Ti senti schiacciato dai debiti e non riesci più a far fronte alle scadenze? Ogni mese devi scegliere cosa pagare prima, mentre interessi, sanzioni e solleciti continuano ad accumularsi? In queste situazioni, la procedura di sovraindebitamento può diventare l’unica via d’uscita concreta e legale.
Ma quando è davvero il momento di chiedere il sovraindebitamento? Cosa deve succedere perché convenga attivarlo? È una scelta che si può fare anche prima del pignoramento?
La risposta è semplice: prima lo chiedi, meglio è. Non serve arrivare al punto di non ritorno. Il sovraindebitamento è pensato proprio per chi vuole agire per tempo, evitando il blocco dei conti, i pignoramenti o, peggio, la perdita della casa o della propria serenità.
Dovresti valutare questa procedura se:
- Hai più debiti di quanti riesci a gestire, anche solo con rate o mini-pagamenti;
- Non riesci più a pagare mutui, prestiti, cartelle, affitti o fornitori, nonostante i tentativi di recupero;
- I creditori stanno minacciando o già attivando azioni legali nei tuoi confronti;
- Le tue entrate sono stabili, ma non sufficienti a coprire tutto.
Il sovraindebitamento non è una sconfitta. È una scelta responsabile, che ti permette di bloccare le azioni in corso, ristrutturare il tuo debito in modo sostenibile e, nei casi previsti dalla legge, ottenere la cancellazione del debito residuo attraverso l’esdebitazione.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in procedure di sovraindebitamento, tutela del patrimonio e difesa legale del debitore – ti spiega quando è il momento giusto per chiedere il sovraindebitamento, quali segnali non vanno ignorati e come possiamo aiutarti a riprendere il controllo della tua vita economica.
Hai la sensazione che la situazione stia sfuggendo di mano? Non vuoi arrivare al punto in cui sarà troppo tardi per salvarti dai debiti?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo la tua situazione, verificheremo se hai i requisiti per accedere a una procedura di sovraindebitamento e ti guideremo in ogni passo, fino alla soluzione più sicura e sostenibile per te.
Introduzione
Il sovraindebitamento è la condizione in cui una persona (fisica o piccola impresa) non riesce più a far fronte ai propri debiti con il patrimonio o il reddito disponibile. In Italia, con la cosiddetta “Legge Salva Suicidi” (Legge 3/2012), sono state introdotte procedure speciali per aiutare chi – pur non soggetto alle ordinarie procedure fallimentari – si trova schiacciato dai debiti. Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 e successivamente modificato (anche dal D.Lgs. 83/2022 in attuazione della direttiva UE 2019/1023), che ha abrogato la Legge 3/2012 e riordinato tutta la disciplina delle crisi, incluse quelle da sovraindebitamento. Questo corpus normativo aggiornato – integrato dalle riforme del 2022/2023 (c.d. Riforma Cartabia in materia civile) – assicura anche ai soggetti non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, ex imprenditori, ecc.) la possibilità di ristrutturare o estinguere i debiti attraverso percorsi legali controllati, finalizzati alla liberazione definitiva (esdebitazione) dai debiti non onorabili.
Quando conviene chiedere il sovraindebitamento? In questa guida avanzata – aggiornata a giugno 2025 – esamineremo in quali casi e con quali modalità attivare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Struttura della guida: nei capitoli seguenti delineeremo l’ambito di applicazione e i riferimenti normativi aggiornati, quindi approfondiremo ciascun caso tipico di sovraindebitamento (consumatore, imprenditore minore, ex imprenditore). Verranno spiegate le procedure disponibili – Piano del consumatore, Concordato minore, Liquidazione controllata, ed Esdebitazione dell’incapiente – evidenziandone requisiti, fasi, tempistiche ed effetti pratici. Tabelle riepilogative aiuteranno a sintetizzare i punti chiave, seguite da una sezione FAQ con le risposte alle domande più frequenti. Infine, saranno proposte simulazioni pratiche (casi reali esemplificativi con numeri e soluzioni) e una sezione finale con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, per un approfondimento ulteriore.
Ambito di applicazione e quadro normativo
Prima di entrare nei dettagli, è fondamentale chiarire chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento e quando conviene farlo. La legge definisce il sovraindebitamento come “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà ad adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” (art. 2, comma 1, lett. c) D.Lgs. 14/2019). Si tratta quindi di una condizione oggettiva e non transitoria di insolvenza o grave difficoltà economica del debitore non assoggettabile a fallimento. Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento offrono a tali debitori una soluzione ordinata per gestire i debiti e ottenere, al termine, un “fresh start”, ossia la completa liberazione dai debiti pregressi.
Soggetti ammessi e casi esclusi
Le procedure in esame sono riservate ai debitori non fallibili, cioè coloro che per legge non possono essere sottoposti a fallimento o liquidazione giudiziale. Vi rientrano in particolare:
- Consumatori – persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa o professionale (debiti personali, familiari, di consumo). Esempio: privati con mutui, finanziamenti o bollette arretrate non pagabili con i propri redditi.
- Piccoli imprenditori commerciali – imprenditori individuali o società di persone sotto le soglie di fallibilità previste dall’art. 2 CCII. In pratica, chi nei 3 esercizi precedenti la domanda non ha superato contemporaneamente debiti per oltre 500.000 €, ricavi lordi annui oltre 200.000 € e attivo patrimoniale oltre 300.000 €. Questi soggetti (artigiani, commercianti di piccole dimensioni, ecc.) non possono essere dichiarati falliti e rientrano quindi nel sovraindebitamento.
- Imprenditori agricoli – per legge sempre esclusi dal fallimento (art. 1 Legge Fallimentare), indipendentemente dalle dimensioni. Anche l’azienda agricola indebitata può dunque accedere alle procedure di sovraindebitamento, pur continuando eventualmente l’attività sul fondo agricolo.
- Lavoratori autonomi e professionisti – soggetti con partita IVA (es. artigiani, commercianti, consulenti, medici, avvocati) che hanno debiti legati alla propria attività professionale. Non essendo “imprenditori commerciali” in senso stretto, né consumatori (i debiti sono contratti nell’attività), possono accedere come “soggetti non fallibili” alle procedure (tipicamente al concordato minore o liquidazione).
- Start-up innovative – particolari imprese emergenti che, per previsione di legge speciale, non sono soggette a fallimento. Anch’esse rientrano tra i soggetti ammessi e possono accedere al concordato minore o al piano, anche se ancora in attività.
- Enti non profit del Terzo Settore – associazioni, fondazioni e altri enti non commerciali indebitati, privi di scopo di lucro, possono accedere alle procedure (ad es. liquidazione controllata o un piano di ristrutturazione) purché abbiano un sovraindebitamento accertato e non svolgano attività d’impresa in via prevalente.
- Ex imprenditori (imprese cessate) – persone fisiche che in passato svolgevano attività d’impresa e hanno ancora debiti derivanti da essa, a patto che l’attività sia cessata e l’impresa cancellata dal Registro Imprese. Come vedremo, dopo la cessazione l’ex imprenditore individuale diventa un debitore “non fallibile” (trascorso un certo periodo) e può avvalersi di queste procedure.
Sono invece esclusi dall’ambito del sovraindebitamento i debitori assoggettabili a fallimento o altre procedure concorsuali ordinarie. In particolare, le società di capitali e le società di persone di dimensioni medio-grandi (sopra le soglie di cui sopra) devono ricorrere alle procedure ordinarie (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, ecc.) e non possono accedere al sovraindebitamento. Ad esempio, una S.r.l. con debiti oltre 500.000 € o una S.n.c. con attivo rilevante dovranno attivare la liquidazione giudiziale ex art. 121 CCII (nuova denominazione del fallimento) e non potranno beneficiare delle procedure “minori”. Restano inoltre esclusi i debitori che hanno già pendente una procedura concorsuale (es. un fallimento in corso) o coloro che hanno compiuto atti in frode ai creditori (ad esempio, sottrazione o occultamento di beni prima della domanda).
Di seguito una tabella riepilogativa dei soggetti ammessi al sovraindebitamento e della procedura prevalente per ciascuno, con note sui requisiti chiave:
Tabella 1 – Soggetti ammessi alle procedure di sovraindebitamento (agg. 2025)
Soggetto debitore | Accesso consentito? | Procedura consigliata | Note / Requisiti principali |
---|---|---|---|
Consumatore (persona fisica non impr.) | ✅ Sì | Piano del consumatore (o Liquidazione, se necessario) | Debiti di natura personale (no debiti d’impresa o professione). Stato di sovraindebitamento accertato. Necessaria meritevolezza (assenza di frode o malafede). |
Disoccupato senza reddito (incapiente) | ✅ Sì | Esdebitazione dell’incapiente | Nessun reddito e nessun patrimonio liquidabile. Situazione di povertà conclamata. Richiesto comportamento leale e collaborativo. |
Pensionato indebitato | ✅ Sì | Piano del consumatore | Debiti di consumo (es. finanziarie). Pensione (anche minima) atta a proporre un piano di rientro, oppure totale incapienza con accesso all’esdebitazione speciale. |
Lavoratore autonomo / Artigiano | ✅ Sì | Concordato minore | Partita IVA attiva o cessata. Debiti misti personali/professionali. Se anche debiti personali, possibile un piano misto (ma occorre separare le posizioni). |
Professionista (avvocato, medico, ecc.) | ✅ Sì | Concordato minore (o Piano, se ha anche debiti personali) | Non soggetto a fallimento. Va distinta la posizione personale da quella dell’attività. Necessaria la valutazione di meritevolezza per l’esdebitazione finale. |
Ditta individuale sotto-soglia | ✅ Sì | Concordato minore o Liquidazione | Impresa piccola (non supera le soglie di cui art. 2 CCII). Può presentare un piano ristrutturazione (se ha reddito) o cedere tutti i beni in liquidazione. |
Ex imprenditore individuale cancellato | ✅ Sì | Qualsiasi procedura (Piano, Concordato minore o Liquidazione) | Deve risultare cessata l’attività e avvenuta la cancellazione dal Registro Imprese. Possibile accedere anche se i debiti residui sono di natura “d’impresa”. (Vedi però infra condizioni particolari sull’anno di cessazione). |
Impresa agricola | ✅ Sì | Concordato minore o Liquidazione | Sempre esclusa dal fallimento ex lege. Ammissibile alle procedure di sovraindebitamento anche se l’azienda agricola è attiva, eventualmente con beni rurali inclusi. |
Start-up innovativa | ✅ Sì | Concordato minore (o Piano) | Per legge non fallibile (nessuna procedura concorsuale ordinaria applicabile). Può accedere al concordato minore anche in costanza di attività, presentando un piano di ristrutturazione sostenibile. |
Ente del Terzo Settore (no profit) | ✅ Sì | Liquidazione controllata (o Piano se fattibile) | Non fallibile. Deve dimostrare lo stato di sovraindebitamento. Ammessa solo se l’attività commerciale non è prevalente rispetto alle finalità istituzionali. |
Società di capitali o coop. fallibile | ❌ No | Nessuna (fallimento ordinario) | Se supera le soglie dimensionali o rientra tra i soggetti di cui all’art. 121 CCII, deve ricorrere a liquidazione giudiziale (ex fallimento). |
Società di persone fallibile (es. S.n.c.) | ❌ In genere no | Nessuna (fallimento ordinario) | Le società di persone sono fallibili senza soglie (salvo siano “piccole imprese” di fatto). Se la società è cessata da molti anni e non attaccabile con fallimento, i soci potrebbero valutare un percorso da sovraindebitamento a titolo personale, ma si tratta di casi limite. |
Come si vede, la platea dei potenziali beneficiari è ampia. In generale, chiunque sia in grave difficoltà economica e non possa essere dichiarato fallito (o perché persona fisica, o perché impresa sotto-soglia/particolare) può chiedere l’ammissione al sovraindebitamento. Ci sono però alcune condizioni temporali e di condotta da rispettare: ad esempio, il debitore non deve avere già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, né più di due volte in totale (limite sul “beneficio” per evitare abusi). Inoltre, se si tratta di un ex imprenditore, è necessario che l’attività sia effettivamente terminata: per gli imprenditori registrati, la cessazione coincide con la cancellazione dal Registro delle Imprese (data che segna l’inizio del periodo dopo il quale non è più possibile una procedura fallimentare). La legge prevede infatti (art. 33 CCII) che oltre un anno dalla cessazione non possa più essere dichiarato un fallimento o concordato preventivo a carico dell’ex imprenditore; decorso tale anno di “osservazione”, egli rientra pienamente tra i soggetti sovraindebitati ammessi. Attenzione: entro l’anno dalla cessazione, un creditore potrebbe ancora chiedere il fallimento “tardivo” dell’impresa cessata; pertanto un ex imprenditore di notevoli dimensioni deve valutare con cautela l’accesso al sovraindebitamento se non è trascorso almeno un anno dalla fine attività.
Dal punto di vista normativo, le procedure di sovraindebitamento sono disciplinate principalmente dal Titolo IV del Codice della Crisi (artt. 65-91 D.Lgs. 14/2019). Ulteriori norme rilevanti si trovano nelle disposizioni generali del Codice (definizioni all’art. 2, criteri di meritevolezza e accesso al beneficio dell’esdebitazione agli artt. 279-283, ecc.), nonché nei regolamenti attuativi (es. D.M. 202/2014 sui requisiti e compensi degli OCC). La riforma “Cartabia” della giustizia (D.Lgs. 149/2022) ha inciso su alcuni aspetti procedurali – ad esempio prevedendo forme di reclamo contro i provvedimenti di inammissibilità e semplificando la gestione telematica dei ricorsi – mentre la Legge di Bilancio 2025 (L. 30 dicembre 2024 n. 197) ha introdotto un importante strumento di sostegno: il Fondo per l’esdebitazione degli incapienti, con una dotazione iniziale di 500.000 € per il 2025, destinato a coprire le spese procedurali per i debitori totalmente nullatenenti. Nel prosieguo, esamineremo le singole procedure ora previste dal Codice della Crisi, collegandole ai casi tipici dei debitori (consumatore, piccolo imprenditore, ex imprenditore) e alle problematiche pratiche che più di frequente emergono.
Sovraindebitamento del consumatore
Il consumatore sovraindebitato è la persona fisica che ha accumulato debiti per scopi estranei ad un’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In altre parole, rientrano in questa categoria i debitori civili “privati”: ad esempio chi ha contratto prestiti personali, mutui per la casa, finanziamenti per acquisti familiari, bollette o canoni non pagati, garanzie prestate a terzi in ambito familiare, ecc., e si trova nell’impossibilità di adempiere regolarmente. Si tratta forse del caso più comune nella pratica: famiglie in difficoltà economica, pensionati indebitati, lavoratori dipendenti che hanno subito una perdita di reddito e non riescono più a sostenere le rate, ecc. Per questi soggetti la legge ha previsto una procedura dedicata e semplificata, incentrata sulla figura del debitore-consumatore e sulle sue esigenze di tutela.
La procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)
Lo strumento principale per il consumatore sovraindebitato è il “piano del consumatore”, oggi denominato ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII). È una procedura riservata esclusivamente alle persone fisiche non imprenditrici, e consiste nella presentazione al Tribunale di un piano di rientro dai debiti sostenibile, che non richiede l’accordo dei creditori per essere approvato.
- Requisiti di ammissibilità: il debitore dev’essere un consumatore in stato di sovraindebitamento, con debiti di natura non imprenditoriale. È richiesto inoltre che sia “meritevole”, cioè che non abbia causato la propria insolvenza con comportamenti gravemente irresponsabili, fraudolenti o in mala fede. In particolare, non deve aver commesso frodi ai creditori (ad esempio distratto o nascosto beni prima della procedura) né violato il principio di correttezza (es. accumulando volutamente debiti senza prospettiva di pagamento). Questa valutazione di meritevolezza sarà fatta dal Giudice prima dell’omologa del piano (vedi oltre). Infine, il consumatore deve fornire tutta la documentazione necessaria a ricostruire la sua situazione economica e debitoria e deve collaborare con l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e il gestore nominato, con trasparenza e buona fede.
- Contenuto del piano: il piano del consumatore è essenzialmente una proposta di ristrutturazione dei debiti formulata dallo stesso debitore, con l’ausilio del gestore della crisi nominato dall’OCC. Può prevedere le più varie soluzioni, ad esempio:
- la dilazione dei pagamenti (rateizzazione nel tempo di tutte o parte delle esposizioni);
- la ristrutturazione degli importi dovuti (riduzione parziale del debito, stralcio di interessi o sanzioni);
- la sospensione temporanea delle azioni di recupero e degli interessi di mora;
- l’eventuale cessione di beni non essenziali (ad es. vendita di un immobile non prima casa, di un’auto di valore, ecc.) per ricavare risorse da distribuire ai creditori;
- ogni altra forma di soddisfacimento anche parziale, purché equa e proporzionata alle capacità del debitore.
- Procedura e omologazione: la domanda si presenta tramite un OCC territorialmente competente (ad es. presso la Camera di Commercio o l’Ordine professionale autorizzato della propria provincia). L’OCC nomina un gestore della crisi (un professionista esperto) che assiste il consumatore nella redazione del piano e prepara una relazione particolareggiata sulla causa dell’indebitamento, sulla solvibilità e sulla meritevolezza del debitore. Deposita quindi il ricorso per l’omologazione del piano presso il Tribunale. Il giudice, verificati i requisiti formali, può concedere misure protettive immediate (sospensione di eventuali pignoramenti in corso, divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive durante la procedura). Si apre un’istruttoria in cui il gestore e il debitore forniscono chiarimenti. Non è previsto il voto dei creditori: questi possono tuttavia comparire per eventualmente contestare il piano (ad esempio sostenendo la non veridicità dei dati o la mancanza del requisito di meritevolezza). Al termine, il Tribunale procede all’omologazione del piano con decreto motivato (oggi, post-riforma, in forma di sentenza che chiude la procedura) se sussistono tutte le condizioni: fattibilità del piano, correttezza formale, meritevolezza del debitore e parità di trattamento dei creditori. In caso di opposizioni di creditori, il giudice valuta anche la convenienza del piano: omologa comunque se ritiene che il trattamento offerto ai creditori dissenzienti sia almeno pari a quello ricavabile dalla liquidazione. Importante: dato che il piano può essere omologato anche senza il consenso dei creditori, il giudice effettua un controllo particolarmente rigoroso sulla buona fede e trasparenza del debitore. Se emergono attivi occultati o informazioni false, l’omologa viene negata (o, se già concessa, il provvedimento può essere revocato su istanza dei creditori). In caso di diniego dell’omologa, il procedimento si chiude con un provvedimento di inammissibilità. Tale provvedimento, come chiarito dalla Cassazione, non preclude al debitore di presentare una nuova proposta riveduta, in quanto non decide nel merito in via definitiva. La recente riforma consente inoltre di proporre reclamo contro il decreto di inammissibilità (novità introdotta per tutelare il debitore da eventuali errori iniziali).
- Vantaggi per il debitore: il piano del consumatore offre diversi benefici. Anzitutto, la possibilità di risolvere la crisi senza il voto dei creditori, dunque anche quando alcuni creditori (es. banche o finanziarie) non siano disposti spontaneamente ad accettare stralci o dilazioni. Il debitore mantiene una certa flessibilità nella proposta, potendo modulare pagamenti parziali, tempistiche più lunghe rispetto ai contratti originari e perfino riduzioni consistenti del debito residuo, se giustificate dalla sua situazione. Può anche prevedere la sospensione degli interessi futuri durante l’esecuzione del piano. Inoltre, la procedura è accessibile anche a chi non possiede beni da liquidare, purché disponga di un reddito minimo per effettuare qualche pagamento rateale. Questo significa che un consumatore senza patrimonio ma con uno stipendio (o pensione) modesto può comunque proporre di destinarne una parte mensile ai creditori per un certo periodo, evitando la liquidazione totale. Durante la procedura, come detto, i creditori vengono bloccati: eventuali azioni esecutive sono sospese, niente nuovi pignoramenti, niente interessi di mora che continuano a crescere (salvo quelli eventualmente concordati nel piano stesso). Il debitore può quindi tirare il fiato e dedicarsi a seguire il piano, protetto dal “ombrello” della procedura.
- Esito e effetti finali: se il piano viene omologato e il consumatore rispetta integralmente gli impegni presi (ossia effettua i pagamenti concordati, cede i beni promessi, etc.), al termine della procedura egli può ottenere dal Tribunale il decreto di esdebitazione, cioè la liberazione da tutti i debiti residui non pagati nel piano. In pratica, i debiti vengono cancellati e il debitore può ripartire da zero (fresh start). L’esdebitazione finale è il beneficio più importante, che realizza la funzione “sociale” della procedura: evitare che il consumatore onesto ma sfortunato resti schiacciato a vita dai debiti pregressi. Si noti che alcuni debiti non possono essere cancellati nemmeno dall’esdebitazione (lo vedremo in dettaglio più avanti: ad esempio, obblighi di mantenimento, debiti per risarcimenti da illecito o sanzioni penali/amministrative rimangono comunque dovuti), ma la stragrande maggioranza delle obbligazioni viene definitivamente estinta. Se invece il piano non viene omologato oppure, dopo l’omologa, non viene eseguito correttamente dal debitore (ad es. il consumatore interrompe i pagamenti concordati), la procedura può essere revocata o chiusa senza esdebitazione. In tal caso il debitore può valutare soluzioni alternative: ad esempio può chiedere la conversione in liquidazione controllata (cedendo i propri beni per soddisfare i creditori quel che si può, e poi chiedere l’esdebitazione), oppure può tentare un nuovo piano correttivo se le norme lo consentono. La normativa vigente ha eliminato l’automatismo della conversione d’ufficio in liquidazione che era previsto in passato, ma resta possibile per il debitore optare volontariamente per la liquidazione qualora il piano concordato fallisca.
