Cosa Accade Ai Debiti Nella Cessione Dell’Azienda?

Stai pensando di cedere la tua azienda, magari per alleggerirti da un’attività che non riesci più a gestire, o per evitare che i debiti continuino ad accumularsi? Oppure ti stai chiedendo se acquistare un’attività già esistente possa significare ereditare anche i suoi debiti?

In entrambi i casi, la domanda è sempre la stessa:
Cosa succede ai debiti quando si cede un’azienda? Chi resta responsabile? E ci sono rischi anche per chi acquista?

La risposta dipende da cosa viene ceduto e da come avviene la cessione. Quando si trasferisce un’intera azienda – intesa come complesso di beni organizzati per l’attività – i debiti non spariscono automaticamente, e la legge stabilisce regole precise per tutelare entrambe le parti.

Il cedente resta sempre responsabile dei debiti? L’acquirente può essere chiamato a risponderne?

In linea generale, il cedente resta obbligato per i debiti maturati prima della cessione. Ma attenzione: l’acquirente può rispondere in solido per i debiti aziendali risultanti dalle scritture contabili, anche se non espressamente dichiarati al momento della vendita. Ecco perché è fondamentale una due diligence attenta, che metta in luce ogni passività potenziale.

E se si vogliono escludere i debiti dalla cessione? Si può fare?

Sì, ma serve un contratto chiaro, preciso e strutturato, che regoli in modo trasparente quali passività restano in capo al cedente e quali, eventualmente, vengono trasferite all’acquirente. Inoltre, per certi debiti – come quelli tributari o previdenziali – l’Agenzia delle Entrate o l’INPS possono comunque agire anche dopo la cessione, se non viene richiesta una certificazione preventiva.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in diritto commerciale, cessione d’azienda e responsabilità debitoria – ti spiega cosa succede ai debiti in caso di vendita dell’azienda, quali sono i rischi per cedente e acquirente, come tutelarti con un contratto efficace e quali verifiche non possono mai mancare.

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Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo ogni dettaglio della cessione, valuteremo la posizione debitoria e ti guideremo nella trattativa e nella stesura del contratto, per proteggerti da responsabilità future.

Introduzione

La cessione d’azienda – ossia il trasferimento a titolo oneroso di un complesso organizzato di beni e rapporti appartenenti a un’impresa – pone il delicato problema della sorte dei debiti contratti dal cedente nell’esercizio dell’impresa. In altre parole, quando un imprenditore o una società cede la propria azienda (o un ramo di essa) ad un acquirente, cosa succede ai debiti accumulati fino a quel momento? Restano in capo al venditore oppure ne risponde anche il compratore? Quali strumenti di tutela esistono per l’una e l’altra parte, e soprattutto quali precauzioni devono adottare i soggetti coinvolti per evitare sorprese sgradite?

Questa guida, aggiornata a giugno 2025, affronta in maniera approfondita il tema dal punto di vista del debitore cedente, senza trascurare le implicazioni per l’acquirente e per i creditori. Verranno esaminati tutti i tipi di debiti collegati all’esercizio dell’azienda – debiti fiscali, previdenziali, bancari, verso fornitori, dipendenti, ecc. – e la disciplina giuridica che ne regola il trasferimento (o la mancata trasferibilità) in caso di cessione aziendale. Si analizzerà in particolare la responsabilità solidale dell’acquirente prevista dall’art. 2560 del codice civile e dalla normativa speciale collegata (leggi tributarie, normative previdenziali, diritto del lavoro), nonché le clausole contrattuali con cui le parti possono tentare di regolare o limitare tale responsabilità.

Non mancherà uno sguardo alle possibili implicazioni penali connesse a cessioni d’azienda effettuate in presenza di debiti, specie quando queste operazioni siano finalizzate a sottrarre garanzie ai creditori. Verranno forniti esempi pratici, casi simulati di cessione aziendale e soluzioni operative sia per il cedente indebitato sia per l’acquirente, in modo da illustrare concretamente l’applicazione delle norme. Saranno richiamate e commentate le più recenti e autorevoli sentenze della Corte di Cassazione (anche a Sezioni Unite) e delle corti di merito sul tema, per evidenziare l’orientamento attuale della giurisprudenza.

Quadro generale: cessione d’azienda e destino dei debiti

Quando un’azienda viene ceduta, si trasferisce all’acquirente l’insieme organizzato dei beni e dei rapporti giuridici destinati all’esercizio dell’impresa (clienti, macchinari, contratti, avviamento, ecc.). La legge regola in modo diverso il trasferimento dei crediti e il trasferimento dei debiti dell’azienda ceduta. In base all’art. 2559 c.c., i crediti aziendali seguono automaticamente l’azienda e passano al cessionario (salvo diversa pattuizione), diventando efficaci verso i debitori ceduti con la sola iscrizione dell’atto di trasferimento nel Registro delle Imprese. Per i debiti, invece, la disciplina è più complessa perché coinvolge gli interessi sia del cedente sia dei creditori.

Dal punto di vista del debitore cedente, l’obiettivo naturale sarebbe liberarsi dei debiti pregressi cedendo l’azienda “pulita” all’acquirente. Tuttavia, i creditori vantano un diritto di garanzia generica sul patrimonio del debitore (ex art. 2740 c.c.) e potrebbero subire pregiudizio se l’azienda – che spesso rappresenta l’asset principale del debitore – venisse trasferita a terzi senza che nessuno si faccia carico delle passività pendenti. Per questo, l’ordinamento prevede alcune forme di responsabilità in capo all’acquirente, in modo da tutelare i creditori in occasione della cessione d’azienda. Allo stesso tempo, la legge cerca di evitare che l’operazione diventi eccessivamente rischiosa o “al buio” per l’acquirente, stabilendo dei limiti ben precisi a ciò di cui egli potrà essere chiamato a rispondere.

In estrema sintesi, si può anticipare che:

  • Il cedente (venditore) rimane obbligato per i debiti aziendali anteriori alla cessione, salvo liberazione espressa da parte dei creditori. La vendita dell’azienda, di per sé, non libera il vecchio imprenditore dai suoi debiti verso terzi.
  • L’acquirente (cessionario) diviene co-obbligato con il cedente per i debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie dell’azienda ceduta (se si tratta di un’azienda commerciale), in forza dell’art. 2560, comma 2, c.c.. Egli risponde cioè in solido con il venditore verso i creditori, ma solo entro il perimetro dei debiti formalmente iscritti nei libri contabili richiesti per legge (come vedremo in dettaglio più avanti).
  • Le parti possono regolare contrattualmente la ripartizione interna dei debiti (ad esempio prevedendo che l’acquirente si faccia carico solo di alcuni debiti specificamente elencati, ovvero inserendo clausole che escludono qualsiasi accollo di passività da parte del compratore). Tali pattuizioni tuttavia non vincolano i creditori terzi senza il loro consenso. Ciò significa che un creditore potrà comunque rivalersi sull’acquirente nei casi previsti dalla legge (art. 2560 c.c. e altre norme speciali), indipendentemente dagli accordi interni tra cedente e cessionario – accordi che varranno soltanto sul piano dei rapporti interni tra venditore e compratore (ad esempio per l’eventuale diritto di regresso o di manleva dell’acquirente nei confronti del venditore).
  • Eccezioni importanti al principio generale appena enunciato derivano da norme speciali: ad esempio, per quanto riguarda i debiti fiscali, la legge prevede uno speciale regime di responsabilità solidale (art. 14 D.Lgs. 472/1997) più ampio ma anche limitato nel quantum; nel caso dei debiti verso i lavoratori (stipendi, TFR, etc.), interviene l’art. 2112 c.c. che stabilisce la responsabilità solidale del cessionario senza condizione di contabilità; altre deroghe si applicano poi se la cessione avviene nel contesto di procedure concorsuali o di risanamento (fallimento, concordato, ecc.), dove l’acquirente può essere esonerato dal farsi carico dei debiti pregressi per favorire il salvataggio dell’impresa. Tutti questi aspetti saranno analizzati nelle sezioni seguenti.

In definitiva, la cessione di un’azienda con debiti richiede un bilanciamento tra esigenze contrapposte: da un lato la protezione dei creditori del venditore (che non devono veder svanire le loro chance di recupero a causa della vendita), dall’altro la tutela dell’acquirente (che deve sapere con certezza quali passività sta eventualmente assumendo, per non ereditare inaspettatamente un “buco nero”). La disciplina vigente – combinando norme codicistiche e leggi speciali – disegna un quadro nel quale, semplificando, il venditore non può liberarsi unilateralmente dei debiti con la semplice vendita dell’azienda, ma al tempo stesso l’acquirente risponde solo di determinati debiti noti o conoscibili, e può adottare varie cautele (sia legali che contrattuali) per gestire questo rischio. Nei prossimi capitoli approfondiremo tali regole, fornendo anche consigli pratici per chi vende o compra un’azienda con passività al seguito.

La disciplina generale del codice civile (art. 2560 c.c.)

Il punto di partenza è l’articolo 2560 del codice civile, che detta la regola generale sui “debiti relativi all’azienda ceduta”. Questa norma, al secondo comma, stabilisce che “Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori. Il primo comma aggiunge che “L’alienante non è liberato dai debiti anteriori al trasferimento se non risulta che i creditori vi hanno consentito”. In sostanza:

  • Il venditore (cedente) resta obbligato verso i creditori salvo consenso liberatorio da parte loro (consenso che in pratica si concretizza raramente, a meno che i debiti vengano pagati o accollati con accordi specifici). Il debitore originario quindi non si libera automaticamente vendendo l’azienda.
  • L’acquirente (cessionario) diventa obbligato in solido con il venditore per i debiti dell’azienda ceduta, ma solo per quelli che risultano dalle scritture contabili obbligatorie della stessa. Se un debito non risulta da tali libri contabili, l’acquirente – per legge – non ne risponde (salvo patto contrario tra le parti, come vedremo).

Questa disciplina vale esclusivamente in caso di trasferimento di un’azienda commerciale, cioè un’attività d’impresa soggetta all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (art. 2214 c.c.). I libri contabili obbligatori principali sono il libro giornale e il libro degli inventari, dove vanno registrate operazioni, attività e passività dell’impresa. Pertanto, se l’oggetto del trasferimento non è un’azienda in senso tecnico (ad es. uno studio professionale di un avvocato, oppure un ente non commerciale), l’art. 2560 c.c. non trova applicazione diretta in quanto mancano le scritture contabili obbligatorie. In tali casi, occorrerà rifarsi alle regole generali sui contratti e sull’eventuale accollo dei debiti, senza l’automatismo di responsabilità solidale previsto per l’azienda commerciale.

Condizione essenziale perché scatti la responsabilità del cessionario ex art. 2560 c.c. è dunque la formale iscrizione del debito nei libri contabili obbligatori dell’azienda ceduta. Si noti bene: conta la presenza del debito nelle scritture formali richieste dalla legge, non basta che il debito sia conosciuto o conoscibile in altro modo. La giurisprudenza ha chiarito infatti che è irrilevante la conoscenza effettiva del debito da parte dell’acquirente se esso non risulta dai libri obbligatori: la norma è tassativa nel richiedere l’iscrizione a bilancio. Ad esempio, la Cassazione ha escluso la responsabilità di un cessionario per un debito non contabilizzato, anche se questi ne era a conoscenza aliunde, proprio perché mancava l’iscrizione formale contabile. Parimenti, è stato precisato che il debito deve risultare in maniera chiara e specifica: se dai libri emergono dati troppo parziali o generici (ad esempio un debito indicato senza specificare il creditore), ciò non soddisfa il requisito e l’acquirente non può essere considerato obbligato. In altri termini, la finalità della norma è mettere l’acquirente nella condizione di identificare con esattezza le passività cui va incontro, tramite la corretta tenuta dei libri contabili da parte del venditore. Se questa condizione viene meno – perché il venditore ha tenuto scritture incomplete, irregolari o ha omesso di registrare un debito – la legge tutela l’acquirente escludendo l’automatica estensione del debito a suo carico.

Dal lato opposto, la ratio dell’art. 2560 è anche di tutelare i creditori dell’azienda ceduta. L’iscrizione nei libri obbligatori funge da “pubblicità” in favore dei creditori, nel senso che rende opponibile all’acquirente il debito e permette di chiamarlo in causa come ulteriore coobbligato. Qualora un debitore cedesse l’azienda e questo fosse il suo unico bene di valore, i creditori si troverebbero privi di garanzia patrimoniale; la norma evita ciò, dando loro la possibilità di escutere anche il cessionario, ma solo per quei debiti che avrebbero dovuto emergere da una diligente contabilità d’impresa. In definitiva, l’art. 2560 c.c. è costruito per equilibrare la protezione dei creditori con quella dell’acquirente: quest’ultimo è chiamato a rispondere dei debiti aziendali noti o comunque rilevabili dai registri contabili, mentre viene protetto rispetto a passività occulte o potenziali non desumibili dai libri.

