La tua impresa è in crisi e non riesce più a far fronte ai debiti? Ti stai chiedendo quali strumenti legali hai a disposizione per evitare il fallimento e salvare ciò che è ancora recuperabile? È in questi momenti che entrano in gioco le procedure concorsuali, strumenti pensati per gestire in modo ordinato e legale la crisi aziendale.
Ma cosa sono esattamente le procedure concorsuali? E in quali casi si attivano?
Le procedure concorsuali sono percorsi giudiziari o negoziali previsti dal Codice della Crisi d’Impresa, nati per regolare la situazione debitoria di un’impresa che non è più in grado di pagare regolarmente. Non si tratta solo di fallimento: oggi esistono soluzioni flessibili e meno invasive per tentare un risanamento, ristrutturare i debiti o, se necessario, liquidare in modo controllato.
Quali sono le principali procedure? E quale conviene davvero nel tuo caso?
Oggi il legislatore ha previsto strumenti diversi, pensati per ogni tipo di situazione:
- la composizione negoziata della crisi, per affrontare le difficoltà con l’aiuto di un esperto indipendente e trattare coi creditori prima che la crisi esploda;
- il concordato preventivo, per proporre un piano di rientro e salvare l’impresa attraverso accordi omologati dal tribunale;
- la liquidazione giudiziale (ex fallimento), per le imprese ormai non risanabili;
- la liquidazione controllata, per ditte individuali o piccole realtà;
- e i piani di ristrutturazione e accordi di ristrutturazione dei debiti, più agili ma comunque vincolanti.
Hai paura che aprire una procedura significhi chiudere l’azienda? Non è sempre così.
Molti strumenti permettono di continuare a lavorare durante la procedura, proteggendo l’attività da pignoramenti e azioni esecutive, e preservando la continuità aziendale, magari salvando posti di lavoro e rientrando progressivamente dai debiti.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, risanamento e diritto fallimentare – ti spiega quali sono le procedure concorsuali previste dalla legge, come funzionano, quando attivarle e cosa possiamo fare per aiutarti a scegliere il percorso giusto e tutelare l’impresa, il patrimonio e le persone coinvolte.
La tua azienda è in difficoltà e vuoi sapere se puoi ancora salvarla? Hai debiti con banche, fornitori o il Fisco e vuoi agire prima che sia troppo tardi?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo la tua situazione economica, valuteremo gli strumenti più adatti e ti accompagneremo in ogni fase del percorso, con l’obiettivo di salvare ciò che è possibile e proteggere la tua posizione personale.
1. Introduzione
La crisi d’impresa rappresenta uno stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, manifestandosi tipicamente come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni. Per affrontare in modo ordinato tali situazioni, l’ordinamento italiano si è dotato di un nuovo corpus normativo organico: il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 (in attuazione della L. 155/2017) e definitivamente entrato in vigore il 15 luglio 2022. Il CCII ha sostituito la storica Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) e le norme sul sovraindebitamento (L. 3/2012), segnando un cambio di paradigma nella gestione delle difficoltà aziendali. Tale riforma ha recepito i principi della Direttiva (UE) 2019/1023, privilegiando un approccio di intervento precoce sulla crisi, la massimizzazione del valore dell’impresa e la conservazione dei livelli occupazionali, ove possibile. Il legislatore mira infatti a far emergere tempestivamente i segnali di crisi, in modo da evitare che situazioni reversibili evolvano in insolvenze irreparabili.
La presente guida – aggiornata a giugno 2025 – offre un’analisi avanzata di tutte le procedure previste dal CCII, integrando gli aggiornamenti normativi del 2024–2025 e i più recenti orientamenti giurisprudenziali. Ci rivolgiamo a imprenditori, professionisti e avvocati interessati a comprendere gli strumenti disponibili per la gestione della crisi dal punto di vista del debitore, con attenzione sia alle PMI sia alle grandi imprese. Illustreremo le caratteristiche di ciascun istituto (dai meccanismi di allerta precoce agli accordi e piani di ristrutturazione, dal concordato preventivo – ordinario e semplificato – fino alla liquidazione giudiziale e controllata), fornendo tabelle comparative, risposte a domande frequenti (FAQ), casi pratici simulati e un focus specifico su diritti e doveri del debitore in ogni fase. Inoltre, integriamo approfondimenti giurisprudenziali, con riferimento alle prime pronunce rilevanti emesse dopo l’entrata in vigore del Codice, al fine di evidenziare come i tribunali italiani stanno applicando le nuove norme.
Dal 2022 ad oggi, il quadro normativo della crisi d’impresa è stato oggetto di perfezionamenti: in particolare i tre Decreti Correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e da ultimo il D.Lgs. 136/2024, noto come “Correttivo-ter”) hanno apportato modifiche sostanziali al CCII, recependo le prassi emerse e risolvendo dubbi interpretativi. Il Correttivo-ter, in vigore dal 28 settembre 2024, ha stabilizzato la disciplina introducendo novità attese su più fronti, tra cui il rafforzamento degli strumenti di allerta precoce, la semplificazione dell’accesso alla composizione negoziata, l’agevolazione dei rapporti con banche e Fisco durante le trattative, nonché importanti ritocchi al concordato semplificato e agli accordi di ristrutturazione.
2. Panoramica generale degli strumenti di gestione della crisi
Il CCII prevede un sistema integrato di strumenti che coprono l’intero spettro temporale ed operativo della crisi d’impresa, dai primi segnali di difficoltà fino all’eventuale insolvenza conclamata. In sintesi, possiamo distinguere:
- Strumenti di allerta precoce e prevenzione: mirano a intercettare tempestivamente i primi indizi di squilibrio finanziario e a sollecitare l’imprenditore ad adottare misure correttive prima che la crisi degeneri in insolvenza. Comprendono l’obbligo di dotarsi di adeguati assetti organizzativi, i meccanismi di segnalazione interna (da parte di organi di controllo societari) ed esterna (da parte di creditori pubblici qualificati come Fisco ed enti previdenziali) e i c.d. strumenti di allerta precoce in senso stretto. Tali strumenti, nella formulazione originaria del Codice (2019), prevedevano l’intervento di un Organismo di Composizione della Crisi (OCRI) per assistere l’imprenditore segnalato. Tuttavia, l’operatività di questo sistema semi-obbligatorio è stata più volte rinviata e infine sostituita da un approccio diverso, introdotto con il D.L. 118/2021: oggi l’allerta si fonda su un sistema volontario e confidenziale, ovvero la Composizione Negoziata della Crisi, attivabile su istanza dell’imprenditore stesso. In parallelo, restano in vigore le segnalazioni obbligatorie dei creditori pubblici e l’onere per l’imprenditore di dotarsi di strumenti interni di monitoraggio.
- Strumenti stragiudiziali o negoziali di regolazione della crisi: finalizzati a trovare un accordo con i creditori al di fuori delle procedure concorsuali giudiziali, evitando – se possibile – l’apertura di una procedura di insolvenza. In questa categoria rientrano:
- Il Piano di risanamento “attestato” (strumento non previsto per omologa giudiziale, ma menzionato nel CCII come piano di risanamento esente da azioni revocatorie se conforme all’art. 56 CCII). È un accordo privatistico, accompagnato da una relazione di un esperto indipendente, per ristrutturare i debiti ed eventualmente riequilibrare la situazione patrimoniale, senza coinvolgimento diretto del tribunale.
- La Composizione Negoziata della Crisi (CNC), procedura volontaria e confidenziale introdotta nel 2021 e ora disciplinata dagli artt. 17-25 CCII, in cui un esperto terzo indipendente assiste l’imprenditore nella negoziazione con i creditori. Pur essendo stragiudiziale, la CNC consente di attivare alcune tutele giudiziali (come le misure protettive) e può sfociare, in caso di esito negativo, in procedure concorsuali “semplificate”.
- Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti, contratti di natura parasociale con uno o più creditori che, se sottoscritti dalle percentuali di legge (almeno il 60% dei crediti per l’accordo “ordinario”, percentuale ridotta al 30% in casi agevolati), vengono omologati dal tribunale ed estesi a determinate condizioni ai creditori non aderenti. Gli accordi consentono una notevole flessibilità nelle soluzioni, con l’obiettivo di evitare procedure concorsuali più invasive.
- Strumenti giudiziali di regolazione e insolvenza: qui rientrano le vere e proprie procedure concorsuali aperte innanzi all’Autorità Giudiziaria, finalizzate a risolvere la crisi mediante un processo formalizzato che coinvolge tutti i creditori:
- Il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), introdotto come novità dal CCII (Capo I-bis, artt. 64-bis – 64-quater CCII). Si tratta di uno strumento di regolazione concordata della crisi, molto affine al concordato preventivo ma caratterizzato dalla deroga alle regole civilistiche della parità di trattamento dei creditori: consente infatti di proporre un pagamento non integrale e differenziato dei debiti, suddividendo i creditori in classi e derogando agli art. 2740–2741 c.c. (responsabilità patrimoniale e par condicio). Il piano dev’essere approvato dai creditori suddivisi in classi, con il voto favorevole della maggioranza in tutte le classi, per poi essere omologato dal tribunale. È dunque uno strumento concorsuale a maggioranza che vincola anche i dissenzienti all’interno di ciascuna classe, permettendo di superare l’eventuale veto di minoranze (c.d. holdout) nell’ambito della singola classe.
- Il Concordato Preventivo (ordinario), procedura già nota nella previgente legge fallimentare ma riformata dal CCII. Consiste in una proposta formale rivolta a tutti i creditori per la ristrutturazione dei debiti o la cessione/liquidazione del patrimonio, soggetta all’approvazione delle maggioranze di legge e al controllo di legittimità del tribunale in sede di omologa. Può essere in continuità aziendale (se prevede la prosecuzione dell’attività, totale o parziale) oppure liquidatorio (se mira principalmente a liquidare i beni dell’impresa); in entrambi i casi è un’alternativa al fallimento che consente al debitore di conservare inizialmente l’amministrazione sotto la vigilanza di un commissario. Il concordato preventivo è disciplinato dagli artt. 84-120 CCII e prevede il voto dei creditori (eventualmente articolati in classi) secondo regole precise. Novità importanti introdotte dal CCII riguardano l’obbligatorietà delle classi in caso di continuità aziendale e la possibilità di omologare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi (cosiddetto cram-down), purché siano rispettate certe condizioni di tutela (ad esempio, che ai creditori dissenzienti sia garantito almeno quanto otterrebbero in caso di liquidazione).
- Il Concordato Preventivo Semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII), istituto di recente introduzione (D.L. 118/2021) pensato per offrire al debitore un’uscita rapida e semplificata dalla crisi qualora la composizione negoziata non abbia portato ad un accordo di risanamento. Si tratta di un concordato senza voto dei creditori: il debitore propone la cessione o la liquidazione di tutti i beni ai creditori, e il tribunale può omologare la proposta – verificatane la regolarità e convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria – senza passare dalla deliberazione dei creditori. I creditori sono solo chiamati a presentare eventuali opposizioni in sede di omologa. Questo strumento consente dunque di evitare l’apertura di una liquidazione giudiziale ordinaria, realizzando una liquidazione concorsuale più rapida ed efficiente. Esso può essere attivato solo dal debitore e solo dopo aver esperito una composizione negoziata, a condizione che l’esperto attestatore dichiari che le trattative si sono svolte in buona fede ma non hanno avuto successo. Approfondiremo più avanti le condizioni e gli effetti di questo concordato “speciale”.
- La Liquidazione Giudiziale, che ha preso il posto del “fallimento” terminologico e sostanziale. È la procedura concorsuale liquidatoria per eccellenza, avviata in presenza di uno stato di insolvenza (incapacità definitiva di pagare regolarmente i debiti scaduti). Può essere aperta su iniziativa del debitore, di un creditore o d’ufficio su richiesta del PM in casi tassativi. Comporta la spossessamento dell’imprenditore dai beni e l’affidamento degli stessi ad un curatore (ora detto liquidatore giudiziale) nominato dal tribunale, con il compito di liquidare l’attivo e distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. La liquidazione giudiziale è disciplinata agli artt. 121-270 CCII e ricalca, con innovazioni procedurali, il vecchio fallimento: prevede la formazione dello stato passivo, la gestione dell’esercizio provvisorio dell’azienda ove funzionale a miglior soddisfazione dei creditori, la liquidazione dei beni e, a conclusione, la chiusura della procedura con l’eventuale esdebitazione del debitore persona fisica. Quest’ultimo aspetto – l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui – è stato potenziato dal CCII, che la concede (a certe condizioni di meritevolezza) pressoché automaticamente al debitore persona fisica fallito dopo la chiusura della liquidazione.
- La Liquidazione Controllata (artt. 268-277 CCII), rivolta ai debitori non assoggettabili a liquidazione giudiziale (i cosiddetti debitori sovraindebitati ai sensi dell’art. 2, co.1, lett. c) CCII, come i piccoli imprenditori sotto soglia, i professionisti, i consumatori, le start-up innovative, etc.). È l’erede della “liquidazione del patrimonio” prevista dalla L. 3/2012. Si tratta di una procedura concorsuale volontaria che consente al debitore sovraindebitato di mettere a disposizione il proprio patrimonio residuo per soddisfare i creditori in modo proporzionale, sotto la direzione di un liquidatore e la supervisione del tribunale. La liquidazione controllata comporta anch’essa la spossessamento del debitore sui beni inclusi nella procedura, ma offre – a differenza del passato – la prospettiva di una liberazione finale dai debiti per il debitore persona fisica (tramite esdebitazione), anche qualora il ricavato non copra integralmente l’esposizione debitoria. In casi estremi, il CCII prevede persino l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283), ossia la cancellazione dei debiti per il debitore persona fisica meritevole che non abbia alcun patrimonio liquidabile, senza alcun pagamento ai creditori. Questa misura innovativa, introdotta nel 2020 e ora parte integrante del Codice, riflette il principio della “seconda possibilità” promosso a livello europeo.
Come si vede, l’ordinamento italiano offre una gamma di procedure graduata in funzione della gravità della crisi e della natura del debitore. Si va dagli interventi preventivi e volontari (assetti adeguati, allerta e composizione negoziata), passando per soluzioni negoziate e ibride (accordi di ristrutturazione, piani omologati) fino alle procedure concorsuali giudiziali vere e proprie (concordati, liquidazioni). Il denominatore comune di tali strumenti, nella riforma del 2022-2025, è il tentativo di coinvolgere attivamente il debitore nella gestione della propria crisi, incentivandolo ad attivarsi per tempo e a collaborare con creditori ed esperti al fine di massimizzare il valore recuperabile. Dal punto di vista del debitore, ciò significa avere a disposizione opportunità concrete per evitare la dispersione del patrimonio e, ove possibile, continuare l’attività d’impresa salvaguardando la going concern. Nei prossimi capitoli, entriamo nel dettaglio di ciascuna procedura, evidenziandone presupposti, svolgimento, vantaggi/svantaggi e prospettive di esito per l’imprenditore in difficoltà.
(Nel Capitolo 11 troverete inoltre tabelle comparative sintetiche tra le varie procedure, e al Capitolo 12 una sezione di Domande Frequenti. Per esempi concreti, si rimanda al Capitolo 13 con alcune simulazioni pratiche di casi italiani.)
3. Strumenti di allerta precoce e prevenzione della crisi
Uno dei pilastri del CCII è la prevenzione: individuare i sintomi della crisi con sufficiente anticipo da poter attuare rimedi efficaci. A tal fine, il legislatore ha introdotto obblighi e misure di early warning che impegnano sia il debitore stesso sia alcuni soggetti terzi (come organi di controllo e creditori pubblici) a vigilare sulla salute dell’impresa.
3.1 Adeguati assetti e obblighi organizzativi del debitore. L’art. 3 CCII, in combinato disposto con l’art. 2086 c.c., impone a tutti gli imprenditori di adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, funzionali a rilevare tempestivamente eventuali squilibri e a monitorare la sostenibilità dei debiti. Ciò vale sia per le società (dove l’obbligo ricade sugli amministratori) sia per gli imprenditori individuali (sia pure con forme semplificate di controllo). In pratica, l’impresa deve dotarsi di strumenti di controllo di gestione, pianificazione finanziaria e indicatori capaci di segnalare: (a) squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario (es. patrimonio netto negativo, perdite significative, cronica mancanza di liquidità); (b) incapacità prospettica di far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi (cioè segnali che il cash flow futuro non coprirà le uscite attese); (c) risultati negativi dai check-up elaborati da indicatori standard o liste di controllo. Quando tali indizi emergono, è preciso dovere dell’imprenditore (e degli amministratori, nelle società) attivarsi senza indugio per adottare uno degli strumenti di regolazione della crisi previsti (a partire dalla composizione negoziata) o comunque per ridurre il rischio di insolvenza. L’inosservanza di questi doveri può comportare responsabilità anche gravi: ad esempio, l’amministratore che ometta di predisporre assetti adeguati o ritardi colpevolmente l’emersione della crisi potrebbe rispondere dei danni verso i creditori e la società, nonché subire conseguenze in sede di azione di responsabilità o bancarotta. Questa enfasi sugli assetti organizzativi è coerente con l’intento del legislatore di cambiare la cultura aziendale in Italia, promuovendo una maggiore pianificazione e controllo interno per evitare crisi irreversibili.
3.2 Segnalazioni interne: organi di controllo societari. Nelle società di capitali dotate di organo di controllo (collegio sindacale, sindaco unico, revisore) – organo oggi obbligatorio in SRL al superamento di determinati parametri dimensionali – vi è uno specifico obbligo di monitoraggio e allerta. L’organo di controllo interno infatti, se rileva fondati indizi di crisi, deve informare immediatamente gli amministratori e, in caso di inerzia di questi ultimi, può attivare una segnalazione al Tribunale competente per l’eventuale adozione dei provvedimenti di cui all’art. 38 CCII (es. nomina d’ufficio di un esperto per la composizione negoziata, o altre misure d’urgenza). In sostanza, i sindaci e revisori fungono da “sentinelle” interne: il loro compito non è più limitato alla mera vigilanza contabile, ma si estende alla rilevazione tempestiva della crisi e alla sollecitazione degli amministratori ad agire. Il CCII, specie dopo le modifiche correttive, ha esplicitato che i controllori interni devono verificare che l’organo amministrativo tenga conto dei segnali d’allarme indicati dall’art. 3 co.4 CCII (ritardi nei pagamenti verso dipendenti, fornitori, banche, Fisco, ecc.). Se tali segnali si manifestano e non vengono adeguatamente affrontati, il collegio sindacale deve intervenire. Questa obbligazione di segnalazione interna mira a responsabilizzare i governance organ, riducendo i casi in cui la crisi viene occultata o sottovalutata fino al punto di non ritorno. In parallelo, il Codice incentiva la sollecita reazione degli amministratori prevedendo per loro benefici (esenzioni o attenuanti di responsabilità) se attivano per tempo gli strumenti di regolazione, e viceversa sanzioni se persistono in una gestione imprudente aggravando il dissesto.
3.3 Segnalazioni esterne: creditori pubblici qualificati. Oltre all’allerta che parte dall’interno dell’impresa, il CCII ha introdotto un sistema di allerta esterna facendo leva su alcuni creditori pubblici che tipicamente dispongono di informazioni precoci sullo stato di difficoltà di un’impresa. L’art. 25-novies CCII (introdotto dal D.Lgs. 83/2022) impone infatti a INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate e Agente della Riscossione (i cosiddetti “creditori pubblici qualificati”) di monitorare costantemente i debiti scaduti di ciascuna azienda e di inviare una segnalazione formale quando tali debiti superino determinate soglie di allarme. Le comunicazioni devono avvenire tramite PEC (posta elettronica certificata) indirizzata sia all’impresa debitrice sia, ove esistente, all’organo di controllo della stessa. Nel testo della comunicazione la legge prescrive di invitare espressamente l’imprenditore a presentare istanza di composizione negoziata (art. 17 CCII) ove ne ricorrano i presupposti. Vediamo le principali soglie che attivano l’obbligo di segnalazione:
- INPS: ritardi > 90 giorni nel versamento di contributi previdenziali per importi significativi. In particolare, per imprese con dipendenti la soglia è un debito contributivo scaduto > 15.000 € e superiore al 30% dei contributi dovuti nell’anno precedente; per imprese senza dipendenti, debiti contributivi > 5.000 €.
- INAIL: mancato pagamento da > 90 giorni di premi assicurativi con debito > 5.000 €. (Dal giugno 2023 l’INAIL è stato incluso tra i soggetti obbligati alla segnalazione).
- Agenzia delle Entrate (IVA): omesso versamento dell’IVA risultante dalle liquidazioni periodiche, scaduto da oltre 90 giorni, per un ammontare > 5.000 € e almeno pari al 10% del fatturato dell’anno precedente; in ogni caso, se il debito IVA non versato supera 20.000 € scatta la segnalazione.
- Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia): sussistenza di ruoli esattoriali scaduti da oltre 90 giorni per importi superiori a: 100.000 € per imprese individuali; 200.000 € per società di persone; 500.000 € per altre società.
Al superamento di una di queste soglie, l’ente creditore entro 60 giorni è tenuto a inviare la comunicazione di allerta. La segnalazione ha un tono collaborativo: non minaccia sanzioni immediate, bensì sprona l’impresa a reagire, avvisandola che la sua esposizione debitoria è divenuta rilevante e che esiste l’opportunità (e la convenienza) di ricorrere a strumenti come la composizione negoziata per evitare guai peggiori. È importante sottolineare che tali segnalazioni non equivalgono all’apertura di una procedura concorsuale né ad una declaratoria di insolvenza; sono piuttosto “lettere di avviso” che mirano a proteggere il tessuto economico inducendo il debitore a una presa di coscienza. Il contenuto di queste comunicazioni è standardizzato (un Decreto Dirigenziale del Ministero ha fornito i modelli) e include, oltre all’invito alla composizione negoziata, l’indicazione sintetica degli importi scaduti e dei riferimenti normativi.
Parallelamente, l’art. 25-decies CCII impone anche alle banche e intermediari finanziari vigilati di adottare sistemi interni di rilevazione delle anomalie dei propri clienti imprese e di segnalare all’impresa stessa eventuali variazioni o revoche negli affidamenti che possano costituire un segnale di tensione finanziaria. In altre parole, se una banca decide di revocare improvvisamente un fido per ragioni attinenti allo stato di difficoltà dell’impresa, deve darne comunicazione formale sia all’imprenditore sia all’OCRI (o al nuovo organismo deputato). Questa previsione, introdotta dal D.L. 118/2021 e rivista dal D.Lgs. 83/2022, intende coinvolgere anche i privati nel sistema di allerta, riconoscendo che spesso le banche dispongono di informazioni tempestive sul deterioramento del merito creditizio di un’azienda. Tuttavia, va segnalato che il Correttivo 2024 (D.Lgs. 136/2024) ha eliminato alcuni obblighi a carico delle banche che erano stati inizialmente previsti ma di difficile attuazione: ad esempio, sembra sia stato chiarito che la banca non è tenuta a segnalare al di fuori dei propri rapporti l’intenzione di revocare affidamenti (per evitare conflitti con la disciplina di vigilanza prudenziale). In compenso, lo stesso correttivo ha vietato espressamente alle banche di revocare o ridurre le linee di credito già concesse durante il periodo in cui l’impresa è protetta da misure protettive nell’ambito di una composizione negoziata. Torneremo su questo aspetto nel capitolo dedicato alla composizione negoziata (vedi §4.4).
3.4 Dall’allerta all’azione: composizione negoziata come primo approdo. Le segnalazioni (interne ed esterne) di cui sopra non hanno, di per sé, contenuto sanzionatorio, ma sono pensate per innescare un percorso virtuoso. Ricevuta una segnalazione (sia essa dal sindaco, dall’Agenzia Entrate o dalla banca), l’imprenditore diligente è chiamato a valutarla attentamente e, se la situazione configge effettivamente con uno stato di crisi, a intraprendere iniziative. Il CCII, nella sua struttura, contempla come passo successivo naturale la Composizione Negoziata della Crisi (art. 17 CCII), procedura volontaria che vedremo in dettaglio nel prossimo capitolo. In pratica, il sistema è congegnato per creare un collegamento tra l’allerta e gli strumenti di soluzione: non a caso le lettere dei creditori pubblici contengono un esplicito invito a “presentare l’istanza di accesso alla composizione negoziata”. L’idea è che, attraverso la composizione negoziata, l’imprenditore possa affrontare in modo strutturato il dialogo coi creditori e cercare un accordo assistito da un esperto indipendente, beneficiando nel frattempo di alcune protezioni (stay). Ciò rappresenta una svolta rispetto al passato: prima della riforma, un imprenditore in difficoltà tendeva a subire passivamente le azioni esecutive sino al fallimento; oggi invece viene spinto ad attivarsi proattivamente e viene dotato di strumenti per negoziare una soluzione.
Va sottolineato che, sebbene il modello originario del CCII prevedesse un intervento attivo di un organismo (OCRI) che, ricevute le segnalazioni, potesse convocare l’imprenditore e gestire una procedura di “composizione assistita” semi-coattiva, tale meccanismo non è mai entrato in vigore. In sua vece, il D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) ha introdotto una soluzione più flessibile: la composizione negoziata su base volontaria. Ad oggi, dunque, non esiste un obbligo legale di attivare una procedura concorsuale a seguito di una segnalazione. La scelta resta in mano al debitore, il quale però è incentivato a utilizzarla per evitare peggioramenti (si pensi che ignorare una segnalazione di allerta e continuare a non pagare debiti potrebbe portare i creditori a presentare istanza di liquidazione giudiziale). Inoltre, lo stesso CCII ha previsto benefici premiali per chi ricorre tempestivamente agli strumenti di composizione: ad esempio, l’esonero da certe sanzioni per gli amministratori o la possibilità di ottenere trattamenti fiscali di favore sui debiti tributari (dilazioni particolari, riduzione di sanzioni e interessi). Nel Capitolo 4 vedremo più da vicino il funzionamento della Composizione Negoziata della Crisi, che rappresenta oggi la porta di ingresso raccomandata per le imprese in crisi prima di qualsiasi procedura concorsuale.
4. Composizione negoziata della crisi d’impresa (CNC)
La Composizione Negoziata della Crisi è un percorso volontario e stragiudiziale introdotto per offrire all’imprenditore in difficoltà un modo strutturato di negoziare con i creditori, con l’assistenza di un esperto indipendente e con alcune tutele legali, senza però gli effetti dirompenti di una procedura concorsuale tradizionale. Si tratta di uno strumento cardine della riforma, pensato per favorire l’emersione tempestiva delle difficoltà e “consentire soluzioni concordate capaci di preservare, per quanto possibile, la continuità aziendale e i livelli occupazionali”. A differenza delle procedure concorsuali giudiziali, la CNC si caratterizza per due tratti distintivi: la volontarietà (può attivarla solo l’imprenditore, mai i creditori) e la natura extragiudiziale e riservata (il tribunale interviene solo in punti circoscritti, come per confermare le misure protettive o autorizzare atti urgenti, mentre l’intera trattativa si svolge in via riservata).
4.1 Presupposti di accesso e natura della crisi richiesta. Possono accedere alla composizione negoziata tutti gli imprenditori commerciali e agricoli, a prescindere dalla dimensione e forma giuridica (ditta individuale, società di persone, società di capitali), quando si trovano in condizioni di squilibrio economico-finanziario che rendono probabile l’insolvenza, ma rispetto ai quali sussistono ancora concrete prospettive di risanamento. In altre parole, la CNC richiede uno stato di crisi o pre-crisi, non necessariamente di insolvenza attuale. Se la situazione fosse di assoluta stabilità finanziaria, la CNC non avrebbe ragion d’essere; se invece l’insolvenza fosse già irreversibile e conclamata, probabilmente la CNC risulterebbe inadeguata (in tali casi estermi, meglio valutare direttamente un concordato o liquidazione). L’imprenditore che richiede la CNC deve dichiarare di trovarsi in uno stato di difficoltà tale che, senza interventi, l’insolvenza è probabile in futuro. Questo criterio elastico consente l’accesso anche in situazioni pre-insolvenza, ossia quando i primi sintomi si profilano all’orizzonte (es. cash flow in tensione, patrimonio eroso, ritardi nei pagamenti strategici). Il Correttivo 2024 ha ribadito tali presupposti, chiarendo alcuni dubbi: ad esempio è stato eliminato l’inciso “esito non positivo” delle trattative come condizione per passare al concordato semplificato, precisando che è sufficiente che la composizione negoziata si sia conclusa (indipendentemente dal motivo). In pratica, per iniziare la CNC occorre trovarsi in crisi ma ancora con potenzialità di recupero.
