Hai ricevuto un atto di precetto o un pignoramento rivolto alla tua azienda? Hai paura che possano bloccare la tua attività, sequestrare beni, conti o addirittura metterti all’asta l’impresa? Se ti trovi in questa situazione, è fondamentale capire come funziona davvero il pignoramento di un’azienda e cosa puoi fare per difenderti.
Ma cosa può essere pignorato in un’azienda? E quali sono le conseguenze per chi continua a lavorare ogni giorno tra clienti, fornitori e dipendenti?
Quando il creditore agisce contro un’impresa, può richiedere il pignoramento non solo dei beni mobili (come macchinari, attrezzature, computer), ma anche del ramo d’azienda nel suo complesso: cioè l’attività nel suo insieme, con tutto ciò che serve per farla funzionare.
Il pignoramento può colpire:
- i beni materiali dell’impresa (arredi, strumenti, magazzino),
- i crediti verso clienti, bloccando gli incassi,
- i conti correnti aziendali,
- oppure l’intera azienda, come valore economico unitario.
E cosa succede dopo il pignoramento? Posso continuare a lavorare o vengo subito bloccato?
No, l’attività non si ferma automaticamente. Se viene pignorata l’azienda nel suo complesso, il giudice nomina un custode giudiziario, che può anche essere il titolare stesso, autorizzato a proseguire la gestione fino alla vendita all’asta o alla definizione della procedura. Tuttavia, ogni atto compiuto va autorizzato, e le limitazioni operative possono essere molto pesanti.
Si può evitare questo blocco? Ci sono soluzioni per fermare o sospendere il pignoramento?
Sì. In molti casi è possibile agire in via legale con un’opposizione al pignoramento, o presentare una proposta di saldo e stralcio, rateazione o procedura concorsuale (come la composizione negoziata o il concordato minore), che possono sospendere o congelare l’azione esecutiva.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in pignoramenti aziendali, procedure esecutive e tutela del patrimonio d’impresa – ti spiega come funziona il pignoramento di un’azienda, cosa può essere colpito, quali sono i rischi concreti e come possiamo aiutarti a bloccare o gestire questa procedura prima che sia troppo tardi.
Hai ricevuto un pignoramento e temi di perdere la tua attività? Vuoi sapere se puoi ancora difenderti o salvare l’azienda prima che venga messa all’asta?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: valuteremo la tua situazione, analizzeremo la legittimità dell’azione esecutiva e costruiremo insieme una strategia legale per proteggere la tua impresa e continuare a lavorare con serenità.
Introduzione
Il pignoramento di un’azienda è la procedura attraverso cui i creditori soddisfano coattivamente i propri crediti aggredendo i beni di un’impresa debitrice. Si tratta di un tema complesso che unisce norme di diritto processuale civile, aspetti di diritto commerciale e considerazioni fiscali. In questa guida giuridica avanzata – aggiornata a giugno 2025 – forniremo una trattazione approfondita e divulgativa del pignoramento dei beni aziendali, rivolta tanto a professionisti legali quanto a imprenditori e privati.
Dapprima esamineremo tutte le fasi del processo esecutivo, dall’atto di precetto iniziale fino alla distribuzione del ricavato e alle possibili opposizioni. Approfondiremo poi le modalità di pignoramento diretto dell’azienda – comprendente beni mobili, immobili e l’avviamento – e il pignoramento presso terzi dei crediti aziendali (come quelli verso clienti, banche o altri soggetti). Saranno messi in luce i profili particolari legati alle diverse forme giuridiche d’impresa (ditta individuale, società di persone, S.r.l., S.p.A., ecc.), nonché i riflessi fiscali e tributari dell’esecuzione forzata (IVA, IRAP, imposte dirette, ritenute).
Per rendere più concreta la trattazione, proporremo alcune simulazioni pratiche dal punto di vista del debitore, illustrando cosa accade in casi tipici di pignoramento aziendale. Troverete inoltre tabelle riepilogative con i principali termini procedurali e i mezzi di impugnazione, e una sezione di domande frequenti (FAQ) che chiarisce i dubbi più comuni. Infine, chiuderemo con un elenco delle fonti normative e giurisprudenziali rilevanti aggiornate al 2025, includendo riferimenti a Codici, leggi speciali e sentenze di merito e legittimità.
Scopo di questa guida è fornire un quadro organico e completo di “come funziona il pignoramento di un’azienda”, unendo rigore giuridico e chiarezza espositiva. Conoscere a fondo la materia è cruciale non solo per gli avvocati, ma anche per imprenditori e privati cittadini, dato che un numero crescente di imprese ha sperimentato azioni esecutive negli ultimi anni. Comprendere diritti, doveri e strumenti di tutela può fare la differenza tra subire passivamente una procedura e gestire attivamente le proprie opzioni in sede legale.
Le fasi del processo esecutivo aziendale
Il pignoramento di un’azienda avviene all’interno del più ampio processo di esecuzione forzata, che è scandito da una serie di atti e fasi ben precise. Di seguito analizziamo in ordine logico tutte le tappe fondamentali dell’esecuzione forzata per espropriare i beni di un debitore, con particolare attenzione al contesto aziendale:
- Atto di precetto – l’intimazione formale di pagamento che precede il pignoramento.
- Pignoramento – l’atto iniziale dell’esecuzione forzata che vincola i beni del debitore.
- Custodia dei beni pignorati – la gestione e conservazione dei beni sequestrati durante la procedura.
- Vendita forzata o assegnazione – l’alienazione coattiva dei beni pignorati per convertirli in denaro.
- Distribuzione del ricavato – il riparto delle somme ricavate tra i creditori aventi diritto.
- Interventi di altri creditori e concorso – la partecipazione di eventuali creditori concorrenti.
- Opposizioni e impugnazioni – i rimedi giudiziali del debitore o di terzi contro atti illegittimi o illeciti della procedura.
Esaminiamo ciascuna fase in dettaglio.
Atto di precetto
Il precetto è l’atto che dà formale avviso al debitore dell’intenzione di procedere a esecuzione forzata se non adempie spontaneamente. In pratica, è un’intimazione di pagamento notificata dal creditore (tramite il suo avvocato) al debitore, contenente l’ingiunzione a pagare quanto dovuto entro un termine non inferiore a 10 giorni. Il precetto deve indicare con precisione il titolo esecutivo su cui si fonda (ad esempio una sentenza passata in giudicato, un decreto ingiuntivo esecutivo, una cambiale protestata, ecc.), l’importo del credito, gli interessi e le spese dovute, nonché le generalità delle parti.
Scaduto il termine concesso (di regola 10 giorni dalla notifica), in mancanza di pagamento volontario il creditore può dare avvio all’esecuzione forzata vera e propria tramite pignoramento. È importante notare che l’atto di precetto ha una validità limitata nel tempo: se il pignoramento non viene eseguito entro 90 giorni dalla notifica del precetto, quest’ultimo perde efficacia (art. 481 c.p.c.) e il creditore dovrà notificare un nuovo precetto per procedere oltre. In altre parole, il precetto “scade” dopo 90 giorni se non segue un pignoramento, a garanzia che l’azione esecutiva inizi tempestivamente.
Il precetto rappresenta dunque un momento chiave, perché costituisce l’ultimo avvertimento al debitore: pagando in questa fase può ancora evitare le gravi conseguenze patrimoniali del pignoramento. Dal punto di vista formale, il precetto deve contenere l’intimazione ad adempiere, l’indicazione del titolo esecutivo e deve essere redatto in modo conforme alle norme (pena la possibilità per il debitore di opporvisi per vizi formali). Con le riforme più recenti, il legislatore ha richiesto che nel precetto sia inserito anche un avvertimento circa la possibilità per il debitore di avvalersi di strumenti di composizione della crisi debitoria (come la procedura di sovraindebitamento di cui si dirà più avanti), a conferma dell’attenzione a bilanciare le ragioni del credito con la necessità di non “uccidere” l’impresa debitrice meritevole di prosecuzione.
Il pignoramento: cos’è e come si esegue
Il pignoramento è l’atto con cui si apre ufficialmente il processo esecutivo e si vincolano i beni del debitore al soddisfacimento del credito forzoso. In termini giuridici, il pignoramento costituisce l’ingiunzione rivolta dall’ufficiale giudiziario al debitore di astenersi da qualunque atto di disposizione dei beni individuati, assoggettandoli così alla successiva fase di liquidazione coattiva. Due effetti fondamentali discendono infatti dal pignoramento:
- da un lato, i beni pignorati diventano inedificabili o comunque non trasferibili validamente dal debitore a terzi: eventuali atti di vendita, donazione o costituzione di garanzie fatti dopo il pignoramento non hanno effetto nei confronti del creditore procedente (art. 2913 c.c.);
- dall’altro, quei beni vengono destinati forzatamente alla soddisfazione dei creditori, tramite la loro successiva vendita all’asta o assegnazione diretta ai creditori stessi, con distribuzione del ricavato secondo le regole del concorso.
In sostanza, col pignoramento si “congelano” determinati beni del patrimonio del debitore, mettendoli sotto tutela dell’autorità giudiziaria, in vista della liquidazione forzata. Esso è quindi il perno attorno a cui ruota l’intera esecuzione forzata.
Forma e tipi di pignoramento: il codice di procedura civile prevede diverse modalità operative di pignoramento a seconda della natura dei beni da colpire:
- Il pignoramento mobiliare presso il debitore si attua tipicamente mediante l’accesso fisico dell’ufficiale giudiziario presso la sede dell’azienda o gli altri luoghi appartenenti al debitore (es. magazzini, uffici, stabilimenti) per individuare e inventariare i beni mobili da pignorare. L’ufficiale redige un verbale di pignoramento descrivendo i beni e ingiungendo al debitore di non sottrargli, eventualmente nominando custode il debitore stesso o un’altra persona. Ad esempio, macchinari, arredi, materie prime e merci in giacenza dell’azienda possono essere pignorati in questo modo.
- Il pignoramento immobiliare (espropriazione di beni immobili o diritti reali immobiliari) si esegue mediante notifica di un atto di pignoramento al debitore e la successiva trascrizione nei registri immobiliari. L’atto identifica l’immobile (o il terreno) di proprietà dell’azienda che viene sottoposto a esecuzione. Dopo la notifica, il creditore deve procedere all’iscrizione a ruolo e a depositare la documentazione ipocatastale (visure, certificati) entro termini perentori. L’immobile pignorato non può più essere venduto dal debitore, ed è destinato alla vendita forzata sotto controllo del tribunale.
- Il pignoramento presso terzi (o pignoramento di crediti verso terzi) si esegue anch’esso mediante la notifica di un atto sia al debitore sia al terzo debitore del debitore. In tale atto il creditore ingiunge al terzo di non pagare al debitore le somme dovute (o di non restituire i beni mobili del debitore eventualmente detenuti), dovendo invece destinarle alla procedura esecutiva. Questa forma è utilizzata, ad esempio, per bloccare somme su conti correnti bancari, crediti commerciali vantati dall’azienda verso i clienti, canoni di affitto dovuti da conduttori dell’azienda, ecc. Esamineremo nel dettaglio più avanti il meccanismo del pignoramento presso terzi.
Qualunque sia la forma, il pignoramento rappresenta il primo atto del processo espropriativo. Esso deve essere eseguito da un ufficiale giudiziario, su istanza del creditore munito di titolo esecutivo e precetto. L’ufficiale può accedere nei locali dell’impresa anche senza il consenso del titolare, eventualmente richiedendo l’assistenza della forza pubblica se necessario. Nel verbale (o nell’atto notificato, in caso di pignoramento “indiretto”) vengono specificati i beni o crediti pignorati e formulata l’ingiunzione al debitore ex art. 492 c.p.c. di astenersi da atti dispositivi su di essi.
Efficacia e tempi: il pignoramento imprime un vincolo immediato sui beni indicati, ma questo vincolo non può protrarsi indefinitamente senza iniziative da parte del creditore. Le recenti riforme normative, volte ad accelerare le esecuzioni, hanno ridotto i tempi morti: oggi il pignoramento perde efficacia se entro 45 giorni dalla sua esecuzione il creditore procedente non deposita l’istanza di vendita o di assegnazione dei beni pignorati. In altre parole, dopo aver pignorato i beni, il creditore deve attivarsi entro un mese e mezzo chiedendo al Giudice dell’Esecuzione di procedere alla liquidazione forzata; altrimenti il vincolo si dissolve e i beni tornano liberi. Questa novità (introdotta dal 2021/2022) ha dimezzato il precedente termine di 90 giorni previsto dall’art. 497 c.p.c., proprio per evitare che il debitore resti a lungo paralizzato da un pignoramento “inconcludente”. Va segnalato che, in particolare nel pignoramento presso terzi, vi è stato dibattito sul dies a quo di tale termine di 45 giorni (notifica dell’atto vs. udienza per la dichiarazione del terzo); tuttavia, si tende ad ammettere che la richiesta di assegnazione possa essere formulata entro la data dell’udienza in cui il terzo rende la dichiarazione. In ogni caso, decorso inutilmente il termine, il pignoramento diviene inefficace di diritto.
Custodia dei beni pignorati
Dopo il pignoramento, i beni dell’azienda vincolati dall’esecuzione devono essere conservati e gestiti in attesa della vendita, in modo da evitarne il deperimento o l’occultamento. Questa funzione è svolta dal custode giudiziario, figura chiave nominata dal giudice o dall’ufficiale giudiziario contestualmente al pignoramento. La custodia riguarda soprattutto:
- i beni mobili pignorati presso il debitore: di regola, l’ufficiale giudiziario può lasciare i beni in loco nominando custode lo stesso debitore (affidandogli i beni in custodia legale, con obbligo di conservarli e non usarli se non autorizzato). In altri casi, specie per beni di valore elevato o facilmente trasferibili (es. denaro contante, preziosi, titoli) il bene può essere immediatamente asportato e affidato a un custode terzo (ad esempio depositandolo in un luogo sicuro o presso istituti autorizzati). Il custode ha il dovere di preservare i beni pignorati, ed è responsabile in caso di deterioramento o sottrazione. Egli deve anche comunicare immediatamente al creditore procedente la presa in custodia dei beni, perché ciò fa decorrere ulteriori termini per il creditore (come quello di iscrizione a ruolo).
- i beni immobili pignorati: nel pignoramento immobiliare il giudice nomina tipicamente un custode giudiziario dell’immobile, che oggi spesso è un professionista (avvocato, commercialista) iscritto in appositi elenchi. Il custode immobiliare può essere nominato anche quando il debitore occupa ancora l’immobile (ad es. l’azienda continua a utilizzare il capannone pignorato); in tal caso il custode vigila sull’uso del bene, riscuote eventuali frutti (affitti, canoni), e gestisce le visite degli interessati durante la fase di vendita. Dal 2016 in poi la prassi vede quasi sempre la nomina di un custode diverso dal debitore, anche per evitare che quest’ultimo trascuri o danneggi l’immobile. Il custode deve rendere conto del suo operato al giudice e ha diritto a un compenso, liquidato in prededuzione sul ricavato della vendita.
Nel caso peculiare di pignoramento di un’azienda come complesso unitario, il giudice dell’esecuzione può nominare un custode-amministratore dell’azienda pignorata, con il compito di continuare temporaneamente l’attività d’impresa per preservarne il valore fino alla vendita. Questa figura, analoga a un amministratore giudiziario, può ad esempio incassare crediti, pagare spese urgenti e mantenere in funzione l’azienda sotto supervisione del tribunale. L’obiettivo è evitare che, in attesa della liquidazione, l’azienda perda completamente il suo avviamento o il capitale umano. Tale misura non è espressamente disciplinata dal codice, ma è stata ammessa dalla giurisprudenza in via interpretativa, ritenendo applicabili in via analogica le norme sul sequestro giudiziario di azienda e sui poteri del giudice dell’esecuzione di adottare provvedimenti conservativi. In pratica, quindi, se viene pignorata un’intera azienda (o un ramo di azienda), il tribunale tende a preservarne la continuità gestionale nominando un custode qualificato che la gestisca provvisoriamente. Ciò è coerente con il principio per cui l’espropriazione forzata non deve distruggere inutilmente i valori patrimoniali: mantenere in vita l’azienda fino all’asta spesso consente di ottenere un prezzo di realizzo maggiore, grazie alla presenza dell’avviamento.
Il custode giudiziario svolge anche importanti adempimenti fiscali relativi ai beni in custodia. Ad esempio, se l’azienda pignorata comprende immobili locati a terzi, è il custode a riscuotere i canoni di affitto e a provvedere al versamento delle imposte di registro o dell’IVA sui canoni, in luogo del debitore proprietario. Analogamente, nel caso di vendita dei beni pignorati, custode o professionista delegato hanno l’obbligo di emettere fattura e versare l’IVA dovuta, equiparando la vendita forzata a una normale cessione fatta dal debitore. Su questi aspetti fiscali torneremo diffusamente più avanti.
La vendita forzata dei beni pignorati
Superata la fase di custodia, si entra nel vivo della liquidazione forzata del patrimonio pignorato. La vendita è il momento in cui i beni dell’azienda debitrice vengono trasformati in denaro, per soddisfare così i crediti. Le modalità di vendita possono variare a seconda del tipo di bene e delle strategie più efficaci per massimizzare il ricavato:
- Per i beni mobili aziendali, la vendita forzata avviene solitamente tramite asta pubblica (oggi spesso con modalità telematica). Il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore, emette un’ordinanza di vendita in cui fissa le modalità: se con incanto (gara tra offerenti) o mediante vendita senza incanto (offerte in busta chiusa), il prezzo base d’asta, l’eventuale possibilità di vendita in lotti separati o in blocco, i termini per le offerte, l’ammontare della cauzione, etc. Ad esempio, macchinari, attrezzature, arredi di ufficio possono essere messi all’asta tramite portali specializzati. Se i beni mobili sono di valore contenuto, il giudice può disporre la vendita a mezzo commissionario (per es. delegandola a un istituto vendite giudiziarie) oppure l’assegnazione diretta al creditore: quest’ultima avviene quando il creditore chiede di vedersi assegnare il bene a un prezzo stimato (ad esempio se nessun acquirente è interessato, il creditore può preferire prendere il macchinario in conto del suo credito).
- Per i beni immobili dell’azienda (es. capannoni, uffici, terreni), la vendita giudiziaria segue un iter più articolato, disciplinato dal codice di procedura. Il giudice nomina quasi sempre un professionista delegato alla vendita (spesso un notaio o avvocato), il quale cura tutte le operazioni: redazione ed affissione dell’avviso di vendita, gestione delle offerte e delle cauzioni, conduzione dell’eventuale incanto. Prima della vendita, un perito estimatore nominato dal tribunale redige una perizia di stima dell’immobile pignorato, indicando il valore di mercato, oneri e pesi (ipoteche, vincoli) gravanti sul bene. Sulla base di ciò, viene fissato un prezzo base d’asta. I potenziali acquirenti presentano offerte segrete o partecipano all’incanto pubblico. Aggiudicato l’immobile, il giudice emette un decreto di trasferimento, che vale titolo per il passaggio di proprietà all’aggiudicatario e ordina la cancellazione di ipoteche e pignoramenti. Il decreto di trasferimento funge anche da fattura ai fini fiscali se il debitore era soggetto IVA (con indicazione nell’atto se operare con IVA o imposta di registro, come si vedrà in seguito).
- Per beni particolari, come partecipazioni societarie, beni immateriali (marchi, brevetti) o persino l’intera azienda in blocco, la vendita coattiva può richiedere forme ad hoc. Ad esempio, le quote di S.r.l. pignorate vengono vendute con procedure simili alle aste mobiliari: il tribunale può delegare un notaio per raccogliere le offerte d’acquisto della quota, rispettando eventuali clausole statutarie di prelazione o gradimento (salvo decadano in sede esecutiva). I marchi e brevetti possono essere venduti singolarmente tramite bandi rivolti a imprenditori del settore interessati ad acquisirli. Quanto all’azienda come complesso, se si è proceduto a pignorare i vari beni aziendali in un unico contesto e l’attività è ancora funzionante, il giudice può disporre la vendita dell’azienda in esercizio, magari con affitto preliminare: ad esempio, nominando un custode che contestualmente la dia in affitto a terzi per preservarne la funzionalità, in attesa di una gara per la cessione definitiva. Sebbene la normativa non preveda espressamente il “pignoramento d’azienda” come categoria a sé, in pratica è possibile vendere in un unico lotto tutti i beni organizzati dell’impresa, trasferendo così ipso iure anche l’avviamento e i rapporti contrattuali aziendali attivi (licenze, contratti con clienti/fornitori, etc.), analogamente a quanto avviene nelle procedure concorsuali. Questa strada viene preferita se si ritiene che la vendita unitaria in blocco dell’azienda possa rendere di più della somma delle vendite frammentate dei singoli cespiti. La giurisprudenza più recente è incline ad ammettere tale approccio, nell’ottica di salvaguardare il valore di avviamento e continuità dell’impresa esecutata.
