Hai subito un pignoramento e ti stai chiedendo se esiste un modo per bloccarlo senza perdere i beni? Magari il pignoramento è già stato notificato, ma vorresti evitare che la casa, l’auto o lo stipendio vengano aggrediti del tutto. In questi casi, la conversione del pignoramento può essere la soluzione legale che ti permette di salvare il patrimonio, pagando il debito in forma rateale.
Ma che cos’è la conversione del pignoramento? Chi può richiederla? E quali vantaggi offre rispetto alla normale esecuzione forzata?
La conversione è una procedura prevista dalla legge che consente al debitore di sostituire il bene pignorato con il versamento di una somma di denaro equivalente al debito, comprensiva di spese ed eventuali interessi. In pratica, chiedi al giudice di fermare il pignoramento e di poter pagare l’importo dovuto a rate, senza vendere all’asta il tuo bene.
E funziona solo per immobili o anche per auto, stipendi e conti correnti?
La conversione può essere richiesta in tutti i tipi di pignoramento: immobiliare, mobiliare o presso terzi. Quindi si può applicare anche per evitare la vendita della casa, per recuperare il possesso di un’auto pignorata o per limitare la trattenuta sullo stipendio, offrendo il pagamento diretto del debito.
Come si richiede? Ci sono tempi da rispettare?
La richiesta va presentata al giudice dell’esecuzione, di solito entro e non oltre l’udienza di comparizione fissata dopo il pignoramento. In alcuni casi è possibile anche oltre, ma prima si agisce, più alte sono le possibilità di ottenere una rateazione sostenibile.
Per essere accolta, la richiesta deve contenere:
- la somma offerta in sostituzione del bene pignorato;
- la proposta di pagamento, anche a rate (massimo 36 mensilità);
- il versamento immediato di almeno un sesto dell’importo complessivo.
E se il giudice accetta? Il pignoramento si ferma subito?
Sì. Una volta accolta la richiesta, l’esecuzione viene sospesa e il debitore può saldare il debito secondo le modalità autorizzate. Se rispetti i pagamenti, il pignoramento viene definitivamente cancellato. Se invece salti le rate, la procedura riparte da dove si era fermata.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in pignoramenti, opposizioni e tutela del patrimonio – ti spiega cos’è la conversione del pignoramento, quando conviene richiederla, come si presenta la domanda e cosa possiamo fare per aiutarti a bloccare l’esecuzione.
Hai ricevuto un atto di pignoramento e vuoi salvare i tuoi beni? Vuoi sapere se puoi pagare a rate senza perdere casa o stipendio?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo l’atto esecutivo, valuteremo se hai i requisiti per la conversione e ti accompagneremo in ogni fase della procedura per proteggere il tuo patrimonio e rientrare dal debito con dignità.
Introduzione all’esecuzione forzata e al pignoramento
L’esecuzione forzata è il procedimento attraverso il quale un creditore, munito di titolo esecutivo (come una sentenza, decreto ingiuntivo non opposto, mutuo fondiario, etc.), soddisfa coattivamente il proprio credito sui beni del debitore. Il pignoramento è l’atto iniziale dell’espropriazione forzata: consiste in un’ingiunzione dell’Ufficiale giudiziario al debitore di non dissipare o sottrarre determinati beni, che vengono così vincolati a garanzia del credito. In parole semplici, con il pignoramento i beni del debitore sono “bloccati” per poi essere venduti o assegnati al fine di pagare i creditori.
Dal punto di vista del debitore, il pignoramento è un momento critico: la perdita forzata di beni (come la casa di abitazione, l’automobile, o una parte dello stipendio) può avere conseguenze gravi sul piano personale e patrimoniale. Esistono tuttavia strumenti giuridici di tutela del debitore all’interno del processo esecutivo. Uno di questi, forse il più importante per chi voglia evitare la vendita dei propri beni, è la conversione del pignoramento (disciplinata dall’art. 495 del Codice di procedura civile). Questa guida, aggiornata a giugno 2025, analizza dettagliatamente cos’è la conversione del pignoramento, come funziona, e come il debitore può utilizzarla a suo vantaggio per salvare i propri beni, con un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo.
Struttura della guida: Inizieremo distinguendo i tipi di pignoramento previsti nell’ordinamento italiano e le relative procedure (comprese alcune procedure esecutive speciali). Successivamente affronteremo l’istituto della conversione del pignoramento: la sua definizione e finalità, l’evoluzione normativa, i presupposti e le condizioni richieste (tempistiche, importi da depositare, ecc.), e il procedimento pratico per presentare l’istanza. Verranno spiegati in dettaglio il ruolo del Giudice dell’esecuzione, le eventuali rateizzazioni ex art. 495 c.p.c., gli effetti dell’ordinanza di conversione e le conseguenze in caso di mancato pagamento. Saranno fornite tabelle riepilogative su termini, costi, probabilità di accoglimento, vantaggi e svantaggi della conversione. Inoltre, includeremo simulazioni pratiche con esempi concreti (ambientati nel contesto italiano) e una sezione di domande e risposte frequenti. Infine, chiuderemo con un elenco di tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, in particolare le norme del Codice di procedura civile (aggiornate al 2025) e le più recenti pronunce della Corte di Cassazione (comprese Sezioni Unite) e dei principali Tribunali italiani.
Nota: Questo documento non sostituisce una consulenza legale, ma si propone come guida approfondita. Ogni caso pratico può presentare peculiarità che vanno valutate con un professionista. I riferimenti normativi sono aggiornati al 2025 e tengono conto delle ultime riforme legislative (es. modifica dell’art. 495 c.p.c. operata nel 2019) e delle ultime pronunce giurisprudenziali di rilievo.
Tipi di pignoramento: mobiliare, immobiliare e presso terzi
Nel processo esecutivo italiano esistono diverse forme di pignoramento, a seconda della natura dei beni da espropriare e delle modalità con cui l’espropriazione si svolge. È fondamentale capire le differenze, perché i termini e le modalità operative (ad esempio il momento in cui viene disposta la vendita o l’assegnazione, entro cui il debitore può chiedere la conversione) variano a seconda del tipo di pignoramento. Ecco i tre tipi principali previsti dal codice:
- Pignoramento mobiliare: colpisce beni mobili del debitore. Può avvenire presso il debitore (es. l’Ufficiale giudiziario si reca presso l’abitazione o i locali dell’impresa e pignora beni mobili lì presenti: mobili, arredi, merci, macchinari, autoveicoli, ecc.) oppure presso terzi quando riguarda beni mobili del debitore in possesso di un terzo (ad es. pignoramento di beni che il debitore ha depositato presso un’altra persona). Nel pignoramento mobiliare diretto, l’Ufficiale giudiziario redige un verbale in cui elenca i beni sequestrati e li assegna in custodia (spesso lasciandoli al debitore stesso come custode giudiziario, oppure affidandoli a un custode terzo se necessario). Segue poi la fase di vendita: di regola il Giudice dell’esecuzione delega un istituto vendite giudiziarie per procedere all’asta dei beni mobili (ex art. 530 c.p.c.). La vendita di beni mobili pignorati può avvenire relativamente presto (a volte entro pochi mesi dal pignoramento), in uno o più tentativi d’asta. In alternativa alla vendita all’asta, il creditore procedente potrebbe chiedere l’assegnazione di quei beni (art. 529 c.p.c.), cioè diventare proprietario dei beni in conto del suo credito, se la natura dei beni lo consente e se ciò è più vantaggioso. Esempi comuni: il pignoramento mobiliare tipico è quello effettuato dall’ufficiale giudiziario in casa del debitore, oppure il pignoramento di autoveicoli (che, pur essendo beni mobili registrati con formalità particolari, rientrano nella categoria dei mobili).
- Pignoramento immobiliare: colpisce beni immobili di proprietà (o comproprietà) del debitore. Si esegue mediante notifica dell’atto di pignoramento e trascrizione dello stesso nei registri immobiliari (per renderlo opponibile a terzi). Dopo il pignoramento, la gestione della procedura passa al Giudice dell’esecuzione (G.E.) presso il tribunale competente, che nomina normalmente un custode giudiziario dell’immobile pignorato (spesso lo stesso debitore viene nominato custode, così può continuare ad abitare l’immobile, ma in molte prassi – specie se trattasi di immobile non abitato dal debitore o con rischio di deprezzamento – si nomina un custode professionale). Il G.E. procede poi alla vendita forzata dell’immobile. In genere viene conferito incarico ad un perito estimatore (per valutare l’immobile e fissare il prezzo base) e si indice l’asta giudiziaria. La vendita in ambito immobiliare è regolata dagli artt. 567 ss. c.p.c. e richiede un’apposita ordinanza del G.E. (art. 569 c.p.c.) che autorizza e fissa le modalità dell’asta. La fase della vendita immobiliare spesso richiede diversi mesi o anni (tenendo conto di eventuali rinvii, ribassi di prezzo, ecc.). Dopo l’aggiudicazione all’asta, l’acquirente paga il prezzo e il G.E. emette il decreto di trasferimento. In alcuni casi, se l’asta va deserta ripetutamente, il creditore può chiedere l’assegnazione dell’immobile (art. 590 c.p.c.), divenendone proprietario per un valore imputato al suo credito. Esempi comuni: pignoramento della casa di abitazione del debitore per debiti bancari; pignoramento di un capannone industriale di proprietà dell’imprenditore esecutato, ecc.
- Pignoramento presso terzi: è una forma speciale di espropriazione forzata rivolta non a beni in possesso diretto del debitore, ma a crediti che il debitore vanta verso terzi, o a cose del debitore in possesso di terzi. Il caso più frequente è il pignoramento di somme dovute al debitore da un terzo (es: pignoramento del conto corrente bancario, pignoramento dello stipendio presso il datore di lavoro, pignoramento di crediti commerciali presso un cliente del debitore, ecc.). La procedura è regolata in particolare dagli artt. 543 – 554 c.p.c.: il creditore notifica un atto di pignoramento sia al debitore che al terzo (es. la banca o il datore di lavoro), intimando al terzo di non pagare il debitore (le somme diventano “bloccate”) e di dichiarare all’udienza fissata quali somme o beni deve al debitore (c.d. dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c.). All’udienza, il G.E. verifica la dichiarazione del terzo: se risulta che il terzo deve effettivamente una somma, il giudice può emettere un’ordinanza di assegnazione in favore del creditore procedente (art. 552 c.p.c.). Ad esempio, il giudice assegna al creditore la somma depositata sul conto corrente del debitore (fino a concorrenza del credito) oppure dispone che il datore di lavoro versi direttamente una parte dello stipendio al creditore ogni mese fino a soddisfo del debito. Se invece la posizione è controversa (il terzo contesta o non compare), si instaura un sub-procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo (art. 549 c.p.c.). Il pignoramento presso terzi è definito una procedura esecutiva speciale perché segue regole proprie (ad esempio, la notifica al terzo, la necessità della sua dichiarazione, ecc.). Esempi comuni: pignoramento del conto bancario del debitore (la banca, terzo pignorato, deve congelare il saldo e rivelarlo al giudice); pignoramento dello stipendio o della pensione presso l’INPS (il datore di lavoro o l’ente previdenziale trattiene una quota mensile, di solito 1/5, per versarla al creditore).
Quando avviene la vendita o l’assegnazione? – In sintesi, ogni procedura ha un momento in cui i beni o crediti pignorati vengono realizzati a favore dei creditori: nel mobiliare la vendita all’asta dei beni mobili (art. 530 c.p.c.) o assegnazione ex art. 529; nell’immobiliare la vendita all’asta con aggiudicazione (artt. 569, 576 c.p.c. e segg.) o assegnazione al creditore (art. 590 c.p.c.); nel presso terzi l’assegnazione del credito pignorato al creditore procedente (art. 552 c.p.c.) oppure, meno frequentemente, la vendita (ad es. se il credito pignorato consiste in cose del debitore in mano al terzo, queste potrebbero essere vendute). Tali atti segnano il punto di non ritorno dell’esecuzione: una volta che un bene è stato aggiudicato o un credito assegnato, l’espropriazione ha di fatto compiuto il suo scopo e il debitore perde la disponibilità del bene/credito. Come vedremo, la conversione del pignoramento può essere chiesta solo prima che questi atti finali (vendita o assegnazione) siano disposti. Dopo, il debitore non può più attivare la conversione per riottenere i beni (ci sono pronunce della Cassazione a Sezioni Unite che sanciscono l’improcedibilità della conversione dopo l’aggiudicazione o assegnazione).
La conversione del pignoramento: definizione e finalità
Cos’è la conversione del pignoramento? È un meccanismo giuridico, previsto dall’art. 495 c.p.c., che consente al debitore esecutato di evitare la vendita forzata o l’assegnazione dei beni pignorati, sostituendo ad essi una somma di denaro. In altre parole, al posto di far vendere all’asta il bene pignorato, il debitore può pagare ai creditori l’equivalente del debito (comprensivo di interessi e spese) in denaro, liberando così i beni dal vincolo. Si tratta di un diritto potestativo del debitore: se egli rispetta le condizioni di legge (illustrate più avanti), il giudice deve ammettere la conversione e i creditori non possono opporsi sul merito (non possono rifiutare il pagamento). L’esecuzione forzata proseguirà quindi non più sui beni originariamente pignorati, ma sulla somma di denaro messa a disposizione dal debitore.
Finalità e ratio legis: Lo scopo della norma è duplice: da un lato tutelare il debitore permettendogli di salvare i propri beni dall’asta (soprattutto beni di valore affettivo o indispensabili, come la casa di famiglia o strumenti di lavoro), e dall’altro soddisfare i creditori in maniera più sicura e rapida, incassando denaro anziché attendere l’esito incerto di una vendita forzata. Il legislatore riconosce così al debitore la chance di “riscattare” i beni pignorati pagando il dovuto. La conversione risponde anche a un principio di economia processuale: spesso le vendite coattive di beni hanno esiti aleatori (aste deserte, ribassi, ecc.), mentre incassare una somma liquida può essere più efficiente. Di converso, viene comunque garantito che i creditori ottengano l’integrale soddisfazione dei loro crediti – infatti il debitore, per ottenere la conversione, deve farsi carico di tutto il debito, degli interessi maturati e delle spese di esecuzione. Non si tratta dunque di un condono o di uno “sconto” sul debito, ma di una diversa modalità di pagamento (in soluzione unica o anche rateale, come vedremo) e di una diversa forma di liquidazione dei beni (liquidazione volontaria tramite il denaro versato, anziché coattiva tramite vendita).
Dal punto di vista pratico, la conversione del pignoramento può essere vista come una sorta di “estinzione anticipata” dell’esecuzione: il debitore anticipa il risultato finale (pagare i creditori) ed evita che si arrivi all’asta. Da notare che la conversione è cosa diversa dalla cancellazione del pignoramento per pagamento spontaneo fuori processo: se il debitore trova un accordo con il creditore o paga l’intero importo direttamente a lui, il creditore può rinunciare all’esecuzione e far cancellare il pignoramento. La conversione invece è un procedimento in sede giudiziale, attivato unilateralmente dal debitore all’interno del processo esecutivo, anche senza accordo dei creditori, e si perfeziona con un’ordinanza del giudice. Ciò significa, ad esempio, che la conversione può avvenire anche contro la volontà del creditore procedente (magari questi preferirebbe tentare l’asta sperando in un realizzo maggiore, ma non può impedirla se il debitore segue le regole).
Esempio illustrativo: Un esempio per capire: il signor Rossi ha una casa pignorata perché deve €100.000 alla banca. Invece di far vendere all’asta la casa (con il rischio che venga aggiudicata magari a €70.000, e per di più Rossi perderebbe l’immobile), Rossi può chiedere la conversione del pignoramento depositando una somma e impegnandosi a pagare tutto il dovuto. Così facendo, “sostituisce” la casa con il denaro: la casa non sarà più messa all’asta e verrà liberata dal pignoramento quando Rossi avrà versato l’intero importo stabilito dal giudice (comprensivo di spese ed interessi). I creditori riceveranno i loro soldi dalla somma versata. Rossi conserva la proprietà della casa. Dunque, la conversione offre al debitore l’opportunità di evitare gli effetti più dolorosi del pignoramento, a patto però di essere in grado di pagare il dovuto in denaro.