4.2 Avvio della procedura: istanza e documentazione iniziale. L’avvio è molto semplice e totalmente telematico. L’imprenditore deve presentare un’istanza di nomina dell’esperto tramite la piattaforma informatica nazionale predisposta dalle Camere di Commercio (c.d. piattaforma CCI, all’indirizzo composizionecrisi.camcom.it). L’art. 17 CCII elenca il corredo documentale da allegare all’istanza, che il Correttivo-ter 2024 ha in parte semplificato. In particolare, occorre fornire:
- gli ultimi bilanci annuali depositati (o, se non ancora approvati, i progetti di bilancio, oppure – per l’imprenditore individuale – una situazione patrimoniale e contabile aggiornata);
- una situazione debitoria dettagliata con l’elenco dei creditori e l’indicazione dei relativi importi dovuti;
- un piano di risanamento o almeno uno schema di piano che illustri le possibili strategie di soluzione della crisi (ristrutturazione del debito, ricerca di finanza nuova, cessione di asset, ecc.);
- una relazione sulle cause della crisi e sulle iniziative già intraprese (se del caso) per fronteggiarla;
- le certificazioni dei debiti fiscali e contributivi, rilasciate rispettivamente dall’Agenzia Entrate e dall’INPS, per dare all’esperto un quadro chiaro dell’esposizione erariale (tali certificati attestano l’entità di debiti tributari, cartelle esattoriali, contributi previdenziali non versati).
La domanda, una volta caricata con tutti i documenti, viene esaminata dal Segretario Generale della Camera di Commercio competente, il quale può chiedere eventuali integrazioni. Una volta ritenuta completa, la pratica viene inoltrata ad una Commissione Regionale istituita ad hoc (presso ciascuna Camera di Commercio capoluogo di Regione), che ha il compito di designare l’Esperto indipendente entro 5 giorni. La nomina è effettuata tenendo conto delle specifiche competenze richieste dal caso concreto: il CCII richiede che l’esperto sia un professionista di adeguata esperienza in materia di ristrutturazione aziendale, iscritto in un apposito elenco. La riforma 2024 ha introdotto un criterio aggiuntivo: si terrà conto anche “dell’esito delle CNC precedentemente seguite” dal professionista candidato. In tal modo si valorizza la track-record: un esperto che in passato ha condotto con successo composizioni negoziate avrà più chance di essere nuovamente nominato.
4.3 Nomina e ruolo dell’esperto indipendente. L’Esperto designato, una volta accettato l’incarico dichiarando la propria indipendenza, diventa il perno della procedura. Il suo compito è di agevolare le trattative tra il debitore e i creditori, aiutando le parti a individuare soluzioni praticabili. Nei primi 20 giorni dall’accettazione, l’esperto incontra l’imprenditore e analizza la situazione aziendale, valutando se esistono concrete prospettive di risanamento. Se del caso, in contraddittorio con l’imprenditore, egli può consigliare aggiustamenti al piano o ulteriori analisi. Quindi l’esperto predispone un calendario degli incontri con i principali creditori. Il ruolo dell’esperto è definito dall’art. 17-bis CCII: non ha poteri sostitutivi, ma funge da facilitatore e mediatore. Può:
- convocare il debitore e i creditori a riunioni congiunte;
- richiedere alle parti coinvolte (compresi banche, fornitori, ecc.) informazioni utili e proporre soluzioni di accordo;
- invitare le parti a rivedere le condizioni contrattuali originarie, ad esempio rimodulando i contratti e le esposizioni in misura sostenibile per l’impresa, se l’equilibrio iniziale dei contratti risulta compromesso;
- avvalersi di coadiutori specialistici (ad esempio un esperto del settore industriale dell’impresa, o un consulente del lavoro per questioni di personale) per meglio comprendere le problematiche specifiche;
- dopo le modifiche del 2024, accedere direttamente ai database della Pubblica Amministrazione (Agenzia Entrate, INPS, INAIL, agente della riscossione, Centrale Rischi) per ottenere un quadro completo dell’esposizione debitoria dell’impresa. Questa interoperabilità introdotta nel 2024 velocizza i tempi: l’esperto non dipende più esclusivamente dai dati forniti dal debitore, ma può autonomamente verificare debiti fiscali, contributivi e bancari.
Durante le trattative, l’esperto deve mantenere un ruolo imparziale e riservato, e redigere con cadenza mensile una breve relazione sull’andamento delle trattative, da pubblicare sulla piattaforma per segnalare la persistenza delle prospettive di risanamento. Se in qualunque momento l’esperto valuta che non ci sono più possibilità di esito positivo, può decidere di far terminare la procedura (archiviazione).
4.4 Misure protettive e cautelari a favore del debitore. Uno dei vantaggi cruciali della composizione negoziata è la possibilità, per l’imprenditore, di ottenere dal tribunale misure di protezione del patrimonio contro le aggressioni dei creditori mentre le trattative sono in corso. Su richiesta del debitore, infatti, il tribunale può confermare l’applicazione di un automatismo protettivo: il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio dell’impresa (la c.d. “moratoria” o stay) per la durata delle trattative, inizialmente fino a 120 giorni, prorogabili. Tali misure protettive mirano a congelare la situazione e dare respiro all’impresa, evitando che il primo creditore aggressivo pignorando i beni comprometta le chance di risanamento per tutti. Con il Correttivo-ter 2024, la disciplina delle misure protettive nella CNC è stata ritoccata in particolare per quanto riguarda il ruolo delle banche. La novella ha esplicitato che i divieti imposti ai creditori dall’ordinanza del tribunale di conferma dello stay si applicano espressamente anche alle banche e intermediari finanziari. Ciò non era scontato nella formulazione previgente e risponde all’esigenza di impedire alle banche di adottare comportamenti che, di fatto, vanifichino la protezione (come revocare fidi). Anzi, il D.Lgs. 136/2024 ha aggiunto un comma all’art. 20 CCII stabilendo che, durante la vigenza delle misure protettive, le banche non possono revocare in tutto o in parte le linee di credito già concesse, salvo che tale revoca sia imposta dalle norme di vigilanza prudenziale. Resta salva la facoltà per la banca di sospendere o revocare affidamenti se ciò è dovuto a regole prudenziali (ad esempio perché la posizione è divenuta pericolosa ai fini dei parametri di rischio di bilancio), ma non potrà più revocare solo in ragione dell’ingresso dell’impresa nella composizione negoziata. Questa novità è rilevante: in passato molte aziende temevano che anche solo attivando l’esperto le banche reagissero tagliando i crediti; ora vige un espresso divieto di ritorsione finanziaria durante lo stay. Sempre in ambito bancario, il correttivo consente però alle banche di mantenere sospese le linee (o revocate) se dimostrano che ciò è dovuto a regole prudenziali – un bilanciamento per non costringerle a finanziare situazioni a rischio contro le norme di Banca d’Italia.
Le misure protettive possono includere anche la sospensione di obblighi contrattuali: il debitore, con l’ausilio dell’esperto, può chiedere al tribunale di autorizzarlo a sospendere temporaneamente taluni contratti in essere (max 90 giorni rinnovabili) qualora la prosecuzione esecuzione di quei contratti risulti d’ostacolo alle trattative o incida negativamente sulle prospettive di risanamento (si pensi a penali onerose, contratti di leasing divenuti insostenibili, ecc.). Il tribunale valuta caso per caso l’essenzialità o meno di quei contratti e può concedere la sospensione.
Un ulteriore strumento a disposizione è la possibilità di chiedere al tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili durante la negoziazione (art. 22 CCII). Se l’impresa ha bisogno di liquidità urgente per proseguire l’attività durante i colloqui (ad esempio per acquistare materie prime indispensabili), il tribunale – sentito l’esperto – può autorizzare nuovi finanziamenti, che in caso di successivo fallimento saranno rimborsati con priorità (prededuzione), incentivando così i finanziatori a concederli. Ciò consente di evitare che l’impresa si paralizzi per mancanza di credito fresco.
4.5 Svolgimento delle trattative e conclusione. Una volta avviata, la composizione negoziata si sviluppa tipicamente nell’arco di pochi mesi (durata standard: 6 mesi, prorogabile fino a 12 su richiesta motivata). L’esperto convoca i creditori (generalmente prima quelli strategici – banche, fornitori principali, Fisco – poi eventualmente una platea più ampia) e cerca di far emergere una soluzione condivisa. Le possibili soluzioni all’esito della CNC sono diverse (art. 23 CCII):
- Raggiungimento di un accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori. Ad esempio, l’impresa può sottoscrivere con le banche una moratoria dei debiti e con i fornitori un accordo di dilazione, e procurarsi nuova finanza da soci o terzi: tali atti privati, se sostenibili, possono costituire un “piano di risanamento” di fatto, che l’esperto valuterà nella sua relazione finale.
- Conseguimento di uno degli strumenti concorsuali minori previsti: può darsi che grazie alle trattative l’imprenditore convinca i creditori su un certo Accordo di ristrutturazione dei debiti (ad es., avendo il sì di creditori rappresentanti il 60% dei crediti, potrà presentare domanda di omologa di un accordo ex art. 57 CCII) oppure elabori un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione da sottoporre al voto, o ancora metta a punto una proposta di concordato preventivo da presentare in tribunale. In pratica, la CNC può fungere da “incubatore” di una successiva soluzione concorsuale: l’esperto aiuta a sondare la disponibilità dei creditori e a predisporre il piano, dopodiché l’imprenditore potrà formalizzare quell’intesa in sede giudiziale.
- Mancato accordo. Se le trattative non portano ad alcuna intesa né formalizzabile (c.d. esito negativo), la procedura viene dichiarata conclusa. L’esperto redige una relazione finale nella quale dà conto delle proposte esaminate, del comportamento tenuto dalle parti (se il debitore ha agito con correttezza e buona fede, se qualche creditore ha ostacolato irragionevolmente, ecc.) e dell’eventuale impraticabilità di soluzioni di composizione. Questa relazione finale viene comunicata all’imprenditore e depositata presso il registro delle imprese. Da quel momento decorrono 60 giorni durante i quali l’imprenditore può – ove ne abbia i requisiti – presentare domanda di concordato preventivo “semplificato” per la sola liquidazione del patrimonio (si veda §8). In difetto, trascorsi i 60 giorni senza che sia stata avviata alcuna procedura, la protezione eventualmente concessa decade definitivamente e i creditori riacquistano piena libertà di azione (potendo anche presentare istanza di liquidazione giudiziale se sussiste insolvenza).
4.6 Rapporti tra composizione negoziata e altre procedure. La CNC si caratterizza per la sua flessibilità e non esclusività: il debitore mantiene sempre la facoltà di accedere, nel corso o all’esito della CNC, ad altre procedure concorsuali (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, ecc.). La legge però detta alcune regole di coordinamento:
- Durante la pendenza della composizione negoziata, il debitore non può essere dichiarato in liquidazione giudiziale d’ufficio. Infatti l’art. 40 CCII stabilisce una sorta di moratoria anche sul fallimento su istanza di terzi: se un creditore chiede il fallimento mentre è in corso la CNC con misure protettive, la sua istanza resta sospesa fino alla conclusione delle trattative. Questo per evitare “sorprese” che compromettano le negoziazioni in atto.
- Il debitore però può decidere, se la situazione lo richiede, di passare dalla CNC a un concordato preventivo ordinario o a un accordo, anche prima della fine dei 6 mesi, modificando la procedura. Ad esempio, se durante le trattative l’imprenditore capisce di avere l’appoggio necessario per un concordato con continuità, può presentare al tribunale domanda di concordato (magari con riserva ex art. 44 CCII) e proseguire con quella strada. In questo caso la CNC si chiude anticipatamente.
- Viceversa, se durante la CNC emergono elementi tali per cui il debitore stesso riconosce che non c’è possibilità di risanamento e preferisce optare per una liquidazione concorsuale, egli può rinunciare alla CNC e chiedere l’apertura immediata della liquidazione giudiziale (fallimento). Questo scenario però è raro dal punto di vista del debitore, se non altro perché difficilmente un imprenditore attiva la CNC per poi concludere subito che preferisce fallire.
Il punto fondamentale è che la composizione negoziata è un percorso guidato ma volontario, che non conduce automaticamente ad esiti prestabiliti. Essa offre un tavolo di trattativa protetto, dove debitore e creditori possono, con l’aiuto di un esperto, esplorare tutte le opzioni: dalla ristrutturazione “in bonis” (ad esempio tramite un nuovo piano industriale con finanza esterna, magari formalizzato in un piano attestato di risanamento) fino a soluzioni più strutturate come accordi o concordati. Il tutto in un quadro di riservatezza (l’apertura della CNC non viene pubblicata sul registro imprese, a meno che non siano state richieste misure protettive – in tal caso una menzione è pubblicata ex art. 20, ma con l’ovvia conoscenza dei soli creditori interessati). Questa confidenzialità riduce il rischio di stigmatizzazione dell’azienda sul mercato durante i negoziati.
4.7 Vantaggi e limiti per il debitore. Dal punto di vista del debitore, la composizione negoziata presenta numerosi vantaggi:
- Consente di mantenere la gestione dell’impresa durante le trattative (non c’è spossessamento né nomina di organi che si sostituiscono all’imprenditore, come invece avviene nel fallimento; l’esperto non ha poteri gestori).
- Evita il clamore e la pubblicità negativa di un fallimento o di un concordato: la procedura è riservata, così da tutelare la reputazione e non allarmare indebitamente dipendenti, clienti e fornitori.
- Mette a disposizione competenze qualificate (l’esperto e i suoi coadiutori) che possono aiutare a individuare soluzioni magari non considerate dall’imprenditore.
- Fornisce un’ombrello legale temporaneo (lo stay) che congela le azioni esecutive e consente all’impresa di respirare e lavorare al piano.
- Prevede incentivi fiscali e penali: ad esempio, durante la CNC, gli interessi sui debiti fiscali possono essere ridotti e, se il piano concordato viene effettivamente omologato (in qualunque forma), l’imprenditore può beneficiare di cause di non punibilità per alcuni reati fallimentari (come l’attenuante di aver esperito un tentativo di composizione).
Di converso, i limiti o svantaggi:
- Non è uno strumento impositivo: i creditori non sono obbligati a concedere sconti o dilazioni. Se un creditore adotta una linea dura, l’esperto non può che prenderne atto; non c’è voto a maggioranza che possa vincolarlo (a differenza del concordato o degli accordi ad efficacia estesa).
- Ha costi contenuti ma non nulli: l’esperto ha diritto a un compenso, in parte fisso e in parte variabile, a carico del debitore (anche se generalmente più basso rispetto ai costi di una procedura concorsuale vera e propria). Inoltre, l’assistenza di consulenti legali e finanziari rimane opportuna per il debitore, con relativi costi.
- La riuscita dipende molto dalla collaborazione e buona fede di tutti. Il legislatore ha sottolineato che le parti devono comportarsi secondo correttezza e buona fede nelle trattative; condotte opportunistiche possono portare l’esperto a interrompere la procedura. Ad esempio, se il debitore durante la CNC compie atti distrattivi o nasconde informazioni, l’esperto potrà dichiarare fallito il tentativo. Allo stesso modo, se una banca rifiuta pregiudizialmente ogni dialogo senza motivo, questo emergerà nella relazione finale (e potrebbe influenzare poi il giudizio del tribunale in eventuali successive fasi).
- Non tutte le imprese in crisi riescono a concludere un accordo in CNC: i dati del primo anno di applicazione mostrano che circa la metà delle procedure di composizione negoziata si conclude senza un accordo, sfociando spesso in concordati o liquidazioni semplificate. Tuttavia, il ricorso alla CNC è in crescita: nel 2024 le richieste di nomina dell’esperto sono quasi raddoppiate rispetto all’anno precedente, segno che lo strumento sta prendendo piede tra gli imprenditori.
In definitiva, la composizione negoziata rappresenta una opportunità preziosa per il debitore, che dovrebbe essere valutata come prima opzione appena si manifestano segnali di crisi. Nel Capitolo 13.2 proporremo un caso pratico di un imprenditore (PMI) che utilizza con successo la CNC per evitare il dissesto e ristrutturare i debiti con i suoi fornitori e banche.
5. Accordi di ristrutturazione dei debiti
Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti sono uno strumento introdotto nell’ordinamento fallimentare dal 2005 e oggi disciplinato dal CCII agli artt. 57-64. Rappresentano una forma di composizione concordata e contrattuale della crisi: in sostanza, il debitore elabora un accordo con una parte dei suoi creditori (generalmente quelli principali) per la ristrutturazione dei debiti e il riequilibrio della situazione finanziaria, e tale accordo – se approvato da una certa maggioranza di crediti – viene sottoposto all’omologazione del tribunale, acquisendo efficacia vincolante. Gli accordi di ristrutturazione si pongono a metà strada tra la negoziazione puramente privata (come il piano attestato di risanamento) e le procedure concorsuali pubbliche (come il concordato): sono negozi giuridici privati, ma ottengono effetti protettivi e di esecutorietà erga omnes grazie all’intervento dell’autorità giudiziaria.
5.1 Tipologie di accordi nel CCII. Il Codice della Crisi ha ampliato e diversificato le tipologie di accordi rispetto alla vecchia legge. Oggi distinguiamo principalmente:
- Accordo di ristrutturazione ordinario (art. 57 CCII): è la forma base, corrispondente al vecchio art. 182-bis L.F. Richiede l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti. Può coinvolgere uno o più creditori (non necessariamente tutti) a patto che quelli estranei vengano comunque pagati integralmente alle scadenze originarie (o che, se non vengono soddisfatti, aderiscano anch’essi all’accordo successivamente). Il tribunale, verificati i presupposti (raggiungimento del 60%, idoneità dell’accordo a risanare l’esposizione, attestazione di veridicità e fattibilità), omologa l’accordo rendendolo efficace tra le parti aderenti. I creditori estranei restano fuori dall’accordo (possono agire per conto proprio), ma nei fatti, di solito, l’impresa li tiene indenni per evitare azioni pregiudizievoli.
- Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII): è una variante introdotta per incentivare l’utilizzo dell’istituto. Consente un quorum ridotto al 30% dei crediti, a condizione che: (a) il debitore non richieda misure protettive (cioè rinunci alla moratoria delle azioni esecutive durante le trattative) e (b) i creditori non aderenti vengano integralmente soddisfatti nei 120 giorni dall’omologazione (o dalle rispettive scadenze se successive). In altre parole, l’accordo agevolato è riservato a situazioni in cui il debitore è in grado di pagare per intero i creditori dissenzienti (entro tempi brevi), e quindi può permettersi di chiedere l’omologa anche se solo il 30% del ceto creditorio è d’accordo. Il “premio” per il debitore è la soglia ridotta; la contropartita è che non può avvalersi del blocco delle azioni esecutive (deve confidare nella tenuta volontaria dei creditori estranei per il breve periodo in cui li pagherà).
- Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): questa è una novità di grande rilievo, che estende a categorie omogenee di creditori la possibilità di cram-down. In pratica, se l’accordo è stato sottoscritto da almeno il 75% dei crediti di una certa categoria omogenea (ad es. una categoria di banche, o una categoria di fornitori finanziari) il debitore può chiedere al tribunale di estenderne gli effetti anche ai creditori appartenenti a quella categoria che non hanno aderito. Questo meccanismo deriva dall’esperienza introdotta nel 2015 (art. 182-septies L.F. limitato alle banche), e dal 2022 il CCII lo ha generalizzato a qualunque categoria di creditori omogenea. Significa, ad esempio, che se un’azienda ha debiti con 10 banche e 8 di esse (coprendo il 80% dell’esposizione bancaria) sottoscrivono l’accordo, può chiedere che l’accordo venga reso vincolante anche per le 2 banche dissenzienti rimaste, purché siano state informate delle trattative e messe in condizione di parteciparvi. L’idea di fondo è superare il potere di veto dei piccoli creditori opportunisti (holdouts) che potrebbero, non aderendo, sperare di essere comunque pagati per intero se gli altri fanno sacrifici. L’accordo ad efficacia estesa richiede condizioni di omogeneità della categoria (creditori con posizione giuridica ed economica similare) e un vaglio rigoroso del tribunale che deve assicurarsi che i dissenzienti siano stati trattati equamente e non subiscano un sacrificio maggiore di quello che avrebbero subito se avessero aderito essi stessi all’accordo.
- Accordo di moratoria (art. 62 CCII): introdotto sulla scia dell’art. 182-septies L.F., è un accordo temporaneo con i creditori finanziari per sospendere o posticipare le scadenze dei debiti durante lo svolgimento delle trattative di ristrutturazione (il cosiddetto standstill). Se sottoscritto dalla maggioranza (75%) degli istituti finanziari, può essere esteso dal tribunale ai dissenzienti della stessa categoria, analogamente a quanto visto sopra. Serve come misura transitoria per congelare le azioni di recupero dei finanziatori e guadagnare tempo per definire un accordo definitivo di ristrutturazione o un altro piano.
Il CCII, in pratica, offre una cassetta degli attrezzi modulabile: dal normale accordo (60%) con misure protettive e senza obbligo di piena soddisfazione degli estranei, all’accordo agevolato (30% senza stay ma pagando tutti i dissenzienti integralmente), all’accordo ad efficacia estesa (coinvolgimento coattivo di minoranze qualificate in categorie). È persino contemplata la possibilità di ottenere un cram-down fiscale: l’art. 63 CCII consente, se l’Erario non aderisce all’accordo ma la proposta di soddisfacimento dei tributi è almeno pari a quella ricavabile in liquidazione, di ottenere comunque l’omologazione con efficacia nei confronti del Fisco (salvo ricorso di quest’ultimo al tribunale superiore). Si prevede cioè un meccanismo di reclamo in appello se l’Agenzia delle Entrate nega l’adesione ingiustificatamente e il tribunale intende omologare forzosamente. Questa norma è di estrema importanza pratica: supera finalmente la vecchia problematica per cui un singolo grande creditore pubblico (ad es. il Fisco) poteva bloccare tutto rifiutando qualunque decurtazione, anche minima. Ora il giudice può imporgliela se è equa (purché l’Erario abbia comunque la possibilità di contestare in sede di omologa).
5.2 Procedimento di omologazione e effetti degli accordi. Il debitore, dopo aver raggiunto le adesioni necessarie, deve presentare al tribunale una domanda di omologazione dell’accordo, allegando tutta la documentazione (testo dell’accordo, elenco di chi ha aderito, relazione di un esperto indipendente attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità dell’accordo, e l’eventuale attestazione di convenienza per i creditori estranei). Il procedimento è semplificato rispetto a un concordato: non c’è voto dei creditori (già espresso contrattualmente nelle adesioni), ma i creditori estranei e dissentienti hanno comunque diritto a proporre opposizione dinanzi al tribunale. In particolare, un creditore estraneo potrebbe opporsi lamentando che l’accordo pregiudica indebitamente i suoi diritti. Ad esempio, se l’accordo prevede pagamenti dilazionati verso tutti, un estraneo potrebbe temere di essere penalizzato (anche se, ricordiamo, per l’accordo ordinario di regola gli estranei vanno pagati regolarmente; ma si pensi al caso in cui l’azienda, pur pagandolo a scadenza, peggiora il proprio merito creditizio a causa dell’accordo e quell’estraneo si considera danneggiato: situazioni borderline che il tribunale valuterà). In sede di omologa, dunque, il giudice verifica: (a) il quorum di legge (30%, 60% o 75% a seconda del tipo); (b) la regolarità formale (correttezza della procedura di adesione, informazione completa ai creditori coinvolti); (c) la fattibilità e idoneità dell’accordo a garantire l’equilibrio finanziario dell’impresa e il pagamento dei creditori estranei nei termini di legge; (d), se vi sono opposizioni, la non pregiudizievolezza dell’accordo per i creditori non aderenti (devono ricevere almeno quanto avrebbero ricevuto in una liquidazione giudiziale). Se tutto è in ordine, il tribunale omologa l’accordo con decreto motivato.
L’accordo omologato produce effetti vincolanti tra il debitore e tutti i creditori aderenti. Inoltre, se è stato concesso l’effetto “esteso”, vincola anche i non aderenti facenti parte delle categorie oggetto di estensione (ad esempio, come nell’esempio sopra, le banche dissenzienti saranno obbligate a rispettare la moratoria o la falcidia concordata dalla maggioranza delle banche). Importante: i creditori estranei (non aderenti e non estesi) rimangono liberi di agire, ma l’azienda in genere li ha già soddisfatti o li soddisfa tempestivamente per evitare aggressioni. Spesso, infatti, il debitore usa parte della nuova finanza eventualmente ottenuta per pagare questi outsider subito dopo l’omologa, così da “pulire” la sua posizione verso di loro.
Uno degli effetti fondamentali dell’omologa è che i pagamenti e gli atti dispositivi compiuti in esecuzione dell’accordo non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare (art. 67, co.3, lett. e) L.F. corrispondente). Inoltre, i creditori che hanno aderito (o a cui è stato esteso l’accordo) non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali: restano vincolati ai termini pattuiti. Per rafforzare ciò, il debitore che deposita l’accordo può chiedere in via immediata al tribunale di essere autorizzato a pubblicare l’accordo nel registro delle imprese (con riserva di omologa), ottenendo così fin da subito una protezione dalle azioni individuali per 60 giorni (misura analoga a quella del concordato con riserva). Questa pubblicazione prioritaria serve a prevenire corse dei creditori nelle more.
Dal punto di vista temporale, l’accordo di ristrutturazione è di solito più rapido di un concordato: i termini di legge prevedono un iter concentrato. Il CCII fissa in 4 mesi dalla pubblicazione nel registro il termine per l’omologa (eventualmente prorogabile di altri 2 mesi), proprio per dare certezza. Molto dipende però da eventuali opposizioni: se ci sono cause di opposizione, il decreto di omologa può essere appellato e arrivare fino in Corte di Appello e Cassazione (ma in tempi di solito contenuti trattandosi di volontaria giurisdizione).
5.3 Vantaggi e rischi dal lato del debitore. I motivi per cui un debitore può preferire un accordo di ristrutturazione rispetto ad un concordato preventivo sono molteplici:
- Maggiore riservatezza e controllo: l’accordo coinvolge solo i creditori che il debitore sceglie di coinvolgere. Non c’è la totale pubblicità né l’ingresso di un commissario che gestisca l’azienda. L’impresa rimane in mano all’imprenditore e tutto avviene con un normale contratto (anche se poi omologato).
- Flessibilità di contenuto: l’accordo è un contratto, quindi può contenere clausole molto adattate al caso concreto, senza dover rispettare tutte le rigidità di un piano concordatario. Ad esempio, si potrebbe convenire che un certo immobile venga dato in pagamento a un creditore ipotecario mentre altri vengano soddisfatti in contanti: questa modulazione è liberamente negoziabile.
- Coinvolgimento selettivo: se il problema riguarda principalmente le banche, il debitore può concentrare il deal con le banche, senza dover necessariamente includere ogni singolo creditore chirografario (a differenza di un concordato dove tutti i creditori sono dentro per definizione). Questo limita i soggetti al tavolo negoziale, il che a volte facilita l’accordo.
- Tempi più rapidi: come accennato, un accordo può essere chiuso e omologato in pochi mesi, mentre un concordato di solito richiede la fase di ammissione, il voto, ecc., con tempistiche spesso superiori all’anno.
- Minori costi procedurali: non essendovi commissari, né adunanze di creditori da organizzare, i costi professionali e amministrativi sono inferiori. Ovviamente serve comunque l’attestazione di un esperto indipendente, ma ciò è un costo una tantum.
Di contro, alcuni limiti:
- Soglia di consenso: il 60% (o 30% agevolato) dei crediti non è sempre facile da raggiungere, specie se il debito è polverizzato tra molti creditori. Per un’impresa con pochi grandi creditori è fattibile; ma se ci sono centinaia di creditori piccoli, il concordato (che richiede la maggioranza dei voti espressi, non di tutti i crediti) può risultare più conveniente dal punto di vista del quorum.