Quando rivolgersi al piano del consumatore? In sintesi, un consumatore dovrebbe considerare questa procedura non appena si renda conto di non poter più far fronte regolarmente ai propri debiti con il reddito e il patrimonio disponibile. Aspettare troppo può comportare pignoramenti sui beni o sullo stipendio, accumulo di interessi e spese, e una situazione più difficile da gestire. Il piano è l’ideale quando il debitore ha ancora un minimo di capacità di pagamento (anche solo poche centinaia di euro al mese) ma non sufficiente a rimborsare tutto secondo le condizioni originarie. Ad esempio, chi perde il lavoro e ha cinque finanziarie non pagate, oppure chi con uno stipendio medio si ritrova con rate mensili sommate che superano nettamente il proprio reddito, può tramite il piano ottenere una riduzione delle rate complessive a un importo per lui sostenibile. Anche in caso di sovraindebitamento familiare (ad es. marito e moglie entrambi obbligati per un mutuo e altri prestiti), il piano – magari in forma procedura familiare congiunta – può ristrutturare l’intero debito di famiglia in modo coordinato (vedi oltre). È bene rivolgersi a un OCC o a un professionista specializzato tempestivamente, prima che la situazione degeneri: l’esperienza insegna che piani presentati in fase precoce, quando ancora il debitore ha un qualche margine di reddito, hanno maggior successo e consentono di salvare beni importanti (come la casa di abitazione, evitando la vendita forzata prevedendo nel piano il pagamento dei creditori ipotecari). Viceversa, quando ormai tutti i beni sono pignorati e i redditi vincolati, resta spesso solo la strada della liquidazione giudiziale o della procedura di insolvenza senza alcun margine di manovra.
Altre opzioni per il consumatore: liquidazione o esdebitazione immediata
Oltre al piano di ristrutturazione, un consumatore può accedere ad altre due procedure previste dal Codice, qualora il piano non sia fattibile:
- La Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio) è aperta anche ai consumatori che non sono in grado di offrire un piano sostenibile ai creditori (ad es. perché il reddito è insufficiente anche per pagamenti parziali) ma possiedono beni liquidabili (una casa, un’auto, ecc.). In tal caso, il consumatore può scegliere di “sacrificare” il proprio patrimonio: tutti i beni non necessari vengono venduti sotto il controllo del Tribunale e il ricavato ripartito ai creditori. Al termine, se ha cooperato lealmente, il debitore può comunque ottenere l’esdebitazione dei debiti residui. Questa procedura sarà descritta più avanti in dettaglio, ma anticipiamo che per un consumatore rappresenta una sorta di “ultima spiaggia” se non può proporre nulla di meglio che la liquidazione del proprio patrimonio.
- L’Esdebitazione del debitore incapiente è una novità assoluta: una procedura che consente al consumatore privo di qualunque risorsa (né reddito né beni) di ottenere la cancellazione totale dei debiti senza pagare nulla ai creditori. Si applica a casi di povertà estrema e marginalità sociale, dove il debitore non avrebbe neppure i mezzi per affrontare un piano o una liquidazione (si pensi a un disoccupato senza proprietà, oppure un pensionato sociale indebitato per spese mediche). Questa procedura speciale – anch’essa approfondita in seguito – può essere chiesta una sola volta e richiede requisiti rigorosi di meritevolezza e collaborazione, ma rappresenta una chance di riscatto importantissima: “pulire” tutti i debiti e ripartire, confidando in un eventuale miglioramento futuro della propria condizione.
Sovraindebitamento dell’imprenditore minore
Passiamo ora al caso del piccolo imprenditore commerciale e, più in generale, del debitore non consumatore (lavoratore autonomo, professionista, impresa agricola, start-up non fallibile, ecc.). Questi soggetti condividono la caratteristica di avere debiti contratti nell’esercizio di un’attività economica (impresa o lavoro autonomo) e non possono accedere al “piano del consumatore”, riservato alle obbligazioni civilistiche. Tuttavia, poiché per dimensioni o qualifica sono esclusi dal fallimento, essi possono ricorrere alle procedure di sovraindebitamento disegnate ad hoc per le piccole realtà. Si pensi all’artigiano individuale con un laboratorio e qualche dipendente, oppresso da debiti verso fornitori e banche; al professionista indebitato con il fisco e i fornitori del proprio studio; o alla piccola società di fatto che ha chiuso in perdita ma i cui soci rimangono esposti verso i creditori.
Il Codice della Crisi dedica a questi debitori la procedura di Concordato minore (artt. 74-83 CCII), che sostituisce il vecchio “accordo di composizione della crisi” della L.3/2012. Inoltre, anche per l’imprenditore minore restano utilizzabili la liquidazione controllata e, in taluni casi, perfino l’esdebitazione incapiente (se si tratta di una persona fisica senza beni né reddito). Vediamo prima il concordato minore, che rappresenta la soluzione elettiva quando si vuole preservare, per quanto possibile, la continuità dell’attività economica o comunque gestire i debiti in modo negoziale con i creditori.
Il concordato minore: accordo con i creditori per il piccolo imprenditore
Il Concordato minore è una procedura concorsuale semplificata rivolta ai debitori non fallibili che hanno debiti anche di natura imprenditoriale o professionale. Vi possono accedere, come esplicitato dall’art. 74 CCII, gli “imprenditori sotto soglia” non soggetti a liquidazione giudiziale, i lavoratori autonomi, i professionisti, le start-up e le imprese agricole, nonché gli ex imprenditori cancellati. Si tratta dunque della categoria ampia del debitore sovraindebitato “non consumatore”.
Le caratteristiche principali del concordato minore sono:
- Proposta ai creditori e requisiti: analogamente al concordato preventivo per le imprese maggiori, qui il debitore propone ai creditori un accordo per il soddisfacimento, totale o parziale, dei propri debiti. Il debitore deve avere qualcosa da mettere sul piatto: è richiesto infatti che disponga di almeno una parte attiva – beni o redditi – da offrire ai creditori. In pratica, il concordato minore non è ammesso se il debitore è completamente incapiente: in tal caso, dovrà semmai percorrere la strada dell’esdebitazione speciale. Occorre inoltre presentare una proposta sostenibile e dettagliata, corredata da una relazione del gestore della crisi, che attesti la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Non è richiesto un rigido requisito di meritevolezza iniziale come per il consumatore, ma restano cause di inammissibilità generale: ad esempio, atti in frode ai creditori scoperti prima dell’omologa possono portare al rigetto della proposta. Inoltre, come in ogni concordato, vale il principio che la proposta non può essere manifestamente peggiorativa rispetto alla liquidazione: i creditori non dovrebbero ricevere meno di quanto otterrebbero dalla vendita di tutti i beni del debitore (principio dell’“alternativa liquidatoria”).
- Classi di creditori e trattamento dei coobbligati: il debitore può suddividere i creditori in classi omogenee se lo ritiene opportuno (ad esempio separando fornitori chirografari, banche chirografarie, creditori privilegiati per IVA/contributi, ecc.), prevedendo trattamenti differenziati per classe. Una novità introdotta dalla riforma è la possibilità di inserire nel piano limitazioni alle azioni dei creditori verso eventuali coobbligati o fideiussori del debitore. Ciò significa, ad esempio, che nel concordato minore il debitore può proporre ai creditori di rinunciare (in tutto o in parte) a rivalersi su garanti terzi – tipicamente familiari garanti – a fronte dell’esecuzione del piano. Questo elemento, assente nella vecchia legge, consente di gestire meglio situazioni familiari in cui i debiti dell’impresa ricadono anche su parenti che avevano garantito: col consenso dei creditori si può “liberare” anche il garante, favorendo un reale rilancio del debitore e della sua famiglia.
- Iter procedurale e voto dei creditori: la domanda si presenta sempre tramite OCC come visto per il consumatore. Il Tribunale, verificati i requisiti, ammette il debitore al concordato minore e nomina un commissario giudiziale, che in genere coincide con il gestore dell’OCC. Vengono sospese eventuali azioni esecutive in corso e il debitore continua l’attività sotto la supervisione del commissario (salvo atti di straordinaria amministrazione che richiedono autorizzazione del giudice). Diversamente dal piano del consumatore, qui i creditori hanno diritto di voto sulla proposta: si apre quindi una fase di adunanza (anche solo virtuale) nella quale ciascun creditore esprime il proprio voto favorevole o contrario. La legge, modificata nel 2022, ha abbassato la soglia di approvazione: è sufficiente il voto favorevole dei creditori che rappresentano almeno il 50% dei crediti ammessi al voto (prima era richiesto il 60%). Se un singolo grande creditore detiene da solo oltre metà dei crediti, la maggioranza si calcola anche per teste (deve cioè votare favorevolmente anche la maggioranza dei creditori in numero, per evitare che un unico creditore decida da solo). In caso di suddivisione in classi, è inoltre necessario che la maggioranza sia raggiunta in più della metà delle classi votanti. Hanno diritto di voto tutti i creditori chirografari e i privilegiati che non siano soddisfatti integralmente. Non votano invece i creditori completamente soddisfatti secondo la proposta (se un creditore è pagato al 100% entro i termini contrattuali, è considerato non interessato alla ristrutturazione). Attenzione: su questo punto la giurisprudenza ha chiarito che se un creditore privilegiato viene sì previsto in pagamento totale, ma con dilazione rispetto alle scadenze originarie, ciò costituisce comunque una modifica peggiorativa che gli conferisce diritto di voto. Ad esempio, un istituto bancario ipotecario con un mutuo: se il piano propone di allungare la durata del mutuo oltre la scadenza pattuita, pur rimborsando l’intero capitale e interessi, la banca avrà comunque diritto di voto (non essendo pagata alle condizioni originarie). Durante la votazione, eventuali conflitti di interesse sono regolati escludendo dal voto chi abbia un interesse particolarmente collidente (es. creditori che hanno acquistato crediti speculativamente da meno di un anno). Se la maggioranza vota sì, si passa all’omologazione; se la proposta non ottiene le maggioranze richieste, il concordato non può proseguire (si avrà un esito negativo e il debitore potrà a quel punto optare per la liquidazione controllata).
- Omologazione e cram-down: il Tribunale, raccolti i voti, procede all’omologa del concordato minore mediante sentenza. Verifica innanzitutto che la procedura sia regolare, che la proposta sia fattibile e conforme alla legge, e che vi sia la maggioranza dei creditori a favore. In assenza di contestazioni, la sentenza di omologa chiude la procedura e rende vincolante l’accordo per tutti i creditori. Se invece uno o più creditori dissenzienti contestano la convenienza della proposta (ritenendo cioè di subire un pregiudizio economico rispetto all’alternativa liquidatoria), il giudice decide comunque nel merito: potrà omologare d’ufficio il concordato (c.d. cram-down sui creditori dissenzienti) se accerta che ai creditori contestanti è assicurato un trattamento non inferiore a quello che avrebbero ottenuto dalla liquidazione. In sostanza, se il piano offre a tutti almeno il valore di liquidazione, l’opposizione del singolo creditore per motivi di convenienza viene superata. Una norma specifica tutela inoltre il debitore dalle opposizioni pretestuose del Fisco o degli enti previdenziali: se il loro voto negativo risulta determinante per bocciare la proposta, ma il giudice ritiene che la soddisfazione offerta al Fisco/INPS sia migliore rispetto a quanto ricaverebbero in una liquidazione, può ugualmente omologare il concordato in forza del cram-down fiscale introdotto dal Codice. Questo impedisce che l’erario blocchi accordi ragionevoli solo per la regola del voto, purché non ci sia un danno per le casse pubbliche (in pratica, il giudice può imporre l’omologa se la proposta verso il Fisco è oggettivamente vantaggiosa almeno quanto la liquidazione). Infine, segnaliamo che la legge scoraggia i creditori “imprudenti”: quelli che hanno concesso credito al debitore sovraindebitato senza valutare adeguatamente il merito creditizio non possono opporsi all’omologa per ragioni di mera convenienza economica. Questa disposizione (art. 80, co. 4 CCII) incoraggia le banche/finanziarie a prestare denaro con criterio e, se non lo fanno, le priva della possibilità di ostacolare un concordato lamentando di recuperare poco (introducendo una sorta di penalità per il creditore che ha aggravato la posizione del debitore con prestiti imprudenti).
- Vantaggi specifici del concordato minore: questa procedura è pensata per conciliari gli interessi del debitore e dei creditori in modo flessibile. Dal lato del debitore, il vantaggio principale è che consente di gestire la crisi senza cessare l’attività: l’imprenditore o professionista può continuare a lavorare e produrre reddito, sotto controllo ma conservando la titolarità dei beni aziendali. In un concordato in continuità, infatti, non è richiesta la liquidazione totale dei beni – come accade nel fallimento – ma anzi si può prevedere espressamente la prosecuzione dell’attività e il mantenimento dei beni strumentali indispensabili per l’impresa. Ciò permette di evitare la dispersione di valore legata allo stop dell’impresa, nell’interesse sia del debitore (che può sperare di risollevarsi) sia dei creditori (che potranno essere pagati con i flussi di cassa futuri). Un altro vantaggio è la possibilità di ottenere nuova finanza per eseguire il piano: la legge consente, in funzione del piano concordatario, che il debitore contragga finanziamenti prededucibili (che verranno pagati prima degli altri debiti) per sostenere la continuità. Questo può essere vitale, ad esempio, per acquistare materie prime o mantenere l’attività in esercizio durante la procedura. Inoltre, il concordato minore consente una ristrutturazione legale dei debiti che vincola tutti i creditori se approvata: anche qui c’è quindi l’effetto di maggioranza vincolante (i creditori dissenzienti entro certi limiti devono adeguarsi all’accordo votato a maggioranza, o al cram-down deciso dal giudice). Dal lato dei creditori, la procedura offre garanzie di trasparenza (c’è la relazione del commissario, il controllo giudiziario) e la prospettiva di un soddisfacimento migliore che in caso di default totale del debitore, specie se l’impresa può generare utili. È quindi uno strumento win-win se ben utilizzato.
- Esito e continuità post-concordato: una volta omologato, il concordato minore viene eseguito secondo i termini stabiliti. Può essere di breve durata (es. liquidatorio con pagamento ai creditori appena venduti alcuni beni) oppure estendersi su più anni (es. pagamento rateale su 4–5 anni degli importi concordati). Durante l’esecuzione, il debitore è tenuto a rispettare rigorosamente il piano. Al termine, se tutto è andato a buon fine, il Tribunale emette un decreto di chiusura della procedura e dichiara l’esdebitazione del debitore, liberandolo dai debiti residui non soddisfatti. Per ottenere l’esdebitazione, anche qui, è richiesta la corretta e leale esecuzione del concordato: se emergono successivamente comportamenti scorretti, il beneficio può essere revocato. Una volta esdebitato, l’imprenditore minore può proseguire l’attività senza il peso dei vecchi debiti: l’auspicio è che, alleggerito dall’accordo, possa tornare competitivo sul mercato. Qualora invece la proposta concordataria non raggiunga le maggioranze di voto, oppure il debitore non riesca a eseguire quanto promesso (ad esempio perché il business non genera i flussi sperati), la procedura verrà dichiarata risolta o non omologata, e i creditori riacquisteranno libertà di azione (salvo che il debitore passi alla liquidazione controllata come alternativa). È importante sottolineare che la crisi d’impresa minore è spesso un processo dinamico: se il concordato fallisce ma l’imprenditore è in buona fede, questi può comunque accedere alla liquidazione controllata e ottenere l’esdebitazione tramite quella, sacrificando i beni rimasti. L’ordinamento quindi offre più chance in sequenza, pur cercando di evitare abusi e perdite di tempo.
Quando chiedere il concordato minore? Questa procedura è indicata in tutti i casi in cui il piccolo imprenditore o professionista ha prospettive di salvare l’attività (o parte di essa) e può dare ai creditori un ritorno migliore tenendo l’impresa in vita anziché liquidandola subito. Tipicamente, lo scenario è: debiti elevati, magari insoluti da tempo, ma l’azienda ha ancora commesse, clienti e capacità di generare utile se snellita dai debiti pregressi. Ad esempio, un artigiano con 200.000 € di debiti ma un laboratorio funzionante e ordini per il futuro: con il concordato può convenire ai creditori di accettare, poniamo, il pagamento del 50% dei crediti in 4 anni piuttosto che forzare una chiusura e ricavare magari solo il 20% liquidando i macchinari. Non bisogna aspettare che l’azienda sia completamente decotta: il concordato minore ha senso se l’attività ha ancora valore. È bene chiedere aiuto appena i segnali di crisi diventano chiari (incapacità di pagare fornitori, rate fiscali arretrate, ecc.), così da avviare un percorso negoziato con i creditori prima che questi facciano azioni aggressive (decreti ingiuntivi, pignoramenti di attrezzature, ecc.) che possono minare la continuità. Anche qui, il ruolo di un OCC o di un advisor esperto è cruciale per valutare la fattibilità di un piano di ristrutturazione e per predisporre una proposta credibile. Se invece l’impresa è ormai ferma e priva di qualunque possibilità di ripresa, allora “insistere” con un concordato può essere controproducente: in quei casi conviene passare direttamente alla liquidazione controllata, evitando di accumulare ulteriori debiti (ad es. fisco, contributi, ecc. che maturerebbero se l’attività restasse formalmente aperta).
Continuità aziendale e casi particolari
Un tema rilevante per l’imprenditore minore è quello della continuità aziendale all’interno delle procedure di sovraindebitamento. Come visto, il concordato minore può svolgersi in continuità, ossia senza liquidazione integrale dei beni, permettendo al debitore di portare avanti la propria attività durante e dopo la procedura. Questa soluzione è altamente consigliabile quando il valore dell’azienda in funzionamento supera quello di smembramento. La legge richiede però un’attenta valutazione: servirà spesso un attestatore (nel nostro caso il gestore/commissario) che certifichi la fattibilità economica del piano e la ragionevole attendibilità dei flussi di cassa futuri. Il Tribunale valuterà con rigore questi piani “in continuità”, essendo in gioco non solo la posizione dei creditori ma anche quella di eventuali dipendenti e fornitori che confidano nella prosecuzione del business. Se ben preparato, un concordato in continuità può salvare molte situazioni: dall’officina meccanica con troppi debiti ma ancora sul mercato, allo studio professionale oberato da tasse non pagate ma con clienti attivi. In alcuni casi, parte dell’attività può essere ceduta o conferita a terzi nel corso della procedura, garantendo ricavi da destinare ai creditori e insieme la sopravvivenza dell’azienda sotto altra forma (ad esempio, l’imprenditore trova un investitore che rileva l’azienda e paga una somma che va ai creditori concordatari). Tali operazioni sono possibili previa autorizzazione del giudice e possono costituire parte integrante del piano.
Un caso particolare di sovraindebitamento “misto” può riguardare chi ha debiti sia personali che d’impresa: ad esempio un piccolo imprenditore che ha accumulato debiti aziendali ma anche debiti familiari (mutuo casa, prestiti personali). In linea teorica tutte le posizioni vanno trattate nella medesima procedura, perché una persona fisica non può essere contemporaneamente soggetta a due procedure diverse. Il Codice prevede che se un debitore non consumatore ha anche debiti personali, può comunque accedere al concordato minore per gestire l’intera massa debitoria. La presenza di debiti “da consumatore” nel mezzo non impedisce il concordato, purché ovviamente i creditori privati siano soddisfatti in misura non inferiore agli altri. Viceversa, un professionista con qualche debito privato non può usare il piano del consumatore per quel pezzo e il concordato per il resto: dovrà inglobare tutto nella procedura da non consumatore, oppure eventualmente separare le due sfere solo se fattibile (il che però è raro, giacché i patrimoni sono in realtà unificati). In pratica, quando c’è promiscuità di debiti, prevale la qualifica del debitore: se è un imprenditore/professionista, si segue il percorso del concordato minore; se è un consumatore con qualche debito “da attività” marginale, di solito quell’attività è di entità talmente ridotta da poterlo considerare consumatore puro. Ad ogni modo, queste valutazioni spesso richiedono un esame caso per caso, e non mancano pronunce giurisprudenziali eterogenee. Ad esempio, alcuni tribunali hanno talvolta ammesso un ex imprenditore con debiti derivanti dall’impresa cessata alla procedura come consumatore, in presenza di circostanze particolari (ad es. pochi creditori professionali e molti debiti personali). Sono eccezioni legate alla volontà di privilegiare la tutela della persona fisica in situazioni borderline.