Va ricordato che tutte le operazioni di vendita si svolgono sotto la vigilanza del Giudice dell’Esecuzione (G.E.). Egli emana i provvedimenti necessari, aggiudica i beni, e può sospendere o rinviare la vendita in caso di opposizioni o di istanze di rateizzazione (ad esempio, è oggi ammesso che l’aggiudicatario di un immobile chieda il pagamento rateale del prezzo entro 12 mesi, con immediato possesso dietro cauzione del 30%). Le tempistiche della vendita forzata variano in base alla tipologia di bene: un pignoramento mobiliare presso il debitore spesso si conclude in pochi mesi se i beni sono facilmente liquidabili, mentre un pignoramento immobiliare può durare un anno o più, dovendo attendere perizie, pubblicità dell’asta ed eventuali ribassi in caso di aste deserte.
Distribuzione del ricavato e pagamento dei creditori
Una volta venduti i beni aziendali pignorati e incassato il corrispettivo, la procedura passa alla fase della distribuzione del ricavato tra i creditori aventi diritto. Questo passaggio incarna il principio della par condicio creditorum: tutti i creditori devono essere soddisfatti secondo i loro diritti di prelazione o in mancanza in modo proporzionale.
In concreto, se c’è un solo creditore pignorante e non risultano altri creditori intervenuti o con cause legittime di prelazione, la distribuzione è semplice: il ricavato (dedotte le spese della procedura) viene utilizzato per pagare integralmente il credito di quel procedore (capitale, interessi e spese) fino a concorrenza, e l’eventuale eccedenza è restituita al debitore.
Più frequentemente, però, vi sono molteplici creditori. Possono infatti intervenire nella stessa esecuzione altri creditori del debitore (creditori intervenuti) presentando istanza di intervento ex art. 499 c.p.c., oppure possono esistere creditori garantiti da pegno, ipoteca o privilegio sui beni venduti. Il giudice dell’esecuzione in tali casi richiede la formazione di un piano di riparto (generalmente affidata a un professionista delegato o allo stesso giudice nei casi semplici). Il piano tiene conto delle varie categorie di creditori:
- Creditori garantiti da cause di prelazione specifiche sul bene (es. una banca con ipoteca iscritta sull’immobile aziendale pignorato, lavoratori con privilegio generale sui mobili per i loro stipendi, Erario per eventuali privilegi tributari, ecc.): costoro hanno diritto ad essere soddisfatti prioritariamente, nell’ordine stabilito dalla legge (ad esempio, i crediti privilegiati speciali su uno specifico bene vengono pagati prima degli altri sul ricavato di quel bene; i privilegi generali mobiliari concorrono sul ricavato mobiliare insieme ma dopo quelli speciali; i creditori ipotecari su un immobile sono pagati secondo il grado di iscrizione dell’ipoteca, ecc.).
- Creditori chirografari (non garantiti): ricevono quanto dovuto solo se residuano somme dopo aver pagato tutti i creditori privilegiati; in caso di pluralità, si dividono pro quota in proporzione all’importo del rispettivo credito (art. 2741 c.c.). Ad esempio, se rimangono 100 € per tre creditori chirografari uno creditore di 150€, uno di 50€ e uno di 50€, si distribuirà proporzionalmente (50€ al primo, 25€ al secondo e 25€ al terzo, ossia in proporzione 150:50:50).
Il progetto di distribuzione predisposto viene comunicato alle parti. Il debitore e i creditori possono sollevare contestazioni (c.d. opposizione alla distribuzione, art. 512 c.p.c.) se ritengono vi siano errori (ad es. un credito ammesso in grado errato). In caso di contestazioni, il giudice convoca le parti e risolve le dispute con ordinanza. Se invece non vi sono opposizioni, il giudice emette un’ordinanza di distribuzione che rende esecutivo il piano di riparto. A quel punto, la somma viene materialmente ripartita: il Cancelliere o il professionista delegato effettua i pagamenti ai creditori (di solito mediante bonifici), deducendo previamente le spese di procedura (con compenso di custode, delegato, eventuali periti, imposte dovute, ecc., che per legge hanno privilegio sui crediti).
Da notare che, se il ricavato è insufficiente a soddisfare tutti, i crediti rimasti insoddisfatti (o la parte residua di essi) permangono a carico del debitore. L’esecuzione forzata, infatti, estingue i crediti solo fino alla concorrenza di quanto ricavato. Il debitore rimane obbligato per l’eventuale scoperto, salvo poi valutare soluzioni come accordi transattivi sul residuo o, se ne ricorrono i presupposti, procedure concorsuali o di sovraindebitamento che possano portare a esdebitazione.
Intervento di altri creditori e concorso nell’esecuzione
Accennavamo poco sopra che l’esecuzione forzata instaurata da un creditore può essere raggiunta da altri creditori dello stesso debitore, i quali hanno interesse a partecipare per soddisfarsi sul medesimo patrimonio pignorato. Questo avviene mediante intervento nell’esecuzione. I creditori che vantano un titolo esecutivo verso il medesimo debitore possono depositare un atto di intervento ex art. 499 c.p.c., indicando il proprio credito e titolo. L’intervento è ammesso finché non siano esaurite le operazioni di distribuzione: anche all’udienza di approvazione del piano di riparto un creditore ritardatario potrebbe presentarsi, se il giudice glielo consente.
L’intervento di altri creditori non sospende né arresta la procedura, ma li fa entrare nel concorso dei creditori sul ricavato. Dal momento dell’intervento, essi possono partecipare alle udienze e far valere eventuali diritti di prelazione di cui godono. Un creditore ipotecario che interviene in un’esecuzione immobiliare iniziata da un chirografario, ad esempio, farà valere il proprio diritto di prelazione sul ricavato di quell’immobile, venendo soddisfatto prima del creditore procedente iniziale.
Vi è una sottile strategia da considerare: un creditore che venga a conoscenza di un’esecuzione altrui può scegliere tra intervenire in quel procedimento o iniziarne uno autonomo sugli stessi beni. In generale, conviene intervenire quando si confida nella validità dell’azione altrui; tuttavia, se esistono dubbi formali sul pignoramento già effettuato (che potrebbero causarne l’invalidazione), un creditore prudente può decidere di notificare un proprio pignoramento sul medesimo bene, così da non essere pregiudicato. Infatti, l’eventuale invalidità del pignoramento originario travolge anche gli atti degli intervenuti, mentre un pignoramento autonomo parallelo resterebbe in piedi. Il codice consente più pignoramenti sullo stesso bene da parte di creditori diversi: in tal caso le procedure sono riunite (non si fanno aste separate) ma ogni pignoramento conserva la sua autonomia formale.
Opposizioni ed impugnazioni nel processo esecutivo
Durante lo svolgimento dell’esecuzione forzata, il debitore (o altre parti interessate) possono far valere le proprie ragioni tramite vari tipi di opposizione, ovvero atti di impugnazione specifici del procedimento esecutivo. Le opposizioni servono a contestare la legittimità dell’esecuzione o di singoli atti esecutivi, oppure a far valere diritti incompatibili con l’esecuzione stessa. È fondamentale conoscere questi rimedi, perché spesso rappresentano l’ultima difesa per il debitore che vede la propria azienda aggredita.
In sintesi, le principali opposizioni sono:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): è lo strumento con cui il debitore contesta in radice il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata. Può basarsi su ragioni di merito, ad esempio sostenere che il debito è già stato pagato, che il titolo esecutivo è invalido o inesistente, o che manca la preventiva notificazione valida del titolo stesso. Questa opposizione può essere proposta prima che inizi l’esecuzione (tipicamente entro i 20 giorni dalla notifica del precetto, per bloccarne gli effetti), oppure dopo che il pignoramento è stato eseguito (in tal caso si propone dinanzi al giudice dell’esecuzione già pendente). Ad esempio, una S.r.l. che ritenga nullo il decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore (perché magari non le fu notificato correttamente) potrà proporre opposizione all’esecuzione, contestando la validità del titolo. L’opposizione all’esecuzione può portare alla sospensione immediata della procedura se il giudice ravvisa fondati motivi (su istanza di parte), e in caso di accoglimento comporterà l’estinzione dell’esecuzione.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): è rivolta a censurare i vizi formali o procedurali degli atti dell’esecuzione. Ad esempio, la nullità della notifica del pignoramento, l’irregolarità del verbale di pignoramento, vizi dell’ordinanza di vendita, ecc. Questa opposizione deve essere proposta entro 20 giorni dalla conoscenza legale dell’atto viziato (di solito, dalla notifica o comunicazione dell’atto). Il giudice dell’esecuzione decide sull’opposizione agli atti e, se la accoglie, annulla l’atto impugnato (o, nei casi gravi, può dichiarare l’inefficacia dell’intera esecuzione). Da rilevare: l’opposizione agli atti esecutivi non mette in discussione il diritto del creditore, ma solo la correttezza formale delle operazioni.
- Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.): è l’azione concessa al terzo estraneo all’esecuzione che pretenda la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. È il caso tipico, ad esempio, del bene aziendale che il debitore aveva venduto prima del pignoramento ma che non è stato ancora formalmente trasferito, oppure di un macchinario sul quale un terzo vanta riserva di proprietà, o ancora di merci in conto deposito appartenenti a terzi ma presenti nei magazzini dell’azienda debitrice. Il terzo può proporre opposizione davanti al tribunale dell’esecuzione, in genere entro 20 giorni dall’atto esecutivo lesivo (spesso dal pignoramento), per far dichiarare l’esclusione di quei beni dall’esecuzione forzata. Se l’opposizione di terzo viene accolta, il giudice esclude il bene, ordinando la riduzione del pignoramento.
- Sospensione ed estinzione della procedura: più che opposizioni a sé stanti, sono istituti da menzionare. Il debitore può chiedere in ogni momento la sospensione dell’esecuzione, sia in via automatica (ad esempio ottenendo dal giudice dell’esecuzione la sospensione ex art. 624 c.p.c. se ha proposto un’opposizione all’esecuzione con seri motivi) sia di comune accordo col creditore (art. 624-bis c.p.c., sospensione concordata per un tempo determinato). Inoltre, se sopravvengono cause di estinzione – ad esempio il creditore rinuncia, o le parti raggiungono un accordo transattivo pagando il dovuto – il processo esecutivo viene dichiarato estinto dal giudice (artt. 629 e 630 c.p.c.). Un caso particolare di estinzione è la chiusura anticipata per infruttuosità: se dalla vendita dei beni non si ricava neppure quanto basta per le spese, il giudice può chiudere l’esecuzione.
Le decisioni assunte dal giudice dell’esecuzione in sede di opposizione sono a loro volta impugnabili nei modi ordinari: ad esempio, la sentenza emessa su opposizione all’esecuzione è appellabile; i provvedimenti resi sull’opposizione agli atti esecutivi (che hanno forma di ordinanza) possono essere oggetto di ricorso per cassazione. In tema di pignoramenti esattoriali (promossi dall’agente della riscossione), segnaliamo una recente pronuncia di legittimità che ha chiarito la ripartizione di giurisdizione: i vizi propri del pignoramento ex art. 72-bis DPR 602/1973 vanno dedotti davanti al giudice tributario, mentre le questioni relative alla fase esecutiva successiva (es. assegnazione) restano al giudice ordinario.
Nella tabella riepilogativa seguente, troverete un confronto sintetico tra i vari tipi di opposizione, con i relativi termini e presupposti.
Pignoramento diretto dell’azienda: beni mobili, immobili e avviamento
Affrontiamo ora nello specifico come viene pignorata un’azienda nei suoi elementi costitutivi, ovvero quali beni aziendali possono essere colpiti direttamente dal pignoramento e con quali regole particolari.
In linea generale, il principio di diritto civile sancisce che tutti i beni del debitore sono suscettibili di esecuzione forzata (art. 2740 c.c.), salvo quelli dichiarati impignorabili dalla legge. Pertanto, un’azienda – intesa come complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa – può vedere sottoposti a pignoramento tutti gli elementi attivi che ne fanno parte: beni materiali (mobili e immobili), beni immateriali (diritti di proprietà intellettuale, marchi, brevetti, know-how), nonché i crediti e le disponibilità finanziarie dell’impresa. Persino l’avviamento commerciale, inteso come il valore complessivo derivante dalla capacità dell’azienda di produrre profitto, può essere indirettamente oggetto di esecuzione forzata, nella misura in cui si riesca a trasferire l’azienda come entità funzionante. Esaminiamo le varie categorie:
Beni mobili aziendali pignorabili
I beni mobili di proprietà dell’azienda debitrice comprendono un’ampia gamma di asset: macchinari industriali, attrezzature, impianti, arredamento di uffici e negozi, scorte di magazzino, materie prime, automezzi aziendali, hardware e dispositivi elettronici, mobili e suppellettili, ecc. Tutti questi beni rientrano nel patrimonio dell’impresa e, in quanto tali, possono essere pignorati tramite espropriazione mobiliare, salvo limitazioni di legge.
La legge prevede infatti alcune categorie di beni mobili impignorabili o parzialmente pignorabili. Per un’azienda, rilevano in particolare gli strumenti necessari all’esercizio dell’attività: l’art. 515 c.p.c. stabilisce che “i beni indispensabili all’esercizio della professione, arte o mestiere del debitore” non possano essere pignorati oltre il valore di un quinto. Questa norma, pensata soprattutto per tutelare artigiani e professionisti individuali, si applica però in generale ai debitori persone fisiche imprenditrici. In pratica significa che, se un piccolo imprenditore ha, ad esempio, un solo macchinario essenziale per la sua attività (un panettiere con l’unico forno, un fotografo con la sola macchina fotografica professionale, un autotrasportatore con il suo camion), quel bene non può essere completamente sottratto: al più la legge consentirebbe di pignorarlo limitatamente ad una quota del suo valore (teoricamente lasciando al debitore la possibilità di riscattarlo per i 4/5). Nella prassi, questo principio si traduce spesso in un’esclusione di fatto dei beni da lavoro più essenziali dal pignoramento, se il debitore dispone di altri cespiti aggredibili. Importante: la regola dell’art. 515 c.p.c. non protegge le aziende dotate di personalità giuridica (es. società di capitali) – in quei casi si considera che l’impresa in sé non abbia “mezzi di sostentamento” da salvaguardare, essendo soggetto distinto – ma tutela l’imprenditore individuale o il professionista. Anche in ambito societario, tuttavia, la giurisprudenza ha talora richiamato la necessità di evitare pignoramenti che finiscano per paralizzare definitivamente l’attività, specie se esistono alternative: un tribunale potrebbe ad esempio negare la vendita di un bene strumentale se dal ricavato non si soddisfa comunque il credito e si condanna l’azienda al fallimento.
Altri beni mobili assolutamente impignorabili per qualsiasi debitore (quindi anche per l’azienda) sono elencati all’art. 514 c.p.c.: ad esempio, oggetti sacri, decorazioni al valore, anelli nuziali, generi di prima necessità, animali da affezione, etc. Molti di questi però non ricorrono nell’ambito aziendale (sono più pertinenti alle persone fisiche non imprenditori). Vale la pena segnalare che beni mobili strumentali che non siano “indispensabili” possono essere pignorati senza particolari limiti: ad esempio, se un’impresa possiede più macchinari dello stesso tipo, o automezzi in numero eccedente l’indispensabile, questi possono essere liberamente sequestrati e venduti.
Una volta individuati, i beni mobili aziendali vengono pignorati come descritto: l’ufficiale giudiziario li elenca nel verbale, appone se del caso i sigilli (soprattutto su merci o beni facilmente rimovibili) e generalmente li lascia in custodia al debitore o a un custode. Va menzionato che con le tecnologie attuali e le banche dati, l’ufficiale giudiziario può avvalersi della ricerca telematica dei beni ex art. 492-bis c.p.c.: tramite collegamento informatico alle banche dati pubbliche (PRA per veicoli, catasto, registri immobiliari, conti correnti, INPS per stipendi, etc.), può individuare immediatamente eventuali beni mobili registrati (es. autovetture intestate alla ditta) o conti bancari e procedere a pignoramento mirato di quelli. Il Ministero della Giustizia ha attivato nel 2023 un servizio unificato per tali ricerche telematiche, che sta rendendo l’individuazione dei beni più efficiente rispetto al passato quando l’azione poteva andare a vuoto per mancanza di informazioni.
Un caso peculiare di bene mobile aziendale è il bene mobile registrato (autoveicoli, aeromobili, navi): questi pur essendo mobili, seguono in parte la disciplina dei pignoramenti immobiliari, in quanto vanno pignorati mediante notifica di atto al debitore e contestuale iscrizione del provvedimento nei registri (es. al PRA per le auto). L’art. 521-bis c.p.c. disciplina infatti il pignoramento di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi tramite notifica e iscrizione, equiparandolo a un pignoramento “mobiliare notificatorio”. Quindi, se l’azienda possiede automezzi, il creditore spesso esegue un pignoramento mirato notificando l’atto ed evitando l’accesso fisico (non è più necessario “trovarli in loco” in quel momento). Dopo l’iscrizione al PRA, i veicoli pignorati vengono di solito affidati in custodia allo stesso debitore (che ne diventa custode e non può usarli per fini diversi da quelli autorizzati) in attesa dell’asta.
Ricapitolando: quasi tutti i beni mobili di un’azienda sono pignorabili, inclusi quelli strumentali all’attività, benché con le cautele viste per i beni indispensabili. Non esistono beni “sacrali” dell’impresa immune da esecuzione, a parte eccezioni marginali di legge. Lo stesso magazzino dell’azienda (merci destinate alla vendita) può essere pignorato: spesso però si preferisce non sequestrare interamente le scorte, per non bloccare il ciclo di produzione/vendita – il creditore potrebbe concordare con il custode modalità di vendita che consentano all’azienda di continuare a operare fino all’asta finale.
Beni immobili aziendali pignorabili
I beni immobili appartenenti all’impresa debitrice – come ad esempio stabilimenti, capannoni industriali, uffici, negozi, depositi, terreni edificabili o agricoli intestati all’azienda – sono tipicamente di grande valore e spesso costituiscono la garanzia principale per i creditori (soprattutto banche). Il pignoramento immobiliare è quindi uno strumento fondamentale quando l’azienda possiede proprietà fondiarie.
Come già descritto nella parte sulle fasi, l’espropriazione immobiliare si effettua mediante la notifica di un atto di pignoramento e la successiva trascrizione nei registri immobiliari. L’atto deve contenere i dati catastali dell’immobile, i diritti reali eventualmente inclusi (usufrutto, nuda proprietà, etc.), l’ingiunzione ex art. 492 al debitore. Una volta trascritto, il pignoramento immobiliare rende inefficaci verso il creditore tutti i trasferimenti successivi e le iscrizioni/ipoteche successive (conservando però efficacia le ipoteche iscritte prima, che anzi dovranno essere tenute in conto in sede distributiva).
È bene chiarire che anche l’unico immobile aziendale può essere pignorato da creditori privati in linea di principio. Diverso è il caso di debiti fiscali: in ambito tributario vige una tutela per la “prima casa” del debitore persona fisica, di cui diremo oltre, ma che non impedisce il pignoramento di immobili strumentali di un’impresa se il debitore è una società (il divieto prima casa si applica solo all’abitazione civile del contribuente persona fisica). Dunque, un capannone industriale o un ufficio di proprietà di una S.r.l. possono essere pignorati sia da banche che dal fisco, senza che l’azienda possa opporre esenzioni legate all’“abitazione”.
Nel corso del pignoramento immobiliare, come visto, il creditore deve depositare entro 45 giorni l’istanza di vendita corredata dalla documentazione ipotecaria e catastale aggiornata (art. 567 c.p.c.) per evitare l’inefficacia. Viene quindi nominato un perito stimatore e, di norma, delegato a un professionista il compito di procedere alla vendita. Durante questo periodo l’azienda può continuare a utilizzare l’immobile (specialmente se vi si svolge l’attività): l’eventuale custode nominato controllerà che non si deprezzi (ad esempio disponendo la manutenzione ordinaria o riscuotendo affitti se l’immobile è locato a terzi).
