Decreto Ingiuntivo Contro Società Di Persone E Soci: Come Opporsi

Hai ricevuto un decreto ingiuntivo diretto alla tua società di persone, come una SNC o una SAS? O magari, peggio ancora, ti è arrivata una notifica personale come socio e non sai cosa fare? La prima cosa da sapere è che non sei obbligato a subire tutto in silenzio: esistono tempi e strumenti precisi per opporsi legalmente e difendere il tuo patrimonio.

Ma quando un decreto ingiuntivo coinvolge i soci? E cosa si può fare per fermarlo in tempo?

Nelle società di persone, come SNC e SAS, i soci rispondono con il proprio patrimonio personale per i debiti sociali. Questo significa che, se la società non paga, i creditori possono agire anche contro i singoli soci. Tuttavia, la legge ti consente di presentare opposizione al decreto, per contestare l’importo, le ragioni del credito o perfino la tua responsabilità come socio.

Quanto tempo ho per oppormi? Cosa devo fare per non perdere questa possibilità?

Hai solo 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo per depositare un’istanza di opposizione. E in questi casi ogni giorno è fondamentale: basta un errore formale o un ritardo, e il decreto diventa definitivo, con conseguente rischio di pignoramento.

E se sono solo un socio che non ha firmato nulla? Posso difendermi lo stesso?

Sì. In molti casi è possibile contestare la responsabilità personale, soprattutto se il credito è sorto dopo la tua uscita dalla società o se non hai avuto alcun ruolo nella decisione oggetto della richiesta. Con l’aiuto di un avvocato, puoi chiedere l’esclusione della tua responsabilità o presentare opposizione per motivi sostanziali.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario, opposizioni e difesa del patrimonio – ti spiega cosa succede quando arriva un decreto ingiuntivo contro una società di persone, quando il socio può essere coinvolto, come si presenta opposizione e cosa possiamo fare per aiutarti a difenderti subito ed evitare conseguenze gravi.

Hai ricevuto un decreto ingiuntivo come socio di una SNC o SAS? Non sai come reagire e hai paura che ti pignorino i beni personali?

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo la tua situazione specifica, valuteremo la strategia di opposizione più adatta e ti accompagneremo in tutte le fasi legali per difenderti, proteggere i tuoi beni e bloccare il procedimento.

Introduzione

Il decreto ingiuntivo è un provvedimento giudiziario emesso inaudita altera parte (cioè senza contraddittorio iniziale) con cui un creditore può ottenere velocemente un titolo esecutivo per un credito certo, liquido ed esigibile. Quando un decreto ingiuntivo viene emesso contro una società di persone (come una S.n.c., S.a.s. o società semplice), esso può avere implicazioni dirette sui soci illimitatamente responsabili della società. In questa guida analizziamo approfonditamente cosa accade in tale scenario e come il debitore può opporsi, dal punto di vista sia della società debitrice sia dei singoli soci.

Affronteremo tutte le tipologie di società di persone – società semplice (S.s.), società in nome collettivo (S.n.c.) e società in accomandita semplice (S.a.s.) – esaminando la responsabilità solidale e illimitata dei soci e come questa incide nella fase monitoria (decreto ingiuntivo) e di opposizione. Analizzeremo inoltre gli aspetti civilistici, processuali e fiscali, inclusi i termini e le modalità per proporre opposizione al decreto ingiuntivo. Un’attenzione particolare sarà riservata alla giurisprudenza più recente (Corte di Cassazione e pronunce di merito fino a giugno 2025) per evidenziare i principi chiave emersi, supportati da riferimenti a sentenze rilevanti.

Troverete anche tabelle riepilogative per una consultazione rapida delle informazioni principali, una sezione domande e risposte per chiarire i dubbi frequenti, nonché simulazioni pratiche di casi tipici in ambito italiano. Nella sezione finale, saranno elencate tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate o utilizzate nella guida, così da poter approfondire ulteriormente ogni aspetto trattato.

Le società di persone e la responsabilità illimitata dei soci

Le società di persone costituiscono una categoria di società caratterizzate da un forte elemento personale e dalla responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni sociali (ad eccezione dei soci accomandanti nelle S.a.s., come vedremo). Fanno parte di questa categoria: la società semplice (S.s.), la società in nome collettivo (S.n.c.) e la società in accomandita semplice (S.a.s.). Prima di esaminare nello specifico il decreto ingiuntivo in tali contesti, è essenziale comprendere le peculiarità di ciascuna forma societaria e il regime di responsabilità dei relativi soci.

Tipologie di società di persone e caratteristiche principali

Le società di persone si distinguono principalmente per lo scopo, la struttura dei soci e il regime di responsabilità verso i creditori. Nella tabella seguente riepiloghiamo le tipologie di società di persone, indicando composizione e profili di responsabilità:

Tipo di societàDescrizione e composizioneResponsabilità verso i creditori
Società semplice (S.s.)Forma base di società di persone, priva di scopo commerciale (utilizzata tipicamente per attività agricole o professionali). Tutti i soci partecipano alla gestione salvo patto contrario.Tutti i soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali. È ammesso un patto interno di limitazione per alcuni soci, ma esso non è opponibile ai terzi se non portato a loro conoscenza. In pratica, verso i creditori tutti i soci (noti) restano coobbligati con il patrimonio sociale.
Società in nome collettivo (S.n.c.)Società di persone con scopo commerciale. Tutti i soci sono “amministratori” di diritto salvo diversa pattuizione, ma rispondono tutti in modo simile.Tutti i soci rispondono personalmente, illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali, senza eccezioni (la S.n.c. ha piena autonomia patrimoniale imperfetta: i creditori sociali devono prima agire sul patrimonio sociale, ma i soci restano garanti illimitati come spiegato di seguito).
Società in accomandita semplice (S.a.s.)Società con due categorie di soci: almeno un accomandatario (gestore) e uno o più accomandanti (capitalisti, senza poteri di gestione).I soci accomandatari hanno la stessa responsabilità dei soci S.n.c., quindi illimitata e solidale per i debiti sociali. I soci accomandanti, invece, rispondono soltanto nei limiti della quota conferita e non assumono responsabilità personale ulteriore, a meno che violino il divieto di ingerenza nella gestione (ad esempio compiendo atti di amministrazione o consentendo che il proprio nome compaia nella ragione sociale, comportamenti che possono far perdere il beneficio della responsabilità limitata ai sensi degli artt. 2317 e 2320 c.c.).

Nota: Responsabilità illimitata significa che il socio risponde con tutti i suoi beni personali presenti e futuri (art. 2740 c.c.) dei debiti della società, oltre ovviamente al patrimonio sociale. Responsabilità solidale significa che il socio può essere chiamato a pagare l’intero debito sociale in luogo della società o degli altri soci: il creditore sociale può pretendere l’adempimento integrale da uno qualsiasi dei coobbligati (società o singolo socio), restando ferma la facoltà di regresso interno tra i soci stessi in base alle quote di partecipazione o agli accordi interni.

Autonomia patrimoniale imperfetta: le società di persone godono di un’autonomia patrimoniale soltanto imperfetta. Ciò comporta che esiste un patrimonio sociale separato su cui i creditori sociali devono prioritariamente soddisfarsi, ma tale separazione non è assoluta: se il patrimonio sociale risulta insufficiente, i creditori possono rivolgersi al patrimonio personale dei soci. Questa caratteristica si riflette nell’art. 2304 c.c., il quale stabilisce che i creditori sociali non possono chiedere il pagamento ai singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale. In altre parole, il creditore deve prima tentare di soddisfarsi sui beni della società e, solo in caso di incapienza di questi ultimi, può aggredire i beni personali dei soci. Come vedremo, la giurisprudenza ha interpretato questa norma nel senso che il beneficio della preventiva escussione rileva soprattutto nella fase esecutiva (cioè di recupero coattivo del credito), ma non impedisce al creditore di ottenere già in sede di cognizione un titolo esecutivo contro i soci. In ogni caso, la previsione ribadisce il principio per cui il patrimonio sociale è il primo “fondo di garanzia” dei creditori, mentre la responsabilità dei soci opera in via sussidiaria.

Responsabilità solidale e illimitata dei soci: natura e implicazioni

La responsabilità dei soci illimitatamente responsabili (tutti i soci nella S.s. e S.n.c., i soli accomandatari nella S.a.s.) viene spesso definita una “responsabilità da posizione”: essa deriva dallo status di socio e riguarda automaticamente tutti i debiti della società, a prescindere da chi abbia materialmente contratto l’obbligazione. In pratica, ogni socio illimitatamente responsabile funge da garante ex lege di tutte le obbligazioni sociali. Questo comporta alcune conseguenze fondamentali:

  • Il creditore sociale, in caso di inadempimento della società, può rivolgersi a qualsiasi socio (oltre che alla società stessa) per ottenere il pagamento del dovuto, in forza del vincolo di solidarietà. Non è tenuto a suddividere la richiesta in proporzione alle quote: per il principio di solidarietà attiva può pretendere l’intero importo da un singolo socio e, una volta soddisfatto, saranno piuttosto i soci tra loro a regolare i conti interni (diritto di regresso ex art. 1299 c.c.).
  • Il socio che paga i debiti sociali avrà diritto di rivalersi sulla società (ad esempio, come credito verso la società) e sugli altri soci per la parte di competenza di ciascuno. Tuttavia, se la società è insolvente, quel socio potrebbe dover sopportare in via definitiva il pagamento effettuato, salvo successiva escussione degli altri soci solventi.
  • Data la solidarietà, un evento che estingua l’obbligazione per un socio (ad es. una transazione o una causa vinta che accerti l’inesistenza del debito) potrebbe in certi casi giovare anche agli altri coobbligati. Questo è previsto dall’art. 1306 c.c., secondo cui la sentenza favorevole ottenuta da un condebitore solidale può essere opposta dal coobbligato rimasto estraneo al giudizio, se non fondata su ragioni personali. Tuttavia, come vedremo più avanti, nel caso del decreto ingiuntivo la mancata opposizione di un socio entro i termini può precludere la possibilità di beneficiare dell’eventuale esito favorevole ottenuto da altri soci in sede di opposizione.
  • La presenza del beneficio di escussione (art. 2304 c.c. sopra citato) non significa che i soci non possano essere convenuti in giudizio prima di aver escusso la società. Significa piuttosto che non si potrà procedere a esecuzione forzata sui loro beni finché non sia stato tentato senza successo il pignoramento dei beni sociali. Ad esempio, il creditore può chiedere un decreto ingiuntivo anche contro i soci contestualmente (o separatamente) a quello contro la società, così da procurarsi un titolo esecutivo diretto nei loro confronti, ma al momento di riscuotere coattivamente dovrà prima aggredire i beni della società (salvo che questi risultino insufficienti). Questo principio è stato confermato più volte dalla Cassazione, che ha chiarito come il beneficio d’escussione operi sul piano esecutivo e non precluda l’azione giudiziale cognitiva contro i soci illimitatamente responsabili. Ciò “permette al creditore di munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio” e persino di iscrivere ipoteca giudiziale sui suoi beni, prevenendo dilazioni in caso di incapienza del patrimonio sociale.

Soci uscenti e nuovi soci: continuità delle obbligazioni sociali

Nel corso di vita di una società di persone, la compagine sociale può mutare: soci che escono (per recesso, cessione di quota, morte) e nuovi soci che entrano. La legge disciplina questi eventi prevedendo regole precise sulla responsabilità per i debiti sociali pregressi:

  • Responsabilità del socio uscente (o dei suoi eredi): secondo l’art. 2290 c.c., il socio che esce rimane responsabile verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali sorte fino al giorno in cui è avvenuto lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a lui. Ciò significa che i debiti contratti dalla società fino alla data di uscita (ad esempio fino alla data di efficacia del recesso o della cessione della quota) continuano a gravare su di lui, anche se esce dalla società. Invece, non è responsabile per le obbligazioni sorte in seguito (dopo la sua uscita). Questa responsabilità post-uscita ha comunque dei limiti: lo scioglimento del rapporto sociale deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei (registro delle imprese o altra pubblicità) affinché il socio uscente possa opporre ai creditori la propria cessazione. Se l’uscita non è resa conoscibile e un terzo contrae crediti con la società confidando in buona fede nella presenza del socio uscente (ignorando senza colpa la sua uscita), tale socio potrebbe risultare ancora obbligato verso quel terzo (secondo comma dell’art. 2290 c.c.). Esempio: Tizio recede da una S.n.c. il 1° marzo, ma la notizia non viene pubblicata. Se un fornitore, ignaro, concede credito alla società il 10 marzo pensando che Tizio sia ancora socio, Tizio potrebbe dover rispondere anche di quel debito, nonostante fosse “uscito”, perché la sua uscita non era opponibile al terzo.
  • Responsabilità del nuovo socio entrante: l’art. 2269 c.c. dispone che chi entra a far parte di una società di persone già costituita risponde insieme agli altri soci anche per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio. Questo principio crea una sorta di “continuità” di responsabilità: il nuovo socio si accolla ex lege i debiti pregressi della società. La ratio è tutelare i creditori sociali, evitando che un cambio di soci possa compromettere le loro garanzie. In pratica, l’adesione ad una società di persone esistente implica l’approvazione dell’operato sociale pregresso e l’assunzione incondizionata di tutte le passività sociali già maturate. Pertanto, se un soggetto diventa socio di una S.n.c. o S.a.s. oggi, egli potrà essere chiamato a rispondere anche di debiti che la società aveva contratto prima del suo ingresso (fermo restando il diritto di regresso eventualmente verso chi gli ha ceduto la quota, secondo accordi interni). Nota: questa regola si applica a tutte le società di persone (S.s., S.n.c. e anche S.a.s. per il nuovo accomandatario entrante). Non rileva se il socio uscente resti comunque obbligato: anche se i vecchi soci non fossero liberati, il creditore ha un ulteriore soggetto su cui far valere il credito (il nuovo socio). Ad esempio, Caio entra come nuovo socio accomandatario in una S.a.s.: egli risponde anche dei debiti che la S.a.s. aveva prima del suo ingresso, e potrà essere destinatario di richieste di pagamento o di un decreto ingiuntivo per tali debiti pregressi.

Riepilogo sulla continuità delle responsabilità:

  • Un ex socio resta co-obbligato per i debiti contratti fino alla data della sua uscita (anche se emergono successivamente, come un decreto ingiuntivo notificato alla società dopo che egli è uscito, ma relativo a un contratto concluso prima). La sua responsabilità cessa per i debiti sorti dopo l’uscita. Inoltre, se l’uscita non è pubblicizzata, un creditore contrattuale potrebbe considerarlo ancora socio e agire contro di lui in buona fede.
  • Un nuovo socio risponde anche dei debiti antecedenti al suo ingresso. Pertanto, non può eccepire, di fronte a un creditore, che “il debito risale a prima che diventassi socio”: per la legge quel debito ricade anche su di lui (salvo ovviamente accordi di manleva interni con il venditore della quota, irrilevanti per i terzi).

Queste norme evidenziano la forte tutela predisposta per i creditori nelle società di persone: il vincolo di solidarietà si estende nel tempo, coprendo sia chi lascia sia chi entra, garantendo che i debiti sociali trovino comunque dei soggetti obbligati su cui far valere il credito.