Evoluzione normativa dell’art. 495 c.p.c.
L’istituto della conversione del pignoramento è presente nel nostro ordinamento sin dal codice di procedura civile del 1940, ma con il tempo il legislatore ne ha modificato più volte i parametri, oscillando tra l’esigenza di agevolare il debitore e quella di evitare abusi (ad es. richieste di conversione dilatorie). In origine, l’art. 495 c.p.c. permetteva semplicemente la sostituzione dei beni pignorati con una somma di denaro pari all’importo dei crediti e delle spese, senza previsioni specifiche su acconti o pagamenti rateali. Successivamente ci sono stati importanti interventi legislativi:
- 1976 – Viene introdotta per la prima volta la possibilità di rateizzare la somma dovuta per la conversione, entro un termine massimo di 6 mesi. Ciò andava incontro ai debitori, consentendo loro di non reperire subito tutto l’importo in un’unica soluzione.
- 1990 – Con la riforma del processo civile (L. 353/1990) il legislatore, per arginare abusi, elimina la rateizzazione e impone contestualmente che all’atto di presentare l’istanza di conversione il debitore versi immediatamente una cauzione pari al 20% (un quinto) del credito e delle spese. L’obbligo di un sostanzioso deposito iniziale mirava a scoraggiare conversioni pretestuose finalizzate solo a prendere tempo.
- 1998 – Si reintroduce la rateizzazione mensile, ma solo per le esecuzioni immobiliari, con termine massimo di 9 mesi.
- 2005 – Il termine massimo per la rateizzazione nelle esecuzioni immobiliari viene esteso a 18 mesi (D.L. 35/2005 conv. in L. 80/2005).
- 2015 – Riforma del processo esecutivo (D.L. 83/2015 conv. in L. 132/2015): la possibilità di rateizzare viene estesa anche alle esecuzioni mobiliari e la durata massima è elevata a 36 mesi. Inoltre si specifica espressamente che i beni pignorati sono liberati solo con il versamento dell’intera somma (prima non era chiarissimo se il bene venisse liberato subito o a fine pagamento). Questa modifica del 2015 ha uniformato il trattamento di mobili e immobili quanto alla rateazione.
- 2018-2019 – Con il D.L. 135/2018 (conv. in L. 12/2019) il legislatore è tornato a intervenire sulla conversione, questa volta a favore del debitore: la cauzione iniziale obbligatoria è stata ridotta da un quinto a un sesto (circa 16,67%) dell’importo dovuto, e la durata massima della rateizzazione è stata portata a 48 mesi (4 anni). Inoltre, viene previsto che un ritardo superiore a 30 giorni nel pagamento di una rata faccia decadere il beneficio (in precedenza il termine di tolleranza era 15 giorni). Queste modifiche, in vigore dal 13 febbraio 2019, mirano a rendere la conversione più accessibile (cauzione più bassa) ma al contempo a sanzionare più severamente eventuali morosità nelle rate (30 giorni di tolleranza, trascorsi i quali si perde la conversione). Si noti che l’avviso di pignoramento ex art. 492 c.p.c., che deve essere notificato al debitore, non è stato aggiornato e ancora oggi menziona la cauzione di un quinto, generando un po’ di confusione – ma la norma prevalente è quella dell’art. 495 c.p.c., che come detto attualmente richiede un sesto.
In sintesi, oggi (2025) l’art. 495 c.p.c. vigente prevede: deposito iniziale almeno pari a 1/6 del credito; possibilità di rate mensili fino a 48 mesi (4 anni) con interessi sul dilazionato; decadenza se ritardo > 30 giorni su una rata; istanza proponibile una sola volta. Su questi elementi normativi attuali ci concentreremo nei prossimi paragrafi, esaminandoli dettagliatamente.
Presupposti e condizioni per la conversione del pignoramento
Per poter accedere alla conversione del pignoramento, il debitore deve rispettare precise condizioni stabilite dall’art. 495 c.p.c. Questi requisiti sono inderogabili: in mancanza di essi, l’istanza di conversione verrà dichiarata inammissibile dal giudice. Vediamoli in dettaglio:
- Istanza tempestiva (prima della vendita/assegnazione): Il debitore deve presentare la domanda di conversione tempestivamente, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati. In concreto, ciò significa che se nel frattempo il giudice ha già emesso un’ordinanza che dispone la vendita (es. l’ordinanza ex art. 569 c.p.c. per l’immobile) o che assegna il credito pignorato (nell’esecuzione presso terzi), la conversione non è più ammessa. La Cassazione ha chiarito che il momento ultimo è quello dell’aggiudicazione o assegnazione del bene: se l’asta si è svolta e il bene è stato aggiudicato, da quel punto l’istanza di conversione è improcedibile anche se formalmente la vendita non è ancora definitiva. In altre parole, “ante vendita” va inteso ormai come “ante aggiudicazione”. Il debitore deve dunque attivarsi prima che il bene esca dalla sua sfera a seguito dell’esecuzione. Nelle procedure mobiliari, spesso la vendita può essere disposta poco dopo il pignoramento (l’IVG fissa la data d’asta); nelle procedure immobiliari, il primo momento utile è l’udienza ex art. 569 c.p.c. in cui il G.E. decide sulla vendita; nelle procedure presso terzi, coincide con l’udienza in cui potrebbe essere emessa l’ordinanza di assegnazione. È prudente che il debitore non aspetti l’ultimo momento: l’istanza andrebbe presentata il prima possibile, idealmente subito dopo il pignoramento e comunque prima che vengano compiuti atti di liquidazione.
- Unicità dell’istanza: La conversione può essere richiesta una sola volta per ciascun processo esecutivo. Questa limitazione significa che il debitore non può presentare istanze di conversione ripetute o successive. Se la sua richiesta è stata accolta e poi egli decade dal beneficio per mancato pagamento, non potrà più riproporla nell’ambito di quello stesso pignoramento. Neppure può proporre la conversione, rinunciarvi e poi riprovarci più avanti. L’idea è evitare che il debitore abusi dello strumento per guadagnare tempo presentando più richieste. Tuttavia, va specificato che la “una volta sola” si riferisce a ciascuna esecuzione: se, ad esempio, un debitore subisce in tempi diversi due pignoramenti distinti (magari da creditori diversi), potrà chiedere la conversione in ognuna di quelle procedure (una per procedura). Ma all’interno dello stesso pignoramento c’è una e una sola chance di conversione – va giocata bene.
- Deposito di una somma (cauzione minima): L’istanza deve essere accompagnata dal deposito di una somma di denaro, a titolo di cauzione iniziale. L’art. 495 c.p.c. oggi richiede un importo “non inferiore a un sesto dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento, e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, detratti eventuali versamenti già effettuati”. In pratica bisogna calcolare il totale dei crediti azionati nel processo esecutivo al momento della domanda (comprensivi di capitale, interessi maturati e spese indicati negli atti) e versarne almeno il 16,67%. Se il debitore ha nel frattempo già pagato qualcosa a quei creditori (es. pagamenti parziali dopo il pignoramento), può detrarre tali somme nel calcolo, purché ne dia prova documentale. Questo versamento va fatto contestualmente alla presentazione dell’istanza in Cancelleria; la norma è chiara che è un requisito di ammissibilità (se manca o è insufficiente, l’istanza non verrà neppure esaminata). Tale somma viene depositata su un libretto o conto vincolato intestato alla procedura (generalmente a cura del Cancelliere presso un istituto di credito indicato dal giudice – molti tribunali, ad esempio, utilizzano libretti postali giudiziari interni al palazzo di giustizia). È importante sottolineare che la legge fissa un minimo (un sesto), ma nulla vieta al debitore di depositare volontariamente di più. Anzi, in certi casi depositare oltre il minimo potrebbe dimostrare maggiore serietà e convinzione al giudice (ad esempio, se il debitore dispone già di buona parte della somma, può depositarla quasi per intero). Tuttavia, non è obbligatorio andare oltre il minimo di legge. Se il deposito risulta lievemente carente rispetto al sesto (magari per errori di calcolo), alcuni giudici potrebbero consentire una pronta integrazione, ma formalmente l’istanza sarebbe inammissibile ab origine. Dunque è essenziale calcolare correttamente la somma e depositare almeno il minimo richiesto.
- (Facoltativo) Richiesta di rateizzazione: Il debitore, nel formulare l’istanza di conversione, può contestualmente chiedere di essere autorizzato a versare il residuo importo dovuto in modalità rateale (mensile). Non è un vero e proprio “presupposto” richiesto dalla legge – la rateizzazione è una facoltà aggiuntiva. Se il debitore non la chiede (o il giudice non la concede), la conversione consisterà in un pagamento in unica soluzione dell’intera somma determinata. Approfondiremo più avanti i criteri di concessione della rateizzazione ex art. 495 co.4 c.p.c., ma anticipiamo qui che le rate possono essere consentite solo se i beni pignorati sono mobili o immobili. Se il pignoramento riguarda crediti presso terzi, la legge non consente la rateizzazione nell’ordinanza di conversione. Pertanto, ad esempio, per un pignoramento dello stipendio o del conto in banca, la conversione richiederà di pagare l’importo in un’unica soluzione (ciò non toglie che il debitore possa accordarsi informalmente per farsi finanziare o prestare somme, ma verso il processo deve mettere i soldi tutti insieme). La ratio di questa distinzione è che, se il bene pignorato è denaro o un credito liquido, non ha senso dilazionare ulteriormente – il creditore potrebbe già soddisfarsi su quelle somme; mentre per immobili o beni mobili, la vendita richiederebbe tempo, quindi concedere fino a 4 anni di rate può essere considerato accettabile in cambio della certezza del pagamento. In ogni caso, la decisione finale sulla rateazione spetta al giudice e richiede “giustificati motivi”, come vedremo.
Da quanto sopra, risulta che il debitore ha diritto alla conversione solo se rispetta strettamente i requisiti temporali e deposituali previsti. Diversamente, il giudice rigetterà l’istanza. Ad esempio, presentare la richiesta dopo che l’asta si è già svolta (sebbene il decreto di trasferimento non sia ancora emesso) è troppo tardi; oppure depositare meno di 1/6 rende l’istanza inammissibile. I creditori, ricevuta l’istanza, possono segnalare al giudice eventuali difetti (ad es. se calcoli del debitore sono errati e la cauzione è insufficiente), ma non possono opporsi nel merito alla conversione. La legge riconosce infatti che, soddisfatti i presupposti, il debitore “ha diritto” alla conversione.
Procedura: come presentare l’istanza di conversione
Vediamo ora come si svolge concretamente il procedimento di conversione, dal deposito dell’istanza fino all’emissione dell’ordinanza da parte del giudice. È importante conoscere i passi pratici, i documenti e le tempistiche, specie dal punto di vista del debitore che intende attivarsi.
Presentazione dell’istanza (deposito in cancelleria)
Dove e come si deposita: L’istanza di conversione va depositata presso la cancelleria delle esecuzioni del tribunale competente, ovvero il tribunale dinanzi al quale pende la procedura esecutiva. Nella maggior parte dei casi, oggi il deposito avviene in modalità telematica tramite il Portale del Processo Telematico, a cura dell’avvocato del debitore. Tuttavia, la legge non richiede obbligatoriamente l’assistenza di un avvocato per questo atto (il debitore potrebbe teoricamente presentarla di persona, trattandosi di un’istanza nell’ambito del suo procedimento esecutivo). Infatti, alcuni tribunali specificano che il debitore può agire personalmente per la conversione – per esempio il Tribunale di Torino sottolinea che la conversione “consente al debitore, senza l’assistenza di avvocato” di sostituire i beni pignorati con una somma. In ogni caso, data la complessità, è consigliabile farsi assistere da un legale.
Modulo e contenuto: Molti tribunali forniscono un modello di istanza predefinito per facilitare la presentazione (ad es. il Tribunale di Torino e quello di Milano pubblicano moduli guidati). In genere, l’istanza di conversione deve contenere:
- Gli estremi della procedura esecutiva (numero di ruolo dell’esecuzione, autorità giudiziaria, parti – debitore esecutato e creditore procedente).
- L’indicazione dei beni pignorati (ad es. “procedura esec. immob. R.G.E. n. X/2023 relativa all’immobile in Caio via…”, oppure “esec. presso terzi n… riguardante il conto corrente presso Banca…”, ecc.).
- La dichiarazione che si intende chiedere la conversione ex art. 495 c.p.c. e, contestualmente, la richiesta al giudice di determinare la somma sostitutiva.
- L’attestazione di aver depositato la somma minima richiesta in cancelleria. Spesso si allega copia del “libretto di deposito giudiziario” o ricevuta del versamento effettuato sul conto di deposito designato. Ad esempio, a Torino il debitore deve prima versare la cauzione su un libretto postale intestato alla procedura e consegnare il libretto insieme all’istanza.
- Eventuale richiesta di rateizzazione: se il debitore desidera fruire del pagamento dilazionato, deve espressamente chiederlo nell’istanza (es: “chiede al G.E., ricorrendone i presupposti, di essere autorizzato al versamento rateale mensile ex art. 495 co.4 c.p.c., entro il massimo di 48 mesi”). È utile anche indicare, se possibile, una proposta di piano (es: “si dichiara disponibile a versare rate mensili di €… ciascuna”). Ciò non vincola il giudice, ma offre un’indicazione della sostenibilità.
- Data e firma (se presentata personalmente dal debitore, la firma e eventuale autenticazione; se dall’avvocato, la firma digitale telematica).
Oltre all’istanza, è buona prassi allegare i documenti utili, ad esempio: copia dell’atto di pignoramento e di eventuali atti di intervento dei creditori (per consentire al giudice di verificare l’importo dei crediti e la base di calcolo del sesto); prova degli eventuali pagamenti parziali già fatti al creditore (come bonifici, ricevute) per poter dedurre tali importi; copia del documento identità del debitore se richiesto.
Costi di presentazione: L’istanza di conversione non richiede un vero e proprio contributo unificato (in quanto è un atto interno al processo esecutivo già in corso, non un nuovo giudizio). È però soggetta all’imposta di bollo di €16,00 (di solito si appone una marca da bollo sull’atto cartaceo o si assolve virtualmente per via telematica). Inoltre, dal 2023, molti pagamenti di diritti di cancelleria devono essere fatti in via telematica, ma per la conversione specificamente non vi sono diritti particolari oltre al bollo. In sostanza, il costo “vivo” per attivare la conversione è minimo (16 euro), fermo restando che il debitore deve comunque disporre della somma da depositare come cauzione (che però non è un costo, bensì un acconto del debito). Se si avvale di un avvocato, andranno considerate le spese legali relative.
Notifica ai creditori: Una volta depositata l’istanza (con la somma), la cancelleria in genere notifica la fissazione d’udienza alle parti (creditore procedente e eventuali creditori intervenuti). Sarà fissata un’udienza ad hoc davanti al Giudice dell’esecuzione, di regola entro 30 giorni dal deposito. In molti tribunali la prassi è di calendarizzare velocemente questo tipo di udienza, a tutela sia del debitore sia per non ritardare troppo la procedura esecutiva. Nella comunicazione d’udienza alle parti spesso il giudice invita i creditori intervenuti a depositare una nota di precisazione del credito prima dell’udienza (ossia un documento riepilogativo di quanto a quella data è dovuto in linea capitale, interessi maturati e spese, per ciascun creditore). Questo serve a poter determinare con esattezza la somma totale da versare.
Importante: la presentazione dell’istanza di conversione comporta di fatto una sospensione delle operazioni esecutive di vendita, in attesa della decisione del giudice. Pur non essendoci un articolo che lo dica espressamente, è implicito che, essendo il bene destinato forse a essere liberato, il G.E. rinvierà o sospenderà le aste o altre attività liquidatorie nel frattempo. La giurisprudenza (fin dal 1990) ha stabilito che il deposito dell’istanza di conversione e della cauzione produce un effetto sospensivo del processo esecutivo limitatamente alla vendita, fino alla definizione dell’istanza. Quindi il debitore non rischia che nel frattempo si tenga l’asta prima della decisione sulla conversione.