Debiti inerenti all’azienda ceduta

Occorre precisare che la responsabilità in questione riguarda i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, ossia le obbligazioni sorte nell’ambito della gestione dell’attività trasferita. Non rientrano in questa categoria, ad esempio, i debiti personali del cedente estranei all’azienda, oppure i debiti derivanti da altre attività imprenditoriali del cedente non oggetto di cessione. In pratica, se Tizio cede l’azienda Alfa, l’acquirente risponde (nei limiti visti) dei debiti contratti da Tizio nell’esercizio di Alfa, ma non dei debiti che Tizio avesse eventualmente per altre sue aziende o per scopi privati.

Un ulteriore distinguo riguarda i debiti da contratto in corso. La cessione d’azienda comporta infatti, ai sensi dell’art. 2558 c.c., il subentro nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda, salvo che abbiano carattere personale. Se un contratto è ancora in esecuzione da entrambe le parti al momento del trasferimento, l’acquirente subentra in tutti i rapporti derivanti da quel contratto. In tal caso, i debiti che ne derivano per prestazioni non ancora eseguite rientrano nella disciplina della successione nei contratti (art. 2558) e non in quella dei “debiti puri” ex art. 2560. Viceversa, se il terzo contraente ha già eseguito la propria prestazione prima della cessione, restando a carico del venditore soltanto un’obbligazione di pagamento o simili, tale debito “residuale” rientra nell’ambito dell’art. 2560 c.c.. In sintesi, l’art. 2560 c.c. si applica ai debiti “solutari” (ossia a fronte dei quali il creditore ha già dato tutto ciò che doveva e attende solo la controprestazione del debitore), oppure ai debiti derivanti da fatti extracontrattuali, o ancora a obbligazioni unilaterali del cedente. Invece, per le obbligazioni ancora inserite in un rapporto contrattuale bilaterale non concluso, la questione rientra nell’art. 2558 c.c.: il contratto prosegue in capo al cessionario, che dovrà adempiere alle prestazioni dovute (e godrà delle eventuali controprestazioni del terzo).

Rapporto tra cedente e cessionario: regresso, accollo e clausole di esonero

Stabilito quali debiti dell’azienda vincolano l’acquirente verso terzi, va chiarito il rapporto interno tra venditore e compratore riguardo a tali passività. Di regola, se un creditore aziendale ottiene pagamento dall’acquirente ex art. 2560 c.c., l’acquirente ha diritto di regresso verso il venditore per quanto pagato in eccesso rispetto alla parte di debito che eventualmente si era accollato nel prezzo. In pratica, salvo diversi accordi, l’acquirente paga per evitare l’esecuzione forzata da parte del creditore, ma poi può rivalersi sul cedente perché, inter partes, quei debiti rimangono a carico del venditore originario.

Le parti possono comunque accordarsi diversamente. In sede di contratto di cessione, è possibile convenire che l’acquirente assuma a proprio carico determinati debiti dell’azienda (c.d. patto di accollo): ad esempio, il compratore potrebbe accollarsi i debiti verso fornitori fino a un certo importo, magari ottenendo uno sconto di prezzo equivalente. Questa è una forma di accollo cumulativo (non liberatorio) in cui l’acquirente diventa obbligato verso il creditore insieme al cedente. Tuttavia, come ribadisce l’art. 2560 stesso, tale assunzione di debiti non libera il cedente verso i creditori a meno che questi acconsentano espressamente. Il consenso del creditore può portare a un accollo liberatorio o a una novazione soggettiva del debito, ma in assenza di ciò il venditore resta coobbligato in solido.

Spesso, il contratto di cessione prevede anche clausole volte a limitare o escludere il più possibile la responsabilità del cessionario. Una tipica pattuizione è la “clausola liberatoria” in cui si stabilisce che “tutti i debiti anteriori alla cessione restano a carico esclusivo del cedente, e il cessionario non ne risponderà”. Oppure, in positivo, si può elencare espressamente quali debiti l’acquirente si impegna a pagare (se ve ne sono) e precisare che nessun altro debito verrà assunto dal medesimo. Dal punto di vista interno tra le parti, una clausola del genere è perfettamente valida e vincola cedente e cessionario secondo i termini pattuiti. Spesso la clausola liberatoria è accompagnata da un obbligo del cedente di manlevare l’acquirente, cioè di tenerlo indenne e rimborsarlo di ogni eventuale pagamento che questi fosse costretto a effettuare verso terzi per debiti anteriori non considerati.

Dal punto di vista dei creditori, però, va ribadito che tali clausole non producono effetti: il creditore che rientri nella tutela di legge (es. un fornitore con credito registrato in contabilità) potrà comunque agire contro l’acquirente nonostante la clausola liberatoria. L’unica utilità di quest’ultima sarà appunto consentire all’acquirente di rivalersi sul cedente a posteriori (in base all’impegno di manleva). In pratica, la clausola di esclusione delle passività serve al cessionario per tutelarsi internamente, ma non può pregiudicare i diritti dei creditori di agire verso il soggetto aggiuntivo che la legge mette a loro disposizione.

Data questa situazione, è fondamentale che il cessionario adotti precauzioni prima di acquistare un’azienda, specialmente se sa (o sospetta) che vi siano debiti pendenti. È consigliabile effettuare una due diligence contabile approfondita, esaminando i libri e i bilanci per individuare tutti i debiti risultanti. Inoltre, come si vedrà tra poco, esistono strumenti legali specifici (come il certificato dei debiti fiscali, o il DURC per i contributi) che il compratore può richiedere per mappare eventuali esposizioni. Spesso viene negoziata una garanzia contrattuale: il venditore dichiara che l’azienda non ha debiti oltre a quelli eventualmente indicati, impegnandosi a risarcire l’acquirente per qualsiasi passività ulteriore dovesse emergere (representations & warranties). In casi di dubbio, l’acquirente potrebbe richiedere una parte del prezzo in deposito (escrow) o una fideiussione a garanzia dei debiti potenziali, così da avere un fondo a cui attingere se dovesse pagare debiti del cedente.

Caso particolare: trasferimento a soggetti collegati (assenza di alterità)

Un aspetto peculiare, emerso nella giurisprudenza recente, riguarda le cessioni d’azienda effettuate tra soggetti non realmente distinti sul piano sostanziale – ad esempio tra società controllate dalla stessa persona, o tra società con gli stessi amministratori/soci. In tali ipotesi, la funzione di tutela dell’art. 2560 c.c. viene meno, perché il trasferimento potrebbe essere utilizzato in modo strumentale per eludere la responsabilità verso i creditori mantenendo in realtà il controllo dell’azienda nelle stesse mani. La dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato che la norma dell’art. 2560 c.c. presuppone un’effettiva dualità di soggetti distinti tra cedente e cessionario; se questa manca, l’ambito di applicazione della norma si riduce. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che l’efficacia dell’art. 2560, comma 2, “incontra un limite solo nella carenza di un’effettiva alterità soggettiva”, con la conseguenza che un trasferimento meramente formale (in cui la compagine sociale e gli organi amministrativi di fatto restano gli stessi) può essere considerato fittizio, facendo ricadere tutti i debiti sull’avente causa.

In un caso concreto, la Cassazione ha stabilito che nella cessione di un ramo d’azienda tra società aventi i medesimi amministratori l’art. 2560 non si applica affatto: il cessionario è tenuto a rispondere di tutti i debiti inerenti al ramo ceduto, indipendentemente dalla loro risultanza nei registri contabili. Ciò significa che, di fronte a operazioni infragruppo o tra soggetti collegati, i giudici possono disconoscere la protezione normalmente offerta all’acquirente ignaro di debiti non contabilizzati, presumendo invece che vi fosse consapevolezza e continuità sostanziale fra le due entità. In questi casi eccezionali, l’acquirente “collegato” può ritrovarsi obbligato verso tutti i creditori del cedente, come se non fosse intervenuto alcun trasferimento. È una reazione anti-abuso che mira a impedire uso strumentale della cessione per sottrarre le passività ai creditori mantenendo però la disponibilità dell’azienda in ambito familiare o societario omogeneo.

Debiti fiscali: responsabilità tributaria del cessionario (art. 14 D.Lgs. 472/1997)

Tra i debiti che destano maggior preoccupazione al momento di una cessione d’azienda vi sono senz’altro quelli verso il Fisco: imposte non pagate, IVA, ritenute non versate, sanzioni tributarie, ecc. Il legislatore, per evitare facili elusioni, ha introdotto una norma ad hoc, contenuta nell’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, che disciplina la responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti tributari del cedente. Tale previsione rappresenta una deroga rispetto alla disciplina generale dell’art. 2560 c.c., estendendo la responsabilità del cessionario in maniera più ampia ma al contempo prevedendo alcuni limiti oggettivi e soggettivi.

In base all’art. 14 D.Lgs. 472/97, chi acquista un’azienda (o un ramo di azienda) è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dei debiti tributari (imposte e sanzioni) relativi a un determinato periodo temporale, e precisamente:

  • all’anno in cui avviene la cessione;
  • ai due anni antecedenti la cessione;
  • eventualmente anche ad anni precedenti, ma solo se per tali annualità vi siano già, nel suddetto triennio, atti impositivi o di accertamento già notificati o contestati al cedente.

Questa responsabilità del cessionario è comunque limitata nel “quantum”: l’acquirente risponde dei debiti tributari del cedente fino a concorrenza di un importo pari al valore dell’azienda ceduta. Il “valore dell’azienda” si prende, indicativamente, dal valore dichiarato nell’atto (ad esempio ai fini dell’imposta di registro) salvo prova di un diverso importo. In altre parole, il Fisco non può chiedere al cessionario più di quanto vale il complesso aziendale acquisito. Ciò intende evitare che un acquirente paghi, in aggiunta al prezzo, anche somme sproporzionate per debiti fiscali pregressi magari eccedenti il valore dell’affare.

Vediamo un esempio semplificato: Tizio cede la sua azienda a Caio nel giugno 2025. Il valore dell’azienda (avviamento, beni, etc.) è 200.000 €. Tizio però ha debiti con l’Erario: poniamo 50.000 € di IVA non versata per l’anno 2024, e 30.000 € di IRPEF per il 2023. Inoltre, a maggio 2025 gli è stato notificato un avviso di accertamento per IRPEF 2021 di 40.000 €. Ebbene, Caio – nuovo acquirente – potrà essere chiamato in causa dal Fisco per questi debiti di Tizio, perché rientrano nell’anno della cessione (2025, se ha omesso qualche versamento in tale anno), nei due anni precedenti (2023-2024) o in anni anteriori ma già accertati nel triennio (accertamento 2021 notificato nel 2025 rientra). Però Caio al massimo dovrà rispondere fino a 200.000 € complessivi (valore azienda) e dopo che l’Amministrazione finanziaria avrà prima escusso Tizio (come vedremo). Se invece Tizio avesse un debito fiscale del 2018 non contestato fino al 2026 (dopo la cessione), Caio non ne risponderebbe, perché esula dal triennio di riferimento e non v’era alcun atto constatativo nel periodo considerato.

Questa norma ha una chiara finalità antielusiva: mira a impedire che imprenditori fortemente indebitati col fisco vendano l’azienda (o la conferiscano in una newco, o la affittino) per poi lasciar l’Erario a bocca asciutta. Si tratta di una tutela speciale dell’interesse pubblico alla riscossione, che prevale, entro certi limiti, sulla disciplina civilistica ordinaria. Da notare che l’art. 14 in questione si applica ad ogni tipo di trasferimento d’azienda, non solo la compravendita classica: sono espressamente inclusi, ad esempio, il conferimento d’azienda in società, la permuta, la donazione, l’usufrutto o l’affitto d’azienda. Quindi anche chi prende in affitto un ramo d’azienda potrebbe teoricamente rispondere dei debiti fiscali del proprietario cedente (nei limiti temporali e di valore detti).

