritenuto integrata la bancarotta fraudolenta per distrazione in una cessione di ramo d’azienda avvenuta a condizioni svantaggiose per la fallita. Anche la Cass. Pen. n. 32893/2021 (citata su Studio Cerbone) riguarda una “dissimulata cessione d’azienda con esclusione dei debiti tributari”, sintomo di volontà distrattiva, punita come bancarotta fraudolenta. In parole semplici: se la tua società fallisce, il curatore e la procura guarderanno alle operazioni antecedenti (di solito 1-2 anni prima, ma anche oltre se particolarmente gravi) per vedere se hai spogliato l’azienda di beni a danno dei creditori. Una vendita d’azienda è spogliazione se non è a valore equo e funzionale al pagamento dei creditori. Nel caso citato da Gargani, infatti, oltre alla revocatoria civile, c’era un parallelo procedimento penale per bancarotta a carico di amministratori e sindaci.

Anche qui la prova dell’intento fraudolento è decisiva. Se il venditore può dimostrare di aver venduto a valore di mercato e di aver utilizzato i proventi per pagare debiti (o almeno di aver agito con quell’intenzione, anche se poi è fallito lo stesso), può evitare la qualificazione di distrazione – potrebbe semmai essere bancarotta semplice (meno grave). Viceversa, vendere a un decimo del valore reale a un amico o vanificare i crediti tributari isolandoli è praticamente bancarotta fraudolenta certa in caso di fallimento.

Altri reati fallimentari correlati:

  • Bancarotta preferenziale: se vendendo l’azienda il ricavato è stato usato per pagare solo alcuni creditori favorendoli a scapito di altri, e poi si fallisce, si può contestare la bancarotta preferenziale (favorire alcuni creditori volontariamente è reato se c’è stato fallimento).
  • Bancarotta per dissipazione: vendere sottocosto può essere visto come dissipazione di patrimonio sociale.
  • Documentale: se per vendere si sono falsificati i bilanci (ad esempio per nascondere debiti, abbellire i conti e trarre in inganno l’acquirente o i terzi), c’è il reato di false comunicazioni sociali (falso in bilancio). Anche se la SAS non ha obbligo di bilancio pubblico, comunque per certe condotte (es. libri falsificati) può scattare l’accusa di bancarotta fraudolenta documentale se fallisce.
  • Omessa dichiarazione/versamento: vendere non salva da reati come l’omesso versamento IVA o ritenute, compiuti prima. Quindi un venditore indebitato con il Fisco deve considerare che, se non ha versato € X di IVA l’anno scorso, anche se ora vende la società quell’omissione resta un reato perseguibile a suo carico (a meno che provveda a saldare tutto il dovuto prima di eventuali termini di ravvedimento operoso). L’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 (omesso versamento IVA oltre soglia) e art. 10-bis (omesso versamento ritenute) puniscono chi non versa: la cessione non cambia il fatto storico dell’omesso versamento. Semmai, se il reato non è stato ancora scoperto, vendendo la società il venditore perde controllo e potrebbe emergere il problema, portando il nuovo amministratore a segnalare la cosa o comunque non essendoci più modi di porvi rimedio.

Altri profili illeciti

Da menzionare brevemente:

  • Truffa ai danni dei creditori: al di fuori del fallimento, vendere la società a un prestanome e poi far “sparire” la società può configurare il reato di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) se ci si procura beni o prestiti senza pagare in vista di sparire. In genere, però, i casi rilevanti rientrano in sottrazione fraudolenta (se fisco) o bancarotta (se fallimento).
  • Responsabilità penale del cessionario: se l’acquirente è consapevole e partecipe di un disegno criminoso (ad esempio è lui il prestanome ingaggiato per far sparire la società), può rispondere in concorso negli stessi reati (sottrazione fraudolenta, bancarotta come extraneus, ecc.). In alcuni casi, l’acquirente di società decotte è una figura professionale dell’illegalità (il “teste di legno”): assumersi il rischio di prendersi reati su compenso. È ovvio che affidarsi a tali soggetti è estremamente pericoloso e sconsigliabile – oltre l’etica, si rischia di aggiungere guai su guai.
  • Reati fiscali ulteriori: se nella cessione si “aggiusta” la contabilità per far apparire meno debiti o gonfiare costi, occhio al reato di dichiarazione fraudolenta (art. 3 D.Lgs. 74/2000) o emissione di fatture false. A volte per abbellire una società in vendita si potrebbe essere tentati di taroccare i conti: è decisamente una pessima idea.

Conclusione sulla legalità: Il venditore deve condurre l’operazione in trasparenza e buona fede. Se la vendita è parte di un lecito tentativo di ristrutturazione, bisogna poterlo dimostrare: coinvolgere i creditori onestamente, valorizzare gli asset al giusto prezzo, evitare favoritismi occulti o spostamenti di ricchezze “in famiglia”. Consigli pratici: se vendi a un amico o parente, assicurati di fare perizia indipendente sull’azienda per attestare il valore; se vendi e la tua vecchia società rimane vuota, fallo seguendo magari un percorso di composizione negoziata o accordo di ristrutturazione (dove i creditori sono informati e consenzienti, ciò può blindare dall’accusa di frode); se hai debiti con l’Erario, considera procedure come transazione fiscale o rateazione, da integrare nell’operazione di cessione – in modo che il Fisco sia un attore noto e non “raggirato”.