L’udienza davanti al Giudice dell’esecuzione e l’ordinanza di conversione
All’udienza fissata, il Giudice dell’esecuzione (G.E.) esamina l’istanza di conversione e sente le parti. Analizziamo cosa avviene in questa fase e quale provvedimento viene emesso:
- Verifica dei presupposti: In apertura, il G.E. verifica che l’istanza sia ammissibile – ossia che sia stata presentata in tempo utile (ante vendita/assegnazione) e che il deposito cauzionale sia conforme (almeno 1/6 del totale). Se così non fosse, può dichiarare inammissibile l’istanza e proseguire con l’esecuzione normale. Se invece tutto è in regola (e di solito se la cancelleria ha accettato il deposito, è in regola), si passa al merito della conversione.
- Determinazione della somma dovuta: Il compito principale del G.E. è di quantificare l’importo complessivo che il debitore dovrà versare per sostituire i beni pignorati. L’art. 495 c.p.c. stabilisce che la somma deve comprendere tutto quanto dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo di capitale, interessi e spese, oltre alle spese di esecuzione. In pratica, il giudice fa il “conto finale” del debito in quella procedura. Come visto, spesso i creditori depositano prima dell’udienza le loro note di credito aggiornate (tenendo conto degli interessi maturati sino a quella data, delle spese vive dell’esecuzione – es. spese di iscrizione a ruolo, eventuali spese di custodia, compenso stimatore, compenso delegato, ecc.). In udienza, il giudice può chiedere chiarimenti o contestazioni sulle cifre. Va evidenziato che questa determinazione ha carattere sommario e non entra nel merito di contestazioni complesse sui crediti. Ad esempio, il G.E. in questa sede non decide se un credito contestato esista realmente o se un interesse sia usurario: prende atto dei titoli esecutivi e fa la somma, salvo errori evidenti. Eventuali dispute andranno risolte altrove (vedi Opposizione agli atti esecutivi, di seguito). Dunque, l’ordinanza di conversione non è definitiva sulle controversie di merito, ma serve solo a stabilire quanto il debitore deve depositare per liberare i beni.
- Coinvolgimento dei creditori intervenuti: Un punto cruciale, confermato dalla Cassazione, è che nella somma da versare vanno inclusi anche i crediti di eventuali creditori che siano intervenuti tra il momento della domanda e l’udienza di conversione. Immaginiamo: Tizio subisce un pignoramento, chiede la conversione depositando 1/6 del credito del procedente; successivamente, prima dell’udienza, un secondo creditore interviene nel processo con un proprio credito. Il G.E., nel determinare la somma totale, deve tenere conto anche di questo secondo creditore sopraggiunto. La logica, come ha detto la Cassazione, è che la conversione deve soddisfare integralmente tutti i creditori partecipanti all’esecuzione. Di conseguenza, all’udienza, se sono comparsi (o hanno depositato atti) creditori intervenuti tardivamente, il giudice aggiusterà l’importo includendo i loro crediti. Questo talvolta può creare una complicazione: la cauzione del 1/6 versata all’inizio dal debitore potrebbe risultare inferiore a 1/6 del nuovo totale comprendendo il creditore tardivo. Ci si potrebbe chiedere: ciò rende retroattivamente inammissibile l’istanza? La risposta prevalente è no – se al momento del deposito l’istanza era conforme (copriva 1/6 dei crediti allora noti), l’intervento successivo di un altro creditore non la inficia. Semmai, il giudice potrà richiedere al debitore di integrare il deposito (ad es. versare un’ulteriore somma per arrivare al sesto del nuovo totale) prima di emettere l’ordinanza definitiva. In pratica comunque, i nuovi creditori saranno soddisfatti anch’essi dalla conversione, e il debitore dovrà pagare anche loro quota. Questo è un incentivo per il debitore a muoversi presto: se aspetta a chiedere la conversione, aumenta il rischio che altri creditori si inseriscano, incrementando l’esborso necessario.
- Discussione su rateizzazione: In udienza si affronta anche l’eventuale richiesta di pagamento rateale. Il debitore (o il suo avvocato) dovrà motivare i “giustificati motivi” per cui chiede dilazioni. In genere la giurisprudenza ritiene giustificato concedere rate se l’importo è elevato e se il debitore dimostra di avere una capacità di reddito tale da poter pagare a rate ma non in un’unica soluzione immediata. Ad esempio, se c’è uno stipendio mensile disponibile, o altre entrate costanti, il giudice potrebbe consentire le rate per non costringere a una vendita immediata di asset o a insolvenza. Viceversa, se la somma è piccola o se il giudice nutre dubbi sulla reale volontà del debitore di pagare, potrebbe negare la rateizzazione pretendendo il saldo immediato (nel qual caso, se il debitore non paga subito, la conversione fallirà). La legge fissa alcuni paletti sulla rateazione:
- Può essere concessa solo per beni mobili o immobili pignorati, non se l’oggetto del pignoramento è un credito (abbiamo già chiarito questo).
- La cadenza è mensile.
- La durata massima complessiva è 48 mesi (4 anni). Il giudice ha facoltà di stabilire un termine più breve a seconda delle circostanze. Spesso si concede il massimo nei casi di debiti molto alti; se il debito è modesto, magari basta un anno di rate.
- Sulle somme rateizzate si applicano interessi scalari (ossia calcolati via via sul capitale residuo) al tasso convenzionale pattuito tra le parti, oppure – se il credito deriva da titolo giudiziale o altro senza tasso concordato – al tasso legale. Il tasso legale in Italia è soggetto a revisione annuale (nel 2025 è ad esempio intorno al 5% circa). Se il credito originario aveva interessi moratori contrattuali più alti, il creditore potrebbe chiedere di applicare quelli fino al saldo. Di solito il giudice lo consente se c’è prova del tasso convenzionale.
- Modalità di calcolo: generalmente il giudice non computa immediatamente tutti gli interessi fino a fine piano, ma può stabilire che gli interessi matureranno sulle rate via via. Ad esempio, prassi: “debitore versa 48 rate mensili da € X ciascuna; 15 giorni prima dell’ultima rata il creditore comunicherà il calcolo degli interessi maturati, che il debitore dovrà aggiungere all’ultima rata”. Ciò perché il calcolo esatto degli interessi scalari dipende dalla puntualità dei pagamenti e dal tasso, quindi viene fatto a consuntivo per l’ultima rata.
- Ogni 6 mesi, il giudice disporrà il pagamento o la distribuzione ai creditori delle somme versate fino a quel momento. Significa che il denaro che il debitore man mano versa non resta fermo per 4 anni: ogni semestre i creditori, su istanza, possono ottenere quanto accumulato. Per esempio, se Tizio paga €1000 al mese, ogni 6 mesi il giudice emette un’ordinanza di pagamento al creditore per €6000 (o di riparto tra più creditori). In pratica quindi il creditore incassa semestralmente, un po’ come accade nelle cessioni del quinto (dove il creditore riceve mensilmente da terzi). È richiesto che il creditore faccia un’istanza con il conteggio, ma è routine.
- Opposizioni eventuali: Il creditore procedente potrebbe opporsi alla concessione della conversione solo per vizi formali (es. contestare che il deposito è insufficiente, o che la richiesta è tardiva). Non può opporsi per il semplice fatto che non gradisce la conversione. Se ci sono contestazioni sui calcoli (importi dei crediti, spese), queste possono essere trattate seduta stante o portare a una breve istruttoria. Spesso però, se i conteggi sono contestati, la sede propria è l’opposizione agli atti esecutivi: il debitore o i creditori possono impugnare l’ordinanza finale di conversione con un’opposizione ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni, per far correggere eventuali errori. Ad esempio, se il giudice ha incluso un credito prescritto, il debitore potrebbe fare opposizione agli atti contro l’ordinanza di conversione per escluderlo. Tali opposizioni, però, non sospendono automaticamente l’esecuzione salvo provvedimento del giudice, e mirano solo a rettificare la somma (non bloccano la conversione in sé). Il processo esecutivo proseguirà eventualmente sulla base della nuova somma accertata dall’opposizione.
- Emissione dell’ordinanza di conversione: Conclusa la fase di verifica, il Giudice dell’esecuzione emette un’ordinanza (forma di atto decisorio tipica del processo esecutivo). In tale ordinanza:
- Ammette la conversione e dichiara che le cose/crediti pignorati sono sostituiti dalla somma di denaro determinata.
- Determina la somma complessiva dovuta dal debitore per liberare i beni, tenuto conto di tutti i crediti e spese come discusso.
- Se del caso, autorizza la rateizzazione: dispone che il debitore versi in rate mensili l’importo entro il termine stabilito (fino a max 48 mesi) con interessi. Spesso allega un prospetto delle scadenze o indica la prima scadenza e così via. Se non concede rate, di solito l’ordinanza fissa un termine breve (es. 60 giorni) entro cui il debitore deve versare il saldo rimanente oltre alla cauzione già data.
- Ordina la liberazione dei beni pignorati solo a saldo avvenuto: infatti l’art. 495 c.p.c. prevede che il giudice disponga che i beni saranno liberati dal pignoramento con il versamento dell’intera somma. Ciò significa che, fino a quando il debitore non avrà pagato tutto, i beni restano formalmente pignorati (anche se la vendita è sospesa). Questa clausola tutela i creditori: il vincolo sui beni rimane finché non sono completamente soddisfatti, evitando che il debitore possa vendere o dissipare i beni prima di averli effettivamente pagati. Ad esempio, se è un immobile, il pignoramento non viene cancellato in Conservatoria fino a emanazione di un provvedimento di cessata esecuzione per avvenuto pagamento integrale.
- Richiama la sanzione di decadenza: l’ordinanza di conversione in genere ricorda che in caso di mancato o ritardato pagamento delle somme dovute (o di una rata oltre il termine di tolleranza), la conversione fallirà e quanto versato sarà acquisito alla procedura.
L’ordinanza viene letta/comunicata alle parti. Essa è, come detto, soggetta a opposizione ex art. 617 c.p.c. se qualcuno ritiene vi siano errori o illegittimità, ma in mancanza di ciò diventa definitiva e regola la prosecuzione della procedura.
Esempio pratico di calcolo e piano di pagamento
Per rendere più concreto il procedimento, proponiamo un breve esempio numerico:
Scenario: Debitore Alfa, imprenditore, ha subito il pignoramento di un capannone industriale. Il creditore procedente (banca) ha un credito di €200.000 tra capitale, interessi e spese. Un secondo creditore (fornitore) è intervenuto con credito di €50.000. Siamo prima dell’udienza ex art. 569: Alfa chiede la conversione.
- Calcolo cauzione (un sesto): Totale crediti noti = €250.000. Un sesto = circa €41.667. Alfa versa €42.000 su libretto e deposita l’istanza, chiedendo 48 mesi di rate.
- Udienza: I creditori depositano note: la banca aggiorna a €202.000 (altri interessi maturati), il fornitore €50.500 (spese legali aggiunte). Spese di perito e custode finora: €3.500. Totale aggiornato = €202k + €50,5k + €3,5k = €256.000. Il G.E. conferma ammissibilità (42k è > 1/6 di 252k che era inizialmente? c’è un piccolo deficit perché 1/6 di 256k sarebbe ~42.667, ma supponiamo tollera perché i 42k quasi coprono il minimo, e magari il giudice invita Alfa a integrare 1.000 € entro breve).
- Ordinanza di conversione: Somma da versare = €256.000. Concessa rateizzazione in 48 rate mensili da €5.333 ciascuna (256k – 42k cauzione = 214k residuo, diviso 48 = ~4458 € + interessi, ma semplifichiamo). In realtà il giudice può imputare la cauzione già versata come parte prima rata e poi restanti 47 rate, oppure come acconto e poi 48 rate su residuo: le prassi variano. Spieghiamo in modo lineare: Alfa ha già versato 42k, residuo da coprire 214k. Rate mensili 4 anni: circa €4.958 + interessi ciascuna. Interessi: ipotizziamo tasso legale 5%, su decrescente.
- Interessi scalari: Il giudice dispone che su ogni rata maturano interessi sul capitale residuo. Quindi Alfa pagherà 4.958 € + un piccolo interesse su residuo, variabile ogni mese. Il giudice stabilisce che il creditore fornirà il calcolo degli interessi finali prima dell’ultima rata.
- Pagamento e distribuzione: Alfa paga regolarmente €4.958 al mese. Ogni 6 mesi il giudice, su istanza creditori, distribuisce le ~€29.750 raccolte. Dopo 4 anni Alfa ha versato tutto ~€256k + ~€27k di interessi (totale magari ~€283k). Il giudice dichiara esecuzione estinta, libera il capannone dal pignoramento. Alfa ha tenuto il suo immobile, i creditori hanno avuto tutto (banca ~€225k, fornitore ~€58k, i restanti per spese).
Nota: In questo esempio, se Alfa non avesse pagato una delle rate o fosse rimasto indietro di oltre 30 giorni su una scadenza, la conversione sarebbe decaduta. I €42k depositati + eventuali rate pagate sarebbero rimasti nella procedura a beneficio dei creditori, e il giudice avrebbe subito ordinato di riprendere la vendita del capannone. Alfa avrebbe così perso sia i soldi versati sia, alla fine, l’immobile all’asta (salvo ricavare un’eventuale eccedenza se il prezzo d’asta sommato ai soldi già versati superasse il debito).
Effetti dell’ordinanza di conversione: obblighi del debitore e sorte dei beni pignorati
Quando viene emessa l’ordinanza che ammette la conversione del pignoramento, il processo esecutivo prosegue in una sorta di “fase alternativa” rispetto all’espropriazione ordinaria. È importante capire quali sono gli effetti di tale ordinanza, sia sugli obblighi del debitore sia sullo status dei beni pignorati, nonché quali sono le conseguenze in caso di inadempimento.
Il “nuovo” oggetto dell’esecuzione: la somma sostitutiva
Con la conversione, i beni originariamente pignorati non sono più destinati alla vendita immediata, ma restano vincolati in attesa che il debitore versi la somma stabilita. In pratica:
- La somma di denaro sostitutiva diventa l’oggetto principale dell’esecuzione. L’ordinanza del G.E. quantifica l’importo e, se rateizzato, ne pianifica la riscossione. Si può dire che il pignoramento si trasferisce sulla somma depositata e su quelle che verranno via via versate. Infatti l’art. 495 chiarisce che “le cose o i crediti pignorati vengono sostituiti” dalla somma di denaro.
- Le somme già versate (la cauzione + eventuali rate) sono vincolate a beneficio dei creditori e formano “parte dei beni pignorati” fino a distribuzione. Ciò significa che il debitore non può più disporne, e i creditori ne hanno diritto secondo le regole del concorso.
- I futuri versamenti del debitore dovranno essere eseguiti nelle forme indicate (di solito con depositi sul medesimo libretto giudiziario o tramite bonifici su conto dedicato intestato alla procedura). Il debitore deve rigorosamente rispettare le scadenze fissate: p.es., pagare la rata mensile entro il giorno previsto. In caso di dubbi, è bene pagare in anticipo o comunque comunicare ogni pagamento al custode o in cancelleria.
Lo status dei beni pignorati durante la conversione
Sebbene i beni non vengano più venduti subito, essi restano in una sorta di limbo giuridico fintanto che la conversione non è completata:
- I beni pignorati rimangono formalmente sotto pignoramento fino al pagamento integrale. Il giudice infatti, nell’ordinanza, ne rinvia la liberazione al momento del versamento dell’intera somma. Ciò serve a garantire che il debitore non possa sottrarli ai creditori prima di aver pagato per intero. In termini pratici: se si tratta di un immobile, la trascrizione del pignoramento nei registri immobiliari rimane; se era stato nominato un custode (professionale), probabilmente continuerà a vigilare sul bene; se i beni erano mobili depositati, restano in custodia.
- In molti casi però, considerato che la vendita è sospesa, il debitore continua a detenere e utilizzare i beni. Ad esempio, se è un immobile abitativo e il debitore ne era custode, potrà continuare ad abitarlo senza l’incubo di un’asta imminente. Se sono beni mobili lasciati presso di lui, li manterrà (pur non potendoli vendere o deteriorare perché sempre pignorati).