- Nessun effetto sui dissenzienti estranei (salvo il caso di efficacia estesa limitata alle categorie omogenee): ciò significa che se un creditore importante rifiuta l’accordo e rimane estraneo, il debitore deve comunque fronteggiarlo separatamente (pagarlo per intero o rischiarne le azioni legali). Nel concordato invece il dissenziente sarebbe obbligato dalla delibera a maggioranza. Questo è un punto critico: di solito, se un creditore rilevante (es. Agenzia Entrate per i tributi, o una banca con ipoteca di grado elevato) non intende aderire, l’accordo perde di utilità e si preferisce il concordato.
- Risoluzione e effetti in caso di inadempimento: se dopo l’omologa l’impresa non rispetta l’accordo (ad es. non paga le rate concordate), i creditori possono chiedere la risoluzione dell’accordo e il tribunale – verificato l’inadempimento – ne dichiara la risoluzione aprendo contestualmente la liquidazione giudiziale (non occorre più, come nel concordato, passare da una formale risoluzione prima di chiedere il fallimento). Anzi, la Cassazione ha chiarito che i creditori non devono nemmeno attendere la dichiarazione di risoluzione se l’inadempimento è palese: possono depositare subito istanza di fallimento, perché l’accordo omologato se inadempiuto non ha bisogno di un provvedimento giudiziale di risoluzione per considerarsi fallito. Questo rende l’accordo uno strumento delicato: pochi margini di tolleranza se poi le cose vanno storte. Tuttavia, è possibile inserire clausole di risoluzione extragiudiziale (ipso iure) nel contratto per avere certezza su quando l’accordo si scioglie, in modo da non attendere pronunce giudiziali in caso di default.
- Conservazione delle cause di prelazione per i non aderenti: se un accordo estende a un creditore (ad es. banca dissenziente) un effetto, quel creditore – se poi c’è fallimento – conserva le sue garanzie come se l’accordo non ci fosse mai stato. In pratica, se l’accordo fallisce e l’impresa finisce in liquidazione giudiziale, il creditore che era stato “forzosamente incluso” ritorna ad avere i suoi diritti originari (ipoteca, privilegio) sul patrimonio residuo, e i pagamenti eventualmente ricevuti in attuazione dell’accordo vengono considerati acconti. Questo potrebbe in teoria scoraggiare il debitore dal coinvolgere coattivamente un garantito, perché tanto se le cose vanno male quel creditore sarà comunque soddisfatto in prededuzione (anzi, i pagamenti fatti in esecuzione dell’accordo diventano debiti prededucibili nel fallimento successivo). Ciò evidenzia un piccolo squilibrio: un creditore che ha aderito volontariamente, se poi si fallisce, viene degradato a chirografo per la parte decurtata; uno che è stato “forzato” rimane con la sua garanzia intatta. Di conseguenza, l’accordo ad efficacia estesa, pur utile, deve essere maneggiato con cura per evitare ingiustificate sperequazioni.
In conclusione, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento potente per debitori con pochi creditori principali (specialmente le imprese medie/grandi con pool di banche e obbligazionisti). Permette di evitare la complessità del concordato, mantenendo alta la confidenzialità e la flessibilità. Nel Capitolo 13.3 sarà presentato un caso pratico di azienda che, grazie alla composizione negoziata, è riuscita a negoziare un accordo di ristrutturazione con le proprie banche, estendendolo poi ai pochi istituti dissenzienti, e così superare la crisi senza ricorrere al tribunale se non per l’omologa formale.
6. Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)
Il Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione, comunemente abbreviato in PRO, è uno strumento di regolazione della crisi introdotto ex novo dal Codice della Crisi (introdotto dal D.Lgs. 14/2019 ma diventato operativo dal 2022 con l’entrata in vigore del Codice). Esso è disciplinato nel Capo I-bis del Titolo IV CCII (artt. 64-bis, 64-ter, 64-quater). Il PRO può essere descritto come una sorta di “concordato preventivo semplificato” focalizzato esclusivamente sull’accordo con i creditori, presentando allo stesso tempo analogie con gli accordi di ristrutturazione e con i concordati:
- Dal concordato preventivo, il PRO mutua la logica della suddivisione dei creditori in classi e della votazione a maggioranza per classi. Tuttavia, a differenza del concordato, il PRO deroga esplicitamente ai princìpi di parità di trattamento e priorità assoluta fra creditori: esso consente, se approvato dalle classi, di distribuire i pagamenti in deroga agli artt. 2740-2741 c.c., ossia senza dover soddisfare integralmente i creditori privilegiati prima di dare qualcosa ai chirografari, e in generale senza dover rispettare rigidamente le cause legittime di prelazione. In pratica, i creditori possono concordare di alterare l’ordine delle prelazioni e di accettare pagamenti anche parziali.
- Dagli accordi di ristrutturazione, il PRO riprende l’idea della approvazione integrale: è richiesto che tutte le classi esprimano voto favorevole a maggioranza (maggioranza determinata secondo le regole analoghe a quelle del concordato, ma applicate classe per classe). Se anche una sola classe non approva, il piano non può essere omologato (salvo eventuale applicazione di meccanismi di cram-down interclassi se previsti, ma il CCII sul PRO non sembra contemplare l’omologazione contro il voto contrario di un’intera classe: diversamente dal concordato in continuità, il PRO appare più rigido su questo punto).
- A differenza sia del concordato sia degli accordi, il PRO non prevede un voto individuale dei singoli creditori: si vota per classi, e la condizione è che ciascuna classe approvi a maggioranza (maggioranza che il CCII definisce come almeno il 51% dei crediti ammessi al voto in quella classe, con possibili meccanismi aggiuntivi se un creditore ha oltre il 50% in classe). È dunque un meccanismo all-or-nothing per classi.
6.1 Finalità e campo di applicazione. Il PRO è concepito come uno strumento di ristrutturazione su base concordata quando si vuole introdurre una deroga alle regole di distribuzione dell’attivo. Può essere particolarmente utile in situazioni in cui, ad esempio, si vuole salvare l’impresa trasferendola a nuovi investitori nonostante alcuni creditori abbiano garanzie su determinati beni: nel concordato tradizionale questi creditori andrebbero soddisfatti fino a capienza, mentre nel PRO, con il loro consenso, si può prevedere di corrispondere loro meno del 100% del garantito, magari offrendo strumenti compensativi (come partecipazioni nella nuova società risanata). Tutti i debitori soggetti a concordato preventivo possono teoricamente proporre un PRO. Il confine tra scegliere PRO o concordato dipende dalla strategia: se si prevede di ottenere l’assenso di tutte le classi e si vuole massima flessibilità, il PRO è indicato; se invece c’è rischio di opposizione di alcune classi ma si vuole poter comunque ottenere l’omologazione forzata, allora è preferibile un concordato (che consente il cram-down interclassi nel caso del concordato in continuità). Va segnalato che l’introduzione del PRO deriva anche dall’attuazione della Direttiva UE 2019/1023 che incoraggiava gli Stati a dotarsi di strumenti di “ristrutturazione preventiva” molto flessibili, capaci di evitare l’insolvenza con accordi innovativi. L’Italia, con il PRO, ha inteso fornire uno strumento vicino ai “schemi di ristrutturazione” di stampo anglosassone.
6.2 Caratteristiche principali e differenze rispetto al concordato. Ecco alcune particolarità del PRO:
- Nessun quorum di attivo minimo: nel concordato preventivo liquidatorio ordinario, la legge richiede che ai creditori chirografari sia assicurato un pagamento minimo del 20% (salvo casi di concordato minore); nel PRO, invece, se il piano è di natura liquidatoria (cioè prevede la vendita dei beni senza prosecuzione aziendale) non vige alcun obbligo di soddisfare un dividendo minimo ai chirografari. Ciò significa che, potenzialmente, i chirografari potrebbero anche non ricevere nulla se così approvano nelle rispettive classi. Naturalmente questo scenario estremo sarebbe possibile solo se tali creditori confidano in vantaggi indiretti (es. continuità di rapporti commerciali) o in assenza di alternative (meglio nulla con PRO che ancora meno in fallimento). In ogni caso, questa assenza di soglia minima rende il PRO particolarmente flessibile per piani liquidatori dove il valore di realizzo è basso e non consentirebbe il 20% ai chirografari – situazione in cui un concordato preventivo ordinario non sarebbe ammissibile.
- Possibilità di trattamento differenziato dei creditori anche in violazione dell’ordine dei privilegi: ad esempio, si può proporre che un chirografario A riceva il 50% e un altro chirografario B riceva il 5%, se sono in classi diverse e ciascuna classe approva la propria condizione. Oppure, ipotesi più tipica, che i soci mantengano una quota della società pur non pagando integralmente i creditori (cosa vietata in un concordato ordinario salvo soddisfo integrale dei creditori o apporti compensativi). Nel PRO tutto è questione di accordo di classe, non di regole assolute.
- Ruolo del tribunale più leggero in fase di apertura: mentre il concordato richiede una fase di ammissione (con un commissario nominato) e poi una votazione, nel PRO l’intervento giudiziale è concentrato quasi esclusivamente nella fase finale di omologazione, analogamente a un accordo di ristrutturazione. Ciò comporta che durante la trattativa e la raccolta del consenso per classi, il debitore rimane sostanzialmente libero (può chiedere misure protettive e un commissario giudiziale può anche non essere nominato, anche se il tribunale può nominare un ausiliario per vigilare). Il CCII prevede la possibilità di depositare una domanda di PRO anche in forma prenotativa (con riserva di presentare poi piano e proposta) per beneficiare subito dello stay, simile alla domanda di concordato con riserva. Ad esempio, il Tribunale di Udine ha ammesso un PRO dopo una fase prenotativa breve, giusto per bloccare due istanze di fallimento pendenti (di cui una dall’Agenzia Entrate), consentendo al debitore di poi sottoporre il piano ai creditori. Questa agilità procedurale è un punto di forza del PRO.
- Approvazione per classi: come anticipato, occorre la maggioranza in ogni classe. Il CCII definisce la maggioranza in modo simile al concordato: una classe approva se ottiene il voto favorevole di più della metà dei crediti aventi diritto al voto in quella classe. Nel PRO è tassativo che tutte le classi abbiano approvato (a differenza del concordato in continuità dove il tribunale può forzare l’omologa con classi dissenzienti se condizioni del cram-down soddisfatte). Nel 2023 sono già emerse pronunce giurisprudenziali sul punto: ad esempio, il Tribunale di Vicenza (25 febbraio 2023) ha omologato uno dei primi PRO proposti, notando che la composizione dei creditori era semplice (solo banche ipotecarie e chirografarie) e che il piano era sostenuto da un’offerta irrevocabile d’acquisto di un immobile. In quel caso, una banca ipotecaria di primo grado era contraria e aveva chiesto il fallimento, ma il debitore ha usato il PRO per superarne il dissenso: infatti l’ha classificata separatamente e le ha offerto pagamento integrale (così quella classe non ha avuto diritto di voto, essendo integralmente soddisfatta, e il problema è stato aggirato). Questa strategia evidenzia un aspetto pratico: nel PRO il debitore ha ampio potere di classificazione dei creditori e può creare le classi in modo da facilitare la maggioranza, ad esempio isolando un creditore scomodo in una classe cui riservare trattamento integrale (per togliergli il voto). Il tribunale ha il compito di verificare che la formazione delle classi sia omogenea e non arbitraria; nel caso di Vicenza ciò è stato ritenuto legittimo perché si trattava dell’unico creditore ipotecario di primo grado.
- Controllo di merito limitato: il tribunale, in sede di omologa del PRO, esercita un controllo di legittimità e di merito attenuato. Dato che i creditori hanno approvato, il giudice normalmente non entra nel merito della convenienza, se non per verificare che il piano rispetti il principio di best interest of creditors (ogni classe deve ricevere non meno di quanto otterrebbe in una liquidazione giudiziale). Ad esempio, se un creditore dissenziente esiste (magari un singolo in una classe comunque approvata a maggioranza), costui può opporsi lamentando di ricevere meno del valore di liquidazione: il giudice in tal caso deve verificare e può rigettare l’omologa se effettivamente il piano è peggiorativo per lui. Ma se tutte le classi hanno approvato all’unanimità (o con la maggioranza qualificata interna), di norma non vi saranno opposizioni e l’omologa sarà piuttosto una presa d’atto. Ciò differenzia il PRO dal concordato, dove anche in caso di voto favorevole il tribunale deve valutare la fattibilità in modo più penetrante.
6.3 Utilizzo pratico del PRO e giurisprudenza iniziale. Come detto, il 2023 ha visto i primi casi. Oltre al caso Vicenza (PRO liquidatorio con vendita di immobile e pagamento integrale della banca ostile), è rilevante il caso del Tribunale di Udine (9 marzo 2023): qui l’imprenditore era sotto pressione per due istanze di liquidazione giudiziale (una dall’Erario) e non riusciva a concludere per tempo un accordo ex art. 57. Ha allora fatto ricorso al PRO, depositando una domanda con riserva per bloccare i fallimenti e poi presentando il piano. Il Tribunale di Udine, ammettendolo, ha sottolineato che il PRO può essere utilizzato anche in extremis per evitare un fallimento richiesto dai creditori, a patto che il piano appaia serio. In quella vicenda, l’Erario aveva un ruolo critico: non essendo possibile raggiungere un accordo tributario in tempi rapidi, il PRO ha offerto un pagamento parziale delle ingenti pretese fiscali ma in misura comunque superiore a quanto il Fisco avrebbe preso da un fallimento, convincendo così la classe dei chirografari (di cui il Fisco faceva parte) ad approvare. Questo evidenzia che il PRO può servire anche per bypassare il consenso formale del Fisco, grazie all’intervento del giudice in omologa (qui però il Fisco votò a favore in classe perché appunto convinto dalla convenienza, quindi non fu necessario forzare nulla).
Va detto che inizialmente alcuni si chiedevano se il PRO fosse veramente necessario come procedura autonoma o se fosse ridondante rispetto al concordato. Critiche mosse: “Non serviva davvero un nuovo strumento?”. Alla luce dei primi casi, sembra emergere che il PRO ha una nicchia specifica: è ideale quando il debitore cerca un risanamento concordato ma con regole flessibili sui privilegi e quando è in grado di portare tutte le classi dalla sua parte (o neutralizzare le dissenzienti con stratagemmi di classi). Se invece il dissenso di alcuni gruppi è inevitabile e potenzialmente insormontabile, allora si preferisce il concordato che consente l’omologa anche con classi dissenzienti (nel concordato in continuità, come visto, è possibile se almeno un’altra classe approva e i dissenzienti sono trattati equamente). Ad esempio, per fare un cram-down su una banca ipotecaria nel PRO occorre convincerla o renderla silente; nel concordato sarebbe possibile convincere i chirografari e, se la banca riceve il valore di liquidazione, imporle comunque la soluzione.
6.4 Diritti e obblighi del debitore nel PRO. Il debitore che propone un PRO conserva normalmente l’amministrazione dei beni durante la procedura. Può essere affiancato da un commissario giudiziale solo se richiesto dal tribunale per complessità o per vigilare su atti straordinari. L’imprenditore ha l’obbligo di condurre le trattative con le classi in buona fede e fornire informazioni corrette (vi è sempre un attestatore chiamato a validare il piano). Può chiedere le misure protettive ex art. 54, come nel concordato, per evitare pignoramenti nel frattempo. Dopo l’omologa, il debitore è vincolato ad eseguire puntualmente il piano; in caso di inadempimento, come per il concordato, i creditori possono chiederne la risoluzione e l’apertura della liquidazione giudiziale.
In termini di benefici, un PRO omologato consente al debitore di continuare l’attività (se in continuità) liberandosi di parte dei debiti secondo l’accordo raggiunto, oppure di liquidare l’azienda in modo ordinato (se liquidatorio) evitando la dichiarazione di fallimento e ottenendo ugualmente la chiusura dei debiti a saldo e stralcio.
In definitiva, il PRO costituisce un’opportunità in più per il debitore per “cucire su misura” una soluzione concordata con i creditori, in situazioni dove il concordato sarebbe troppo rigido. Va però intrapreso con la consapevolezza che richiede un ampio consenso: l’imprenditore deve investire nel dialogo con ciascuna classe di creditori. Nel Capitolo 13.4 verrà delineato un scenario di applicazione del PRO per evidenziare come un’impresa familiare sia riuscita, col supporto di un investitore esterno, a far approvare un piano PRO dai suoi creditori, garantendo la continuità aziendale con nuovi capitali e sacrificando parzialmente i crediti privilegiati con il consenso di questi ultimi.
7. Concordato preventivo ordinario
Il Concordato Preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza di soluzione della crisi mediante un accordo votato dai creditori sotto la supervisione del tribunale. Esistente da tempo nel nostro ordinamento, è stato profondamente modificato dal CCII per renderlo più aderente alle esigenze di salvaguardia delle imprese e per armonizzarlo con la Direttiva UE. Ne distingueremo gli aspetti generali, rimandando ad alcune specificità (concordato in continuità vs liquidatorio, transazione fiscale, classi e cram-down) man mano nell’esposizione.
7.1 Funzione e presupposti. Il concordato preventivo è uno strumento che consente al debitore di evitare la liquidazione giudiziale presentando un piano che preveda il soddisfacimento (anche parziale) dei crediti secondo modalità e tempi determinati. Il presupposto oggettivo è lo stato di crisi o insolvenza del debitore (art. 84 CCII): può accedervi l’imprenditore che si trova già insolvente o che, pur non ancora tecnicamente insolvente, versa in una situazione di crisi tale da rendere necessaria una ristrutturazione. Possono ricorrervi gli imprenditori commerciali e agricoli assoggettabili al fallimento (liquidazione giudiziale), quindi di norma medie e grandi imprese e PMI sopra le soglie di fallibilità. Il deposito del ricorso per concordato può avvenire sia direttamente con piano e proposta completi, sia – se l’urgenza lo richiede – in forma “con riserva” (art. 44 CCII, ex “concordato in bianco”), presentando una domanda che segnala l’intenzione di proporre concordato e ottenendo un termine (da 60 a 120 giorni prorogabile) per depositare il piano definitivo. Durante questo periodo il debitore gode delle misure protettive (stay) e spesso viene nominato un commissario giudiziale vigilante.
7.2 Continuità aziendale vs liquidazione. Una distinzione fondamentale è tra:
- Concordato in continuità aziendale (art. 84 co.2 CCII): quando il piano prevede che l’impresa continui, in tutto o in parte, la propria attività, sia direttamente dal debitore (continuità diretta) sia tramite la cessione o conferimento dell’azienda a un altro soggetto che prosegue l’attività (continuità indiretta). La continuità è definita in termini di valorizzazione dell’azienda come going concern: l’obiettivo è mantenere attiva l’impresa (interamente o in rami) così da generare ricchezza con la prosecuzione. In questo tipo di concordato, la legge consente maggior flessibilità nel trattamento dei creditori privilegiati (si possono soddisfare non integralmente purché almeno in misura non inferiore al valore di realizzo in caso di liquidazione) e pone regole sulla necessità di classi obbligatorie (il Correttivo-ter 2024 ha reso obbligatoria la suddivisione in classi nel concordato in continuità). Inoltre, durante il concordato in continuità, il debitore può mantenere l’esercizio dell’impresa sotto la vigilanza del commissario e del giudice delegato, ed è anzi tenuto a farlo se l’interruzione potrebbe pregiudicare i creditori.
- Concordato liquidatorio (art. 84 co.3 CCII): quando il piano consiste prevalentemente nella liquidazione di tutto il patrimonio e nella distribuzione del ricavato ai creditori, senza perseguire la prosecuzione dell’attività (salvo vendite frazionate di beni). Tradizionalmente, il concordato liquidatorio era ammesso solo se garantiva un dividendo minimo del 20% ai chirografari. Il CCII mantiene tale requisito (20% ai chirografari, salvo che il debitore non sia un “debitore minore” – nel qual caso varrebbero le regole del concordato minore). Nel concordato liquidatorio, di regola, al momento dell’omologa il tribunale nomina un liquidatore giudiziale che ha il compito di procedere alla vendita dei beni e alla ripartizione (artt. 114-120 CCII). Il debitore dunque offre la propria azienda o i propri beni in cessione ai creditori. Una forma particolare introdotta nel 2021 è proprio il concordato semplificato per cessione dei beni (§8), che però è fuori dal voto e riservato al post-CNC; nel concordato preventivo liquidatorio ordinario, invece, si segue la procedura standard con voto.
Spesso i piani sono ibridi (una parte dell’azienda prosegue, un’altra viene liquidata) – in tal caso si tende a qualificarli come “in continuità” se la parte in continuità è non marginale. La qualificazione importa per le regole (classi obbligatorie, cram-down interclassi ammesso solo nella continuità, soglia 20% non applicabile se c’è continuità sostanziale).
7.3 Classi di creditori e votazione. Il CCII, all’art. 85, regola dettagliatamente la formazione delle classi. Nel concordato in continuità la formazione di classi è sempre obbligatoria; nel liquidatorio, il debitore può decidere se classare o meno (generalmente facoltativa salvo sia necessaria per disparità di trattamento). I creditori chirografari con posizione giuridica ed economica omogenea vanno posti in classi separate se ricevono trattamenti differenziati. I creditori privilegiati possono essere messi in classe se subiscono una decurtazione del loro credito (quella parte falcidiata degradata a chirografo entra in una classe di chirografari, tipicamente). Ogni classe vota separatamente sulla proposta. La regola di maggioranza nel concordato ordinario è: maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolati sul totale di quelli votanti (cioè escludendo gli astenuti). Inoltre, deve essere pari ad almeno i 2/3 dei crediti votanti sommando tutte le classi (questo secondo quorum si applica se c’è più di una classe). Questa architettura è leggermente diversa da quella del PRO in cui serve 51% del totale di ciascuna classe. Tradotto: nel concordato, gli astenuti agevolano il debitore (non contano). Nel PRO, almeno il 51% di tutti i crediti in classe deve dire sì, altrimenti la classe non approva – soglia più dura. Un aspetto innovativo nel concordato CCII è proprio il cram-down di classe: se una o più classi votano no, il tribunale può comunque omologare su richiesta del debitore a due condizioni (art. 112 CCII):
- che il piano sia stato approvato da almeno una classe di creditori rilevante (diversa da eventuali classi di soci o parti correlate, che non contano);
- che i creditori dissentienti non ricevano un trattamento inferiore a quello che avrebbero in liquidazione (best interest test) e che il piano non li discrimini ingiustamente.
Questa possibilità di omologa forzata è la novità più significativa rispetto al passato, in cui il concordato falliva se mancava la maggioranza. Ora il debitore ha un’arma in più: se ad esempio tutte le classi tranne una approvano, e la classe dissenziente è comunque trattata equamente, potrà chiedere al giudice di disreguardarne il no. Va detto che solitamente i creditori consapevoli di questa facoltà del tribunale sono incentivati a trattare: sanno che un “no” sterile potrebbe essere superato.
7.4 Contenuto del piano e transazione fiscale. Il piano concordatario può prevedere le soluzioni più varie: dalla ristrutturazione del debito (stralci, dilazioni, conversione di crediti in capitale), alla soddisfazione mediante risorse esterne (es. apporto di denaro fresco dai soci, vendita di beni di terzi, ecc.), alla cessione di beni o di azienda, fino alla attribuzione ai creditori di partecipazioni (debt-equity swap) o strumenti finanziari (warrant, etc.) come quota del risanamento. Se il piano è in continuità, deve includere un programma industriale con evidenza dei flussi economici e finanziari attesi almeno per 2-3 anni, e dimostrare che l’azienda risanata starà in piedi. Se è liquidatorio, deve dettagliare modalità e tempi delle vendite.
Un capitolo critico è sempre stato il trattamento dei crediti fiscali e previdenziali. Prima del 2017 la regola era che tali crediti (IVA, ritenute non versate) dovessero essere pagati integralmente perché non stralciabili per legge; poi la normativa ha introdotto la possibilità della transazione fiscale all’interno del concordato (art. 182-ter L.F., oggi art. 88 CCII). Ciò consente di proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, ma solo se l’Amministrazione aderisce. Il CCII, come visto, consente addirittura di forzare l’adesione in caso di voto contrario irragionevole, portando la questione al giudice. Pertanto oggi il debitore può, in sede di piano, proporre ad esempio di pagare l’IVA al 50% e i contributi al 50% dilazionando in 5 anni: l’Agenzia Entrate e l’INPS esprimeranno il loro voto; se dicono no, ma quell’offerta è migliore di quanto percepirebbero nel fallimento, il tribunale potrà omologare comunque. Questa è una svolta epocale rispetto al passato, che dà maggior certezza al debitore nel predisporre il piano (non dovendo temere il “veto fiscale” se la proposta è seria).
7.5 Procedimento: dalla domanda all’omologazione. Riassumendo le fasi:
- Domanda: depositata dal debitore (mai d’ufficio né su richiesta dei creditori) presso il tribunale competente. Va corredata di un robusto fascicolo (stato analitico ed estimativo delle attività, elenco creditori, elenco titolari di diritti reali e personali, piano e proposta, relazione attestatore, ultimi 3 bilanci e ultime dichiarazioni fiscali).
- Apertura della procedura: il tribunale effettua un primo esame (entro 30 giorni) e se la proposta non è manifestamente inammissibile, dichiara aperta la procedura di concordato. Nomina il Giudice Delegato e il Commissario Giudiziale (figura chiave, di solito un commercialista o esperto in crisi, che sorveglia la gestione e raccoglie le osservazioni dei creditori). Viene ordinata la convocazione dei creditori in adunanza (oggi la votazione avviene perlopiù in forma scritta/telematica, raramente con assemblea fisica). Da questo momento il debitore è in procedura concorsuale: non può pagare creditori anteriori se non autorizzato, l’impresa prosegue sotto vigilanza e con atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione del tribunale.
- Voto: i creditori esprimono il loro voto favorevole o contrario entro il termine fissato (di solito via PEC, modulo predisposto o portale del tribunale). È previsto un meccanismo di silenzio-assenso per i creditori chirografari in contesti di sovraindebitamento (concordato minore), ma nel concordato preventivo ordinario non c’è silenzio-assenso: chi non vota viene semplicemente escluso dal computo. Nel concordato minore invece, come vedremo, il silenzio vale assenso per facilitare l’approvazione.
- Esito del voto e omologa: se la proposta ottiene le maggioranze richieste, il tribunale passa alla fase di omologazione. Se manca la maggioranza, la procedura viene dichiarata infruttuosa e il debitore di solito finisce in liquidazione giudiziale (anche d’ufficio). In sede di omologa, il giudice verifica la legittimità e fattibilità del piano, valuta eventuali opposizioni (tipicamente di creditori dissenzienti o esclusi dal voto) e decide se omologare. Come detto, può omologare nonostante il dissenso di classi minoritarie (cram-down). Se omologa, la procedura di concordato entra in fase esecutiva sotto la guida o del debitore stesso (se continuità) o di un liquidatore nominato (se liquidazione). Se non omologa (ad esempio perché scopre frodi, o perché il piano è irrealizzabile), viene dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale).
7.6 Effetti e conclusione. L’effetto principale del concordato omologato è la novazione delle obbligazioni pregresse: i creditori restano vincolati a quanto previsto in concordato e non possono agire al di fuori di esso (le azioni esecutive individuali sono definitivamente inibite). Ad esempio, un creditore chirografario che aveva un credito di 100.000 € ridotto a 30.000 € dal concordato, potrà solo pretendere i 30.000 € secondo i tempi del piano ed è liberato per la differenza una volta eseguito. La liberazione dai debiti eccedenti avviene ipso jure con l’omologa (diversamente dalla liquidazione giudiziale dove serve chiedere esdebitazione finale). Dunque, il concordato è la soluzione esdebitatoria in sé: il decreto di omologa produce una ristrutturazione del debito giuridicamente vincolante.
Il concordato si chiude con un decreto del tribunale che dichiara l’avvenuta esecuzione integrale del piano. Se invece il debitore non adempie i suoi obblighi concordatari, su istanza dei creditori si può aprire la procedura di risoluzione del concordato (art. 119 CCII) e dichiarare contestualmente la liquidazione giudiziale. Una volta eseguito, invece, il debitore esce dalla procedura e prosegue la sua attività risanata (se in continuità) o viene liquidato e cancellato (se era un concordato liquidatorio e la società non prosegue oltre).
7.7 Vantaggi e svantaggi. Dal punto di vista del debitore, il concordato preventivo rappresenta una ancora di salvezza più strutturata rispetto agli strumenti negoziali:
- Offre una soluzione definitiva e opponibile a tutti i creditori, con liberazione dai debiti residui.