Vediamo ora i meccanismi di funzionamento di questa responsabilità tributaria del cessionario, che presenta alcune peculiarità rispetto alla solidarietà civile ex art. 2560:

  • Ambito dei debiti fiscali inclusi: Come detto, copre imposte e relative sanzioni amministrative (es. imposta sul reddito, IVA, IRAP, ritenute, contributi previdenziali se riscossi dall’Agenzia Entrate Riscossione, ecc.) riferite al periodo indicato. Rientrano anche i debiti per violazioni constatate dopo la cessione ma commesse prima, purché vi sia stata contestazione o avvio di procedimento nel triennio. La Cassazione ritiene infatti che il cessionario risponda delle violazioni commesse nel triennio antecedente solo se queste violazioni, alla data della cessione, siano già emerse in qualche atto dell’Amministrazione (processo verbale di constatazione, avviso). Se invece l’evasione era del tutto ignota al fisco fino a dopo la cessione, il debitore rimane il solo cedente. Questa interpretazione evita di imporre al cessionario una responsabilità per situazioni occulte non accertate all’epoca dell’acquisto.
  • Nessuna ingerenza nelle procedure del cedente: Importante è capire che il cessionario non diventa contribuente in luogo del cedente. Gli atti impositivi (cartelle, accertamenti) devono essere notificati al cedente e non all’acquirente. Il cessionario non ha legittimazione a impugnarli nel merito: se l’Agenzia delle Entrate contesta al cedente un’imposta, il compratore non può fare ricorso come se fosse lui il contribuente. Può però fare una cosa: intervenire nel processo tributario eventualmente instaurato dal cedente contro l’accertamento, ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 546/1992. L’intervento dell’acquirente nel giudizio è ammesso in quanto soggetto potenzialmente obbligato in solido (destinatario di effetti sostanziali), ma sarà un intervento adesivo, subordinato a quello del cedente: l’acquirente in giudizio non può introdurre nuove eccezioni né impugnare autonomamente, può solo sostenere le ragioni del cedente. Dunque il cessionario dipende dalle scelte processuali del venditore anche su questo piano.
  • Beneficio di escussione: La legge prevede espressamente a favore del cessionario il beneficio della preventiva escussione del cedente. Ciò significa che il Fisco deve prima tentare di riscuotere coattivamente il dovuto dal venditore, e solo se questi risulta inadempiente (totalmente o parzialmente) può rivolgersi all’acquirente, nei limiti residui. La responsabilità del cessionario è dunque sussidiaria ed “eventuale”: diventa effettiva solo se, dopo aver escusso il patrimonio del cedente, rimane un debito insoddisfatto. Questo tutela l’acquirente, evitando che l’Erario possa aggredirlo immediatamente appena ceduta l’azienda: l’onere primario di pagamento resta sul contribuente originario.
  • Certificato dei carichi fiscali pendenti (cd. certificato liberatorio): Uno strumento fondamentale previsto dall’art. 14, comma 3, D.Lgs. 472/97, è la possibilità per il cessionario di ottenere dall’Amministrazione finanziaria un certificato attestante l’esistenza di contestazioni in corso o debiti fiscali definitivi non assolti dal cedente. Questo certificato – spesso chiamato certificato fiscale liberatorio – va richiesto agli uffici fiscali competenti (Agenzia delle Entrate e eventualmente Agenzia Entrate Riscossione) prima della cessione o in concomitanza. L’Amministrazione deve rilasciarlo entro 40 giorni dalla richiesta. Se il certificato attesta che non risultano contestazioni o importi dovuti in quel perimetro, esso ha l’effetto di esonerare l’acquirente da ogni responsabilità per i debiti fiscali antecedenti. In pratica, un certificato negativo (cioè “pulito”) mette al sicuro il cessionario: se poi emergesse qualche evasione del cedente non rilevata nel certificato, il cessionario non ne risponderebbe affatto. Se invece il certificato è positivo, elencando ad esempio che ci sono accertamenti pendenti o cartelle non pagate per un certo totale, allora delimita la responsabilità del cessionario a quei debiti indicati. Va sottolineato che se l’ufficio non rilascia il certificato nei 40 giorni, scatta comunque l’esonero automatico del cessionario. Ciò incentiva l’Amministrazione a collaborare nei tempi stabiliti e permette al cessionario di non restare in un limbo.

Alla luce di questa facoltà, è altamente consigliabile richiedere sempre il certificato fiscale prima di acquistare un’azienda. Molti atti di cessione d’azienda vengono condizionati contrattualmente all’ottenimento di tale certificato, proprio per dare tranquillità all’acquirente. Spesso il notaio che redige l’atto suggerisce di allegare il certificato, oppure di inserire dichiarazioni del cedente circa l’assenza di debiti fiscali oltre a quelli risultanti dal certificato medesimo.

  • Cessione di ramo d’azienda e debiti tributari: Se si trasferisce solo un ramo dell’azienda (cioè una parte organizzata di essa), l’art. 14 stabilisce che il cessionario risponde solo dei debiti fiscali inerenti a quel ramo. Non può quindi essere chiamato a pagare imposte dovute per attività rimaste in capo al cedente e relative ad altri rami non ceduti. Tuttavia, l’onere della prova dell’estraneità di un certo debito al ramo ceduto spetta al cessionario. Egli dovrà dimostrare, ad esempio, che l’imposta evasa riguardava un settore di attività non compreso nel ramo trasferito. La prova non può essere data per presunzioni, ma occorre esibire documentazione, come proprio il certificato fiscale limitato al ramo e la contabilità separata di quel ramo. In pratica, se l’azienda cedente aveva una contabilità unitaria, può essere complicato sostenere che certe imposte non riguardano il ramo venduto, a meno che il certificato dell’Agenzia non distingua i carichi per ramo (cosa possibile se ad esempio il ramo corrisponde a una partita IVA secondaria o a un centro di imputazione autonomo).
  • Cessione in frode al Fisco: Un ultimo aspetto cruciale: l’art. 14 prevede (comma 4) che, se la cessione d’azienda è effettuata in frode ai crediti tributari, la responsabilità del cessionario diviene illimitata (cioè senza il limite del valore dell’azienda). In altri termini, l’acquirente perde il “beneficio” del tetto massimo e può essere costretto a pagare anche oltre il valore acquistato. La norma (comma 5) stabilisce anche una presunzione iuris tantum di frode fiscale se il trasferimento avviene entro 6 mesi dalla constatazione di una violazione tributaria penalmente rilevante. Ciò serve da deterrente contro manovre dell’ultimo minuto: ad esempio, un imprenditore sottoposto a verifica fiscale a gennaio (dove emergono reati tributari) che cedesse l’azienda a marzo, vedrebbe l’acquirente responsabile illimitatamente, a meno di provare l’assenza di intento fraudolento. Naturalmente, oltre alla responsabilità civile illimitata, queste condotte possono configurare anche reati tributari a carico del cedente e talvolta dell’acquirente compiacente (su cui torneremo nella sezione penale).

In sintesi, la responsabilità fiscale del cessionario è un terreno delicato: da un lato allarga la platea dei soggetti su cui il Fisco può rifarsi (garantendo maggior tutela all’Erario), dall’altro offre al compratore strumenti di protezione (certificato, escussione preventiva, limiti temporali e di valore) per non scoraggiare del tutto la circolazione di aziende. Dal punto di vista pratico:

  • Il venditore dovrebbe, se possibile, regolarizzare la propria posizione fiscale prima della cessione o quantomeno informare l’acquirente della situazione, sapendo che in difetto il Fisco potrà coinvolgere quest’ultimo.
  • L’acquirente deve sempre attivarsi per ottenere il certificato dei carichi pendenti e prevedere clausole di garanzia nel contratto (ad es. trattenere una parte di prezzo pari ai debiti fiscali risultanti, da versare al Fisco quando richiesto). In alcuni casi potrebbe valutare di frazionare l’operazione (ad esempio rilevare solo un ramo sano dell’azienda, lasciando i debiti fiscali su un altro ramo che resta al cedente) ma ciò va fatto con estrema cautela per non incorrere in presunzioni di frode.
  • Se la cessione avviene all’interno di procedure concorsuali o di risanamento, vi sono esoneri o sospensioni di tale responsabilità (tema che vedremo più avanti, in quanto nel 2023-2024 sono state introdotte novità per armonizzare disciplina civilistica e tributaria in tali casi).

Debiti previdenziali e contributivi (INPS, INAIL)

Un’altra categoria importante di debiti aziendali è quella verso gli enti previdenziali e assicurativi, principalmente l’INPS (contributi pensionistici e assistenziali) e l’INAIL (premi assicurativi contro gli infortuni sul lavoro), nonché eventuali casse professionali. Questi debiti originano perlopiù dal rapporto di lavoro con i dipendenti (contributi a carico del datore e quote trattenute al lavoratore) o da obblighi assicurativi e previdenziali vari.

La normativa non prevede una disciplina specifica ed organica di responsabilità solidale del cessionario per i debiti contributivi analoga a quella fiscale. Pertanto, occorre far riferimento alle regole generali: in particolare, all’art. 2560 c.c. per quanto riguarda l’eventuale trasferimento dei debiti verso enti come INPS e INAIL. La questione però è peculiare, perché entra in gioco anche l’art. 2112 c.c. sui diritti dei lavoratori (che sarà trattato nella sezione successiva).

In linea di principio:

  • I debiti contributivi verso INPS/INAIL non sono considerati “crediti del lavoratore” (appartengono all’ente previdenziale, soggetto terzo) e quindi non ricadono nella responsabilità speciale ex art. 2112 c.c.. La Cassazione ha chiarito che il lavoratore è estraneo al rapporto contributivo tra datore di lavoro ed ente, di conseguenza i contributi arretrati non rientrano tra i “crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento” di cui all’art. 2112. Quindi il cessionario non è automaticamente responsabile dei debiti verso gli enti previdenziali.
  • Tali debiti seguono piuttosto la regola generale: l’acquirente risponde in solido solo se risultano dai libri contabili obbligatori dell’azienda. Ad esempio, se nel bilancio o nella contabilità del cedente figurano debiti verso INPS (contributi omessi) per un certo importo, l’INPS potrà pretendere pagamento anche dal nuovo titolare dell’azienda, in base all’art. 2560 c.c. viceversa, se nulla risulta (per omissione dolosa o perché l’azienda era esonerata dalla tenuta di scritture), l’acquirente potrà opporre l’assenza di iscrizione. In tal caso l’obbligo rimane in capo al cedente.

La Cassazione, Sez. Lavoro, 24 febbraio 2016 n. 3646 ha affrontato proprio il tema dei debiti verso enti previdenziali in caso di cessione d’azienda, confermando che la solidarietà ex art. 2112 c.c. copre i soli crediti dei lavoratori, mentre per i crediti di terzi come gli enti previdenziali vale l’art. 2560. Dunque, l’INPS per recuperare contributi arretrati potrà rivolgersi all’acquirente solo se quei crediti erano evincibili dalla contabilità (ad esempio risultavano tra i debiti verso istituti previdenziali nello stato patrimoniale o libro paga). Se così non fosse, l’ente dovrà agire unicamente contro il cedente (salvo ovviamente il caso di cessione fittizia o in frode, dove potrebbero esserci altri rimedi legali).

Va comunque segnalato che nella prassi l’acquirente prudente chiede sempre al cedente un DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) aggiornato. Il DURC è un attestato rilasciato da INPS/INAIL che certifica se un’azienda è in regola con il versamento dei contributi e premi assicurativi. Sebbene sia previsto principalmente per rapporti con la P.A. o appalti, nulla vieta di utilizzarlo privatamente come garanzia dello stato contributivo. Un DURC regolare alla data di cessione dà una certa tranquillità che non vi siano esposizioni pendenti verso gli enti (o quantomeno che l’azienda è in regola nei pagamenti periodici). Se invece l’azienda risulta irregolare (DURC negativo), l’acquirente saprà che esistono debiti contributivi e potrà:

  • chiedere al venditore di saldarli prima del trasferimento (magari decurtando tali importi dal prezzo),
  • ovvero predisporre un deposito vincolato di parte del prezzo a garanzia di quei debiti,
  • oppure ancora rinunciare all’acquisto se la situazione è troppo compromessa.

Riassumendo, per i debiti INPS/INAIL il cessionario non ha una responsabilità legale automatica fuori dai casi dell’art. 2560 c.c. (scritture) e di eventuale clausola contrattuale di accollo. Nel dubbio, il cessionario deve quindi:

  • Verificare i bilanci e libri paga del cedente per individuare eventuali debiti contributivi registrati.
  • Richiedere un DURC pre-cessione.
  • Prevedere in contratto una manleva specifica per contributi non versati.
  • Valutare se opportuna una certificazione analoga a quella fiscale anche presso INPS (in alcune circostanze l’INPS rilascia un documento attestante i debiti contributivi ex art. 32, co. 8 L. 34/2019 per cessione di azienda, se richiesto, benché la normativa non sia dettagliata come per il Fisco).

Da ultimo, consideriamo che nell’ambito di procedure concorsuali (fallimento, concordato, ecc.), se la cessione avviene con autorizzazione del tribunale, come vedremo più avanti, l’acquirente può essere esonerato anche dai debiti contributivi in blocco. Fuori da tali contesti, resta valido che il nuovo imprenditore non subentra nei rapporti debitori col fisco e con gli enti previdenziali, salvo le descritte eccezioni di legge.

