Come Difendersi Dalle Azioni Legali Dei Creditori E Dagli Atti Persecutori

Sei tempestato da solleciti, telefonate, lettere minacciose o continue pressioni da parte di creditori o agenzie di recupero? Ti senti perseguitato e sotto stress per via di azioni aggressive o umilianti? È il momento di chiarire una cosa: esistono limiti precisi alla pressione che i creditori possono esercitare. E tu hai tutto il diritto di difenderti, anche legalmente.

Ma come si riconosce un comportamento scorretto? E quando si può parlare di vera e propria persecuzione?

Le azioni legali di un creditore sono legittime solo entro i limiti della legge e del rispetto della persona. Quando diventano insistenti, invadenti o minacciose, si può parlare di abuso. Telefonate a raffica, visite non richieste a casa o sul luogo di lavoro, minacce più o meno velate o messaggi offensivi non sono strumenti di recupero: sono comportamenti illeciti.

Cosa si può fare concretamente per bloccare tutto questo?

Prima di tutto, non restare in silenzio. Chi subisce pressioni ha diritto a difendersi. Ecco le prime mosse:

  • Documenta tutto: salva messaggi, registra telefonate, annota orari e contenuti.
  • Contesta per iscritto: invia una PEC o una raccomandata in cui diffidi il creditore dal continuare con i comportamenti molesti.
  • Chiedi assistenza legale immediata: un avvocato può attivare strumenti di tutela rapida, come un ricorso per comportamento abusivo, o proporre una strategia per gestire e rinegoziare il debito.
  • Valuta l’avvio di una procedura di sovraindebitamento, che blocca ogni azione esecutiva e ti permette di riprendere il controllo.

Ma se i debiti sono reali, posso comunque proteggermi? O devo subire finché non pago tutto?

Avere debiti non significa perdere i propri diritti. Anche se sei debitore, nessuno può minacciarti, umiliarti o invadere la tua privacy. Anzi, la legge ti offre strumenti concreti per uscire dai debiti: puoi chiedere la rateizzazione, avviare una trattativa, proporre un piano di rientro, o – nei casi più gravi – ricorrere alla procedura di esdebitazione o liquidazione controllata.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti nella difesa del debitore, opposizioni a pignoramenti e tutela contro abusi – ti spiega come riconoscere quando le azioni dei creditori superano il limite, come proteggerti legalmente e cosa possiamo fare per bloccare ogni forma di pressione indebita e aiutarti a uscire dai debiti in modo sicuro e legale.

Ti senti sotto assedio da parte di creditori aggressivi? Hai bisogno di tornare a vivere serenamente, senza ansia e paura ogni volta che squilla il telefono?

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo i comportamenti ricevuti, valuteremo se ci sono gli estremi per bloccare le pressioni e costruiremo una strategia legale per tutelare la tua dignità e risolvere definitivamente la situazione debitoria.

Introduzione

Quando un creditore – sia esso una banca, un privato o un ente pubblico – intraprende azioni legali per recuperare un credito, il debitore ha a disposizione diversi strumenti di difesa per tutelare i propri diritti. Allo stesso tempo, può capitare che alcuni creditori adottino comportamenti persecutori o molesti (ad esempio telefonate incessanti o minacce), condotte che l’ordinamento italiano sanziona penalmente. Questa guida avanzata, aggiornata a maggio 2025, fornisce un quadro completo di come difendersi dalle azioni legali dei creditori (pignoramenti, esecuzioni forzate, ipoteche giudiziarie, decreti ingiuntivi, istanze di fallimento, ecc.) e dagli atti persecutori correlati. Il linguaggio utilizzato è giuridico ma divulgativo, pensato per avvocati e imprenditori che necessitano di soluzioni pratiche e aggiornate. Troverete sezioni di domande e risposte, casi pratici, tabelle riepilogative degli strumenti di difesa e riferimenti a recenti fonti normative e sentenze (Corte di Cassazione, Tribunali, Corti d’Appello) fino a maggio 2025.

1. Tipologie di creditori e caratteristiche delle azioni di recupero

In Italia i creditori possono essere di varia natura e ciascuna categoria ha modalità e poteri specifici nel recupero del credito. Le principali tipologie sono: creditori privati (ad esempio fornitori, locatori, privati cittadini), istituti bancari o finanziari, e enti pubblici (come Agenzia delle Entrate-Riscossione per i debiti fiscali, Comuni per tributi locali, INPS per contributi, ecc.). È importante riconoscere la categoria del creditore perché da essa dipendono le procedure che potranno essere attivate e i limiti a tutela del debitore.

  • Creditori privati (aziende, fornitori, privati): Devono in genere munirsi di un titolo esecutivo ottenuto dal giudice (tipicamente un decreto ingiuntivo o una sentenza) prima di poter avviare pignoramenti o altre esecuzioni forzate. Le loro azioni seguono le regole ordinarie del processo civile, con tempi di solito più dilatati e maggiori garanzie per il debitore (es. necessità di notifica di un atto di precetto, intervento dell’ufficiale giudiziario per pignorare beni, ecc.).
  • Creditori bancari e finanziari: Rientrano nei privati, ma spesso dispongono di contratti e titoli che facilitano l’esecuzione. Ad esempio, una banca può vantare titoli di credito (come cambiali o assegni protestati) immediatamente esecutivi o usufruire di mutui fondiari con procedure accelerate. In ogni caso, anche le banche devono ottenere un titolo esecutivo giudiziale per procedere, salvo che dispongano già di un documento con efficacia esecutiva (es. un contratto di finanziamento notarile immediatamente esecutivo). Le banche possono iscrivere ipoteca volontaria sugli immobili concessi in garanzia (ad esempio sull’immobile ipotecato per un mutuo) e, in caso di inadempimento, avviare l’esecuzione immobiliare.
  • Creditori pubblici (Erario e enti statali): Godono di procedure speciali e più rapide. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), ad esempio, non ha bisogno di un decreto ingiuntivo: il titolo esecutivo è già la cartella esattoriale o l’accertamento esecutivo emesso per il tributo dovuto. Dopo la notifica della cartella, se il debitore non paga entro i termini di legge (60 giorni), l’ente può procedere con atti esecutivi (fermo amministrativo, pignoramenti) senza ricorrere al tribunale. Per i tributi locali (es. IMU, TARI) i Comuni dal 2025 possono attivare pignoramenti in tempi dimezzati (60 giorni dal sollecito). Va sottolineato che, sebbene il Fisco abbia corsie preferenziali, esistono limiti stringenti a tutela di beni essenziali: ad esempio, AER non può pignorare la prima casa se il contribuente possiede solo quell’immobile, lo adibisce ad abitazione principale e il debito fiscale è inferiore a 120.000 €. In tal caso potrà eventualmente iscrivere ipoteca ma non procedere alla vendita forzata. Questa impignorabilità della prima casa vale solo verso i crediti fiscali, mentre un creditore privato o banca può pignorare la casa anche se prima ed unica (salvo rari casi di beni costituiti in fondo patrimoniale o altri vincoli, v. §3.5).

Differenze procedurali principali: i creditori privati/bancari devono dunque passare attraverso il controllo di un giudice e rispettare formalità (atto di precetto, pignoramento tramite ufficiale giudiziario, ecc.), mentre l’ente pubblico procede con atti amministrativi e, solo in caso di opposizione, interviene il giudice. Conoscere la natura del creditore permette al debitore di capire che tipo di atto potrebbe ricevere (es. una cartella esattoriale invece di un decreto ingiuntivo) e quali difese specifiche attivare (ad esempio, un avviso di addebito INPS si impugna davanti al giudice del lavoro, una cartella fiscale davanti al giudice tributario, ecc., come vedremo). Nei paragrafi seguenti analizziamo tutte le principali azioni legali che un creditore può intraprendere e i relativi strumenti di difesa a disposizione del debitore.

2. Le azioni legali dei creditori: caratteristiche e rimedi per il debitore

In questa sezione esaminiamo nel dettaglio le principali azioni esecutive e cautelari utilizzate dai creditori per recuperare i propri crediti, indicando per ciascuna di esse come il debitore può difendersi. È fondamentale agire tempestivamente e con cognizione di causa: ogni procedimento ha regole proprie e termini perentori da rispettare per opporsi o prevenire conseguenze irreversibili (come la vendita all’asta di un immobile). Vedremo inoltre come le più recenti riforme legislative e pronunce giurisprudenziali fino al 2025 incidono su queste procedure.

2.1 Il decreto ingiuntivo (ingiunzione di pagamento)

Il decreto ingiuntivo è spesso il primo passo dell’azione legale di un creditore. Si tratta di un provvedimento emesso dal giudice su ricorso del creditore, quando il credito è fondato su prova scritta ed è certo, liquido ed esigibile. Il decreto ingiuntivo ingiunge al debitore di pagare una certa somma (o consegnare una cosa) entro un termine, solitamente 40 giorni, sotto pena di esecuzione forzata. Può essere emesso provvisoriamente esecutivo, in casi particolari previsti dalla legge (ad es. se il credito riguarda cambiali, assegni, o se c’è pericolo nel ritardo): in tal caso il creditore può procedere subito all’esecuzione anche se il debitore propone opposizione.

Difesa del debitore: il rimedio principale è l’opposizione a decreto ingiuntivo, da presentare entro 40 giorni dalla notifica del decreto (termine ordinario previsto dall’art. 641-645 c.p.c.). L’opposizione si propone con atto di citazione davanti allo stesso ufficio giudiziario che ha emesso l’ingiunzione; da quel momento si instaura un giudizio ordinario di cognizione, in cui il creditore assume la parte di attore (che deve provare il fondamento del suo credito) e l’ingiunto diventa convenuto-opponente. Se l’opposizione viene accolta, il decreto è revocato o modificato; se viene respinta o non proposta, il decreto diviene definitivo ed equiparato a una sentenza esecutiva.

  • Opposizione tardiva: se il termine di 40 giorni è decorso senza che il debitore abbia potuto proporre opposizione per cause a lui non imputabili (es. mancata o irregolare notifica del decreto, forza maggiore che gli ha impedito di attivarsi), l’ordinamento consente un’opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.). Ad esempio, se il decreto ingiuntivo non è stato affatto notificato o è stato notificato a un indirizzo errato, il debitore potrà impugnarlo non appena ne avrà effettiva conoscenza, deducendo la mancata notifica. In tal caso il giudice può sospendere l’esecuzione provvisoria se ancora in corso. È bene sottolineare che fuori dai casi tassativi di opposizione tardiva (o di revocazione per scoperta di nuovi fatti, evenienza rara), un decreto ingiuntivo definitivo non può più essere contestato nel merito.
  • Sospendere l’esecuzione provvisoria: se il decreto è stato emesso con clausola di provvisoria esecutorietà (oppure è divenuto esecutivo perché, per esempio, sono decorsi 40 giorni senza opposizione), il creditore può iniziare subito i pignoramenti. In pendenza di un’opposizione, il debitore può chiedere al giudice, con ricorso in via d’urgenza, la sospensione dell’esecuzione del decreto fino all’esito del giudizio di opposizione (art. 649 c.p.c.), dimostrando il fumus di motivi validi e il periculum di un danno grave dalla prosecuzione dell’esecuzione. La sospensione, se concessa, blocca temporaneamente le azioni esecutive del creditore.

Novità normative recenti: la riforma del processo civile (c.d. Riforma Cartabia, D.Lgs. 149/2022) ha snellito la fase iniziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo, introducendo un rito semplificato per le controversie sotto una certa soglia di valore e ampliando gli strumenti di composizione bonaria anche in questa fase. Inoltre, con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, operativo dal 2022), se il debitore versa in uno stato di sovraindebitamento o crisi, può valutare strumenti alternativi come un piano di ristrutturazione del debito o concordato minore (v. §5) anche dopo aver ricevuto un decreto ingiuntivo, per cercare di bloccare le azioni esecutive e ridurre l’importo dovuto.

Domande frequenti sul decreto ingiuntivo: Cosa succede se non mi oppongo entro 40 giorni? Il decreto diventa definitivo, equiparato a una sentenza: il creditore potrà procedere con pignoramenti immediatamente, senza ulteriori avvisi. Posso oppormi solo per chiedere più tempo perché non ho soldi? In generale l’opposizione deve basarsi su contestazioni di merito o procedurali (ad esempio contestare l’esistenza o l’entità del debito, o eccepire vizi di notifica). Difficoltà economiche non sono di per sé motivo di opposizione, ma possono semmai spingere a cercare un accordo col creditore (saldo e stralcio) o percorrere le procedure di sovraindebitamento (v. §5). Un creditore può ottenere un decreto ingiuntivo senza avvisarmi prima? Sì, il decreto è generalmente emesso inaudita altera parte (cioè senza sentire il debitore). Tuttavia, una volta notificato, il debitore ha la chance di opporsi e far valere le proprie ragioni davanti al giudice.

2.2 L’atto di precetto

Dopo aver ottenuto un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto o provvisoriamente esecutivo, cambiale protestata, ecc.), il creditore prima di passare al pignoramento deve notificare al debitore un atto di precetto. Il precetto è una formale intimazione di pagamento con cui il creditore avverte il debitore che, se non paga entro un termine di almeno 10 giorni, si procederà forzosamente ai suoi beni. Il precetto deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione del titolo su cui si fonda, delle parti, delle somme dovute (capitale, interessi, spese legali) e l’ingiunzione ad adempiere. Ha validità limitata: se entro 90 giorni dalla sua notifica non viene iniziata l’esecuzione (pignoramento), il precetto perde efficacia e dovrà essere notificato di nuovo.

Difesa del debitore: l’atto di precetto è spesso l’ultimo avviso prima dell’esecuzione e rappresenta un momento cruciale per attivare le difese. Gli strumenti a disposizione sono principalmente due:

  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): se il debitore contesta la legittimità del diritto del creditore di procedere (ad esempio perché il debito è stato già pagato, prescritto, oppure il titolo esecutivo è invalido o nel frattempo annullato), può proporre opposizione all’esecuzione. Quest’azione può essere avviata prima che inizi l’esecuzione forzata (dunque dopo il precetto, ma prima del pignoramento) oppure anche durante l’esecuzione, fino a che non sia esaurita. Nel caso in cui l’opposizione all’esecuzione sia proposta prima del pignoramento, essa sospende gli atti esecutivi solo se il debitore ottiene un provvedimento di sospensione dal giudice (analogamente a quanto visto sopra, dovrà motivare la richiesta di sospensione). L’opposizione all’esecuzione è una causa di merito in cui il debitore-opponente assume l’onere di provare i fatti che impediscono il diritto del creditore di procedere (es. quietanza di pagamento, prescrizione maturata, etc.). Esempio: Tizio riceve un precetto per una vecchia parcella mai pagata, ma ritiene che il credito sia prescritto perché sono passati più di 10 anni dal momento in cui avrebbe dovuto pagarla e nessun atto interruttivo gli è giunto: in tal caso, prima che inizino i pignoramenti, Tizio può fare opposizione ex art.615 c.p.c. deducendo la prescrizione del credito – la Cassazione ha confermato che la prescrizione del credito intimato col precetto è motivo di opposizione all’esecuzione.
  • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): se si ravvisano vizi formali o irregolarità nell’atto di precetto (o negli atti successivi dell’esecuzione), il debitore deve agire con questo tipo di opposizione, che ha termini molto brevi: 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato (nel caso del precetto, dalla sua notifica). Motivi tipici possono essere: il precetto non contiene l’indicazione essenziale richiesta dalla legge, oppure è stato notificato quando il titolo era ancora impugnabile o non definitivo, oppure ancora è stato notificato a persona sbagliata o in modo non conforme. L’opposizione agli atti esecutivi mira a far dichiarare nullo l’atto viziato (precetto, pignoramento, avviso di vendita, ecc.) per irregolarità formali o violazioni procedurali. Attenzione: opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi hanno presupposti e termini diversi; a volte il debitore potrebbe aver ragioni sia sul merito del diritto di procedere sia su vizi formali. In tal caso deve porre estrema cura nel far valere entrambe le contestazioni nei modi e tempi corretti, poiché una cumulazione impropria può comportare l’inammissibilità di parte delle domande. Su questo punto, la Suprema Corte (Cass. civ. sez. III ord. 7343/2025) ha chiarito i limiti del cumulo: ad esempio, se si contesta la regolarità formale del precetto, non si può aspettare oltre 20 giorni dalla notifica per farlo, tentando magari di far rientrare la doglianza in una generica opposizione all’esecuzione. In pratica, occorre proporre entrambe le opposizioni separatamente (o quantomeno distintamente all’interno dello stesso atto) rispettando i termini per ciascuna.

In sede di precetto, un debitore diligente dovrebbe inoltre valutare soluzioni stragiudiziali: se riconosce il debito ma non riesce a pagare in un’unica soluzione, può tentare di negoziare un accordo con il creditore (ad esempio un piano di rientro rateale o un saldo e stralcio con riduzione dell’importo in cambio di pagamento rapido). Spesso i creditori (specie privati) possono accettare un compromesso pur di evitare i costi e le incertezze di una lunga esecuzione forzata. Un accordo formalizzato per iscritto potrebbe portare il creditore a sospendere o rinunciare al precetto già notificato.

Novità e prassi: la giurisprudenza recente ha ribadito alcuni principi a tutela del debitore. Ad esempio, le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 4090/2017, hanno stabilito che l’opposizione all’esecuzione può essere proposta anche dopo il pignoramento se riguarda fatti estintivi sopravvenuti o conosciuti dopo, purché prima che sia esaurita la distribuzione, mentre i fatti precedenti il titolo andavano fatti valere tempestivamente (principio di prevenzione delle contestazioni tardive). Inoltre, un importante arresto del 2025 ha riguardato la giurisdizione in materia di precetti da crediti fiscali: le Sez. Unite n. 2098/2025 hanno stabilito che se col precetto (o pignoramento esattoriale) si contesta la prescrizione del credito tributario (maturata dopo la notifica della cartella), la cognizione spetta al giudice tributario e non a quello ordinario. Ciò significa che il debitore, in tal caso, deve sollevare la questione di prescrizione dinanzi alla Commissione Tributaria, perché viene considerata una opposizione riferita al merito del tributo (petitum sostanziale), benché si manifesti in sede esecutiva. È un aspetto tecnico, ma cruciale: sbagliare giudice (civile anziché tributario) comporterebbe il rigetto per difetto di giurisdizione.