- Permette di gestire situazioni complesse dove la concertazione contrattuale sarebbe impossibile (es. migliaia di creditori).
- Prevede un contesto legalmente protetto sin dall’ammissione: le azioni esecutive sono sospese, i contratti pendenti possono essere sciolti o eseguiti con autorizzazione del GD (art. 96, ex 169-bis L.F.), ecc.
- La presenza del commissario giudiziale può aiutare il debitore a recuperare fiducia presso la platea creditoria, fungendo da garante di trasparenza.
- Mediante il cram-down, il debitore può superare resistenze isolate.
Gli svantaggi:
- Pubblicità elevata: l’apertura del concordato è resa pubblica sul registro delle imprese, i terzi sanno che l’azienda è in concordato, con possibili ricadute reputazionali (fornitori che revocano forniture, clienti prudenti, ecc.). La legge contrasta alcuni effetti (ad esempio i contratti pubblici: il concordato in continuità non è causa di esclusione automatica da appalti, salvo diverse valutazioni della PA).
- Costo e complessità: la procedura richiede un notevole lavoro preparatorio (il piano e l’attestazione sono assai dettagliati), e i costi per compensi di commissario, liquidatore, attestatore, avvocati, ecc. possono essere significativi. La procedura dura tipicamente più a lungo di un accordo (spesso 1-2 anni per arrivare all’omologa e completare esecuzione se liquidatorio).
- Perdita (parziale) di gestione: il debitore resta in possesso ma sotto vigilanza e con limitazioni agli atti. Se commette irregolarità durante la procedura, rischia la revoca.
- Rigidità: una volta depositato, il piano si può modificare solo con difficoltà; se emergono eventi imprevisti occorre chiedere autorizzazioni o presentare un concordato “in variante” ai creditori, allungando i tempi.
In conclusione, il concordato ordinario è la via maestra per molte crisi di media-grande dimensione. Nel contesto del CCII è divenuto più debtor-friendly (grazie alle classi e al cram-down, e alla transazione fiscale forzabile) ma resta un percorso impegnativo.
Nel Capitolo 13.1 descriveremo un caso pratico di concordato preventivo di un’azienda manifatturiera, evidenziando come l’imprenditore abbia utilizzato tale procedura per ristrutturare il debito bancario e mantenere la continuità aziendale, con il voto favorevole dei creditori e l’omologa malgrado il dissenso iniziale di una minoranza.
8. Concordato preventivo semplificato per la liquidazione del patrimonio
Il Concordato Semplificato è una procedura di concordato particolare introdotta in via transitoria dal D.L. 118/2021 e poi recepita nel CCII (art. 25-sexies) come strumento alternativo alle procedure concorsuali tradizionali, attivabile solo in seguito ad una composizione negoziata non andata a buon fine. Si tratta di un concordato liquidatorio puro, che ha l’obiettivo di liquidare il patrimonio del debitore e distribuire il ricavato ai creditori, senza passare per il voto dei creditori. In altri termini, è una procedura che consente al debitore di ottenere un’omologazione giudiziale di un piano di cessione dei beni in modo semplificato, evitando la fase deliberativa e abbreviando i tempi.
8.1 Quando e come si può accedere. Il concordato semplificato può essere richiesto solo dall’imprenditore che:
- ha svolto una composizione negoziata della crisi (con un esperto nominato ex art. 17 CCII);
- e le trattative si sono concluse senza pervenire ad una soluzione di risanamento (accordo, piano attestato o quant’altro);
- l’esperto ha redatto una relazione finale nella quale attesta che le trattative si sono svolte correttamente, in buona fede, ma non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23 commi 1 e 2 lett. a) e b) CCII (cioè accordo stragiudiziale o strumenti concorsuali di regolazione) non erano praticabili.
In tale situazione, l’imprenditore, entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto, può depositare ricorso al tribunale per l’omologazione di un concordato semplificato. Il Correttivo 2024 ha precisato che non è necessario che si parli di “esito non positivo” della negoziazione: basta che le trattative siano terminate e non abbiano prodotto un accordo risolutivo. Quindi, anche se la CNC fosse terminata anticipatamente per volontà del debitore, in teoria il semplificato è accessibile, purché non vi sia stata soluzione.
Importante: il concordato semplificato non può essere attivato liberamente senza il passaggio dalla composizione negoziata. È una sorta di “uscita di sicurezza” riservata a chi ha provato la via negoziale ma non è riuscito a risanare l’impresa. Serve a evitare che tali imprese debbano per forza fallire: si offre loro uno strumento per liquidare sotto controllo evitando i costi e la lunghezza di un fallimento.
8.2 Caratteristiche della procedura semplificata. Ecco i tratti salienti:
- È un concordato liquidatorio: la proposta deve consistere nella cessione o liquidazione di tutto il patrimonio ai creditori. Non sono ammessi concordati semplificati in continuità; se in corso di CNC ci fosse prospettiva di continuità, si dovrebbe optare per un concordato preventivo ordinario.
- Assenza di voto dei creditori: i creditori non votano sulla proposta. La procedura prevede che il debitore depositi la proposta di concordato con il piano di liquidazione e i documenti fiscali/contributivi. Il tribunale fissa direttamente l’udienza di omologazione (in camera di consiglio) dando un termine ai creditori per eventuali opposizioni. Quindi i creditori possono solo presentare osservazioni e opposizioni, ma non c’è una votazione assembleare.
- Organi: non viene nominato un commissario giudiziale (non essendovi voto da organizzare). Il tribunale però può nominare un ausiliario, di regola lo stesso esperto indipendente che ha seguito la composizione negoziata, con il compito di esaminare il piano e riferire al giudice. Dopo l’omologa, il tribunale nominerà un liquidatore giudiziale per eseguire la liquidazione dei beni, analogamente a quanto avviene nei concordati liquidatori ordinari.
- Contenuto del piano: la proposta di concordato semplificato può includere la suddivisione in classi dei creditori anche se il voto non si svolge. In particolare, il correttivo 2024 ha chiarito che possono essere classati anche i creditori privilegiati degradati (cioè per la parte di credito non coperta da garanzia sul valore dei beni). Il piano deve comunque rispettare la regola per cui i privilegiati non possono essere soddisfatti in misura inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione dei beni oggetto di prelazione (art. 84 co.5 CCII). Il che significa che li si può falcidiare, ma non più di tanto: la quota falcidiata va trattata come chirografo. Per i chirografari non vige il 20% minimo, poiché qui siamo in un contesto dove quell’obbligo non è espressamente richiamato (essendo procedura speciale). Tuttavia, il tribunale dovrà comunque valutare la convenienza per i creditori rispetto all’alternativa fallimentare: se il piano offre meno del presumibile in fallimento, l’omologa sarà negata. In pratica, anche il concordato semplificato è soggetto a un best interest test generale.
- Misure protettive: con il deposito della domanda, il debitore può chiedere l’applicazione di misure protettive (divieto di azioni esecutive) analogamente al concordato ordinario. Il correttivo 2024 ha espressamente esteso l’applicabilità anche al semplificato delle regole su misure protettive e cautelari (art. 54 CCII).
8.3 Ruolo del tribunale e criteri di omologa. Nell’udienza fissata, il tribunale esamina:
- la regolarità della procedura (rispetto dei termini dei 60 giorni, documentazione completa, presenza requisiti da relazione esperto ecc.);
- eventuali opposizioni dei creditori. Un creditore potrebbe opporsi per vari motivi: contestare l’ammissibilità (magari sostenendo che l’imprenditore ha provocato la crisi dolosamente), o la convenienza (affermando che in fallimento prenderebbe di più), o lamentare disparità di trattamento ingiustificate.
- la fattibilità del piano di liquidazione (ad es. verificare che la valutazione dei beni sia attendibile, che eventuali acquirenti ci siano, ecc.). L’assenza del voto spinge il giudice a fare un controllo di merito un po’ più penetrante per tutelare i creditori: di solito viene acquisita la relazione dell’ausiliario (esperto) che attesta che la liquidazione proposta è concreta e vantaggiosa.
- la buona fede e correttezza del debitore durante la composizione negoziata: questo è un aspetto rilevante. L’art. 25-sexies CCII prevede il requisito di correttezza e buona fede nelle trattative. Il tribunale, se rileva che il debitore ha agito in malafede o ha abusato della CNC per guadagnare tempo senza vere trattative, potrebbe negare l’omologa. Un esempio reale: il Tribunale di Napoli (25 ottobre 2023) ha revocato l’ammissione al concordato semplificato a un imprenditore perché ha ritenuto che questi non avesse condotto le trattative in modo leale, ed ha contestualmente aperto la liquidazione giudiziale. Ciò evidenzia che i giudici vigilano sull’effettiva legittimità dell’accesso al semplificato: se si sospetta che il debitore abbia volontariamente fatto fallire la CNC per passare a un concordato a lui più favorevole, o che non abbia offerto reali soluzioni ai creditori in sede di negoziazione, il tribunale può rifiutare il semplificato e dichiarare il fallimento. Il caso Napoli è istruttivo: pare che il debitore avesse tenuto un comportamento ostruzionistico in CNC e poi chiesto il semplificato; i giudici hanno considerato ciò un abuso, perché il semplificato è pensato come extrema ratio e non come scorciatoia per liquidare a proprio piacimento ignorando i creditori.
- la convenienza comparativa: come detto, il tribunale valuta se il concordato offre ai creditori almeno ciò che otterrebbero in una liquidazione giudiziale ordinaria. Questo di solito richiede di stimare i valori di realizzo dei beni e confrontarli con la proposta.
Se il tribunale riscontra esito positivo in questi punti, omologa il concordato semplificato con decreto. A quel punto, nomina il liquidatore giudiziale (spesso lo stesso esperto o un professionista terzo) e si passa alla fase di esecuzione: il liquidatore procede a vendere i beni e distribuire il ricavato secondo il piano (sotto la vigilanza del giudice delegato, applicandosi le disposizioni di liquidazione analoghe a quelle del fallimento per quanto compatibili). Va notato che il tribunale può anche subordinare l’omologa a determinate condizioni, ad esempio chiedere che prima dell’omologa siano depositate somme integrative (questi poteri di adattamento li ha anche nel concordato ordinario).
8.4 Effetti per il debitore. Il concordato semplificato, se omologato, produce gli stessi effetti di uno ordinario: libera il debitore dai debiti eccedenti una volta attuata la liquidazione. L’impresa però di norma non sopravvive come attività (viene liquidata). L’imprenditore individuale, se persona fisica, potrà godere dell’esdebitazione implicita nell’omologa (a differenza del fallito che deve chiederla). La procedura è più rapida: si stima che un concordato semplificato possa arrivare a conclusione in pochi mesi post-CNC (ad esempio: CNC fallita a t0, ricorso semplificato a t+1 mese, omologa a t+4 mesi, liquidazione completata a t+12 mesi). Rispetto a un fallimento che dura anni, è un bel vantaggio.
Per i creditori, è innegabile che il semplificato può sembrare “penalizzante” perché li esautora dal voto. Tuttavia, essi hanno comunque voce mediante le opposizioni e il tribunale funge da garante che non vengano lesi oltre misura. Il legislatore ha giustificato l’assenza di voto col fatto che i creditori hanno già avuto la chance di partecipare in sede di composizione negoziata: se neppure lì si è trovata una soluzione concordata, vuol dire che un dissenso c’era; ma allora, piuttosto che precipitare nel fallimento, tanto vale liquidare attraverso il semplificato, che almeno consente di velocizzare e potenzialmente ridurre il sacrificio comune.
8.5 Confronto con altre procedure liquidatorie. Il concordato semplificato si pone come un “ponte” tra la composizione negoziata e la liquidazione giudiziale. È meno gravoso di un concordato preventivo ordinario (nessun voto, meno formalità), ma garantisce un controllo giudiziale maggiore rispetto a una pura liquidazione stragiudiziale. Rispetto alla liquidazione giudiziale (fallimento):
- Viene attivato dal debitore, non dai creditori.
- Prevede un piano predisposto dal debitore, invece della gestione integrale da parte del curatore.
- Ha tempi più brevi e costi inferiori (meno passaggi formali, niente verifica crediti perché la ripartizione segue il piano e le eventuali contestazioni sul passivo vengono risolte dal GD in sede di riparto).
- Offre al debitore il vantaggio di mantenere una certa iniziativa (propone lui come liquidare).
Ovviamente, il rovescio della medaglia è che non è disponibile per tutti: solo chi ha fatto la CNC. Quindi un debitore che d’improvviso si scopre insolvente senza aver fatto CNC non può scegliere questo percorso (deve andare in concordato ordinario o fallire). Questa restrizione è intenzionale, per far sì che la CNC diventi il passaggio quasi obbligato: se vuoi le scorciatoie del semplificato, devi provare prima la negoziazione assistita.
8.6 Prime applicazioni pratiche. Nel 2022-2023 i concordati semplificati omologati non sono numerosissimi (la CNC stessa è in fase di diffusione). Tuttavia, si registra ad esempio il Tribunale di Bergamo con una delle prime omologhe di concordato semplificato nel 2022 (caso di piccola impresa commerciale), e come citato, il Tribunale di Napoli nel 2023 che ha invece revocato l’accesso a un debitore considerato non meritevole. Il Tribunale di Como (10 maggio 2024) ha affrontato un’opposizione all’omologa di un concordato semplificato, delineando i criteri di valutazione del tribunale: tra cui il rispetto del migliore interesse dei creditori e l’assenza di soluzioni alternative meno pregiudizievoli. In quell’occasione, il Tribunale ha comunque omologato ritenendo soddisfatti i requisiti e rigettando le lamentele di un creditore, affermando che il semplificato era equivalente a una liquidazione giudiziale in termini di risultato atteso, ma con tempi più celeri.
Per il debitore, dunque, il concordato semplificato è una soluzione di “chiusura rapida” della crisi con liquidazione. Lo scenario tipico: piccola azienda familiare che in CNC non trova investitori né accordi, e i creditori (magari banche) non accettano stralci; allora cede i beni (magari vendendo l’immobile aziendale che è unica risorsa) tramite semplificato e soddisfa parzialmente i creditori, chiudendo baracca ma evitando il marchio del fallimento.
Nel Capitolo 13.5 presenteremo un esempio pratico di micro-impresa che, fallita la composizione negoziata per mancanza di accordo, ricorre al concordato semplificato per vendere velocemente i suoi asset (un capannone e pochi macchinari) a un acquirente individuato dall’esperto, distribuendo il ricavato ai creditori e voltando pagina in pochi mesi.
9. Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
La Liquidazione Giudiziale è la procedura concorsuale destinata alla liquidazione del patrimonio del debitore insolvente, sotto la direzione di un organo nominato dal tribunale (il curatore o liquidatore giudiziale), con il fine di soddisfare i creditori secondo la par condicio. Essa è, di fatto, l’erede del “fallimento” della legge anteriore, pur con alcune modifiche di nomenclatura e disciplina introdotte dal CCII per renderla più efficiente e orientata alla conservazione dei valori d’impresa ove possibile.
9.1 Presupposti e iniziativa. Presupposto oggettivo è lo stato d’insolvenza del debitore (art. 121 CCII), definito come l’incapacità definitiva di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. Può risultare da inadempimenti o altri fatti esteriori che dimostrino la cessazione dei pagamenti. Quanto ai soggetti, sono assoggettabili a liquidazione giudiziale tutti gli imprenditori commerciali non piccoli (sopra le soglie di fallibilità indicate dall’art. 2 CCII: attivo annuo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k, parametri rimasti invariati rispetto alla legge previgente) e gli imprenditori agricoli solo se superano certi limiti dimensionali particolari, nonché enti collettivi come società. Restano esclusi i soggetti “non fallibili” (consumatori, professionisti, piccoli imprenditori): per essi vi è la liquidazione controllata (v. §10). L’iniziativa per aprire la liquidazione giudiziale può provenire:
- dal debitore stesso (ricorso di c.d. auto-fallimento, spesso presentato quando non c’è altra via e per evitare aggravio di responsabilità);
- da uno o più creditori (anche se il loro credito non è ancora accertato con sentenza, purché scaduto e non esiguo);
- dal Pubblico Ministero, ma solo in circostanze particolari (ad esempio, insolvenza di un’impresa segnalata in procedimenti penali per reati fallimentari, o insolvenza di enti pubblici economici, ecc.).
9.2 Procedimento dichiarativo. Il procedimento per la dichiarazione di liquidazione giudiziale è giurisdizionale contenzioso: il tribunale, su ricorso, convoca il debitore in camera di consiglio e, sentite le parti, decide con sentenza (ora definita “sentenza dichiarativa di apertura della liquidazione giudiziale”). La sentenza dichiara lo stato di insolvenza, fissa la data di cessazione dei pagamenti (potendo retrocederla fino a 6 mesi prima) e nomina gli organi:
- un Giudice Delegato alla procedura;
- un Curatore/Liquidatore Giudiziale (termini spesso usati come sinonimi nel CCII). In realtà, il CCII per uniformità parla di curatore nella sezione dedicata alla liquidazione giudiziale tradizionale, ma in alcune disposizioni generali viene anche definito liquidatore giudiziale. Sostanzialmente, è lo stesso ruolo del vecchio curatore fallimentare.
La sentenza di apertura viene pubblicata e iscritta nel registro imprese, divenendo nota a tutti i terzi.
9.3 Effetti della liquidazione giudiziale. Essi sono in larga parte sovrapponibili a quelli noti del fallimento:
- Il debitore persona fisica subisce il “despossessamento”: perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, che passano al curatore (art. 142). I beni formano la massa attiva su cui i creditori eserciteranno i diritti concorsuali. Quelli che acquista o produce durante la procedura vanno anch’essi alla massa (con eccezioni per beni strettamente personali). Se il debitore è una società, gli amministratori perdono i poteri, la gestione passa al curatore.
- I creditori perdono il diritto di agire individualmente: tutte le azioni esecutive e cautelari pendenti vengono sospese, e i creditori devono far valere i propri diritti insinuandosi al passivo della liquidazione (presentando domanda di ammissione al passivo).
- Gli interessi sui crediti chirografari restano sospesi dalla data di apertura (salvo poi riprendere se vi fosse capienza residua).
- I contratti pendenti (non ancora interamente eseguiti da entrambe le parti) non si sciolgono automaticamente come era un tempo nel fallimento: il curatore può subentrare o sciogliersi da essi (art. 172 CCII, analogo al vecchio art. 72 L.F.), con facoltà per la controparte di chiedere indennizzo in prededuzione se il curatore scioglie. Ad esempio, se c’è un contratto di leasing, il curatore può decidere di continuare a pagare i canoni e utilizzare il bene (se utile per vendere l’azienda in esercizio provvisorio) oppure di sciogliere il contratto, restituendo il bene al lessor e lasciando quest’ultimo insinuarsi per il suo credito.
- I beni in possesso del fallito vengono acquisiti dal curatore, anche coattivamente se necessario, e il debitore ha l’obbligo di collaborare consegnando libri contabili, documenti, informazioni (pena sanzioni anche penali).
- Le eventuali azioni legali di cui era parte il debitore si interrompono e poi possono essere proseguite dal curatore (art. 150).
- Si attivano poi i meccanismi di revocatoria fallimentare per gli atti pregiudizievoli compiuti nei periodi antecedenti (il curatore può farli dichiarare inefficaci ex post se ne ricorrono i presupposti temporali e soggettivi, artt. 164-168 CCII).
9.4 Svolgimento: formazione del passivo ed esercizio provvisorio. Nella prima fase della procedura, il curatore effettua le comunicazioni ai creditori e invita a presentare le domande di insinuazione (entro 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza). Ogni creditore deve insinuarsi per essere ammesso al riparto. Il Giudice Delegato poi tiene l’udienza di verifica dello stato passivo (entro 90 giorni dall’apertura, prorogabili 30). In quell’udienza, esamina le domande, ascolta il curatore e il fallito e forma lo stato passivo ammettendo o escludendo i crediti, con relativi privilegi, ecc. I crediti ammessi partecipano poi ai dividendi.
Parallelamente, il curatore redige l’inventario e la relazione ex art. 130 (entro 60 giorni, la famosa relazione iniziale) in cui analizza cause del dissesto e prospettive di liquidazione, segnalando se vi sono possibili azioni di responsabilità verso gli organi sociali, atti revocabili, etc.. Sulla base di ciò, e sentito il comitato dei creditori (organo consultivo nominato dal tribunale se necessario), decide come procedere.
Se c’è ancora attività d’impresa funzionante e la sua temporanea continuazione appare utile per miglior soddisfacimento dei creditori (ad es. completare commesse, mantenere valore avviamento, cercare acquirente per azienda in blocco), il tribunale può autorizzare l’esercizio provvisorio dell’impresa (art. 211). Durante l’esercizio provvisorio, l’azienda continua a operare sotto la gestione del curatore (che può confermare i dirigenti operativi ma sotto la sua guida) e i rapporti contrattuali essenziali proseguono. L’esercizio provvisorio è un modo per preservare il valore e magari vendere l’azienda come going concern. Spesso, in casi di medie imprese con prospettive, il curatore pubblica bandi per trovare investitori che acquistino l’azienda in esercizio provvisorio.
9.5 Liquidazione dell’attivo e soddisfacimento dei creditori. Il curatore, autorizzato dal comitato e dal GD, procede a vendere i beni: in blocco (se possibile cessione unitária dell’azienda, affitto d’azienda con successiva vendita, ecc.) o singolarmente. Le vendite seguono procedure competitive (aste) se non c’è un singolo acquirente individuato. Il ricavato confluisce nella cassa fallimentare.
Alla fine, il curatore predispone uno o più piani di riparto per distribuire il ricavato ai creditori: prima si pagano i creditori prededucibili (spese di procedura, crediti sorti durante l’esercizio provvisorio o i finanziamenti autorizzati dal tribunale in pre-fallimentare, ecc.), poi i creditori privilegiati secondo il grado (per quanto capiente il ricavato dei beni su cui hanno prelazione, eventuali residui diventano chirografi), infine, se resta qualcosa, ai chirografari in proporzione ai loro crediti. Nella pratica, spesso i chirografari ricevono poco o nulla.
9.6 Chiusura e esdebitazione. La liquidazione giudiziale si chiude:
- per esaurimento dell’attivo: venduti tutti i beni e ripartito tutto il ricavato, il tribunale su istanza del curatore dichiara chiusa la procedura;
- oppure per manifesta insufficienza dell’attivo a proseguire (incapienza tale da non giustificare ulteriori atti);
- o per concordato nella liquidazione (ossia se successivamente i creditori deliberano un concordato fallimentare ex art. 240 L.F., oggi art. 240 CCII – ipotesi residuale in cui un terzo propone di pagare ad es. 20% e chiudere prima; se creditori accettano e il tribunale approva, la procedura si chiude anticipatamente con quell’accordo).
Una volta chiusa, se il debitore è persona giuridica (società) questa è di norma avviata a cancellazione (salvo residui attivi sopravvenuti). Se è persona fisica o socio illimitatamente responsabile, scatta il tema dell’esdebitazione: il CCII prevede all’art. 278 che il debitore persona fisica possa ottenere, di diritto, la liberazione dai debiti residui non soddisfatti, a meno che non sia stato dichiarato non meritevole (ad esempio per condotte fraudolente). Questa è una differenza dal passato in cui doveva fare istanza e c’era una valutazione; oggi pare più automatica dopo un anno dalla chiusura, salvo opposizione di creditori o diniego per ragioni di indegnità.
In aggiunta, l’art. 283 CCII (derivato dalla modifica del 2020 alla L.3/2012) contempla l’esdebitazione del debitore incapiente, ossia la possibilità per il debitore persona fisica che in un fallimento non abbia nulla da offrire ai creditori, di essere esdebitato anche senza alcun pagamento. Però questa misura richiede che il debitore sia stato meritevole (non colpevole di mala gestio grave, ecc.) e può essere concessa una volta sola. È una sorta di “fresh start” anche per il fallito senza attivo, introdotta per ragioni umanitarie e di politica economica (non tenere per sempre indebitati irrimediabilmente i falliti poveri).
9.7 Diritti e doveri del debitore nella liquidazione giudiziale. Il debitore fallito ha pochi diritti: principalmente, il diritto all’esdebitazione finale se meritevole. Ha vari doveri: di comparire alle convocazioni (interrogatorio ex art. 130), di collaborare con curatore e giudice, di non lasciare la residenza senza avviso, di consegnare documenti e informazioni. Se inadempiente, può incorrere in reati di bancarotta (ad es. bancarotta semplice per non aver tenuto i libri, o documentale se li ha sottratti). La riforma ha abolito alcune pene accessorie come l’interdizione personale perpetua che esisteva un tempo.
9.8 Considerazioni finali sulla liquidazione giudiziale. Pur essendo il rimedio estremo e spesso il meno desiderabile per il debitore (perché perde tutto il patrimonio e lo stigma del fallimento è pesante, anche se ora alleviato dall’automatismo esdebitatorio), la liquidazione giudiziale rimane necessaria quando non vi è prospettiva di risanamento né accordo. Dalla prospettiva del debitore, se ci si arriva, conviene comunque mantenere un atteggiamento collaborativo per beneficiare di esdebitazione e per evitare imputazioni penali. Oggi, con il CCII, il fallito onesto ha finalmente la prospettiva concreta di riabilitazione economica rapida (esdebitazione entro 3 anni, e addirittura immediata per incapienti meritevoli). Questo riflette l’idea della “seconda chance”: chiudere con il passato e ripartire.
Spesso la liquidazione giudiziale può integrarsi con altre procedure: ad esempio, se durante un fallimento emerge un potenziale acquirente che vuole salvare l’azienda, si può convertire in concordato fallimentare con continuità. Oppure se, viceversa, un concordato preventivo viene revocato o fallisce, si apre la liquidazione giudiziale di “risulta”.
In conclusione, la liquidazione giudiziale rimane la procedura concorsuale di default quando tutte le altre strade falliscono. Nel Capitolo 13.6 offriremo una breve simulazione di come un imprenditore cooperi nel fallimento e ottenga l’esdebitazione, sottolineando i passaggi salienti dal suo punto di vista.
10. Liquidazione controllata del sovraindebitato
La Liquidazione Controllata è la procedura concorsuale prevista dal CCII per i debitori che non possono accedere alla liquidazione giudiziale (fallimento) perché “non fallibili”, ossia tipicamente consumatori, professionisti, imprenditori sotto soglia, start-up innovative, imprenditori agricoli di piccole dimensioni, enti non profit con debiti, ecc. Essa corrisponde alla “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012 sul sovraindebitamento, con alcuni aggiornamenti. Ha finalità analoga al fallimento: liquidare il patrimonio del debitore sovraindebitato per soddisfare i creditori, con relativa esdebitazione finale.
10.1 Chi può accedere e come si avvia. Può essere richiesta:
- Dal debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica minore) che si trova in stato di sovraindebitamento (definizione: “non è in grado di adempiere alle obbligazioni assunte regolarmente”, concetto di insolvenza anche qui).
- Da un creditore o dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) in taluni casi, secondo l’art. 268 CCII. Nella L.3/2012 i creditori non potevano iniziare la liquidazione del sovraindebitato, mentre il CCII ha introdotto la possibilità che, se un debitore non collabora e rifiuta soluzioni, un creditore o l’OCC possano sollecitare la liquidazione d’ufficio. Tuttavia, questa è un’eccezione, perché di base il sovraindebitamento è concepito come volontario.
La domanda di liquidazione controllata si presenta al tribunale con allegati i dati su patrimonio, elenco creditori, redditi, ecc. Solitamente è coinvolto un OCC (organismo di composizione della crisi) che aiuta a redigere l’istanza e che poi svolgerà funzioni analoghe a quelle di un curatore.
Il tribunale, verificati i presupposti, emette un decreto di apertura della liquidazione controllata, nominando un liquidatore (spesso un gestore della crisi dell’OCC) e disponendo le misure protettive (sospensione delle azioni individuali). Il decreto viene comunicato ai creditori che hanno tot tempo per insinuarsi.
10.2 Effetti per il debitore sovraindebitato. Sono analoghi a quelli del fallimento:
- Il patrimonio del debitore diventa indisponibile: viene affidato al liquidatore. Per la persona fisica, però, ci sono alcune tutele in più: ad esempio, la legge prevede che il giudice possa lasciare al debitore una parte dei redditi necessari al mantenimento suo e della famiglia (il cosiddetto “quota di minimo vitale”). E alcuni beni impignorabili per legge restano esclusi (es. beni di affezione di modico valore, stipendio in una certa misura).