Un aspetto peculiare concerne gli immobili gravati da ipoteca. Spesso l’azienda ha contratto mutui ipotecari: in caso di pignoramento immobiliare, il creditore ipotecario (tipicamente la banca) interviene o promuove esso stesso l’esecuzione. Se però il pignoramento è iniziato da un altro creditore (non ipotecario), la banca ipotecaria manterrà comunque il diritto di prelazione sul prezzo, venendo soddisfatta per prima fino a concorrenza del suo credito (salvo eventuali crediti privilegiati erariali o condominiali che per legge la precedono). In tali situazioni, se dall’asta non si ricava abbastanza per pagare sia l’ipoteca che gli altri, il creditore procedente non garantito rischia di non percepire nulla – salvo esercitare a sua volta azioni su altri beni mobili o crediti del debitore.
Pignoramento di beni immobili detenuti da terzi: Può capitare che un bene immobile aziendale sia nella disponibilità di un terzo (es. dato in leasing oppure in affitto d’azienda). In linea di principio, ciò non impedisce il pignoramento della proprietà (che è del debitore), ma comporta che l’acquirente all’asta subentrerà nel contratto esistente (ad es. comprerà l’immobile locato, divenendo nuovo locatore fino a scadenza del contratto, oppure acquisterà il bene con il vincolo del leasing da adempiere). Se però il terzo vanta un diritto reale proprio, ad esempio sostiene di essere proprietario del bene erroneamente intestato al debitore, dovrà esperire l’opposizione di terzo all’esecuzione per far valere la sua proprietà.
Un tema particolare attiene ai beni immobili strumentali indispensabili: immaginiamo un’azienda agricola il cui unico terreno e fabbricati vengano pignorati – l’intera attività ne sarebbe compromessa. A differenza che per gli strumenti di lavoro mobili (protetti parzialmente da art. 515 c.p.c.), non esiste una protezione specifica per l’immobile “necessario” all’impresa. Tuttavia, il giudice potrebbe modulare la vendita (ad esempio predisponendo un eventuale affitto temporaneo d’azienda durante la procedura per non interrompere la produzione). In casi estremi, l’imprenditore potrebbe valutare l’accesso a procedure concorsuali (come il concordato preventivo) che congelano le esecuzioni, qualora la perdita dell’immobile minacci la continuità aziendale in modo irreparabile.
Beni immateriali, avviamento e altri elementi dell’azienda
Le aziende moderne spesso hanno un patrimonio composto non solo da beni tangibili ma anche da beni immateriali di grande valore: si pensi a un marchio famoso, a un brevetto su un’invenzione, ai domini internet e agli account social media, alle licenze e autorizzazioni amministrative, oppure al know-how e ai segreti industriali. Questi elementi, pur privi di materialità, sono in genere pignorabili anch’essi, in quanto suscettibili di valutazione economica e trasferimento.
- Marchi e brevetti: sono beni immateriali registrati. Il pignoramento di un marchio o brevetto avviene notificando al debitore un atto di pignoramento e, per perfezionarlo, trascrivendolo nei registri dell’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) o comunque annotandolo nei pubblici registri relativi. La vendita coattiva di un marchio/brevetto pignorato si svolgerà di solito con incanto pubblico, invitando operatori interessati del settore. La giurisprudenza ha affermato la piena pignorabilità di marchi e brevetti aziendali, analogamente a quanto avviene in sede fallimentare: sono beni che possono essere separatamente alienati e quindi esecutabili.
- Quote societarie: se l’azienda debitrice non è una società ma, poniamo, un imprenditore individuale che detiene partecipazioni in altre società, tali quote o azioni sono beni mobili immateriali pignorabili. Il pignoramento di azioni (spa) o quote (srl) segue regole proprie: si notifica l’atto al socio debitore e alla società partecipata, e si iscrive nel Registro delle Imprese l’avvenuto pignoramento della partecipazione (così da renderlo noto ai terzi). Approfondiremo più avanti cosa succede quando un socio ha i suoi creditori personali che attaccano la quota di S.r.l. (vi sono tutele per la società e gli altri soci ex art. 2471 c.c.). Qui basti dire che la quota sociale è considerata un bene del patrimonio del socio e può essere oggetto di espropriazione forzata. Dunque, se l’azienda debitore possiede quote in altre società, i creditori possono pignorarle e farle vendere.
- Crediti: i crediti dell’azienda verso terzi sono un elemento attivo fondamentale (ad es. crediti commerciali verso clienti, crediti verso l’erario per rimborsi, ecc.). La loro esecuzione avviene tramite pignoramento presso terzi (vedi sezione successiva). Qui si sottolinea che anche crediti futuri possono essere pignorati se sufficientemente determinati: es., “tutti i crediti derivanti dalle vendite effettuate nei prossimi 6 mesi a un certo cliente” possono in teoria essere oggetto di pignoramento presso terzi, vincolando il cliente a pagare al creditore procedente. Quindi, una porzione del portafoglio ordini di un’azienda può essere coattivamente dirottata ai creditori. Chiaramente questo è molto invasivo e raramente attuato su larga scala, perché rischia di mettere in seria difficoltà i flussi di cassa aziendali.
- Beni personali dell’imprenditore: se l’azienda è in forma individuale, il confine tra patrimonio dell’impresa e personale non esiste (sono un unicum). Pertanto i beni “personali” dell’imprenditore (es. la sua abitazione, l’auto privata) rispondono anch’essi dei debiti d’impresa e possono essere pignorati. Viceversa, se l’azienda è una società di capitali distinta, i beni personali dei soci o amministratori sono estranei (salvo eccezioni per responsabilità personali) e non possono essere toccati dai creditori sociali. Approfondiremo questi profili nella sezione sulle diverse tipologie di imprese.
- Avviamento: l’avviamento commerciale non è un bene autonomamente individuabile e separato, ma rappresenta la probabilità di maggiori utili futuri grazie al nome, alla posizione, alla clientela dell’azienda. Non si può “pignorare l’avviamento” come entità a sé stante – tuttavia, come già accennato, l’unico modo di valorizzare l’avviamento in sede esecutiva è vendere l’azienda (o un ramo) come complesso funzionante. In tal caso, il prezzo di aggiudicazione includerà anche una componente di avviamento. Se invece i beni aziendali vengono venduti piecemeal (pezzo per pezzo: macchinari a un compratore, immobile ad un altro, ecc.), l’avviamento di fatto si disperde e non dà luogo a realizzo per i creditori. Ecco perché, quando possibile, conviene procedere alla vendita unitaria dell’azienda, se vi è un minimo margine di continuità aziendale. La Cassazione già negli anni ’80 ammetteva la possibilità di autorizzare il proseguimento temporaneo dell’attività d’impresa pignorata per poi cederla in blocco, se ciò era nell’interesse dei creditori (v. ad es. Cass. 1986 cit. da dottrina). Nel 2024 si è avuta notizia di casi in cui tribunali italiani hanno venduto in sede esecutiva aziende intere fuori da procedure concorsuali, segno di un’evoluzione pratica in tal senso.
In definitiva, per un’azienda debitrice nessun elemento patrimoniale è intrinsecamente al riparo dall’esecuzione forzata, a parte i limiti generali di legge (beni demaniali se l’impresa è pubblica, beni impignorabili ex art. 514, ecc.). Una credenza comune e errata è che “i beni necessari all’attività non si possano pignorare”: al contrario, la legge permette di colpirli, semplicemente cerca un equilibrio per non azzerare del tutto la capacità produttiva. Ad esempio, un autotrasportatore che abbia un solo camion potrebbe subire il fermo di quell’automezzo con l’obbligo di venderlo entro certi limiti di valore, ma se ha più camion sicuramente i creditori potranno pignorarne alcuni. Un laboratorio artigiano con più macchinari potrà vedersene portare via quelli non strettamente indispensabili, e persino tra quelli essenziali uno potrebbe essere preso se gli altri rimangono.
Orientamenti giurisprudenziali recenti: i giudici, come visto, tendono a preservare la continuità aziendale quando ciò non lede i diritti dei creditori, ad esempio modulando le modalità di vendita o accogliendo istanze di sospensione se l’impresa mostra di poter risanare la propria posizione. Una sentenza di legittimità ha sottolineato che la vendita frazionata degli asset aziendali non deve essere preferita ove vi sia la prospettiva realistica di cedere il complesso aziendale per un valore migliore. Al contempo, va ricordato che se l’insolvenza dell’azienda non è occasionale ma grave e conclamata, il luogo proprio per gestire unitariamente il patrimonio d’impresa potrebbe diventare una procedura concorsuale (fallimento o liquidazione giudiziale secondo il nuovo Codice della Crisi): l’apertura di una procedura concorsuale infatti fa cessare/sospendere le singole esecuzioni in corso. Ma finché si rimane nell’ambito dell’esecuzione individuale, il tribunale dell’esecuzione ha strumenti limitati per “salvare” l’impresa; può solo cercare di venderne al meglio gli elementi.
Pignoramento presso terzi: crediti dell’azienda verso clienti, banche e altri
Accanto al pignoramento diretto dei beni in possesso del debitore, un’altra forma fondamentale di esecuzione è il pignoramento presso terzi. Si utilizza quando il debitore vanta crediti verso soggetti terzi o ha beni di sua proprietà nelle mani di terzi. In ambito aziendale, questo si traduce principalmente in due situazioni:
- L’azienda debitrice ha somme di denaro depositate su conti correnti bancari o postali – in questo caso il terzo pignorato è la banca/posta presso cui sono attivi i conti.
- L’azienda debitrice vanta crediti commerciali verso clienti (o committenti) per forniture di beni/servizi già effettuate, oppure crediti verso altri soggetti (ad esempio un fondo in cui ha investito, un depositario che deve restituire merci, ecc.) – qui i terzi pignorati sono quei debitori dell’azienda.
- L’azienda potrebbe avere anche beni mobili di sua proprietà detenuti da terzi – es. merci in conto deposito presso un’altra ditta, materiali inviati a terzisti per lavorazioni – e pure questi rientrano nel pignoramento presso terzi (cose del debitore in possesso di terzi).
Procedura: Il pignoramento presso terzi si realizza mediante la notifica di un atto di pignoramento sia al debitore sia al terzo. In tale atto il creditore procedente indica le somme o cose dovute/detenute dal terzo e intima:
- al terzo di non disporne in favore del debitore (ad es. se doveva pagare una fattura all’azienda, deve bloccare il pagamento e tenerlo a disposizione);
- al debitore di non riscuotere quei crediti dal terzo e astenersi da atti che possano sottrarre tali somme alla garanzia (ingiunzione ex art. 492).
Facciamo qualche esempio tipico nel contesto aziendale:
- Pignoramento di conto corrente: il creditore notifica l’atto alla banca X Agenzia Y, intimando di vincolare tutte le somme presenti sul conto n. … intestato alla società Alfa S.r.l. (debitrice) fino a concorrenza del credito. La banca, appena ricevuto l’atto, è tenuta per legge a bloccare il conto per l’importo indicato (o l’intero saldo se minore). Successivamente dovrà dichiarare formalmente al giudice dell’esecuzione quanto detiene. Nella pratica, il congelamento è immediato: il conto aziendale viene paralizzato quasi istantaneamente alla notifica, e rimarrà così fino all’ordinanza di assegnazione. Questo può creare seri problemi operativi all’azienda, specie se aveva un solo conto dove transitano incassi e pagamenti.
- Pignoramento di crediti verso clienti: il creditore individua uno o più clienti dell’azienda (ad es. clienti importanti che devono ancora pagare fatture per importi consistenti) e notifica l’atto sia all’azienda debitrice sia a ciascun cliente. Il cliente-terzo pignorato viene obbligato a non pagare l’azienda ma a versare le somme dovute direttamente alla procedura esecutiva (in pratica, al tribunale). Se il cliente ignora il pignoramento e paga comunque il suo fornitore (il debitore), rischia di dover pagare nuovamente al creditore pignorante e di restare lui stesso obbligato in proprio. Quindi i terzi seri generalmente rispettano l’ordine e accantonano quanto dovuto.
- Pignoramento di beni aziendali in mano al terzo: esempio, l’azienda ha merce in c/to deposito presso il magazzino di una società logistica terza. Il creditore notifica a quest’ultima di non restituire la merce al debitore e di tenerla vincolata. Seguirà poi la vendita di quei beni sequestrati presso il terzo.
Dichiarazione del terzo: Dopo la notifica, la procedura prevede che il terzo pignorato renda una dichiarazione circa l’esistenza e l’entità di quanto dovuto. Il terzo, in sostanza, informa il giudice se e quanto deve al debitore. Questa dichiarazione in passato avveniva comparendo in un’udienza; oggi può avvenire anche per lettera raccomandata o PEC. Ad esempio, la banca risponderà indicando il saldo dei conti congelati alla data del pignoramento; il cliente dichiarerà se deve effettivamente pagare fatture e per quali importi e scadenze, ecc.
- Se il terzo riconosce il debito verso il debitore (dichiarazione positiva) o tace (silenzio che, in certe condizioni, viene considerato come non contestazione), il giudice dell’esecuzione emette un’ordinanza di assegnazione: in essa ordina al terzo di pagare direttamente al creditore procedente (o su un libretto intestato alla procedura) le somme dovute, entro un termine. L’ordinanza di assegnazione ha efficacia di titolo esecutivo contro il terzo: se questi non ottempera, il creditore potrà agire esecutivamente nei suoi confronti.
- Se il terzo contesta (dichiarazione negativa, ad esempio “non devo nulla al debitore” oppure “devo solo €X e non l’importo maggiore richiesto”), si instaura un sub-procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo. In sostanza, si fa causa all’interno dell’esecuzione per stabilire cosa e quanto il terzo doveva pagare. Questo può allungare i tempi e portare a una sentenza di accertamento (appellabile come un normale giudizio di cognizione).
Nel contesto aziendale, il pignoramento presso terzi è estremamente frequente, soprattutto nella forma del blocco dei conti bancari. È un mezzo rapido ed efficace: basta notificare l’atto alla banca e immediatamente i fondi vengono congelati. Ciò può avere un effetto devastante: l’azienda si trova impossibilitata a disporre di liquidità per pagare fornitori, dipendenti, tasse, con il rischio di aggravare la sua crisi. Per questo motivo, talvolta la minaccia di pignoramento del conto induce il debitore a tentare trattative col creditore per trovare una soluzione (pagamento a rate, saldo e stralcio, ecc.) prima che il conto venga effettivamente svuotato dall’assegnazione forzata.
Va evidenziato che anche il Fisco usa uno strumento analogo: l’art. 72-bis DPR 602/1973 consente all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) di pignorare crediti presso terzi (soprattutto conti correnti) con una procedura semplificata, senza bisogno di autorizzazione giudiziaria. In quel caso la banca deve versare direttamente all’Erario le somme dovute. I limiti di questo pignoramento sono simili a quelli ordinari, con l’eccezione di alcune tutele aggiuntive per i debitori (ad esempio, in materia di stipendio/pensione come vedremo, il fisco deve rispettare soglie diverse).
Limiti alle somme pignorabili: Nel caso di pignoramento di stipendi o salari corrisposti da terzi (es. un dipendente dell’azienda debitrice? – ma qui stiamo pignorando crediti dell’azienda, non del dipendente), la disciplina prevede percentuali massime pignorabili per tutelare il necessario sostentamento. Questo però riguarda il debitore persona fisica. Nel nostro contesto, potrebbe interessare se l’impresa individuale ha crediti da lavoro (non comune) o se il creditore attacca lo stipendio di un socio/amministratore debitore. In generale ricordiamo che per i crediti da lavoro dipendente il pignoramento presso terzi è ammesso nei limiti di 1/5 dello stipendio netto (20%) per crediti ordinari, con soglie ridotte per pignoramenti fiscali: l’Agente della Riscossione può prendere solo 1/10 per stipendi fino €2.500, 1/7 per stipendi tra €2.500 e 5.000, e 1/5 sopra €5.000. Inoltre vige l’impignorabilità di una quota pari a due volte l’assegno sociale sulle pensioni (nel 2025 circa €1.077 mensili come “minimo vitale” intoccabile). Ma queste regole si applicano quando il debitore è persona fisica. Se l’azienda è una società, tali limiti non entrano in gioco perché non c’è “stipendio minimo vitale” da salvaguardare per una persona giuridica.
Un altro limite particolare è la ritenuta fiscale: quando mediante pignoramento presso terzi un creditore (persona fisica) incassa somme, il terzo erogatore deve applicare una ritenuta d’acconto del 20% a titolo IRPEF sulle somme assegnate. Ciò deriva dall’art. 21, comma 15, L. 449/1997 e successive modifiche: in pratica, se un professionista o imprenditore individuale recupera crediti tramite pignoramento presso un cliente o una banca, quest’ultima tratterrà il 20% come acconto imposte, rilasciando la certificazione (CU) al creditore. Tuttavia, se il creditore dichiara che quelle somme non sono imponibili (o ad es. è una società soggetta a IRES, quindi non soggetta a ritenuta IRPEF), può fornire un’autocertificazione al terzo che allora non opererà la ritenuta. Questo adempimento è spesso ignorato, ma è rilevante nei pignoramenti presso terzi che coinvolgono crediti da lavoro autonomo o d’impresa di persone fisiche.
Effetti sul terzo e sul debitore: Dal momento della notifica, il terzo pignorato è soggetto a un vincolo di legge: se viola l’ingiunzione e paga al debitore, sarà comunque tenuto a pagare al creditore (si troverà a dover pagare due volte). Inoltre, commette reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice ex art. 388 c.p. (perché disobbedisce all’ordine di non pagare). Il debitore, invece, vedendosi sottratti i crediti, non può incassarli né disporne: se li incamerasse in frode al pignoramento (ad esempio convincendo sottobanco il cliente a pagare su un altro conto occulto), commetterebbe reato anch’egli e quei soldi potrebbero essergli subito ritolti.
Il pignoramento presso terzi ha, come si intuisce, un potenziale altamente paralizzante per l’azienda debitrice: basti immaginare il blocco del conto corrente e al tempo stesso l’intercettazione dei pagamenti dei principali clienti – l’impresa si ritroverebbe asfissiata finanziariamente. Non a caso, spesso si preferisce pignorare i conti o i crediti piuttosto che i beni materiali, perché è una mossa rapida e incisiva. Dal lato opposto, il debitore che subisca tali atti potrà valutare con il proprio legale mosse di difesa: ad esempio, se il pignoramento colpisce crediti non ancora esigibili o importi eccedenti il dovuto, potrebbe proporre opposizione agli atti esecutivi; oppure, per scongiurare il collasso, potrebbe ricorrere a procedure concorsuali o di composizione della crisi, che come effetto sospendono le azioni esecutive (ne parleremo più avanti a proposito del sovraindebitamento).
Sintesi: il pignoramento presso terzi è uno strumento di esecuzione indiretto ma estremamente efficace, che permette al creditore di inserirsi nei rapporti economici del debitore con altri soggetti. Nel contesto del recupero crediti aziendale, esso consente di aggredire rapidamente la liquidità dell’impresa (sul conto bancario) e le sue entrate future (i crediti verso clienti), forzando di fatto una destinazione dei flussi di cassa dall’attività direttamente verso i creditori procedenti.
Pignoramento e forme giuridiche d’impresa: ditta individuale, società di persone, SRL, SPA
Le modalità e le conseguenze del pignoramento di un’azienda variano in modo significativo a seconda della forma giuridica sotto cui l’attività viene svolta. È diverso infatti pignorare i beni di un imprenditore individuale rispetto a quelli di una società di capitali, così come particolari sono le situazioni delle società di persone dove i soci hanno responsabilità personali. In questa sezione analizzeremo separatamente le principali tipologie di soggetti giuridici coinvolti, evidenziando per ciascuna i punti chiave:
- Ditta individuale (impresa individuale) – il patrimonio dell’impresa coincide con quello personale dell’imprenditore.
- Società di persone (S.n.c., S.a.s.) – l’impresa ha soggettività limitata, i soci (almeno quelli illimitatamente responsabili) rispondono con i propri beni.
- Società a responsabilità limitata (S.r.l.) – l’impresa è un soggetto giuridico autonomo, con patrimonio separato da quello dei soci.
- Società per azioni (S.p.A.) – anch’essa persona giuridica con autonomia patrimoniale perfetta; considerazioni simili alle S.r.l. con alcune peculiarità.