- Non vengono però meno eventuali obblighi accessori: ad esempio, per un immobile rimane l’obbligo di versare l’eventuale canone d’uso al custode (in alcune prassi il debitore-custode versa un’indennità mensile, che comunque è considerata spesa di procedura). Oppure, se c’era un custode professionale, il suo compenso continua a maturare finché l’immobile non è svincolato, e sarà a carico del debitore nella somma finale (questo fa sì che più la conversione si protrae nel tempo, più possono crescere certe spese).
- Durante la fase di pagamento rateale, l’esecuzione è sostanzialmente congelata: il G.E. non indice vendite, non assegna beni, etc. Tuttavia la procedura esecutiva rimane pendente e riattivabile in caso di default del debitore.
Un punto delicato: possono intervenire nuovi creditori mentre il debitore paga a rate? Teoricamente sì, finché la procedura non è estinta, altri creditori potrebbero tentare di intervenire. Ma se intervengono dopo che l’ordinanza di conversione è stata emessa, le condizioni sono diverse: i beni sono ancora pignorati, quindi formalmente l’intervento sarebbe ammissibile, ma l’esecuzione è ormai indirizzata sul denaro da versare. Un creditore intervenuto tardivamente non potrà far aumentare la somma dovuta (già fissata nell’ordinanza), quindi rischierebbe di essere pretermesso nella distribuzione se la somma copre solo i precedenti. In pratica, dopo l’ordinanza, nuovi interventi sono di scarsa utilità a meno che il debitore non fallisca la conversione (in tal caso, alla ripresa della vendita, anche i nuovi intervenuti potranno partecipare al riparto, ma non potranno pretendere un aumento della cauzione o simili). Questo aspetto è tecnico, ma va detto che la conversione tende a cristallizzare la platea dei creditori a quelli presenti fino all’ordinanza. È quindi nell’interesse di eventuali creditori terzi farsi avanti prima di tale ordinanza per essere inclusi.
Vantaggi per il debitore durante la conversione
Dal punto di vista del debitore, una volta ottenuta la conversione:
- Può evitare l’alienazione forzata dei suoi beni, quantomeno finché rispetta i pagamenti. Ad esempio, se rischiava di perdere la casa in pochi mesi, con la conversione e un piano di 4 anni, ha guadagnato tempo e una via per salvarla definitivamente.
- Mantiene la disponibilità materiale dei beni: niente cambio di proprietà, niente sgomberi (nel caso di immobile occupato, finché paga, il debitore resta in casa sua; nel caso di autoveicolo pignorato che magari era stato affidato a un custode, potrebbe anche chiedere di riottenere la disponibilità se paga in anticipo buona parte). Anche se giuridicamente il vincolo resta, di fatto c’è una “normalità” nella gestione quotidiana.
- Ha un orizzonte certo: conosce esattamente l’importo da pagare e le scadenze, e sa che se le rispetta, il bene tornerà libero. Evita l’incertezza dell’asta (dove non si sa a che prezzo verrà venduto il bene, né se il ricavato basterà a saldare i debiti).
- Riduzione dei costi di procedura futuri: molti costi dell’esecuzione (come spese di pubblicità, spese di trasferimento immobile, ulteriori ribassi d’asta, ecc.) non saranno più sostenuti perché l’asta non avrà luogo. Questo può significare che il totale da pagare può essere inferiore a quello che sarebbe stato dopo una lunga procedura. (Va detto però che alcuni costi fissi – come perito, custode finora – vanno comunque pagati e sono stati inclusi nel conto).
Rischi e obblighi: inadempimento e decadenza dalla conversione
Il rovescio della medaglia è che il debitore deve ora mantenere fede all’impegno preso. Le conseguenze di un eventuale inadempimento (anche parziale) sono piuttosto severe:
- Decadenza dal beneficio della rateizzazione: Se il giudice ha concesso le rate, l’art. 495 prevede che il ritardo oltre 30 giorni nel pagamento di anche una sola rata comporta la decadenza automatica. Attenzione: il testo attuale parla di 30 giorni, mentre prima della riforma 2019 era 15 giorni – ora quindi c’è una tolleranza leggermente maggiore, ma non oltre un mese di ritardo. Alcuni giudici, nell’ordinanza, specificano chiaramente la data entro cui ogni rata va pagata e la soglia (es: “ritardo superiore a 30 giorni importando decadenza”). Se il debitore paga in ritardo di qualche giorno (entro i 30) normalmente non decade (anche se potrebbero maturare interessi di mora), ma oltre quel limite sì. Esempio: rata di marzo scaduta il 31 marzo, se non è pagata e si arriva al 1° maggio (oltre 30 gg) senza pagamento, scatta la decadenza.
- Ripresa dell’esecuzione forzata sui beni: In caso di decadenza, l’art. 495 c.p.c. dispone che le somme già versate restano vincolate e confluiscono nei beni pignorati, e il G.E., su istanza del creditore, dispone senza indugio la vendita dei beni pignorati. Significa che il processo esecutivo “dormiente” si risveglia e riparte da dove si era fermato: il giudice fisserà la vendita dell’immobile o dei beni mobili, come se la conversione non ci fosse mai stata, tenendo però conto che c’è un tesoretto di denaro già accantonato.
- Perdita delle somme versate: Il debitore inadempiente non rivede indietro i soldi che ha versato fino a quel momento. Tali somme verranno utilizzate per pagare (in parte) i creditori. Ad esempio, se aveva versato €50.000 di cauzione/rate e poi è decaduto, quei €50.000 saranno distribuiti ai creditori riducendo proporzionalmente il loro residuo. Questo è un punto chiave da comprendere per il debitore: la conversione non è un patto “se riesco pago, se no mi ridate i beni come prima” – no, se non riesce, il debitore può perdere sia i beni (perché l’asta riprende) sia i soldi che nel frattempo ha pagato. Di fatto i soldi versati vanno a ridurre il debito, ma se il bene poi viene venduto, il debitore ottiene solo l’eventuale surplus se il ricavato + soldi già versati superano il dovuto. Spesso però non c’è surplus, e il debitore non recupera nulla.
- Impossibilità di chiedere una nuova conversione: Come già detto, caduto una volta in decadenza, il debitore non può ripresentare istanza di conversione in quella procedura. Non c’è una “seconda chance” legale. (L’unica speranza per evitare la vendita, a quel punto, sarebbe trovare comunque i soldi e pagare integralmente tutti i creditori prima dell’asta, sperando che essi rinuncino spontaneamente alla procedura – ma questo sarebbe fuori dal meccanismo di conversione ed è raro).
- Ripercussioni su eventuali coobbligati: Se il debitore in conversione è uno dei più coobbligati, gli altri garanti o fideiussori potrebbero aver confidato che lui stesse pagando. Il fallimento della conversione può esporre anche loro nuovamente all’azione del creditore (se non già escussi). Non è un effetto giuridico diretto, ma una conseguenza fattuale: la conversione in corso magari aveva sospeso altre azioni, la decadenza le riattiva.
In pratica, la conversione conviene al debitore solo se egli ha ragionevole certezza di poter sostenere il piano di pagamento. Altrimenti, tentare la conversione senza avere poi le risorse per reggere le rate significa rischiare di aggravare la propria posizione (si priva subito di liquidità per la cauzione, ma alla fine perde lo stesso il bene).
Cessazione del pignoramento e chiusura della procedura
Se invece il debitore esegue correttamente tutti i pagamenti secondo l’ordinanza:
- Il G.E., constatato il versamento integrale (magari su istanza di parte o d’ufficio), emette un provvedimento che dichiara estinita la procedura esecutiva per integrale soddisfacimento. Contestualmente dispone la cancellazione del pignoramento sui beni. Nel caso di beni immobili, ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento nei registri (e di eventuali ipoteche iscritte dal creditore procedente, se create in funzione del pignoramento). Nel caso di beni mobili registrati (auto, ecc.) disporrà la cessazione del fermo. Nel caso di pignoramento presso terzi (stipendi, conti) – anche se di solito lì non c’è rateazione – comunicherà al terzo che il pignoramento è estinto e può sbloccare le somme eventualmente rimaste.
- I beni pignorati tornano nella piena disponibilità del debitore, liberi da vincoli. Ad esempio, la casa non è più pignorata e il debitore può venderla o ipotecarla di nuovo, avendo però estinto i debiti originari. Formalmente la conversione conclusa con pagamento equivale a un’esecuzione terminata con esito positivo (per i creditori), e dunque i beni escono dal processo esecutivo indenni.
- I creditori vengono interamente soddisfatti: la cancelleria avrà man mano distribuito loro le somme raccolte. Qualora – ipotesi di scuola – la somma versata superi leggermente il dovuto (ad esempio per arrotondamenti di interessi) e residuino eccedenze, queste vanno restituite al debitore. Invece se la somma determinata non bastava (magari qualche spesa ulteriore non prevista), i creditori dovrebbero teoricamente attivarsi per recuperare la differenza (ma una volta cancellata l’esecuzione sarebbe complicato, fortunatamente casi simili sono rari perché il giudice calcola sempre un po’ in eccesso le spese future).
Rapporto con eventuali opposizioni: se il debitore ha proposto un’opposizione all’esecuzione separatamente (ad esempio contestando il titolo), di solito non chiede la conversione nel frattempo perché sono strategie alternative (una punta a bloccare il processo, l’altra a pagare e finirlo). Tuttavia, se coesisteva un’opposizione, il pagamento integrale rende quell’opposizione probabilmente priva di interesse (il debitore avrebbe tacitamente rinunciato a contestare il titolo, avendolo soddisfatto). Invece, se c’era un’opposizione agli atti pendente riguardo ai calcoli della conversione, a seguito del pagamento integrale potrebbe comunque proseguire se serve a definire la ripartizione delle somme (ma spesso viene meno anch’essa perché i creditori sono pagati e il debitore non ha più motivo di contestare importi, salvo errori macroscopici).
Conversione del pignoramento nelle diverse forme di esecuzione
Abbiamo delineato il funzionamento generale della conversione ex art. 495 c.p.c. Vediamo ora alcune specificità e considerazioni relative ai differenti tipi di pignoramento (mobiliare, immobiliare, presso terzi), dal punto di vista del debitore:
- Conversione nel pignoramento immobiliare: È il caso più tipico in cui la conversione viene utilizzata. Il bene immobile (ad es. la casa di famiglia) ha spesso un valore emotivo e pratico enorme per il debitore, che quindi è incentivato a salvarlo. Inoltre la procedura immobiliare è lunga e costosa, quindi anche i creditori spesso non osteggiano la conversione, sapendo di poter ricevere denaro senza le incognite dell’asta. Il debitore che converte un pignoramento immobiliare deve essere consapevole che durante il periodo di pagamento l’immobile resta pignorato e presumibilmente rimane sotto custodia giudiziaria. Se egli stesso era nominato custode, continuerà nei suoi doveri (mantenere il bene in buono stato, pagare le utenze, non locarlo senza autorizzazione, ecc.). Non può vendere l’immobile né ipotecarlo, finché non è liberato. Un vantaggio concreto: evitando l’asta, il debitore evita anche il rischio di svendita dell’immobile (spesso alle aste i realizzi sono inferiori al valore di mercato) e, se l’immobile vale più del debito, si evita il paradosso di perdere la casa e dover comunque inseguire il ricavato per avere la differenza. Con la conversione, di fatto il debitore paga solo il dovuto e tiene la proprietà. Occorre considerare che i costi inseriti nel calcolo della conversione per un immobile possono includere: compenso al perito stimatore (anche se la vendita non avverrà, il perito ha lavorato se nominato), compenso al custode professionale per il periodo fino alla conversione, spese di eventuale cancellazione ipoteche, ecc. Quindi prima si chiede la conversione, minori costi di procedura verranno accumulati. Ad esempio, chiederla subito dopo il pignoramento immobiliare evita che siano fatte perizia e spese d’asta (risparmiando migliaia di euro). – Caso particolare: comproprietà. Se l’immobile pignorato è in comproprietà tra debitore e un terzo (es. coniuge non debitore), la legge prevede che l’esecuzione riguardi l’intero bene e poi in sede di distribuzione si assegni al comproprietario estraneo la sua quota del ricavato (artt. 599-600 c.p.c.). Ciò è penalizzante per il comproprietario non debitore. Ebbene, spesso tali comproprietari possono essi stessi attivarsi per la conversione, pur non essendo formalmente “debitori”. Alcuni tribunali (come Milano) lo consentono espressamente: “Chi può farlo: il debitore esecutato o il comproprietario non esecutato”. Si tratta di prassi che riconoscono un interesse qualificato del comproprietario a evitare la vendita dell’intero. In tal caso, il comproprietario non debitore deposita la somma e poi si rivarrà sul vero debitore per la quota pagata. Questa è un’ancora di salvezza per coniugi o familiari coinvolti loro malgrado.
- Conversione nel pignoramento mobiliare (presso debitore): Anche nei pignoramenti mobiliari su cose, la conversione è possibile e utile. Tipicamente, se un ufficiale giudiziario ha pignorato macchinari o merce di un’azienda, il titolare può volerli riscattare pagando il debito ed evitare che l’azienda si blocchi per mancanza di attrezzature. In queste procedure, rispetto agli immobili, i tempi di vendita sono spesso più rapidi (aste gestite dall’IVG in poche settimane). Ciò significa che il debitore deve muoversi prontamente per convertire, altrimenti rischia che la vendita sia già fissata. La conversione mobiliare, soprattutto dopo il 2015, beneficia della rateizzazione (prima non prevista): dunque anche l’artigiano o il commerciante con beni pignorati può ottenere fino a 36 mesi (ora 48 mesi) per pagare. Un aspetto pratico: i beni mobili pignorati spesso rimangono custoditi dallo stesso debitore (l’ufficiale può lasciare i beni lì con obbligo di custodia) oppure vengono portati in un magazzino giudiziario. Se il debitore chiede la conversione e versa subito 1/6, può chiedere al G.E. contestualmente di essere autorizzato a continuare ad usare i beni in pendenza delle rate (soprattutto se servono all’attività). Formalmente il vincolo rimane, ma i giudici tendono a non essere troppo oppressivi se il debitore sta pagando. In caso di decadenza, ovviamente i beni dovranno essere venduti – se erano rimasti presso il debitore, il custode li riprenderà e li manderà all’asta. Dunque il debitore deve sempre tenere a mente di conservarli intatti. – Vantaggio: anche per i mobili, evitare l’asta può ridurre costi e evitare esiti pessimi (a volte i beni mobili all’asta fruttano pochissimo rispetto al valore). Col denaro, i creditori prendono il valore pieno del credito, mentre il debitore se tiene il bene ne preserva il valore d’uso (per lui magari un macchinario vale molto più di quanto terzi pagherebbero usato).
- Conversione nel pignoramento presso terzi (crediti): Questo è il caso peculiare. Come già detto, la legge ammette la conversione anche qui, ma senza rateizzazione. In un pignoramento di crediti, in effetti, spesso la somma da pignorare è già liquida e disponibile (es: i soldi sul conto corrente del debitore). Se il debitore vuole “convertire” un tale pignoramento, significa che preferisce sbloccare quel credito presso terzo e sostituirlo con denaro suo. Ma se i soldi sul conto ci sono, potrebbe lasciarli lì – verranno assegnati al creditore. Quindi quando ha senso? Due possibili situazioni:
- Quando il credito pignorato presso terzi non copre tutto il debito. Esempio: sul conto ci sono €5.000 ma il debito è €15.000. Il creditore col pignoramento del conto prenderebbe 5k e poi magari inizierebbe altre azioni per il resto. Il debitore potrebbe voler evitare ulteriori esecuzioni e procedimenti: chiedendo la conversione, versa 1/6 di 15k = €2.500 e si impegna a pagare i restanti €12.500 (subito, perché non rateizzabile). Così chiude l’intera partita e ottiene lo sblocco del conto. Questa scelta avrebbe senso se il debitore dispone di risorse altrove o ottiene un prestito per coprire il gap, preferendo risolvere in un colpo solo.