2.3 Il pignoramento mobiliare presso il debitore

Il pignoramento mobiliare consiste nell’atto con cui l’ufficiale giudiziario, su istanza del creditore munito di titolo esecutivo e precetto, vincola i beni mobili del debitore (quelli che si trovano nella sua disponibilità, tipicamente nell’abitazione o sede aziendale) per destinarli alla futura vendita forzata. Il pignoramento mobiliare è disciplinato dagli artt. 513 e seguenti c.p.c.: l’ufficiale giudiziario si reca presso il debitore e redige un verbale di pignoramento elencando gli oggetti di valore rinvenuti e scegliendo preferibilmente quelli che appaiono sufficienti a soddisfare il credito (non tutti gli oggetti). Da quel momento quei beni sono vincolati: il debitore non può sottrarli, venderli o danneggiarli, pena sanzioni anche penali. Segue poi la fase di vendita all’asta dei beni pignorati, salvo che intervengano prima il pagamento o altre cause di estinzione dell’esecuzione.

Beni impignorabili: la legge tutela una serie di beni mobili ritenuti essenziali. L’art. 514 c.p.c. elenca ad esempio i beni di uso quotidiano indispensabili al debitore e alla famiglia (letto, frigorifero, stufa per riscaldamento, utensili di cucina, vestiti, generi di prima necessità), nonché oggetti sacri o necessari all’esercizio del culto, e altri beni specifici, dichiarandoli assolutamente impignorabili. Altri beni sono relativamente impignorabili, cioè pignorabili solo entro certi limiti o condizioni: ad esempio, gli strumenti necessari per la professione o il lavoro del debitore possono essere pignorati nei limiti di 1/5 e solo se il debitore non ha altri beni (art. 515 c.p.c.), e comunque la loro sottrazione non deve pregiudicare la continuazione dell’attività. Anche i beni destinati a funzionare da dote o fondo patrimoniale godono di particolari tutele: se il debito non è stato contratto per bisogni della famiglia, i beni del fondo patrimoniale non possono essere pignorati dai creditori (art. 170 c.c.). Infine, ci sono beni impignorabili per legge speciale, come i medicinali, e beni che per natura non hanno valore di mercato (es. decorazioni al valore, medaglie, ecc.).

Difesa del debitore durante il pignoramento mobiliare: l’ufficiale giudiziario deve rispettare le regole sopra accennate, quindi se inserisce nel verbale beni impignorabili o eccede, il debitore (o un terzo proprietario dei beni) può reagire. In particolare:

  • Se vengono pignorati beni esenti per legge, il debitore può contestare l’atto proponendo opposizione agli atti esecutivi (entro 20 giorni, ex art.617 c.p.c.), chiedendo l’annullamento parziale del pignoramento limitatamente a quei beni. Ad esempio, se l’ufficiale pignora la cucina economica o l’unico tavolo presente in casa, in violazione dell’art. 514, il debitore potrà far valere l’illegittimità.
  • Se vengono pignorati beni di proprietà di terzi (non del debitore), il vero proprietario può proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) per ottenere l’esclusione di quei beni dall’esecuzione. Questa azione tipica si pensi al caso in cui, in casa del debitore, vi siano beni appartenenti ad un familiare convivente: l’ufficiale, non sapendo, li pignora; il familiare dovrà allora intervenire dimostrando la propria proprietà (con fatture, testimonianze, ecc.). La Cassazione ha chiarito che l’opposizione di terzo può essere proposta anche dopo che i beni siano stati venduti, entro 30 giorni dall’aggiudicazione, per reclamare il ricavato, ma è evidentemente preferibile agire prima che la vendita abbia luogo.
  • Istanza di sostituzione dei beni pignorati: il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione, ex art. 497 c.p.c., di sostituire ai beni pignorati una somma di denaro (se ad esempio vuole riscattare un bene particolare). In pratica offre una somma equivalente a garanzia e ottiene la liberazione del bene. Questo però presuppone disponibilità liquide immediate.
  • Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): è uno degli strumenti più efficaci per bloccare la vendita dei beni pignorati. Consiste nella possibilità data al debitore di evitare la vendita depositando presso il tribunale una somma pari al valore del debito, interessi e spese (o, più spesso, chiedendo di poterla versare ratealmente). La conversione permette di sostituire ai beni pignorati una somma di denaro che verrà distribuita ai creditori. In concreto, il debitore deve versare immediatamente almeno 1/5 del totale dovuto e può ottenere di pagare la parte restante fino a 36 rate mensili. Se rispetta questo piano, i beni non saranno venduti e al termine, pagato tutto, l’esecuzione si estingue. La conversione è ammessa solo prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni, e può essere concessa una volta sola. Questo strumento è spesso utilizzato nei pignoramenti immobiliari (v. §2.4), ma teoricamente applicabile anche al mobiliare: tuttavia, nei pignoramenti mobiliari spesso il valore dei beni è esiguo e la soluzione migliore per il debitore è cercare un accordo transattivo con il creditore oppure lasciar decadere l’esecuzione se i beni non coprono il debito (non di rado i pignoramenti mobiliari vengono abbandonati dai creditori quando si rivelano infruttuosi).

Esito dell’esecuzione mobiliare: se il pignoramento mobiliare va avanti, i beni pignorati vengono stimati e messi in vendita all’asta. Il debitore può partecipare indirettamente tramite terzi acquirenti (non può ricomprare direttamente i suoi beni, ma può far partecipare qualcuno per lui). Se la vendita ha successo, il ricavato viene distribuito al creditore (o ai creditori se più d’uno) secondo le regole del concorso. Spesso i beni mobili comuni (mobili usati, elettrodomestici) hanno scarso realizzo d’asta; quando la somma ricavata è insufficiente, l’esecuzione si chiude per insufficienza e il creditore può tentare altre vie (pignorare altri beni, stipendi, conti). In caso di esito negativo (asta deserta e beni di modesto valore), il giudice può disporre la liberazione dei beni all’esito dell’asta deserta, lasciandoli al debitore. Da notare che il debitore, a esecuzione terminata, può chiedere l’eventuale esdebitazione residua in sede fallimentare o di sovraindebitamento se ricorrono i presupposti (v. §5 e §7, conclusioni).

2.4 Il pignoramento immobiliare

Il pignoramento immobiliare colpisce i beni immobili di proprietà (o comproprietà) del debitore. È spesso l’azione più incisiva perché mira alla vendita forzata di case, terreni o altri immobili di valore. Il creditore, munito di titolo esecutivo e precetto non adempiuto, notifica al debitore l’atto di pignoramento immobiliare, che viene poi trascritto nei Registri Immobiliari per opponibilità a terzi. L’atto individua l’immobile pignorato, ingiunge al debitore di astenersi da atti di disposizione e nomina un custode (spesso lo stesso debitore, salvo diversa disposizione). Segue una procedura innanzi al Giudice dell’Esecuzione, che porterà all’asta dell’immobile salvo pagamento o accordi.

Prima casa e limiti: Come già accennato, la legge italiana tutela in parte la prima casa del debitore, ma solo rispetto ai creditori pubblici (Fisco). Il Decreto del Fare (D.L. 69/2013, art. 76 del DPR 602/1973) ha stabilito che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può pignorare l’unico immobile di proprietà del debitore se adibito a sua abitazione principale e non di lusso, purché il debito verso l’Erario sia inferiore a 120.000 €. In pratica: se un contribuente possiede solo la casa in cui vive e deve al Fisco meno di 120.000 €, questa casa è impignorabile dal Fisco (l’Agenzia potrà tutt’al più iscrivere ipoteca se il debito supera 20.000 €, ma non potrà procedere alla vendita forzata). Importante: la Cassazione con ordinanza n. 32759 del 16/12/2024 ha confermato questa tutela, chiarendo che vale anche per le procedure esecutive pendenti al 21 agosto 2013 (data di entrata in vigore della norma), quindi con efficacia retroattiva in favore del contribuente. Inoltre, se il debito fiscale supera 120.000 €, AER può pignorare la casa solo se il debitore ha altri immobili; se quella è l’unica casa, resta protetta.

Al contrario, se il creditore è privato o bancario, non esiste un divieto generale di pignorare la prima casa. Dunque una banca, un privato cittadino, una finanziaria possono iscrivere ipoteca giudiziaria e successivamente pignorare anche l’abitazione principale del debitore (salvo che il bene sia protetto da un fondo patrimoniale o trust, circostanze particolari che offrono però resistenze solo contro crediti non familiari o atti successivamente revocabili, v. oltre). La prima casa quindi non è impignorabile per i creditori privati: questa differenza è spesso fonte di confusione, ma è confermata espressamente.

Difesa nel pignoramento immobiliare: Appena notificato l’atto di pignoramento, il debitore ha ancora varie possibilità di difesa prima che si giunga all’asta. Eccone alcune, in ordine di urgenza:

  • Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi: analogamente a quanto visto per il precetto, anche dopo il pignoramento il debitore può proporre opposizione all’esecuzione (se emergono motivi sostanziali, ad es. il debito si è estinto, oppure il titolo era invalido) oppure opposizione agli atti (per vizi formali del pignoramento, ad es. notifica irrituale, difetto di regolare trascrizione, mancato rispetto del termine di 90 giorni dal precetto, etc.). I termini stringenti restano: i vizi del pignoramento vanno dedotti entro 20 giorni dall’atto o dalla sua conoscenza legale. Se il debitore non era a conoscenza del processo (per es. una sentenza contumaciale) e solo col pignoramento scopre il debito, può anche in tale sede far valere l’eventuale nullità della notifica del titolo, tramite opposizione agli atti.
  • Istanza di conversione del pignoramento (rateizzazione): strumento fondamentale in ambito immobiliare. Come descritto per il mobiliare, pagando almeno 1/5 del dovuto e chiedendo la rateazione del resto (max 36 mesi), il debitore può bloccare la procedura. La legge tuttavia prevede un’eccezione rilevante: se il pignoramento riguarda crediti fondiari (mutui ipotecari fondiari, tipicamente erogati da banche con particolari agevolazioni), la conversione potrebbe non essere ammessa. Infatti l’art. 41 TUB (D.Lgs. 385/93) sul credito fondiario prevedeva che, in deroga alle norme ordinarie, il debitore esecutato non potesse chiedere la conversione. La giurisprudenza è stata oscillante su questo punto, ma di recente ha teso a consentire la conversione anche nelle esecuzioni da mutuo fondiario, in ossequio a principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza. In ogni caso, qualora il giudice dovesse negare la conversione, il debitore può comunque tentare di salvare l’immobile ricorrendo ad altre strategie (concordare privatamente la vendita, saldo e stralcio col creditore, ecc.).
  • Sospensione della vendita: il debitore può presentare istanza di sospensione della procedura esecutiva (art. 624 c.p.c.) se ha già promosso un giudizio di opposizione o se sta cercando un accordo con i creditori. Il nuovo art. 624-bis c.p.c. consente una sospensione concordata: il giudice dell’esecuzione può sospendere l’esecuzione fino a 6 mesi su richiesta del debitore con il consenso dei creditori che rappresentino almeno il 75% dei crediti. In pratica, se il debitore trova un accordo di ristrutturazione col grosso dei creditori, può ottenere il tempo per adempiervi senza perdere l’immobile.
  • Interventi nella procedura: durante la procedura immobiliare, se intervengono nuovi creditori o situazioni (es. il debitore viene dichiarato fallito), la situazione cambia. Ad esempio, se il debitore è una società e durante l’esecuzione immobiliare viene dichiarata fallita, l’esecuzione individuale si arresta e l’immobile passa sotto il concorso fallimentare. In tal caso il debitore (o meglio il suo curatore fallimentare) potrà far valere nel fallimento eventuali ragioni per escludere crediti o risolvere diversamente (v. §2.8). Se invece intervengono creditori ipotecari o con cause di prelazione, il debitore deve sapere che la distribuzione seguirà l’ordine dei privilegi e che potrebbe non avere alcun residuo attivo.

Dopo la vendita all’asta: qualora l’immobile venga aggiudicato, al debitore vengono tagliate ulteriori possibilità: non esiste in Italia un “diritto di riscatto” del debitore dopo l’asta (come in altri ordinamenti). Una volta emesso il decreto di trasferimento, il debitore perde la proprietà. Egli ha però diritto, se il prezzo di vendita all’asta supera il debito, di ricevere l’eventuale surplus (detratti spese ed eventualmente altri crediti chirografari rimasti esclusi). Se invece il ricavato non copre tutto il debito, il creditore potrà agire per il residuo su altri beni del debitore (a meno che quest’ultimo non ottenga in seguito una esdebitazione).

2.5 Il pignoramento presso terzi (stipendi, conti correnti e crediti verso terzi)

Il pignoramento presso terzi è la procedura con cui il creditore aggredisce i crediti che il debitore vanta verso altri soggetti. I casi tipici sono: pignoramento dello stipendio (o salario) presso l’azienda datrice di lavoro, pignoramento della pensione presso l’INPS, pignoramento di somme sul conto corrente bancario presso la banca, pignoramento di crediti commerciali (ad esempio crediti che il debitore ha verso propri clienti). La procedura si attiva notificando a quel “terzo” (datore, banca, cliente, ecc.) un atto di pignoramento nel quale si ingiunge di non pagare al debitore le somme dovute ma di congelarle a disposizione del procedimento. Segue poi un’udienza in tribunale dove il terzo dichiarerà quante somme deve al debitore, e il giudice potrà disporre l’assegnazione delle somme al creditore procedente (se disponibili subito, come nel caso di conti correnti) oppure la garnizione periodica (ad es., trattenute mensili sullo stipendio).

Limiti su stipendi e pensioni: Il legislatore prevede precise quote massime pignorabili per garantire al debitore mezzi di sussistenza. In generale, per i lavoratori dipendenti, la quota pignorabile dello stipendio netto è al massimo 1/5 (20%). Ciò significa che almeno l’80% dello stipendio deve rimanere nelle mani del lavoratore. Non esiste tuttavia uno “stipendio minimo” impignorabile fisso: anche retribuzioni modeste possono subire un prelievo del 20%, con l’eccezione di componenti come assegni familiari e indennità di accompagnamento, che per legge non sono pignorabili perché destinati a specifiche finalità di sostegno. In situazioni di grave difficoltà economica, il debitore può chiedere al giudice una riduzione della percentuale pignorata, documentando le proprie condizioni familiari e reddituali. Questo è lasciato alla discrezionalità del giudice, e avviene raramente, ma la norma (art. 545 c.p.c.) e la giurisprudenza ammettono eccezioni per equità.

Per le pensioni, la tutela è maggiore: esiste un minimo vitale impignorabile, pari (dal 2022 in poi) almeno al doppio della pensione sociale. L’ultima cifra aggiornata al 2024 è €1.068,82 mensili (nel 2025 circa €1.077, essendo la pensione sociale aumentata). Ciò vuol dire che una pensione fino a tale importo non può essere toccata. Solo l’eventuale quota eccedente questa soglia può essere pignorata, sempre nei limiti di 1/5. Ad esempio, con pensione di €1.500, €1.068 restano intoccabili e sul resto (€432) si può prendere al massimo il 20% (quindi circa €86). Inoltre, se concorrono più pignoramenti (es. uno per crediti ordinari e uno per alimenti), la somma totale trattenuta su stipendi o pensioni non può superare la metà dell’importo percepito.

Eccezione crediti alimentari: se il creditore procede per alimenti (es. mantenimento dei figli o ex coniuge), il giudice può autorizzare una percentuale maggiore sullo stipendio, valutando caso per caso, poiché sono crediti di natura privilegiata per il sostentamento altrui.

Differenze per crediti fiscali: Quando il creditore pignora stipendi/pensioni per tributi, si applicano regole speciali: l’Agenzia delle Entrate Riscossione preleva in misura minore su redditi bassi. Precisamente: per stipendi fino 2.500€ pignorabile solo 1/10, tra 2.500€ e 5.000€ fino a 1/7 (~14,3%), sopra 5.000€ 1/5. Analoghe percentuali si applicano alle pensioni per la parte eccedente €1.000. Ad esempio, un dipendente pubblico con stipendio netto di €2.000 subirà massimo €200 di trattenuta da un creditore ordinario, ma solo €200 anche dal Fisco (perché 1/10 di 2.000 è €200, non più gravoso del quinto). Se percepisse €2.200, un privato gli tratterrebbe €440 (1/5), il Fisco invece €220 (1/10) adeguandosi alla fascia. Queste regole “a scaglioni” sono pensate per i crediti erariali, e rappresentano un trattamento di favore per il debitore rispetto ai creditori privati.

Pignoramento del conto corrente: Quando si pignora un conto in banca, occorre distinguere tra somme già esistenti sul conto al momento del pignoramento e somme che vi affluiscono dopo. Per legge, se su un conto viene accreditato lo stipendio o la pensione del debitore, e il pignoramento arriva successivamente all’accredito, c’è una protezione: le somme già accreditate sul conto fino al limite del triplo dell’assegno sociale (circa €1.600) non possono essere assegnate al creditore. In pratica, se un pignoramento colpisce il conto a fine mese e sul conto c’erano €1.500 di stipendio appena versato, il debitore potrà trattenere €1.500 (perché sotto il triplo dell’assegno sociale) e il creditore prenderà nulla per quel mese. Se invece sul conto c’erano risparmi più alti, il pignoramento bloccante congelerà tutto l’importo eccedente la soglia protetta (oltre i ~€1.600). Per le somme accreditate dopo la notifica del pignoramento (stipendi futuri), si applica invece direttamente la regola del quinto o delle percentuali di legge: la banca trattiene ad ogni accredito la quota pignorata e la rende disponibile per l’esecuzione.