Da menzionare, tra i casi particolari, vi è la posizione dei soci illimitatamente responsabili di società di persone. Tali soci rispondono personalmente dei debiti sociali e, se la società è di dimensioni piccole, possono accedere al sovraindebitamento come se fossero imprenditori individuali. Ad esempio, due soci di una S.n.c. artigiana che chiude con debiti: se non si può (o non conviene) dichiarare il fallimento della società, ciascun socio (o entrambi insieme, magari in procedura familiare) può proporre un concordato minore o una liquidazione per sistemare i debiti sociali a carico personale. L’art. 66 CCII sulle procedure familiari consente persino ai membri della stessa famiglia di presentare un’unica domanda congiunta: nel caso di soci che siano anche familiari (è comune nelle imprese familiari italiane), si potrà fare un unico concordato familiare per i debiti in solido. Su questo aspetto, il Codice ha innovato rispetto alla L.3/2012, permettendo soluzioni coordinate all’interno dello stesso nucleo familiare indebitato. Si veda ad esempio la situazione di marito e moglie co-titolari di una piccola società: se i debiti li coinvolgono entrambi, un’unica procedura familiare può razionalizzare il tutto.
La liquidazione controllata del sovraindebitato
Se né il piano del consumatore né il concordato minore risultano praticabili (ossia quando il debitore non ha la capacità di proporre ai creditori un pagamento, se non liquidando i propri averi), la soluzione residuale è la liquidazione controllata, prevista dagli artt. 268-277 CCII (corrispondente alla liquidazione del patrimonio della vecchia legge). Questa procedura è trasversale: può riguardare qualsiasi soggetto sovraindebitato – consumatore o non consumatore – purché disponga di un patrimonio liquidabile e sia disposto a cederlo interamente ai creditori. In sostanza, la liquidazione controllata ricalca il meccanismo del fallimento (liquidazione giudiziale) ma in scala ridotta e volontaria, con finalità però orientate al debitore (consente l’esdebitazione alla fine, cosa non sempre prevista nel fallimento se non a certe condizioni).
- Quando si ricorre alla liquidazione: tipicamente quando il debitore non è in grado di formulare un piano di rientro sostenibile. Ciò avviene se il suo reddito corrente è insufficiente anche per pagamenti parziali oppure quando la situazione debitoria è talmente compromessa che nessun accordo sarebbe realistico. Ad esempio, un piccolo imprenditore che ha cessato l’attività e possiede solo una casa e un’auto, ma ha 1 milione di euro di debiti: proporre un concordato avrebbe probabilmente esito nullo, meglio optare direttamente per liquidare i beni. Al contrario di un concordato, qui non serve l’accordo dei creditori né presentare una proposta: si mette a disposizione il patrimonio e sarà il tribunale a gestire la liquidazione e la distribuzione secondo le norme di legge.
- Requisiti e avvio: il debitore presenta istanza di liquidazione all’OCC, indicando l’elenco di tutti i beni e crediti che intende far confluire nella procedura. È ammesso solo se ha effettivamente dei beni attivi da liquidare (ad es. immobili, autoveicoli, crediti esigibili, disponibilità di conto corrente, ecc.). Se invece non ha nulla di rilevante, come detto, la via corretta è l’esdebitazione incapiente. Inoltre, il debitore non deve aver commesso frodi o atti di grave mala fede (se emergono, il Tribunale può dichiarare inammissibile la liquidazione per indegnità). Ottenuta l’ammissione, il giudice nomina un liquidatore (spesso coincide con il gestore OCC) e apre la procedura. Da quel momento, i beni del debitore – presenti e futuri entro un certo limite temporale – diventano vincolati alla massa attiva per i creditori. Il liquidatore si occupa di custodirli, stimarli e venderli secondo le migliori modalità (vendita all’asta, assegnazione a creditori, ecc.), sotto la supervisione del giudice. Gli effetti dell’apertura sono simili a un fallimento in miniatura: i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali (i pignoramenti decadono), i beni escono dalla disponibilità del debitore (che però, essendo persona fisica, mantiene quanto necessario per vivere e gli eventuali beni impignorabili per legge). Se il debitore svolge ancora un’attività, potrà continuarla solo se non pregiudica la liquidazione, oppure con il controllo del liquidatore. In molti casi comunque la richiesta di liquidazione coincide con la cessazione dell’attività, se era un imprenditore.
- Svolgimento e chiusura: il liquidatore predispone lo stato passivo, ovvero l’elenco di tutti i creditori con l’importo dei rispettivi crediti (distinguendo privilegi, ipoteche, chirografari). I creditori possono fare domande di ammissione o osservazioni. Dopodiché liquida uno ad uno i cespiti: vende gli immobili (salvo che un immobile abbia valore trascurabile, nel qual caso la legge consente di lasciarlo al debitore – ad es. beni di valore irrisorio inutili alla procedura possono essere restituiti al debitore), realizza il contante, chiude i conti, riscuote eventuali crediti del debitore. Il ricavato, detratte le spese di procedura, viene distribuito proporzionalmente ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Ad esempio, i creditori con garanzia ipotecaria su un immobile ricevono fino a concorrenza del valore di realizzo di quell’immobile; i creditori privilegiati (Erario, dipendenti, ecc.) sono soddisfatti col ricavato residuo secondo i privilegi; i chirografari ripartiscono l’eventuale attivo finale pro quota. Terminata la liquidazione, il liquidatore presenta un rendiconto conclusivo e il giudice dichiara chiusa la procedura.
- Esdebitazione finale: la vera utilità della liquidazione, per il debitore onesto, è che subito dopo la chiusura può chiedere l’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti. A differenza del fallimento (dove l’esdebitazione non è automatica né garantita per l’imprenditore fallito, ma concessa su richiesta e solo al meritevole), nel sovraindebitamento l’orientamento è più favorevole al debitore persona fisica. L’art. 282 CCII prevede che il giudice conceda l’esdebitazione con decreto, purché:
- il debitore abbia cooperato con lealtà e impegno durante la liquidazione (ha consegnato i beni, non ha ostacolato le vendite, ha fornito documenti, ecc.);
- non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti e non l’abbia già ottenuta due volte in totale (questo per evitare “professionisti dell’insolvenza”);
- non siano emersi atti in frode (ad esempio sottrazione di beni prima o durante la liquidazione);
- il debitore, se imprenditore, non abbia violato i doveri di tenuta delle scritture contabili in modo da rendere difficoltose le operazioni (una condotta che ostacola la procedura può portare a diniego);
- non abbia gravemente contribuito al proprio dissesto con dolo o colpa grave (ad esempio, contrazione di debiti colposamente sproporzionati rispetto alle proprie possibilità). Questo criterio è affine alla meritevolezza: un giudice potrebbe negare l’esdebitazione se ritiene il debitore totalmente spregiudicato nella gestione, sebbene nella pratica l’indirizzo sia di concederla salvo condotte veramente censurabili, per non vanificare la finalità di dare un nuovo inizio.
- Vantaggi e svantaggi: la liquidazione controllata è certamente penalizzante sul piano patrimoniale per il debitore, perché perde tutti i propri beni trasferibili (salve le eccezioni di legge, come i beni di uso quotidiano e quelli di scarso valore) e vede di fatto azzerato il frutto del suo lavoro passato. Tuttavia, presenta anch’essa dei vantaggi chiave:
- Sospende le aggressioni individuali: con l’apertura della liquidazione, cessa lo stillicidio di pignoramenti, aste, decreti ingiuntivi. Tutto confluisce in un procedimento unico e ordinato, con risparmio di costi e una gestione più equa.
- Trasparenza e competenza nella vendita dei beni: un liquidatore professionista si occupa di vendere, spesso con più accortezza di quanto farebbero i singoli ufficiali giudiziari. Inoltre può decidere di non liquidare beni di valore trascurabile, evitando inutili spese di procedura.
- Protezione della dignità del debitore: pur nella sua durezza, la procedura permette al debitore di chiudere in modo legale la propria situazione debitoria, evitando l’ombra di una fuga dai creditori o di espedienti al limite. Tutto avviene sotto controllo giudiziario, con la possibilità per il debitore di far valere le proprie ragioni (es. se un credito è contestato) e di conservare i beni essenziali.
- Esdebitazione finale: il beneficio conclusivo giustifica spesso il percorso. Sapere che, venduti i beni, non resteranno comunque debiti a vita dà al debitore la motivazione a collaborare. Anche chi perde la casa o l’auto può sperare di ripartire senza ulteriori zavorre finanziarie. Questo aspetto psicologico e sociale è di enorme importanza, ed è ciò che distingue la liquidazione controllata dal mero pignoramento dei beni (dove, venduti quelli, il debitore rimane comunque debitore per l’eventuale differenza, potenzialmente per sempre).
Quando scegliere la liquidazione controllata? Il debitore sovraindebitato dovrebbe considerare questa opzione quando ogni altra strada di ristrutturazione è impraticabile o già fallita. In particolare:
- Se è un consumatore che non ha alcun margine di reddito per offrire un piano (ad es. disoccupato, o con reddito appena sufficiente a vivere) ma possiede magari la nuda proprietà di un immobile ereditato: la liquidazione gli consente di monetizzare quell’immobile, pagare qualcosa ai creditori e liberarsi del resto dei debiti.
- Se è un piccolo imprenditore/professionista per cui non esiste più possibilità di risanare l’attività (azienda ferma, mercato perso, ecc.): in questi casi insistere con un concordato in continuità sarebbe inutile e costoso. Meglio liquidare gli asset residui, chiudere ogni pendenza e poi eventualmente ricominciare ex novo l’attività senza i debiti passati.
- Se è un ex imprenditore con ancora beni intestati (es. la casa di proprietà) ma nessuna capacità di pagare i grandi debiti dell’impresa fallita: anche qui la liquidazione è un atto dovuto per mettere fine all’esposizione. Ad esempio, un ex imprenditore edile che ha chiuso e ha ancora 500.000 € di debiti verso fornitori: vende la casa in liquidazione, distribuisce ai creditori il ricavato (diciamo 200.000 €) e ottiene l’esdebitazione per i restanti 300.000 €.
In generale, quando il rapporto debito/patrimonio è talmente alto che nessuno stralcio parziale appare realistico (i creditori non voterebbero un concordato che li paga, poniamo, al 5%), la liquidazione diventa la scelta obbligata. Essa va chiesta con tempestività soprattutto se il debitore possiede beni che i creditori stanno già aggredendo: spesso avviare per proprio conto la liquidazione nell’ambito protetto del tribunale può portare a vendite migliori e a un coordinamento delle pretese, rispetto a tanti pignoramenti scoordinati. Inoltre, presentando prima istanza di liquidazione, il debitore può scegliere l’OCC e il professionista che seguirà la procedura, con cui può instaurare dialogo. Se invece lascia che siano i creditori a pignorare e magari portarlo a un fallimento, perderà del tutto il controllo del processo. Dunque, quando non c’è più nulla da negoziare, è saggio per il debitore anticipare i tempi e chiedere lui stesso la liquidazione, anche per dare un segnale di trasparenza e collaborazione (aspetti che saranno valutati positivamente al momento dell’esdebitazione).
L’esdebitazione del debitore incapiente
Una menzione specifica merita la procedura di esdebitazione del debitore incapiente, introdotta originariamente nel 2020 e ora formalizzata negli artt. 283-287 CCII. Si tratta, come anticipato, di una procedura straordinaria e “caritatevole” rivolta al debitore persona fisica che non possiede alcuna risorsa da offrire ai creditori, né immediata né futura. In passato, un tale soggetto sarebbe rimasto per sempre insolvente e perseguitato dai creditori, senza possibilità di fallimento (perché non imprenditore fallibile) né di sovraindebitamento utile (perché incapace di pagare anche solo in parte i debiti). Col nuovo istituto, invece, anche il nullatenente può avere una seconda possibilità, seppure a certe condizioni stringenti.
- Chi può accedere: la norma prevede che possa ottenere l’esdebitazione il debitore persona fisica (sono quindi escluse eventuali persone giuridiche, che del resto non avrebbero senso in questo contesto) che risulti:
- Meritevole, ovvero in buona fede: non deve aver colpe gravi o frodi nel proprio indebitamento. Questo requisito è ancor più centrale qui, perché si chiede di cancellare debiti senza corrispettivo; dunque solo chi è vittima delle circostanze (es. perdita del lavoro, malattia, sfortuna) e non artefice di abusi può beneficiarne.
- Privo di beni e redditi: dev’essere accertata la totale incapienza del debitore, cioè che non possiede alcun asset liquidabile né ha redditi aggredibili, nemmeno prospettici. Ad esempio, niente immobili, niente auto di valore, conto in banca vuoto, nessun stipendio o pensione oltre il minimo vitale.
- Nessuna utilità ricavabile nemmeno in futuro: occorre che il gestore attesti che non è possibile acquisire attivo a favore dei creditori neanche tramite azioni giudiziarie. Ciò significa verificare che il debitore non abbia crediti verso terzi recuperabili (es. cause risarcitorie), né aspettative di eredità imminenti, e che il suo potenziale di guadagno futuro sia talmente basso da non poter ipotizzare neanche un rimborso parziale. È una soglia molto alta da dimostrare, che configura una situazione di vera indigenza.
- Assenza di atti in frode: ovviamente se il debitore ha nascosto o regalato beni prima di chiedere l’esdebitazione incapiente, la domanda sarà respinta. Deve quindi essere limpido e non aver tentato di sottrarre nulla ai creditori.
- Una tantum: l’accesso è concesso una sola volta nella vita, salvo eccezioni. La legge consente un secondo accesso solo dopo almeno 5 anni dalla prima esdebitazione, e comunque solo in presenza di “nuovi eventi straordinari” indipendenti dalla volontà del debitore che abbiano creato nuovi debiti non colpevoli. In sostanza, è un meccanismo pensato per chi incappa in gravi disgrazie una volta; abusarne è impossibile per via dei limiti temporali e oggettivi.
- Procedura e decisione: il debitore incapiente presenta la domanda tramite un OCC, allegando tutti i documenti attestanti la sua situazione patrimoniale nulla. Viene nominato un gestore che redige una relazione dettagliata, specie sulla causa dell’indebitamento e sul fatto che non vi sia nulla da liquidare. Il giudice valuta il ricorso senza particolari formalità (di solito in camera di consiglio, sentito il gestore) e, se ritiene soddisfatte le condizioni, pronuncia un decreto di esdebitazione immediata di tutti i debiti del richiedente. Questo decreto è comunicato ai creditori, i quali possono proporre opposizione entro 30 giorni se hanno elementi da far valere (ad esempio, dimostrare che il debitore in realtà possiede beni nascosti). Decorso tale termine, il giudice – instaurato il contraddittorio sulle eventuali opposizioni – conferma o revoca il beneficio con provvedimento definitivo. In mancanza di opposizioni, il decreto iniziale diventa definitivo e l’esdebitazione ha effetto.
- Effetti: il debitore ottiene la cancellazione di tutti i debiti anteriori, al pari di una normale esdebitazione, senza aver pagato nulla. Rimangono escluse anche qui le categorie di debiti non esdebitabili (alimenti, risarcimenti da illecito e sanzioni). Per i creditori è uno scenario poco piacevole – vedersi spazzare i crediti senza alcun soddisfacimento – ma si presuppone che comunque non avrebbero ottenuto niente dal debitore, neanche pignorandolo vita natural durante, perché non ha davvero nulla. In più, la legge tutela i creditori predisponendo un certo monitoraggio post-esdebitazione: nei 4 anni successivi il debitore deve ogni anno depositare una dichiarazione su eventuali sopravvenienze attive (se ha ricevuto eredità, vincite, aumenti di reddito significativi), e il gestore OCC vigila su questo deposito. Se emergono entro i 4 anni utilità rilevanti, scatta l’obbligo per il debitore di pagare ai vecchi creditori almeno il 10% del loro credito (complessivamente) entro 4 anni dal decreto di esdebitazione. La soglia di rilevanza è calcolata al netto di quanto serve al mantenimento del debitore e famiglia, parametrato all’assegno sociale aumentato della metà (per ogni membro familiare). Questa clausola significa che, ad esempio, se entro 2 anni l’incapiente trova un lavoro ben retribuito o riceve €100.000 da un parente, dovrà destinare una parte di queste sopravvenienze ai suoi vecchi creditori (fino a soddisfarli al 10% ciascuno). Superati i 4 anni, o pagato quanto dovuto in quel lasso, il debitore resta definitivamente libero.
- Vantaggi: inutile dire che per il debitore incapiente questo istituto è un salvagente eccezionale. Mentre prima i nullatenenti restavano invischiati nei debiti per sempre (con l’angoscia di poter essere un domani pignorati se avessero trovato un lavoro o acquistato un bene), ora possono ripartire puliti subito, senza dover attendere di avere qualcosa da offrire. Questo incoraggia anche l’emersione dei debitori “sommersi”: chi lavorava in nero o evitava di intestarsi beni per paura dei creditori, dopo l’esdebitazione può tornare alla legalità, magari accettare un lavoro regolare, sapendo che i nuovi guadagni non gli verranno aggrediti per debiti passati (salvo ovviamente rispettare il vincolo di pagare qualcosa se il guadagno è rilevante in 4 anni). Dal punto di vista sociale è una spinta forte all’inclusione finanziaria e lavorativa. I creditori subiscono una perdita secca, ma – va ribadito – è stata valutata in giudizio l’impossibilità di recuperare alcunché comunque. Si evita quindi di intasare i tribunali di esecuzioni infruttuose e si chiude la vicenda in modo certo. È importante notare che la legge ha persino previsto un sostegno finanziario per i costi di queste procedure: con la Legge di Bilancio 2025, come detto, è stato istituito un Fondo statale per coprire le spese degli OCC e dei compensi dei gestori per le esdebitazioni di incapienti. Ciò perché finora il problema pratico era: chi paga l’OCC che segue un nullatenente? Spesso i professionisti lo facevano quasi pro bono o con un minimo contributo a carico dello Stato. Ora questo fondo di 500.000 € (per iniziare) garantirà la gratuità della procedura per il debitore incapiente, eliminando l’ultimo ostacolo all’accesso (si attende a tal riguardo un decreto attuativo per stabilire i dettagli di funzionamento del fondo).
- Limiti e cautele: data la delicatezza, l’esdebitazione senza utilità viene concessa con il contagocce. Il debitore deve convincere con prove solide di trovarsi in condizioni disperate e non rimediabili. Se c’è anche il minimo bene cedibile, il giudice lo indirizzerà verso la liquidazione controllata invece (così almeno i creditori ricevono qualcosa). Inoltre, ottenuto il beneficio, il debitore non può sperare di riaverlo una seconda volta facilmente: come detto, la legge pone un freno di 5 anni e la necessità di eventi straordinari nuovi (es. una malattia improvvisa che genera nuovi debiti sanitari) per ripresentare istanza. Insomma, è un jolly da giocare una volta sola. Infine, i creditori potrebbero cercare di opporsi se sospettano che il debitore abbia in realtà qualche fonte di reddito non dichiarata (lavori informali, aiuti familiari). Il giudice valuterà caso per caso, potendo anche rigettare la domanda se percepisce poca sincerità. Nella prassi, comunque, i Tribunali italiani hanno iniziato ad applicare questa norma con equilibrio: ad esempio, il Tribunale di Torino (29 dicembre 2021) ha concesso l’esdebitazione a una persona nullatenente con oltre €100.000 di debiti, riconoscendone la meritevolezza e sottolineando come anche la presenza di ingenti debiti fiscali non impedisca il beneficio qualora il debitore abbia agito onestamente e non abbia prospettive di pagare. Questo orientamento fa capire che la finalità umanitaria dell’istituto viene tenuta in considerazione.
Quando richiedere l’esdebitazione incapiente? Subito, verrebbe da dire, se si è un debitore completamente sul lastrico senza vie d’uscita. In realtà, conviene valutare attentamente: bisogna essere sicuri che non si possano ricavare utilità per i creditori, altrimenti il giudice rigetterà la domanda. Pertanto, prima di presentare istanza, il debitore farà bene a farsi assistere da un OCC per analizzare la propria situazione: se ad esempio emerge che con un piccolo lavoretto potrebbe pagare almeno qualcosa, forse è preferibile tentare un piano con un pagamento simbolico. L’esdebitazione pura è per situazioni di povertà assoluta. È bene richiederla quando tutti i beni sono già stati eventualmente escussi e non si ha davvero alcun reddito né prospettiva immediata. Ad esempio: un anziano solo, indebitato per aver fatto da garante ai figli, che vive di pensione sociale in affitto – questo è il candidato tipico. Oppure un giovane senza lavoro né supporto familiare, che ha accumulato debiti formativi o personali e non vede modo di uscirne. In questi casi muoversi celermente per l’esdebitazione è consigliato, perché permette di cancellare i debiti e magari accedere a misure assistenziali senza timore che vengano pignorate. Anche per chi ha subito una liquidazione controllata ma non ha ottenuto l’esdebitazione (caso raro, ma poniamo un debitore che non abbia avuto il beneficio perché accusato di scarsa collaborazione), la legge consente comunque di chiedere l’esdebitazione dell’incapiente trascorso un anno. Quindi può essere un rimedio postumo anche per chi è uscito malamente da una procedura concorsuale senza liberarsi dai debiti.