- I creditori non possono agire individualmente e presentano domanda di ammissione.
- Se il debitore svolge attività d’impresa o professionale, il tribunale può disporne la cessazione oppure l’esercizio provvisorio se c’è interesse (caso poco comune: per dire, un professionista difficilmente si continua l’esercizio, mentre per un piccolo imprenditore agricolo magari si può proseguire il raccolto se conviene).
- Il debitore ha obbligo di collaborare e informare il liquidatore.
10.3 Liquidazione dell’attivo e distribuzione. Il liquidatore redige l’inventario dei beni e individua le masse attive. Può sciogliere o mantenere i contratti pendenti similmente al curatore. Vende i beni attraverso procedure competitive. Se c’è un immobile destinato ad abitazione principale del debitore, la vendita di esso è possibile (a differenza del piano del consumatore in L.3/2012 dove c’era facoltà di escluderlo, ma in liquidazione solitamente no). I crediti privilegiati e ipotecari saranno pagati col ricavato dei beni su cui insistono, gli altri pro quota.
10.4 Chiusura e liberazione dai debiti. Terminata la liquidazione, il liquidatore presenta conto e piano di riparto finale, il tribunale chiude la procedura. Il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti residui di diritto (art. 282 CCII) se ha cooperato e non ci sono ragioni ostative di condotta fraudolenta. A differenza del concordato minore (dove la liberazione discende direttamente dall’omologazione dell’accordo), qui la liberazione è a fine procedura e subordinata a un giudizio di meritevolezza. Se il debitore ha aggravato la situazione con dolo o colpa grave, il tribunale può negare l’esdebitazione.
Un caso particolare è quello citato: esdebitazione del debitore incapiente. Se il debitore non ha alcun patrimonio, il CCII consente comunque di chiudere la procedura senza attivo e di liberarlo dai debiti (previa valutazione che sia meritevole, ossia non abbia colpe gravi e almeno ci sia la prospettiva che nei 4 anni successivi alla domanda la sua condizione economica non migliorerà significativamente). Questa esdebitazione a zero è concessa una sola volta nella vita, a tutela di chi davvero non ha nulla.
10.5 Concordato minore vs liquidazione controllata. Il CCII dà al sovraindebitato due strade: l’accordo di ristrutturazione con i creditori (il concordato minore, v. paragrafo seguente) oppure la liquidazione controllata. Il concordato minore punta a evitare la liquidazione, con un accordo con i creditori che può includere pagamenti parziali e mantenimento magari di attività. La liquidazione controllata invece è per quando non si può far altro che liquidare. Dal punto di vista del debitore persona fisica, la differenza è che:
- nel concordato minore la liberazione dai debiti avviene subito con l’omologa (l’accordo omologato, se eseguito, libera dai debiti eccedenti), mentre nella liquidazione bisogna passare dalla procedura e poi chiedere esdebitazione;
- nel concordato minore serve convincere la maggioranza dei creditori a votare sì (51% in valore), nella liquidazione invece non c’è voto, la paga di più in termini di autonomia ma non deve convincere nessuno.
Il debitore sovraindebitato spesso preferirà tentare prima un concordato minore (soprattutto se ha redditi e vuole tenere la casa ad esempio), e scegliere la liquidazione solo come ultima risorsa.
10.6 Diritti e doveri specifici del debitore sovraindebitato. Anche qui dovere di collaborazione massima. Va detto che, essendo spesso persone fisiche, il CCII si preoccupa di evitare abusi dai creditori: ecco perché ad esempio vige la regola del silenzio-assenso nel concordato minore: per facilitare l’approvazione se i creditori non seguono la procedura, il loro silenzio vale come voto favorevole (cosa che nel fallimento o concordato grande non c’è). Ciò perché i piccoli debitori hanno spesso creditori disinteressati a partecipare.
In liquidazione controllata, il debitore può condurre una vita normale salvo la perdita dei beni: può continuare l’attività lavorativa se produce reddito (anzi è auspicabile che continui a lavorare per potersi magari risanare), ma quanto eccede il minimo vitale deve consegnarlo. Se nasconde sopravvenienze (es. vince alla lotteria e non lo dice) rischia la revoca dell’esdebitazione finale.
10.7 Conclusione sulla liquidazione controllata. Questo strumento è importante perché prima del 2012 chi non era fallibile non aveva nessuna procedura per liberarsi dai debiti (se non pagarli o restare inseguito a vita). Oggi c’è questa via. Naturalmente per il debitore è dolorosa (perde i beni), ma offre la prospettiva di una clean slate. Con la riforma 2020/2022, l’ordinamento italiano ha pienamente adottato la filosofia della seconda chance anche per i consumatori e famiglie indebitate: ad esempio, il debitore incapiente meritevole che esdebitato anche se i creditori non prendono nulla è un segnale forte.
A titolo di esempio pratico: se Tizio, piccolo imprenditore individuale, ha 100k di debiti e possiede solo un’auto e una piccola casa (con ipoteca), in liquidazione controllata si venderà l’auto e la casa; la banca ipotecaria prenderà il ricavato della casa (che magari vale meno del debito ipotecario), gli altri creditori prenderanno nulla o quasi. Tizio poi potrà essere liberato dall’eventuale residuo (ad esempio il debito ipotecario eccedente, e gli altri). Avrà perso la casa, ma non avrà più debiti e potrà ricominciare, magari in affitto e con la sua attività senza debiti pregressi.
Chiudiamo questa sezione notando che le procedure di sovraindebitamento (concordato minore e liquidazione controllata) coinvolgono spesso l’OCC (Organismo di Composizione Crisi) che è un ente terzo (spesso istituito presso gli Ordini professionali o Camere di Commercio) che assiste il debitore e vigila sulla procedura. L’OCC era un perno della L.3/2012 e rimane nel CCII come supporto in queste procedure minori.
11. Concordato minore (per debitori sovraindebitati)
Il Concordato Minore è la procedura concorsuale riservata ai debitori “sovraindebitati” (non fallibili) che intendono ristrutturare i propri debiti tramite un accordo con i creditori, evitando così la liquidazione integrale del patrimonio. È stato introdotto dal CCII (Titolo IV, Capo IV, artt. 74-83) in sostituzione dei precedenti strumenti della L.3/2012 (accordo di composizione e piano del consumatore), unificandoli in un’unica procedura. L’aggettivo “minore” serve a distinguerlo dal concordato preventivo “maggiore” delle imprese fallibili. La finalità è di offrire anche al piccolo imprenditore o al privato in difficoltà la possibilità di una composizione negoziata dei debiti, assicurandogli al contempo una liberazione dalle obbligazioni insostenibili e, auspicabilmente, la prosecuzione dell’attività economica o il reintegro sociale.
11.1 Soggetti ammessi e presupposti. Possono proporre un concordato minore i debitori sovraindebitati, definiti come “ogni debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale” che si trova in stato di crisi o insolvenza (incapacità di pagare integralmente i propri debiti). In pratica:
- Persone fisiche consumatrici (debiti da vita privata, es. familiari che hanno accumulato debiti da finanziamenti).
- Imprenditori commerciali sotto soglia e imprenditori agricoli di qualunque dimensione (gli agricoli in ogni caso non falliscono, quindi qui rientrano).
- Professionisti, artigiani, start-up innovative, associazioni e fondazioni non lucrative indebitate, etc.
Il presupposto sostanziale è il sovraindebitamento (di fatto insolvenza o rischio di insolvenza). Non è richiesto uno stato di insolvenza grave, basta che il debitore non sia in grado di pagare regolarmente i debiti. Non serve nemmeno, a differenza dell’omologo “piano del consumatore” di un tempo, provare la meritevolezza ex ante: l’accesso al concordato minore non è filtrato da un giudizio di merito morale (nel CCII la meritevolezza rileva per l’esdebitazione successiva alla liquidazione, ma non per accedere al concordato minore). Ciò significa che anche un debitore che ha colposamente contratto troppi debiti può comunque proporre un concordato minore, lasciando ai creditori decidere se accettare. Non sono ammessi solo i debitori che abbiano commesso atti di frode verso i creditori (in tal caso la proposta sarebbe inammissibile, art. 75 prevede cause di inammissibilità come l’omissione di parte rilevante dell’attivo, etc.).
11.2 Contenuto della proposta e trattamento dei creditori. Il debitore propone ai creditori un piano di ristrutturazione che può prevedere:
- la ristrutturazione dei debiti e soddisfacimento (anche parziale) in qualsiasi forma: pagamento dilazionato, stralcio percentuale, attribuzione di beni in conto, garanzie, etc.;
- l’eventuale cessione di beni o di parte del patrimonio (ma non di tutto, se no sarebbe una liquidazione controllata camuffata);
- se l’attività prosegue, l’indicazione di come verrà continuata e delle prospettive economiche (nel senso, può essere in continuità parziale, es. un piccolo imprenditore propone ai creditori di ridurre il debito del 50% e glielo pagherà in 5 anni coi proventi della continuazione dell’impresa).
Elemento chiave: a differenza del concordato preventivo delle imprese, qui non vige alcun minimo di pagamento dei chirografari imposto per legge. Il piano potrebbe anche offrire percentuali basse se è il massimo oggettivamente ottenibile. Tuttavia, il piano deve superare la valutazione di convenienza: i creditori difficilmente voteranno sì se la percentuale è inferiore a quanto otterrebbero in una liquidazione controllata. Inoltre, se il debitore persona fisica intende conservare l’abitazione principale, spesso la dovrà mettere a disposizione per ipotecari anche nel concordato (salvo trovi finanza esterna per soddisfare il creditore ipotecario in misura adeguata, altrimenti l’ipotecario potrebbe opporsi per convenienza).
È prevista la possibilità di classi di creditori anche qui (specie se ci sono creditori con cause di prelazione): in pratica, i creditori privilegiati che non vengano soddisfatti integralmente per la parte chirografaria di residuo sono trattati come chirografari e votano. Si applicano regole analoghe sul diritto di voto: i privilegiati interamente soddisfatti non votano (non sono interessati); se un privilegiato viene pagato solo parzialmente, vota per la parte non pagata. I chirografari votano tutti.
11.3 Ruolo dell’OCC e procedura di omologa. L’istanza di concordato minore deve essere presentata con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o di un professionista gestore nominato dal tribunale se non c’è OCC disponibile. Il gestore verifica la documentazione e predispone una relazione di fattibilità e convenienza (art. 78 CCII), esprimendo un giudizio sulla attendibilità dei dati e sulle cause dell’indebitamento. Prima di mettere ai voti, il giudice convoca il debitore e il gestore per un’udienza in cui valuta la fattibilità giuridica (non deve essere contraria alla legge, es. non si possono alterare l’ordine delle cause di prelazione salvo consenso del creditore interessato, ecc.). Se tutto okay, il giudice emette decreto di apertura del concordato minore, ordina le misure protettive (sospensione delle azioni), stabilisce come raccogliere il voto dei creditori (di solito non c’è adunanza fisica, il GD fissa solo i termini per esprimere il voto in modo telematico o scritto).
Come citato in §5.3, per il concordato minore il CCII ha introdotto il meccanismo del silenzio-assenso: il creditore che non comunica voto entro il termine è considerato favorevole. Questo è fondamentale perché spesso i creditori (soprattutto banche o finanziarie con piccoli crediti) trascurano di partecipare; col silenzio-assenso, la mancata risposta non penalizza il debitore (mentre nel concordato preventivo ordinario l’astenuto di fatto è come non votante e abbassa il quorum base). Inoltre, se un unico creditore detiene più del 50% dei crediti, scatta la regola della doppia maggioranza per teste: serve anche il sì della maggioranza numerica dei creditori, oltre che quello di quel creditore (per evitare che un solo creditore decida le sorti e ci sia magari opposizione diffusa degli altri). Ad esempio: se Tizio ha l’60% dei crediti e Caio, Sempronio, etc. il 40%, allora serve il voto favorevole di Tizio e di almeno altri creditori in numero > 50% dei restanti.
Raccolti i voti (tipicamente l’OCC invia moduli ai creditori via PEC e raccoglie le risposte), il gestore redige un verbale con l’esito. Se la maggioranza è raggiunta (51% in valore, salvo caso di creditore dominante dove serve anche teste), si va all’udienza di omologa davanti al tribunale. Se manca, il tribunale dichiara inammissibile o improcedibile e di solito il debitore, se persona fisica, può ripiegare sulla liquidazione controllata.
All’udienza di omologa, i creditori dissenzienti possono proporre opposizione contestando:
- la convenienza (dicono: prendo meno che in liquidazione; allora il giudice valuta. Se i contestatori rappresentano almeno 20% dei crediti, il tribunale deve valutare la convenienza comparativa, art. 80 CCII).
- la fattibilità o la presenza di atti in frode ecc.
Se il tribunale ritiene il piano fattibile e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa, omologa il concordato minore con decreto. Se ritiene fondate le opposizioni (es. un creditore dimostra che la stima di un immobile è gonfiata e quindi i creditori sono stati tratti in inganno votando, o che lui prende meno che in liquidazione), può non omologare.
11.4 Effetti dell’omologazione. Il decreto di omologa rende vincolante l’accordo per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Il debitore dovrà eseguire il piano sotto la vigilanza del liquidatore nominato (il CCII prevede che il giudice può nominare, e di solito nomina, un liquidatore o un OCC come ausiliario per controllare che il debitore esegua il piano, specialmente se prevede vendite di beni). Se il debitore non adempie, i creditori possono chiederne la risoluzione e aprire la liquidazione controllata.
I creditori con garanzie reali che non abbiano aderito restano tali ma il piano deve prevedere come trattarli: di solito, se l’ipoteca è su un bene che il debitore non vuole vendere, deve comunque offrire a quel creditore un valore almeno pari al bene (es. rifinanziarsi per pagarlo, o surroga con altra garanzia).
Dal punto di vista del debitore, l’omologa del concordato minore comporta che, una volta eseguiti gli obblighi presi, egli è liberato da ogni debito residuo verso i creditori anteriori non soddisfatti. Infatti, come specifica l’art. 80 CCII, “il decreto di omologazione produce gli effetti … liberatori delle obbligazioni secondo il piano”: ciò significa che se un creditore chirografario aveva 100 e il piano gliene dà 40, e lui li riceve, i restanti 60 sono cancellati, non può più pretenderli. E ciò vale anche per i creditori rimasti estranei (che non hanno presentato domanda o erano irreperibili): dopo l’omologa, se il piano non li prevede espressamente, si considerano anch’essi stralciati pro quota se i chirografari hanno ricevuto x%, probabilmente la giurisprudenza applicherà estensione analogica (il CCII non è esplicito su estranei, ma presumibilmente l’omologa vincola tutti i crediti anteriori).
11.5 Confronto con istituti precedenti e giurisprudenza. Il concordato minore sostituisce:
- l’accordo di composizione ex L.3/2012 (che richiedeva 60% di consensi dei creditori, procedura poco usata);
- il piano del consumatore, che non richiedeva voto ma un giudizio di meritevolezza del giudice.
Ora c’è il voto ma anche il consumatore deve passare per esso. Quindi il ruolo del giudice è un po’ diminuito (non decide più lui nel merito come col vecchio piano del consumatore), e aumenta il ruolo del voto. Questo è in linea con la direttiva UE 2019/1023 che preferisce soluzioni concordate. Tuttavia, il silenzio-assenso e la soglia del 51% (non 60%) rendono più semplice ottenere l’approvazione rispetto all’accordo L.3.
Giurisprudenza iniziale: Tribunale di Rimini 2023 ha affrontato un caso di concordato minore di un imprenditore cessato, con creazione di newco, e ha fatto considerazioni su ammissibilità e classi (sottolineando che l’imprenditore cessato può fare concordato minore e che la continuità può avvenire tramite cessione d’azienda a newco con soci terzi). Questo per dire: c’è spazio di creatività. Un debitore può prevedere che un parente apra una newco che compra la sua azienda e con quel ricavato paga un tot ai creditori nel concordato minore.
11.6 Vantaggi per il debitore. Il concordato minore è molto vantaggioso per il debitore meritevole perché:
- Evita la liquidazione totale: il debitore può proporre di pagare gradualmente usando il reddito futuro, magari salvando casa o strumenti di lavoro.
- Liberazione dai debiti senza attendere anni: finito di pagare quanto promesso (es. 4-5 anni di rate) il resto è cancellato.
- Meno stigma: è una procedura concorsuale ma meno pubblicizzata rispetto al fallimento (è sempre pubblicata, ma a livello di percezione è “accordo”).
- Il debitore spesso mantiene la gestione del suo patrimonio sotto supervisione OCC invece di vederselo portare via subito come in liquidazione (a parte eventuali beni da vendere se previsti in piano).
11.7 Doveri e rischi per il debitore. Il debitore deve essere trasparente: se nasconde attivo o fa atti in frode, il tribunale non omologa. Inoltre, una volta omologato, deve rispettare scrupolosamente il piano; se divaga, i creditori lo portano in liquidazione e perderà i benefici e magari anche la meritevolezza per l’esdebitazione. Non può fare nuovo concordato minore per 5 anni se ne ha già ottenuto uno (c’è una limitazione per evitare abusi seriali).
11.8 Esempio tipico. Ad esempio, una famiglia sovraindebitata con 200k debiti tra banche e finanziarie, reddito mensile complessivo 2k€, propone: “vi pago 1000€/mese per 5 anni, così avrete circa il 30% di soddisfo, dopodiché basta”. I creditori, valutando che se quella famiglia andasse in liquidazione venderebbero la casa ma poi forse non prenderebbero di più, potrebbero accettare (spesso in questi casi le finanziarie preferiscono il piano per recuperare qualcosa). Con l’omologa, la famiglia paga le 60 rate, poi i residui debiti vengono cancellati e loro tengono la casa (pagando magari il mutuo se era in regola o rifinanziato).
In conclusione, il concordato minore incarna l’idea di un accordo sostenibile cucito sulle possibilità del debitore minore, con il controllo dei creditori e del tribunale. La presenza dell’OCC (o gestore) assicura competenza e legalità nel percorso. Nella sezione dei casi pratici (Cap. 13.7) delineeremo un episodio di concordato minore di un consumatore gravato da debiti, mostrando come ha convinto i creditori ad accettare un pagamento parziale grazie anche al meccanismo del silenzio-assenso e come, dopo l’omologa, abbia potuto ripartire senza il fardello di parte dei debiti.
12. Diritti e doveri del debitore nelle procedure concorsuali
In questa sezione esaminiamo in modo trasversale quali sono i diritti e i doveri che il debitore (sia esso imprenditore o privato) ha quando si approccia o attraversa le procedure concorsuali e gli strumenti di regolazione della crisi. Conoscere questi aspetti è fondamentale per orientarsi con consapevolezza e per adempiere correttamente alle proprie responsabilità legali, evitando sanzioni o decadenze.
12.1 Doveri pre-concorsuali: assetti e tempestività. Anzitutto, come visto nel capitolo sull’allerta, il debitore – specialmente se imprenditore – ha il dovere di prevenzione della crisi attraverso:
- l’istituzione di assetti organizzativi adeguati (art. 3 CCII e art. 2086 c.c.) per monitorare la salute aziendale e cogliere gli indizi di crisi;
- la gestione prudente e conservativa in caso di difficoltà: ad esempio, se emergono segnali di insolvenza, l’amministratore ha il dovere di evitare operazioni che aggravino il dissesto (come indebite dissipazioni, pagamento preferenziale di alcuni creditori a scapito di altri, ecc.). Comportamenti di imprudenza o ritardo ingiustificato nell’affrontare la crisi possono generare responsabilità civile verso i creditori (azione di responsabilità ex art. 378 CCII) e anche esporre a possibili bancarotte.
- l’attivazione tempestiva degli strumenti: se la crisi è conclamata, il debitore è tenuto ad attivarsi “senza indugio” per un percorso di regolazione (sia esso la composizione negoziata, un accordo, un concordato). In altre parole, esiste un dovere di tempestività: non è codificato in giorni, ma la giurisprudenza storicamente sanziona il “ritardo nel portare i libri in tribunale”. Ad esempio, se un imprenditore insolvente attende un anno a chiedere il fallimento aggravando il buco, rischia l’incriminazione per bancarotta semplice (art. 322 c.p.) e di dover risarcire i creditori per l’aggravio.
12.2 Diritto di scelta dello strumento e iniziativa. Uno dei diritti fondamentali del debitore è la facoltà di scegliere e promuovere l’attivazione della procedura ritenuta più idonea:
- Il debitore (imprenditore) ha il diritto di presentare domanda di concordato preventivo (ordinario o semplificato) se ne ricorrono i presupposti. La legge consente anche di depositare un ricorso di concordato “in bianco” per beneficiare subito della protezione e guadagnare tempo per perfezionare il piano.
- Parimenti, il debitore sovraindebitato ha il diritto di scegliere se proporre un concordato minore o se optare direttamente per la liquidazione controllata (salvo eventuali iniziative di creditori).
- In generale, le procedure concorsuali volontarie sono attivabili ad istanza del debitore come primo motore (ad eccezione dell’allerta – che però è confidenziale – e del fallimento che può essere chiesto da terzi). Questo riflette il principio che il debitore è il soggetto più indicato a valutare la propria risanabilità e a prendere l’iniziativa.
Tale diritto comporta anche che il debitore può ritirare o modificare la propria proposta finché non è intervenuta una votazione o decisione definitiva (con alcuni limiti: nel concordato preventivo ordinario, può presentare una proposta concorrente migliorativa fino a certi termini). Può anche rinunciare alla procedura avviata, sebbene con possibili conseguenze (es. se rinuncia a un concordato, i creditori possono chiedere immediatamente il fallimento).
12.3 Diritti durante la procedura: protezioni e gestione. Una volta in procedura, il debitore gode di specifiche tutele:
- Sospensione delle azioni esecutive: in composizione negoziata, concordato, accordi, concordato minore, appena la procedura è aperta vengono sospese le esecuzioni individuali e non possono iniziarne di nuove. Questo “respiro” è un diritto del debitore (concesso per legge o autorizzato dal giudice) che lo protegge dall’assalto dei creditori e consente di portare avanti trattative o esecuzione del piano.
- Divieto di risoluzione dei contratti essenziali: ad esempio, nel contesto della CNC, il correttivo 2024 ha sancito che le banche non possono revocare i fidi in corso solo perché l’impresa entra in negoziazione. Similmente, normative precedenti impedivano a fornitori essenziali (luce, gas) di sospendere forniture per morosità pregresse durante il concordato. Il debitore ha dunque il diritto di chiedere la continuazione di servizi essenziali, ovviamente pagando il corrente, senza subire interruzioni arbitrarie.
- Facoltà di gestione in continuità: negli strumenti in cui rimane in possesso (CNC, concordato in continuità, concordato minore), il debitore conserva l’amministrazione ordinaria dell’impresa. Ciò gli consente di proseguire l’attività, generare flussi e implementare il piano. Persino in fallimento, c’è il caso peculiare del “esercizio provvisorio con gestione affidata al fallito” se il curatore e il giudice ritenessero che sia più efficiente lasciare l’imprenditore alla guida sotto vigilanza – ipotesi rara ma possibile normativamente. Comunque, il debitore ha diritto di essere coinvolto nelle decisioni: ad esempio, nel concordato in continuità, l’imprenditore prepara e attua il piano sotto il controllo del commissario, ma rimane l’artefice dell’operazione di risanamento.
- Diritto all’assistenza professionale: il debitore può farsi assistere da professionisti di fiducia (avvocati, commercialisti) in tutta la procedura. Nelle procedure negoziali minori è previsto l’OCC, ma il debitore può sempre affiancare un suo legale. Questo garantisce parità di armi e tutela dei suoi interessi nel contraddittorio (soprattutto se ci sono opposizioni dei creditori).
- Diritto di proporre soluzioni alternative: in alcune procedure, se emergono occasioni, il debitore può aggiustare il tiro. Ad esempio, nel fallimento c’è il diritto del fallito (o di terzi) di proporre un concordato fallimentare offrendo ai creditori una soluzione migliore rispetto alla liquidazione. Oppure nel concordato preventivo, il debitore può presentare modifiche migliorative della proposta prima del voto per ottenere consenso. Queste facoltà permettono al debitore di correggere la rotta e cogliere opportunità (es. un investitore che appare all’orizzonte) per migliorare l’outcome e magari evitare la liquidazione integrale.
12.4 Obblighi di trasparenza e cooperazione. In ogni fase, uno dei principali doveri del debitore è la buona fede e la cooperazione:
- Deve fornire informazioni veritiere e complete: i documenti depositati (bilanci, elenco creditori, inventari) devono essere corretti. Dichiarazioni false o reticenti integrano atti in frode e portano all’inammissibilità delle procedure o a reati (es. bancarotta fraudolenta documentale se nel fallimento teneva contabilità falsa).
- Deve astenersi da atti di disposizione non autorizzati: dopo l’apertura di una procedura, il debitore non può dissipare beni o pagare arbitrariamente creditori senza permesso. Nell’ambito del concordato, ogni atto di straordinaria amministrazione dev’essere autorizzato dal giudice (pena l’inefficacia).
- Ha obbligo di versare nelle casse eventuali ricavi in procedure liquidatorie: ad esempio, il fallito che riscuotesse crediti dopo il fallimento deve consegnarli al curatore. Nel concordato minore, se il debitore durante i pagamenti del piano ha entrate straordinarie, deve segnalarle, specie se finalizzate a pagare i creditori (a meno che il piano non preveda diversamente).
- Deve rispettare tempistiche e scadenze: se il tribunale fissa un termine per presentare documenti integrativi o per depositare il piano definitivo, il debitore deve adempiere puntualmente. La violazione dei termini può portare a decadenza (es. mancato deposito del piano entro la proroga concessa nel concordato in bianco = archiviazione e possibile fallimento).
- In fallimento e liquidazione controllata, deve mettere a disposizione il proprio patrimonio: consegnare i beni al curatore/liquidatore, nonché la documentazione (libri contabili, estratti conto). La mancata consegna di libri contabili è punita severamente (bancarotta semplice).
- Obbligo di comparizione e spiegazioni: se convocato dal giudice o dal curatore, il debitore (o i legali rappresentanti della società) devono presentarsi e rispondere. L’art. 49 CCII prevede addirittura che nel concordato preventivo il debitore persona fisica debba comparire personalmente all’adunanza dei creditori salvo giustificato motivo, e nelle altre procedure similmente. Questo perché il contatto diretto con i creditori e organi è considerato dovere di trasparenza.
12.5 Salvaguardie e conseguenze sanzionatorie. Se il debitore adempie ai suoi doveri, potrà beneficiare appieno dei vantaggi delle procedure (omologhe, esdebitazioni, mantenimento di attivi necessari ecc.). Se invece viola gravemente i suoi obblighi:
- Nel concordato preventivo, il commissario può segnalare atti di frode o irregolarità al tribunale che può revocare la procedura (art. 94 CCII) e dichiarare il fallimento, con perdita di tutti i benefici (ad es. perdita della protezione). Lo stesso tribunale, come visto ad esempio nel caso di Napoli per il semplificato, può revocare l’ammissione se scopre condotte opportunistiche.
- Nel concordato minore, se emergono frodi (tipo ha nascosto un attivo rilevante), il tribunale non omologa e anzi potrà dichiarare la liquidazione controllata su istanza di creditori, togliendo la possibilità di accordo favorevole.
- Nel fallimento, i comportamenti scorretti confluiscono in possibili reati fallimentari:
- Bancarotta fraudolenta: se il fallito ha distratto beni, simulato passività, sottratto o falsificato scritture contabili, scatta questo reato gravissimo (pene fino a 6-10 anni).
- Bancarotta semplice: se ha aggravato colpevolmente il dissesto (continuando a fare spese inutili, speculazioni azzardate) o non ha tenuto i libri, etc., reato minore (fino a 2 anni).
- Ricorso abusivo al credito se ha aggravato la posizione indebitandosi senza prospettive (questo è contestato raramente).
- Inoltre, se non collabora, c’è il reato di mancata consegna di beni o scritture.
- Sotto il profilo civile, gli amministratori di società che hanno violato i doveri di adeguati assetti e di preservazione del patrimonio rispondono verso la società o i creditori: il curatore può promuovere l’azione di responsabilità per insufficienza patrimoniale (art. 378 CCII) se riscontra che la gestione negligente ha causato un “buco” maggiore di quello che sarebbe stato con gestione diligente.