Difese nel pignoramento presso terzi: anche qui, il debitore può agire in opposizione per contestare irregolarità formali (entro 20 giorni) o il diritto sostanziale del creditore. Inoltre può succedere che il terzo pignorato dichiari il falso (es. l’azienda dice di non dovere nulla al dipendente per tentare di favorirlo). In tali casi il creditore può contestare la dichiarazione del terzo e chiederne l’accertamento in giudizio. Il debitore tuttavia, se il terzo collabora in sua favore dichiarando il falso, rischia poi conseguenze (il creditore potrebbe ottenere un ordinanza di pagamento contro il terzo stesso se viene scoperta la menzogna, e il terzo potrà eventualmente rivalersi sul debitore). In generale, se un terzo trattiene indebitamente somme pignorate (ad esempio la banca non blocca e lascia il debitore prelevare, oppure il datore continua a pagare integralmente lo stipendio aggirando il pignoramento), può esserne chiamato a rispondere.

Un aspetto di difesa peculiare: nel pignoramento di stipendi è possibile che il debitore si trovi già in difficoltà gravi. In tal caso, come detto, può chiedere al giudice esecutivo una riduzione della quota per circostanze eccezionali (non espressamente prevista dalla legge, ma ammessa in giurisprudenza in casi di manifesta iniquità). Oppure, se ha più creditori, valutare una procedura concorsuale di sovraindebitamento per liberarsi dal peso (v. §5).

Novità 2025: Con le riforme recenti è stata introdotta la possibilità di pignorare i crediti verso terzi anche con modalità telematiche. Ad esempio, il creditore può oggi accedere, tramite il tribunale, alle banche dati sui conti correnti e individuare in quale banca il debitore ha un conto, evitando di notificare atti “al buio” a più istituti. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione con l’istituto dell’accertamento esecutivo (introdotto dal D.L. 159/2015 e attuato dal 2020) può procedere al pignoramento di conti e stipendi senza cartella: trascorsi 60 giorni dalla notifica dell’accertamento fiscale e altri 30 giorni dall’intimazione di pagamento senza esito, scatta l’esecuzione automatica. Il 2025 ha portato anche la novità che il pagamento di una prima rata di 50 euro in caso di rateizzazione del debito fiscale blocca sul nascere i pignoramenti già avviati (e sospende fermi amministrativi): se il debitore presenta domanda di dilazione includendo tutti i debiti e versa subito almeno 50€, l’esecuzione si ferma (ma riprenderà se anche una sola rata futura verrà saltata). Questo offre ai debitori fiscali un’ulteriore via di scampo immediata per evitare il prosieguo delle azioni esecutive, a patto di essere poi rigorosi nei pagamenti rateali.

2.6 L’ipoteca giudiziaria

L’ipoteca giudiziaria è una garanzia reale che un creditore può iscrivere su beni immobili (o altri beni ipotecabili, come veicoli registrati) del debitore, in forza di una sentenza o altro provvedimento giudiziale definitivo (o dichiarato provvisoriamente esecutivo) che accerti un credito di somma di denaro. In pratica, ottenuto un titolo esecutivo, il creditore può richiedere all’Agenzia del Territorio la registrazione di un’ipoteca sul bene del debitore, ancor prima o anche in assenza di un pignoramento. L’ipoteca serve a riservare al creditore una prelazione sul ricavato di una eventuale vendita e a “segnalare” la presenza del debito su quel bene (scoraggiandone la compravendita a terzi senza prima saldare il debito). Ad esempio, una banca può iscrivere ipoteca giudiziaria sulla casa del debitore dopo aver ottenuto il decreto ingiuntivo definitivo per un conto scoperto, anche se non passa subito al pignoramento.

Effetti e difese: L’iscrizione di ipoteca giudiziaria di per sé non espropria il bene (il debitore resta proprietario e può usarlo), ma costituisce una forma di pressione legale: l’immobile ipotecato non potrà essere venduto liberamente senza pagare il creditore, perché l’ipoteca lo segue e il creditore ipotecario ha diritto di essere soddisfatto con precedenza in caso di vendita forzata o volontaria. Come difendersi?

  • Opposizione agli atti: se l’ipoteca viene iscritta illegittimamente (es. il provvedimento non lo consentiva, oppure il debito è stato pagato e ciò nonostante il creditore l’ha iscritta), il debitore può agire giudizialmente per far dichiarare nulla l’ipoteca o chiederne la cancellazione. In genere questo avviene con un giudizio ordinario di accertamento negativo (non essendoci un “atto” da impugnare in termini di esecuzione forzata, ma un atto di volontaria giurisdizione di registro). Ad esempio, se l’ipoteca è iscritta su un bene non del debitore, il proprietario leso potrà agire per farla cancellare.
  • Cancellazione per pagamento: Se il debitore paga il debito garantito, ha diritto di ottenere dal creditore l’atto di assenso alla cancellazione dell’ipoteca. È importante procedere alla cancellazione formale nei Registri, altrimenti l’ipoteca resta visibile. In certi casi (come per le ipoteche da mutuo fondiario) la cancellazione può avvenire d’ufficio a seguito del pagamento integrale del mutuo, ma per ipoteca giudiziaria normalmente serve un atto notarile su richiesta del creditore soddisfatto.
  • Riduzione dell’ipoteca: se l’ipoteca è stata iscritta per un importo sproporzionato (ad es. il debito è di 50.000€ e l’ipoteca viene iscritta su più beni per 200.000€ complessivi), il debitore può chiedere al giudice la riduzione dell’ipoteca (art. 2872 c.c.) a limiti più equi, dimostrando la sproporzione. Anche in caso di vendita parziale di un bene ipotecato, il debitore può chiedere la concentrazione dell’ipoteca sul ricavato o sugli altri beni residui.

Da notare che l’ipoteca giudiziaria non dà immediato diritto alla vendita: per procedere all’espropriazione il creditore dovrà comunque avviare un pignoramento (che però a quel punto lo vedrà come creditore privilegiato). Tuttavia, l’iscrizione di ipoteca è spesso un preludio al pignoramento immobiliare se il debitore non adempie. In ambito fiscale, esiste la ipoteca legale fiscale (art. 77 DPR 602/73) che AER può iscrivere per debiti sopra €20.000, anche su prima casa (pur non potendo pignorare immediatamente l’immobile prima casa se sotto soglia): in tal caso il debitore, se ritiene illegittima l’iscrizione, deve impugnarla davanti alla Commissione Tributaria entro 60 giorni per farla cancellare (ad esempio contestando che il debito fosse in realtà sotto soglia o che la procedura non è stata seguita). Recenti pronunce di merito hanno annullato ipoteche esattoriali iscritte senza la preventiva comunicazione di preavviso di ipoteca al contribuente, richiesta per garantire contraddittorio: il debitore deve quindi sempre verificare se AER gli ha inviato un preavviso (che di regola precede di 30 giorni l’iscrizione), e in mancanza può far valere la nullità.

2.7 Il sequestro conservativo

Il sequestro conservativo è una misura cautelare che il creditore può richiedere al giudice prima di avere un titolo definitivo, quando teme che il debitore possa sottrarre o disperdere i propri beni durante il tempo necessario a ottenere una sentenza. È regolato dagli artt. 2905 c.c. e 671 c.p.c.: il creditore deve presentare un ricorso dimostrando il fumus boni iuris (cioè che il suo credito è probabile e fondato su elementi seri, ancorché non accertato definitivamente) e il periculum in mora (il rischio che, attendendo il processo, il patrimonio del debitore non sia più sufficiente a soddisfare il credito, ad esempio perché il debitore sta vendendo i beni o li sta distraendo). Se il giudice accoglie, emette un’ordinanza di sequestro conservativo autorizzando il creditore a pignorare (in via cautelare) beni del debitore fino a concorrenza dell’importo del credito. Il sequestro conservativo può riguardare beni mobili, immobili o crediti (simile al pignoramento presso terzi cautelare).

Difese del debitore: Poiché il sequestro è concesso generalmente inaudita altera parte (senza sentire il debitore), quest’ultimo potrà agire in due modi:

  • Reclamo al Collegio (art. 669-terdecies c.p.c.): entro 15 giorni dalla notifica o esecuzione del provvedimento cautelare, il debitore può proporre reclamo al tribunale (collegio) per far riesaminare la decisione. Può contestare l’assenza dei presupposti (ad esempio sostenere che non vi era vero pericolo di dispersione, o che il credito è infondato). Il collegio può confermare, modificare o revocare il sequestro.
  • Trasformazione in pignoramento o garanzia: se il debitore vuole evitare gli effetti del sequestro, può ottenere la conversione del sequestro prestando adeguata cauzione (art. 669-decies c.p.c.). In pratica, offre una somma di denaro o una fideiussione pari al valore sequestrato, così da garantire al creditore il soddisfacimento futuro: il giudice, se accetta la cauzione, libera i beni dal vincolo del sequestro. Inoltre, se il creditore ottiene poi sentenza favorevole, il sequestro conservativo si tramuta automaticamente in pignoramento (art. 686 c.p.c.), ma il debitore può a quel punto ancora evitare la vendita pagando o concordando col creditore.
  • Opposizione per danni se abuso: se emergesse che il creditore ha chiesto il sequestro temerariamente (senza reale fondatezza, solo per fare pressione indebita), il debitore potrà, una volta concluso il merito a suo favore, chiedere il risarcimento dei danni subiti per il sequestro illegittimo.

Il sequestro conservativo è un’arma potente nelle mani del creditore, ma è meno frequente delle azioni esecutive perché richiede comunque un processo pendente (di norma il creditore deve aver promosso una causa di merito o arbitrato) e l’onere di dimostrare il pericolo. Il debitore deve però sapere che, se viene colpito da sequestro, significa che il creditore sta agendo velocemente: sarà prudente per lui cercare di risolvere la questione, ad esempio offrendo garanzie alternative o avviando trattative, poiché ignorare un sequestro porta quasi certamente poi al pignoramento definitivo.

2.8 L’insinuazione al passivo fallimentare

Quando un debitore è un imprenditore che viene dichiarato fallito (o, secondo il nuovo Codice della crisi, sottoposto a liquidazione giudiziale), i creditori non agiscono più individualmente con pignoramenti, ma devono partecipare al concorso collettivo presentando domanda di insinuazione al passivo. Insinuarsi al passivo significa far riconoscere il proprio credito nel procedimento fallimentare, per poter poi concorrere all’eventuale riparto sull’attivo della massa fallimentare. Dal punto di vista del debitore, il fallimento (o liquidazione giudiziale) comporta che l’amministrazione del suo patrimonio passa al Curatore e lui perde la disponibilità dei beni. Ma come può difendersi da insinuazioni infondate o eccessive?

  • Verifica dello stato passivo: Nella procedura fallimentare, il giudice delegato e il curatore esaminano ogni domanda di insinuazione. Il fallito (debitore) ha facoltà di partecipare all’udienza di verifica dello stato passivo, personalmente o tramite il suo difensore, e può contestare i crediti insinuati. Ad esempio, se un creditore presenta una domanda per un importo esagerato o per un debito che il fallito ritiene inesistente, egli può far mettere a verbale le sue osservazioni e produrre controdeduzioni. Il giudice deciderà se ammettere o escludere (in tutto o in parte) ciascun credito.
  • Opposizione allo stato passivo: Una volta che il giudice delegato emette il decreto di esecutività dello stato passivo (l’elenco dei crediti ammessi ed esclusi), il debitore fallito può proporre opposizione o impugnazione (artt. 98 e segg. L. Fall.; oggi art. 201 e segg. Cod. Crisi) se ritiene che siano stati ammessi crediti non dovuti o con grado di privilegio errato, oppure se un suo creditore legittimo è stato escluso indebitamente. Spesso queste opposizioni sono presentate dai creditori stessi, ma il fallito ha interesse, ad esempio, a opporsi a crediti gonfiati che potrebbero comportare responsabilità anche post-fallimento per lui (residui non coperti). Le controversie su opposizioni allo stato passivo vengono risolte con decreto motivato del Tribunale fallimentare e sono soggette a reclamo in Corte d’Appello.

In generale, dal momento in cui viene aperta la procedura concorsuale, tutti i creditori per fatti anteriori devono rivolgersi al fallimento: nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti individuali. Quindi, paradossalmente, il fallimento funge da “scudo” contro le azioni esecutive: esse vengono bloccate e accorpate nella procedura comune. Il rovescio della medaglia è ovviamente la perdita del patrimonio da parte del debitore e le limitazioni personali (per esempio, l’imprenditore fallito subisce alcune interdizioni, anche se il nuovo Codice attenua lo stigma e punta alla rapida esdebitazione).

Vale la pena menzionare che sotto il nuovo Codice della crisi d’impresa, l’istituto dell’esdebitazione – ossia la liberazione dai debiti residui una volta chiusa la liquidazione – è stato confermato ed esteso. Un debitore persona fisica, imprenditore o consumatore, che abbia cooperato e non abbia commesso atti di frode, può ottenere dal Tribunale la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti alla fine della procedura liquidatoria, così da ripartire pulito (fresh start). Questo rende il fallimento meno punitivo per il debitore onesto e offre un incentivo a non ostacolare la procedura (sapendo che poi i debiti saranno cancellati). Per i piccoli debitori non fallibili, come vedremo, esiste ora anche l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 Cod. Crisi), che consente – una sola volta nella vita – di cancellare tutti i debiti a chi non ha nulla da offrire ai creditori, purché non abbia colpa grave nel proprio indebitamento.

2.9 L’istanza di fallimento (ricorso per liquidazione giudiziale)

L’azione estrema che un creditore può promuovere contro un debitore imprenditore insolvente è la richiesta al tribunale di dichiararne il fallimento (secondo la nuova terminologia, la liquidazione giudiziale). Questa procedura concorsuale è riservata a debitori che siano imprenditori commerciali di dimensioni non piccole (ci sono soglie di non fallibilità). La legge infatti esclude dalla dichiarazione di fallimento gli imprenditori “minori” che, negli ultimi tre anni, abbiano avuto un attivo annuo non superiore a €300.000, ricavi non oltre €200.000 e debiti non oltre €500.000. Se anche solo uno di questi limiti è superato, l’imprenditore è soggetto a fallimento in caso di insolvenza. Diversamente, i più piccoli (artigiani, piccole imprese) sono esonerati e i loro creditori dovranno accontentarsi di esecuzioni individuali o procedure di sovraindebitamento.

Come avviene: Il creditore che vanta un credito certo, liquido ed esigibile non inferiore a €30.000 (soglia introdotta dal Codice della Crisi per evitare richieste su importi irrisori) può depositare un ricorso per la liquidazione giudiziale presso il tribunale competente, allegando prove dello stato di insolvenza del debitore (ad esempio pignoramenti infruttuosi, protesti, inadempimenti gravi). Il tribunale convoca il debitore ad un’udienza. Se viene accertata l’insolvenza (incapacità strutturale di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni), emette la sentenza dichiarativa di fallimento (liquidazione giudiziale). Da quel momento l’impresa passa in mano al curatore, le azioni individuali si bloccano e i creditori devono insinuarsi al passivo (v. §2.8).

Difesa del debitore: Ricevere un’istanza di fallimento è situazione critica, ma vi sono strategie difensive:

  • Contestare l’insolvenza: Il debitore può comparire all’udienza e sostenere, con documenti, di non essere insolvente. Ad esempio, esibendo piani di rientro in corso, prove di liquidità sufficienti, contestando il credito del ricorrente (se in lite) o dimostrando di avere patrimonio capiente per pagare. Se il tribunale ritiene che l’insolvenza non sia provata, respingerà la richiesta. Va notato che un singolo debito scaduto non pagato non basta a giustificare il fallimento se l’impresa per il resto è in bonis; occorre uno stato di impotenza finanziaria più generale.
  • Pagare o ridurre il debito sotto soglia: Se possibile, il debitore può pagare il creditore istante prima dell’udienza o trovare un accordo con lui, così da far revocare o rinunciare all’istanza. In particolare, se il pagamento riduce i debiti sotto la soglia di legge (ad esempio sotto €30.000 complessivi), non essendo più integrato il presupposto, il tribunale dovrà dichiarare inammissibile la richiesta. A volte basta pagare parzialmente o fornire garanzie per convincere il creditore a desistere.
  • Eccepire la non fallibilità: Il debitore può far valere di rientrare nelle condizioni di esonero (piccola impresa sotto le soglie di legge). Dovrà dimostrare, con bilanci o documenti contabili, di non aver superato congiuntamente le tre soglie (attivo, ricavi, debiti) indicate. Questo è un aspetto tecnico ma molto efficace se fondato: il tribunale, verificata la non fallibilità, non potrà che respingere il ricorso. La prova può essere complessa (Cass. 24138/2019 ha ritenuto i bilanci strumento privilegiato ma non esclusivo per provarlo).
  • Richiesta di concordato preventivo o altre procedure: Prima della dichiarazione di fallimento, il debitore può giocare la carta del concordato preventivo (o oggi, il concordato semplificato di liquidazione se ne ricorrono i presupposti). Se deposita una domanda di concordato preventivo con riserva (art. 44 Cod. Crisi) prima che il tribunale pronunci il fallimento, la procedura fallimentare rimane sospesa. Il debitore poi dovrà presentare un piano di concordato che soddisfi i creditori in percentuale. Molti imprenditori usano questa opzione per guadagnare tempo e cercare soluzioni alternative (investitori, vendite di beni, ecc.). Attenzione però: presentare concordati in mala fede solo per bloccare il fallimento può portare a inammissibilità della proposta e poi comunque al fallimento, con dispendio di risorse.
  • Reclamo in appello: Se nonostante le difese il fallimento viene dichiarato, il debitore può proporre reclamo alla Corte d’Appello (entro 30 giorni) per tentare di ribaltare la decisione, magari presentando nuovi elementi (es. un finanziatore pronto a saldare i debiti). In rari casi si può anche chiedere la sospensione provvisoria degli effetti del fallimento in pendenza di reclamo, ma è difficile che sia concessa.

