Sovraindebitamento: Quando Conviene?

Ti trovi in una situazione in cui non riesci più a pagare le rate, le bollette, le cartelle o i debiti accumulati? Ogni mese è una corsa contro il tempo, ma il saldo in banca non basta mai? Se la tua situazione sta diventando insostenibile, è il momento giusto per chiederti:
il sovraindebitamento può essere la soluzione giusta? E quando davvero conviene attivare una procedura per uscirne?

Il sovraindebitamento riguarda proprio quelle persone – privati, ex imprenditori, lavoratori autonomi – che si trovano in uno stato di crisi irreversibile, senza però avere accesso alle classiche procedure concorsuali. È pensato per chi vuole sistemare tutto legalmente, senza rischiare il pignoramento continuo dei beni o la perdita di dignità.

Ma serve davvero? Conviene affrontare una procedura del genere? E quando è il momento giusto per iniziare?

Conviene attivare una procedura di sovraindebitamento quando capisci che da solo non puoi più rientrare nei debiti. Quando anche le rate minime sono troppo alte, quando hai più creditori che ti sollecitano, o quando la paura ti blocca e ti impedisce di pensare lucidamente al tuo futuro. In questi casi, andare avanti senza agire rischia di peggiorare la situazione, mentre avviare una procedura può aiutarti a:

  • Bloccare tutte le azioni esecutive in corso, compresi pignoramenti e fermi amministrativi;
  • Ristrutturare o addirittura azzerare i debiti, in base alla tua reale disponibilità economica;
  • Proteggere il tuo stipendio, i tuoi beni e il tuo equilibrio personale.

Il sovraindebitamento non è un fallimento, ma un percorso legale per ripartire, se gestito correttamente. Esistono diverse soluzioni: il piano del consumatore, il concordato minore, la liquidazione del patrimonio, fino all’esdebitazione del debitore incapiente. La scelta dipende dalla tua situazione, dai beni che hai e da cosa vuoi salvare.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, tutela del debitore e diritto della crisi – ti spiega quando conviene davvero attivare una procedura, come funziona, quali vantaggi concreti può darti e come possiamo aiutarti a trovare una via d’uscita sicura e definitiva.

Sei bloccato dai debiti e non sai da dove partire? Hai paura che la situazione ti sfugga di mano? Ti chiedi se non sia il momento giusto per affrontare tutto una volta per tutte?

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo insieme la tua posizione, individueremo la procedura più adatta e ti accompagneremo in ogni fase del percorso, fino alla liberazione totale dal peso dei debiti.

Introduzione: Cos’è il sovraindebitamento e quando ricorrervi

Il sovraindebitamento è la situazione in cui una persona (cittadino privato, piccolo imprenditore, professionista, start-up o impresa agricola) non riesce più a far fronte regolarmente ai propri debiti, pur non essendo soggetta alle normali procedure fallimentari. In termini giuridici, la legge lo definisce come un “perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà (o la definitiva incapacità) di adempiere regolarmente” ai propri obblighi. In altre parole, il sovraindebitamento descrive la condizione patologica di chi è sommerso dai debiti e non riesce più a pagarli alle scadenze, trovandosi in crisi finanziaria senza però rientrare nelle categorie assoggettabili al fallimento (oggi liquidazione giudiziale).

Questa condizione – divenuta purtroppo sempre più comune in periodi di crisi economica – richiede strumenti giuridici specifici per offrire una soluzione sostenibile al debitore in difficoltà, garantendo al contempo la tutela dei diritti dei creditori. Proprio per questo il legislatore ha introdotto procedure ad hoc, inizialmente con la Legge n. 3/2012 (detta anche “legge salva-suicidi”), poi confluite ed aggiornate nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019, in vigore dal 2022 e successivamente corretto dai D.lgs. 83/2022 e 136/2024). Queste norme conservano lo spirito originario di favorire il risanamento del debitore sovraindebitato (in particolare del consumatore e del piccolo imprenditore), in un’ottica non punitiva ma di assistenza e reintegrazione economica e sociale. Principio cardine è il “favor debitoris”, cioè la necessità di interpretare e applicare la legge in modo da agevolare l’accesso alle procedure di composizione della crisi, evitando formalismi o letture restrittive che ostacolino la possibilità di un nuovo inizio per il debitore. Dunque, lo scopo primario è permettere al debitore onesto ma sfortunato di liberarsi dai debiti insostenibili – una volta seguite le procedure e pagato quanto ragionevolmente possibile – e di ripartire senza lo spettro di obbligazioni perpetue.

Quando è opportuno ricorrere a queste procedure? Dal punto di vista del debitore, conviene valutare le soluzioni da sovraindebitamento non appena si manifesti un’incapacità strutturale di pagare i debiti con le proprie risorse correnti. Ad esempio, un consumatore che abbia accumulato debiti con finanziarie, banche o con il Fisco oltre la propria concreta possibilità di rimborso, oppure un piccolo imprenditore che non riesce più a saldare fornitori e tasse con i ricavi dell’attività, dovrebbero tempestivamente considerare l’accesso a una procedura di sovraindebitamento. È cruciale non aspettare di subire l’esecuzione forzata di tutti i beni: rivolgendosi per tempo a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista esperto, il debitore può bloccare le azioni esecutive in corso e attivare un piano per ristrutturare o liquidare il debito in modo controllato. In particolare, chi rischia la perdita della prima casa per un pignoramento immobiliare o chi è pressato da ingenti debiti fiscali dovrebbe chiedere assistenza immediata per valutare un piano di sovraindebitamento, poiché queste procedure consentono spesso di congelare le procedure esecutive e di evitare effetti irreparabili sul patrimonio familiare (vedremo nel dettaglio tali casi). In sintesi, ogni volta che un debitore “non fallibile” si trova in grave e perdurante insolvenza – cioè incapace di onorare regolarmente i debiti accumulati – e vuole evitare di subire passivamente pignoramenti e perdite, è il momento di chiedere il sovraindebitamento, ossia di attivare una delle procedure previste dalla legge per risolvere la crisi debitoria.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) disciplina quattro procedure principali per la composizione della crisi da sovraindebitamento (riservate ai debitori civili e alle imprese non fallibili), che analizzeremo dal punto di vista del debitore. Tali procedure sono:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il nuovo nome del “piano del consumatore”), rivolto alle persone fisiche che hanno contratto debiti principalmente per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale.
  2. Concordato minore, destinato agli imprenditori “minori” e agli altri debitori non fallibili che esercitano attività economica (imprese sotto-soglia, professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative, etc.), esclusi i consumatori.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato, una procedura di liquidazione giudiziale di tutti i beni del debitore non fallibile, attivabile sia volontariamente sia su istanza di creditori, che porta alla vendita del patrimonio e al riparto del ricavato tra i creditori (analogamente al fallimento, ma con norme adattate ai piccoli debitori).
  4. Esdebitazione del debitore incapiente, un meccanismo speciale introdotto dal CCII che consente al debitore persona fisica totalmente privo di beni e redditi di ottenere la cancellazione dei debiti senza alcuna ripartizione, a precise condizioni di meritevolezza (la si può definire una “esdebitazione a costo zero”).

Accanto a queste, il Codice prevede alcune varianti o facilitazioni, come la procedura familiare (quando più membri della stessa famiglia sono indebitati, possono presentare un’unica procedura congiunta), e strumenti negoziali come la composizione negoziata della crisi (per le imprese, fuori dall’ambito di questo approfondimento). Nel prosieguo ci concentreremo sulle quattro procedure concorsuali sopra elencate, esaminandone dettagli operativi, condizioni di ammissibilità, vantaggi per il debitore e criticità, con riferimento sia alle norme aggiornate a giugno 2025 sia alla giurisprudenza più recente (sia nazionale che dei principali Tribunali italiani). Ciascuna sezione conterrà inoltre una serie di domande e risposte frequenti, un esempio pratico e una tabella riepilogativa che aiutano a comprendere quando e come utilizzare al meglio la procedura dal punto di vista del debitore.


Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore)

Cos’è e a chi si rivolge. Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore è la procedura dedicata alle persone fisiche consumatori, ossia individui che hanno contratto obbligazioni per scopi estranei ad un’attività imprenditoriale o professionale. In questa categoria rientrano, ad esempio, privati cittadini indebitati per esigenze familiari, mutui casa, acquisti a rate, spese personali, ecc. – anche se formalmente sono soci di una società di persone o di capitali – purché i debiti da ristrutturare non siano legati a un’attività d’impresa. Il debitore consumatore in situazione di sovraindebitamento può proporre ai propri creditori un piano di ristrutturazione che stabilisce tempi e modi con cui intende superare la crisi, prevedendo il pagamento (anche parziale e in differenti percentuali) di tutti i debiti in qualsiasi forma ritenuta idonea. Si tratta dunque di un progetto di risanamento su misura del consumatore, che può ad esempio consistere in una rinegoziazione delle scadenze, in falcidie (riduzioni) di alcuni crediti, nella liquidazione volontaria di qualche bene per pagare parzialmente i creditori, nell’apporto di nuove risorse da terzi, o in una combinazione di tali strumenti, il tutto finalizzato a liberare il debitore dall’eccesso di debito. Importante: a differenza di altre procedure concorsuali, il piano del consumatore non richiede l’approvazione dei creditori per diventare efficace. I creditori infatti non votano sul piano; sarà il Tribunale a omologarlo – cioè a renderlo vincolante – se ritiene soddisfatti i requisiti di legge, anche in presenza di contestazioni dei creditori. Ciò rappresenta un evidente vantaggio per il debitore consumatore, poiché evita il rischio che uno o più creditori contrari possano bloccare l’intera ristrutturazione (come invece potrebbe avvenire nel concordato, dove il voto dei creditori è determinante).

Condizioni di ammissibilità e “meritevolezza”. L’accesso al piano del consumatore è riservato, per definizione, a chi non esercita attività d’impresa (o comunque intende ristrutturare solo debiti di natura personale). Se il debitore ha anche debiti derivanti dalla sua attività imprenditoriale o professionale, in teoria non sarebbe un “consumatore puro” e dovrebbe orientarsi verso il concordato minore. Su questo punto va segnalata un’evoluzione nella giurisprudenza: in passato si riteneva che la presenza di debiti “promiscui” (in parte consumeristici e in parte professionali) precludesse il piano del consumatore, obbligando il debitore a utilizzare l’altra procedura. La Corte di Cassazione ha chiarito, ad esempio, che chi ha anche debiti d’impresa non può qualificarsi come consumatore ai fini dell’ammissione al piano ex L.3/2012 (oggi CCII) e deve piuttosto ricorrere al concordato minore. Più di recente, però, vi sono state aperture: alcune pronunce di merito, successive alle modifiche del 2024, hanno ammesso il piano del consumatore anche in presenza di una parte di debiti di natura professionale, purché il debitore agisca sostanzialmente da privato e il grosso dell’esposizione non sia legato all’attività economica. Ad esempio, con sentenza del 5 maggio 2025, il Tribunale di Napoli ha omologato un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore con debiti misti (personali e d’impresa), allineandosi a un orientamento giurisprudenziale che tende a non escludere il consumatore soltanto perché alcuni debiti hanno origine imprenditoriale. È evidente dunque che la qualificazione del debitore (consumatore vs imprenditore) va valutata caso per caso; in generale, comunque, la regola prudenziale è: il piano del consumatore è utilizzabile se i debiti da ristrutturare sono per scopi personali estranei all’impresa, mentre se il debitore è un piccolo imprenditore con debiti aziendali sarà più corretto il concordato minore (vedi oltre).

Oltre alla qualifica soggettiva, la legge prevede specifici requisiti di meritevolezza e buona fede per il debitore consumatore. In particolare, non può accedere al piano del consumatore chi: (a) ha già ottenuto una esdebitazione nei 5 anni precedenti la domanda; (b) ha già beneficiato di due esdebitazioni anche in tempi più lontani; (c) ha causato la propria situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. Quest’ultima condizione implica un esame del comportamento del debitore: ad esempio, non sarà ammesso chi abbia volutamente aumentato i debiti confidando di non pagarli, chi abbia assunto obbligazioni spericolate o ingannevoli, oppure chi abbia occultato patrimoni di proposito. Viceversa, l’incapacità di pagare dovuta a eventi sfortunati o a scelte economiche imprudenti ma non dolose rientra nella normale alea e non preclude l’accesso. Il concetto di “meritevolezza” del debitore, elaborato dalla giurisprudenza sulla scorta della legge 3/2012, resta dunque centrale: il giudice, prima di omologare il piano, valuta che il debitore non abbia tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente colpevoli nella formazione del debito e durante la procedura. Un caso interessante al riguardo è offerto da un recente decreto del Tribunale di Torino (23 aprile 2025), che ha riconosciuto la meritevolezza di una debitrice consumatrice anche a fronte di debiti tributari ingenti, valutando positivamente la sua condotta complessiva e l’assenza di dolo o colpa grave nel prodursi dell’insolvenza. Ciò conferma che la presenza di debiti fiscali elevati (oltre 115.000 € verso Erario e INPS in quel caso) non impedisce di per sé l’accesso alla procedura, se il giudice ritiene il debitore in buona fede e realmente impossibilitato a pagare (nell’esempio, i debiti erano derivati da vicende professionali sfortunate più che da evasione intenzionale).

Come funziona la procedura (ruolo dell’OCC, Tribunale, effetti). Per avviare un piano del consumatore, il debitore deve presentare un ricorso al Tribunale competente, preferibilmente con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC). In base al Codice, il consumatore sovraindebitato può depositare la domanda di apertura della procedura personalmente tramite un OCC del circondario; ciò significa che non è obbligatorio farsi assistere da un avvocato (l’OCC stesso – generalmente un professionista nominato gestore della crisi – prepara l’istanza, raccoglie i documenti e predispone la proposta di piano). È comunque consigliabile coinvolgere anche un legale, vista la complessità giuridica dell’operazione e la posta in gioco. Una volta predisposto il piano dettagliato (con l’indicazione di tutti i debiti, delle risorse disponibili, delle eventuali percentuali offerte ai creditori e dei tempi di pagamento) e raccolta la documentazione necessaria, l’OCC attesta nella propria relazione la veridicità dei dati forniti e la fattibilità del piano, ossia la concreta realizzabilità delle soluzioni prospettate. Il ricorso viene depositato in Tribunale allegando il piano e la relazione dell’OCC. Da quel momento, il giudice può emettere, su richiesta, i provvedimenti urgenti per sospendere le azioni esecutive in corso: la legge infatti consente di “congelare” temporaneamente i pignoramenti e le altre procedure pendenti se la loro prosecuzione potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano. In pratica, ad esempio, se è in corso un pignoramento immobiliare sulla casa del debitore, il giudice, non appena ammesso il ricorso, può disporre la sospensione dell’asta sino a quando il procedimento sul piano non giunga a conclusione (omologazione o rigetto). Ciò dà respiro al debitore e tutela la par conditio dei creditori in questa fase.

Il Tribunale fissa quindi un’udienza, in cui i creditori possono esaminare la proposta di piano e la relazione dell’OCC. Ricordiamo che non c’è voto dei creditori, ma essi hanno facoltà di presentare eventuali opposizioni o osservazioni (ad esempio contestando la convenienza del piano rispetto alla liquidazione fallimentare). Se nessun creditore contesta, il giudice si concentrerà sugli aspetti formali e sui requisiti di meritevolezza. Se invece vi sono contestazioni (in particolare sulla convenienza della proposta), il giudice dovrà valutare se il piano assicura ai creditori un trattamento non inferiore a quello ottenibile nella liquidazione del patrimonio del debitore. Questo parametro di convenienza relativa è fondamentale soprattutto per i creditori privilegiati o con garanzie reali (es. la banca con ipoteca sulla casa): la legge permette di pagare anche tali crediti in misura parziale (si parla di “falcidia” dei crediti privilegiati) purché il pagamento proposto non sia inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione. In altri termini, il piano può prevedere di non pagare integralmente un creditore ipotecario o pignoratizio, a condizione che la somma offerta sia almeno pari a quella che verosimilmente quel creditore incasserebbe vendendo il bene su cui vanta garanzia, tenuto conto dei valori di mercato e dei costi della procedura esecutiva. Questo principio, già affermato con la Legge 3/2012, è stato confermato anche dopo l’entrata in vigore del CCII e consente – nei casi in cui il debitore tenga alla conservazione di un certo bene – di “cramdown” del creditore garantito: questi riceverà meno di quanto dovuto, ma comunque non meno di quanto otterrebbe liquidando il pegno o l’ipoteca, e il debitore potrà conservare il bene (ad esempio la casa di abitazione) continuando a pagare una parte del mutuo secondo il piano. Diversi tribunali hanno omologato piani di questo tipo “salva-casa”: per citarne uno, il Tribunale di Bologna ha approvato un piano che prevedeva il pagamento parziale del credito ipotecario su casa prima abitazione già pignorata, ritenendo soddisfatto il requisito perché – sulla base di una perizia sul valore di mercato e dei costi d’asta – al creditore ipotecario veniva riconosciuto un importo pari o superiore a quello che avrebbe ricavato vendendo l’immobile. In un’altra decisione, il Tribunale di Rimini ha ritenuto ammissibile un piano che lasciava al debitore la propria abitazione pagando integralmente il mutuo di primo grado e solo parzialmente il creditore ipotecario di secondo grado, con una dilazione di 84 mesi, purché l’OCC attestasse che anche al secondo creditore veniva riservato almeno il valore di realizzo del bene in caso di vendita forzata. Insomma, salvaguardare la casa è possibile con il piano del consumatore, a patto di rispettare la regola della convenienza: bisogna dimostrare al giudice che, tenendo la casa e pagando i creditori garantiti nelle misure proposte, i creditori non perdono nulla rispetto allo scenario in cui la casa fosse venduta all’asta.