Abbiamo passato in rassegna le procedure previste e i loro campi di applicazione: Piano del consumatore per i debiti personali, Concordato minore per i debiti d’impresa di chi non fallisce, Liquidazione controllata per chi deve liquidare i beni, ed Esdebitazione incapiente per i casi disperati. Possiamo ora sintetizzare in una tabella comparativa le caratteristiche delle quattro procedure, per avere un colpo d’occhio su requisiti, durata ed effetti:
Tabella 2 – Confronto tra le procedure di sovraindebitamento (aggiornate al 2025)
Procedura | Destinatari principali | Chi approva? | Contenuto | Durata tipica | Esito finale |
---|---|---|---|---|---|
Piano del consumatore (Ristrutturazione debiti ex art. 67 CCII) | Consumatori (persone fisiche non imprenditori). Debiti di natura personale (famiglia, credito al consumo, mutui). | Tribunale (omologa giudiziale) senza voto creditori, salvo eventuali opposizioni. | Piano di pagamento/dilazione dei debiti, con possibili stralci e ristrutturazioni. Richiede meritevolezza e sostenibilità. | Procedura di omologa: ~4-6 mesi. Esecuzione del piano: variabile (di solito 3-5 anni di pagamenti rateali). | Esdebitazione dei debiti residui a fine piano, se eseguito regolarmente. Blocco delle azioni esecutive durante la procedura. Debitore conserva i beni non destinati al piano. |
Concordato minore (artt. 74-83 CCII) | Imprenditori sotto soglia, professionisti, lavoratori autonomi, ex imprenditori, imprese agricole (soggetti non fallibili con debiti d’impresa). | Creditori (voto favorevole di ≥50% crediti votanti) + Omologa del Tribunale. Cram-down possibile su opposizioni e voto Erario. | Proposta di accordo: pagamento parziale dei debiti con risorse presenti o future. Possibile continuità aziendale (debitor mantiene attività). Gestione e controllo OCC/commissario. | Omologa dopo ~6-12 mesi (dipende da voto creditori). Esecuzione piano: tempi variabili (spesso 3-5 anni di adempimento, ma anche meno se è liquidatorio in breve). | Esdebitazione a termine se il piano è adempiuto. Durante la procedura: misure protettive, sospensione azioni esecutive. Il debitore può proseguire l’attività (in continuità) sotto controllo. Se piano non approvato o violato, possibile ripiego in liquidazione. |
Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) | Qualsiasi debitore sovraindebitato con patrimonio liquidabile (consumatore o impresa non fallibile) che non riesce a proporre un piano soddisfacente. | Tribunale (apre la liquidazione con decreto). Nessun voto dei creditori (partecipano solo al riparto). | Liquidazione integrale dei beni del debitore. Un liquidatore nominato vende i beni e distribuisce il ricavato secondo la legge. Il debitore spossessato dei beni (salvo quelli necessari e impignorabili). | Dipende dall’attivo: in media 1-2 anni per vendere beni e ripartire somme (procedure semplici). Può protrarsi di più se vi sono immobili complessi da alienare. | Esdebitazione possibile su istanza al termine (liberazione da debiti residui), purché il debitore abbia cooperato lealmente. Durante la liqu. il debitore è protetto da azioni individuali. Procedura conclusa con decreto di chiusura e riparti effettuati. |
Esdebitazione dell’incapiente (art. 283 CCII) | Persone fisiche nullatenenti e senza reddito. Tipico: debitori in povertà assoluta, impossibilitati a offrire qualunque utilità ai creditori. | Tribunale (decreto di esdebitazione) senza pagamento. Creditori possono opporsi entro 30 giorni. | Istanza individuale: cancellazione totale dei debiti senza nessuna liquidazione. Richiede rigorosi requisiti di meritevolezza e incapacità economica permanente. Documentazione e relazione OCC obbligatorie. | Procedura molto rapida: ~2-3 mesi per ottenere il decreto (in assenza di opposizioni) essendo essenzialmente un accertamento. Monitoraggio post-decreto per 4 anni su possibili sopravvenienze. | Esdebitazione immediata di tutti i debiti (eccetto quelli non ammessi per legge). Il debitore è libero dai debiti subito. Obbligo però di segnalare miglioramenti economici entro 4 anni e pagare eventualmente una quota ai creditori. Procedura concessa al massimo una volta (ripetibile dopo 5 anni solo in casi eccezionali). |
(Legenda: CCII = D.Lgs. 14/2019 “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza”; OCC = Organismo di Composizione della Crisi; “sotto soglia” = non superante parametri art. 2, co.1, lett. d, CCII; cram-down = omologazione forzata nonostante dissenso di alcuni creditori.)
Dalla tabella appare chiaro come ciascun istituto abbia la sua vocazione specifica: il piano e il concordato puntano a ristrutturare i debiti mantenendo, se possibile, attivo il contribuente o l’azienda; la liquidazione punta a estinzione dei debiti tramite patrimonio; l’esdebitazione incapiente è un salvacondotto umanitario per i casi disperati. La scelta tra queste dipende sempre dalla situazione concreta del debitore: quanta capacità di rimborso ha, che tipo di debiti, quali beni possiede, quali obiettivi (salvare l’attività? Salvare la casa? O non ha nulla da salvare?). Nei prossimi paragrafi affronteremo alcune problematiche comuni trasversali alle procedure – come l’accesso all’esdebitazione, le valutazioni di meritevolezza, la continuità aziendale, le procedure congiunte familiari – per poi illustrare casi pratici (simulazioni) e rispondere alle domande frequenti.
Problematiche ricorrenti e aspetti pratici
Nella gestione delle crisi da sovraindebitamento sorgono spesso alcune questioni critiche e dubbi applicativi. Affrontiamo i principali, fornendo chiarimenti utili tanto al debitore quanto al professionista che lo assiste.
Accesso al beneficio dell’esdebitazione e debiti esclusi
Esdebitazione significa liberazione dai debiti residui: è il traguardo fondamentale di tutte queste procedure, poiché concede al debitore la tanto auspicata “fresh start”. Comprendere come e quando si ottiene l’esdebitazione è cruciale:
- Esdebitazione a fine procedura: Nel piano del consumatore e nel concordato minore, l’esdebitazione si consegue dopo l’esecuzione completa di quanto promesso. Il Tribunale, con decreto o sentenza, attesta che il debitore ha adempiuto al piano concordato e lo dichiara esdebitato dalle obbligazioni ancora non soddisfatte. Ad esempio, se il piano prevedeva di pagare il 40% di ogni debito, una volta pagato quel 40%, il restante 60% viene cancellato. È importante notare che il debitore deve chiedere l’esdebitazione (di solito contestualmente all’attestazione di avvenuto adempimento); non avviene automaticamente senza un provvedimento formale. Nel concordato, l’omologazione chiude la procedura ma l’esdebitazione giunge dopo l’esecuzione: in altri termini, l’omologa non estingue i debiti (li “congela” secondo i termini del piano), la liberazione arriva solo con il decreto finale che prende atto del completamento. Se il debitore non riesce a completare i pagamenti, di norma non avrà diritto all’esdebitazione: i debiti originari (detratto quanto eventualmente pagato) tornano esigibili per intero. Data l’importanza di questo esito, le norme consentono in alcuni casi di salvare parzialmente il risultato: ad esempio, se l’inadempimento del piano è lieve o scusabile, il giudice potrebbe concedere l’esdebitazione ugualmente, oppure il debitore potrebbe proporre modifiche correttive prima di un eventuale revoca dell’omologa. Tuttavia, la regola generale rimane: niente esdebitazione senza adempimento (fatta eccezione per la procedura incapienti, di cui diremo).
- Esdebitazione nella liquidazione controllata: qui l’esdebitazione è sganciata dalla soddisfazione integrale dei creditori. Il debitore, dopo aver ceduto tutti i beni e collaborato, ha diritto di chiedere l’esdebitazione anche se i creditori hanno ricevuto solo una minima parte dei loro crediti (cosa che anzi è frequente). Il Tribunale valuta soprattutto la condotta del debitore: se è stato leale, trasparente e diligente nella procedura di liquidazione, concederà il beneficio, altrimenti può negarlo. Le cause di diniego esplicite sono: frode ai creditori, comportamento ostruzionistico durante la liquidazione, e come visto già aver ottenuto un’esdebitazione recente (ultimi 5 anni) o più di due volte. Ad esempio, se durante la liquidazione si scopre che il debitore aveva occultato dei gioielli per non farli vendere, il giudice con ogni probabilità negherà l’esdebitazione a fine procedura. Viceversa, se il debitore ha consegnato tutto e si è comportato correttamente, pur avendo i creditori recuperato solo il 5%, verrà liberato dai restanti 95%. L’esdebitazione si formalizza con decreto motivato, su istanza del debitore dopo la chiusura della liquidazione. I creditori possono opporsi sostenendo magari che il debitore non meritava il beneficio, ma spetta a loro provare eventuali condotte fraudolente. La tendenza giurisprudenziale attuale è di concedere l’esdebitazione ogniqualvolta non vi siano elementi di malafede, in linea col principio di favorire il reinserimento economico del debitore persona fisica.
- Esdebitazione immediata (incapiente): come già analizzato, questo è un caso particolare in cui l’esdebitazione viene data subito, senza esecuzione di un piano o liquidazione. Qui il requisito di meritevolezza è al massimo livello: solo il debitore assolutamente meritevole ottiene il “perdono” integrale dei debiti senza pagare nulla. Dunque, l’accesso è più difficile. Ma una volta ottenuto, l’effetto è identico: cancellazione di tutti i debiti (salvo esclusi di legge). Il debitore incapiente, come visto, dovrà mantenere una condotta specchiata anche nei 4 anni dopo, segnalando eventuali miglioramenti economici. Se infrange questo dovere (ad es. non comunica un’eredità ricevuta), il beneficio può essere revocato su istanza dei creditori.
Debiti esclusi dall’esdebitazione: è fondamentale per il debitore sapere che non tutti i debiti possono essere “eliminati” con queste procedure. La legge tutela infatti alcuni crediti di natura particolare:
- Gli obblighi di mantenimento, alimenti e altre obbligazioni di natura familiare non sono soggetti a esdebitazione. Ciò significa, ad esempio, che un genitore che deve versare arretrati per mantenimento ai figli non può cancellare quel debito: anche dopo la procedura, resterà obbligato a pagare quegli arretrati (e a continuare i versamenti futuri). Questa scelta è coerente col fatto che si tratta di crediti a tutela di interessi primari (minori, coniuge debole) e non di “rischio di impresa” dei creditori.
- I debiti per risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale sono anch’essi esclusi. Ad esempio, se Tizio ha un debito derivante da una sentenza che lo condanna a risarcire un danno per aver causato un incidente stradale guidando ubriaco, quel debito non sarà cancellato dall’esdebitazione: la vittima potrà ancora pretendere il risarcimento (compatibilmente con le capacità di Tizio, ovviamente).
- Le sanzioni penali (multe, ammende conseguenti a reato) e le sanzioni amministrative pecuniarie (ad es. contravvenzioni, sanzioni pecuniarie dell’Antitrust, multe stradali) non accessorie a debiti estinti restano dovute. Se però sono accessorie a debiti cancellati (tipo interessi di mora su cartelle o soprattasse decadute), allora decadono insieme al principale. In pratica, la multa in sé non sparisce.
- Imposte e tasse: qui occorre distinguere. In passato c’erano forti limitazioni (nel concordato preventivo era vietato falcidiare l’IVA ad esempio). Nel sovraindebitamento, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime alcune preclusioni (come il divieto di includere l’IVA nel piano del consumatore), aprendo la strada a trattamenti dilazionati o ridotti anche dei debiti fiscali purché rispettosi di certi criteri. Con la riforma del 2022, è esplicitamente consentito il cram-down fiscale: ciò implica che debiti verso Erario e INPS possono essere compresi nei piani e anche subire stralci, se il giudice ritiene equo l’importo offerto. Dunque oggi un debito IVA o IRPEF può essere tagliato in un piano di sovraindebitamento, diversamente da quanto avveniva con la legge fallimentare. Tuttavia, se rimane inespresso (cioè nessuna quota pagata) e il debitore ottiene l’esdebitazione, c’è dibattito se l’IVA sia comunque da considerare esclusa (alcuni ritengono che il debito IVA potrebbe non essere esdebitabile per rispetto del diritto UE se non è stato minimamente soddisfatto; ma la normativa attuale non contiene eccezioni, quindi tende a includerla). Dato il complesso intreccio normativo, in genere nei piani si cerca di destinare almeno qualcosa ai debiti fiscali per superare possibili obiezioni di incostituzionalità o di ordine pubblico comunitario. Ad ogni modo, dopo l’esdebitazione il debitore non sarà più perseguibile per i tributi non pagati, salvo quelli specificamente esclusi per legge (ad es. l’IVA potrebbe non comparire nell’elenco degli esclusi attuali, quindi si estingue; le sanzioni tributarie pecuniarie invece rientrano nelle sanzioni amministrative e restano dovute).
- Debiti da dolo del debitore: la legge 3/2012 prevedeva la non esdebitabilità anche per i debiti derivanti da fatti criminosi dolosi del debitore. Nel CCII questa previsione non è espressa, ma di fatto se un debito deriva da reato e sfocia in una sanzione pecuniaria, rientra nelle multe (non cancellabili); se sfocia in risarcimento danni, rientra nell’illecito. Dunque la sostanza è coperta dai punti sopra.
È importante che il debitore conosca tali eccezioni: per esempio, non deve aspettarsi di liberarsi di debiti alimentari verso i figli – dovrà comunque pagarli con priorità, magari proprio grazie al sollievo ottenuto su altri fronti grazie alla procedura. Oppure, se ha multe stradali per migliaia di euro, sappia che quelle resteranno e converrà magari utilizzare la procedura per rateizzarle o farsele ridurre tramite rottamazioni fiscali parallele. In certi casi, potrebbe valutare opportuno escludere volontariamente dalla procedura alcuni debiti non cancellabili, accordandosi a parte: ad esempio, un marito potrebbe evitare di inserire nel piano l’assegno di mantenimento arretrato per i figli, preferendo pagarli separatamente in modo da non complicare la procedura (tanto non ne avrebbe comunque la cancellazione). Va detto comunque che l’esdebitazione non tocca i debiti futuri: se il debitore dopo la procedura contrae nuovi debiti o matura nuovi oneri (es. nuove tasse, nuove bollette, ecc.), quelli ovviamente restano a suo carico.
Valutazione della meritevolezza e comportamenti indebiti
Il concetto di meritevolezza del debitore ricorre più volte nella normativa sul sovraindebitamento, assumendo sfumature diverse a seconda della procedura. In generale, possiamo definirlo come l’assenza di comportamenti gravemente colpevoli o scorretti da parte del debitore nella genesi o gestione della propria situazione debitoria. Si tratta di un criterio etico-giuridico volto a concedere i benefici della legge (soprattutto l’esdebitazione) solo a chi ne sia moralmente degno, evitando abusi da parte di chi abbia fatto il “furbo” accumulando debiti con leggerezza o malizia.
Vediamo come incide la meritevolezza nelle varie fasi:
- Accesso al piano del consumatore: qui la meritevolezza è un requisito di ammissione stesso della procedura. Il Giudice, prima di omologare, deve valutare se il consumatore “non ha colpa grave o dolo” nel sovraindebitamento. Cosa significa in concreto? La legge 3/2012 usava l’espressione “cause del sovraindebitamento non imputabili a dolo o colpa grave”. Il CCII parla di mancanza di atti in frode e comportamento corretto. In pratica, il consumatore deve dimostrare di non aver provocato lui intenzionalmente la propria insolvenza: ad esempio, aver fatto debiti confidando fin dall’inizio di non pagarli, oppure continuare a ottenere credito pur sapendo di essere incapace di restituire (overborrowing doloso), oppure dissipare il patrimonio in spese voluttuarie invece di pagare i creditori. Se emergono elementi simili, il Tribunale nega l’omologa del piano perché il debitore non è meritevole. Un caso classico di non meritevolezza è il consumatore che ha falsificato documenti reddituali per ottenere prestiti o ha mentito ai creditori: qui la malafede preclude la procedura. Al contrario, il consumatore che ha perso il lavoro, o che si è indebitato per far fronte a spese mediche impreviste, o che semplicemente ha commesso errori veniali di calcolo (sovrastimando le proprie capacità di rimborso ma in buona fede), viene considerato meritevole. La giurisprudenza degli ultimi anni è diventata piuttosto sensibile: non richiede la “perfezione” al debitore, ma guarda se c’è stata diligenza media e assenza di intenzioni dolose. Ad esempio, contrarre troppi prestiti revolving può essere colposo, ma se l’ha fatto per pagare cure per un familiare malato, il contesto lo rende comprensibile e dunque scusabile. Importante: la valutazione si fa al momento dell’omologa, con i dati disponibili e la relazione OCC. Non di rado i giudici hanno omologato piani anche in situazioni borderline, preferendo dare al debitore la possibilità di redimersi piuttosto che punirlo ulteriormente per leggerezze pregresse. In ogni caso, il debitore farebbe bene a presentare la propria storia in maniera chiara e documentata, spiegando il perché è arrivato all’insolvenza e perché non è frutto di malafede. La relazione dell’OCC su questo è determinante: se il gestore attesta la meritevolezza, il giudice di solito la accoglie salvo evidenti elementi contrari.
- Concordato minore: formalmente, qui la legge non richiede un giudizio espresso di meritevolezza per l’ammissione. Ciò perché interviene il meccanismo del voto dei creditori: se il debitore è stato scorretto, saranno i creditori stessi probabilmente a rifiutare l’accordo. Tuttavia, in sede di omologa anche nel concordato il giudice considera eventuali comportamenti ostativi. Ad esempio, se un creditore contesta che il debitore ha distratto beni, il giudice può rifiutare l’omologa per violazione di legge (ricordiamo che la proposta deve rispettare la legge, e se il debitore ha fatto atti di frode ciò viola i principi generali). Inoltre, la meritevolezza incide sul beneficio dell’esdebitazione finale: se il debitore ha tenuto condotta scorretta, il giudice potrebbe omologare l’accordo (se i creditori l’hanno comunque accettato), ma poi negare l’esdebitazione a fine piano. Nella pratica, dunque, anche il piccolo imprenditore deve mantenere un comportamento corretto. Da notare che il Codice ha introdotto la regola sul merito creditizio del finanziatore: se i creditori hanno concesso incautamente credito a un debitore non meritevole (ad es. banca che sommerge di prestiti una persona già indebitata), la legge toglie loro voce sulle questioni di convenienza all’omologa. È un approccio bilaterale: la crisi non è sempre colpa solo del debitore, a volte i creditori istituzionali hanno favorito il sovraindebitamento (concedendo più fidi del dovuto), e in tal caso non possono poi bloccare la soluzione. Questo però non “perdona” il debitore dei suoi errori, semplicemente considera anche l’altra faccia della medaglia. In sede di concordato minore, il debitore deve evidenziare tutte le circostanze attenuanti del suo caso: es. se la banca ha dato credito facile, se lui ha cercato di ripianare vendendo beni (magari senza riuscirci), ecc., per dimostrare di aver agito con diligenza quantomeno nel tentare di onorare i debiti.
- Liquidazione controllata: qui la meritevolezza non è richiesta per aprire la procedura (chiunque può liquidare i propri beni, anche il debitore meno prudente del mondo). Tuttavia, come già evidenziato, la concessione dell’esdebitazione dipenderà dalla condotta tenuta dal debitore prima e durante la procedura. Se ha compiuto atti in frode (come donazioni di beni prima della domanda) o se ha violato gravemente i doveri di cooperazione (non ha consegnato documenti, ha mentito sui cespiti, ecc.), il giudice a fine liquidazione negherà l’esdebitazione, lasciandolo con i debiti residui. In più, la legge punisce certe condotte con sanzioni specifiche: ad es. l’art. 270 CCII prevede che se il debitore non segnala crediti sopravvenuti durante la liquidazione, tali beni vengono attribuiti comunque ai creditori. Insomma, la trasparenza è d’obbligo: il debitore non deve nascondere nulla. In dottrina si parla di “fresh start only for honest but unfortunate debtors” – solo il debitore onesto ma sfortunato merita una ripartenza. Il disonesto deve incappare nelle sanzioni e può vedersi respinta la liberazione dai debiti. Ad esempio, Cassazione 18609/2020 (sul vecchio art. 14-terdecies L.3/2012) ha confermato il rigetto dell’esdebitazione per un debitore che aveva contratto debiti in modo irresponsabile e tenuto comportamenti poco limpidi, affermando che la normativa non tutela il “furbetto” che approfitta della legge per cancellare debiti fatti con mala fede.