Debiti verso i lavoratori (retribuzioni, TFR, ecc.)

I crediti dei lavoratori legati al rapporto di lavoro (stipendi non pagati, ferie maturate e non godute, trattamento di fine rapporto maturato, ecc.) godono di una tutela particolarmente forte in caso di trasferimento d’azienda, disciplinata dall’art. 2112 c.c.. Questa norma, nota per garantire la continuità dei rapporti di lavoro in caso di cessione, contiene anche una specifica previsione sui debiti del datore di lavoro cedente verso i dipendenti.

In dettaglio, l’art. 2112 comma 1 c.c. stabilisce il principio della continuità dei contratti di lavoro: i lavoratori passano automaticamente alle dipendenze del cessionario conservando tutti i loro diritti. Il comma 2 aggiunge che “il cedente ed il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento”. Dunque, per qualsiasi credito di lavoro già maturato al momento della cessione, il dipendente potrà rivolgersi sia al vecchio sia al nuovo datore, i quali sono entrambi responsabili del pagamento.

Questa disposizione costituisce una deroga alla regola dell’art. 2560 c.c.: infatti, a differenza di quest’ultimo, l’art. 2112 non richiede affatto che il credito risulti dai libri contabili, né distingue se il debito verso il lavoratore fosse noto o meno all’acquirente. La responsabilità solidale è presunta ex lege per tutti i crediti di lavoro esistenti, proprio per proteggere i lavoratori durante i cambi di gestione. Ad esempio, se al momento del trasferimento alcuni stipendi non sono stati pagati o se è maturato il TFR, il lavoratore potrà pretendere tali somme dal nuovo titolare dell’azienda (oltre che dal precedente).

Va evidenziato che questa solidarietà riguarda i crediti del lavoratore in senso stretto, mentre come visto non copre i crediti di soggetti terzi connessi al rapporto di lavoro (come gli enti previdenziali per i contributi). Perciò:

  • Se Caio acquista l’azienda e scopre che Tizio (cedente) non aveva versato l’ultima mensilità ai dipendenti, Caio dovrà pagarla (i lavoratori potranno legittimamente chiedergliela) e potrà poi rivalersi su Tizio.
  • Se invece Caio scopre che Tizio non aveva versato i contributi all’INPS su quelle retribuzioni, i lavoratori non possono chiedere nulla a Caio perché non è un loro credito diretto; potrà l’INPS eventualmente agire, ma in base all’art. 2560 (se contributi registrati nei libri paga).

Di norma, prima di una cessione è buona pratica che il cedente metta in pari le spettanze dovute ai dipendenti (pagando stipendi arretrati, tredicesime, ferie, ecc.) o ne dia evidenza all’acquirente con corrispondente riduzione del prezzo. Spesso nel contratto di cessione d’azienda vi è una sezione dedicata ai dipendenti, in cui:

  • Il cedente dichiara l’ammontare di eventuali crediti maturati dai lavoratori (es. ferie non godute X euro, permessi, mensilità arretrate).
  • Si conviene come verranno gestiti tali oneri: ad esempio, il cessionario si accolla il pagamento di queste somme ai dipendenti (che così transitano “puliti”), ma ottiene uno sconto di prezzo equivalente; oppure il cedente si impegna a pagare tutto fino al giorno del trasferimento e a fornire evidenza dei pagamenti.
  • Si può inserire una clausola di manleva a favore dell’acquirente per qualsiasi richiesta aggiuntiva dei lavoratori relativa al periodo pre-cessione.

In ogni caso, dal punto di vista giuridico il lavoratore ha sempre il diritto di esigere quanto a lui dovuto anche dal nuovo datore (cessionario). L’acquirente si trova quindi ad essere garante di fatto dei crediti da lavoro pregressi. Questa soluzione, apparentemente onerosa per chi compra, ha però una ratio ben precisa: assicurare che i lavoratori non perdano i loro diritti retributivi e di TFR a causa del trasferimento, soprattutto se il cedente era insolvente. Il nuovo imprenditore, infatti, eredita la forza lavoro e quindi anche gli oneri maturati verso di essa.

Un limite a questa regola generale si trova nelle procedure concorsuali: se la cessione avviene, ad esempio, nell’ambito di un concordato preventivo o di un fallimento, possono essere concordate falcidie o esclusioni dei crediti di lavoro, purché nel rispetto delle norme speciali (ad esempio col parere favorevole delle rappresentanze sindacali, ecc.). L’art. 2112 c.c. infatti “resta fermo” nei trasferimenti d’azienda, ma nelle cessioni autorizzate dal tribunale in sede concorsuale è possibile contrattare trattamenti diversi (lo stesso art. 2112 lo prevede, come richiamato dal Codice della Crisi). Ciò però attiene più al diritto fallimentare e alle sue interazioni con il diritto del lavoro, di cui diremo tra breve.

Riassumendo per uso pratico:

  • Il lavoratore è ampiamente tutelato: il cambio di proprietà dell’azienda non intacca i suoi diritti, anzi aggiunge un ulteriore debitore (il cessionario) da cui esigere eventuali arretrati.
  • Il cedente deve idealmente regolarizzare le posizioni con i dipendenti prima di cedere, anche perché eventuali mancati pagamenti potrebbero creare tensioni e vertenze proprio al momento del passaggio.
  • Il cessionario deve verificare (magari chiedendo documentazione come libro unico del lavoro, F24 contributi, lettere di assunzione) l’esistenza di crediti dei dipendenti. È opportuno inserire nel contratto uno stato del personale con indicazione di ferie maturate e non godute, ratei di mensilità aggiuntive maturati e non corrisposti, TFR in maturazione, ecc., in modo da avere contezza degli importi. Tali importi possono essere scorporati dal prezzo e destinati a un conto per pagare i lavoratori, oppure essere versati al cedente solo dietro prova dell’avvenuto saldo ai dipendenti.

Debiti bancari, finanziari e verso fornitori (debiti commerciali)

I debiti verso fornitori, verso istituti bancari o altri finanziatori dell’azienda rientrano anch’essi, di norma, nella categoria dei debiti trasferibili ai sensi dell’art. 2560 c.c. se risultano in contabilità. Si tratta infatti di obbligazioni contratte per l’esercizio dell’impresa (acquisto di merci, materie prime, utenze, leasing di macchinari, mutui bancari per finanziare l’attività, fidi di cassa, ecc.), dunque inerenti all’azienda ceduta.

Dal punto di vista legale:

  • Se un debito commerciale o bancario figura nei libri contabili obbligatori (es. bilancio, partitari contabili), l’acquirente sarà coobbligato in solido col venditore verso quel creditore, per effetto diretto dell’art. 2560 c.c..
  • Se invece tali debiti non compaiono nelle scritture, l’acquirente può eccepire di non risponderne, lasciandoli a carico esclusivo del cedente (salvo i noti casi di frode o collegamento tra le parti, discussi prima, che potrebbero portare a una differente conclusione in sede giudiziaria).

In pratica, la maggior parte dei debiti verso fornitori risulta in contabilità aziendale (fatture da pagare, rate leasing, ecc., sono voci registrate). Quindi il cessionario nella generalità dei casi ne risponderà in solido. Ciò non significa che debba necessariamente pagarli di tasca sua oltre al prezzo versato: spesso infatti negli accordi di cessione si tiene conto dei debiti verso fornitori per aggiustare il prezzo o definire chi li pagherà. Esempi:

  • Il compratore si accolla l’obbligo di pagare tutti i fornitori dell’azienda (diciamo debiti per 100.000 €) e corrispondentemente decurta questa cifra dal prezzo da versare al venditore (in sostanza paga i fornitori al posto del venditore).
  • Oppure, le parti stabiliscono che il venditore pagherà fino alla data del trasferimento tutti i debiti verso fornitori, consegnando all’acquirente un’azienda “pulita” (magari l’acquirente sospende parte del prezzo finché non riceve evidenza dei pagamenti effettuati ai fornitori).
  • In altri casi, se i debiti verso fornitori restano al venditore ma figurano in contabilità, l’acquirente potrà essere chiamato a pagarli qualora il venditore non lo faccia: quindi si conviene una manleva per cui il venditore indennizzerà l’acquirente di ogni esborso fatto in favore di fornitori anteriori alla cessione.

Per quanto riguarda i debiti bancari e finanziari, occorre distinguere:

  • Scoperti di conto corrente, fidi e mutui bancari: tecnicamente sono debiti dell’azienda verso la banca, spesso di importo rilevante. È prassi che prima della cessione tali posizioni vengano ridefinite: il venditore potrebbe estinguere il debito bancario utilizzando (parte del) il prezzo di cessione, oppure l’acquirente subentra nel rapporto di conto corrente/finanziamento previa assenso della banca. Da notare che, a differenza dei fornitori, le banche spesso inseriscono nei contratti di finanziamento clausole di decadenza dal beneficio o risoluzione in caso di trasferimento d’azienda o di proprietà dell’impresa. Quindi la cessione può costituire di per sé un inadempimento contrattuale verso la banca se fatta senza preavviso. Pertanto, in una cessione d’azienda è buona norma informare i principali creditori bancari e ottenere il loro consenso al subentro dell’acquirente nel debito (attraverso un accollo del mutuo o una cessione del contratto di conto corrente). La banca potrebbe richiedere nuove garanzie al cessionario (fideiussioni, ipoteche) oppure decidere di farsi rimborsare immediatamente dal cedente (magari attingendo al prezzo di vendita).
  • Debiti garantiti da pegni o ipoteche: se un debito dell’azienda ceduta è assistito da garanzie reali su beni aziendali (ad es. ipoteca su un immobile dell’azienda), bisogna considerare che il trasferimento dell’azienda comporta anche il trasferimento dei beni gravati ma non libera questi beni dalla garanzia. Il creditore ipotecario, pur potendo in teoria escutere anche il cessionario per il debito (ex art. 2560, se iscritto), mantiene comunque il suo diritto di escutere direttamente il bene ipotecato, anche in mano all’acquirente. Ciò significa che l’acquirente rischia di vedersi aggredire l’immobile o macchinario ipotecato se il debito non viene pagato, a prescindere dalla responsabilità personale. È essenziale quindi affrontare questi debiti in fase di cessione: spesso o vengono estinti al closing, o l’acquirente li rifinanzia, o si accorda col creditore per proseguire il finanziamento. In alcuni casi il tribunale, nelle vendite autorizzate ex art. 22 Codice della Crisi, può disporre la cancellazione di ipoteche in favore del creditore dietro adeguate tutele (vedi sezione su cessione in procedure di crisi).
  • Debiti verso fornitori critici o strategici: se l’azienda ha debiti verso fornitori essenziali (fornitore di materie prime principali, utenze) è fondamentale che tali rapporti proseguano. L’acquirente vorrà spesso garantirsi che quei fornitori vengano pagati o che comunque continuino a rifornire l’azienda dopo la cessione. Può quindi accordarsi col venditore per pagare direttamente quei fornitori arretrati (evitando rotture di forniture) e scalare l’importo dal prezzo. In alcuni casi, specialmente per forniture periodiche, i fornitori fanno sottoscrivere al cessionario una conferma di saldo del pregresso al fine di continuare il contratto.

In sintesi, i debiti commerciali e finanziari seguono la logica generale: responsabilità solidale del cessionario se risultano a bilancio. In sede contrattuale, però, è uno degli aspetti più negoziati, poiché incide immediatamente sul valore dell’operazione. Un’azienda indebitata con fornitori per 500.000 € vedrà normalmente quella passività trasferita all’acquirente tramite una riduzione del prezzo o un accollo concordato. Da sottolineare che, se malgrado gli accordi il cedente non paga dei debiti che doveva pagare e quei debiti emergono dal bilancio ceduto, i creditori potranno comunque agire contro il cessionario, il quale poi farà valere l’accordo interno per farsi rimborsare (ammesso che il cedente sia solvente!). Ecco perché all’acquirente conviene piuttosto trattenere direttamente dal prezzo gli importi per saldare i debiti critici, anziché fidarsi che il venditore li estinguerà in seguito.

Cessioni d’azienda in crisi e procedure concorsuali: esonero dai debiti

Finora abbiamo considerato la cessione d’azienda in condizioni “ordinarie”. Quando però la cessione avviene nel contesto di una crisi d’impresa o addirittura di un’insolvenza conclamata, intervengono regole speciali proprie del diritto concorsuale (ora riunito nel D.Lgs. 14/2019, Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII). In tali casi l’ordinamento cerca di favorire il salvataggio o la liquidazione dell’azienda prevedendo una sorta di “effetto purgativo”: l’azienda può essere trasferita senza i debiti pregressi, i quali rimangono in capo alla procedura o al cedente insolvente. L’acquirente dunque risulterà esonerato dalla responsabilità per i debiti anteriori, in deroga all’art. 2560 c.c. e alle altre norme viste.