Il decreto ingiuntivo: nozioni generali e procedura

Il decreto ingiuntivo è uno strumento del processo civile italiano regolato dagli artt. 633-656 c.p.c., noto anche come procedimento monitorio. Si tratta di una procedura semplificata che consente di ottenere rapidamente un ordine di pagamento (ingiunzione) a carico di un debitore, senza passare per un giudizio ordinario completo, quando il credito soddisfa determinati requisiti di prova scritta e liquidità. Di seguito riepiloghiamo le caratteristiche essenziali del decreto ingiuntivo e il suo funzionamento generale, prima di addentrarci nelle particolarità legate alle società di persone.

  • Presupposti per richiederlo: Il creditore (detto ricorrente in questa fase) può presentare un ricorso per ingiunzione al giudice competente (di regola, tribunale o giudice di pace a seconda del valore e materia) quando ha un credito di somma di denaro o di quantità di cose fungibili o una consegna di una cosa mobile determinata, purché il diritto sia fondato su prova scritta (ad es. contratti, fatture, assegni, estratti autentici di libro contabile, ecc. – art. 634 c.p.c.). Il credito deve essere certo, liquido ed esigibile (cioè non condizionato, di importo determinato e già scaduto).
  • Procedimento inaudita altera parte: Il giudice esamina il ricorso e i documenti senza sentire il debitore. Se ritiene fondate le pretese, emette il decreto ingiuntivo con cui ingiunge al debitore di pagare la somma (o consegnare la cosa) entro un certo termine (di solito 40 giorni) oppure di proporre opposizione. Il decreto viene emesso quindi in assenza di contraddittorio iniziale, e viene poi notificato al debitore.
  • Termine per adempiere o opporsi: Al debitore ingiunto viene assegnato un termine (solitamente 40 giorni dalla notifica in ambito nazionale) per pagare quanto dovuto oppure proporre opposizione al decreto ingiuntivo (art. 641 c.p.c.). In mancanza di opposizione entro il termine, il decreto diventa esecutivo e definitivo, acquisendo l’efficacia del giudicato (art. 647 c.p.c.). Il giudice ha facoltà di ridurre o aumentare il termine standard di 40 giorni per giustificati motivi: ad esempio può ridurlo fino a 10 giorni nei casi di particolare urgenza (crediti che richiedono tutela rapida), oppure estenderlo (ad esempio se il debitore risiede all’estero i termini sono aumentati: 50 giorni se risiede in altro Stato UE, 60 giorni se fuori dall’Unione). Queste estensioni sono previste per tener conto dei maggiori tempi di notifica transnazionale.
  • Provvisoria esecutività: Normalmente, fino allo spirare del termine di opposizione, il decreto ingiuntivo non è esecutivo e il debitore non è costretto a pagare immediatamente (può attendere e decidere se opporsi). Tuttavia, il giudice può concedere la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo in talune circostanze previste dall’art. 642 c.p.c., ad esempio se il credito riguarda cambiali, assegni, certificati di liquidazione di borsa, oppure se vi è pericolo nel ritardo (il giudice valuta il periculum in mora). Se il decreto è dichiarato provvisoriamente esecutivo, diventa eseguibile immediatamente, anche prima dei 40 giorni, e il creditore può iniziare l’esecuzione forzata (pignoramenti) subito dopo la notifica. In tal caso il debitore, pur potendo sempre proporre opposizione entro i termini, si trova nella necessità di agire più rapidamente, ad esempio chiedendo al giudice della futura opposizione la sospensione della provvisoria esecuzione (art. 649 c.p.c.) per evitare di subire pregiudizi nell’attesa della decisione sull’opposizione.
  • Notifica e decorrenza dei termini: Il termine di 40 giorni (o quello diverso fissato) decorre dalla notifica del decreto ingiuntivo al debitore. È onere del creditore notificare il decreto entro il termine di legge (normalmente 60 giorni dall’emissione, prorogati a 90 se notifica all’estero, ai sensi dell’art. 644 c.p.c.). Se la notifica non avviene in tempo utile, il decreto perde efficacia. Se la notifica avviene ma il debitore non propone opposizione entro il termine, il creditore può chiedere alla cancelleria l’apposizione della formula esecutiva (cd. “visto si esecuti”) sul decreto, il che lo rende titolo esecutivo a tutti gli effetti.
  • Effetti del mancato pagamento o mancata opposizione: Se il debitore non paga né propone opposizione nei termini, il decreto ingiuntivo diviene definitivo ed efficace come una sentenza passata in giudicato (art. 647 c.p.c.). A quel punto non si può più contestare nel merito il credito ingiunto, e il creditore può procedere all’esecuzione forzata (pignoramenti di beni, conti, ecc.) in base a quel titolo. Il decreto ingiuntivo non opposto è infatti destinato ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale in ordine al diritto di credito accertato. Peraltro, come vedremo, nel caso di più debitori in solido (es. società e soci), il giudicato può formarsi separatamente per chi non ha fatto opposizione, con peculiari conseguenze sui rapporti fra coobbligati.
  • Opposizione a decreto ingiuntivo: L’opposizione apre la fase di merito vera e propria: il debitore opponente diviene attore in un giudizio ordinario di cognizione davanti allo stesso ufficio giudiziario che ha emesso il decreto (anche se spesso davanti a un giudice collegiale se il decreto era del giudice monocratico, a seconda dell’organizzazione del tribunale). Il giudizio di opposizione si svolge secondo le norme del rito civile ordinario (salvo qualche adattamento): il creditore originario assume il ruolo processuale di convenuto-opposto, ma mantiene l’onere di provare il fondamento della pretesa creditoria contestata. In altre parole, l’opposizione trasforma il procedimento monitorio in un processo a cognizione piena, in cui si discute del rapporto sottostante. L’esito del giudizio potrà confermare, annullare o modificare il decreto ingiuntivo.

Riassumendo, il decreto ingiuntivo è uno strumento potente a disposizione del creditore per saltare la fase iniziale di un processo ordinario e ottenere un titolo in tempi rapidi. D’altro canto, al debitore è garantito il diritto di difesa attraverso l’opposizione: se ritiene che il credito non sia dovuto (o non nella misura ingiunta), può chiedere al giudice, entro i termini, di revocare o riformare il decreto. Nel frattempo, salvo che sia stata concessa l’esecutorietà provvisoria, il debitore non subisce esecuzione. Se invece resta inerte, lo strumento premia il creditore, consolidando il suo diritto in tempi brevi.

Nei paragrafi successivi vedremo come questa disciplina generale si innesta nelle dinamiche particolari delle società di persone, dove la presenza di una pluralità di soggetti obbligati (la società stessa e i soci) e di regole speciali sulla loro responsabilità influisce in maniera significativa sia sulla fase monitoria, sia sulla fase di opposizione ed esecuzione.

Decreto ingiuntivo contro una società di persone: effetti sui soci

Quando il debitore intimato con decreto ingiuntivo è una società di persone, occorre considerare che, come spiegato, i soci illimitatamente responsabili sono coobbligati in solido per le obbligazioni sociali. Questo comporta che un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della società può avere riflessi diretti anche sui soci, pur se questi ultimi non sono formalmente menzionati nel provvedimento. In questa sezione analizziamo come il decreto ingiuntivo possa essere indirizzato nei confronti dei soci e/o della società, quali accorgimenti deve adottare il creditore e, soprattutto, quali sono gli effetti sui soci illimitatamente responsabili nel caso in cui il decreto non venga opposto.

Azione monitoria contro società e soci: possibilità e strategia del creditore

Un creditore di una società di persone ha diverse opzioni su chi indicare come destinatario del ricorso per decreto ingiuntivo:

  • Può chiedere il decreto ingiuntivo solo contro la società (essendo questa un soggetto di diritto dotato di autonomia patrimoniale, ancorché imperfetta, legittimato a stare in giudizio in persona dei suoi rappresentanti).
  • Può richiederlo congiuntamente contro la società e contro i soci illimitatamente responsabili, in qualità di coobbligati in solido.
  • In teoria, potrebbe perfino chiederlo solo contro i soci illimitatamente responsabili, in quanto obbligati solidali del rapporto obbligatorio, evitando di ingiungere la società stessa (anche se quest’ultima opzione è meno comune e potrebbe incontrare qualche resistenza pratica, ma giuridicamente è ammessa: la Cassazione ha chiarito che il creditore può agire in sede di cognizione direttamente contro il socio illimitatamente responsabile senza dover prima escutere la società).

La scelta dipende da considerazioni strategiche:

  • Ingiungere solo la società: può avere senso se il creditore preferisce rivolgersi all’ente collettivo e attendere l’eventuale esito dell’opposizione da parte sua, riservandosi di agire sui soci solo in fase esecutiva (sfruttando la responsabilità illimitata). Tuttavia, come vedremo, un decreto ingiuntivo non opposto dalla società produce effetti di giudicato anche verso i soci illimitatamente responsabili. Quindi, anche se i soci non sono nominati nel decreto, se la società non si oppone, i soci restano vincolati al pagamento in base a quell’obbligazione sociale. Questa circostanza è cruciale e spesso poco nota al socio “non destinatario” formale del decreto.
  • Ingiungere società e soci insieme: è la via più cautelativa per il creditore. Notificando il decreto sia alla società sia ai soci, il creditore ottiene un titolo esecutivo direttamente utilizzabile contro tutti (società e soci) se non viene proposta opposizione. Ciò consente, ad esempio, di iscrivere ipoteca giudiziale immediatamente sui beni dei soci, di notificare precetti a tutti, etc., senza dover invocare applicazioni analogiche. Questa pratica, infatti, mette al riparo da eventuali dubbi procedurali sul titolo esecutivo verso i soci, e sfrutta appieno il principio che i soci illimitatamente responsabili possono essere convenuti ab origine. Come evidenziato, il beneficio d’escussione non impedisce l’azione monitoria anche contro i soci, quindi il giudice può emettere un decreto ingiuntivo intestato sia alla società debitrice principale che ai soci coobbligati.
  • Ingiungere solo i soci: ipotesi rara ma considerabile se, ad esempio, la società si è sciolta o è divenuta insolvente, e il creditore intende agire direttamente sui patrimoni personali dei soci. Dato che i soci illimitatamente responsabili rispondono in proprio, il creditore potrebbe ritenere inutile ingiungere un ente magari privo di beni. Questa via è percorribile, poiché la legge consente di chiamare in giudizio direttamente i coobbligati solidali (il socio illimitatamente responsabile è in sostanza un debitor ex lege della stessa obbligazione). In passato c’era dibattito circa la necessità di escutere prima il patrimonio sociale in sede di cognizione, ma la Cassazione – come già notato – ha stabilito che ciò vale solo per l’esecuzione, non per la fase di accertamento.

Importante: se si procede solo contro i soci, bisogna ben delineare nel ricorso la fonte dell’obbligazione sociale e la qualità di socio illimitatamente responsabile, così da giustificare il titolo nei suoi confronti. Ad esempio: “Tizio, in qualità di socio illimitatamente responsabile della Alfa S.n.c., è tenuto in solido al pagamento…”. Il titolo monitorio così ottenuto sarà direttamente contro Tizio come debitore principale in solido.

Notifica del decreto ingiuntivo e decorrenza dei termini per società e soci

Quando un decreto ingiuntivo è emesso a carico di più soggetti (es. società + soci), può accadere che la notifica avvenga in giorni diversi per i vari ingiunti. Ad esempio, la società potrebbe ricevere la notifica prima dei soci o viceversa, oppure i soci potrebbero riceverla in date differenti tra loro. Questo genera la possibilità di differenti decorrenze dei termini di opposizione per ciascuno.

Occorre tener presente che:

  • Il termine di 40 giorni (o quello stabilito) decorre individualmente per ciascun destinatario dalla propria notifica. Dunque un socio ingiunto che riceve l’atto in un giorno diverso rispetto alla società avrà la sua scadenza calcolata autonomamente.
  • Tuttavia, se uno dei coobbligati lascia decorrere il suo termine senza opporsi e il decreto diviene definitivo nei suoi confronti, possono sorgere problemi di coordinamento con l’opposizione eventualmente ancora pendente di un altro coobbligato. Ad esempio, se la società non si oppone tempestivamente ed il termine sociale scade, il decreto diventa irrevocabile verso la società: tale giudicato si estende anche ai soci illimitatamente responsabili, secondo la giurisprudenza, rendendo inutile un’opposizione successiva da parte loro.

La Cassazione ha infatti affermato con chiarezza che “il decreto ingiuntivo pronunciato a carico di una società di persone estende i suoi effetti anche contro i soci illimitatamente responsabili”. Ciò in virtù del fatto che, essendo l’obbligazione sociale imputabile anche ai soci, il consolidarsi del titolo nei confronti della società implica la definitività dell’accertamento del credito anche verso i soci. Si tratta di una situazione assimilata a quella prevista dall’art. 477 c.p.c., che consente l’esecuzione del titolo anche contro soggetti diversi da quelli nominati, come gli eredi o – per analogia – i coobbligati ex lege. In pratica, la mancata opposizione della società rende il decreto ingiuntivo definitivo e incontestabile per i soci, obbligandoli al pagamento in solido di quanto ingiunto.

Questa regola ha conseguenze pratiche importanti:

  • Se il decreto ingiuntivo è indirizzato solo alla società e la società non propone opposizione in tempo, il socio illimitatamente responsabile – pur non essendo stato parte formale del procedimento monitorio – non potrà più contestare nel merito quella pretesa creditoria. Egli, se vuole evitare di subirne gli effetti, ha l’onere di attivarsi autonomamente proponendo opposizione (anche in via tardiva se necessario) in nome proprio. In altre parole, il socio deve intervenire volontariamente a propria difesa anche se non chiamato, per impedire che quel titolo si consolidi e venga poi utilizzato contro di lui.
  • Se il decreto ingiuntivo è indirizzato anche ai soci, ogni socio ha il suo termine per opporsi dalla notifica. Però, come accennato, potrebbe verificarsi che la società opponga in ritardo o non opponga affatto, mentre il socio oppone tempestivamente. In tal caso, la giurisprudenza di merito più recente ha stabilito che, se l’opposizione della società è tardiva (dunque il titolo è divenuto definitivo verso la società), l’opposizione proposta dal socio nei termini non può essere esaminata nel merito, poiché il decreto, divenuto irrevocabile per la società, esplica effetti anche verso il socio. Si crea così una situazione in cui l’opposizione del socio viene di fatto “vanificata” dal giudicato formatosi sulla società. La logica è che non avrebbe senso discutere l’esistenza del credito verso il socio, quando è ormai cristallizzato nei confronti del soggetto principale: la sorte dell’obbligazione è segnata.
  • Viceversa, se la società propone opposizione tempestiva, ma un socio (anch’egli ingiunto) lascia decorrere il suo termine senza opporsi, quel socio rimane personalmente vincolato dal decreto (ormai definitivo per lui), anche se la società dovesse poi vincere la causa di opposizione. Questo aspetto, controintuitivo, è stato affrontato dalla Cassazione: l’eventuale accoglimento dell’opposizione proposta dalla società o da un altro socio non si estende al socio che non abbia proposto tempestiva opposizione. In pratica, se più coobbligati sono ingiunti e solo alcuni reagiscono, chi resta inerte è condannato “in via definitiva” per conto proprio e non può giovarsi del successo altrui. Il principio è stato sancito dalla Cass. civ. 27 settembre 2022 n. 36942 in un caso in cui l’INPS aveva ingiunto due soci di una S.n.c. fallita per un credito (TFR anticipato dal Fondo di garanzia): uno dei soci aveva fatto opposizione e ottenuto la revoca del decreto, l’altro no. Ebbene, la Suprema Corte ha chiarito che il giudicato favorevole formatosi per l’opponente non giova al coobbligato che è rimasto contumace, il quale rimane obbligato in base al decreto divenuto irrevocabile nei suoi confronti. Non è invocabile neppure l’art. 1306, comma 2, c.c. (che in teoria permette al condebitore di usufruire della sentenza favorevole ottenuta da un altro), poiché qui ci si scontra con un giudicato già formato specificamente contro il socio non opponente.