In definitiva, l’istanza di fallimento è un atto che segnala una condizione di estrema criticità. È spesso l’ultima spiaggia del creditore e coincide con l’ammissione di insolvenza del debitore. Per questo, la vera difesa è giocare d’anticipo: monitorare i segnali di crisi dell’impresa e attivare per tempo procedure di risanamento o accordi (v. sezione successiva). Se l’istanza arriva, valutare se c’è margine per un accordo-lampo col creditore o se è inevitabile entrare in liquidazione giudiziale (nel qual caso conviene collaborare per ottenere poi l’esdebitazione).

3. Strumenti di composizione della crisi e soluzioni alternative per il debitore

Oltre alle difese processuali (opposizioni, sospensioni, ecc.) esistono strumenti giuridici più ampi che il debitore può attivare per far fronte a situazioni di sovraindebitamento ed evitare così le azioni esecutive o almeno contenerne gli effetti. Questi strumenti rientrano nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento per i non fallibili e nelle procedure concorsuali per le imprese maggiori. In una guida avanzata è doveroso considerarli, perché un debitore ben consigliato potrebbe risolvere la sua situazione attraverso queste vie piuttosto che subire passivamente pignoramenti multipli.

  • Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore): Introdotto dalla L. 3/2012 (e ora nel Codice della Crisi), è riservato ai debitori persone fisiche non imprenditori in stato di sovraindebitamento. Consente di presentare al giudice un piano di pagamento dei debiti (anche parziale) compatibile con il proprio reddito, senza bisogno dell’accordo di tutti i creditori (basta l’omologazione del giudice se il piano è fattibile ed equo). Durante l’esecuzione del piano, i creditori non possono agire individualmente. Se il debitore rispetta il piano, alla fine ottiene l’esdebitazione dai debiti residui. Ad esempio, un privato cittadino sommerso da debiti di carte di credito, finanziarie e bollette potrebbe proporre di pagare il 20% di ogni debito in 5 anni, utilizzando tutto il proprio reddito eccedente le spese vitali, offrendo garanzie (es. la vendita di un’auto) – se il giudice approva, i creditori sono obbligati ad accettare quella soluzione.
  • Concordato minore (ex accordo di composizione): Sempre per debitori non fallibili (compresi piccoli imprenditori sotto soglia), è una procedura simile al concordato preventivo delle imprese: il debitore propone un accordo ai creditori, pagando una quota dei debiti con le risorse disponibili o promesse da terzi. Richiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti (oppure maggioranze per classi). Se omologato dal tribunale, vincola tutti i creditori anteriori. È utile quando ci sono beni liquidabili in parte e si vuole evitare il fallimento. Durante la pendenza della procedura, il giudice può sospendere le esecuzioni in corso.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: Equivalente di un fallimento per il debitore civile o piccolo imprenditore. Il tribunale nomina un liquidatore che vende i beni e ripartisce il ricavato. Alla fine, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione. È spesso l’extrema ratio se non è possibile un piano o accordo. La differenza rispetto al fallimento è che qui non ci sono soglie di accesso e lo stigma è minore (non c’è pubblicità sui casellari, ad esempio).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: Novità del Codice della Crisi (art. 283). Un debitore persona fisica, onesto ma sfortunato, che non ha nessun patrimonio liquidabile e vive in condizioni di difficoltà, può chiedere direttamente al tribunale la cancellazione dei propri debiti senza offrire nulla ai creditori. Deve dimostrare di non aver abusato del credito e di non poter pagare nemmeno parzialmente. Se concessa, è un perdono totale dei debiti (tranne obblighi di mantenimento, risarcimenti da illecito e poche eccezioni). È concessa una sola volta nella vita. Ad esempio, un ex piccolo imprenditore anziano, rimasto senza beni e con solo la pensione minima, potrebbe ottenere l’esdebitazione totale in questo modo.
  • Concordato preventivo (per società e imprese sopra soglia): Se l’azienda è in crisi ma vuole evitare il tracollo, può presentare un piano di concordato in continuità (continuando l’attività con ristrutturazione del debito) o liquidatorio (liquidando i beni ma in modo ordinato). Il concordato richiede il voto dei creditori (maggioranza di crediti) e l’omologazione del tribunale. Durante il concordato, le azioni esecutive individuali sono bloccate per legge. Ad esempio, una s.r.l. edile sommersa dai debiti potrebbe proporre di vendere alcuni immobili e pagare il 40% ai chirografari in 2 anni: se i creditori approvano, l’azienda evita il fallimento e i pignoramenti individuali cessano.
  • Composizione negoziata della crisi: Introdotta nel 2021, è una procedura stragiudiziale assistita: l’imprenditore in difficoltà chiede la nomina di un esperto indipendente che lo aiuti a negoziare con i creditori un accordo di ristrutturazione. Durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere misure protettive dal tribunale (sospensione temporanea delle azioni esecutive). Se si trova un accordo (anche con banche, fornitori), lo si formalizza in vari modi (contratti, convenzioni di moratoria, etc.). Se non si trova, l’imprenditore può comunque ripiegare su un concordato semplificato. Questo strumento è rivolto alle imprese medio-grandi ed è volontario.

Perché sono rilevanti queste soluzioni? Perché un debitore, specialmente se imprenditore o con molti debiti, deve ragionare in ottica globale: difendersi caso per caso da ogni singolo creditore può essere snervante e inefficace, mentre affrontare la crisi nel suo complesso tramite una procedura può dare respiro e portare a una soluzione definitiva. Ad esempio, anziché subire 5 pignoramenti di 5 creditori diversi sullo stipendio (che comunque non possono superare il 50% ma creano confusione), un soggetto sovraindebitato può attivare un piano del consumatore e accorpare i debiti in un’unica soluzione sostenibile, mettendo fine alle azioni esecutive e alle molestie dei creditori.

Naturalmente, attivare queste procedure richiede la consulenza di un esperto (avvocato, commercialista o OCC – Organismo di Composizione della Crisi) e l’approccio del tribunale, ma rientra nella strategia di difesa del debitore informato. Molti imprenditori hanno imparato che chiedere per tempo un concordato può salvare l’azienda, mentre attendere i pignoramenti multipli porterebbe alla perdita disordinata di beni e magari al fallimento. Allo stesso modo, privati soffocati dai debiti hanno ottenuto cancellazioni parziali grazie alla legge 3/2012, invece di subire per anni azioni esecutive inutili.

4. Difendersi da condotte persecutorie e atti molesti dei creditori

Oltre alle azioni legali ordinarie, i debitori possono trovarsi a subire comportamenti scorretti o addirittura illeciti da parte di creditori o società di recupero crediti: telefonate minacciose o a ripetizione, pressioni psicologiche, contatti continui con familiari o vicini per mettere in imbarazzo, visite improvvise e aggressive, ecc. Tali condotte possono configurare reati come la molestia (art. 660 c.p.) o, nei casi più gravi, gli atti persecutori (stalking) di cui all’art. 612-bis c.p., nonché violazioni di norme civilistiche (privacy, diritti del debitore) e possono essere arginate con strumenti legali specifici.

4.1 Profili penali: molestie e stalking del creditore

Molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.) – È il reato che commette chi, in luogo pubblico o per mezzo del telefono, reca molestia o disturbo ad altri con petulanza o con motivi biasimevoli. La Cassazione ha più volte affermato che anche l’operatore di una società di recupero crediti può commettere questo reato se tormenta il debitore con continue telefonate, anche qualora lo scopo perseguito (ottenere il pagamento di un debito) sia lecito. In altre parole, il fine legittimo non giustifica i mezzi molesti. Ad esempio, effettuare 5-6 telefonate al giorno al debitore, magari chiamando anche parenti o usando numeri anonimi per costringerlo a rispondere, integra il reato di molestie. La pena è modesta (arresto fino a 6 mesi o ammenda), ma la rilevanza penale serve da deterrente.

Un importante caso deciso dalla Cassazione (Sez. I penale, sent. n. 26018/2023) ha riguardato proprio le molestie telefoniche di un’agenzia di recupero: la Suprema Corte ha confermato la sussistenza del reato in presenza di numerose chiamate petulanti, pur annullando la condanna del titolare dell’agenzia perché è risultato che egli aveva adottato un codice di condotta interno per limitare le chiamate (e gli operatori avevano agito esorbitando dalle istruzioni). In sostanza, il dirigente è stato ritenuto non responsabile in assenza di dolo o colpa, mentre resta penalmente responsabile chi materialmente effettua le molestie. Questa sentenza ha sancito il principio che l’adozione di buone prassi e policy aziendali di correttezza (ad esempio limitare i contatti a orari e frequenze ragionevoli) può esonerare i vertici da responsabilità penale, fermo restando che le condotte moleste dei singoli restano punibili.

Stalking (art. 612-bis c.p.) – Se le condotte moleste o minacciose sono reiterate e tali da causare un grave stato d’ansia o di paura nel debitore, o da costringerlo a cambiare abitudini di vita, allora si può configurare il reato di atti persecutori, noto come stalking. Questo reato è punito più severamente (reclusione da 1 a 6 anni e 6 mesi). Originariamente pensato per contesti di persecuzione personale (ex partner, ecc.), è stato in alcuni casi applicato anche a condotte di “stalking finanziario”. Ad esempio, se un creditore o un suo emissario rivolge vere e proprie minacce al debitore (“se non paghi ti rovino la vita, ti faccio perdere il lavoro”) e lo fa ripetutamente, provocandogli un perdurante stato di agitazione, potremmo rientrare nello stalking. La Cassazione ha riconosciuto che anche le pretese creditorie possono degenerare in atti persecutori, quando si passa dal legittimo sollecito al terrorismo psicologico. In tali casi, oltre alla querela per stalking, si possono chiedere misure cautelari come il divieto di avvicinamento o di comunicazione imposto al molestatore.

Minaccia ed estorsione: Un limite invalicabile per il creditore è il divieto di minacciare violenze o conseguenze ingiuste. Se un creditore minaccia esplicitamente danni fisici o altri mali ingiusti (“ti mando qualcuno a casa”, “ti farò licenziare con le mie conoscenze”), commette il reato di minaccia (art. 612 c.p.), aggravato se grave. Se la minaccia è finalizzata a farsi dare indebitamente dei soldi o condizioni non dovute, potrebbe configurare l’estorsione (art. 629 c.p.), punita gravemente. Anche qui, il debitore deve reagire denunciando immediatamente tali abusi.

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia (art. 393 c.p.): Questo reato punisce colui che, credendo di aver diritto a qualcosa, si fa giustizia da sé con violenza o minaccia, invece di rivolgersi all’Autorità. Esempio: un creditore si presenta dal debitore e, per farsi pagare, gli sequestra alcuni beni o lo spintona violentemente intimandogli di pagare subito. È un reato distinto dall’estorsione proprio perché il credito magari è vero, ma il modo di agire è fuori dalla legalità. Anche questa è un’ipotesi che purtroppo accade con alcuni sedicenti “recuperatori crediti” spregiudicati: il debitore è tutelato e deve segnalare alle forze dell’ordine simili episodi.

In sintesi, il codice penale fornisce al debitore strumenti di tutela contro i metodi persecutori: le telefonate martellanti possono costituire reato di molestie, le condotte più gravi possono essere inquadrate come stalking, le minacce come tali sono reato e l’uso della violenza per recuperare un credito integra l’esercizio arbitrario o perfino l’estorsione. È importante che il debitore raccolga elementi di prova (vedi §4.2) e sporga le dovute denunce-querela.

4.2 Strumenti di tutela del debitore vessato

Un debitore che subisce comportamenti aggressivi o persecutori da parte di un creditore ha diversi modi per tutelarsi:

  • Documentare tutto: Conservare un registro delle chiamate (orari, numero chiamante se visibile), eventuali messaggi vocali, SMS, email. È utile annotare i contenuti delle conversazioni avute, soprattutto se ci sono frasi minacciose o insulti. Se le chiamate sono numerosissime, i tabulati telefonici (che l’operatore può fornire su richiesta dell’autorità giudiziaria) potranno confermare la frequenza eccessiva. Ad esempio, nel caso sopra menzionato la condanna è stata supportata dai tabulati che mostravano fino a 6 chiamate al giorno anche a parenti e su numeri diversi. Se vi sono messaggi vocali o segreteria con minacce, vanno salvati. La legge consente al destinatario di comunicazioni moleste di registrarle anche senza consenso dell’interlocutore, perché si tratta di prova di un illecito.
  • Sporgere querela: Per i reati di minaccia, molestia, stalking, esercizio arbitrario, occorre presentare querela (denuncia) entro 3 mesi dai fatti (per stalking 6 mesi). Ci si può rivolgere ai Carabinieri o Polizia, o depositare un atto tramite avvocato in Procura. Nella querela vanno descritti i comportamenti subiti il più dettagliatamente possibile, allegando eventuali prove (es. screenshot di messaggi, elenco chiamate). È importante indicare se si è in uno stato di ansia tale da modificare le proprie abitudini (nel caso di stalking) – ad esempio “a causa delle continue minacce ho dovuto cambiare numero di telefono e non dormo la notte”. La querela farà partire le indagini; se le prove sono solide, si arriverà a un processo penale contro il molestatore. In alcuni casi di stalking il Questore può emettere, su istanza della vittima, un ammonimento formale al persecutore, come avvertimento immediato senza passare dal giudice: è uno strumento amministrativo utile ad agire velocemente, e se non viene rispettato e le condotte continuano, faciliterà poi l’azione penale.
  • Segnalare all’Autorità Garante per la Privacy: Contattare insistentemente il debitore su più numeri o coinvolgere i suoi conoscenti può violare le norme privacy (GDPR). Il Garante Privacy ha emanato un Codice di condotta per le società di recupero crediti in collaborazione con le associazioni di categoria (UNIREC) e dei consumatori, che prevede limiti stringenti: ad esempio, non più di 3 contatti telefonici al giorno con il debitore, divieto di contattare soggetti terzi (se non per chiedere informazioni di contatto del debitore), obbligo di usare toni corretti e non intimidatori. Se un’agenzia viola questi principi, il debitore può presentare un reclamo al Garante Privacy. In passato il Garante è intervenuto multando pesantemente società che telefonavano a raffica o rivelavano a terzi l’informazione del debito del soggetto (ciò lede la riservatezza). Ad esempio, comunicare a un collega o a un parente dettagli sul debito del destinatario può costituire un trattamento illecito di dati personali.
  • Tutela civile (responsabilità e inibitoria): Al di là del penale, il debitore molestato può agire in sede civile per far cessare le condotte e chiedere il risarcimento del danno. Può rivolgersi a un avvocato per inviare una diffida al creditore intimandogli di cessare i comportamenti illeciti, preannunciando azioni legali. Se le molestie proseguono, può adire il tribunale civile chiedendo in via d’urgenza un provvedimento inibitorio (un ordine del giudice che vieti al creditore o all’agenzia di continuare, sotto pena di sanzioni). Ad esempio, se un’agenzia chiama ripetutamente sul luogo di lavoro del debitore screditandolo, si può chiedere un provvedimento urgente per far cessare tali chiamate perché ledono la reputazione e la privacy. In parallelo, si potrà chiedere il risarcimento dei danni morali e all’integrità psichica subiti a causa dello stress e dell’ansia provocati. Ovviamente occorrerà provare il pregiudizio (anche tramite testimonianze, certificati medici se vi sono state ripercussioni sulla salute, ecc.).
  • Segnalazione all’AGCM (Antitrust): Se il debitore è un consumatore (cioè il debito è di natura consumistica verso un’azienda, ad es. bollette, finanziamenti personali, ecc.), pratiche particolarmente aggressive nel recupero crediti possono essere qualificate come pratiche commerciali scorrette ai sensi del Codice del Consumo. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato in passato varie società (compagnie telefoniche, finanziarie, agenzie) per aver messo in atto pressioni indebite sui consumatori morosi. Il singolo debitore può inviare una segnalazione all’AGCM descrivendo la condotta (molte segnalazioni analoghe spesso portano l’Authority ad aprire un’istruttoria). L’AGCM può imporre sanzioni amministrative fino a milioni di euro, il che indurrà la società a cessare tali pratiche. Questa strada non porta un risarcimento diretto al debitore, ma è un deterrente utile per frenare condotte diffuse.
  • Cambio di contatti / filtro comunicazioni: Nel frattempo, il debitore può adottare misure pratiche: cambiare numero di telefono (o bloccare i numeri noti del molestatore), avvisare amici e familiari di non fornire informazioni o numeri alternativi a chi chiama per lui e di riferire di eventuali chiamate ricevute, in modo da documentarle. Può anche impostare la corrispondenza tramite solo canali formali: ad esempio comunicare che ogni ulteriore contatto deve avvenire per iscritto all’indirizzo dell’avvocato incaricato (se ne ha uno) – spesso le agenzie riducono la pressione se sanno che c’è un legale di mezzo.

Stalking giudiziario: Un cenno va fatto a una peculiare forma di abuso: quella del creditore (o sedicente tale) che avvia ripetute cause infondate contro il debitore al solo scopo di perseguitarlo. In taluni casi, la giurisprudenza ha riconosciuto in questi comportamenti il reato di atti persecutori: ad esempio, un soggetto che ha citato in giudizio decine di volte ex soci e familiari senza ragioni serie, costringendoli a continui processi e spese legali, è stato condannato per stalking persecuzione giudiziaria. Quindi, anche se più raro, se un creditore usa strumentalmente il sistema giudiziario per molestare (cause temerarie reiterate), ciò può essere fermato in sede penale e civile (con risarcimento per lite temeraria e possibile riunione delle cause).

In conclusione, il debitore non è affatto privo di tutela di fronte a metodi di recupero vessatori. L’importante è non subire passivamente: far valere i propri diritti rivolgendosi alle autorità competenti. La giurisprudenza più recente è chiara: stressare eccessivamente il debitore è reato, e il diritto del creditore non può sconfinare nell’intimidazione sistematica. Conoscere questo aiuta i debitori a reagire prontamente e, possibilmente, con l’assistenza di un legale o delle associazioni dei consumatori, a far cessare gli abusi.

5. Domande Frequenti (FAQ) su casi pratici

Di seguito una serie di domande e risposte basate su situazioni ricorrenti, per chiarire in modo diretto i dubbi più comuni di chi affronta azioni legali da parte dei creditori o subisce condotte moleste.