Vediamo come il pignoramento opera in ciascuno di questi casi.
Impresa individuale
La ditta individuale (o impresa individuale) è l’attività economica esercitata da una persona fisica sotto il proprio nome. Giuridicamente, non c’è distinzione patrimoniale tra l’imprenditore e l’impresa: i beni aziendali e i beni personali dell’imprenditore formano un unico patrimonio, che risponde dei debiti contratti sia per ragioni d’impresa sia per ragioni private (fatti salvi particolari istituti come il fondo patrimoniale, che però offre protezioni limitate e condizionate).
Di conseguenza, quando un creditore procede a pignorare i beni di un’impresa individuale, di fatto può aggredire qualsiasi bene intestato all’imprenditore. Ad esempio, se Tizio esercita l’attività artigianale come ditta individuale “Tizio impianti elettrici”, un creditore insoddisfatto (fornitore, banca, ecc.) potrà pignorare:
- i macchinari, le attrezzature, i materiali di Tizio utilizzati nell’impresa;
- i crediti verso clienti e il conto corrente aziendale (che è intestato personalmente a Tizio, ditta individuale);
- anche la sua autovettura personale, la casa di proprietà di Tizio, e in generale ogni altro bene che rientra nel patrimonio di Tizio.
Non esiste infatti una separazione, e l’art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale) prevede che il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri. L’unica limitazione sono i beni dichiarati impignorabili dalla legge (ad esempio, l’eventuale casa coniugale conferita in un fondo patrimoniale può essere protetta dai debiti estranei ai bisogni familiari; oppure l’abitazione principale di Tizio non potrà essere espropriata dall’Agente Riscossione per debiti tributari sotto 120.000 €, come da DL 69/2013). Ma dal punto di vista di un creditore ordinario, l’imprenditore individuale non gode di limitazioni di responsabilità: se l’azienda non ha beni sufficienti, si passa ai beni “di casa”.
Questa situazione comporta che il pignoramento di un’azienda individuale spesso si estenda a beni che non sono funzionali all’impresa ma che costituiscono una riserva di valore. Ad esempio, la casa di abitazione dell’imprenditore può essere pignorata da una banca per un debito d’impresa (salvo particolari tutele come detto, e sempre che non vi sia un’ipoteca prioritaria). Anche eventuali investimenti finanziari personali, polizze, conti privati – tutto è aggredibile. È frequente nella prassi, in caso di inadempimento di ditte individuali, che i creditori iscrivano ipoteca giudiziale su immobili personali del titolare appena ottenuto un titolo, e poi procedano all’esecuzione immobiliare.
Va però rimarcato che l’imprenditore individuale beneficia, come persona fisica, di alcune tutele di legge già menzionate: l’art. 515 c.p.c. sui beni strumenti di lavoro (non oltre 1/5), l’art. 514 c.p.c. sui beni di stretta necessità impignorabili, l’art. 545 c.p.c. sui limiti di pignorabilità di stipendi/pensioni (se Tizio avesse anche un lavoro dipendente, il suo stipendio sarebbe pignorabile solo in parte). Inoltre, se Tizio ha messo la casa in un fondo patrimoniale o vi sono beni in trust, i creditori dovranno rispettare le regole di aggredibilità di quei vincoli (in breve: il fondo patrimoniale protegge dai debiti non contratti per bisogni familiari, ma molti debiti d’impresa potrebbero non rientrare e quindi la casa resta attaccabile qualora il debito sia ritenuto contratto per scopi estranei ai bisogni familiari, con valutazioni caso per caso).
Nel pignorare un’impresa individuale, dunque, il creditore non incontra barriere tra il “patrimonio azienda” e il “patrimonio privato”: è tutto un unico insieme. Ciò naturalmente è un grosso svantaggio per l’imprenditore sotto il profilo del rischio. Proprio per limitare questo rischio, a volte l’imprenditore individuale ricorre a strumenti come:
- Intestazione di beni a terzi (coniuge, figli): ma attenzione, atti del genere compiuti quando il debitore è già insolvente possono essere revocati come atti in frode ai creditori (azione revocatoria).
- Vincoli di destinazione su immobili ex art. 2645-ter c.c.: forme di segregazione patrimoniale che però non oppongono scudo ai creditori antecedenti.
- Trasformazione in società: es. conferire l’azienda individuale in una S.r.l. unipersonale. Questo però non libera l’imprenditore dai debiti pregressi (per quelli resta responsabile illimitatamente).
- Fondo patrimoniale: come detto, utile solo se i debiti sono estranei ai bisogni familiari – e i debiti d’impresa spesso vengono considerati estranei e quindi il fondo non li protegge efficacemente (la Cassazione è rigorosa nell’escludere la protezione del fondo per debiti fiscali o bancari dell’imprenditore se c’è anche un minimo nesso con l’attività).
Riassumendo: l’esecuzione contro un imprenditore individuale può colpire indifferentemente beni dell’attività e beni personali. Pertanto il pignoramento di un’azienda individuale coincide con il pignoramento dei beni del suo titolare. Non vi sono peculiarità procedurali rispetto a quelle già viste, se non che il ventaglio di beni aggredibili è più ampio rispetto ad altre forme.
Un cenno merita il caso dell’imprenditore individuale deceduto: se l’impresa prosegue con gli eredi (impresa familiare, azienda ereditata), i creditori possono pignorare i beni dell’asse ereditario e i beni confluiti nell’azienda in mano agli eredi, secondo le norme generali sulla responsabilità degli eredi (che rispondono ultra vires salvo beneficio d’inventario, etc.). Ma andremmo oltre scopo, basti comprendere che la forma individuale non crea alcuno schermo neppure col passaggio generazionale.
Società di persone (S.n.c. e S.a.s.)
Le società di persone – principalmente la società in nome collettivo (S.n.c.) e la società in accomandita semplice (S.a.s.) – sono forme intermedie in cui esiste un soggetto giuridico distinto dai singoli soci, ma i soci conservano (in misura diversa) responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali. Analizziamo separatamente i due tipi principali:
Società in nome collettivo (S.n.c.): tutti i soci della S.n.c. hanno responsabilità illimitata e solidale per i debiti della società (art. 2291 c.c.). Ciò significa che i creditori della società, una volta escusso il patrimonio sociale, possono rivalersi sul patrimonio personale di qualunque socio. Tuttavia, vige il cosiddetto beneficio di escussione: il creditore sociale deve prima aggredire i beni della società e, solo se questi risultano insufficienti a soddisfare il credito, può rivolgersi ai soci (art. 2268 c.c. e 2304 c.c.).
In pratica, come funziona l’esecuzione? Se Beta S.n.c. è debitrice:
- Il creditore deve ottenere un titolo esecutivo contro la società (es. sentenza contro Beta S.n.c.). Questo titolo è esecutivo anche contro i soci, di regola, in quanto la responsabilità è automatica ex lege.
- Procede a pignorare i beni sociali: ad esempio, macchinari intestati alla società, conti correnti societari, immobili intestati alla società. Questi beni formano il patrimonio “primario” da escutere.
- Se dal pignoramento dei beni sociali non si ricava abbastanza, oppure se già in partenza i beni sociali sono notoriamente insufficienti, il creditore può estendere l’esecuzione ai beni personali dei soci. Normalmente ciò avviene notificando un precetto anche ai soci (in quanto obbligati in solido) e poi pignorando i loro beni personali.
Ad esempio, Beta S.n.c. ha 2 soci, patrimonio sociale €50k ma debito €200k: il creditore potrebbe pignorare i 50k di beni della società e contestualmente – o poco dopo – iniziare pignoramenti anche sui conti e immobili intestati ai soci fino a colmare il dovuto.
Va detto che per procedere efficacemente contro i soci illimitatamente responsabili serve un titolo esecutivo anche nei loro confronti. Spesso la sentenza contro la società si estende automaticamente ai soci (specialmente se erano garanti o parti in causa), ma tecnicamente il titolo è contro la società. In giurisprudenza si ritiene comunque che la sentenza contro la S.n.c. faccia stato anche per i soci, dati i rapporti interni, ma prudenza vorrebbe chiamare in causa i soci nel giudizio per avere titolo anche verso di loro. In mancanza, il creditore potrebbe notificare ai soci un precetto basato sulla sentenza contro la società, indicando la qualità di socio illimitatamente responsabile – se il socio non oppone (oppure se oppone ma viene confermato l’obbligo), si procede.
Una particolarità: se un creditore particolare di un socio (cioè un creditore personale del socio, estraneo alle vicende sociali) vuole soddisfarsi sulla quota del socio nella S.n.c., non può farlo finché dura la società. Può però chiedere, se il credito non viene soddisfatto altrimenti, la liquidazione della quota al termine della società o la separazione del socio. In base all’art. 2270 c.c., il creditore particolare del socio di S.n.c. può solo aggredire gli utili spettanti a quel socio, ma non i beni sociali. Trascorso un certo tempo, se il debito persiste, può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore, determinando di fatto lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a quel socio. Questo è un aspetto più di diritto societario, ma implica che eventuali creditori personali dei soci possano “disturbare” la società chiedendo di separarli.
Tornando al pignoramento di creditori sociali: finché la società esiste, i creditori sociali dovrebbero in teoria soddisfarsi sul patrimonio sociale. Solo in caso di incapienza, possono far escutere i soci. Ma nulla vieta al creditore di avviare parallelamente esecuzioni sia sui beni sociali sia su quelli dei soci, specificando magari nel precetto che agisce sul socio in qualità di coobbligato solidale. Il socio escusso, se paga più del suo, ha poi diritto di regresso verso gli altri soci (rapporto interno), ma per il creditore uno vale l’altro.
In definitiva, in una S.n.c. l’azienda è un soggetto distinto con un suo patrimonio, ma la separatezza patrimoniale è imperfetta: i soci fungono da garante illimitato. Dunque:
- Beni pignorabili per debiti sociali: tutti i beni intestati alla società + tutti i beni personali dei soci (salve le solite tutele come prima casa vs fisco, etc., che si applicano ai soci come persone fisiche).
- Ordine di escussione: prima i beni sociali, poi quelli dei soci (ma spesso in pratica avviene quasi in parallelo, se i beni sociali sono manifestamente insufficienti).
- Opposizioni: i soci possono fare opposizione all’esecuzione se contestano di dover rispondere (ma essendo norma di legge la responsabilità illimitata, poche scappatoie: solo se il debito non è sociale o la qualità di socio è cessata in data anteriore ed è decorso un certo tempo, ecc.). Ad esempio, se Caio era socio ma si è uscito dalla S.n.c. prima che il debito sorgesse o entro certi limiti, potrebbe eccepire di non rispondere (art. 2290 c.c. – il socio uscente è responsabile per le obbligazioni sorte fino al giorno dell’uscita, e per quelle successive no, a meno che entro 2 anni i creditori non abbiano escusso la società per debiti anteriori, etc.).
Società in accomandita semplice (S.a.s.): qui vi sono due categorie di soci – gli accomandatari, che hanno posizione analoga ai soci di S.n.c. (amministrano e rispondono illimitatamente e solidalmente) e gli accomandanti, che sono soci di capitale con responsabilità limitata alla quota conferita, e non possono amministrare. Per i creditori sociali valgono principi simili alla S.n.c.: possono escutere prima il patrimonio sociale e poi i soci accomandatari illimitatamente responsabili. Non possono invece escutere il patrimonio personale dei soci accomandanti, se questi hanno mantenuto la posizione di semplici investitori non ingerenti nell’amministrazione. Se però un accomandante ha violato il divieto di immistione (intromettendosi nella gestione), può perdere il beneficio della responsabilità limitata e diventare illimitatamente responsabile verso terzi.
Dunque, un creditore di una S.a.s. potrà pignorare i beni sociali e i beni personali di tutti i soci accomandatari. I soci accomandanti al contrario rispondono soltanto con la perdita della loro quota conferita (cioè di fatto col valore della quota societaria, che di solito andrà in fumo se la società non paga i debiti) – ma non sono direttamente soggetti a pignoramento dei loro beni per debiti sociali. Possono però subire un’altra azione: i creditori sociali, se la società fallisce, potrebbero insinuarsi anche verso gli accomandanti fino a concorrenza di ciò che essi devono ancora versare per la quota, ma qui entriamo nel concorsuale. In sede di esecuzione individuale, l’accomandante è sostanzialmente trattato come un terzo estraneo che non risponde oltre il conferimento.
Un aspetto: la quota del socio di S.n.c. o S.a.s. non può essere direttamente pignorata dai creditori sociali (non ne hanno interesse, preferiscono i beni sociali e dei soci illimitati). Può invece essere aggredita dai creditori personali del socio come accennato. Ma in esecuzione forzata, vendere la “quota” di una società di persone è difficoltoso, perché il nuovo acquirente diventerebbe socio con responsabilità illimitata – cosa che raramente qualcuno vuole accollarsi senza una due diligence. Infatti, spesso i creditori particolari dei soci preferiscono attendere utili o chiedere scioglimento.
In sintesi per società di persone:
- Pro per creditori: Patrimonio sociale + patrimonio soci illimitati = maggiori beni aggredibili.
- Contro: Procedura un po’ più complessa, bisogna eventualmente agire anche contro soci. Inoltre, se i soci sono nullatenenti, la responsabilità illimitata serve a poco.
- Per il debitore-socio: Altissimo rischio: i soci possono vedersi portare via beni personali per debiti della società, e viceversa. L’unico riparo è che i creditori sociali escutano prima la società, ma se questa non paga, il socio è esposto in pieno.
Società a responsabilità limitata (S.r.l.)
La S.r.l. è una società di capitali dotata di personalità giuridica e autonomia patrimoniale “perfetta”. Ciò significa che la società è un soggetto di diritto separato dai soci, titolare essa stessa dei beni aziendali, e i soci non rispondono con il loro patrimonio personale delle obbligazioni sociali (art. 2462 c.c.). Il capitale conferito dai soci è l’unica garanzia per i creditori sociali (fatti salvi casi eccezionali di responsabilità dei soci per abuso della personalità giuridica, che sono ipotesi di malversazione/frode).
Con riferimento al pignoramento:
- Un creditore di una S.r.l. potrà pignorare tutti i beni intestati alla S.r.l., come farebbe con qualunque debitore. Quindi beni mobili aziendali, immobili intestati alla società, crediti verso terzi spettanti alla società, soldi su conti societari, ecc. Niente di più e niente di meno.
- Quello stesso creditore non potrà aggredire direttamente i beni personali dei soci (a differenza che nelle società di persone). Ad esempio, se Gamma S.r.l. non paga, i suoi soci non rischiano che la loro casa personale venga pignorata per i debiti sociali (a meno che l’abbiano data in garanzia, es. fideiussione, ma quella è una obbligazione distinta, non automatica).
- Analogamente, non rispondono i patrimoni degli amministratori o dei dirigenti, salvo che il creditore intenti un’azione di responsabilità separata per atti illeciti (ma si tratta di un giudizio diverso, non del processo esecutivo sul titolo contro la società).
Quindi dal lato del creditore, la forma S.r.l. limita la possibilità di recupero al solo patrimonio societario. È il classico “scudo” della responsabilità limitata: se l’azienda S.r.l. ha debiti che eccedono ciò che possiede, i creditori non soddisfatti non possono pretendere la differenza dai soci. Il massimo che possono fare è portare la società al fallimento (liquidazione giudiziale) se ci sono i presupposti, e in quel contesto i soci al più perdono l’investimento, ma non pagano di tasca propria il debito residuo.
Ci sono però delle eccezioni da menzionare, dove i soci o amministratori possono trovarsi esposti:
- Fideiussioni personali: Molte volte, specie per ottenere finanziamenti, i soci (o il socio unico) di S.r.l. rilasciano garanzie personali (fideiussione, pegno su beni personali) a favore del creditore. In tal caso, se la società non paga, il creditore può escutere direttamente il socio in base alla fideiussione, ma attenzione: in quel caso l’azione di pignoramento sarà fondata sul titolo esecutivo rilasciato contro il socio (es. un contratto di fideiussione autenticato considerato titolo, o un decreto ingiuntivo contro il fideiussore). Non è responsabilità “da socio”, è responsabilità da garante contrattuale. La circostanza frequente è che le banche chiedono sempre la fideiussione dei soci di PMI, così aggirano in pratica la responsabilità limitata.
- Soci morosi nei conferimenti: se un socio non ha ancora versato tutto il capitale sottoscritto e la società non paga i debiti, i creditori sociali possono (in sede concorsuale sicuramente, in sede esecutiva diretta forse tramite surroga) richiedere che il socio versi quanto dovuto del capitale per integrare l’attivo. Ma se i conferimenti sono stati versati integralmente, questo non si pone.
- Responsabilità ex art. 2476 c.c. degli amministratori verso i creditori: è una previsione per cui, se il patrimonio sociale risulta insufficiente per colpa degli amministratori (mala gestio), i creditori sociali possono esperire un’azione di responsabilità contro gli amministratori per le obbligazioni sociali non soddisfatte. Questa tuttavia non è esecuzione diretta, richiede un giudizio di merito per accertare la colpa grave degli amministratori (ad esempio aver aggravato il dissesto continuando ad operare in perdita, ecc.). Solo se vinta tale causa (o se c’è già un titolo per responsabilità), il creditore potrà pignorare i beni personali degli amministratori condannati.
- Abuso di personalità giuridica: in casi estremi, la giurisprudenza ha talvolta “forzato il velo” societario, ad esempio se la società è usata come schermo per frodi (patrimonio sociale confuso coi soci, sottocapitalizzazione dolosa, etc.), applicando l’istituto dell’azioni revocatorie o estensione del fallimento. Ma nel processo esecutivo individuale, salvo far valere una simulazione (es. il socio è vero proprietario di un bene fittiziamente intestato alla società – allora si farebbe valere che è suo in realtà), normalmente non si può aggredire il socio.
Pertanto, rispetto alla S.n.c., per il creditore la S.r.l. presenta un “collo di bottiglia”: può colpire solo l’azienda in sé. Se questa è povera di beni, non c’è patrimonio personale ulteriore cui attingere. Ciò rende importante, per un creditore che concede credito a una S.r.l., ottenere garanzie collaterali (pegno, ipoteca, fideiussione, riserva di proprietà). Se non lo ha fatto, e la società si rivela insolvente, l’esecuzione forzata potrebbe dare esito infruttuoso e il creditore dovrà accontentarsi di insinuarsi in un’eventuale procedura fallimentare o subire una perdita.
Dal lato del debitore invece, la S.r.l. offre protezione del patrimonio personale dei soci: il pignoramento colpirà solo i beni intestati alla società. Ad esempio, se Delta S.r.l. non paga un fornitore, questi potrà pignorare le attrezzature, i crediti e i conti di Delta S.r.l. – ma non potrà pignorare la villa del socio al 90% della società. Il socio rischia “solo” la perdita di valore della quota (in caso di escussione totale, la quota societaria varrà zero).
A proposito di quota: i creditori della società non hanno alcun diritto sulla quota dei soci. Possono solo attaccare i beni sociali. La quota di partecipazione in mano al socio potrà semmai essere aggredita dai creditori personali di quel socio (non dalla società). Ad esempio, Sempronio è socio al 50% di Delta S.r.l., ma ha un debito personale di gioco: il suo creditore può pignorare la quota di Sempronio in Delta S.r.l. per soddisfarsi vendendola. Ciò non paga direttamente i debiti di Delta S.r.l., ma serve a monetizzare la partecipazione di Sempronio.
Ecco un punto importante e spesso confuso: pignoramento della quota di S.r.l.. L’art. 2471 c.c. disciplina che il creditore particolare del socio può espropriare la quota seguendo certe regole, dando possibilità alla società e agli altri soci di trovare soluzioni alternative. In pratica, se Tizio ha il 30% di una S.r.l., il suo creditore può notificargli il pignoramento della quota e notificarlo alla società (per annotazione nel Registro Imprese). La società o gli altri soci, entro 10 giorni prima dell’asta, possono evitare l’ingresso di estranei rimborsando il creditore o trovando essi un acquirente gradito. Se nulla accade, la quota va all’asta e un terzo la compra, diventando nuovo socio (previa eventuale autorizzazione del tribunale per le variazioni soci se serve). Il processo è un po’ complesso, ma in sostanza conferma che:
- Creditori della società: attaccano i beni sociali, non le quote (non avrebbe senso per loro prendersi una quota di una società indebitata).
- Creditori dei soci: possono attaccare le quote dei soci debitori, ma non i beni sociali (perché quelli appartengono alla società, non al socio).