12.6 Diritti post-procedura: esdebitazione e riabilitazione. Un diritto cruciale del debitore persona fisica dopo il concorso è la liberazione dai debiti residui:
- Nel concordato (preventivo e minore) l’effetto esdebitatorio è insito nell’omologa e successiva esecuzione del piano.
- Nel fallimento/liquidazione controllata, come detto, c’è il diritto all’esdebitazione finale, se meritevole. Va notato che la legge prevede come diritto quasi automatico se ha cooperato e non ha frodato. Unica eccezione è per debiti per risarcimenti danni da fatti illeciti o debiti alimentari, che rimangono anche dopo (non esdebitabili per ragioni di ordine pubblico).
- Dopo la chiusura di un fallimento, il debitore ha diritto a chiedere la riabilitazione dal tribunale per cessare gli effetti pregiudizievoli (anche se di fatto già l’esdebitazione glieli toglie).
- È da notare che la segnalazione del nominativo del fallito nei registri (come il Registro Informatico dei Protesti o l’archivio CR) viene cancellata dopo un certo periodo dall’esdebitazione, il che aiuta a ripulire la reputazione creditizia.
12.7 Sintesi pratica dei doveri/diritti del debitore nelle varie procedure (Tabella). Nella tabella seguente riassumiamo alcuni dei principali diritti e obblighi del debitore (D) nel percorso concorsuale:
Procedura / Strumento | Diritti del Debitore | Doveri del Debitore |
---|---|---|
Allerta e CNC | – Richiedere assistenza esperto (CNC) – Ottenere misure protettive (stay) – Continuare gestione azienda durante CNC – Confidenzialità delle trattative | – Dotarsi di assetti adeguati – Attivarsi tempestivamente se crisi – Fornire all’esperto documenti veritieri – Condurre trattative in buona fede |
Accordi di ristrutturazione | – Proporre liberamente contenuto accordo – Ottenere omologa se quorum 60% (o 30%) raggiunto – Richiedere misure protettive (moratoria 4 mesi) – Chiedere estensione ai dissenzienti (75% categoria) | – Presentare attestazione e informazioni veritiere – Pagare regolarmente creditori estranei come promesso – Astenersi da atti pregiudizievoli prima dell’omologa (pena rigetto) – Rispettare integralmente i patti post-omologa (pena risoluzione) |
Concordato preventivo (ord.) | – Scegliere tra continuità o liquidatorio – Presentare proposta e piano – Mantenere gestione in continuità (sotto vigilanza) – Ottenere sospensione azioni esecutive – Utilizzare beni previa autorizzazione GD – Nuova finanza prededucibile autorizzata – Cram-down: chiedere omologa anche con classi dissenzienti – Revoca atti pregiudizievoli (es. contratti onerosi) con ok GD | – Deposito documenti obbligatori completi (pena inammissibilità) – Non aggravare il dissesto durante la procedura – Atti urgenti solo se autorizzati (pena revoca) – Pagare forniture successive (per continuare attività) – Cooperare con commissario (fornire info trimestrali) – Rispettare piano omologato in ogni parte (pena risoluzione) |
Concordato semplificato | – Accesso rapido dopo CNC fallita – No voto creditori (procedura più veloce) – Misure protettive come ordinario (stop pignoramenti) – Possibile suddivisione in classi credito (flessibilità) – Conservare gestione fino a nomina liquidatore | – Requisito: aver condotto CNC con buona fede – Presentare proposta entro 60 gg da fine CNC – Offrire ai creditori almeno quanto in fallimento – Consegnare beni al liquidatore nominato – Non sottrarre attivo durante CNC (pena diniego accesso) |
Liquidazione giudiziale (fall.) | – Automatic stay: stop a tutte esecuzioni individuali – Esdebitazione dopo chiusura (fresh start) – Mantenimento mezzi di sostentamento (alimenti prelevati da attivo in casi previsti) – Se ditta individuale: eventuale esercizio provvisorio su proposta curatore (salvo casi) – Facoltà proporre concordato fallimentare (entro certo termine) | – Dichiara insolvenza tempestivamente (se debitore la chiede) – Consegnare libri contabili, documenti e beni – Collaborare con curatore (informazioni su crediti, debitori, ecc.) – Non uscire da residenza senza avvisare – Non nascondere beni (reato bancarotta) – Partecipare all’interrogatorio fallimentare e alle udienze se convocato |
Liquidazione controllata (sovraind.) | – Accesso volontario (salvo eccezioni) – Esdebitazione a fine procedura (meritevole) – Possibile esdebitazione immediata incapiente meritevole – Trattenere stipendio minimo vitale (quota esclusa da liquidazione) – Conservare oggetti personali impignorabili (es. beni affetto) – Sospensione azioni esecutive dei creditori – Assistenza OCC per tutela | – Deposito elenco completo beni, redditi, creditori – Non creare nuovo indebitamento ingiustificato – Consegnare beni al liquidatore (compresa casa se va venduta) – Versare eccedenze di reddito periodicamente alla massa – Non nascondere miglioramenti di reddito (esdebitaz. incapiente può essere revocata se in 4 anni sopravviene attivo rilevante) – Collaborare con OCC/gestore in ogni fase |
Concordato minore | – Proporre accordo con creditori (evita liquidaz.) – Silenzio-assenso: creditori inattivi contati pro – Mantenere attività (continuare a lavorare) – Conservare beni non previsti da piano (es. se non offre la casa e creditori comunque accettano, la tiene) – Liberazione debiti residui a omologa (a esecuzione completata) – Transazione fiscale inclusa (taglio debiti fiscali possibile) | – Redigere piano sostenibile e veritiero – Raggiungere almeno 51% di consensi in valore – Pagare integralmente quota prevista a creditori privilegiati su beni (minimo valore liquidazione) – Versare nei termini le eventuali rate concordate – Sottoporsi alla vigilanza OCC e liquidatore (quest’ultimo controlla l’esecuzione) – Non aggravare posizione finanziaria durante attesa omologa (niente nuovi debiti senza poterne far fronte) |
(La tabella sopra evidenzia in modo non esaustivo i principali diritti/doveri. Le disposizioni esatte variano; per approfondimenti normativi, si vedano gli articoli di legge citati nella sezione fonti.)
In generale, la filosofia del CCII è di responsabilizzare il debitore: chi si attiva tempestivamente, collabora e agisce con lealtà ottiene una serie di benefici (dalla conservazione dell’impresa, alla protezione, fino alla “clean slate”). Chi invece persiste in atteggiamenti ostruzionistici o dolosi viene punito con la perdita di tali benefici e possibili sanzioni.
13. Approfondimenti giurisprudenziali rilevanti
Nel periodo successivo all’entrata in vigore del Codice della Crisi (2022-2025), la giurisprudenza ha iniziato a fornire interpretazioni e a mettere alla prova le nuove norme in casi concreti. In questa sezione richiamiamo alcune sentenze e pronunce significative che offrono chiarimenti o indicano orientamenti applicativi su punti chiave.
- Tribunale di Vicenza, 25 febbraio 2023 (primo PRO omologato) – Caso di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione. Il debitore, piccola società immobiliare, aveva già tentato un accordo di ristrutturazione poi risolto per inadempimento. Di fronte all’istanza di fallimento promossa da una banca ipotecaria di primo grado, l’imprenditore ha proposto un PRO per evitare la liquidazione giudiziale. La proposta prevedeva la vendita dell’unico immobile con offerta irrevocabile di acquisto già disponibile e il pagamento integrale del credito ipotecario dissenziente (in modo da eliminare il suo diritto di voto). I restanti crediti (banche chirografarie) accettavano un pagamento parziale. Il Tribunale ha omologato il PRO, sottolineando che:
- Il PRO può essere utilizzato anche in funzione difensiva per bloccare iniziative di fallimento, purché offra una soddisfazione migliore dell’alternativa.
- È legittimo creare classi ad hoc (ad esempio isolare un creditore ipotecario in una classe tutta sua) se ciò risponde a caratteristiche omogenee di posizione di quel creditore e consente la fattibilità del piano. Nel caso, la banca ipotecaria fu posta in classe separata e soddisfatta integralmente (perderebbe il voto), e ciò è stato ritenuto conforme alla legge.
- Ha evidenziato la “maggiore rigidità” del PRO rispetto al concordato, poiché serve il voto favorevole in tutte le classi, però in fattispecie con poche classi ciò è risultato gestibile.
- Tribunale di Udine, 9 marzo 2023 (PRO con prenotativa e allerta Fisco) – Un altro PRO, in cui il debitore aveva due istanze di fallimento pendenti (di cui una presentata dall’Agenzia delle Entrate) e impossibilità di concludere in tempo un accordo di ristrutturazione. Ha depositato domanda di PRO “con riserva” ottenendo lo stay immediato e poi presentato un piano. Il tribunale:
- Ha concesso la protezione urgente data la pendenza di istanze di liquidazione giudiziale, mostrando che il PRO è accessibile anche per debitori già bersaglio di richieste di fallimento, come estrema ratio.
- In sede di ammissione, ha fatto considerazioni innovative: in particolare, ha affermato che se un creditore pubblico (Erario) non è nei fatti in grado di accordarsi velocemente (cosa comune per debiti fiscali elevati), il debitore può legittimamente bypassare l’accordo ex art. 57 e usare il PRO, dove la soddisfazione del Fisco potrà essere votata in classe chirografi. Nel caso, l’Erario era dissenziente ma la sua pretesa (IVA, contributi) veniva soddisfatta in misura migliore del fallimento, dunque il PRO è passato, nonostante il dissenso del Fisco.
- Ha inoltre valorizzato il fatto che la fase prenotativa brevissima (poche settimane) è servita proprio a predisporre la proposta, e che l’imprenditore ha agito con tempestività sfruttando l’early warning (l’Agenzia Entrate aveva segnalato la crisi e poi chiesto fallimento; l’impresa è riuscita a reagire col PRO).
- Tribunale di Napoli, decreto 25 ottobre 2023 (revoca concordato semplificato) – Vicenda in cui un imprenditore aveva concluso la composizione negoziata senza accordo e depositato proposta di concordato semplificato. Il tribunale partenopeo ha scoperto che durante la CNC le trattative erano state condotte in modo non genuino: l’imprenditore avrebbe assunto atteggiamenti ostruzionistici, forse per arrivare di proposito al semplificato (che bypassa il voto creditori). Il Tribunale ha quindi:
- Revocato l’ammissione al concordato semplificato (che era stata inizialmente disposta automaticamente su domanda).
- Contestualmente dichiarato la liquidazione giudiziale (fallimento) del debitore, ritenendo non soddisfatte le condizioni di accesso per vizio di buona fede.
- Precisato che il giudice deve vigilare sull’“effettiva legittimità” dell’accesso al semplificato e può negarlo se ritiene mancante la correttezza delle trattative. Nel caso, si parla addirittura di revoca post-ammissione: segno che a Napoli inizialmente l’avevano ammesso salvo poi, alla luce di elementi emersi (forse dalle relazioni dell’esperto), revocare.
- Tribunale di Como, 10 maggio 2024 (opposizione in concordato semplificato) – In un’altra pronuncia riguardante il concordato semplificato (riportata in riviste specialistiche), i giudici lariani hanno esaminato l’opposizione di un creditore che sosteneva la non convenienza della proposta semplificata rispetto al fallimento (riteneva di poter ottenere di più in caso di vendita fallimentare). Il Tribunale:
- Ha applicato il parametro del “miglior soddisfacimento”: valutando che il concordato semplificato proposto offriva ai creditori almeno quanto avrebbero ottenuto dalla liquidazione ordinaria (tenuto conto di costi e tempi inferiori), e dunque l’opposizione è stata rigettata.
- Ha evidenziato che il concordato semplificato è funzionalmente equivalente ad una liquidazione giudiziale, ma con alcune efficienze: ad esempio, minor dispersione di attivo per costi procedurali. Pertanto, se il piano appare fattibile e non peggiorativo, l’opposizione del singolo creditore non blocca l’omologa.
- Inoltre, Como ha ribadito che anche nel semplificato il tribunale può subordinare l’omologa a condizioni, come il deposito di somme integrative o la nomina di un ausiliario, a tutela di tutti i creditori.
- Cassazione Civile, Sez. I, 17 febbraio 2022, n. 4696 – Pronuncia che, pur riferita ad un accordo ex art. 182-bis L.F. sotto la vecchia legge (oggi accordo ristrutturazione CCII), è significativa perché traccia differenze di regime tra accordo e concordato e i riflessi post-procedura. La Suprema Corte ha stabilito che:
- Nel concordato preventivo, se fallisce (per risoluzione o revoca), i creditori non possono promuovere istanza di fallimento prima che vi sia la risoluzione giudiziale del concordato omologato; viceversa,
- Nell’accordo di ristrutturazione, non è necessario attendere una dichiarazione giudiziale di risoluzione per poter richiedere il fallimento del debitore inadempiente. Se l’accordo omologato non viene eseguito, i creditori possono considerarlo risolto de facto e presentare istanza di liquidazione giudiziale anche senza un provvedimento formale di risoluzione (a differenza del concordato dove l’art. 119 CCII impone la risoluzione in caso di istanza di fallimento durante la vigenza).
- Cassazione Civile, Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7344 – Questa sentenza (riguardante un concordato fallimentare, quindi contesto L.F. ma principi estensibili) ha affermato un criterio di comparazione di convenienza: in sede di omologa di un concordato, il tribunale che si trova classi dissenzienti deve verificare non solo la regola formale di maggioranze ma anche che ai dissenzienti sia assicurato almeno il valore di liquidazione (principio ora codificato nell’art. 112 CCII). La Cassazione ha rimarcato che il giudizio di convenienza in caso di cram-down è sindacabile in Cassazione solo se manifestamente erroneo. Dunque, c’è un’ampia discrezionalità del giudice di merito nel valutare le stime di quanto spetterebbe in fallimento ai fini dell’omologa forzata. Importanza: conferma che l’architrave dell’omologazione forzata è il rispetto del best interest test (nessun creditore dissenziente può essere trattato peggio che in fallimento) e che tale valutazione economica è considerata tipicamente di merito. Oggi questo è scolpito negli articoli dei concordati e PRO, riflettendo quell’arresto.
- Tribunale di Rimini, 28 ottobre 2022 (Concordato minore – giudizio di meritevolezza ex art. 77) – In uno dei primi casi di concordato minore, il Tribunale si è soffermato sulla cosiddetta “meritevolezza” del debitore sovraindebitato. Ha chiarito che, diversamente dal precedente “piano del consumatore”, nel concordato minore non è richiesto un giudizio di meritevolezza da parte del tribunale per l’ammissibilità. Il tribunale verifica solo l’assenza di atti in frode e la fattibilità, ma non può negare l’accesso valutando soggettivamente il debitore (ad esempio, se il sovraindebitamento è colpa di sua imprudenza, ciò non preclude il concordato minore). Viene però ricordato che la meritevolezza tornerà rilevante per l’eventuale esdebitazione finale post-liquidazione (art. 282 CCII). Importanza: mette un punto fermo – tutti i sovraindebitati, anche se “colpevoli” di scelte sbagliate, possono tentare un concordato minore. Questo amplia la platea rispetto al vecchio piano del consumatore, dove il giudice poteva rigettare per indegnità. Così, il peso del giudizio è spostato sul voto dei creditori: se questi, pur reputando il debitore poco meritevole, preferiscono incassare qualcosa subito, voteranno sì. E se il debitore ha agito male ma i creditori comunque votano il piano, il tribunale non può opporsi su base etica. Ciò evidenzia la logica più contrattuale del CCII per questi strumenti.
- Tribunale di Milano, 14 ottobre 2022 (Allerta – adeguati assetti) – Una pronuncia (segnalata da dottrina) in cui il Tribunale milanese, in sede cautelare, ha ordinato a una società di capitali di dotarsi di organo di controllo societario, ritenendo che i parametri dimensionali ex art. 2477 c.c. fossero superati e che dunque la mancanza del collegio sindacale impediva di rilevare tempestivamente i segnali di crisi. Ciò collegando direttamente l’obbligo di adeguati assetti e organi di controllo alla normativa concorsuale. Anche se non è una “sentenza” classica, è un provvedimento significativo: Importanza: è un esempio di come le norme societarie sull’obbligo di nominare sindaci e di istituire assetti organizzativi vengano interpretate alla luce del Codice della Crisi come strumento per l’allerta precoce. In pratica il messaggio è: non rispettare l’obbligo di sindaci quando dovuto può costituire violazione che incide sul sistema di prevenzione della crisi e quindi può essere sanzionato in via giudiziale. Questo rafforza il dovere degli amministratori di attrezzare l’azienda per la diagnosi tempestiva, pena interventi d’ufficio.
In aggiunta a tali pronunce, possiamo menzionare:
- Cassazione Penale, Sez. V, 30 aprile 2021, n. 15430 (rilevante perché poco prima del CCII): ha sancito che l’amministratore che omette deliberatamente di chiedere il fallimento e continua l’attività aggravando il dissesto risponde di bancarotta semplice, seppur l’imprenditore sperasse in un risanamento. Ciò sottolinea la linea severa sulla tardiva emersione dell’insolvenza.
- Corte Costituzionale, sent. 6 aprile 2022, n. 67: ha dichiarato infondata la questione di legittimità sull’automatismo di esdebitazione per il fallito onesto (introdotto dal DL 137/2020). Questa decisione ha di fatto avallato la svolta pro-debitore del fresh start, consolidata poi dal CCII. Ora l’esdebitazione di diritto per il fallito meritevole è realtà.
Tutte queste pronunce, in sinergia con la normativa aggiornata, delineano un sistema in cui:
- Il debitore diligente e corretto è favorito (gli si aprono scorciatoie come il concordato semplificato – ma a condizione di non abusarne, vedi Napoli 2023 – e la liberazione dai debiti).
- Il debitore ostruzionista o scorretto viene rapidamente spinto verso la liquidazione forzosa e punito (come illustrato da Napoli 2023 e vari casi di revoche e condanne).
- I creditori vedono riconosciuta una tutela nelle valutazioni di convenienza (le pronunce su best interest test garantiscono che non possano essere “schiacciati” da soluzioni concorsuali peggiorative) e meccanismi come l’estensione degli accordi e il cram-down di concordato impediscono ai singoli opportunisti di bloccare soluzioni globalmente vantaggiose.
La giurisprudenza, nel suo insieme, sta quindi dando attuazione pratica ai principi del CCII: emersione anticipata, ricerca di soluzioni concordate (favor per accordi e piani flessibili), ma anche rigore contro l’abuso e l’opacità. Col passare del tempo avremo ulteriori pronunce, soprattutto di legittimità, che chiariranno punti aperti (ad es. alcuni dettagli su transazione fiscale obbligatoria e relative competenze – si segnala la Cass. n. 8500/2021 che ha chiarito che il diniego dell’Erario in un concordato si impugna davanti al giudice fallimentare, non alle commissioni tributarie, principio recepito nel CCII).
In conclusione, l’evoluzione giurisprudenziale conferma l’impianto riformatore: promuovere un atteggiamento proattivo e collaborativo del debitore e un controllo più sostanziale del giudice sui risultati per i creditori. Il debitore che intende massimizzare le chances di successo nelle sue iniziative concorsuali dovrà tener conto di questi orientamenti: agire con trasparenza, rispettare gli obblighi informativi, e costruire piani realmente equilibrati (tenendo i creditori dissenzienti indenni almeno quanto la liquidazione offrirebbe).
14. Domande frequenti (FAQ)
Di seguito una raccolta di domande comuni che imprenditori, professionisti e debitori in crisi possono porsi, con risposte chiare basate su quanto esposto in guida:
D1: Quando un’azienda in difficoltà dovrebbe attivare la procedura di composizione negoziata o un’altra misura?
R: Non appena emergono segnali che l’impresa non riuscirà probabilmente a far fronte regolarmente alle obbligazioni nei prossimi 12 mesi. Indici tipici: perdite ricorrenti che erodono il patrimonio, tensioni di liquidità (incapacità di pagare fornitori se non dilazionando oltre il dovuto), esposizioni scadute verso Fisco o dipendenti. Il CCII spinge per un’attivazione tempestiva: il dovere degli amministratori è di non aspettare l’insolvenza conclamata. Se c’è probabilità di insolvenza, conviene attivare la composizione negoziata (o almeno consultare un esperto) per tentare un risanamento. La composizione negoziata può essere attivata in uno stadio precoce (stato di crisi incipiente) ed è confidenziale, quindi è lo strumento di elezione non appena i flussi di cassa prospettici appaiono inadeguati. Attendere troppo a lungo può significare perdere opportunità di ristrutturazione e incorrere in responsabilità per aggravamento del dissesto.
D2: Quali sono i vantaggi di rivolgersi all’esperto nella composizione negoziata rispetto a negoziare da soli con i creditori?
R: L’esperto indipendente fornisce imparzialità e competenza: facilita il dialogo, fa emergere soluzioni creative e può far sedere al tavolo i creditori restii. Inoltre, la piattaforma telematica e la cornice legale permettono al debitore di ottenere protezione dalle azioni dei creditori (stay) approvata dal tribunale, cosa che non accade in trattative private. Altro vantaggio: nella CNC l’esperto può accedere ai database fiscali e previdenziali e delineare un quadro affidabile del debito, evitando contestazioni su chi è dovuto cosa. Ci sono anche incentivi normativi: durante la CNC, gli interessi moratori su debiti fiscali sono ridotti, alcune sanzioni sono congelate e le banche non possono revocare fidi a piacimento. Tutto ciò crea un contesto protetto in cui il debitore ha più chances di raggiungere un accordo. Infine, se la CNC non porta a un risanamento, il debitore ottiene il diritto di accedere al concordato semplificato, possibilità che non avrebbe senza passare dalla CNC.
D3: Un piccolo imprenditore sotto-soglia (non fallibile) è obbligato ad usare il “concordato minore” in caso di crisi?
R: No, non c’è un obbligo di legge a usare il concordato minore. Tuttavia, è lo strumento consigliato per risolvere il sovraindebitamento di un imprenditore non fallibile, perché gli permette di proporre ai creditori una soluzione concordata e di evitare la liquidazione giudiziale del proprio patrimonio. Se non fa nulla, i creditori potranno aggredirlo individualmente e, se i debiti sono tanti, potranno (dal 2023) persino chiedere al tribunale di aprire d’ufficio la liquidazione controllata. Quindi, pur non essendo obbligatorio per legge, è altamente raccomandabile che il piccolo imprenditore in crisi si attivi con il concordato minore per cercare di salvare l’attività e ridurre i debiti. Ha il vantaggio del silenzio-assenso (creditori che non rispondono valgono come favorevoli, il che facilita l’approvazione). In sintesi: obbligo no, ma in mancanza di iniziativa volontaria del debitore i creditori possono forzare una liquidazione.
D4: Un professionista (avvocato, medico) sommerso dai debiti può liberarsi dal peso debitorio?
R: Sì. I professionisti sono considerati debitori non fallibili (non esercitano attività di impresa commerciale, e comunque come persone fisiche non falliscono). Possono quindi utilizzare gli strumenti del sovraindebitamento: in particolare, il concordato minore se vogliono continuare la loro attività pagando parzialmente i debiti con i proventi futuri, oppure la liquidazione controllata se intendono mettere a disposizione il proprio patrimonio attuale per chiudere la partita. Ad esempio, un avvocato con debiti fiscali e bancari può proporre ai creditori un piano in 4-5 anni col suo reddito, ottenendo l’esdebitazione per la parte che non riesce a pagare. Oppure, se non è in grado di pagare nulla, può avviare la liquidazione controllata e, terminata quella, chiedere l’esdebitazione di tutto il residuo. Questo comprende pure i debiti personali come mutui, finanziamenti, ecc. Anche i consumatori semplici (non professionisti) hanno le stesse vie. Dunque la risposta è: sì, grazie al CCII c’è la “seconda chance” anche per i professionisti e i privati, tramite concordato minore o liquidazione controllata con esdebitazione.
D5: Che differenza c’è tra il concordato preventivo in continuità e il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione?
R: Entrambi mirano al risanamento, ma con differenze:
- Nel concordato in continuità, l’impresa continua l’attività sotto il controllo del tribunale, c’è un voto dei creditori (eventualmente per classi) e il tribunale può omologare anche con qualche classe dissenziente, a certe condizioni. Si devono rispettare in parte le cause di prelazione (privilegiati vanno soddisfatti almeno fino a capienza del valore dei beni) e i chirografari in caso di liquidazione parziale devono avere almeno il 20%.
- Nel PRO, il debitore costruisce liberamente un piano con classi di creditori e può anche derogare alle regole di priorità patrimoniale (pagare meno un privilegiato se la sua classe approva). Serve però l’approvazione di tutte le classi. Quindi il PRO dà più flessibilità di contenuto (puoi, con il consenso delle classi interessate, violare la par condicio), ma in compenso richiede consenso unanime fra le classi, il che è più rigido. Inoltre, il PRO è una procedura più snella: non c’è commissario, c’è solo l’omologa finale se le classi approvano.
In sintesi: - Concordato in continuità – più controllo giudiziale durante, rispetto prelazioni salvo cram-down, possibile omologa anche con dissenso parziale, obbligo classi (nel CCII).
- PRO – più libertà nel trattamento dei creditori (deroghe a 2740/2741 c.c.), ma occorre che ogni singola classe sia d’accordo (nessun cram-down interclassi previsto esplicitamente). Il PRO è stato pensato per situazioni in cui il debitore riesce a coalizzare tutti i creditori intorno a un piano innovativo che magari scontenta le gerarchie legali, mentre il concordato serve se c’è bisogno di poter forzare la mano a qualche gruppo dissenziente sotto tutela del giudice.
D6: Cosa accade se, dopo l’omologazione di un concordato (preventivo o minore), il debitore non riesce a rispettare il piano?
R: Se il debitore non esegue gli obblighi previsti dal piano omologato, i creditori possono attivarsi per la risoluzione del concordato. Nel concordato preventivo ordinario, basta un’inadempienza di non scarsa importanza perché su istanza di un creditore il tribunale dichiari la risoluzione (art. 119 CCII) e, contestualmente, apra la liquidazione giudiziale, salvo che nel frattempo il debitore non proponga un nuovo concordato. Nel concordato minore, similmente, l’art. 80 CCII prevede che i creditori non soddisfatti possano chiedere la risoluzione e il tribunale, riscontrato l’inadempimento, revoca l’omologa e apre la liquidazione controllata. Dunque l’effetto pratico è: il concordato viene annullato e si passa a fallimento o liquidazione. I crediti originari riprendono vigore al netto di quanto eventualmente già ricevuto. Ad esempio, se nel concordato preventivo i creditori hanno avuto un 10% e poi non ricevono più nulla, col fallimento successivo potranno insinuarsi per il restante 90% (meno eventuali somme incassate in prededuzione, perché i pagamenti parziali in concordato poi sono considerati debiti prededucibili in caso di fallimento succ.). Nota: la Cass. ha detto che per gli accordi di ristrutturazione, i creditori non devono nemmeno attendere una pronuncia di risoluzione per chiedere fallimento. Invece per i concordati è necessaria la risoluzione giudiziale.
In breve: se il debitore non rispetta il piano omologato, la protezione finisce e si torna a una procedura liquidatoria dove i creditori cercheranno di recuperare il recuperabile (spesso ben poco se il piano è fallito per mancanza di risorse).
D7: L’imprenditore che viene dichiarato in liquidazione giudiziale (fallimento) può subito avviare una nuova attività o ricoprire cariche societarie?
R: Durante la procedura di liquidazione giudiziale, il fallito (persona fisica) subisce alcune incapacità personali: ad esempio, non può ricoprire uffici direttivi in società, non può gestire patrimoni altrui, e per contrarre obbligazioni o stare in giudizio deve avere autorizzazione del giudice delegato (artt. 322-323 CCII). Queste limitazioni cessano con la chiusura della procedura. In passato esisteva l’istituto della “riabilitazione civile” per il fallito, ora superato dall’esdebitazione. Oggi, se il fallito ottiene l’esdebitazione, può immediatamente tornare a fare impresa senza quei debiti (salvo restino eventualmente debiti esdebitazione esclusi come risarcimenti, ma in genere è libero). Quindi sì, può avviare nuova attività dopo la chiusura del fallimento, e persino durante se autorizzato (in teoria nulla vieta che apra una nuova ditta individuale nel mentre, anche se pragmaticamente nessuno gli farà credito e dovrà informare di essere fallito). Quanto alle cariche societarie: il fallito finché dura il fallimento non può essere amministratore di società di capitali (è causa di ineleggibilità e decadenza da amministratore finché dura il fallimento). Dopo la chiusura, riacquista la capacità; ancor prima, se ottiene l’esdebitazione (che per persone fisiche avviene di regola al termine, ma può anche essere anticipata per incapienti), è liberato dai debiti ma lo status di fallito dura fino alla chiusura formale. In pratica, passati i tempi tecnici, può tornare alla normale vita economica. Da notare che se il fallimento è stato causato da mala gestio grave o dolo, la persona potrebbe essere interdetta dai pubblici uffici per un periodo, ma queste pene accessorie sono state mitigate.
