La tua azienda sta attraversando un momento di difficoltà? I debiti aumentano, i margini si riducono e le banche iniziano a fare pressione? Se temi che la crisi possa diventare irreversibile, predisporre un piano di risanamento può essere la strada giusta per evitare il fallimento e rilanciare l’impresa in modo strutturato e legale.
Ma da dove si parte? Chi può aiutarti a costruire un piano credibile? E come si fa ad ottenere l’accordo con i creditori?
Il piano di risanamento è un documento tecnico e strategico, previsto dalla legge, che permette all’imprenditore di proporre una ristrutturazione sostenibile del debito, dimostrando la capacità di superare la crisi e tornare in equilibrio economico. È uno strumento che, se costruito bene, può evitare l’apertura di procedure concorsuali e bloccare azioni esecutive o richieste di fallimento.
Quali elementi deve contenere un piano di risanamento?
Un piano efficace deve essere realistico, documentato e sostenibile. In particolare, deve includere:
- una mappa chiara delle cause della crisi (calo dei ricavi, debiti fiscali, immobilizzi, ecc.),
- un’analisi completa dello stato patrimoniale, economico e finanziario,
- le misure concrete per il risanamento: taglio dei costi, vendita di rami d’azienda, accordi con i creditori, rinegoziazione di mutui o finanziamenti,
- un cronoprogramma preciso dei pagamenti e dei flussi di cassa previsti,
- e la relazione di un professionista indipendente (avvocato, commercialista o revisore) che attesti la fattibilità del piano.
È obbligatorio omologarlo in tribunale? Oppure basta condividerlo con i creditori?
Il piano può avere diversi gradi di formalità, a seconda del contesto e dell’urgenza. In alcuni casi, può bastare una validazione tecnica e l’accordo diretto con i principali creditori. In altri, può essere inserito in una composizione negoziata della crisi, oppure diventare parte di un accordo omologato con tutela legale.
E se ci sono debiti con il Fisco o con l’INPS? Il piano funziona comunque?
Sì. Anzi, i debiti tributari e previdenziali possono essere inclusi nel piano, anche attraverso proposte di pagamento rateizzato, rinunce parziali o transazioni fiscali, se le condizioni lo permettono. L’importante è non attendere troppo: quanto prima viene avviato il risanamento, più margini ci sono per negoziare e salvare l’attività.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in diritto dell’impresa, crisi aziendali e ristrutturazione del debito – ti spiega come si costruisce un piano di risanamento serio, legittimo e sostenibile, quali elementi non possono mancare, come presentarlo ai creditori e come possiamo affiancarti in ogni fase della ristrutturazione.
La tua azienda è in difficoltà e non sai come affrontare i creditori? Vuoi evitare il fallimento e riprendere il controllo della tua impresa?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo la tua situazione economica, costruiremo insieme un piano credibile e ti accompagneremo nel confronto con i creditori, nel rispetto delle regole e con l’obiettivo di salvare l’impresa.
Introduzione
Il piano attestato di risanamento è uno strumento di regolazione della crisi d’impresa disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI, D.Lgs. 14/2019). Esso consiste in un piano aziendale di risanamento redatto dall’imprenditore in stato di crisi o insolvenza, finalizzato a ristrutturare i debiti e a ripristinare l’equilibrio patrimoniale e finanziario dell’impresa. Il piano deve essere “attestato” da un professionista indipendente, il quale ne verifica la veridicità dei dati e la fattibilità economica, a garanzia della concretezza delle prospettive di risanamento. In altri termini, il legislatore offre all’imprenditore la possibilità di negoziare privatamente con i propri creditori un percorso di risanamento basato su informazioni veritiere e su un progetto sostenibile, certificato da un esperto terzo.
A differenza delle procedure concorsuali giudiziali (come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale), il piano attestato è uno strumento negoziale e stragiudiziale, basato su accordi privatistici con i creditori senza il diretto coinvolgimento del tribunale. Ciò comporta maggiore flessibilità e riservatezza – in quanto la crisi non diviene di pubblico dominio tramite procedure formali – ma anche che l’efficacia del piano dipenda dal consenso individuale dei creditori e dal rispetto dei requisiti di legge. Il piano attestato non prevede misure protettive automatiche: durante la sua predisposizione ed esecuzione, l’imprenditore non gode di un divieto generale di azioni esecutive da parte dei creditori (salvo richiedere strumenti specifici di tutela). Pertanto, esso va attuato in tempi rapidi e con un’attenta gestione dei rapporti con i creditori, per evitare iniziative che compromettano il risanamento.
Negli ultimi anni, il legislatore italiano ha rafforzato la cornice normativa intorno a questo strumento. Introdotto nel 2005 (come esenzione da revocatoria ex art. 67 L.F.), il piano attestato è oggi regolato dal CCI e aggiornato dalle riforme più recenti, tra cui il recepimento della Direttiva UE 2019/1023 in materia di ristrutturazioni e insolvenza. Da luglio 2022 il Codice della Crisi è entrato in vigore, con successive modifiche (D.Lgs. 147/2020, D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024) che hanno perfezionato la disciplina fino a maggio 2025. Oggi il piano attestato ex art. 56 CCI rappresenta uno degli strumenti regolatori della crisi più flessibili a disposizione di imprese di ogni settore e dimensione, incluse le PMI italiane, per affrontare situazioni di squilibrio finanziario fuori dalle aule giudiziarie.
In questa guida – aggiornata a maggio 2025 alla luce delle novità normative, fiscali e giurisprudenziali più recenti – verranno esaminati in dettaglio come predisporre un piano di risanamento aziendale efficace. Illustreremo la natura e le finalità del piano attestato ex art. 56 CCI, i requisiti civilistici (contenuti minimi, forma, effetti verso i creditori) e i profili applicativi più critici. Analizzeremo il ruolo cruciale dell’attestatore indipendente e le sue responsabilità, nonché le modalità operative per la redazione e l’attuazione del piano, con esempi pratici riferiti a PMI italiane in vari settori. Saranno inoltre trattati gli aspetti fiscali e tributari (come la tassazione delle sopravvenienze attive da stralcio dei debiti) e gli aspetti penali connessi (dalle eventuali responsabilità per l’imprenditore agli illeciti specifici dell’attestatore). Troverete anche domande e risposte su questioni frequenti – ad esempio sui vantaggi e i limiti del piano attestato, sulle criticità applicative e sulle responsabilità coinvolte – nonché tabelle riepilogative di obblighi, scadenze, contenuti e conseguenze giuridiche per facilitare la consultazione. Infine, viene fornito un elenco dettagliato di tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo, per un riferimento puntuale.
Quadro Normativo e Finalità del Piano Attestato ex art. 56 CCI
Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCI) dedica la Sezione I del Capo I (Titolo IV) agli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, disciplinati dall’art. 56 CCI. Questa norma ha sostituito la previgente disciplina dell’art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare, confermandone l’impianto di base e ampliandone alcuni aspetti per adeguarlo ai principi della direttiva europea sulle ristrutturazioni. In base all’art. 56 CCI, un imprenditore in stato di crisi o di insolvenza può predisporre un piano di risanamento rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria e a assicurare il riequilibrio patrimoniale ed economico-finanziario dell’impresa. La finalità del piano attestato è dunque quella di permettere all’impresa di superare la crisi e recuperare la continuità aziendale al di fuori delle procedure concorsuali, tramite un accordo privatistico con i creditori basato su un progetto di risanamento solido e verificato da un esperto indipendente.
Le condizioni soggettive per accedere al piano attestato non sono più limitate ai soli imprenditori “fallibili” (soggetti a liquidazione giudiziale). La formulazione attuale (“imprenditore in stato di crisi o di insolvenza”) si applica in linea di principio a qualsiasi imprenditore, a prescindere da dimensioni o natura (incluse PMI, imprese agricole e start-up). Ciò amplia l’operatività dello strumento: anche imprese minori, pur non soggette a fallimento, possono teoricamente negoziare un piano attestato per risanare la propria situazione debitoria. In pratica, tuttavia, per le micro-imprese e i soggetti non fallibili l’interesse al piano attestato è limitato, poiché non avrebbero comunque le azioni revocatorie fallimentari da cui doversi proteggere e dispongono di procedure minori di composizione della crisi. Resta fermo che il presupposto oggettivo di crisi o insolvenza reversibile è fondamentale: se l’insolvenza è così grave da non poter essere superata con misure negoziate (assenza di qualunque prospettiva di riequilibrio), il piano attestato non potrà neppure essere ipotizzato. In altre parole, il piano attestato richiede che esista una via d’uscita praticabile dalla crisi tramite accordi di dilazione o remissione dei debiti compatibili con le capacità dell’impresa, altrimenti occorrerà ricorrere a procedure concorsuali.
Dal punto di vista funzionale, il piano attestato ex art. 56 CCI mantiene la sua natura di strumento volontario e contrattuale di soluzione della crisi d’impresa. Esso non produce effetti vincolanti per i creditori estranei (a differenza, ad esempio, di un concordato preventivo): solo i creditori che aderiscono agli accordi ne saranno vincolati, mentre i creditori che non partecipano devono essere lasciati indenni (soddisfatti integralmente alle scadenze originarie). Questo principio – sancito espressamente dalla lettera d) del comma 2 art. 56 CCI – implica che il piano attestato non può imporre sacrifici ai creditori dissenzienti: l’imprenditore deve prevedere risorse sufficienti a pagare completamente i crediti di chi non accetta la rinegoziazione. Per contro, i creditori che decidono di aderire al piano lo faranno su base consensuale, negoziando volontariamente nuove condizioni (ad esempio dilazioni, riduzioni del credito, conversione di crediti in capitale, garanzie, ecc.) nell’ambito del progetto di risanamento.
Il quadro normativo aggiornato al 2025 presenta alcune novità importanti rispetto alla versione originaria dell’art. 56 CCI, introdotte per lo più dal decreto correttivo del 2022 (D.Lgs. 83/2022) e dal più recente D.Lgs. 136/2024. In particolare, il comma 2 dell’art. 56 elenca ora in modo dettagliato i contenuti che il piano deve avere (vedi oltre), includendo dal 2024 un nuovo requisito relativo ai costi per la sicurezza sul lavoro e la tutela ambientale. Inoltre, è stato ribadito che il piano, l’attestazione e gli accordi con i creditori possono essere pubblicati nel Registro delle Imprese, su richiesta del debitore (comma 4). Tale pubblicazione non è obbligatoria, ma rileva per ottenere taluni benefici: ad esempio, la protezione dalle azioni revocatorie e la detassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti sono subordinate all’esistenza di un piano con data certa e, in materia fiscale, alla sua iscrizione presso il registro. Su questo torneremo diffusamente nei paragrafi dedicati agli effetti civilistici e fiscali.
Riassumendo, il piano attestato di risanamento si fonda sui seguenti principi chiave:
- È uno strumento volontario e stragiudiziale, basato su negoziazioni private con i creditori, senza omologazione da parte del tribunale.
- Può essere utilizzato dall’imprenditore in crisi o insolvenza che intraveda una via di risanamento realistica, ottenendo dai creditori adeguati accomodamenti (dilazioni, nuovi finanziamenti, rinunce parziali, ecc.) per riequilibrare la propria situazione.
- Richiede una relazione di attestazione redatta da un professionista indipendente qualificato, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano (ossia che il piano appaia idoneo a conseguire il risanamento).
- Non prevede un effetto di cram-down sui creditori estranei: i creditori non aderenti devono essere soddisfatti integralmente e non subire pregiudizio dai contenuti del piano.
- Se correttamente implementato, il piano genera effetti protettivi legali a beneficio dell’imprenditore: in particolare, gli atti compiuti in esecuzione del piano non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare (né ordinaria); inoltre, l’imprenditore è esente da alcune fattispecie di reato fallimentare (come la bancarotta semplice e preferenziale) per le operazioni effettuate in esecuzione del piano. Tali effetti – esenzione civilistica da revocatoria ed esenzione penale in caso di successivo fallimento – mirano a incentivare il ricorso a soluzioni di risanamento tempestive e trasparenti.
Nei paragrafi che seguono analizzeremo dettagliatamente come predisporre un piano attestato di risanamento, dagli aspetti formali e di contenuto richiesti dalla legge, fino alle fasi pratiche di elaborazione, conclusione degli accordi e attuazione, tenendo presenti implicazioni civilistiche, fiscali e penali.
Contenuti e Requisiti Minimi del Piano di Risanamento
Per garantire trasparenza e attendibilità, l’art. 56 CCI prescrive puntualmente il contenuto minimo che un piano attestato di risanamento deve avere. Tali elementi costituiscono i requisiti formali e sostanziali di validità del piano. Di seguito si riepilogano i punti chiave da includere necessariamente nel documento, secondo il comma 2 dell’art. 56 CCI (come modificato dal D.Lgs. 136/2024):
- Data certa: il piano deve avere data certa, cioè una forma di attestazione della data di formazione (ad esempio mediante atto notarile, firma digitale con marca temporale, invio PEC o registrazione presso il Registro delle Imprese). La data certa è essenziale per conferire al piano efficacia rispetto ai terzi e per far decorrere le tutele (come l’esenzione da revocatoria) a partire da un riferimento cronologico opponibile.
- Informazioni sull’impresa e parti correlate: indicazione del debitore (impresa proponente) e delle eventuali parti correlate; descrizione delle sue attività e passività alla data di presentazione del piano; illustrazione della situazione economico-finanziaria dell’impresa e della posizione dei lavoratori. Questo punto comporta fornire un quadro completo e aggiornato dell’impresa (bilanci, elenco cespiti, debiti, crediti, organico, eventuali società collegate o garanti), così da fotografare la base di partenza del risanamento.
- Cause della crisi e grado di dissesto: analisi dettagliata delle cause e dell’entità dello stato di crisi o insolvenza in cui versa l’impresa. Occorre spiegare perché l’impresa è in difficoltà (es. calo del mercato, perdita di un cliente strategico, eccessivo indebitamento pregresso, crisi di liquidità, contenziosi, inefficienze gestionali, ecc.) e quantificare la gravità del dissesto accumulato. Dimostrare la comprensione delle cause è fondamentale per progettare misure efficaci di risanamento.
- Strategie di risanamento: illustrazione delle strategie di intervento che si intendono attuare per rimuovere le cause della crisi e riportare in equilibrio l’azienda. Qui va descritto nel concreto il piano d’azione: ad esempio, operazioni sul capitale (ricapitalizzazioni dei soci, ingresso di nuovi investitori, cessione di asset non strategici), ristrutturazione del debito (accordi con banche per moratorie o dilazioni, eventuali stralci parziali del credito concordati con fornitori, conversione di debiti in strumenti finanziari), rilancio commerciale o riorganizzazione industriale (espansione in nuovi mercati, taglio di rami d’azienda in perdita, riduzione costi operativi, efficientamento produttivo, ecc.). Questa sezione costituisce il “cuore” del piano: deve spiegare come l’impresa prevede di tornare in bonis e con quali misure concrete.
- Elenco dei creditori e trattative in corso: un prospetto dettagliato dei creditori coinvolti nella ristrutturazione proposta e dell’ammontare dei crediti che si intende rinegoziare, con indicazione dello stato delle eventuali trattative già avviate. Contestualmente, occorre fornire l’elenco dei creditori estranei (quelli che non partecipano all’accordo) e indicare le risorse destinate al pagamento integrale di tali crediti esterni nei tempi dovuti. Come già evidenziato, il piano deve assicurare che i creditori estranei non vengano pregiudicati: pertanto questa sezione mostra chi sono i partner della ristrutturazione (es. banche che accettano nuova finanza o dilazioni, fornitori che accettano un saldo a stralcio, ecc.) e come si intende invece onorare i creditori non aderenti (es. pagamento cash alle scadenze originali, magari grazie ai flussi liberati dalla ristrutturazione). La chiarezza su questi punti è cruciale per validare l’equilibrio del piano: non si possono distogliere risorse da chi resta fuori dall’accordo, se ciò li danneggerebbe.
- Eventuali apporti di finanza nuova: indicazione degli apporti di finanza esterna eventualmente previsti e le ragioni per cui sono necessari all’attuazione del piano. Spesso un piano di risanamento richiede nuova finanza per riuscire: ad esempio, un finanziamento soci o un prestito ponte da una banca, destinato a coprire il fabbisogno di liquidità dell’impresa nel periodo di rilancio. Tali apporti possono servire, ad esempio, a pagare i creditori estranei, a effettuare investimenti urgenti o a sostenere il capitale circolante mentre le misure di piano producono effetti. Nel piano vanno indicati con precisione l’ammontare di nuova finanza previsto, la sua provenienza (soci, banche, investitori terzi) e la destinazione d’uso, motivando perché è necessaria al successo del risanamento.
- Tempistica e monitoraggio: definizione dei tempi di attuazione delle varie azioni previste e delle modalità di verifica dei progressi, con indicazione delle iniziative correttive da adottare in caso di scostamento dagli obiettivi. Questo punto, introdotto espressamente dal CCI, mira a dotare il piano di una sorta di “piano B” interno qualora le cose non vadano come previsto. In pratica, il piano deve contenere un cronoprogramma: es. mese per mese o trimestre per trimestre, quali azioni verranno realizzate (aumento di capitale, cessione di cespiti, implementazione di tal prodotto, incasso di crediti, pagamento quote ai creditori, ecc.) e quali indicatori consentiranno di verificare lo stato di avanzamento (es. fatturato effettivo vs budget, margini, cassa disponibile). Inoltre, vanno predefinite le misure di reazione se i risultati deviano significativamente dal piano: ad esempio, si può stabilire che se dopo 6 mesi il fatturato risulta inferiore del 10% al previsto, allora l’imprenditore si impegna a reperire ulteriori fondi propri oppure a tagliare ulteriori costi. L’intento è evitare che un piano, per quanto ben congegnato, possa fallire per eventi imprevisti senza alcuna reazione, esponendo così gli atti eseguiti al rischio di essere vanificati (e potenzialmente attaccabili in revocatoria). Qualora, nonostante le azioni correttive, il piano divenga comunque irrealizzabile, l’imprenditore dovrà predisporre un piano nuovo o ricorrere tempestivamente a una procedura concorsuale; diversamente, gli atti compiuti nell’esecuzione di un piano divenuto impossibile potrebbero perdere le tutele (ad esempio l’esenzione da revocatoria) per mancanza dei presupposti.
- Piano industriale e proiezioni finanziarie: presentazione di un vero e proprio piano industriale (business plan) con evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario, e indicazione dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio economico-finanziario. In sostanza bisogna tradurre le strategie di risanamento in numeri previsionals: conto economico prospettico, stato patrimoniale e soprattutto cash-flow forecast per i prossimi anni (l’orizzonte del piano). Questo consente di dimostrare che, attuando le misure proposte, l’impresa genererà flussi sufficienti a sostenere le uscite (pagamenti ai creditori secondo l’accordo e spese correnti) e a tornare in equilibrio. Il piano finanziario dovrà mostrare, ad esempio, l’evoluzione attesa del fatturato, dei costi operativi, dell’EBITDA, degli oneri finanziari post-ristrutturazione, del capitale circolante e così via, evidenziando come tali variabili miglioreranno grazie al piano. Credibilità e coerenza dei numeri sono fondamentali: l’attestatore dovrà verificarli e attestare che i flussi previsti sono realistici e compatibili con gli impegni presi.