Quindi il patrimonio di una S.r.l. resta segregato per i debiti dei soci, e viceversa (patrimonio dei soci segregato per debiti sociali).
Nell’esecuzione pratica, a volte vedere una S.r.l. incapiente porta il creditore a controllare se i soci hanno commistioni di patrimoni, per tentare azioni di revoca su pagamenti a soci o affitti troppo bassi a soci, ecc. ma sono tutte reazioni indirette.
In conclusione sulla S.r.l.: per il pignoramento di un’azienda costituita in S.r.l. valgono le procedure standard viste (pignoramento mobiliare, immobiliare, presso terzi) limitate però ai beni intestati alla società. Gli effetti si fermano alla “barriera” della personalità giuridica. Ciò rende l’esito dell’esecuzione più incerto se la società non possiede beni di valore sufficiente. In compenso, dal lato soci, questa forma protegge il loro patrimonio personale (salvo impegni volontari come garanzie). È uno dei motivi per cui la S.r.l. è preferita per attività a rischio: l’imprenditore non rischia la rovina personale oltre la perdita dell’investimento.
Società per azioni (S.p.A.) e altre società di capitali
Per quanto riguarda la Società per Azioni (S.p.A.), le considerazioni sono analoghe a quelle fatte per la S.r.l., con qualche differenza dovuta alla struttura più complessa:
- Anche la S.p.A. ha piena autonomia patrimoniale. I soci azionisti non rispondono oltre il valore delle azioni sottoscritte (art. 2325 c.c.). Dunque, i creditori della società possono pignorare solo beni della società, non degli azionisti.
- Gli azionisti, inoltre, sono solitamente numerosi e variabili, quindi i creditori sociali di solito neppure sanno chi colpire. In alcune situazioni però (es. S.p.A. piccola con azionista di controllo persona fisica), il creditore potrebbe essere tentato di colpire quell’azionista. Ma non può farlo in base al debito sociale – potrebbe farlo solo se quell’azionista avesse obblighi propri (es. anch’egli fideiussore, come spesso accade in S.p.A. non quotate).
- Dal lato opposto, i creditori personali di un azionista possono pignorare le azioni che costui possiede, similmente a quanto visto per le quote di S.r.l. La procedura di pignoramento di titoli azionari è più semplice poiché le azioni (se in regime di dematerializzazione) sono valori mobiliari: il pignoramento si notifica all’intermediario depositario (es. la banca che custodisce il dossier titoli) o alla società stessa e poi si realizza con vendita in borsa se sono quotate o all’asta se non quotate. Spesso, per le azioni non quotate, il tribunale nomina un esperto per stimare il valore e poi vende a mezzo commissionario. Se le azioni sono intestate a una società fiduciaria per conto dell’azionista, è necessario pignorare presso la fiduciaria (c’è stata proprio una Cassazione nel 2024 su pignoramento di quota fiduciaria). Comunque, anche in S.p.A., i creditori personali degli azionisti non possono toccare beni sociali.
- Un amministratore di S.p.A. può essere responsabile verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. in caso di mala gestio grave, analogamente alla 2476 per S.r.l. (questo in caso di insolvenza conclamata della società).
- In S.p.A. grandi, raramente i creditori insoddisfatti fanno pignoramenti – si va verso procedure concorsuali data la dimensione.
Altre società di capitali come la S.a.p.a. (accomandita per azioni, simile alla S.a.s. ma con capitale diviso in azioni e accomandatari illimitatamente responsabili) e le cooperative seguono logiche simili: le S.a.p.a. hanno soci accomandatari che rispondono illimitatamente (quindi creditori sociali possono pignorare anche i loro beni personali), mentre accomandanti come azionisti limitati; le cooperative hanno responsabilità limitata dei soci come S.r.l. (salvo diversa clausola di responsabilità sussidiaria, rarissima).
Enti pubblici economici o aziende speciali non le trattiamo qui, ma in genere hanno patrimoni separati pure loro.
Per completare il quadro, citiamo che la responsabilità patrimoniale illimitata dei soci di società di persone fa sì che se la società viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), falliscono anche i soci illimitatamente responsabili; mentre i soci di S.r.l./S.p.A. non falliscono con la società. Questo esula dall’esecuzione individuale ma conferma le differenze di rischio.
In conclusione, la forma giuridica conta enormemente:
- Con la ditta individuale il creditore ha accesso a tutto il patrimonio del debitore, ma rischia che se questi va in sovraindebitamento personale, la soluzione passi per legge 3/2012 (ora Codice della Crisi).
- Con la S.n.c./S.a.s. il creditore ha un doppio livello di attacco (società + soci), aumentando le chance di recupero. I soci però mettono a rischio l’intero proprio patrimonio.
- Con la S.r.l./S.p.A. il creditore è limitato alla società: se questa “vale poco”, recupererà poco; i soci dormono sonni (relativamente) tranquilli, a meno di garanzie date.
- Inoltre, per qualunque forma, se le cose precipitano, può intervenire il fallimento/liquidazione giudiziale, che blocca le esecuzioni in corso (art. 51 L.F. / art. 150 CCII) e convoglia tutto nel concorso. Ciò è rilevante perché, ad esempio, un creditore che abbia pignorato beni di una S.r.l. potrebbe vedersi stoppato se la S.r.l. viene dichiarata insolvente e ammessa a procedura concorsuale: a quel punto dovrà partecipare al concorso e la sua esecuzione individuale verrà chiusa.
Profili fiscali e tributari collegati al pignoramento dell’azienda
Il pignoramento di un’azienda e la successiva vendita forzata dei suoi beni pongono una serie di questioni fiscali da tenere in considerazione. Infatti, le operazioni esecutive non sono “esenti” dagli adempimenti tributari: la legge predispone regole specifiche per assicurare che anche le vicende di espropriazione forzata rispettino, per quanto possibile, le norme fiscali (soprattutto in tema di IVA, imposte sui redditi, imposte di registro). Inoltre, entrano in gioco particolari normative quando il creditore procedente è l’Erario (cioè in caso di riscossione coattiva di tributi). Analizziamo i principali profili:
IVA sulla vendita forzata dei beni dell’azienda
Se l’azienda debitrice è un soggetto passivo IVA (come la maggior parte delle imprese), la vendita coattiva dei suoi beni viene considerata ai fini fiscali come una cessione effettuata dal debitore. Ciò significa che, in linea di principio, si applicano le stesse regole IVA che si applicherebbero ad una vendita volontaria di quegli stessi beni. Ad esempio:
- La vendita all’asta di un macchinario usato appartenente ad una società commerciale è soggetta a IVA (aliquota ordinaria) se, in caso di vendita normale, quel macchinario sarebbe imponibile. Dovrà quindi essere emessa fattura con IVA.
- La vendita forzata di un immobile aziendale segue il regime IVA/registro previsto per le cessioni di immobili in generale: ad esempio, se l’immobile è di tipo strumentale ceduto da una società con opzione IVA, l’atto sarà assoggettato a IVA; se invece è abitativo venduto oltre 5 anni dalla costruzione senza opzione, sarà esente IVA e si pagherà l’imposta di registro proporzionale (2% se prima casa per l’acquirente, altrimenti 9%, ecc.).
Chi però si occupa praticamente di questi adempimenti, dato che il debitore spesso è inerte o indisponibile? La normativa prevede che sia il professionista delegato o custode a farsi carico degli obblighi IVA in vece del debitore. Già una circolare del Ministero delle Finanze del 1974 e una risoluzione dell’Agenzia Entrate del 2005 hanno stabilito che il custode o delegato alla vendita emette la fattura per la vendita forzata e provvede al versamento dell’IVA dovuta. In pratica:
- Al momento del decreto di trasferimento di un immobile o dell’atto di vendita di beni mobili all’asta, il delegato compila una fattura intestata al compratore, come se fosse emessa dalla società debitrice, con indicazione dell’IVA (se applicabile) e la registra ai fini IVA.
- Il compratore paga l’IVA insieme al prezzo di aggiudicazione. Tali importi affluiscono sul conto della procedura.
- Il custode/delegato poi versa l’IVA all’Erario utilizzando il codice fiscale/Partita IVA del debitore esecutato, in quanto è un adempimento legato alla sua attività. Se il debitore fosse irreperibile o inadempiente, il custode è tenuto a farlo comunque direttamente.
Questo meccanismo garantisce che lo Stato non perda l’IVA sulle vendite forzate: se l’operazione sarebbe stata imponibile, lo resta anche in sede d’asta giudiziaria, e l’incasso dell’IVA avviene contestualmente alla vendita. Il custode funge da “sostituto” negli adempimenti. Per contro, se la cessione sarebbe stata esente IVA, si applicano le imposte alternative: tipicamente l’imposta di registro. Ad esempio, la vendita giudiziaria di un complesso aziendale (cessione d’azienda) è fuori campo IVA ex art. 2 DPR 633/72, quindi si pagherà l’imposta di registro (3% sul valore di avviamento e beni mobili, 9% sui beni immobili inclusi, con le eventuali agevolazioni prima casa, ecc.). Sarà cura del professionista delegato calcolare anche queste imposte e versarle. Il decreto di trasferimento funge da base per il calcolo.
Occorre sottolineare un punto: l’azienda debitore spesso, trovandosi in difficoltà, potrebbe non aver versato l’IVA a debito su precedenti operazioni. Questa però è una questione diversa (debiti IVA pregressi che diventano cartelle, ecc.). Nell’esecuzione forzata, ciò che conta è che le vendite all’asta generano in capo all’azienda degli obblighi fiscali correnti che la procedura deve adempiere.
Ad esempio, se durante la custodia l’azienda continua a operare (magari produce e vende merce con autorizzazione del giudice), il custode dovrà emettere fatture per quelle vendite e tenere la contabilità fiscale corrente, per evitare evasione. Oppure, se l’azienda aveva immobili locati, il custode riscuote i canoni e versa l’IVA sui canoni periodici, in luogo del debitore.
Quanto al trattamento fiscale per l’acquirente: l’aggiudicatario di beni all’asta giudiziaria gode di alcune agevolazioni come l’equiparazione ai fini dell’agevolazione “prima casa” (se compra un’abitazione ha diritto, sussistendone i requisiti, all’aliquota ridotta e al credito d’imposta per eventuale vendita precedente). Ci sono norme speciali che estendono le agevolazioni fiscali anche alle vendite giudiziarie, per non penalizzare gli acquirenti rispetto a un acquisto sul mercato libero.
Riassumendo sulla IVA/registro:
- Beni mobili ceduti: IVA se la società era soggetto IVA e il bene non è esente; altrimenti registro (es. automezzo venduto da privato esecutato: no IVA, bollo/registro).
- Immobili: si segue art. 10 DPR 633/72 e relative opzioni. Se la società esecutata è impresa costruttrice entro 5 anni da fine lavori, IVA obbligatoria su cessione di abitativo; oltre 5 anni IVA esente salvo opzione; strumentali: IVA imponibile per natura con opzione inversa in atto, ecc. Se c’è esenzione, registro 9% o 2%. Insomma, le stesse regole di una compravendita normale.
- Azienda intera: cessione d’azienda esclusa da IVA ex art. 2, comma 3, lett. b) DPR 633/72, quindi solo imposta di registro (0,5% su valori di crediti ceduti, 3% su valore altri beni mobili incl. avviamento, imposte ipocatastali su immobili 50€ fissi se prima casa o 200€ altrimenti, etc., in base al TU Registro).
- Chi paga queste imposte? Formalmente l’imposta di registro su decreto di trasferimento è dovuta dall’acquirente (come in ogni compravendita). L’IVA invece incassata dall’acquirente viene girata all’Erario a cura della procedura (quindi è come se la pagasse l’acquirente nel prezzo).
- Spese di trasferimento: le vendite giudiziarie scontano alcune riduzioni (es. niente onorari notarili se fa tutto il delegato, imposta di registro calcolata sul prezzo aggiudicato anche se inferiore a valore catastale, grazie ad esenzione art. 46 DPR 131/86).
Imposte dirette sui ricavi e ritenute
Un altro profilo è quello delle imposte dirette (IRES, IRPEF, IRAP) relative agli importi recuperati. Se l’azienda prosegue parzialmente l’attività durante l’esecuzione (per esempio incassa crediti), in teoria quei flussi andrebbero a conto economico. Nella pratica però, un’azienda pignorata spesso è destinata o a essere venduta o a cessare; difficilmente chiude un bilancio con utile da tassare. Inoltre, se l’azienda poi fallisce, subentrano le regole tributarie del fallimento (periodi d’imposta frazionati, ecc.).
Tuttavia, immaginiamo una situazione: un macchinario pignorato, completamente ammortizzato in contabilità, viene venduto all’asta a 100. Questo, contabilmente per l’azienda, genererebbe una plusvalenza di 100 (in quanto valore di carico zero, realizzo 100). Se l’azienda restasse in bonis, tale plusvalenza sarebbe un componente positivo tassabile ai fini IRES/IRPEF. E l’IRAP potrebbe applicarsi sul valore della produzione generato dall’operazione straordinaria (anche se nelle regole IRAP certe plusvalenze da cessazione forse sono escluse, ma dipende). In pratica però, se l’azienda è in esecuzione, spesso il ricavato neppure transita per cassa aziendale – va ai creditori – quindi l’azienda non paga imposte su un utile che non le rimane.
Dal punto di vista fiscale stretto, l’azienda dovrebbe comunque dichiarare nei redditi quell’operazione (il reddito d’impresa comprende anche le plusvalenze da cessione di cespiti). Se però parallelamente si manifestano perdite o il soggetto va in liquidazione, potrebbe non generare poi imposta. Inoltre, se dopo l’esecuzione coattiva l’impresa viene dismessa, potrebbe beneficiare di regimi di esenzione della plusvalenza (ad esempio se cessione di azienda in liquidazione, certe plusvalenze possono tassarsi in modo separato a volte).
Comunque, questi aspetti esulano dall’esecuzione in sé – è più un problema del debitore che dopo l’esecuzione potrebbe aver debiti fiscali residui dovuti a come vengono trattati contabilmente i realizzi forzosi. Nella pratica, spesso l’impresa finisce in default e non paga quelle imposte, che diventano a loro volta crediti erariali di difficile recupero.
C’è però un caso concreto dove l’imposta diretta entra di prepotenza: la ritenuta d’acconto del 20% sui pignoramenti presso terzi, già citata sopra. Questa è un obbligo tributario immediato: ad esempio, un creditore persona fisica con P.IVA recupera €10.000 da un conto corrente pignorato; la banca trattiene €2.000 (20%) e gli versa €8.000, poi certificherà €2.000 come ritenuta IRPEF a suo carico. Il creditore potrà scomputare quella ritenuta nella sua dichiarazione dei redditi, pagando imposte eventualmente a conguaglio. Se però dichiara che non va applicata (perché magari il credito soddisfatto non era reddito imponibile – ipotesi rara – o perché è un soggetto IRES), allora il terzo può evitare di applicarla.
Questa ritenuta fu introdotta per evitare che chi incassa redditi tramite esecuzione dimentichi di dichiararli. Pensiamo a un avvocato che recupera in via forzata la parcella da un cliente: quell’incasso è reddito professionale imponibile, dunque prevedere la ritenuta a monte (come se il cliente fosse sostituto d’imposta) garantisce il prelievo immediato.
Dal lato IRAP, se l’azienda continua ad esistere, i costi e ricavi dell’esecuzione possono influire sulla base imponibile. Ad esempio le spese di esecuzione (perizia, custode) contabilizzate come oneri potrebbero ridurre il valore della produzione. Ma se l’azienda è decotta, spesso non arriva a pagare IRAP su nulla.
Non bisogna poi dimenticare i profili fiscali specifici dei debiti tributari dell’azienda. Se l’azienda aveva debiti verso l’Erario (IVA non versata, ritenute non versate, tasse varie), l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può agire in via esecutiva parallela o concorrente, con strumenti propri. L’Agenzia ha però vincoli particolari:
- Non può pignorare l’immobile prima casa dell’imprenditore individuale se soddisfa i requisiti già spiegati (unico immobile, residenza, non lusso, debito sotto €120.000).
- Per altri immobili, se il debito è tra €20k e €120k, può solo ipotecare e non espropriare subito; sopra €120k può espropriare ma solo trascorsi almeno 6 mesi dall’iscrizione di ipoteca e con varie formalità rispettate.
- Può pignorare conti e stipendi con le soglie 1/10-1/7-1/5 come detto.
- Se avvia un pignoramento, ad esempio immobiliare, il giudice competente a eventuali opposizioni può essere il giudice tributario per certe questioni (Cass. SU 2021).
Dal punto di vista dell’azienda debitrice, la presenza di debiti fiscali introduce spesso il creditore privilegiato per eccellenza: l’Erario gode di privilegi generali sui mobili (per IVA, ritenute) e di ipoteche legali per le cartelle messe a ruolo (quando iscritte). Quindi nella distribuzione del ricavato l’Erario potrebbe prendersi una fetta prioritaria. Ad esempio, se si vendono macchinari e c’è IVA non pagata, l’Agenzia Entrate Riscossione interviene con privilegio sul ricavato dei mobili fino all’ammontare del credito IVA (il privilegio IVA ex art. 2752 c.c. è secondo in ordine solo dopo le retribuzioni dipendenti). Ciò riduce quanto rimane per chirografari.
Infine, in caso di concordati o piani di ristrutturazione, il fisco ha trattamenti particolari (crediti privilegiati parzialmente falcidiabili solo in certi casi).
Riassumendo i profili tributari:
- L’esecuzione forzata non è zona franca fiscale: vendite e atti esecutivi scontano IVA/registro come dovuto. Il tribunale e gli ausiliari si fanno carico di applicare correttamente le imposte (fatturazione, versamenti).
- I creditori incassano talvolta al netto di ritenute fiscali (se dovute).
- I debiti tributari del debitore esecutato seguono regole proprie in parallelo e possono condizionare tempi e modi (specie su immobili e stipendi).
- Il fisco come creditore gode di cause di prelazione che spesso gli fanno avere la priorità nel riparto, almeno parziale (iva, imposte, contributi hanno privilegi).
- Per evitare complicazioni, molti aggiudicatari di aste preferiscono società venditrici fallite piuttosto che in bonis, perché nel fallimento le imposte di registro sono fisse per legge, mentre in esecuzione individuale pagano proporzionale. Ma questo è un dettaglio di convenienza economica, non giuridico.
In conclusione, chi affronta un pignoramento di azienda non deve trascurare gli aspetti fiscali: una corretta pianificazione fiscale in collaborazione con il delegato può evitare problemi (ad es. opzioni IVA in atto di trasferimento, adesione a regimi agevolati come prezzo-valore se possibili, ecc.). D’altro canto, il debitore che vede i propri beni venduti forzatamente potrebbe subire anche conseguenze fiscali (in termini di plusvalenze tassabili o perdita di agevolazioni) che però, nella sua situazione di dissesto, spesso finiscono per tradursi in ulteriori debiti d’imposta non pagati.
Simulazioni pratiche dal punto di vista del debitore
Di seguito presentiamo alcune simulazioni pratiche, ossia scenari realistici, per comprendere meglio cosa accade al debitore (l’azienda o l’imprenditore) durante un pignoramento. Attraverso questi esempi seguiremo passo passo le vicende tipiche, esaminando le possibili scelte e conseguenze.
Caso 1: Pignoramento di una ditta individuale artigiana
Scenario: Mario Rossi è titolare di una piccola impresa individuale di idraulica (“Rossi Impianti”). A causa di problemi di liquidità non ha pagato un fornitore di caldaie per €30.000. Il fornitore ottiene un decreto ingiuntivo esecutivo. Mario possiede: un furgone attrezzato (valore €15.000), varie attrezzature e utensili (€5.000), merci in magazzino (€3.000), oltre a beni personali (un’auto utilitaria €8.000 e una casa di proprietà valore €120.000 su cui grava però un mutuo residuo di €80.000).
Fase 1 – Precetto: Mario riceve dall’ufficiale giudiziario la notifica di un atto di precetto intimante il pagamento di €30.000 entro 10 giorni, pena l’esecuzione forzata. Essendo consapevole di non poter pagare tutto e non avendo ottenuto dal fornitore una dilazione, Mario è in allarme. Nei 10 giorni cerca disperatamente di trovare un accordo, ma il creditore è deciso a procedere.