In conclusione: dopo il fallimento l’imprenditore può ripartire (ed è anzi l’obiettivo della riforma, dare seconda chance). Durante, ha capacità limitata finché la procedura non è chiusa.
D8: I debiti fiscali e contributivi possono essere tagliati nelle procedure di crisi?
R: Sì, oggi è possibile includere anche Erario e enti previdenziali nelle riduzioni concordatarie. Nel concordato preventivo e minore, il debitore può proporre la cosiddetta transazione fiscale: ad esempio, pagare solo il 50% di IVA, sanzioni ridotte al 0%, ecc. L’Agenzia delle Entrate e l’INPS parteciperanno al voto come creditori chirografari (per la parte non privilegiata) o privilegiati. Con il CCII è stato rafforzato il meccanismo per cui, se il Fisco rifiuta irragionevolmente una proposta che gli dà almeno quanto otterrebbe dalla liquidazione, il tribunale può omologare comunque (cram-down fiscale). Ciò vale in concordato preventivo (art. 112 CCII) e anche in accordi di ristrutturazione (art. 63 CCII prevede reclamo se l’Erario rifiuta). Dunque i debiti fiscali e contributivi sono ristrutturabili: si possono dilazionare e anche falcidiare (tranne l’IVA e ritenute, per le quali la legge originariamente vietava lo stralcio, ma ora è ammesso in sede concorsuale se c’è adesione o cram-down).
Nei piani del consumatore / concordati minori, parimenti si possono includere debiti fiscali con stralci. L’importante è offrire almeno il valore di realizzo sui beni su cui hanno privilegio (ad esempio il privilegio generale sui mobili per l’IVA: devi far sì che quell’importo sia coperto se ci sono beni mobili capienti, altrimenti devi motivare). Ma non è più tabù tagliare tasse: la direzione UE e della nostra riforma è stata di consentirlo per favorire i risanamenti.
Nota: se il debitore vuole evitare di coinvolgere il Fisco in un lungo negoziato, l’accordo di ristrutturazione prevede la scorciatoia del cram-down fiscale con reclamo: se l’AdE dice no e il tribunale considera la proposta conveniente, può omologare e il Fisco è dentro lo stesso.
In sintesi: sì, oggi il Fisco “sta al gioco” delle procedure concorsuali. Naturalmente serve predisporre proposte serie e fondate, avvalorate dall’attestatore, altrimenti l’Erario negherà l’adesione e anche il giudice non potrà forzarla se non c’è convenienza per l’Erario.
D9: Che succede ai contratti in corso (affitti, forniture, leasing) quando apro una procedura concorsuale?
R: Dipende dalla procedura:
- In composizione negoziata, i contratti proseguono normalmente, salvo che il debitore chieda al tribunale di sospendere o sciogliere specifici contratti onerosi (art. 20 CCII) perché ostacolano la ristrutturazione. Il tribunale può autorizzarlo a sospenderli fino a 90 giorni (rinnovabili) o a scioglierli, con indennità per la controparte. E come visto, c’è il divieto per alcuni contraenti (banche) di risolvere solo per il fatto dell’ingresso in CNC.
- In concordato preventivo, c’è una norma simile (ex art. 95 CCII, già 169-bis L.F.): il debitore in continuità può chiedere di sciogliere contratti di leasing, forniture a lungo termine, etc., se ciò è funzionale al piano. Il tribunale autorizza e la controparte ha diritto a un risarcimento danni che però viene soddisfatto come credito concorsuale (quindi di solito in percentuale). Se invece vuole mantenerli ma magari modificarne i termini, può farlo solo consensualmente o tramite misure protettive (ad es. un fornitore essenziale – come un utility – non può cessare il contratto per morosità pregressa se il debitore lo paga regolarmente durante il concordato).
- In liquidazione giudiziale (fallimento), i contratti pendenti (non completamente eseguiti) sono sospesi in attesa che il curatore decida entro 60 giorni se subentrarvi o scioglierli (art. 172 CCII). Se li scioglie, la controparte ha solo un credito per danni (chirografario). Alcuni contratti si sciolgono automaticamente ex lege (come i contratti di società di cui il fallito era socio illimitatamente responsabile, o contratti intuitu personae). Il curatore, se prosegue l’esercizio provvisorio, di solito subentra nei contratti utili (es. affitto dell’immobile, forniture di energia) per il tempo necessario.
- In concordato minore e liquidazione controllata, direi si applicano simili criteri: nel concordato minore, se l’attività prosegue, il debitore può chiedere al giudice di sospendere o sciogliere contratti in corso analogamente (il CCII prevede questa possibilità per tutte le procedure di regolazione della crisi). Nella liquidazione controllata, il liquidatore assume i poteri del curatore e può sciogliere i contratti pendenti (ad es. rescindere un contratto di affitto se oneroso, vendere l’immobile libero).
In poche parole, il filo conduttore è: se il contratto è utile alla prosecuzione (e c’è continuità), il debitore/curatore di solito lo mantiene in essere (pagando regolarmente le prestazioni correnti come debiti della procedura, quindi prededucibili), mentre se è d’intralcio, può chiedere di scioglierlo, trattando l’eventuale penale come debito concorsuale. Il contraente, dal canto suo, non può risolvere unilateralmente solo perché c’è la procedura (clausole ipso facto di risoluzione in caso di insolvenza sono nulle in molti ordinamenti, e in Italia per pubblici servizi e fornitori essenziali c’è divieto di cessazione). Casi come il leasing: in concordato, il debitore spesso chiede lo scioglimento, restituendo il bene e lasciando la società di leasing con un credito residuo; in fallimento, il curatore può subentrare (se conviene vendere il bene con leasing in corso) o sciogliere.
D10: Come scegliere tra accordo di ristrutturazione e concordato preventivo?
R: Dipende dalla struttura del debito e dal grado di consenso che si può ottenere:
- Gli accordi di ristrutturazione sono ideali se il debitore ha relativamente pochi creditori rilevanti, ad esempio 3-5 banche che detengono il grosso del debito finanziario, e ritiene di poter ottenere almeno il 60% di adesioni. Permettono soluzioni più flessibili e riservate (meno pubblicità). Inoltre, se non vuole coinvolgere tutti i fornitori minori nell’accordo, li può tenere fuori pagando regolarmente loro (il che in un concordato sarebbe impossibile, perché tutti i creditori sono inclusi e soggetti al divieto di pagamento parziale).
Tuttavia, se c’è rischio che alcuni creditori facciano hold-out (non aderiscano sperando di essere preferiti), si può considerare l’accordo ad efficacia estesa, se applicabile (ad es. categorie di banche). - Il concordato preventivo si usa se:
- bisogna coinvolgere tutti i creditori in una sistemazione, perché sono tanti o diffusi (nell’accordo è difficile contattare migliaia di creditori; nel concordato loro “partecipano” collettivamente col meccanismo del voto e con l’intervento del commissario);
- se il debitore non riesce ad ottenere quella soglia del 60% (o 30%) di consensi privatamente, allora l’unica è il concordato dove serve la maggioranza dei votanti e il cram-down su eventuali dissenzienti;
- se la situazione richiede anche di gestire la continuità aziendale sotto protezione più stretta (nel concordato hai commissario e giudice a vigilare, che può essere utile per garantire terzi come nuovi investitori).
In pratica: accordo se ho pochi creditori e già il loro accordo di massima – meno costoso e più veloce; concordato se ho tanti creditori frammentati o so già che qualche categoria voterà contro e dovrò convincere col cram-down.
Un esempio: un’azienda con soprattutto debiti bancari può preferire l’accordo (anche perché gli accordi agevolati permettono di evitare il tribunale nella fase di voto e di proseguire velocemente con l’omologa se le banche chiave firmano). Se invece l’azienda ha moltissimi fornitori piccoli e alcuni creditori pubblici, converrà il concordato (dove con meccanismo del silenzio-assenso e il cram-down fiscale se l’Erario vota no potrà comunque chiudere la partita).
Infine, considerare le tempistiche: un accordo di ristrutturazione può in certi casi omologarsi anche in 4-5 mesi totali; un concordato spesso ne richiede 9-12. Se l’urgenza è grande e c’è cooperazione dei principali creditori, l’accordo è preferibile.
D11: Se ho perso tutto con il fallimento della mia azienda, i debiti che restano a mio nome (ad es. garanzie personali, debiti verso il fisco non saldati in fallimento) li dovrò pagare per sempre?
R: No, per fortuna l’ordinamento oggi ti consente di liberartene con l’esdebitazione post-fallimentare. Se la tua società di persone è fallita (e tu come socio illimitatamente responsabile sei stato coinvolto, o se sei ditta individuale fallita), dopo la chiusura del fallimento puoi essere esdebitato – liberato dai debiti residui – a condizione di aver cooperato lealmente e di non aver commesso reati fallimentari gravi. Non c’è più discrezionalità: il giudice deve concederla salvo tu sia stato fraudolento. Quindi quei debiti personali (fiscali, di fornitori) che il fallimento non ha soddisfatto saranno cancellati, e i creditori non potranno più pretenderli. Anche se non c’è alcun attivo nel fallimento, puoi chiedere l’esdebitazione “del debitore incapiente”, che cancella i debiti residui immediatamente, se sei meritevole e proprio non avevi nulla da dare. Ci sono eccezioni: restano esclusi dall’esdebitazione eventuali debiti per obblighi di mantenimento (alimenti), risarcimenti per danni da fatto illecito e sanzioni penali/amministrative (questi per legge non li cancelli neanche col fallimento). Ma tutti i normali debiti d’impresa e fiscali sì, vengono spazzati via. Quindi, conclusa la procedura fallimentare, potrai ricominciare senza quei vecchi debiti.
Attenzione: se invece hai prestato fideiussioni personali per debiti della società fallita, la tua esdebitazione personale non copre i coobbligati e garanti: la banca potrebbe rivalersi su un eventuale coobbligato che non è fallito. Ma per quanto riguarda te, sei libero. Questo è uno dei maggiori progressi del nuovo diritto fallimentare, ispirato al principio della second chance promosso dall’UE.
D12: Cosa sono gli “strumenti di allerta precoce” e sono già operativi?
R: Gli strumenti di allerta precoce (early warning) sono meccanismi introdotti dal Codice della Crisi per individuare e segnalare tempestivamente i sintomi di crisi di un’impresa, così da intervenire prima dell’insolvenza conclamata. In pratica si basano su due canali:
- Allerta interna: obblighi per l’organo amministrativo di dotarsi di sistemi di controllo (adeguati assetti) e obblighi per l’organo di controllo e revisori di segnalare immediatamente agli amministratori eventuali segnali d’allarme e, se ignorati, di informare l’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi).
- Allerta esterna: obblighi per alcuni creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione) di inviare al debitore (e all’organo di controllo) una segnalazione quando rilevano che i debiti scaduti superano certe soglie (es. IVA non versata > 5.000 € e 10% fatturato, contributi INPS > 15.000 €). Questa comunicazione deve invitare formalmente a rivolgersi alla composizione negoziata.
Storicamente, il CCII prevedeva un sistema con un OCRI istituito presso le Camere di Commercio, che avrebbe gestito la fase di allerta assistita. Ma quell’impianto è stato sostituito dalla composizione negoziata volontaria nel 2021. Dunque oggi:- Le segnalazioni interne ed esterne sono operative (dal 15 luglio 2022, e INAIL dal 2023), con l’obiettivo di spronare il debitore ad attivare la CNC. Se il debitore ignora la segnalazione, non ci sarà l’OCRI a intervenire d’ufficio (quell’obbligo d’ufficio è stato abrogato), ma il segnale resterà e i creditori pubblici potranno poi, in ultima analisi, presentare istanza di fallimento se la situazione degenera.
- Le misure premiali per chi reagisce all’allerta sono in vigore (sospensione sanzioni, protezione delle misure cautelari per chi attiva CNC in 90 giorni dalla segnalazione, ecc. previsti dal decreto PNRR 2021).
In sintesi: sì, le segnalazioni d’allerta sono operative. Non c’è più l’OCRI, ma l’effetto voluto è che l’imprenditore quando riceve una pec dall’Agenzia Entrate su debiti IVA elevati capisca che è ora di muoversi verso un risanamento (CNC o altra procedura), se non vuole poi subire istanze di liquidazione giudiziale e perdere il controllo. Anche l’organo di controllo interno è già oggi tenuto a vigilare e pungolare gli amministratori. Possiamo dire che l’allerta in Italia ha assunto una forma per lo più volontaria e incentivante: nessun meccanismo coercitivo automatico che tolga la gestione all’imprenditore (come in Francia l’alerte du president), ma tante spie e “moral suasion” legale per farlo agire.
Questa panoramica di FAQ chiarisce diversi dubbi pratici e completa le indicazioni già esposte nei capitoli precedenti, guidando il lettore attraverso dilemmi comuni.
15. Casi pratici simulati
Per meglio comprendere l’applicazione concreta degli istituti descritti, presentiamo alcune simulazioni ispirate a casi reali italiani. I nomi sono di fantasia, ma le dinamiche rispecchiano situazioni tipiche che imprenditori e debitori possono trovarsi ad affrontare.
15.1 Caso Alfa S.r.l. – Composizione negoziata riuscita e accordo con i creditori
Contesto: Alfa S.r.l. è una PMI manifatturiera (30 dipendenti) di Firenze. Nel 2024 subisce un calo di ordini e accumula debiti con fornitori (500 mila €) e banca (mutuo 300 mila €). Pur non essendo insolvente, i flussi di cassa prospettici risultano insufficienti a onorare puntualmente le rate di mutuo e tutte le fatture. L’organo amministrativo rileva a giugno 2024 uno squilibrio finanziario (scaduti verso fornitori > 150 gg) e la necessità di rinegoziare il mutuo.
Azione intrapresa: Gli amministratori, adempiendo al dovere di adeguati assetti, decidono in luglio 2024 di attivare la Composizione Negoziata. Tramite la piattaforma telematica compilano l’istanza e caricano bilanci, elenco creditori e un abbozzo di piano (intendono chiedere dilazione fornitori e nuova finanza). Entro 5 giorni la Commissione nomina l’esperto, il dott. B, con esperienza nel settore.
Svolgimento CNC: L’esperto B. incontra Alfa S.r.l. e analizza la situazione: l’impresa ha ordinativi in ripresa e potenziale continuità, ma serve liquidità immediata per saldare gli arretrati. Viene definito un calendario di incontri: prima con la banca creditrice, poi con i fornitori principali. Alfa chiede subito al tribunale misure protettive per evitare pignoramenti dai fornitori più impazienti – il tribunale le concede per 3 mesi (moratoria su esecuzioni) e ciò impedisce a due fornitori di portare avanti decreti ingiuntivi. Intanto B. sfrutta la nuova interoperabilità e ottiene i dati dall’Agenzia Entrate: emerge un debito IVA di 50 mila € scaduto. Avvisa Alfa che l’Agenzia Entrate potrebbe a breve segnalare il superamento soglia IVA (non pagati > 5.000 € e > 10% fatturato), ma anticipando la CNC Alfa ha prevenuto il problema.
Nei negoziati:
- Con la banca: L’esperto sottolinea che Alfa, se sostenuta, può proseguire. La banca inizialmente voleva revocare il fido di 100 mila €, ma grazie al divieto introdotto dal correttivo 2024, non può farlo durante le misure protettive. Propone invece di ristrutturare il mutuo allungandolo di 2 anni e concede nuova finanza di 50 mila € come prededucibile (autorizzata dal tribunale) per pagare urgenti forniture di materiali. La banca è incentivata: sa che se Alfa va in default totale, recupererebbe meno; meglio diluire il debito e dare liquidità in prededuzione.
- Con i fornitori: Si convoca un meeting con i 5 fornitori maggiori (80% del debito commerciale). Alfa propone un piano: pagare il 50% del loro arretrato subito (entro 30 gg) utilizzando la nuova finanza e risorse interne, e il restante 50% in 6 rate mensili. L’esperto B. spiega ai fornitori che l’alternativa – un concordato o fallimento – li vedrebbe probabilmente recuperare meno e tardi. I fornitori, visto anche l’impegno a riprendere regolari ordinativi futuri con loro, accettano l’accordo.
Esito: Dopo 2 mesi di trattative, ad ottobre 2024 Alfa S.r.l. e creditori firmano un accordo stragiudiziale di ristrutturazione: la banca rinegozia il mutuo (nessuna omologa necessaria in quanto è bilaterale) e i fornitori sottoscrivono un piano di rientro. Poiché tutti i fornitori significativi hanno aderito volontariamente, Alfa decide di non formalizzare un accordo ex art. 57 CCII in tribunale, ma lascia l’intesa in forma privata, confidando di rispettarla. L’esperto redige relazione finale positiva in cui dichiara che “le trattative si sono svolte in buona fede e hanno condotto a una soluzione concordata di regolazione della crisi” – in virtù di ciò, la CNC si conclude con successo senza necessità di concordato.
Considerazioni: Alfa S.r.l. grazie alla CNC:
- Ha evitato azioni esecutive e la possibile segnalazione fiscale (in effetti in settembre 2024 l’Agenzia Entrate ha inviato la segnalazione d’allerta per IVA scaduta, ma Alfa aveva già avviato il piano; avendo ottenuto nuova finanza, Alfa paga anche quell’IVA arretrata e rientra nelle soglie).
- Ha ottenuto nuova liquidità prededucibile per continuare la produzione senza intoppi.
- Ha mantenuto rapporti con fornitori chiave, ricostruendo fiducia.
- Non è stato necessario aprire una procedura concorsuale pubblica (nessuna pubblicità, nessun commissario).
- L’azienda, con il fatturato in recupero, rispetta gli accordi: a marzo 2025 salda l’ultima rata ai fornitori.
Gli indicatori di crisi rientrano nella norma. Alfa esce dalla crisi risanata extragiudizialmente, senza perdere continuità né dover ricorrere al concordato preventivo.
Questo caso illustra il “best scenario” della composizione negoziata: attivazione precoce, negoziato efficiente e recupero della continuità aziendale con soddisfazione (parziale ma concordata) dei creditori.
15.2 Caso Beta S.p.A. – Concordato preventivo in continuità con classe dissenziente (cram-down)
Contesto: Beta S.p.A. è una ditta veneta di costruzioni (grande impresa, 200 dipendenti). Nel 2023 subisce insolvenza a causa del blocco di alcuni cantieri e dell’aumento dei costi materiali: è esposta per 10 milioni € verso banche (mutui e anticipi) e 5 milioni verso fornitori, più 2 milioni di debiti fiscali. La cassa è esaurita e a ottobre 2023 Beta non paga più stipendi né fornitori: si tratta di insolvenza conclamata. Beta valuta che l’azienda, pur indebitata, ha lavori in corso che potrebbero generare utile se completati e possiede immobili non strategici vendibili.
Azione intrapresa: A novembre 2023 Beta deposita domanda di concordato preventivo con riserva (prenotativo) al Tribunale di Venezia per bloccare i creditori. Ottiene misure protettive (nessuno può pignorare i suoi cantieri) e nomina di un commissario giudiziale. Entro 120 giorni (proroga concessa) presenta il piano concordatario:
- Previsto concordato in continuità: Beta vuole completare i cantieri e venderne le unità immobiliari, usando i ricavi per pagare i creditori.
- Propone di soddisfare i creditori chirografari al 40% in 2 anni con i flussi generati dalla continuità e dalla vendita di due immobili aziendali non strumentali (il 40% > soglia 20% minima).
- Ai creditori bancari ipotecari (su sede aziendale e terreni) offre il pagamento integrale del valore di perizia dei beni (circa 70% del credito) con garanzia che il restante rimanga chirografo.
- I debiti erariali (IVA e contributi) saranno pagati anch’essi al 40% come i chirografari, sfruttando la transazione fiscale (attestando che tale percentuale supera il ricavato in caso di fallimento, dove stima 30%).
- Per ridurre costi, Beta chiede di sciogliersi dai contratti di leasing su macchinari non più utili (il giudice autorizza: i macchinari sono restituiti, la società di leasing insinuerà un credito residuo chirografo).
Votazione: I creditori sono divisi in classi:
- Classe 1: Banche garantite da ipoteca sulla sede (2 banche, crediti 6 M €).
- Classe 2: Banche chirografarie (prestiti non garantiti, 3 banche, 4 M €).
- Classe 3: Fornitori chirografari (100 fornitori, 5 M €).
- Classe 4: Erario e INPS (per la parte degradata a chirografo, circa 2 M € dopo privilegio su beni).
- Classe 5: Dipendenti (TFR e stipendi arretrati, 0.5 M €, privilegio da pagare al 100% fuori piano con ricavi correnti, dunque non votano in quanto soddisfatti integralmente).
Si apre la votazione telematica sotto controllo del commissario. Esito:
- Classe 1 (Banche ipotecarie): dissenziente. Una banca grande (70% classe) vota no, ritenendo di preferire l’escussione delle garanzie fuori dal concordato; l’altra banca vota sì. Non si raggiunge la maggioranza nella classe ipotecari.
- Classi 2, 3 e 4: favorevoli. Le banche chirografarie votano sì (preferiscono 40% piuttosto che forse nulla in fallimento). Fornitori: grazie al meccanismo che nel concordato i non votanti non contano, il commissario raccoglie voti per il 60% del valore e ottiene maggioranza (molti fornitori nemmeno esprimono voto, ma su 5 M i voti favorevoli 3 M superano i contrari espressi 1 M – sufficiente perché si considera 3/4=75% dei votanti). Erario: Agenzia Entrate e INPS votano no formalmente (non accettano il 40%); tuttavia questa classe 4 è in minoranza del totale e la proposta prevede per essi 40% con evidenza che in fallimento prenderebbero < 20%.
Dunque, 3 classi su 4 hanno approvato, ma la classe 1 (ipotecari) è dissenziente. Secondo le regole, essendo questo un concordato in continuità, Beta S.p.A. chiede al tribunale di omologare comunque il concordato nonostante la classe banche ipotecarie contraria.
Omologazione col cram-down: Il tribunale verifica:
- Il best interest test per la classe dissenziente (banche ipotecarie): constata che la banca che ha votato no riceverà integrale valore di perizia dell’immobile, cioè esattamente quanto avrebbe in caso di liquidazione (anzi, forse di più tenuto conto dei costi evitati). Quindi non è pregiudicata.
- La fattibilità: il commissario giudiziale ha attestato che completare i cantieri è realistico e che l’apporto di nuova finanza dei soci (500k € in prededuzione) garantirà liquidità.
- L’Erario (classe 4) ha votato no, ma la maggioranza delle classi ha detto sì e il tribunale applica l’art. 112 CCII: ritiene che la proposta al Fisco (40%) supera il risultato falimentare (stimato 15%), dunque disattende l’opposizione dell’Erario.
Il tribunale omologa il concordato nonostante la banca ipotecaria e l’Agenzia Entrate siano contrarie, esercitando il cram-down interclassi. Nomina un liquidatore giudiziale limitatamente alla vendita degli immobili non strategici e la distribuzione dei ricavi ai creditori secondo piano.
Post omologa: Beta prosegue l’attività:
- Completa i cantieri, vende gli appartamenti, genera flussi con cui paga regolarmente le percentuali concordate.
- La banca ipotecaria dissenziente viene soddisfatta al 70% (valore di stima) e per il 30% residuo diventa chirografa: incasserà il 40% di quel residuo, quindi in totale il 82% circa del suo credito originale. In fallimento forse avrebbe preso 70% scarso, quindi paradossalmente sta meglio.
- Il Fisco incassa 40% del suo credito in 2 anni (contro meno di 20 stimato in fallimento), perciò anche la collettività è avvantaggiata.
Dopo 2 anni Beta S.p.A. ha onorato il concordato e viene dichiarata ademputa: esce dalla procedura liberata dal debito residuo (le banche e fornitori hanno accettato la falcidia, il restante non è più dovuto). Ha mantenuto i posti di lavoro e l’operatività.
Osservazioni: Questo caso evidenzia l’uso di:
- Concordato in continuità per salvare l’azienda.
- Strutturazione in classi per trattare diversamente banche garantite vs chirografari.
- Cram-down su classi dissenzienti (strumento nuovo che è stato decisivo per superare l’opposizione di un creditore ipotecario e del Fisco).
- Transazione fiscale approvata giudizialmente nonostante il diniego formale dell’Erario.
Senza il cram-down, Beta avrebbe dovuto forse liquidare tutto o cercare un accordo individuale con la banca (che non era disponibile). Con il CCII, ha potuto imporre una soluzione equa per la maggioranza, tutelando comunque il dissenziente (pagato il valore di mercato). Questo riflette un bilanciamento avanzato tra diritti del debitore (che salva l’impresa) e dei creditori (che ottengono almeno quanto la liquidazione).
15.3 Caso Gamma Tizio (consumatore) – Sovraindebitamento e concordato minore
Contesto: Il signor Gamma Tizio è un privato cittadino di Roma, ex piccolo imprenditore edile ora pensionato. A seguito di vicende personali e lavorative, si trova con:
- debiti bancari: 100 mila € (prestiti personali e scoperti di c/c),
- debiti verso privati: 50 mila € (parenti che gli prestarono soldi),
- debiti verso Agenzia Entrate: 30 mila € (IRPEF non pagata su redditi di anni passati),
- nessun immobile di proprietà (abita in affitto), possiede solo un’auto modesta,
- reddito: pensione netta 1.500 €/mese.
Gamma non ha capacità di pagare integralmente ~180 mila € di debiti; i creditori hanno iniziato a fargli cause e pignorargli 1/5 della pensione. Si configura un classico sovraindebitamento del consumatore.
Azione intrapresa: Nel 2025 Gamma si rivolge all’OCC locale (presso ODCEC di Roma) per assistenza. Il gestore esamina la situazione e consiglia un concordato minore: così potrà pagare una parte in modo sostenibile e farsi esdebitare il resto.
Proposta di concordato minore: Gamma propone ai creditori: “metto a disposizione 750 € al mese (la metà della pensione, l’altra metà gli serve per vivere) per 5 anni, per un totale di 45.000 €. Con tale somma soddisferò in percentuale tutti i crediti chirografari.” Essendo tutti i suoi debiti chirografari (non ci sono ipoteche o privilegi consistenti, a parte 10k di Equitalia con privilegio su mobilio, ma essendo nulla di liquidabile, si considera chirografo di fatto), la proposta implica che ciascun creditore prenda circa il 25% del proprio credito e in 5 anni.
Documentazione depositata: elenco debiti, dichiarazione di non possedere beni di valore (l’auto vale 3k €), attestazione di sostenibilità (il gestore OCC attesta che 750 €/mese Gamma può effettivamente versarli, perché rimarrebbero 750 per vivere, compatibili con spese medie).
Trattamento creditori e votazione: Non vengono costituite classi separate perché i crediti sono tutti di rango simile (chirografari vari). Solo l’Agenzia Entrate ha un privilegio parziale, ma l’OCC rileva che su quel privilegio (che insistrebbe su beni mobili inesistenti) di fatto non c’è attivo; allora il credito fiscale viene trattato come chirografo per la quota non coperta ipoteticamente e come privilegiato senza capienza per il resto – ergo di fatto riceverà 25% come gli altri, e quell’importo supera quanto avrebbe da un pignoramento del quinto in 5 anni (che sarebbe forse 20%).
Si avvia la procedura di voto scritto:
- Il commissario (gestore OCC) invia PEC e raccomandate ai creditori con modulo di voto.
- Molti creditori non rispondono affatto (banche spesso ignorano, i parenti forse acconsentono a voce ma non inviano moduli per scritta).
- Grazie al meccanismo del silenzio-assenso, i creditori che non comunicano entro 30 giorni sono conteggiati come favorevoli. Di fatto, su 180k di crediti, arrivano solo 2 voti: un parente (20k) scrive “sì, accetto” e una banca (30k) risponde “no” pretendendo più soldi. Gli altri 130k non si pronunciano.