Checklist operativa per il venditore (debitore) di una SAS con debiti

Di seguito una checklist sintetica, passo per passo, di ciò a cui un venditore indebitato dovrebbe prestare attenzione quando si accinge a vendere la propria società o azienda:

  1. Due Diligence Interna dei Debiti: Stilare un elenco completo di tutti i debiti della società: fiscali (imposte, IVA, ritenute), previdenziali (INPS, INAIL), bancari (prestiti, mutui, leasing, scoperti), commerciali (fornitori, affitti, utenze), verso dipendenti (stipendi, TFR), eventuali contenziosi legali con potenziali passività. Indicare per ciascuno importi, scadenze, eventuali piani di rientro.
  2. Verifica di Bilancio e Scritture: Assicurarsi che i debiti siano correttamente riflessi nella contabilità. Debiti non registrati creano doppio problema: per il compratore (che potrebbe non vederli) e per voi (che restate gli unici obbligati ex art. 2560). Meglio far emergere tutto in bilancio prima della cessione, anche a costo di peggiorare i conti: la trasparenza ora evita rogne dopo.
  3. Documenti chiave: Procurarsi i documenti utili:
    • Certificato carichi pendenti fiscali dall’Agenzia Entrate.
    • DURC aggiornato.
    • Estratti conto bancari recenti e lettere di affidamento fidi.
    • Estratti debito fornitori (bilancio o libro acquisti).
    • Situazione crediti vs debiti per eventuali compensazioni.
    • Contratti con clausole rilevanti (leasing, mutui con covenant, contratti di appalto con responsabilità solidale, ecc.).
    • Libro unico del lavoro (per ferie/TFR).
  4. Coinvolgimento dei professionisti: È caldamente consigliato coinvolgere un commercialista e un avvocato esperti in operazioni societarie sin dall’inizio. Il commercialista aiuta a mettere ordine nei conti e preparare eventuali situazioni patrimoniali da presentare. L’avvocato aiuta a individuare i rischi legali (es. possibili reati, pendenze nascoste).
  5. Valutazione e scelta della modalità di cessione: Decidere se conviene vendere l’azienda o le quote. Valutare aspetti fiscali: vendita d’azienda può generare plusvalenza tassabile per la società/persona, vendita di quote può generare plusvalenza per la persona fisica venditrice (spesso esente se partecipazione detenuta da più di 5 anni e società di persone, ma controllare). Considerare l’impatto sui creditori: ad esempio, se l’obiettivo è far entrare un nuovo socio investitore mantenendo la società, si opterà per cessione di quote; se l’obiettivo è che un concorrente rilevi il business ma non la società, cessione di azienda.
  6. Contatto con i Creditori Chiave: Identificare i creditori critici (banche, fornitori maggiori, fisco se debiti elevati, proprietario immobile se affitto). Valutare di informarli confidenzialmente che state negoziando una cessione e magari sondare la disponibilità a:
    • Concordare transazioni (sconto per pagamento immediato).
    • Rilasciare liberatorie (es. banca che libera fideiussione se nuovo acquirente apporta garanzie).
    • Non diffondere allarmi (un fornitore allarmato potrebbe bloccare forniture essenziali e mettere in ginocchio l’attività prima della vendita).
      In alcuni casi, coinvolgere i creditori chiave può farli collaborare (meglio prendere il 50% ora che rischiare zero poi). Attenzione però a non fare passaggi non autorizzati: se trattate con uno dovreste offrire pari condizioni a tutti di pari grado, altrimenti altri potrebbero agire legalmente (soprattutto in situazione pre-insolvenza, occhio a pagamenti preferenziali).
  7. Scelta dell’acquirente: Selezionare con cura l’acquirente. Evitare “soluzioni facili” con personaggi poco affidabili. Meglio un compratore serio, anche se offre meno, piuttosto che uno che promette di prendersi tutti i debiti ma potrebbe peggiorare la situazione. Se l’acquirente è uno di quei “prestanome” che comprano società indebitate, riflettete: vi libererà formalmente, ma se poi sparisce e lascia fallire la società, potete finire coinvolti penalmente. Due diligence inversa: voi siete indebitati, ma potete comunque fare un minimo di due diligence su chi compra (esperienza, solidità, motivazioni).
  8. Negoziazione degli accordi: Sedersi al tavolo con l’acquirente e, carte alla mano, concordare:
    • Quali debiti paga il venditore prima o al closing (es: “mi occupo io di pagare Tizio, Caio e Sempronio prima di firmare”).
    • Quali debiti si accolla l’acquirente (es: “mi faccio carico io del leasing e di quell’altro mutuo”).
    • Come questo si riflette sul prezzo (sottrazioni, sconti, ecc.).
    • Tempistiche: se alcuni pagamenti avverranno post-closing, prevedere scadenze e modalità di verifica.
    • Garanzie reciproche (escrow, trattenute, ecc. come già discusso).
      Ogni punto concordato andrà poi tradotto in clausole chiare nel contratto.
  9. Stesura del contratto: Far redigere il contratto di cessione (d’azienda o di quote) a un legale esperto. Verificare che includa tutte le clausole di salvaguardia discusse (dichiarazioni, manleve, condizioni, ecc.). Attenzione agli aspetti fiscali: far inserire eventuali riparti di prezzo su avviamento/beni per minimizzare imposte di registro (se cessione azienda) o per definire il valore della quota (se cessione quota, per l’eventuale tassazione del capital gain).
  10. Atto notarile e adempimenti: Pianificare con il notaio la firma dell’atto e i depositi camerali. Preparare eventuali deleghe o procura se il cedente non può essere presente. Notificare (quando richiesto) a terzi: ad esempio, se vendete azienda, predisporre la lettera ai debitori ceduti (art. 2559 c.c.) per avvisarli di pagare il nuovo titolare. Se vendete quote, assicurarsi che il notaio depositi la modifica del contratto sociale.
  11. Gestione transitoria: Stabilire se il venditore rimarrà per un periodo come consulente o affiancherà l’acquirente per passaggio consegne. In caso, regolare con un mini-contratto (anche solo lettera di incarico). Questo può tranquillizzare dipendenti e clienti. Ovviamente, attenzione a ruoli di facciata: se vendete ma restate di fatto a gestire come prima, e magari l’acquirente è un prestanome, rischiate oltre a confondere i terzi anche di vanificare la separazione di responsabilità.
  12. Comunicazioni post-vendita: Dopo la conclusione, comunicare:
    • Ai dipendenti (se azienda venduta) spiegando il passaggio di consegne e rassicurando sui loro diritti.
    • Ai clienti e fornitori: solitamente l’acquirente invia una comunicazione di cambio gestione (specie se ditta operativa, es. “Da oggi la società XYZ ha ceduto l’azienda a ABC, i vostri contratti proseguono con ABC…”). Il venditore può controfirmare o inviare messaggi separati di saluto e ringraziamento, favorendo il passaggio di rapporto.
    • In caso di appalti pubblici o autorizzazioni: notificare all’ente appaltante o autorità il trasferimento d’azienda (spesso richiesto per cessione di ramo in appalti).
    • Aggiornare eventuali polizze assicurative, licenze intestate, iscrizioni a registri (es. REA, registro rifiuti) per riflettere il nuovo titolare.
  13. Utilizzo del ricavato: Se il venditore incassa qualcosa, destinare queste risorse secondo priorità: pagamento dei debiti rimasti a proprio carico, accantonamento di somme per eventuali richieste future (non dilapidare subito tutto l’incasso, tenere conto che per qualche anno potrebbe servire liquidità se emergono imprevisti legati alla vecchia gestione).
  14. Conservazione documenti: Anche dopo aver venduto, mantenere copia di documenti contabili e contrattuali del periodo in cui eravate dentro (almeno per i 10 anni successivi) – potrebbero servirvi a difesa se qualcuno contesta pagamenti o responsabilità su quell’epoca. La società acquirente avrà preso i libri, ma farsi una copia di backup (con accordo di riservatezza) è prudente.
  15. Monitoraggio: Continuare a monitorare, nei mesi seguenti, che l’acquirente stia adempiendo (se previsto) ai pagamenti dei debiti che si è accollato. Se tardasse, un sollecito informale è opportuno. Inoltre monitorare eventuali notifiche al vecchio indirizzo: spesso atti fiscali o legali possono arrivare ancora a voi, quindi mantenete un recapito aggiornato al Registro Imprese per eventuali notifiche all’ex amministratore/socio.