Fase 2 – Pignoramento mobiliare presso il debitore: Scaduti i 10 giorni, un ufficiale giudiziario si presenta presso il laboratorio di Mario, accompagnato dall’avvocato del creditore. Mario apre i locali e l’ufficiale procede a redigere il verbale di pignoramento. Vengono individuati:
- Il furgone aziendale, parcheggiato fuori (targato XY000ZZ). L’ufficiale rileva targa e modello e procede al pignoramento del veicolo. Essendo un bene mobile registrato, potrebbe notificare un atto ex art. 521-bis, ma trattandosi di pignoramento in loco immediato, annota il veicolo nel verbale. Consegna il libretto di circolazione e le chiavi a Mario nominando però custode dello stesso un deposito giudiziario convenzionato (temendo che Mario continui ad usarlo). Il carro attrezzi viene chiamato per portare via il furgone. Per Mario è un colpo durissimo: senza furgone non può lavorare.
- Attrezzature e utensili: all’interno, l’ufficiale elenca trapani, chiavi, saldatrici, pompe ecc. Mario protesta: “Senza i miei attrezzi non posso lavorare, sono indispensabili!”. L’ufficiale però li pignora comunque, elencandoli sommariamente (“n.50 utensili vari da idraulica, valore stimato €5.000”). Tuttavia, l’avvocato di Mario richiama l’attenzione sull’art. 515 c.p.c.: questi beni sono indispensabili alla professione. L’ufficiale concorda di lasciarli in custodia a Mario stesso, annotando che sono beni relativamente impignorabili e che il pignoramento su di essi è limitato a 1/5 del loro valore. Significa che, salvo istruzioni del giudice, forse non verranno poi asportati.
- Merci in magazzino: ci sono 4 caldaie e vari tubi e raccordi (valore circa €3.000). L’ufficiale li pignora e li lascia in loco in custodia a Mario (non essendo facile portar via tutto subito e potendo Mario continuare magari a venderle sotto controllo).
- Beni personali: L’ufficiale giudiziario, essendo in un locale che è anche l’abitazione di Mario (laboratorio annesso a casa), potrebbe pignorare beni d’arredo. Ma l’avvocato del creditore dice che per ora basta così.
Mario è sconvolto: in poche ore ha perso l’uso del furgone e formalmente anche degli strumenti. L’ufficiale gli lascia copia del verbale di pignoramento e gli ingiunge di non sottrarre, spostare o vendere nulla di quanto pignorato, pena sanzioni penali. Mario chiede piangendo: “Come faccio a lavorare?” L’ufficiale risponde che di questo potrà eventualmente investire il giudice dell’esecuzione tramite un’opposizione per eccessività del pignoramento.
Fase 3 – Deposito e assegnazione: L’avvocato del creditore iscrive a ruolo la procedura in tribunale entro pochi giorni. Il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza per decidere sulle vendite. Nel frattempo Mario, tramite un avvocato, propone un’opposizione all’esecuzione parziale: riconosce il debito ma sostiene che pignorare tutti gli strumenti di lavoro è abuso del diritto esecutivo perché così non può più produrre reddito e pagare (fa leva sull’art. 615 c.p.c. in combinato con 515 c.p.c.). Chiede al giudice di limitare il pignoramento lasciandogli il furgone e gli attrezzi per poter proseguire l’attività e onorare il debito a rate.
Fase 4 – Udienza davanti al G.E.: Il giudice tratta sia la richiesta di Mario sia le istanze di vendita del creditore. Il giudice, constatando che in effetti vendere il furgone e gli attrezzi renderebbe impossibile a Mario continuare l’attività, è sensibile: dispone, in via di provvedimento di urgenza, che Mario possa riottenere l’uso del furgone e degli strumenti dietro pagamento di una cauzione di €5.000 e impegno a non alienarli. Sostanzialmente “sospende” il pignoramento su quei beni, limitandolo ad 1/5 del valore (di fatto inutilizzabile). Il creditore ovviamente protesta, ma il giudice bilancia gli interessi. In compenso, ordina di procedere subito con la vendita delle caldaie e merci: incarica Mario stesso (come custode) di venderle al miglior prezzo, con il ricavato da depositare in tribunale per poi girarlo al creditore.
Fase 5 – Soluzione: Grazie a questo respiro, Mario riesce a vendere rapidamente le 4 caldaie per €3.000 (era merce che ruotava) e consegna i soldi. Inoltre ottiene un piccolo prestito dai familiari e racimola altri €5.000. Con €8.000 disponibili, in sede di distribuzione il creditore riceve quella somma (coprendo interessi e spese e riducendo il capitale dovuto). Resta un debito di €22.000. Mario propone allora un accordo a saldo e stralcio: essendo tornato operativo e potendo lavorare, offre di pagare €2.000 al mese per 11 mesi (totale €22.000) se vengono sospese le azioni. Il creditore, visto qualcosa recuperato e il resto garantito a breve, accetta. Le parti formalizzano in tribunale una rateizzazione concordata ex art. 624-bis c.p.c.: il giudice sospende l’esecuzione, Mario pagherà le rate mensili. Se non lo farà, il creditore potrà riattivare subito il pignoramento riprendendo da dove era rimasto (vendendo i beni residui).
Epilogo: Mario riesce a pagare tutte le rate nei mesi seguenti grazie ai lavori svolti con i suoi strumenti. L’esecuzione viene dichiarata estinta per pagamento integrale. Mario ha evitato la rovina, ma ha passato momenti drammatici: il pignoramento l’ha quasi messo in ginocchio, salvato solo dall’intervento “umanizzante” del giudice e da un accordo ultimo col creditore. Se il giudice non gli avesse restituito i mezzi, probabilmente Mario avrebbe dovuto chiudere e magari dichiarare il sovraindebitamento. Questo scenario mostra come per un piccolo imprenditore il pignoramento di beni vitali è questione di vita o morte professionale.
Caso 2: Pignoramento di una SRL commerciale con debiti bancari
Scenario: Alfa S.r.l. gestisce un negozio di arredamenti. Ha subito un calo di fatturato e non ha rimborsato un prestito bancario di €100.000 garantito da ipoteca su un magazzino di proprietà sociale. La banca, dopo aver risolto il contratto, agisce legalmente.
Fase 1 – Precetto e pignoramento immobiliare: Alfa S.r.l. riceve un precetto dalla banca intimante €100.000 entro 10 giorni. Non pagando, la banca attiva l’espropriazione immobiliare: notifica un atto di pignoramento immobiliare riferito al magazzino (un capannone) e lo trascrive nei registri. Il pignoramento immobiliare viene regolarmente iscritto anche se l’immobile è ipotecato proprio a favore della banca creditrice (che però preferisce fare comunque il pignoramento per vendere).
Effetto sul debitore: Il rappresentante di Alfa S.r.l. non subisce conseguenze dirette immediate (nessun ufficiale viene a portar via beni mobili, il negozio resta aperto). Tuttavia, il magazzino è ora vincolato: la società non può più venderlo liberamente né darlo in garanzia ad altri. Inoltre, la notizia del pignoramento è pubblica nei registri immobiliari, potenzialmente danneggiando la reputazione creditizia di Alfa.
Fase 2 – Procedura di vendita: La banca iscrive a ruolo la procedura. Il tribunale nomina un perito per stimare il valore del magazzino: supponiamo €150.000. E nomina un professionista delegato per organizzare la vendita. Viene fissata un’asta telematica con prezzo base €150.000. Nel frattempo Alfa S.r.l. sta cercando di rifinanziarsi per evitare di perdere l’immobile, ma senza successo.
Fase 3 – Asta e custodia: Il giudice nomina anche un custode del magazzino. Alfa S.r.l. utilizzava il magazzino per stoccare mobili: ora il custode inventaria il contenuto e permette ad Alfa di continuare a usarlo fino all’aggiudicazione, ma con l’obbligo di non togliere nulla se non venduto nel normale esercizio (che comunque è ammesso). All’asta, il capannone viene aggiudicato a un terzo per €160.000. Il giudice emette decreto di trasferimento: l’immobile passa all’aggiudicatario, libera da ipoteca della banca (che si cancella automaticamente). Alfa S.r.l. deve liberare i locali entro 60 giorni dal decreto; in tal caso il custode provvederà a sgomberare eventuali mobili residui.
Fase 4 – Distribuzione del ricavato: Il ricavato lordo è €160.000. Supponiamo spese procedura €10.000 (perito, custode, pubblicità). Rimangono €150.000 da distribuire. I creditori noti:
- Banca procedente con ipoteca di primo grado per €100.000 + interessi;
- Un’altra banca con ipoteca di secondo grado per €50.000;
- L’erario per IMU non pagata su quell’immobile per €5.000 (che ha privilegio speciale sull’immobile).
Si forma il piano di riparto: per legge, i creditori ipotecari vanno soddisfatti in ordine di grado, ma prima si paga il privilegio dello Stato per le imposte relative all’immobile (IMU ha grado superiore all’ipoteca). Quindi:
- IMU €5.000 pagata per prima (dal ricavato).
- Residuo €145.000: va alla banca di primo grado (€100.000 + interessi €5.000 = €105.000, pagati integralmente).
- Rimangono €40.000: vanno alla banca di secondo grado fino a concorrenza del suo credito €50.000. Questa banca quindi rimane parzialmente insoddisfatta (€10.000 scoperti, che diventano un credito chirografario verso Alfa S.r.l. eventualmente azionabile su altri beni).
Alfa S.r.l. ha perso il magazzino e vede estinto il debito con la banca pignorante e ridotto quello con la seconda banca (che potrà cercare altre vie per i 10k restanti). L’azienda ora deve affittare un altro magazzino per proseguire l’attività.
Possibili reazioni del debitore nel frattempo: Alfa S.r.l. avrebbe potuto:
- Opporsi all’esecuzione contestando magari il calcolo interessi (ma in questo caso debito certo, ipoteca legittima, poche chance).
- Cercare un acquirente per vendere privatamente l’immobile a prezzo migliore e pagare la banca prima dell’asta (è possibile fino a che non vi sia aggiudicazione definitiva). Non l’ha fatto e ora l’asta è andata.
- Presentare un concordato preventivo per bloccare l’asta (proposta di ristrutturazione debiti): se l’avesse fatto prima dell’aggiudicazione, la procedura esecutiva sarebbe stata sospesa ope legis per 120 giorni. Non l’ha fatto però.
Conclusione caso 2: la S.r.l. ha perso un asset ma, grazie alla responsabilità limitata, i soci non subiscono attacchi personali. Se il debito fosse rimasto oltre la vendita (ad es. se il ricavato fosse stato minore e la banca ancora creditrice chirografa), Alfa S.r.l. rimane debitrice per la differenza ma priva di beni; la banca potrebbe chiederne il fallimento. I soci però non devono coprire quei debiti residui. Questo scenario illustra un pignoramento immobiliare classico garantito da ipoteca, dove il creditore recupera tramite asta l’importo dovuto. L’azienda subisce la perdita del bene e deve riorganizzarsi, ma non è necessariamente la fine: potrebbe proseguire in forma diversa (affittando spazi). Tuttavia, la reputazione creditizia è segnata e altri creditori potrebbero preoccuparsi.
Caso 3: Pignoramento presso terzi di crediti e conti di una società
Scenario: Beta S.r.l. è un’azienda di servizi informatici con diversi clienti. Ha un debito di €20.000 verso un ex consulente che l’ha citata e ottenuto una sentenza esecutiva. Beta S.r.l. non ha immobili; possiede però un conto in banca con saldo €5.000 e deve incassare pagamenti per €30.000 da vari clienti per contratti conclusi.
Fase 1 – Precetto e pignoramenti presso terzi: Il consulente notifica precetto a Beta che non paga. Allora in parallelo avvia due azioni:
- Un pignoramento presso terzi mirato sul conto corrente di Beta presso Banca X.
- Diversi pignoramenti presso terzi verso alcuni clienti noti di Beta: ad esempio, la società Gamma deve pagare €10.000 a Beta per un progetto, la società Delta deve pagarne €5.000, etc. Il creditore notifica atti di pignoramento a Gamma, Delta e altri, intimando loro di non pagare Beta ma vincolare quelle somme.
Beta S.r.l. viene notificata di questi atti (banca e clienti) e capisce che le stanno congelando liquidità e crediti.
Effetti immediati: La banca, appena ricevuto l’atto, blocca il conto di Beta per €20.000 (anche se il saldo è 5k, blocca quello e trattiene futuri accrediti fino a 20k). Ciò significa che Beta da oggi non può più disporre dei soldi in conto. I clienti Gamma, Delta ecc., allertati, trattengono i pagamenti dovuti: Beta non riceverà quei incassi. Beta si trova improvvisamente senza flussi in entrata, e rischia di saltare stipendi e fornitori.
Fase 2 – Udienza dichiarativa: Dopo 30 giorni è fissata l’udienza in tribunale per le dichiarazioni dei terzi.
- Il funzionario di Banca X invia una lettera dichiarando: “Conto n… intestato Beta S.r.l.: saldo €5.000 alla data del pignoramento; nient’altro dovuto”.
- La società Gamma invia PEC dichiarando: “Dobbiamo €10.000 a Beta, non ancora scaduti (scadenza fattura fra 15 gg) – li accantoniamo in attesa di ordine del giudice”.
- Delta dichiara: “€5.000 dovuti a Beta già scaduti, confermiamo disponibilità al pagamento secondo quanto ordinato”.
Altri clienti magari dichiarano importi diversi.
Fase 3 – Ordinanza di assegnazione: Il giudice, raccolte le dichiarazioni, emette un provvedimento:
- Ordina alla Banca X di assegnare al creditore procedente la somma di €5.000 immediatamente (il saldo disponibile), e se in futuro entro 90 giorni arrivassero altre somme sul conto, di girarle fino a saturare €20.000 (questa clausola può esservi se previsto).
- Ordina a Gamma di pagare €10.000 (alla scadenza pattuita della fattura) direttamente all’ufficiale giudiziario o su libretto fruttifero intestato alla procedura, fino a €10.000.
- Ordina a Delta di pagare subito €5.000 con le stesse modalità.
In totale, quindi, il giudice assegna €20.000 (5k+10k+5k). Se tutto va liscio, il creditore recupererà i €20.000 dovuti e chiuderà l’esecuzione.
Effetti su Beta S.r.l.: L’azienda vede volatilizzarsi €20.000 di sue risorse. I clienti Gamma e Delta pagano ma Beta non vede quei soldi, vanno al creditore. Beta ha perso liquidità e crediti equivalenti al debito. In teoria non ha perso più di ciò che doveva (il creditore ha preso 20k, che Beta comunque doveva pagare), ma la modalità è traumatica: incassi bloccati quando Beta magari li avrebbe usati per altre spese immediate, generando un effetto domino. Beta rischia ora inadempienze verso i suoi dipendenti o altri fornitori perché quei fondi sono dirottati. Questo spesso induce aziende in questa situazione a cercare protezione: Beta potrebbe valutare un ricorso per concordato o un accordo con creditori per sospendere l’esecuzione, oppure reperire finanziamenti di urgenza.
Possibili difese di Beta:
- Beta poteva tentare un’opposizione agli atti esecutivi sostenendo, ad esempio, che la notifica a un cliente è viziata. Ma se tutto è regolare, sarebbe inutile.
- Beta poteva offrire al creditore un pagamento dilazionato prima, per evitare il blocco. Ormai tardi.
- Una mossa: Beta può istruire i suoi legali affinché nella ripartizione forzata si applichi la ritenuta 20%. Infatti, la banca e i clienti come terzi dovrebbero trattenere il 20% a titolo IRPEF se Beta (creditore pignorante) fosse persona fisica. Ma qui il creditore è un consulente persona fisica con P.IVA, dunque soggetto a IRPEF: la banca e le società terze dovranno trattenere il 20% di quanto pagano e versarlo all’Erario come ritenuta. Quindi il consulente creditore incasserà netti €16.000 (80% di 20k) e 4k andranno al fisco a titolo di acconto IRPEF sul suo reddito. Per Beta questo non fa differenza sul dovuto, ma è un dettaglio tecnico della procedura.
Conclusione caso 3: Il pignoramento presso terzi ha colpito Beta al cuore finanziario: conti e crediti. Beta ha risolto il debito col consulente, ma al prezzo di stress finanziario. Avendo perso quella liquidità, potrebbe dover chiedere prestiti per coprire altre spese, oppure potrebbe a sua volta ritardare pagamenti ad altri fornitori, innescando un circolo vizioso. Se Beta era già fragile, questo evento potrebbe portarla all’insolvenza e spingerla a portare i libri in tribunale (fallimento o concordato). È un esempio di come un’azione esecutiva aggressiva (ma lecita) come il pignoramento di crediti presso terzi possa affondare un’azienda se questa non ha cuscinetti. D’altro canto, dal punto di vista del consulente creditore, è stata la via più efficace: in pochi mesi ha ottenuto soddisfazione, mentre se avesse aspettato volontariamente probabilmente Beta avrebbe continuato a dilazionare.
Queste simulazioni illustrano varie sfaccettature: la difficoltà del debitore a reagire e l’importanza per lui di conoscere i suoi diritti (ad es. nel caso di Mario l’opposizione parziale, nel caso di Beta magari negoziare prima, nel caso di Alfa cercare alternative prima dell’asta). Mostrano anche come spesso l’esecuzione forzata porti l’azienda debitrice a un bivio: o trovare un accordo/soluzione, oppure scivolare verso la chiusura o procedure concorsuali.
Tabelle riepilogative
Di seguito forniamo alcune tabelle di sintesi che riassumono le principali procedure, termini e rimedi nell’espropriazione forzata di un’azienda.