- Quando il debitore vuole evitare la pubblicità o gli effetti di un pignoramento sul terzo. Ad esempio, il pignoramento dello stipendio notifica al datore di lavoro la morosità del dipendente – per alcuni debitori questo è fonte di vergogna o rischio professionale. Convertire quel pignoramento (cioè pagare ciò che si deve in un colpo solo) permette di far cessare immediatamente la trattenuta sullo stipendio e chiudere la faccenda in modo riservato. Ovviamente, deve trovare i fondi per farlo. In pratica è come se il debitore stesso versasse il montante che altrimenti sarebbe stato trattenuto in 5 anni; se ha la disponibilità (es. aiuti familiari, liquidazione TFR, ecc.), può farlo.
- Procedure esecutive speciali e conversione: Oltre ai casi classici, ci sono procedure come il pignoramento di beni indivisi, il pignoramento di fondi patrimoniali, etc. La conversione è tendenzialmente ammessa in tutte le espropriazioni forzate di beni (mobiliari o immobiliari) a carattere individuale. Non è invece applicabile in esecuzioni diverse dall’espropriazione (esecuzioni per consegna, obblighi di fare, ecc., dove non c’è un bene da vendere ma altro da eseguire). Negli espropri contro la Pubblica Amministrazione (rari, soggetti a regole particolari come il pagamento a certe condizioni) la conversione è concettualmente possibile ma di solito la PA paga direttamente se deve. Un terreno particolare sono i pignoramenti presso l’Agente della Riscossione (es. Equitalia, ora Agenzia Entrate-Riscossione) per debiti fiscali: in tali casi vige una normativa speciale (ad esempio la “impignorabilità prima casa” per Equitalia o possibilità di rateazioni amministrative del debito fiscale). La conversione ex art. 495 si applica ugualmente in teoria, ma spesso il debitore preferisce utilizzare gli strumenti propri del sistema fiscale (rateizzazioni tributarie) piuttosto che la conversione giudiziale. In ogni caso, nulla nel codice esclude che anche in un pignoramento immobiliare promosso dal Fisco il debitore possa convertire (versando il dovuto in sede giudiziaria). Semplicemente, in tali situazioni ci sono spesso norme speciali e conviene confrontarsi con un legale esperto in esecuzioni tributarie.
Riassumendo: la conversione è trasversale alle varie forme di esecuzione, ma risulta particolarmente vantaggiosa nei pignoramenti immobiliari e mobiliari, dove concede respiro e tutela il valore del bene, mentre è meno incisiva (pur ammessa) nei pignoramenti di crediti, dove l’esecuzione stessa ha già natura pecuniaria.
Vantaggi e svantaggi della conversione del pignoramento (per il debitore)
Dal punto di vista del debitore esecutato, la conversione del pignoramento rappresenta una strategia difensiva importante. Tuttavia non è priva di rischi e oneri. Di seguito sintetizziamo i principali vantaggi e svantaggi della conversione, in modo da valutare con cognizione di causa se e quando convenga attivarla.
Vantaggi principali:
- Salvaguardia dei beni di proprietà: il debitore evita di perdere la titolarità dei beni pignorati. Questo è cruciale per beni come la casa di abitazione, beni strumentali dell’azienda, ecc. Mantenendo i beni, il debitore preserva il suo patrimonio e spesso la sua fonte di reddito (si pensi a un macchinario aziendale: se venduto, l’azienda chiude; se paghi il debito e lo tieni, l’azienda continua).
- Evitare aste giudiziarie “al ribasso”: nelle vendite forzate, soprattutto immobiliari, i beni vengono spesso aggiudicati a prezzi inferiori al valore di mercato, specie dopo ribassi successivi. Ciò significa che il debitore oltre al danno di perdere il bene, magari rimane anche debitore per la parte non coperta (es: casa venduta a prezzo basso, debito non integralmente estinto). Con la conversione, il debitore paga il dovuto ma conserva il bene, beneficiando in futuro di eventuale plusvalore. In pratica, se il bene vale più del debito, la conversione è senz’altro vantaggiosa perché il debitore evita di “regalare” la differenza agli acquirenti d’asta e di vedersela restituire al netto delle spese.
- Tempi più lunghi per pagare (se rate autorizzate): la conversione consente un piano di pagamento fino a 4 anni, che è spesso molto più dilazionato rispetto ai tempi di incasso di un pignoramento (un’asta immobiliare può concludersi in 6-12 mesi, un pignoramento dello stipendio prende una quota mensile tipicamente in 1-5 anni a seconda dell’importo – quest’ultimo caso è simile a una rateizzazione però imposta). Con le rate giudiziali, il debitore ottiene di fatto una dilazione legale del proprio debito, senza bisogno di accordo del creditore e senza dover fornire garanzie (il bene pignorato rimane garanzia).
- Chiarezza sull’importo dovuto: il giudice fissa una volta per tutte quanto si deve pagare, includendo spese e interessi fino a quel punto. Il debitore ha un quadro chiaro e può pianificare i pagamenti, senza timore di sorprese (salvo interessi scalari già previsti). Nell’esecuzione normale, le spese possono continuare a crescere indefinitamente finché il procedimento dura; con la conversione c’è una sorta di “cristallizzazione” (anche se spese come custodia continuano a maturare, ma in misura minore rispetto a organizzare aste).
- Sospensione azioni esecutive ulteriori sul bene: una volta avviata la conversione, il bene non verrà venduto a terzi, quindi il debitore non rischia che arrivino acquirenti o che gli venga chiesto di lasciare casa, ecc., purché rispetti i pagamenti. Questo dà tranquillità al debitore e spesso anche alla sua famiglia o alla sua attività.
- Mantenere la riservatezza e la reputazione: evitare la vendita pubblica all’asta (che comporta pubblicità sul portale delle vendite, manifesti, ecc.) può avere benefici anche d’immagine, soprattutto per imprenditori o professionisti. Inoltre, nel pignoramento presso terzi, convertire significa togliere il coinvolgimento di terzi (datore di lavoro, banca) nel lungo periodo.
- Costi potenzialmente minori rispetto a una lunga esecuzione: come accennato, l’assenza di fasi come pubblicità d’asta, trasferimenti, compensi delegato, significa che quelle spese non verranno sostenute. Certo, il debitore paga comunque le spese di esecuzione già maturate, ma può fermare l’emorragia di ulteriori spese. Ad esempio, se un immobile è convertito prima dell’asta, non si pagheranno le spese di pubblicazione sul sito o eventuali commissioni d’asta. Inoltre, il debitore risparmia eventualmente sulla penale del ritardo: se un creditore aveva diritto a interessi di mora alti, pagando ratealmente con interessi legali il debitore forse paga un tasso minore di quello contrattuale (questo è caso specifico: se il tasso contrattuale era più alto del legale, gli conviene la conversione perché il giudice applica solo il legale per il periodo di rateizzazione, salvo patto contrario).
- Possibilità di rinegoziazione del debito esterno: mentre è in corso la conversione, il debitore può provare a ristrutturare il proprio debito con altri mezzi (un mutuo di consolidamento, vendere volontariamente altri beni non pignorati, ottenere liquidità). Il fatto di avere tempo fino a 4 anni gli dà modo eventualmente di rifinanziarsi. Alcuni debitori, ad esempio, utilizzano la conversione come ponte per vendere con calma l’immobile sul mercato a un prezzo migliore e pagare il debito: formalmente il bene è pignorato e non vendibile, ma nulla vieta di trovare un accordo col creditore per sospendere la conversione e vendere privatamente il bene se c’è un acquirente a buon prezzo (ci vorrebbe però revoca del pignoramento – procedura non immediata, ma possibile se creditori acconsentono dietro pagamento). Insomma, la conversione compra tempo prezioso.
Svantaggi e rischi:
- Impegno finanziario significativo: il debitore deve comunque reperire una somma iniziale importante (almeno il 16,67% del debito) subito, e poi l’intero importo del debito (100%) in un arco di tempo relativamente breve. Per chi è già in difficoltà (tanto da subire un pignoramento), non è banale trovare liquidità. Questo è il maggior deterrente: la conversione è utile solo se il debitore ha concrete possibilità economiche di farvi fronte. Se il debito è enorme e il debitore nullatenente (a parte il bene pignorato), la conversione rischia di essere solo una spesa aggiuntiva prima dell’inevitabile.
- Decadenza e perdita della cauzione: come spiegato, se il debitore fallisce nei pagamenti, perde sia i soldi che aveva messo che il bene. Quindi c’è un elevato rischio: la cauzione 1/6 e le rate versate sono in gioco. Invece, se lasciasse procedere l’asta senza pagare nulla, potrebbe almeno conservare la liquidità (anche se poi i creditori potrebbero attaccare altro). Insomma, la conversione è una scommessa: se vinta, salva tutto; se persa, peggiora la perdita.
- Interessi e costi aggiuntivi durante le rate: se ottiene 48 mesi, il debitore paga su quel periodo interessi (seppur legali o convenzionali). Quindi alla fine sborsa più del capitale originario – ma questo sarebbe successo comunque per via degli interessi di mora. Inoltre, come visto, se l’esecuzione prevede custodia per 4 anni, il custode verrà pagato anche in quei 4 anni dai fondi versati. Quindi alcune spese di esecuzione continuano a maturare. Non bisogna illudersi che convertire blocchi ogni costo: semplicemente sposta i costi da possibili futuri a costi certi integrati nel piano.
- Beni vincolati fino all’ultimo pagamento: per tutta la durata della conversione, il debitore non può disporre liberamente dei beni pignorati. Non può venderli, nemmeno se magari troverebbe un acquirente che pagherebbe di più. E se li danneggia o ne perde il possesso, ne risponde come custode. Quindi i beni sono “congelati”. Se il debitore aveva pensato, ad esempio, di vendere la casa per pagare il debito, la conversione non glielo consente direttamente (avrebbe dovuto piuttosto fare un’opposizione con richiesta di sospensione e tentare la vendita privata con accordo dei creditori).
- Nessuno sconto sul debito: a differenza di una trattativa stragiudiziale dove magari un creditore accetta un saldo e stralcio (pagare meno del dovuto), con la conversione il debitore deve pagare tutto il capitale, interessi e spese. Non c’è possibilità di riduzione dell’importo per gentile concessione: è un pagamento integrale. Dunque, per chi sperava in un compromesso vantaggioso (“pago il 70% e chiudiamo”), la conversione non è lo strumento adatto – occorre piuttosto tentare un accordo transattivo col creditore fuori dal processo.
- Vincolo di esclusività (una sola chance): il debitore deve essere sicuro nel momento in cui chiede la conversione, perché poi non potrà più cambiare idea o riprovarci se qualcosa va storto. Questa irrevocabilità può essere uno svantaggio se le condizioni economiche peggiorano: non c’è modo di dire “non ce la faccio più, ridatemi il bene e tenete i soldi”. No, andrà avanti comunque a vendere.
- Possibile coinvolgimento di altri creditori: come visto, se altri creditori intervengono tempestivamente, il debitore magari pensava di dover pagare X e invece dovrà pagare X+Y. Questo può complicare i piani finanziari. Tuttavia, dopo l’ordinanza, il pericolo di nuovi creditori è molto minore. Quindi è uno svantaggio relativo e limitato alla fase iniziale.
- Procedura comunque complessa: per un profano, attivare la conversione richiede seguire iter formali, calcoli, relazionarsi con tribunale e creditori. Serve quasi sempre l’assistenza di un legale. Ciò comporta altri costi (parcella dell’avvocato) e la necessità di capire meccanismi non banali. Insomma, non è automatico come premere un bottone; il debitore deve investire tempo e avere organizzazione.
- Nessuna liberatoria dai protesti o segnalazioni creditizie: Questo è un dettaglio: se il debitore era incappato in protesti, pignoramenti iscritti, segnalazioni CRIF a seguito del mancato pagamento originario, il fatto di convertire e pagare dopo il pignoramento non cancella retroattivamente quegli eventi sul suo record. Rimarrà, ad esempio, la nota che quell’immobile fu pignorato (seppur poi rilasciato) e rimangono eventuali segnalazioni di sofferenza (anche se poi saldate). Quindi, in termini di reputazione creditizia, la conversione arriva un po’ tardi: sarebbe stato meglio pagare prima di subire pignoramento. Tuttavia, almeno evita l’onta dell’espropriazione conclamata (asta).
- Impatto su procedure concorsuali: se il debitore è un imprenditore in crisi e valuta procedure concorsuali (es. concordato preventivo, piano del consumatore, ecc.), l’aver intrapreso la conversione potrebbe interferire. Ad esempio, se poi dichiara fallimento prima di aver finito di pagare, i soldi versati diventano attivi della procedura? E il bene è ancora pignorato – i creditori escutenti dovranno restituire qualcosa? Situazione complessa. In generale, se c’è rischio d’insolvenza generalizzata, forse conversione non è la strada migliore; meglio trattare in sede concorsuale con tutti i creditori.
Possiamo riassumere i pro e contro in una tabella schematica:
Vantaggi vs Svantaggi della Conversione
Vantaggi (per il debitore) | Svantaggi/Rischi (per il debitore) |
---|---|
Mantiene la proprietà dei beni (evita la vendita forzata) | Deve pagare tutto il dovuto (nessuno sconto sul debito) |
Può ottenere una dilazione fino a 48 mesi (se immobiliare/mobiliare) | Richiede liquidità immediata (cauzione 1/6) e impegno finanziario elevato |
Evita le aste giudiziarie (niente aggiudicazione a terzi) | Se decade, perde sia i soldi versati sia i beni (che verranno venduti) |
Valorizza il bene: il debitore ne conserva l’utilità economica e affettiva (specie la casa) | Beni restano vincolati fino a saldo completo (non può disporne liberamente) |
Saldo integrale = fine dell’esecuzione (stop pignoramento al saldo) | Procedura complessa, da seguire con attenzione (necessario supporto legale) |
Evita ulteriori spese d’asta e riduce i costi futuri di procedura | Continua maturazione di alcuni costi (es. interessi, custodia) durante il piano |
Tempi certi e pianificabili per chiudere il debito | Unica opportunità: non si può provare e poi tornare indietro (no seconda istanza) |
Migliore immagine: niente vendita pubblica, rapporto diretto coi creditori (soddisfatti per intero) | Non adatta se si sperava in trattativa al ribasso col creditore (meglio accordo stragiud.) |
In definitiva, la conversione conviene al debitore in situazioni in cui ci tiene ai beni pignorati e ha realistiche possibilità di pagare il dovuto (magari grazie a redditi futuri, aiuto di parenti, liquidazione di altri asset). È una buona soluzione per evitare la perdita della prima casa, o per evitare che macchinari vitali finiscano all’asta. Invece, non è praticabile (o è molto rischiosa) se il debitore è totalmente insolvibile, perché rischierebbe solo di posticipare l’inevitabile con ulteriore dispendio. In tal caso, meglio lasciare procedere l’asta o cercare altre tutele (come le procedure da sovraindebitamento se persona fisica, o il fallimento/LCA se impresa).
Dal punto di vista del creditore, giova ricordare, la conversione non è affatto uno svantaggio: il creditore anzi ottiene soddisfazione integrale del credito (mentre dall’asta poteva anche ricavare meno e dover rinunciare a parte). Un eventuale svantaggio per il creditore può essere solo il tempo in più se rate (deve aspettare fino a 4 anni, incassando semestralmente) e il dover confidare che il debitore paghi. Ma data la possibilità di far decadere e vendere, il rischio per il creditore è mitigato: se il debitore non paga, il creditore ha comunque in mano almeno la cauzione e può subito riprendere l’azione.
Esempi pratici di conversione del pignoramento
Per comprendere in concreto l’applicazione di questo istituto, presentiamo alcune simulazioni pratiche ambientate nel contesto italiano. Questi esempi aiutano a chiarire come operano le norme in casi reali.
Esempio 1: Conversione di pignoramento immobiliare (prima casa del debitore)
Situazione: Mario Rossi è proprietario di un appartamento (dove risiede con la famiglia) del valore di circa €200.000. A causa di un debito bancario di €80.000 impagato (mutuo in sofferenza), la banca ottiene un decreto ingiuntivo non opposto e procede con pignoramento immobiliare sull’appartamento. Viene avviata l’esecuzione immobiliare presso il Tribunale competente. Mario è disperato perché rischia di perdere la casa.
Scenario senza conversione: l’esecuzione farebbe il suo corso: nomina di stimatore, valore immobile ad esempio €180.000, tentativi d’asta. Dato il mercato depresso, è probabile che l’immobile venga aggiudicato magari a €120.000 al terzo tentativo. Con €120.000 la banca (creditore procedente) recupererebbe il suo credito di €80.000 più spese, e l’eventuale eccedenza (tolte le spese) tornerebbe a Mario. Mario però perderebbe casa e riceverebbe forse un residuo di €30-40k (differenza fra prezzo e debito).
Scenario con conversione: Mario, con l’aiuto di parenti, racimola dei fondi. Prima dell’udienza di autorizzazione alla vendita, presenta istanza di conversione ex art. 495 c.p.c. Calcoliamo: il debito di Mario verso banca al momento è €80.000 di capitale + interessi e spese legali diciamo €5.000, totale €85.000. Mario deve depositare almeno 1/6 = circa €14.167. Con aiuto dei familiari, versa €15.000 su libretto e chiede conversione, domandando anche 36 mesi di tempo (perché conta di ripagare i parenti piano piano e usare stipendio).
All’udienza, il G.E. verifica che nessun altro creditore è intervenuto (solo la banca). Aggiorna un po’ gli interessi (il debito è salito a €86.000). Aggiunge le spese della procedura fin lì (registro, custodia, perito se già nominato – supponiamo €2.000). Totale da versare = €88.000. Mario ha già depositato €15.000, residuo €73.000. Il giudice, vista la natura di prima casa e il fatto che Mario ha un lavoro fisso, concede rate mensili per 36 mesi. Tasso interesse: legale (per semplicità). Quindi Mario dovrà pagare ~€2.028 al mese (più un piccolo interesse decrescente). Mario e la famiglia fanno sacrifici: destinano gran parte dello stipendio alle rate, e ricevono magari un contributo mensile dai genitori. Ogni sei mesi, la banca ritira circa €12.000 (più interessi) dalle somme versate.
Esito: Mario riesce a rispettare il piano, magari l’ultima rata la paga vendendo l’auto secondaria di famiglia. Dopo 3 anni, ha pagato tutto €88.000 + circa €7.000 di interessi = ~€95.000. La banca è soddisfatta integralmente. Il Tribunale dichiara estinta l’esecuzione e ordina la cancellazione del pignoramento sull’immobile di Mario. Mario mantiene la proprietà della casa. Ha dovuto pagare più del debito iniziale (tra interessi e spese), ma ha salvato la prima casa, cosa per lui di enorme valore. Inoltre, ha evitato che la casa venisse svenduta a €120k: la casa ne vale 200k, e ora che è libera Mario potrebbe un domani venderla lui stesso a prezzo pieno se vuole (ovviamente l’ha tenuta). In definitiva, la conversione è stata provvidenziale per lui.
Cosa sarebbe successo se Mario non fosse riuscito a pagare qualche rata? – Se ad esempio dopo un anno Mario avesse saltato due rate (oltre 30 giorni di ritardo), la banca avrebbe chiesto la decadenza. Il giudice avrebbe revocato la rateizzazione e ordinato la vendita. A quel punto l’immobile sarebbe andato all’asta (magari a €130k). La banca avrebbe preso i €15k cauzione + ~€10k di rate pagate = €25k, poi dall’asta avrebbe preso altri €60k per arrivare a suo 85k, e il resto della vendita (es. €70k) sarebbe tornato a Mario. Però Mario avrebbe perso la casa e avrebbe “sprecato” €25k che potevano altrimenti essergli restituiti come surplus. Quindi avrebbe peggiorato il suo ritorno economico. Ecco perché la conversione è un’arma a doppio taglio se non portata a termine.
Esempio 2: Conversione di pignoramento mobiliare (macchinari aziendali)
Situazione: La ditta individuale di Giovanni, falegname, ha debiti verso un fornitore per €30.000. Il fornitore ottiene un decreto ingiuntivo e pignora alcuni macchinari presenti nella falegnameria (banco sega, levigatrice, ecc., del valore stimato sui €20.000 usati). Senza questi macchinari Giovanni non può lavorare. L’ufficiale giudiziario glieli lascia in custodia ma affigge i cartelli “bene pignorato” sulla macchina.
Problema: L’IVG fissa un’asta tra 2 mesi per vendere i macchinari. Probabilmente, essendo macchinari usati, all’asta frutteranno forse €10.000 o poco più (pochi compratori). Giovanni perderebbe gli strumenti di lavoro e resterebbe comunque debitore per la differenza (€20k residui).
Soluzione con conversione: Giovanni vuole assolutamente evitare di perdere i macchinari (senza, chiude bottega). Decide di chiedere la conversione: il debito complessivo verso fornitore al momento è €30.000 + interessi €1.000 + spese €2.000 = €33.000. Deve depositare almeno €5.500 (un sesto). Riesce a farsi prestare da un amico €6.000, che versa immediatamente come cauzione. Chiede conversione e 24 mesi di rate (non osa chiedere 48 perché 48 è per immobili, ma in realtà la legge ora gliene darebbe fino 48 anche per mobili – comunque decide di proporre 24 mesi perché spera di rifarsi col lavoro).
All’udienza, nessun altro creditore è intervenuto. Il G.E. controlla: il ricavato stimato dall’asta sarebbe incerto, ma con conversione c’è prospettiva di pagamento pieno. Determina la somma: il creditore aggiorna un po’ interessi, in totale €33.500. Giovanni ha versato €6.000, restano €27.500. Il giudice gli concede 24 rate mensili da ~€1.150 + interessi ciascuna. Tasso legale. Giovanni dal suo fatturato mensile ricava a fatica quella cifra, stringendo la cinghia ce la può fare. I macchinari restano in azienda, pignorati ma utilizzabili. Ogni sei mesi il creditore prende 6 x 1.150 ~ €6.900 (più interessi) dalle somme versate. Dopo 2 anni Giovanni ha pagato tutto ~€33.500 + €1.000 di interessi = €34.500.
Esito: L’esecuzione è estinta, i macchinari vengono liberati dal vincolo. Giovanni ha tenuto i suoi attrezzi e grazie a quelli ha potuto guadagnare e pagare il debito. Ha pagato un po’ di più (34,5k invece di 33k) ma ha evitato la catastrofe economica. Inoltre il creditore è stato soddisfatto interamente, cosa che all’asta non sarebbe successa (se all’asta prendeva 10k, per altri 23k avrebbe forse dovuto inseguire Giovanni con altri pignoramenti su altri beni o rinunciare se nulla trovava). Quindi è stato vantaggioso anche per il creditore.
Nota: Se Giovanni avesse fallito i pagamenti (ad es. ritardo di 2 mesi su una rata), i €6.000 iniziali + eventuali rate sarebbero rimasti pignorati, e il giudice avrebbe ordinato all’IVG di procedere con l’asta dei macchinari. Giovanni avrebbe perso gli strumenti e i 6k già versati sarebbero stati magari l’unica somma recuperata dal creditore (se l’asta fosse andata pure deserta, alla fine il creditore avrebbe incassato solo i 6k e avrebbe dovuto rinunciare al resto o cercare altro). Quindi per il creditore il rischio c’era, ma in questo caso è andata bene.
Esempio 3: Conversione di pignoramento presso terzi (stipendio)
Situazione: Lucia è un’impiegata con stipendio netto €1.500 al mese. Ha un debito personale di €10.000 con una finanziaria (prestito non rimborsato). La finanziaria ottiene un decreto ingiuntivo e pignora presso terzi il suo stipendio presso il datore di lavoro. In base alla legge, le viene trattenuto 1/5 dello stipendio, quindi €300 al mese, fino a estinguere i €10.000 più interessi.
Sviluppo normale: Lucia subirebbe una decurtazione di €300 mensili per circa 3 anni (36 mesi) più interessi. In totale pagherebbe circa €11.000 in 3 anni. Ogni mese vede però lo stipendio ridotto, e in azienda sanno del suo problema finanziario (cosa che la mette a disagio).
Conversione possibile? Lucia vorrebbe liberarsi subito di questa situazione per non avere più trattenute né “macchie” sul lavoro. Decide di valutare la conversione. Il debito complessivo al momento del pignoramento è diciamo €10.000 + €500 spese legali + interessi €200 = €10.700. Un sesto = circa €1.783 da depositare. Lucia ha qualche risparmio e riesce a depositare €2.000 di colpo. Chiede conversione senza rate (perché sa che tanto la legge non gliele consente su stipendio pignorato) – di fatto dichiara di voler pagare tutto immediatamente. All’udienza, il G.E. verifica che essendo pignoramento di credito, la conversione è ammissibile ma senza rate. Determina la somma (con interessi ulteriori e spese di esecuzione – per fortuna poche, solo contributo unificato e notifica – totale poniamo €10.800). Lucia ha versato €2.000, rimangono €8.800 da pagare. Il giudice le dà un termine breve, ad es. 60 giorni per versare il saldo €8.800. Lucia ottiene un piccolo prestito dalla famiglia e dalla banca (ironicamente, ora che non ha più pignoramento mensile può impegnare il TFR per un prestito). Versa entro 60 giorni gli €8.800.
Esito: Il giudice revoca l’ordinanza di assegnazione dello stipendio, il datore di lavoro viene avvisato di cessare le trattenute. Lucia paga in totale €10.800 e chiude il debito in 2 mesi, anziché trascinarsi la trattenuta per 3 anni. Per lei è un sollievo: torna a percepire €1.500 pieni ogni mese. Ha dovuto sborsare soldi subito, ma era in grado. Inoltre, la finanziaria ottiene immediatamente i suoi €10.800 invece di incassarli a rate in 3 anni.
Analisi: In questo caso, la conversione per Lucia è servita sostanzialmente a liberare lo stipendio. Non le ha dato vantaggi finanziari (ha pagato la stessa somma, anzi leggermente di più immediatamente). È stata più una scelta di comodità e reputazione. Non tutti i debitori in questi casi fanno conversione: molti preferiscono subire la trattenuta, che è di fatto una “rateizzazione forzata senza interessi” (sul quinto stipendio, di solito non si computano ulteriori interessi dopo l’assegnazione). Lucia però, supponiamo, aveva bisogno di riavere lo stipendio intero perché magari doveva chiedere un mutuo e con la trattenuta non glielo avrebbero concesso. Quindi ha preferito togliersi il pignoramento di mezzo.
E se Lucia non fosse riuscita a pagare il saldo entro i 60 giorni? – L’istanza di conversione sarebbe decaduta per inadempimento (omesso versamento importo determinato), i €2.000 sarebbero rimasti al creditore a parziale pagamento, e il pignoramento dello stipendio sarebbe ripreso per la parte restante. Non avrebbe perso beni (perché non c’erano beni in gioco se non lo stipendio stesso), ma avrebbe versato €2.000 subito e poi comunque i successivi €8.000 a rate forzate. Insomma, avrebbe solo anticipato €2.000 inutilmente.
Come si vede da questi esempi, la conversione è molto efficace nei primi due casi (immobile e macchinari) dove ha permesso di evitare la vendita e le perdite connesse. Nel terzo caso è più che altro una scelta di “accelerare” il pagamento per chiudere la questione (utile se si hanno le risorse).
Domande frequenti sulla conversione del pignoramento (FAQ)
Di seguito una serie di domande comuni che debitori, professionisti o curiosi possono porsi in tema di conversione del pignoramento, con risposte concise basate sulla normativa vigente al 2025 e sulle prassi dei tribunali.
- D: Che cos’è in poche parole la conversione del pignoramento?
R: È la procedura che permette al debitore esecutato di evitare la vendita forzata dei propri beni pignorati, sostituendoli con una somma di denaro. In pratica, il debitore paga ai creditori l’importo dovuto (capitale, interessi, spese) e così “riscatta” i beni, che non saranno venduti all’asta. - D: Quando posso chiedere la conversione? C’è un termine di scadenza?
R: Va chiesta prima che il giudice disponga la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati. In termini pratici, entro l’udienza in cui viene eventualmente autorizzata la vendita (per immobili/mobili) o disposta l’assegnazione (presso terzi). Se si supera quel momento (ad es. bene già aggiudicato), la conversione non è ammessa. Conviene attivarsi il prima possibile dopo il pignoramento, senza aspettare l’imminenza dell’asta. - D: Quante volte si può chiedere la conversione?
R: Una sola volta per ciascun processo esecutivo. La legge prevede l’istanza unica a pena di inammissibilità. Ciò significa che se la presenti e poi decadi (perché non paghi le rate), non puoi ripresentarla. Se rinunci dopo averla presentata, non puoi poi riprovarci. È un “colpo” unico. - D: Servono requisiti particolari per poterla chiedere?
R: Devi: 1) presentare l’istanza tempestivamente (come detto, ante vendita); 2) depositare una somma pari ad almeno 1/6 del totale del credito pignorato (inclusi eventuali creditori intervenuti). Questo deposito cauzionale è obbligatorio e va fatto insieme all’istanza, altrimenti l’istanza non viene accettata. Non occorrono altri requisiti soggettivi (chiunque debitore, persona fisica o società, può chiederla se soddisfa quei punti). - D: In che modo si effettua il deposito del sesto?
R: Di solito versando la somma su un libretto di deposito giudiziario o conto vincolato intestato alla procedura, tramite la cancelleria del tribunale competente. Molti tribunali hanno sportelli postali o bancari interni. Bisogna aprire un libretto a nome della procedura esecutiva e versarvi l’importo. La ricevuta/libretto va allegata all’istanza. In alternativa, alcune cancellerie accettano assegni circolari intestati al tribunale da convertire in deposito. È bene informarsi presso la cancelleria esecuzioni locale sulle modalità specifiche. - D: Posso presentare l’istanza da solo o serve un avvocato?
R: La legge non impone il ministero di un avvocato per la conversione (è un’istanza interna all’esecuzione, e il debitore può agire personalmente). Tuttavia, è altamente consigliato farsi assistere da un legale, perché occorre calcolare correttamente gli importi, redigere l’istanza secondo i formalismi e seguire l’udienza in tribunale. Inoltre, dal 2023 molti atti vanno depositati telematicamente dagli avvocati. Quindi, pur potendo teoricamente far da sé, nella pratica quasi tutti i debitori operano tramite un avvocato di fiducia. - D: Devo pagare qualche contributo o tassa per la domanda?
R: Non si paga contributo unificato nuovo (la procedura esecutiva è già iscritta a ruolo dal creditore). Bisogna però apporre una marca da bollo da €16 sull’istanza. Altri eventuali costi: diritti di cancelleria per copie o per eventuali provvedimenti (di solito pochi euro) e naturalmente l’eventuale parcella dell’avvocato. - D: Cosa succede dopo che presento l’istanza?
R: Il giudice fissa un’udienza entro 30 giorni. All’udienza sentirà le parti, controllerà la regolarità dell’istanza (tempistica e deposito 1/6) e calcolerà la somma totale da pagare. Emana quindi un’ordinanza in cui stabilisce l’importo dovuto e l’eventuale rateizzazione (numero rate, interessi, scadenze). Da quel momento, il debitore dovrà pagare secondo le modalità fissate. L’esecuzione rimane sospesa riguardo alla vendita in attesa dei pagamenti. - D: Il giudice può rifiutare la conversione anche se ho rispettato i requisiti?
R: La conversione è un diritto del debitore se rispetta i presupposti. Quindi il giudice non può negarla arbitrariamente. Se la domanda è tempestiva e la cauzione corretta, l’istanza va accolta. Ciò che è discrezionale è la concessione delle rate: il giudice valuta i “giustificati motivi” e potrebbe decidere di non concedere rate e pretendere il saldo immediato. Ma di norma, se l’importo è consistente e il debitore lo richiede, le rate vengono concesse, specie per immobili o importi alti, perché anche la legge incoraggia la rateizzazione (48 mesi). In sintesi: conversione in sé – sì, se hai i requisiti; rate – quasi sempre sì per importi rilevanti, no se pignoramento di crediti (per legge) o se il giudice percepisce che non servono. - D: Fino a quante rate posso ottenere e a quali condizioni?