Un altro vincolo previsto (dalla vecchia legge e confermato nel Codice) è che i creditori privilegiati siano soddisfatti entro un anno dall’omologazione del piano, salvo consenso diverso dei medesimi creditori. Ciò significa che, in assenza di accordo, il piano non può imporre a un creditore ipotecario o pignoratizio di attendere più di 12 mesi per ricevere l’importo offertogli. Nella prassi, poiché il piano del consumatore non contempla una vera “votazione”, la giurisprudenza ha interpretato il consenso del creditore privilegiato in modi flessibili: ad esempio la Corte di Cassazione ha chiarito che, se un creditore privilegiato non pienamente soddisfatto non si oppone all’omologazione, ciò può valere come accettazione tacita di un pagamento dilazionato oltre l’anno. In alternativa, è possibile ottenere un accordo esplicito (anche stragiudiziale) col creditore per estendere il piano di pagamento. In ogni caso, questo aspetto va ponderato attentamente nella redazione del piano, specialmente quando ci sono mutui ipotecari: spesso conviene prevedere che il mutuo bancario prosegua alle condizioni originarie fuori piano (se il debitore è in grado di riprenderne il pagamento), concentrando nel piano la gestione degli arretrati e degli altri debiti. Ad esempio, a seguito di recenti interventi normativi, è possibile per il debitore chiedere la rinegoziazione del mutuo sulla prima casa o un finanziamento sostitutivo, con garanzia statale, per estinguere il mutuo in sofferenza e mantenere l’abitazione. Tale opportunità, introdotta dall’art. 41-bis D.L. 124/2019 (c.d. “Fondo Salva Casa”), consente al consumatore esecutato sulla prima casa di ottenere la sospensione dell’asta e di pagare la banca attraverso un nuovo mutuo fino a 30 anni (anche acceso da un familiare) per un importo almeno pari al 75% del valore d’asta, beneficiando dell’esdebitazione sul residuo. Questa misura speciale si applica però solo a precise condizioni (procedura esecutiva avviata tra 2010 e 2019, importo del mutuo ≤ 250.000 €, almeno il 10% del capitale già rimborsato, assenza di altri creditori ipotecari intervenuti, ecc.). Quando ne ricorrano i presupposti, il debitore può quindi valutare, con l’aiuto dell’OCC, se inserirla come parte integrante del proprio piano del consumatore, oppure percorrerla parallelamente all’interno della procedura esecutiva in accordo con la banca (si tratta di una trattativa di natura negoziale, sebbene favorita dalla legge con l’intervento di un fondo di garanzia statale). In ogni caso, il messaggio è chiaro: evitare la perdita della casa è una priorità per il debitore e l’ordinamento offre strumenti ad hoc per riuscirci, purché vi sia sostenibilità finanziaria nel lungo termine.

Una volta esaminati tutti gli elementi, se il Tribunale ritiene che il piano presenti le caratteristiche richieste (soddisfacimento dei creditori almeno pari all’alternativa liquidatoria, assenza di cause di inammissibilità e di mala fede, regolarità della documentazione, ecc.), emette il decreto di omologazione. Cosa comporta l’omologazione? Anzitutto, il piano diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori: essi vedranno i loro crediti modificati secondo quanto previsto nel piano (ad esempio ridotti all’importo parziale stabilito e/o pagati alle nuove scadenze). Il debitore ottiene immediatamente un effetto esdebitatorio: dalla data di omologazione egli è liberato dai debiti previsti nel piano per la parte eccedente quanto ivi contemplato. In altri termini, il debitore rimane obbligato solo nei limiti di quanto stabilito nel piano omologato, mentre non può più essere perseguito per l’eventuale saldo non soddisfatto (che sarà definitivamente cancellato a fine procedura, previa esecuzione del piano stesso). È bene chiarire che questa “liberazione dai debiti” vale solo per il debitore che accede alla procedura: i coobbligati e i fideiussori dei suoi debiti restano obbligati per intero verso i creditori, a meno che anch’essi non siano ammessi a una procedura di sovraindebitamento (ad esempio nell’ambito di una procedura familiare). Dunque, se Tizio ottiene la riduzione del 50% di un debito bancario, il fideiussore che avesse garantito quel debito risponderà comunque del restante 50% verso la banca (la quale conserva impregiudicati i suoi diritti verso il garante). Dopo l’omologazione, il piano viene eseguito sotto il controllo dell’OCC: il debitore dovrà adempiere puntualmente agli obblighi di pagamento e alle altre pattuizioni (ad es. vendita di beni, versamento di terzi, etc.) nei tempi previsti. Se si adempie regolarmente, al termine il giudice dichiarerà l’avvenuta esecuzione e la procedura si chiuderà definitivamente, con piena esdebitazione da tutti i debiti anteriori. Se invece il debitore inadempie agli obblighi del piano, o se emergono atti di frode (es. ha nascosto beni o falsificato documenti), il Tribunale – su istanza dei creditori o d’ufficio – potrà revocare l’omologazione e far decadere gli effetti di protezione. In tal caso, tutti i debiti originari risorgeranno per intero (detratto solo quanto eventualmente già pagato nel frattempo) e i creditori potranno riprendere le azioni esecutive interrotte. Inoltre, il giudice dispone normalmente la conversione del procedimento in una liquidazione controllata del patrimonio ex art. 273 CCII, aprendo così una fase liquidatoria concorsuale per distribuire ai creditori i beni disponibili del debitore. È quindi nell’interesse del debitore rispettare con la massima diligenza il piano concordato, per non vanificare lo sforzo fatto. Va peraltro detto che, una volta omologato, il piano del consumatore è giuridicamente molto stabile: salvo eventi eccezionali, i creditori non possono più mettere in discussione la fattibilità o la convenienza del piano (che sono già state valutate in sede di omologazione) e, in mancanza di inadempimenti, dovranno accontentarsi di quanto il piano prevede, rinunciando definitivamente a pretendere di più.

Vantaggi e svantaggi dal punto di vista del debitore. Il piano del consumatore offre al debitore persona fisica una via d’uscita ordinata e relativamente flessibile dalla morsa debitoria. I vantaggi principali sono: (a) la mancanza di voto dei creditori, che consente di superare eventuali resistenze di minoranze “ostative” (ad es. il creditore ostile che non accetterebbe mai una riduzione del proprio credito viene comunque vincolato dal piano omologato); (b) la possibilità di trattenere beni essenziali (come l’abitazione principale) proponendo soluzioni eque per i creditori garantiti; (c) l’effetto esdebitatorio immediato con l’omologazione – il debitore sa fin da subito che, se rispetterà il piano, i debiti residui saranno cancellati al termine; (d) la protezione dalle azioni esecutive non appena la procedura è avviata (attraverso le misure di sospensione disposte dal giudice); (e) la personalizzazione della soluzione, cucita sui bisogni del consumatore (es.: può prevedere il mantenimento di determinate spese famigliari e il pagamento parziale solo di ciò che è sostenibile). Di contro, ci sono anche oneri e limiti: (a) il debitore è sottoposto a una vigilanza dell’OCC per tutta la durata del piano e deve tenere un comportamento finanziario trasparente e disciplinato (ogni deviazione significativa va segnalata e può portare alla revoca); (b) non è consentito “stralciare” senza pagamento alcuni debiti privilegiati (come il Credito IVA fino al 2019, oggi ammesso ma comunque da trattare in modo conveniente rispetto alla liquidazione) o aggirare le cause legittime di prelazione: le riduzioni hanno limiti di equità; (c) l’accesso è precluso al consumatore che abbia agito con dolo o colpa grave o che abbia già abusato di procedure di esdebitazione di recente; (d) il procedimento, pur più snello di un fallimento, comporta tempi e costi (ci sono da pagare le spese dell’OCC e eventuali compensi, che però spesso vengono in parte inclusi nel piano stesso). In generale, tuttavia, per un debitore civile onesto ma sfortunato, il piano del consumatore rappresenta lo strumento più favorevole per rinegoziare i debiti e ripartire: gli consente di preservare il necessario (gli rimangono in ogni caso impignorabili i beni di prima necessità e un minimo vitale di reddito) e di tagliare la porzione di debito che oggettivamente non sarebbe mai in grado di pagare, il tutto sotto il controllo e con il sigillo dell’autorità giudiziaria.

Domande frequenti sul piano del consumatore

  • D: Quali tipi di debito posso inserire in un piano del consumatore?
    R: In linea di principio tutti i debiti contratti come consumatore possono rientrare nel piano: finanziamenti bancari, mutui, prestiti personali, debiti verso privati, bollette, canoni, esposizioni con il Fisco per tasse non pagate, ecc. Non vi sono esclusioni per categoria merceologica di debito. Ci sono però debiti particolari che, pur inseriti nel piano, potrebbero non essere “cancellati” del tutto nemmeno a fine procedura. Ad esempio, taluni debiti di natura personale non sono esdebitabili per legge: obblighi di mantenimento verso i figli o il coniuge, debiti per risarcimento di danni derivanti da fatti illeciti (es. un risarcimento per lesioni causate dal debitore guidando in stato di ebbrezza) e multe o sanzioni penali restano comunque dovuti e – se anche il piano ne prevedesse la falcidia – il debitore ne rimane obbligato per la parte eventualmente non pagata. In pratica, un piano del consumatore può comprendere anche queste posizioni, ma il debitore deve sapere che su di esse potrebbe non ottenere la liberazione finale. Al netto di tali eccezioni (espressamente previste dalla legge per ragioni di ordine pubblico), tutti gli altri debiti possono essere regolati nel piano. Anche i debiti fiscali e previdenziali sono inseribili: oggi la legge consente perfino di stralciare parzialmente l’IVA e altre imposte, cosa che inizialmente era vietata ma è divenuta possibile dopo un intervento della Corte Costituzionale nel 2019. Naturalmente l’Erario, come ogni altro creditore, può opporsi all’omologazione se ritiene il trattamento proposto iniquo, e il giudice valuterà caso per caso (vedi oltre le questioni sui debiti fiscali).
  • D: Il piano del consumatore mi permette di salvare la casa di abitazione dal pignoramento?
    R: Sì, una delle finalità più rilevanti del piano è proprio evitare la liquidazione forzata dei beni essenziali, prima casa inclusa. Come visto, è possibile proporre di mantenere la casa di abitazione continuando a pagare (in tutto o in parte) il mutuo ipotecario, magari rinegoziandolo, oppure vendendo altri beni per soddisfare in parte la banca. La condizione chiave è che la soluzione offerta al creditore ipotecario sia migliore o almeno non peggiore di quella che avrebbe dall’asta giudiziaria. Se ad esempio sulla casa grava un mutuo residuo di €200.000 ma l’immobile ne vale solo €150.000 sul mercato libero (e magari all’asta frutterebbe ancora meno al netto delle spese), il piano potrebbe prevedere che il debitore (o un familiare per lui) versi €150.000 alla banca mediante un nuovo finanziamento: così la banca ottiene subito il valore pieno dell’immobile (evitando i tempi e i costi dell’esecuzione) e rinuncia al restante credito (€50.000) che viene esdebitato. Il debitore in questo modo conserva la propria abitazione pagando solo quello che vale realmente. Questo è un tipico esempio di “saldo e stralcio” ipotecario realizzabile tramite il piano. In alcuni casi, se il debitore non ha risorse proprie, può avvalersi anche del cosiddetto Fondo Salva Casa (art. 41-bis D.L. 124/2019) che agevola la concessione di un nuovo mutuo per estinguere quello pregresso, sospendendo la procedura esecutiva in corso. Dunque, il piano è altamente consigliabile per chi voglia evitare la vendita all’asta della casa: occorre tuttavia muoversi per tempo (prima che l’asta sia già stata effettuata) e costruire una proposta credibile e conveniente per il creditore. Se il piano non fosse possibile o venisse respinto, resterà comunque la liquidazione controllata, nella quale però la casa verrebbe venduta dal liquidatore: per questo il piano è lo strumento preferibile per salvare la casa, mentre la liquidazione rappresenta l’extrema ratio.
  • D: Devo pagare tutti i creditori in misura uguale nel piano?
    R: No, non necessariamente. Il piano del consumatore può distinguere tra le posizioni dei creditori, tenendo conto della loro differente causa (privilegiata o chirografaria) e dell’utilità dei beni su cui vantano garanzie per il debitore. Ad esempio, il piano potrebbe prevedere di pagare integralmente le rate arretrate di un mutuo sulla prima casa (perché il debitore vuole conservarla) e contemporaneamente offrire solo il 20% ai creditori chirografari (banche, finanziarie senza garanzia). Oppure, all’interno dei chirografari, potrebbe scegliere di soddisfare interamente un creditore strategico (magari un parente che gli ha prestato denaro) purché ciò non leda gli altri creditori – ma attenzione, su questo aspetto bisogna essere cauti: qualsiasi trattamento differenziato deve essere giustificato, e il tribunale vigila che non si facciano favoritismi indebiti. In generale, i creditori con privilegio generale o speciale (Stato per alcune imposte, banche con ipoteca, ecc.) vanno trattati meglio dei chirografari, salvo il caso in cui il privilegio sia di fatto incapiente. Il piano non richiede una rigida par condicio come nel fallimento, ma non può neppure essere arbitrario: deve assicurare equità e ragionevolezza nella distribuzione delle risorse disponibili. Spetta all’OCC attestare che la suddivisione proposta rispetti i limiti di legge (ad es. niente discriminazioni senza causa, rispetto dell’ordine dei privilegi nel riparto di eventuali liquidazioni di beni, ecc.) e al giudice verificare la correttezza complessiva. In definitiva, il piano consente una notevole flessibilità nel decidere chi pagare di più e chi di meno, purché ogni scelta sia motivata e nessun creditore riceva meno di quanto riceverebbe in un’alternativa liquidatoria o rispetto ad altri della stessa classe di posizione.
  • D: Cosa succede se, dopo l’omologazione, non riesco a rispettare il piano?
    R: In caso di temporanea difficoltà, la cosa migliore è avvisare subito l’OCC e il Tribunale, eventualmente chiedendo una modifica del piano. Il CCII consente di apportare variazioni al piano omologato (con l’assenso del giudice) se sopravvengono fattori che rendono impossibile l’esecuzione nei termini previsti, a condizione che la modifica non leda i creditori. Se invece il piano salta per inadempimento significativo imputabile al debitore, il Tribunale può revocare l’omologazione e “far cadere il castello”: i creditori riacquisteranno il diritto di pretendere per intero i loro crediti originari (dedotto quanto eventualmente pagato nel frattempo) e potranno riprendere le esecuzioni. Inoltre, come accennato, nella revoca spesso il giudice contestualmente apre una liquidazione controllata dei beni del debitore, così i creditori verranno soddisfatti attraverso la vendita coattiva del patrimonio residuo. In pratica si passa dalla ristrutturazione alla liquidazione giudiziale personale. Questo evidentemente è l’esito peggiore per il debitore (perde il beneficio dell’esdebitazione promessagli dal piano e inoltre subisce il realizzo forzato dei beni). Occorre quindi fare di tutto per evitare che ciò accada. Se le difficoltà nel seguire il piano derivano da cause di forza maggiore non attribuibili al debitore (es. una malattia improvvisa che incide sul reddito, una crisi economica generale), è possibile che il giudice sia più indulgente nell’autorizzare modifiche o dilazioni, pur di salvare la procedura. Ma se l’inadempimento è grave e colpevole, la revoca sarà inevitabile. In sintesi: una volta ottenuta l’omologazione, il debitore deve rispettare rigorosamente il piano. Qualora prevedesse di non farcela, è preferibile cercare soluzioni condivise (vendere volontariamente un bene per pagare qualche rata in più, trovare un garante che subentri nei pagamenti, ecc.) piuttosto che lasciare che il piano fallisca del tutto.
  • D: Il piano del consumatore comparato ad altre soluzioni (esdebitazione dell’incapiente, liquidazione, ecc.): quando è la scelta giusta?
    R: Il piano del consumatore è generalmente la scelta ideale quando il debitore dispone ancora di una capacità di reddito o di alcuni beni che intende mantenere, ed ha interesse a ristrutturare il debito invece di liquidare tutto e chiudere la partita subito. Se il debitore possiede solo stipendio e prima casa, e desidera tenere la casa e pagare gradualmente i debiti compatibilmente con il suo reddito, il piano è lo strumento ad hoc (la liquidazione la farebbe perdere). Se invece il debitore non ha nulla da sacrificare salvo pochi beni di valore trascurabile e non ha entrate sufficienti per sostenere un piano, allora potrebbe essere più indicata la liquidazione controllata (dove comunque otterrà l’esdebitazione finale dopo la vendita dei beni) o addirittura, se non possiede davvero niente e il suo reddito copre a malapena le spese essenziali, la speciale esdebitazione dell’incapiente (che dà subito la cancellazione dei debiti). In altre parole, il piano è preferibile quando si può offrire qualcosa ai creditori e si vuole salvare una parte del patrimonio. Viceversa, se il debitore è sostanzialmente nullatenente e non in grado di pagare alcunché, forzare un piano sarebbe inutile e destinato a fallire – in tali casi meglio optare direttamente per la procedura liquidatoria o l’incapiente. Un’altra considerazione: il piano richiede al debitore impegno e disciplina per un certo periodo (es. 4–5 anni di rate); se questo orizzonte è compatibile con la sua situazione (età, stabilità lavorativa, salute, ecc.), bene. Se invece il debitore è avanti con gli anni, senza lavoro e senza possibilità concrete di ricollocazione, imporre un piano pluriennale di rientro potrebbe non essere realistico: meglio potrebbe essere liberarlo subito dai debiti con l’incapiente, se meritevole. In sintesi, “chiedere il sovraindebitamento” con un piano del consumatore conviene al debitore che vuole evitare la liquidazione dei propri beni e che ha prospettive ragionevoli di adempiere a un progetto di rientro parziale. In tutti gli altri casi si valuterà l’alternativa più adatta (concordato minore se è imprenditore, liquidazione controllata o esdebitazione diretta se non può pagare nulla).