Fasi dell’esecuzione forzata e relativi termini
Fase | Descrizione | Termini e scadenze | Riferimenti normativi |
---|---|---|---|
Atto di precetto | Intimazione di pagamento al debitore a fronte di un titolo esecutivo valido. Deve precedere il pignoramento. | – Attendere almeno 10 giorni dalla notifica prima di iniziare il pignoramento (termine dilatorio).– Efficacia 90 giorni dalla notifica: se entro questo termine non si avvia l’esecuzione, il precetto diviene inefficace. | Art. 480, 481 c.p.c. |
Pignoramento | Atto iniziale dell’esecuzione forzata: vincola beni specifici del debitore (mobili, immobili o crediti). | – Va effettuato entro 90 gg dalla notifica del precetto (altrimenti serve nuovo precetto).– Efficacia 45 giorni: se entro 45 gg dal compimento il creditore non chiede vendita o assegnazione, il pignoramento perde efficacia (termini ridotti dalle riforme del 2021/22).– Comporta ingiunzione al debitore di non alienare i beni da quel momento (effetto immediato). | Art. 491, 492 c.p.c.Art. 497 c.p.c. (45 gg) |
Notifica e trascrizioni (per pignoramenti “indiretti”) | La notifica dell’atto di pignoramento al debitore (e al terzo, se presso terzi) e l’eventuale trascrizione nei registri pubblici (immobili, mobili registrati). | – Nel pignoramento immobiliare: obbligo di trascrizione immediata nei registri immobiliari (pubblicità costitutiva).– Nel pignoramento autoveicoli: annotazione al PRA entro 30 gg dalla notificazione (art. 521-bis c.p.c.).– Iscrizione a ruolo (deposito atti in tribunale): entro 30 gg dalla consegna dell’atto da parte dell’ufficiale giudiziario (termine pena inefficacia). | Art. 555 c.p.c. (immobili)Art. 521-bis c.p.c. (autoveicoli)Art. 543 c.p.c. (presso terzi, con termini per iscrizione) |
Intervento di creditori | Altri creditori possono inserirsi nella procedura esecutiva iniziata da uno. | – Termine: fino a che non siano esaurite le operazioni di distribuzione (possono intervenire anche in extremis).– Se intervengono dopo la vendita, partecipano comunque al riparto se il loro credito è documentato. | Art. 499 c.p.c. |
Istanza di vendita / assegnazione | Richiesta del creditore al G.E. di procedere alla liquidazione dei beni pignorati o di assegnarli. | – Entro 45 giorni dal pignoramento va depositata (pena decadenza vincolo).– L’istanza di assegnazione può essere contestuale al pignoramento (nel pignoramento presso terzi spesso è implicita citazione per assegnazione). | Art. 497 c.p.c. |
Valutazione e stima beni | Fase in cui si determina il valore dei beni pignorati (specie immobili) tramite perito. | – Il G.E. nomina un esperto stimatore, che ha un termine (tipicamente 60 giorni) per depositare la perizia.– Ad es., per immobili: 60 gg prorogabili una volta (riforma 2021). | Art. 568 c.p.c. (valore di stima)Art. 173-bis disp. att. c.p.c. |
Vendita forzata | Alienazione coattiva dei beni pignorati (asta o trattativa approvata). | – Termine di svolgimento: il G.E. stabilisce un termine entro cui presentare offerte (es. 30-120 gg).– Possibilità di più esperimenti d’asta in caso di asta deserta (prezzi ribassati di regola del 25% ogni volta, salvo diversa disposizione).– Per immobili: l’ordinanza di vendita deve prevedere eventuale vendita con incanto o senza; l’aggiudicatario può chiedere, se previsto, rateazione fino 12 mesi con cauzione 30%. | Art. 530 c.p.c. (mobili)Art. 569, 576 c.p.c. (immobili) |
Decreto di trasferimento / assegnazione | Provvedimento del G.E. che trasferisce la proprietà del bene all’aggiudicatario o lo assegna al creditore. | – Emesso dopo il versamento del prezzo (entro termini d’asta, di solito 60-120 gg dall’aggiudicazione).– Trasferisce diritti e ordina la cancellazione di ipoteche e pignoramenti (per immobili, art. 586 c.p.c.). | Art. 586 c.p.c. (decreto di trasferimento immobili)Art. 533 c.p.c. (ordinanza assegnazione denaro) |
Distribuzione del ricavato | Ripartizione delle somme ricavate tra i creditori aventi diritto, secondo graduatorie di prelazione. | – Se un solo creditore: pagamento immediato.– Se più creditori: G.E. può convocare udienza e disporre piano di riparto.– Opposizione a pianodi distribuzione: entro 30 gg dall’approvazione, se qualcuno contesta (art. 512 c.p.c.). | Art. 510 c.p.c. (ordine dei creditori)Art. 512 c.p.c. (opposizione distribuzione) |
Estinzione della procedura | Chiusura dell’esecuzione per soddisfazione dei crediti o per cause processuali. | – Per pagamento integrale o accordo: il G.E. dichiara estinto il processo ex art. 629 c.p.c..– Per rinuncia del creditore procedente: estinzione (salvo diritti intervenuti).– Per inattività delle parti: possibile estinzione d’ufficio (es. non deposito documenti, art. 567, o non atti per 1 anno).– Fallimento del debitore: chiusura (art. 51 L.F., ora art. 150 CCII). | Art. 629 c.p.c. (estinzione per soddisfazione)Art. 630 c.p.c. (estinzione per inattività o rinuncia) |
Tipi di opposizione nell’esecuzione forzata
Opposizione | Oggetto della contestazione | Termine di proposizione | Giudice competente | Effetti sulla procedura | Norma |
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Opposizione all’esecuzione – art. 615 co.1 c.p.c. | Si contesta il diritto di procedere ad esecuzione: es. il titolo esecutivo è invalido o inesistente, il debito non dovuto (pagato, prescritto), mancanza di condizioni (es. precetto viziato). In pratica mira a paralizzare l’esecuzione in toto. | Prima dell’inizio dell’esecuzione (ossia prima del pignoramento). Tipicamente entro il termine di precetto o comunque finché non è avviato il pignoramento. In ogni caso, va proposta tempestivamente: se il debitore aspetta e l’esecuzione inizia, dovrà proporla ex art. 615 co.2 (vedi sotto). | Tribunale (o giudice di pace) competente per materia/valore, nel merito, del luogo dell’esecuzione o comunque indicato dal titolo. Se prima dell’esecuzione, giudice competente a conoscere della causa sul merito del credito. | Può sospendere il processo esecutivo se il giudice dell’opposizione concede sospensione (inaudita altera parte o collegiale) su istanza del debitore. Se accolta, l’esecuzione non può neppure iniziarsi (o viene estinta se già c’era precetto notificato). | Art. 615 co.1 c.p.c. |
Opposizione all’esecuzione – art. 615 co.2 c.p.c. | Contesta il diritto di procedere all’esecuzione, ma proposta dopo che l’esecuzione è iniziata. Es: fatti estintivi sopravvenuti (pagamento dopo pignoramento), vizi sostanziali emersi dopo, ecc. | Dopo l’inizio dell’esecuzione, può essere proposta fino al termine della procedura (solitamente entro l’atto di pignoramento e prima dell’ordinanza di distribuzione finale). Non c’è un termine perentorio preciso, ma va fatta prima che l’esecuzione sia conclusa (al più tardi nelle forme di opposizione agli atti per contestare il provvedimento finale se è l’occasione di far valere l’estinzione). | Giudice dell’esecuzione (Tribunale, se esecuzione mobiliare o immobiliare in Tribunale). Si instaura come incidente davanti al G.E. competente per la procedura in corso. | L’opponente può chiedere al G.E. la sospensione dell’esecuzione (art. 624 c.p.c.) adducendo gravi motivi: il G.E. decide in tempi rapidi. Se accordata, si ferma temporaneamente la procedura in attesa della decisione di merito. Se l’opposizione viene infine accolta nel merito, l’esecuzione è dichiarata improcedibile/estinzione per insussistenza del diritto. | Art. 615 co.2 c.p.c.Art. 624 c.p.c. (sospensione) |
Opposizione agli atti esecutivi – art. 617 c.p.c. | Si contestano vizi formali o regolarità di singoli atti del processo esecutivo: es. nullità della notifica del pignoramento, errori nel verbale, mancato rispetto delle forme di legge negli avvisi d’asta, vizi nel precetto (quando non deducibili ex art. 615), ecc. Non mette in dubbio il diritto di esecuzione in sé, ma la correttezza formale degli atti. | 20 giorni dalla notifica o comunicazione dell’atto viziato (o dalla conoscenza effettiva se non vi è notifica formale). Termine perentorio, decorrente per ciascun atto da quando il debitore o interessato ne ha avuto cognizione legale. Es: 20 gg dalla notifica del precetto per opporsi a vizi del precetto come atto esecutivo; 20 gg dalla notifica dell’atto di pignoramento per vizi di forma di quest’ultimo; 20 gg dalla comunicazione dell’ordinanza di vendita per contestarne irregolarità, ecc. | Giudice dell’esecuzione (se atto del G.E. o dell’ufficiale giudiziario dopo l’inizio esecuzione) oppure Giudice competente per l’esecuzione (Tribunale) se l’opposizione riguarda atti della fase iniziale. In pratica, durante l’esecuzione la conosce sempre il G.E. | Non sospende automaticamente la procedura, ma l’opponente può chiedere al G.E. la sospensione degli atti impugnati (il G.E. può sospendere l’efficacia dell’atto se ritiene probabile la fondatezza e grave il pregiudizio). Se l’opposizione è accolta, l’atto viziato viene annullato o dichiarato inefficace. Ciò può comportare la retroposizione della procedura allo stato precedente l’atto nullo. Se è un atto centrale (es. pignoramento nullo), può travolgere l’intera esecuzione. | Art. 617 c.p.c. |
Opposizione di terzo all’esecuzione – art. 619 c.p.c. | Un terzo estraneo all’esecuzione rivendica la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, sostenendo che non dovevano essere inclusi perché non del debitore. Es: un macchinario pignorato in azienda, ma di proprietà leasing di una società terza; merci di terzi in conto vendita; immobili intestati al debitore ma in trust per un terzo, ecc. | 20 giorni dalla data del pignoramento (se il terzo ne ha avuto immediata conoscenza) o dalla conoscenza effettiva dell’esecuzione sul bene. In genere, il terzo può intervenire finché il bene non sia venduto (dopo la vendita, il suo diritto si trasferisce sul ricavato). Conviene proporla al più presto, comunque prima che avvenga l’assegnazione o aggiudicazione del bene. | Tribunale del luogo dell’esecuzione (anche se la causa di merito sulla proprietà sarebbe di competenza diversa, viene radicata davanti allo stesso tribunale per connessione). Si introduce con atto di citazione verso il creditore procedente e eventuale debitore. | Il terzo può chiedere la sospensione della vendita del bene controverso. Il G.E. la può concedere se la rivendicazione appare fondata e previo cauzione, oppure può procedere con la vendita riservando le somme. Se l’opposizione è accolta, il bene pignorato viene escluso dall’esecuzione (o, se già venduto, le somme ricavate non andranno ai creditori ma al terzo proprietario, di fatto). | Art. 619 c.p.c.Art. 620 c.p.c. (sospensione per opposizione di terzo) |
Opposizione alla distribuzione – art. 512 c.p.c. | (Impugnazione speciale) Un creditore o il debitore contesta il progetto di distribuzione del ricavato redatto dal G.E., ad esempio per errata collocazione di un credito (grado di prelazione), esclusione di un credito, calcolo interessi, ecc. | 30 giorni dall’udienza di approvazione del piano di riparto (o dalla comunicazione del progetto se fatta fuori udienza). | Tribunale (giudice competente è il Collegio tribunale esecuzioni, come decisione in camera di consiglio o con causa a cognizione piena se questioni complesse). | Se proposta, sospende la distribuzione limitatamente alle somme oggetto di contestazione. Il giudice risolve la controversia; se accoglie l’opposizione, modifica il piano di riparto di conseguenza. | Art. 512 c.p.c. |
Nota: Le opposizioni all’esecuzione (615) e agli atti (617) possono coesistere (spesso si propongono congiuntamente più motivi). Le ordinanze del G.E. su opposizioni agli atti sono impugnabili per cassazione immediatamente. Le sentenze su opposizione all’esecuzione sono appellabili. L’opposizione di terzo ha natura di giudizio di cognizione piena, appellabile. – Inoltre, il debitore può sempre evitare la prosecuzione dell’esecuzione pagando il dovuto (in tal caso le opposizioni pendenti possono diventare improcedibili per cessata materia del contendere).
Queste tabelle forniscono un riferimento rapido ma, per completezza, ogni situazione concreta andrebbe valutata alla luce della normativa aggiornata e delle interpretazioni giurisprudenziali pertinenti.
Domande frequenti (FAQ) sul pignoramento di un’azienda
Di seguito una serie di domande comuni con le relative risposte, per chiarire i dubbi più frequenti in materia di pignoramento nel contesto aziendale.
D: Un’azienda può essere pignorata per intero come entità?
R: In via diretta il codice di procedura non prevede un pignoramento unitario dell’azienda come bene immateriale, ma nella pratica un creditore può pignorare contestualmente tutti (o gran parte) dei beni che compongono l’azienda. Ad esempio, può pignorare gli immobili, i macchinari, le scorte e i crediti di un’impresa, di fatto “congelando” l’intera azienda. Su autorizzazione del giudice, tali beni possono poi essere venduti in blocco ad un unico acquirente, trasferendo l’azienda come complesso funzionante. Questa strategia serve a salvaguardare l’avviamento, ossia il valore aggiunto della combinazione dei beni rispetto alla vendita frammentata. Quindi sì, un’azienda può essere di fatto pignorata nel suo insieme, anche se tecnicamente avviene tramite la somma di pignoramenti sui singoli beni.
D: Il pignoramento può bloccare l’attività dell’impresa debitrice?
R: Sì, purtroppo accade spesso. Quando vengono pignorati beni essenziali (es. macchinari, veicoli, conti bancari) l’impresa subisce un forte impedimento operativo. La legge tutela solo parzialmente: ad esempio, gli strumenti di lavoro indispensabili non possono essere sottratti oltre 1/5 del loro valore, e il giudice può modulare la procedura per preservare la continuità aziendale. In concreto però, durante un pignoramento l’azienda non può liberamente disporre dei beni vincolati né delle somme bloccate. Può continuare ad utilizzarli se il custode (spesso il debitore stesso) lo consente, ma con l’incertezza della futura vendita. Di fatto, se il creditore non è collaborativo, l’attività può fermarsi o rallentare pesantemente. È anche vero che l’ordinamento favorisce soluzioni di composizione negoziale della crisi: il debitore può proporre ai creditori piani di rientro o accordi di ristrutturazione, eventualmente passando per il tribunale (concordato preventivo o piano di risanamento) per congelare le esecuzioni. Quindi, il pignoramento può bloccare l’azienda, ma il debitore ha strumenti da attivare per evitare il collasso totale (es. chiedere una sospensione al giudice, negoziare dilazioni, ricorrere alle procedure di crisi).
D: Cosa succede ai dipendenti se l’azienda subisce un pignoramento dei beni?
R: Il pignoramento in sé non fa cessare automaticamente i rapporti di lavoro. Tuttavia, se a seguito dell’esecuzione l’azienda cessa l’attività o le viene sottratto l’occorrente per operare, potrebbe non essere in grado di proseguire l’impresa e di pagare gli stipendi. I dipendenti in tal caso maturano essi stessi crediti (retribuzioni non pagate, TFR) che hanno privilegio generale sui beni mobili dell’azienda. In un’eventuale riparto forzoso, i dipendenti hanno diritto di essere soddisfatti prima dei creditori chirografari con le retribuzioni degli ultimi 12 mesi e il TFR. In pratica, se l’esecuzione porta a vendere i beni, una quota del ricavato dovrà coprire gli stipendi arretrati. Se però l’impresa continua, i rapporti di lavoro proseguono normalmente. Va detto che spesso, se il pignoramento è di rilevante entità, l’impresa può sfociare in fallimento: in tal caso i dipendenti verranno ammessi al passivo e potranno attingere, per alcune spettanze, al Fondo di garanzia INPS (TFR e ultime mensilità) una volta aperta la procedura concorsuale. In sintesi: nel breve termine il pignoramento non licenzia i dipendenti, ma nel medio termine, se l’impresa collassa, i dipendenti potrebbero perdere il lavoro e dover insinuare i loro crediti nel concorso.
D: Si possono pignorare i crediti futuri di un’azienda (ordini non ancora incassati)?
R: Sì, entro certi limiti. Il pignoramento presso terzi può riguardare anche crediti “futuri” del debitore verso terzi, purché siano già determinati o determinabili e vantati in base a un rapporto già esistente. Ad esempio, i crediti derivanti da un contratto di fornitura in corso possono essere pignorati anche se la fattura non è ancora emessa, oppure crediti periodici (canoni di locazione che l’azienda incasserà mensilmente). Non si possono invece pignorare genericamente “tutti i futuri crediti” senza riferimento a uno specifico rapporto. Il terzo pignorato deve poter sapere cosa bloccare. Quindi, se l’azienda ha un contratto con un cliente per consegne programmate, il creditore procedente può pignorare i crediti derivanti da quel contratto (anche quelli delle forniture successive finché dura il contratto). Questa possibilità rende il pignoramento presso terzi molto insidioso: può congelare flussi di cassa attesi, strangolando l’impresa. Il giudice dell’esecuzione, comunque, valuterà caso per caso l’ammissibilità di pignoramenti di crediti futuri troppo generici.
D: Che beni aziendali sono impignorabili?
R: I beni totalmente impignorabili per legge sono relativamente pochi e di solito non rilevantissimi in ambito aziendale. L’art. 514 c.p.c. elenca beni assolutamente impignorabili (es. oggetti sacri, vestiti, alimenti, animali da compagnia, medaglie al valore, ecc.) – tipicamente cose che non fanno parte del patrimonio commerciale dell’impresa. I beni aziendali indispensabili al lavoro (macchine, attrezzi) sono pignorabili ma con la limitazione di cui si è detto (art. 515 c.p.c., massimo un quinto del loro valore). Inoltre, il D.L. 69/2013 ha reso impignorabile la “prima casa” del debitore per debiti fiscali sotto certe soglie. Se l’imprenditore individuale ha un solo immobile abitativo dove risiede, il Fisco non può espropriarlo (mentre un creditore privato purtroppo potrebbe, perché la legge 69/2013 vincola solo l’Agente Riscossione). Altro esempio: i fondi pensione o le polizze vita stipulate dall’azienda a favore dei dipendenti sono tendenzialmente impignorabili (se dotate del beneficio di escussione come trattamento di fine lavoro). In linea generale, comunque, per le imprese vale il principio di responsabilità patrimoniale: tutti i beni dell’azienda sono garanzia dei debiti, salvo eccezioni espressissime. Quindi ci si deve attendere che qualunque asset di valore sia potenzialmente aggredibile dal creditore.
D: I soci di una società rispondono con i propri beni dei debiti dell’azienda?
R: Dipende dalla forma societaria:
- Soci di società di capitali (S.r.l., S.p.A.): No, non rispondono personalmente, salvo abbiano prestato garanzie. Il creditore può pignorare solo i beni intestati alla società. I soci rischiano al più di perdere l’investimento (la quota o le azioni possono azzerarsi di valore). Unica eccezione è se viene accertata una frode o abuso della personalità giuridica tale da imputare ai soci il debito, ma sono casi estremi e giudiziali.
- Soci di società di persone (S.n.c., accomandatari di S.a.s.): Sì, sono responsabili illimitatamente e solidalmente. Ciò significa che dopo aver escusso i beni sociali, i creditori possono pignorare case, auto, conti dei soci per soddisfare i debiti sociali. Devono però prima escutere il patrimonio della società (beneficio di preventiva escussione) e la responsabilità del socio illimitato permane anche se è uscito dalla società per i debiti sorti durante la partecipazione (nei limiti di 6 mesi – 2 anni dalla cessazione, a seconda dei casi, il socio uscente può ancora essere chiamato).
- Soci accomandanti (S.a.s.): No, essi sono come azionisti, con responsabilità limitata alla quota conferita. Non subiscono pignoramenti per debiti sociali. Se però ingeriscono in amministrazione perdono tale beneficio.
- Imprenditore individuale: non c’è distinzione socio/azienda, è la stessa persona, quindi di fatto sì, tutti i suoi beni rispondono (come visto per la ditta individuale).
In sintesi: la “regola aurea” è che nelle società di capitali vige la separazione e il patrimonio personale dei soci è al sicuro dai creditori sociali, mentre nelle società di persone i soci fungono da garanti e possono essere colpiti dai pignoramenti per le obbligazioni sociali (con le precisazioni date).
D: Un conto corrente intestato all’azienda e uno intestato al titolare persona fisica sono diversi ai fini del pignoramento?
R: Sì, sono considerati soggetti diversi se l’azienda è un’entità giuridica distinta. Se parliamo di ditta individuale, il conto personale e il conto “aziendale” sono entrambi del debitore (essendo lo stesso soggetto), quindi un pignoramento notificato alla banca su “tutti i conti intestati a Mario Rossi” congelerebbe sia il conto personale sia quello usato per l’attività (per l’importo dovuto). Se invece l’azienda è una società (es. Beta S.r.l.) e il titolare è il sig. Rossi persona fisica, un pignoramento contro Beta S.r.l. colpirà solo i conti intestati alla società. I conti personali di Rossi non saranno toccati (a meno che Rossi sia anche debitore e sia nominativamente indicato in un altro pignoramento). D’altra parte, se Rossi è socio garante e subisce pignoramento come fideiussore, verrà colpito il suo conto personale, ma non quello della società (perché quest’ultimo è intestato a un soggetto diverso, Beta S.r.l.). Quindi in generale il creditore deve scegliere il soggetto debitore e pignorare i conti a suo nome. In giudizio, eventuali commistioni (es. uso promiscuo di conti) possono creare disputi, ma giuridicamente la separazione è netta: conto aziendale di società separata non è attaccabile per debiti personali del socio e viceversa.
D: Cosa succede se il debitore, dopo il pignoramento, paga direttamente il creditore?
R: Se avviene un pagamento integrale prima che i beni siano venduti o assegnati, la procedura esecutiva si chiude. Il debitore deve informare subito il giudice dell’esecuzione depositando istanza di estinzione per intervenuto pagamento. Il creditore confermerà di aver ricevuto il saldo e il G.E. dichiarerà l’estinzione del processo esecutivo per soddisfacimento (art. 629 c.p.c.). Tutti i beni pignorati tornano liberi e nella disponibilità del debitore. Attenzione però: il debitore dovrà farsi carico anche delle spese dell’esecuzione eventualmente maturate fino a quel punto (onorari dell’ufficiale giudiziario, spese legali, ecc.), perché il creditore ha diritto a ottenerle. In pratica, per ottenere la rinuncia del creditore all’esecuzione, occorre versare capitale, interessi e spese. Se il pagamento avviene invece dopo che un bene è già stato venduto all’asta, la situazione è più complicata: la vendita agli aggiudicatari di regola è definitiva e non può essere annullata solo perché il debitore poi ha trovato i soldi, a meno che il creditore acconsenta e si segua la via dell’accordo transattivo con rimborso all’aggiudicatario (ma è molto difficile). In linea di massima quindi il debitore deve attivarsi a pagare prima che si perfezionino gli atti finali. Se paga a metà percorso, il G.E. può ordinare la cessazione parziale: ad es. sospende le aste restanti. Ma se paga quando ormai il processo è concluso (soldi ripartiti), avrà pagato due volte! Quindi è fondamentale che il debitore comunichi immediatamente ogni pagamento e il creditore ne dia atto, in modo da fermare la macchina esecutiva in tempo utile.