- Analisi economico-finanziaria dettagliata (“requisito g-bis”): a seguito del correttivo del 2022-2024, il piano deve includere un’analitica indicazione dei costi e ricavi attesi, del fabbisogno finanziario complessivo e delle modalità di copertura di tale fabbisogno, tenendo conto anche dei costi necessari al rispetto della normativa su sicurezza sul lavoro e tutela ambientale. Questo nuovo requisito (lettera g-bis del comma 2) impone quindi di esplicitare nel piano, con rigore quantitativo, quali risorse finanziarie serviranno nell’arco del risanamento e come l’impresa intende procurarsele (es. attraverso la gestione caratteristica risanata, mediante nuovi apporti, dismissioni di asset, risparmi di costo, ecc.), senza trascurare spese inderogabili come quelle per adeguamenti in materia di sicurezza e ambiente. L’inclusione di tali voci garantisce che il piano non poggi su tagli “illegali” o su ipotesi di risparmio che violino norme di sicurezza/ambientali – assicurando così un risanamento sostenibile e conforme alle regole.
Oltre ai contenuti sopra elencati, il piano deve essere redatto per iscritto e corredato dalla relazione di attestazione del professionista (come richiesto dal comma 3 art. 56). La completezza e chiarezza di tutti i punti è fondamentale: un piano attestato privo di uno degli elementi essenziali o redatto in modo generico potrebbe non offrire sufficienti garanzie di serietà, esponendo l’imprenditore al rischio che, in caso di successivo default, i benefici protettivi vengano disconosciuti dal tribunale (ad esempio, perché il piano era troppo vago per poter essere considerato “idoneo” ex ante). È quindi prassi comune seguire scrupolosamente l’elenco normativo come check-list, assicurandosi che ciascun requisito sia trattato in una sezione dedicata del documento.
Di seguito approfondiamo come procedere operativamente per predisporre il piano, soffermandoci sul ruolo degli attori coinvolti e sulle fasi di negoziazione ed esecuzione.
Procedura Operativa per la Predisposizione e l’Attuazione del Piano
Elaborare e portare a termine un piano attestato di risanamento richiede un percorso strutturato, che coinvolge diversi attori (imprenditore, consulenti, attestatore, creditori) e si articola in varie fasi temporali. Di seguito descriviamo l’iter tipico, dalle prime rilevazioni della crisi fino alla completa esecuzione del piano, evidenziando le azioni chiave e le best practice per massimizzare le chance di successo:
1. Emersione della crisi e scelta dello strumento: il processo inizia con la presa di coscienza dello stato di crisi da parte dell’imprenditore e degli organi sociali. A seguito dell’obbligo introdotto nell’art. 2086 c.c., l’organo amministrativo deve dotarsi di adeguati assetti organizzativi per rilevare tempestivamente i segnali di crisi e attivarsi per fronteggiarla. Non appena vengono individuati sintomi di squilibrio (indicatori finanziari, ritardi nei pagamenti, perdite ricorrenti, ecc.), l’imprenditore – coadiuvato dal proprio advisor finanziario o dal commercialista – valuta le opzioni disponibili per il risanamento. Si tratta di decidere se tentare un risanamento stragiudiziale (piano attestato o accordi privati) oppure se avviare una procedura concorsuale (es. concordato preventivo) o para-concorsuale. In questa fase è importante effettuare una diagnosi approfondita della situazione: dimensione dell’insolvenza, composizione del debito (quanti creditori e di che tipo), prospettive industriali, necessità di protezione da azioni esecutive. Se l’impresa ritiene di poter ottenere il consenso della maggior parte dei creditori chiave e di non aver bisogno di misure protettive formali immediate, l’opzione piano attestato di risanamento risulta spesso preferibile per costi minori e maggiore riservatezza. In caso contrario (ad esempio, troppi creditori dissenzienti, rischio imminente di pignoramenti, necessità di imporre moratorie anche a soggetti non concordi, ingenti debiti fiscali non negoziabili privatamente), si valuterà l’accordo di ristrutturazione omologato o il concordato come soluzioni più adeguate.
Best practice: In questa fase preliminare può risultare utile attivare la procedura di composizione negoziata della crisi (introdotta dal D.L. 118/2021 e ora regolata dagli artt. 12-25 CCI) nominando un esperto indipendente che assista nelle trattative con i creditori. La composizione negoziata è volontaria e consente, tra l’altro, di richiedere al tribunale misure protettive temporanee (fino a 4 mesi) per bloccare azioni esecutive mentre si negozia. Molte PMI scelgono questo percorso: avviare un tavolo di trattativa protetto con i creditori e, se l’esito è positivo, tradurlo in un piano attestato da formalizzare. In caso di esito negativo, si ha comunque il paracadute per eventualmente presentare un concordato o altra procedura in continuità. È importante sottolineare che il piano attestato in sé non offre protezione immediata dai creditori, ma la combinazione con la composizione negoziata può sopperire a tale carenza, con l’obiettivo finale di raggiungere un accordo stragiudiziale attestato.
2. Raccolta delle informazioni e due diligence aziendale: decisa la strada del piano attestato, l’imprenditore deve raccogliere sistematicamente tutte le informazioni economico-patrimoniali rilevanti. Si effettua una sorta di due diligence interna: verifica dei bilanci e situazioni contabili aggiornate, lista completa dei debiti (distinguendo per tipologia: banche, fornitori, fisco, dipendenti, leasing, ecc.), elenco delle garanzie prestate, contenziosi legali pendenti, stato degli ordini e del portafoglio clienti, valore di mercato di beni cedibili, fabbisogno finanziario per i prossimi mesi, ecc. Spesso in questa fase l’azienda si avvale di consulenti finanziari e legali specializzati in ristrutturazioni, se già non li ha coinvolti: essi aiutano a individuare le criticità e a formulare proiezioni realistiche. È essenziale fotografare con precisione la situazione iniziale (anche perché l’attestatore dovrà attestare la veridicità dei dati aziendali): eventuali buchi informativi o inesattezze contabili vanno sanati ora. Parallelamente, si cominciano a delineare le possibili linee di intervento: ad esempio, identificare asset non strategici vendibili, calcolare di quanto si dovrebbe ridurre il costo del personale, stimare quale percentuale di debito bancario potrebbe essere convertita in altro, e così via. Questa analisi confluirà poi nel piano.
3. Predisposizione del piano di risanamento (bozza iniziale): sulla base delle informazioni raccolte e delle strategie individuate, si procede a redigere la bozza del piano. L’imprenditore (con i suoi consulenti) elabora un documento articolato che includa tutti i contenuti richiesti (come visti nel paragrafo precedente): descrizione dell’azienda e del dissesto, cause della crisi, piano industriale con azioni dettagliate, effetti attesi, elenco creditori e proposta di ristrutturazione per ciascuno, risorse per creditori estranei, nuovi finanziamenti attesi, cronoprogramma, proiezioni economico-finanziarie, misure correttive per rischi futuri, ecc. Nella redazione si devono effettuare numerosi calcoli e simulazioni: ad esempio, valutare diversi scenari di vendita di un bene (per capire quanti soldi affluiranno e quando), simulare l’impatto di un certo taglio di debito sugli indici finanziari futuri, ecc. Di norma si produce un business plan previsionale a 3-5 anni, che è parte integrante del piano. Occorre anche definire nel dettaglio la proposta ai creditori: per ogni classe o singolo creditore rilevante, cosa si offre? (es.: alla banca Alfa: proroga scadenze finanziamento di 5 anni, interessi ridotti all’X%; ai fornitori: pagamento del 60% del loro credito in 24 mesi a partire dal 2024; ecc.). Queste proposte devono essere calibrate in modo da essere sostenibili per l’impresa (in base ai flussi generati dal piano) e al contempo ragionevoli per i creditori, così da ottenere adesioni. È opportuno, se possibile, mantenere un dialogo informale con i principali creditori durante la stesura: ad esempio, anticipare alle banche l’idea di chiedere una moratoria o nuova finanza per sondare la disponibilità di massima, prima di mettere tutto per iscritto. La bozza di piano deve essere abbastanza dettagliata da consentire poi all’esperto attestatore di svolgere le sue valutazioni.
4. Coinvolgimento del professionista attestatore: una volta che la bozza avanzata del piano è pronta (o comunque delineata nei suoi elementi fondamentali), l’impresa procede a individuare e nominare un professionista indipendente che svolgerà la funzione di attestatore. La scelta ricade tipicamente su un commercialista o revisore esperto di crisi d’impresa, in possesso dei requisiti di legge (iscritto all’albo dei gestori della crisi e dei revisori legali, e privo di conflitti di interesse, come dettagliato oltre). Può trattarsi di un soggetto proposto dall’azienda stessa o suggerito dai consulenti; talvolta i creditori (es. le banche) gradiscono concordare il nominativo, per maggiore fiducia. È fondamentale coinvolgere l’attestatore con sufficiente anticipo: egli dovrà infatti analizzare una grande mole di dati, chiedere eventualmente integrazioni, e soprattutto valutare criticamente il piano. Una buona prassi è consegnare all’attestatore una bozza preliminare e documenti di supporto (piano industriale, situazione debitoria, contratti, perizie su valori di beni se disponibili, ecc.) e recepire i suoi eventuali feedback prima della versione finale. L’attestatore deve lavorare in modo indipendente, ma un dialogo collaborativo (senza mai comprometterne l’obiettività) aiuta a evitare che la relazione di attestazione evidenzi problemi tardivamente. Durante questa fase, l’attestatore esegue le verifiche di rito: ad esempio, controlla la veridicità dei dati contabili (richiedendo magari riconciliazioni tra bilancio e posizioni debitorie reali, controlli a campione su voci di attivo e passivo); esamina le ipotesi del piano verificandone la plausibilità (crescite di fatturato non irrealistiche, tagli di costi coerenti, margini in linea con il settore, ecc.); verifica che le risorse per i creditori estranei siano sufficienti e tempestive; verifica che i tempi previsti siano ragionevoli; valuta se gli apporti di terzi (nuovi finanziamenti, interventi dei soci) siano concreti o almeno deliberati. L’attestatore agirà come una sorta di “controllore di qualità” del piano: se ravvisa incongruenze o lacune, lo segnalerà. Questa fase può richiedere diversi giorni o settimane, a seconda della complessità dell’azienda e del piano.
5. Negoziazione e accordi con i creditori: parallelamente all’intervento dell’attestatore (o subito dopo aver ricevuto un suo assenso di massima sulla fattibilità del piano), l’impresa intensifica la negoziazione con i creditori chiave. È infatti consigliabile non finalizzare il piano attestato senza avere un’idea chiara di quali creditori vi aderiranno e a quali condizioni. In particolare, con ciascuna banca finanziatrice si discuterà di moratorie, rimodulazione dei prestiti esistenti (ad es. allungamento del rimborso, consolidamento di linee a breve in un mutuo, riduzione tassi) e di eventuali nuove linee di credito per sostenere il piano. Con i fornitori principali si potrà negoziare la dilazione dei debiti commerciali o uno stralcio parziale (es. rinuncia al 20-30% del credito, saldo del resto su un certo periodo) – spesso offrendo in cambio la continuità degli ordinativi futuri. Con l’Erario e gli enti previdenziali (INPS, Agenzia Entrate Riscossione) la questione è delicata: fuori dalle procedure concorsuali non è possibile “imporre” un taglio dei debiti tributari o contributivi, né il Fisco può legalmente concordare riduzioni se non previste da norme. Tuttavia, l’impresa può includere nel piano l’adesione a eventuali definizioni agevolate vigenti (rottamazione cartelle, piani di rateazione ordinari fino a 6 anni, ecc.) per gestire il debito fiscale. Spesso, una soluzione è destinare parte dei nuovi finanziamenti o delle dismissioni al pagamento integrale (magari dilazionato) di IVA, ritenute e altre posizioni che non si possono comprimere extra-giudizialmente. In ogni caso, è bene coinvolgere i creditori pubblici comunicando loro l’esistenza del piano: pur non potendo formalizzare un accordo fuori dal perimetro delle norme, un atteggiamento collaborativo (es. INPS che concede la dilazione massima di legge, Agenzia Entrate che non avvia nuove azioni esecutive se l’azienda rispetta un piano di pagamento) può essere ottenuto se il piano appare serio e garantisce il pagamento integrale del dovuto nei termini di legge. Ove possibile, tutti gli accordi con i creditori vanno messi per iscritto e, se il creditore lo consente, condizionati all’attestazione del piano: ad esempio, la banca firma un accordo di rinegoziazione del debito “fermo restando che il piano venga attestato e, se il debitore lo richiede, pubblicato”. Questo crea un collegamento formale tra l’accordo e il piano attestato, utile poi per dimostrare che quell’atto è “in esecuzione del piano” (requisito per le esenzioni da revocatoria). In ogni caso, atti unilaterali e contratti in esecuzione del piano devono avere forma scritta e data certa, come richiesto dal comma 5 dell’art. 56, quindi tutte le transazioni con i creditori aderenti vanno documentate (scritture private autenticate, PEC, ecc.). Al termine di questa fase, l’impresa dovrebbe aver raccolto adesioni sufficienti: non c’è una soglia di legge (come nel concordato), ma de facto il piano deve coinvolgere un insieme di creditori che rappresentino la parte preponderante dell’esposizione, altrimenti il risanamento rischia di non riuscire. È opportuno anche raccogliere eventuali manifestazioni di sostegno formali: ad esempio, lettere di intenti di nuovi investitori, delibere bancarie di concessione finanziamento soggette a condizione, ecc., da allegare al piano.
6. Finalizzazione del piano e relazione di attestazione: una volta definite le condizioni con i creditori e incorporate eventuali correzioni suggerite dall’attestatore, si procede a finalizzare il piano attestato in versione definitiva. L’imprenditore approva formalmente il documento (spesso con deliberazione dell’organo amministrativo, specie nelle società di capitali, per dare evidenza della decisione collegiale) e lo sottoscrive. A questo punto, il professionista indipendente redige la relazione di attestazione ai sensi dell’art. 56, comma 3 CCI. Nella relazione, l’attestatore dovrà dichiarare di aver verificato la veridicità dei dati aziendali posti a base del piano e di ritenere fattibile sotto il profilo economico il piano medesimo. In pratica, egli attesta che i numeri di partenza sono corretti (nessuna manipolazione dei valori di bilancio, nessun occultamento di debiti, etc.) e che le previsioni del piano sono realistiche e sufficienti a risanare l’impresa. Spesso l’attestazione include anche considerazioni sul ragionamento seguito: ad esempio, l’attestatore può evidenziare che la riduzione di costi prevista è supportata da contratti già firmati, che l’apporto di nuovi capitali è deliberato e vincolato all’attuazione del piano, che in uno scenario prudenziale l’impresa riuscirebbe comunque a sostenere il servizio del debito ristrutturato, ecc. Va sottolineato che l’attestatore non garantisce il successo del piano, ma certifica che, allo stato delle informazioni disponibili e secondo le metodologie di valutazione professionale, non emergono elementi che rendano il piano palesemente irrealizzabile o fondato su dati falsi. Importante: la relazione di attestazione va anch’essa datata e sottoscritta e preferibilmente allegata al piano stesso. Da questo momento, possiamo definire il piano come “attestato”.
7. Pubblicazione (opzionale) e formalità di perfezionamento: il quadro normativo consente all’imprenditore di richiedere la pubblicazione del piano attestato, della relativa attestazione e degli accordi conclusi con le parti aderenti nel Registro delle Imprese. Questa pubblicazione, pur non obbligatoria, è altamente consigliabile per vari motivi:
– Data certa legale: Iscrivendo il piano presso il Registro Imprese si ottiene automaticamente una data certa opponibile a terzi (soddisfacendo il requisito formale).
– Efficacia verso terzi e tutela revocatoria: La pubblicità rende noto ai terzi l’esistenza del piano; soprattutto, in caso di successivo fallimento, la curatela non potrà eccepire l’assenza di pubblicità. Infatti, per opporre l’esenzione da revocatoria degli atti esecutivi, è essenziale provare che quei atti erano parte di un piano attestato con data certa. La pubblicazione fornisce tale prova e, secondo la giurisprudenza più recente, rende il piano opponibile anche ai fini delle revocatorie ordinarie ex art. 2901 c.c. (come recepito nell’art. 167 CCI).
– Beneficio fiscale: come vedremo, l’art. 88, comma 4-ter TUIR subordina la detassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti all’avvenuta pubblicazione del piano attestato nel registro delle imprese. Dunque, per non pagare imposte sull’eventuale quota di debito che i creditori rinunciano, è necessario aver iscritto il piano.
– Trasparenza e affidabilità: comunicare ufficialmente l’esistenza di un piano attestato può migliorare i rapporti con fornitori, clienti e istituti di credito non coinvolti direttamente, mostrando che l’azienda ha un percorso credibile di rilancio certificato da un esperto.
La pubblicazione si effettua depositando presso la Camera di Commercio competente una pratica con copia del piano, dell’attestazione e degli accordi (es. testi degli accordi di ristrutturazione firmati con le banche, ecc.), unitamente a una domanda firmata dall’imprenditore. Una volta iscritto, il piano attestato acquista *formalmente efficacia* dalla data dell’iscrizione (per le tutele connesse). Ovviamente, il contenuto del piano (essendo un documento depositato) diviene conoscibile da chiunque tramite visura camerale: per questo il legislatore la prevede come facoltativa, al fine di preservare la **riservatezza** se l’imprenditore lo desidera:contentReference[oaicite:75]{index=75}. In alcuni casi, le aziende più grandi preferiscono non pubblicare per non far emergere pubblicamente la crisi; tuttavia ciò sacrifica i benefici di legge. Molte PMI optano per la pubblicazione, bilanciando la trasparenza con i vantaggi di protezione giuridica.
8. Esecuzione del piano e monitoraggio: con il piano attestato formalizzato, l’azienda passa alla fase esecutiva. Ciò significa dare attuazione a tutte le azioni previste: ad esempio effettuare gli aumenti di capitale decisi, portare a termine la cessione di un immobile programmata, implementare le riorganizzazioni interne (chiusura di filiali, licenziamenti concordati se previsti, ecc.), e soprattutto rispettare puntualmente gli accordi di pagamento presi con i creditori. Il successo del piano dipende in larga parte dalla capacità dell’imprenditore di rispettare gli impegni: ogni scadenza va onorata (a meno di accordi diversi in corso d’opera). È buona norma predisporre un sistema di monitoraggio interno: ad esempio, inviare periodicamente ai creditori aderenti un breve report sullo stato di avanzamento (molti accordi con banche lo richiedono come covenant), così da mantenere la fiducia. Durante l’esecuzione, l’organo amministrativo deve vigilare sugli scostamenti rispetto al piano: se qualche obiettivo non è raggiunto (ad es. le vendite sono inferiori al previsto, o un apporto di finanza ritarda), bisogna tempestivamente attuare le misure correttive indicate nel piano o, se necessario, convocare di nuovo i creditori per rimodulare l’accordo. Il CCI spinge molto sul concetto di “early warning”: intervenire subito ai primi segnali di deviazione. Ad esempio, se un creditore estraneo non viene pagato come da piano perché la liquidità manca, l’imprenditore deve immediatamente valutare alternative (nuovo partner, ridiscutere il piano, o se non v’è rimedio attivare una procedura concorsuale prima che la situazione precipiti). Un monitoraggio rigoroso protegge anche gli amministratori da future contestazioni: mostra che si sono attivati diligentemente per salvare l’impresa e, qualora il piano fallisca, di aver almeno evitato ulteriori aggravamenti ingiustificati.