R: Puoi ottenere un pagamento dilazionato in rate mensili fino a un massimo di 48 mesi (4 anni), ma solo se i beni pignorati sono mobili o immobili. Per i pignoramenti presso terzi (crediti) la rateizzazione non è consentita dalla legge. Il giudice concede le rate se ci sono motivazioni valide – ad esempio, difficoltà a pagare in unica soluzione ma possibilità di pagare col tempo grazie a redditi periodici. Sugli importi rateizzati pagherai gli interessi (al tasso contrattuale se c’era, altrimenti legale) calcolati via via sulle somme residue. Il giudice tipicamente predisporrà un piano con importo di ogni rata e scadenza mensile fissa (es: “entro il 5 di ogni mese”). La durata esatta la decide il giudice in base all’importo e alle circostanze: non è obbligato a dare il massimo, può dare meno mesi se ritiene. - D: Che differenza c’è tra la rateizzazione ex art. 495 c.p.c. e la trattenuta del quinto dello stipendio?
R: La trattenuta del quinto (nel pignoramento presso terzi) è anch’essa una forma di pagamento rateale forzato, però:- Si applica solo su stipendi/pensioni, mentre la rate ex art.495 si può avere su qualsiasi bene (immobile o mobiliare).
- La trattenuta non necessita di istanza del debitore, anzi avviene automaticamente se il creditore la chiede, ma richiede che esista un terzo (datore/INPS) che versi mensilmente.
- Inoltre, la trattenuta del quinto non copre interessi futuri: di solito il creditore che ottiene l’assegnazione del quinto non può chiedere ulteriori interessi di mora oltre a quelli eventualmente già calcolati (perché prende mese per mese). Mentre le rate ex art.495 prevedono interessi sul residuo.
- Infine, la conversione con rate è un accordo processuale col debitore volontario, la trattenuta è coattiva.
In pratica, se hai stipendio pignorato e vuoi rateizzare diversamente (magari su più anni di quanti servirebbero al quinto? ma 1/5 è anch’esso variabile col reddito), la conversione ti serve solo se vuoi liberare lo stipendio e magari diluire su più tempo con risorse alternative. Molti debitori trovano più comodo subire il quinto (che è “automatico” e spesso senza interessi di mora aggiuntivi) piuttosto che attivarsi per conversione – a meno che, come l’esempio di Lucia, non abbiano motivi particolari per volersi liberare subito.
- D: Cosa succede se non pago una rata o ritardo nei pagamenti?
R: L’ordinanza di conversione stabilisce che se ometti o ritardi di oltre 30 giorni il pagamento anche di una sola rata, perdi il beneficio della rateizzazione. In tal caso, le somme che hai già versato rimangono nella procedura e il giudice ordina immediatamente la ripresa dell’esecuzione: il bene pignorato verrà venduto (o assegnato) come se la conversione non ci fosse mai stata, usando anche i soldi che avevi versato per pagare in parte i creditori. Quindi attenzione: un piccolo ritardo (meno di 30 giorni) di solito non fa decadere – però bisogna leggere l’ordinanza, alcuni giudici sono tassativi – ma oltre i 30 giorni scatta la decadenza automatica. Dopo la decadenza non puoi più chiedere una nuova conversione e il tuo bene andrà all’asta. In sintesi: se non sei sicuro di riuscire a sostenere le rate, è pericoloso intraprendere la conversione. - D: Se decade la conversione, i soldi che avevo versato mi vengono restituiti?
R: No. Le somme versate (cauzione e eventuali rate) diventano parte del “monte” dell’esecuzione e verranno distribuite ai creditori. Non ti tornano indietro. Al più, se alla fine della vendita forzata risulterà che hai pagato più del dovuto – ipotesi remota – l’eventuale eccedenza ti sarebbe resa, ma normalmente quello che hai versato verrà assorbito dal debito e anzi forse non basterà. Quindi considera quei soldi come persi se non completi la conversione. - D: I creditori possono opporsi o rifiutare la conversione?
R: Non possono opporsi nel merito. La legge dice che il debitore ha diritto alla conversione e non c’è spazio per un’opposizione dei creditori su questo. I creditori possono al massimo segnalare se l’istanza è tardiva o se la cauzione è insufficiente (cioè far rilevare motivi di inammissibilità). Ma se tutto è regolare, devono accettare la conversione. Né possono rifiutare i soldi – una volta che il giudice ordina la conversione, i creditori devono incassare quanto dovuto e basta. Questo è anche logico: ricevono il 100% del loro credito più interessi, non hanno nulla di lecito da opporre. - D: Cosa succede ai creditori che intervengono dopo la mia istanza? Devo pagare anche loro?
R: Sì, se intervengono prima che il giudice determini la somma in ordinanza, verranno inclusi nel conteggio. Se invece spuntano dopo l’ordinanza di conversione, in teoria non potrebbero più essere soddisfatti da quella somma (che è già ripartita sui creditori noti). In pratica, il termine utile per essere considerati è fino all’udienza in cui il G.E. provvede. Dunque, se hai più debiti, sappi che i creditori che intervengono tempestivamente nel pignoramento potranno far lievitare l’importo da pagare. Il consiglio è: se vuoi convertire, cerca di coinvolgere eventualmente tutti i creditori noti, magari avvisandoli che stai per pagare così intervengono (paradossalmente conviene avere il quadro completo). Dopo l’ordinanza, eventuali altri creditori dovrebbero iniziare un nuovo pignoramento altrove o sperare che la conversione fallisca. Ma se tu completi i pagamenti, i creditori che non erano intervenuti rimangono fuori da quella procedura e potranno al limite aggredire altri beni separatamente. - D: Posso vendere o ipotecare il bene pignorato durante la conversione?
R: No, il bene resta sotto pignoramento fino al pagamento integrale. Ciò significa che non puoi validamente venderlo a terzi (un bene pignorato non è liberamente trasferibile se non vuoi che il pignoramento lo segua) e non puoi ipotecarlo (la presenza di un pignoramento blocca nuove ipoteche). Quindi, durante la conversione non puoi usare il bene come garanzia per ottenere un prestito, ad esempio, perché c’è già il vincolo del pignoramento. Solo a saldo pagato e con l’ordinanza di estinzione del giudice potrai riottenere la piena disponibilità. Nota bene: se trovi un acquirente disposto a comprare il bene pignorato mentre sei a metà conversione, dovresti coinvolgere i creditori e il giudice per eventualmente interrompere la conversione e procedere con una vendita concordata che saldi il debito – ma è una strada complessa, senza garanzie. Diciamo che, una volta avviata la conversione, l’aspettativa è che tu tenga il bene. - D: La conversione elimina tutti i miei debiti?
R: Elimina (pagandoli) i debiti oggetto di quella specifica esecuzione. Quindi i creditori procedente e intervenuti in quel pignoramento verranno soddisfatti e non potranno più agire contro di te (il debito verso di loro è estinto). Però, se hai altri debiti con altri creditori che non hanno partecipato, quelli restano e costoro potrebbero avviare altre azioni esecutive su altri beni. La conversione è su base “procedura per procedura”. Ovviamente, pagando quei creditori ne avrai in totale di meno, quindi il tuo indebitamento scende. Ma non è una soluzione globale come potrebbe essere un piano del consumatore o un concordato che abbraccia tutti i debiti. È limitata a quelli inclusi nel pignoramento specifico. - D: La conversione incide sulla segnalazione in Centrale Rischi o sui protesti?
R: Purtroppo, no direttamente. Se eri segnalato come cattivo pagatore o avevi un protesto, saldare il debito migliora la tua posizione (perché risulti aver poi pagato), ma la segnalazione di insolvenza pregressa potrebbe restare per il tempo previsto (di solito 36 mesi per CRIF dalla regolarizzazione). Diciamo che non peggiora ulteriormente: ad esempio, evitare il pignoramento dell’immobile evita l’asta e l’eventuale pubblicità su bollettini delle procedure esecutive, il che è positivo per la tua reputazione, ma se ad esempio avevi un mutuo in sofferenza, la banca ti avrà già segnalato in centrale rischi quando eri moroso. Quella segnalazione rimane storicizzata, però verrà aggiornata a “creditore soddisfatto, posizione chiusa”. Inoltre, in Conservatoria dei Registri Immobiliari rimarrà traccia dell’avvenuto pignoramento (anche se poi risolto): la nota di pignoramento verrà cancellata, ma l’evento storico è ricostruibile. In ogni caso, tra subire un’espropriazione completa o risultare che c’è stato un pignoramento poi risolto per pagamento, è sicuramente meglio il secondo per l’affidabilità creditizia. - D: Se il bene era in comproprietà con mia moglie (che non è debitrice), può lei pagare per conversione?
R: Sì, spesso i tribunali ammettono che anche il comproprietario non debitore presenti istanza di conversione. In fondo, la legge parla di “debitore” ma la Cassazione ha inquadrato il comproprietario non obbligato come soggetto passivo dell’espropriazione (perché il suo bene è coinvolto) con un certo grado di legittimazione. Per sicurezza, alcuni tribunali chiedono che l’istanza sia comunque formalmente presentata dal debitore ma con i fondi forniti dal terzo. In pratica comunque la sostanza è che la conversione può essere utilizzata come strumento per salvare l’intero bene indiviso: la moglie di solito preferisce pagare il debito del marito piuttosto che vedersi vendere la casa e ricevere poi forse la metà del ricavato. Quindi sì, il familiare comproprietario può attivarsi (spesso con delega del debitore o in sua vece). Per esempio il Tribunale di Milano lo scrive espressamente (debitore o comproprietario non esecutato, o un loro delegato). - D: E se il bene pignorato è la casa coniugale ma di proprietà solo del debitore, il coniuge non proprietario può fare qualcosa?
R: Se il coniuge non è proprietario, non può direttamente usare l’art.495 (perché non è comproprietario, né debitore). Potrebbe però aiutare finanziariamente il debitore a eseguire la conversione. Ad esempio, la moglie non proprietaria può mettere i soldi per la cauzione e le rate, ma l’istanza la deve fare formalmente il marito debitore. In alternativa, se parliamo di casa familiare assegnata in separazione ecc., quello è un altro tema: la conversione può essere chiesta solo dal debitore proprietario (o comproprietario come detto). Il coniuge non debitore non proprietario purtroppo non ha un titolo per intervenire nel processo esecutivo se non come occupante. - D: Se durante le rate la mia situazione economica peggiora, posso chiedere di modificare il piano?
R: In linea di massima no. L’ordinanza di conversione è “fissa”. Non è previsto che il giudice possa darti più tempo di quello che ha già concesso o rivedere le rate. L’unica possibilità sarebbe cercare un accordo coi creditori: ad esempio, se hai difficoltà, puoi chiedere al creditore di non attivare subito la decadenza in caso di ritardo (il creditore può attendere e non segnalare il ritardo oltre 30 giorni, ma è rischioso perché la norma dice “decadenza di diritto”). O addirittura potresti trattare un saldo stralcio extra-giudiziale: tipo “non riesco a pagare tutto, ho già versato tot, se vi do un altro tot finale possiamo chiuderla qui?” – però sarebbe fuori dal processo, richiederebbe l’accordo formale di tutti i creditori e la rinuncia all’esecuzione. Non è impossibile (magari i creditori preferiscono evitare di riattivare asta e accettano un po’ meno), ma richiede la volontà dei creditori. Il giudice da solo non può alterare l’ordinanza se non viene revocata la conversione e tornati come prima (in cui caso potresti proporre nuova conversione ma non si può, essendo una volta sola). Quindi è complicato. Meglio computare bene la sostenibilità prima. - D: Conviene di più la conversione o cercare un accordo col creditore prima che pignori?
R: Conviene sempre agire il prima possibile. Se riesci a trovare un accordo col creditore prima del pignoramento o appena pignorato (ad esempio vendendo volontariamente un bene e pagando il debito, o concordando un saldo a stralcio), è spesso migliore: eviti spese legali, eviti magari di pagare interamente (il creditore potrebbe fare uno sconto per pronta cassa). La conversione interviene quando il pignoramento già c’è e non c’è stata intesa diretta. A quel punto, è un’ancora di salvezza rimasta. Ma se puoi trattare prima, fallo. Ovvio però che se il creditore non vuole sconti e pretende tutto, la conversione formalizza il pagamento integrale in modo ordinato. In pratica: se hai liquidità e il creditore è disponibile a transare a importo inferiore, sfrutta la via stragiudiziale; se il creditore non sente ragioni o vuole tutto, allora la conversione è uno strumento istituzionale per pagarlo ma salvare i beni. - D: Dopo la conversione, il creditore può pentirsi e tornare a pignorare?
R: No, se hai pagato il dovuto secondo l’ordinanza, il creditore è soddisfatto e l’esecuzione finisce. Non può certo tenersi i soldi e poi pignorare di nuovo per lo stesso credito – mancherebbe il presupposto del credito impagato. Quello che può succedere semmai: se per errore non hai pagato proprio tutto (es: dimenticati €100 di interessi perché calcolo errato), tecnicamente il credito residua e il creditore potrebbe pretendere il delta. In tal caso di solito se ne accorge la cancelleria nel progetto di distribuzione e semmai quell’importo andrà integrato. Ma in generale, una volta chiusa la procedura per conversione integrale, il creditore non ha più nulla da esigere e qualsiasi ulteriore azione sarebbe illegittima (potresti opporla facilmente mostrando che hai pagato).
Queste FAQ coprono i quesiti più comuni. Naturalmente, ogni caso concreto può presentare dubbi particolari: è sempre opportuno, in situazioni di pignoramento, consultare un avvocato specializzato in esecuzioni per valutare il da farsi.
Tabelle riepilogative
Per facilitare la comprensione, riportiamo alcune tabelle riassuntive dei punti chiave sulla conversione del pignoramento: i termini e tempi principali, i costi da considerare, le possibilità di accoglimento e una sintesi dei pro & contro.