Le principali situazioni in cui ciò accade sono:

  • Fallimento (liquidazione giudiziale): se l’azienda viene ceduta dal curatore fallimentare nell’ambito della liquidazione, l’art. 105, co. 4, Legge Fallimentare (oggi trasfuso nel CCII) esclude espressamente la responsabilità del cessionario per i debiti anteriori all’acquisto. La vendita fallimentare libera l’azienda dai debiti, che rimangono nel fallimento come passività da soddisfare col ricavato secondo le regole concorsuali. La Cassazione ha confermato che la cessione dell’azienda fallita produce effetto purgativo: il compratore non può essere chiamato a rispondere dei debiti del fallito, neppure se risultavano dai libri. Si tratta di una vendita forzata autorizzata dal tribunale, dove l’acquirente ottiene di norma l’azienda “bonificata” dalle obbligazioni pregresse (con eccezione dei rapporti di lavoro che proseguono eventualmente con passaggio diretto ex art. 2112, salvo accordi diversi approvati).
  • Concordato preventivo: nell’ambito di un concordato preventivo (procedura di ristrutturazione con continuità o liquidatoria), la cessione dell’azienda deve essere autorizzata dal tribunale e segue le previsioni del piano concordatario. Il Codice della Crisi (art. 118, comma 8, CCII) stabilisce che il tribunale, nell’autorizzare l’atto, può disporre che la vendita avvenga senza gli effetti di cui all’art. 2560 c.c., comma 2, quindi esonerando l’acquirente dai debiti aziendali anteriori. In pratica, se previsto dal piano e dall’ordinanza del giudice, l’azienda in concordato viene trasferita senza che il compratore debba rispondere dei debiti pregressi. Anche qui si parla di effetto purgativo, analogo al fallimento. Ad esempio, se Alfa Srl in concordato preventivo cede l’azienda a Beta Srl come parte della soluzione concordataria, Beta Srl non pagherà i debiti antecedenti (che saranno regolati eventualmente dal concordato stesso). La conferma viene dalla prassi: “se la società in crisi vende l’azienda nel contesto del concordato preventivo approvato, il compratore non risponde dei debiti anteriori”, a differenza di una vendita effettuata privatamente prima del concordato.
  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: introdotto di recente (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, art. 25-sexies CCII), prevede anch’esso che la cessione dei beni d’azienda avvenga libera dai debiti (è espressamente contemplata una deroga simile a quella del concordato ordinario).
  • Accordi di ristrutturazione omologati e piani di risanamento: il CCII include strumenti come gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ad es. art. 57 e 60 CCII) e i piani di risanamento soggetti ad omologazione (art. 64-bis CCII). In tali sedi, è possibile prevedere la cessione dell’azienda in continuità con effetto liberatorio per il cessionario. Ciò viene negoziato tra debitore e creditori e poi omologato dal tribunale: l’azienda passa pulita e i debiti sono trattati nell’accordo (pagati in parte, ristrutturati, stralciati, etc., secondo l’intesa con i creditori).
  • Composizione negoziata della crisi: questo è uno strumento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinato nel CCII (artt. 17-25 e art. 22 in particolare) che prevede una procedura volontaria e stragiudiziale assistita da un esperto, ma con possibili interventi del tribunale per taluni atti. Inizialmente la composizione negoziata non contemplava un esonero automatico per il cessionario dai debiti ex art. 2560. Tuttavia, le riforme del 2023-2024 hanno colmato parzialmente la lacuna: il D.Lgs. 83/2022 prima e poi il D.Lgs. 87/2024 (c.d. “correttivo”) hanno inserito la possibilità, all’art. 22 CCII, di ottenere un’autorizzazione giudiziale per cedere l’azienda senza applicazione dell’art. 2560 c.c., comma 2. In sostanza, se durante la composizione negoziata l’imprenditore individua un acquirente per l’azienda, può chiedere al tribunale di autorizzare la vendita con esonero della responsabilità del cessionario per i debiti pregressi (purché ciò sia funzionale al superamento della crisi). L’art. 22 CCII autorizza appunto il giudice a escludere gli effetti dell’art. 2560. Restava però – al giugno 2025 – un problema: mentre sul piano civile il cessionario è esonerato dai debiti, sul piano fiscale la norma tributaria (art. 14 D.Lgs. 472/97) non era stata inizialmente coordinata per includere questa esenzione. Ciò significa che, ad esempio, un’azienda ceduta in composizione negoziata poteva non trasferire i debiti civili, ma l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto ritenere comunque applicabile l’art. 14 e chiamare il cessionario per i debiti tributari. Alcune modifiche legislative recenti hanno cercato di “armonizzare le discipline civilistica e tributaria nelle cessioni in situazioni concorsuali”, e in particolare con il D.Lgs. 87/2024 è stato previsto (introducendo un comma 5-bis all’art. 14 D.Lgs. 472/97) che il cessionario non è responsabile in solido per i debiti tributari del cedente se la cessione avviene nell’ambito di una composizione negoziata autorizzata. Rimane comunque in vigore quanto meno fino al 2024 l’assenza di esonero tributario per cessioni negoziate non sfociate in un provvedimento autorizzativo formale, per cui la materia è in evoluzione.

In conclusione, quando una cessione d’azienda avviene come soluzione a una crisi e sotto l’egida di una procedura legale:

  • L’acquirente può solitamente acquistare senza doversi fare carico dei debiti pregressi (il che è essenziale per incentivare qualcuno ad acquisire un’azienda decotta). Riceve quindi un’azienda ripulita, e i creditori del cedente troveranno soddisfazione nell’ambito della procedura (ad es. ripartendo il prezzo incassato secondo il piano concordatario o fallimentare). È opportuno che l’acquirente si accerti che nel decreto/autorizzazione del giudice sia chiaramente indicato l’esonero dalla responsabilità ex art. 2560 e dalle responsabilità tributarie, per evitare successive contestazioni.
  • Il cedente in crisi ottiene il duplice scopo di vendere l’azienda (magari salvando la continuità aziendale e i posti di lavoro) e di trattare i debiti in modo collettivo nella procedura, liberando il bene azienda dalle passività. Naturalmente ciò spesso comporta per i creditori accettare una riduzione delle proprie pretese (es. in un concordato i creditori chirografari prendono una percentuale e rinunciano al resto). Ma ciò può essere preferibile rispetto allo scenario in cui l’azienda non trova acquirenti perché gravata di debiti.

Attenzione: se un’azienda indebitata viene invece ceduta fuori da procedure concorsuali, nella speranza che i debiti “restino al vecchio titolare” mentre l’attività prosegue col nuovo, si rischia di incorrere in azioni e sanzioni (come la revocatoria fallimentare o ordinaria, o ipotesi di reato) se la situazione precipita. Infatti, i creditori potrebbero sostenere che la cessione sia stata fatta in frode ai loro diritti. Lo vedremo in dettaglio più avanti parlando di profili di responsabilità penale e azioni revocatorie.

Profili penali e responsabilità per operazioni fraudolente

Una cessione d’azienda gravata da debiti può talvolta sconfinare nel illecito penale, qualora sia realizzata con finalità di frode ai creditori o al Fisco oppure determini un dissesto. Di seguito esaminiamo le principali fattispecie penali rilevanti:

Bancarotta fraudolenta (distrazione di beni aziendali)

Se il cedente dell’azienda è o diviene in seguito insolvente e viene dichiarato fallito (liquidazione giudiziale), la cessione dell’azienda stessa può essere valutata in sede penale come atto di bancarotta fraudolenta patrimoniale (ipotesi di distrazione di beni dal patrimonio del fallito). Ciò accade in particolare quando la cessione avviene senza un corrispettivo congruo oppure in modo da svuotare la società dei suoi asset, pregiudicando le ragioni dei creditori.

La Cassazione penale ha più volte affermato che “integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la cessione di un ramo d’azienda senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale”, soprattutto se tale operazione rende impossibile all’impresa di proseguire l’attività o di pagare i debiti. Non assume rilievo scriminante, in questi casi, il fatto che esista l’art. 2560 c.c. e che quindi l’acquirente possa essere responsabile in solido dei debiti: secondo la Cassazione, quella responsabilità è un post factum che non elimina l’avvenuta distrazione patrimoniale ai danni dei creditori. In altre parole, vendere l’azienda sottocosto o gratis, sottraendo il principale bene ai creditori, è bancarotta fraudolenta anche se in teoria i creditori potrebbero inseguire l’acquirente per i debiti registrati – perché intanto il patrimonio del fallito è stato depauperato.

Un caso tipico: l’amministratore di una società in difficoltà cede l’intera azienda (o un ramo fondamentale) a un’altra società magari riconducibile a familiari, per un prezzo basso, lasciando nella società originaria tutti i debiti. Poi la società originaria fallisce. Qui si concretizza la bancarotta fraudolenta distrattiva: l’azienda trasferita è considerata bene distratto dal fallimento, e il fatto che l’acquirente formalmente risponda dei debiti ex 2560 c.c. non salva l’operazione, anzi spesso quell’acquirente è complice nel reato.

La Cass. pen., sez. V, 10 gennaio 2023 n. 509 ha appunto ribadito che la cessione di un ramo d’azienda senza adeguato corrispettivo, che non garantisce il ripiano della situazione debitoria della società cedente poi fallita, è senz’altro un’operazione distrattiva penalmente rilevante. Già in precedenza Cass. pen. V, 19 marzo 2012 n. 10778 aveva affermato che la cessione di azienda che renda impossibile la prosecuzione dell’oggetto sociale e lasci i debiti insoddisfatti integra bancarotta fraudolenta impropria.

È bene sottolineare che per configurare il reato:

  • Deve esservi un fallimento (o liquidazione giudiziale) del cedente, dichiarato da tribunale. Senza fallimento non c’è bancarotta, ma potrebbero esserci altri illeciti.
  • L’operazione di cessione deve aver arrecato un danno ai creditori, cioè un depauperamento. Un caso limite: se il cedente avesse ceduto l’azienda a prezzo di mercato e quei soldi fossero andati a pagare i debiti, non vi sarebbe distrazione. Ma se il prezzo è fittizio o non viene destinato ai creditori, il danno c’è.
  • Il corresponsabile può essere anche l’acquirente dell’azienda (ad es. se consapevole dell’intento fraudolento, può essere accusato di concorso in bancarotta fraudolenta). Specialmente quando acquirente e venditore sono collegati, è probabile una collusione.

La conseguenza per il cedente (e gli eventuali complici) è una condanna penale che può comportare reclusione fino a 10 anni (art. 216 Legge Fallimentare per bancarotta fraudolenta). Inoltre, sul piano civile, quell’atto sarà solitamente dichiarato inefficace (mediante revocatoria fallimentare o ordinaria). Anzi, la stessa sentenza penale spesso accerta che l’atto era in frode. Ad esempio la recente Cass. civ. 30140/2024 ha confermato la revocatoria ex art. 2901 c.c. di una cessione d’azienda avvenuta in stato di dissesto con corrispettivo irrisorio, sottolineando che la presenza dell’art. 2560 c.c. non elimina il pregiudizio ai creditori né impedisce la revoca dell’atto.

Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Indipendentemente dallo stato di insolvenza generale, esiste uno specifico reato tributario previsto dall’art. 11 del D.Lgs. 74/2000, denominato “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”. Questo reato si configura quando qualcuno compie atti dispositivi sui propri beni (o su beni altrui) al fine di rendere inefficace la riscossione coattiva di imposte dovute, per un ammontare superiore a determinate soglie (attualmente 50.000 €).

La cessione d’azienda può rientrare tra gli atti incriminati se fatta con lo scopo di sfuggire al Fisco. La Cassazione ha chiarito che “nel caso di cessione di azienda o di ramo d’azienda da parte di cedente fortemente indebitato con l’Erario, è potenzialmente configurabile il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”. Non occorre nemmeno che il fisco abbia già avviato un’esecuzione: basta che la cessione sia idonea a pregiudicare la futura riscossione, ed è irrilevante che in concreto il danno si sia già verificato, essendo un reato di pericolo. Ad esempio, una SRL molto indebitata con il Fisco che costituisce una newco e le conferisce l’azienda per poi liquidarsi, e magari attraverso società collegate fa sparire gli asset, realizza gli estremi di questo reato.