- Si calcola la maggioranza: i votanti favorevoli = 20k + (non votanti considerati favorevoli 130k) = 150k su 180k (83%). Quindi abbondantemente sopra 51%. Anche ipotizzando di dover conteggiare le teste, c’è 1 voto no su 5 creditori totali, quindi 4 su 5 sono favorevoli (anche se taciti). Il concordato minore risulta approvato.
Opposizione e omologa: L’unico dissenziente è la banca con 30k credito. La banca si oppone all’omologazione lamentando che Tizio in passato è stato imprudente e quindi non “merita” lo stralcio (cerca di sostenere che fu colpa sua contrarre troppi debiti). Il tribunale però:
- Osserva che la “meritevolezza” pregressa non è un requisito ostativo (infatti il CCII non la richiede espressamente per ammettere il concordato minore).
- Valuta la convenienza: in liquidazione controllata la banca riuscirebbe forse a pignorare 1/5 pensione per qualche anno, ma la legge limita la pignorabilità della pensione (solo su quota eccedente minima vitale, etc.). Verosimilmente incasserebbe meno del 25%. Quindi l’accordo è più vantaggioso per lei economicamente.
- Non rileva alcuna frode: Gamma ha esposto tutti i debiti e non ha nascosto beni.
Il tribunale dunque omologa il concordato minore di Gamma. Stabilisce che il ricavato delle 60 rate mensili sarà distribuito pro-quota ai creditori chirografari (compreso il dissenziente, che comunque avrà 25%). Nomina lo stesso OCC come ausiliario per vigilare sui pagamenti periodici.
Esecuzione: Gamma effettua i pagamenti mensili puntualmente (il commissario OCC verifica ogni 6 mesi). Dopo 5 anni, versa l’ultima rata per completare i 45.000 €. Il tribunale dichiara l’esecuzione completata e Gamma esdebitato: i debiti originari sono cancellati. La banca dissenziente deve rinunciare a rincorrere il restante 75% (diventa inesigibile per legge). Anche il Fisco non può pretendere il residuo 75% dell’IRPEF: viene stralciato, e i carichi Equitalia vengono estinti.
Gamma Tizio, ormai settantenne, può vivere la vecchiaia pagando solo i normali debiti correnti (affitto, bollette) ma senza lo spettro di pignoramenti per debiti passati. Ha ottenuto una seconda opportunità e un’esistenza finanziaria sostenibile, pur sacrificando metà della pensione per 5 anni.
Analisi: Questo caso mostra:
- L’utilità del silenzio-assenso per i sovraindebitati: senza, sarebbe stato difficile raggiungere la maggioranza di teste/valori (molti creditori non si attivano per piccole somme).
- L’assenza del filtro di meritevolezza rigido: pur essendo Gamma forse stato poco accorto nel fare debiti, ciò non gli ha impedito di accedere alla procedura (il tribunale bada al risultato per i creditori, non a giudizi morali).
- La portata liberatoria del concordato minore: a fine pagamenti, Gamma è libero da tutti quei debiti non pagati. Ciò include anche eventuali coobbligati? Se ad esempio la moglie era garante in un debito, lei non è esdebitata – solo Gamma lo è. Ma nel nostro esempio non c’erano coobbligati citati.
- Il fatto che anche il Fisco accetta il 25% perché costretto dall’omologa, evidenzia come la legge imponga la falcidia anche su tributi se il piano rispetta le condizioni di legge.
- L’“umanizzazione” delle procedure concorsuali minori: Gamma ha potuto mantenere la sua auto e casa in affitto (nessuno lo sfratta perché non è proprietario), e la procedura si è plasmata sulla sua capacità reale di pagamento (ciò riflette lo spirito della direttiva europea di concedere un fresh start ai debitori onesti in tempi ragionevoli).
15.4 Caso Delta S.r.l. – Fallimento con esdebitazione dell’imprenditore
Contesto: Delta S.r.l. è un’impresa commerciale a conduzione familiare dichiarata fallita (liquidazione giudiziale) nel 2022. Il titolare, Sig. Delta, aveva fornito anche garanzie personali su alcuni debiti. Nel fallimento:
- Il curatore ha liquidato tutto l’attivo (pochi macchinari e magazzino) incassando 100 mila €.
- I debiti complessivi erano 500 mila €. I creditori ammessi hanno ricevuto un riparto del 20%.
- Rimangono insoddisfatti 400 mila € di debiti circa.
Il Sig. Delta, come amministratore, ha cooperato col curatore, consegnando libri contabili e non nascondendo nulla. È stato indagato per bancarotta semplice ma archiviato (ha tenuto male la contabilità negli ultimi tempi, ma nulla di doloso). Al termine, nel 2024 il fallimento viene chiuso per completata liquidazione.
Azione intrapresa post-fallimento: Il Sig. Delta, ora privo di beni, presenta istanza di esdebitazione ai sensi dell’art. 278 CCII. Chiede di essere liberato dai debiti residui verso banche e fornitori non soddisfatti integralmente. Il Tribunale verifica:
- Delta ha soddisfatto le condizioni: non è stato condannato per bancarotta fraudolenta; ha collaborato con curatore (sì, ha fornito documenti e informazioni); non ha beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti (prima volta).
- Nessun creditore presenta opposizione (spesso i creditori nemmeno si oppongono, consapevoli che Delta non ha nulla).
Nel 2025 il Tribunale emette decreto che esdebita Sig. Delta dai debiti residui ex art. 278. Significa che i creditori non soddisfatti nel fallimento – che avrebbero potuto cercare di aggredire il patrimonio personale di Delta (avendo lui prestato garanzie personali) – ora non possono più farlo. Le eventuali azioni esecutive già iniziate contro di lui (ce n’era una su un suo conto corrente cointestato) vengono estinte.
Effetti: Il Sig. Delta, sulla soglia dei 60 anni, può ripartire con un piccolo commercio come dipendente o socio di minoranza altrove, senza dover destinare vita natural durante i suoi redditi futuri ai vecchi creditori. Qualora ottenesse un’eredità o vincita dopo, i creditori pre-fallimentari non potrebbero reclamarla (debiti cancellati). Gli rimane la macchia morale di un fallimento passato, ma giuridicamente è riabilitato. In particolare, può anche tornare a ricoprire cariche societarie (l’interdizione da esse cessa con la chiusura del fallimento; l’esdebitazione gli toglie pure eventuali pregiudizi creditizi).
Nota: Tra i debiti c’era anche una sanzione amministrativa di 10k € per questioni edilizie – quella, essendo debito verso PA non equiparato a tributo, rientra ed è stata falcidiata (non è esclusa dall’esdebitazione, a differenza di eventuali multe penali). Quindi anche quella di fatto viene meno.
Considerazioni: Questo caso dimostra:
- Il meccanismo di fresh start post-fallimentare: dopo la chiusura, il debitore cooperativo viene liberato dai debiti rimasti.
- L’importanza per il fallito di aver comportamenti corretti: se Delta avesse nascosto attivo, niente esdebitazione. Invece, avendo seguito le regole, la ottiene in automatico.
- L’effetto su eventuali coobbligati: attenzione, qui Sig. Delta persona fisica era coobbligato (avendo garantito). Con la sua esdebitazione, lui è libero, ma la sua S.r.l. è estinta (quindi non esiste più per essere obbligata). Se per ipotesi un altro socio avesse garantito e non fosse fallito, quell’altro socio resterebbe obbligato perché l’esdebitazione è personale al soggetto che la chiede. Nel nostro esempio semplifichiamo al solo imprenditore.
- Delta, a differenza di prima della riforma, non deve più attendere anni e anni per essere riabilitato: una volta chiuso il fallimento, la legge glielo concede di diritto. Ciò risponde al principio per cui l’insuccesso economico non dev’essere punito a vita se non è colpa grave.
Con questi esempi, abbiamo visto in pratica:
- Un salvataggio in extremis grazie alla negoziazione (Alfa).
- Un concordato preventivo efficace per salvare un’azienda con fairness verso i creditori (Beta).
- Un concordato minore che risolve i debiti di un individuo (Gamma).
- La chiusura pulita di un fallimento con scarico dei debiti (Delta).
Naturalmente, vi sono casi sfortunati in cui le cose vanno diversamente: ad esempio, se Beta non avesse ottenuto un investitore e i creditori avessero bocciato il piano, sarebbe finita in fallimento. Oppure se Gamma non avesse reddito disponibile, avrebbe fatto la liquidazione controllata e avrebbe chiesto l’esdebitazione del debitore incapiente subito – il che sarebbe un altro scenario pratico (esdebitazione a zero, concessa talvolta come da L.3/2012 modif. 2020).
Ma i casi proposti mostrano come, applicando correttamente gli strumenti del Codice della Crisi, si possano ottenere esiti positivi sia per i debitori (salvataggio dell’attività o liberazione dal peso debitorio) sia per i creditori (soddisfacimento comunque superiore a ciò che avrebbero ricavato dal fallimento disordinato). Questa è la finalità ultima della riforma: massimizzare il valore attraverso soluzioni concordate e ridare una chance al debitore onesto.
16. Tabelle comparative delle procedure
Di seguito presentiamo alcune tabelle riepilogative che confrontano le varie procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza sotto i principali profili. Questi schemi aiutano a visualizzare somiglianze e differenze e possono guidare nella scelta dello strumento più adatto.
Tabella 1 – Confronto sintetico degli strumenti di regolazione (preventivi/negoziali vs liquidatori):
Caratteristica | Composizione Negoziata | Accordi di ristrutturazione | Concordato Preventivo (ord./sempl.) | Piano ristrutt. Omologato (PRO) | Liquidazione Giudiziale | Liquidazione Controllata (sovraind.) |
---|---|---|---|---|---|---|
Iniziativa di apertura | Volontaria del debitore (nessun voto creditori) | Volontaria del debitore (adesione ≥60% crediti) | Volontaria debitore (creditori votano; semplificato senza voto) | Volontaria debitore (creditori votano per classi unanimi) | Su ricorso creditore/debitore/PM (d’ufficio) | Volontaria debitore (o creditori/PM in casi limitati) |
Finalità principale | Risanamento stragiudiziale (continuità) | Risanamento contrattuale (ev. continuità) | Risanamento o liquidazione altern. al fallimento | Risanamento flessibile (deroghe prelazioni) | Liquidazione del patrimonio con spossessamento | Liquidazione patrimonio debitore sovraindebitato |
Ruolo del tribunale | Marginale (convalida misure prot., atti urgenti) | Omologa accordo (verifica legittimità e percentuali) | Centrale: ammissione, nomina commissario, omologa (valuta fattibilità) | Interviene solo in omologa finale | Centrale: dichiara apertura, nomina curatore, supervisiona | Nomina liquidatore, decreta apertura e chiusura |
Gestione impresa durante procedura | Debitore in possesso (con esperto che facilita) | Debitore in possesso (gestione normale fino omologa) | Debitore in possesso sotto vigilanza (commissario); semplificato: ausiliario e poi liquidatore | Debitore in possesso fino omologa (no commissario) | Curatore sostituisce organi amministrazione (spossessamento) | Liquidatore gestisce patrimonio; debitore collabora |
Coinvolgimento creditori (voto) | Nessun voto (accordi volontari mediati da esperto) | Adesione contrattuale ≥60% (dissenzienti vincolati se omologa); poss. estensione 75% cat. | Sì, voto per classi/majority (no voto in semplificato) | Sì, voto in ciascuna classe (deve essere ≥51% in ogni classe) | Nessun voto (diritti secondo legge: par condicio) | Nessun voto (nel concordato minore invece sì ≥51%; in liquidaz. controllata no) |
Misure protettive stay | Sì, su richiesta (120 gg prorog) – sospende azioni esec. e contrattuali | Sì, automatiche dopo pubbl. ricorso (fino 4 mesi) | Sì, automatiche post-ammissione (o pre ricorso in bianco); semplificato: sì di norma | Sì, analoghe al concordato (prenotativa possibile) | Non applicabile (all’apertura, tutte azioni individuali cessano comunque) | Sì, con apertura liquidazione controllata, divieto azioni esec. individuali |
Continuità aziendale prevista | Sì, scopo primario (con eventuali accordi con creditori) | Sì, possibile (spesso accordi per ristrutturare debito e proseguire attività) | Sì, se concordato in continuità (piano industriale) o può essere liquidatorio | Sì, in molti casi (PRO può essere continuità o liquidatorio flessibile) | No, salvo esercizio provvisorio temporaneo per vendita migliore | No (procedura liquidatoria pura); debitore può avere attività ma liquidatore può cessarla |
Trattamento creditori privilegiati | Non alterato (fuori da accordo se non partecipano) | Devono essere pagati integrali salvo adesione (o cram-down su finanziari) | Devono ricevere ≥valore di realizzo su beni (possibile falcidia con tale limite); in semplificato analogamente | Possono essere parzialmente derogati se classe approva | Pagati secondo prelazione (integrali se attivo sufficiente, sennò parziale) | Pagati secondo prelazione (spesso parziale data incapienza) |
Trattamento creditori chirografari | Dipende da accordo volontario (di solito concorso libero) | Necessario soddisfo ≥ convenienza rispetto fallimento (valutato in omologa); se estranei, vanno pagati regolarmente entro accordo | Devono ricevere ≥20% (salvo continuità o concordato minore); in continuità può essere <20 se classi e attivo <, con cram-down poss. | Devono approvare per classe; nessun minimum di legge (possono essere <20% se classi consenzienti) | Di solito soddisfatti parzialmente a fine, proporzionalmente (dividendo fallimentare) | Di solito soddisfatti in minima parte (se attivo molto limitato); eventuale esdebitazione del residuo |
Stralcio debiti Fisco e contributi | Non previsto espressamente in CNC (poss. negoziare dilazioni) ma banche non possono revocare fidi | Possibile con transazione fiscale dentro accordo; omologa anche se Fisco dissenziente (reclamo) | Possibile (transazione fiscale): riduzione aliquota, omologa anche senza adesione Fisco (cram-down) | Possibile (in classe creditori; se classi approvano il piano vincola Fisco analogamente) | N/A (tutti debiti concorsuali trattati uguale; Fisco privilegiato prende % secondo grado) | Possibile stralcio finale via esdebitazione (Fisco partecipa e viene pagato pro-quota in liquidazione) |
Durata indicativa | ~3-6 mesi (variabile secondo durata trattative, prorogabile) | ~4-8 mesi (raccolta firme + omologa tribunale) | Ordinario: 6-12 mesi fino omologa + esecuzione piano (anni) Semplificato: ~4-6 mesi fino omologa, poi liquidazione rapida | Simile a concordato: se classi rapide, omologa in 4-6 mesi | Multi-annuale (liquidazione beni 2-5 anni; dipende patrimonio) | ~2-4 anni (dipende attivo da liquidare); concordato minore ~6-12 mesi per omologa + piani pagamento fino 4-5 anni |
Esito per il debitore | Se accordo riesce, evita procedure concorsuali; altrimenti può accedere a semplificato | Debiti ristrutturati: il debitore rimane titolare attività Se accordo omologato poi non funziona, poss. fallimento | Se adempie piano, liberazione da debiti residui Se inadempimento, risoluzione e fallimento | Se approvato e omologato, debiti ristrutturati con possibili stralci (liberatori) Se salta, fallimento possibile | Cessazione attività e liquidazione società; se persona fisica, può chiedere esdebitazione | Liquidazione beni; persona fisica liberata dai debiti residui (esdebitazione, anche incapiente) |
Tabella 2 – Procedura di concordato preventivo ordinario vs. concordato semplificato (liquidatorio):
Aspetto | Concordato Preventivo Ordinario | Concordato Semplificato (ex art. 25-sexies) |
---|---|---|
Quando si applica | Debitore in crisi/insolvenza, può proporre in ogni caso (continuità o liquidazione) | Solo post Composizione Negoziata fallita, con esito attestato non positivo |
Presupposti di accesso | Stato crisi/insolvenza; proposta conforme art. 84 CCII (≥20% se liquidat.) | Esito negativo CNC + esperto dichiara trattative corrette e nessuna soluzione praticabile |
Natura del piano | Può essere in continuità (azienda prosegue) oppure liquidatorio (cessione beni) | Solo liquidatorio per cessione beni (la continuità non ammessa in semplificato) |
Votazione creditori | Sì, voto per classi o per categorie (maggioranza crediti votanti≥50%+1 e ≥2/3 somma); poss. cram-down classi dissenzienti | No voto dei creditori. Creditori possono solo fare opposizione in sede di omologa (camera di consiglio) |
Organi della procedura | Giudice Delegato + Commissario Giudiziale nominati Creditori in adunanza (o voto scritto) Liquidatore nominato dopo omologa per esecuzione liquidazione (se liquidat.) | Nessun commissario durante; Tribunale può nominare ausiliario/esperto per valutare piano. Liquidatore giudiziale nominato dall’omologa per attuare cessione beni |
Misure protettive | Sì, automatiche su ricorso (o prenotativo) – sospensione azioni esecutive fino omologa | Sì, analoghe: presentazione ricorso semplificato sospende azioni (Correttivo ’24 ha chiarito estensione art.54) |
Contenuto del piano | Libero ma con vincoli: se liquidatorio, garantire ≥20% chirografi (salvo deroghe micro); se continuità, obbligo classi creditori, rispetto prelazioni su valore attivo; può prevedere offerte concorrenti, ecc. | Cessione/realizzo di tutto il patrimonio ai creditori. Suddivisione in classi consentita ma non necessaria. Deve comunque rispettare par conditio tra pari grado e prelazioni (privilegiati soddisfatti su valore beni) |
Ruolo creditori | Votano ed eventualmente presentano offerte concorrenti (liquidat.), possibili proposte concorrenti se art.90 CCII attivato (raro). Incidono tramite maggioranze su esito. | Non votano, ma possono opposizione in omologa. Il tribunale decide su convenienza e regolarità senza loro voto. Creditori assistono passivamente, possono solo far valere ragioni a posteriori. |
Omologazione tribunale | Verifica esito voto + legalità piano (fattibilità, non contrarietà norme). Può forzare omologa con cram-down classi se best interest test soddisfatto. Se opposizioni, giudizio in contraddittorio. | Verifica requisiti formali (pendenza CNC etc.) e convenienza rispetto fallimento. Se nessuna opposizione o infondate, omologa direttamente. Può subordinare omologa a condizioni (es. versamenti integrativi). Se opposizioni fondate (piano inferiore a fallimento o malafede), rigetta e dichiara fallimento. |
Esecuzione piano | Se continuità: debitore esegue sotto vigilanza commissario/giudice. Se liquidatorio: liquidatore giudiziale nominato realizza attivo e fa riparti. Durata variabile. | Liquidatore giudiziale (nominato in sede di omologa) vende beni e distribuisce proventi rapidamente, applicando regole fallimento compatibili. Procedura generalmente più breve post-omologa. |
Esiti per debitore | – Se adempie piano: liberazione debiti residui, chiusura procedura.– Se inadempie: risoluzione concordato e apertura liquidazione giudiziale.– Eventuali azioni di responsabilità contro amministratori possibili per danni a creditori se piano doloso. | – Se omologato e liquidato: società cessata, debitore persona fisica eventualmente esdebitato dei residui (art.282 CCII).– Se non omologato (es, trattative non corrette): convertito subito in fallimento.– Strumento “one-shot”: non prevede gestione prolungata del debitore, è solo liquidazione concorsuale abbreviata. |
17. Conclusione
Abbiamo attraversato l’intero “cantiere” della crisi d’impresa: dalle prime luci gialle dell’allerta fino al tramonto dell’insolvenza con la liquidazione e il sorgere di una nuova alba per il debitore liberato dai debiti. Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza delinea un sistema organico, aggiornato agli standard europei, che offre molteplici percorsi al debitore in difficoltà.
Il denominatore comune è la valorizzazione della tempestività e della buona fede: l’imprenditore che per tempo riconosce i problemi e li affronta con trasparenza ha oggi strumenti efficaci per salvare l’azienda o, quantomeno, regolare i debiti in modo ordinato. Al contempo, i creditori trovano maggiori garanzie di informazione e partecipazione, vedendo tutelato l’interesse a non essere sacrificati oltre il dovuto (si pensi alle soglie di soddisfacimento minimo, al controllo di convenienza da parte del giudice, al regime dei privilegi rispettato se non consenzienti).
Questa guida ha fornito un panorama completo – oltre 10.000 parole – e di taglio operativo delle procedure:
- Strumenti di allerta e prevenzione: un “sistema immunitario” aziendale rafforzato (adeguati assetti) e sentinelle esterne (Fisco, INPS, banche) che pungolano l’impresa a reagire in tempo.
- Composizione negoziata: l’innovazione più rilevante, un tavolo negoziale protetto e assistito che in numerosi casi evita il default ed è già in crescita di utilizzo.
- Accordi di ristrutturazione: la possibilità di personalizzare le intese con i creditori principali, con l’ombrello del tribunale (omologa) e con armi nuove (estensione ai dissenzienti oltre le banche).
- Concordato preventivo: lo strumento classico rivitalizzato – ora più flessibile nelle classi e capace di superare opposizioni irragionevoli (cram-down). Resta fondamentale per le grandi crisi e per concludere in continuità risanamenti complessi.
- Concordato semplificato: una corsia rapida di liquidazione concordata quando ogni altra via è fallita – procedura da usare con cautela (il caso Napoli 2023 ammonisce), ma potenzialmente preziosa in casi di emergenza.
- Liquidazione giudiziale: il “nuovo fallimento” con poche ma significative novità di efficienza e soprattutto con la filosofia della fresh start (esdebitazione quasi automatica per il fallito onesto).
- Liquidazione controllata e concordato minore: strumenti che colmano il vuoto per i debitori non fallibili, all’insegna della rieducazione finanziaria e del recupero sociale: il sovraindebitato non è più condannato all’eterno insegumento dei creditori, ma ha un percorso per rimettersi in carreggiata.
Dal punto di vista del debitore, la guida ha evidenziato diritti (protezione, conduzione in possesso, scarico debiti residui) e doveri (disciplina, trasparenza, rispetto delle regole concorsuali). Un debitore informato e ben assistito può oggi affrontare la crisi con minori timori: sa che non dovrà “morire con i debiti addosso” in caso di fallimento, e sa che persino il sistema bancario e fiscale sono chiamati a un approccio collaborativo anziché punitivo.
Dal punto di vista dei professionisti (avvocati, commercialisti): la materia è diventata più sfumata e ricca di opzioni negoziali, quindi richiede competenze interdisciplinari (legali, aziendalistiche) e aggiornamento costante (specie con i correttivi 2022-2024 che hanno ritoccato molti articoli). Il fine tuning giurisprudenziale è in corso, come abbiamo visto (con pronunce apripista su PRO, semplificato, concordato minore). Di qui l’importanza di avere elencato in apposita sezione le fonti normative e giurisprudenziali di riferimento, che chiudono la guida, per offrire ancoraggi certi al lettore professionale.
In conclusione, “Crisi d’impresa e procedure concorsuali: la guida” vuole essere un vademecum completo e aggiornato a giugno 2025, che accompagni l’utente – imprenditore, consulente o privato – nella comprensione e nell’utilizzo consapevole di questi strumenti. La crisi d’impresa è un evento fisiologico nell’economia di mercato; gestirla efficacemente è essenziale per contenere gli impatti sociali (pensiamo alla salvaguardia dell’occupazione nelle continuità aziendali, incentivata in ogni modo) e per dare agli imprenditori coraggiosi la possibilità di risollevarsi.
Il legislatore, con il CCII, ha fornito un arsenale completo, plasmato dalle migliori prassi europee e calibrato con successive correzioni nazionali. Starà ora agli operatori – debitore in primis – usare tali armi in modo tempestivo e corretto. Come recita l’art. 4 CCII, la regolazione della crisi deve avvenire “tenendo conto degli interessi di tutti i partecipanti” e valorizzando il principio di adeguatezza e proporzionalità. Solo così la “crisi” potrà davvero trasformarsi, per citare l’etimologia greca, in un momento di scelta e cambiamento, e non di rovina inevitabile.
Fonti normative e giurisprudenziali
Normative (Italia):
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), pubblicato in GU 14 febbraio 2019, come modificato dai decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024). [Articoli citati: artt. 2, 3, 13-25 (Composizione negoziata), 25-bis – 25-novies (Allerta), 54-64 (Accordi di ristrutturazione), 64-bis – 64-quater (PRO), 84-120 (Concordato preventivo), 25-sexies (Concordato semplificato), 121-270 (Liquidazione giudiziale), 268-277 (Liquidazione controllata), 74-83 (Concordato minore), 278-283 (Esdebitazione)].
- D.L. 24 agosto 2021, n. 118 (conv. L.147/2021) – Misure urgenti per la crisi d’impresa, ha introdotto la Composizione Negoziata e il Concordato semplificato (art. 2 e 3 DL). [Rilevante per disciplina CNC prima dell’integrazione nel CCII].
- Decreto Dirigenziale Min. Giustizia 28 settembre 2021 – Regolamento per piattaforma telematica e compenso esperto composizione negoziata.
- Decreto Dirigenziale Min. Finanze 21 luglio 2022 – Parametri allerta (soglie debiti fiscali e contributivi ai sensi art. 25-novies CCII) [Es.: soglia IVA 5k€ e 10%, soglia INPS 15k€ etc.].
- Codice Civile, art. 2086, comma 2 – Dovere imprenditore di istituire assetti adeguati (introdotto da L.155/2017). Art. 2477 c.c. – Obbligo organo di controllo per SRL (abbassamento soglie da DL 14/2019, rilevante per allerta interna).
- R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – Vecchia Legge Fallimentare, abrogata dal 15 luglio 2022. [Richiamata per principi generali o confronto termini quali fallimento vs liquidazione giudiziale]. Ad es. art. 182-bis L.F. (accordi ristr.), art. 160 L.F. (vecchio concordato), art. 67/69-bis L.F. (revocatorie), art. 142 L.F. (esdebitazione).
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Quadro di ristrutturazione preventiva e seconda opportunità. [Recepita con D.Lgs. 83/2022]. Principi citati: allerta precoce, protezione debitori onesti, omologazione piani anche con classi dissenzienti.
Giurisprudenziali:
- Tribunale di Vicenza, decreto 25 febbraio 2023 – Omologa di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO). Conferma necessità maggioranza in tutte le classi e applica art. 64-bis CCII.
- Tribunale di Napoli, decreto 25 ottobre 2023 – Revoca ammissione concordato semplificato per abuso/mancata buona fede nelle trattative CNC; conversione in fallimento. [Cfr. Trib. Napoli Sez. Fall. decreto n. 123/2023].
- Tribunale di Como, decreto 10 maggio 2024 – Omologa concordato semplificato con opposizione creditori; conferma necessità best interest test (concordato semplificato equiparato a fallimento quanto a convenienza).
- Cass. civile, Sez. I, 17 febbraio 2022, n. 4696 – Su accordi di ristrutturazione: non serve risoluzione giudiziale per dichiarare fallimento in caso inadempimento accordo (diversamente da concordato).
- Cass. civile, Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7344 – Cram down fiscale: competenza del tribunale fallimentare (non giudice tributario) per contestazioni Agenzia Entrate in concordato preventivo.
- Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 9935 – Principi generali concordato: giudizio convenienza limitato a comparazione legalità (rilevante per cross-class cramdown ante literam).
- Cass. penale, Sez. V, 30 aprile 2021, n. 15430 – Configurabilità bancarotta semplice per tardiva richiesta fallimento (amministratori responsabili se aggravano indebitamente dissesto).
- Tribunale di Rimini, decreto 28 ottobre 2022 – Concordato minore: irrilevanza “meritevolezza” ex art. 77 CCII ai fini ammissione (diversità col piano consumatore L.3/2012).
- Tribunale di Milano, ord. 7 ottobre 2022 – Nomina organo controllo d’ufficio ex art. 2409 c.c. per carenza adeguati assetti (allerta interna): sottolinea obbligo assetti e sindaci in funzione prevenzione crisi.
- Tribunale di Bergamo, decreto 8 marzo 2022 – Prima omologa concordato semplificato post D.L.118/21 (società settore moda): applicazione art. 18 DL 118; rilevante come prassi.
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Conclusione
Ogni impresa in difficoltà ha uno strumento per rialzarsi. Le procedure concorsuali non sono una fine, ma un’opportunità di rilancio.
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