In sintesi, ciascun socio illimitatamente responsabile deve considerarsi personalmente destinatario “potenziale” del decreto ingiuntivo rivolto alla società. Se riceve notifica formale, dovrà fare opposizione nei termini previsti. Se non riceve notifica (perché il decreto è stato intestato solo alla società), dovrebbe comunque attivarsi appena ne viene a conoscenza – ad esempio tramite notizie interne o atti di esecuzione – proponendo un’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. per evitare la cristallizzazione del titolo.

Questa situazione peculiare deriva dalla struttura della responsabilità solidale: il decreto ingiuntivo, pur essendo un provvedimento individuale, è strettamente connesso a un’obbligazione plurisoggettiva (debito sociale) che coinvolge altri soggetti. La Cassazione già in passato (sent. n. 6734/2011) aveva posto l’accento sul fatto che l’esistenza stessa dell’obbligazione sociale “grava anche sul socio” e giustifica l’estensione degli effetti del decreto non opposto al socio. In ragione di ciò, “ciascun socio illimitatamente responsabile, se vuole evitare questi effetti, ha l’onere di proporre opposizione al decreto ingiuntivo pronunciato nei confronti della sola società di persone, anche nelle forme dell’opposizione tardiva”. E se il socio non lo fa, non potrà successivamente, in sede esecutiva, far valere eccezioni di merito che avrebbe dovuto sollevare in sede di opposizione (gli sarà preclusa, ad esempio, la possibilità di contestare l’esistenza o l’entità del debito, potendo al massimo opporre vicende estintive sopravvenute, come pagamenti già effettuati, ma non contestare il titolo).

Beneficio della preventiva escussione e opposizione: chiarimenti

Un tema che sorge spontaneo è: “Il socio illimitatamente responsabile può difendersi opponendo che il creditore non ha ancora escusso il patrimonio sociale?”. La risposta, in sede di decreto ingiuntivo e di opposizione, è no, non in termini che possano portare all’annullamento del decreto. Il beneficio d’escussione sancito dall’art. 2304 c.c. non è una causa di improcedibilità del decreto ingiuntivo contro il socio, ma semmai una regola della fase esecutiva.

In altre parole:

  • Il socio non può ottenere la revoca di un decreto ingiuntivo sostenendo semplicemente che “doveva essere escussa prima la società”. I giudici hanno ribadito che il beneficio opera come limite all’esecuzione forzata, non all’azione di condanna. Pertanto, un giudice adito in opposizione dal socio non accoglierà tale motivo come valida eccezione per annullare l’ingiunzione. La Cassazione (ord. n. 22629/2020) ha chiarito che il creditore ha diritto di agire in sede di cognizione contro il socio proprio per munirsi di un titolo ed evitare ostacoli in seguito. Ciò previene, ad esempio, che il socio possa alienare beni nel frattempo o che sorgano altre formalità.
  • Ciò che il socio può eventualmente fare è chiedere, nell’ambito dell’opposizione, di subordinare l’efficacia esecutiva nei suoi confronti all’escussione preventiva dei beni sociali (ma questo è già nella legge, in realtà). Se l’ingiunzione non è provvisoriamente esecutiva, il problema non si pone fino al giudizio; se invece è provvisoriamente esecutiva anche contro il socio, il socio può chiedere al giudice dell’opposizione (ex art. 649 c.p.c.) di sospendere l’esecuzione evidenziando che il patrimonio sociale è capiente e immediatamente aggredibile, quindi non vi è pericolo a sospendere l’azione sui beni personali del socio. In pratica, valorizza il beneficio come argomento per ottenere la sospensione dell’esecuzione in corso contro di lui. Ma nel merito della opposizione, la sussidiarietà della sua obbligazione non incide sull’esistenza del debito.
  • In sede strettamente esecutiva, qualora il creditore voglia iniziare il pignoramento di beni di un socio senza aver tentato nulla sulla società, il socio può proporre un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. eccependo l’inesperita escussione preventiva del patrimonio sociale. Questa è l’interpretazione di alcuni: la Cassazione però ha chiarito che l’escussione è condizione per procedere coattivamente contro il socio; ciò significa che se il socio, a pignoramento iniziato, prova che il patrimonio sociale poteva essere escusso, potrebbe ottenere la sospensione dell’esecuzione nei suoi confronti. Tuttavia, se ad esempio la società è di fatto insolvente o priva di beni noti, il creditore potrà legittimamente procedere contro il socio, ritenendosi soddisfatta la condizione di preventiva escussione (giurisprudenza e dottrina considerano necessario un “accertamento di insufficienza” del patrimonio sociale, che può concretizzarsi anche nell’esito negativo di un pignoramento o in una certificazione di inesistenza di beni sociali pignorabili).

In definitiva, il socio illimitatamente responsabile deve fondare la propria opposizione su motivi di merito sostanziale (ad esempio: la società non deve nulla al creditore, oppure l’importo è errato, o ancora il credito è prescritto, ecc.), e non può confidare in difese meramente formali legate alla sua posizione accessoria rispetto alla società. Se il credito è dovuto e provato, il decreto sarà confermato anche verso il socio. L’unica agevolazione che il socio può ottenere, come riflesso del beneficio d’escussione, è in sede esecutiva: ovvero, evitare o ritardare il pignoramento sui suoi beni finché ci sono beni sociali disponibili. Ma, come si è visto, ciò non può tradursi in un annullamento del titolo monitorio.

Riepilogo degli effetti sui soci illimitatamente responsabili

  • Un decreto ingiuntivo non opposto dalla società è definitivo anche verso i soci illimitatamente responsabili: essi saranno tenuti al pagamento e non potranno contestarne il merito successivamente. Dovranno adempiere oppure subiranno esecuzione forzata diretta in base a quel titolo.
  • Un decreto ingiuntivo opposto dalla società e revocato dal giudice (es. perché il credito non era dovuto) libera la società e anche i soci dal debito. Tuttavia, se qualche socio non aveva fatto opposizione separatamente pur essendo anch’egli ingiunto, quel socio rischia di rimanere comunque obbligato per conto proprio (giudicato non rimosso per lui). Bisognerà in pratica valutare caso per caso la portata del dispositivo del giudice dell’opposizione e la posizione del socio contumace.
  • Un decreto ingiuntivo opposto solo da alcuni soci: chi oppone potrà vedersi riconosciute ragioni (ed essere liberato se l’opposizione viene accolta), ma chi non oppone rimane obbligato. L’eventuale pronuncia favorevole agli opponenti non si estende automaticamente ai non opponenti.
  • Il socio può proporre opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.) se scopre il decreto ingiuntivo quando ormai i termini ordinari sono decorsi, purché dimostri di non averne avuta tempestiva conoscenza per ragioni a lui non imputabili (come notifica nulla o cause di forza maggiore). Questa è spesso l’ultima risorsa per i soci non inizialmente coinvolti: ad esempio, se il socio viene a sapere dell’ingiunzione solo al momento in cui riceve un atto di precetto o di pignoramento, può entro 10 giorni da quella conoscenza proporre opposizione tardiva allegando l’irregolarità di notifica (dato che a lui non era mai stato notificato prima). Su questo punto torneremo nella sezione dedicata all’opposizione.

Il quadro delineato evidenzia perché i soci di società di persone debbano prestare massima attenzione a eventuali decreti ingiuntivi contro la società: il loro patrimonio personale è potenzialmente a rischio, e la legge e la giurisprudenza impongono loro di attivarsi prontamente se vogliono contestare il credito. Non possono attendere passivamente sperando che la questione riguardi solo la società “come entità separata”, perché in realtà così non è. Nel prossimo capitolo vedremo in dettaglio come opporsi efficacemente a un decreto ingiuntivo, con focus sulle modalità, i termini (comprese le particolarità dell’opposizione tardiva) e le strategie difensive adatte al caso di società di persone e soci.

Come opporsi al decreto ingiuntivo: modalità e termini

L’opposizione a decreto ingiuntivo è l’atto attraverso il quale il debitore ingiunto (sia esso la società debitrice, sia il socio coobbligato) esercita il suo diritto di difesa, chiedendo al giudice di revocare o modificare il decreto ingiuntivo emesso. Di seguito esaminiamo in dettaglio quando e come proporre opposizione, con particolare riguardo ai termini (ordinari e tardivi), alle forme procedurali e alle tattiche processuali che un socio illimitatamente responsabile o la società stessa possono adottare.

Termini di opposizione e decorrenze

Il termine ordinario per proporre opposizione è, come già accennato, di 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo (art. 641 c.p.c.), salvo che il giudice abbia assegnato un termine diverso. Esistono alcune variazioni di legge:

  • Debitore residente all’estero: 50 giorni se il debitore risiede in un altro Stato membro dell’UE; 60 giorni se risiede fuori dall’Unione Europea.
  • Termine abbreviato dal giudice: in presenza di giusti motivi, il giudice può aver ridotto il termine fino a un minimo di 10 giorni (ciò è indicato espressamente nel decreto ingiuntivo stesso, se accade).
  • Procedimenti speciali: (ad es. decreti ingiuntivi emessi dal giudice tutelare per spese di amministrazione di condomini, che hanno termini diversi) – ma nel contesto societario in genere non si applicano.

Se più soggetti sono ingiunti separatamente, ciascuno ha il suo termine dal momento della rispettiva notifica. È fondamentale annotare con precisione la data di notifica: il conteggio dei giorni decorre dal giorno successivo a quello di ricezione. I 40 giorni sono da intendersi giorni liberi (si esclude il dies a quo). Se il 40º giorno cade di sabato, domenica o festivo, la scadenza slitta al primo giorno feriale successivo.

Nella pratica, soprattutto per i soci che ricevono la notifica, può accadere che:

  • La notifica non giunga affatto (perché il decreto era intestato solo alla società) e il socio ne venga a conoscenza tardivamente (ad es. tramite un precetto). In tal caso, come vedremo, si valuta l’opposizione tardiva.
  • La notifica arrivi in tempi diversi: es. la società la riceve il 1° febbraio, il socio il 10 febbraio. La società avrà termine al 13 marzo (40 gg dal 2 feb.), il socio al 21 marzo (40 gg dal 11 feb.). Se la società lascia decorrere il termine, dal 14 marzo il decreto è definitivo verso di essa. Il socio formalmente avrebbe ancora tempo fino al 21 marzo, ma – come spiegato – la sua opposizione rischierebbe l’inammissibilità nel merito perché il titolo è divenuto definitivo per la società dal 14 marzo. È quindi consigliabile, in tali casi, che il socio anticipi l’opposizione senza aspettare l’ultimo giorno utile, magari coordinandosi con la società per opporsi congiuntamente nei tempi più brevi.

Opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.): se il termine ordinario è scaduto senza che il debitore abbia potuto attivarsi per cause indipendenti dalla sua volontà, la legge offre un rimedio straordinario. L’opposizione tardiva è ammessa “se il debitore prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del decreto per irregolarità della notificazione o per causa a lui non imputabile” (art. 650 c.1 c.p.c.). Le ipotesi tipiche:

  • Notifica nulla o viziata: ad es. il decreto è stato notificato a un indirizzo errato, o a una persona non autorizzata a riceverlo, o non è stato affatto notificato al socio. In questi casi il debitore può proporre opposizione tardiva quando viene a conoscenza del provvedimento.
  • Forza maggiore: circostanze eccezionali che hanno impedito al debitore di attivarsi (es. grave malattia, incidente, detenzione, caso fortuito che gli ha impedito di ricevere l’atto nonostante fosse notificato regolarmente).

Il termine per l’opposizione tardiva è di 10 giorni che decorrono “dal giorno in cui è cessato il fatto che ne ha impedito la tempestiva proposizione” (art. 650 c.2 c.p.c.). Ad esempio:

  • Se la notifica era nulla e il debitore l’ha scoperto solo ricevendo un atto di esecuzione (precetto/pignoramento), avrà 10 giorni da quella comunicazione per proporre opposizione tardiva.
  • Se il debitore era impedito per forza maggiore (es. ricoverato in coma durante tutto il periodo utile), avrà 10 giorni dal momento in cui recupera la capacità di agire.

Nel caso dei soci illimitatamente responsabili, l’opposizione tardiva può essere l’ancora di salvezza qualora la società abbia ricevuto il decreto ma non l’abbia comunicato al socio, o se il socio non ne era al corrente. Come detto, il socio appena viene a conoscenza (tipicamente, quando il creditore notifica un precetto nei suoi confronti basandosi sul decreto ingiuntivo definitivo verso la società), deve attivarsi celermente:

  1. Verifica dei presupposti: deve trattarsi di un caso in cui effettivamente egli non ha avuto conoscenza tempestiva per un vizio di notifica o causa a sé non imputabile. Se, ad esempio, il socio co-amministratore della S.n.c. ha ricevuto la notifica in quanto legale rappresentante della società, non potrà invocare l’opposizione tardiva dicendo che “come socio” non sapeva nulla: la notifica a lui come rappresentante della società lo rende edotto a tutti gli effetti.
  2. Atto di opposizione tardiva: si propone con le stesse formalità dell’opposizione ordinaria (atto di citazione da notificare al creditore), indicando nell’atto i motivi del mancato rispetto del termine e naturalmente i motivi di merito per opporsi al decreto. L’art. 650 c.p.c. prescrive che con l’opposizione tardiva si possono fare valere sia le ragioni di merito contro l’ingiunzione, sia i profili di irregolarità di notifica.
  3. Sospensione dell’esecuzione: il debitore che propone opposizione tardiva può chiedere al giudice di sospendere l’esecuzione che intanto potrebbe essere iniziata (art. 650 c.2 prevede che il giudice possa disporre la sospensione se ricorrono gravi motivi, analogamente all’opposizione ordinaria).

Va notato che l’opposizione tardiva non è ammessa se il debitore ha avuto conoscenza del decreto e semplicemente ha lasciato scadere il termine per negligenza. Deve esserci un elemento esterno che l’ha impedita. Ad esempio, il socio che viene informato informalmente del decreto ma decide di ignorarlo fino a subire il pignoramento non potrà poi difendersi con opposizione tardiva: la conoscenza l’aveva, anche se non formale.