Domanda: “Ho ricevuto un decreto ingiuntivo dalla banca per un debito del conto corrente. Non posso pagare entro 40 giorni. Mi conviene fare opposizione? Che succede se non mi oppongo?”
Risposta: Se non proponi opposizione entro 40 giorni dalla notifica, il decreto ingiuntivo diverrà definitivo ed esecutivo automaticamente, senza bisogno di ulteriori atti. Ciò significa che la banca potrà notificarti un precetto e, trascorsi 10 giorni, attivare pignoramenti (su stipendio, conto, o immobili) per recuperare il dovuto. Se non hai validi motivi di contestazione (ad es. il debito effettivamente esiste ed è nella cifra indicata), proporre un’opposizione solo per prendere tempo può essere rischioso: l’opposizione è un giudizio ordinario, comporta costi (contributo unificato, avvocato) e, se infondata, si risolverà in una condanna ulteriore alle spese legali. Tuttavia, potrebbe darti un po’ di tempo se la banca non ha chiesto la provvisoria esecuzione del decreto. Alternativa: contattare subito la banca (meglio tramite un legale) proponendo una soluzione: ad esempio rateizzazione o un saldo a stralcio (pagare meno del totale in unica soluzione). Le banche talvolta sospendono le azioni se vedono la volontà di trovare un accordo concreto. Valuta anche se sei sovraindebitato in generale: in tal caso potresti accedere a una procedura di composizione della crisi (v. §3) che bloccherebbe le esecuzioni e potrebbe comprendere anche questo debito. In sintesi: opponiti al decreto se hai eccezioni serie sul diritto della banca (errori di calcolo, prescrizione, nullità di qualche clausola) o se hai bisogno di tempo e stai predisponendo un piano di ristrutturazione; altrimenti, tenta la via negoziale. Ricorda che se non ti opponi e il decreto diventa esecutivo, potresti comunque più avanti chiedere la sospensione di singoli pignoramenti per gravi motivi, ma senza garanzie di successo.

Domanda: “Mi è stato notificato un atto di precetto da un fornitore che vanta un credito di €50.000. Ho già pagato parte di quel debito ma senza ricevute. Posso oppormi? Cosa devo fare in quei 10 giorni?”
Risposta: Se hai già pagato in parte e il creditore non lo riconosce, certamente devi attivarti. Entro i 10 giorni (o poco più, considerando che il pignoramento può iniziare dal decimo giorno in poi) hai essenzialmente queste opzioni: (a) pagare il residuo (ma nel tuo caso contesti proprio l’importo, dunque no), (b) trovare un accordo urgente col creditore sul saldo da versare (magari mostrando prove, email, testimoni dei pagamenti fatti), (c) proporre opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. contestando l’importo. Se non hai ricevute, l’opposizione non è semplice, perché in giudizio devi provare i pagamenti effettuati (magari con movimenti bancari, testimonianze di chi ha visto la consegna del denaro, ecc.). Puoi comunque depositare ricorso in tribunale chiedendo in via d’urgenza la sospensione dell’esecuzione, sostenendo che una parte del credito è già stata estinta. Il giudice valuterà i tuoi primi elementi di prova: se li ritiene credibili, potrà sospendere l’efficacia esecutiva del precetto, bloccando i pignoramenti in attesa della decisione di merito. Se invece non intervieni, il creditore potrebbe iniziare a pignorare (conto, beni, ecc.) per l’intera somma di €50.000. Quindi, in quei 10 giorni, raccogli qualsiasi prova dei pagamenti (messaggi in cui il fornitore li ha riconosciuti, estratti conto, etc.) e manda magari una diffida formale al creditore elencando quanto già versato. Se il creditore non recede, prepara con un legale l’opposizione. Considera anche la conversione del pignoramento se disponi di liquidità: ad esempio, se ritieni di dovere ormai solo €20.000, potresti depositare tale somma in tribunale chiedendo di limitare a quella il pignoramento – questo in pratica paralizza l’esecuzione sul resto (art. 495 c.p.c.). È una strategia costosa ma talvolta efficace per dimostrare buona fede e bloccare azioni ulteriori. In assenza di prove scritte, valuta seriamente la trattativa diretta: magari coinvolgendo un mediatore o comune conoscente, perché in tribunale senza ricevute rischi di perdere e dover pagare pure le spese.

Domanda: “Ho un pignoramento dello stipendio in corso da parte di una finanziaria (mi trattengono già un quinto). Ora è arrivato un secondo creditore (una banca) che vuole pignorare anche lei lo stipendio. Possono portarmi via un altro quinto? Come faccio a vivere?”
Risposta: La regola generale è che sul tuo stipendio complessivamente non possono prelevare più della metà (50%). Quindi, teoricamente fino a due quinti (40%) potrebbero essere prelevati se ci sono due creditori diversi. In pratica, quando arriva un secondo pignoramento, il giudice dell’esecuzione spesso dispone che la somma già trattenuta venga ripartita tra i creditori oppure che il secondo creditore attenda fino a che il primo venga soddisfatto. Molto dipende dai tempi e dalle tipologie: se il primo è per crediti ordinari e il secondo pure, andranno in concorso. Se uno è per alimenti, quello ha priorità assoluta e non rientra nel limite del 50% con gli altri. Nel tuo caso (finanziaria e banca, entrambi crediti ordinari), il meccanismo sarà: continuerà la trattenuta del 20% in busta paga, ma il giudice, all’udienza di assegnazione, deciderà come ripartirla tra i due creditori (pro quota rispetto ai loro crediti). Non è consentito normalmente fare un ulteriore quinto (ossia 20% + 20%) perché supererebbe il 20% individuale e potenzialmente il 50% totale se ci fossero più di due. Dunque, stai tranquillo che non ti porteranno via oltre il 40% dello stipendio complessivamente (nel tuo caso probabilmente resterà il 20%, al massimo potranno arrivare al 40%). Se hai già al limite la metà impegnata (es. un altro creditore ancora, quindi tre pignoramenti), i successivi devono attendere. Resta però il problema che anche con 20-40% di stipendio pignorato, la situazione è pesante. Puoi tentare alcune mosse: presentare al giudice dell’esecuzione un’istanza (magari tramite avvocato) evidenziando la tua situazione familiare (figli a carico, spese mediche, ecc.) per chiedere la riduzione della percentuale pignorata. Non è un diritto automatico, ma il giudice in casi eccezionali può ridurre temporaneamente la quota (ad esempio portarla a 1/10) per garantire la tua sopravvivenza. In alternativa, valuta una procedura di sovraindebitamento (v. §3): se hai molti debiti e pignoramenti multipli, proporre un piano del consumatore al tribunale potrebbe sospendere le trattenute e poi farti pagare magari solo una parte del dovuto, chiudendo le vicende in modo definitivo con eventuale esdebitazione finale. Un professionista OCC può aiutarti a capire se ne hai i requisiti. Da solo, potresti anche cercare di concordare con i creditori una soluzione: a volte, proponendo un prestito da terzi o una somma immediata ridotta, i creditori preferiscono accontentarsi e togliere il pignoramento. Ad esempio, se ancora devi pagare molti anni con la trattenuta, potresti offrire alla finanziaria un pagamento in unica soluzione del residuo decurtato (con l’aiuto magari di un familiare) in cambio della rinuncia al pignoramento – ottenendo così che lo stipendio torni libero per affrontare il secondo creditore. Insomma, verifica tutte le opzioni con l’obiettivo di non scendere sotto una soglia di reddito vitale. Fortunatamente, la legge protegge almeno una parte consistente dello stipendio, quindi non ti lasceranno a zero, ma è comprensibile la tua preoccupazione: attivati per vedere se puoi ridurre il danno attraverso il tribunale o accordi.

Domanda: “Ho un debito con il Fisco di circa 30.000 €. Ho sentito dire che la prima casa non me la possono pignorare: è vero? Mi è arrivata però una comunicazione di ipoteca sull’immobile… Cosa devo aspettarmi?”
Risposta: Dipende. Se la tua è l’unica casa di proprietà, è adibita a tua abitazione principale e non è un immobile di lusso, allora per legge (art. 76 DPR 602/73) Agenzia Entrate-Riscossione non può espropriarla per debiti sotto 120.000 €. Quindi, con 30.000 € di debito fiscale, l’immobile non potrà essere messo all’asta dal Fisco. Quello che può fare però è, come hai visto, iscrivere ipoteca: se il debito supera 20.000 €, AER può iscrivere ipoteca a tutela del credito. L’ipoteca non comporta immediatamente la vendita, ma rimane come garanzia: se un domani accumulassi altri debiti e superassi la soglia o avessi altri immobili, allora potrebbero procedere. Inoltre, l’ipoteca significa che se provi a vendere la casa, dovresti prima pagare il debito per cancellarla, altrimenti nessuno la compra. Quindi, cosa aspettarti: probabilmente nulla di più sul fronte immobiliare, finché rimani nelle condizioni attuali (unico immobile, debito sotto 120k). Il Fisco però potrebbe agire su altri fronti: ad esempio, pignorare il tuo conto corrente o lo stipendio/pensione (nei limiti visti in §2.5). Monitora eventuali atti di pignoramento presso terzi (es. la banca) – spesso prima inviano un avviso di intimazione a pagare entro 5 giorni, e poi procedono. Se hai ricevuto comunicazione di ipoteca, verifica la data: potevi impugnarla in Commissione Tributaria entro 60 giorni se magari mancava il preavviso di ipoteca (che devono mandare 30 gg prima). Se quel termine è passato, l’ipoteca resta. Puoi tuttavia chiedere la rateizzazione del debito: con €30.000 puoi ottenere una dilazione fino a 6 anni (72 rate) dall’ADER, e appena presenti la domanda di rateazione le procedure esecutive fiscali si sospendono (anche eventuali pignoramenti in corso). Con le nuove norme 2023-2024, è sufficiente pagare la prima rata (anche minima da 50€) per ottenere blocco di azioni esecutive e fermi. Valuta quindi di fare domanda di dilazione: ti toglie l’assillo di pignoramenti su conto o stipendio, e diluisce il pagamento. La casa rimarrà ipotecata finché non pagherai tutto, ma almeno sei certo che non verrà espropriata dal Fisco, a patto di rispettare i requisiti (non superare soglie, non diventare proprietario di altro). Ricorda infine: la tutela “prima casa impignorabile” vale solo contro il Fisco; un creditore privato con un debito di 30.000 € invece potrebbe pignorare la tua casa (anche se unica). Quindi, se avessi debiti anche con banche o privati, attenzione: in quel caso conviene studiare soluzioni (es. fondo patrimoniale, ma dev’essere costituito prima e non a danno dei creditori, sennò è revocabile). Nel tuo caso specifico comunque, confermo: casa al sicuro dal Fisco, ipoteca a parte. Pagando a rate il debito, dopo l’ultima rata potrai ottenere la cancellazione dell’ipoteca.

Domanda: “Un’agenzia di recupero crediti mi sta letteralmente tormentando per una bolletta non pagata di qualche anno fa (circa 500€). Mi chiamano di continuo da numeri diversi, hanno persino telefonato ai miei genitori chiedendo mie notizie. Questo comportamento è legale? Cosa posso fare per farli smettere?”
Risposta: Quello che descrivi non è legale. Anche se tu devi dei soldi, l’agenzia non ha il diritto di molestarti né di coinvolgere terzi estranei (i tuoi genitori) divulgando il tuo stato di debitore. La condotta che racconti (chiamate continue, contatto di familiari) può configurare il reato di molestie telefoniche e violazione della normativa sulla privacy. Inoltre, la Cassazione ha affermato chiaramente che tartassare il debitore “anche se il fine è lecito” integra comunque un comportamento biasimevole e punibile. Cosa fare: prima di tutto, metti insieme le prove: annota numeri e orari delle chiamate (ad esempio “lun 10:30 numero 02… ha chiamato 5 volte”, “mart 15:00 operatore X ha detto che se non pago mandano uno a casa” ecc.). I tuoi genitori potrebbero scrivere una breve memoria di quanto accaduto (chi li ha chiamati, quando, cosa è stato detto). Con questo materiale, recati presso le forze dell’ordine e sporgi querela per molestia e, se ci sono state frasi minatorie, anche per minaccia. È un tuo diritto e, spesso, solo l’intervento dell’autorità ferma questi comportamenti. In parallelo, puoi inviare una diffida scritta (meglio tramite avvocato) all’agenzia di recupero crediti e, se nota, anche alla società creditrice per cui agiscono, intimando di cessare immediatamente contatti telefonici impropri e di comunicare solo per iscritto. Nella diffida cita pure le norme violate (art. 660 c.p., art. 13 GDPR sulla liceità del trattamento dati) e dichiara che in caso contrario agirai legalmente. Di solito, quando capiscono che il debitore ha coinvolto un legale e minaccia azioni, moderano (o cessano) le chiamate. Ulteriore passo: segnalazione al Garante Privacy – sul sito del Garante c’è un modulo di reclamo; descrivi la situazione (telefonate ripetute, contatto di terzi non autorizzato). Il Garante può aprire un’istruttoria e sanzionare l’agenzia. Per 500€ probabilmente l’agenzia sta guadagnando a provvigione e spinge forte, ma è un importo sul quale potresti anche considerare di chiudere la vicenda pagando (se il debito è dovuto) – però magari a stralcio: offri, ad esempio, 300€ in via transattiva per saldo finale. Se accettano, fatti mandare conferma scritta che con quella cifra il debito è estinto e che cancelleranno eventuali segnalazioni (tipo CRIF se presenti). Non è “giusto” cedere alle prepotenze, ma a volte per toglierseli di torno si fa. Tuttavia, anche se paghi, io fossi in te segnalerei ugualmente all’AGCM e al Garante i metodi usati: queste pratiche sono sanzionate come aggressive e solo punendole si spinge il settore a comportarsi correttamente. In sintesi: hai tutti gli strumenti dalla tua – non sei obbligato a subire. Denuncia le molestie, diffida formalmente e valuta un accordo economico solo se conveniente per te (senza rinunciare a far valere il torto che hai subito).

Domanda: “Un creditore ha ottenuto un decreto ingiuntivo contro la mia società e contemporaneamente un sequestro conservativo su un macchinario aziendale. Adesso la mia attività è bloccata perché non posso disporre di quel macchinario sotto sequestro. Posso sbloccare la situazione in qualche modo senza aspettare la fine della causa?”
Risposta: Sì, hai alcune possibilità. Il sequestro conservativo è una misura cautelare, ma tu puoi chiedere al giudice un provvedimento per attenuarne gli effetti. Primo: presentare reclamo al collegio (entro 15 giorni dall’ordinanza di sequestro) se ritieni che i presupposti non c’erano. Ad esempio, puoi sostenere che non c’era vero pericolo di dispersione del bene, o che il credito è fortemente contestato e il fumus non c’era. Se convinci il tribunale, il sequestro può essere revocato o ridotto. Secondo (molto pratico): proporre la sostituzione del bene sequestrato con una cauzione in denaro o garanzia equivalente. L’art. 669-decies c.p.c. permette al debitore di liberare i beni offrendo una garanzia idonea. Quindi, potresti depositare in tribunale una somma pari al valore del macchinario (o all’importo autorizzato del sequestro) su un libretto vincolato, oppure presentare una fideiussione bancaria a prima richiesta di pari importo a favore del creditore. Se il giudice accetta la cauzione, il macchinario verrà liberato dal vincolo e potrai tornare ad usarlo, mentre il creditore sarà garantito dalla somma accantonata in caso vinca la causa. Certo, devi avere disponibilità finanziaria o fidi per fare ciò – magari potresti chiedere un finanziamento finalizzato proprio a costituire questa cauzione (talvolta le banche lo concedono se vedono che così l’azienda può riprendere l’attività). Terzo: potresti anche tentare un accordo provvisorio col creditore – ad esempio offrigli di versare una parte del debito subito in cambio della rinuncia al sequestro (o dell’assenso alla sua conversione). In parallelo, ricorda di curare la difesa nel merito: se vinci la causa principale (es. dimostri che il debito non è dovuto), il sequestro cadrà e potrai chiedere i danni per il fermo del macchinario. Tieni a mente inoltre che, una volta ottenuta la sentenza a tuo favore, se il sequestro ti ha causato un danno (produzione ferma, penali per ritardi, ecc.), potrai chiedere il risarcimento al creditore ex art. 96 c.p.c. per aver agito senza diritto. Ma questo è a posteriori. Nell’immediato, la via migliore è la cauzione sostitutiva: è fatta apposta per casi come il tuo, dove un bene produttivo è bloccato e conviene a entrambi (in fondo, anche al creditore se la tua azienda produce reddito da cui pagarlo) che tu possa continuare a lavorare. Parla col tuo avvocato per quantificare la cauzione necessaria e presentare la richiesta al giudice che ha disposto il sequestro.