9. Completamento o eventuale insuccesso: se tutto procede per il meglio, al termine dell’orizzonte del piano (spesso 3-5 anni) l’impresa avrà risanato il proprio indebitamento: avrà pagato le quote concordate ai creditori aderenti, sarà tornata a equilibrio finanziario e potrà considerarsi fuori dalla crisi. In tal caso, il piano attestato si conclude positivamente e l’azienda prosegue la sua attività potendo anche recuperare rating creditizi migliori e fiducia sul mercato, avendo risolto il pregresso. Al contrario, se il piano non dà i risultati sperati e l’impresa si trova ancora insolvente o in difficoltà, è probabile che si debba fare ricorso ad una procedura concorsuale (es. un concordato preventivo) o, in casi estremi, alla liquidazione giudiziale (ex fallimento). L’esperienza insegna che un piano attestato fallito spesso anticipa un successivo concordato: l’azienda tenta la via stragiudiziale, ma se i ricavi non ripartono o un creditore chiave si sfila, bisogna virare su una soluzione giudiziale per proteggersi dai creditori e regolare la crisi in modo più incisivo. È importante sottolineare che gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato conserveranno la loro protezione anche in caso di successivo fallimento (purché il piano rispettasse i requisiti di legge al momento dell’esecuzione degli atti). Ad esempio, se durante il piano l’imprenditore ha pagato un fornitore aderente preferendolo ad altri, quell’atto non sarà revocabile dal curatore in un eventuale fallimento successivo, a condizione che il piano attestato fosse idoneo e non manifestamente inattuabile quando fu compiuto il pagamento. Su questo aspetto la Cassazione ha chiarito che il giudice fallimentare, investito di un’azione revocatoria, può verificare ex ante l’idoneità del piano, e negare l’esenzione solo se esso appariva, già al momento, affetto da “assoluta e manifesta inettitudine” a risanare l’impresa. Quindi, atti compiuti in buona fede in un piano plausibile resteranno protetti, mentre un piano meramente dilatorio o evidentemente irrealistico non potrà fungere da scudo.
Riassumendo, la procedura operativa per il piano attestato si basa su: diagnosi precoce, scelta ponderata dello strumento, coinvolgimento di professionisti qualificati, approfondita due diligence, redazione accurata e completa del piano, negoziazione trasparente con i creditori, attestazione indipendente e rigorosa, rispetto delle formalità (data certa, pubblicazione) e attuazione disciplinata con monitoraggio costante. In tal modo, l’imprenditore si mette nelle migliori condizioni per ottenere un risanamento efficace e al contempo usufruire delle protezioni legali previste.
Il Ruolo del Professionista Attestatore: Requisiti, Doveri e Responsabilità
Una figura centrale nell’intero iter è il professionista indipendente incaricato di attestare il piano. L’“attestatore” offre ai creditori (e al sistema) una garanzia di attendibilità del piano, svolgendo una funzione di pubblico interesse anche in un contesto privatistico. Vediamo quali caratteristiche deve avere e quali responsabilità si assume questo soggetto.
Requisiti di indipendenza e qualificazione: il Codice della Crisi definisce espressamente i criteri che rendono un professionista indipendente. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. o) CCI, l’attestatore deve soddisfare congiuntamente i seguenti requisiti principali:
- Iscrizione ad albi qualificati: deve essere iscritto sia all’Albo dei gestori della crisi d’impresa (istituito dal CCI per gli esperti in composizione negoziata, curatori, ecc.) sia nel Registro dei revisori legali. Ciò garantisce che il professionista abbia adeguata preparazione contabile e aziendale e abbia eventualmente seguito la formazione specialistica prevista per i gestori della crisi.
- Assenza di relazioni personali o professionali con l’impresa: il professionista (né i suoi soci di studio) non deve essere stato legato all’impresa debitrice o ad altre parti interessate da rapporti di lavoro subordinato o autonomo negli ultimi 5 anni, né aver rivestito cariche amministrative o di controllo nell’impresa, né possederne partecipazioni. Inoltre non deve essere creditore dell’impresa o trovarsi in situazioni di conflitto di interesse. In sostanza, deve essere terzo e neutrale rispetto al debitore e ai creditori (ad esempio, non potrebbe attestare il piano il commercialista che ha tenuto la contabilità dell’azienda fino all’anno prima, né un ex dirigente dell’azienda, ecc.).
- Requisiti di onorabilità e professionalità: devono valere nei confronti dell’attestatore le cause di ineleggibilità previste dall’art. 2399 c.c. (analoghe a quelle per i sindaci/revisori di società: non essere coniuge o parente di amministratori, non essere legato da rapporti d’affari con l’azienda, ecc.). Inoltre, per prassi si richiede un elevato standing professionale in materia di crisi d’impresa (in genere l’attestatore è un dottore commercialista con esperienza pluriennale in procedure concorsuali o ristrutturazioni, oppure un avvocato-commercialista se ha anche abilitazione da revisore). L’attestatore deve dichiarare espressamente la propria indipendenza nel corpo della relazione, elencando le verifiche fatte (assenza di conflitti, rapporti pregressi, ecc.).
Questi requisiti rigorosi servono a far sì che l’attestazione sia il più possibile obiettiva e credibile agli occhi dei creditori e, se del caso, del tribunale. La scelta dell’attestatore è quindi cruciale: tipicamente si preferisce un professionista di esperienza consolidata, il cui nome infonda fiducia (es. iscrizione nell’elenco ministeriale dei gestori crisi, già curatore o attestatore in altri casi, etc.).
Doveri e attività dell’attestatore: il compito primario dell’attestatore è redigere la relazione di attestazione nella quale assevera che i dati aziendali su cui si basa il piano sono veritieri e che il piano è fattibile (realisticamente in grado di raggiungere gli obiettivi di risanamento). Per far ciò, deve condurre con diligenza una serie di verifiche e valutazioni:
- Verifica dei dati contabili e informativi: l’attestatore non si limita a prendere atto dei numeri forniti dall’impresa, ma ne controlla l’attendibilità. Ciò implica ad esempio: confrontare i saldi debitori con le lettere di conferma banche/fornitori, controllare che i bilanci utilizzati siano depositati e regolarmente approvati, verificare l’esistenza e il valore effettivo degli asset dichiarati (anche tramite stime di mercato o perizie se disponibili), accertare l’entità delle passività potenziali (cause legali in corso, garanzie prestate). Può procedere per campionamento su operazioni rilevanti, purché il campione sia rappresentativo e giustificato. Lo scopo è affermare che i dati di partenza (debiti, crediti, patrimonio, ecc.) sono reali e non alterati. Laddove l’attestatore riscontri discrepanze o incertezze, chiederà chiarimenti e, se necessario, rettifiche (ad esempio: un debito non contabilizzato, un contenzioso non evidenziato, ecc. dovranno emergere nella relazione).
- Analisi della fattibilità economica: qui l’attestatore entra nel merito del piano, pur senza sovrapporsi alle scelte imprenditoriali. Deve valutare se le assunzioni alla base del piano sono plausibili e se gli obiettivi finali (risanamento debiti ed equilibrio finanziario) sono raggiungibili con ragionevole certezza. In pratica, esamina il business plan e si chiede: sono ipotesi credibili? Ad esempio, se il piano prevede un aumento dei ricavi del +50% in due anni, dovrà verificare se c’è una base concreta (nuovi contratti, espansione di mercato) o se è una stima campata in aria. Se il piano prevede costi in diminuzione, controllerà che ciò derivi da misure identificate (p.es. taglio personale con specifiche uscite concordate). Valuterà i margini prospettici, la tenuta del cash flow e la capacità di ripagare i debiti ristrutturati nei tempi indicati. Importante: la giurisprudenza ha chiarito che il controllo del giudice (in sede di eventuale revocatoria) si ferma a sanzionare piani manifestamente inidonei, non entra nel merito di piani ragionevoli anche se poi non riusciti. Similmente l’attestatore deve evidenziare eventuali criticità macroscopiche (piano irrealistico o basato su presupposti impossibili) e negare l’attestazione in tal caso; ma non garantisce il risultato al 100%. In altri termini, egli deve assicurare che ex ante il piano appaia logico e credibile, pur sapendo che ex post potrebbero intervenire fattori imprevedibili.
- Completezza degli accordi e delle risorse: l’attestatore verifica inoltre che il piano copra tutti gli aspetti: ad esempio, che siano state considerate tutte le posizioni debitorie (in modo da non lasciare fuori qualcosa che poi farebbe fallire il piano), che i creditori estranei siano pagati come dichiarato, che le fonti di finanziamento addizionali siano realistiche (ad es. presenza di lettere di impegno per i nuovi fondi). Questo aspetto è delicato: se parte del piano dipende da eventi futuri fuori controllo (es. vendita di un immobile a un certo prezzo), l’attestatore deve valutare se è prudente dare per acquisito quell’evento o se segnalare un rischio. Esempio: il piano prevede di incassare 2 milioni dalla vendita di un capannone entro 6 mesi – l’attestatore dovrà magari far notare se non c’è ancora alcuna trattativa concreta, evidenziando l’alea. In certi casi, l’attestatore può suggerire di inserire misure cautelative (es. se la vendita non avviene, i soci si impegnano a conferire liquidità).
- Conformità legale: pur essendo principalmente un controllo economico-finanziario, l’attestatore deve anche assicurarsi che il piano non violi norme imperative. Ad esempio, non è ammissibile un piano che preveda di non pagare contributi previdenziali dovuti o di operare in modo da ledere diritti indisponibili. Questo rientra nel concetto di fattibilità giuridica: se parti del piano fossero contra legem, comprometterebbero tutto.
Al termine delle sue analisi, se tutto risulta coerente, il professionista redige la relazione di attestazione, che sarà allegata al piano. Se invece riscontra irriducibili elementi negativi (piano infattibile, dati falsi non corretti, ecc.), può rifiutare di attestare. In pratica spesso c’è iterazione: l’attestatore segnala problemi e l’azienda modifica il piano per risolverli, fino ad ottenere un assetto attestabile.
Responsabilità e conseguenze in caso di false attestazioni: il legislatore attribuisce all’attestatore un ruolo di “gatekeeper” e per questo lo assoggetta a un regime di responsabilità piuttosto severo:
- Responsabilità penale (reato di falso in attestazioni): l’art. 342 CCI punisce il professionista attestatore che, nelle relazioni o attestazioni predisposte nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi (inclusi i piani attestati), espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti riguardo alla veridicità dei dati aziendali o alla fattibilità del piano. Si tratta della fattispecie già prevista dall’abrogato art. 236-bis L.F., ora riproposta: in sostanza, se l’attestatore mente o nasconde la verità, risponde di reato. Le pene prevedono la reclusione (fino a 4 anni, stando alla previgente disciplina, con aumenti fino alla metà se il fatto ha procurato profitto indebito o danno ai creditori). Ad esempio, un attestatore che certifica come veritieri dei dati di bilancio falsificati, o omette di segnalare che mancano all’appello debiti significativi, commette reato. Analogamente, dichiarare fattibile un piano che in realtà (come lui ben sapeva) poggiava su basi irrealistiche può configurare il falso. La Cassazione penale ha ribadito di recente che l’omissione di informazioni rilevanti è equiparata al falso, e che il professionista deve svolgere la sua prestazione con tutti i crismi di professionalità, pena incorrere in tale reato. Dunque, l’attestatore deve essere estremamente rigoroso e trasparente: qualunque informazione che potrebbe influenzare le decisioni dei creditori va riportata.
- Responsabilità civile verso i terzi: l’attestatore potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni causati a creditori o altri soggetti che abbiano fatto affidamento sulle sue attestazioni. Ad esempio, se un creditore accetta il piano confidando sulla relazione che lo definiva fattibile, ma emerge che l’attestatore aveva trascurato gravi problemi ed il piano fallisce causando danni ai creditori, questi ultimi potrebbero agire contro l’attestatore per negligenza professionale. L’azione tipica è del curatore fallimentare (in caso di fallimento successivo) o dei creditori stessi, invocando la responsabilità extracontrattuale per colpa grave. In passato vi sono stati casi di attestatori citati in giudizio dai curatori per non aver svelato certi elementi poi sfociati in aggravamento del dissesto.
- Conseguenze disciplinari: per l’attestatore iscritto a un albo professionale (Dottori Commercialisti, Avvocati, Revisori) vi possono essere implicazioni disciplinari in caso di condotta scorretta o negligente nello svolgimento dell’incarico. Ad esempio, l’Ordine dei Commercialisti potrebbe aprire un procedimento disciplinare se emergono comportamenti non etici o violazioni dei principi di deontologia (specie in caso di condanna penale).
- Esenzioni da responsabilità dell’imprenditore (riflessi indiretti): va segnalato, infine, che esiste una norma – l’art. 324 CCI – che prevede che l’imprenditore non sia punibile per i reati di bancarotta semplice e bancarotta preferenziale relativamente ai pagamenti e alle operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato di risanamento. Questa disposizione (ripresa dall’art. 217-bis L.F.) non esonera l’attestatore, ma mostra l’importanza che riveste la sua attestazione: se il piano è attestato e poi l’impresa fallisce, l’imprenditore beneficia di un’esenzione penale per aver tentato il risanamento in modo corretto. L’attestatore, viceversa, se ha fatto il proprio dovere non subisce nulla, ma se ha attestato il falso risponde personalmente. Dunque la legge bilancia i rischi: premia l’imprenditore che segue un piano attestato esonerandolo da certe colpe, ma punisce severamente il professionista che abusa del suo ruolo.
In sintesi, il professionista attestatore deve agire con estrema diligenza, indipendenza e trasparenza, consapevole che dalla sua relazione dipende la fiducia dei creditori e l’accesso dell’imprenditore a importanti protezioni legali. Egli non deve farsi influenzare dall’ottimismo dell’imprenditore, né tanto meno prestarsi a mascherare la realtà: piuttosto, deve mantenere un sano scetticismo professionale e verificare tutto il verificabile. Un’attestazione seria e veritiera è nell’interesse di tutti: se il piano è valido, i creditori saranno più propensi ad aderire; se invece il piano è velleitario, meglio bloccarlo prima, evitando di peggiorare il dissesto.
Aspetti Civilistici: Efficacia verso i Creditori e Tutele Giuridiche
Sul piano civilistico, il piano attestato di risanamento presenta peculiarità importanti in termini di efficacia e tutele. In questa sezione esamineremo come il piano si riflette sui rapporti con i creditori e quali benefici legali l’ordinamento riconosce agli atti compiuti nel suo ambito, soffermandoci anche sulle responsabilità degli amministratori in caso di esito negativo.
Efficacia contrattuale e relatività degli accordi: il piano attestato, in quanto accordo stragiudiziale, vincola solo i soggetti che vi aderiscono. Non essendoci un effetto di “cram down” come nelle procedure concorsuali omologate, ogni creditore mantiene la libertà di accettare o rifiutare le proposte del piano. I creditori aderenti formalizzano tipicamente accordi bilaterali col debitore (ad esempio un accordo transattivo per saldo e stralcio, un nuovo piano di rientro, ecc.), i quali sono giuridicamente efficaci come contratti normali (transazioni ex art. 1965 c.c., patti novativi ex art. 1230 c.c., ecc.). Se la società esegue i pagamenti secondo l’accordo, il creditore non potrà agire oltre quanto stabilito (es.: se ha accettato il 70% di soddisfazione, rinuncia al resto). Viceversa, i creditori non aderenti conservano intatti tutti i loro diritti: potranno pretendere il pagamento integrale alle scadenze originarie e, se non lo ricevono, potranno agire esecutivamente o chiedere il fallimento (liquidazione giudiziale). Il piano attestato non può impedirlo, motivo per cui è cruciale che i creditori estranei siano pochi o comunque soddisfatti durante l’esecuzione per evitare aggressive enforcement. Da notare che, mentre in un concordato preventivo l’omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori chirografari (anche dissenzienti), nel piano attestato non c’è effetto erga omnes: è un mosaico di patti individuali. Per questo, l’imprenditore deve puntare ad avere un’adesione pressoché unanime dei principali creditori, lasciando fuori solo posizioni marginali (o comunque garantite nel pagamento integrale). Se un creditore estraneo rilevante iniziasse azioni esecutive durante il piano, potrebbe farlo naufragare – a meno di ricorrere a soluzioni d’emergenza come un’istanza di concordato preventivo.
Obblighi degli amministratori e responsabilità per gestione della crisi: dal punto di vista civilistico, gli amministratori di società che si trovano in crisi hanno il dovere di attivarsi senza indugio per evitare l’aggravarsi del dissesto (art. 2086 c.c.). La predisposizione di un piano attestato può essere vista come un’azione diligente volta al risanamento e dunque, in linea di principio, come un comportamento conforme ai doveri degli amministratori. Se un piano attestato viene perseguito in buona fede e con ragionevoli chance di successo, ciò può costituire un argomento a difesa degli amministratori nell’eventualità di accuse di mala gestio o di ritardata richiesta di insolvenza. In altre parole, i liquidatori o creditori insoddisfatti che volessero intentare un’azione di responsabilità (ex art. 2394 c.c. o azione di massa) contro gli amministratori per aver aggravato il passivo, dovrebbero considerare che questi ultimi hanno tentato una via di risanamento attestata da un esperto. Naturalmente, ciò vale se il tentativo era serio e tempestivo: se invece gli amministratori hanno abusato del piano attestato solo per prendere tempo, sapendo dell’impraticabilità, potrebbero incorrere in responsabilità sia civili che penali. La giurisprudenza ha sottolineato che non si può considerare negligente la condotta di amministratori che affrontano la crisi elaborando un piano attestato ragionevole e cercando di realizzarlo, piuttosto che precipitare subito in fallimento. Pertanto, un piano attestato ben fondato può costituire per gli organi sociali una prova di aver agito nell’interesse della società per evitare il peggio.
Esenzione dalle azioni revocatorie: uno dei benefici più rilevanti del piano attestato è l’esenzione, in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale), dalle azioni revocatorie per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano. Questa protezione era prevista dall’art. 67, co.3, lett. d) L.F. e ora è confermata dagli artt. 56 e 166-167 CCI. In particolare, l’art. 56 co.1 CCI qualifica il piano come idoneo a risanare l’impresa e riequilibrarne la situazione, mentre l’art. 166 e 167 CCI estendono l’esenzione sia alla revocatoria fallimentare del curatore, sia – novità importante – alla revocatoria ordinaria esercitata dai creditori. In pratica, se l’impresa fallisce nonostante il piano, il curatore non potrà richiedere la revoca di atti compiuti durante l’esecuzione del piano (es. pagamenti di debiti scaduti, concessioni di pegni o ipoteche ai creditori aderenti, vendite di beni per pagare creditori) purché il piano fosse regolarmente attestato e non manifestamente inidoneo come detto. Analogamente, anche al di fuori del fallimento, un singolo creditore non potrà, dopo l’attestazione, agire con l’azione revocatoria ordinaria per far dichiarare inefficaci quegli atti, dato che l’art. 167 CCI li equipara a quelli protetti. Questa estensione alle revocatorie ordinarie è stata oggetto di dibattito sotto la vecchia legge (non era chiaro se un terzo potesse revocare un pagamento eseguito in piano attestato se l’azienda non falliva); ora pare risolto in senso favorevole alla stabilità degli atti del piano.
Va precisato che la protezione revocatoria non è automatica per il solo fatto formale del piano: la Cassazione ha più volte affermato (da Cass. 13719/2016 a Cass. 6508/2023) che non basta esibire un piano attestato per mettere al riparo tutti gli atti, occorre che il piano fosse effettivamente idoneo e non un simulacro. Il giudice fallimentare dovrà fare un giudizio ex ante: se rileva che il piano, già al momento degli atti, era “assolutamente inadeguato” al risanamento (ossia privo di reale possibilità di riuscita, con evidenti lacune), allora potrà disconoscere l’esenzione e dichiarare revocabili gli atti, trattandoli come atti ordinari privi di causa giustificativa. Viceversa, se il piano appariva ragionevole e solo ex post è fallito per eventi imprevedibili, le tutele restano: i creditori che hanno ricevuto pagamenti non devono restituirli al fallimento. Ad esempio, Cass. civ. 3 marzo 2023 n. 6508 ha confermato il principio che il giudice può sindacare l’evidente inettitudine del piano al momento degli atti e, solo in tal caso di manifesta inadeguatezza, negare l’esenzione.