- Esdebitazione incapiente: qui, come ribadito, il livello di meritevolezza richiesto è massimo. La norma indica espressamente che il debitore non deve aver contribuito con dolo o colpa grave a creare il proprio indebitamento. In pratica, deve essere quasi “vittima” delle circostanze: tipici esempi considerati meritevoli sono chi ha perso il lavoro per crisi aziendale, chi ha affrontato spese mediche impreviste, chi ha garantito per un familiare ed è rimasto incastrato, chi ha subito una truffa o un fallimento altrui. Non è meritevole invece chi ha generato debiti con gioco d’azzardo, lusso eccessivo, speculazioni finanziarie azzardate, o chi ha frodato i creditori. Va detto che la valutazione può tener conto anche di condizioni psicologiche e sociali: ad esempio, talune sentenze considerano la ludopatia come malattia e dunque attenuante, non malafede (il giocatore patologico è visto come incapace di intendere appieno le conseguenze, quindi forse meritevole di aiuto). Ogni caso è a sé. Ma l’OCC e il giudice in questi casi usano davvero la lente di ingrandimento: concedere l’esdebitazione gratuita a qualcuno implica quasi “premiarlo” nonostante i debiti non pagati, quindi serve la certezza che non l’abbia fatto apposta. Le prime applicazioni note dell’art. 283 CCII confermano un approccio cauto ma non proibitivo: se il debitore è incensurato, ha sempre pagato quando poteva, e ora è in miseria per cause esterne, allora la meritevolezza c’è e l’esdebitazione viene data.
In sintesi, comportamenti da evitare assolutamente per non pregiudicare la procedura:
- Nascondere o distrarre beni prima o durante la procedura.
- Fornire dati falsi o incompleti su situazione economica e debiti.
- Contrarre nuovi debiti ingiustificati durante la crisi (es. continuare a usare carte di credito sapendo di essere insolventi).
- Compiere atti che favoriscono alcuni creditori a scapito di altri nel periodo pre-domanda (rischio revoca e accusa di frode).
- Tenere un atteggiamento non collaborativo con OCC e giudice (non rispondere alle richieste, non consegnare documenti, ecc.).
- Aver abusato in passato di procedure simili (es. se uno ha già avuto una esdebitazione poco tempo prima, come visto deve aspettare).
Al contrario, atteggiamenti virtuosi:
- Tentare di ridurre i debiti spontaneamente prima di ricorrere alla procedura (es. vendere beni superflui per pagare parzialmente i creditori, anche se non basta: mostra buona fede).
- Documentare con precisione tutte le cause del proprio indebitamento, anche quelle “spiacevoli” (meglio ammettere errori che nasconderli).
- Dimostrare di aver privilegiato il necessario sul voluttuario: se uno ha debiti perché ha mantenuto gli studi dei figli sacrificando il pagamento delle carte di credito, appare meritevole; se li ha perché ha fatto viaggi esotici a rate mentre non pagava l’affitto, appare meno meritevole.
- Durante la procedura, rispettare scrupolosamente tutte le prescrizioni: depositare gli importi dovuti in piano nei tempi, consegnare ogni documento richiesto, segnalare ogni cambiamento (ad es. se si trova lavoro, dirlo subito all’OCC, che magari adeguerà il piano se necessario).
Va infine ricordato che la meritevolezza, sebbene concetto elastico, non deve spaventare il debitore onesto. L’intento del legislatore non è punire chi ha commesso qualche errore – tutti possono sovrastimare le proprie capacità o fare scelte economiche sbagliate – ma filtrare fuori chi ha approfittato dolosamente del credito o chi vuole scaricare sul sistema le conseguenze di una condotta deliberatamente scorretta. Quindi, il consiglio pratico al debitore è: sii trasparente e mostra la tua buona fede. Se hai sbagliato, spiega perché e mostra cosa hai imparato o cosa stai facendo per rimediare (anche solo impegnarti a seguire il piano è indice di volontà di rimediare). Così facendo, la legge ti darà una seconda opportunità.
Continuità aziendale e salvaguardia dei beni essenziali
Uno degli obiettivi delle procedure di sovraindebitamento, specie per i piccoli imprenditori, è evitare la distruzione di valore che deriverebbe dalla cessazione delle attività economicamente valide. In pratica, privilegiare la ristrutturazione con continuità rispetto alla liquidazione, quando ciò offre maggior vantaggio anche ai creditori. Abbiamo già illustrato come il concordato minore permetta la prosecuzione dell’attività aziendale: questo aspetto merita di essere enfatizzato con qualche dettaglio operativo.
- Piano in continuità nel concordato minore: Il debitore può presentare un piano in cui dichiara che intende continuare l’impresa, utilizzando i profitti futuri per pagare i creditori. Questo implica che non tutti i beni saranno venduti immediatamente: i beni strumentali all’esercizio (macchinari, scorte, sede operativa) restano nella disponibilità del debitore per permettergli di lavorare. Ad esempio, un camionista sovraindebitato potrebbe proporre di tenere il suo camion (senza venderlo in liquidazione) e di usare i guadagni delle sue consegne nei prossimi 5 anni per pagare i creditori in percentuale. Oppure un agricoltore indebitato mantiene il trattore e coltiva i campi, destinando ai creditori una quota del raccolto per alcuni anni. Questa impostazione richiede una accurata verifica di fattibilità: il gestore OCC redige un attestazione simile a quella del professionista nel concordato preventivo, dove dichiara se i flussi di cassa previsti sono realistici, se i costi di prosecuzione sono sostenibili, ecc. I creditori voteranno anche in base a tale rapporto: se credono che la continuità funzioni e diano loro più soldi rispetto a una chiusura, saranno incentivati ad approvare. Il tribunale, come visto, può anche omologare d’ufficio se la convenienza c’è.
- Mantenimento dei beni essenziali: Un vantaggio indiretto di un piano in continuità è che il debitore può salvaguardare alcuni beni a cui tiene, se essi sono effettivamente funzionali all’attività o comunque necessari. Ad esempio, la casa di abitazione di un imprenditore può essere salvata se viene destinata (anche parzialmente) a garanzia del piano. In passato, alcuni tribunali hanno accettato piani dove la casa non veniva venduta subito ma magari ipotecata a favore dei creditori, consentendo al debitore di conservarla se onorava il piano. Il Codice non lo vieta, purché i creditori non ci perdano economicamente. Un altro esempio: l’automobile di un privato in un piano del consumatore – se serve per andare al lavoro, il giudice spesso consente di mantenerla ed eventualmente soddisfare i creditori in altro modo (es. con stipendio), perché vendere l’auto per pagare pochi spicci sarebbe controproducente alla stessa capacità del debitore di generare reddito.
- Nuova finanza per la continuità: come detto, il concordato minore ammette di contrarre finanziamenti prededucibili per attuare il piano. Ciò significa che un debitore può chiedere, ad esempio, a un parente o a un investitore di prestare soldi all’azienda durante la procedura, con la garanzia che tali prestiti saranno rimborsati prima degli altri debiti (quindi il finanziatore è più tranquillo). Questo può servire a coprire spese immediate: si pensi a un’impresa edile che deve concludere un appalto per incassare un corrispettivo utile a pagare i creditori. Potrebbe avere bisogno di liquidità per comprare materiali; un finanziatore glieli anticipa sapendo che verrà rimborsato prima con i ricavi dell’appalto. Il tribunale deve autorizzare questa finanza, valutandone la necessità e l’utilità per i creditori (non deve essere uno stratagemma per indebitarsi di più inutilmente, ovvio). In alcuni casi, anche i soci dell’impresa (se c’è una società “sotto soglia”) possono apportare capitali freschi nel piano con lo stesso privilegio di prededuzione.
- Gestione dei rapporti pendenti: se l’impresa ha contratti in corso (affitto di locali, leasing di macchinari, contratti con clienti), il Codice consente di regolarli in modo analogo alla liquidazione giudiziale. Ad esempio, il debitore può chiedere l’autorizzazione a sciogliere contratti onerosi che non servono più o al contrario a continuare quelli essenziali (il liquidatore in liquidazione controllata ha poteri simili). Questo evita che l’azienda in concordato sia appesantita da obblighi inutili. Ad esempio, un ristorante che chiude uno dei due punti vendita può sciogliere il contratto di affitto relativo a quello chiuso per ridurre i costi, continuando invece l’affitto dell’altro locale che rimane aperto.
- Salvaguardia dell’occupazione: la continuità nel concordato minore può anche preservare posti di lavoro. Se l’azienda avesse dipendenti, con la liquidazione questi perderebbero l’impiego, mentre col concordato in continuità potrebbero conservarlo (almeno in parte). Questo elemento può spingere i creditori (e il tribunale) ad essere più favorevoli verso soluzioni di concordato, specialmente quando tra i creditori ci sono enti pubblici o istituti che hanno sensibilità verso le ricadute sociali.
- Procedura familiare in continuità: un caso interessante potrebbe essere quello di una famiglia in cui uno dei membri ha l’attività principale e altri gli sono coobbligati o garanti. La procedura familiare unificata (art. 66 CCII) permette di presentare un unico piano che coinvolge, ad esempio, marito imprenditore e moglie garante. In tale scenario, la continuità aziendale giova a entrambi: il marito continua l’impresa che genera reddito per pagare i debiti, e la moglie come garante beneficia del pagamento concordatario per non subire escussioni. Il piano congiunto evita conflitti (non accade che i creditori accettino il concordato dell’impresa ma poi pretendano comunque dalla moglie garante l’intero debito, aggirando l’accordo – cosa che potrebbe capitare in assenza di un vincolo sul garante, ma qui come visto si può inserire limite all’azione sui coobbligati).
Ovviamente, non sempre la continuità è percorribile. Ci sono casi in cui l’attività è palesemente non redditizia o il mercato è perduto, per cui insistere sarebbe solo procrastinare l’inevitabile. In tali situazioni, è più onesto e utile procedere con una liquidazione ordinata. D’altronde, la legge stessa parla di “proposta sostenibile” e fattibile: i piani in continuità velleitari verranno respinti dai creditori o dal giudice. Quindi, un debitore e il suo consulente devono valutare con realismo: posso davvero far sopravvivere l’azienda e pagare almeno una parte significativa dei debiti? Se sì, il concordato minore è la strada giusta. Se no, meglio liquidare.
Un tema correlato è la salvaguardia di beni specifici come la prima casa. Molti debitori sovraindebitati sono terrorizzati dall’idea di perdere la casa di abitazione. Le procedure di sovraindebitamento non offrono una protezione automatica della prima casa (non c’è una homestead exemption generalizzata come in alcuni ordinamenti anglosassoni). Tuttavia:
- Nel piano del consumatore o nel concordato, il debitore può strutturare la proposta in modo da evitare la vendita della casa, ad esempio impegnandosi a pagare integralmente il mutuo ipotecario in essere (così la banca è soddisfatta e non c’è bisogno di vendere l’immobile) e destinando altre risorse ai creditori chirografari. Finché i creditori ottengono in altro modo almeno quanto avrebbero da una vendita forzata della casa, possono accettare che il debitore la mantenga. Non è garantito, ma è possibile negoziarlo.
- Se sulla casa grava un’ipoteca e il creditore ipotecario non viene soddisfatto altrove, allora probabilmente la casa dovrà essere valorizzata in qualche modo nella procedura (venduta o assegnata). Il debitore può magari trovare un parente disposto a riscattarla (acquistandola all’asta concordataria) o un accordo per rifinanziare il debito e tenerla. Non c’è una regola fissa: in alcuni casi i tribunali hanno omologato piani dove la casa veniva ceduta a un fondo e affittata al debitore, in modo da soddisfare i creditori e far restare il debitore in casa come inquilino. Sono soluzioni creative possibili solo con il consenso di tutti gli attori.
- Nella liquidazione controllata, la casa di proprietà viene venduta salvo che abbia valore trascurabile (il che è raro per una casa, a meno che sia gravata da ipoteca per un importo pari o superiore al valore, caso in cui però la vendita all’asta potrebbe nemmeno coprire il mutuo e i creditori chirografari non guadagnerebbero nulla – in situazioni del genere talvolta si preferisce lasciare la casa al debitore, ma è delicato). Non esiste nel nostro ordinamento un diritto assoluto a conservare la prima casa nei casi di sovraindebitamento. Tuttavia, il debitore esdebitato potrà ricominciare senza debiti e magari un domani acquistare un nuovo alloggio con mezzi propri. Uno scenario plausibile è: la casa viene venduta, il ricavato va alle banche, il debitore rimane senza casa ma anche senza debiti, e con l’affitto (o cercando alloggio altrove) va avanti. Non è piacevole, ma a volte inevitabile.
In conclusione, la continuità aziendale e la preservazione dei beni essenziali sono obiettivi raggiungibili nel quadro delle procedure di sovraindebitamento, ma subordinati alla sostenibilità economica e all’accordo (o convenienza) dei creditori. Il debitore che tenga particolarmente a proseguire la sua attività o a non perdere certi beni dovrà costruire, insieme ai professionisti, un piano che convinca i creditori che questa scelta conviene anche a loro più di una liquidazione immediata. Fortunatamente, il Codice attuale fornisce strumenti flessibili per farlo, e l’esperienza insegna che i creditori (banche incluse) sono spesso disponibili ad accettare soluzioni di lungo periodo e parziali se vedono impegno e trasparenza da parte del debitore.
Aspetti procedurali pratici: OCC, tempi e costi
Chi decide di “chiedere il sovraindebitamento” si troverà davanti anche a una serie di aspetti pratici e burocratici da gestire. Vediamo i principali:
- Ruolo dell’OCC e del Gestore: l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) è un ente terzo, iscritto in un registro ministeriale, deputato ad assistere i debitori nelle procedure. Gli OCC sono istituiti presso vari enti (Camere di Commercio, Ordini degli Avvocati o dei Commercialisti, fondazioni, etc.). Il debitore deve rivolgersi a un OCC competente per territorio (di solito nella propria provincia di residenza o sede). La prima istanza infatti è proprio la richiesta di nomina di un Gestore della crisi: il debitore invia una PEC all’OCC con i propri dati e la richiesta di essere ammesso alla procedura prescelta. L’OCC designa quindi un professionista individuale, detto gestore, che seguirà il caso. Il Gestore avrà compiti diversi a seconda della procedura:
- Nel piano del consumatore e concordato minore, il gestore aiuta a redigere la proposta/piano e compila la relazione particolareggiata di accompagnamento (sulla situazione debitoria, cause, meritevolezza, ecc.). Diventa poi una sorta di commissario che supervisiona la fase di omologazione e successiva esecuzione (nel concordato, se nominato commissario dal giudice; nel piano del consumatore funge da ausilio tecnico al giudice).
- Nella liquidazione controllata, il gestore può venire nominato dal tribunale come liquidatore (spesso succede, per continuità) oppure può coadiuvare il liquidatore se ne viene nominato un altro. In ogni caso, prepara l’inventario, lo stato passivo e svolge molta parte operativa.
- Nell’esdebitazione incapiente, il gestore scrive la relazione e funge da garante che la situazione sia effettivamente quella dichiarata. Dopo l’eventuale decreto di esdebitazione, l’OCC rimane coinvolto per i 4 anni di monitoraggio (il gestore vigila sulle dichiarazioni annuali del debitore).
- Tempi della procedura: la durata complessiva dipende dalla complessità del caso e dalla procedura scelta, come da tabella riassuntiva sopra. Indicativamente:
- Dalla presentazione della domanda all’OCC alla presentazione in tribunale passa un tempo variabile: può essere breve (1-2 mesi) se il debitore ha già tutti i documenti pronti e la situazione è semplice; può richiedere diversi mesi (4-6) se ci sono molti creditori, se servono perizie (es. valutazione di immobili), se vanno raccolti dati mancanti. Va considerato il carico di lavoro dell’OCC: alcuni OCC evadono le pratiche rapidamente, altri hanno meno personale e impiegano più tempo. Il debitore può agevolare questo processo fornendo immediatamente un fascicolo completo con: elenco creditori e relative documentazioni (estratti conto, finanziamenti, atti di mutuo, cartelle esattoriali, ecc.), elenco beni con documenti di proprietà, lastre reddituali (730/CUD, estratti conto bancari recenti), stato di famiglia, eventuali atti notarili (compravendite, donazioni fatte, ecc.). Più il gestore ha informazioni, più scriverà in fretta la relazione.
- Una volta depositato il ricorso in tribunale, la fissazione dell’udienza o la decisione può richiedere qualche settimana. Spesso per piani e concordati si tiene un’udienza con comparizione del debitore e del gestore per chiarimenti e per esaminare eventuali opposizioni. Dall’udienza, il provvedimento di omologa può arrivare entro poche settimane se tutto è regolare. Dunque, l’intera fase giudiziale di ammissione/omologa può stimarsi in 2-4 mesi mediamente. In alcuni tribunali più intasati potrebbe volerci di più, ma il Codice incoraggia la snellezza.
- L’esecuzione del piano poi si svolge nei tempi previsti dal piano stesso (possono essere mesi o anni). Durante tale fase, il tribunale interviene solo per eventuali istanze (es. nomina di un oculatore se occorre vendere un immobile in un concordato; risoluzione del concordato se il debitore inadempie; emissione del decreto di esdebitazione finale).
- La liquidazione controllata è più imprevedibile: se ci sono immobili da vendere, i tempi dipendono dalle aste (potrebbero volerci diversi tentativi e quindi anni). Se ci sono solo conti e pochi beni mobili, può chiudersi in pochi mesi. Diciamo che la maggior parte si chiude entro 1-2 anni.
- L’esdebitazione dell’incapiente è la più rapida: una volta depositata la relazione OCC, il giudice può decidere anche in poche settimane con decreto. È ragionevole pensare a 2-3 mesi in tutto (salvo ingorghi di ruolo). Poi c’è il periodo di 30 giorni per eventuali opposizioni. Se nessuno si oppone, il decreto diventa definitivo.
- Piano del consumatore: 6-12 mesi per ottenere omologa; più durata del piano (es. 4 anni) per esecuzione; quindi 4-5 anni fino all’esdebitazione finale. Se il piano è breve (es. paga tutto in 12 mesi), allora 1-2 anni totali.
- Concordato minore: 6-12 mesi per omologa (compreso eventuale voto creditori); poi durata piano (spesso 3-5 anni). Quindi 4-6 anni totali fino all’esdebitazione.
- Liquidazione: 1-2 anni per liquidare, più poco tempo per esdebitazione (il decreto è quasi contestuale alla chiusura). Totale 1-3 anni di solito.
- Incapienti: 0.5-1 anno per ottenere l’esdebitazione, poi 4 anni di monitoraggio (dove però il debitore è già libero, salvo dover pagare se spuntano soldi).
- Costi della procedura: affrontare una procedura concorsuale ha dei costi, ma la legge cerca di contenerli per il debitore:
- L’OCC ha diritto a un compenso per l’opera prestata. I compensi sono stabiliti dal DM 202/2014, in misura abbastanza calmierata rispetto alle procedure fallimentari. Per esempio, per un piano del consumatore con debiti modesti, il compenso del gestore potrebbe essere qualche migliaio di euro (spesso è proporzionale all’importo dei debiti e all’attivo gestito). Questo compenso viene generalmente pagato all’interno della procedura: cioè il piano deve prevedere anche la soddisfazione del compenso OCC come credito prededucibile. Nei piani e concordati, il gestore può chiedere un acconto iniziale a carico del debitore per coprire le spese vive e un minimo di onorario, ma molti OCC non lo pretendono e si fanno pagare solo a conclusione. Nella liquidazione controllata, il liquidatore si paga con i beni liquidati (una percentuale). Nell’esdebitazione incapiente, come detto, il nuovo Fondo coprirà le spese OCC, quindi il debitore nullatenente non deve sborsare nulla.
- Ci sono poi i contributi di giustizia: il deposito del ricorso in Tribunale richiede il pagamento di un contributo unificato (attualmente €98) e marca da bollo (€27), spese di registro minime insomma. Inoltre, se c’è pubblicazione su registri ufficiali o notifica a tutti i creditori, potrebbero esservi spese postali, etc. Nel complesso, parliamo di poche centinaia di euro di spese vive per la procedura, a volte anticipate dall’OCC e poi recuperate.
- Se il debitore si avvale di un avvocato di fiducia o consulente oltre all’OCC, dovrà considerare il compenso di tale professionista (non obbligatorio, ma spesso consigliabile avere un legale per interfacciarsi con i creditori e il tribunale). Molti debitori si affidano solo all’OCC; altri preferiscono farsi seguire da un avvocato sin dall’inizio che li aiuti a predisporre la pratica e li rappresenti in eventuali giudizi. I costi qui variano con il professionista e possono a volte essere inseriti nel piano come spese prededucibili (sebbene non sempre).
- Fondo di incapienti: come visto, il fondo istituito dal 2025 mira a pagare OCC e gestori nei casi in cui il debitore non può permetterselo. Fino all’attuazione di questo fondo, capitava che i gestori lavorassero a rischio di non essere pagati (specie se la procedura non produceva attivo). Ora dovrebbe esserci copertura per incentivare anche i casi “poveri” ad essere seguiti.