Esempio pratico (Piano del consumatore). Mario, impiegato 45enne, ha accumulato €80.000 di debiti: €50.000 tra prestiti personali e carte di credito, €20.000 con l’Agenzia delle Entrate (per tasse non versate) e €10.000 di bollette arretrate. Possiede un’auto utilitaria e vive in una casa in affitto con la sua famiglia; il suo stipendio netto è di circa €1.600 al mese. Mario si trova in difficoltà perché le rate mensili dei finanziamenti superano €900 e non riesce più a pagarle regolarmente, accumulando interessi di mora. I creditori minacciano decreti ingiuntivi e l’Agente della Riscossione ha iscritto un fermo amministrativo sulla sua auto. Mario si rivolge all’OCC costituito presso l’Ordine degli Avvocati, che lo aiuta a redigere un piano del consumatore.

Il piano proposto prevede: la riduzione del 50% dell’esposizione chirografaria (finanziarie e bollette) e il pagamento del restante 50% in 5 anni senza interessi; il pagamento integrale invece del debito fiscale di €20.000, dilazionato anch’esso in 5 anni (usufruendo della normativa di definizione agevolata per sanzioni e interessi). In pratica, Mario si impegna a pagare circa €500 al mese per 60 mesi (di cui ~€333 destinati al fisco e ~€167 ai creditori chirografari), utilizzando tutta la parte del suo stipendio non necessaria alle spese di mantenimento familiare. L’auto, avendo un valore modesto, non viene liquidata e Mario la conserva per poter andare al lavoro. L’OCC attesta che il piano è fattibile: Mario potrà sostenere la rata mensile vivendo frugalmente, e i creditori riceveranno complessivamente circa €30.000 su €80.000 (pari al 37%), una percentuale comunque superiore a quanto otterrebbero pignorandogli lo stipendio (dato il minimo vitale impignorabile) e vendendo la sua vecchia auto.

Il Tribunale, verificati i requisiti e sentito il parere dei creditori (l’Agenzia delle Entrate non si oppone grazie al piano che prevede il pagamento integrale del tributo, e anche le finanziarie, vedendo l’alternativa di un pignoramento poco fruttuoso, non si oppongono), omologa il piano. Da quel momento Mario deve solo rispettare le nuove scadenze: ogni mese versa €500 secondo il piano. Le procedure esecutive minacciate vengono sospese e nessun creditore può aggredire i suoi beni o il suo stipendio, a patto che resti in regola con i versamenti. Dopo 5 anni di sforzi, Mario completa tutti i pagamenti previsti (circa €30.000 in totale) e ottiene dal Tribunale l’attestazione di avvenuta esecuzione del piano. Conseguenza: tutti i suoi debiti originari sono definitivamente cancellati (anche i €50.000 mai pagati non sono più esigibili) e Mario può ricominciare senza pendenze, avendo salvaguardato la propria auto e la stabilità familiare. Se per ipotesi durante la procedura Mario avesse perso il lavoro e non fosse riuscito a pagare, la storia sarebbe andata diversamente: il piano sarebbe stato revocato e i creditori avrebbero potuto chiederne la liquidazione controllata, con conseguente vendita dell’auto e pignoramenti futuri sugli stipendi una volta trovato un nuovo impiego. Fortunatamente ciò non è accaduto, e l’esempio dimostra come un piano ben calibrato – anche se impegnativo – possa condurre a liberarsi da debiti opprimenti in pochi anni, pagando solo una parte di essi.

Tabella riepilogativa – Piano del consumatore

CaratteristichePiano di ristrutturazione dei debiti del consumatore
Chi può accederePersone fisiche consumatori (debiti non professionali). Esclusi debitori con prevalenti debiti d’impresa (da indirizzare al concordato minore).
Base normativaArtt. 67–73 Codice Crisi (D.lgs. 14/2019). Evoluzione dalla Legge 3/2012 (“piano del consumatore”).
IniziativaSolo debitore (volontaria). Istanza presentata tramite Organismo di Composizione della Crisi (OCC) competente. Creditori non possono attivarla.
Presupposti soggettiviStato di sovraindebitamento del consumatore “meritevole”. Non ammissibile se debitore con frode/malafede grave, o se già esdebitato <5 anni prima, o >2 volte in totale.
Consenso dei creditoriNon richiesto (i creditori non votano). Possono però presentare opposizioni/contestazioni prima dell’omologazione. Il giudice decide sull’omologa tenendo conto delle eventuali contestazioni.
Organi della proceduraOCC/Gestore nominato per assistere il debitore e attestare il piano; Tribunale (Giudice) che omologa e vigila. Non è prevista un’assemblea creditori né un commissario giudiziale.
Protezione ed effetti durante la proceduraPossibilità di ottenere la sospensione di pignoramenti ed esecuzioni pendenti sino all’omologazione. I creditori non possono avviare nuove azioni esecutive sul patrimonio mentre è in corso la procedura (beneficio del “blocco” ex art. 54 CCII, simile all’automatic stay).
Contenuto del pianoModalità di pagamento (anche parziale) di tutti i debiti. Possibile moratoria di ≤1 anno per crediti privilegiati (salvo consenso del creditore per dilazioni maggiori). Possibile falcidia di creditori privilegiati/ipotecari purché non inferiore al ricavabile in liquidazione. Possibile trattamento diversificato classi di creditori (rispettando cause legittime di prelazione).
OmologazioneDisposta dal Tribunale con decreto (reclAMMA? insomma), dopo verifica requisiti e convenienza rispetto a liquidazione (se contestata). Non occorre approvazione votata dai creditori. Il decreto di omologa rende il piano obbligatorio per tutti i creditori anteriori.
Effetti dell’omologazioneVincolatività: i creditori sono obbligati a rispettare le nuove condizioni (rinunce e dilazioni) del piano. Esdebitazione: il debitore è liberato dai debiti per la parte eccedente quanto previsto nel piano omologato (salvo debiti esclusi ex lege, es. alimenti, risarcimenti, sanzioni penali). Coobbligati/garanti: i creditori conservano i diritti verso eventuali fideiussori e obbligati in solido (il piano non li libera).
Esecuzione e durataEsecuzione a cura del debitore, sotto controllo OCC. Durata variabile in base al piano (es: piani di 4–5 anni comuni, ma teoricamente anche più lunghi se sostenibili). L’OCC riferisce al giudice su eventuali inadempimenti.
Esito finaleSe il piano viene eseguito regolarmente: chiusura della procedura con integrale esdebitazione del debitore residua. Se il piano non viene eseguito per colpa del debitore: possibile revoca dell’omologa e apertura di liquidazione controllata (i creditori recuperano i diritti originari).

Concordato minore

Cos’è e chi può utilizzarlo. Il concordato minore è la procedura di composizione negoziata della crisi destinata ai debitori sovraindebitati non consumatori. Si rivolge dunque a imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità, agli imprenditori agricoli, ai professionisti, alle start-up innovative non fallibili, alle associazioni e altri enti non soggetti a fallimento, che si trovino in situazione di insolvenza o di grave squilibrio finanziario. È, in sostanza, l’erede del vecchio “accordo di ristrutturazione dei debiti” della L.3/2012, pensato per il piccolo imprenditore o professionista che, pur non potendo accedere alle procedure concorsuali maggiori (come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale), ha necessità di un accordo con i creditori. Non possono accedere al concordato minore i consumatori: per questi ultimi vige la procedura speciale già vista del piano di ristrutturazione. D’altro canto, l’imprenditore minore non può scegliere il piano del consumatore neppure se parte dei suoi debiti sono personali – deve utilizzare il concordato minore per l’intera massa debitoria. La finalità dichiarata di questo strumento è di consentire al piccolo imprenditore o professionista di superare la crisi mantenendo possibilmente in vita l’attività: il concordato minore infatti è concepito in primis come un concordato in continuità (analogamente al concordato preventivo), sebbene sia ammesso anche in forma liquidatoria (con importanti limitazioni, come vedremo).

Presupposti e requisiti. I requisiti oggettivi del concordato minore coincidono con lo stato di sovraindebitamento del debitore “non fallibile”. Sul piano soggettivo, rientrano nella categoria gli imprenditori commerciali sotto soglia (ossia che negli ultimi esercizi non hanno superato i limiti di attivo, ricavi e debiti previsti dall’art. 2 CCII per l’assoggettabilità alla liquidazione giudiziale), gli imprenditori agricoli (esenti da fallimento per definizione), le start-up innovative (che il CCII esenta dal fallimento), i professionisti (avvocati, medici, ecc. con studi individuali) e in genere tutti i debitori non consumatori che non possono essere dichiarati falliti. È il caso tipico, ad esempio, di un artigiano individuale o di un piccolo commerciante con debiti verso fornitori e banche: costui non è un consumatore, ma neppure un grande imprenditore – il concordato minore è la sua procedura elettiva. Analogamente, un libero professionista (es. un architetto con studio individuale indebitato per spese e tasse) potrà ricorrere al concordato minore. I limiti di ammissibilità ricalcano in parte quelli visti per il consumatore: non è ammesso chi abbia già ottenuto una esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale, né chi abbia commesso atti in frode ai creditori (ad esempio, distrazione o falsificazione di attivo). Curiosamente, per il concordato minore la legge non menziona espressamente la “colpa grave” nella causazione dell’indebitamento come motivo ostativo (a differenza del piano consumatore); tuttavia è implicito che il debitore debba presentarsi con un minimo di buona fede e trasparenza, pena altrimenti il diniego di omologa per ragioni di abuso. Nel concordato minore si parla meno di “meritevolezza” rispetto al piano del consumatore, poiché l’omologa dipende in gran parte dall’accordo con i creditori, ma ciò non significa che il debitore scorretto possa farla franca: la presenza di atti in frode preclude l’accesso e, più in generale, chi abbia gestito in modo fraudolento la propria impresa rischia di non ottenere l’omologazione per violazione di norme imperative (oltre a possibili conseguenze penali).

Va sottolineato che il concordato minore non può essere richiesto dal consumatore puro (nemmeno se volesse volontariamente coinvolgere i creditori in un voto): la legge lo vieta espressamente. Dunque la distinzione tra piano del consumatore e concordato minore è netta sul piano soggettivo. Se una crisi riguarda congiuntamente un membro della famiglia consumatore e uno imprenditore, la soluzione è avvalersi della procedura familiare unitaria (vedi oltre), non “far scegliere” al consumatore il concordato minore, opzione che non è consentita.

Struttura e contenuti della proposta. Il concordato minore si articola in due fasi: una fase preparatoria stragiudiziale e una fase di concordato giudiziale vera e propria. Il debitore, con l’ausilio di un OCC o di un professionista esperto, elabora una proposta di concordato da sottoporre ai creditori, analoga a quella di un concordato preventivo ma semplificata. La proposta deve indicare specificamente come si intende risanare la posizione debitoria, con quali tempi e mezzi, e preferibilmente – dice la legge – dovrebbe contemplare la prosecuzione dell’attività aziendale o professionale. In altre parole, il legislatore incoraggia soluzioni in continuità: ad esempio, l’artigiano in crisi propone ai creditori di ridurre i debiti e dilazionarli, mentre lui continua a lavorare e a generare reddito per pagarli; oppure una piccola impresa familiare chiede di tagliare una parte dei debiti e si impegna a proseguire l’attività per pagare il resto con i futuri profitti, eventualmente con nuovi investimenti. Questo è il modello auspicato di concordato minore, perché massimizza le chance di soddisfare i creditori senza disperdere il patrimonio produttivo. Tuttavia, è ammessa anche una proposta liquidatoria (quindi senza continuare l’attività), ma con una grossa condizione: se non è prevista la continuazione, il debitore deve offrire l’apporto di risorse esterne aggiuntive tali da aumentare in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Questa clausola serve a evitare che il concordato minore venga usato in modo improprio come un “fallimento light”: se tanto bisogna liquidare tutto, tanto vale fare la liquidazione controllata, a meno che il debitore non metta sul piatto qualcosa in più (ad esempio procurandosi un finanziatore esterno, vendendo beni di terzi, o rinvenendo asset non già aggredibili dai creditori) per rendere il concordato più conveniente per i creditori rispetto alla semplice liquidazione. In assenza di continuità, dunque, il debitore deve comprare il consenso dei creditori con un quid pluris proveniente dall’esterno. Se non lo fa, il concordato non è ammissibile in forma liquidatoria.

La proposta di concordato minore può prevedere – analogamente al piano del consumatore – pagamenti parziali dei crediti, stralci di parte dei debiti, cessioni di beni ai creditori, moratorie per i crediti privilegiati, ecc. La differenza cruciale è che qui tutti questi aspetti sono soggetti a trattativa e votazione con i creditori. I creditori quindi hanno voce in capitolo: ricevuta la proposta e il piano, potranno decidere se accettarlo o meno. Tecnicamente, il tribunale, verificati i requisiti iniziali, ammette la procedura e nomina un gestore o un commissario (spesso coincide con l’OCC già coinvolto) e dispone che la proposta venga comunicata ai creditori per la votazione. La legge richiede l’approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto perché il concordato minore possa essere omologato. Dunque, serve >50% dei crediti (in valore) favorevoli. Ogni creditore esprime il proprio voto (di solito per iscritto entro un termine, data la snellezza della procedura; non sempre si tiene un’adunanza fisica come nel concordato preventivo, può avvenire tutto tramite scambio di dichiarazioni e relazione finale del gestore). Nel calcolo delle maggioranze si applicano regole simili al concordato preventivo: i crediti privilegiati totalmente soddisfatti non hanno diritto di voto, quelli parzialmente soddisfatti votano per la parte in sofferenza, e così via. Non è previsto l’uso di classi di creditori formali, data la scala ridotta, sebbene il debitore possa indicare trattamenti differenziati; la votazione però è unica sulla proposta nel suo complesso.

Omologazione e cram-down degli enti pubblici. Se la maggioranza dei crediti approva la proposta, il tribunale fissa udienza per l’omologazione. In questa sede, eventuali creditori dissenzienti possono proporre opposizione (analogamente all’art. 180 L.Fall. per il concordato preventivo), contestando la regolarità della procedura o la convenienza della proposta. Il giudice dovrà omologare il concordato minore verificando che: (a) ci sia la regolare formazione della maggioranza dei consensi; (b) la proposta sia conforme alla legge (ad es. privilegiati non trattati peggio del valore di liquidazione, ecc.); (c) non vi siano atti in frode ai creditori; (d) in caso di opposizioni di creditori dissenzienti, che il piano non li danneggi rispetto alle alternative. Un aspetto peculiare introdotto dal CCII è la possibilità di omologare il concordato minore anche in mancanza del voto favorevole dell’Erario o degli enti previdenziali (es. Agenzia Entrate, INPS), tramite il meccanismo del cram-down fiscale. In pratica, se tra i creditori ci sono il Fisco o l’INPS e il loro voto è determinante per la maggioranza ma risulta contrario, il tribunale può comunque omologare il concordato forzosamente a determinate condizioni. La giurisprudenza ha chiarito che il giudice può superare la mancata adesione del creditore pubblico solo quando quest’ultimo sia rimasto inerte (non abbia proprio votato) oppure quando il suo voto contrario sia ingiustificato in modo obiettivo. In sostanza, il tribunale deve valutare la ragionevolezza del diniego dell’Erario confrontando il trattamento proposto per i crediti fiscali con quello riservato agli altri creditori. Se, ad esempio, il piano offre all’Agenzia delle Entrate la medesima percentuale dei chirografari e comunque più di quanto otterrebbe da una liquidazione, un rifiuto opposto dal Fisco potrebbe essere giudicato “ingiustificato” – e in tal caso il giudice può procedere all’omologa nonostante il voto negativo dell’Erario, conteggiando i suoi crediti come favorevoli ai fini del quorum. Di contro, se la proposta verso il Fisco appare squilibrata (es. uno stralcio drastico dell’IVA senza motivo valido, mentre altri creditori vengono trattati meglio) il rifiuto dell’Erario sarebbe legittimo e non superabile. In più, il tribunale deve stare attento a evitare abusi: si è affermato che il cram-down non può trasformarsi in uno strumento per consentire sempre e comunque il concordato a dispetto del Fisco. Una decisione esemplare proviene dalla Corte d’Appello di Venezia (decreto 10 ottobre 2024) che ha negato l’omologa di un concordato minore dove il debitore tentava di usare il cram-down fiscale in modo abusivo. In quel caso, il piano sembrava “piegato” esclusivamente alla finalità di eliminare un grosso debito IVA, offrendo all’Erario un trattamento di gran lunga inferiore rispetto agli altri creditori e confidando solo nell’intervento del giudice. La Corte ha stabilito che il giudice non può sempre e comunque scavalcare il diniego del Fisco, cui in linea di principio spetta tutelare l’interesse pubblico, ma solo quando il diniego è chiaramente irragionevole. Ha anche sottolineato che l’uso del concordato minore non deve travalicare il suo scopo (risanare la crisi garantendo la continuazione dell’attività) per perseguire risultati estranei, come liberarsi di debiti fiscali in modo sproporzionato. Questo orientamento mette in guardia: un concordato minore che nasconda un intento elusivo verso il Fisco difficilmente verrà omologato. D’altro canto, la norma del cram-down pubblico rimane un’importante tutela per il debitore onesto: impedisce che un eventuale irrigidimento “politico” dell’ente impositore – magari incline a rifiutare ogni decurtazione per principio – possa far naufragare concordati altrimenti vantaggiosi per tutti i creditori (Fisco incluso).