Trattamento dei creditori estranei e loro tutele: come già sottolineato, i creditori non aderenti devono essere pagati integralmente secondo i termini originali. Se l’impresa, impegnata a seguire il piano, omette di pagare un estraneo alla scadenza, quel creditore potrà procedere con decreti ingiuntivi, pignoramenti o istanze di fallimento. Il piano attestato non offre alcuno scudo in tal senso. È quindi interesse dell’impresa tenerli soddisfatti. In alcuni casi, l’azienda può chiedere informalmente ai creditori estranei di “aspettare” presentando loro il piano e dimostrando che saranno pagati – ma ciò non ha effetti giuridici, è solo un appello alla pazienza. Un creditore estraneo particolarmente importante (ad es. Agenzia delle Entrate con un grosso debito) se non è gestibile con dilazioni standard può vanificare il piano – in tali situazioni spesso si preferisce passare a un accordo di ristrutturazione omologato con transazione fiscale, dato che nel piano attestato puro non c’è modo di imporgli un sacrificio. In definitiva, il successo civilistico del piano attestato richiede una combinazione di consenso negoziale sufficiente e rispetto rigoroso delle posizioni dei non aderenti.
Rapporti contrattuali durante la crisi: un breve cenno merita l’effetto del piano sui contratti in corso. A differenza del concordato, che può sospendere o sciogliere contratti, nel piano attestato non vi è una disciplina speciale. L’impresa dovrà dunque gestire i rapporti contrattuali in essere secondo le norme generali: potrebbe dover rinegoziare privatamente termini di consegna con fornitori, chiedere ai locatori una riduzione temporanea del canone (senza potere impositivo, solo su base volontaria), e così via. Non c’è, ad esempio, una moratoria legale delle forniture essenziali: se l’ENEL minaccia di distaccare la luce per bollette arretrate, o si paga o si cerca un accordo con ENEL, perché il piano attestato di per sé non obbliga alcun fornitore a continuare a contrattare. Quindi, la gestione dei contratti pendenti rientra nella normale contrattazione privata, coadiuvata dalla buona volontà che l’azienda saprà suscitare mostrando il piano attestato come garanzia di impegno.
In conclusione, sul piano civilistico il piano attestato offre vantaggi significativi soprattutto in termini di stabilità degli atti compiuti (esenzione da revoche) e come elemento probatorio della diligenza degli amministratori. Tuttavia, richiede un elevato grado di consenso volontario tra i creditori e non libera l’imprenditore dall’onere di negoziare e onorare gli impegni con ciascuno. È uno strumento efficace quando c’è cooperazione e fiducia reciproca tra debitore e creditori; diversamente, se il contesto è conflittuale, i limiti emergono presto.
Aspetti Fiscali e Tributari del Piano Attestato
La predisposizione e l’esecuzione di un piano di risanamento attestato comportano anche rilevanti implicazioni fiscali e tributarie. In questa sezione analizziamo come vengono trattati, dal punto di vista fiscale, gli effetti del piano – in particolare la riduzione dei debiti (sopravvenienze attive) – e quali sono gli adempimenti per beneficiare delle agevolazioni previste. Inoltre, accenniamo alla gestione dei debiti verso l’Erario nell’ambito di un piano stragiudiziale.
Detassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti: uno degli ostacoli in un risanamento d’impresa è che, se i creditori rinunciano a parte dei loro crediti (ad esempio accettano un saldo e stralcio o un taglio del 30%), questa rinuncia genera in capo all’impresa debitrice una sopravvenienza attiva tassabile, cioè un componente positivo di reddito (come se fosse “guadagno” derivante dallo sconto ottenuto). Secondo la regola generale (art. 88 TUIR), l’annullamento o riduzione di debiti comporta una sopravvenienza attiva imponibile. Tuttavia, il legislatore ha introdotto un regime di esenzione fiscale parziale per i casi di risanamento nell’ambito di procedure concorsuali o equiparate. In particolare, l’art. 88, comma 4-ter del TUIR (DPR 917/1986) prevede che non si considerano sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell’impresa in sede di concordato preventivo (omologato), di accordo di ristrutturazione omologato e di piano attestato di risanamento (purché pubblicato al Registro Imprese). Questo significa che, se l’azienda attua un piano attestato con stralcio di debiti, non dovrà pagare imposte sul “beneficio” derivato da quel taglio, a condizione che il piano sia registrato ufficialmente.
Occorre sottolineare che l’agevolazione è parziale: infatti, la norma prevede che l’esenzione si applichi solo alla parte di sopravvenienza attiva che eccede le perdite fiscali pregresse. In pratica, il meccanismo è il seguente: l’eventuale stralcio di debiti non viene tassato fino a concorrenza delle perdite fiscali riportabili dell’impresa (impedendo che l’esenzione vada a ricreare spazio per nuove perdite future), mentre l’eventuale eccedenza oltre tali perdite non concorre proprio al reddito. La ratio è di favorire i risanamenti senza però creare distorsioni sul computo delle perdite. Facciamo un esempio semplificato: un’azienda con €500mila di perdite pregresse realizza, tramite piano attestato, uno stralcio di debiti pari a €800mila (sopravvenienza attiva). In base all’art. 88(4-ter), i primi €500mila di sopravvenienza compensano le perdite (che così si azzerano) e l’eccedenza €300mila non viene tassata (né genera nuova perdita). Se invece l’azienda non avesse perdite pregresse, l’intera €800mila sarebbe esente da imposte, risultando un beneficio pieno per la sua patrimonializzazione post-risanamento.
Conferma interpretativa (Risposta Agenzia Entrate 222/2024): va rilevato che la formulazione letterale dell’art. 88 TUIR si riferiva ai “piani di risanamento di cui all’art. 67 L.F.”. Con l’entrata in vigore del CCI, è sorta la domanda se anche i nuovi piani ex art. 56 CCI godessero dello stesso trattamento, dato che formalmente la norma fiscale non era stata aggiornata. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito la questione con la Risposta a interpello n. 222 del 13/11/2024, affermando che anche i piani attestati ex art. 56 CCI rientrano nell’agevolazione, data la sostanziale continuità con quelli ex art. 67 L.F., purché il piano sia pubblicato nel Registro Imprese. In tal modo, l’Amministrazione finanziaria ha esteso in via interpretativa il beneficio ai piani attestati nel nuovo contesto normativo, eliminando ogni incertezza. Dunque, oggi (maggio 2025) un piano attestato regolarmente attestato e depositato consente all’impresa di non subire la tassazione sulle parti di debito che i creditori hanno abbuonato, se non oltre l’ammontare delle perdite fiscali disponibili. Questo può incidere notevolmente sul successo del risanamento: evitare una grossa imposta straordinaria dovuta al condono dei debiti aiuta la nuova situazione finanziaria dell’impresa. Ad esempio, senza esenzione, un’azienda che ottiene uno stralcio di €1 milione di debiti avrebbe potuto dover pagare ~€280mila di IRES+IRAP su quella sopravvenienza (28% ipotetico), cifra che ovviamente non ha cassa per pagare in quanto i soldi derivano da debiti cancellati! L’agevolazione fiscale risolve questo paradosso.
Trattamento fiscale dei singoli atti del piano: oltre alle sopravvenienze attive, vi sono altri profili fiscali da considerare nell’attuazione del piano:
- Nuova finanza da soci o terzi: se i soci apportano denaro a titolo di capitale, l’operazione è neutrale fiscalmente (aumento di capitale esente da imposta, fatta salva l’imposta di registro fissa); potrà semmai generare un beneficio ACE (aiuto alla crescita economica) per l’azienda negli anni successivi. Se invece terzi erogano un finanziamento, gli interessi passivi futuri saranno deducibili secondo le regole generali (tenendo conto che, post-risanamento, il leverage minore potrebbe ridurre la quota deducibile per via del ROL).
- Cessione di beni per pagare i debiti: se il piano prevede la vendita di cespiti (immobili, macchinari, rami d’azienda), occorre valutarne l’impatto fiscale. Eventuali plusvalenze realizzate dalla vendita di beni ammortizzabili durante il piano sono imponibili, ma spesso le imprese in crisi hanno valori di carico alti o vendono in perdita, per cui potrebbero generarsi minusvalenze deducibili (compensabili con eventuali future plusvalenze). In alcuni casi, se la cessione rientra in un concordato preventivo, c’è una sospensione d’imposta (art. 86 TUIR) fino a completamento, ma per il piano attestato non c’è norma analoga: quindi plus/minus vanno a conto economico immediatamente. Va pianificato bene, per evitare sorprese di liquidità: es. vendi capannone e generi plusvalenza, devi accantonare imposte.
- Debiti fiscali e contributivi nel piano: come detto, non è possibile per legge “remittere” parte di debito tributario fuori dalle soluzioni giudiziali. Tuttavia, spesso lo Stato ha varato normative di sollievo generalizzate (rottamazioni, stralcio interessi e sanzioni, ecc.) a cui l’impresa può aderire in parallelo al piano. Le eventuali riduzioni accordate per legge (ad es. stralcio delle sanzioni con rottamazione) non generano sopravvenienza attiva imponibile in quanto già escluse dal TUIR (sono riduzioni per provvedimento di legge). Un piano attestato può semplicemente recepire tali misure: es. “la società aderirà alla Rottamazione-quater delle cartelle esattoriali per i debiti fiscali fino al 2017”. Sul piano operativo, i debiti IVA e ritenute non pagate possono essere dilazionati in 6 anni (72 rate) secondo l’ordinario, ma non ridotti; i debiti INPS similmente. L’Agenzia delle Entrate e l’ADER, se vedono che l’azienda sta seguendo un piano attestato, potranno agevolare concedendo il massimo di piani di rateazione ammessi e evitando di attivare nuove misure esecutive se c’è rispetto dei piani di pagamento, ma non molto di più. Si segnala che con la composizione negoziata (strumento diverso), oggi è possibile ottenere una transazione fiscale “semplificata” se poi si va in concordato, ma rimaniamo nel caso in cui restiamo stragiudiziali puro: lì la flessibilità è minore.
- IVA su crediti abbandonati dai creditori: dal lato dei creditori, quando rinunciano a parte del loro credito, sorgono questioni IVA (nota di credito per perdite su crediti). Per l’impresa debitrice, però, non c’è impatto IVA: se un fornitore decide di stralciare 30% di un credito commerciale originato da fatture con IVA già detratta a suo tempo dall’azienda, il fornitore potrà emettere nota di credito per recuperare l’IVA su quel 30% (come perdita da procedure concorsuali equiparate, ed è stato chiarito che il piano attestato pubblicato consente la nota di credito per il cedente), ma la nostra impresa debitrice dovrà a sua volta ridurre la detrazione di quell’IVA? In realtà, essendo la variazione in diminuzione per il fornitore e trattandosi di accordo transattivo, la prassi (v. risposta AE 96/2020 in ambito ADR) è che la nota di credito può essere emessa solo a concordato omologato o procedura assimilata; per piano attestato, non essendo procedura concorsuale, la nota di variazione in diminuzione IVA è ammessa solo a fallimento avvenuto (ex art. 26 DPR 633/72) oppure se qualificabile come procedura esecutiva rimasta infruttuosa. Questo è un punto di limbo normativo: alcuni sostengono che la pubblicazione del piano attestato equipari quasi a un accordo omologato; altri che serva comunque il successivo fallimento per legittimare la nota di credito IVA. È un tema tecnico in evoluzione, oltre lo scopo di questa trattazione, ma l’impresa debitrice dovrà essere consapevole che il fornitore potrebbe richiederle la conferma di perdita definitiva prima di stornare l’IVA. In ogni caso, per la debitrice non cambia: non deve restituire IVA detratta, semmai la controparte recupera qualcosa.
Disciplina tributaria “premiale” del CCI: il Codice della Crisi prevede anche alcune misure “premiali” a favore delle imprese che adottano tempestivamente strumenti di regolazione della crisi. Ad esempio, l’art. 25-bis CCI (misure premiali in composizione negoziata) concede la possibilità di rateazioni fiscali fino a 10 anni se certi obiettivi sono centrati. Tali misure premiali però attengono più alla composizione negoziata e al concordato che al piano attestato puro. Il piano attestato in sé non ha misure premiali fiscali dirette oltre alla citata esenzione delle sopravvenienze attive. Tuttavia, la stessa predisposizione di un piano può evitare sanzioni: ad esempio, l’Agenzia Entrate potrebbe evitare di contestare interessi di mora se vede che l’azienda ha incluso tutti i debiti fiscali nel piano e li sta pagando secondo il piano. Non è un diritto, ma la buona fede dimostrata dall’aver presentato un piano asseverato può pesare positivamente.
Conclusioni fiscali: per sfruttare al meglio i benefici fiscali, l’impresa dovrà depositare il piano attestato al Registro Imprese (condicio sine qua non per l’esenzione sopravvenienze) e poi, in dichiarazione dei redditi, applicare l’art. 88(4-ter) TUIR, escludendo la parte di stralci che eccede le perdite. È opportuno allegare alla dichiarazione una relazione esplicativa o un prospetto che evidenzi il calcolo, per trasparenza verso l’Agenzia. Inoltre, l’impresa dovrà continuare a rispettare gli obblighi tributari correnti: l’adesione a un piano non sospende versamenti IVA correnti o ritenute, che vanno assolti regolarmente per non creare nuovo debito. L’attestatore nel piano deve anche dare atto che sono considerati i costi fiscali: un piano “netto imposte” rischia di fallire se poi arrivano tasse impreviste. Quindi, bisogna accantonare la liquidità per eventuali imposte sui componenti imponibili del piano (plusvalenze da cessioni, ecc.) non coperti da agevolazioni.
In definitiva, dal lato tributario il piano attestato è reso più sostenibile dall’importante detassazione delle riduzioni debiti, ma richiede comunque attenzione nella gestione dei debiti fiscali (che vanno spesso pagati integralmente) e nella pianificazione delle operazioni straordinarie in ottica tax. Una stretta collaborazione con consulenti fiscali è consigliata durante la stesura del piano per evitare sorprese.
Aspetti Penali connessi al Piano di Risanamento
La gestione di una crisi d’impresa e le operazioni di risanamento presentano anche profili penali da non trascurare. Il piano attestato di risanamento, pur essendo uno strumento volontario, interagisce con alcune figure di reato previste dal diritto fallimentare (ora diritto penale della crisi) e incide sulle responsabilità penali sia dell’imprenditore sia del professionista attestatore. Di seguito esaminiamo i principali aspetti:
Reati fallimentari dell’imprenditore durante l’esecuzione del piano: quando un’azienda in crisi compie atti dispositivi, pagamenti preferenziali o altre operazioni mentre è insolvente, vi è il rischio che, se in seguito sarà dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), quegli atti possano integrare ipotesi di bancarotta fraudolenta (distrattiva o preferenziale) o bancarotta semplice (per aver aggravato il dissesto). Il legislatore, al fine di incentivare i risanamenti stragiudiziali, ha stabilito che gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato godono di esenzione anche sul piano penale in relazione a due specifici reati:
- la bancarotta fraudolenta preferenziale (ossia l’aver favorito intenzionalmente taluni creditori a scapito di altri in prossimità del fallimento, art. 216 L.F. / art. 323 CCI), e
- la bancarotta semplice (art. 217 L.F. / art. 325 CCI, che punisce ad esempio l’aggravamento per ritardo o altre negligenze).
In particolare, l’art. 324 CCI (già art. 217-bis L.F.) dispone che le norme sulla bancarotta preferenziale e semplice non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un piano attestato di risanamento. Ciò significa che, se l’impresa fallisce malgrado il piano, l’imprenditore non verrà punito penalmente per aver pagato preferibilmente alcuni creditori durante il piano o per aver continuato l’attività confidando in esso. È una sorta di scudo penale limitato: il legislatore riconosce che chi agisce nel quadro di un piano attestato lo fa per tentare di salvare l’impresa, non per frodare, quindi merita un trattamento di favore su questi reati.
Attenzione: l’esenzione riguarda solo la bancarotta preferenziale e semplice, non copre la bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrattiva). Dunque, se durante il piano l’imprenditore compie atti di vera distrazione di beni a danno dei creditori (es. sottrae attivo aziendale per uso personale o simula vendite per portare via asset), potrà comunque essere perseguito per bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’esenzione premiale è calibrata sugli atti che, in buona fede, erano finalizzati al risanamento ma risultano in favoritismi o in scelte imprudenti: ad esempio la vendita sottoprezzo di un macchinario nell’ambito del piano potrebbe astrattamente essere bancarotta semplice (alienazione a prezzo vile), ma se era nel piano attestato non verrà punita. Ugualmente pagare un fornitore in crisi (preferendolo ad altri) non sarà punito come bancarotta preferenziale se rientrava nel piano.
La Cassazione penale ha avuto modo di confermare questo orientamento: in una sentenza del 2016 (Cass. pen. 8926/2016), ha affermato che le condotte distrattive compiute in esecuzione di un piano attestato non escludono di per sé il reato di bancarotta, qualora il piano risultasse inidoneo – sottintendendo però che se il piano era valido, quelle condotte non verranno considerate fraudolente. In sostanza, se l’imprenditore si attiene a un piano serio, non sarà accusato di bancarotta per aver fatto pagamenti o operazioni previste da quel piano, a meno che il piano stesso fosse solo un paravento (inidoneo) per favorire alcuni.
Reato di falso in attestazioni (attestatore): come già trattato nella parte sull’attestatore, esiste uno specifico reato che colpisce il professionista che altera la veridicità della sua relazione (art. 342 CCI). Qui basti ricordare che non è un reato a carico dell’imprenditore, bensì dell’attestatore indipendente. L’imprenditore però può risultare coinvolto a titolo di concorso qualora emerga che ha partecipato alla frode informativa: ad esempio, se l’imprenditore fornisce dolosamente all’attestatore dati falsi e concorda con lui di omettere certi fatti, potrà essere imputato in concorso per il reato di falso (o eventualmente per il reato di false comunicazioni sociali se bilanci falsi). La linea di confine è sottile: se l’imprenditore semplicemente omette informazioni e l’attestatore negligentemente non le scopre, il reato ricade solo su quest’ultimo? Potenzialmente l’imprenditore potrebbe rispondere di truffa ai creditori (art. 640 cpv. c.p.) se ha ingannato i creditori tramite un piano attestato falso, oppure di concorso in bancarotta fraudolenta documentale se ha falsificato le scritture per far apparire un piano sostenibile. In generale, comunque, la fattispecie specifica è pensata per punire l’attestatore infedele.
Altre fattispecie penali rilevanti:
- False comunicazioni sociali: se l’azienda in crisi pur di ottenere l’attestazione predisponesse bilanci o situazioni economiche false (ad esempio gonfiando attivi, sottostimando passivi), gli amministratori potrebbero incorrere nel reato di false comunicazioni sociali (ex art. 2621 c.c.). Ciò, oltre a ledere il piano stesso, porterebbe conseguenze penali indipendenti dal contesto del piano. Dunque i vertici aziendali devono assicurarsi di fornire all’attestatore e ai creditori dati veritieri; qualsiasi aggiustamento fraudolento dei numeri di bilancio costituisce reato societario.
- Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza: se l’impresa è vigilata (banche, assicurazioni) e nasconde la situazione di crisi alle autorità pur essendo tenuta a segnalarla, potrebbe configurarsi tale reato ex art. 2638 c.c., ma è una casistica più settoriale.