Nel caso concreto deciso dalla Cassazione n. 44451/2017, una società indebitata tributariamente aveva conferito l’azienda in una nuova società e poi ceduto rami d’azienda a società di familiari, svuotando il patrimonio della debitrice originaria: ciò è stato ritenuto integrativo dell’art. 11 D.Lgs. 74/2000. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 4 anni (e fino a 6 anni se imposte evase oltre 200.000 €). L’acquirente dell’azienda, se partecipe della frode (ad esempio società schermo costituita ad hoc, o persona di fiducia del cedente), può risponderne come concorrente nel reato.

Per evitare di incorrere in questa fattispecie, è importante che l’imprenditore:

  • Non faccia atti simulati o anormalmente sotto-prezzati con l’intento di sottrarre l’attivo al Fisco. Se ci sono debiti tributari importanti, qualsiasi trasferimento dell’azienda dovrebbe essere trasparente, a valori di mercato e preferibilmente dopo aver avvisato/coinvolto il Fisco (ad esempio valutando un accordo o transazione fiscale in parallelo).
  • Valuti l’utilizzo di strumenti legali per cedere l’azienda liberandola dai debiti fiscali, come le già menzionate procedure concorsuali, invece di fare operazioni unilaterali.
  • Si astenga dal creare scatole vuote: la creazione di newco per prendere l’azienda e lasciare “a secco” la oldco indebitata è uno schema notoriamente guardato con sospetto dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia Entrate, che spesso attivano sia la revocatoria sia il penale in questi casi.

Altri profili: reati comuni e conseguenze civili

Oltre ai due grandi filoni (bancarotta e reato tributario), la cessione di un’azienda in presenza di debiti potrebbe dare luogo anche ad altre problematiche:

  • Reato di riciclaggio/autoriciclaggio: ipotizzabile se attraverso la cessione si “ripuliscono” proventi illeciti o si ostacola l’identificazione della provenienza di denaro illecito. Ad esempio, un’azienda con denaro di provenienza evasiva o criminale viene ceduta a terzi per schermare tale denaro: potrebbe configurarsi autoriciclaggio.
  • Mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice (art. 388 c.p.): se esisteva già un provvedimento (es. un pignoramento, un sequestro conservativo) e il debitore cede l’azienda malgrado ciò, potrebbe configurare questo reato.
  • Reati fallimentari diversi: se non c’è distrazione ma altre irregolarità, la cessione potrebbe rientrare in bancarotta preferenziale (se effettuata per favorire alcuni creditori su altri) o bancarotta semplice (se imprudente e aggravante il dissesto).
  • Responsabilità penale dell’acquirente: l’acquirente che consapevolmente partecipa a queste operazioni rischia non solo di perdere quanto acquistato (per revocatoria) ma anche imputazioni penali (come concorso in bancarotta o sottrazione fraudolenta). È quindi estremamente importante per un acquirente verificare la “pulizia” e la buona fede dell’operazione.

Infine, sul piano civile, al di là del penale, non bisogna dimenticare il rimedio dell’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) a tutela dei creditori. Anche senza fallimento, se un debitore cede l’azienda arrecando pregiudizio ai creditori (eventus damni) e l’acquirente era consapevole di tale pregiudizio (consilium fraudis), i creditori possono chiedere al tribunale di revocare l’atto di cessione, rendendolo inefficace nei loro confronti. Ciò tipicamente porta l’azienda (o il suo valore) di nuovo aggredibile dai creditori originali. Per esempio, Cass. 30140/2024 ha confermato la revoca di una cessione dove l’azienda era l’unico asset del debitore, venduta in situazione di dissesto a prezzo irrisorio, con consapevolezza del cessionario; la difesa del debitore, che invocava l’art. 2560 sostenendo che i creditori non erano pregiudicati perché potevano agire contro il cessionario, è stata rigettata: il tribunale ha ritenuto comunque configurati il danno e la frode necessari per la revocatoria.

In sintesi, dal punto di vista del cedente indebitato, cedere l’azienda non è di per sé un modo per “far sparire” i debiti senza conseguenze. Se l’operazione non viene svolta secondo la legge (ad esempio all’interno di un concordato o di un accordo con creditori) ma viene fatta unilateralmente per sottrarsi ai debiti, il rischio di azioni revocatorie e persino di imputazioni penali è molto concreto. Per contro, un acquirente deve stare attento a non farsi coinvolgere in situazioni opache: acquistare un’azienda sottocosto da un soggetto pieno di debiti può sembrare un affare, ma può nascondere insidie legali molto pericolose.

Esempi pratici e simulazioni

Passiamo ora ad alcuni esempi pratici che aiutino a comprendere l’applicazione di queste regole a casi concreti. Verranno presentati diversi scenari di cessione d’azienda con debiti, evidenziando gli effetti giuridici e le possibili soluzioni contrattuali:

Esempio 1 – Cessione ordinaria con debiti commerciali noti: Alfa Srl vende la propria azienda a Beta Srl. Dalla contabilità di Alfa risultano debiti verso fornitori per 50.000 € e un mutuo bancario residuo di 100.000 €. Alfa e Beta, al momento della trattativa, discutono di questi debiti. Decidono che Beta assorbirà i debiti fornitori (per garantirsi buoni rapporti con i fornitori) e li pagherà alle scadenze pattuite, mentre Alfa si impegna a estinguere il mutuo bancario il giorno del rogito usando parte del prezzo. Nel contratto di cessione si inserisce: (a) un elenco dei fornitori e fatture per 50.000 € che Beta si accolla, con corrispondente riduzione del prezzo di acquisto; (b) la dichiarazione che al momento del trasferimento il mutuo è estinto dal venditore (con impegno del notaio di pagare la banca dal saldo prezzo). Effetti: I fornitori, essendo debiti iscritti a bilancio, avrebbero potuto agire contro Beta ex art. 2560; Beta però li paga volontariamente secondo l’accordo e quindi la questione è risolta a monte. La banca viene pagata da Alfa, dunque il debito bancario si chiude contestualmente (il mutuo era nei libri, ma Beta evita di doversene occupare perché Alfa adempie; se Alfa non pagasse, la banca comunque potrebbe in teoria chiedere anche a Beta essendo il debito registrato – ma Beta in quel caso avrebbe azione di regresso per violazione delle intese). L’operazione avviene in modo fluido, i creditori vengono soddisfatti o garantiti, nessun terzo subisce danni e Beta non incorre in responsabilità extra oltre a quelle concordate.

Esempio 2 – Cessione con debiti occulti e clausola liberatoria: Tizio, imprenditore individuale, cede la sua azienda a Caio. Dalla contabilità ufficiale di Tizio non risultano debiti rilevanti; tuttavia, Tizio ha un debito verso un fornitore non contabilizzato (magari perché derivante da una fornitura “informale” mai fatturata o registrata) di 20.000 €. Nel contratto di cessione, Tizio inserisce una clausola per cui “tutti i debiti relativi all’azienda sorti prima del trasferimento restano a carico del cedente, essendo il prezzo pattuito determinato in considerazione di un trasferimento di azienda libera da passività”. Dopo la cessione, però, il fornitore X (di cui Caio era ignaro) presenta fattura a Tizio e, non pagato, fa causa sia a Tizio sia a Caio. Analisi legale: quel debito non compariva nei libri contabili obbligatori, quindi Caio può opporre in giudizio che, ai sensi dell’art. 2560 c.c., lui non ne risponde (la responsabilità solidale non scatta). Il creditore tenterà forse di provare che Caio fosse a conoscenza del debito, ma ciò è irrilevante per la legge. Caio verrà con ogni probabilità liberato dalla domanda creditoria, e il fornitore dovrà rifarsi solo su Tizio. La clausola liberatoria nel contratto, in questo caso, non ha neanche bisogno di essere attivata, perché Caio è già salvo per legge. Se invece il debito di X fosse risultato nei libri (e quindi Caio ne fosse solidalmente responsabile verso X), la clausola comunque non avrebbe impedito a X di chiedere anche a Caio il pagamento, ma Caio avrebbe poi potuto rivalersi su Tizio in forza di quella pattuizione.

Esempio 3 – Cessione con debiti fiscali e certificato liberatorio: Gamma Srl cede la sua azienda a Delta Srl nel 2025. Gamma aveva qualche pendenza fiscale (IVA 2024 non completamente versata). Delta, prima di firmare, richiede all’Agenzia delle Entrate il certificato dei carichi pendenti ex art. 14 D.Lgs. 472/97. Il certificato viene rilasciato e indica che Gamma ha un debito IVA di 30.000 € per l’anno 2024 (non ancora cartolarizzato) e null’altro. Delta e Gamma allora concordano così: Gamma ridurrà il prezzo di vendita di 30.000 €, e Delta provvederà a versare quella somma al Fisco per estinguere il debito IVA appena presa l’azienda (oppure Delta versa 30.000 € su un conto vincolato al pagamento delle imposte). Nell’atto si menziona il certificato fiscale e il fatto che Delta è a conoscenza di quel debito IVA. Effetti: Poiché Delta ha ottenuto il certificato, non può uscire alcuna ulteriore sorpresa oltre a quanto indicato. Delta paga il debito fiscale noto con i fondi trattenuti, evitando sanzioni e azioni di recupero. Se invece il certificato fosse stato negativo (nessun debito noto), Delta sarebbe stata interamente esonerata per legge da qualsiasi obbligo solidale: qualora in seguito saltasse fuori un vecchio debito fiscale di Gamma sconosciuto, l’Agenzia non potrebbe rivalersi su Delta. Questo esempio mostra come l’uso del certificato consente all’acquirente di quantificare e neutralizzare l’eventuale esposizione tributaria del cedente già in sede di trattativa.

Esempio 4 – Cessione infragruppo con stessi soci (elusione di 2560): I soci A e B possiedono al 100% Omega Srl, che ha diversi debiti. A e B costituiscono una nuova società Sigma Srl, sempre partecipata da loro due al 100%, e vi fanno confluire l’azienda di Omega mediante cessione. Formalmente Omega cede a Sigma l’azienda, e Sigma paga un corrispettivo simbolico. I debiti di Omega rimangono in Omega. Dopo la cessione, Omega è un guscio vuoto pieno di debiti; Sigma prosegue l’attività con la vecchia azienda. I creditori di Omega provano a citare Sigma sostenendo che deve rispondere dei debiti ex art. 2560 (molti erano a bilancio, quindi parrebbe di sì). Tuttavia, emergono subito gli elementi di continuità soggettiva: stessi soci, stessi amministratori, stessa sede. Possibile esito: un giudice potrebbe ritenere inopponibile a terzi il trasferimento e soprattutto non applicabile il limite di responsabilità di 2560 per Sigma, considerandola alter ego di Omega. Sigma verrebbe dichiarata responsabile di tutti i debiti di Omega (di fatto configurando la cessione come fittizia). In più, se Omega fallisse, la situazione integrerebbe la già citata bancarotta fraudolenta con probabili condanne per A e B. Questo esempio, estremo ma non raro, insegna che le cessioni intra-soggettive per isolare debiti sono operazioni ad alto rischio: i creditori hanno vari strumenti per colpirle (dalla revocatoria alla disreguard in sede esecutiva o concorsuale) e l’art. 2560 non offre protezione quando c’è abuso.

Esempio 5 – Cessione in procedura di crisi con esonero: Zeta Spa è in grave crisi finanziaria e presenta domanda di concordato preventivo nel 2024. Nel piano di concordato è previsto che l’azienda di Zeta venga venduta a Eta Srl per € 500.000, somma che sarà poi distribuita ai creditori di Zeta secondo le percentuali concordatarie. Il tribunale omologa il concordato e autorizza la vendita, dispensando espressamente Eta Srl dal rispondere dei debiti anteriori, ai sensi degli artt. 118 e 182 CCII. Eta acquista così l’azienda e continua l’attività, ma tutte le passività pregresse restano in capo a Zeta e saranno regolate con il piano (ad esempio i creditori chirografari prendono il 40% dalla cassa ricavata). Differenza da vendita extra-concordato: se Zeta avesse venduto a Eta privatamente prima di ricorrere al concordato, Eta si sarebbe trovata (ex art. 2560) solidalmente obbligata per tutti i debiti di Zeta risultanti in contabilità (notevoli, supponiamo). Ciò avrebbe disincentivato Eta o l’avrebbe esposta a molte azioni. Invece inserendo la vendita nel concordato, Eta ha potuto acquisire solo l’azienda “pulita”, mentre i creditori di Zeta non possono attaccare Eta ma devono passare dal concorso. Questo scenario evidenzia come le procedure concorsuali facilitino la soluzione della crisi evitando di trasferire la zavorra dei debiti all’acquirente.