Effetti dell’omologa e svolgimento. Con l’omologa (che nel concordato minore avviene con sentenza del tribunale), la proposta concordataria diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi quelli dissenzienti o non votanti. Il debitore dovrà quindi eseguire fedelmente quanto promesso. Esempio: se il piano omologato prevede il pagamento del 40% ai chirografari in 4 anni, ogni creditore chirografario avrà diritto al 40% del suo credito (in dividendi dilazionati) e perderà definitivamente il restante 60%. I creditori privilegiati, se non soddisfatti integralmente, incasseranno quanto stabilito e rinunceranno al residuo eccedente il soddisfo concordatario (che verrà esdebitato a fine procedura). Anche qui vale la regola che l’omologa non libera gli eventuali coobbligati: se qualche obbligazione era garantita da terzi o cointestata, il creditore potrà escutere tali soggetti per la parte di credito tagliata dal concordato. Il tribunale nomina normalmente un liquidatore/gestore che sovrintende all’esecuzione del concordato minore, soprattutto se sono previste cessioni o realizzi di beni. Ad esempio, se il piano concordatario contempla la vendita di un immobile o di macchinari dell’impresa, il liquidatore provvederà a queste operazioni e distribuirà il ricavato secondo le precedenze stabilite. Se invece il piano è in continuità e prevede semplicemente pagamenti periodici ai creditori con i proventi dell’attività, il liquidatore/gestore controllerà i flussi e la corretta ripartizione. La durata del concordato minore dipende molto dal piano: potrebbero essere 2-3 anni come 5-7 anni, a seconda degli importi e delle modalità. Non ci sono termini di durata massima espliciti nel CCII per il concordato minore, ma ragionevolmente un piano troppo lungo sarebbe difficilmente accettato dai creditori e dal giudice. Durante l’esecuzione, il debitore continua di norma a esercire la sua attività (se in continuità) sotto la supervisione del liquidatore/gestore, dovendo attenersi alle obbligazioni assunte. A completamento degli adempimenti, il tribunale dichiarerà adempiuto il concordato e il debitore beneficerà della esdebitazione: sarà definitivamente liberato dai debiti anteriori non soddisfatti nel concordato. Se invece il debitore non adempie agli obblighi concordatari, i creditori potranno chiedere la risoluzione del concordato minore. La risoluzione (disciplinata anch’essa dal CCII in analogia all’art. 186 L.Fall.) fa venir meno l’accordo: i creditori riacquistano il diritto per l’intero importo originario, dedotto quanto eventualmente ricevuto. Tuttavia, dopo la risoluzione il debitore può domandare l’apertura di una liquidazione controllata per gestire comunque il proprio dissesto in via concorsuale (lo stesso CCII prevede all’art. 83 che, in caso di non omologazione o cessazione degli effetti del concordato minore, si possa aprire la liquidazione). Non esiste, invece, un meccanismo di conversione automatica come per il piano del consumatore revocato: qui saranno i creditori o il debitore a dover attivare la soluzione liquidatoria successiva, se opportuno.

Vantaggi e limiti per il debitore. Dal punto di vista del debitore non consumatore, il concordato minore offre la chance di un accordo “pilotato” con i creditori, evitando la mera liquidazione giudiziale. Il vantaggio principale è la possibilità di proseguire l’attività (se sostenibile) e di conservare in esercizio l’azienda o lo studio professionale, con l’auspicio di risollevarsi economicamente e contemporaneamente pagare i creditori in misura concordata. Questo approccio può salvare la fonte di reddito del debitore, cosa che una liquidazione distruggerebbe. Inoltre, il concordato minore consente di negoziare riduzioni dei debiti con efficacia erga omnes una volta omologato, includendo anche debiti pubblici (con il meccanismo del cram-down, che comunque richiede rigore). Il debitore mantiene un certo grado di controllo sulla propria impresa: non c’è spossessamento totale come nel fallimento, e il liquidatore interviene solo in aspetti specifici, lasciando spesso il management in place sotto vigilanza. Vi sono però anche criticità: innanzitutto il debitore deve convincere i creditori a votare a favore. Ciò implica costruire una proposta molto credibile e appetibile, spesso più generosa di quanto non sarebbe nel piano del consumatore (dove i creditori non possono opporsi oltre un certo limite). In pratica, il concordato minore richiede al debitore uno sforzo negoziale maggiore e magari il sacrificio di asset personali aggiuntivi (pensiamo al caso di un imprenditore che metta a disposizione dei creditori anche beni personali o garanzie terze per ottenere i voti). C’è poi l’aspetto dei tempi e costi: il concordato minore comporta procedure di voto e un controllo di legalità analogo al concordato preventivo, sebbene semplificato; ciò significa che la procedura può richiedere qualche mese in più rispetto a un piano consumatore, e ha costi di gestione (compenso del gestore, eventuale comitato dei creditori nelle procedure più complesse, ecc.) superiori. Ancora, la necessità di apporto di risorse esterne in caso di liquidazione può scoraggiare il debitore che non abbia tali risorse: in assenza, la sua proposta liquidatoria verrebbe bocciata, spingendolo direttamente in liquidazione controllata. In sintesi, il concordato minore è una ottima soluzione se il debitore imprenditore intende seriamente continuare la propria attività e ha prospettive di recupero – in tal caso i creditori saranno probabilmente disponibili ad accettare una ristrutturazione invece di rischiare la chiusura dell’impresa (che spesso comporta ricavi minori). Se però l’attività è decotta e non vi sono piani di rilancio né risorse aggiuntive, allora il concordato minore rischia di non ottenere consensi e di risultare impraticabile, rendendo preferibile la liquidazione.

Domande frequenti sul concordato minore

  • D: Sono un piccolo imprenditore sopra-soglia fallimentare: posso scegliere il concordato minore al posto del concordato preventivo?
    R: No. Il concordato minore è riservato ai debitori non fallibili, cioè quelli che per legge non possono accedere alle procedure concorsuali maggiori. Se un imprenditore supera anche solo uno dei parametri dimensionali dell’art. 2 CCII (attivo superiore a €300.000, debiti > €500.000, ecc.), rientra nelle procedure ordinarie: in caso di insolvenza dovrà rivolgersi al concordato preventivo o altre procedure previste per le imprese maggiori. Il concordato minore non è una scelta “volontaria” tra più opzioni, ma la unica procedura concorsuale negoziale per chi non ha accesso a quella maggiore.
  • D: Nel concordato minore serve approvazione di tutti i creditori?
    R: No, serve la maggioranza in valore dei crediti. È sufficiente il voto favorevole di oltre il 50% dell’ammontare dei crediti ammessi al voto. Quindi, a differenza di un accordo stragiudiziale che richiederebbe il consenso del 100% dei creditori, il concordato minore consente di legare anche i creditori dissenzienti purché si raggiunga quella maggioranza qualificata. Attenzione però: alcuni creditori potrebbero essere esclusi dal voto (ad esempio i privilegiati che vengono pagati integralmente nel piano non votano, perché non toccati; oppure i crediti contestati possono non avere diritto di voto fino a definizione). La percentuale si calcola sui soli crediti “aventi diritto di voto”. Un caso particolare riguarda il Fisco e gli enti previdenziali: se il loro diniego impedisce la maggioranza ma il piano è conveniente, il giudice può omologare lo stesso (cram-down). Dunque, non occorre affatto l’unanimità; serve un consenso maggioritario, come nei concordati preventivi.
  • D: Posso prevedere nel concordato minore il semplice liquidare i miei beni e pagare i creditori col ricavato?
    R: In teoria sì, ma solo a certe condizioni. Il concordato minore può essere liquidatorio (senza continuare l’attività) soltanto se il debitore apporta risorse extra a beneficio dei creditori. Questo per evitare concordati “piatti” in cui ci si limita a fare ciò che farebbe una liquidazione fallimentare, ma magari con meno controlli. Se il debitore non intende o non può proseguire l’impresa, deve ad esempio offrire che un terzo (amico, parente, investitore) metta liquidità aggiuntiva, oppure impegnarsi a versare nella massa attiva redditi futuri personali eccedenti, in modo da far ottenere ai creditori più di quanto riceverebbero altrimenti. In mancanza di tali risorse esterne, il tribunale non ammetterà il concordato minore liquidatorio, consigliando piuttosto di aprire direttamente la liquidazione controllata. Questo vincolo non c’è nel concordato preventivo per le società (dove bastava il 20% minimo ai chirografari, requisito ora abrogato), ma il legislatore l’ha voluto mantenere qui proprio per spronare il debitore minore a perseguire la continuità o, se non possibile, a “compensare” il deficit di continuità con un quid a vantaggio dei creditori.
  • D: Cosa succede se un creditore ipotecario o privilegiato non è d’accordo con la mia proposta di concordato? Può bloccarmi?
    R: I creditori privilegiati partecipano anch’essi alla votazione se non sono soddisfatti al 100%. Il loro voto conta in proporzione all’importo del credito ammesso al voto (ossia la parte che rimane insoddisfatta nel piano). Se uno o più creditori privilegiati votano contro ma la maggioranza complessiva viene comunque raggiunta con gli altri voti, il loro dissenso non blocca l’omologazione – saranno obbligati anche loro dal concordato omologato. Se invece il loro peso impedisce di raggiungere il 50% e il creditore in questione è ad esempio l’Agenzia delle Entrate o un ente pubblico, potrà intervenire il giudice in sede di omologa valutando un cram-down (vedi domanda successiva). Se il creditore privilegiato dissenziente è un soggetto privato (ad es. una banca ipotecaria) e il suo credito è determinante per la maggioranza, allora la proposta non passerà a meno di coinvolgerlo in un accordo: in tal caso il debitore dovrà negoziare magari condizioni migliori per quel creditore (o farlo rientrare tra i soddisfatti integralmente) affinché non si opponga in modo decisivo. In sintesi, il singolo creditore privilegiato non ha un diritto di veto assoluto, ma il suo voto pesa in proporzione al credito e, se rilevante, il debitore deve tenerne conto strutturando la proposta in maniera da ottenere il suo sì oppure rendere il suo no irrilevante grazie al supporto degli altri creditori.
  • D: Che cos’è il “cram-down fiscale” nel concordato minore?
    R: È la possibilità di ottenere l’omologazione del concordato nonostante il voto contrario del Fisco (Agenzia delle Entrate) o degli enti previdenziali (es. INPS), a certe condizioni. Normalmente, se i crediti dell’Erario sono una fetta cospicua del totale e questi votano no, diventa arduo raggiungere il 50%. Il CCII prevede però che il tribunale possa ugualmente omologare se ritiene che il rifiuto dell’ente pubblico sia ingiustificato e che la proposta verso di esso sia più vantaggiosa del fallimento. In pratica, il giudice “conta come favorevole” il voto del Fisco dissenziente quando: (a) il Fisco non ha proprio espresso voto (inerzia); oppure (b) ha espresso un voto negativo ma il suo diniego appare irragionevole, dato che il piano rispetta per lui il criterio di migliore soddisfazione possibile. Se ad esempio il concordato offre al Fisco il pagamento del 30% in linea con gli altri chirografari mentre in liquidazione lo Stato incasserebbe forse il 5%, un no dell’Erario non avrebbe molto senso se non per rigidità. Il giudice in tal caso può forzare l’omologa lo stesso, per il bene di tutti i creditori. Attenzione però: come detto, i giudici vigilano contro l’abuso dello strumento – se il piano è calibrato in modo da penalizzare il Fisco, il cram-down potrebbe non scattare. Dunque, il debitore dovrebbe predisporre una proposta equilibrata, sapendo che comunque ha questa rete di sicurezza normativa che può evitare ai creditori pubblici di fare il “tiranno” nelle trattative.
  • D: Quali sono le differenze principali tra un concordato minore e un concordato preventivo?
    R: Pur condividendone la filosofia di base (entrambe sono procedure concordatarie per risanare l’impresa evitando il fallimento), ci sono diverse differenze: (1) il concordato minore è riservato ai soggetti non fallibili, mentre il concordato preventivo è per le imprese di dimensioni rilevanti o comunque sopra soglia; (2) nel concordato minore non è obbligatoria la suddivisione in classi di creditori né la nomina di un commissario giudiziale diverso dal gestore (semplificazioni dovute alla scala ridotta); (3) nel concordato minore non esistono percentuali minime di legge da offrire ai chirografari (nel preventivo fino al 2022 c’era il 20%, ora abolito comunque) ma vige la regola delle risorse esterne se liquidatorio; (4) il concordato minore ha costi inferiori e procedure più snelle (spesso si svolge tutto in camera di consiglio, senza udienze pubbliche, e con minori formalità pubblicitarie); (5) il concordato minore consente il cram-down del Fisco come visto, mentre nel concordato preventivo tradizionale la transazione fiscale è sottoposta a regole proprie (richiede che il tribunale valuti la convenienza ma non c’è una disposizione identica di cram-down, sebbene la logica sia simile dopo le riforme); (6) nel concordato minore la figura del debitore/imprenditore rimane centrale: non c’è spossessamento (neanche parziale) – l’imprenditore può continuare ad amministrare sotto supervisione – mentre nel concordato preventivo pure rimane in possesso dei beni ma c’è un controllo più stringente e un eventuale commissario che interviene. In generale il concordato minore è calibrato per realtà meno complesse, dunque è più flessibile e rapido. Un imprenditore sotto-soglia non ha scelta tra i due: deve seguire il minore. Mentre un imprenditore fallibile non può “scendere” al minore per avere procedure semplificate. Ognuno ha il suo ambito.

Esempio pratico (Concordato minore in continuità). La ditta individuale di Paolo (artigiano nel settore serramenti) ha debiti per €300.000: fornitori €120.000, banca €50.000 (scoperto di conto), fisco €80.000 (IVA e IRPEF), dipendenti €20.000 (TFR arretrati, trattati come privilegiati) e altri vari €30.000. L’attivo dell’impresa consiste in macchinari e attrezzature per €50.000 e crediti verso clienti per €40.000; Paolo non possiede immobili (il capannone è in affitto) ma ha una polizza vita riscattabile di €30.000 e una casa di proprietà della moglie. L’attività, pur in difficoltà, è ancora potenzialmente redditizia se ristrutturata. Paolo, essendo sotto soglia fallimentare, elabora con un OCC un piano di concordato minore in continuità: propone di continuare l’impresa concentrandosi sui lavori più redditizi, stima un utile annuo futuro di €30.000 da destinare interamente ai creditori per 5 anni (€150.000 in totale); inoltre prevede di recuperare €40.000 dai crediti verso clienti e di far confluire nel piano €30.000 grazie al riscatto della polizza vita personale (risorse esterne). Il fabbisogno per pagare i dipendenti è soddisfatto subito vendendo alcune attrezzature inutilizzate per €20.000 (privilegiati dipendenti al 100%). A fornitori, banca ed Equitalia propone una soddisfazione pari a circa il 60% del loro credito in 5 anni (distribuendo i €150.000 di utili futuri e i €40.000 recuperati). In pratica, su €280.000 di crediti chirografari (fornitori+banca+quota chirografa Erario) verranno pagati €170.000 (60%). L’Erario avrebbe un trattamento simile agli altri chirografari sul debito IVA/IRPEF. Il piano prevede anche che la moglie di Paolo conceda una fideiussione a garanzia di parte dei pagamenti futuri, e che Paolo rinunci al riscatto della polizza vita a favore del concordato.

I creditori vengono convocati dal gestore nominato. Essi valutano che in un fallimento otterrebbero molto meno (l’impresa verrebbe chiusa, i macchinari svenduti, e Paolo senza lavoro non genererebbe utili: forse recupererebbero il 20%). La proposta di Paolo appare credibile anche grazie alla garanzia della moglie e all’apporto della polizza. Nella votazione, l’85% dei crediti espressi vota – solo due fornitori minori (10%) e l’Agenzia delle Entrate (che detiene il 28% del credito totale) votano no, ma grazie al sì degli altri e all’astensione di una banca, si raggiunge comunque la maggioranza di legge (>50%). L’Erario, pur votando contro per politica interna, in realtà col 60% proposto prenderebbe molto di più di quanto otterrebbe in caso di cessazione dell’attività: il suo dissenso è ingiustificato. In udienza di omologa, quei fornitori contrari eccepiscono che non gradiscono di essere pagati così lentamente; l’Agenzia delle Entrate insiste sul proprio diniego formale. Il Tribunale tuttavia rileva che il piano è conveniente per tutti i creditori (anche per i dissenzienti) rispetto all’alternativa liquidatoria, e che il voto negativo del Fisco appare pretestuoso. Pertanto, omologa il concordato minore, applicando il cram-down fiscale per superare il dissenso dell’Erario (ritenuto appunto non ragionevole alla luce del 60% offerto). Paolo continua la sua attività secondo il nuovo budget approvato nel piano; sotto la supervisione del liquidatore, versa annualmente le somme concordate e adempie a tutte le condizioni (tra cui il puntuale versamento di imposte correnti, essendo in continuità). Dopo 5 anni, il concordato è stato eseguito con successo: i creditori chirografari hanno ricevuto in totale il 60% spettante, i dipendenti sono stati pagati, e l’azienda di Paolo è ancora operativa (con debiti azzerati). Il Tribunale dichiara adempiuto il concordato e Paolo ottiene l’esdebitazione: il restante 40% dei debiti (€120.000) viene definitivamente cancellato. La moglie di Paolo, che era garante, è libera dalla fideiussione perché il debito principale è estinto. L’Agenzia delle Entrate incassa 60% ma deve rinunciare al 40% residuo, per decisione giudiziale. Se Paolo avesse invece violato il piano (ad esempio non versando le rate annuali), il Tribunale avrebbe potuto risolvere il concordato e i creditori sarebbero tornati all’importo originario: a quel punto molto probabilmente sarebbe seguita la liquidazione controllata dell’impresa con la cessazione dell’attività. Questo non è accaduto perché il piano è stato ben congegnato e Paolo ha rispettato gli impegni.