- Truffa ai danni dei creditori: qualora emergesse che il piano attestato era solo un mezzo fraudolento per ottenere nuovo credito o per far ritardare le azioni dei creditori, e che l’imprenditore lo ha orchestrato sapendo di non poter risanare, i creditori potrebbero sostenere di essere stati tratti in errore dolosamente. Non c’è un reato specifico di “truffa ai creditori” se non in contesti di procedure concorsuali (bancarotta preferenziale con frode è un po’ quello). Ma ad esempio, se un imprenditore presenta un piano farlocco per convincere le banche a prestargli altro denaro e poi lo distoglie, potrebbe configurarsi truffa contrattuale. Fortunatamente, l’attestazione indipendente dovrebbe fungere da garanzia proprio contro piani “farsa”.
- Reati tributari: attuare un piano attestato non esime dal rispetto delle norme tributarie, quindi se l’impresa durante la crisi commette reati fiscali (es. occultamento di ricavi, emissione di fatture false per ottenere liquidità indebita), ne risponderà normalmente. Un piano attestato mal concepito non deve portare a violare la legge fiscale – per esempio, non pagare l’IVA per destinare cassa ai fornitori del piano potrebbe portare a omesso versamento rilevante (reato se >250k euro per periodo).
In definitiva, il piano attestato ben condotto tende a ridurre l’esposizione penale dell’imprenditore sulla parte tipica della crisi (pagamenti preferenziali, scelte gestionali rischiose in ritardo), grazie all’esenzione ex art. 324 CCI. Resta ovviamente la punibilità per eventuali condotte fraudolente o distrattive estranee al contesto di buonafede del piano. Il messaggio del legislatore è chiaro: se tenti seriamente di risanare, non sarai punito per averci provato (anche se fallisci); ma se mascheri atti fraudolenti sotto la veste di un piano, la legge ti colpirà. Questo equilibrio incentiva a comportarsi correttamente.
Infine, una buona pratica è quella di documentare accuratamente tutte le scelte compiute durante il piano: verbali del CDA che motivano operazioni, pareri di esperti su stime di realizzo, ecc. Questo materiale potrà costituire un’utile difesa in caso di successive contestazioni penali, dimostrando che l’intento era conservativo e non fraudolento.
Casi di Studio Pratici: Esempi di Piani Attestati in PMI
Per comprendere meglio come predisporre e attuare un piano attestato di risanamento, è utile esaminare alcuni casi pratici che simulano situazioni tipiche di PMI italiane in crisi. Di seguito presentiamo due scenari ipotetici – ispirati a casi reali ma semplificati – che illustrano l’approccio alla strutturazione del piano, le misure adottate e gli esiti.
Caso 1: “Alfa S.r.l.” – Manifattura in crisi di liquidità
Profilo: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera toscana (settore tessile, 50 dipendenti) con €10 milioni di fatturato annuo. Negli ultimi 2 anni, a causa della perdita di un importante cliente estero e dell’aumento dei costi delle materie prime, Alfa ha subito cali di ricavi e margini negativi. Al 31/12 l’azienda presenta perdite cumulate che hanno eroso il capitale di oltre 1/3, debiti bancari per €4 mln (mutui e fidi scoperti), debiti verso fornitori per €3 mln (di cui €1 mln scaduti da oltre 120 giorni), debiti fiscali per €0,5 mln (IVA e contributi non ancora oggetto di cartelle) e altri debiti per €0,5 mln. Il rating creditizio si è deteriorato e alcune banche hanno iniziato a revocare gli affidamenti a breve. La società è in crisi di liquidità conclamata: fatica a pagare i fornitori essenziali e ha dilazionato il pagamento di IVA e contributi.
Scelta del piano attestato: Gli amministratori di Alfa, supportati da un consulente, valutano le opzioni: un concordato preventivo appare prematuro (l’azienda ha prospettive di recupero commerciale con nuovi clienti individuati, e preferirebbe evitare la pubblicità di una procedura concorsuale che spaventerebbe i committenti). Decidono dunque di tentare un piano attestato di risanamento, confidando di poter ottenere l’adesione delle banche e dei principali fornitori. Attivano subito la composizione negoziata nominando un esperto indipendente, così da ottenere un congelamento temporaneo delle azioni (richiesto e ottenuto dal tribunale: misure protettive per 3 mesi) e condurre trattative ordinate con i creditori.
Elaborazione del piano: Alfa, con l’aiuto del suo commercialista, redige un piano industriale triennale: prevede di rilanciare la produzione puntando su una linea di tessuti tecnici innovativi (già in fase prototipale) e di internazionalizzare la vendita tramite un nuovo agente in Germania. Stima un ritorno alla marginalità positiva dal secondo anno. Come misure di efficienza, il piano contempla la chiusura di un magazzino periferico (per risparmiare €100k annui di affitto) e una riduzione del personale di 5 unità mediante pensionamenti e uscite volontarie incentivate (costo una tantum €80k, poi risparmio €200k annui). Sul fronte finanziario, per colmare l’asimmetria di liquidità iniziale, i soci si impegnano a versare un finanziamento soci di €300k e a reperire un investitore che apporti nuovo capitale di €500k entro 6 mesi dall’avvio del piano (sono in trattativa con un fondo locale di turnaround). I consulenti stimano che, con queste azioni, Alfa possa tornare a un Ebitda positivo di ~€1 mln entro fine piano e recuperare equilibrio.
Proposta ai creditori:
- Banche: Alfa tratta con le 3 banche finanziatrici un accordo di moratoria: propone di sospendere per 12 mesi la quota capitale dei mutui (pagando solo interessi) e poi allungare il piano di rimborso di ulteriori 3 anni; per gli scoperti di conto, propone di convertirli in un mutuo senior a 5 anni garantito da ipoteca su un immobile libero. Inoltre chiede un nuovo finanziamento di €200k (garantito dallo Stato tramite il Fondo PMI) per supportare il circolante. Le banche, visto il coinvolgimento di un nuovo investitore e il piano attestato in corso, si mostrano disponibili: condizionano l’erogazione del nuovo credito all’effettivo ingresso del fondo e alla pubblicazione del piano.
- Fornitori principali (5 maggiori fornitori che sommano €2 mln di crediti): propone loro un accordo di saldo al 60% del dovuto, da pagarsi in 24 rate mensili a partire dal 6° mese dall’attestazione (così i primi 6 mesi sono di grace), con impegno a continuare i rapporti futuri (quindi assicurando loro nuove commesse). In pratica, ogni fornitore rinuncerebbe al 40%, incassando però il 60% garantito e mantenendo il cliente. Quasi tutti accettano, tranne uno che è in difficoltà a sua volta e pretende almeno l’80%. Si cerca un compromesso differenziato: 3 fornitori accettano il 60%, uno (critico perché fornisce materiale unico) accetta un 80% su 18 mesi, l’ultimo (meno strategico) rifiuta di aderire.
- Fisco/Enti: per l’IVA e i contributi non versati (€500k), Alfa richiede e ottiene dall’Agente della Riscossione una rateazione in 72 rate (6 anni) non appena le viene notificata la cartella. Inserisce nel piano questi pagamenti come obbligatori e li considera prioritarî (trattandosi di debiti privilegiati e che non possono essere stralciati). Inoltre aderisce alla “rottamazione-quater” per vecchie cartelle minori (€50k di sanzioni/interesti abbuonati).
- Altri debiti: debiti minori (affitto, leasing) vengono mantenuti alle scadenze pattuite (magari rinegoziando tassi leasing). I dipendenti non hanno arretrati; l’INPS contributi correnti verranno pagati regolarmente (fondamentale per non decadere dalla dilazione).
Attestazione: viene incaricato un professionista indipendente (dott. B, commercialista non legato ad Alfa) che esamina il piano. Egli valida le ipotesi di mercato (il nuovo agente ha già firmato lettere di intenti per ordini futuri), controlla le lettere delle banche (che confermano, condizionato all’attestazione, l’accordo di moratoria) e verifica che con il 60% di pagamento i fornitori chiave restano comunque fornitori. Nota che il buon esito dipende molto dall’ingresso del fondo investitore (€500k): pretende quindi che nel piano definitivo sia allegata la lettera d’intenti vincolante del fondo a investire, e che in caso di mancato ingresso si preveda un’azione alternativa (ad es. i soci cercheranno altra finanza o valuteranno un concordato in bianco). Con queste garanzie, l’attestatore emette relazione positiva: dati veritieri (ha fatto anche un controllo incrociato tra bilanci e centrale rischi bancaria), piano fattibile perché Ebitda torna positivo >10% su ricavi, flussi sufficienti a onorare debiti ristrutturati entro 5 anni. Sottolinea come punti di attenzione la realizzazione delle nuove vendite e l’aumento di capitale, ma li considera plausibili.
Implementazione e risultato: Alfa deposita il piano e l’attestazione al Registro Imprese, concludendo così formalmente il piano attestato. Nei 6 mesi successivi, grazie anche alle misure protettive iniziali e poi agli accordi formalizzati:
- le banche congelano le uscite di cassa (nessun rimborso capitale per un anno) e ciò allevia subito la pressione di liquidità;
- i fornitori continuano a consegnare materiali (grazie all’accordo, contano di recuperare 60-80% e mantenere il cliente, meglio di spingerlo al fallimento e incassare poco);
- i soci versano i €300k promessi, il fondo locale entra con €500k rilevando il 30% delle quote di Alfa (nuova fiducia nel mercato);
- con la nuova finanza, Alfa paga regolarmente le prime rate ai fornitori e i debiti correnti. Il magazzino periferico viene chiuso in 3 mesi, generando immediatamente risparmi. I 5 dipendenti escono (2 pensionamenti e 3 dimissioni incentivate).
- Dopo un anno, l’azienda torna in utile netto lieve; soprattutto la cassa si stabilizza. Riesce a rispettare il piano pagamenti ai fornitori (alcuni incassano persino prima i loro importi scontati, grazie a performance migliori).
- A due anni dall’avvio, il nuovo prodotto tecnico ha successo in Germania e incrementa i ricavi del 20%. Questo extra flusso consente ad Alfa di chiudere anticipatamente (al terzo anno) i pagamenti residui ai fornitori che avevano accettato lo stralcio, saldando il 60% pattuito anzitempo.
- L’accordo con le banche viene onorato: Alfa riprende a rimborsare i mutui dal secondo anno e completa il rimborso del mutuo di consolidamento. Alcune banche addirittura restaurano parte dei fidi.
- Il debito IVA e contributi viene pagato secondo la dilazione senza intoppi (nel frattempo alcune rottamazioni abbattono sanzioni, facilitando).
- A fine piano (anno 3), Alfa ha azzerato le perdite pregresse, ricostituito il capitale (grazie all’apporto del fondo e agli utili nel frattempo accantonati), e ridotto il proprio indebitamento totale da €8 mln a circa €4,5 mln (grazie allo stralcio di €1,2 mln fornitori e al ripagamento di quote con utili generati). Il patrimonio netto è tornato positivo e la crisi può dirsi superata.
Valutazione: Questo caso mostra una PMI manifatturiera che, grazie al piano attestato, ha potuto coinvolgere tutti gli stakeholders in uno sforzo comune: le banche hanno accettato di allungare i tempi (ma salveranno i loro crediti per intero, con interessi), i fornitori hanno accettato un sacrificio moderato pur di continuare a lavorare, i soci e un investitore hanno messo risorse fresche, i dipendenti hanno contributo accettando mobilità di alcuni. Il tutto sotto la supervisione di un attestatore che ha garantito la credibilità del piano. L’alternativa sarebbe stata un probabile fallimento entro pochi mesi (con incassi minori per i creditori). Il piano attestato ha permesso di evitare procedure concorsuali, mantenere reputazione e relazioni commerciali, e di beneficiare di esenzioni fiscali: Alfa non ha pagato tasse sul milione abbondante di debiti fornitori cancellati (grazie a perdite e art. 88 TUIR). Inoltre, qualora il piano fosse fallito e Alfa fosse andata in default, gli atti compiuti (pagamenti ai fornitori, ipoteca alle banche) sarebbero stati protetti; in realtà il piano è riuscito, ma questa sicurezza probabilmente ha incoraggiato le banche a partecipare (sapendo di non rischiare revocatorie su quanto incasseranno se poi la cosa fosse andata male).
Caso 2: “Beta S.p.A.” – Impresa commerciale sovraindebitata
Profilo: Beta S.p.A. è un’azienda di distribuzione alimentare in Veneto, con 10 supermercati affiliati. Fatturato €30 mln, 100 dipendenti. Una serie di investimenti errati (apertura di 2 punti vendita risultati fallimentari) e la concorrenza aggressiva di nuovi discount nella zona hanno portato Beta a perdite per 3 esercizi consecutivi. La società ha accumulato debiti finanziari per €8 mln (tra banche e leasing immobiliari), debiti verso fornitori per €5 mln (di cui €2 mln oltre i 90 giorni, molti fornitori hanno bloccato le consegne), e debiti vari per €1 mln. Beta possiede però alcuni immobili commerciali di proprietà (valore stimato €4 mln) e altre garanzie. La direzione ha già chiuso i 2 punti vendita in perdita, ma il danno era fatto. Attualmente Beta è insolvente (ha saltato rate mutui e molti assegni a fornitori sono rientrati impagati). Ci sono già decreti ingiuntivi e un paio di istanze di fallimento pendenti in tribunale da parte di fornitori.
Scelta e obiettivo del piano: Beta valuta il concordato preventivo, ma preferirebbe evitare la pubblicità mediatica e salvare il valore degli immobili vendendoli sul mercato anziché in liquidazione forzata (dove spunterebbe forse il 60%). Decide per un ultimo tentativo: un piano attestato che offra ai creditori chirografari condizioni migliori di quelle che otterrebbero in fallimento. In parallelo, Beta chiede al tribunale la sospensione delle istanze di fallimento dichiarando di aver avviato trattative per un piano attestato (alcuni tribunali lo concedono in presenza di trattative concrete, magari assimilando analogicamente alle misure protettive di un accordo di ristrutturazione – anche se non codificate per il piano puro). Beta coinvolge da subito un attestatore terzo per dare credibilità alle negoziazioni.
Elementi chiave del piano Beta:
- Disposizioni patrimoniali: Beta decide di mettere in vendita 3 immobili su 5 di sua proprietà, prevedendo di ricavarne almeno €3,5 mln netti (valutazioni conservative). I proventi andranno integralmente a ridurre l’indebitamento bancario (in modo da convincere le banche ad aderire). Gli altri 2 supermercati di proprietà verranno offerti in sale & lease back per generare liquidità aggiuntiva.
- Ristrutturazione del debito bancario: propone alle banche di rientrare parzialmente con il ricavato degli immobili (supponiamo: su €8 mln totali, €3,5 mln da vendite li ripagano) e per il residuo €4,5 mln di convertire l’esposizione in un nuovo mutuo ipotecario decennale garantito dagli altri immobili (lease-back). Beta chiede una moratoria di 6 mesi sui pagamenti per avere tempo di vendere e rilanciare.
- Stralcio fornitori: Beta offre ai fornitori un concordato stragiudiziale: pagamento del 40% dei crediti in 24 mesi, oppure 20% subito (per chi preferisce liquidazione immediata). La proposta è dura (60% di taglio), ma Beta argomenta che in fallimento i fornitori stimerebbero <20% (per via dei privilegi che drenano attivo). Cerca di convincerli che il 40% in piano attestato è il doppio di quanto avrebbero altrimenti.
- Supporto nuovo capitale: la proprietà di Beta (famiglia) è disposta a cedere la maggioranza se si trova un investitore nel settore. Viene trovato un accordo con un competitor locale disposto a entrare col 51% a fronte di un investimento di €2 mln, ma solo a debiti “puliti” ridotti. Questa offerta viene inclusa nel piano: quindi, i soci attuali si impegnano a far entrare il nuovo partner entro fine anno.
- Recupero efficienza: Beta chiuderà altri 2 supermercati marginali e concentrerà le risorse sui 6 restanti. Ciò comporta un esubero di 20 dipendenti – il costo è gestito attivando un Fondo di solidarietà per la grande distribuzione che supporta gli esodi e la Cassa Integrazione straordinaria per 12 mesi per attenuare impatto.
- Debiti fiscali: fortunatamente Beta era in regola con tasse e contributi fino a poco prima, quindi ha solo €200k verso l’Agenzia (IVA recente non pagata): chiederà rateazione standard. Nessun grosso debito fiscale da transare.
Attestazione e criticità: l’attestatore analizza il piano Beta. Nota che il punto debole sono i fornitori: convincerli ad accettare 40% potrebbe essere difficile, specie per quelli che hanno già portato istanza fallimento. Suggerisce di migliorare l’offerta magari al 50% per i fornitori strategici, e di ottenere intanto il ritiro delle istanze da chi aderisce. Beta rialza l’offerta al 50% in 2 anni per i primi 5 fornitori istanti (che rappresentano il grosso) e riesce a farli firmare l’accordo (condizionato alla vendita con successo di almeno 3 immobili entro 6 mesi). L’attestatore valida il fatto che la vendita immobili è realistica (c’è già interesse di una catena su uno stabile) e che con l’ingresso del nuovo socio l’azienda avrà capitali per sostenere l’attività rimanente. Attesta quindi che il piano è fattibile e i numeri tornano: con la riduzione del debito fornitori e bancario, i flussi dei 6 supermercati rimasti sono sufficienti a servire il nuovo mutuo decennale. Nota che i fornitori prendono 50% > stimato 20% in fallimento, quindi anche per loro è conveniente. Redige relazione favorevole.
Esito: Beta deposita piano e accordi al registro. Con la prova che esiste il piano attestato, il tribunale respinge le istanze di fallimento presentate (riconoscendo che il debitore ha trovato un accordo che coinvolge i creditori istanti stessi). Nei mesi successivi, Beta:
- vende i 3 immobili come previsto e incassa €3,6 mln, con cui estingue mutui relativi e parte di linee;
- stipula il sale & lease back sugli altri 2: incassa €2 mln subito che vanno in parte ai debiti e in parte a cassa per pagare fornitori le prime rate;
- il nuovo partner entra con €2 mln acquisendo il controllo, usa parte di quei soldi per finanziare i costi di ristrutturazione (liquidazione dipendenti, rinnovamento dei punti vendita superstiti);
- i fornitori incassano regolarmente le rate del 50%: alcuni fornitori di piccole dimensioni cedono addirittura i loro crediti ristrutturati a factor (ottenendo liquidità immediata magari al 45% nominale) – questo è segno di fiducia che Beta onorerà;
- Beta riduce drasticamente la leva finanziaria: da €14 mln di debiti totali a circa €5 mln (nuovo mutuo decennale). Con 6 supermercati snelli e con meno concorrenza (nel frattempo alcuni discount rivali chiudono) Beta torna a utile già dal secondo anno.
- Dopo 2 anni il piano è completato: fornitori saldati al 50%, nuovo socio stabilmente dentro, organico ridotto ma efficiente, vendite in crescita moderata. L’azienda è salva, anche se i vecchi soci hanno perso la maggioranza (ma preferibile a perdere tutto in fallimento).
Considerazioni penali e fiscali: in questo caso i fornitori sacrificano metà credito, e Beta – avendo pubblicato il piano – non tassa la sopravvenienza (esenzione art. 88 TUIR) sui €2,5 mln di debiti fornitori annullati (eccedenti perdite). Inoltre, se per ipotesi fra un anno Beta fosse invece fallita, gli atti come il lease back e i pagamenti 50% ai fornitori sarebbero stati protetti da revocatoria e i titolari non perseguibili per bancarotta preferenziale. Invece Beta ce l’ha fatta: i creditori hanno avuto più del doppio di quel che avrebbero visto in fallimento, i dipendenti in esubero hanno avuto ammortizzatori sociali anziché licenziamento immediato, e l’azienda continua ad operare salvando 80 posti di lavoro e l’avviamento commerciale.