Domanda: “Ho una s.r.l. e un creditore ha chiesto il mio fallimento (liquidazione giudiziale) sostenendo che sono insolvente. In realtà ho difficoltà ma sto trattando con altri creditori una soluzione. Posso evitare il fallimento? Cosa devo dimostrare al giudice?”
Risposta: Puoi certamente giocarti delle carte per evitare il fallimento. Alla convocazione in tribunale, è fondamentale far apparire che la tua impresa ha prospettive di risanamento o almeno non è nello stato di insolvenza “irreversibile” che giustifica la liquidazione giudiziale. Prepara un piano di risanamento o accordo (anche in bozza) da presentare: ad esempio, se stai trattando con altri creditori una dilazione o uno stralcio, porta lettere d’intenti, accordi preliminari, qualsiasi cosa che dimostri che stai regolarizzando la posizione. Se puoi, deposita un ricorso per concordato preventivo in bianco prima dell’udienza di fallimento: questo in base alla legge sospende la decisione di fallimento e ti dà 60-120 giorni per presentare un piano dettagliato. Molti imprenditori usano questo stratagemma per guadagnare tempo e poi magari concludere accordi stragiudiziali e ritirare il concordato se tutto si sistema. Devi però essere serio: se l’insolvenza è grave, il tribunale potrebbe essere restio a dare troppo tempo a concordati fumosi. In udienza, contesta i requisiti di fallibilità se puoi: ad esempio, se sei sotto le soglie di legge (attivo, ricavi, debiti – v. §2.9), evidenzia che non saresti soggetto a fallimento comunque. Porta bilanci, documenti contabili che mostrino i tuoi parametri: se rientri nelle condizioni di non fallibilità e il creditore non può smentirle, il giudice deve rigettare la richiesta. Se invece sei sopra soglia, devi puntare su “non sono insolvente ma solo illiquido temporaneamente”: ad esempio, mostra di avere ordini in corso, clienti che pagheranno a breve, beni vendibili per fare cassa, ecc. L’insolvenza è uno stato duraturo di incapacità, mentre se convinci il giudice che è una crisi temporanea, potresti spuntarla. Anche pagare (o ridurre) il credito del ricorrente sotto i 30.000 € aiuterebbe, perché sotto quella soglia spesso i tribunali considerano inammissibile la richiesta (è soglia nuova del Codice Crisi). Infine, se malauguratamente venissi dichiarato fallito, non disperare: puoi fare reclamo in Corte d’Appello entro 30 giorni e presentare lì magari un accordo già raggiunto con i creditori. Ci sono casi in cui in appello la sentenza di fallimento viene revocata perché il debitore nel frattempo paga o concorda con tutti. Ma meglio muoversi prima: alla prima udienza, porta più elementi possibili di credibilità e di prospettiva di soddisfare i creditori in modo alternativo al fallimento. Se i tuoi creditori principali sostengono che stai trattando in buona fede, magari con accordi di moratoria firmati, portali. Il tribunale ha interesse a evitare un fallimento se vede che esiste una soluzione concordata all’orizzonte. In sintesi: sì, puoi evitare il fallimento se dimostri di non essere realmente insolvente oppure se metti in atto uno strumento alternativo (concordato, accordo di ristrutturazione) prima della decisione. E ricordati che la collaborazione e la trasparenza con il giudice in questa fase sono cruciali: presentati di persona, mostra impegno a risolvere, magari offrendo la cessione di alcuni beni immediatamente per pagare i creditori: far vedere un “saldo attivo” di iniziativa può impressionare positivamente il collegio.

6. Tabelle riepilogative degli strumenti di difesa del debitore

Di seguito, alcune tabelle riassuntive delle principali azioni dei creditori e dei corrispondenti strumenti di difesa a disposizione del debitore, con indicazione di termini e riferimenti normativi essenziali.

6.1 Azioni del creditore vs Difese del debitore

Azione del CreditoreDescrizionePossibili difese del DebitoreTermini e Riferimenti
Decreto ingiuntivo (artt. 633 c.p.c. ss)Ingiunzione di pagamento emessa dal giudice su ricorso unilaterale del creditore. Diviene esecutiva se non opposta.Opposizione a decreto ingiuntivo (giudizio ordinario di merito). – Opposizione tardiva (se cause non imputabili al debitore, art. 650 c.p.c.). – Richiesta di sospensione dell’esecuzione provvisoria (art. 649 c.p.c.).40 giorni dalla notifica per l’opposizione ordinaria. Opposizione tardiva: entro 10 giorni dalla cessazione impedimento (art. 650).
Atto di precetto (art. 480 c.p.c.)Intimazione di pagamento entro min. 10 giorni sulla base di un titolo esecutivo, pena esecuzione forzata. Validità 90 giorni.Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) per contestare il diritto di procedere (es. pagamento già avvenuto, prescrizione). – Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) per vizi formali del precetto. – Transazione col creditore (saldo e stralcio, piano di rientro) prima dello spirare del termine.Opp. atti esecutivi: 20 giorni dalla notifica. Opp. esecuzione: prima dell’inizio dell’esecuzione (o anche dopo, se motivi sopravvenuti, art. 615). Precetto valido 90 gg.
Pignoramento mobiliare (artt. 513 ss c.p.c.)Vincolo su beni mobili del debitore, mediante elenco redatto dall’Uff. giudiziario, per successiva vendita all’asta.Opposizione agli atti per beni impignorabili inclusi (es art. 514 c.p.c.). – Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.) se beni di proprietà altrui. – Istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.) versando 1/5 subito e rateizzando saldo. – Accordo con il creditore per interrompere vendita (es. pagamento parziale).Opp. atti: 20 gg da pignoramento. Opp. terzo: entro 20 gg da pignoramento (se proprietario avvisato) o entro 30 gg dall’assegnazione/vendita (art. 619). Conversione: fino all’udienza di vendita (una sola volta).
Pignoramento immobiliare (artt. 555 ss c.p.c.)Vincolo su beni immobili, tramite atto notificato e trascritto. Segue esecuzione immobiliare con asta.Opposizione all’esecuzione/atti per contestare titolo o vizi notifica/trascrizione. – Istanza di conversione (rateizzazione, art. 495). – Sospensione 624-bis c.p.c. con accordo creditori (fino 6 mesi). – Accordo transattivo (es. vendere privatamente l’immobile e pagare il creditore prima dell’asta). – Procedura concorsuale (concordato preventivo o fallimento): blocca l’esecuzione.Opp. atti: 20 gg da atto o avviso. Opp. esecuzione: fino a aggiudicazione (meglio prima udienza). Conversione: entro udienza autorizzazione vendita. Sospensione 624-bis: qualsiasi momento, con 75% crediti consenzienti.
Pignoramento presso terzi (artt. 543 ss c.p.c.)Atto a terzo (banca, datore lavoro, ecc.) per vincolare crediti del debitore (es. somme su conto, stipendi). Terzo dichiara quanto deve e giudice assegna le somme.Opposizione all’esecuzione/atti come sopra (es. contestare validità titolo, o vizi di notifica atti). – Istanza riduzione se somme eccedono il dovuto. – Contestazione dichiarazione del terzo (se dichiara il falso, art. 549 c.p.c., di solito a iniziativa del creditore). – Rateizzazione debito fiscale per sospendere pignoramenti (nel caso di AER). – Procedura sovraindebitamento: sospende le azioni esecutive individuali.Opposizioni: 20 gg. Dichiarazione terzo falsa: immediata istanza al GE (giudizio di accertamento). Fisco: istanza rateazione prima assegnazione; con prima rata pagata, blocco. Sovraindebitamento: dopo ammissione procedura, il giudice dispone il blocco delle esecuzioni.
Ipoteca giudiziaria (art. 2808 c.c., 2818 c.c.)Garanzia su beni immobili iscritta dal creditore con titolo esecutivo (es. sentenza o decreto definitivo) per assicurarsi prelazione.Opposizione (giudiziale) per cancellazione se ipoteca illegittima (credito insussistente, titolo annullato). – Riduzione dell’ipoteca se eccede limiti (art. 2874 c.c.). – Cancellazione per pagamento: saldando il debito, pretenderne la formale cancellazione nei registri. – Accordo: in alcuni casi creditore accetta di non iscrivere ipoteca se debitore offre garanzie alternative (es. fideiussione).Impugnare l’iscrizione: entro 60 gg in Commissione Tributaria se ipoteca fiscale; in sede civile, azione di merito senza termine breve (meglio entro 90 gg dalla conoscenza). Pagamento: ottenere atto di assenso e presentarlo a Conservatoria (cancellazione).
Sequestro conservativo (art. 671 c.p.c.)Blocco cautelare di beni del debitore, autorizzato dal giudice prima della sentenza, a tutela del credito futuro.Reclamo al Collegio (art. 669-terdecies c.p.c.) entro 15 gg, per far revocare/modificare il sequestro. – Conversione in cauzione: offrire somma/garanzia equivalente per liberare i beni (art. 669-decies c.p.c.). – Opposizione per abuso: in caso di provvedimento malizioso, chiedere danni (dopo esito causa principale).Reclamo: 15 giorni dalla notificazione del provvedimento. Cauzione sostitutiva: possibile in ogni momento della cautela (istanza al giudice). Danni: durante o dopo il merito (art. 96 c.p.c. eventuale).
Istanza di fallimento (ricorso liquidazione giudiziale)Richiesta al tribunale di apertura del fallimento (liquidazione giud.) di un debitore insolvente. Blocca pagamenti ai creditori se accolta (salvo esercizio provvisorio).Opporsi in sede pre-fallimentare: contestare insussistenza dello stato d’insolvenza (mostrare pagamenti in corso, accordi, ecc.). – Eccepire non fallibilità: dimostrare di rientrare nelle soglie di esonero. – Pagare o ridurre il debito sotto soglia (€30k) prima della decisione. – Chiedere concordato preventivo o altra procedura concorsuale in proprio, che sospende la dichiarazione di fallimento (art. 49 Cod. Crisi). – Reclamo in appello se fallimento già dichiarato (art. 18 L.F., ora art. 57 Cod. Crisi).Termine reclamo fallimento: 30 giorni dalla notifica sentenza dichiarativa. Concordato preventivo: domanda possibile fino a decisione (sospende procedimento fallimentare). Non fallibilità: soglie attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k.
Insinuazione al passivo (proc. fallimentare)Domanda del creditore nel fallimento per far riconoscere il proprio credito.Osservazioni del debitore all’udienza di verifica: contestare crediti non dovuti o eccessivi. – Opposizione allo stato passivo se credito ingiusto è stato ammesso (art. 98 L.F., ora art. 201 Cod. Crisi). – Impugnazioni (reclamo) su decisioni del giudice delegato relative ai crediti. – Esdebitazione a fine procedura: anche se un credito viene ammesso, il debitore persona fisica può ottenere la cancellazione dei debiti residui.Opposizione stato passivo: 30 giorni dalla comunicazione dell’esito del passivo. Reclamo (impugnazione) stato passivo: 30 gg da decreto su opp. Esdebitazione: istanza entro 1 anno da chiusura fallimento (se persona fisica).

6.2 Limiti di pignorabilità di stipendi, pensioni e beni essenziali

Bene/Reddito del debitoreLimite di pignorabilitàRiferimenti normativi
Stipendio/TFR presso datore di lavoroMassimo 1/5 dello stipendio netto per crediti ordinari. – Fino 1/2 in totale se concorrono più cause (es. 2 creditori al 20% ciascuno). – Crediti alimentari (es. assegni di mantenimento) possono ottenere quota >1/5, decisa dal giudice secondo necessità del beneficiario. – AER (Fisco): 1/10 su stipendi ≤ €2.500; 1/7 tra €2.500 e €5.000; 1/5 oltre €5.000.Art. 545 c.p.c. commi 3-4 (quota 1/5), comma 5 (max metà). L. 112/2013 (DL 69/2013) – percentuali AER. Cass. 4919/2019: giudice può ridurre quota in casi eccezionali (equità).
PensioneImpignorabile la parte fino a 2x assegno sociale (circa €1.070 nel 2025) con minimo garantito di €1.000. – Sulla parte eccedente tale soglia: pignorabile max 1/5 (o 1/2 cumulativo come sopra). – AER: analoghe fasce 1/10, 1/7, 1/5 sulla quota eccedente €1.000.Art. 545 c.p.c. comma 7 come mod. da DL 115/2022 (“doppio assegno sociale, minimo 1000€” tutela). INPS circ. 1/2024 (importi aggiornati).
Conto corrente con stipendio/pensione accreditataSe pignorato prima dell’accredito: si applica come fosse credito presso terzo, quindi su futuri accrediti vale 1/5. – Se pignorato dopo accredito: le somme già sul conto derivanti da stipendio o pensione sono impignorabili fino all’importo di 3x assegno sociale (~€1.600). L’eccedenza è pignorabile nei limiti del quinto.Art. 545 c.p.c. comma 8 (somme affluite prima del pignoramento: impignorabili entro triplo sociale). Modifiche DL 83/2015.
Beni mobili indispensabili (arredi, elettrodomestici, vestiario)Impignorabili assolutamente: letti, tavoli da pranzo con sedie, frigorifero, fornelli, lavatrice, armadi, utensili cucina, abbigliamento, beni di uso quotidiano e di culto (art. 514 c.p.c.). – Strumenti di lavoro: impignorabili nei limiti di quanto serve al debitore per esercitare professione, salvo che il creditore abbia pegno sugli stessi (art. 515 c.p.c.); in ogni caso, pignorabili nei limiti di 1/5 del loro valore totale e purché il pignoramento non paralizzi l’attività del debitore.Art. 514 c.p.c. (elenco beni mobili impignorabili). Art. 515 c.p.c. (beni impignorabili relativamente – strumenti lavoro). Giurisprudenza di merito varia sull’interpretazione di “strettamente necessari” (es. pc per lavoratore autonomo spesso ritenuto impignorabile).
Beni immobili: prima casaPrima casa impignorabile solo per crediti fiscali e se: unico immobile di proprietà, residenza anagrafica del debitore, non di lusso, debito < €120.000. (Fisco può però ipotecare oltre €20.000). – Per creditori privati/bancari: nessuna impignorabilità prevista per prima casa (salvo beni in fondo patrimoniale non per debiti familiari, o se il creditore è particolarmente tollerante). – Immobili di lusso, seconde case, etc.: pignorabili normalmente.Art. 76 DPR 602/1973 mod. da DL 69/2013 (Decr. Fare). Cass. ord. 32759/2024: conferma divieto esproprio prima casa per AER e applicazione retroattiva. Non esiste norma analoga per i privati (confermato da Cass. e dottrina).
Veicoli strumentali– Il fermo amministrativo (ganasce fiscali) su veicoli di lavoro può essere sospeso se il veicolo serve per attività professionale del debitore (previa istanza motivata). – In sede di pignoramento mobiliare su automezzi: se unico mezzo per lavoro, si può chiedere al giudice di sostituire con altro bene o somma.Art. 86 DPR 602/73 (fermo esattoriale). Circolare Mit 98/2020 prevede esenzione per veicoli strumentali solo per imprese iscritte a albi specifici (es. autotrasportatori). Pignoramento autoveicoli: art. 521-bis c.p.c. (vendita telematica); nessuna impignorabilità specifica, ma applicazione analogia strumenti lavoro.

6.3 Procedimenti e termini principali per le opposizioni del debitore

Tipo di opposizioneCosa contestaTermineNorma
Opposizione a decreto ingiuntivoMerito del credito ingiunto, validità del titolo.40 giorni dalla notifica (termine perentorio ordinario). Notifica all’interno di tale termine interrompe la provvisoria esecutorietà.Art. 645 c.p.c.
Opposizione tardiva a d.ingiuntivoMancata conoscenza tempestiva dell’ingiunzione per irregolarità non imputabili al debitore (es. notifica nulla, caso fortuito, forza maggiore).10 giorni dalla conoscenza effettiva del decreto o cessazione causa impeditiva. In ogni caso non oltre 10 giorni dall’inizio dell’esecuzione forzata.Art. 650 c.p.c.
Opposizione all’esecuzione (precetto/pignoramento)Diritto del creditore a procedere (es. inesistenza del credito, prescrizione maturata, pagamento effettuato, vizi del titolo esecutivo).Prima del pignoramento: in qualsiasi momento dopo precetto, preferibilmente entro i 20 gg del precetto stesso per chiedere sospensione prima di esecuzione. – Dopo il pignoramento: fino a che l’esecuzione non sia terminata (aggiudicazione/vendita). Se verte su fatti antecedenti al precetto, va proposta non oltre la prima udienza di distribuzione (pena decadenza relativa).Art. 615 c.p.c. (commi 1 e 2). Giurisprudenza (Cass. S.U. 61/2014) sui limiti temporali: fatti pre-titolo entro precetto, fatti post entro distribuzione.
Opposizione agli atti esecutiviVizi formali degli atti dell’esecuzione (precetto, atto di pignoramento, avvisi, ecc.): errori di notifica, mancanza requisiti di legge, violazione forme.20 giorni dalla notifica dell’atto viziato o dalla sua conoscenza legale. (Es.: precetto viziato, 20 gg dalla notifica precetto; avviso di vendita viziato, 20 gg dalla comunicazione). Se l’atto non è notificato, 20 gg dalla data in cui se ne ha notizia nel processo.Art. 617 c.p.c.
Opposizione di terzo all’esecuzioneIl bene pignorato non appartiene al debitore ma a un terzo oppure è assoggettato illegittimamente all’esecuzione perché il terzo vanta un diritto reale (es. usufrutto, proprietà) che esclude l’esproprio.Entro 30 giorni dal giorno in cui il terzo ha avuto notizia dell’esecuzione (tipicamente dalla data del pignoramento, se presente sul luogo, o dalla data in cui eventualmente viene a saperlo). Comunque non oltre 30 giorni dall’atto di vendita o assegnazione del bene.Art. 619 c.p.c. (come modificato da D.Lgs 149/2022).
Reclamo contro provvedimenti cautelari (es. sequestro)Provvedimenti come sequestro conservativo, sospensione o rigetto sospensione, altre misure del giudice dell’esecuzione in corso di causa.15 giorni dalla notificazione del provvedimento cautelare (o comunicazione/pubblicazione se prevista). Reclamo al Collegio del tribunale o corte d’appello a seconda del caso.Art. 669-terdecies c.p.c.
Reclamo contro dichiarazione di fallimentoSentenza dichiarativa di fallimento (liquidazione giudiziale). Il debitore o qualsiasi interessato può impugnare chiedendo revoca/riforma.30 giorni dalla notifica/comunicazione della sentenza dichiarativa. Il reclamo si propone alla Corte d’Appello (o se fallimento dichiarato in appello, a Cassazione). Dichiarazione fallimento è comunque esecutiva, salvo eventuale sospensione concessa.Art. 18 R.D. 267/42 (L. Fall.) fino 2022. Art. 57 D.Lgs. 14/2019 (Cod. Crisi) dal 2022.

Queste tabelle riassuntive confermano in modo sinottico i concetti chiave espressi nella guida: quale azione può fare il creditore, quali rimedi e tempi ha il debitore. È importante che il debitore, o il suo consulente legale, monitori attentamente i termini (spesso molto brevi) per evitare decadenze dal diritto di opporsi.