Tabella riepilogativa – Concordato minore

CaratteristicheConcordato minore (debitori non consumatori)
Chi può accedereDebitori non fallibili diversi dal consumatore: imprenditori commerciali sotto-soglia, imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative, enti non profit indebitati, ecc.. (Consumatori esclusi – non possono accedere a questa procedura).
FinalitàSuperare il sovraindebitamento preferibilmente conservando la continuità aziendale o professionale. Possibile anche in forma liquidatoria, ma con obbligo di apporto esterno aggiuntivo per migliorare il ritorno ai creditori.
IniziativaSolo debitore (volontaria). La domanda si presenta con ricorso al Tribunale, allegando proposta e piano, tramite un OCC/gestore nominato. I creditori non possono chiedere un concordato minore d’ufficio (in caso di insolvenza passiva si va in liquidazione controllata).
Consenso dei creditoriNecessario: il concordato minore richiede l’approvazione dei creditori che rappresentino >50% del totale crediti votanti. La decisione dei creditori avviene tramite voto (espresso in forma scritta o in adunanza convocata dal gestore). I creditori privilegiati votano solo per la parte di credito eventualmente falcidiata. Nessun singolo creditore ha diritto di veto, ma il dissenso di creditori di peso può impedire di raggiungere la maggioranza. Prevista la possibilità di cram-down per creditori pubblici dissenzienti ingiustificati (Fisco/INPS).
Organi della proceduraGestore/OCC nominato dal Tribunale (svolge funzioni simili a un commissario giudiziale, ma anche di attestazione iniziale del piano). Tribunale che ammette la procedura, controlla la votazione ed emette sentenza di omologa (o di rigetto). Può essere nominato un liquidatore (spesso coincide col gestore) per l’esecuzione, specie se ci sono beni da liquidare. Eventuale comitato dei creditori se ritenuto necessario nei casi complessi.
Effetti protettiviDalla data di ammissione, il giudice può disporre misure protettive: sospensione delle azioni esecutive individuali analoghe a quelle del piano (art. 54 CCII). Durante la procedura i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti sui beni del debitore. Il debitore rimane tuttavia in possesso della sua azienda (salvo disposizioni diverse) e continua l’attività sotto vigilanza.
Contenuto della propostaPiano di ristrutturazione con indicazione dettagliata di tempi e modalità di soddisfacimento dei creditori. Continuità: il piano può prevedere che il debitore prosegua la sua impresa/professione e paghi i creditori coi redditi futuri. Liquidatorio: ammesso solo se previsto significativo apporto esterno per aumentare il recupero creditori. Possibile trattare diversamente categorie di creditori (purché nel rispetto delle cause di prelazione e dell’equità). È ammessa la falcidia dei crediti privilegiati (anche tributari, compresa IVA) purché non inferiore al valore di liquidazione e giustificata dalle condizioni dell’impresa (divieto di trattamento deteriore ingiustificato verso il Fisco, pena diniego omologa).
OmologazioneSentenza del Tribunale. Richiede maggioranza di voti favorevoli e verifica di legalità. Il giudice può omologare nonostante il voto contrario dell’Erario/ente previdenziale se il loro rifiuto è ingiustificato (cram-down). I creditori dissenzienti possono proporre opposizione prima dell’omologa, su cui decide il Tribunale valutando la convenienza e correttezza della proposta per tutti.
Effetti dell’omologaVincolo concordatario: tutti i creditori anteriori sono obbligati dai termini della proposta omologata, perdendo la parte di credito falcidiata. Efficacia erga omnes anche verso i non votanti. Coobbligati/garanti: i creditori mantengono i diritti verso terzi garanti (fideiussori, soci obbligati) per la parte di debito tagliata. Sospensione azioni: confermata la protezione, le esecuzioni decadono e i beni eventualmente pignorati vengono liberati (salvo diversa previsione del piano, es. vendita in sede concorsuale). Il debitore non è dichiarato fallito e conserva la capacità di agire (con eventuali limitazioni previste dal piano).
Esecuzione e durataEsecuzione controllata: se il piano è in continuità, il debitore opera sotto la vigilanza del liquidatore/gestore, destinando ai creditori le somme promesse. Se il piano prevede vendite, il liquidatore le compie e ripartisce i fondi secondo le priorità. La durata dipende dal piano (spesso 3–5 anni). Durante l’esecuzione il debitore può essere affiancato dal liquidatore per atti rilevanti.
Esito finaleSe il debitore adempie integralmente: decreto di avvenuto adempimento e conseguente esdebitazione di diritto dei residui debiti non pagati. Se il debitore inadempie o il piano fallisce: i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato; dopo la risoluzione, il debitore torna sovraindebitato per gli importi originari (dedotti acconti ricevuti) e tipicamente si aprirà una liquidazione controllata per liquidare i suoi beni residui (artt. 83, 277 CCII).

Liquidazione controllata del sovraindebitato

Cos’è e quando si applica. La liquidazione controllata è la procedura concorsuale di carattere liquidatorio riservata al debitore civile o piccolo imprenditore in stato di insolvenza, quando non sia fattibile o non sia stata esperita con successo una ristrutturazione dei debiti (piano del consumatore o concordato minore). Rappresenta, in altri termini, l’equivalente del fallimento (oggi liquidazione giudiziale) per i soggetti non fallibili. Tutti i debitori sovraindebitati – sia consumatori che non consumatori – possono accedere alla liquidazione controllata. Questa può essere volontaria, su istanza dello stesso debitore (magari perché non è in grado di proporre un piano sostenibile o perché preferisce liquidare subito il patrimonio residuo e azzerare i debiti in tempi definiti), oppure può essere chiesta dai creditori. Infatti, a differenza delle altre procedure di sovraindebitamento, la liquidazione controllata può essere attivata anche da un creditore o più creditori, purché il debitore versi in stato di insolvenza conclamata. In questo senso la liquidazione controllata si avvicina al vecchio fallimento: un creditore di un debitore non fallibile, invece di restare privo di tutela collettiva, può domandare al tribunale di aprire una procedura di liquidazione del patrimonio di quel debitore, in presenza dei presupposti (insolvenza, meritevolezza del debitore irrilevante ai fini dell’apertura – anche il debitore “colpevole” può essere messo in liquidazione, rileverà semmai in sede di esdebitazione finale). La liquidazione controllata è quindi sia una procedura di default (ci si finisce quando falliscono le altre soluzioni), sia una procedura di emergenza attivabile dai creditori per evitare che il debitore disperda il patrimonio residuo. Spesso il debitore stesso vi ricorre quando: (a) non riesce a trovare un accordo o a predisporre un piano fattibile; (b) preferisce mettere a disposizione subito i beni e fermare la lievitazione dei debiti, confidando di ottenere poi l’esdebitazione; (c) vuole liberarsi dei debiti in un lasso di tempo relativamente breve, rinunciando ai propri asset ma potendo ripartire pulito.

Avvio e svolgimento. La procedura si avvia con un ricorso depositato dal debitore (tramite OCC) o dal creditore (in tal caso con l’assistenza obbligatoria di un legale) presso il Tribunale competente. Il tribunale, verificati i presupposti (esistenza dello stato di insolvenza o sovraindebitamento, e – se è un creditore a chiederla – l’assenza di una procedura pendente di concordato minore o piano), dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata del patrimonio del debitore. Con la sentenza, analogamente alla dichiarazione di fallimento, si produce l’effetto di spossessamento: tutti i beni del debitore (presenti e futuri entro certi limiti temporali) diventano oggetto della procedura liquidatoria. Viene nominato un Liquidatore giudiziale, che assume il compito di individuare, amministrare e liquidare il patrimonio, sotto la vigilanza di un giudice delegato e, se opportuno, di un comitato dei creditori. Al debitore è fatto obbligo di collaborare e di mettere a disposizione tutti i beni. Alcuni beni però sono esclusi per legge: restano fuori dalla liquidazione quelli assolutamente impignorabili o necessari per la vita dignitosa del debitore e della famiglia (ad esempio gli stipendi entro la parte impignorabile, gli strumenti di lavoro indispensabili, eventuali beni costituiti in fondo patrimoniale se i creditori non vi potevano accedere, etc.). Il liquidatore redige l’inventario dei beni compresi e forma lo stato passivo dei crediti (i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo entro termini stabiliti, analogamente al passivo fallimentare). Segue la fase di realizzo: il liquidatore predispone un programma di liquidazione e, una volta approvato dal GD, procede a vendere i beni mobili, immobili, crediti, ecc. del debitore, nel rispetto delle norme (vendite competitive, ecc.). Le somme ricavate vengono via via distribuite ai creditori secondo l’ordine delle prelazioni risultante dallo stato passivo. I creditori privilegiati sono soddisfatti per priorità (es.: ipotecari fino a capienza del valore del bene) e i chirografari ripartiscono l’eventuale attivo residuo in proporzione. È evidente che nella maggior parte dei casi di sovraindebitamento l’attivo è modesto rispetto al passivo: spesso i creditori chirografari ricevono percentuali simboliche (pochi centesimi per euro) o nulla. Tuttavia, attraverso la liquidazione controllata essi ottengono almeno la liquidazione trasparente di ciò che c’è, evitando favoritismi o occultamenti, e il debitore ottiene in cambio la possibilità di liberarsi definitivamente dal debito eccedente.

Durata e chiusura. Una caratteristica del nuovo CCII è aver impresso un limite temporale alla procedura di liquidazione: nella prassi pregressa alcune liquidazioni ex L.3/2012 duravano molti anni, in assenza di termini stringenti. Oggi la liquidazione controllata, per legge, dovrebbe concludersi in tempi relativamente brevi. In particolare, la giurisprudenza ha rilevato che il tribunale, aprendo la procedura, può stabilire una durata minima o indicativa di 3 anni – ovvero può programmare le operazioni di liquidazione in modo tale da completare entro un triennio la vendita dei beni e la ripartizione. La norma prevede anche che i beni sopravvenuti entro i 4 anni successivi all’apertura (se derivanti da cause antecedenti) possano essere acquisiti alla liquidazione. Ad esempio, se entro 4 anni il debitore riceve un’eredità o vince alla lotteria, tali utilità dovrebbero in parte andare ai creditori (questo vale solo se l’evento era imprevedibile e di importanza rilevante). In generale comunque, l’obiettivo è evitare procedure infinite: dopo alcuni anni, se tutto il possibile è stato liquidato, si chiude. La chiusura avviene con decreto di chiusura emesso dal tribunale una volta completate le ripartizioni finali dell’attivo.

Esdebitazione (cancellazione dei debiti residui). Un aspetto fondamentale per il debitore è che, al termine della liquidazione controllata, ottiene il beneficio dell’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti non soddisfatti, di diritto. Nella vecchia legge era necessario presentare un’apposita istanza di esdebitazione e il tribunale valutava certi requisiti soggettivi; ora il CCII rende il beneficio praticamente automatico a fine procedura, salve le opposizioni dei creditori per specifici motivi. Più precisamente, l’esdebitazione è concessa salvo che: il debitore sia incorso in gravi violazioni (es. mancata collaborazione, distrazione di attivi durante la liquidazione), abbia commesso reati fallimentari o abbia già beneficiato di una esdebitazione nei 5 anni precedenti o due volte in totale. Sono criteri analoghi a quelli delle altre procedure. In assenza di tali impedimenti, la chiusura della liquidazione porta con sé la liberazione del debitore da ogni saldo debitorio pregresso non pagato. Si noti che restano esclusi, come per l’esdebitazione fallimentare, i debiti di natura personale non eliminabili (alimentari, da illecito e sanzioni penali – v. FAQ). Ma tutte le obbligazioni civili ordinarie, comprese quelle verso il Fisco, le banche, i fornitori ecc., sono estinte definitivamente. Un debitore sovraindebitato può quindi pianificare la liquidazione controllata come un percorso per “ripulirsi”, benché doloroso perché implica la spoliazione del patrimonio.

Ruolo del debitore durante la liquidazione. Una volta aperta la procedura, il debitore deve consegnare i beni al liquidatore, fornire tutte le informazioni, la documentazione contabile (se era imprenditore) e in generale collaborare lealmente. Egli perde la disponibilità dei beni (non può più venderli, né incassare crediti – tutto spetta al liquidatore) e subisce eventualmente la chiusura o il trasferimento dell’azienda, se era in attività. Il codice però gli garantisce il mantenimento di quanto serve per vivere: ad esempio, una parte dello stipendio o pensione rimane nella sua disponibilità, solitamente applicando le soglie di impignorabilità ex legge (sufficienti al sostentamento suo e della famiglia). Inoltre, ha diritto di mantenere beni di uso quotidiano (vestiario, mobili essenziali) e strumenti indispensabili per professioni (salvo che il liquidatore valuti di venderli corrispondendo un equo indennizzo, ma ciò è raro se servono al reddito futuro). In sintesi, la liquidazione controllata spoglia il debitore dei suoi cespiti, ma non lo lascia privo dei mezzi minimi di sopravvivenza.

Esempi tipici di casi per la liquidazione controllata: quando il consumatore sommerso dai debiti non è in grado di proporre un piano realistico (magari perché non ha un reddito sufficiente a offrire una sia pur minima percentuale ai creditori) – in tal caso presentare direttamente istanza di liquidazione permette di bloccare sul nascere pignoramenti multipli e convogliare quel poco patrimonio in un’unica procedura, al termine della quale il debitore sarà libero. Oppure quando un concordato minore è andato deserto (mancanza di voti) o è stato revocato per inadempimento: si aprirà la liquidazione, come previsto, per tutelare i creditori residui. O ancora, quando un creditore importante (es. una banca) non vuole attendere oltre e chiede al giudice di liquidare i beni di un debitore non fallibile insolvente (ad esempio un professionista che non paga da anni): ottenuta la liquidazione, quel creditore vedrà soddisfatto il suo credito pro-quota insieme agli altri, e soprattutto impedisce che il debitore dilapidi eventuali risorse nel frattempo. Da notare che, se la richiesta viene da un creditore, è prevista la citazione del debitore e un’istruttoria: il debitore può anche opporsi sostenendo magari che sta per depositare un piano di sovraindebitamento (cosa che, se credibile, il tribunale potrebbe attendere). Ma se l’insolvenza è conclamata e non c’è prospettiva di accordo, il tribunale aprirà la liquidazione su istanza del creditore. In ogni caso, il debitore dovrebbe considerare che la liquidazione controllata non è un “fallimento infamante” ma uno strumento di risoluzione: se condotta correttamente, gli permette di cancellare i debiti. Non comporta restrizioni personali (non vi sono più disposizioni sui casi d’ineleggibilità o altro, e in ogni caso oggi il “fallito civile” non ha lo stigma di un tempo). L’unico costo sociale è che, per la durata della procedura, il debitore è in qualche misura limitato nei poteri sui propri beni e deve subire l’ingerenza del liquidatore; ma considerato il beneficio finale dell’esdebitazione, è un sacrificio spesso necessario e conveniente per chi non vede via d’uscita.