Questi esempi mettono in luce come ogni piano attestato sia un abito su misura, che deve adattarsi al caso concreto: non esistono due piani identici, ma tutti seguono la logica di fondo di coinvolgere i diversi attori (banche, fornitori, soci, nuovi investitori) in un compromesso che permetta all’azienda di sopravvivere e alla maggior parte dei creditori di ottenere una soddisfazione migliore che in uno scenario liquidatorio. La trasparenza, la credibilità del piano e il ruolo dell’attestatore risultano, in tutti i casi, fattori decisivi per persuadere i creditori a fidarsi e aderire.
Domande Frequenti (FAQ) su Piani di Risanamento Attestati
Di seguito presentiamo alcune domande frequenti, con le relative risposte, riguardanti la predisposizione e l’attuazione dei piani attestati di risanamento ex art. 56 CCI. Queste FAQ affrontano dubbi pratici, aspetti critici e punti chiave per imprenditori e professionisti:
- D: Chi può predisporre un piano attestato di risanamento?
R: Possono farlo tutti gli imprenditori commerciali (incluse società di capitali e di persone) che si trovino in stato di crisi o insolvenza reversibile. Non è richiesto che siano soggetti “fallibili” in senso tecnico (il CCI non limita esplicitamente), quindi anche imprese minori o agricole teoricamente possono ricorrervi, sebbene per queste ultime esistano procedure ad hoc (accordi di ristrutturazione minori, composizione sovraindebitamento). In pratica il piano attestato è usato soprattutto da PMI e imprese medio-grandi, dove c’è una pluralità di creditori rilevanti da gestire. L’iniziativa spetta all’imprenditore (amministratori, nel caso di società), eventualmente su sollecitazione degli organi di controllo interni in caso di emersione di crisi. - D: Il piano attestato deve essere depositato in tribunale o omologato?
R: No, il piano attestato è uno strumento stragiudiziale al 100%: non prevede alcun deposito o approvazione da parte del tribunale. L’unica forma di “deposito” prevista è la pubblicazione volontaria nel Registro delle Imprese, che però non comporta valutazione di merito da parte di un giudice, è un atto formale a cura dell’imprenditore. Dunque non c’è omologa, né giudice delegato, né commissario: la gestione resta in mano all’impresa. Ovviamente, se il piano fallisce e l’azienda poi va in concordato o fallimento, allora interverrà il tribunale in quella sede – ma il piano attestato in sé non passa dal vaglio giudiziario. - D: Quali sono i vantaggi principali di un piano attestato rispetto ad altre procedure di crisi (concordato, accordo omologato)?
R: I vantaggi spesso citati sono: maggiore velocità e minori costi, perché si evita tutto l’iter giudiziale e le formalità di omologa; riservatezza, poiché non c’è pubblicità legale su bollettini o PEC ai creditori (la pubblicazione al Registro Imprese, se fatta, è meno eclatante di un concordato pubblicizzato a tutti i creditori); flessibilità nelle soluzioni, potendo negoziare caso per caso con ciascun creditore (nel concordato bisogna rispettare parità di trattamento per classi, ecc.); nessuna cristallizzazione legale: l’impresa non viene etichettata come “in concordato”, il che può salvaguardare i rapporti con clienti/fornitori e l’accesso a certi finanziamenti (es. fondi pubblici che in procedure concorsuali sarebbero negati). Inoltre, il piano attestato consente – una volta attestato e pubblicato – di ottenere comunque importanti benefici legali (esenzione revocatoria, esenzione tassazione sopravvenienze, esenzione penale su preferenze) analoghi a quelli delle procedure formali. Di contro, i limiti rispetto ad esse sono: assenza di effetti automatici di sospensione azioni esecutive, vincolatività limitata ai consenzienti e necessità di consenso individuale. - D: Quali sono i rischi o le criticità di un piano attestato per l’imprenditore?
R: Il rischio principale è non ottenere l’adesione sufficiente dei creditori e quindi fallire nel risanamento dopo aver magari perso tempo prezioso. Un piano attestato che non decolla o non viene rispettato può aggravare la situazione perché nel frattempo i creditori hanno atteso (magari peggiorando il loro recupero). Altro rischio è l’azione individuale di creditori dissenzienti: basta un creditore importante fuori dal piano per provocare pignoramenti o istanze di fallimento che mandano all’aria lo sforzo. C’è poi il rischio reputazionale: se l’azienda diffonde ai partner commerciali di essere in piano attestato (per convincerli ad aderire), potrebbe allarmare clienti o altri fornitori portandoli a ridurre fiducia (anche se meno che in un concordato). Dal punto di vista legale, se l’imprenditore abusa del piano per ritardare l’insolvenza senza basi concrete, può comunque incorrere in responsabilità per aggravamento del dissesto o in reati (es. bancarotta semplice) se il piano era manifestamente irrealistico. Va anche considerato che in caso di esito negativo, l’imprenditore avrà probabilmente consumato ulteriori risorse e dovrà comunque affrontare un fallimento o concordato, trovandosi con meno asset e meno credibilità. Infine, c’è il rischio di revoca delle tutele: se emergesse che il piano era un guscio vuoto, il giudice fallimentare potrebbe non riconoscere l’esenzione revocatoria e colpire atti fatti (ma ciò succede solo in caso di manifesta inettitudine del piano). - D: Che differenza c’è tra piano attestato e accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 57 CCI, ex art. 182-bis L.F.)?
R: L’accordo di ristrutturazione è uno strumento sempre basato su un accordo negoziale con i creditori, ma prevede una successiva omologazione in tribunale e vincola anche i creditori dissenzienti purché si raggiunga un certo quorum di adesione (>=60% dei crediti). Quindi, a differenza del piano attestato (dove serve il consenso di tutti i creditori che devono essere ristrutturati), l’accordo di ristrutturazione permette di imporre l’accordo anche a minoranze non consenzienti, una volta ottenuta l’omologa. Tuttavia è più formale: occorre depositare ricorso, attendere l’omologa dal tribunale (con relative verifiche), rispettare obblighi di pubblicità verso tutti i creditori e la possibilità per i dissenzienti di fare opposizione. Inoltre offre la possibilità di ottenere misure protettive (stay) automatiche chiedendole al tribunale. In breve: il piano attestato è più rapido e privato, ma richiede consenso individuale; l’accordo omologato è più lento e pubblico ma consente di forzare la mano ai dissenzienti e offre protezione immediata. Spesso le imprese tentano prima la via del piano attestato; se non riescono a coinvolgere tutti, ripiegano su un accordo 182-bis (omologandolo con il 60% e trascinando il resto). - D: Che differenza c’è tra piano attestato e concordato preventivo?
R: Il concordato preventivo è una procedura concorsuale vera e propria: viene aperta dal tribunale, prevede la nomina di un commissario giudiziale, il voto di tutti i creditori e l’omologazione giudiziale finale. È pubblica (iscrizione al Registro Imprese, comunicazione a tutti i creditori), costosa (spese legali, tribunale, commissari) e relativamente lunga (diversi mesi almeno). In compenso, il concordato consente di cristallizzare la situazione (blocco azioni esecutive, sospensione interessi, possibilità di sciogliere contratti onerosi) e di imporre sacrifici anche a creditori contrari, con la maggioranza di voto e l’omologa. Inoltre nel concordato vi sono classi di creditori e si possono trattare diversamente categorie (ad es. offrire 100% ai fornitori critici e 20% ad altri chirografari, purché in classi distinte e motivato). Il piano attestato, come visto, non ha queste prerogative: è contrattazione pura. In sintesi, il concordato è lo strumento da usare se non è realisticamente possibile ottenere l’accordo di tutti i creditori principali e serve la forza della legge per imporlo, oppure se è indispensabile ottenere subito protezione da assalti dei creditori. Il piano attestato invece funziona quando c’è cooperazione e il profilo della crisi è tale da poter essere gestito in bonis. Molte PMI apprezzano il piano perché evita lo stigma di un concordato (che spesso porta alla perdita di clienti, revoca di licenze, ecc.), ma richiede abilità negoziale e un certo equilibrio delle posizioni. - D: Il piano attestato è un atto pubblico? Altri soggetti (competitors, clienti) possono venirne a conoscenza?
R: Se l’imprenditore non pubblica il piano al Registro Imprese, esso rimane in linea di massima riservato tra i partecipanti (azienda, creditori aderenti, attestatore). Ovviamente, in pratica la notizia può circolare perché si deve trattare con i creditori; però non c’è una comunicazione ufficiale a tutti i creditori (solo a quelli che si vuole coinvolgere). Se invece l’imprenditore decide di pubblicare il piano e l’attestazione, chiunque effettuando una visura camerale potrebbe vederne traccia (alcune Camere di Commercio indicano l’avvenuta iscrizione di un piano ex art. 56 CCI, talvolta allegando anche i documenti). Quindi la pubblicità c’è ma è meno eclatante rispetto a una procedura concorsuale, che prevede spesso comunicati ufficiali. Diciamo che un competitor o cliente normalmente non va a spulciare i registri imprese di un’azienda per caso; però un fornitore magari sì. In ogni caso, l’azienda può concordare con i creditori una clausola di riservatezza: chi aderisce si impegna a non divulgare i dettagli. Resta il fatto che voci nel mercato possono girare. Da valutare il trade-off: spesso conviene pubblicare per i vantaggi legali e fiscali, accettando un po’ di esposizione (tanto se i principali stakeholder già lo sanno, tenerlo segreto agli altri serve a poco). - D: Quali obblighi ha l’imprenditore dopo che il piano è attestato? Deve informare qualcuno dell’andamento?
R: Per legge, non vi è un obbligo di rendicontazione periodica a un organo esterno (non essendoci un commissario). Tuttavia, gli accordi sottoscritti con i creditori spesso includono covenant informativi: ad esempio, le banche possono richiedere report trimestrali su ricavi e posizione finanziaria, o i fornitori possono inserire clausole risolutive se l’azienda non fornisce certe evidenze (es. bilanci intermedi). Inoltre, l’attestatore solitamente non ha compiti successivi, ma in alcuni casi l’azienda o le banche gli chiedono di rimanere come “monitor” esterno: un incarico volontario di verifica semestrale dell’esecuzione, riferendo ai creditori (questo per aumentare fiducia). Non è obbligatorio farlo, ma può succedere in piani molto complessi. L’imprenditore comunque ha il dovere generale di diligente esecuzione: se vede scostamenti rilevanti, dovrebbe proattivamente contattare i creditori e discutere aggiustamenti o chiedere un intervento di rinegoziazione, come segno di buona fede. - D: È possibile modificare un piano attestato in corso d’opera?
R: Formalmente, il piano attestato è un documento statico al momento X attestato dall’esperto. Se cambiano le condizioni, non c’è un meccanismo unilaterale di modifica come in concordato (dove si può presentare un piano modificato al voto). Qui bisogna rinegoziare con i creditori eventuali cambiamenti. È però possibile predisporre sin dall’inizio il piano con clausole flessibili (piano “aperto”): ad esempio, prevedendo che “qualora entro 12 mesi le vendite siano inferiori del 20% al previsto, la società si riserva di convocare i creditori aderenti per concordare modifiche al piano”. In tal caso, se accade, l’azienda può proporre un addendum al piano, farlo attestare nuovamente (serve nuova attestazione se i numeri cambiano sostanzialmente) e far firmare ai creditori un accordo modificativo. In pratica, sì, un piano può essere rivisto, ma serve di fatto ripetere il ciclo (nuovo accordo, nuova attestazione). Se le cose peggiorano di poco, i creditori di solito tollerano piccoli ritardi se vedono impegno; se peggiorano molto, può essere necessario un “piano B” radicale, magari un concordato. Un esempio: l’azienda aveva previsto incasso da vendita immobile, ma salta la vendita; i creditori potrebbero accettare di prorogare di altri 6 mesi i termini di pagamento sottoscrivendo un’integrazione al piano (da farsi attestare per mantenere protezioni). Tutto dipende dalla collaborazione continua. - D: Che succede se il piano attestato non funziona e l’impresa fallisce?
R: In caso di successiva liquidazione giudiziale (fallimento), il piano attestato di per sé non impedisce la dichiarazione di insolvenza né la prosecuzione del fallimento. Tuttavia, influirà sul fallimento per due aspetti: 1) come visto, gli atti compiuti nel piano godranno delle esenzioni da revocatoria e l’imprenditore delle esenzioni penali su preferenze/ssemplici; 2) il curatore fallimentare potrebbe valutare se sussistono profili di responsabilità degli amministratori per aver ritardato il fallimento confidando in un piano. Ebbene, se il piano era ragionevole e attestato, questo sarà per gli amministratori un elemento difensivo, provando che non hanno agito con negligenza ma anzi hanno tentato un risanamento in buona fede. Quindi, il piano attestato può ridurre il rischio di una condanna per bancarotta semplice da ritardata convocazione di fallimento – anche se poi sta al giudice valutare caso per caso, specialmente se il piano era manifestamente irrealistico sin dall’inizio. In altre parole: un piano serio fallito per sfortuna non aggrava (anzi migliora) la posizione di amministratori; un piano fasullo usato per prendere tempo aggrava la loro posizione perché mostra malafede. - D: I debiti fiscali possono essere inclusi in un piano attestato?
R: Sì e no. Possono essere inclusi nel senso di considerati nel fabbisogno e nelle uscite del piano, ma non possono essere trattati al ribasso negozialmente. Fuori dalle procedure concorsuali omologate, l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali non hanno potere di transigere gli importi dovuti a titolo di tributi e contributi (principio di indisponibilità del tributo). Quindi, l’imprenditore non può far firmare all’Erario un accordo dove l’IVA viene pagata al 50%. Quello che può fare è: sfruttare le normative esistenti (rateazioni, definizioni agevolate) per diluire o ridurre sanzioni; oppure, se il debito fiscale è troppo grande per essere pagato integralmente, potrebbe dover abbandonare il piano attestato e usare un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale (strumento che, previo omologa, consente di stralciare anche il Fisco col voto del 30% di esso). Nel piano attestato, comunque, conviene coinvolgere moral suasion il Fisco: ad esempio, se l’azienda dimostra all’AdE che col piano pagherà tutto il debito in 5 anni grazie ai risparmi generati, l’AdE potrà attendere e non attivare riscossioni (compatibilmente con i limiti interni). Ma non c’è obbligo giuridico. Dunque, una regola pratica: previsto il pagamento integrale dei debiti fiscali e contributivi nel piano (magari in parte con nuove risorse), perché altrimenti questi creditori privilegiati rischiano di far saltare tutto. Se l’Erario è un creditore piccolo e può essere pagato, bene; se è enorme e non sostenibile senza falcidia, il piano attestato probabilmente non è lo strumento adatto. - D: L’attestazione può essere fatta da un qualunque commercialista o avvocato di fiducia dell’azienda?
R: No. Deve essere un professionista indipendente qualificato con i requisiti di legge. Ciò significa che, a meno che il professionista “di fiducia” non sia indipendente (non abbia lavorato per l’azienda) e sia iscritto nell’elenco degli esperti della crisi e nel registro revisori, non può attestare. Spesso l’azienda è affiancata dal suo consulente nella redazione, ma per l’attestazione deve coinvolgere un soggetto terzo. Ad esempio, se il commercialista A ha assistito Beta S.p.A. per anni tenendone la contabilità, non potrà essere lui l’attestatore del piano di Beta perché manca d’indipendenza. Si chiamerà il commercialista B, estraneo a Beta, magari su indicazione di A stesso. Dunque l’attestatore non può essere parte del team che ha redatto il piano: deve arrivare dopo e verificare criticamente. Inoltre, bisogna verificare che sia nell’albo dei gestori crisi: i professionisti più giovani o solo avvocati non iscritti revisori rimangono esclusi. In caso di dubbi, meglio consultare il locale Ordine dei Commercialisti che spesso ha un elenco di attestatori disponibili. - D: Quanto costa predisporre un piano attestato (in termini di spese)?
R: Non ci sono contributi di giustizia o spese di procedura (non essendoci il tribunale). Tuttavia, l’azienda dovrà sostenere i compensi dei professionisti coinvolti: tipicamente un advisor finanziario o società di consulenza per aiutarla a redigere il piano (il costo varia molto, da poche migliaia di euro per piccole imprese a decine di migliaia per piani complessi), un legale per la contrattualistica con i creditori (anche qui variabile, a forfait o a ore), e il compenso dell’attestatore. L’attestatore spesso chiede un importo fisso più una percentuale, oppure tariffe orarie; per PMI può andare dai €5-10k per casi semplici fino a €30-50k se c’è molta complessità (ancora molto meno dei costi di un commissario in concordato, in genere). Nel complesso, un piano attestato per una PMI può costare, a spanne, qualche punto percentuale dell’indebitamento da ristrutturare (es. per debiti €5 mln, spendere €50-100k in consulenze totali). È un investimento non banale per chi è in crisi, ma solitamente necessario. C’è da dire che, diversamente dal concordato, qui non c’è l’obbligo di accantonare somme in prededuzione etc., quindi l’azienda paga i consulenti man mano coi fondi di cassa o con un piccolo finanziamento ponte. Inoltre, alcuni costi (es. perizie di stima immobili) potrebbero essere già state fatte. In sostanza: costa meno di un concordato, ma non è gratis prepararlo in modo professionale. - D: Quali “strumenti” può utilizzare l’impresa per monitorare efficacemente il piano durante la sua esecuzione?
R: Si consigliano di implementare:- un sistema di contabilità gestionale e reporting più frequente (es. mensile) per confrontare budget vs actual e individuare subito scostamenti;
- nomina di un responsabile interno del piano (spesso il CFO o un dirigente dedicato) che tenga le fila di tutte le azioni e relazioni coi creditori;
- riunioni periodiche del management o del CDA con all’ordine del giorno lo stato di attuazione del piano;
- eventuale comitato dei creditori informale: in alcuni casi i creditori principali nominano un loro referente con cui l’azienda si interfaccia (es. un rappresentante delle banche in pool) per condividere aggiornamenti;
- l’uso di indicatori di allerta interna: ad esempio soglie su indici di liquidità, su vendite, su incassi, che se oltrepassate fanno scattare un alert al management per intervenire (concetto mutuato dagli early warning normativi ma applicato internamente al piano).
In sostanza, serve una disciplina ferrea: non aspettare fine anno per accorgersi che Ebitda è la metà, ma monitorare di continuo e correttamente. Il piano stesso dovrebbe indicare quali indicatori tenere d’occhio (come richiesto dal comma 2 lett. f art. 56).
- D: Se emergono nuovi debiti durante l’esecuzione del piano (ad esempio un debito imprevisto, o un contenzioso che la società perde), si può inserire in corsa?