Questa checklist ovviamente va adattata al caso concreto, ma copre i punti cardine. L’idea centrale è prevenire i problemi anziché curarli: anticipare i bisogni dei creditori, dell’acquirente, e ottemperare alle formalità, così che la cessione avvenga senza strascichi negativi.

Esempi pratici e casi reali (simulazioni)

Vediamo ora alcuni scenari pratici basati su casi italiani, per illustrare in modo concreto come le cose possono andare – nel bene e nel male – quando si vende una SAS indebitata.

Esempio 1: Cessione virtuosa e accordo con creditori – La TecnoSAS produce componenti meccanici, ma ha subito crisi di liquidità: debiti con fornitori per 100.000 €, Equitalia vanta 80.000 € tra IVA e INPS non pagati, banca esposizione 50.000 € (fido). I soci, ormai in affanno, trovano un investitore disposto a rilevare e rilanciare l’azienda. Con l’aiuto di un consulente, delineano un piano: l’investitore costituirà una nuova Srl (NewCo) che acquisterà l’azienda della SAS. Si convocano i principali creditori prima della vendita:

  • I fornitori, in un meeting, accettano di stralciare il 20% dei loro crediti se la NewCo li paga subito a closing. Quindi anziché 100k, accettano 80k.
  • Equitalia: i soci attivano la procedura di transazione fiscale: l’Agenzia Entrate acconsente (viste le prospettive) a ridurre sanzioni e interessi, per cui su 80k di cartelle la SAS pagherà 60k entro il closing (grazie ai fondi apportati dall’acquirente).
  • La banca, considerato che l’investitore è solido, mantiene il fido con NewCo e libera i vecchi soci dalle garanzie, richiedendo però un rientro di 10k immediato.
    Con questo accordo, la situazione debitoria effettiva scende e c’è il placet di tutti. L’azienda viene ceduta a NewCo per un corrispettivo di 200.000 €, di cui:
    • 80.000 € vanno direttamente ai fornitori (pagati contestualmente dal notaio).
    • 60.000 € all’Erario per chiudere la transazione fiscale.
    • 10.000 € alla banca per il mini-rientro.
    • 50.000 € restano ai vecchi soci (che li usano per liquidare TFR dipendenti e altre spese).
      L’investitore in NewCo di fatto ha speso 200k, acquisendo l’azienda libera da debiti (salvo il fido rifinanziato) e con fornitori ed Erario soddisfatti. I vecchi soci, pur non incassando quasi nulla, evitano il fallimento e possibili azioni penali, e salvano i posti di lavoro. Questo scenario “win-win” richiede che il valore dell’azienda giustifichi l’investimento e che i creditori collaborino – fortunatamente, qui era così.