Naturalmente, ogni caso concreto di cessione d’azienda presenta le sue particolarità e va analizzato con attenzione. È sempre opportuno, per operazioni complesse, farsi assistere da professionisti (commercialisti, avvocati) sia nella due diligence pre-contrattuale sia nella redazione del contratto, per modulare al meglio le clausole relative a debiti, garanzie e accolli, nonché per valutare l’eventuale convenienza di percorrere soluzioni giudiziali (accordi di ristrutturazione, concordato) invece di una vendita “libera” se i debiti sono ingenti.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito alcune domande comuni sull’argomento, con risposte concise basate su quanto esposto finora:

D: Se vendo la mia azienda che ha molti debiti, posso liberarmi di questi debiti trasferendoli all’acquirente?
R: Non automaticamente. Il venditore resta responsabile dei debiti a meno che ogni singolo creditore lo liberi espressamente. L’acquirente può divenire co-obbligato per alcuni debiti (quelli risultanti dai libri contabili, i debiti verso lavoratori, e quelli fiscali entro certi limiti), ma ciò non estromette il venditore dall’obbligazione se non c’è accordo del creditore. In pratica, cedendo l’azienda non “spariscono” i debiti: nella migliore delle ipotesi si aggiunge un nuovo obbligato (l’acquirente) insieme a te.

D: Chi compra un’azienda è sempre responsabile dei debiti del venditore?
R: No, solo in parte. Per legge (art. 2560 c.c.) il compratore risponde dei debiti aziendali del venditore solo se erano riportati nelle scritture contabili obbligatorie. Inoltre risponde sempre, per norma speciale, dei debiti verso i lavoratori già maturati (stipendi, TFR). E per i debiti fiscali, risponde di quelli relativi all’anno della cessione e due precedenti, nei limiti del valore dell’azienda (salvo esonero tramite certificato). Invece non risponde dei debiti occulti o non contabilizzati, né di quelli personali del venditore estranei all’azienda. Quindi l’acquirente non è “sempre” responsabile di tutto, ma solo di ciò che rientra nelle categorie previste e nei limiti di legge.

D: Nel contratto di vendita possiamo stabilire che l’acquirente non si accolla alcun debito? È valido?
R: Sì, le parti possono inserirlo e tale accordo vale tra loro (il venditore dovrà tenere indenne il compratore). Tuttavia, ciò non impedisce ai creditori di agire contro l’acquirente se la legge lo prevede (es: fornitore con credito in contabilità, lavoratore per stipendio arretrato). La clausola di esclusione serve solo a regolare i rapporti interni: ad esempio se un creditore chiede soldi al compratore e questi paga, poi può rivalersi sul venditore perché il contratto così stabiliva. Ma il creditore non è vincolato da un patto al quale non ha partecipato.

D: Per i debiti fiscali dell’azienda ceduta, quali rischi corre l’acquirente?
R: La legge (D.Lgs. 472/97 art. 14) dice che il compratore è solidalmente responsabile con il venditore per imposte e sanzioni relative all’anno della vendita e ai due anni prima (ed eventuali accertamenti notificati in quel periodo anche se riguardanti annualità più vecchie). Però il Fisco può chiedergli al massimo un importo pari al valore dell’azienda acquisita e solo dopo aver tentato col venditore. Cruciale: il compratore può chiedere all’Agenzia Entrate il certificato fiscale prima dell’acquisto. Se dal certificato risulta tutto regolare (o non viene rilasciato in 40 giorni), l’acquirente è esonerato da qualsiasi responsabilità fiscale. Se invece emergono debiti dal certificato, saprà esattamente l’importo per cui potrà essere chiamato e può gestirlo (accordi sul prezzo, ecc.). Quindi il rischio fiscale c’è ma è gestibile con la dovuta diligenza.

D: E per i debiti INPS (contributi non versati)?
R: Qui non c’è una norma di responsabilità specifica come per le imposte. Vale la regola generale: se i contributi non pagati risultano dai documenti contabili (es. libro paga, bilancio), l’INPS potrebbe pretendere il pagamento anche dall’acquirente (ex art. 2560 c.c.). Se invece il venditore ha occultato la cosa e nulla risulta, l’acquirente non è responsabile (salvo ovviamente casi di connivenza fraudolenta). Per cautelarsi, l’acquirente dovrebbe sempre chiedere il DURC: se il DURC è regolare, probabilmente non ci sono grossi arretrati; se è irregolare, meglio quantificarli e accordarsi su chi paga.

D: Cosa succede ai debiti bancari (mutui, fidi) quando si vende un’azienda?
R: Spesso le banche hanno clausole per cui il cambio di proprietà può dar loro diritto di chiedere rientro. In pratica, di solito ci si accorda con la banca: il venditore estingue il debito al momento della cessione, oppure l’acquirente subentra (con il consenso della banca) mediante accollo del mutuo/fido. Se nulla è concordato e il debito resta in essere a nome del venditore ma risultava in contabilità, la banca, se non viene pagata, può comunque chiedere anche al compratore (responsabilità ex art. 2560). Per questo in sede di vendita l’esposizione verso le banche va sempre affrontata apertamente, coinvolgendo l’istituto per evitare problemi.

D: L’acquirente può evitare tutte le responsabilità acquistando l’azienda attraverso un fallimento o un’asta?
R: In gran parte . Se acquisti l’azienda di qualcuno attraverso una procedura concorsuale (fallimento, concordato, ecc.), la legge in genere ti tutela: l’azienda viene ceduta “pulita” dai debiti precedenti, che restano a carico della procedura. Nelle vendite fallimentari, ad esempio, il tribunale fa un decreto che esclude espressamente la responsabilità dell’acquirente per i debiti del fallito. Anche nel concordato il giudice può autorizzare la cessione senza debiti. Quindi comprare tramite queste procedure consente di evitare i rischi di responsabilità solidale. Bisogna però essere pronti a partecipare a vendite competitive o a negoziare nell’ambito di contesti giudiziari.

D: Vendere l’azienda per evitare il fallimento può costituire reato?
R: Se la vendita è fatta a condizioni non di mercato e con l’intento di sottrarre risorse ai creditori, sì, può integrare reati. Ad esempio, vendere l’azienda sottocosto a un amico o a una società di comodo e poi lasciare i debiti può portare a bancarotta fraudolenta (se poi fallisci), o a sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (se c’erano grossi debiti fiscali). Anche senza fallimento, i creditori possono fare una revocatoria e far dichiarare inefficace la vendita. Quindi “cedere per non pagare” è una strategia pericolosa e quasi sempre perdente legalmente. Molto meglio cercare accordi coi creditori o usare procedure trasparenti.

D: Dopo la cessione, il venditore è completamente fuori dai giochi?
R: No, il venditore rimane obbligato verso i creditori a meno di liberazione. Quindi, per i crediti trasferiti anche sull’acquirente, i creditori hanno due debitori su cui rivalersi (cedente e cessionario). Inoltre il venditore potrebbe essere chiamato dall’acquirente a rimborsare quanto pagato da questi (diritto di regresso). E non dimentichiamo che, moralmente e legalmente, se uno cede un’azienda e incassa un prezzo lasciando debiti, i creditori insoddisfatti possono sempre cercare il suo patrimonio residuo. In sintesi il venditore non si “lava le mani” dei debiti con la cessione, tranne che attivamente ottenga liberatorie o li paghi con il ricavato.

Tabelle riepilogative e schemi operativi

Tabella riepilogativa responsabilità dell’acquirente per tipologia di debito

Tipologia di debitoNorme di riferimentoResponsabilità acquirente?Note e condizioni
Debiti commerciali (fornitori, utenze, contratti già eseguiti)Art. 2560 c.c. (disciplina generale), se debiti risultano da libri contabili obbligatori. Responsabilità solidale con cedente.Limitata ai debiti “puri” non bilaterali in corso. Se non risultano in contabilità, acquirente non obbligato. Possibile accordo di accollo tra le parti.
Debiti bancari/finanziari (mutui, fidi, leasing)Art. 2560 c.c. (patti contrattuali con banca), se risultano in contabilità (es. debito da mutuo in bilancio), l’acquirente è coobbligato per legge.In pratica le banche richiedono spesso estinzione o consenso per subentro. Garanzie reali (pegni/ipoteche) restano sui beni trasferiti. Meglio definire con banca prima della cessione.
Debiti verso dipendenti (retribuzioni, ferie, TFR maturato)Art. 2112 c.c. (tutela lavoratori), sempre in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento.Responsabilità automatica, non dipende da contabilità né da accordi. Possibile regolare nel contratto chi li paga (es. decurtazione prezzo), ma il lavoratore può rivolgersi comunque al cessionario.
Debiti previdenziali (contributi INPS, INAIL)Art. 2560 c.c. (art. 2112 c.c. non si applica), ma solo se risultano da contabilità. Se non registrati, acquirente non obbligato (ente previdenziale è terzo rispetto a rapporto lavoro).Richiedere DURC per conoscere eventuali irregolarità. In caso di debiti noti, accordarsi su chi li paga. In procedure concorsuali, cessionario di regola esonerato.
Debiti tributari (imposte, IVA, tributi locali)Art. 14 D.Lgs. 472/1997 (deroga art. 2560), in solido entro limiti: tributi dell’anno cessione e due anni precedenti, fino a concorrenza del valore dell’azienda.Beneficio escussione: Fisco agisce prima su cedente. Certificato fiscale liberatorio: se negativo o non rilasciato entro 40gg, nessuna responsabilità per acquirente. Esclusione anche per cessioni in procedure concorsuali (es. concordato).
Debiti per sanzioni amministrative (multe, sanzioni Antitrust, ecc.)Regola generale (obbligazioni non contrattuali), se inerenti all’attività aziendale e risultano dai libri contabili (es. un debito per sanzione annotato).Molte sanzioni però sono personali del cedente. Vedere caso per caso. Esempio: sanzione lavoro non trasferita se non contabilizzata.
Debiti da atti illeciti verso terzi (risarcimenti danni)Art. 2560 c.c. (se debito certo al momento cessione), se è un debito già determinato e iscritto (es. sentenza di risarcimento annotata tra i debiti). No se è un fatto potenziale/incerto non contabilizzato (es. causa pendente senza fondo rischi contabilizzato).I debiti potenziali o incerti non gravano sull’acquirente (passività non “conosciute” contabilmente). Cessionario comunque può essere strategicamente coinvolto (es. accordi transattivi post-cessione se conviene chiudere la lite).
Debiti futuri e garanzie prestate (fideiussioni, impegni)Obblighi assunti dal cedente verso terzi (es. fideiussione bancaria data dal cedente) non si trasferiscono automaticamente all’acquirente perché non sono debiti dell’azienda ma personali. Salvo diversa pattuizione o se escussi e registrati poi come debiti.In caso di fideiussioni del cedente, l’acquirente potrebbe dover negoziare nuove garanzie con i creditori. Questi aspetti andrebbero contrattualmente regolati (es. liberazione del cedente da garanzie personali se l’acquirente subentra con proprie garanzie).

Nota: Nella tabella sopra ci si riferisce sempre al regime ordinario fuori da procedure concorsuali. In contesti di fallimento, concordato, ristrutturazione omologata, composizione negoziata autorizzata, ecc., valgono le esenzioni speciali: l’acquirente è liberato dai debiti dell’azienda ceduta (ad eccezione di specifici accordi su contratti e rapporti di lavoro nei limiti fissati dal tribunale).