D: Quali sono i costi di una procedura esecutiva per l’azienda debitrice?
R: Formalmente, le spese dell’esecuzione (compensi dell’ufficiale giudiziario, custode, delegato alla vendita, perito stimatore, spese di avvisi e inserzioni, contributo unificato ecc.) sono anticipate dal creditore procedente. In sede di distribuzione del ricavato, però, tali spese sono rimborsate al creditore in prededuzione (prima di ogni altro). In altre parole, sono a carico del debitore, perché riducono quanto il debitore avrebbe eventualmente in eccedenza dopo aver pagato i creditori. Se il ricavato non basta nemmeno a coprire le spese, il creditore procedente rimane caricato della differenza (e di solito se ne lamenta, ma difficilmente può rifarsi sul debitore, se non c’è altro). Quindi, il debitore non paga cash le spese processuali man mano, ma le subisce nel senso che riducono l’attivo. Inoltre, dovrà rimborsare al creditore le spese legali da questo sopportate (nei limiti di quanto liquidato in precetto e in sede giudiziale). Esempio: se il debito è €50.000 e i beni pignorati vengono venduti a €60.000, e le spese di procedura sono €5.000 e interessi €2.000, il creditore prenderà €50.000 + €2.000 + €5.000 = €57.000 e l’eventuale residuo andrà al debitore. Se invece il bene viene venduto a €50.000 giusti, magari il creditore prenderà un po’ meno perché prima vengono detratte spese. Dunque le spese esecutive riducono la soddisfazione dei creditori se il ricavato è striminzito, oppure riducono l’eventuale resto spettante al debitore se il ricavato supera il credito. Dal punto di vista “psicologico”, l’azienda debitrice spesso percepisce di dover “pagare anche le spese legali” del creditore per via dell’esecuzione: è corretto, perché il codice prevede che il soccombente (debitore) rifonda le spese necessarie affrontate dal creditore per recuperare il dovuto.
D: Se la società debitrice fallisce durante un pignoramento, che succede?
R: La dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) del debitore comporta per legge la sospensione e chiusura di tutte le esecuzioni individuali in corso (art. 51 R.D. 267/42, ora trasfuso nell’art. 150 del Codice della Crisi). Ciò significa che, se l’azienda soggetta a pignoramento viene dichiarata fallita prima che la procedura esecutiva si sia conclusa, quest’ultima si arresta. I beni pignorati, se non ancora aggiudicati, entrano nella massa fallimentare a disposizione del curatore, il quale li venderà nell’ambito della procedura concorsuale. I creditori dovranno quindi insinuare il loro credito nel fallimento e partecipare al riparto fallimentare secondo le regole concorsuali (che in larga parte ricalcano i privilegi, ma con qualche differenza di procedure). Il pignoramento individuale viene chiuso per cessata materia (il titolo esecutivo confluisce nel concorso). Se invece il fallimento è dichiarato dopo che il bene era già stato venduto e magari il ricavato distribuito, allora la singola esecuzione ha terminato i suoi effetti per quel bene; residui attivi eventualmente non distribuiti passano al curatore. In pratica, il fallimento accentra l’esecuzione di tutti i beni del debitore sotto l’egida del tribunale fallimentare: ai creditori non è più consentito il “fai da te” esecutivo. Questo avviene tipicamente per società di capitali o imprese sopra soglia di fallibilità. Per i piccoli (sotto soglia o persone fisiche) c’è il citato procedimento di sovraindebitamento (oggi nel Codice della crisi, procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento) che ha analogo effetto protettivo sospensivo sulle esecuzioni. Quindi il creditore deve stare attento: se tira troppo la corda e l’azienda fallisce, la sua esecuzione individuale si trasforma in concorso, dove potrebbe recuperare meno e con più lentezza.
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate al 2025)
Codice Civile (c.c.):
- Art. 2740 c.c. – Obbligazione patrimoniale: il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri (principio di responsabilità illimitata).
- Art. 2741 c.c. – Parità dei creditori (par condicio) salvo cause legittime di prelazione (privilegi, pegni, ipoteche).
- Art. 2910 c.c. – Diritto del creditore di agire in executivis sui beni del debitore per soddisfarsi.
- Artt. 2913 – 2914 c.c. – Inefficacia verso il creditore degli atti di disposizione sui beni pignorati (post pignoramento) e di quelli a titolo gratuito successivi al credito (pregiudizio creditori).
- Art. 2915 c.c. – Effetti della trascrizione del pignoramento (fissazione rango per esecuzioni immobiliari).
- Artt. 2920 – 2929 c.c. – Norme generali sull’espropriazione forzata, vendita e riparto.
- Art. 2555 c.c. – Definizione di azienda come complesso dei beni organizzati dall’imprenditore. (Utile per comprendere cosa sia l’“azienda” oggetto eventuale di trasferimento).
- Art. 2267, 2268 c.c. – Responsabilità illimitata e solidale dei soci di società di persone per le obbligazioni sociali; beneficio d’escussione.
- Art. 2291 c.c. – Responsabilità dei soci nella SNC.
- Art. 2313 c.c. – Distinzione accomandatari/accomandanti (responsabilità illimitata vs limitata) nelle SAS.
- Art. 2471 c.c. – Pignoramento delle partecipazioni di S.r.l. e diritti dei soci/credito particolare.
- Art. 2462 c.c. – Nella SRL, i soci non rispondono per le obbligazioni sociali oltre il conferimento (principio del capitale a rischio limitato).
- Art. 2325 c.c. – Nella SPA, autonomia patrimoniale perfetta (simile al 2462).
- Art. 545 c.p.c. – Crediti impignorabili o limitatamente pignorabili (es.: limiti pignorabilità stipendi e pensioni; soglia minimo vitale 2x assegno sociale per pensioni). (N.B.: Art. 545 c.p.c. in realtà è nel codice di procedura civile, non civile, ma lo includiamo qui per contiguità di tema).
- Art. 2645-ter c.c. – Vincoli di destinazione su beni immobili (segregazione patrimoniale eventualmente opponibile in parte ai creditori se antecedente).
- Legge 3/2012 (come integrata nel D.Lgs. 14/2019) – Sovraindebitamento: disciplina che consente a imprenditori minori e consumatori di bloccare le esecuzioni e proporre piani di rientro o liquidazione controllata.
Codice di Procedura Civile (c.p.c.) – Libro III (“Del processo di esecuzione”):
- Art. 480 c.p.c. – Forma e contenuto dell’atto di precetto.
- Art. 481 c.p.c. – Efficacia del precetto: 90 giorni.
- Art. 491 c.p.c. – Divieto di iniziare nuove esecuzioni sullo stesso bene oltre il primo pignoramento (“principio di unicità dell’esecuzione per ciascun bene”).
- Art. 492 c.p.c. – Atto di pignoramento: ingiunzione al debitore di astenersi da atti dispositivi.
- Art. 492-bis c.p.c. – Ricerca telematica dei beni da pignorare (accesso banche dati da parte U.G.). [Introdotto nel 2014, operativo con provvedimenti ministeriali – citato l’uso massivo dal 2023].
- Art. 493 c.p.c. – Facoltà del debitore di indicare egli stesso i beni da pignorare o sostituire beni.
- Art. 497 c.p.c. – Inefficacia del pignoramento se entro 45 giorni non è chiesta vendita/assegnazione (modificato da L. 206/2021 e D.Lgs. 149/2022, prima erano 90 gg).
- Art. 499 c.p.c. – Intervento di altri creditori nell’esecuzione (forma e limiti).
- Esecuzione mobiliare presso debitore:
- Art. 513 c.p.c. – Ricerca delle cose da pignorare nell’abitazione o sede del debitore.
- Art. 515 c.p.c. – Beni mobili relativamente impignorabili: cose indispensabili al debitore per lavoro, impignorabili oltre il quinto; bestiame e scorte per coltivatore, etc.
- Art. 518 c.p.c. – Forma del pignoramento mobiliare (verbale dell’U.G., contenuto, nomina custode, etc.).
- Art. 521-bis c.p.c. – Pignoramento di autoveicoli, motoveicoli, rimorchi mediante notificazione e iscrizione.
- Art. 521-ter c.p.c. – (introdotto nel 2020) Pignoramento di partecipazioni in società (srl): rinvio alle norme societarie (art. 2471 c.c.).
- Esecuzione presso terzi:
- Art. 543 c.p.c. – Forma del pignoramento presso terzi: atto notificato a debitore e terzo con citazione del debitore e terzo a comparire davanti G.E.. (Modificato da D.L. 132/2014 e riforma 2021 – ora prevede anche obbligo di invio avviso di avvenuta iscrizione a ruolo a debitore e terzo, pena inefficacia).
- Art. 546 c.p.c. – Effetti del pignoramento presso terzi: divieto per il terzo di pagare al debitore pignorato (obbligo di blocco somme).
- Art. 547 c.p.c. – Dichiarazione del terzo: modalità (scritta, PEC) di comunicare l’entità del debito verso il debitore esecutato.
- Art. 548 c.p.c. – Mancata dichiarazione del terzo: oggi, se il terzo non compare o non risponde, il credito pignorato può essere considerato non contestato nelle misure indicate dall’atto (salvo eccezioni per PA).
- Art. 549 c.p.c. – Controversia sull’accertamento del credito: trasformazione in giudizio ordinario di accertamento se il terzo contesta.
- Art. 552 c.p.c. – Ordinanza di assegnazione: il provvedimento che trasferisce al creditore le somme pignorate nei limiti del credito.
- Art. 545 c.p.c. – (richiamato sopra, titolo “Crediti impignorabili”): elenca in particolare stipendi e pensioni: regole 1/5 pignorabile se > minimo vitale; minimo vitale impignorabile (2x assegno sociale); progressività 1/10, 1/7, 1/5 per riscossione esattoriale.
- Esecuzione immobiliare:
- Art. 555 c.p.c. – (Testo ante riforma) Forma del pignoramento immobiliare: atto notificato e successiva trascrizione. [Sostanzialmente recepito ora nelle disposizioni generali dopo art. 543].
- Art. 567 c.p.c. – Documenti ipocatastali: il creditore deve depositare entro 45 gg dall’istanza di vendita le certificazioni dei registri immobiliari ventennali; se omissione, pignoramento estinto ex art. 567, co. 2.
- Art. 568 c.p.c. – Valore dell’immobile pignorato determinato da perizia.
- Art. 569 c.p.c. – Provvedimento del G.E. che dispone la vendita (o delega).
- Art. 583 – 584 c.p.c. – Gara sull’offerta (incanto, rilanci). [Norme modificate con vendite telematiche].
- Art. 586 c.p.c. – Decreto di trasferimento dell’immobile all’aggiudicatario e cancellazione ipoteche e pignoramenti.
- Art. 588 – 590 c.p.c. – Assegnazione al creditore (se asta deserta e richiesta del creditore, a certe condizioni).
- Custodia e delegate:
- Art. 521 c.p.c. – Custodia dei beni mobili pignorati: l’U.G. lascia i beni al debitore o terzo come custode.
- Art. 560 c.p.c. – Custodia di immobili pignorati: (oggi modificato) prevede che il G.E. nomini un custode e decida sull’eventuale liberazione dell’immobile occupato dal debitore (riforma 2019: il debitore può essere lasciato nell’immobile sino all’aggiudicazione salvo inadempienze del custode).
- Art. 591-bis c.p.c. – Deleghe delle operazioni di vendita a professionisti (notai, avvocati, commercialisti).
- Opposizioni e sospensioni:
- Art. 615 c.p.c. – Opposizione all’esecuzione (distinzione co.1 prima, co.2 dopo inizio).
- Art. 616 c.p.c. – Procedimento per opposizione all’esecuzione (in tribunale, come causa ordinaria di cognizione; oggi alcune competenze al G.E. se dopo inizio, per fase sommaria).
- Art. 617 c.p.c. – Opposizione agli atti esecutivi (20 giorni).
- Art. 618 c.p.c. – Procedura opposizioni atti davanti G.E., provvedimenti.
- Art. 619 c.p.c. – Opposizione di terzo (rivendicazione).
- Art. 620 c.p.c. – Sospensione dell’esecuzione mobiliare per opposizione di terzo.
- Art. 624 c.p.c. – Sospensione dell’esecuzione da parte del G.E. in caso di opposizione all’esecuzione (gravi motivi).
- Art. 624-bis c.p.c. – Sospensione su accordo delle parti (istanza congiunta di creditore e debitore per rinviare e tentare accordo).
- Art. 625 c.p.c. – Reclamo contro provvedimenti del G.E. (es. rigetto di istanza sospensione, provvedimenti in materia di atti). [In parte sostituito dal ricorso per cassazione se atto decisorio].
- Art. 629 c.p.c. – Estinzione dell’esecuzione per soddisfazione o rinuncia del creditore.
- Art. 630 c.p.c. – Estinzione per inattività (6 mesi senza atti su istanza parte, oggi ridotto a 1 anno d’ufficio per riforma 2021) e altri casi.
- Art. 632 c.p.c. – Estinzione per mancanza di intervenuti (se creditore non procede oltre un certo tempo).
- Art. 512 c.p.c. – Risoluzione delle contestazioni sulla distribuzione (opposizione al progetto).
Legislazione speciale (Italia):
- Regio Decreto 267/1942 – Legge Fallimentare, art. 51: divieto di azioni esecutive individuali dopo dichiarazione di fallimento (tuttora vigente per fallimenti aperti prima del 15/07/2022).
- D.P.R. 602/1973 – Riscossione delle imposte, art. 72-bis: pignoramento presso terzi effettuato dall’Agente della Riscossione senza intervento del G.E. (forma semplificata di atto, equiparato a un’ordinanza di assegnazione diretta); art. 72-ter: limiti su pignoramento pensioni da AdER (minimo vitale 3x assegno sociale se accredito bancario, secondo normative succ.). Art. 76: condizioni per espropriare immobili per debiti fiscali – soglia €120.000, preavviso 30gg e obbligo ipoteca 6 mesi, divieto prima casa non di lusso.
- D.L. 69/2013 (“Decreto del Fare”) conv. L. 98/2013, art. 52: impignorabilità prima casa per Equitalia (ora AdER) e altre limitazioni su espropriazione esattoriale.
- D.L. 132/2014 conv. L. 162/2014, ha introdotto 492-bis c.p.c. (ricerca telematica), e modifiche su dichiarazione del terzo (art. 548 c.p.c.).
- D.L. 83/2015 conv. L. 132/2015, ha ridotto alcuni termini e introdotto delega vendita obbligatoria per immobili, etc.
- L. 119/2016, ha introdotto pegno mobiliare non possessorio: rilevante come alternativa all’esecuzione (garanzia su beni d’impresa senza spossessamento, con escussione semplificata extra-giudiziale).
- L. 155/2017 (Delega riforma crisi d’impresa) e relativo D.Lgs. 14/2019 Codice della Crisi (modificato dal D.Lgs. 147/2020 e 83/2022) – rileva perché dal 15/07/2022 in vigore nuovo Codice della Crisi: prevede procedure come ristrutturazione debiti, concordato semplificato per sovraindebitamento, ecc., che impattano sulle esecuzioni. Art. 150 CCII ribadisce il divieto di esecuzioni individuali dopo apertura liquidazione giudiziale (fallimento).
- L. 206/2021 (delega “Riforma Cartabia”) e D.Lgs. 149/2022 attuativo: ha apportato numerose modifiche al codice di rito in vigore da giugno 2022 e da gennaio 2023. Per esempio: riduzione termini 497 c.p.c. a 45 gg; nuove procedure digitali; obbligo nota iscrizione a ruolo in 30 gg; avviso alle parti dell’iscrizione; possibilità per aggiudicatario di chiedere rilascio anticipato immobile venduto se paga cauzione; innalzamento minimo vitale pensioni (da 1.5x a 2x assegno sociale dal 2022).
- Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023): ha fissato per il 2023 l’assegno sociale a ~€502 e dunque il minimo vitale pensioni a ~€1.005, innalzato poi a €1.077 per 2025.
- D.L. 51/2023 (in corso di conversione): eventuali ultime novità (ipotetico, ad es. moratorie aste per alluvioni, ecc.).
Giurisprudenza rilevante (massime):
- Cass., Sez. III, 18/07/2018 n.19304: “In sede di esecuzione forzata mobiliare presso il debitore, il limite di impignorabilità stabilito dall’art. 515 c.p.c. per gli strumenti indispensabili all’esercizio della professione va inteso in senso quantitativo (fino a un quinto del loro valore) e non qualitativo, non potendosi escludere totalmente dal pignoramento tali beni salvo che non vi siano altri cespiti aggredibili” – (Conferma pignorabilità parziale di beni strumentali essenziali).
- Cass., Sez. III, 05/11/2020 n.24657: “Nel pignoramento presso terzi, il terzo debitor debitoris che ometta di rendere la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. può essere considerato obbligato nei limiti di quanto indicato dall’atto di pignoramento, salva prova contraria; l’ordinanza di assegnazione pronunciata in difetto di dichiarazione non è nulla se fondato su presunzione legale di esistenza del debito” – (Consolidamento del principio del “silenzio-assenso” del terzo introdotto dal 2014).
- Cass., Sez. Un., 13/01/2021 n. 219: “In tema di esecuzioni esattoriali ex DPR 602/73, il giudice competente per le opposizioni sull’an dell’esecuzione è il giudice tributario, trattandosi di atti della riscossione coattiva di entrate tributarie, mentre compete al giudice ordinario conoscere le opposizioni inerenti alle modalità dell’esecuzione successiva (es. distribuzione)” – (Riparto giurisdizione ordinario/tributario nei pignoramenti fiscali).
- Cass., Sez. III, 21/02/2020 n.4564: “È configurabile l’azione di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. del debitore esecutato nei confronti del creditore procedente che, a seguito di pignoramento presso terzi, abbia percepito dal terzo somme eccedenti l’importo del credito per sorte capitale, interessi e spese” – (Se per errore il creditore riceve più del dovuto, deve restituire l’eccedenza al debitore).
- Cass., Sez. I, 16/09/2024 n.24859: “In caso di pignoramento di quota di S.r.l. intestata a società fiduciaria per conto del debitore, l’atto deve essere notificato sia alla società fiduciaria – quale formale intestataria risultante nei registri – sia al fiduciante quale effettivo proprietario, onde rendere opponibile l’espropriazione; la mancata notifica al fiduciante determina l’inefficacia del pignoramento nei suoi confronti” – (Procedura particolare per quote fiduciarie).
- Cass., Sez. III, 28/02/2017 n.5001: “Il divieto di espropriazione dell’unico immobile di proprietà del debitore previsto dall’art. 76, co.1 DPR 602/1973 per i crediti tributari (c.d. prima casa) non è applicabile alle esecuzioni promosse da creditori diversi dall’Erario, trattandosi di norma eccezionale non estensibile analogicamente” – (Conferma che solo il Fisco ha il limite prima casa, non i privati).
- Trib. Roma, ord. 17/07/2019: (es.) ha autorizzato la vendita unitaria di azienda pignorata nominando un esperto per stimare anche l’avviamento e predisponendo bando per cessione di ramo d’azienda, affermando che ciò è consentito in via analogica pur in assenza di specifiche norme. (Giurisprudenza di merito che apre a pignoramento d’azienda in blocco – non massimata ufficialmente).
- Corte Cost., sent. 31/05/2018 n. 83: Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 545 c.p.c. nella parte in cui non esentava da pignoramento una parte adeguata della pensione, portando il legislatore ad elevare il minimo vitale (da 1,5 a 3 volte assegno sociale per accrediti bancari, poi corretto in 2 volte come compromesso). – (Intervento sulle soglie di impignorabilità pensioni).
Nota: Le sentenze della Corte di Cassazione, specie a Sezioni Unite, orientano l’interpretazione di questioni chiave (ad es. giurisdizione, ambito del 515 c.p.c., regime del “silenzio” del terzo). Quelle citate sono alcune tra le più pertinenti al 2025. La normativa andrebbe sempre coordinata con le pronunce più aggiornate.
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