Domande frequenti sulla liquidazione controllata

  • D: Un creditore può davvero costringermi alla liquidazione controllata contro la mia volontà?
    R: Sì, se sei in stato di insolvenza e appartieni alle categorie non fallibili. Ad esempio, se sei un debitore civile (non imprenditore) con debiti scaduti ingenti e non paghi, qualunque creditore può chiedere al tribunale di aprire la tua liquidazione controllata. Ovviamente il creditore deve dimostrare la tua insolvenza (in genere allegando i mancati pagamenti, pignoramenti infruttuosi, ecc.). Tu verrai citato e potrai comparire per eventualmente proporre soluzioni alternative (ad esempio: “sto predisponendo un piano del consumatore, chiedo tempo”). Il giudice valuterà. Se però non c’è prospettiva concreta di risanamento o se le alternative non sono credibili, il tribunale può decidere di aprire la liquidazione su istanza del creditore. Da quel momento tu subisci la procedura concorsuale come se l’avessi chiesta tu stesso. In sostanza, per i non fallibili la liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento d’ufficio. Nota bene: il Pubblico Ministero invece non può richiederla (la Cassazione ha chiarito che il PM non è legittimato a iniziativa in tali procedure). Quindi l’impulso deve venire da un creditore insoddisfatto (o dal debitore medesimo).
  • D: Cosa perde esattamente il debitore nella liquidazione controllata?
    R: Perde la disponibilità di tutti i suoi beni (presenti e futuri entro certi limiti). In particolare, entrano nella massa attiva da liquidare: gli immobili di proprietà, i veicoli, i conti correnti e depositi, i crediti verso terzi, i beni mobili di valore, partecipazioni societarie, e anche i beni che acquisterà o riceverà entro i 4 anni successivi all’apertura (eredità, donazioni, vincite). Restano esclusi solo i beni dichiarati impignorabili o necessari: ad esempio, indumenti, mobili essenziali, eventuali animali da compagnia, medaglie al valore, ecc., e inoltre i redditi da lavoro nella misura in cui servono al mantenimento del debitore e della famiglia (in pratica, è come se la procedura pignorasse il tuo stipendio solo per la parte eccedente il minimo vitale). Anche gli strumenti indispensabili per l’attività professionale potrebbero essere esclusi (se l’attività continua); se però il liquidatore decidesse di venderli, ti dovrebbe riconoscere una somma adeguata per compensarti. Quindi, il quadro generale: il debitore cede tutti i beni liquidabili, ma non viene lasciato senza mezzi di sussistenza. Perde la proprietà ad esempio della casa (se ne ha una) che sarà venduta, dell’auto se ha valore apprezzabile, ecc., ma potrà tenere i beni di uso quotidiano di modesto valore e una parte di eventuali redditi. Tecnicamente, la sentenza di apertura toglie al debitore la gestione del patrimonio: non può più disporne, gli atti che compie sui beni inclusi nella massa sarebbero nulli. Viene spesso nominato un custode per i beni come immobili, e il debitore deve lasciare l’amministrazione al liquidatore. È una spoliazione rilevante, ma finalizzata a soddisfare i creditori. In cambio, il debitore avrà la pace dai creditori (non possono più perseguitarlo personalmente) e soprattutto, a fine procedura, la cancellazione dei debiti residui.
  • D: Quanto dura la liquidazione controllata?
    R: Dipende dalla complessità del patrimonio, ma il Codice pone l’obiettivo di una durata concentrata. Spesso i tribunali indicano un periodo di circa 3 anni per la realizzazione dell’attivo. Questo non significa che ogni procedura si chiuda in 3 anni – alcune potrebbero durare di più, specie se ci sono immobili difficili da vendere o cause legali in corso. Tuttavia, c’è la tendenza a non farle durare eccessivamente: il legislatore vuole che il debitore non resti “appeso” troppo a lungo. Ad esempio, un tribunale aprendo la liquidazione potrebbe stabilire che il liquidatore raccoglierà i frutti dell’attività del debitore (se continua a lavorare) per i prossimi 3 anni e poi la procedura verrà chiusa. Oppure se il debitore non ha redditi, si limiterà a vendere ciò che c’è e appena fatto questo, potrà proporre la chiusura. In ogni caso, passati quattro anni dall’apertura, eventuali nuovi beni sopravvenuti non si acquisiscono più (quindi il debitore ha anche incentivo a far chiudere). Nella prassi pre-CCII spesso le liquidazioni ex L.3 duravano attorno a 4-5 anni (specie se c’era da riscuotere qualcosa dallo stipendio). Ora potrebbe ridursi un po’. Se ad esempio un debitore ha solo uno stipendio e nient’altro, il tribunale può disporre che per 3 anni una parte di esso sia prelevata dal liquidatore, dopodiché la procedura termina. A quel punto, se anche i creditori non hanno ottenuto granché, scatta comunque l’esdebitazione e il debitore esce libero.
  • D: Che debiti restano comunque dopo la chiusura della liquidazione?
    R: Come anticipato, non tutti i debiti possono essere spazzati via. Le eccezioni principali riguardano: a) gli obblighi alimentari e di mantenimento (es. il mantenimento dei figli, dell’ex coniuge) – questi non li cancella nessuna procedura, il debitore ne resterà obbligato (anche se durante la liquidazione probabilmente li avrà in prededuzione); b) i debiti per risarcimento danni da fatti illeciti extracontrattuali (tipicamente le restituzioni o risarcimenti dovuti per aver commesso un illecito come un reato doloso, un atto di frode verso qualcuno, ecc.); c) le multe, ammende e sanzioni penali o amministrative di natura pecuniaria (ad esempio una multa stradale, una sanzione inflitta da un’autorità, la pena pecuniaria da reato). Queste categorie di debito sono escluse dall’esdebitazione per espressa scelta legislativa – in parte per ragioni etiche (non si vuole che uno evada le proprie responsabilità familiari o “la faccia franca” con vittime di reati e Stato). Tutti gli altri debiti invece sono cancellati. Quindi, per fare un esempio: se avevi €200.000 di debiti totali, di cui €180.000 tra banche, fornitori, fisco e €20.000 di arretrati di mantenimento figli, dopo la liquidazione e l’esdebitazione sarai liberato dai €180.000 verso banche/fornitori/fisco, ma dovrai ancora corrispondere gli arretrati di mantenimento (quelli magari li recupererai con un accordo, ma la legge non te li condona). Da notare: se durante la liquidazione il liquidatore ha pagato in tutto o in parte anche quei debiti non esdebitabili (può succedere, ad esempio può aver pagato le spese di mantenimento corrente col reddito del debitore), ovviamente il residuo sarà minore. In ogni caso, l’esdebitazione non copre quelle tre tipologie. Tutto il resto, incluse cartelle esattoriali, mutui, leasing, scoperti, finanziamenti vari, debiti commerciali, sono definitivamente estinti.
  • D: Che differenza c’è tra la liquidazione controllata e la liquidazione giudiziale (fallimento)?
    R: Dal punto di vista pratico, per il debitore persona fisica le differenze sono poche: in entrambi i casi c’è un liquidatore, i beni vengono venduti, i creditori insinuati e pagati secondo i privilegi, e alla fine il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione (nel fallimento deve chiederla, nella liquidazione controllata è automatica, ma sostanzialmente è analogo). Le procedure seguono regole molto simili, tanto che il CCII spesso rinvia alle norme della liquidazione giudiziale per gli aspetti non regolati espressamente. Le differenze principali stanno nei soggetti coinvolti e in alcune semplificazioni: (1) la liquidazione controllata riguarda soggetti minori, quindi i numeri in gioco tendono a essere ridotti e la procedura generalmente più snella (es. di rado c’è un comitato creditori complesso, a volte il GD può decidere molte cose senza passare per autorizzazioni assembleari, ecc.); (2) non è prevista la figura del curatore ma quella del liquidatore, che però ha compiti analoghi (il cambio di nome riflette solo la diversa procedura); (3) manca la fase di istruttoria pre-fallimentare: qui di solito si apre direttamente la liquidazione con la sentenza (o decreto) su istanza di parte; (4) come detto, l’esdebitazione è più immediata, mentre nel fallimento storico bisognava farne apposita istanza a fine procedura – ma anche lì ormai è di prassi concederla; (5) non scattano alcune conseguenze storiche del fallimento come le interdizioni: il fallimento comportava per esempio la sospensione dai pubblici uffici per tutta la procedura, l’annotazione nei casellari, ecc. Nel nuovo CCII queste decadenze non sono più automatiche nemmeno nel fallimento, e comunque nel sovraindebitamento l’approccio è meno stigmatizzante, quindi un debitore in liquidazione controllata non subisce marchi di infamia (il suo nome appare nei registri delle procedure concorsuali, ma ciò accade anche per un concordato – non c’è differenza di trattamento). In sintesi, la liquidazione controllata è un fallimento su misura ridotta, destinato a chi prima non poteva fallire e ora invece viene gestito concorsualmente. Il debitore che entra in liquidazione controllata non deve temere differenze sostanziali rispetto a un fallimento: l’effetto sul patrimonio è lo stesso (lo perde), ma almeno ha la certezza di uscirne esdebitato senza complicazioni.

Esempio pratico (Liquidazione controllata). Francesca è una ex commerciante (ditta individuale cessata) che ha accumulato €250.000 di debiti, in gran parte verso banca e fornitori, oltre a cartelle esattoriali per IVA e INPS non pagate. Ha provato a ottenere un concordato minore ma i creditori non erano collaborativi e la sua proposta (pagare il 20% in 4 anni) non ha raccolto consensi sufficienti. Non possiede immobili; possiede una vecchia auto e qualche risparmio (5.000 €), e vive in affitto. Lavora come dipendente (stipendio €1.200). Di fronte allo stallo, per evitare ulteriori pignoramenti (un fornitore aveva già avviato esecuzione sul suo conto) decide di presentare direttamente ricorso per liquidazione controllata tramite un OCC. Il Tribunale apre la procedura: nomina un liquidatore e ordina la vendita immediata dell’auto (ricavando 3.000 €). I creditori vengono avvisati e presentano domanda di ammissione al passivo; lo stato passivo viene formato riconoscendo €240.000 di crediti chirografari e €10.000 di privilegi (ci sono 2.000 di TFR ad ex dipendenti e l’Agenzia delle Entrate con 8.000 di privilegio per IVA). Il liquidatore riesce a recuperare anche €4.000 da un credito che Francesca aveva verso un cliente (incassato al posto suo). Inoltre, per legge pignora il quinto dello stipendio di Francesca ogni mese: €240 su €1.200, pari al minimo vitale, per un periodo di 3 anni. Questo porterà circa €8.600 (240*36). In totale, dunque, la liquidazione raccoglie: 3.000 + 4.000 + 8.600 + 5.000 (risparmi già consegnati) ≈ €20.600. Di questi, il liquidatore paga prima le spese di procedura (diciamo 2.000 tra compenso e spese vive), poi soddisfa i privilegiati: TFR €2.000 (interamente, 100%) e IVA €8.000 (integralmente anche questo, perché le risorse lo consentono). Rimangono circa €8.600 da distribuire ai chirografari su €240.000 di crediti: ricevono quindi circa il 3.5%. Terminato tutto, dopo 3 anni e mezzo, il liquidatore presenta il rendiconto finale e il tribunale dichiara chiusa la liquidazione. A questo punto, su verifica dell’assenza di comportamenti fraudolenti di Francesca, scatta l’esdebitazione di diritto: tutti i debiti di Francesca rimasti (oltre €230.000, comprensivi del 96.5% non pagato ai chirografari) sono cancellati. I creditori insoddisfatti non possono più agire contro di lei per chiedere la differenza. Francesca ha “perso” l’auto e una parte di stipendio per 3 anni, ma in cambio ha ottenuto di ricominciare da capo senza debiti. Anche il piccolo risparmio che aveva l’ha sacrificato, ma dal suo attuale stipendio non verranno più trattenute somme (finita la procedura, il quinto non si trattiene più). Nel caso di Francesca, nessun creditore aveva interesse a chiederne la liquidazione (perché non aveva beni rilevanti), quindi ha fatto bene lei stessa a promuoverla: se fosse rimasta inattiva, avrebbe subito decenni di pignoramenti dello stipendio singolarmente da parte dei creditori. Invece così in pochi anni ha risolto la questione in modo organico.

Tabella riepilogativa – Liquidazione controllata

CaratteristicheLiquidazione controllata del sovraindebitato
Chi può accedere / attivareTutti i debitori sovraindebitati (consumatori o non), indipendentemente da meritevolezza. La può chiedere volontariamente il debitore (con ricorso via OCC) oppure un creditore (istanza tramite avvocato). Non ammessa se il debitore è già in concordato minore o piano approvato (incompatibilità).
Presupposti oggettiviStato di insolvenza o di crisi da sovraindebitamento. Per i creditori istanti: esistenza di credito scaduto non pagato e insolvenza del debitore non fallibile. Per il debitore: situazione debitoria ingestibile, anche senza tentare piani. Non richiesta la meritevolezza (incide solo sulla fase finale di esdebitazione, vedi sotto).
Effetti dell’aperturaSpossessamento: il patrimonio del debitore (tutti i beni di sua proprietà alla data di apertura, più i beni che acquisirà entro 4 anni dalla apertura) entra nella massa attiva da liquidare. Il debitore perde l’amministrazione dei beni e non può compiere atti dispositivi su di essi. Si apre uno stato passivo per l’accertamento dei crediti: i creditori devono insinuarsi e vengono accertati con graduazioni di privilegio. Sono sospese e vietate le azioni esecutive individuali: i pignoramenti pendenti si spengono e nessun creditore può iniziarne di nuovi (tutti concorrono nella procedura). Eventuali sequestri o ipoteche giudiziali nei 90 giorni precedenti possono essere revocati dal giudice (regole analoghe al fallimento).
Organi della proceduraGiudice Delegato (nominato nella sentenza di apertura) che sovrintende e autorizza atti principali; Liquidatore nominato dal Tribunale, con funzioni simili al curatore fallimentare: custodisce, amministra e vende i beni, e ripartisce il ricavato ai creditori. Può essere costituito un comitato dei creditori consultivo, ma spesso nelle piccole masse non ve n’è uno formale.
Beni esclusi dalla liquidazioneQuelli non pignorabili per legge: cose di affetto personale, mobilio ed elettrodomestici essenziali, ricordi di famiglia, animali domestici, ecc. Redditi da lavoro entro i limiti di quanto serve al mantenimento del debitore e famiglia (la parte eccedente è pignorabile e difatti viene acquisita). Eventuali beni costituiti in fondo patrimoniale o trust, se i creditori non potevano aggredirli prima, restano esclusi (salvo atti in frode revocati).
Liquidazione dell’attivoIl Liquidatore predispone un programma di liquidazione (es. modalità di vendita dei beni) e, approvato dal giudice, procede a liquidare: vendite all’asta di immobili, vendite competitive di mobili registrati, cessione in blocco d’azienda (se applicabile), incasso crediti, pignoramento di stipendi/pensioni (quota cedibile), ecc. Egli può proseguire eventuali processi pendenti (cause attive del debitore) o iniziarne di nuovi per recuperare crediti o revocare pagamenti infruttuosi. Le somme via via raccolte vanno su un conto della procedura.
Ordine di distribuzioneIl Liquidatore paga prima le spese di procedura (compenso liquidatore, spese giudiziarie) in prededuzione. Quindi soddisfa i creditori secondo le cause di prelazione: creditori privilegiati (pignoratizi, ipotecari, privilegi speciali e generali) secondo il loro grado sui beni relativi; a seguire, con l’eventuale surplus, i creditori chirografari in percentuale proporzionale. Se l’attivo è insufficiente, alcuni privilegiati potrebbero essere pagati solo in parte e concorrere per il resto come chirografari. Il Liquidatore redige più piani di riparto se arrivano somme in tempi diversi. Al termine, presenta un rendiconto finale e un progetto di riparto finale.
DurataVariabile in base all’attivo. In media l’obiettivo è chiudere entro 3 anni le operazioni principali, ma può prolungarsi se vi sono contenziosi o beni invenduti. Decorso 4 anni dall’apertura, i beni sopravvenuti non si acquisiscono più (dunque, dopo 4 anni il debitore torna a poter trattenere eventuali nuovi redditi/beni futuri). La conclusione comunque arriva quando tutto il patrimonio liquidabile è stato gestito.
Chiusura della proceduraDisposta con decreto di chiusura dal tribunale, su istanza del Liquidatore o d’ufficio, quando: tutti i beni sono stati liquidati e ripartiti; oppure è stato distribuito l’attivo disponibile e non vi sono prospettive di recuperi ulteriori; oppure le passività sono state soddisfatte integralmente (caso raro). La chiusura segna il termine degli effetti di spossessamento. Se emergono poi nuovi beni entro 4 anni dall’apertura, la procedura può essere riaperta su istanza creditori (ma, come detto, dopo 4 anni eventuali sopravvenienze restano al debitore definitivamente).
Esdebitazione del debitoreSopravvenienza liberatoria dei debiti residui: dopo la chiusura, al debitore persona fisica è concessa di diritto l’esdebitazione, ossia la cancellazione di tutti i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti. Non serve domanda formale (contrariamente al vecchio fallimento, ora avviene automaticamente salvo opposizioni). Tuttavia, il beneficio può essere escluso dal giudice in alcuni casi: se il debitore ha violato i doveri di collaborazione o sottratto attivo durante la liquidazione, se ha ritardato dolosamente la procedura, se è stato condannato per bancarotta fraudolenta o altri reati concorsuali, o se ha già ottenuto esdebitazione in tempi recenti (ultimi 5 anni) o per due volte in totale. Inoltre, restano comunque esclusi dall’esdebitazione i debiti non liberabili per legge (alimenti, risarcimenti da illecito, sanzioni penali – v. supra). Al di fuori di queste eccezioni, il debitore esdebitato non deve più nulla ai creditori anteriori. La chiusura con esdebitazione rappresenta dunque il fresh start: il debitore torna economicamente attivo senza pregressi, pur avendo perso i suoi beni nella liquidazione.

Esdebitazione del debitore incapiente

Cos’è e a chi si applica. L’esdebitazione del sovraindebitato incapiente è una procedura speciale, introdotta dal Codice della Crisi (artt. 282-283 CCII), che consente al debitore persona fisica meritevole, il quale non abbia alcun patrimonio liquidabile né capacità di offrire utilità ai creditori, di ottenere comunque la cancellazione dei propri debiti (esdebitazione integrale) senza dover pagare nulla. Si tratta di una sorta di “procedura di sovraindebitamento a costo zero”, pensata come extrema ratio per i casi umani più gravi: chi è totalmente privo di beni e di redditi, ma si trova schiacciato da debiti pregressi, può chiedere al Tribunale di essere liberato da tali debiti per poter ripartire da zero nella sua vita. Questo strumento recepisce il principio del cosiddetto “fresh start” in forma pura: la società assorbe il costo della completa inesigibilità dei crediti, permettendo al debitore onesto e sfortunato di non restare indebitato a vita. Ovviamente è concesso una sola volta nella vita del debitore e a condizioni stringenti. La vecchia legge 3/2012 non prevedeva espressamente questa possibilità (nel 2020 fu introdotta una norma transitoria per l’esdebitazione del debitore incapiente solo per procedimenti chiusi, ma qui parliamo di procedura diretta). Con il CCII è stata normata quale procedura autonoma.

Requisiti e condizioni. Può accedere all’esdebitazione “a zero” il debitore che: (a) è una persona fisica (sono esclusi enti e società, i quali se non hanno attivo semplicemente si estinguono e i creditori rimangono insoddisfatti); (b) non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in futuro. Ciò significa che non possiede beni liquidabili, non ha redditi pignorabili, né prospetta entrate nei prossimi anni tali da consentire pagamenti significativi. Deve trattarsi di un caso di “incapienza” economica completa. (c) Deve essere comunque meritevole secondo i criteri generali: la situazione d’insolvenza non dev’essere frutto di dolo, frode o colpa grave del debitore. In pratica, vanno esclusi i furbi che dissipano il patrimonio per poi chiedere l’esdebitazione o che hanno contratto debiti con malafede. Serve invece che il sovraindebitamento sia dovuto a cause indipendenti dalla volontà o alla sfortunata congiuntura, e che il debitore abbia tenuto un comportamento onesto (ad esempio, non deve aver aggravato la propria posizione indebitandosi ulteriormente quando già era evidente l’incapienza). I medesimi sbarramenti delle altre procedure valgono: non si può ottenere se si è già avuta esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale. In più, non è disponibile per chi ha risorse, ovviamente. È davvero la procedura di chi non ha nulla da perdere, se non i debiti.

Procedura di richiesta e decisione. L’istanza di esdebitazione incapiente va presentata al Tribunale (lo stesso competente per le altre procedure) tramite ricorso, preferibilmente con l’ausilio di un OCC. Il debitore deve allegare: l’elenco di tutti i propri creditori e l’ammontare dei debiti; la dichiarazione di non possedere alcun patrimonio liquidabile (o di possedere beni/rendite di valore trascurabile); l’indicazione delle cause del sovraindebitamento e degli eventi che lo hanno condotto a non poter offrire nulla. L’OCC di norma redige una relazione per asseverare la veridicità di quanto affermato, specie sulla condizione di incapienza e meritevolezza. Vengono avvisati i creditori, i quali possono eventualmente comparire per contestare (ad esempio potrebbero sostenere che il debitore in realtà possiede beni occulti o che ha avuto comportamento fraudolento). Il Tribunale, verificata l’assenza di attivo e la sussistenza dei requisiti soggettivi, accoglie con decreto l’istanza di esdebitazione. Da quel momento, tutti i debiti chirografari del debitore sono cancellati (esdebitati) senza alcun pagamento. I crediti privilegiati (se esistono) tecnicamente non vengono soddisfatti, ma anch’essi rimangono inesigibili (il provvedimento non distingue: libera il soggetto da tutti i debiti concorsuali, privilegiati compresi). Praticamente, l’effetto è identico a quello di una esdebitazione post-liquidazione, ma qui ottenuto immediatamente e senza liquidare nulla. Il debitore ottiene la cancellazione di ogni obbligazione pregressa verso i creditori elencati. Si noti che restano ferme le esclusioni di legge: anche qui, eventuali debiti per alimenti, mantenimento, danni da illecito o sanzioni pecuniarie non sono soggetti a esdebitazione – se il debitore li ha, resteranno (fortunatamente, spesso chi rientra in queste situazioni drammatiche non ha nemmeno questo genere di debiti, ma potrebbe capitare con multe ad esempio). Il decreto di accoglimento viene comunicato ai creditori, i quali possono proporre reclamo se ritengono che la decisione sia stata presa su presupposti errati (ad es. scoprono che il debitore aveva nascosto un bene).

Obbligo quadriennale di pagamento sopravvenienze. A tutela dei creditori, la legge prevede una sorta di condizione risolutiva: se mai la situazione del debitore dovesse mutare significativamente in meglio entro i 4 anni successivi all’esdebitazione, allora i creditori avranno diritto a essere pagati almeno in parte. In particolare, il debitore esdebitato incapiente ha l’obbligo di pagare i creditori (riattivando i debiti originari) entro quattro anni dal decreto di esdebitazione, qualora sopravvengano utilità rilevanti che gli permettano di soddisfarli almeno al 10%. Questo significa: se entro 4 anni egli riceve, poniamo, un’eredità consistente o un grosso guadagno (tali da poter pagare almeno il 10% di quanto doveva), è tenuto a destinare quella somma ai vecchi creditori, fino almeno a coprire il 10% dei loro crediti (complessivamente) e comunque nei limiti del debito originario. Ove ciò accada, in pratica l’esdebitazione verrebbe “corretta” retroattivamente con un pagamento parziale tardivo. Se invece nei 4 anni non capita nessuna svolta economica, i creditori non potranno più pretendere nulla nemmeno in caso di arricchimento futuro (dopo i 4 anni, è definitivamente perdonato). Questa clausola serve per equità: evitare che qualcuno si liberi dei debiti e magari l’anno dopo vinca alla lotteria o ottenga un lavoro strapagato – in tal caso è giusto che i creditori abbiano almeno una fetta (non a caso la soglia è “≥10%”). Nella prassi, va detto, è assai raro che chi ricorre all’incapiente poi entro 4 anni diventi ricco: ma non impossibile, quindi la previsione è sensata. Il debitore esdebitato deve comunicare tempestivamente ai creditori (o al tribunale) eventuali sopravvenienze di rilievo in quel quadriennio; se omette dolosamente di farlo, rischia la revoca del beneficio e potenziali guai.

Vantaggi e limiti per il debitore. Per il debitore nullatenente, l’esdebitazione incapiente è una ancora di salvezza fondamentale: gli permette di spezzare le catene dei debiti senza dover attendere anni o senza dover passare per finte liquidazioni di ciò che non c’è. È una procedura molto rapida e snella: i tempi dipendono dal tribunale, ma trattandosi solo di verificare documenti e meritevolezza, può concludersi in pochi mesi con il decreto di esdebitazione. Il debitore non paga nulla ai creditori (se non poi quell’eventuale sorpresa entro 4 anni) ed esce pulito. Inoltre, rispetto al fallimento civile, evita lo stigma: qui non c’è neppure la dichiarazione di liquidazione, non c’è un curatore che bussa a casa – semplicemente un provvedimento del giudice che cancella i debiti. Per il debitore è quindi la soluzione ideale se davvero non ha nessun bene: perché diversamente dovrebbe subire pignoramenti infruttuosi magari per vent’anni con aggravio di spese. I limiti però sono evidenti: non tutti possono ottenere questo beneficio, anzi è riservato ai casi eccezionali. Bisogna convincere il giudice che non esiste proprio nessuna utilità ricavabile dal patrimonio o dal lavoro del debitore. Se per esempio il debitore ha un pur minimo attivo (una macchina, un piccolo risparmio, un reddito disponibile) probabilmente il giudice gli dirà di usarlo per un minimo concordato o una liquidazione; l’incapiente puro è colui che letteralmente non saprebbe con cosa pagare nemmeno l’OCC. A tal fine, spesso si richiede che il debito non derivi da colpa grave: ad esempio, uno scenario tipico considerato è quello di persone sovraindebitate per essersi prestate da garanti o per malattie, e rimaste senza lavoro e senza casa; oppure soggetti usciti dall’attività imprenditoriale con debiti e senza beni (magari ex soci illimitatamente responsabili, che chiusa la società si trovano con solo debiti personali). Una nota: l’esdebitazione dell’incapiente non cancella eventuali ipoteche sui beni del debitore, qualora vi fossero (in astratto: se il debitore ha una casa ipotecata, non sarebbe incapiente perché un bene c’è; ma se per assurdo uno avesse una casa senza valore commerciale gravata da ipoteca, quell’ipoteca resterebbe – è un caso limite). In generale, però, il debitore incapiente tipico non possiede immobili né altro. Un altro limite: il debitore perde la possibilità di accedere nuovamente a procedure simili per lungo tempo (minimo 5 anni, e comunque una sola volta nella vita), quindi è un jolly che si può giocare solo in casi disperati. Infine, l’esdebitazione incapiente non risolve eventuali debiti non esdebitabili (come alimenti, danni, multe).

Esempio pratico (Esdebitazione incapiente). Giuseppe ha 30 anni ed era coobbligato con suo fratello in un prestito bancario di €50.000 per avviare un’attività commerciale. L’attività è fallita e il fratello è irreperibile; la banca ha escusso Giuseppe, il quale però attualmente è disoccupato, vive in casa dei genitori, non possiede alcun bene (niente auto, niente immobili, conto in rosso) e campa con lavoretti saltuari. Ha anche un debito con l’Agenzia Entrate di €5.000 per una vecchia cartella non pagata. Totale debiti €55.000. Giuseppe non potrebbe offrire nulla in un piano – non ha reddito certo per un rateizzo, e non ha beni da liquidare in una eventuale procedura. Si rivolge all’OCC il quale attesta che Giuseppe è totalmente incapiente: zero redditi ufficiali, nessun patrimonio. Viene presentata istanza di esdebitazione dell’incapiente al Tribunale, indicando tutti i creditori (banca e Agenzia Entrate) e la causa del sovraindebitamento (ci si era indebitati per garantire l’attività del fratello, lui non ha colpa del fallimento dell’impresa). Il giudice verifica che Giuseppe non ha atti in frode (non ha alienato nulla, semplicemente non aveva nulla fin dall’inizio se non la propria forza lavoro) e che è meritevole. Nessun creditore si oppone (d’altronde la banca sa di non poter recuperare comunque nulla, l’Agenzia delle Entrate uguale). Accoglie quindi l’istanza: emette decreto di esdebitazione totale di Giuseppe. Di colpo, tutti i €55.000 di debiti verso banca e Erario sono cancellati. Giuseppe esce dall’aula libero: se in futuro troverà lavoro, il suo stipendio non sarà aggredibile per quei debiti passati (sarà come se non fossero mai esistiti). I creditori non possono più pretendere niente da lui. Dopo due anni, fortunatamente, Giuseppe trova un impiego stabile a €1.200 al mese: la sua situazione migliora, ma non abbastanza da raggiungere in quattro anni somme rilevanti. Tuttavia, immaginiamo che dopo 3 anni dalla esdebitazione, Giuseppe riceva un’eredità di un lontano parente: €20.000 netti. Questo evento è una “utilità sopravvenuta rilevante”. Essendo entro i 4 anni dal decreto, Giuseppe è obbligato per legge a usare quella somma per pagare i vecchi creditori nella misura almeno del 10%. Egli avvisa il Tribunale e i creditori dell’eredità e procede – con l’ausilio eventualmente di un OCC nominato ad hoc – a versare €5.500 ai creditori (coprendo così circa il 10% dei €55.000 originari, o più se vuole). Se non lo facesse, rischierebbe la revoca del beneficio. In questo modo, i creditori alla fine recuperano un piccolo importo, ma rimangono stralciati per la differenza. Terminati i quattro anni, Giuseppe non avrà più alcun vincolo: se poi guadagnerà di più o riceverà altri soldi, saranno suoi senza obblighi. In caso invece non fosse arrivata l’eredità, i creditori avrebbero ricevuto zero, accollandosi interamente le perdite. Questo esempio mostra l’utilità sociale dell’esdebitazione incapiente per ridare speranza a chi è incastrato in debiti non per sua colpa. Giuseppe, liberato dall’onere, è riuscito a ricostruirsi e addirittura a rimborsare parzialmente quando ne ha avuto la possibilità, tornando utile anche ai creditori.

Tabella riepilogativa – Esdebitazione del debitore incapiente

CaratteristicheEsdebitazione dell’incapiente (fresh start senza attivo)
Chi può chiederlaSolo persona fisica sovraindebitata che non abbia beni né redditi utilmente liquidabili (incapienza assoluta). Procedura personale, non per società o enti. Ammessa anche per ex imprenditori (persone fisiche) se i debiti sono riferibili all’attività cessata.
IniziativaDebitore tramite ricorso (preferibilmente con ausilio OCC per la relazione). Creditore non può chiederla (il creditore semmai chiederà liquidazione se vede beni; l’incapiente è per definizione un caso in cui i creditori non ricaverebbero nulla neanche liquidando).
RequisitiDebitore in stato di sovraindebitamento privo di patrimonio o di capacità di pagamento attuale e futura. Meritevolezza: assenza di dolo o colpa grave, nessun atto in frode. Non deve aver già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti né più di due volte in totale. (È di fatto one-shot nella vita).
ProcedimentoRicorso al Tribunale con elenco completo creditori e monti dovuti, e dichiarazione incapienza. Notifica ai creditori, che possono opporsi (ad es. contestando la sincerità del debitore o segnalando beni nascosti). Il Tribunale valuta documenti, relazione OCC e opposizioni in camera di consiglio (udienza informale). Se tutto regolare, emette decreto di accoglimento.
Effetti del decretoIl debitore è esdebitato, ovvero liberato da tutti i suoi debiti chirografari e privilegiati anteriori (fatte salve esclusioni di legge). I creditori non possono più iniziare o proseguire azioni di riscossione contro di lui per quei debiti. Si tratta di una esdebitazione immediata e integrale. NB: I debiti verso eventuali coobbligati/garanti restano a carico di questi ultimi (come sempre).
Debiti esclusiCome per le altre esdebitazioni: obblighi alimentari e di mantenimento, debiti da risarcimento di fatti illeciti extracontrattuali, sanzioni penali e amministrative pecuniarie non sono cancellati. Il debitore resta obbligato verso queste categorie (se presenti), anche dopo il decreto. (Tuttavia, spesso tali debiti non ricorrono o sono minoritari nei casi di incapienza totale).
Obbligo post-decretoSe entro 4 anni dall’esdebitazione il debitore beneficia di sopravvenienze attive rilevanti (acquisizione di beni o redditi nuovi) che gli consentirebbero di pagare i creditori in misura ≥10%, deve pagarli fino a concorrenza di tale importo. In pratica l’esdebitazione è condizionata: se la fortuna gira in breve tempo, i creditori hanno diritto a ricevere almeno il 10% dei loro crediti (o di più, fino all’integrale se la sopravvenienza basta). Il debitore deve segnalare le utilità sopravvenute e concordare le modalità di soddisfazione con OCC o giudice. Se omette dolosamente, rischia la revoca del beneficio. Passati i 4 anni, qualsiasi miglioramento economico ulteriore resta al debitore libero (i creditori non potranno pretendere nulla dopo tale termine).
Benefici per il debitoreCancellazione immediata dei debiti senza esborso. Nessuna procedura liquidatoria né perdita di beni (non avendone). Tempi rapidi e costi contenuti (va comunque pagato un OCC per la relazione, spesso a tariffa minima o tramite patrocinio se possibile). Consente di evitare l’”ergastolo dei debiti” a chi è economicamente ai margini. Il debitore può ripartire pulito e se dovesse in futuro avere redditi, non saranno aggredibili per quei vecchi debiti (salvo il vincolo 4 anni per parziale pagamento come visto).
Tutele per i creditoriI creditori subiscono l’annullamento dei propri crediti (perdite totali), ma: (a) evitano di inseguire inutilmente il debitore incapiente (risparmiando spese di esecuzioni infruttuose); (b) conservano una chance di recupero parziale se il debitore entro 4 anni “risorge” economicamente (grazie all’obbligo di versare eventuali utilità sopravvenute ≥10%). In più, la procedura seleziona solo debitori meritevoli, evitando di premiare chi ha nascosto beni (in tal caso il credito non sarebbe cancellato).
Frequenza ammessaConcessa una sola volta (una seconda esdebitazione incapiente è possibile solo dopo almeno 5 anni e comunque mai oltre due volte in totale in vita). È quindi un rimedio straordinario non reiterabile se non in casi eccezionali e lontani nel tempo.

Procedure familiari e casi particolari

Sovraindebitamento familiare e coobbligati. Il CCII prevede una disciplina ad hoc per le situazioni in cui più membri della stessa famiglia risultino sovraindebitati. In tali casi, è possibile presentare un’unica procedura familiare unitaria, con un unico OCC e un unico procedimento, per gestire congiuntamente la crisi. Ciò consente di ridurre costi e tempi, evitando duplicazioni. I requisiti per procedere unitariamente sono che i membri della famiglia siano conviventi oppure che il sovraindebitamento abbia origine comune (ad es. debiti contratti insieme o uno a garanzia dell’altro). Si considerano membri della famiglia, oltre al coniuge, i parenti fino al 4° grado, affini entro il 2° grado, le parti di unione civile e i conviventi di fatto. Esempio tipico: marito e moglie, entrambi indebitati (magari per firme congiunte su mutui o finanziamenti), presentano un unico piano o concordato familiare. Oppure padre e figlio che gestivano la medesima piccola impresa. Nella procedura familiare, i debiti di tutti i partecipanti sono trattati insieme, ma con alcune accortezze: se tutti i debitori sono consumatori, si potrà presentare un unico piano del consumatore familiare; se almeno uno non è consumatore (es. marito imprenditore e moglie consumatrice), l’intera procedura dovrà seguire le regole del concordato minore, essendo più complessa (principio dell’assorbimento nel tipo più strutturato). La proposta unitaria deve indicare come vengono soddisfatti i creditori di ciascun membro, ma può prevedere compensazioni interne: ad esempio, i beni di uno possono essere utilizzati per pagare debiti dell’altro, se ciò è nell’interesse comune e i creditori vengono trattati equamente. La giurisprudenza ha valutato positivamente questi piani congiunti, purché la meritevolezza sia riscontrata per tutti i familiari coinvolti. Un vantaggio notevole è che i creditori comuni (cioè che vantano crediti verso più di uno dei debitori) partecipano al procedimento una volta sola ed esprimono un unico voto (se concordato) per la loro intera posizione, evitando contraddizioni. La chiusura della procedura familiare produce l’esdebitazione simultanea di tutti i partecipanti. Ciò risolve anche la questione dei garanti in famiglia: ad esempio, se il marito era garante del debito della moglie, entrando entrambi nella procedura familiare e ottenendo l’esdebitazione, si estinguono sia il debito principale che la garanzia in un colpo solo. La procedura familiare, introdotta con il CCII, è un istituto molto utile nei contesti dove il sovraindebitamento coinvolge nuclei interi (caso frequente: indebitamento della famiglia per mutuo, finanziamenti cointestati, carte di credito di entrambi, ecc.). L’alternativa sarebbe stata fare due procedure separate con costi doppi e soluzioni scoordinate. Da notare che resta ferma la possibilità, comunque, di presentare procedure separate se ciò appare più conveniente: la scelta dipende dalla convenienza pratica. Ad esempio, se uno dei coniugi è consumatore e l’altro è imprenditore e le loro situazioni sono molto diverse, potrebbero preferire tenere distinte le procedure (uno fa il piano, l’altro il concordato). Ma nella maggior parte dei casi conviene unirle.

Coobbligati non familiari e fideiussori. Un tema collegato: cosa succede se un garante o un coobbligato non fa parte della procedura? Come visto più volte, l’esdebitazione produce effetti solo per il debitore ammesso, non per i coobbligati estranei. Ciò significa che, ad esempio, se Tizio e Caio sono entrambi debitori verso una banca e solo Tizio accede a una procedura di sovraindebitamento riducendo il debito al 50%, la banca potrà comunque rivalersi su Caio (coobbligato) per l’intero, ossia almeno per il restante 50%. Questo pone un problema di regresso: Caio pagante potrebbe poi rivalersi su Tizio esdebitato? No, perché Tizio è esdebitato, quindi Caio rimarrebbe insoddisfatto per la parte pagata in più. È quindi importante, quando c’è un garante, coinvolgerlo se possibile. Il CCII non offre una soluzione automatica per coobbligati non familiari. L’unica via è che anche il garante acceda a sua volta a una procedura (se ne ha i requisiti). Ad esempio, molte banche chiedono ai garanti (spesso genitori o parenti) di sottoscrivere anch’essi un piano del consumatore parallelo per la quota garantita, in modo da risolvere simultaneamente. In mancanza, purtroppo il garante potrebbe subire richieste. La Cassazione ha in passato considerato un garante che aveva firmato per un’impresa come “consumatore” ai fini della L.3/2012, consentendogli di fare un piano per liberarsi dalla garanzia. Quindi anche il garante può trovare tutela nella legge, ma deve attivarsi in proprio.

Debiti fiscali e previdenziali nei procedimenti di sovraindebitamento. I debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione, INPS, ecc.) meritano un’attenzione particolare, essendo spesso presenti e di importo rilevante. In tutte le procedure di sovraindebitamento tali crediti partecipano come gli altri, con alcune peculiarità: hanno natura privilegiata (per la parte di imposta che copre tributi e contributi non versati) e chirografaria per sanzioni e interessi. Tradizionalmente vi era il divieto di falcidiare l’IVA e le ritenute, ma la Corte Costituzionale lo ha eliminato nel 2019; oggi quindi anche l’IVA può essere inclusa in una proposta di pagamento parziale se la soluzione è più vantaggiosa del fallimento (come requisito). Nei piani del consumatore, i debiti fiscali non richiedono un voto (il Fisco non approva né rigetta formalmente, può solo eventualmente opporsi): il giudice li omologa se il trattamento è equo. Qui il vincolo è di convenienza comparativa: se il piano offre al Fisco almeno quanto questo otterrebbe pignorando i beni, il tribunale può omologare anche se l’ente è contrario. Nei concordati minori, invece, il Fisco vota: spesso vota “no” per policy, ma se il piano è sensato il giudice può forzarne l’approvazione col meccanismo del cram-down (voto contrario ingiustificato superato). Il Correttivo Ter 2024 ha reso un po’ più stringenti i requisiti per il cram-down fiscale, richiedendo in pratica che il debitore dimostri di aver trattato il Fisco in modo non deteriore rispetto agli altri e che l’ente non abbia una valida ragione di diniego. In sede di liquidazione controllata, i crediti fiscali e contributivi si comportano come nei fallimenti: vengono soddisfatti in parte come privilegiati (se c’è attivo) e il resto va a residuo chirografo. L’esdebitazione finale condona anche i debiti tributari rimasti, senza bisogno di ulteriori atti (dunque, sì, anche le cartelle esattoriali sono cancellate dall’esdebitazione, tranne eventuali multe penali). Ciò rappresenta un grandissimo sollievo per i debitori: pensiamo a chi ha centinaia di migliaia di euro di debiti fiscali da cartelle – con la legge sovraindebitamento può ridurli o addirittura azzerarli (se meritevole e insolvente), mentre altrimenti li avrebbe sul groppone vita natural durante (le cartelle si prescrivono, ma con termini lunghi e tra proroghe e sospensioni spesso diventano eterne). Uno scenario pratico: un consumatore con debiti Equitalia per €100.000 può proporre di pagarne ad esempio €20.000 e chiedere lo stralcio dell’80%; se dimostra che altrimenti l’ADER incasserebbe ancora meno, il giudice può omologare, e l’Agenzia delle Entrate Riscossione dovrà accontentarsi. Oppure un piccolo imprenditore con debiti INPS può mettere in concordato minore il taglio delle sanzioni e pagare solo i contributi base. È da sottolineare comunque che gli enti pubblici hanno atteggiamento spesso rigoroso: preferiscono incassare il più possibile e talvolta votano no a prescindere per politica. Ma la legge ora tutela i debitori dal potere di veto ingiustificato. Nella pratica, è consigliabile per il debitore coinvolgere sin dall’inizio l’ente pubblico in una sorta di “transazione fiscale”: la normativa consente, nell’ambito della composizione della crisi, di proporre un accordo al Fisco su importi e dilazioni. Alcuni OCC redigono proprio una proposta formale all’ente prima di depositare il piano, cercando di ottenere un assenso esplicito (ciò può facilitare l’omologa). Se l’ente accetta la transazione, allora il piano verrà certamente omologato con quel contenuto. Se rifiuta, il debitore potrà comunque andare avanti confidando nel cram-down se ne ha i requisiti. Con le modifiche del 2023-2024, la transazione fiscale è diventata parte integrante di molti concordati e accordi di ristrutturazione (anche in ambito fallimentare), e si applica anche al sovraindebitamento minore: il D.Lgs. 136/2024 prevede che si possano inserire nelle proposte di concordato minore clausole di pagamento parziale di tributi e contributi che, se approvate dal giudice, valgono come transazione fiscale omologata. In conclusione, i debiti fiscali e contributivi non sono più un ostacolo insormontabile nelle procedure di sovraindebitamento: possono essere falcidiati e dilazionati, persino azzerati se la situazione lo giustifica, a patto di rispettare criteri di equità (pagare almeno quanto il valore di liquidazione dei beni) e di procedere in buona fede.

Ipoteca sulla prima casa e strumenti “salva casa”. Abbiamo trattato diffusamente come il piano del consumatore possa essere usato per evitare la perdita della prima casa attraverso rinegoziazioni del mutuo e offerte ai creditori ipotecari (vedi sopra). Oltre a ciò, ricordiamo che il legislatore ha creato un meccanismo parallelo specifico: il “Fondo Salva Casa” (art. 41-bis D.L. 124/2019 conv. in L. 157/2019). Questo strumento consente al debitore consumatore esecutato sulla casa di abitazione (in procedure dal 2010 al 2019) di chiedere al giudice dell’esecuzione una sospensione dell’asta e contestualmente di ottenere o una rinegoziazione del mutuo esistente con la stessa banca, oppure un nuovo finanziamento da altra banca (anche intestato a un familiare fino al terzo grado) garantito dallo Stato tramite il Fondo Prima Casa, per un importo pari almeno al 75% del valore d’asta dell’immobile. In pratica, è come permettere al debitore di “ricomprare” la propria casa all’asta con un mutuo agevolato, mantenendone il possesso. Se il finanziamento lo ottiene un familiare, la legge prevede che il debitore e la sua famiglia possano continuare ad abitare l’immobile per 5 anni e che entro tale termine il debitore abbia un diritto di riacquisto restituendo quanto pagato dal familiare. Questo complesso congegno va oltre le procedure concorsuali ed è gestito nel processo esecutivo stesso. È complementare al sovraindebitamento: spesso chi accede al salva-casa contestualmente presenta un piano del consumatore per gli altri debiti. I requisiti, come visto, sono stringenti (mutuo ≤ €250k, 10% del capitale già pagato, nessun altro creditore ipotecario, ecc.) e l’istanza doveva essere presentata entro dicembre 2021 salvo proroghe (termine scaduto, a meno di rinnovi normativi). In sintesi: il “Decreto Salva Casa” è stato un intervento una tantum per arginare la crisi sociale delle esecuzioni immobiliari su prime case, e ha funzionato in alcuni casi, ma ora il grosso della protezione è affidato alle normali procedure concorsuali del sovraindebitamento. Per il debitore, comunque, resta fondamentale sapere che l’ordinamento offre strumenti per non perdere la casa: se si attiva in tempo, tramite il piano del consumatore o la negoziazione con banca (anche sfruttando i fondi di garanzia statali), può spesso evitare lo scenario peggiore. Diversamente, se non fa nulla, la casa sarà pignorata e venduta e lui rimarrà comunque con debiti residui.

Giurisprudenza recente di merito. I Tribunali italiani, specie dopo l’entrata in vigore del CCII (luglio 2022), hanno prodotto numerose decisioni che chiariscono l’applicazione delle nuove norme. Eccone alcune rilevanti:

  • Tribunale di Milano, 1° giugno 2023: ha affermato che, omologato un piano di ristrutturazione del consumatore, il giudice dell’esecuzione deve dichiarare improcedibile il pignoramento immobiliare pendente sulla casa (non ha senso proseguire l’asta perché il debito è rimodulato dal piano). Ciò conferma la forte efficacia protettiva del piano omologato verso le esecuzioni.
  • Tribunale di Torino, 5 novembre 2021: in epoca L.3/2012, ma con principi utili tuttora, ha rigettato un piano del consumatore che prevedeva una falcidia eccessiva di un creditore ipotecario senza rispettare le condizioni di legge (violando l’allora art. 8 co.1-ter L.3). Ha ribadito che non si può ridurre il credito ipotecario se l’ipoteca è di primo grado e c’è capienza nel valore dell’immobile, salvo consenso del creditore. Questo orientamento è recepito nel CCII che richiede il rispetto del valore di realizzo per eventuali tagli ai privilegi.
  • Tribunale di Napoli, 5 maggio 2025: oltre al caso già citato di omologa di piano con debiti misti, la stessa sezione ha più volte sottolineato come la valutazione di meritevolezza vada fatta guardando all’intera condotta del debitore. In un caso del 2023, ha ritenuto meritevole un consumatore che aveva accumulato debiti anche per finanziamenti a terzi di cui era garante, distinguendo la sua posizione da quella di chi si indebita per spese voluttuarie. Questo filone giurisprudenziale campano tende ad un’interpretazione estensiva dell’accesso, privilegiando il favor debitoris sancito dal CCII.
  • Corte d’Appello di Venezia, decreto 10 ottobre 2024: come visto, ha negato l’omologa di un concordato minore evidenziando il concetto di abuso dello strumento concorsuale quando viene usato solo per tagliare il debito fiscale senza un reale piano di rilancio. Questo precedente funge da monito: il debitore non deve presentare proposte “spregiudicate” confidando ciecamente nel cram-down, ma deve impostare piani corretti e proporzionati.
  • Tribunale di Bologna, decreto 23 gennaio 2022: ha omologato un piano del consumatore salva-casa (pagamento parziale di ipoteca e arresto dell’asta) come esempio virtuoso di applicazione della L.3/2012. Questa pronuncia è spesso citata come modello per piani consumer in continuità.
  • Tribunale di Milano, decreto 15 ottobre 2024: ha adottato un Protocollo operativo sulle liquidazioni controllate e esdebitazioni, offrendo linee guida uniformi (ad esempio sui criteri di nomina dei gestori e liquidatori, sull’accesso di diritto del debitore incapiente alla procedura anche se la sua insolvenza deriva da circostanze eccezionali come il Covid, ecc.). Milano e altri tribunali maggiori tendono a pubblicare linee guida per rendere più prevedibile e veloce la trattazione di queste procedure.

In generale, la Cassazione ha finora prodotto relativamente poche sentenze sul nuovo CCII in materia di sovraindebitamento, poiché è recente. Ha però ereditato il portato interpretativo della legge 3/2012. Tra le pronunce significative:

  • Cass. civ. sez. I, 26 luglio 2023 n. 22699: ha stabilito che un debitore persona fisica i cui debiti sono in parte professionali e in parte consumeristici non può accedere al piano del consumatore, dovendo piuttosto ricorrere al concordato minore. Ciò ha creato dibattito (come visto, alcune corti di merito hanno poi esteso ai misti la procedura consumer), ma resta un principio di diritto da tener presente.
  • Cass. civ. 6 febbraio 2020 n. 2748: (già citata come n. 742/2020 altrove) ha riconosciuto che il fideiussore persona fisica di un debito altrui può considerarsi consumatore se la garanzia prestata era a scopi estranei all’attività imprenditoriale propria. Ciò ha aperto le porte ai garanti non professionali per l’accesso al piano consumatore.
  • Cass. civ. 17 luglio 2020 n. 17391: ha ribadito il limite di un anno per pagamento dei creditori privilegiati nei piani, salvo consenso, come già indicato (richiamata anche da Cass. 2019 n. 27544 e n. 17834). Questi orientamenti restano validi: le dilazioni ultra annuali a creditori prelatizi necessitano di accordo esplicito o tacito del creditore.
  • Cass. civ. SS.UU. 15 novembre 2016 n. 24214: (sotto vigenza L.3) ha definito la natura non decisoria del decreto di omologazione, chiarendo i mezzi di ricorso (reclamo anziché appello) e altri aspetti procedurali che poi il CCII ha normato.

Conclusioni. Decidere quando chiedere il sovraindebitamento significa per il debitore valutare la propria situazione e scegliere lo strumento più adatto e il momento opportuno: il momento giusto è il prima possibile, non appena appare chiaro che i debiti non sono più sostenibili con le normali risorse. Attendere peggiora solo la posizione (interessi che maturano, azioni esecutive che spuntano). La legge oggi offre un ventaglio completo di possibilità: dal piano per chi può pagare qualcosa e vuol conservare beni, al concordato per i piccoli imprenditori che vogliono salvare l’attività, alla liquidazione per chi deve azzerare e ripartire liquidando il possibile, fino all’esdebitazione diretta per chi proprio non ha nulla. Dal punto di vista del debitore, ogni procedura ha le sue condizioni ma tutte portano allo stesso traguardo: la liberazione dai debiti pregressi e la chance di ricominciare senza quel fardello. Un avvocato che assiste un sovraindebitato dovrà analizzare con cura la composizione dei debiti (tipologia, importi, presenza di garanzie), la presenza di eventuali beni da proteggere (prima casa? automezzi indispensabili?), il reddito attuale e prospettico, e la storia del debitore (per valutare la meritevolezza e anche per scegliere il tribunale più adatto se vi fosse alternativa di competenza). Ad esempio, se un debitore ha prevalentemente debiti verso il Fisco e vuole continuare l’attività, il concordato minore può essere la strada, ma dovrà impostarlo in modo da convincere il giudice sulla correttezza del trattamento del Fisco (vista la severità di alcune corti su questo punto). Se un consumatore indebitato vuole salvare la casa dall’asta, dovrà con l’aiuto dell’OCC predisporre un piano robusto magari coinvolgendo il Fondo Salva Casa per ottenere un nuovo mutuo. Se un debitore nullatenente è oppresso da crediti non pagabili (es. ex imprenditore con valanga di debiti commerciali ma ora senza nulla), l’avvocato potrà consigliargli l’esdebitazione incapiente – a patto che il cliente comprenda che è un “colpo solo” e che per i prossimi 4 anni se per caso eredita qualcosa dovrà condividerlo. In ogni caso, grazie al Codice della Crisi aggiornato, il ventaglio di soluzioni è completo e aggiornato (compresi i correttivi fino al 2024) e la giurisprudenza si dimostra in larga misura allineata al favor debitoris auspicato dal legislatore. Dunque, rivolgersi al procedimento di sovraindebitamento conviene e funziona: i dati mostrano percentuali elevate di omologazioni positive quando i piani sono ben confezionati. Il messaggio finale per il debitore – sia esso un privato cittadino, un piccolo imprenditore o un professionista – è che non esiste più il debito a vita senza via d’uscita: oggi la legge, se agita correttamente, offre sempre un percorso per uscire dalla crisi debitoria, basta chiederlo al momento giusto e con gli strumenti idonei.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (artt. 65-83 sovraindebitamento) – come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 e dal D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136.
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (disciplina originaria del sovraindebitamento, integrata nel CCII).
  • D.L. 124/2019 conv. L. 157/2019, art. 41-bis – “Fondo Salva Casa” (rinegoziazione mutuo prima casa in esecuzione).
  • Corte Costituzionale n. 245/2019 – Illegittimità dell’art. 7 L.3/2012 nella parte in cui escludeva la falcidia dell’IVA (ora ammessa).
  • Cass. civ. sez. I, 26 luglio 2023 n. 22699Debiti “promiscui” (parte consumer, parte impresa) ⇒ accesso al concordato minore, non al piano del consumatore.
  • Cass. civ. sez. I, 6 febbraio 2020 n. 2748 (2749)Fideiussore persona fisica può essere qualificato consumatore se estraneo ad attività d’impresa (legittimato al piano del consumatore).
  • Cass. civ. sez. I, 17 luglio 2020 n. 17391 (e Cass. 27544/2019, 17834/2019) – Nei piani L.3/2012 i creditori privilegiati non possono essere pagati oltre 1 anno dall’omologa senza consenso; consenso tacito se mancata opposizione.
  • Tribunale di Bologna, decreto 23 gennaio 2022Omologa piano del consumatore con pagamento parziale creditore ipotecario e conservazione prima casa (falcidia consentita se pagamento ≥ valore realizzo).
  • Tribunale di Torino, decreto 23 aprile 2025Esdebitazione del debitore incapiente accordata nonostante ingenti debiti fiscali, valutata meritevolezza complessiva.
  • Corte d’Appello di Venezia, decreto 10 ottobre 2024Diniego di omologa concordato minore per uso abusivo dello strumento; cram-down fiscale solo se rifiuto Erario è ingiustificato.
  • Tribunale di Napoli, decreto 5 maggio 2025Omologa piano di ristrutturazione del consumatore con debiti misti (parte consumer, parte impresa) in procedura familiare; ammissibilità confermata post Correttivo Ter.
  • Tribunale di Milano, sentenza 1° giugno 2023Improcedibilità dell’esecuzione immobiliare dopo omologa di piano di ristrutturazione (precedenza agli effetti del piano).
  • Tribunale di Milano, decreto 15 ottobre 2024 (Protocollo)Linee guida su accesso a liquidazione controllata ed esdebitazione incapiente; coordinamento prassi tribunale.
  • Tribunale di Rimini, decreto 27 ottobre 2021Piano del consumatore: ok mantenimento abitazione con pagamento integrale ipoteca 1° grado e parziale 2° grado (84 rate), garantendo a ipoteca 2° grado almeno valore di realizzo.
  • Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, decreto 2 novembre 2021È ammessa dilazione pagamento creditore ipotecario oltre l’anno dall’omologa se c’è accordo del creditore (anche implicito); moratoria ultra annuale possibile.
  • Tribunale di Torino, decreto 5 novembre 2021Rigetto piano consumatore che falcidiava creditore ipotecario 1° grado senza rispettare condizioni di legge; conferma limiti art. 8 L.3.

Sei sommerso dai debiti? Fatti aiutare da Studio Monardo

Se non riesci più a pagare rate, cartelle o fornitori, la legge ti offre una via d’uscita legale e sostenibile.
Fatti aiutare da Studio Monardo.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua situazione debitoria e verifica se rientri nei casi previsti dalla normativa
📑 Ti consiglia quale procedura attivare: piano del consumatore, liquidazione controllata o concordato minore
⚖️ Predispone tutta la documentazione necessaria per accedere alla procedura
✍️ Ti assiste nei rapporti con creditori, Agenzia delle Entrate, banche e finanziarie
🔁 Ti segue fino alla chiusura della procedura e all’ottenimento dell’esdebitazione

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi da sovraindebitamento e diritto bancario
✔️ Difensore accreditato presso gli Organismi di Composizione della Crisi
✔️ Consulente per famiglie, lavoratori autonomi e piccole imprese
✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia

Conclusione

Il sovraindebitamento conviene quando non riesci più a sostenere i tuoi debiti con mezzi ordinari.
Con l’assistenza giusta puoi bloccare azioni legali, tutelare i tuoi beni e ripartire da zero.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo:

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!