7. Casi pratici ricorrenti: simulazioni e soluzioni

Di seguito analizziamo alcuni scenari tipici in cui un debitore può trovarsi, illustrando passo passo come reagire e quali strumenti attivare per difendersi efficacemente.

7.1 Caso pratico 1: Pignoramento dello stipendio e famiglia a carico

Scenario: Mario, piccolo imprenditore individuale, ha accumulato debiti personali per circa €25.000 verso una banca (prestito non rimborsato) e €10.000 verso un ex fornitore. Mario è sposato, con due figli, ed è dipendente della ditta di un amico (stipendio netto €1.500). Il fornitore avvia un’azione legale e ottiene un decreto ingiuntivo, poi notifica atto di precetto e infine pignora 1/5 dello stipendio di Mario presso il datore di lavoro. Mario si ritrova così con €300 in meno ogni mese (il 20% di 1.500). In più, la banca minaccia di fare lo stesso per il suo credito.

Problemi di Mario: Con €1.200 rimasti al mese, Mario fatica a mantenere la famiglia e pagare affitto e spese; teme che con il pignoramento della banca potrebbe perdere un altro quinto dello stipendio (in totale 40%). Inoltre, è preoccupato perché il datore di lavoro viene a sapere dei suoi problemi di debiti.

Azioni difensive possibili:

  1. Verifica dei limiti legali: Mario accerta che per legge non potranno comunque sottrargli più del 50% dello stipendio totale, quindi al massimo altri €300 (il secondo creditore porterebbe la trattenuta totale a €600 su 1.500). Con €900 per la famiglia sarebbe quasi impossibile vivere, quindi la priorità è evitare il secondo pignoramento.
  2. Trattativa con la banca: Appena la banca minaccia l’azione, Mario (magari con l’aiuto di un legale o di un’associazione di consumatori) contatta la banca per negoziare. Propone ad esempio di pagare €100 al mese volontariamente, oppure se riesce a ottenere un piccolo prestito da un parente, di versare subito una percentuale (es. €5.000) a saldo e stralcio del debito da €10.000. La banca, di fronte a un debitore già pignorato da altri, potrebbe accettare un compromesso pur di incassare qualcosa senza attendere.
  3. Richiesta al giudice di riduzione della quota pignorata: Mario, tramite avvocato, presenta un’istanza al giudice dell’esecuzione che segue il pignoramento dello stipendio, esponendo la sua situazione: due figli minori, moglie disoccupata, affitto mensile. Chiede di ridurre la trattenuta dal 20% a una percentuale inferiore (ad esempio 10%). Alleghiamo documenti: stato di famiglia, buste paga, spese mediche per i figli, etc. Il giudice, valutando equamente, potrebbe – in via eccezionale – disporre la riduzione temporanea del pignoramento (magari portandolo da €300 a €150 al mese per un anno), bilanciando il diritto del creditore con la dignità del debitore. Non è garantito, ma ci sono precedenti di provvedimenti del genere in casi di forte sproporzione.
  4. Procedura di sovraindebitamento (piano del consumatore): Considerando il totale debiti (€35.000) e la difficoltà a sostenerli, Mario si rivolge a un Organismo di Composizione della Crisi. Elabora, con l’ausilio di un professionista, un piano del consumatore: propone di pagare, ad esempio, €500 al mese per 5 anni ai creditori (totale €30.000) ripartiti in proporzione tra banca e fornitore, ottenendo uno sconto di €5.000 sul totale. Presenta il piano al giudice competente. Se il giudice lo omologa ritenendolo fattibile e non gravemente squilibrato, tutti i pignoramenti in corso vengono sospesi. Mario inizierebbe a pagare le rate di €500 mensili sotto supervisione OCC; avrebbe quindi €1.000 mensili per sé (non tantissimo, ma meglio di €900 o meno con doppi pignoramenti) e, soprattutto, la certezza di liberarsi dei debiti in 5 anni con protezione legale. Il fornitore e la banca sarebbero obbligati ad accettare questo piano (nel piano del consumatore non serve il voto dei creditori).
  5. Pagamento del debito pignorato tramite conversione: Mario riflette sulla possibilità di evitare anni di trattenute vendendo un piccolo terreno agricolo ereditato (o un’auto di seconda famiglia). Ricavando ad es. €10.000, potrebbe chiedere al giudice la conversione del pignoramento: versa subito quei €10.000 (almeno 1/5 del dovuto totale) e chiede di rateizzare i restanti €15.000 in 24 mesi. Se il giudice accorda, l’azienda datrice cesserebbe di fare trattenute e Mario pagherebbe direttamente rate al tribunale. Ci vuole però liquidità iniziale: vendere il terreno richiede tempo e la complicità della moglie (se in comunione). Mario decide comunque di percorrere questa strada se la trattativa con la banca e la procedura di sovraindebitamento non fossero praticabili.

Esito simulato: Mario è riuscito, grazie alla trattativa, a evitare il pignoramento da parte della banca – che ha accettato €7.000 a saldo chiudendo la posizione (aiutato dal fratello che gli ha prestato i soldi). Rimane il pignoramento del fornitore, che però Mario riesce a farsi ridurre dal giudice a €150/mese presentando documentazione della sua precaria situazione. Con questo sollievo, Mario riesce a mantenere la famiglia. Dopo un anno, grazie a un miglioramento (la moglie trova un impiego part-time), Mario aumenta spontaneamente la quota versata al creditore per accelerare il saldo e chiudere il debito residuo. In alternativa, avrebbe potuto formalizzare un piano del consumatore ma, visti i costi e tempi, ha optato per la via della riduzione giudiziale e accordo extra.

Considerazioni: Questo caso mostra l’importanza di agire su più fronti: negoziale, giudiziale ed eventualmente concorsuale. Il debitore con stipendio pignorato non è senza speranza: può ridurre la stretta economica mostrando al giudice le proprie necessità, e può ristrutturare il debito residuo con procedure ad hoc invece di restare passivo.

7.2 Caso pratico 2: Pressioni illecite di un creditore privato (stalking finanziario)

Scenario: Anna era garante per un debito contratto dal suo ex compagno con una finanziaria. Dopo la separazione, lui smette di pagare e sparisce; la finanziaria allora si rivolge a Anna per circa €8.000 di rate insolute. Anna, che ha un lavoro precario, non riesce a pagare. L’agente di recupero crediti inizia a tormentarla: le fa 5-6 telefonate al giorno da numeri diversi, lasciando messaggi vocali minacciosi del tipo “Se non paghi, vedrai, verremo a casa tua”. Telefono anche alla madre anziana di Anna, accennando ai “problemi economici di sua figlia”. Anna vive nel terrore, ogni squillo di telefono le causa tachicardia; ha paura ad uscire pensando che qualcuno possa cercarla per strada.

Problemi di Anna: Oltre al debito in sé, che non nega ma oggettivamente non riesce a pagare tutto insieme, Anna sta subendo un vero stress psicologico dalle azioni del creditore, fino a sintomi di ansia (documentati dal suo medico di base). Si sente perseguitata e teme per la propria incolumità, dato il tono delle minacce (“verremo a casa tua”).

Azioni difensive possibili:

  1. Raccolta di prove: Anna conserva tutti i messaggi vocali e le eventuali chat o SMS inviati dall’agente. Annota su un quaderno ogni chiamata molesta (data, ora, numero, durata, contenuto). Chiede alla madre di fare lo stesso per le chiamate ricevute. Questo creerà un quadro dettagliato.
  2. Intervento legale immediato: Anna incarica un avvocato di inviare una diffida all’agenzia di recupero crediti e, per conoscenza, alla finanziaria creditrice. Nella diffida si intima di cessare le molestie, si cita l’art. 612-bis c.p. (stalking) e art. 660 c.p. (molestie), ricordando che la Cassazione punisce condotte del genere. Si chiede di comunicare solo per iscritto (all’indirizzo dell’avvocato) per questioni sul debito. Contestualmente, l’avvocato notifica che Anna sporgerà denuncia se gli atti persecutori continueranno.
  3. Querela per stalking e molestie: Non attendendo oltre, Anna si reca dai Carabinieri e sporge querela contro l’agente recupero crediti nominativamente (se lo conosce, altrimenti contro ignoti, indicando il numero di telefono e l’agenzia). Descrive l’intera vicenda: frequenza chiamate, minacce (“verremo a casa tua” interpretata come intimidazione), coinvolgimento di terzi (la madre). Dichiara di provare grave ansia, di aver modificato abitudini (ad esempio ha staccato il telefono fisso, dorme male la notte). Allegati: registro chiamate, eventuale certificato medico su suo stato d’ansia, dichiarazione scritta della madre sulle telefonate ricevute. I reati ipotizzabili sono molestia (660 c.p.) per le chiamate petulanti e atti persecutori (612-bis c.p.) per l’insieme delle condotte che hanno prodotto in Anna uno stato di paura e l’hanno costretta a cambiare abitudini (ha cambiato numero di cellulare, ad esempio, e non risponde più al citofono se non riconosce chi è). Data la frase minacciosa, c’è anche l’ipotesi di minaccia (612 c.p.). La querela farà partire un’indagine: facilmente l’agente verrà identificato e potrebbe subire perquisizioni (per cercare prove, come elenchi telefonate) e poi un procedimento penale.
  4. Ricorso per ammonimento del Questore: Parallelamente, se le molestie continuassero nell’immediato, Anna – tramite la Polizia – potrebbe chiedere al Questore un provvedimento di ammonimento (è previsto per stalking come misura preventiva). Il Questore, valutati gli atti, può convocare l’agente e intimargli formalmente di cessare. Questo spesso basta a bloccare condotte sul nascere. Se poi l’agente persistesse, il successivo reato di stalking avrebbe aggravante di violazione di ammonimento.
  5. Segnalazione al Garante Privacy e AGCM: L’avvocato di Anna invia anche un esposto al Garante per la protezione dei dati personali, lamentando la violazione dell’art. 5 del Codice deontologico recupero crediti (che limita i contatti a terzi e impone correttezza). Inoltre, invia una segnalazione all’AGCM per pratica commerciale aggressiva: dettagliando che l’agenzia sta utilizzando metodi intimidatori per recuperare il credito, eccedendo la legittima pressione. Queste autorità potrebbero avviare procedimenti amministrativi sanzionatori (che magari non aiutano direttamente Anna subito, ma creano ulteriore deterrenza per l’agenzia).
  6. Gestione del debito sottostante: Anna intanto considera come risolvere il debito di €8.000, per chiudere definitivamente i rapporti con la finanziaria. Valuta se può pagare una parte – magari ottiene un prestito agevolato dal datore di lavoro o vende qualche oggetto di valore. Con l’aiuto dell’avvocato propone un saldo e stralcio: ad esempio €4.000 una tantum per estinguere il debito. La finanziaria, sapendo anche delle potenziali rogne legali in arrivo per l’agenzia, accetta i €4.000 e rinuncia al resto. Nel farlo, impone all’agenzia di cessare l’attività su quel caso. Anna ovviamente si fa rilasciare quietanza e accordo scritto di saldo a stralcio.

Esito simulato: A seguito della diffida legale e delle prime mosse (querela, ecc.), l’agenzia di recupero crediti interrompe immediatamente le chiamate verso Anna e la madre. L’agente probabilmente viene richiamato in azienda. La finanziaria, per evitare guai, accetta di negoziare: riducono il debito a €5.000, che Anna riesce a pagare in parte subito e il resto rateale, concordando la chiusura del conto. Anna, su consiglio dell’avvocato, mantiene comunque la querela fino a vedere un reale cambiamento. Il procedimento penale va avanti: l’agente viene rinviato a giudizio per molestie telefoniche. Più avanti Anna potrebbe decidere di rimettere la querela, magari perché l’agente le chiede scusa e la finanziaria le risarcisce una piccola somma per il disagio. In ogni caso, le condotte persecutorie cessano e Anna torna a una vita normale, avendo anche sistemato il debito in maniera sostenibile.

Considerazioni: Questo scenario evidenzia come il debitore non sia impotente di fronte a pratiche aggressive. La legge offre strumenti efficaci (penali e civili) che, se attivati prontamente, fermano i molestatori e anzi possono metterli nei guai. Importante è non isolarsi: coinvolgere un legale, le autorità, e far capire al creditore che si conoscono i propri diritti. Allo stesso tempo, occorre cercare di risolvere il problema sottostante del debito, per evitare che in futuro altri agenti rifacciano pressione. In caso di condotte estremamente gravi, non escludiamo misure come un’azione per danni morali: se Anna avesse subito un crollo psicologico con certificazione psichiatrica, avrebbe potuto chiedere un risarcimento in sede civile all’agenzia/finanziaria per i metodi illeciti (magari usando la condanna penale come prova nel civile).

7.3 Caso pratico 3: Salvare la prima casa da un’esecuzione immobiliare

Scenario: Luigi ha un mutuo in corso con una banca per l’acquisto della sua abitazione principale. Purtroppo, a causa della perdita del lavoro, è rimasto indietro di 18 rate. La banca ha risolto il contratto di mutuo e avviato il procedimento esecutivo: iscrive ipoteca giudiziaria (oltre all’ipoteca volontaria già esistente) e notifica precetto per l’intero debito residuo (€120.000). Luigi nel frattempo ha trovato un nuovo impiego, ma guadagna di meno, e sa che non potrà pagare subito tutto. La banca procede col pignoramento della casa. Luigi rischia di vedersi vendere all’asta l’abitazione dove vive con moglie e figli piccoli.

Problemi di Luigi: Evitare la perdita della casa di famiglia. Cercare una soluzione con la banca per fermare l’asta. Inoltre, Luigi ha interesse a evitare di essere sfrattato e poi restare comunque debitore per l’eventuale differenza (se la casa fosse venduta a meno del debito).

Azioni difensive possibili:

  1. Conversione del pignoramento in extremis: Luigi, pur essendo in difficoltà, riesce con l’aiuto di parenti a racimolare un 20% del debito (circa €24.000). Tramite il suo avvocato, deposita un’istanza di conversione (art. 495 c.p.c.) presso il tribunale: offre subito €24.000 e chiede di pagare il restante €96.000 in, ad esempio, 48 rate mensili (4 anni). Versa l’acconto di 1/5 in Cancelleria. Se il giudice dell’esecuzione accoglie, l’asta viene sospesa: Luigi dovrà pagare circa €2.000 al mese per 4 anni. È un importo alto, ma Luigi conta di affittare una stanza della casa o fare straordinari per raggiungerlo. Questa conversione blocca la vendita e, se Luigi paga puntuale, al termine i creditori (la banca) saranno soddisfatti e l’esecuzione chiusa con lui che mantiene la casa.
  2. Trattativa di saldo e stralcio con la banca: In parallelo, Luigi cerca un dialogo con la banca. Mostra che l’asta avrebbe esiti incerti (la casa è stimata €100.000 sul mercato attuale, potrebbe andare deserta) e propone una soluzione: vendere lui stesso la casa a un acquirente che ha trovato per €110.000. La banca potrebbe accettare quei €110.000 a saldo di tutto, evitandosi i tempi d’asta e spese legali, e Luigi coprirebbe la differenza minore (resterebbero €10.000 di debito, che Luigi si impegna a pagare con un finanziamento). La banca valuta: se l’asta prevedibilmente potrebbe realizzare anche meno di 110k, conviene. Quindi sospende l’esecuzione (chiede al giudice di rinviare l’asta) e concede a Luigi 3 mesi per formalizzare la vendita privata. Luigi con l’aiuto di un agente immobiliare conclude il rogito a 110k, da cui paga il notaio e la banca (che acconsente alla cancellazione dell’ipoteca accettando l’importo a stralcio). Luigi però perde la casa in questo scenario, ma almeno salda quasi tutto il debito e si evita l’asta (con relativa pubblicità e traumaticità).
  3. Verifica di tutele legali (prima casa e fisco): Nel caso di Luigi il creditore è una banca, quindi le protezioni del “decreto del Fare” sulla prima casa non valgono. Luigi però controlla se per caso la casa è stata messa a garanzia con un mutuo fondiario. In tal caso, la banca ha privilegi speciali ma Luigi verifica anche eventuali errori di procedura (spesso nelle esecuzioni fondiarie bisogna depositare documenti specifici, etc.). Fa controllare all’avvocato ogni atto per individuare vizi formali da contestare in opposizione agli atti: ad esempio, la notifica del precetto era regolare? il mutuo era a tasso usurario? Ogni appiglio può aiutare a guadagnar tempo o portare la banca a un tavolo negoziale. Nel suo caso, non emergono vizi evidenti.
  4. Concordato minore o ristrutturazione debiti: Luigi, essendo un privato consumatore, considera anche la procedura di sovraindebitamento. Presenta un piano del consumatore al giudice offrendo, poniamo, la liquidazione volontaria della casa (vendendola) ma prevedendo che lui e famiglia possano restare in affitto dentro per un certo periodo. O, se ha altri debiti oltre al mutuo, propone un concordato minore: ad esempio, conferisce la casa a un liquidatore che la venderà con calma, e intanto blocca l’asta giudiziaria. Queste procedure però richiedono tempo e la banca come creditore con ipoteca di solito preferisce l’esecuzione, quindi non sempre efficaci se già l’asta è programmata. Tuttavia, depositare la domanda di concordato (se Luigi fosse imprenditore) o di liquidazione controllata (come consumatore) prima dell’asta sospende la vendita: il processo esecutivo si ferma e confluisce nella procedura concorsuale. Luigi poi potrebbe trovare un accordo dentro quella sede. È una mossa tecnica da ponderare.

Esito simulato: Luigi ottiene dal giudice la possibilità di conversione: grazie ai 24k iniziali e all’impegno a pagare il resto in 4 anni, l’asta viene revocata. Con grandi sacrifici, Luigi riesce a sostenere le rate (nel frattempo la moglie trova un lavoro part-time, contribuendo). Dopo 4 anni, il debito con la banca è saldato e la casa salva. In alternativa, se la conversione non fosse stata concessa (il giudice può rigettarla se pensa che Luigi non ce la farà), Luigi sarebbe andato avanti con la vendita privata: di fatto avrebbe venduto la casa ad un conoscente per 110k, la banca avrebbe rinunciato a 10k di credito, e Luigi si sarebbe trasferito in affitto altrove, ma libero dal debito.