Schema operativo per cedente e cessionario

Di seguito uno schema in passi che riassume le azioni consigliate rispettivamente al venditore (cedente) indebitato e all’acquirente (cessionario) per gestire al meglio la cessione d’azienda in presenza di debiti:

Per il Cedente (Venditore) Indebitato:

  1. Mappatura dei debiti: Prima di cedere, fai l’elenco completo di tutti i debiti dell’azienda (fornitori, banche, fisco, dipendenti, leasing, ecc.). Distingui quelli urgenti o critici (es. fornitori vitali, debiti con possibile azione immediata).
  2. Trasparenza con l’acquirente: Durante le trattative, comunica all’acquirente la situazione debitoria reale. Meglio affrontare il tema subito per trovare soluzioni condivise, piuttosto che nascondere passività che poi emergerebbero (rischiando cause o rescissioni per dolo).
  3. Pagamenti prima della cessione: Se possibile, estingui o riduci i debiti con il ricavato della vendita. Ad esempio, potresti concordare che una parte del prezzo venga versata direttamente ai tuoi creditori contestualmente all’atto. Questo rassicura l’acquirente e evita strascichi.
  4. Consenso dei creditori chiave: Valuta di ottenere accordi dai creditori più importanti. Ad esempio, chiedi alla banca di liberarti dal mutuo facendolo assumere all’acquirente; ottieni dalla finanziaria una liberatoria su un leasing trasferito; proponi ai fornitori uno sconto se vengono pagati subito dal nuovo proprietario. Ogni liberatoria formale ottenuta ti mette al riparo dopo la cessione.
  5. Uso di procedure se necessario: Se i debiti superano di molto il valore azienda e la situazione è critica, considera di accedere a una procedura (accordo di ristrutturazione, concordato) prima di vendere. Così potrai vendere l’azienda senza debiti e trattare collettivamente coi creditori, evitando rischi penali e dando garanzie all’acquirente.
  6. Contratto di cessione ben strutturato: Nel definire il contratto, inserisci clausole chiare su come vengono trattati i debiti: quali paga l’acquirente (accollandoseli eventualmente), quali restano a tuo carico, eventuali meccanismi di aggiustamento prezzo. Prevedi una tua manleva a favore dell’acquirente per eventuali richieste di terzi su debiti antecedenti non accollati da lui.
  7. Impiegare il prezzo secondo equità: Se incassi un prezzo significativo mentre lasci debiti insoddisfatti, sei a rischio di accuse di frode. Usa il prezzo per soddisfare i creditori in modo proporzionale (o secondo accordi) – ciò riduce anche la possibilità di azioni revocatorie o denunce.
  8. Consulenza legale/fallimentare: Fatti seguire da un legale esperto in diritto fallimentare se hai molti debiti. Ti aiuterà a evitare mosse che potrebbero configurare reati e a predisporre eventuali piani per gestire i creditori residui post-cessione (es. accordi transattivi, piani di rientro).

Per il Cessionario (Acquirente):

  1. Due Diligence approfondita: Prima di comprare, esamina i bilanci, le scritture contabili e fiscali dell’azienda. Identifica tutti i debiti noti. Richiedi tutta la documentazione (estratti conto bancari, piano debiti fornitori, elenco cause legali in corso, etc.). Se qualcosa non è chiaro, chiedi spiegazioni al venditore.
  2. Certificato dei debiti fiscali: Presenta domanda all’Agenzia Entrate per il certificato art.14 D.Lgs.472/97. Così saprai eventuali pendenze tributarie e, se il certificato poi risulta pulito o non arriva, avrai certezza di esonero.
  3. Verifica DURC e contributi: Chiedi al venditore un DURC aggiornato. Se non è regolare, fatti dare importi e causali dei contributi non versati. Puoi anche contattare informalmente INPS territoriale per conferma dei debiti (il venditore dovrebbe richiederne certificazione).
  4. Clausole contrattuali di tutela: Nel contratto di cessione, includi:
    • Clausola di dichiarazione/garanzia che l’azienda non ha debiti oltre quelli elencati.
    • Clausola di aggiustamento prezzo: se emergono ulteriori debiti “occulti” post-cessione, il venditore ti rimborserà (o riduzione prezzo automatica).
    • Clausola di manleva: il venditore ti terrà indenne da qualsiasi pretesa di terzi per fatti antecedenti la cessione, pagando direttamente o rimborsandoti.
    • Possibilità di risoluzione del contratto per false dichiarazioni se saltassero fuori passività rilevanti non dichiarate.
  5. Trattenute ed escrow: Valuta di trattenere una parte del prezzo in un conto vincolato (escrow) per un certo periodo post-cessione (es. 6-12 mesi), a garanzia di eventuali debiti non noti che affiorano. Tale somma verrà poi data al venditore solo se non ci sono reclami di creditori.
  6. Accollo di alcuni debiti nel prezzo: Può convenire assumerti direttamente il pagamento di alcuni debiti (specie verso fornitori strategici o dipendenti) e scalarli dal prezzo, piuttosto che confidare che li paghi il venditore dopo incassato. Così hai la certezza che quei creditori siano soddisfatti e non vengano da te in futuro.
  7. Coinvolgimento dei creditori maggiori: Se tra i debiti ci sono banche o fornitori importanti, puoi tu stesso contattarli (previo accordo col venditore) per rassicurarli e magari rinegoziare le condizioni. Ad esempio, ottenere dalla banca la continuità delle linee di fido con te come nuovo debitore, o dal fornitore un mantenimento delle forniture. Questo spesso implica farsi carico del debito pregresso secondo un piano concordato.
  8. Considera la procedura concorsuale: Se l’azienda ti interessa ma i debiti sono moltissimi (tali da scoraggiarti per i rischi), suggerisci al venditore di valutare una cessione attraverso concordato o procedure affini. Può allungare i tempi, ma ti permette di rilevare solo gli asset senza esposizioni. In alcuni casi sono gli stessi acquirenti a presentare offerte in bonis condizionate all’omologazione di un concordato.
  9. Assistenza professionale: Fai seguire l’operazione a un legale di fiducia esperto di M&A e diritto fallimentare, e a un commercialista: sapranno consigliarti su clausole tecniche, verifiche sui libri, e interpretazione di certificati fiscali, nonché su come strutturare l’operazione minimizzando rischi.

Seguendo questi passi, la cessione d’azienda, pur in presenza di debiti, potrà essere condotta in modo sicuro e pianificato, evitando di incorrere in responsabilità impreviste o in successive liti giudiziarie.

Conclusioni

La cessione di un’azienda con debiti è un’operazione complessa che richiede attenzione e preparazione, ma se ben gestita può consentire di trasferire l’impresa assicurando la continuità aziendale e al contempo tutelando i creditori. Dal lato del cedente (debitore originario), abbiamo visto che la legge non consente di abbandonare semplicemente i debiti altrui: il venditore rimane generalmente vincolato e, anzi, rischia sanzioni e azioni se prova a sottrarre l’attivo a danno dei creditori. Dal lato dell’acquirente, entrare in possesso di un’azienda indebitata comporta necessariamente valutare quali passività ci si sta accollando per effetto di legge – ma la normativa, specialmente con il filtro dei libri contabili, fornisce dei paletti chiari entro i quali la responsabilità del cessionario è circoscritta.

Il codice civile, con l’art. 2560, pone la regola base: i debiti aziendali “noti” (a bilancio) seguono l’azienda e fanno nascere una solidarietà passiva a carico di chi acquista. D’altra parte, il cessionario non è chiamato a rispondere di passività sommerse o estranee, proteggendolo da incertezze illimitate. Norme speciali come l’art. 2112 c.c. e l’art. 14 D.Lgs. 472/97 ampliano o dettagliamo questa responsabilità in ambiti specifici (lavoro e fisco), con logiche di protezione rispettivamente dei lavoratori e dell’Erario, ma prevedendo anche meccanismi di attenuazione (beneficio d’escussione, certificati liberatori, limiti di importo).

Per operazioni che si svolgono in contesti di crisi conclamata, il legislatore più recente ha teso a favorire l’esenzione dell’acquirente dai debiti, riconoscendo che ciò è spesso indispensabile per salvare aziende in difficoltà. Così, nel fallimento, concordato e altre procedure, l’acquisto avviene “libero” dai debiti pregressi, principio ormai ben radicato anche nel nuovo Codice della Crisi.

In pratica, chi vende un’azienda indebitata dovrebbe agire con lealtà e trasparenza, negoziando con l’acquirente e possibilmente con i creditori la gestione delle passività, oppure cercando rifugio nelle soluzioni concordate offerte dalla legge. L’acquirente, dal canto suo, deve condurre tutte le due diligence necessarie, sfruttare gli strumenti di informazione (certificati, ispezione libri, ecc.) e pretendersi adeguate garanzie contrattuali, così da non ritrovarsi poi a pagare debiti inattesi.

In conclusione, “cosa accade ai debiti nella cessione dell’azienda” dipende in larga misura da come la cessione viene effettuata: se in maniera ordinata, concordata e nel rispetto delle normative, i debiti vengono in parte presi in carico dall’acquirente (secondo le regole viste) e/o soddisfatti con il prezzo, mantenendo l’equilibrio tra le posizioni in gioco; se invece la cessione è improvvisata o peggio utilizzata come espediente per frodare i creditori, i debiti “ritorneranno” a galla tramite le azioni legali e, nei casi più gravi, provocheranno anche responsabilità penali.

Affrontare una cessione d’azienda con debiti richiede quindi un approccio professionale e pianificato. Con l’ausilio di consulenti esperti e una corretta comprensione delle norme – come quelle illustrate in questa guida – è possibile procedere all’operazione minimizzando i rischi e assicurando che l’azienda possa proseguire il proprio cammino sotto la nuova gestione, senza che i debiti del passato compromettano irrimediabilmente il futuro.


Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali

  • Codice Civile – Art. 2558 c.c. (Successione nei contratti); Art. 2559 c.c. (Cessione dei crediti relativi all’azienda); Art. 2560 c.c. (Debiti relativi all’azienda ceduta); Art. 2112 c.c. (Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda); Art. 2740 c.c. (Responsabilità patrimoniale); Art. 2901 c.c. (Azione revocatoria ordinaria).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Art. 22 CCII (Cessione d’azienda nella composizione negoziata, autorizzazione tribunale ed esonero art. 2560); Art. 118 CCII (Concordato preventivo – Cessione di beni e autorizzazione tribunale senza effetti art. 2560); Art. 25-sexies CCII (Concordato semplificato – deroga art. 2560); Art. 64-bis CCII (Piani di risanamento soggetti a omologa – possibilità di cessione con effetto liberatorio); (già Art. 105 RD 267/42 Legge Fall. – Vendita di azienda nel fallimento, esenzione debiti).
  • Legislazione speciale (debiti fiscali e contributivi): D.Lgs. 18/12/1997 n. 472, Art. 14 (Responsabilità solidale tributaria nel trasferimento d’azienda); D.Lgs. 10/03/2000 n. 74, Art. 11 (Reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte); L. 29/07/2021 n. 147 e D.Lgs. 17/06/2022 n. 83 e D.Lgs. 28/09/2023 n. 136 (riforme codice crisi, introduzione composizione negoziata e relativo esonero debiti); D.Lgs. 13/10/2023 n. 151 (cd. correttivo bis) e D.Lgs. 12/01/2019 n. 14, art. 390 (coordinamento con leggi speciali).
  • Sentenze della Corte di Cassazione – Civili: Cass., Sez. Un. Civ., 28/02/2017 n. 5054 (sull’alterità soggettiva quale presupposto di applicazione dell’art. 2560); Cass., Sez. I, 13/09/2023 n. 2548 (trasferimento ramo d’azienda infragruppo, inopponibilità 2560); Cass., Sez. I, 12/07/2023 n. 19806 (funzione e limiti art. 2560 c.c. – “debiti apparenti”); Cass., Sez. I, 06/06/2023 n. 16311 (cessione d’azienda in fallimento, effetti purgativi art. 105 L.F.); Cass., Sez. Lavoro, 24/02/2016 n. 3646 (debiti verso enti previdenziali – non estensione ex art. 2112, applicabilità art. 2560); Cass., Sez. III, 21/12/2012 n. 23828 (necessità indicazione specifica del debito nei libri contabili ai fini responsabilità cessionario); Cass., Sez. III, 17/12/2019 n. 32134 (sui requisiti di iscrizione a libri obbligatori e irrilevanza conoscenza extrabilancio); Cass., Sez. I, 22/03/2023 n. 8272 (cessione azienda bancaria, profili TUB); Cass., Sez. I, 10/02/2023 n. 4248 (successione nei debiti e contratti aziendali).
  • Sentenze della Corte di Cassazione – Penali: Cass., Sez. V Pen., 10/01/2023 n. 509 (bancarotta fraudolenta patrimoniale, cessione ramo d’azienda a corrispettivo irrisorio, irrilevanza art. 2560 c.c.); Cass., Sez. V Pen., 20/07/2018 n. 34464 (bancarotta fraudolenta, cessione sotto valore, conferma principi); Cass., Sez. V Pen., 19/03/2012 n. 10778 (bancarotta impropria, cessione che impedisce prosecuzione attività); Cass., Sez. III Pen., 06/10/2017 n. 44451 (reato sottrazione fraudolenta imposte, conferimento azienda a newco per frodare erario); Cass., Sez. III Pen., 17/12/2021 n. 46182 (sottrazione fraudolenta imposte, sufficienza pericolo potenziale).
  • Giurisprudenza di merito: Corte d’Appello L’Aquila, 31/05/2024 (responsabilità cessionario per debiti – conferma orientamenti Cass.); Corte d’Appello Milano, 26/06/2023 n. 2097 (ambito applicativo art. 2560 c.c. in cessione ramo); Tribunale Parma, ord. 30/07/2024 (esonero cessionario ex art. 14 D.Lgs. 472/97 in procedura composizione negoziata); Altre – es. Tribunale di Roma 2019 (estinzione passività potenziali non iscritte), ecc.

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