R: Questa è una situazione difficile. Formalmente, il piano e i relativi accordi coprono i debiti esistenti e considerati al momento della attestazione. Un nuovo debito rilevante (es. una causa risarcitoria che l’azienda perde e deve pagare €500k) è fuori dal piano. L’azienda dovrà cercare di gestirlo a latere: o paga con le risorse che ha (se il piano genera cassa extra, destinandone una parte), oppure deve negoziare anche con questo nuovo creditore un proprio accordo (magari integrandolo nel piano tramite un accordo aggiuntivo con attestazione specifica per quell’aspetto, se serve). Non c’è una procedura formale di “integrazione” se non rifacendo mini-piano integrativo. In ogni caso, se emergono passività occulte non note all’attestatore, l’efficacia complessiva del piano può essere compromessa e può far scattare la risoluzione degli accordi con i creditori originari (spesso tali accordi contengono clausole di risoluzione se spuntano nuovi debiti significativi, perché verrebbe meno la base su cui hanno aderito). Quindi è cruciale, quando si redige il piano, fare uno screening completo dei potenziali debiti (inclusi quelli futuri probabili): meglio accantonare prudenzialmente qualcosa per rischi legali noti, piuttosto che dichiarare poi sorpresa. Qualora, nonostante tutto, emerga un debito “a sorpresa”, l’azienda dovrà valutarne l’impatto: se assorbibile, lo pagherà riducendo magari margine di sicurezza; se enorme e non gestibile, rischia di dover abbandonare il piano e aprire una procedura concorsuale estemporanea per includerlo. - D: Il piano attestato incide sulla centrale rischi o sul rating creditizio dell’azienda?
R: Non formalmente – il piano attestato non viene segnalato in Centrale Rischi Bankitalia come un evento (diversamente dal concordato che attiva codice “in sofferenza” ecc.). Tuttavia, le banche partecipanti potrebbero riclassificare internamente l’azienda come “forborne” (ristrutturata) e ciò riflettersi sul rating creditizio. In linea di massima, un’azienda in piano attestato è già considerata rischiosa dalle banche (se c’è bisogno di piano, il rating era sceso). Il vantaggio del piano è che, se riesce, l’azienda esce dallo status di incaglio/sofferenza più rapidamente e può migliorare il rating. Molte banche, quando un piano attestato va a buon fine, lo segnalano come fattore positivo. Mentre se un’azienda entra in concordato, per anni rimane con rating infimo a prescindere. Quindi, il piano attestato è neutro/leggermente positivo sul credit scoring rispetto a soluzioni giudiziali. Bisogna però scontare che durante il piano nuove linee di credito “ordinarie” sono difficili: l’azienda dovrà contare sulle linee dedicate del piano (nuovi finanziamenti eventualmente) e su autofinanziamento, perché convincere una banca terza a dare credito a un’azienda in ristrutturazione è arduo.
Queste FAQ coprono alcune tra le questioni più comuni. Naturalmente ogni situazione di crisi è unica: consigliarsi con professionisti specializzati e studiare la normativa applicabile rimane fondamentale per adottare le scelte corrette e conformi alla legge.
Tabelle Riepilogative
Per facilitare la consultazione, riportiamo di seguito alcune tabelle riepilogative sui principali aspetti normativi e operativi del piano attestato di risanamento. Questi schemi sintetizzano obblighi e scadenze, il contenuto minimo del piano, i soggetti coinvolti con i rispettivi ruoli, l’iter procedurale e le principali conseguenze fiscali e penali connesse.
Tabella 1: Obblighi e Scadenze Principali nel Piano di Risanamento
Obbligo/Adempimento | Descrizione | Tempistica/Scadenza |
---|---|---|
Adeguati assetti per rilevare la crisi (art. 2086 c.c.) | Dovere degli amministratori di dotarsi di strumenti per intercettare segnali di crisi e attivarsi. | Continuo (obbligo permanente, propedeutico al piano). |
Predisposizione del piano di risanamento | Redazione del documento di piano completo di tutti i contenuti richiesti dall’art. 56 CCI. | Tempistica interna, varia: idealmente 1-3 mesi dall’individuazione della crisi per una bozza. |
Nomina del professionista indipendente (attestatore) | Conferimento dell’incarico di attestazione a un professionista qualificato e indipendente. | Non appena il piano è in bozza avanzata; comunque prima della finalizzazione (tipicamente 1 mese prima del closing del piano). |
Data certa del piano | Attribuzione al piano di data certa (es. mediante sottoscrizione autenticata o deposito CCIAA). | Al momento della sottoscrizione definitiva del piano da parte dell’imprenditore. |
Attestazione del piano (relazione ex art. 56 co.3 CCI) | Rilascio da parte del professionista della relazione che attesta veridicità dati e fattibilità. | Contestuale alla finalizzazione del piano, dopo verifica (mediamente 2-4 settimane di lavoro dell’attestatore). |
Accordi con i creditori aderenti (contratti, patti) | Formalizzazione scritta degli accordi di ristrutturazione (dilazioni, stralci, nuove garanzie, ecc.). | Preferibilmente contestuale alla sottoscrizione del piano attestato o subito dopo (comunque prima dell’esecuzione degli atti). |
Pubblicazione nel Registro Imprese (opzionale) | Deposito del piano, attestazione e accordi presso la CCIAA per pubblicità legale e data certa. | Subito dopo attestazione e firma degli accordi (di norma entro pochi giorni per massimizzare tutele). |
Esecuzione degli atti previsti | Compiere gli atti unilaterali e contratti in esecuzione del piano (pagamenti, vendite, ecc.). | Secondo il cronoprogramma definito nel piano (es. inizio pagamenti a T+30gg, cessioni entro 6 mesi, ecc.). Tutti gli atti devono avere data certa e forma scritta. |
Monitoraggio periodico interno | Verifica periodica dello stato di avanzamento (report a creditori, controlli su scostamenti). | Frequenza indicata nel piano (es. mensile interno, trimestrale verso creditori). |
Adozione misure correttive in caso di scostamenti | Attuazione delle iniziative integrative previste se i risultati divergono dagli obiettivi. | Tempestivamente al rilevamento dello scostamento (es. attivazione ulteriore finanziamento se ricavi -10% dopo 6 mesi, come da piano). |
Completamento del piano | Termine dell’orizzonte di piano e conclusione di tutte le azioni (pagamento finale creditori, ecc.). | Di norma 2-5 anni dall’avvio, secondo la durata definita (es. al termine del terzo esercizio incluso nel piano). |
Eventuale ricorso a procedura concorsuale (se piano fallisce) | Attivazione concordato preventivo o liquidazione giudiziale qualora il piano non riesca e l’insolvenza persista/aggravi. | Non codificata: appena si constata che il piano è divenuto irrealizzabile e l’insolvenza non più gestibile entro i termini (obbligo legale di non aggravare il dissesto). |
Tabella 2: Contenuti Minimi del Piano Attestato (art. 56 CCI)
Lettera art. 56 | Contenuto richiesto | Spiegazione sintetica |
---|---|---|
a) | Indicazione del debitore (impresa) e delle eventuali parti correlate; descrizione di attività e passività al momento del piano; illustrazione della situazione economico-finanziaria e della posizione dei lavoratori. | Presentazione anagrafica e fotografica dell’impresa e del gruppo/collegamenti, con evidenza di bilanci, debiti/crediti aggiornati e informazioni su occupati. |
b) | Descrizione delle cause e della entità dello stato di crisi o insolvenza. | Analisi delle ragioni della crisi (esogene/endogene) e quantificazione del dissesto accumulato (perdite, deficit patrimoniale, ecc.). Serve a giustificare le misure proposte. |
c) | Le strategie d’intervento. | Elenco e descrizione delle azioni di risanamento pianificate: es. ristrutturazione del debito, ricapitalizzazione, dismissioni, riduzione costi, rilancio commerciale, ecc. – come l’azienda intende risolvere la crisi. |
d) | Elenco dei creditori e ammontare dei crediti da rinegoziare con indicazione dello stato delle trattative; elenco dei creditori estranei e risorse destinate al pagamento integrale dei loro crediti. | Individuazione dei creditori coinvolti nell’accordo (con dettaglio proposte a ciascuno, se già discusso) e di quelli che restano fuori (con dimostrazione che saranno soddisfatti per intero alle scadenze). |
e) | Eventuali apporti di finanza nuova previsti e ragioni della necessità per l’attuazione del piano. | Specificazione di nuovi finanziamenti o capitali apportati (da soci, banche, investitori) che sono parte del piano e motivazione del perché servono (es. copertura temporanea liquidità, investimenti per rilancio). |
f) | Tempi delle azioni da compiere e modalità di verifica della realizzazione; iniziative da adottare in caso di scostamento dagli obiettivi. | Il cronoprogramma del piano (tempistica dettagliata di implementazione) e il sistema di monitoraggio previsto (indicatori chiave, frequenza controlli). Deve includere piani alternativi o correttivi predefiniti se il piano deraglia parzialmente. |
g) | Il piano industriale e evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario; tempi necessari per assicurare il riequilibrio economico-finanziario. | Proiezioni economiche (business plan con conto economico, etc.) e finanziarie (flussi di cassa, posizione finanziaria netta) risultanti dalle strategie, con indicazione dell’orizzonte temporale entro cui l’azienda tornerà in equilibrio e autosufficienza finanziaria. |
g-bis) | Indicazione analitica di costi e ricavi attesi, del fabbisogno finanziario totale e relative modalità di copertura, tenendo conto dei costi necessari a sicurezza sul lavoro e tutela ambientale. | Un prospetto dettagliato dei budget economici e finanziari: stime di ricavi futuri, costi operativi e straordinari, quantificazione del fabbisogno di cassa complessivo e come sarà coperto (fonti interne o esterne). Devono includere esplicitamente le spese per conformità normativa (sicurezza, ambiente) per assicurare che non vengano trascurate per fare “quadrare i conti”. |
(Nota: oltre a quanto sopra, il piano deve avere data certa e deve essere accompagnato dalla relazione dell’attestatore indipendente.)
Tabella 3: Soggetti Coinvolti nel Piano e i loro Ruoli/Responsabilità
Soggetto | Ruolo nel piano attestato | Responsabilità e doveri |
---|---|---|
Imprenditore / Organi sociali (debitore) | – Predispone il piano di risanamento (con l’ausilio di consulenti).– Conduce le trattative con i creditori e sottoscrive gli accordi.– Implementa concretamente le azioni previste dal piano.– Richiede la pubblicazione del piano al Registro Imprese (se decide di farlo).– Monitora l’andamento e adotta misure correttive se necessarie. | – Dovere di veridicità delle informazioni fornite all’attestatore e ai creditori (dati completi e corretti).– Dovere di diligenza nell’esecuzione del piano e di attivazione tempestiva se il piano fallisce (per evitare aggravamenti).– Responsabilità civile verso i creditori in caso di gestione colposa o malafede (aggravamento ingiustificato del dissesto).– Possibile esonero da responsabilità per bancarotta semplice/preferenziale se ha operato secondo un piano attestato valido. |
Consulenti dell’impresa (legali, finanziari, tributaristi) | – Assistenza nella diagnosi della crisi e nella redazione tecnica del piano (analisi finanziaria, stesura business plan, etc.).– Supporto nelle negoziazioni con i creditori (stesura accordi, transazioni, eventuale composizione negoziata con esperto).– Consulenza su aspetti legali (clausole contrattuali, tutela dell’impresa) e fiscali (trattamento delle componenti del piano). | – Dovere di competenza e professionalità: predisporre un piano realistico e conforme alla legge.– Dovere di collaborazione con l’attestatore, fornendo tutto il materiale richiesto per le verifiche.– Nessuna responsabilità diretta verso i creditori, ma soggetti a eventuale responsabilità professionale verso l’impresa se il piano fosse negligentemente mal impostato. |
Professionista Indipendente (Attestatore) | – Esamina il piano e le informazioni aziendali.– Redige la relazione di attestazione che certifica veridicità dei dati e fattibilità economica del piano.– Può svolgere un ruolo consultivo (se richiesto) segnalando all’impresa incongruenze prima di attestare.(eventuale) – Può essere coinvolto post-attestazione come monitor esterno se le parti lo concordano (non obbligatorio). | – Dovere di indipendenza assoluta e rispetto dei requisiti di legge (art. 2 CCI: no conflitti, requisiti professionali).– Dovere di diligenza e veridicità: controllare dati e valutare obiettivamente il piano, evidenziando eventuali criticità.– Responsabilità penale per falso in attestazioni se fornisce informazioni false o omette fatti rilevanti nella relazione (pena detentiva, aggravata se dolo di profitto/danno ai creditori).– Responsabilità civile verso terzi per danni causati da un’eventuale attestazione gravemente negligente o infedele (creditori possono chiedere risarcimento).– Sanzioni disciplinari dall’albo professionale in caso di condotta scorretta. |
Creditori Aderenti (banche, fornitori, ecc. che sottoscrivono accordi) | – Negoziano con il debitore nuove condizioni di pagamento o soddisfazione (dilazioni, stralci, conversioni, garanzie reali aggiuntive, ecc.).– Sottoscrivono accordi bilaterali o plurilaterali con il debitore che disciplinano la ristrutturazione dei loro crediti.– Durante l’esecuzione, rispettano eventuali intese (es. non avviare azioni esecutive finché il debitore è in regola coi pagamenti convenuti). | – Nessun obbligo legale di aderire: aderiscono volontariamente se ritengono la proposta conveniente rispetto alle alternative.– Una volta sottoscritto l’accordo, sono vincolati contrattualmente ai nuovi termini (es. non possono pretendere subito le somme rinviate o rinunciate).– Mantengono però i loro diritti in caso di inadempimento del piano: se il debitore non paga secondo accordo, possono agire (salvo patti specifici di tolleranza nel contratto).– Hanno diritto a informazioni veritiere: se scoprono che sono stati indotti ad aderire con informazioni false, possono reagire legalmente (annullamento per dolo, ecc.). |
Creditori Estranei (non partecipanti al piano) | – Non partecipano alla trattativa né sottoscrivono accordi; rimangono creditori alle condizioni originarie. | – Hanno diritto al pagamento integrale alle scadenze originarie.– Possono intraprendere azioni legali (ingiunzioni, pignoramenti, istanza fallimento) se il debitore non paga o se temono pregiudizio, poiché non sono parte dell’accordo e non sono soggetti ad alcun vincolo di standstill. (Nota: l’imprenditore cercherà di tenerli soddisfatti per evitare tali azioni). |
Nuovi Finanziatori/Invesitori (es. banche per finanza aggiuntiva, soci, investitori terzi) | – Forniscono risorse finanziarie fresche necessarie all’impresa secondo il piano (nuovi prestiti, nuova equity, ecc.).– Spesso condizionano il loro intervento all’attuazione del piano attestato (es. erogano il giorno successivo all’iscrizione del piano o all’omologa di misure protettive). | – Godono, se rispettate le condizioni, di un trattamento privilegiato: i nuovi finanziamenti effettuati in esecuzione di un piano attestato pubblicato possono avere in futuro il beneficio della non revocabilità e, se previsti dal piano, possono aspirare a privilegi (ma il CCI sui piani attestati non prevede automaticamente prededuzione come nel concordato, a meno che intervenga un successivo concordato).– Hanno il dovere contrattuale di erogare/investire alle condizioni pattuite se il debitore rispetta i presupposti (es. conferimento deliberato, ecc.).– Possono negoziare garanzie di rimborso nel piano (pegni, ipoteche) e in tal caso sono tutelati come da normali regole civilistiche su quelle garanzie. |
Organismo di Composizione / Esperto negoziatore (se attivata comp. negoziata) | (Facoltativo, extra-procedurale) – Facilita le trattative tra l’impresa e i creditori prima e durante la predisposizione del piano. – Aiuta a individuare soluzioni equilibrate e a convincere le parti, può proporre accordi.– Può attivare misure protettive temporanee durante le negoziazioni. | – L’esperto di composizione negoziata (figura introdotta nel 2021) ha obbligo di imparzialità e riservatezza, e redige alla fine una relazione conclusiva. Se dal suo lavoro scaturisce un piano attestato, egli esaurisce poi il suo ruolo. Ha funzioni di mediatore, non vincolanti. |
Tabella 4: Iter Procedurale del Piano Attestato (Fasi e Passaggi)
Fase (#) | Descrizione | Dettagli e Attori Coinvolti |
---|---|---|
1. Rilevazione della crisi | – L’impresa coglie i segnali di difficoltà (indici di bilancio, cash flow negativo, insoluti…).– Organi amministrativi ne discutono; eventuale coinvolgimento organo di controllo (collegio sindacale) che richiama gli amministratori all’azione. | Attori: Management, CDA, sindaci.Dettagli: Obbligo assetti adeguati (art. 2086 c.c.); primi allert interni. |
2. Consultazione professionisti e scelta strumento | – L’imprenditore consulta consulenti legali/finanziari per analizzare la situazione.– Si valutano le opzioni: piano attestato vs accordo omologato vs concordato vs liquidazione.– Se si opta per il piano attestato, si pianifica la strategia negoziale e il coinvolgimento dei principali creditori. | Attori: Imprenditore, advisor finanziario, legale fallimentarista.Dettagli: Possibile attivazione iniziale di composizione negoziata (nomina esperto) per condurre trattative in modo protetto. |
3. Due diligence e predisposizione bozza di piano | – Raccolta di tutte le informazioni economico-patrimoniali (bilanci, situazione debiti completa, valori attivi).– Stesura del piano industriale di rilancio e del piano finanziario a medio termine, con identificazione delle misure di risanamento e stima fabbisogni.– Preparazione di un documento di piano provvisorio con tutti i contenuti (cause crisi, strategia, proiezioni, proposta creditori, ecc.). | Attori: Impresa (uffici contabilità, finanza), consulenti esterni (esperti aziendali).Dettagli: Si producono bilanci interni aggiornati, eventuali perizie su asset, bozze di accordo. |
4. Coinvolgimento del Professionista Indipendente | – L’impresa individua un attestatore indipendente idoneo e gli conferisce l’incarico formale.– L’attestatore analizza la bozza di piano, chiede documenti, verifica dati contabili, esamina ipotesi e inizia a redigere (in parallelo) la sua relazione. | Attori: Attestatore (es. dottore commercialista), l’impresa (fornisce dati), consulenti (collaborano nel fornire chiarimenti).Dettagli: Attestatore verifica indipendenza, firma NDA, poi procede a test sostanziali su numeri e fattibilità. |
5. Negoziazione con i Creditori | – L’impresa presenta la bozza di piano o almeno una proposta chiara ai creditori chiave (banche, grandi fornitori, ecc.).– Si svolgono incontri e trattative bilaterali/multilaterali; i creditori propongono modifiche (es. garanzie aggiuntive, percentuali diverse).– Si raggiungono accordi di massima con ciascun aderente (eventualmente firmando term sheet o lettere d’intenti vincolate all’attestazione). | Attori: Imprenditore e suoi legali, rappresentanti dei creditori (es. direttori bancari, credit manager fornitori), eventuale esperto di composizione come mediatore.Dettagli: Questa fase può essere iterativa: es. più riunioni con banche in pool, condivisione di proiezioni; possibili concessioni reciproche (covenant futuri, ecc.). |
6. Definizione finale del Piano e degli Accordi | – Sulla base delle intese raggiunte, l’impresa aggiorna il piano definitivo (numeri e condizioni finali).– I contratti di ristrutturazione vengono redatti in forma esecutiva (accordi transattivi con fornitori, modifiche contrattuali con banche, patti di standstill, ecc.).– L’attestatore integra eventuali ultimi dati nella sua relazione. | Attori: Imprenditore e consulenti (per redazione contratti), creditori aderiscono formalmente (firme), attestatore (finalizza relazione).Dettagli: Contratti firmati di solito sotto condizione dell’attestazione positiva e pubblicazione. |