Forma dell’opposizione e costituzione in giudizio

L’opposizione a decreto ingiuntivo si propone con atto di citazione (art. 645 c.p.c.), salvo nei procedimenti in cui il rito monitorio prevede forme diverse (es. materia di lavoro, dove può essere ricorso). Nel caso di crediti commerciali o civili ordinari:

  • L’atto di citazione in opposizione va notificato al creditore opposto (ossia colui che ha ottenuto il decreto) presso il domicilio eletto indicato nel decreto ingiuntivo. Sul decreto, infatti, il creditore ricorrente deve indicare il proprio domicilio (spesso è il domicilio dell’avvocato che ha presentato il ricorso). La notifica va quindi fatta a quell’indirizzo.
  • L’atto deve contenere, oltre ai motivi di opposizione (i fatti e le ragioni giuridiche per cui si contesta la pretesa), l’indicazione del tribunale e la data dell’udienza di comparizione. Quest’ultima va fissata tenendo conto dei termini a comparire (di regola non meno di 90 giorni liberi tra notifica e udienza in tribunale, ridotti a 45 se in composizione monocratica – art. 163 bis c.p.c. – salvo riduzioni ulteriori disposte dal giudice nell’atto di ingiunzione).
  • Nell’atto di citazione l’opponente può chiedere espressamente la sospensione della provvisoria esecuzione (se il decreto era esecutivo) o, se l’esecuzione è già partita, chiedere i provvedimenti urgenti per sospendere il pignoramento in corso.

Una volta notificata l’opposizione, si instaura il giudizio di merito. Il procedimento segue il rito ordinario di cognizione:

  • L’opponente deve costituirsi in giudizio (depositando l’atto notificato e la nota di iscrizione a ruolo) entro i termini previsti (10 giorni dalla notifica per atto di citazione anticipato, altrimenti entro il termine a comparire se l’atto è stato notificato con congruo anticipo).
  • Il creditore opposto si costituisce depositando una comparsa di risposta, con eventuale domanda riconvenzionale, se del caso, ed i documenti a sostegno del proprio credito (in pratica replica quanto già prodotto in monitorio, integrando se necessario).
  • Si procede poi con le eventuali memorie istruttorie secondo l’art. 183 c.p.c., l’ammissione dei mezzi di prova e così via, come un normale giudizio. L’onere della prova del credito rimane in capo al creditore (che, pur avendo ottenuto il decreto in base a prove scritte, potrebbe dover fornire ulteriore dimostrazione se l’opponente contesta ad esempio l’autenticità o la validità di quei documenti, oppure eccepisce pagamenti, prescrizione etc.).
  • All’esito, il giudice emetterà una sentenza: se l’opposizione è respinta, il decreto ingiuntivo viene confermato e acquista efficacia definitiva (se non lo era già), con eventuale condanna alle spese a carico dell’opponente; se l’opposizione è accolta, il decreto viene annullato (totale o parziale) e il giudice decide sul merito revocando l’obbligo di pagamento, oppure riducendo la somma, ecc., e regolando le spese di conseguenza. La sentenza è appellabile come ogni sentenza di primo grado.

Nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo relativi a società di persone, è prassi che, se sia la società che i soci sono ingiunti, essi facciano un’opposizione congiunta (ad esempio un unico atto di citazione per società e soci, rappresentati dallo stesso difensore) oppure opposizioni distinte che vengono poi riunite. La prima soluzione è preferibile per coerenza e per evitare duplicazioni. In un’opposizione congiunta, la società e i soci possono comparire come litiganti consorti (il che tra l’altro evita conflitti di interesse: in genere i loro interessi coincidono nel negare il debito o nel ridurlo). Se vi fosse un ipotetico contrasto (es. la società ammette il debito ma il socio vuole contestarlo, scenario raro), allora dovrebbero fare opposizioni separate e il giudice le tratterebbe insieme.

Sospensione della provvisoria esecuzione

Se il decreto ingiuntivo è stato dichiarato provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c., proporre opposizione non basta a fermare l’esecuzione: occorre un provvedimento ad hoc di sospensione (art. 649 c.p.c.). L’opponente deve fare istanza motivata, solitamente inserendola nell’atto di opposizione, oppure con ricorso separato se per urgenza serve prima dell’udienza di comparizione. Il giudice, valutati i gravi motivi, può sospendere in tutto o in parte l’efficacia esecutiva del decreto fino alla decisione dell’opposizione.

Nel contesto di una società di persone:

  • Se la provvisoria esecutorietà riguarda la società e i soci (perché il decreto era contro entrambi), in mancanza di sospensione il creditore potrebbe iniziare pignoramenti sia su beni sociali sia su beni personali dei soci. Quindi i soci e la società devono attivarsi immediatamente chiedendo la sospensione per evitare danni (come il blocco di un conto corrente personale del socio, ecc.). Gravi motivi potrebbero essere: la fondatezza almeno apparente di alcune eccezioni (fumus boni iuris) e il rischio di un pregiudizio irreparabile se l’esecuzione prosegue (periculum in mora), come la possibile insolvenza del socio se costretto a pagare subito.
  • Se la provvisoria esecuzione è stata concessa solo contro la società (cosa possibile, se ad esempio il decreto è stato chiesto in base a cambiale firmata dalla società), i soci potrebbero non essere immediatamente esecutati. Tuttavia, dato che la società è l’entità che di solito possiede i beni dell’impresa, il creditore inizierà dal pignorare quelli (es. merci, attrezzature, c/c aziendale). Anche in questo caso, può essere opportuno chiedere la sospensione per evitare che, in corso di opposizione, la società subisca un depauperamento (specie se poi l’opposizione avesse esito positivo).

La decisione sulla sospensione viene presa con ordinanza dal giudice istruttore, contro cui teoricamente è ammesso reclamo collegiale ex art. 669-terdecies c.p.c. (trattandosi di provvedimento cautelare), anche se non sempre si utilizza.

Se la sospensione viene negata e l’esecuzione prosegue, l’opponente deve prepararsi ad un eventuale scenario di restituzione: qualora alla fine vinca l’opposizione, avrà diritto alla restituzione di quanto eventualmente pagato o pignorato (con interessi e risarcimento dei danni, se ne prova, causati dall’esecuzione). Ad esempio, se un macchinario sociale è stato venduto forzatamente e poi il decreto è revocato, si può chiedere il risarcimento per la perdita subita.

Difese di merito tipiche nell’opposizione

L’opposizione a decreto ingiuntivo, essendo un giudizio di merito, permette al socio e/o alla società di far valere tutte le eccezioni di cui dispongono contro la pretesa del creditore. Alcune difese comuni, nel contesto delle società di persone, includono:

  • Inesistenza del debito o adempimento: provare che la somma non è dovuta perché, ad esempio, la merce non è mai stata consegnata, il servizio era inesatto, o perché il debito è già stato pagato (totalmente o parzialmente) o compensato.
  • Nullità o invalidità del contratto sottostante: se il credito deriva da un contratto, si può eccepire ad esempio la nullità del contratto, l’annullabilità, o la risoluzione già avvenuta per inadempimento del creditore.
  • Prescrizione: verificare se il credito era già prescritto al momento della notifica del decreto. Ad esempio, certi crediti commerciali si prescrivono in 5 anni; se il creditore ha aspettato troppo, si può eccepire prescrizione.
  • Difetto di prova scritta sufficiente (nel monitorio): sebbene nella fase di opposizione il giudizio sia a cognizione piena (quindi il decreto non viene annullato solo perché magari la prova scritta iniziale era carente), sottolineare che il credito era privo di base documentale può influenzare il giudice nel merito. Ad esempio, se il decreto si basava su fatture non firmate e il socio contesta l’ordine, il giudice valuterà la fondatezza effettiva.
  • Vizi procedurali gravi: se il decreto presentasse irregolarità formali (ad esempio, mancata indicazione del termine di opposizione, o vizio di competenza), queste andavano fatte valere con atti specifici (reclamo o opposizione) e generalmente si considerano sanate se non contestate; ma alcuni vizi potrebbero essere rilevati d’ufficio nel merito (es. incompetenza per materia).
  • Limiti di responsabilità dei soci accomandanti: qualora per errore fosse stato ingiunto anche un socio accomandante, costui in opposizione può far valere la propria irresponsabilità salvo limite quota. Se il socio accomandante ha mantenuto il suo ruolo senza immistione, il decreto contro di lui è infondato nel merito, perché egli non è obbligato oltre il conferimento. Potrà quindi ottenere la revoca del decreto ingiuntivo nella sua parte, dimostrando la sua qualifica e l’assenza di comportamenti che abbiano fatto decadere il limite. (Va detto che un creditore informato di solito non ingiunge i soci accomandanti, ma l’errore è possibile).
  • Esclusione o patti interni di limitazione (società semplice): se un socio di società semplice aveva un patto di esclusione di responsabilità verso terzi noto al creditore, potrebbe tentare di opporre che quel patto era opponibile (caso raro: normalmente la limitazione di responsabilità non è opponibile ai terzi che non ne abbiano avuto conoscenza).
  • Eventuale difetto di legittimazione passiva per socio uscito: se viene ingiunto un soggetto che afferma di non essere più socio al tempo del sorgere del debito, può portare la sua data di recesso e sostenere di non rispondere di quel debito (sempre però considerando l’art. 2290 c.c.: se il debito è sorto prima dell’uscita, rimane responsabile; se sorto dopo, non lo è, e se per caso il creditore l’ha coinvolto, potrà uscirne provando di essersi sciolto prima).
  • Contestazioni sul quantum: ad es. interessi calcolati erroneamente, applicazione di penali non dovute o eccessive, spese legali sproporzionate liquidate nel decreto (il giudice del monitorio spesso liquida le spese secondo tariffa forense; se il socio le ritiene errate, può chiederne la revisione in opposizione).

In generale, in sede di opposizione il socio e la società avranno interesse a diminuire l’esposizione debitoria il più possibile: se non riescono a eliminare del tutto il debito, almeno ridurlo (contestando voci, interessi usurari o non dovuti, ecc.). Ogni euro sottratto all’importo ingiunto è un euro di patrimonio personale del socio risparmiato.

Esito dell’opposizione e riflessi sui soci

Una volta concluso il giudizio di opposizione, avremo diverse possibili situazioni:

  • Opposizione respinta (decreto confermato): A questo punto il decreto ingiuntivo diventa una condanna definitiva. La società e i soci opponenti dovranno pagare quanto dovuto, oltre agli interessi maturati nel frattempo e alle spese di lite. Se non adempiono spontaneamente, il creditore riprenderà o inizierà l’esecuzione forzata sui beni sociali e, se necessario, su quelli personali dei soci. Il socio accomandante eventualmente ingiunto e opponente che fosse stato trascinato erroneamente, se il giudice comunque avesse respinto l’opposizione ritenendo dovuto il debito sociale, potrebbe essere liberato solo se la sentenza riconosce espressamente la sua irresponsabilità; in mancanza, la condanna finirebbe per comprendere anche lui. (Ma come detto, ingiungere accomandanti è raro e avviene solo se la loro responsabilità è in discussione per ingerenza).
  • Opposizione accolta (decreto revocato): Significa che il giudice ha ritenuto infondata (in tutto o in parte) la pretesa del creditore. Se l’accoglimento è totale, il decreto è annullato e né la società né i soci dovranno pagare nulla (potranno anzi recuperare eventuali somme già esatte in via provvisoria). Se è parziale (ad es. viene riconosciuto un importo inferiore, o si elimina una parte di domanda), il decreto viene revocato e magari contestualmente la sentenza condanna al pagamento della minor somma. In tal caso, solo quella parte ridotta sarà dovuta. Dal punto di vista dei soci:
    • Se l’opposizione era proposta congiuntamente, la sentenza fa stato per tutti gli opponenti (società e soci) in base al suo contenuto.
    • I soci che non avevano proposto opposizione o la cui opposizione fosse stata dichiarata inammissibile restano però vincolati dal decreto originario, come già spiegato, e si verrebbe a creare un potenziale conflitto. Tuttavia, nella pratica, se la pretesa viene giudizialmente esclusa per la società, è difficile pensare che il creditore prosegua contro il socio non opponente (a meno che voglia forzare la mano sfruttando formalmente il giudicato). Teoricamente, potrebbe farlo e il socio non opponente, trovandosi un titolo esecutivo contro di sé, sarebbe costretto a pagare nonostante la società sia stata dichiarata non debitrice. Una situazione paradossale ma possibile giuridicamente, sanabile eventualmente tramite azioni di rimborso interno del socio verso la società (che però essendo non debitrice non dovrebbe nulla, se non per equità) o addirittura un’opposizione di terzo se ne ricorrono i presupposti. Cassazione, come visto, propende per la rigidità del giudicato separato.
  • Definizione per accordo o rinuncia: In molti casi pratici, durante il giudizio di opposizione le parti possono trovare un accordo transattivo. Ciò può comportare, ad esempio, che la società o i soci paghino una parte e il creditore rinunci al resto. Se accade, l’opposizione si chiude con un provvedimento che prende atto della transazione (es. cessazione della materia del contendere). In tal caso, i soci che hanno aderito all’accordo saranno vincolati ai termini pattuiti. Attenzione però: se non tutti i coobbligati hanno partecipato all’accordo, resta ferma la regola per cui la transazione o il giudicato favorevole a uno non libera automaticamente gli altri se su di loro pende un giudicato contrario. Quindi è opportuno includere nell’accordo tutti i soggetti coinvolti, al fine di chiudere globalmente la vicenda.

In qualunque scenario, dopo la fase di opposizione si esce dalla precarietà: o il decreto è confermato (e quindi l’obbligo di pagare diviene definitivo), oppure è revocato (e quindi i soci tirano un sospiro di sollievo). Nei rapporti interni, se ad esempio un socio ha pagato tutto prima e poi la società vince l’opposizione, quel socio potrà ripetere ciò che ha pagato. Al contrario, se uno dei soci non ha partecipato e rimane obbligato, mentre la società no, si creano situazioni anomale in cui quel socio potrebbe rivalersi a livello di arricchimento senza causa verso la società per ciò che paga, sostenendo che ha soddisfatto un debito sociale che in realtà la società non aveva più verso il creditore (questioni complesse che sperabilmente non capitano spesso, risolte caso per caso).

Riepilogo dei termini e fasi in tabella

Per maggiore chiarezza, ecco una tabella riassuntiva dei termini e delle opzioni di opposizione:

SituazioneTermine per opposizioneNote
Decreto ingiuntivo notificato in Italia (termine ordinario)40 giorni dalla notificaTermine standard ex art. 641 c.p.c.. Riducibile fino a 10 giorni se il giudice lo ha disposto per giusti motivi (vedi decreto).
Decreto ingiuntivo notificato a debitore residente in UE50 giorni dalla notificaTermine esteso ex lege (art. 641 c.p.c.) per tenere conto di notifiche transfrontaliere.
Decreto ingiuntivo notificato a debitore fuori da UE60 giorni dalla notificaTermine esteso ex lege per extra-UE.
Opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.10 giorni dalla conoscenza effettiva del decreto (o dalla cessazione dell’impedimento)Ammessa solo se notifica irregolare o causa non imputabile ha impedito l’opposizione tempestiva. Esempio: 10 gg dalla notifica del primo atto esecutivo ricevuto.
Sospensione dell’esecuzione provvisoriaRichiesta con l’atto di opposizione o con ricorso urgentePuò essere concessa subito dal giudice se ci sono gravi motivi (pregiudizio per il debitore). Nel frattempo, l’esecuzione può andare avanti salvo provvedimento di sospensione.