- Registro dei procedimenti e pubblicità: un dubbio frequente è: “Questa procedura verrà resa pubblica? Sarò schedato da qualche parte come insolvente?”. Ebbene, l’apertura di un sovraindebitamento è soggetta a pubblicità legale: viene iscritta nel Registro pubblico delle procedure di insolvenza (tenuto dai tribunali) e, se riguarda un imprenditore, potrebbe essere annotata anche nel Registro delle Imprese. Inoltre, i creditori vengono formalmente informati. Non c’è però una pubblicazione sui giornali o presso i Comuni, come avveniva in passato per i fallimenti. Il Registro è consultabile da soggetti autorizzati o interessati. Questo significa che la procedura non è del tutto “discreta”, ma nemmeno esposta al pubblico ludibrio: in pratica, chi potrebbe venirlo a sapere sono gli addetti ai lavori (banche, finanziarie, altri creditori, magari futuri finanziatori se faranno visure). Dal punto di vista del merito creditizio, certamente comparirà nelle banche dati che il soggetto ha avuto una ristrutturazione dei debiti: ciò comporterà difficoltà ad ottenere nuovi finanziamenti per qualche anno, ma d’altro canto una volta esdebitato il soggetto è anche riabilitato (ad esempio, se era protestato per assegni, potrà ottenere la riabilitazione, e superato un certo tempo potrà rifarsi una storia creditizia pulita). Consideriamo che un soggetto sommerso dai debiti e magari con pignoramenti in corso è già segnalato negativamente nelle banche dati; paradossalmente completare la procedura e ottenere l’esdebitazione può metterlo in condizione di ripartire con un “censimento” creditizio migliore (zero debiti a carico, anche se uno storico di insolvenza pregressa rimarrà per un po’). Inoltre, il Codice stesso prevede la cancellazione dopo 5 anni da eventuali registri dei dati relativi alle procedure di sovraindebitamento, per non marchiare a vita il debitore.
In termini pratici, ecco un possibile percorso semplificato per un debitore che decide di attivarsi:
- Consulenza preliminare: il debitore può informarsi presso un OCC (molti forniscono consulenza di primo orientamento gratuita o a basso costo) oppure da un legale di fiducia per capire se può accedere e quale procedura conviene.
- Raccolta documenti: preparare l’elenco di tutti i debiti (chiedendo anche saldi aggiornati ai creditori, se possibile), e l’elenco di tutti i redditi/beni. Preparare anche un piccolo budget familiare se è un consumatore (entrate mensili e spese fisse), utile per tarare un eventuale piano.
- Presentazione istanza OCC: inviare istanza di nomina gestore all’OCC competente. Allegare documento d’identità e codice fiscale, magari già un elenco creditori di base. Alcuni OCC hanno moduli online da compilare.
- Incontro con Gestore: una volta nominato, incontrare (fisicamente o per call) il gestore, consegnare i documenti richiesti, rispondere alle domande su cause indebitamento, ecc. Da qui uscirà la scelta finale della procedura (il gestore potrebbe consigliare: “meglio fare liquidazione, il piano non regge”, oppure viceversa).
- Redazione piano/ricorso: in collaborazione con debitore e eventuale suo avvocato, il gestore prepara l’atto da depositare in tribunale: contenente proposta, stato dettagliato, relazione. Il debitore lo sottoscrive se richiesto.
- Fase giudiziale: il tribunale emette i provvedimenti (nomina commissario, convoca udienza per omologa, emette decreto di apertura liquidazione, ecc. a seconda). Il debitore dovrà comparire se convocato e confermare la volontà di procedere.
- Esecuzione: se piano omologato, iniziare a pagare secondo scadenze concordate (il gestore controllerà). Se concordato in corso, collaborare col commissario. Se liquidazione aperta, consegnare i beni al liquidatore (es. mettere a disposizione l’immobile, magari lasciandolo secondo accordi, consegnare libretto auto, etc.).
- Chiusura ed esdebitazione: a fine iter, presentare istanza di esdebitazione (spesso la predispone l’OCC automaticamente per il consumatore; per la liquidazione è un ricorso a parte su modulo). Attendere il decreto di esdebitazione e… archiviare finalmente i vecchi debiti!
Simulazioni pratiche
Per comprendere meglio “quando chiedere il sovraindebitamento” e con quali prospettive, presentiamo alcune simulazioni pratiche ispirate a casi reali. In ciascuna descriveremo la situazione di partenza (debiti, reddito, beni), la procedura scelta e il suo svolgimento, con i ruoli coinvolti e gli esiti possibili.
Caso 1: Mario, consumatore indebitato che salva la casa con un Piano del Consumatore
Situazione iniziale: Mario ha Forty-five anni, impiegato pubblico con stipendio netto di €1.500/mese. Dieci anni fa ha comprato casa con un mutuo; rata €600/mese, residuo debito mutuo €80.000. Purtroppo, in seguito a spese mediche per un familiare e a un periodo di cassa integrazione, Mario ha accumulato debiti con alcune finanziarie: 3 prestiti personali per un totale di €40.000 (rate mensili complessive €500) e utilizza spesso la carta di credito (saldo revolving di €5.000). Inoltre ha €10.000 di bollette arretrate e spese condominiali non pagate. In totale, Mario ha circa €55.000 di debiti chirografari oltre al mutuo ipotecario sulla casa. Ha già saltato diverse rate e i creditori lo tempstano di solleciti; uno dei finanziatori ha ottenuto un decreto ingiuntivo. Mario non riesce più a sostenere €1.100 di rate mensili (600 mutuo + 500 prestiti) con uno stipendio di 1.500, dovendo mantenere sé e la famiglia. Rischia a breve il pignoramento di 1/5 dello stipendio e magari l’esecuzione ipotecaria sulla casa (la banca ha minacciato di agire se continua a saltare rate). Mario è spaventato di perdere l’abitazione e di non poter uscire dalla spirale del debito.
Soluzione proposta: Mario si rivolge all’OCC presso la Camera di Commercio locale. Il gestore, analizzati i conti, propone un Piano del consumatore. L’idea chiave è: salvare la casa e ridurre il peso delle rate dei finanziamenti. Mario infatti può permettersi di pagare circa €700 al mese in totale (lasciandogli il necessario per vivere), quindi non abbastanza per coprire mutuo + prestiti come da contratti, ma sufficiente per un piano rivisto. Il piano viene costruito così:
- Conservazione del mutuo ipotecario: Mario chiede di continuare a pagare regolarmente la rata mutuo di €600 al mese. In questo modo la banca ipotecaria viene soddisfatta integralmente, anche se dilazionata in futuro secondo contratto. La banca quindi non subisce perdite e non avrà motivo di opporsi (anzi, preferisce questo piuttosto che dover espropriare casa e forse non recuperare tutto).
- Stralcio parziale dei debiti chirografari: per gli altri €55.000 di debiti (finanziarie, carte, bollette), il piano prevede che Mario paghi solo una parte: offre €150 al mese per 5 anni, quindi €9.000 in totale, da suddividere proporzionalmente tra tutti questi creditori chirografari. In pratica, propone un pagamento del 16% circa di quei debiti e il restante 84% da cancellare a fine piano. Per fare un esempio, una finanziaria a cui deve €20.000 riceverà circa €3.200 nell’arco di 5 anni, gli altri ~€16.800 verranno esdebitati.
- Trattamento equo: tutti i creditori chirografari vengono messi sullo stesso piano (nessuno è privilegiato). Le bollette condominiali però hanno un lieve privilegio legale, quindi a quelle verrà destinato in via prioritaria magari una quota leggermente maggiore (il gestore calcola che secondo una liquidazione, i crediti condominiali avrebbero prelazione sulla casa; qui la casa però non è venduta, comunque il piano può prevedere di pagarli ad esempio al 30% invece che 16%, regolando un po’).
- Durata e sostenibilità: 5 anni di piano a €150/mese sono fattibili per Mario, dato che €600 continua a pagarli di mutuo, totale suo esborso €750 al mese (poco più di metà stipendio, che con qualche sacrificio riesce a gestire, specie considerando che la moglie ha un piccolo reddito per le restanti spese familiari). Non sono previsti beni da liquidare, perché Mario vuole tenere la casa e non ha altro di valore.
Procedura e ruoli: Il gestore OCC raccoglie le prove che la situazione di Mario è meritevole: deposita certificati medici del periodo di malattia del figlio, buste paga che mostrano la riduzione di reddito in cassa integrazione, e fa notare che Mario non ha mai smesso di pagare il mutuo (segno che ha dato priorità alla casa) e ha cercato di tenere botta con i prestiti per un po’. Nella relazione, attesta che lo squilibrio è dovuto a cause incolpevoli e che il piano proposto dà più ai creditori di quanto otterrebbero pignorando 1/5 di stipendio (in quel caso, in 5 anni prenderebbero circa 18.000 €, ma la metà andrebbe alla banca del mutuo vista l’ipoteca, e forse costi legali; col piano prendono 9.000 € senza spese e senza attendere esecuzioni). Sottolinea inoltre che vendere la casa sarebbe inefficiente: il valore stimato è €100.000, ma c’è un mutuo residuo di 80.000; vendendola, la banca si prenderebbe quasi tutto e i chirografari avrebbero le briciole, mentre mantenendo la casa Mario continua a pagarla e i creditori prendono comunque 16%. Questo dimostra la convenienza del piano.
Il Tribunale fissa un’udienza. Nessun creditore si oppone formalmente, tranne un’obiezione del condominio che chiede di avere un trattamento da privilegiato. Il giudice verifica: il piano considera i crediti condominiali come privilegiati in parte (li paga 30%, pari a stima liquidatoria, quindi ok). In udienza, Mario conferma la volontà di rispettare il piano. Il giudice valuta la meritevolezza: vede che Mario ha sì fatto debiti, ma per cause giustificate (spese mediche, figlio malato), e omologa il Piano del consumatore. Dispone la sospensione immediata di tutte le azioni esecutive (bloccando il pignoramento stipendio avviato dalla finanziaria e impedendo alla banca di fare esecuzione ipotecaria).
Esecuzione del piano: Da quel momento, Mario inizia a versare €150 al mese all’OCC, che funge da gestore del pagamento. Continua anche a pagare regolarmente €600 alla banca per il mutuo. Ogni anno, l’OCC distribuisce le somme raccolte ai creditori chirografari secondo il riparto approvato (in pratica, in 5 anni ciascuno riceve il 16% pro rata del suo credito). Mario stringe la cinghia ma riesce a rispettare gli importi pattuiti, anche perché l’ufficio dove lavora gli dà qualche straordinario e lui li utilizza per assicurarsi di non saltare rate del piano. La moglie trova un lavoretto part-time che aiuta per le spese correnti, così i €750 per debiti li accantonano regolarmente.
Conclusione: dopo 5 anni, Mario ha pagato quanto promesso. L’OCC relazione al giudice che il piano è stato eseguito con successo. Il Tribunale emette il decreto di esdebitazione per Mario: tutti i debiti chirografari di Mario verso finanziarie, carte, bollette sono definitivamente cancellati. La banca mutuataria ovviamente prosegue con il suo piano di ammortamento (non era toccata dall’esdebitazione perché credito ipotecario soddisfatto regolarmente). Mario conserva la proprietà della casa, dove vive con la famiglia. Ha ancora il mutuo da finire di pagare (gli mancano 5 anni), ma adesso il suo bilancio è sostenibile: non ha più altre rate, solo il mutuo. Può quindi guardare avanti con serenità. I creditori chirografari, dal canto loro, hanno ottenuto magari poco (16%), ma probabilmente più di quanto avrebbero ottenuto altrimenti, e senza i costi e i tempi lunghi di cause esecutive. Uno scenario alternativo sarebbe stato: pignoramento 1/5 stipendio per 12 anni per recuperare il 100% (forse, se Mario restava in quel lavoro e non c’erano altri impedimenti) oppure pignoramento e vendita casa (banca soddisfatta, loro zero). Quindi il piano è stato win-win in qualche misura.
Commento: Questo caso illustra come un consumatore proprietario di casa possa utilizzare il Piano del Consumatore per evitare di perdere l’abitazione e al contempo ridurre drasticamente il peso dei debiti al consumo. È fondamentale che vi sia sufficiente reddito per offrire qualcosa ai creditori e pagare almeno i mutui garantiti. Per Mario è stato determinante avere uno stipendio fisso (garanzia di flusso) e aver mostrato priorità nei pagamenti essenziali (mutuo). La meritevolezza è stata argomentata col fatto che la crisi non derivava da spese frivole ma da necessità familiari e con la prova che Mario non ha volutamente fatto insolvenze (ha tenuto duro finché ha potuto). Il risultato: Mario “esce pulito” dai debiti chirografari in 5 anni, e nel frattempo con ulteriori 5 finirà anche il mutuo, rimanendo con la casa libera. Senza questa procedura, probabilmente avrebbe perso la casa e sarebbe rimasto con debiti residui anche dopo la vendita. Quando chiedere il sovraindebitamento per un consumatore come Mario? Subito, non appena capisce di essere in insostenibilità: Mario infatti ha agito prima che la banca iniziasse davvero il pignoramento immobiliare (che avrebbe complicato le cose). Così ha potuto bloccare tutto in tempo. La regola d’oro: appena il debito totale e le rate superano stabilmente le proprie possibilità, meglio rivolgersi a OCC e valutare un piano, piuttosto che aspettare il precipitare.
Caso 2: La bottega di Luisa – piccolo imprenditore in crisi gestita con Concordato Minore in continuità
Situazione iniziale: Luisa è titolare di una piccola impresa artigiana, una bottega di produzione di pasta fresca con 3 dipendenti. Negli ultimi anni, a causa dell’aumento dei costi e di un investimento sbagliato in un macchinario, la sua azienda ha accumulato circa €150.000 di debiti:
- €50.000 con fornitori di farine e ingredienti (scaduti da mesi);
- €30.000 con il Fisco (IVA e contributi INPS non pagati degli ultimi 2 anni);
- €20.000 con la banca, per scoperto di conto e piccolo mutuo per macchinario;
- €10.000 di utenze bollette arretrate del laboratorio;
- €40.000 di debiti personali (Luisa ha garantito con fideiussione il mutuo aziendale e inoltre ha usato carte di credito personali per finanziare l’attività).
L’impresa ha un attivo modesto: un laboratorio in affitto (nessun immobile di proprietà), macchinari e attrezzature per un valore di mercato di circa €30.000, un furgone da €5.000. Ha però anche un marchio locale riconosciuto e un buon giro di clientela: fatturato annuo ~€120.000, con margini però ormai ridottissimi per i debiti. Luisa è in ritardo coi pagamenti degli stipendi e teme di dover chiudere. Un fornitore ha depositato un ricorso per fallimento (anche se l’impresa è piccola, i creditori sperano in un fallimento per liquidare qualcosa). Luisa è sotto-soglia (ha ricavi 120k < 200k, debiti 150k < 500k, attivo 35k <300k), quindi non fallibile d’ufficio, ma quel ricorso la spaventa (il tribunale potrebbe comunque convertirlo in liquidazione controllata). Lei però vorrebbe salvare la sua bottega, perché crede che senza l’onere dei debiti potrebbe tornare redditizia (ha clienti affezionati, potrebbe ridurre qualche costo, e soprattutto ha passività pregresse – sanzioni, interessi – che la soffocano).
Soluzione proposta: Con l’aiuto di un commercialista e di un legale, Luisa decide di presentare un Concordato Minore in continuità. Ecco la struttura del piano:
- Luisa continua l’attività della bottega per i prossimi 5 anni. Prevede di generare un utile di €20.000 l’anno (sottraendo costi e pagando regolarmente i dipendenti e le tasse correnti). Questi utili complessivi ~€100.000 in 5 anni costituiranno la base per pagare i creditori.
- Inoltre, si impegna a vendere il macchinario inutile (valore stimato €15.000) entro il primo anno e destinare il ricavato ai creditori. Continuerà a produrre con le altre macchine (ha capacità in esubero).
- La somma totale quindi da destinare ai creditori sarà circa €115.000 in 5 anni.
- Per convincere i creditori, Luisa offre di pagare:
- i debiti verso Fisco e INPS (privilegiati) al 100% dell’importo capitale se possibile, ma senza sanzioni e interessi (che sarebbero falcidiati). Quindi dei €30.000 fiscali, forse €25.000 sono capitale, li pagherà integralmente; i restanti €5k di sanzioni verrebbero stralciati;
- i debiti verso fornitori e utenze (chirografari normali) al 50% del valore;
- il debito verso la banca (mutuo e fido) è garantito da pegno su macchinario? Diciamo è chirografo: lo include tra i chirografari al 50%, oppure se la banca ha privilegio mobiliare sul macchinario venderà il macchinario e la banca prenderà priorità da lì.
- i debiti personali di Luisa verso carte, li considera insieme al resto (essendo in realtà debiti suoi ma legati all’impresa). Saranno al 50% come gli altri chirografari.
- i dipendenti non avevano stipendi arretrati? Diciamo due mensilità in arretrato per €10.000, essendo superprivilegiati li pagherà al 100% entro un anno (fa un classamento a parte).
- La banca con pegno sul macchinario prenderà gran parte del ricavato della vendita macchinario (€15k) in acconto sul proprio credito di 20k, e il residuo del suo credito (5k) rientra tra i chirografari al 50%. I fornitori e altri chirografari riceveranno la restante parte dei €115k in proporzione.
- I €115k totali vengono dal vendere macchinario (€15k subito) + utili annuali (20k x 5 = 100k). Il piano finanziario prevede pagamenti semestrali ai creditori in base all’andamento dell’attività: ad esempio, €20k il primo anno (15 dalla vendita + 5 da utili), poi €25k il secondo, €25k il terzo, €20k il quarto, €25k il quinto (aggiustamenti per arrivare a 115).
- In percentuale, ipotizziamo i creditori ottengono: dipendenti 100%, Erario/INPS ~100% su capitale (diciamo 80% del totale se consideriamo sanzioni condonate), banca circa 100% (15k dal pegno + 2.5k dai riparti, quasi tutto), fornitori/utenze/carte ~50%.
Il piano è sostenibile? L’OCC (gestore nominato) valuta di sì condizionatamente: la generazione di €20k utile/anno è credibile se Luisa taglia l’affitto (cerca un locale più economico o negozia uno sconto col proprietario) e se riduce l’organico di 1 dipendente (purtroppo licenzia l’apprendista, tenendo 2 operai). Così risparmia €15k/anno e ottiene quell’utile. Luisa apporta queste modifiche al business plan. I dipendenti restanti accettano un piccolo sacrificio (rinuncia a straordinari pagati) per aiutare.
Procedura e ruoli: Presentato il ricorso di Concordato Minore, il Tribunale nomina immediatamente un Commissario giudiziale (l’OCC stesso) e concede le misure protettive: i creditori non possono agire (il ricorso di fallimento del fornitore viene sospeso). Il commissario convoca i creditori per la votazione sul piano di concordato.
Ai creditori vengono fornite le informazioni: con la chiusura e liquidazione forzata, prevedono di ricavare: macchinari 30k, furgone 5k, magazzino e crediti 5k = 40k attivo lordo; pagano dipendenti 10k e procedura 5k, restano 25k per banca (che ha pegno su macchinario quindi prende 15k) e per Erario (prende i restanti 10k?), e nulla o quasi per fornitori. Quindi i fornitori in un fallimento probabilmente prenderebbero 0. Con il piano, avranno 50%. Il Fisco con fallimento avrebbe preso i 10k, col piano prende 25k. La banca col fallimento forse solo il pegno 15k, col piano quasi tutto 20k. È evidente la convenienza del concordato.
Votazione: i creditori votano per classi: qui abbiamo una classe privilegiati (Fisco+INPS+banca?), una classe dipendenti, e classe chirografi. In realtà, meglio creare classi separate: dipendenti (che vengono pagati 100% subito, presumibilmente approvano), Fisco/INPS (pagati 100% base, dovrebbero approvare), Banca (quasi integrale, approva), Fornitori+altro chirografo (50% – a prima vista può sembrare poco, ma capiscono che in liquidazione sarebbe zero; molti di loro vogliono mantenere Luisa come cliente in futuro, quindi conviene loro sostenerla). Al momento del voto:
- Dipendenti: 2 su 3 rimasti, il licenziato è creditore ma viene pagato subito comunque, in ogni caso i dipendenti dicono sì (vogliono salvare il posto).
- Erario e INPS: l’AdE raramente vota sì a piani con stralcio di interessi, ma qui è offerto 100% tributi, ergo l’AdE può astenersi o votare sì (se non vota affatto e la maggioranza è comunque raggiunta, conta come non contrario).
- Banca: vota sì (preferisce che l’azienda continui per incassare tutto).
- Fornitori: su, ad esempio, 10 fornitori principali, 8 votano sì perché credono nel futuro di Luisa e preferiscono il 50% garantito in 5 anni che zero da fallimento; 2 magari rancorosi votano no.
- Carte e vari: sono pochi, seguono i fornitori, forse qualcuno neanche si esprime.
Nel complesso, la maggioranza in valore è ben oltre 50% (la banca da sola è 13% del debito ed è sì, fornitori pro-sì sono 30% su 40%, etc.). Inoltre per teste: su ~15 creditori totali, la maggioranza numerica ha detto sì. E in tutte le classi la maggioranza è raggiunta (dipendenti 100%, priv. 100% o astenuti, chirografi: sì da >50% crediti e maggioranza numero classi “chirografi”).