Termini e tempistiche della conversione
Evento/Attività | Tempistica/Scadenza |
---|---|
Presentazione istanza di conversione | Prima che sia disposta la vendita/assegnazione (in pratica: prima dell’ordinanza ex art. 569 c.p.c. per immobili, prima dell’aggiudicazione/assegnazione, prima dell’ordinanza ex art. 552 c.p.c. per crediti). (Termine ultimo = momento dell’aggiudicazione o assegnazione anche provvisoria). |
Deposito cauzionale minimo (1/6) | Contestualmente all’istanza (stesso giorno, anzi insieme all’istanza – requisito di ammissibilità). |
Fissazione udienza dal G.E. | Entro 30 giorni dal deposito dell’istanza (salvo carichi di lavoro – la legge prevede “non oltre 30 gg”). |
Udienza di determinazione somma | Circa 20-30 giorni dopo l’istanza (coincide con l’udienza fissata). In tale sede il giudice emette l’ordinanza determinativa. |
Versamento saldo se no rate | Termine fissato dal G.E. nell’ordinanza (di solito breve: ad es. 30 o 60 giorni dalla data dell’ordinanza, a sua discrezione). |
Versamento rate se concesse | Rate mensili alle scadenze fissate (es: ogni 1° del mese). Durata massima piano 48 mesi (4 anni), ma il giudice può fissare durata minore secondo il caso concreto. |
Pagamento interessi su rate | Generalmente pagati a scalare con le rate stesse; il G.E. spesso dispone che siano conteggiati entro l’ultima rata. Tasso convenzionale se previsto, altrimenti tasso legale. |
Distribuzione ai creditori | Ogni 6 mesi il G.E. dispone il pagamento/riparto delle somme versate fino a quel momento (i creditori devono eventualmente presentare istanza). |
Termine di tolleranza ritardo rate | 30 giorni: ritardo superiore a 30 gg su una scadenza comporta decadenza. (In passato era 15 giorni, ora 30 post riforma 2019.) |
Decadenza e ripresa vendita | Se dichiarata decadenza, il G.E. dispone “senza indugio” la vendita/aste. I tempi quindi riprendono subito (l’asta viene fissata appena possibile). |
Liberazione dei beni dal pignoramento | Dopo versamento integrale della somma sostitutiva. Il G.E. emanerà provvedimento di svincolo/cancellazione pignoramento una volta accertato il pagamento totale (può essere subito dopo l’ultima rata). |
Chiusura della procedura esecutiva | Con l’ordinanza di estinzione per pagamento integrale; tempi: immediati dopo il saldo finale. (Segue cancellazione formale di pignoramento e ipoteche col provvedimento). |
Opposizione agli atti esecutivi | 20 giorni dall’ordinanza di conversione se si intendono contestare importi o vizi dell’ordinanza (non sospende salvo provvedimento espresso). |
Voci di costo nella conversione
Voce di costo | Dettagli |
---|---|
Deposito cauzionale (1/6) | Importo minimo obbligatorio = 16,67% circa del credito pignorato + crediti intervenuti (importo complessivo). Questo non è un costo aggiuntivo ma un acconto sul debito che verrà poi distribuito ai creditori. Deve però essere versato subito in liquidità dal debitore. |
Marca da bollo istanza | €16,00 (una tantum, per la domanda in cancelleria). |
Eventuali diritti di cancelleria | Di solito esigui (pochi euro) – ad esempio per copie autentiche dell’ordinanza finale, o diritti per la richiesta di cancellazione pignoramento (spese vive di registro ecc.). Dal 2023 molti pagamenti avvengono telematicamente. |
Compenso avvocato | Variabile – se il debitore si avvale di un legale, ci saranno onorari per la preparazione istanza, l’udienza e il seguito (spesso parametrati al valore del debito). Questo non rientra nelle spese di esecuzione a carico del debitore di diritto (cioè il debitore se lo paga da sé). |
Interessi sul debito rateizzato | Se vengono concesse rate, sul residuo dilazionato maturano interessi (scalari). – Tasso: convenzionale pattuito nel titolo (es. tasso di mora del mutuo) oppure, se non previsto, tasso legale. – Importo: dipende da importo residuo e durata. Esempio: €50.000 residui su 4 anni al 5% legale → ~ €5.000 di interessi totali. Questi interessi vengono aggiunti alle somme da versare (inclusi nell’ultima rata di solito). |
Spese della procedura esecutiva | Il debitore, con la conversione, si fa carico di tutte le spese di esecuzione già maturate. Sono inserite nella somma da versare. Tipicamente: contributo unificato iniziale (pagato dal creditore), compenso dell’eventuale custode giudiziario, compenso del perito/stimatore, spese di eventuali pubblicazioni d’asta già effettuate, ecc. Se la conversione avviene presto, queste spese saranno minori; se avviene a ridosso dell’asta, magari molte spese sono già state fatte (annunci, etc.). NB: Non sono “costi della conversione” in sé, ma costi del pignoramento che comunque alla fine paga il debitore se vuole liberare il bene. |
Contributo di distribuzione (eventuale) | In caso di riparto tra più creditori, a fine procedura può essere dovuto un contributo (0,5% sulle somme distribuite oltre 46.000€) come da art. 2770 c.c. e art. 122 DPR 115/02. Questo onere di solito è a carico del debitore in sede di distribuzione finale. Viene trattenuto dalle somme versate. Se c’è un solo creditore procedente, spesso non si formalizza un progetto di distribuzione e non viene applicato. |
Spese di cancellazione | Dopo il pagamento integrale, occorre cancellare la trascrizione del pignoramento e eventuali ipoteche iscritte dal procedente. Il provvedimento del G.E. di estinzione è esente da bollo e registro, ma la cancellazione in conservatoria comporta delle spese vive (imposte ipotecarie fisse, bolli per nota di cancellazione). Sono dell’ordine di poche centinaia di euro, a seconda dei casi. Queste spese in genere vengono anticipate dal creditore procedente e messe tra le spese di esecuzione rimborsabili – oppure il debitore le paga direttamente al professionista che fa la cancellazione. |
Nota: Nel contesto della conversione, non ci sono “commissioni” o penali specifiche da pagare allo Stato o al giudice: la procedura in sé richiede solo quel bollo di €16. Il grosso dei costi è rappresentato dal dover sborsare il 100% del debito più interessi e spese, cosa ovvia dato che si sta saldando tutto.
Possibilità di accoglimento dell’istanza
Aspetto | Probabilità di accoglimento | Note |
---|---|---|
Conversione in sé | Molto alta (se requisiti rispettati) 😃 | Il giudice deve ammettere la conversione se l’istanza è presentata nei termini e con cauzione ≥1/6. I creditori non possono opporsi efficacemente. Solo cause di inammissibilità (deposito tardivo o cauzione insufficiente) potrebbero impedirla. |
Rateizzazione | Abbastanza alta (nei casi ammessi) 🙂 | Il giudice ha discrezionalità: “se ricorrono giustificati motivi”. In pratica, per beni mobili/immobili e debiti consistenti, solitamente viene concessa fino a un massimo (spesso il massimo 36 o 48 mesi). Se il debito è piccolo o il giudice ritiene che il debitore possa pagare subito (o dubita della sua affidabilità), potrebbe negare le rate e chiedere saldo immediato. Ma è raro negarle senza motivo, perché la rateizzazione facilita il pagamento. Non ammessa per pignoramenti di crediti presso terzi (quindi probabilità zero in quei casi). |
Riduzione importo dovuto (sconto) | Nessuna (salvo errori di calcolo) 😕 | La conversione prevede pagamento integrale di crediti e spese. Il giudice non può ridurre l’importo del debito. Può solo eventualmente correggere errori (escludere somme non dovute se contestate con opposizione). Per ottenere sconti bisogna fare accordi transattivi al di fuori dell’art.495. |
Seconda istanza di conversione | Nessuna (non ammesso) 🚫 | Come detto, una volta usufruito della conversione (o se decaduta), non è proponibile una seconda istanza nella medesima esecuzione. |
In sintesi: se il debitore fa tutto correttamente, la conversione è praticamente un esito garantito. La parte su cui c’è un margine di incertezza è la concessione delle rate; tuttavia, la prassi è piuttosto benevola nel riconoscerle purché la situazione le giustifichi.
Vantaggi e svantaggi (riepilogo sintetico)
Già ampiamente discussi, riassumiamo i principali vantaggi e svantaggi dal punto di vista del debitore in forma di elenco:
Vantaggi della conversione (per il debitore):
- Evita la perdita definitiva dei beni pignorati (salvaguardia del patrimonio personale o aziendale).
- Se concessa rateizzazione, permette di pagare il debito gradualmente (fino a 4 anni) invece che immediatamente o in un’unica soluzione.
- Elimina l’incertezza dell’asta: niente rischio di svendita del bene a prezzi bassi.
- Mantiene la disponibilità/utilizzo del bene durante il piano di pagamento (il debitore spesso può continuare ad abitarlo/usarlo).
- Arresta l’accumulo di ulteriori spese processuali (es. niente spese di pubblicità, di trasferimento, compenso delegato d’asta, ecc., che ci sarebbero se si proseguisse con la vendita).
- Soddisfa integralmente i creditori, quindi libera il debitore da quel debito specifico (posizione debitoria “pulita” verso quei creditori una volta pagato).
- Meno pubblicità e “stigma”: la procedura non arriva alla fase pubblica di vendita, preservando la riservatezza (per quanto possibile) e l’immagine del debitore (utile per professionisti/imprese).
- Può favorire la riorganizzazione finanziaria del debitore: avendo tempo, può trovare fondi, vendere altri cespiti non pignorati per pagare, ecc.
Svantaggi/rischi della conversione (per il debitore):
- Necessario reperire subito liquidità per cauzione e comunque avere capacità di pagamento dell’intero importo (impegno gravoso per chi è già in difficoltà).
- Nessuna riduzione del debito: occorre pagare 100% del dovuto + spese + interessi (nessun taglio).
- Se non riesce a pagare nei termini, il debitore perde sia i soldi versati sia i beni (che verranno venduti comunque), aggravando la sua posizione.
- I beni restano bloccati fino al saldo finale: non può disporne per altri fini (rivenderli, ipotecarli per ottenere finanziamenti, ecc.).
- Gli interessi continuano a maturare sul debito durante il periodo di rate (anche se al tasso legale, comunque è un costo aggiuntivo).
- C’è un solo tentativo disponibile: una volta avviata la conversione, il debitore deve portarla a termine positivamente o subire le conseguenze, non c’è opportunità di riprovarci.
- Può essere complesso gestirla senza assistenza (burocrazia, calcoli, adempimenti).
- Non “protegge” da eventuali altri debiti esterni: se il debitore ha altri creditori non intervenuti, quelli possono attaccare altri beni (la conversione non è un accordo generale coi creditori, ma una soluzione per quelli di quella procedura).
Le circostanze individuali del debitore determinano se i vantaggi superano gli svantaggi. In molti casi di beni essenziali o di valore superiore al debito, la conversione è quasi un must per il debitore; in altre situazioni di insolvenza generalizzata, potrebbe essere non praticabile e il debitore magari preferisce soluzioni concorsuali o lasciare procedere la singola esecuzione.
Normativa, giurisprudenza e fonti principali (agg. 2025)
- Codice di Procedura Civile, art. 495 – Conversione del pignoramento. (Testo normativo vigente al 2025: introdotto R.D. 1443/1940, success. modifiche fino a D.L. 135/2018 conv. L. 12/2019). Definisce i presupposti e la procedura della conversione (ante vendita, deposito 1/6, rate max 48 mesi, decadenza 30 gg, unica istanza).
- Codice di Procedura Civile, art. 492 co.3. (Avvertimento nell’atto di pignoramento sulla facoltà di conversione e cauzione). NB: non aggiornato dal 2019 – riporta ancora “un quinto” invece di “un sesto”.
- Codice di Proc. Civ., artt. 530, 552, 569 c.p.c. – Norme richiamate in art. 495 c.p.c. per identificare gli atti di vendita/assegnazione nelle varie procedure (vendita mobili, ordinanza assegnazione crediti presso terzi, ordinanza vendita immobili).
- Codice di Proc. Civ., artt. 599–600 c.p.c. – Esecuzione su beni indivisi (pignoramenti in comproprietà). Prevedono avviso ai comproprietari e possibilità di divisione; giurisprudenza ha riconosciuto legittimazione del comproprietario non debitore a intervenire (anche mediante conversione).
- Decreto Legge 14/12/2018 n. 135, art. 4 co.1–4, conv. da L. 11/02/2019 n. 12 – Modifica dell’art. 495 c.p.c. (in vigore dal 13/02/2019). Principali novità: cauzione ridotta a un sesto (prima era un quinto), rateizzazione estesa a 48 mesi (prima 36), ritardo oltre 30 giorni causa decadenza (prima 15 gg). Disposizione transitoria: nuove norme non applicabili a esecuzioni iniziate prima della data di entrata in vigore.
- Riforma 2015 – D.L. 83/2015, conv. L. 132/2015. Aveva esteso rateizzazione alle esecuzioni mobiliari e portato durata max a 36 mesi, introducendo liberazione dei beni solo a saldo e regola decadenza 15 gg. (Indicata in ).
- Legge 26/11/1990 n. 353 (riforma processo civile 1990) – Introdusse cauzione 1/5 e abolì rateizzazione (indicata in ).
- Cassazione Civile, Sez. Unite, sent. 30/11/2006 n. 25507 – Principio: la conversione non è più ammessa dopo aggiudicazione provvisoria o assegnazione del bene. Fissa il momento ultimo utile per l’istanza di conversione. Confermata da Cass. 688/2012.
- Cass. Civ., Sez. III, sent. 24/01/2012 n. 940 – Stabilisce che nel determinare la somma per la conversione il giudice deve includere anche i crediti di chi interviene dopo l’istanza ma prima dell’ordinanza di conversione. Conversione come strumento satisfattivo integrale delle ragioni creditorie. (Pronuncia richiamata da Cass. 411/2020).
- Cass. Civ., Sez. VI-III, ord. 13/01/2020 n. 411 – Conferma orientamento tradizionale: includere creditori intervenuti fino all’udienza dell’ordinanza. Ricorso ex art. 111 Cost rigettato come manifestamente infondato. (Cita Cass. 940/2012 sopra).
- Cass. Civ., Sez. III, sent. 28/09/2009 n. 20733 – Chiarisce che l’ordinanza di conversione è soggetta a opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c. e in tale sede si possono contestare anche l’ammontare dei crediti e l’esistenza di crediti intervenuti. L’opposizione mira solo a rettificare la somma di conversione; fa stato nel processo esecutivo (non fuori).
- Cass. Civ., Sez. II, sent. 06/04/2009 n. 8250 – Afferma che la determinazione della somma da versare è una valutazione sommaria: il G.E. non deve accertare definitivamente esistenza/ammontare di ogni credito o prelazione (questioni rinviate alla fase di distribuzione, salvo opposizioni). Il debitore può sempre fare opposizione all’esecuzione per contestare l’esistenza del credito, ma nel frattempo la conversione va avanti sul dato sommario.
- Cass. Civ., Sez. III, sent. 03/09/2007 n. 18538 – Ribadisce che l’ordinanza ex art.495 non risolve contestazioni sui crediti e l’opposizione agli atti contro di essa richiede motivi specifici (non basta dire “somma fissata non corrisponde al dovuto”).
- Cass. Civ., Sez. Unite, sent. 19/07/1990 n. 7378 – (Vecchia pronuncia SU del 1990) ha operato un revirement: affermò che l’istanza di conversione sospende il processo esecutivo fino a decisione. Inoltre affrontò la legittimazione: considerò il coniuge non debitore ma comproprietario come soggetto passivo dell’esecuzione (questo concetto è citato in dottrina). (Gran parte superato dalle riforme successive).
- Cass. Civ., Sez. Unite, ord. 06/04/2023 n. 9479 – (Non strettamente sulla conversione ma rilevante in ambito esecuzioni/debitore). Ha stabilito un importante principio: se l’esecuzione immobiliare si fonda su un titolo esecutivo formato da decreto ingiuntivo non opposto contenente clausole abusive (es. usura, costi illegittimi in contratti bancari), il G.E. deve sospendere l’esecuzione per consentire al debitore di opporsi tardivamente a quel titolo. Ciò apre una possibilità di difesa per il debitore anche tardivamente, in casi eccezionali, sospendendo il pignoramento. (Sentenza di grande impatto nel 2023, segnalata perché enfatizza la tutela del debitore esecutato in presenza di illegittimità del titolo).
- Tribunale di Torino – Sito istituzionale, scheda “Conversione del Pignoramento per esecuzioni iniziate dal 13/02/2019”, aggiornata al 28/02/2023. Contiene spiegazione divulgativa dell’istituto (cos’è, chi può chiederla – debitore, senza avvocato – come si svolge, nota bene decadenza). Indica marca da bollo €16 e fornisce modulo fac-simile. (Utile come riferimento pratico locale).
- Tribunale di Milano – Guida rapida (sito giustizia), pagina “Conversione del pignoramento”. Elenca: Art.495 c.p.c.; “CHI PUÒ FARLO: il debitore esecutato o il comproprietario non esecutato o un loro delegato”; “DOVE: Cancelleria esecuzioni”; presumibilmente indica documenti e costi analoghi a Torino (non accessibile completamente, citato da snippet). Conferma la prassi di ammettere anche il comproprietario non debitore.
Conclusione: La conversione del pignoramento ex art.495 c.p.c. è uno strumento prezioso nell’arsenale del debitore esecutato per gestire la fase esecutiva a proprio vantaggio (nei limiti del possibile), offrendo una via d’uscita onorevole: pagare i debiti e salvare i propri beni. Questa guida ha illustrato il funzionamento, le condizioni e le implicazioni dell’istituto alla luce della normativa aggiornata al 2025 e della più recente giurisprudenza, fornendo al lettore – sia esso professionista o parte coinvolta – una visione completa e avanzata dell’argomento. Sempre, in tali materie, si raccomanda di agire con tempestività e cognizione di causa, eventualmente facendosi assistere da professionisti, per sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla legge e non incorrere in passi falsi.
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Conclusione
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