Questa tabella ricapitola i principali termini processuali. Si raccomanda sempre di non aspettare l’ultimo giorno utile per opporsi, specie nei casi complessi con più debitori: muoversi con anticipo può evitare problemi come quelli visti (es. decadenze incrociate).

Aspetti fiscali e tributari

Oltre agli aspetti civilistici e processuali, quando si parla di debiti e decreti ingiuntivi verso società di persone non si può trascurare il profilo fiscale. Le obbligazioni tributarie (debiti d’imposta, IVA, IRAP, ritenute, ecc.) delle società di persone seguono regole in parte peculiari, ma riflettono in larga misura i medesimi principi di responsabilità illimitata e solidale dei soci. In questa sezione esamineremo:

  • La responsabilità dei soci per i debiti tributari della società.
  • Le modalità con cui il Fisco può agire nei confronti di una società di persone e dei suoi soci (avviso di accertamento, cartella esattoriale, ingiunzione fiscale).
  • Eventuali strumenti di difesa per i soci in ambito tributario e le interazioni con il procedimento monitorio civile.
  • Altri aspetti fiscali, come l’imposta di registro sul decreto ingiuntivo e la deducibilità degli importi pagati dal socio.

Responsabilità tributaria dei soci illimitatamente responsabili

Il principio generale è che la responsabilità solidale e illimitata dei soci si estende anche ai debiti fiscali della società. In particolare:

  • Per quanto riguarda IVA e IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) – imposte dovute dalla società in nome proprio – i soci illimitatamente responsabili rispondono in via sussidiaria del loro pagamento. Ciò significa che, se la società non paga tali imposte, l’Erario può rivolgersi ai soci per il recupero. L’art. 2304 c.c. (beneficio di escussione) si applica anche qui: l’Amministrazione finanziaria dovrebbe prima escutere il patrimonio sociale, ma, come avviene per i creditori privati, ciò non le impedisce di mettere in atto azioni (come iscrizione di ipoteca, emissione di cartelle) anche a nome dei soci, in vista di un eventuale esito infruttuoso sulla società.
  • Per quanto riguarda le imposte sui redditi (IRPEF), va ricordato che le società di persone (S.n.c., S.a.s., S.s.) sono fiscalmente “trasparenti”: non pagano esse stesse l’IRES, ma imputano il reddito ai soci, i quali lo dichiarano e pagano IRPEF personalmente (art. 5 TUIR). Dunque, le imposte sui redditi non generano un debito “sociale” in capo alla società – sono già un debito personale di ciascun socio per la sua quota di reddito. Questo significa che, in caso di omesso versamento delle imposte sui redditi, il recupero avverrà direttamente verso i singoli soci (ognuno per il proprio debito IRPEF). Non c’è qui solidarietà tra soci, perché l’obbligazione tributaria è individuale fin dall’origine.
  • Altri tributi (ad esempio imposte comunali, contributi previdenziali dovuti per dipendenti, ecc.): se sono dovuti dalla società come soggetto fiscale, rientrano nello schema generale dei debiti sociali, e quindi i soci ne rispondono illimitatamente. In alcuni casi specifici la legge prevede corresponsabilità – ad esempio, per i contributi previdenziali dei dipendenti, i soci S.n.c. sono solidalmente obbligati al pari della società verso l’ente previdenziale.

È importante sottolineare che la giurisprudenza tributaria e civile hanno spesso affrontato casi di società di persone estinte o insolventi, dove il Fisco cerca soddisfazione sui soci. La Cassazione, anche a Sezioni Unite, ha chiarito che:

  • Se una società di persone si estingue (ad esempio cancellazione dal registro imprese in seguito a liquidazione), i soci rimangono responsabili per i debiti tributari non soddisfatti, in proporzione alle quote di riparto finale dell’attivo (per analogia con quanto avviene nelle società di capitali) ma, trattandosi di soci illimitatamente responsabili, di fatto rispondono con tutto il loro patrimonio oltre quanto eventualmente ricevuto in liquidazione. Una pronuncia recente (Cass. S.U. n. 8621/2022, menzionata in articoli nel 2025) ha ribadito che l’Erario può agire contro i soci di società estinte senza dover emettere un nuovo atto impositivo, ma semplicemente notificando agli ex soci gli atti della riscossione.
  • In linea di principio, la Cassazione ha definito la responsabilità del socio illimitatamente responsabile come “sussidiaria, ma al pari della società” verso il creditore tributario. Ciò significa: sussidiaria perché prima bisogna escutere la società, ma “al pari” nel senso che il socio è obbligato dello stesso debito in ugual misura. Non c’è insomma un beneficio diverso da quello già previsto dal codice civile.

Un aspetto peculiare nel diritto tributario è il diritto di difesa del socio:

  • Se il Fisco effettua un accertamento fiscale nei confronti della società, emette un avviso di accertamento intestato alla società (che in materia tributaria è il contribuente per IVA, IRAP e altri tributi). La società può impugnare l’avviso davanti alla giustizia tributaria (Commissioni/nuove Corti di Giustizia Tributaria). E i soci?
  • Notifica degli atti ai soci: generalmente, per chiamare i soci a rispondere, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica a ciascun socio una cartella di pagamento (ex art. 25 DPR 602/73) riferita al debito della società, oppure, per taluni tributi locali, un’ingiunzione fiscale ex R.D. 639/1910. Non è previsto che il socio illimitatamente responsabile riceva l’avviso di accertamento originario intestato alla società, salvo che la legge speciale lo preveda (ad esempio, nel regime di trasparenza fiscale l’avviso sul reddito societario viene emesso anche a nome dei soci, ma per altri tributi no).
  • Sorge così il problema: un socio può trovarsi di fronte a una cartella esattoriale che deriva da un accertamento fatto solo alla società, magari non impugnato da quest’ultima, divenuto definitivo. In tal caso, il socio potrebbe voler contestare il merito del tributo (ad esempio sostenere che il tributo non era dovuto). Tuttavia, la giurisprudenza ha oscillato: secondo un orientamento, il socio non può rimettere in discussione il merito dell’accertamento divenuto definitivo verso la società, perché la sua obbligazione deriva automaticamente da quella sociale accertata e definitiva. In pratica, se la società non ha impugnato l’avviso e la pretesa è passata in giudicato, il socio non può opporsi dicendo “la società in realtà non doveva quelle imposte”, in quanto quel fatto è ormai giudicato.
  • D’altra parte, è stato affermato anche che “rimane salvo il diritto di difesa del socio se non ha ricevuto l’avviso di accertamento”. Questo significa che, in alcune pronunce, si è riconosciuto al socio il diritto di impugnare la cartella eccependo magari vizi propri (ad esempio contestando di non essere socio, o che il debito è già prescritto, o che l’atto non gli fu notificato correttamente) oppure, secondo alcuni, addirittura contestando la fondatezza dell’accertamento se egli non ha avuto modo di parteciparvi.
  • La Cassazione in materia IVA ha statuito ad esempio che il socio illimitatamente responsabile di una S.n.c. non può opporsi all’esazione del debito IVA definitivamente accertato verso la società invocando la mancata notifica dell’avviso a lui: non è necessario notificargli l’atto impositivo originario. L’obbligo tributario segue il giudicato formatosi verso la società. Tuttavia, resta fermo che se quell’avviso iniziale fosse viziato in notifica verso la società, anche il socio ne gioverebbe (perché allora non sarebbe “definitivamente accertato”). E se il socio era cessato prima? Anche in quel caso, come visto, se il tributo si riferisce a periodi in cui era socio, ne risponde comunque.

In sostanza, i soci illimitatamente responsabili si trovano in una posizione analoga a quella verso creditori privati: se la società non paga le tasse, il Fisco può rivalersi su di loro. Non ha bisogno di un giudizio civile con decreto ingiuntivo: segue la via amministrativa (cartelle, iscrizioni a ruolo). Ma se la società non contesta, per i soci diventa difficile contestare dopo.

Procedura di riscossione fiscale e strumenti di difesa del socio

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), che si occupa di riscuotere coattivamente i tributi, in caso di debiti fiscali di società di persone:

  • Può emettere una cartella di pagamento a nome della società e notificarla anche ai soci illimitatamente responsabili, indicandoli come coobbligati. Già questo è ritenuto legittimo dalla Cassazione (sent. n. 49/2014) che ha giudicato valida una cartella notificata al socio per IVA e IRAP dovute dalla società. La Cassazione ha spiegato che la cartella non è un atto esecutivo (è un atto della formazione del titolo esecutivo in ambito fiscale), quindi non richiede preventiva escussione: l’escussione servirà quando eventualmente si passerà al pignoramento. In pratica, il Fisco può iscrivere a ruolo il socio coobbligato senza prima fare un pignoramento sulla società; ciò non viola l’art. 2304 c.c., perché finché non pignora non sta procedendo esecutivamente.
  • Una volta notificata la cartella, il socio ha 60 giorni per pagarla o impugnarla di fronte alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria). Nell’impugnazione, potrà far valere motivi vari, ad esempio: non essere più socio per quel periodo (se il debito è successivo alla sua uscita), errori di calcolo, prescrizione (le cartelle hanno prescrizioni brevi di solito, 5 anni), vizi di notifica dell’avviso alla società, o anche contestare nel merito l’accertamento se ritiene di avere spazio (ma come detto, se la società non aveva impugnato, su questo c’è incertezza).
  • Se la cartella non viene impugnata né pagata, diviene definitiva e AER potrà procedere col pignoramento dei beni del socio. A questo punto, il socio potrebbe al più opporsi in sede esecutiva civile lamentando la mancata escussione dei beni sociali (beneficio) – analogamente a quanto farebbe con un creditore privato. Ma se la società nel frattempo è fallita o vuota, quell’escussione sarebbe inutile da eccepire.

Un caso particolare è la ingiunzione fiscale ex R.D. 639/1910: alcuni enti locali (Comuni, etc.) la usano in alternativa alla cartella. L’ingiunzione fiscale è di per sé un titolo esecutivo e se non opposta nei 30 giorni diventa definitiva. Può essere rivolta al socio per tributi locali della società (es. tassa rifiuti su locale aziendale). Anche qui il socio può fare opposizione (in questo caso opposizione in sede giudiziaria, ma spesso il foro è quello tributario se di tributi si tratta). I principi di solidarietà valgono parimenti.

In sintesi sul fisco: il socio illimitatamente responsabile deve essere consapevole che:

  • I debiti tributari della società di persone sono affar suo quasi quanto della società stessa. Se la società è inadempiente col Fisco, prima o poi il Fisco busserà anche alla sua porta.
  • Non può evitare di pagarli invocando la personalità giuridica della società, poiché in questo contesto è trasparente.
  • Deve vigilare e assicurarsi che la società gestisca bene i propri obblighi fiscali. In caso di avvisi di accertamento, meglio farli impugnare dalla società, perché una volta definitivi possono travolgere i soci.
  • Se riceve atti della riscossione (cartelle, solleciti, ipoteche, fermi amministrativi) a proprio nome per debiti sociali, ha diritto di contestarli nelle sedi tributarie, ma con margini di manovra limitati se ormai il debito è certo.

Dal punto di vista contabile e fiscale interno:

  • Se un socio paga di tasca propria un debito sociale fiscale (ad esempio paga una cartella dell’IVA della società), quel pagamento viene considerato come un finanziamento verso la società o un aumento della sua quota di capitale di fatto. Il socio potrà iscrivere a bilancio un credito verso la società. Fiscalmente, per la società quel debito fiscale era deducibile quando maturato (IVA no, ma IRAP sì in parte, ecc.), quindi il pagamento del socio non genera ulteriori deduzioni particolari, ma evita sanzioni maggiori.
  • Il socio non può dedurre dal proprio reddito personale l’importo pagato al Fisco per conto della società, perché si tratta di un pagamento di altrui debito; potrà però eventualmente dedurlo come perdita se la società non lo rimborsa e viene liquidata (perdendo il credito verso la società, in certi casi ciò è deducibile come perdita su partecipazione).
  • Nel caso di società di persone, non c’è imposta sul reddito a livello societario, quindi la trasparenza fa sì che sanzioni e interessi su debiti tributari colpiscano anch’essi i soci in via indiretta (le sanzioni tributarie però sono personali alla società come ente, e non “passano” al socio se non nel doverle pagare materialmente in solido).

Imposta di registro sul decreto ingiuntivo

Un aspetto fiscale da considerare è l’imposta di registro sui provvedimenti giudiziari. I decreti ingiuntivi, se non opposti e quindi divenuti esecutivi, sono soggetti a registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, con pagamento della relativa imposta (DPR 131/1986). Questa imposta è generalmente a carico del beneficiario dell’atto (il creditore che ha ottenuto il titolo), ma il Fisco può rivalersi su entrambe le parti in solido. L’importo è proporzionale al valore: per le condanne a pagare somme di denaro, l’imposta di registro è del 3% circa dell’importo dell’atto (al netto di eventuali imposte già applicate come marche da bollo).

Come incide ciò nel nostro contesto? Se un decreto ingiuntivo diviene definitivo contro una società di persone:

  • Il creditore pagherà l’imposta di registro (ad esempio, su €100.000 di decreto, €3.000), e poi potrà cercare di recuperarla come spese di esecuzione eventualmente, ma in generale la spesa resta al creditore.
  • Se invece viene proposta opposizione, la registrazione (se avviene) sarà in termine fisso ma con importo minore (si registra la sentenza finale).
  • Per il socio debitore non è un costo diretto, ma indirettamente se il creditore sostenesse quell’onere e l’esecuzione prosegue, lo aggiungerà al dovuto. Infatti, nelle spese di esecuzione possono rientrare anche imposte di registro dell’atto esecutivo.

Profili fiscali delle somme pagate dal socio

Quando un socio illimitatamente responsabile paga un debito sociale (sia esso verso un creditore privato o verso il Fisco), sorgono alcune questioni:

  • Se il socio paga un debito della società, civilmente egli ha diritto di regresso verso la società (e gli altri soci). Di solito si traduce in un credito in contabilità. Non è un costo deducibile immediatamente per lui, perché non è un costo inerente una sua attività, ma piuttosto un saldo di una posizione patrimoniale (diventa un credito vs società).
  • Se il socio rinuncia poi a farsi rimborsare dalla società quel credito (capita per pulire posizioni in liquidazione), potrebbe esserci una rilevanza fiscale per la società, ma approfondire questo aspetto esula dallo scopo della nostra guida.
  • Dal lato della società, il pagamento fatto dal socio può essere considerato come un apporto (se capitale) o finanziamento ricevuto. Comunque, non genera reddito tassabile per la società, essendo destinato a pagare debiti.

In conclusione, dal punto di vista fiscale possiamo dire:

  • I soci di società di persone devono considerare i debiti tributari come propri per gli effetti pratici.
  • Devono quindi vigilare come farebbero per qualunque altra obbligazione sociale.
  • In caso di azioni di recupero da parte del Fisco, hanno strumenti simili a quelli contro creditori civili, ma in foro diverso (giudice tributario invece del civile).
  • La legge non consente loro scappatoie: anche il Fisco beneficia dell’art. 2304 c.c. solo su piano esecutivo, non come condizione per iscrivere a ruolo. Dunque, l’assenza di preventiva escussione sociale non invalida la cartella al socio, confermato da Cassazione.

Da notare infine che se una società di persone accumula debiti fiscali rilevanti e non li paga, spesso l’Agenzia delle Entrate promuove il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) della società e dei soci illimitatamente responsabili (ai sensi della legge fallimentare, art. 147 R.D. 267/1942 e ora Codice della Crisi d’Impresa). In caso di fallimento, i decreti ingiuntivi e le esecuzioni individuali si arrestano, e i creditori (incluso l’Erario) devono insinuarsi al passivo. In quella sede i soci perdono la disponibilità dei beni e il curatore gestisce il tutto. Ma questa è un’altra (complessa) storia, che però spiega perché a volte i creditori preferiscono la via monitoria/esecutiva: per evitare lungaggini concorsuali se credono che la società non sia formalmente fallita.

Giurisprudenza rilevante e casi pratici recenti

Nel corso della trattazione abbiamo già fatto riferimento a varie pronunce giurisprudenziali (della Suprema Corte e di merito) che hanno consolidato i principi in materia. In questa sezione riassumiamo le sentenze e ordinanze principali fino a giugno 2025 che hanno affrontato i nodi cruciali, con una breve indicazione del loro contributo.

  • Cass. civ. Sez. III, 24/03/2011, n. 6734: ha sancito chiaramente che “il decreto ingiuntivo pronunciato a carico di una società di persone estende i suoi effetti anche contro i soci illimitatamente responsabili”, poiché dall’obbligazione sociale discende necessariamente la responsabilità dei soci. Questa sentenza è spesso citata come precedente cardine a sostegno dell’estensione del giudicato monitorio ai soci non opponenti.
  • Cass. civ. Sez. III, 29/01/2007, n. 1779 & Cass. 20/05/2003, n. 7881: precedenti che già affermavano il principio che l’accoglimento dell’opposizione da parte di uno dei coobbligati non scalfisce la definitività del decreto verso il coobbligato che non ha proposto opposizione. In particolare la sentenza n. 7881/2003 è spesso citata come origine di tale orientamento.
  • Cass. civ. Sez. III, 30/09/2014, n. 20559: conferma la linea che il socio non opponente resta vincolato e non può beneficiare dell’esito favorevole ottenuto da altro coobbligato opponente. Ribadisce inoltre l’inapplicabilità dell’art. 1306 cpv c.c. in presenza di un giudicato già formato contro il condebitore non impugnante.
  • Cass. civ. Sez. Unite, 16/12/2020, n. 28709: (questa è una pronuncia delle Sezioni Unite che, pur non vertendo direttamente sul decreto ingiuntivo, ha definito la natura della responsabilità dei soci illimitati come “responsabilità da posizione” e affrontato il tema della estinzione della società e debiti tributari). Le S.U. 2020 hanno chiarito che il socio illimitatamente responsabile, pur non essendo il contribuente, è soggetto alla riscossione senza necessità di avviso a lui notificato, e la sua adesione implica accollo di passività sociali ex lege.
  • Cass. civ. Sez. III, ord. 13/06/2019, n. 15877: ordinanza che ha riportato all’attenzione la questione del decreto ingiuntivo non opposto dalla società. Ha confermato il principio del 2011 citato, e aggiunto un riferimento esplicito all’art. 477 c.p.c. per legittimare l’esecuzione contro i soci. Ha ammonito i soci sull’onere di proporre opposizione, anche tardiva, per non decadere dal diritto di difesa.
  • Cass. civ. Sez. III, ord. 16/10/2020, n. 22629: caso riguardante un socio accomandatario non condannato in primo grado. La Cassazione ha statuito che il beneficio di escussione opera solo in sede esecutiva e non preclude l’azione in cognizione contro il socio illimitatamente responsabile. Il socio accomandatario può e deve essere condannato insieme alla società per il debito sociale, indipendentemente dalla preventiva escussione del patrimonio sociale, che sarà solo condizione per l’esecuzione. Ha quindi cassato la decisione d’appello che non aveva condannato il socio, affermando essere consolidato il principio che il creditore può munirsi di titolo contro il socio per prevenire intralci.
  • Cass. civ. Sez. Lav., 27/09/2022, n. 36942: (già commentata, caso INPS vs soci per TFR) ha chiarito che gli effetti favorevoli della sentenza ottenuta da un socio opponente non si estendono al socio condebitore che non abbia proposto opposizione. Nello specifico, se la società (o un socio) ottiene la revoca del decreto, ciò non libera l’altro socio che è rimasto inerte. Ha escluso l’applicabilità dell’art. 1306 c.c. proprio perché il socio non opponente è legato da un giudicato sostanziale formatosi per lui separatamente.
  • Tribunale di Bologna, Sez. II Civ., 31/05/2024, n. 1591/2024: pronuncia di merito significativa (pubblicata da IlCaso.it) che ha affrontato la scenario delle notifiche differite a società e soci. Il Tribunale ha statuito che se il decreto ingiuntivo rivolto a società e soci viene notificato in tempi diversi e la società propone opposizione tardiva (quindi inefficace), l’opposizione proposta tempestivamente dai soci non può essere esaminata nel merito, essendo il decreto divenuto irrevocabile verso la società e tale efficacia estesa ai soci. In altre parole, appena scaduto il termine della società, i soci perdono la chance di discutere sul merito. Questa decisione conferma sul piano pratico la severità delle conseguenze per i soci se la società non si muove per tempo.
  • Cass. civ. Sez. V, 21/11/2014, n. 24795: in ambito tributario, caso di socio ex socio S.n.c. con IVA non versata, che ha affermato due punti: 1) il titolo esecutivo formatosi contro la società vale anche contro il socio illimitatamente responsabile, 2) il socio rimasto estraneo al processo tributario non può eccepire la mancata notifica degli atti impositivi a lui, essendo sufficiente la definitività verso la società, e 3) il recesso del socio non lo esime dai debiti sorti quando era in carica. È una sentenza importante perché fotografa la posizione del socio nei confronti del Fisco in modo molto netto.
  • Cass. civ. Sez. Unite, 12/02/2025, n. 3625: (richiamata in commenti del 2025) ha risolto un contrasto in tema di soci di società estinte per debiti tributari. Ha chiarito che i soci di società di persone cancellate rispondono dei debiti tributari non pagati e possono esserne destinatari diretti, con un limite di quota in analogia all’art. 2495 c.c. (per le società di capitali). Questa pronuncia, pur riguardando più la chiusura dell’ente, si allinea con l’idea che il Fisco non rimane mai senza debitore: o la società o i soci.
  • Cass. civ. Sez. III, ord. 02/08/2024, n. 21841: (da Ex Parte Creditoris) sembra riguardare coobbligazione e fideiussione, quindi forse non direttamente attinente ai soci illimitati, ma menzionata per completezza.
  • Cass. civ. Sez. II, 04/12/2017, n. 28943: (cit. Ex Parte) anch’essa più su coobbligazione e garanzie, conferma tuttavia il rigore nel trattamento dei coobbligati.
  • Corte d’Appello di Torino, 17/12/2021 (caso richiamato da studiocerbone): aveva revocato un decreto ingiuntivo opposto da un socio illimitatamente responsabile chiamato in causa, forse ritenendo insussistente la sua responsabilità in quel caso (forse un accomandante scambiato per accomandatario). Non abbiamo i dettagli, ma serve a dire che i giudici di merito in qualche caso hanno accolto opposizioni di soci facendo valere eccezioni di qualità di socio.

L’elenco non è esaustivo, ma copre i punti salienti:

  • Estensione degli effetti del decreto ingiuntivo non opposto ai soci (Cass. 2011, 2019, Trib. Bologna 2024).
  • Possibilità di agire direttamente vs soci (Cass. 2020).
  • Inefficacia relativa delle opposizioni parziali (Cass. 2003, 2016, 2022).
  • Responsabilità tributaria dei soci (Cass. 2014, Cass. S.U. 2020, 2025).
  • Beneficio d’escussione solo esecutivo (Cass. 2020 e giurisprudenza costante).
  • Permanenza della responsabilità soci uscenti e entranti (Cass. 1963 e 2010 citate in dottrina, Cass. 1989 per accomandanti subentranti).

Esempi pratici (simulazioni)

Per comprendere meglio come applicare questi principi nella realtà, proponiamo alcune simulazioni pratiche di situazioni tipiche che possono verificarsi quando si ha a che fare con decreti ingiuntivi riguardanti società di persone e soci.

Esempio 1: Decreto ingiuntivo contro S.n.c. non opposto dalla società, socio inerte
La Alfa S.n.c. ha due soci amministratori, Mario e Luigi. La società, in difficoltà di liquidità, non paga un fornitore, il quale il 1° febbraio 2025 ottiene dal Tribunale un decreto ingiuntivo di €50.000 contro “Alfa S.n.c.” (non menziona individualmente i soci). Il decreto viene notificato il 5 febbraio 2025 presso la sede sociale di Alfa S.n.c. Mario, che gestisce l’azienda, riceve l’atto ma sottovaluta la cosa e non informa l’altro socio Luigi, né contatta l’avvocato. La società non propone opposizione entro 40 giorni. Il 20 marzo 2025 il decreto viene dichiarato esecutivo (non essendo stato opposto). A questo punto il fornitore notifica un atto di precetto non solo alla società, ma anche a Mario e Luigi quali soci illimitatamente responsabili, intimando il pagamento entro 10 giorni. Luigi, cadendo dalle nuvole, si rivolge a un legale il quale gli spiega che ormai il decreto è definitivo e vincolante anche per lui. Luigi obietta: “Ma io non ero neppure nominato nel decreto, come può valere per me?”. Purtroppo l’avvocato gli conferma che la Cassazione considera il titolo formato verso la S.n.c. valido anche contro i soci, vista la loro responsabilità illimitata. Ormai Luigi non può più opporsi nel merito, essendo trascorsi i termini e non essendoci vizi di notifica nei suoi confronti (il precetto è la prima notizia, ma la notifica alla società era valida e Mario, amministratore, avrebbe dovuto attivarsi). L’unica chance residuale sarebbe un’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., sostenendo che Luigi personalmente non aveva conoscenza tempestiva. Tuttavia, essendo Mario socio amministratore e legale rappresentante, la notifica alla società a mani di Mario stesso potrebbe essere considerata conoscenza legale per la società intera. Luigi potrebbe provare che Mario ha tenuto nascosto o omesso di riferire l’ingiunzione (causa a lui non imputabile), ma è un sentiero incerto. Con ogni probabilità Luigi dovrà pagare, in solido con Mario e la società, quei €50.000 più interessi e spese, oppure subire il pignoramento dei suoi beni. Potrà al più rivalersi internamente su Mario per non averlo avvertito e sulla società (ma se questa è insolvente, servirà a poco). Morale: l’inerzia della società ha condannato il socio, che avrebbe dovuto vigilare e magari informarsi sull’andamento dei crediti/debiti. Questo scenario ricalca quanto affermato dalla giurisprudenza: decreto non opposto dalla società = giudicato per i soci.

Esempio 2: Decreto ingiuntivo contro S.a.s. con accomandante erroneamente ingiunto
La Beta S.a.s. ha due soci: Marco (accomandatario) e Luca (accomandante, che non si occupa della gestione). Beta S.a.s. contrae un debito di €20.000. Il creditore ottiene un decreto ingiuntivo contro “Beta S.a.s., in persona del legale rapp., nonché nei confronti del Sig. Luca in qualità di socio”. In pratica, l’avvocato del creditore ha incluso per prudenza anche l’accomandante Luca, credendo forse che risponda in solido. Il decreto viene notificato sia alla sede sociale (a Marco) sia a Luca personalmente. Luca, ricevuto l’atto, è preoccupato: lui sa di essere socio accomandante e di aver sempre rispettato la regola di non immischiarsi. Si rivolge a un legale. Il legale conferma: Luca, da accomandante puro, non è tenuto a pagare i debiti sociali con il suo patrimonio. L’inclusione del suo nome è un errore del creditore. Tuttavia, se Luca resta inerte, il decreto potrebbe passare in giudicato anche verso di lui, e il creditore tentare l’esecuzione; Luca dovrebbe poi fare opposizione all’esecuzione per far valere la sua irresponsabilità, ma sarebbe più complicato. Consigliano quindi Luca di fare subito opposizione al decreto nei termini, limitatamente alla sua posizione di socio accomandante. Marco (la società) nel frattempo non oppone perché sa che il debito è dovuto e preferisce rateizzarlo con il creditore: Beta S.a.s. non fa opposizione. Luca invece propone opposizione spiegando che è socio accomandante e non ha alcuna responsabilità illimitata (allega visura CCIAA, atto costitutivo, etc.). All’udienza, il creditore inizialmente insiste ma poi comprende l’errore e in sede di causa rinuncia alle pretese verso Luca. Il giudice, con sentenza, dichiara cessata la materia del contendere nei confronti di Luca (o accoglie l’opposizione di Luca, revocando il decreto in parte qua). Il decreto ingiuntivo resta valido solo per Beta S.a.s. (e Marco accomandatario). Luca quindi viene liberato. In pratica, l’ingiunzione avrebbe potuto essere eseguita su di lui se non fosse intervenuto, ma grazie all’opposizione ha fatto valere la sua qualità limitata. Questo esempio evidenzia che: i soci accomandanti di norma non vanno inclusi tra gli ingiunti; se lo sono, devono tempestivamente opporsi per far valere la loro esenzione (è una “eccezione personale” in senso tecnico, quindi se non opposta per tempo, potrebbe pregiudicarsi – anche se, essendo un elemento oggettivo dello status, in teoria si può rilevare sempre, ma meglio non rischiare). Dalla prospettiva del creditore, questa vicenda insegna a verificare lo status dei soci: ingiungere solo accomandatari, non accomandanti innocui.

Esempio 3: Decreto ingiuntivo contro socio per debito sociale pregresso (nuovo socio subentrato)
Tizio entra, il 1° gennaio 2025, come nuovo socio in accomandita (accomandatario) della Gamma S.a.s., rilevando le quote del precedente accomandatario Caio. La Gamma S.a.s. però aveva un debito commerciale di €30.000 risalente al 2023, non saldato. Nel marzo 2025, il creditore avvia un’azione monitoria non contro Caio (uscito), ma contro Gamma S.a.s. e Tizio (nuovo socio illimitatamente responsabile). Tizio, sorpreso, dice: “Questo debito è di quando io nemmeno c’ero in società!”. Tuttavia, il suo legale gli spiega che la legge (art. 2269 c.c.) lo rende responsabile anche per i debiti anteriori al suo ingresso. Quindi l’ingiunzione contro di lui è formalmente legittima. Ci sarebbe forse la possibilità di convenire Caio internamente in manleva, se previsto nel contratto di cessione, ma verso il creditore nulla da fare. Tizio e Gamma S.a.s. ricevono il decreto ingiuntivo e non hanno motivi di contestazione nel merito (il debito c’è, e magari Gamma S.a.s. lo aveva anche riconosciuto). L’unica opzione sarebbe pagare o chiedere un piano di rientro. Decidono di non opporsi perché sanno di dover pagare e temono solo di aggravare spese. Cosa accade? Il decreto non opposto diventa esecutivo e il creditore procede. Tizio si trova a pagare con un pignoramento sul suo conto €30.000 + spese. Poi, secondo gli accordi di cessione, potrà chiedere a Caio il rimborso di parte di quella somma (qualora nel contratto Caio avesse garantito che non c’erano debiti, ecc.). Ma se Caio è insolvibile, Tizio si è “accollato” quel debito di fatto senza rimedio. Questo scenario, duro per il nuovo socio, evidenzia la diligenza necessaria quando si entra in una società di persone: sempre fare due diligence sui debiti, e magari contrattualmente tutelarsi (accollo del cedente Caio dei debiti pregressi, con garanzie, etc.). Giuridicamente, però, il creditore era in pieno diritto di agire contro Tizio entrato dopo, e la Cassazione ha ritenuto del tutto ammissibile farlo per procurarsi un titolo verso di lui. Nessuna opposizione avrebbe aiutato Tizio, a meno di contestare importo o altro, ma non il fatto che lui “non c’era”: quello non è motivo di esonero.

Esempio 4: Debito fiscale e socio ex socio
La Delta S.n.c. (ora sciolta) non ha versato IVA per l’anno 2022. Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento alla Delta S.n.c., che però nel frattempo si è cancellata dal registro imprese a fine 2023. I soci al momento dello scioglimento erano Sempronio e Mevio. Nessuno impugna l’accertamento (che viene notificato presso la sede dismessa: di fatto non lo ritira nessuno, e diventa definitivo per decorrenza termini). Nel 2025, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica a Sempronio e Mevio una cartella di pagamento per quell’IVA, più interessi e sanzioni, importo totale €15.000 ciascuno (in realtà l’intero debito è €15.000, ma li invita entrambi a pagare, essendo solidali). Sempronio impugna la cartella davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, sostenendo di non aver mai ricevuto l’avviso di accertamento e che la società era estinta e lui non sa nulla. Tuttavia, la Corte rigetta il ricorso, rifacendosi alla giurisprudenza: il debito IVA era della società e lui ne risponde comunque; la notifica è stata fatta validamente alla società secondo le norme (magari via PEC all’indirizzo risultante, o tramite deposito); essendo definitivo l’atto verso la società, il socio non può rimetterlo in discussione. Risultato: Sempronio deve pagare. Mevio, che non aveva impugnato la cartella, si vede iniziare il pignoramento sul conto per la stessa somma. Prova con un’opposizione all’esecuzione civile per dire “non hanno escusso prima eventuali crediti della società”, ma la società è defunta e priva di beni, il che configura in sé l’infruttuosità; il giudice dell’esecuzione rigetta la sospensione. Entrambi i soci dunque pagano (resterà poi da vedere se uno potrà rivalersi in parte sull’altro: in realtà ognuno ha pagato la totalità, ma l’Erario prenderà al massimo €15.000 in tutto; se pagano entrambi €15.000, uno potrà chiedere la restituzione del duplicato… tipiche complicanze solidali con Fisco). Questo esempio mostra la posizione del socio verso debiti tributari: non c’è bisogno di decreto ingiuntivo qui, il Fisco ha suoi mezzi, e la difesa del socio è ancor più complessa, dovendo inserirsi in un sistema di notifiche e decadenze tributarie.

Esempio 5: Opposizione congiunta società-socio e transazione
La Epsilon S.n.c. viene ingiunta per €10.000 da una banca (credito derivante da scoperto di c/c). La banca ingiunge sia “Epsilon S.n.c.” sia il socio Bianchi (uno dei due soci, l’altro è Rossi). Epsilon S.n.c. e Bianchi, convinti di avere ragioni (ritengono che la banca non abbia contabilizzato un versamento), fanno una opposizione congiunta in tribunale, contestando €4.000 del totale. Il socio Rossi non è personalmente ingiunto (banca non l’aveva nominato) quindi formalmente non figura, ma è coinvolto come interessato di fatto. Durante il giudizio, emerge che forse hanno ragione a metà: c’è un versamento ma di €2.000 non di 4.000. Le parti (banca, società e soci) decidono di evitare ulteriori spese e trovano un accordo: la banca accetta €8.000 invece di €10.000, con pagamento in 6 mesi, e la società rinuncia alle cause. Formalizzano l’accordo in una conciliazione in udienza. A questo punto il giudice prende atto e dichiara l’opposizione cessata, sostanzialmente modificando l’importo dovuto secondo l’accordo. In pratica Bianchi (e la società) pagheranno €8.000 e la vicenda si chiude. Questo scenario, virtuoso, mostra che col dialogo si può arrivare a transazioni che vincolano anche i soci: qui Bianchi e la società hanno firmato, la banca non andrà da Rossi (che non era ingiunto, e l’obbligazione sostanziale ridotta ovviamente giova anche a lui come debitore solidale: i creditori privati non possono pretendere di più dagli altri coobbligati rispetto a quanto transatto con uno, per il principio del 1304 c.c., diversamente dalla situazione giudiziale di 1306 c.c.). Dunque l’accordo è esteso all’altro socio Rossi ex art. 1304 c.c. (essendo favorevole e non espressamente riservato). Ecco un aspetto: se un socio risolve con transazione la posizione, di regola gli altri condebitori ne beneficiano (a meno che il creditore riservi il diritto verso di loro, ma in quel caso la solidarietà può comportare questioni, comunque esulano qui). Diciamo che in una società di persone è normale che se si transige col creditore, lo si fa per tutti i soci insieme, essendo di fatto un’unica borsa.

Queste simulazioni evidenziano casistiche comuni:

  • Socio ignaro che subisce le conseguenze dell’inerzia.
  • Accomandante erroneamente coinvolto che deve difendersi.
  • Socio entrante che paga debiti vecchi.
  • Soci verso debiti tributari post-scioglimento.
  • L’utilità di opposizioni coordinate e di soluzioni transattive globali.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande e risposte che ricapitolano i punti chiave in forma colloquiale, per chiarire i dubbi più ricorrenti su questo argomento:

D: Un decreto ingiuntivo contro la mia S.n.c. può colpire anche me personalmente come socio?
R: Sì. In base al principio di responsabilità illimitata, se il decreto ingiuntivo si riferisce a un debito sociale, tu come socio illimitatamente responsabile ne rispondi con il tuo patrimonio. Anche se il decreto è intestato solo alla società, se la società non lo oppone e diventa definitivo, il creditore potrà utilizzarlo contro di te. Dovrai pagare se la società non paga. L’unico modo per evitarlo è fare opposizione nei termini, eventualmente anche tardiva se ne hai diritto, per contestare il credito prima che diventi definitivo.

D: Posso evitare di pagare invocando il beneficio di escussione?
R: Il beneficio della preventiva escussione (art. 2304 c.c.) impone al creditore di agire prima sui beni sociali, ma ciò riguarda la fase di esecuzione. Non impedisce che venga emesso un decreto ingiuntivo o una condanna anche nei tuoi confronti come socio. Quindi, non puoi far annullare un decreto ingiuntivo sostenendo “creditore escuti prima la società”. Puoi però, in sede di pignoramento, eccepire che ci sono beni sociali capienti non ancora aggrediti, ottenendo magari la sospensione o la limitazione dell’esecuzione sui tuoi beni. Se però la società non ha beni, l’escussione è considerata infruttuosa e il creditore potrà procedere contro di te.

D: Sono socio accomandante (S.a.s.). Il creditore può chiedere un decreto ingiuntivo anche a me?
R: In linea di principio no, se hai rispettato il tuo ruolo. Il socio accomandante risponde limitatamente alla quota conferita e non con il suo patrimonio personale. Pertanto non dovrebbe esserti richiesto nulla oltre i conferimenti eventualmente non versati. Se tuttavia il creditore ti coinvolge (per errore o perché sostiene che hai violato il divieto di immistione nella gestione rendendoti di fatto illimitatamente responsabile), dovrai opporsi per far valere la tua posizione e dimostrare di non aver ingerito nella gestione. Una volta chiarito ciò, il decreto sarà revocato nei tuoi confronti. Ma attenzione: se, ad esempio, hai firmato tu garanzie personali o ti sei presentato come amministratore di fatto, potresti aver assunto responsabilità ulteriori. In tal caso, dal punto di vista del creditore, potresti essere considerato un socio di fatto illimitatamente responsabile e quindi legittimamente ingiunto.

D: La società non ha fatto opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni. Io socio posso ancora fare qualcosa?
R: Sì, puoi tentare l’opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.) se soddisfi le condizioni: devi provare di non aver saputo in tempo del decreto per ragioni non imputabili a te (ad es. notifica nulla o il tuo co-socio amministratore non ti ha avvisato). Hai 10 giorni da quando hai avuto effettiva conoscenza del decreto o dall’atto di esecuzione per proporla. Nell’opposizione tardiva farai valere le tue difese come se fossero in termini. Nota bene: non è garantito che venga accolta; il giudice valuterà se davvero non potevi attivarti prima. Se invece eri perfettamente a conoscenza tramite la società e semplicemente non hai agito, l’opposizione tardiva non è ammissibile.

D: Se uno degli altri soci oppone il decreto e vince la causa, anch’io socio non opponente ne traggo vantaggio?
R: Purtroppo no, non automaticamente. La Cassazione ha chiarito che se non hai proposto opposizione e il decreto è divenuto definitivo verso di te, tu resti obbligato anche se un altro coobbligato (la società o un altro socio) ha ottenuto la revoca del decreto. Questo perché il decreto non opposto acquista autorità di giudicato verso di te e non vien meno per te a causa del successo altrui. Solo se tu avessi partecipato all’opposizione (o se il creditore rinuncia per tutti, come in caso di transazione globale) potrai beneficiare della revoca. In pratica, ognuno deve muoversi per sé nei termini. Fa eccezione la situazione in cui il creditore rinuncia espressamente alla pretesa anche verso chi non ha opposto (ad es. accordo transattivo esteso a tutti i debitori solidali); in tal caso ovviamente ne benefici.

D: Se pago io come socio un debito sociale ingiunto, poi posso rivalermi sugli altri soci?
R: Sì. Tra soci vige il diritto di regresso: se paghi tutto tu, hai diritto di esigere dagli altri la loro parte di debito in base alle quote di partecipazione (salvo diversi accordi) e dalla società (se ha ancora un patrimonio) il rimborso. Questo è un regolamento di conti interno. Tuttavia, se gli altri soci sono insolventi o la società è priva di beni, rischi di rimanere con il cerino in mano. Ma giuridicamente il diritto di regresso c’è (art. 1299 c.c.). Ad esempio, se siete in due soci paritari e tu paghi €100, potrai chiedere €50 all’altro. Se l’altro non paga spontaneamente, avrai una causa di regresso contro di lui.

D: La società è fallita (liquidazione giudiziale) dopo il decreto ingiuntivo. Il creditore può ancora agire contro di me socio?
R: In caso di fallimento (o liquidazione giudiziale) di una società di persone, si apre il concorso dei creditori. Inoltre, i soci illimitatamente responsabili sono dichiarati falliti anch’essi di diritto (art. 147 L.Fall.). Ciò significa che, dalla data di fallimento, le azioni esecutive individuali sono bloccate (sostituite dalla procedura concorsuale). Dunque, se il creditore aveva un decreto ingiuntivo e la società è fallita, egli dovrà presentare domanda di ammissione al passivo sia del fallimento della società sia del tuo fallimento personale (se sei socio illimitato). Non potrà iniziare o proseguire pignoramenti. Tu come socio fallito non pagherai nulla al di fuori di quella procedura (salvo che il fallimento si chiuda e avanzino debiti, ma sono dettagli oltre questa sede). Quindi, il fallimento congela la situazione: il decreto ingiuntivo servirà come titolo probatorio nel fallimento. Se invece il creditore aveva già iniziato l’esecuzione contro di te prima del fallimento, quella esecuzione viene arrestata dalla procedura concorsuale. In sintesi: in pendenza di fallimento i creditori particolari devono seguire le regole concorsuali. Se la domanda era per un importo contestato, potrebbe essere che dovranno anche insinuarsi come crediti contestati e si discuterà in sede fallimentare.

D: Cosa succede se la società di persone viene cancellata (senza fallimento) con debiti pendenti?
R: In tal caso, la società perde la soggettività, ma i debiti non svaniscono: si trasferiscono sui soci. Nelle società di persone, data la responsabilità illimitata, già c’erano sui soci, ma dopo la cancellazione non esiste più nemmeno un patrimonio sociale distinguibile. Il creditore può agire direttamente contro i soci per l’intero debito (o pro quota a seconda della natura). Non serve neppure un titolo specifico contro i soci se già ne aveva uno contro la società: come abbiamo visto, la Cassazione considera quel titolo efficace anche verso di loro. Se non aveva un titolo, potrà citarli in giudizio ordinario per ottenere condanna (portando la prova del credito sociale e della qualità di ex soci illimitati, ex art. 2312 c.c. analogico). In sostanza, la cancellazione non vi protegge, anzi velocizza il passaggio di consegne del debito su di voi. Attenzione: dal 2013, la cancellazione di una società di persone dal registro imprese non estingue la società se ci sono debiti non liquidati? Al contrario delle società di capitali, pare che per le società di persone alcune pronunce dicano che sopravvive ai soli fini di debiti. Ma comunque, anche se fosse estinta, i soci restano obbligati.

D: Ho ricevuto una cartella esattoriale per tributi non pagati dalla società. Posso fare opposizione come fosse un decreto ingiuntivo?
R: La cartella esattoriale segue le regole del diritto tributario, non del c.p.c. Quindi si impugna davanti al giudice tributario entro 60 giorni, non col meccanismo dell’opposizione monitoria. Devi proporre un ricorso tributario (ora ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) contro la cartella. Lì potrai contestare motivi come: la società ha pagato, oppure la notifica non è regolare, la pretesa è prescritta, ecc. Non puoi usare l’art. 650 c.p.c. o 645 c.p.c. perché quelle sono per i decreti ingiuntivi civili. In ambito tributario l’equivalente dell’opposizione tardiva è dimostrare la nullità della notifica dell’atto precedente (es: se non ti hanno mai notificato l’avviso di accertamento e ne avevano l’obbligo, potresti far annullare la cartella). Se la cartella è definitiva e ti pignorano, l’opposizione all’esecuzione in sede civile in genere non è ammessa sul merito del tributo (c’è un divieto di sindacato del giudice civile sulle cause tributarie, salvo questioni formali di pignoramento). Quindi la tua chance è nel contenzioso tributario.

D: Che differenza c’è tra opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione all’esecuzione?
R: L’opposizione a decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.) mira a contestare la validità del titolo stesso (il credito, la legittimità del decreto) e va proposta entro i termini previsti (40 giorni, etc.). L’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) invece avviene dopo, quando l’esecuzione forzata è iniziata o imminente, e contesta il diritto del creditore di procedere esecutivamente. Nell’opposizione all’esecuzione puoi far valere fatti estintivi o impeditivi del credito sopravvenuti o non esaminabili nel titolo. Ad esempio: il titolo non è più valido, oppure hai già pagato dopo la formazione del titolo, oppure il bene pignorato è impignorabile. Non puoi usare l’opposizione all’esecuzione per rimettere in discussione nel merito un credito già accertato dal decreto ingiuntivo non opposto, perché quello è cosa giudicata. Nel contesto di società e soci, un socio che non ha opposto in tempo potrebbe tentare opposizione all’esecuzione per dire “io non sono debitore” ma verrebbe rigettata perché quel socio è debitore ex lege e c’è un titolo (anche se solo contro la società, la legge lo considera). Al massimo potrà dire: “non potevi ancora agire su di me perché dovevi escutere la società” (beneficio escussione) – che è una difesa tipica di opposizione all’esecuzione, ma come detto se il patrimonio sociale è insufficiente viene superata facilmente.

D: Durante l’opposizione, il giudice può condannare anche il socio se inizialmente il decreto era solo contro la società?
R: Sì, può succedere per via di domande riconvenzionali o chiamate in causa. Poniamo che il decreto fosse solo verso la società, la società fa opposizione chiamando anche il socio per essere manlevata, oppure il creditore nella comparsa di risposta chiede la condanna pure del socio (se lo ha scoperto e vuole estendere la causa). In tal caso, in sede di sentenza di opposizione, il giudice potrebbe emettere condanna verso la società e il socio in solido. Questo scenario è più raro, perché di solito il creditore furbo sin dall’inizio ingiunge anche il socio. Ma processualmente è possibile ampliare il contraddittorio. Se dovesse accadere, il socio chiamato in causa in opposizione ha poi gli stessi diritti di difesa e può opporsi al credito nel merito. Quindi occhio: anche se all’inizio sembravi fuori, potresti essere coinvolto nel corso del giudizio.

D: La presenza della società come entità separata non mi protegge in nulla quindi?
R: Ti protegge in alcuni aspetti minori: ad esempio, i creditori sociali devono prima rivolgersi alla società come interlocutore principale, e solo se la società non paga o non ha beni vanno sui soci. Inoltre, se la società ha beni sufficienti a soddisfare il credito, tu socio in pratica non subisci danni (il patrimonio sociale fa da scudo economico). Ma giuridicamente, se il patrimonio sociale è inadeguato, il tuo patrimonio personale è esposto. La società di persone non ha “schermo” patrimoniale pieno come una società di capitali. Quindi la personalità giuridica serve per altre cose (intestare beni alla società, far risultare solo la società nei contratti, semplificare gestione), ma non serve a proteggere i soci dai creditori in termini di liability. In sintesi: in una S.n.c. o S.a.s., i creditori hanno in mano sia la tasca sociale che la tua tasca.

D: Quali articoli del Codice dovrei conoscere assolutamente su questo tema?
R: I fondamentali sono:

  • art. 2267 c.c. (responsabilità per obbligazioni sociali nelle società semplici, estesa a S.n.c.): soci illimitatamente e solidalmente responsabili.
  • art. 2291 c.c. (per S.n.c.): ribadisce che tutti i soci rispondono illimitatamente e solidalmente.
  • art. 2290 c.c.: responsabilità del socio uscente fino al giorno dello scioglimento.
  • art. 2269 c.c.: responsabilità del nuovo socio per i debiti pregressi.
  • art. 2304 c.c.: beneficio della preventiva escussione (non escutibili i soci finché non escusso patrimonio sociale).
  • art. 2313 c.c.: accomandatari illimitati, accomandanti limitati alla quota.
  • art. 2320 c.c.: divieto di immistione degli accomandanti (se violato -> responsabilità illimitata).
  • art. 477 c.p.c.: titolo esecutivo contro gli eredi (usato in analogia per soci).
  • artt. 633-656 c.p.c.: disciplina del decreto ingiuntivo e opposizione, in particolare 641 (termine 40gg), 645 (opposizione come citazione), 647 (esecutorietà mancata opposizione), 648-649 (provvisoria esecuzione e sospensione), 650 (opposizione tardiva).
  • art. 1306 c.c.: effetti delle sentenze tra condebitori (per capire perché il socio non opponente non beneficia del successo altrui, visto che Cassazione dice non applicabile se giudicato già formato per lui).
  • (In ambito fiscale: art. 5 TUIR per trasparenza, art. 2495 c.c. analogico per società estinte e soci, ecc., ma questi sono più settoriali).

Conclusioni

L’opposizione a un decreto ingiuntivo rivolto a società di persone e soci richiede un approccio attento e tempestivo. Dal punto di vista del debitore-socio, abbiamo visto come sia fondamentale:

  • Conoscere la propria esposizione legale in quanto socio illimitatamente responsabile: non dare per scontato che le vicende giudiziarie riguardanti la società non ti tocchino personalmente.
  • Agire prontamente: il tempo è spesso l’elemento decisivo. 40 giorni passano in fretta; farsi assistere subito da un legale consente di sfruttare al meglio le difese disponibili.
  • Coordinarsi, se possibile, con la società e gli altri soci per opporsi in modo coerente. Divisioni interne o scarso flusso di informazioni possono portare a decadenze e preclusioni (come il caso del socio non informato per tempo).
  • Documentare la propria posizione: se sei un accomandante, dimostra di non aver ingerito; se sei uscito, mostra la data di uscita; se sei entrato dopo, verifica accordi di manleva con i cedenti; se la società ha pagato in parte, raccogli ricevute, etc. Tutto ciò andrà presentato in giudizio.
  • Non trascurare gli aspetti fiscali: spesso il Fisco è il creditore più incisivo. Una società di persone con debiti tributari può mettere i soci di fronte a pretese molto rapide (cartelle) e i soci dovranno difendersi in un ambito diverso, ma con uguali principi di responsabilità.

Dal punto di vista del creditore, invece, conoscere queste dinamiche consente di:

  • Scegliere correttamente i destinatari del monitorio (includere i soci giusti, evitare quelli non obbligati come accomandanti salvi).
  • Sapere che un decreto ingiuntivo non opposto dalla società è un ottimo risultato, perché consente poi di colpire i soci con relativa facilità.
  • Anticipare possibili opposizioni e preparare le prove (ad esempio, se prevedi che il socio sosterrà di aver pagato, già inserire in ricorso i conteggi, ecc.).
  • Nel caso di crediti tributari, utilizzare gli strumenti dedicati (ruoli, ecc.) senza perdere tempo in cause civili inutili.

In conclusione, la materia evidenzia l’importanza della consulenza legale preventiva in contesti di società di persone: sia i soci che i creditori farebbero bene a farsi guidare su come comportarsi all’insorgere di controversie e ingiunzioni. Le società di persone sono costruite sulla fiducia e sul coinvolgimento personale: i rischi non sono separati dalle persone dei soci, e questo si riflette potentemente nelle procedure di recupero crediti.

Aggiornata a giugno 2025, la giurisprudenza conferma tendenzialmente una linea rigorosa ma coerente: i soci illimitatamente responsabili devono essere solerti nel tutelarsi, altrimenti subiranno in pieno gli effetti dei titoli ottenuti contro la società. Conoscere i propri obblighi e diritti – e i correlativi diritti dei creditori – è fondamentale per muoversi con sicurezza in questo campo e non incorrere in spiacevoli sorprese.


Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate

Codice Civile:

  • Art. 2267 c.c. – Responsabilità per le obbligazioni sociali (società semplice e di persone).
  • Art. 2269 c.c. – Responsabilità del nuovo socio per le obbligazioni sociali anteriori.
  • Art. 2290 c.c. – Responsabilità del socio uscente o dei suoi eredi (obbligazioni sorte fino al giorno dello scioglimento del rapporto sociale).
  • Art. 2291 c.c. – (Società in nome collettivo) Tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali.
  • Art. 2304 c.c. – Beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale.
  • Art. 2313 c.c. – (Società in accomandita semplice) Soci accomandatari illimitatamente responsabili; soci accomandanti limitatamente alla quota conferita.
  • Art. 2320 c.c. – Divieto di immistione dei soci accomandanti (responsabilità illimitata se violato).
  • Art. 2740 c.c. – Responsabilità patrimoniale (il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri).
  • Art. 1292 c.c. e segg. – Obbligazioni solidali (in particolare art. 1306 c.c. sugli effetti delle sentenze tra condebitori solidali).
  • Art. 2495 c.c. – (in analogia) Cancellazione di società di capitali e responsabilità dei soci per debiti insoddisfatti (principio esteso ai soci di persone nelle società estinte, secondo giurisprudenza 2025).

Codice di Procedura Civile:

  • Artt. 633–656 c.p.c. – Procedimento d’ingiunzione (condizioni, competenza, provvisoria esecuzione, ecc.).
  • Art. 633 c.p.c. – Condizioni per ingiunzione (credito certo, liquido, esigibile).
  • Art. 634 c.p.c. – Prova scritta del credito.
  • Art. 638 c.p.c. – Forma del ricorso e decreto.
  • Art. 641 c.p.c. – Opposizione: termine ordinario 40 giorni (con possibilità di riduzione/aumento).
  • Art. 645 c.p.c. – Forma dell’opposizione (atto di citazione) e natura di giudizio di cognizione.
  • Art. 647 c.p.c. – Esecutorietà del decreto non opposto (decorso infruttuoso del termine).
  • Art. 648 c.p.c. – Provvisoria esecuzione in corso di opposizione (in caso di prova scritta del credito, su istanza del creditore).
  • Art. 649 c.p.c. – Sospensione della provvisoria esecuzione in sede di opposizione (gravi motivi).
  • Art. 650 c.p.c. – Opposizione tardiva (ammissibile per irregolarità di notifica o causa non imputabile, entro 10 giorni dalla conoscenza).
  • Art. 477 c.p.c. – Efficacia del titolo esecutivo contro gli eredi (applicazione analogica: titolo esecutivo contro società vale contro soci illimitati).
  • Art. 615 c.p.c. – Opposizione all’esecuzione (contestazione diritto a procedere a esecuzione).
  • Art. 617 c.p.c. – Opposizione agli atti esecutivi (vizi formali atti esecutivi).

Leggi fiscali e procedura tributaria:

  • D.P.R. 602/1973 art. 25 – Cartella di pagamento (notifica entro termini, titolo esecutivo).
  • R.D. 639/1910 – Ingiunzione fiscale (strumento di riscossione alternativo, usato da enti locali).
  • Art. 5 TUIR (D.P.R. 917/86) – Redditi di società di persone imputati per trasparenza ai soci (responsabilità diretta IRPEF soci).
  • Art. 2495 c.c. (per analogia in campo tributario v. Cass. SU 2025) – Soci responsabili di debiti sociali insoddisfatti nei limiti di quanto riscosso in liquidazione (ma per soci illimitati l’obbligo supera tale limite).
  • R.D. 267/1942 art. 147 – Estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili.

Giurisprudenza di legittimità:

  • Cass. civ. Sez. III, 24/03/2011, n. 6734: Decreto ingiuntivo contro società di persone estende effetti ai soci illimitatamente resp..
  • Cass. civ. Sez. III, 20/05/2003, n. 7881: Accoglimento opposizione di un condebitore non intacca giudicato formato contro condebitore non opponente.
  • Cass. civ. Sez. III, 29/01/2007, n. 1779: (Analogo principio del 2003).
  • Cass. civ. Sez. III, 14/07/2009, n. 16390: (Richiamata in Cass. 2016, principio simile su giudicato).
  • Cass. civ. Sez. III, 26/07/2016, n. 15376: Ribadisce che revoca decreto verso società/socio opponente non giova a socio non opponente.
  • Cass. civ. Sez. III, 30/09/2014, n. 20559: Conferma autorità giudicato del DI verso socio non opponente, inapplicabilità art. 1306 co.2 c.c..
  • Cass. civ. Sez. Unite, 16/12/2020, n. 28709: “Responsabilità da posizione” dei soci illimitati; debiti tributari società estinta, socio obbligato anche senza avviso a lui.
  • Cass. civ. Sez. Lav., 06/10/2020, n. 21426: Ordinanza di rimessione (cita responsabilità da posizione in ambito soci).
  • Cass. civ. Sez. Lav., 27/09/2022, n. 36942: Decreto ingiuntivo verso soci di S.n.c., socio non opponente non beneficia esito favorevole opposizione altrui. (Conferma Cass. 2016 e prec.)
  • Cass. civ. Sez. III, ord. 13/06/2019, n. 15877: DI contro società estende effetti a soci illimitati; onere soci di proporre opposizione (anche tardiva).
  • Cass. civ. Sez. III, ord. 16/10/2020, n. 22629: Creditor può agire in cognizione contro socio illimitato senza preventiva escussione; beneficio escussione opera solo in esecuzione.
  • Cass. civ. Sez. V, 21/11/2014, n. 24795: (Tributario) Titolo esecutivo contro società vale contro socio illimitato; socio non ha diritto a notifica avviso originale; socio receduto risponde di debiti sorti prima recesso.
  • Cass. civ. Sez. Unite, 12/02/2025, n. 3625: Soci di società estinte responsabili verso Fisco; chiarisce portata art. 2495 c.c. per soci illimitati (massima: soci di società cancellata rispondono dei debiti tributari).
  • Cass. civ. Sez. II, 13/05/2008, n. 11867: (Citata in dottrina MFLaw) Conferma tratti solidarietà obbligazioni sociali.
  • Cass. civ. Sez. III, 06/10/1963, n. 1691: (Vecchia, citata in dottrina) Adesione a società = accollo passività pregresse.
  • Cass. civ. Sez. III, 15/04/2010, n. 9326: (Citata in dottrina) Norma 2269 si applica a Snc e Sas; irrilevante se permane responsabilità ex socio.
  • Cass. civ. Sez. II, 14/02/1989, n. 1781: (citata) Responsabilità nuovo socio accomandatario per obbligazioni pregresse.
  • Cass. civ. Sez. III, 20/07/2016, n. 14705: (non citata prima, presumibilmente confermativa di orientamenti su beneficium ecc.).
  • Cass. civ. Sez. III, 04/02/2025, n. 2683: (menzionata su Ex Parte, presumibilmente tratta di socio ex socio e IVA, poss. coincidente con principi di 2014).

Giurisprudenza di merito:

  • Tribunale di Bologna, Sez. II Civ., 31/05/2024 (Sent. n. 1591/2024): Opposizione soci tempestiva inammissibile se opposizione società tardiva; DI irrevocabile vs società produce effetti vs soci.
  • Corte d’Appello di Roma, 01/03/2023, n. 1499/2023: (cit. da Dirittopratico) conferma applicazione art. 2269 e 2290 c.c. – presumibilmente caso di regresso socio entrante vs uscente.
  • Corte d’Appello di Torino (ord.), 17/12/2021: revoca DI opposto anche da socio in solido (caso StudioCerbone 2022, poss. accomandante erroneamente ingiunto liberato).
  • Tribunale di Vicenza, 13/06/2019 (ord.): (deducibile da blog Ruggeri) – ha sollevato questione risolta da Cass. 15877/2019, confermando estensione effetti DI.
  • Commissione Tributaria Reg. Marche: sentenza (anno?) confermata da Cass. 12494/2016 – annullava cartella a socio per mancata preventiva escussione società; Cass. 2016 invece ha accolto ricorso Agenzia, affermando escussione solo su pignoramento, cartella ok.
  • Cass. civ. Sez. V, 18/03/2016, n. 5242 (o 12494/2016): (dal FiscoeTasse) – ha stabilito che beneficio escussione nel tributario vale solo a fase esecutiva, confermando legittimità cartella a socio.
  • Cass. civ. Sez. V, 17/04/2023, n. 10103: (dal Min. Finanze) – ribadisce socio obbligato in via sussidiaria ma paritaria; responsabilità ex lege da posizione.

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