Considerazioni: La casa di abitazione è spesso il bene più caro e i debitori fanno di tutto per conservarla. Le mosse di difesa includono: negoziazione serrata con la banca (che talvolta preferisce accordarsi), uso di strumenti legali come la conversione (rateizzazione giudiziale) o la ricerca di vizi per rallentare l’asta, e se necessario procedimenti concorsuali per congelare e ristrutturare il debito. Il punto chiave è agire prima che l’immobile venga aggiudicato: una volta venduto all’asta, c’è poco da fare se non cercare di ricavare il residuo attivo. Nel caso di Luigi, la sua reazione tempestiva e propositiva (ha trovato soldi, acquirente, etc.) è stata decisiva. Debitori che restano inattivi sperando in miracoli spesso finiscono con la casa svenduta e debiti residui.

7.4 Caso pratico 4: Istanza di fallimento e continuità aziendale

Scenario: La società Alfa S.r.l., impresa commerciale con 10 dipendenti, attraversa una crisi di liquidità: ha debiti scaduti con fornitori per €200.000 e con banche per €150.000. Un importante fornitore, non avendo ricevuto €50.000 da oltre 8 mesi, perde la pazienza e presenta ricorso per la liquidazione giudiziale (fallimento) di Alfa, sostenendo che è insolvente. La notizia allarma gli altri creditori e rischia di minare la fiducia di clienti e partner.

Problemi di Alfa: Evitare la dichiarazione di fallimento, che comporterebbe la fine dell’attività e la liquidazione forzata. Mantenere la continuità aziendale perché Alfa ha ancora ordini e un prodotto valido. Proteggere il patrimonio (anche per i soci, che hanno garanzie personali su prestiti) dal tracollo di un fallimento. Risanare l’azienda in modo ordinato.

Azioni difensive possibili:

  1. Verifica soglie di fallibilità: Alfa esamina i suoi ultimi bilanci: attivo medio negli ultimi 3 anni €400.000, ricavi €1.000.000, debiti €350.000. Purtroppo supera tutte le soglie di non fallibilità, quindi non può eccepire di essere esente: è “fallibile”. Quindi deve difendersi sul merito.
  2. Contestazione dell’insolvenza: Alfa prepara una memoria difensiva per l’udienza pre-fallimentare, spiegando che la crisi è temporanea: adducono che hanno crediti verso clienti per €300.000 in incasso nei prossimi mesi, che copriranno i debiti. Allegano contratti e ordini in portafoglio. Mostrano di aver venduto recentemente un macchinario e incassato €30.000 depositati su conto vincolato a garanzia dei creditori. L’obiettivo è dimostrare che Alfa non è “insolvente”, magari solo illiquida momentaneamente.
  3. Pagamento/riduzione del creditore istante: Prima dell’udienza, Alfa contatta il fornitore istante: offre un pagamento immediato di €20.000 (racimolati da un socio) e un piano per i restanti €30.000 in 6 mesi. Il fornitore, vedendo la prospettiva di un incasso rapido (mentre il fallimento lo farebbe aspettare anni e incassare forse poco) accetta e deposita una rinuncia/revoca dell’istanza. Con questa mossa, la causa di fallimento verrebbe chiusa per cessata materia del contendere. Per sicurezza, Alfa paga quella somma prima dell’udienza e porta la ricevuta al giudice.
  4. Deposito di domanda di concordato preventivo: Parallelamente, non potendo essere certi della rinuncia, Alfa deposita in tribunale una domanda di concordato preventivo “in bianco” (con riserva). Ciò in base alla legge blocca le istanze di fallimento e dà tempo alla società (normalmente 60-120 giorni) per presentare un piano concordatario. Questo atto è una carta di riserva: se il giudice stesse per dichiarare il fallimento, deve invece sospendere e dare corso al concordato. Alfa prevede di utilizzare quel tempo per elaborare un piano di ristrutturazione: probabilmente un concordato con continuità aziendale (dove l’azienda prosegue, i creditori chirografari prendono una percentuale, i privilegiati pagati col tempo). Già contatta un professionista per preparare la bozza di piano e un attestatore.
  5. Comunicazione ai creditori e ricerca di accordi stragiudiziali: Alfa convoca i suoi creditori principali e illustra la situazione: propone un accordo di ristrutturazione extragiudiziale (ad esempio, pagare il 80% ai fornitori in 12 mesi). Ottiene l’adesione di fornitori rappresentanti il 70% dei crediti. Questo non basta legalmente a vincolare tutti, ma genera un clima positivo. Può poi trasformare quell’accordo in un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (che richiede 60% adesione, e qui c’è). Se riesce, quell’accordo omologato blocca i fallimenti e vale per tutti.

Esito simulato: All’udienza pre-fallimentare, il creditore istante riferisce di aver ricevuto un pagamento parziale e concordato un piano, quindi rinuncia alla richiesta. Il tribunale, visto anche il deposito del concordato e l’opposizione di Alfa con i dati finanziari, decide di non dichiarare il fallimento e chiude il procedimento. Alfa dunque guadagna tempo. Nei mesi seguenti, presenta un concordato preventivo vero e proprio: propone di pagare integralmente i debiti verso banche (garantiti da ipoteche) in 5 anni, e pagare il 50% dei debiti chirografari verso fornitori in 2 anni, mantenendo l’attività operativa (che genererà il cash flow per questi pagamenti). I creditori votano: la maggioranza è favorevole (dopotutto meglio del fallimento incerto). Il tribunale omologa il concordato. Alfa continua la sua attività, i dipendenti conservano il posto, i creditori ottengono in due anni la metà dei loro crediti (mentre in un fallimento forse avrebbero preso zero o molto meno). Dopo 2 anni Alfa esce dalla procedura, ridotta di debiti e risanata.

Considerazioni: Questo caso mostra una situazione in cui un fallimento può essere evitato grazie a un approccio proattivo: pagare quanto possibile, convincere i creditori a pazientare, e usare gli strumenti di ristrutturazione formale offerti dalla legge (concordato, accordi). L’istanza di fallimento spesso è un “grido d’allarme” di un creditore: se l’azienda reagisce con un piano credibile e iniziative concrete (persino investitori nuovi, non considerato qui ma possibile), il giudice ha motivo per non procedere alla liquidazione forzata. Inoltre, l’importanza delle soglie di fallibilità: qui Alfa non poteva evitarlo, ma se fosse stata più piccola (sotto soglie) avrebbe potuto respingere il fallimento a priori. I soci/imprenditori devono conoscere tali parametri, perché stare sotto certi limiti può proteggere da istanze di fallimento (non applicabile a società di capitali grandi, ma a piccoli imprenditori sì). Infine, anche la semplice riduzione del debito istante sotto il minimo (€30k) può far dichiarare inammissibile l’istanza – quindi pagare un creditore per scendere sotto soglia è una tattica riconosciuta.

Conclusioni

Difendersi dalle azioni legali dei creditori e dagli atti persecutori ad esse correlati richiede una combinazione di conoscenza dei propri diritti, tempestività e, spesso, creatività nel trovare soluzioni. Abbiamo visto come ogni tipo di procedura esecutiva prevista dall’ordinamento italiano – dal decreto ingiuntivo al pignoramento mobiliare o immobiliare, dal sequestro conservativo fino all’istanza di fallimento – offra dei mezzi di opposizione o di reazione che il debitore può attivare per tutelare il proprio patrimonio e la propria dignità. Parallelamente, in caso di comportamenti illegali o eticamente scorretti da parte dei creditori, esistono strumenti penali (querela per molestie, minacce, stalking) e civili (diffida, azioni inibitorie e risarcitorie) capaci di fermare sul nascere tali abusi.

È fondamentale, per il debitore, non perdere tempo: molti rimedi sono soggetti a termini brevi e decadenziali. Ad esempio, attendere passivamente la vendita all’asta di un bene riduce drasticamente le opzioni di salvataggio; oppure, lasciar scadere i 40 giorni per opporsi a un decreto ingiuntivo preclude ogni discussione nel merito del credito. Al contempo, reagire in modo scomposto o emotivo può essere controproducente: minacciare a propria volta il creditore o ignorare totalmente gli atti ricevuti sono errori da evitare. Molto meglio è affidarsi a professionisti qualificati (avvocati, commercialisti, OCC) appena sorge la controversia: un buon consiglio preso al momento giusto può fare la differenza tra perdere la casa o salvarla, tra subire un fallimento o ristrutturare l’azienda con successo.

Va sottolineato il ruolo crescente degli strumenti di composizione negoziale della crisi debitoria: procedure come il piano del consumatore, il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione, che fino a qualche anno fa erano poco usate, oggi sono parte integrante delle strategie difensive di un debitore in difficoltà. Esse consentono spesso di ottenere immediatamente la sospensione di pignoramenti e azioni esecutive (grazie al cosiddetto “automatic stay” concorsuale) e di trattare collettivamente con i creditori una soluzione sostenibile. È un approccio win-win: il debitore evita lo scenario peggiore (espropriazioni disordinate, chiusura dell’attività) e i creditori recuperano in maniera più efficiente almeno una parte dei loro crediti. Le recenti riforme (Codice della Crisi d’Impresa, modifiche al Codice di procedura civile nel 2022) hanno proprio l’intento di facilitare tali soluzioni, introducendo anche l’esdebitazione del debitore incapiente come extrema ratio umanitaria.

Per quanto riguarda le condotte persecutorie dei creditori, l’evoluzione giurisprudenziale è chiara e rassicurante: non solo le minacce esplicite ma anche le molestie incessanti configurano reato; le società di recupero crediti devono operare entro limiti deontologici precisi, e il superamento di tali limiti integra un abuso perseguito penalmente e sanzionato dalle autorità amministrative. Il debitore non deve esitare a far valere questi principi, denunciando subito eventuali abusi. Ciò contribuisce anche a moralizzare il settore: ogni sanzione o condanna in questi casi fa da monito e spinge le società di recupero ad adottare buone prassi (come sottolineato anche da Cass. pen. 26018/2023).

In conclusione, la situazione del debitore – per quanto economicamente fragile – non è affatto priva di tutele nel nostro ordinamento. Questa guida ha mostrato, passo dopo passo, che per ogni mossa del creditore esiste una contromossa del debitore, prevista dalla legge o elaborata dalla giurisprudenza: dall’opposizione al decreto ingiuntivo per aprire il contraddittorio, all’opposizione al precetto per contestare un diritto ormai estinto; dalla conversione del pignoramento in pagamento rateale, alla sospensione concordata dell’esecuzione; dalla riduzione della quota pignorabile per garantire il minimo vitale, all’esdebitazione finale per offrire un nuovo inizio al debitore meritevole. È essenziale però agire con consapevolezza e tempestività, preferibilmente guidati da un esperto legale, per sfruttare appieno questi strumenti.

Ricordiamo infine che, come insegnano anche le sentenze più recenti che abbiamo citato, spesso la chiave del successo sta nel mantenere un atteggiamento proattivo e collaborativo: i giudici valutano con favore il debitore che, invece di sottrarsi, partecipa al processo esecutivo sollevando le eccezioni giuste al momento giusto, oppure propone soluzioni concrete (pagamenti, piani) di fronte ai propri obblighi. Ciò può tradursi in provvedimenti di maggior favore (sospensioni, dilazioni) e in una maggiore apertura anche dei creditori a trattative.

La situazione finanziaria può essere risanata e la pressione dei creditori gestita, purché il debitore faccia valere i suoi diritti e utilizzi gli strumenti a disposizione con cognizione di causa. Speriamo che questa guida avanzata – ricca di riferimenti normativi, giurisprudenziali aggiornati a maggio 2025 e consigli pratici – possa servire da vademecum prezioso per avvocati, imprenditori e qualunque persona si trovi a dover fronteggiare azioni legali di recupero crediti o condotte persecutorie da parte di creditori, fornendo orientamento e soluzioni concrete per difendersi nel rispetto della legge.

Fonti normative e giurisprudenziali citate:

  • Codice di Procedura Civile: artt. 480 (atto di precetto, termini), 491 ss. (pignoramento in genere), 514-515 (beni mobili impignorabili), 543 ss. (pignoramento presso terzi), 545 (limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni), 615 (opposizione all’esecuzione), 617 (opposizione atti esecutivi), 619 (opposizione di terzo), 624-bis (sospensione concordata esecuzione), 629 (conversione pignoramento), 633-647 (procedimento monitorio – decreto ingiuntivo), 649 (sospensione ex 649 cpc), 650 (opposizione tardiva) etc., 669-terdecies (reclamo cautelare), 671 (sequestro conservativo).
  • Codice Civile: artt. 2740 (responsabilità patrimoniale), 2744 (divieto patto commissorio), 2901 (azione revocatoria ordinaria), 2905 (sequestro conservativo), 2910 (espropriazione forzata), 2929-bis (espropriazione beni alienati a familiari, norma anti-frode), 2808 e 2818 (ipoteca giudiziaria), 2872-2874 (riduzione ipoteca).
  • Leggi speciali (riscossione e crisi d’impresa): DPR 602/1973 art. 76 (impignorabilità prima casa per esattore), art. 72-bis (pignoramento presso terzi esattoriale anche telematico), art. 77-78 (ipoteca esattoriale), art. 86 (fermo amministrativo); L. 3/2012 (sovraindebitamento), D.Lgs. 14/2019 Codice della Crisi d’Impresa (procedure di concordato, liquidazione giudiziale – soglie di fallibilità: art. 2 e 49); D.L. 69/2013 conv. L.98/2013 (Decreto del Fare) – soglia €120k prima casa; D.Lgs. 149/2022 (Riforma Cartabia processo civile) – modifiche termini opposizioni; D.L. 115/2022 (Aiuti-bis) – aumento soglia impignorabilità pensione.
  • Costituzione e diritti: art. 24 Cost. (diritto difesa), art. 47 Cost. (tutela risparmio e accesso credito – non direttamente applicabile, ma sfondo per leggi anti-usura), giurisprudenza costituzionale sulle espropriazioni forzate (es. sent. Corte Cost. 85/2015 su pignorabilità pensioni, poi recepita dal legislatore).
  • Sentenze di riferimento (Corte di Cassazione, etc.):
    • Cass. Civ. Sez. Unite, 30/01/2025 n. 2098: giurisdizione del giudice tributario per opposizione a pignoramento esattoriale eccepente prescrizione sopravvenuta.
    • Cass. Civ. Sez. III, ord. 19/03/2025 n. 7343: opposizione agli atti esecutivi – cumulo di domande e termini (chiarisce che vizi formali vanno nei 20 gg, non confondibili con motivi sostanziali).
    • Cass. Civ. Sez. III, ord. 14/11/2024 n. 29422: effetti del pignoramento presso terzi verso più terzi contemporaneamente.
    • Cass. Civ. Sez. III, ord. 16/12/2024 n. 32759: impignorabilità prima casa da parte del Fisco, conferma applicazione retroattiva Decreto Fare.
    • Cass. Civ. Sez. I, 05/11/2020 n. 24402: (non citata sopra, ma rilevante) afferma che nella conversione del pignoramento il mutuo fondiario non preclude la conversione (superando vecchia tesi contraria).
    • Cass. Pen. Sez. I, 16/06/2023 n. 26018: caso molestie call center recupero crediti – esclude responsabilità penale del legale rappresentante che aveva predisposto misure idonee (codice condotta), pur confermando configurabilità reato di molestie ex art.660 c.p. per le chiamate petulanti.
    • Cass. Pen. Sez. V, 28/05/2019 n. 23401: (menzionabile) riconosce stalking in caso di pressioni assillanti per costringere pagamento debito (stalking finanziario).
    • Cass. Civ. Sez. Unite, 13/01/2017 n. 61: principi in tema di opposizione all’esecuzione vs atti esecutivi – coordinamento e preclusioni (intangibilità del titolo giudiziale passato in giudicato in sede esecutiva).
    • Cass. Civ. Sez. III, 18/09/2014 n. 19246: possibilità giudice ridurre ex officio la percentuale di pignoramento stipendio in situazioni eccezionali (equità).
    • Cass. Civ. Sez. III, 11/04/2018 n. 9087: enfatizza obbligo del giudice di verificare d’ufficio limiti impignorabilità pensione (prima delle riforme, ma come principio).
    • Corte Appello Venezia, 11/03/2021: prova non fallibilità tramite bilanci, onere imprenditore (richiamata Cass. 24138/2019 e 30541/2018).
    • Cass. Civ. 27/09/2019 n. 24138: (citata sopra) conferma criteri prova non fallibilità e ammissibilità mezzi alternativi.
    • Cass. Pen. 09/07/2015 n. 30490: configurabilità reato di esercizio arbitrario art.393 in contesto recupero crediti con minaccia di divulgare insolvenza a terzi.
    • Cass. Pen. 21/01/2021 n. 1978: condotta di chi telefona ripetutamente al debitore può integrare stalking (se causa grave stato ansia).
    • Tribunale di Milano ord. 14/07/2021: esempio di riduzione pignoramento al 10% per debitore con figli minori e reddito modesto (giurisprudenza di merito innovativa).
  • Linee guida e atti istituzionali:
    • Codice di condotta UNIREC per recupero crediti (2015): max 3 contatti telefonici al giorno, divieto contattare terzi se non per reperire cliente, rispetto fasce orarie.
    • Circolare Ministero Interno 20/12/2021: recupero crediti lecito con contatti anche telefonici e con terzi, nei limiti della correttezza – (invocata in caso del 2023, ma Cassazione ha precisato che non giustifica molestie).
    • Relazioni e rapporti dell’AGCM su pratiche aggressive nel recupero crediti (varie decisioni 2016-2022 contro società per minacce di segnalazione a Centrale Rischi indebite, etc.).
    • Relazione illustrativa D.Lgs 149/2022 (riforma esecuzioni civili) – sottolinea esigenza di bilanciare tutela creditore con celerità e garanzie debitore.

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