7. Sottoscrizione e Attestazione | – L’imprenditore approva e sottoscrive il piano di risanamento in forma scritta (spesso con atto notarile o firma digitale con marca temporale per la data certa).– Il professionista indipendente firma la relazione di attestazione, datata e allegata al piano.– Si allegano al piano le copie degli accordi con i creditori che hanno aderito (come richiesto dal comma 4 art.56). | Attori: Imprenditore (firma piano), Attestatore (firma relazione), eventuale notaio (per autentica firme/data certa). Creditori hanno già firmato i loro accordi. |
8. Pubblicazione nel Registro delle Imprese (se scelta) | – Il debitore presenta istanza di iscrizione al Registro Imprese allegando il piano attestato, la relazione dell’attestatore e gli accordi conclusi con le parti interessate.– La Camera di Commercio protocolla e rende pubblico l’avvenuto deposito (con data). | Attori: Imprenditore o suo legale invia pratica telematica a CCIAA.Dettagli: In alcuni casi, la pubblicazione è istantanea; da quel momento decorrono effetti (es. protezione revocatoria, requisiti fiscali soddisfatti). |
9. Esecuzione del Piano | – L’impresa dà corso a tutte le azioni previste: effettua pagamenti secondo i nuovi calendari, ottiene l’erogazione di nuovi finanziamenti, realizza cessioni di beni programmate, attua riorganizzazioni operative (chiusure, licenziamenti, investimenti…).– I creditori aderenti ricevono le prestazioni dovute (pagamenti, garanzie) e rispettano eventuali impegni (es. non agire legalmente, concedere nuove linee).– L’impresa aggiorna periodicamente i creditori sullo stato (se previsto) e monitora gli indicatori. | Attori: Imprenditore e management (implementazione), creditori (passivi, attendono/incassano), eventuale attestatore/esperto come monitor esterno (se nominato in accordi).Dettagli: Questa fase dura per tutto il periodo del piano (es. 2-5 anni) con attività quotidiana di gestione. |
10. Conclusione o Adeguamento | – Se il piano ha successo, al termine l’azienda risulta risanata: tutti gli impegni con i creditori adempiuti e equilibrio recuperato. Viene meno lo stato di crisi.– Se emergono difficoltà intermedie: attuazione di misure correttive o eventuale rinegoziazione (fase straordinaria non sempre presente).– Se il piano fallisce (insolvenza irreversibile), l’impresa ricorre prontamente a una procedura concorsuale (concordato o istanza di liquidazione giudiziale) per gestire in modo ordinato la crisi, informando i creditori. | Attori: Imprenditore (valuta esito), creditori (se piano ok tornano a rapporti normali; se ko, diventano istanti o parti in nuova procedura). Tribunale coinvolto solo in caso di procedura successiva. |
Tabella 5: Conseguenze Fiscali Principali
Evento/Misura del Piano | Trattamento Fiscale | Riferimenti |
---|---|---|
Riduzione dei debiti (remissione parziale crediti chirografari da parte di creditori aderenti) | Genera sopravvenienza attiva per l’impresa debitrice. Esente da tassazione ai sensi art. 88 co.4-ter TUIR per la parte eccedente le perdite pregresse, a condizione che il piano sia stato pubblicato nel Registro Imprese. Se non pubblicato, la sopravvenienza è imponibile (salvo utilizzo perdite per assorbirla). | Art. 88, comma 4-ter TUIR; Risposta AE 222/2024. |
Pagamenti ai creditori estranei (soddisfazione integrale di creditori non aderenti) | Nessuna particolare agevolazione: sono pagamenti di debiti secondo norma, senza effetti fiscali extra. Eventuali interessi di mora pagati sono deducibili come oneri finanziari. | – |
Nuovi finanziamenti ricevuti (es. finanziamento soci o banca per eseguire il piano) | – Soci: se il finanziamento è postergato ex legge o convertendo, trattato come capitale proprio (nessun effetto fiscale immediato). Se in futuro remissione del finanziamento soci, potrebbe rientrare in sopravvenienze attive agevolate se parte del piano.– Banche/terzi: i nuovi prestiti seguono regime ordinario: interessi passivi deducibili nei limiti (30% ROL), eventuali garanzie statali non tassabili. Se il piano fallisce e prestito non rimborsato, la banca potrà dedurre perdita secondo regole ordinarie. | – (regime fiscale ordinario dei finanziamenti). |
Conversione di debiti in capitale (debt-equity swap nell’ambito del piano) | Per l’impresa debitrice: annullamento del debito verso creditori comporta tecnicamente una sopravvenienza attiva, ma contestualmente iscrive patrimonio netto (capitale o riserva) di pari importo. L’Agenzia Entrate in passato ha considerato tali operazioni neutrali ai fini del reddito se contestuali a concordati; nel piano attestato, l’operazione dovrebbe rientrare nell’esenzione del 4-ter TUIR (riduzione debiti in esecuzione piano). Dunque non tassabile se pubblicato.Per il creditore che diventa socio: realizza plus/minus su credito scambiato con quote; in genere, soggetto a regime PEX o capitale (esente per persone fisiche se partecipazione non qualif., ecc.). | Art. 88 co.4-ter TUIR (applicabile al saldo a stralcio, conversione equiparata a stralcio per parte eccedente?). Prassi AE su accordi simili (es. risp. interpelli). |
Cessione di beni aziendali per pagare debiti (vendita immobiliare, di ramo d’azienda) | – Plusvalenza eventuale: imponibile IRES (aliquota ordinaria) ma esente IRAP se straordinaria. Tuttavia, se cessione effettuata nell’ambito di concordato preventivo, c’è sospensione imposizione fino a chiusura procedura (non rilevante se piano attestato, che non è procedura concorsuale). Nel piano attestato, imposizione immediata nell’esercizio di realizzo.– Minusvalenza eventuale: deducibile ordinariamente (titoli, immobilizzazioni: deducibile per intero se bene relativo all’impresa).– IVA: se beni ceduti imponibili, IVA da versare normalmente sulle vendite (salvo regime di esenzione per cessioni particolari). | Artt. 85-86 TUIR (plusvalenze/minusvalenze). Art. 19 DPR 917/86 per sospensione plus in concordato (non applicabile a piani). |
Interessi passivi su debiti rinegoziati (es. banca allunga mutuo, più interessi totali) | Deduzione soggetta alle regole del TUIR (30% ROL). La sola ristrutturazione del debito non cambia il trattamento. Se nel piano si capitalizzano interessi scaduti (anatocismo), gli interessi già maturati sono deducibili nei limiti dell’esercizio di competenza originario. | Art. 96 TUIR (interessi passivi). |
Stralcio debiti tributari (non applicabile direttamente in piano, salvo adesione a sanatorie) | Fuori concorso: l’Erario non può stralciare ad hoc nel piano attestato. Se l’impresa beneficia di una rottamazione/cartella saldo-stralcio prevista per legge, la parte condonata (sanzioni, interessi) non genera imponibile in capo all’impresa (perché è esclusa ex lege, art. 88 co.4-ter menziona esenzione anche per remissioni a seguito di provvedimento legislativo). | Art. 88 c.4-ter TUIR comprende concordati fall., accordi omologati e piani attestati pubblicati; per rottamazioni: la AE ha sempre ritenuto non tassabili le sanzioni condonate, e gli interessi di mora condonati (Circolari varie su rottamazione). |
Costo dell’attestatore e consulenti (spese di professionisti per piano) | Deducibili come costi d’esercizio (oneri di gestione straordinaria) nell’esercizio di competenza (quando fatturati). Possono essere portati a perdita fiscale e dunque ridurre il reddito/imposte. Se però l’impresa è in perdita, tali costi aumentano la perdita fiscale utilizzabile. (In caso di fallimento successivo, i compensi prededucibili pagati prima restano dedotti normalmente). | Artt. 109 TUIR (principio competenza), 101 (perdite). |
(Nota: il beneficio fiscale principale – detassazione delle sopravvenienze da stralcio debiti – è subordinato alla pubblicazione del piano. Altre componenti seguono il regime fiscale ordinario. Si raccomanda il coordinamento con consulenti fiscali in sede di piano.)
Tabella 6: Conseguenze Penali Essenziali
Azione/Evento durante il Piano | Rilevanza Penale per Imprenditore/Attestatore | Norma |
---|---|---|
Pagamenti preferenziali eseguiti in attuazione del piano (pagare alcuni creditori “di più” o prima di altri quando si è insolventi) | Bancarotta fraudolenta preferenziale: in caso di fallimento successivo, tali pagamenti non costituiscono reato per l’imprenditore se fatti in esecuzione di piano attestato valido. L’art. 324 CCI esenta infatti dalle pene dell’art. 323 CCI (ex 216 L.F.) per atti in piano.Se il piano era fittizio e finalizzato solo a favorire taluni, potrebbe comunque configurarsi il reato se il giudice ritiene il piano manifestamente inidoneo (cioè considera quei pagamenti al di fuori di un serio tentativo di risanamento). | Art. 324 CCI (Esenzioni penali); Art. 323 CCI (Bancarotta pref.). Cass. Pen. 8926/2016. |
Omessi pagamenti di taluni debiti o aggravamento del dissesto durante il tentativo di risanamento | Bancarotta semplice: ad es. continuare ad operare facendo debiti ulteriori o non pagando obblighi fiscali potrebbe configurare bancarotta semplice (art. 325 CCI, ex art. 217 L.F.). Esenzione: se queste condotte sono avvenute nell’esecuzione del piano attestato, l’imprenditore non è punibile per bancarotta semplice. (Es. il ritardo nel chiedere fallimento giustificato dal piano attutisce la colpa). Tuttavia, se il comportamento trascende il piano (es. dissipazioni non previste dal piano), resta punibile. | Art. 324 CCI (Esenta da art. 325 CCI bancarotta semplice). |
Distrazioni di beni aziendali, frodi, falsificazioni compiute anche se c’è un piano (es. vendita sottocosto a terzi compiacenti non prevista dal piano) | Bancarotta fraudolenta patrimoniale: non c’è esenzione. Se l’imprenditore approfitta del piano per compiere atti distrattivi o sottrarre attivo, risponderà di bancarotta fraudolenta come in assenza di piano. Il piano non copre condotte dolose di spoliazione del patrimonio. Cassazione ha confermato che il piano non è scudo per distrazioni dolose. | Art. 322 CCI (Bancarotta fraudolenta patrimoniale), nessuna esenzione specifica (324 non la cita). |
False comunicazioni sociali (bilanci falsi per abbellire situazione) | Se l’impresa falsifica bilanci o documenti contabili per ottenere l’attestazione o per nascondere la reale situazione (es. non registra debiti), si configura il reato di false comunicazioni sociali (artt. 2621-2622 c.c.) per gli amministratori. Il piano attestato non ha incidenza diretta su questo reato: rimane punibile. Inoltre, tali falsità farebbero decadere la validità del piano stesso (attestatore dovrebbe scoprirle). | Artt. 2621, 2622 c.c. (reati di falso in bilancio), applicabili normalmente. |
Falso in attestazioni e relazioni del professionista (attestatore colluso o gravemente negligente) | Reato ex art. 342 CCI: il professionista attestatore che “nelle relazioni o attestazioni espone informazioni false ovvero omette informazioni rilevanti” è punito con la reclusione da 2 a 5 anni (oltre a multa). Pena aumentata se atto a profitto o con danno ai creditori. Esempi: attestare dati aziendali sapendo che sono falsi; omettere di segnalare un passivo importante nel piano.L’imprenditore può rispondere in concorso se ha istigato o fornito consapevolmente dati falsi all’attestatore affinché fuorvi la relazione (ipotesi concorso in falso o in bancarotta fraudolenta documentale se bilanci falsi). | Art. 342 CCI (Falsità in attestazioni); aggravanti 342 co.2-3 (fino metà pena in più se profitto/danno). |
Mancato deposito tempestivo di istanza di fallimento (ritardo doloso) se piano fallisce | Se l’imprenditore, malgrado il fallimento del piano, tarda ulteriormente a rivolgersi al tribunale e aggrava il dissesto, potrebbe incorrere in bancarotta semplice per ritardo. Tuttavia, se fino a quel momento confidava nel piano attestato, ciò funge da attenuante/giustificazione. L’importante è che, constatato il fallimento del piano, presenti concordato o istanza di liquidazione immediatamente. Un ritardo ingiustificato ulteriore sarebbe sanzionabile (bancarotta semplice per aggravamento). | Art. 325 CCI (Bancarotta semplice): punisce, tra l’altro, l’aver aggravato il dissesto tardando richiesta insolvenza. Esenzione ex 324 vale solo per atti compiuti in esecuzione del piano, non per inerzia dopo il piano. |
(Nota: l’esenzione penale dell’art. 324 CCI tutela l’imprenditore diligente che agisce nel quadro di un piano attestato; non copre condotte dolose o fraudolente. Il professionista attestatore risponde in proprio di eventuali falsità nella relazione. In caso di dubbio, adottare sempre condotte trasparenti e in buona fede – il piano attestato, se genuino, diviene elemento a proprio favore anche in sede penale.)
Fonti Normative e Giurisprudenziali Utilizzate
Di seguito l’elenco delle principali fonti normative (leggi e decreti) e delle pronunce giurisprudenziali citate o richiamate nel corso della guida, utili per approfondimenti e riscontro:
Legislazione (Italia):
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), entrato in vigore a luglio 2022. Articoli rilevanti: Art. 2, comma 1, lett. o) (definizione di “professionista indipendente”); Art. 56 (Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento); Art. 54 (misure protettive anche per trattative accordi); Art. 63-64 (transazione fiscale negli accordi); Art. 88 (transazione fiscale nel concordato preventivo); Art. 167 (estensione esenzione a revocatoria ordinaria per strumenti di regolazione); Titolo IX (Disposizioni penali): Art. 322 (Bancarotta fraudolenta patrimoniale), Art. 323 (Bancarotta fraudolenta preferenziale), Art. 324 (Esenzioni dai reati di bancarotta preferenziale e semplice per atti in esecuzione di piano attestato), Art. 325 (Bancarotta semplice), Art. 342 (Falsità nelle attestazioni e relazioni del professionista).
- Decreto Legislativo 13 settembre 2024, n. 136 – “Secondo decreto correttivo” al Codice della Crisi. Ha introdotto modifiche all’art. 56 CCI (aggiunta del requisito g-bis sull’analitica indicazione costi/ricavi e sicurezza/ambiente; specifiche su parti correlate, ecc.) e al Titolo IV (rinominato “Strumenti di regolazione della crisi e insolvenza”). Entrata in vigore 28 settembre 2024.
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – Normativa previgente (abrogata dal 15/7/2022). Articoli rilevanti storicamente: Art. 67, co.3, lett. d) (piano attestato di risanamento esenzione revocatoria, ora trasfuso in art. 56 CCI); Art. 217-bis (esenzione da bancarotta semplice/preferenziale per atti in esecuzione di piano attestato – ora art. 324 CCI); Art. 236-bis (reato di falso in attestazioni del professionista – ora art. 342 CCI).
- Codice Civile: Art. 2086, comma 2 c.c. (dovere degli amministratori di assetti adeguati e di agire per la continuità – introdotto dal D.Lgs.14/2019); Art. 2399 c.c. (cause di ineleggibilità sindaci/revisori, richiamate per indipendenza attestatore); Artt. 2621-2622 c.c. (false comunicazioni sociali).
- Testo Unico Imposte sui Redditi (DPR 917/1986): Art. 88, comma 4-ter TUIR (esclusione da sopravvenienze attive delle riduzioni dei debiti effettuate in concordati, accordi di ristrutturazione omologati e piani attestati di risanamento pubblicati); Art. 86 (plusvalenze da concordato preventivo tassabili in caso di mancato completamento – non applicabile a piani); Art. 96 (deducibilità interessi passivi); Art. 109 (principio di competenza per deduzioni di costi, es. compensi attestatore).
- Leggi speciali: D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 (introduzione Composizione negoziata della crisi: rilevante per eventuale integrazione con piano attestato); Normativa su “Rottamazione delle cartelle” (es. D.L. 119/2018, D.L. 34/2019, L. 197/2022 per rottamazione-quater) – prevede definizioni agevolate che l’azienda in piano può utilizzare per debiti fiscali.
Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
- Cassazione Civile, Sez. I, 5 luglio 2016, n. 13719: prima sentenza di legittimità sul piano attestato ex art.67 L.F. – ha stabilito che la presenza di un piano attestato non garantisce automaticamente l’esenzione da revocatoria; il giudice deve valutare ex ante l’idoneità del piano e può disapplicare l’esenzione se il piano era “manifestamente inadeguato”.
- Cassazione Civile, Sez. I, 10 febbraio 2020, n. 3018: ha ribadito il principio del controllo giudiziale ora per allora sulla fattibilità del piano ai fini dell’esenzione revocatoria, nei limiti dell’evidente inettitudine. (Cfr. riflessioni in dottrina su ).
- Cassazione Civile, Sez. I, 3 marzo 2023, n. 6508 (Pres. Cristiano, Rel. Dongiacomo): Caso emblematico 2023 – ha confermato che gli atti esecutivi di un piano attestato non godono di esenzione dalle azioni revocatorie se il giudice, con valutazione ex ante, riscontra l’“assoluta ed evidente inettitudine” del piano a risanare. Nella fattispecie, un’ipoteca concessa a un creditore fu dichiarata revocabile poiché il piano sottostante era irrealistico. Sentenza richiamata anche da Iusletter.
- Cassazione Civile, ord. 25 maggio 2020, n. 9743: (citata da dottrina) – ha evidenziato che l’esenzione ex art. 67, co.3, lett. d) L.F. si applica anche verso le azioni revocatorie ordinarie ex art. 2901 c.c., anticipando quanto poi chiarito dal CCI art.167.
- Cassazione Penale, Sez. V, 3 marzo 2016, n. 8926: in ambito penale, ha affermato che le condotte distrattive degli amministratori poste in essere in esecuzione di un piano attestato non escludono il reato di bancarotta fraudolenta qualora il piano, valutato dal giudice, risultasse non idoneo al risanamento. Conferma che il piano non è scudo per atti fraudolenti se piano inattendibile.
- Cassazione Penale, Sez. V, 12 dicembre 2022 (dep. 2023), n. 36401: (richiamata in testo) – sentenza recente che ha ribadito i doveri dell’attestatore in ambito concordatario e l’equivalenza omissiva: l’attestatore commette reato anche per omissione di informazioni rilevanti, equiparata al falso. Vale come monito anche per i piani attestati.
- Cassazione Penale, 23 gennaio 2013, n. 1521: (non citata direttamente, ma storica) – aveva trattato analogie tra piano concordatario e piano attestato sulla sindacabilità.
- Cassazione Penale, 18 dicembre 2013, n. 49402: (non cit. diretta) – su profili di falso in attestazione ante CCI.
Altre Decisioni:
- Tribunale di Milano, decreto 28 aprile 2022: (es.) – in ambito composizione negoziata, delineando possibili soluzioni miste con piano attestato (fonti secondarie).
- Corte Costituzionale, sent. 6/2015: – aveva dichiarato inammissibile questione su reato false attestazioni (236-bis L.F.), implicitamente confermandone la legittimità; non direttamente rilevante post CCI.
Documenti di Prassi e Linee Guida:
- Agenzia delle Entrate – Risposta a interpello n. 222 del 13 novembre 2024: ha chiarito l’applicazione dell’art.88(4-ter) TUIR ai piani attestati ex art.56 CCI, equiparandoli ai piani ex art.67 L.F., a condizione di pubblicazione. Conferma la detassazione delle sopravvenienze attive da stralcio nel piano pubblicato.
- Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti – “Principi di attestazione dei piani di risanamento” (Documento 8 maggio 2024): linee guida professionali per gli attestatori sui controlli da effettuare e contenuto delle relazioni, con allegati normativi. Non norma, ma best practice di riferimento.
- Relazione Illustrativa al D.Lgs. 14/2019: utile per interpretazione finalità art. 56 e disposizioni penali.
- Relazioni Commissioni Rordorf: hanno spiegato ratio art. 217-bis L.F. (ora 324 CCI) come incentivo a risanamenti tempestivi.
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