Il tribunale verifica i voti e passa all’omologa. Ci sono però due creditori fornitori dissenzienti che contestano: uno dice “Secondo me il piano non è conveniente, preferisco farla fallire e magari rifarmi su Luisa personalmente o su garanti”. Il giudice esamina: convenienza del dissenziente – questo fornitore ha credito 10k, col piano prenderà 5k; col fallimento prenderebbe 0 con ogni probabilità. Quindi il piano è oggettivamente più conveniente, ergo il giudice omologa comunque (cram-down del contestatore). L’altro fornitore non aveva garanzie reali né altro, quindi stessa logica. Il giudice inoltre rileva che l’Erario non ha votato ma la sua adesione era determinante: applica il cram-down fiscale poiché l’offerta verso Fisco è dignitosa (100% imposte). Dunque, omologa il concordato minore in continuità. Nella sentenza di omologa dichiara anche chiusa la procedura concordataria, affidando però al commissario il compito di vigilare sull’esecuzione.
Esecuzione del piano: Luisa vende subito il macchinario (realmente riesce a prendere €12.000, un po’ meno del previsto ma la banca accetta). Liquida il dipendente licenziato pagando TFR e arretrati (in parte con un piccolo prestito dei genitori, autorizzato come finanza interinale prededucibile). L’attività procede: ridotto personale e spese, Luisa con tanto lavoro riesce a generare quell’utile di 20k l’anno. Ogni anno versa al commissario i contributi concordati, che li ripartisce: in 5 anni, i creditori privilegiati sono soddisfatti per intero entro il terzo anno, i fornitori ricevono il 50% a scaglioni annuali (ad esempio 10% all’anno per 5 anni), la banca è stata praticamente soddisfatta con vendita macchinario + piccola quota nei riparti. Luisa ritrova anche la fiducia di fornitori, che tornano a farle credito alle normali condizioni (sapendo che ora è “pulita” e sotto vigilanza del tribunale).
Conclusione: dopo 5 anni, Luisa ha onorato il concordato minore. Il commissario presenta un resoconto finale al giudice. Luisa chiede l’esdebitazione per eventuali residui (ad esempio, forse rimangono le sanzioni fiscali non pagate e il 50% non pagato ai due fornitori oppositori). Il giudice esamina la condotta: Luisa ha rispettato tutto, quindi concede il beneficio dell’esdebitazione. Ciò significa che tutti i debiti anteriori, per la parte rimasta insoluta (in pratica quel 50% falcidiato di fornitori e altre sanzioni) sono cancellati. La bottega di Luisa ora opera in bonis, ridimensionata ma sana: può anche tornare a crescere. I creditori hanno ottenuto un soddisfacimento parziale ma sicuramente migliore del fallimento (i fornitori che inizialmente erano scettici alla fine incassano il 50% e mantengono Luisa come cliente, il che per loro è vantaggioso). I dipendenti superstiti hanno mantenuto il posto. Il fornitore che voleva farla fallire, se aveva garanzie personali di Luisa, non può più agire per quelle perché Luisa è esdebitata (le fideiussioni personali rientravano nel concorso e lui è vincolato al 50% incassato, non può pretendere di più).
Commento: Questo caso mostra quando conviene chiedere il sovraindebitamento per un imprenditore minore: ossia quando l’azienda è ancora valida (clienti e potenzialità ci sono) ma è soffocata dai debiti. Se c’è prospettiva di recupero, il concordato minore in continuità è la scelta giusta. Luisa ha evitato la chiusura e salvato la sua fonte di reddito. Ha dovuto comunque affrontare sacrifici (vendere asset, licenziare un dipendente, impegnarsi a fondo per 5 anni) ma ne è valsa la pena. I creditori hanno collaborato perché conveniva anche a loro. Senza la procedura, probabilmente sarebbe stata “tirata per le lunghe”: pignoramenti sui suoi incassi, contenziosi, forse anche aggressione al suo patrimonio personale (casa coniugale, risparmi), e alla fine l’attività avrebbe chiuso lo stesso. Così invece c’è stata una soluzione ordinata e finalizzata al rilancio. Da notare che è stato fondamentale agire prima che il tribunale la dichiarasse fallita: Luisa ha colto il momento giusto (sotto soglia, quindi il tribunale non avrebbe potuto fallirla se non con dubbi – però il ricorso del creditore era pericoloso, ma depositando il concordato lo ha stoppato). Quindi, quando chiedere il concordato? Il prima possibile non appena ci si rende conto che la crisi è affrontabile con un piano e non è solo temporanea. Luisa avrebbe potuto attendere ancora e indebitarsi di più, ma saggiamente è intervenuta non appena ha visto l’insostenibilità. Così è riuscita a offrire ancora un buon 50% ai creditori, soglia che li ha convinti.
Questo scenario evidenzia anche la rilevanza del cram-down fiscale e dei creditore dissenzienti: il giudice ha potuto omologare malgrado l’opposizione grazie alle norme del CCII. Ciò incoraggia i debitori a proporre piani equi sapendo che non serve il 100% di consensi.
Caso 3: Giovanni, ex imprenditore senza beni – liquidazione controllata ed esdebitazione di un ex commerciante
Situazione iniziale: Giovanni era titolare di un piccolo negozio di elettronica, impresa individuale, che ha chiuso nel 2022 a seguito della pandemia. All’atto della chiusura, però, Giovanni è rimasto con circa €200.000 di debiti:
- €50.000 con fornitori non pagati;
- €80.000 di debiti bancari (un mutuo chirografario ottenuto per avviare l’attività, su cui lui e la moglie sono coobbligati, e fidi di cassa);
- €30.000 di debiti fiscali (IVA e tasse arretrate);
- €20.000 di affitti commerciali non pagati;
- €20.000 di varie utenze, leasing attrezzature e piccoli prestiti.
Giovanni ha chiuso la partita IVA e cancellato l’impresa dal Registro nell’ottobre 2022. Da allora è disoccupato, vive con lavoretti saltuari (reddito ~€800/mese in nero) e soprattutto con l’aiuto della moglie, che fa l’insegnante (stipendio €1.600). Non hanno figli. Il patrimonio di Giovanni è scarso: nessun immobile (vive in casa di proprietà della moglie), nessuna auto (usa l’auto intestata alla moglie), conto corrente quasi vuoto. Ha mobili e qualche apparecchiatura del vecchio negozio residua (valore realizzo forse €5.000). La moglie possiede la casa e un’auto, ed era coobbligata su alcuni prestiti bancari. Alcuni creditori hanno iniziato azioni: la banca ha un decreto ingiuntivo contro lui e la moglie; l’Agenzia Entrate ha messo fermo amministrativo su quell’auto (che è cointestata a moglie e Giovanni); un fornitore ha fatto pignoramento verso terzi su eventuali crediti (che Giovanni di fatto non ha). La moglie teme il pignoramento del suo stipendio, essendo coobbligata su banca e affitti (aveva firmato alcune garanzie). La situazione è quindi disperata: i coniugi non hanno mezzi per pagare €200.000 e rischiano di vedersi intaccare l’unico reddito certo (stipendio lei).
Soluzione proposta: Giovanni si rivolge all’OCC per valutare l’esdebitazione. La sua situazione appare quella tipica di debitore incapiente: niente beni, niente redditi ufficiali. Potrebbe chiedere l’esdebitazione immediata. Tuttavia, c’è una complicazione: Giovanni non è del tutto incapiente perché la moglie lavora, e i creditori potrebbero obiettare che il nucleo familiare un po’ di reddito ce l’ha e lui magari lavora in nero. Inoltre possiedono in comunione (forse) quell’auto. L’OCC consiglia cautela: suggerisce di tentare la Liquidazione controllata dei pochi beni di Giovanni, per poi ottenere l’esdebitazione. In questo modo i creditori vedranno che ha dato tutto il possibile, seppur poco, e non potranno eccepire nulla.
Giovanni quindi presenta istanza di liquidazione controllata:
- Attivo ceduto: l’elenco attivo comprende i mobili e apparecchiature residui del negozio (valore stimato €5.000). Comprende anche eventuali residui di magazzino (pochi pezzi, €1.000). Non ha immobili né auto da includere. Indica anche come potenziale attivo un credito IRPEF di €1.200 (dichiarazione dei redditi pregressa con rimborsi mai richiesti). E nient’altro.
- Passivo dichiarato: tutti i debiti nominati sopra (fornitori, banca, fisco, ecc.) per €200.000.
- Spese di procedura: Giovanni non può anticipare nulla, chiede che siano prenotate a debito (ovvero saranno i creditori a soffrirle). L’OCC comunque segnala che con la Legge di Bilancio è arrivato un fondo per coprire spese incapienti.
- Proposta: anche se non deve proporre un piano, Giovanni allega una sua nota in cui dichiara di essere disponibile a svolgere qualunque collaborazione e di voler destinare anche future entrate occasionali alla massa se occorrono durante la liquidazione (vuole mostrarsi cooperativo).
- L’OCC nella relazione evidenzia che Giovanni ha cessato l’attività da oltre un anno e non è soggetto a fallimento, quindi è ammesso. Sottolinea che è meritevole: la crisi è dovuta alla pandemia e calo vendite, lui ha chiuso per evitare di fare altri debiti, non ha nascosto nulla (hanno venduto in passato la merce per pagarci le ultime mensilità dei dipendenti, ad esempio). Non risultano atti di frode (la casa è intestata alla moglie da prima, non è stato un artifizio). Quindi raccomanda l’ammissione e preannuncia che alla fine si chiederà l’esdebitazione.
Procedura e ruoli: Il Tribunale apre la liquidazione controllata di Giovanni. Nomina un liquidatore (il gestore OCC stesso). Da quel momento:
- Vengono sospese e annullate le azioni esecutive in corso: il fermo amministrativo sull’auto deve essere revocato (auto è cointestata? In realtà se è solo della moglie, vediamo; se era cointestata, la metà di Giovanni diventa attivo di procedura? Eh, ipotizziamo era in comunione, allora metà auto è attivo liquidazione).
- Il liquidatore notifica l’apertura ai creditori, che presentano domande di ammissione al passivo.
- Si forma lo stato passivo: qui tutti crediti €200k vengono ammessi (banca con privilegio? Se aveva ipoteca su qualcosa forse no, ipotizziamo no ipoteche).
- Il liquidatore raccoglie i pochi beni: preleva i macchinari/mobili rimasti, li vende su eBay o a qualche interessato: incassa €4.000 netti. L’auto: metà è di Giovanni (valore auto €6k, metà €3k) – vendono l’auto e la moglie ne riceve €3k, la liquidazione €3k (oppure la moglie la riscatta versando €3k, ad ogni modo).
- Anche sul conto di Giovanni c’erano €500 residui: li prende.
- Totale attivo realizzato: diciamo €8.000.
- Il liquidatore prima paga le spese procedurali (poniamo OCC compenso €2.000, coperto forse in parte dal fondo statale). Paga eventuali crediti prededucibili (non ce n’erano grossi). Dà qualcosa ai creditori privilegiati: c’è il Fisco €30k con privilegio su attrezzature? Sì, IVA ha privilegio sui mobili, allora si prendono quei €5k pro quota. In pratica, l’AdE incassa tipo €5k, gli altri creditori niente (questo scenario tipico: privilegi assorbono tutto l’attivo, ai chirografi zero).
- Si chiude la liquidazione con un ricavato infimo rispetto al debito.
Esdebitazione: Giovanni, tramite il liquidatore, presenta istanza di esdebitazione dei debiti residui (~€195.000 rimasti impagati). Il giudice verifica:
- Giovanni ha cooperato pienamente: ha consegnato i beni, ha pure rinunciato alla metà dell’auto, ha cercato acquirenti per massimizzare incassi.
- Non ha nascosto redditi (certifica che in quei due anni non ha avuto redditi ufficiali; i lavoretti in nero erano così saltuari che non contano ai fini di poter pagare i creditori in misura significativa).
- Non risulta che abbia già avuto esdebitazioni in passato o che ci siano frodi.
- Alcuni creditori protestano formalmente: ad esempio un fornitore dice “è ingiusto che lui non paghi nulla, aveva la moglie con stipendio, poteva almeno proporre un piano di 5%”. Un altro dice che Giovanni è stato imprudente nel business (magari ha investito male).
- Il giudice però nota che la legge non prevede colpa lieve come ostacolo: Giovanni può aver commesso errori di gestione, ma nulla di grave o doloso appare. La moglie percepisce stipendio ma è la moglie, non il debitore (e peraltro i creditori possono agire su di lei separatamente per la sua obbligazione se non fosse co-esdebitata; qui però lei come coobbligata è anch’essa sovraindebitata, magari potrebbe fare la sua procedura – se era garante potrebbe avere accesso). In pratica, quell’obiezione non basta a negare.
- Dunque, concede l’esdebitazione a Giovanni.
Con il decreto di esdebitazione, tutti i €195.000 di debiti residui di Giovanni sono cancellati. Ciò include anche le garanzie personali date da lui (ma attenzione: la moglie coobbligata, se non ha fatto procedura, rimane obbligata per intero verso i creditori in solido; dunque conviene anche alla moglie di fare qualcosa, magari anche lei una liquidazione o un piano su eventuali suoi beni). Comunque, per Giovanni personalmente nessuno potrà più chiedere nulla. In prospettiva:
- Se tra 2 anni Giovanni trova un buon lavoro e guadagna bene, i vecchi creditori non potranno tornare alla carica su di lui. Lui è libero. Dovrà però, per i 4 anni successivi, notificare al gestore se percepisce sopravvenienze importanti, e se accade e supera soglia, deve pagare fino a 10% dei debiti. Esempio: al terzo anno trova impiego €2.000/mese, al netto ne rimangono €1.500 oltre soglia sociale; su base annua fa €18.000 di reddito disponibile in 3 anni residui, 10% dei creditori sarebbe €19.500 (10% di 195k). Non raggiunge quella soglia, quindi forse non scatta pagamento obbligo perché dedotto mantenimento e tutto, non arriva. Se invece avesse vinto 1 milione alla lotteria entro 4 anni, dovrebbe versare €19.500 (il 10% tot) ai creditori. Comunque, ipotesi remota.
- Il nome di Giovanni sarà “pulito” da questi debiti. Certo, comparirà che ha avuto esdebitazione, ma ai fini pratici non ha pendenti.
- I creditori devono dimenticarsi di lui. Se vogliono, potranno perseguire la moglie per la parte di debito a carico suo (e la moglie potrebbe anche valutare la propria procedura per liberarsi pure lei, magari un piano con il 5% visto che ha stipendio, se fattibile, oppure se importi grossi la liquida).
Commento: Questo caso incarna l’essenza del fresh start per l’ex imprenditore sfortunato. Giovanni, senza la procedura, sarebbe rimasto a vita con questi debiti incalzanti. I creditori forse avrebbero colpito la moglie (pignorandole il quinto stipendio, deteriorando la loro vita familiare). Con la liquidazione e l’esdebitazione, Giovanni compie un atto di trasparenza – “ecco tutto ciò che ho, ve lo cedo, mi spiace che è poco” – e ottiene la liberazione dal fardello. I creditori recuperano praticamente nulla (salvo quei €5k al Fisco), ma avrebbero comunque recuperato nulla perché lui non aveva nulla. In più risparmiano costi di inseguirlo per decenni.
La scelta di liquidazione controllata invece di chiedere subito l’esdebitazione incapiente è stata prudente: dimostra la buona fede del debitore nel provare a dare quel minimo di attivo. Avrebbe potuto provare l’esdebitazione diretta: forse gliel’avrebbero concessa lo stesso, ma c’era rischio di opposizioni forti (ad esempio la banca arrabbiata che vede la moglie stipendio). Liquidando, quell’auto che era un punto grigio è stata risolta, e i creditori non hanno potuto dire che non ha dato nemmeno un euro – ha dato tutto quello che oggettivamente c’era.
Quando chiedere il sovraindebitamento in veste di ex imprenditore? Il prima possibile dopo la cessazione dell’attività, passato l’anno di “quarantena” dalla cancellazione per evitare rischi di fallimento. Giovanni ha atteso un anno (2023) e nel 2024 ha presentato domanda: così nessun creditore poteva tentare fallimento tardivo (comunque sotto soglia, ma per sicurezza). Non conviene trascinarsi anni di insolvenza sperando in miracoli: meglio fare tabula rasa e ricominciare. Giovanni a 35 anni (es.) può ora cercare un nuovo lavoro o aprire perfino una nuova attività in futuro (con cautela) senza i fantasmi del passato.
Questa storia mostra anche come la moglie/garante deve attivarsi parallelamente: il PD presenta un disegno di legge per permettere di includere i garanti non professionali nelle procedure del debitore principale. Nel frattempo la moglie può anch’essa usare il sovraindebitamento (magari un piano del consumatore familiare includendo lei e Giovanni insieme era possibile fin dall’inizio! In effetti sì, potevano fare procedura familiare: marito ex imprenditore e moglie garante con debiti comuni presentano un’unica procedura – ma qui lui non ha reddito, lei sì, avrebbero magari fatto un mini-piano con reddito lei e predisposto la liquidazione di lui contestualmente. Era fattibile, ma per semplicità li abbiamo separati.)
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande frequenti sul tema del sovraindebitamento, con risposte concise che chiariscono i dubbi più comuni di debitori e addetti ai lavori:
- D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?
R: Tutte le persone fisiche (consumatori, imprenditori individuali, professionisti) e gli enti non fallibili (piccole imprese sotto soglia, start-up innovative, enti non profit) in stato di insolvenza o difficoltà finanziaria possono accedere. In pratica i soggetti esclusi dal fallimento. Sono esclusi invece gli imprenditori di grandi dimensioni e le società fallibili (che devono ricorrere al concordato preventivo o fallimento). Anche i coniugi o familiari indebitati possono presentare un’unica procedura familiare congiunta. - D: Quali debiti posso includere nel sovraindebitamento?
R: Tutti i debiti che si hanno alla data della domanda devono essere dichiarati e sono trattati nella procedura. Inclusi debiti verso banche, finanziarie, fornitori, il Fisco (imposte e cartelle esattoriali), canoni di locazione, bollette, stipendi arretrati, ecc. Ci sono però debiti che, pur inclusi, non saranno cancellati dall’esdebitazione (se non pagati): sono quelli per mantenimento familiare, danni da illecito e sanzioni penali/amministrative. Ad esempio, le multe stradali e le pene pecuniarie restano dovute. In sede di piano, tuttavia, anche questi debiti possono essere ristrutturati in termini di pagamento (rateizzati, ecc.), pur non venendo mai eliminati del tutto. - D: Posso salvare la prima casa dalla vendita forzata?
R: Sì, è possibile in alcuni casi. Nessuna norma garantisce l’esenzione automatica della prima casa, ma un piano del consumatore o concordato può prevedere che la casa non venga venduta, a patto che i creditori ipotecari vengano soddisfatti adeguatamente (es. continuando a pagare il mutuo regolarmente) e che i creditori chirografari ricevano almeno quanto otterrebbero se l’immobile fosse liquidato. Se il piano sta in piedi così, i giudici lo accettano. Viceversa, in una liquidazione controllata la casa di proprietà viene normalmente venduta dal liquidatore per distribuire il ricavato (non c’è protezione speciale). Dunque, se l’obiettivo è salvare la casa, si deve puntare a una procedura con continuità (piano/concordato) e offrire ai creditori condizioni tali da giustificare il mantenimento dell’immobile in capo al debitore. - D: I debiti fiscali (es. IVA, IRPEF) si possono ridurre?
R: Sì. Nelle procedure di sovraindebitamento è consentito proporre il pagamento parziale o dilazionato dei debiti fiscali e contributivi, compresa l’IVA. La legge consente anche di cram-down: se l’Erario vota contro ma la proposta offre almeno quanto il Fisco otterrebbe dalla liquidazione, il giudice può omologare ugualmente. Ad esempio, si può prevedere di pagare il 30% dell’IVA se realisticamente nella vendita dei beni i crediti IVA sarebbero soddisfatti a quella percentuale. Va comunque garantito il rispetto del principio di convenienza e di legalità. Le sanzioni e interessi tributari possono essere falcidiati (anche azzerati) prima dell’esdebitazione. Importante: se il debitore viene esdebitato, il Fisco non potrà più pretendere le imposte residue (non c’è distinzione formale, la legge italiana oggi permette di cancellarle, diversamente dal passato in cui l’IVA non era falcidiabile nelle procedure ordinarie). - D: Quanto dura una procedura di sovraindebitamento?
R: La durata varia a seconda della procedura scelta e della complessità:- Un piano del consumatore richiede pochi mesi per l’omologa (3-6 mesi tipicamente), dopodiché la durata coincide con quella dei pagamenti previsti dal piano (spesso 4-5 anni). L’esdebitazione arriva al termine.
- Un concordato minore ha tempi simili: qualche mese per omologa (dopo il voto creditori) e poi esecuzione pluriennale (mediamente 3-5 anni).
- Una liquidazione controllata può chiudersi in tempi brevi se ci sono pochi beni da vendere (anche 1 anno), oppure durare più a lungo per vendere immobili complicati (2-3 anni o oltre). L’esdebitazione in questo caso può arrivare poco dopo la chiusura (non c’è un periodo di adempimento, solo liquidare e chiudere).
- L’esdebitazione dell’incapiente è la più rapida: in assenza di opposizioni può concludersi in 2-4 mesi con il decreto di esdebitazione. Vi è poi il periodo di 4 anni di monitoraggio, ma il debitore è già libero dai debiti in quel frattempo.