Esempio 2: Vendita di società a prestanome e conseguenze penali – La Alfa SAS è una piccola impresa edile con grossi debiti: 200.000 € di IVA evasa e 50.000 € di contributi non versati. L’amministratore, Gianni, teme controlli e decide di sbarazzarsi della società. Trova tramite conoscenze un certo “Sig. B” disposto a rilevare la società per un euro. B è nullatenente ed è noto (nell’ambiente) per fare da testa di legno. Gianni, sollevato, formalizza a luglio 2024 la cessione delle sue quote al Sig. B, dimettendosi da accomandatario. B diventa il nuovo accomandatario. Subito dopo, B trasferisce la sede legale altrove e non si occupa di pagare nulla. Nei mesi successivi:

  • L’IVA dovuta diventa cartella esattoriale: Equitalia la notifica ad Alfa SAS (ormai senza beni) e a Gianni come ex accomandatario per l’anno 2023. Gianni ignorava ciò, la notifica va a vuoto perché lui ha cambiato indirizzo senza comunicarlo.
  • A novembre 2024 parte un’indagine per evasione fiscale su Gianni (per l’IVA non versata 2022-23). Scoprono inoltre che a luglio 2024 Alfa SAS aveva venduto alcuni macchinari sottocosto a un’altra ditta collegata a Gianni, prima di cedere la società a B. Questo appare come sottrazione di beni.
  • Nel 2025 Alfa SAS fallisce su istanza di un creditore. Il curatore rileva che Gianni poco prima di uscire ha effettuato bonifici sospetti a parenti e quella vendita di macchinari. Segnala il tutto.
    Risultato: Gianni viene rinviato a giudizio per sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11) e bancarotta fraudolenta (distrattiva) per le operazioni compiute prima della cessione. Il suo tentativo di “lavarsene le mani” vendendo a B non lo salva. Anzi, viene visto come un aggravamento volontario del danno ai creditori (avendo consegnato la società a persona inattendibile). Gianni rischia pene significative e l’interdizione dall’attività. Questo esempio illustra la trappola di certe soluzioni: vendere a un prestanome può sembrare una scorciatoia, ma espone a gravi conseguenze legali.

Esempio 3: Cessione di quote con socio uscente ancora perseguitato – La Delta SAS (ditta commerciale) aveva due accomandatari, Luca e Paolo. Nel 2023 Luca vuole uscire e cede la sua quota a un nuovo socio, Stefania. La società ha un debito con un fornitore di 30.000 € risalente al 2022. Nel contratto di cessione, Stefania e Paolo si impegnano a pagare quel fornitore, ma non fissano termini precisi. Passano 6 mesi e il fornitore è ancora impagato; perde la pazienza e fa decreto ingiuntivo contro Delta SAS, e in solido contro Luca (ex socio) e Paolo (socio rimasto). Luca si trova di nuovo coinvolto: aveva confidato nell’impegno di Stefania, ma quest’ultima ha avuto difficoltà di liquidità e non ha saldato. Il tribunale ingiunge a Luca di pagare poiché il debito era di epoca in cui era socio. Luca è costretto a versare 30.000 € di tasca sua per evitare il pignoramento (approfittando della casa di proprietà). Poi cita in giudizio Stefania per farsi restituire quei 30.000 € sulla base della clausola di manleva del contratto di cessione. Dopo due anni, ottiene un decreto ingiuntivo verso Stefania, ma lei nel frattempo ha chiuso l’attività e ha pochi beni; recuperare è difficile. Morale: Luca, socio uscente, ha finito per pagare un debito della società nonostante avesse venduto, e non riesce a rivalersi efficacemente sul nuovo socio. Questo scenario, purtroppo, è reale in diversi casi: evidenzia la necessità per il socio uscente di scegliersi bene i successori e di blindare gli accordi (ad esempio con garanzie reali o escrow). Se Luca avesse preteso che parte del prezzo restasse in deposito fino a pagamento del fornitore, forse ora non sarebbe in questa situazione.

Esempio 4: Vendita con continuità e ristrutturazione – La Elettrica SAS (impiantistica) ha debiti bancari e fiscali, ma un buon avviamento. Il figlio del titolare vorrebbe rilevare l’attività e continuare. Decidono per una cessione d’azienda dal padre al figlio (che costituisce una SRL unipersonale nuova). Siccome è un passaggio in famiglia, i creditori guardano con sospetto per timore di un “passa debiti a nullatenente e tieni il business”. Tuttavia il figlio, tramite la SRL, presenta contestualmente un piano di rientro ai creditori: offre un pagamento dilazionato del 70% dei crediti in 2 anni, garantito da un immobile di famiglia ipotecato a loro favore. I creditori maggiori accettano. L’azienda viene venduta alla SRL per un euro formalmente (è più un passaggio generazionale che una vendita), ma la SRL si obbliga ad onorare il piano. Il padre rimane come consulente. Due anni dopo, la SRL ha pagato tutti secondo gli accordi e l’azienda è salva. I creditori erano inizialmente pronti a far denunce, ma la presenza di un piano trasparente e l’effettivo pagamento li ha dissuasi. Questo scenario mostra che continuità familiare + accordo creditori può funzionare, ma richiede garanzie tangibili per convincere i creditori e disinnescare eventuali reazioni legali.

Ogni caso può essere diverso, ma la lezione trasversale è: la correttezza e la pianificazione pagano. Vendere una società indebitata è possibile e in certi frangenti auspicabile (per salvare il valore residuo e dare continuità all’azienda), ma va fatto con rispetto delle norme e degli interessi dei creditori per evitare di trasformare un problema economico in un problema legale ben più grave.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Vendendo la mia SAS indebitata, i debiti “spariscono”?
R: No. I debiti non spariscono magicamente con la vendita. Se vendi l’intera azienda, l’acquirente ne risponde insieme a te per quelli esistenti (se contabilizzati), ma tu rimani comunque obbligato verso i creditori salvo liberatoria espressa. Se vendi le quote, la società resta debitrice e tu, come ex accomandatario, rimani illimitatamente responsabile per i debiti sorti durante la tua gestione. Quindi, a meno che i creditori approvino liberatorie, la vendita non cancella le tue responsabilità pregresse.

D: Chi paga i debiti fiscali se vendo l’azienda?
R: Tu rimani obbligato principale verso il Fisco. L’acquirente dell’azienda è coobbligato in solido per imposte e sanzioni relative all’anno in corso e due precedenti (entro il valore dell’azienda). Può però liberarsi ottenendo il certificato di regolarità fiscale (carichi pendenti) negativo. In pratica, se emergono debiti tributari, il Fisco li chiederà prima a te e, se non paghi, potrà rivalersi sull’acquirente, ma solo fino a concorrenza del valore azienda. Se vendi le quote, l’acquirente (nuovo socio) non è responsabile “per legge tributaria”, ma la società e tu (ex socio) sì, per il periodo di tua gestione. Meglio comunque pagare il Fisco col ricavato della vendita se possibile, per evitare rogne (anche penali).

D: Posso vendere la società e non pagare i debiti?
R: Tecnicamente puoi vendere la società (quote) o l’azienda senza pagare subito tutti i debiti, ma i creditori potranno comunque agire contro di te o contro la società ceduta. Inoltre, se la vendita è fatta allo scopo di eludere i creditori, questi possono impugnarla con azione revocatoria. Se addirittura è per frodare il Fisco, rischi conseguenze penali (reato di sottrazione fraudolenta). Insomma, vendere per non pagare non è una strategia lecita né efficace: i debiti ti inseguono e si aggravano i rischi legali.

D: Dopo aver venduto, potrei essere ancora perseguito dai creditori?
R: Sì, assolutamente. Ad esempio, se dopo la vendita un fornitore non viene pagato dall’acquirente, può ancora chiedere a te (cedente) di saldare. Oppure, se emergono nuovi accertamenti fiscali per il passato, li notificheranno a te. Per liberarti, devi ottenere un accordo di liberazione con ciascun creditore o assicurarti che vengano pagati. Altrimenti, rimarrai co-responsabile per anni (finché i debiti non si estinguono o cadono in prescrizione).

D: Come mi proteggo se l’acquirente non paga i debiti che ha promesso di pagare?
R: Devi prevedere clausole contrattuali forti: manleva a tuo favore, depositi di prezzo in escrow, garanzie (fideiussioni, pegni) a tuo beneficio, clausole risolutive. In pratica, non affidarti alla “buona volontà”. Ad esempio, se l’acquirente dice che pagherà i fornitori, fai in modo che una parte del prezzo resti bloccata e venga usata per pagarli. Oppure fatti dare garanzie reali. Più il compratore è solido e affidabile, meno rischi; ma comunque tutelati contrattualmente.

D: È meglio vendere le quote della SAS o vendere l’intera azienda in caso di debiti?
R: Dipende. Vendere l’azienda ti permette di isolare il compratore dai “problemi legali” della società (p.es. se la società ha irregolarità pregresse, il compratore prende solo gli asset puliti). Ma l’acquirente d’azienda è responsabile ex lege di alcuni debiti (noti), quindi sarà molto attento e potrebbe scontarli dal prezzo. Vendere le quote significa trasferire la società con tutti i debiti al suo interno: l’acquirente si accolla tutti i rischi e debiti, il che di solito porta a prezzo molto basso (o richiede che il venditore immetta denaro per pareggiare). In più, vendendo quote tu ex accomandatario resti responsabile dei debiti passati, mentre vendendo l’azienda tu resti coobbligato ma almeno la tua società potrà essere liquidata. Riassumendo: se l’acquirente vuole continuare l’attività con la stessa società (es. per contratti in corso), dovrai vendere quote; se preferisce partire pulito, venderai l’azienda. In entrambi i casi, le tue responsabilità pregresse permangono, ma con l’azienda venduta potresti chiudere la vecchia società una volta sistemati i debiti, mentre se vendi quote la società prosegue e potresti rispondere di eventuale fallimento futuro per fatti del passato.

D: Cosa rischio penalmente se vendo una società piena di debiti a un prestanome?
R: Rischi molto. Se la tua intenzione è di sottrarti ai debiti, probabilmente configuri il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (se ci sono debiti fiscali >50k). Inoltre, se la società poi fallisce, potresti essere accusato di bancarotta fraudolenta per distrazione per aver di fatto “abbandonato” i creditori spostando i beni a un soggetto insolvente. Anche il prestanome può avere guai (tipo concorso in bancarotta). Ci sono vari casi di cronaca dove l’ex titolare e il nuovo prestanome vengono entrambi condannati. Quindi non farlo: meglio affrontare i debiti in modo trasparente che tentare di farli sparire con un prestanome.

D: Devo avvisare i creditori che sto vendendo la società?
R: Legalmente non sempre obbligatorio, ma è consigliabile per quelli principali. Nella cessione di azienda non c’è un obbligo generale di preavviso (tranne che ai dipendenti via sindacati se >15 lavoratori). Nella cessione di quote, nemmeno. Però se informi un creditore prima o durante, e magari ottieni il suo consenso a qualche accordo, riduci la possibilità che faccia azioni aggressive (tipo se si sente tradito). Inoltre, nel caso di partner contrattuali critici (fornitori strategici, banca, locatore), coinvolgerli evita che reagiscano negativamente (pensa al padrone dei muri: se scopre a cose fatte che hai venduto, potrebbe non rinnovare il contratto al nuovo venendo meno un asset chiave). Quindi, pur non essendo tenuto per legge, , è buona pratica concordare con l’acquirente un piano di comunicazione verso i creditori chiave, possibilmente presentando la cosa come un bene per loro (“entrerà nuova finanza e verrete pagati secondo questi termini…”). Ricorda: un creditore informato e rassicurato è meno incline a cause o denunce.

D: Dopo la vendita, la mia vecchia società SAS conviene chiuderla?
R: Se hai venduto l’azienda, la SAS può rimanere come contenitore di debiti residui (il che è rischioso perché se non li paghi può essere trascinata in fallimento) oppure puoi liquidarla. Spesso, se rimangono debiti rilevanti, non riuscirai a cancellarla finché i creditori non sono soddisfatti (non otterresti il nullaosta per la cancellazione fiscale se ci sono debiti fiscali pendenti). Ma se la maggior parte dei debiti è stata trasferita o pagata, può aver senso mettere in liquidazione la SAS e chiuderla, così da cristallizzare la situazione. Attenzione però: la cancellazione dal Registro Imprese di per sé non estingue le responsabilità personali già esistenti dei soci per i debiti (continuerai a risponderne per 5 anni dopo la cancellazione, ex art. 2495 c.c.). Quindi chiudere la società non ti immunizza, ma può evitare che maturino altri costi o debiti. Nel caso di cessione di quote, tu non avrai più il potere di chiuderla (saranno i nuovi soci eventualmente a farlo, se lo riterranno).

D: Se nella mia SAS indebitata ci sono immobili o beni importanti, posso venderli prima di cedere la società per ridurre i debiti?
R: Puoi, ma occhio a tempi e modi. Se vendi beni per pagare debiti, è lecito (bancarotta preferenziale a parte se poi fallisci e hai scelto quali debiti pagare). Se vendi beni a terzi e non usi i soldi per i creditori, questi atti possono essere revocati in fallimento o considerati distrattivi. Meglio includere tali beni nella trattativa complessiva con l’acquirente dell’azienda/società. Se proprio vuoi vendere immobili a parte (ad es. la società possiede il capannone e preferisci che rimanga a te e lo affitti al compratore), assicurati che il prezzo sia di mercato e preferibilmente usa il ricavato per abbattere l’esposizione. Se invece liquidi gli asset e porti via la cassa, lasciando la scatola vuota ai creditori, questa è la classica condotta che porta a guai penali in caso di insolvenza.

D: Quali sono i riferimenti normativi principali a cui devo guardare?
R: Per la cessione d’azienda i fondamentali sono: artt. 2558-2560 c.c. (successione nei contratti, crediti e debiti); art. 2112 c.c. (rapporto di lavoro e solidarietà cedente-cessionario); art. 14 D.Lgs. 472/97 (responsabilità tributaria del cessionario); art. 2901 c.c. (revocatoria ordinaria). Per la cessione di quote: art. 2290 c.c. (responsabilità socio uscente) e art. 2315 c.c. (applicazione norme SNC alle SAS) e naturalmente le norme del codice civile sul contratto sociale (ma quelle rilevano meno per i debiti). Per i penali: art. 11 D.Lgs. 74/2000, art. 216 L.F. (ora art. 322 CCII) per bancarotta fraudolenta, 223 L.F. (ora art. 340 CCII) per bancarotta dei non imprenditori, art. 641 c.p. per insolvenza fraudolenta, ecc. Nella sezione fonti troverai un elenco più completo.

D: I dipendenti possono opporsi alla vendita se temono per i loro crediti?
R: Nel trasferimento d’azienda, i dipendenti non possono impedirlo. Hanno però diritto di continuare con il nuovo datore e, se il trasferimento comporta sostanziali modifiche peggiorative, possono dare dimissioni per giusta causa conservando diritto a TFR e Naspi. In cessione di quote, nulla cambia per loro contrattualmente. Se temono per crediti arretrati, in pratica possono agire legalmente (ingiunzione) per farseli garantire prima che avvenga il passaggio. Sindacati e Ispettorato del Lavoro vigilano se il trasferimento appare finalizzato a eludere diritti dei lavoratori (ad es. società in crisi che cede a soggetto non affidabile per liberarsi di dipendenti: potrebbero intervenire). Come debitore, è saggio coinvolgere anche i dipendenti, rassicurarli e possibilmente saldare gli arretrati prima per avere il loro supporto invece che conflitto.

D: Se sto trattando la vendita e un creditore prova a pignorare beni o a fallirmi, cosa posso fare?
R: Situazione critica. Se arriva un’ingiunzione o pignoramento, puoi tentare di guadagnare tempo (es. opposizione se ci sono motivi, o accordo col creditore per sospendere esecuzione in vista di pagamento a closing). Se qualcuno presenta istanza di fallimento, hai l’opzione di proporre un concordato preventivo o una composizione negoziata per bloccare le azioni e completare la vendita nell’ambito di quella procedura. Questo è complesso ma a volte conviene (un concordato potrebbe prevedere la cessione dell’azienda a un terzo e il ricavato ai creditori). Devi muoverti con consulenti legali esperti in crisi d’impresa. Non ignorare segnali del genere: se c’è odore di fallimento, affrettati a formalizzare la vendita o a mettere in sicurezza l’operazione in modo legale (magari con l’ok del tribunale, se fai un concordato con continuità indiretta, ossia vendi l’azienda e i soldi vanno al concordato).

Tabelle riepilogative

Per fissare meglio alcuni concetti chiave già espressi, presentiamo due tabelle riepilogative: la prima riassume chi risponde dei debiti in varie situazioni di cessione; la seconda elenca i principali strumenti di tutela contrattuale a disposizione del venditore e del compratore.

Tabella 1 – Responsabilità per i debiti nella cessione di SAS indebitata

SituazioneResponsabilità verso i creditori
Cessione di azienda (debiti antecedenti risultanti da contabilità)Cedente e Cessionario responsabili in solido (art. 2560 c.c.). Il cedente resta obbligato salvo liberatoria del creditore.
Cessione di azienda (debiti antecedenti non registrati)Cedente unico responsabile; cessionario non obbligato ex lege. (Ma il cessionario potrà non averli conosciuti e rivalersi sul cedente per violazione garanzie).
Cessione di azienda (debiti successivi al trasferimento)Cessionario (nuovo titolare) unico obbligato; il cedente non risponde di nuove obbligazioni dell’azienda (salvo patto contrario o garanzie fornite).
Cessione di quote (debiti sociali sorti prima della cessione quote)Società debitrice + ex soci accomandatari illimitatamente responsabili. Nuovi soci accomandatari non responsabili personalmente di tali debiti (resta però il patrimonio sociale su cui i creditori possono agire).
Cessione di quote (debiti sorti dopo il cambio soci)Società debitrice + nuovi soci accomandatari illimitatamente responsabili. I vecchi soci usciti non rispondono di obbligazioni sorte dopo la loro uscita.
Debiti fiscali (trasferimento d’azienda)Cedente + Cessionario responsabili solidali fino a valore azienda, con beneficio escussione (art. 14 D.Lgs 472/97). Cedente non liberato. Cessionario esente se certificato negativo.
Debiti contributivi/lavoro (trasferimento d’azienda)Cedente + Cessionario solidali per crediti lavoratori (art. 2112). Per contributi verso INPS: solidali se registrati (2560). Cedente non liberato.
Garanzie personali del cedente (fideiussioni)Continuano a vincolare il cedente finché il creditore (banca/fornitore) non lo libera espressamente, indipendentemente da cessione azienda o quote.

Tabella 2 – Strumenti di tutela contrattuale nella vendita di società/azienda indebitata

Strumento/ClausolaFunzioneA vantaggio di
Due Diligence e allegati debitiAllega al contratto l’elenco dettagliato dei debiti e situazioni pendenti (Elenco Passività). Base per garanzie e accolli.Acquirente (chiarezza su ciò che assume); Cedente (definisce campo delle sue dichiarazioni).
Dichiarazioni e GaranzieIl venditore attesta lo stato dell’azienda/società (in particolare che non ci sono debiti occulti oltre quelli dichiarati).Acquirente (potrà rivalersi se spuntano passività non dichiarate).
Clausola di ManlevaUna parte (di solito il venditore) si impegna a tenere indenne l’altra da specifiche passività (es. debiti pregressi non noti); oppure l’acquirente manleva il venditore per debiti che si accolla.Entrambe (ciascuno per la propria tutela: venditore manleva acquirente su vecchi debiti, acquirente manleva venditore su debiti accollati).
Accollo di debitoL’acquirente assume formalmente un debito del venditore verso un creditore (accollandoselo). Se liberatorio, libera il venditore (serve consenso creditore); se cumulativo, resta coobbligato.Venditore (se riesce a farlo liberatorio) e Acquirente (può gestire direttamente il debito spesso negoziando migliori condizioni).
Price Adjustment (aggiustamento prezzo)Meccanismo che rettifica il prezzo dopo il closing in base a differenze nella situazione finanziaria effettiva (es. se debiti reali > dichiarati, diminuisce prezzo, e viceversa).Soprattutto Acquirente (paga per ciò che ottiene effettivamente, non di più). Può proteggere anche venditore se risultassero meno debiti.
Deposito del prezzo / EscrowParte del prezzo viene depositata presso terzo (notaio, banca) e rilasciata al venditore solo al verificarsi di condizioni (es. avvenuto pagamento di X debiti, trascorso tempo senza reclami).Acquirente (ha garanzia di fondo per coprire passività non saldate); Venditore onesto (dà fiducia all’acquirente, facilita accordo).
Penali contrattualiSanzione pecuniaria prefissata in caso di inadempimento di obblighi post-vendita (es. mancato pagamento di un debito accollato entro data X comporta penale € Y).Entrambe (assicura serietà negli impegni reciproci). Difficile da riscuotere se controparte insolvente però.
Clausola risolutiva espressaStabilisce che il mancato rispetto di un obbligo (es. non pagamento di certi debiti entro termine) risolve automaticamente il contratto di vendita.Venditore (potrebbe riprendere azienda se compratore inadempiente); ma in pratica tutela limitata perché situazione azienda può peggiorare nel frattempo.
Garanzie reali o fideiussioniL’acquirente può consegnare una fideiussione bancaria a favore del venditore a garanzia di obblighi (es. pagamento debiti accollati), oppure il venditore può lasciare pegno/ipoteca all’acquirente a garanzia di indennizzi per passività occulte.Entrambe (ciascuno a seconda di chi le riceve). Rare ma utili quando c’è diffidenza o rischio elevato.
Condizioni sospensiveLa vendita è condizionata all’ottenimento di eventi come: liberatoria banca, adesione creditori al piano, rilascio certificato fiscale negativo, ecc. Se non avvengono, niente vendita.Di solito Venditore (non vuole vendere senza certe garanzie, es. di essere liberato dalla banca). Acquirente pure, se condizione è forse riduzione debiti.

Queste tabelle aiutano a visualizzare in sintesi aspetti trattati nel testo. Ovviamente ogni caso concreto richiederà di applicare gli strumenti opportuni.

Fonti normative e giurisprudenziali (agg. 2025)

Normativa civile e commerciale:

  • Codice Civile: Art. 2290 c.c. (Responsabilità del socio uscente nelle società di persone, illimitata per le obbligazioni sorte fino al recesso); Art. 2315 c.c. (applicazione norme SNC alle SAS); Art. 2558 c.c. (Successione nei contratti aziendali); Art. 2559 c.c. (Trasferimento dei crediti); Art. 2560 c.c. (Debiti relativi all’azienda ceduta, coobbligo cedente-cessionario); Art. 2112 c.c. (Mantenimento dei diritti dei lavoratori e solidarietà per crediti di lavoro); Art. 2557 c.c. (Divieto di concorrenza del cedente); Art. 2901 c.c. (Azione revocatoria ordinaria, atti in frode ai creditori); Art. 2495 c.c. (cancellazione società e responsabilità dei soci entro 5 anni).
  • Legge Fallimentare / Codice della Crisi: Art. 67 R.D. 267/42 (revocatoria fallimentare); Art. 216 R.D. 267/42 (bancarotta fraudolenta); corrispondenti artt. 164, 322, 323, 324, 340 D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa) per fallimenti dichiarati dopo 15/07/2022.
  • Norme speciali in materia di trasferimento d’azienda: L. 428/1990, art. 47 (obbligo di comunicazione sindacale per trasferimento d’azienda con >15 dipendenti, procedure di consultazione sindacale); D.Lgs. 276/2003 art. 32 (appalto e solidarietà contributiva, marginale qui ma per completezza).
  • Responsabilità solidale fiscale e previdenziale: Art. 14 D.Lgs. 472/1997 (responsabilità solidale del cessionario d’azienda per imposte e sanzioni tributarie, anno cessione e due precedenti, beneficio escussione, limite valore, certificato carichi pendenti); Art. 1 co. 40 L. 296/2006 (responsabilità solidale appalti, menzionato solo di sfuggita); D.L. 78/2010 art. 13-bis (DURC e responsabilità solidale appalti).

Normativa penale e tributaria:

  • Reati tributari (D.Lgs. 74/2000): Art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k), Art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k), Art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte, >€50k).
  • Reati fallimentari (R.D. 267/42 e D.Lgs. 14/2019): Art. 216 L.F. / 322 CCII (bancarotta fraudolenta per distrazione, occultamento, documentale); Art. 217 L.F. / 323 CCII (bancarotta semplice); Art. 223 L.F. / 340 CCII (reati dei soci/amministratori di società, equiparazione a bancarotta fraudolenta se commettono fatti ex art. 216).
  • Codice Penale: Art. 641 c.p. (insolvenza fraudolenta); eventualmente Art. 640 c.p. (truffa) se vendite simulate per ingannare creditori; Art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali) se bilanci falsificati.
  • Norme sul lavoro: D.Lgs. 199/2016 (reato omesso versamento contributi INPS oltre soglia €10k annui, depenalizzazione parziale), L. 638/1983 art. 2 (reato omesso versamento contributi, soglie e regime).

Giurisprudenza (sentenze) recente e rilevante:

  • Cassazione Civile, sez. trib., n. 9085/2023 – Ha stabilito che la certificazione negativa ex art.14 D.Lgs.472/97 libera il cessionario d’azienda anche per debiti dell’anno di cessione non ancora accertati al momento del trasferimento.
  • Cassazione Civile, sez. II, n. 30140/2024 (22/11/2024) – Ha confermato la revocatoria ex art. 2901 c.c. di una cessione d’azienda effettuata a prezzo irrisorio da società poi fallita, in frode ai creditori. Rileva come consilium fraudis il fatto che la cedente avesse difficoltà finanziarie e ha ignorato i creditori (anche se l’acquirente era coobbligato ex 2560).
  • Cassazione Civile, sez. III, n. 27189/2014; Cass. 6230/2013; Cass. 20447/2011; Cass. 8649/2010 – (serie di decisioni sul socio uscente di società di persone) – Principio: “Il socio accomandatario che cede la quota risponde illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali sorte fino all’iscrizione della cessione nel Registro Imprese o fino a quando il terzo ne abbia avuto altrimenti conoscenza”.
  • Cassazione Penale, sez. V, n. 33988/2023 – Conferma che atti reali dispositivi (es. cessione rami d’azienda) possono integrare sottrazione fraudolenta art. 11 D.Lgs. 74/2000 se inseriti in una strategia ingannevole per sottrarre beni al Fisco.
  • Cassazione Penale, sez. V, n. 834/2024 (dep. 9 gennaio 2024) – Conferma sequestro società neocostituite: caso di debito fiscale 1,5 milioni, cedente trasferisce assets a due newco di familiari sapendo dell’accertamento; atto considerato fraudolento (sottrazione fraudolenta).
  • Cassazione Penale, sez. V, n. 44451/2017 – Stabilisce che per il reato di sottrazione fraudolenta non serve danno effettivo, basta l’atto potenzialmente pregiudizievole; caso SRL indebitata che conferisce azienda in newco e cede rami a società di familiari svuotando l’originaria.
  • Cassazione Penale, sez. V, n. 34464/2018 – Ha affermato che integra bancarotta fraudolenta per distrazione la cessione di un ramo d’azienda senza adeguato corrispettivo, effettuata poco prima del fallimento.
  • Cassazione Penale, sez. V, n. 32893/2021 (dep. 31/08/2021) – Caso di “dissimulata cessione d’azienda con esclusione dei debiti”, conferma condanna per sottrazione fraudolenta di imposte ex art.11.
  • CTR (Comm. Trib. Reg.) Lazio, sez. I, n. 345/2016 – Ha riformato la sentenza di CTP, affermando la responsabilità ex socio accomandatario per debiti tributari sorti ante cessione quota, in linea con Cassazione. Riferisce Cass. 6230/2013 etc.
  • Tribunale di Milano, sent. 2211/2020 – (in ambito M&A) sui limiti operatività clausole di garanzia passività occulte nella cessione di partecipazioni.

Altri riferimenti / prassi:

  • Circolare Ministeriale Min. Finanze 180/E del 1998 – Chiarisce ambito art. 14 D.Lgs.472/97: include violazioni commesse anche anteriormente all’anno di cessione se accertate nell’anno di cessione.
  • INPS – messaggi vari su DURC (DURC online, ecc.), normativa DURC D.M. 30/1/2015.

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