- D: Dopo l’esdebitazione, sarò segnalato come “protestato” o cattivo pagatore a vita?
R: No. L’esdebitazione è una riabilitazione legale del debitore. Certo, nei sistemi di informazione creditizia risulterà per qualche tempo che ha avuto una procedura concorsuale, ma non per sempre. La legge prevede che le informazioni personali relative all’insolvenza siano cancellate dopo 5 anni dai registri pubblici. Inoltre, ottenuto il decreto di esdebitazione, il debitore può chiedere al Tribunale l’attestazione di avvenuta esdebitazione da esibire a banche o finanziatori per dimostrare di essere libero da debiti. Se aveva subito protesti, può attivare la procedura di riabilitazione dopo un anno dal protesto (e il fatto di aver risolto i debiti aiuta). In sostanza, il debitore onesto viene incoraggiato a riprendere l’attività economica: dopo pochi anni dal termine della procedura potrà gradualmente riottenere fiducia dal sistema creditizio, specie se nel frattempo ha un reddito stabile. Ovviamente, subito dopo l’esdebitazione non sarà facile ottenere nuovi prestiti (i creditori privati saranno cauti), ma formalmente non esistono preclusioni legali a intraprendere nuove iniziative (il debitore esdebitato può anche aprire una nuova società o impresa). La stigma del fallito a vita è superata: oggi si punta sul concetto di fresh start come opportunità di ripartenza. - D: Cosa succede se durante il piano non riesco più a pagare le rate concordate?
R: È un’eventualità da evitare, ma può accadere per nuovi imprevisti. Se il debitore non adempie agli obblighi del piano o concordato, la procedura può essere revocata o risolta dal Tribunale. In tal caso:- Nel piano del consumatore, il giudice, su segnalazione del gestore, dichiara la risoluzione e i crediti tornano esigibili per intero, dedotto quanto già pagato. Il debitore perde la protezione e i creditori possono riprendere le azioni esecutive. Il debitore però può proporre un nuovo piano se c’è spazio, oppure può chiedere di aprire la liquidazione controllata come “piano B”.
- Nel concordato minore, similmente, si avrà una risoluzione per inadempimento rilevante e i creditori saranno liberi, salva la possibilità di aprire una liquidazione in conversione (il CCII ha eliminato la conversione automatica, quindi serve un’istanza).
- Va notato che la legge attuale permette in certi casi di modificare il piano in corso se le circostanze cambiano senza colpa del debitore. Ad esempio, se sopraggiunge una malattia temporanea, il debitore può chiedere al giudice di sospendere o allungare le scadenze. Il Tribunale valuta caso per caso e può concedere adattamenti (non troppo radicali) per favorire il completamento.
- Se proprio il piano fallisce, come detto rimane la liquidazione controllata come ultima spiaggia. Il debitore onesto, anche se non è riuscito a eseguire il piano, potrà comunque aspirare all’esdebitazione cedendo i beni eventualmente rimasti e dimostrando di aver fatto del suo meglio.
- D: Quanto costa in totale la procedura?
R: I costi variano con la complessità del caso ma sono generalmente accessibili. Ci sono:- Spese fisse: contributo unificato di €98 per il deposito in tribunale, bolli, notifiche – poche centinaia di euro.
- Compenso OCC/Gestore: stabilito per legge (DM 202/2014) spesso in percentuale sul debito o sull’attivo. Per piccoli debiti può essere qualche migliaio di euro; per grandi masse sale, ma comunque calmierato. Ad esempio, su €100k di debito potrebbe essere sui €4-5k. Questo compenso di solito viene pagato all’interno del piano (come credito prededucibile). In liquidazione, è trattenuto dall’attivo realizzato. Se il debitore è nullatenente, oggi c’è il Fondo statale che coprirà tali spese.
- Eventuale parcella di professionisti esterni: se il debitore si avvale di un proprio avvocato o commercialista oltre all’OCC. Non è obbligatorio, ma può aiutare soprattutto nelle situazioni più articolate (ad es. azienda con molte classi di creditori). I costi qui dipendono dagli accordi con il professionista. Spesso, comunque, il ruolo del gestore OCC è già sufficiente a guidare la procedura.
- D: Se ho già utilizzato una procedura in passato, posso usarla di nuovo?
R: Dipende. La legge pone alcune limitazioni per evitare abusi seriali:- Non si può essere ammessi a un nuovo piano/concordato se si è ottenuta un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. Quindi bisogna aspettare almeno 5 anni dall’eventuale precedente beneficio.
- L’esdebitazione di solito si può ottenere una sola volta. La norma infatti vieta l’esdebitazione se il debitore ne ha “già beneficiato per due volte” – il che implica che è ammessa al massimo due volte in vita, a distanza di anni. In pratica considerare l’esdebitazione come un jolly da giocare con parsimonia.
- Se un precedente piano è stato revocato per frode o mala fede, sicuramente il giudice guarderà con sospetto una nuova domanda.
- C’è un’eccezione per il debitore incapiente: dopo 5 anni, se capitano nuovi eventi straordinari indipendenti dalla sua volontà che lo indebitano di nuovo, può chiedere una seconda esdebitazione anticipata. Ad esempio, se dopo 6 anni dal primo “saldo e zero” si ammala gravemente e accumula spese mediche, potrebbe (in teoria) ripresentarsi.
- D: I garanti e coobbligati (fideiussori, co-firmatari) sono liberati dall’esdebitazione del debitore principale?
R: No, l’esdebitazione opera solo sul soggetto debitore ammesso alla procedura. Un fideiussore o coobbligato che non sia parte della procedura resta obbligato verso il creditore per l’intero debito. Ad esempio, se Tizio ottiene l’esdebitazione per un debito bancario garantito dalla madre, la banca potrà rivalersi sulla madre garante (che a sua volta, se insolvente, dovrà eventualmente attivare una procedura anche lei per liberarsene). Tuttavia, c’è una novità: nel concordato minore il piano può prevedere limitazioni alle azioni verso i coobbligati. Cioè, con il consenso dei creditori, si può pattuire che, aderendo al piano, il creditore rinunci a escutere il garante per la parte non pagata dal debitore. Questo è pattizio e vincolante solo se accettato in sede di omologa. Se invece nulla è previsto, il creditore può continuare contro i garanti. Una strategia è utilizzare la procedura familiare quando possibile: ad esempio, coniuge debitore e coniuge fideiussore presentano un unico piano, così entrambi vengono esdebitati insieme. In mancanza, il garante dovrà attivarsi autonomamente. In sintesi: l’esdebitazione è personale, non si propaga automaticamente ai coobbligati (salvo patto nel concordato). - D: Il sovraindebitamento copre anche i debiti futuri?
R: No, assolutamente. Copre solo i debiti contratti fino alla data della presentazione della domanda. I debiti che maturano dopo (ad esempio rate di un mutuo scadute successivamente, nuove tasse, nuove bollette) non rientrano nella procedura. Durante il piano, il debitore ha l’obbligo di pagare regolarmente le nuove obbligazioni (deve restare “in bonis” sul corrente). Se anche dopo l’esdebitazione il debitore contrae ulteriori debiti, dovrà pagarli o eventualmente – in casi estremi e a distanza di anni – potrà chiedere un’altra procedura (ma, come detto, non in tempi brevi e con difficoltà). Quindi, il sovraindebitamento è un trattamento una tantum per i debiti pregressi, non protegge dal creare nuovi buchi! Perciò è importante accompagnare la procedura con un cambiamento nelle abitudini di spesa o con un riassetto dell’attività, per evitare di trovarsi di nuovo indebitati. - D: Posso aprire una nuova attività o sottoscrivere contratti durante la procedura?
R: Sì, con dei limiti. Durante un piano/concordato, il debitore rimane in possesso dei suoi beni (salvo restrizioni) e può compiere atti di ordinaria amministrazione liberamente. Quindi può continuare a lavorare, cambiare lavoro, anche avviare un piccolo business se ha le risorse (benchè di solito non ne ha molte). Per gli atti di straordinaria amministrazione (es. vendere un immobile, rinunciare a un credito, accendere un mutuo) serve autorizzazione del giudice o è vietato senza. Nella liquidazione, invece, il debitore è spossessato dei beni: non può disporne, ma può comunque iniziare un’attività futura con i guadagni futuri (che se generati entro la procedura andranno in parte ai creditori, salvo che eccedano il necessario). Ad esempio, un debitore in liquidazione può aprire partita IVA e iniziare a lavorare: i redditi che eccedono le spese di mantenimento potrebbero dover essere in parte versati al liquidatore fino alla chiusura. Non c’è un divieto generale di intraprendere nuove obbligazioni, ma ovviamente contrarre nuovi debiti mentre si è in procedura sarebbe visto male e potrebbe portare a revoca per mala fede. Quindi, va mantenuto un profilo prudente: sì a nuove iniziative se aiutano a pagare i creditori (ad es. un nuovo lavoro), no a nuovi finanziamenti se non strettamente funzionali e autorizzati. Dopo l’esdebitazione, il debitore riacquista piena capacità d’agire come qualsiasi altro cittadino.
Con queste FAQ speriamo di aver risposto ai principali dubbi. In caso di ulteriori incertezze, è sempre consigliabile rivolgersi a professionisti specializzati o agli Organismi di Composizione della Crisi presenti sul territorio, che offrono consulenza personalizzata.
Conclusioni
Il sovraindebitamento, definito efficacemente come la “babele dei debiti” in cui il debitore rischia di perdersi, può oggi essere affrontato con strumenti giuridici chiari e orientati alla soluzione. Grazie alle procedure previste dal Codice della Crisi – opportunamente riformate e rafforzate fino al 2025 – il debitore onesto ma sfortunato ha la possibilità di uscire dal tunnel dei debiti. Questa guida ha illustrato quando è opportuno attivare tali procedure: in sintesi, il prima possibile, non appena appare evidente che il peso dei debiti è insostenibile e che le vie “normali” (rinegoziazioni private, piani di rientro informali) non bastano più.
Per un consumatore, ciò potrebbe significare evitare di attendere che la situazione precipiti in pignoramenti e rivolgersi a un OCC appena le rate complessive superano stabilmente il reddito disponibile. Per un piccolo imprenditore o ex imprenditore, significa non insistere in un’attività decotta accumulando ulteriori debiti, ma utilizzare il sovraindebitamento come strumento di ristrutturazione o liquidazione ordinata, così da salvaguardare il salvabile e ripartire senza debiti. Abbiamo visto come ciò sia possibile anche dopo eventi drammatici come il fallimento di una piccola azienda: la legge offre una seconda opportunità, ma spetta al debitore coglierla tempestivamente e con correttezza.
Dal punto di vista giuridico, il quadro normativo aggiornato al 2025 – comprensivo delle novità della riforma Cartabia e del correttivo 2024 – è completo e attento a bilanciare gli interessi. Il debitore è chiamato alla massima trasparenza e collaborazione, il che rappresenta il prezzo da pagare per ottenere il beneficio dell’esdebitazione. I creditori, dal canto loro, sono chiamati ad una maggiore responsabilità (come visto, la legge penalizza le contestazioni pretestuose dei finanziatori imprudenti) e a partecipare attivamente al risanamento, se questo offre loro un risultato non peggiore della semplice escussione individuale.
In definitiva, “chiedere il sovraindebitamento” significa attivare con coraggio un percorso legale di risanamento o liquidazione, riconoscendo la propria difficoltà ma anche la volontà di risolverla in modo equo e definitivo. Questa scelta, se ben ponderata e supportata da professionisti competenti, porta quasi sempre ad esiti migliorativi rispetto al trascinarsi indefinito di debiti e procedure esecutive. Come abbiamo mostrato nei casi pratici, dietro i numeri e gli articoli di legge ci sono storie di persone e famiglie che, grazie a queste procedure, sono riuscite a voltare pagina: piccoli imprenditori che hanno salvato l’azienda e i posti di lavoro; padri di famiglia che hanno evitato di perdere la casa; ex imprenditrici che hanno potuto ricominciare da zero dopo una crisi; consumatori sommersi dai crediti al consumo che hanno ritrovato serenità finanziaria.
Questa guida avanzata ha fornito gli strumenti concettuali e operativi per orientarsi nel complesso (ma ormai collaudato) mondo del sovraindebitamento. L’auspicio è che sempre più debitori in difficoltà ne facciano buon uso, rivolgendosi con fiducia agli Organismi di Composizione della Crisi e ai professionisti legali per valutare una soluzione su misura. Al contempo, si auspica una crescente consapevolezza anche tra i creditori e gli operatori del diritto circa la funzione sociale ed economica di queste procedure: non scorciatoie per furbi, ma valvole di sicurezza del sistema creditizio, in linea con il principio che un fallimento personale non deve diventare una condanna perpetua, ma può trasformarsi – tramite un percorso di legalità e responsabilità – in un nuovo inizio.
Fonti normative e giurisprudenziali
Di seguito raccogliamo le principali fonti normative italiane citate o rilevanti in materia di sovraindebitamento, nonché alcune pronunce giurisprudenziali di riferimento (aggiornate al 2025):
Normativa:
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – “Legge sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento” (cosiddetta Legge Salva Suicidi). Prima disciplina organica del sovraindebitamento per soggetti non fallibili. Abrogata a partire dal 15 luglio 2022 con l’entrata in vigore del Codice della Crisi, restano applicabili solo alle procedure pendenti ante 2022.
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Entrato in vigore il 15 luglio 2022, ha riordinato tutta la materia. Titolo IV (artt. 65-91) dedicato al sovraindebitamento. Prevede: Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73), Concordato minore (artt. 74-83), Liquidazione controllata (artt. 268-277, ex art. 14-terdecies L.3/2012), Esdebitazione del sovraindebitato incapiente (artt. 283-287, ex art. 14-quaterdecies L.3/2012). Contiene anche definizioni (art. 2 CCII definisce sovraindebitamento e consumatore, imprenditore minore, ecc.) e disposizioni generali su esdebitazione (artt. 279-282).
- D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Decreto correttivo al CCII. Ha anticipato al 15/7/2022 l’entrata in vigore del Codice (recependo la Dir. UE 2019/1023). Ha introdotto tra l’altro l’esdebitazione incapiente già prevista dalla L.176/2020 (art. 283 CCII) e norme sul cram-down fiscale.
- D.Lgs. 13 settembre 2022, n. 149 – Riforma Cartabia (processo civile). Ha inciso su aspetti procedurali: ad esempio, ha reso reclamabili i decreti di inammissibilità delle procedure di sovraindebitamento; ha disposto la trasformazione dell’omologa in sentenza per concordato minore; ha semplificato alcune notifiche telematiche.
- D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – “Correttivo-ter” al CCII. Ulteriori modifiche (in vigore dal fine 2024) in materia di sovraindebitamento: chiarimenti su procedure familiari (art. 66 CCII), reintroduzione possibilità di moratoria pagamenti nel piano del consumatore (art. 67 CCII), allineamento di norme tra concordato minore e ristrutturazione consumatore (classi, convenienza), e altre rifiniture (ad es. art. 80 co.4 CCII su esclusione opposizioni dei creditori finanziatori imprudenti).
- Legge 30 dicembre 2024, n. 207 – Legge di Bilancio 2025. Al comma 893 ha istituito il Fondo per l’esdebitazione degli incapienti con dotazione iniziale €500.000 per coprire spese e compensi OCC nelle procedure di debitori nullatenenti. Prevede decreto attuativo interministeriale per le modalità di utilizzo (atteso nel 2025).
- D.M. 24 settembre 2014, n. 202 – Regolamento sul funzionamento degli OCC. Definisce requisiti di iscrizione degli Organismi di Composizione della Crisi, compiti dei gestori, nonché criteri generali per i compensi (richiamati poi nel CCII). Ancora vigente e applicabile agli OCC anche nel nuovo regime.
- Direttiva (UE) 2019/1023 – Direttiva europea sui quadri di ristrutturazione e sulla seconda chance. Pur rivolta principalmente alle imprese, ha influenzato la legislazione italiana, in particolare sancendo il principio del fresh start entro 3 anni per imprenditori individuali meritevoli e favorendo l’accesso agevolato all’esdebitazione (recepita dal D.Lgs. 83/2022).
Giurisprudenza di legittimità:
- Corte Costituzionale, sentenza 10 marzo 2022 n. 65. Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, co. 1 e 1-bis, L.3/2012 nella parte in cui non consentiva la falcidia dell’IVA e delle ritenute fiscali nel piano del consumatore. Pronuncia che ha aperto alla possibilità di includere debiti IVA nei piani senza obbligo di pagamento integrale, in coerenza col diritto UE.
- Cassazione Civile, Sez. I, 14 febbraio 2023, n. 4613. Ordinanza che ha ribadito il criterio dell’alternativa liquidatoria: in presenza di opposizione all’omologa (in quel caso di un accordo ex L.3/2012), il giudice deve valutare la convenienza per i creditori dissenzienti rispetto all’ipotesi di liquidazione. Conferma che il decreto di inammissibilità del piano non decide nel merito e non preclude la riproposizione di una nuova domanda corretta.
- Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22797. Sentenza che ha chiarito il diritto di voto del creditore ipotecario nel concordato minore: se il creditore munito di prelazione viene soddisfatto integralmente ma con dilazione temporale superiore al contratto, ciò comporta un trattamento non integrale ai sensi dell’art. 109 LF (richiamato dall’art. 80 CCII) e quindi il creditore ha diritto di voto. Principio già noto nel concordato preventivo, esteso alle procedure minori.
- Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22900. Ordinanza in tema di impugnazioni nelle procedure di sovraindebitamento: ha affermato l’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro il provvedimento della Corte d’Appello (reclamo) che decide sull’omologazione o sul diniego (provvedimento decisorio). Ribadita la differenza tra provvedimenti decisori e non nelle varie fasi.
- Cassazione Civile, Sez. I, 6 novembre 2023, n. 30814. Sentenza che ha affrontato la questione della risoluzione del piano del consumatore e dell’eventuale reclamo: ha evidenziato come, in caso di inadempimento del piano, il debitore non possa ricorrere in Cassazione avverso il provvedimento di risoluzione se questo non statuisce su diritti contenziosi ma prende atto dell’inadempimento (tema tecnico sul regime impugnatorio).
- Cassazione Civile, Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30542. Sentenza che ha chiarito che il provvedimento di inammissibilità di un ricorso di sovraindebitamento privo di esame di merito non preclude la ripresentazione di una nuova istanza corretta. Inoltre ha sottolineato – in linea col correttivo-ter – la possibilità di reclamo contro l’inammissibilità stessa, e quindi la non definitività di tali decreti.
- Cassazione Civile, Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30538. Sentenza sul piano del consumatore che evidenzia l’importanza di valutare l’affidabilità del proponente (meritevolezza) e regola il voto in caso di crediti erariali, confermando la disciplina del cram-down: se la PA dissente ma il piano è conveniente, si può omologare. Rilevante anche per aver menzionato gli effetti della modifica normativa sul conflitto di interessi dei creditori finanziatori (art. 80 co.4 CCII).
- Tribunale di Napoli Nord, decreto 12 novembre 2022. Giurisprudenza di merito innovativa: ha ammesso un ex imprenditore cancellato alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, qualificandolo come consumatore ai fini dell’accesso, in presenza di debiti risalenti all’attività cessata ma valutando prevalente la natura personale post-chiusura. Caso isolato ma indicativo di un approccio sostanziale alla qualifica di consumatore/ex imprenditore.
- Tribunale di Torino, decreto 29 dicembre 2021. Uno dei primi provvedimenti di esdebitazione del debitore incapiente ex art. 14-quaterdecies L.3/2012 (oggi art. 283 CCII). Ha concesso l’esdebitazione ad un debitore nulla tenente con debiti elevati, sottolineando che anche la presenza di debiti tributari ingenti non impedisce il beneficio ove il debitore sia meritevole e non in grado oggettivo di offrire utilità (applicando il principio di proporzionalità e buona fede).
Non riesci più a pagare debiti e spese? Fatti aiutare da Studio Monardo
Se hai debiti che superano le tue possibilità reali e non riesci a uscirne da solo, è il momento giusto per intervenire.
Fatti aiutare da Studio Monardo.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza la tua situazione economica e la natura dei debiti (mutui, prestiti, cartelle, fornitori)
📑 Verifica se ci sono i presupposti per accedere a una procedura di sovraindebitamento
⚖️ Ti consiglia la strada migliore tra piano del consumatore, concordato minore o liquidazione controllata
✍️ Redige e presenta tutta la documentazione necessaria al tribunale o all’OCC
🔁 Ti segue fino all’esdebitazione, cioè la liberazione definitiva dai debiti non pagabili
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in sovraindebitamento e diritto bancario
✔️ Difensore accreditato presso gli Organismi di Composizione della Crisi
✔️ Consulente per chi è sommerso da debiti e non vede vie d’uscita
✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia
Conclusione
Chiedere il sovraindebitamento conviene non quando è troppo tardi, ma quando capisci che non puoi più farcela da solo.
Con la giusta guida legale puoi proteggere te stesso, la tua famiglia e costruire un nuovo inizio.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo: