Sei un privato che ha accumulato troppi debiti con banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate e non riesci più a gestirli? Ogni mese è una corsa contro il tempo per pagare rate, mutuo, bollette e cartelle? Se ti trovi in questa situazione, è il momento di considerare la ristrutturazione del debito, lo strumento legale che ti consente di rimettere ordine nei conti e uscire dal sovraindebitamento in modo sostenibile.
Ma come funziona davvero la ristrutturazione del debito per i privati? Chi può accedervi? E quali vantaggi concreti offre?
La ristrutturazione del debito, nel caso di persone fisiche non fallibili, prende forma attraverso il cosiddetto “piano del consumatore”: una procedura prevista dalla legge sul sovraindebitamento che ti consente di presentare al giudice un piano personalizzato per ripagare i tuoi creditori, in base a ciò che puoi davvero sostenere.
Non serve l’accordo di tutti i creditori: è sufficiente dimostrare la tua buona fede e la sostenibilità del piano, con l’aiuto di un avvocato e dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi).
Cosa succede una volta presentata la domanda? Il pignoramento si blocca? I creditori devono accettare per forza?
Appena viene avviata la procedura, si bloccano automaticamente tutte le azioni esecutive: niente più pignoramenti, fermi amministrativi, decreti ingiuntivi o solleciti aggressivi. Il giudice valuta il piano e, se lo ritiene equo e realizzabile, lo approva con un provvedimento che vincola anche i creditori contrari.
Potrai così pagare in base alle tue reali possibilità, dilazionando i debiti, riducendo le somme dovute e, in molti casi, ottenendo alla fine l’esdebitazione, cioè la cancellazione definitiva del debito residuo.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in diritto del sovraindebitamento, ristrutturazione debiti e piani del consumatore – ti spiega come funziona la ristrutturazione del debito per i privati, chi può accedervi, quali documenti servono e come possiamo aiutarti a costruire un piano efficace e approvabile.
Hai perso il controllo delle rate e temi che i creditori ti tolgano tutto? Vuoi sapere se puoi legalmente ristrutturare il tuo debito senza perdere la casa o lo stipendio?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo la tua situazione debitoria, verificheremo i requisiti per accedere al piano del consumatore e ti accompagneremo in ogni passo, fino alla liberazione definitiva dal peso dei debiti.
Introduzione
La ristrutturazione del debito per i privati riguarda l’insieme degli strumenti legali che consentono a persone fisiche e piccoli imprenditori di affrontare situazioni di grave indebitamento (il cosiddetto sovraindebitamento) e di ottenere una soluzione sostenibile al pagamento dei debiti. Per sovraindebitamento si intende una condizione patologica in cui un soggetto – sia esso un privato cittadino, un imprenditore o un professionista – non riesce più a far fronte ai propri debiti ed obbligazioni economiche, pur senza essere assoggettabile alle tradizionali procedure fallimentari. Tale situazione, divenuta sempre più comune, ha spinto il legislatore a predisporre strumenti normativi specifici che offrano al debitore in difficoltà una via d’uscita sostenibile, garantendo al contempo un’equa tutela dei diritti dei creditori.
In Italia, la disciplina organica della ristrutturazione dei debiti dei privati è contenuta nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come modificato dal D.lgs. 17 giugno 2022 n. 83 e dal D.lgs. 13 settembre 2024 n. 136). Questo Codice ha riordinato e integrato le precedenti norme in materia – in particolare la Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (cosiddetta “legge sul sovraindebitamento” o legge salva-suicidi) – all’interno di un sistema più ampio dedicato alle crisi economiche, mantenendone però lo spirito originario di contrasto all’usura e di favor debitoris, ossia di favore verso il debitore onesto ma sfortunato. Il principio del favor debitoris è il cardine di questa normativa: l’obiettivo è permettere al debitore sovraindebitato di reintegrarsi economicamente e socialmente, attraverso un approccio non punitivo ma di assistenza, evitando che ostacoli meramente formali o interpretazioni eccessivamente restrittive impediscano l’accesso alle procedure. In altre parole, la legge incoraggia soluzioni che offrano al debitore una “seconda chance”, pur bilanciando le ragioni dei creditori.
Nel prosieguo di questa guida esamineremo in dettaglio come funziona la ristrutturazione del debito per i privati in Italia aggiornato a giugno 2025, dal punto di vista del debitore. Verranno illustrate dapprima le procedure giudiziali di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dal Codice della Crisi – quali il piano del consumatore, il concordato minore, la liquidazione controllata del patrimonio e l’esdebitazione – evidenziandone le caratteristiche, i requisiti e le tutele offerte. Si approfondiranno poi gli strumenti alternativi alla giurisdizione, come gli accordi stragiudiziali (in particolare il saldo e stralcio) e le trattative dirette con creditori e banche, spesso utilizzati per negoziare soluzioni bonarie al di fuori del tribunale. Un focus specifico verrà dedicato all’interazione tra queste procedure di ristrutturazione e le procedure esecutive individuali (pignoramenti, aste, ecc.), in quanto l’apertura di una procedura di sovraindebitamento può comportare la sospensione o l’arresto delle azioni esecutive in corso, con importanti implicazioni pratiche.
Esamineremo inoltre i rapporti con banche e finanziarie, principali categorie di creditori coinvolti, e il ruolo chiave svolto dagli Organismi di Composizione della Crisi (O.C.C.), enti abilitati che assistono il debitore nella procedura. La trattazione sarà arricchita da riferimenti alla giurisprudenza più recente (Corte di Cassazione e Tribunali di merito) aggiornata al 2025, con commento di sentenze significative che hanno interpretato e applicato la normativa sul sovraindebitamento. Per favorire la comprensione, troverete tabelle riepilogative dei punti salienti di ciascuna procedura e strumento descritto. Sarà presente anche una sezione di FAQ – Domande frequenti, che darà risposta ai quesiti pratici più comuni (ad esempio: chi può accedere a queste procedure? Quali debiti vi rientrano? Che succede se non ho beni da liquidare? Quanto dura la procedura? ecc.). Infine, attraverso alcune simulazioni pratiche relative al contesto italiano, verranno esemplificati casi concreti di applicazione degli strumenti di ristrutturazione del debito (ad esempio, il caso di un consumatore con debiti al consumo, di un piccolo imprenditore sommerso dai debiti aziendali, di un debitore senza alcuna risorsa, ecc.), per mostrare in modo chiaro come tali procedure operano nella realtà.
Tutto il contenuto che segue è aggiornato alle normative vigenti e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali a giugno 2025, e tiene conto delle modifiche apportate dal “Decreto Correttivo Ter” (D.lgs. 136/2024) che ha ulteriormente affinato la disciplina del sovraindebitamento. Procediamo dunque con l’analisi delle varie procedure di sovraindebitamento previste dall’ordinamento italiano e delle loro modalità di funzionamento.
Le procedure di sovraindebitamento nel Codice della Crisi (D.lgs. 14/2019)
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCI) dedica un intero capo alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, volte a offrire al debitore civile (cioè non soggetto alle procedure fallimentari ordinarie) diverse opzioni per ristrutturare o liquidare i propri debiti. Tali procedure – accessibili a consumatori, professionisti, imprenditori minori e in genere a tutti i soggetti “non fallibili” – comprendono:
- la Ristrutturazione dei debiti del consumatore (il cosiddetto piano del consumatore);
- il Concordato minore (analogo a un accordo di ristrutturazione per debitori non consumatori di dimensioni minori);
- la Liquidazione controllata del sovraindebitato (liquidazione giudiziale dei beni del debitore insolvente);
- l’Esdebitazione del debitore incapiente (cancellazione dei debiti residui per il debitore persona fisica che non ha alcuna utilità da offrire ai creditori).
A queste si aggiunge la possibilità, introdotta dal nuovo Codice, di gestire in modo unificato le situazioni di sovraindebitamento familiare (coinvolgendo più membri della stessa famiglia). Di seguito analizziamo ciascuna procedura in dettaglio, evidenziandone i presupposti, il procedimento e gli effetti per il debitore.
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)
Il piano del consumatore – denominazione completa: piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – è uno strumento riservato ai debitori persone fisiche “consumatori”, ossia individui che hanno contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In altri termini, può accedere a questa procedura chi ha debiti derivanti dalla sfera personale (es. prestiti al consumo, scoperti di conto, mutui per esigenze familiari, bollette, fideiussioni per terzi, ecc.) e non debiti collegati a un’attività d’impresa o di lavoro autonomo. È importante notare che il Codice della Crisi, come modificato nel 2024, ha chiarito che può qualificarsi consumatore anche chi riveste la qualità formale di socio di società (di persone o di capitali) purché i debiti da ristrutturare siano estranei alla sua eventuale attività d’impresa. Restano invece esclusi dal piano del consumatore i debitori le cui obbligazioni abbiano natura imprenditoriale o professionale: in presenza di “debiti misti” (parte personali, parte d’impresa) il debitore non può in linea di principio utilizzare il piano del consumatore almeno per la porzione “imprenditoriale”, dovendo in tal caso orientarsi verso il concordato minore (come dettagliato più avanti). Tuttavia, va segnalato che alcune pronunce di merito recentissime hanno ammesso il piano del consumatore anche in ipotesi di debiti misti quando la componente personale risulta prevalente: ad esempio, con decreto del 5 maggio 2025 il Tribunale di Napoli ha omologato un piano del consumatore nonostante la presenza di esposizioni derivanti da attività lavorative, confermando un orientamento giurisprudenziale favorevole ad estendere la procedura anche a tali casi.
Presupposti di ammissibilità. Il piano del consumatore è accessibile solo a chi possiede la qualifica di consumatore sopra descritta. Sono inoltre previste specifiche cause ostative: in particolare, non può accedere al piano del consumatore il debitore che sia già stato esdebitato (cioè già beneficato di una procedura di sovraindebitamento con cancellazione dei debiti residui) nei cinque anni precedenti la domanda, oppure che abbia già usufruito dell’esdebitazione per due volte in passato, o ancora chi abbia cagionato la propria situazione di sovraindebitamento con dolo o colpa grave, mala fede o frode. Quest’ultimo requisito attiene alla cosiddetta “meritevolezza” del debitore: il giudice, prima di omologare il piano, deve verificare che il consumatore non abbia assunto i debiti con leggerezza colpevole, con intenzioni fraudolente o violando i doveri di diligente autodeterminazione nell’indebitarsi. Su questo concetto la normativa ha subito modifiche: la Legge 3/2012 richiedeva di accertare che il debitore non avesse con colpa grave o dolo contribuito al proprio dissesto, mentre la nuova disciplina del Codice della Crisi (art. 69 CCI) ha introdotto un criterio più oggettivo legato all’assunzione dei debiti senza prospettiva ragionevole di poterli onorare. La Corte di Cassazione ha chiarito che il nuovo criterio sostituisce il precedente e va applicato anche ai procedimenti pendenti non ancora omologati all’entrata in vigore del Codice. In sintesi, oggi il debitore consumatore è considerato meritevole se, al momento in cui ha contratto le obbligazioni, non ha agito con grave imprudenza, mala fede o frode (ad esempio omettendo intenzionalmente di considerare la propria capacità di rimborso). È stato sottolineato che questo giudizio di meritevolezza non deve sconfinare in valutazioni moralistiche sul tenore di vita del debitore, ma deve limitarsi a rilevare condotte gravemente colpose o dolose nell’indebitamento. Ad esempio, un consumatore che abbia accumulato debiti perché ha perso il lavoro o per far fronte a spese mediche impreviste resta meritevole; viceversa, chi ha contratto prestiti in modo scriteriato pur sapendo di non poterli restituire potrebbe vedersi negare l’accesso alla procedura.
Contenuto del piano e procedura. Il piano del consumatore consiste in un vero e proprio progetto di ristrutturazione dei debiti che il debitore propone ai creditori, indicando in modo dettagliato tempi e modalità attraverso cui intende superare la propria crisi. Il piano può prevedere le forme più varie di soddisfacimento dei creditori, anche parziale e non paritario: ad esempio, alcune classi di debiti possono essere pagate integralmente e altre solo in parte; si possono prevedere dilazioni di pagamento, stralci (rinunce a una quota di credito), cessione o realizzo di beni, interventi di terzi garanti, ecc. Lo scopo è adeguare il rimborso alle reali possibilità economiche del debitore, pur assicurando ai creditori il massimo soddisfacimento possibile nelle circostanze date. A differenza di altre procedure, nel piano del consumatore non è richiesto il voto o l’assenso dei creditori: i creditori sono sì coinvolti e informati, ma la fattibilità e l’equità del piano vengono valutate d’ufficio da un organo terzo (l’OCC e, in ultima istanza, il giudice). In pratica, il consumatore – con l’assistenza obbligatoria di un Organismo di Composizione della Crisi – deposita in tribunale una proposta di piano corredata da tutta la documentazione sui propri debiti, sui redditi e sul patrimonio, nonché dall’attestazione di fattibilità elaborata dall’OCC. Il tribunale, verificati i requisiti di legge (in particolare la meritevolezza e la completezza/fattibilità del piano), convoca i creditori per un’udienza di omologazione. In tale sede i creditori possono esporre eventuali osservazioni o contestazioni (spesso, ad esempio, le finanziarie eccepiscono che il debitore in passato è stato imprudente o che il piano offre troppo poco), ma non hanno potere di veto formale: è il giudice che decide se omologare il piano, valutando che esso non sia manifestamente squilibrato o iniquo per i creditori. Se il giudice omologa, il piano diventa vincolante per tutti i creditori inclusi.
Uno degli aspetti cruciali è la tutela del debitore contro azioni esecutive individuali. Diversamente da procedure concorsuali come il concordato preventivo (per le imprese), qui non scatta automaticamente un blocco generale delle esecuzioni al solo deposito della domanda. Tuttavia, la legge consente al consumatore di chiedere al giudice, fin dal momento del deposito del piano, la sospensione provvisoria di specifiche procedure esecutive pendenti che possano pregiudicare la fattibilità del piano stesso. Ad esempio, se è in corso un pignoramento immobiliare sulla casa di abitazione e il piano prevede di salvarla pagando i creditori in altro modo, il debitore chiederà al giudice di sovraindebitamento di sospendere l’asta in attesa della decisione sul piano. In presenza di una richiesta motivata, i tribunali sovente concedono la sospensione (inibitoria) dell’esecuzione in corso. Un caso concreto: il Tribunale di Lodi, con provvedimento di marzo 2024, ha sospeso un’esecuzione immobiliare a carico del debitore dopo la presentazione di un piano del consumatore, evitando così la vendita all’asta della casa programmata per il 20 marzo 2024. Se il giudice non adotta una misura anticipatoria di sospensione, resta comunque fermo che dall’omologazione del piano scatta il divieto per i creditori chirografari (non privilegiati) di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali: tutti devono sottostare alle previsioni del piano omologato. Le eventuali esecuzioni pendenti vengono pertanto sospese e non possono proseguire, mentre quelle iniziate dopo l’omologa sarebbero giuridicamente nulle. Una tutela particolare riguarda i creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, ecc.): per essi la legge originariamente prevedeva che il piano potesse dilazionarne il pagamento per un periodo non superiore a un anno dall’omologazione (salvo che si proceda alla liquidazione dei beni dati in garanzia). Questa regola rigida è stata però “ammorbidita” dalla giurisprudenza: la Cassazione ha infatti ritenuto che il limite annuale non sia perentorio e che, se il piano nel suo complesso offre una soddisfazione maggiore ai creditori, sia possibile prevedere dilazioni più lunghe anche per i creditori privilegiati. In un caso del 2024, la Suprema Corte ha confermato la fattibilità di un piano del consumatore che contemplava il pagamento di un creditore ipotecario con rate spalmate su oltre cinque anni, ritenendo legittima tale proposta in quanto più vantaggiosa per il creditore rispetto alle alternative. Resta fermo che, se il creditore ipotecario vede modificati a suo svantaggio i tempi o l’entità del rimborso rispetto al contratto originario, ha diritto di voto (nel concordato minore) o quantomeno di far valere le proprie ragioni in sede di omologa del piano del consumatore; infatti, la Cassazione ha ribadito che imporre a un creditore ipotecario una dilazione più lunga costituisce per lui un “sacrificio” che legittima la sua partecipazione al giudizio (nel piano del consumatore, tale partecipazione avviene appunto tramite le osservazioni rivolte al giudice, dato che un vero voto deliberativo non è previsto).
Effetti dell’omologazione e conclusione. Con l’omologazione del piano del consumatore da parte del tribunale, il piano diviene vincolante per tutti i creditori indicati. Ciò significa che ogni creditore dovrà attenersi a quanto stabilito nel piano (ad esempio accettare un pagamento parziale secondo le scadenze fissate, o attendere la vendita di un bene come previsto). Il debitore dal canto suo è tenuto a eseguire fedelmente il piano. Una volta eseguite tutte le obbligazioni previste nel piano, il debitore ottiene l’esdebitazione, ossia la cancellazione definitiva di eventuali debiti residui ancora non soddisfatti. In pratica, il piano del consumatore consente una liberazione dai debiti anche senza pagarli integralmente, a condizione di rispettare quel che si è promesso nel piano. Se invece il debitore non adempie al piano omologato, la procedura viene revocata o risolta e i creditori riacquistano pieni diritti di pretendere l’intero importo originario dei loro crediti, potendo riattivare le esecuzioni individuali sospese. È quindi fondamentale che il piano sia formulato in modo realistico e sostenibile per evitare un esito infausto. Da segnalare che, a tutela dei creditori, solo chi ha partecipato formalmente al procedimento di omologazione (presentando osservazioni) può impugnare con reclamo la decisione che omologa il piano; un creditore totalmente rimasto estraneo (perché magari non avvisato) può comunque proporre reclamo se prova di non aver ricevuto la comunicazione della pendenza del procedimento. I termini per impugnare decorrono dalla comunicazione o notificazione del decreto di omologa; in mancanza di questa, si applica il termine “lungo” di sei mesi dalla pubblicazione del decreto.
Tabella: Principali caratteristiche del Piano del consumatore
Aspetto | Descrizione |
---|---|
Soggetti ammessi | Persone fisiche consumatori (debiti di natura personale, non professionale/imprenditoriale). |
Finalità | Ristrutturare i debiti del consumatore evitando procedure esecutive e senza liquidare tutti i beni, tramite un piano di pagamento sostenibile e parziale, omologato dal tribunale. |
Consenso dei creditori | Non richiesto (procedura unilaterale): il piano è omologato dal giudice se equo e fattibile, indipendentemente dall’assenso dei creditori. I creditori possono opporsi in udienza ma non votano sul piano. |
Requisiti di accesso | Meritevolezza del debitore (assenza di dolo o colpa grave nell’indebitamento); nessuna esdebitazione ottenuta nei 5 anni precedenti e non più di due esdebitazioni ottenute in totale; debiti non originati da attività d’impresa (salvo casi particolari di debiti misti ammessi dalla giurisprudenza). |
Procedura | Presentazione del ricorso con piano dettagliato e documentazione tramite OCC; esame del giudice e udienza con i creditori; omologazione giudiziale del piano (eventuale rigetto se condizioni non rispettate). L’OCC attesta veridicità dei dati e fattibilità. |
Effetti dell’ammissione | Possibilità di chiedere la sospensione di specifiche esecuzioni in corso (su istanza motivata). Da dopo l’omologa, divieto per i creditori chirografari di iniziare o proseguire azioni esecutive; le esecuzioni in atto sono sospese e quelle successive nulle. I crediti privilegiati possono essere dilazionati (anche oltre 1 anno se il piano lo giustifica). |
Esdebitazione | Se il piano viene eseguito con successo, il debitore è liberato dai debiti residui non pagati (cancellazione del debito). In caso di inadempimento grave del piano, la procedura è revocata e i creditori possono riprendere le azioni per l’intero dovuto. |
Vantaggi per il debitore | Mantiene il controllo sui propri beni (salvo eventuali dismissioni previste dal piano); evita la liquidazione totale del patrimonio; può ottenere una riduzione del debito e dilazioni secondo la propria capacità; tutela da azioni esecutive individuali dopo l’omologa; non subisce il voto dei creditori (procedura basata sul controllo giudiziario). |
Svantaggi/Limitazioni | Accesso precluso se il debitore ha colpe gravi o condotte fraudolente; richiede completa trasparenza sulla propria situazione economica e collaborazione con l’OCC; la fattibilità del piano deve essere rigorosa (il giudice può rigettare piani poco realistici); se il piano fallisce, si torna alla situazione debitoria originaria con perdita del beneficio. |
Concordato minore
Il concordato minore è la procedura destinata ai debitori sovraindebitati non consumatori, ovvero a coloro che hanno debiti derivanti dall’attività d’impresa o professionale esercitata (imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità, imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti, ditte individuali, ecc.). Si tratta, in sostanza, dell’evoluzione del vecchio “accordo di composizione della crisi” previsto dalla Legge 3/2012, ora ridenominato e rivisto nel Codice della Crisi. Il concordato minore consente al debitore professionale o imprenditore minore di proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, con caratteristiche simili a quelle del piano del consumatore ma con alcune differenze chiave:
- innanzitutto, nel concordato minore i creditori votano sulla proposta, e l’omologazione richiede l’approvazione da parte di una maggioranza qualificata di crediti;
- il concordato minore è aperto anche a debitori che intendano proseguire l’attività imprenditoriale (non è solo liquidatorio) e può contenere proposte di risanamento aziendale;
- non è previsto un controllo di meritevolezza stringente come per il consumatore, sebbene restino esclusi i debitori che abbiano commesso frodi a danno dei creditori.
Vediamo i dettagli. Possono accedere al concordato minore tutti i debitori non consumatori in stato di sovraindebitamento. In pratica rientrano qui: gli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità (le soglie dimensionali previste dall’art. 2 lett. d) CCI, ad esempio fatturato annuo inferiore a €200.000 e debiti sotto €500.000, etc.), gli imprenditori agricoli (esenti da fallimento per definizione), i professionisti e lavoratori autonomi con debiti professionali, le start-up innovative (esenti da fallimento per legge), e in generale qualsiasi persona fisica che abbia debiti di natura imprenditoriale o professionale. Anche in presenza di debiti misti (in parte personali, in parte d’impresa), qualora la componente imprenditoriale sia significativa si dovrà optare per il concordato minore. La legge esclude espressamente che un consumatore possa accedere al concordato minore (sebbene il caso inverso – imprenditore minore che accede al piano del consumatore – sia, come visto, oggetto di discussione giurisprudenziale per le situazioni ibride). Le cause di inammissibilità per il concordato minore riprendono in parte quelle del piano del consumatore: è precluso a chi ha ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due esdebitazioni in totale, e a chi ha commesso atti diretti a frodare i creditori (ad esempio, distrazione di beni). Da notare che per il concordato minore il criterio della meritevolezza non è formulato in termini di assenza di colpa grave nel sovraindebitamento (come per il consumatore); tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che anche nel concordato minore occorre valutare il comportamento pregresso del debitore e la sua affidabilità, ad esempio verificando che non abbia accumulato debiti con dolo o in modo irresponsabile. Pur senza un esplicito requisito di meritevolezza nella legge, il tribunale può dunque ritenere inammissibile una proposta di concordato minore proveniente da un imprenditore che abbia violato gravemente i doveri verso i creditori (ad es. con frodi o mala gestio), sia per ragioni di abuso dello strumento, sia perché in sede di voto è prevedibile che i creditori la respingano. In altre parole, un minimo scrutinio di correttezza e buona fede del debitore avviene comunque.
Il contenuto della proposta di concordato minore è libero: il debitore propone un accordo per superare la crisi, indicando come intende pagare (in tutto o in parte) i debiti. Può prevedere qualsiasi forma di soddisfazione: ristrutturazione dei debiti dilazionata, stralcio parziale dei crediti chirografari, cessione di beni, continuità aziendale o liquidazione, intervento di nuovi finanziatori, ecc.. La finalità dichiarata della procedura è di consentire, ove possibile, la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale del debitore. Infatti, se il debitore intende continuare l’attività, la proposta di concordato minore deve contenere un piano che consenta il risanamento e la continuazione dell’impresa. È ammesso tuttavia che il concordato minore abbia anche natura liquidatoria (ossia preveda la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni); in tal caso, la legge richiede però un quid pluris: devono essere apportate risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori rispetto a quanto otterrebbero dalla mera liquidazione. Questa previsione mira a disincentivare l’uso del concordato minore meramente per liquidare l’esistente senza offrire nulla di più ai creditori (in una liquidazione pura, infatti, sarebbe più appropriata la procedura di liquidazione controllata). Dunque, se un imprenditore vuole semplicemente liquidare i propri beni, di norma si seguirà la via della liquidazione controllata; se invece opta comunque per un concordato minore liquidatorio, dovrà ad esempio far entrare capitali nuovi (es. denaro di soci o terzi) per giustificare l’accordo.
Procedura e ruolo dei creditori. Il concordato minore, a differenza del piano del consumatore, richiede il voto dei creditori. La procedura si avvia con il deposito in tribunale della proposta di concordato minore, unitamente ai documenti richiesti (elenco dei creditori, inventario dei beni, elenco degli obbligati in solido, piano economico e attestazione di fattibilità redatta dall’OCC). Il tribunale, verificati i presupposti minimi di ammissibilità, apre la procedura nominando un giudice delegato e un gestore (spesso un professionista dell’OCC) che svolge funzioni simili a quelle di un commissario giudiziale. Viene quindi indetta l’adunanza dei creditori: i creditori vengono convocati per esprimere il loro voto sulla proposta di concordato. Ai fini dell’approvazione, è necessaria la maggioranza dei crediti ammessi al voto (quindi non teste ma per valore) che abbia votato favorevolmente. Sono esclusi dal voto i creditori privilegiati che vengono pagati integralmente come da contratto originario (in quanto non subiscono modifiche); partecipano invece al voto – ed è un aspetto importante – i creditori privilegiati (es. ipotecari) che non siano soddisfatti integralmente o nei tempi pattuiti. Ad esempio, se la proposta prevede che un mutuo ipotecario venga rimborsato oltre i termini contrattuali, la banca ipotecaria ha diritto di voto (poiché subisce un pregiudizio in termini di dilazione). Questa regola, consolidata dalla Cassazione, garantisce che i creditori garantiti possano opporsi a piani che li penalizzano in termini di attesa o falcidia. Durante l’adunanza, o per iscritto entro i termini fissati, i creditori esprimono dunque il loro voto (favorevole o contrario) e possono formulare osservazioni. Se la maggioranza richiesta approva la proposta, il tribunale passa alla fase di omologazione, verificando legalità e fattibilità del concordato minore e potendo omologare anche in presenza di opposizioni di creditori di minoranza (purché sia raggiunta la maggioranza per valore). Se invece la proposta non ottiene la maggioranza di voti, la procedura di concordato minore non viene omologata e si chiude negativamente; a quel punto il debitore (o i creditori) potranno eventualmente chiedere la conversione in una procedura di liquidazione controllata.
Durante la pendenza del concordato minore, opera una tutela similare a quella del concordato preventivo: dal momento in cui il tribunale apre la procedura con decreto, scatta un automatic stay delle azioni esecutive individuali. In altre parole, tutte le procedure esecutive in corso vengono sospese e nessun creditore può iniziarne di nuove, analogamente a quanto avviene nel fallimento o nel concordato preventivo. Questo blocco generale decorre dall’ammissione (apertura) della procedura e permane fino all’omologa o al diniego della stessa. Importante: se vi erano pignoramenti già avviati prima dell’apertura, essi non si estinguono immediatamente ma restano sospesi; qualora il concordato minore non venisse omologato, i creditori potranno riattivarli riprendendo l’esecuzione dal punto in cui era stata sospesa. Invece gli atti esecutivi compiuti dopo l’apertura della procedura sono radicalmente nulli, anche se poi il concordato non va a buon fine. Questo meccanismo garantisce al debitore respiro temporaneo e protegge il patrimonio durante la negoziazione con i creditori.
Se il concordato minore viene omologato, esso diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, secondo i termini approvati. Il debitore dovrà eseguire quanto promesso (pagare le percentuali offerte, vendere i beni previsti, ecc.). Conclusa l’esecuzione dell’accordo, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione per i debiti eventualmente insoddisfatti (similmente al piano del consumatore). Durante l’esecuzione concordataria può accadere che il debitore non rispetti gli impegni: in tal caso il tribunale, su istanza dei creditori, può dichiarare risolta la procedura e i creditori riacquistano i diritti sull’intero credito originario, fatte salve le somme già eventualmente percepite. Da notare infine che, essendo il concordato minore una procedura concorsuale, valgono le regole generali di imparzialità: ad esempio, sono nulli i pagamenti preferenziali fatti a singoli creditori dopo il deposito della domanda (salvo autorizzazioni), e il debitore sotto concordato non può aggravare la propria esposizione debitoria.
Tabella: Principali caratteristiche del Concordato minore
Aspetto | Descrizione |
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Soggetti ammessi | Debitori non consumatori: imprenditori sotto soglia di fallibilità, imprenditori agricoli, professionisti, start-up, persone fisiche con debiti da attività economiche. Escluso il consumatore puro. |
Natura dei debiti | Debiti derivanti da attività d’impresa o professionale (o debiti misti). Per debiti esclusivamente personali si utilizza invece il piano del consumatore. |
Finalità | Raggiungere un accordo di ristrutturazione con i creditori che consenta al debitore di superare la crisi, eventualmente continuando l’attività. Può essere in continuità (prosecuzione impresa) o liquidatorio (cessazione attività con cessione beni), ma in tal caso con apporto di risorse esterne. |
Consenso dei creditori | Necessario: i creditori votano sulla proposta. Serve la maggioranza dei crediti per l’approvazione. Il tribunale omologa se c’è la maggioranza e verifica legalità/fattibilità, anche in presenza di opposizioni minoritarie. |
Requisiti di accesso | Stato di sovraindebitamento (insolvenza per i creditori istanti) del debitore. Esclusi chi ha frodato i creditori o ha già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni (o più di due volte in totale). Meritevolezza non codificata, ma comportamento del debitore rileva ai fini dell’ammissibilità e del voto dei creditori (debitori con frodi o colpe gravi rischiano inammissibilità o voto contrario). |
Procedura | Ricorso depositato con assistenza OCC e documentazione completa; nomina di giudice e OCC/gestore; convocazione dei creditori e votazione sulla proposta; omologazione da parte del tribunale se approvata a maggioranza. In caso di mancata approvazione, possibile conversione in liquidazione controllata. |
Effetti dell’apertura | Sospensione automatica di tutte le azioni esecutive dal momento del decreto di apertura. Divieto per i creditori di iniziare o proseguire pignoramenti sul patrimonio del debitore. I pignoramenti già in corso rimangono sospesi (non estinti); quelli iniziati dopo l’apertura sono nulli. |
Ruolo dei creditori privilegiati | Se integralmente soddisfatti come da contratto, non votano; se subiscono modifiche (es. dilazione, riduzione interessi) hanno diritto di voto. |
Esdebitazione | Per il debitore persona fisica, al completamento del piano concordatario omologato, cancellazione dei debiti residui non pagati (salvo eccezioni di legge). |
Vantaggi | Consente anche a imprenditori/professionisti non fallibili di ristrutturare i debiti evitando la liquidazione giudiziale; possibilità di continuare l’attività economica (se il piano lo prevede) proteggendola dai creditori durante la procedura; flessibilità nelle forme di soddisfacimento (accordo personalizzato con dilazioni, stralci, ecc.); prevede il voto, quindi in caso di approvazione i creditori sono già concordi (meno rischi di contestazioni post-omologa). |
Svantaggi | Procedura più complessa del piano del consumatore per via del coinvolgimento diretto dei creditori (occorre ottenere il loro consenso); rischio di mancata approvazione da parte dei creditori (specie se la proposta è troppo sfavorevole per loro); richiede comunque trasparenza totale e collaborazione con OCC; se fallisce, possibile liquidazione forzata; durante la procedura il debitore è soggetto a controllo (simile a concordato preventivo in miniatura). |
Liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata (detta anche liquidazione controllata del patrimonio) è la procedura concorsuale destinata al debitore sovraindebitato che si trovi in stato di insolvenza conclamata e per il quale non sia praticabile o efficace una ristrutturazione tramite piano o concordato minore. Si tratta, in sostanza, di una liquidazione giudiziale di tutti i beni del debitore, analoga al fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”) ma riservata ai soggetti non fallibili o alle situazioni di sovraindebitamento. Possono accedervi sia i consumatori sia i debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, ecc.), e può essere richiesta volontariamente dal debitore oppure in via coattiva dai creditori o dal Pubblico Ministero in determinati casi.
La liquidazione controllata si sceglie tipicamente quando il debitore non è in grado di proporre un piano sostenibile né un concordato minore accettabile dai creditori. Ad esempio, il debitore ha un livello di indebitamento tale che non riesce a offrire pagamenti proporzionati al reddito, oppure possiede beni alienabili e i creditori preferiscono la loro vendita immediata. In tali casi, invece di lasciare che ogni creditore aggredisca singolarmente i beni (magari in modo disordinato e inefficiente), si attiva una procedura unitaria in tribunale dove un Liquidatore nominato dal giudice raccoglie tutto il patrimonio del debitore, lo realizza (vende i beni) e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le regole della par condicio (rispettando le cause di prelazione). In cambio, al termine il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (cioè l’abbuono dei debiti insoddisfatti).
Chi può accedere alla liquidazione controllata: sia il debitore sovraindebitato (consumatore o meno), sia i creditori. Il debitore può presentare istanza di liquidazione quando ritiene di non avere prospettive di accordo o semplicemente preferisce cedere tutto il patrimonio ed uscire dalla situazione debitoria in modo “pulito”. I creditori, dal canto loro, hanno la facoltà di chiedere al tribunale l’apertura della liquidazione controllata nei confronti del debitore insolvente (anche se non imprenditore fallibile), ma solo a certe condizioni: occorre che il debitore versi in stato di insolvenza (incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni scadute) e che i debiti scaduti e non pagati superino complessivamente €50.000. Inoltre, per evitare abusi, la legge stabilisce che i creditori non possono ottenere l’apertura della liquidazione se un Organismo di Composizione della Crisi attesta che non vi sono beni né azioni recuperatorie utilmente esperibili (in sostanza, se l’OCC dichiara che dal debitore non si potrà ricavare alcun attivo). Questa previsione impedisce ai creditori di accanirsi chiedendo una liquidazione giudiziale quando il debitore è totalmente incapiente: in tal caso, come vedremo, la strada da percorrere è semmai l’esdebitazione del debitore incapiente. Da notare che, se la procedura di liquidazione viene iniziata su istanza di creditori, il tribunale deve comunque sentire il debitore e verificare sommariamente l’esistenza dei crediti invocati (accertamento incidentale del titolo e dell’ammontare del debito).
Presupposti oggettivi: lo stato di insolvenza (incapacità non temporanea di pagare i debiti) è in genere richiesto se l’istanza proviene dai creditori o dal PM; se è il debitore stesso a chiedere la liquidazione, è sufficiente lo stato di sovraindebitamento (anche senza accertare l’insolvenza in termini stretti). In ogni caso, la presenza di un patrimonio liquidabile non è un requisito obbligatorio: anche un debitore senza beni può accedere volontariamente alla liquidazione (ma va considerato se non sia più conveniente l’esdebitazione incapiente).
Procedimento: l’istanza di liquidazione controllata si propone con ricorso al tribunale competente (luogo del centro degli interessi del debitore). Non è necessaria l’assistenza di un avvocato se a presentare il ricorso è il debitore personalmente, poiché la legge prevede che in tal caso sia sufficiente l’assistenza dell’OCC. Ciò consente al debitore sovraindebitato (spesso in difficoltà economica) di avviare la procedura senza sostenere subito spese legali, avvalendosi del supporto dell’Organismo di Composizione della Crisi, che lo aiuta a preparare la domanda e funge da gestore iniziale. Se invece la domanda è presentata da un creditore, l’OCC verrà coinvolto solo dopo l’apertura della procedura (in fase di gestione, come liquidatore eventualmente). Il tribunale, ricevuto il ricorso, verifica la sussistenza dei presupposti e, in caso positivo, dichiara aperta la liquidazione controllata con decreto. Nel decreto nomina un Giudice Delegato e un Liquidatore. Spesso, come Liquidatore viene designato lo stesso OCC (o gestore) che ha assistito il debitore nella fase introduttiva, per continuità, ma il tribunale può anche scegliere un diverso professionista iscritto nell’elenco dei gestori, soprattutto se ravvisa carenze nell’operato dell’OCC in fase di preistruttoria. Da quel momento, il patrimonio del debitore viene sottoposto a vincolo: si forma formalmente il cosiddetto “massa attiva” su cui i creditori faranno valere le proprie ragioni in sede concorsuale.
Gli effetti dell’apertura della liquidazione controllata sono simili a quelli di un fallimento (liquidazione giudiziale) in miniatura: il debitore perde la disponibilità dei suoi beni, che passa al Liquidatore (effetto di spossessamento); tutte le azioni esecutive individuali dei creditori rimaste in corso vengono sospese e i beni eventualmente pignorati confluiscono nella procedura collettiva; i creditori non possono iniziare nuove azioni né proseguire le esecuzioni pendenti, dovendo invece presentare domanda di partecipazione al passivo nella liquidazione. Il liquidatore redige l’inventario e la lista dei creditori (stato passivo), da sottoporre al giudice delegato per l’esame e l’eventuale approvazione. Segue la fase di realizzo: il liquidatore predispone un programma di liquidazione (es. vendita all’asta degli immobili, cessione di mobili, crediti, ecc.), lo fa approvare dal giudice, quindi procede a liquidare i beni del debitore. Il ricavato viene poi distribuito ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni in ordine di grado, poi chirografari). In questa fase i creditori sono rappresentati collettivamente e le loro pretese individuali cedono il passo al concorso. Importante evidenziare che la liquidazione controllata non è penalizzante per il debitore meritevole: è vero che egli vede i propri beni liquidati, ma a differenza di un’esecuzione caotica subita per via individuale, qui la legge prevede una serie di salvaguardie (ad esempio sono esclusi dalla liquidazione i beni impignorabili per legge, gli stipendi nei limiti necessari al mantenimento dignitoso del debitore e della famiglia, ecc.) e soprattutto offre, a fine procedura, la prospettiva della liberazione dai debiti. Per i creditori, la liquidazione ha il vantaggio di un procedimento più efficiente e ordinato rispetto a tante esecuzioni frammentate, e non comporta oneri diretti per il creditore procedente (diversamente dall’azione esecutiva individuale dove anticipa spese). Lo svantaggio, dal loro punto di vista, è che il debitore potrebbe ottenere l’esdebitazione e quindi i crediti insoddisfatti diventerebbero inesigibili.
Un caso particolare nella liquidazione controllata riguarda i creditori fondiari (banche titolari di mutuo fondiario ex art. 38 TUB): secondo un orientamento della Cassazione aggiornato al 2024, le banche con privilegio fondiario possono proseguire separatamente l’esecuzione immobiliare anche dopo l’apertura della liquidazione controllata. Ciò in forza dell’art. 41 comma 2 TUB, che storicamente attribuisce a queste banche un privilegio processuale (di poter iniziare o proseguire l’esecuzione sul bene ipotecato nonostante la procedura concorsuale in corso). In passato si discuteva se tale privilegio valesse anche nel sovraindebitamento; un primo orientamento lo negava, ma da ultimo la Cassazione (sent. n. 22914/2024) ha affermato che la banca fondiaria può portare avanti il pignoramento dell’immobile ipotecato nonostante la liquidazione controllata del debitore. Questo significa che, ad esempio, se Tizio ha un mutuo fondiario sulla casa e apre liquidazione controllata, la banca potrà comunque concludere l’asta e soddisfarsi sul ricavato dell’immobile, versando l’eventuale eccedenza nella procedura concorsuale. È un’eccezione rilevante alla regola del concorso e attualmente va tenuta presente (fatti salvi possibili sviluppi futuri su questo tema, data la delicatezza della questione).
La chiusura della liquidazione controllata avviene quando tutti i beni sono stati liquidati e ripartiti i ricavi. Il debitore persona fisica può a questo punto presentare istanza di esdebitazione (nelle forme ordinarie, simile all’esdebitazione post-fallimentare) per ottenere la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti. La concessione dell’esdebitazione richiede che il debitore abbia cooperato lealmente e non abbia violato la legge durante la procedura (ad esempio, non deve aver occultato beni o aggravato il passivo). Se tutto è regolare, il tribunale emette il decreto di esdebitazione, dando così al debitore il fresh start libero dai vecchi debiti.
Durata della procedura e acquisizione di sopravvenienze: La liquidazione controllata di regola dura il tempo necessario a liquidare i beni (può variare da pochi mesi a diversi anni a seconda della complessità del patrimonio). Una particolarità introdotta dal Codice della Crisi è che fanno parte della massa attiva anche i beni e i redditi che pervengono al debitore entro i 3 anni successivi all’apertura della procedura (salvo quelli dichiarati indispensabili per il mantenimento). Questa previsione – oggetto di dubbi di costituzionalità ma ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale nel 2024 – significa che, ad esempio, se il debitore dovesse ricevere un’eredità o vincere una somma importante entro 3 anni dall’apertura della liquidazione, anche tali sopravvenienze andranno acquisite e destinate ai creditori. Si è di fatto previsto un orizzonte temporale triennale durante il quale la procedura può “incamerare” nuovi beni del debitore sopravvenuti, per massimizzare il soddisfacimento dei creditori. Decorso questo periodo, eventuali nuovi beni non potranno più essere toccati (e il debitore avrà definitivamente voltato pagina, specie se ottiene l’esdebitazione).
Tabella: Principali caratteristiche della Liquidazione controllata
Aspetto | Descrizione |
---|---|
Chi la può attivare | Debitore sovraindebitato (consumatore o non consumatore) che intende liquidare il proprio patrimonio per soddisfare i creditori, oppure creditori (o PM) di un debitore insolvente con debiti > €50.000. |
Quando si usa | Quando il debitore non riesce a proporre un piano/concordato sostenibile oppure tali tentativi sono falliti. È spesso l’ultima risorsa per chiudere le posizioni debitorie attraverso la vendita di tutti i beni disponibili. |
Oggetto | Tutto il patrimonio del debitore viene assoggettato a liquidazione concorsuale (salvo beni impignorabili ex lege). Include anche i beni sopravvenuti entro 3 anni dall’apertura. Il debitore perde la disponibilità dei beni (“spossessamento”) a favore del Liquidatore. |
Apertura della procedura | Disposta con decreto del tribunale su ricorso del debitore o dei creditori. Nomina del Liquidatore e del giudice delegato. Se ricorre il debitore, può agire tramite OCC senza avvocato. |
Effetti per i creditori | Divieto di azioni esecutive individuali: dalla data di apertura nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti sul debitore; le procedure esecutive in corso sono sospese e confluiscono nella liquidazione. Eccezione: creditori fondiari (mutuo fondiario) possono proseguire l’esecuzione ipotecaria nonostante la liquidazione, ai sensi dell’art. 41 TUB. |
Gestione della procedura | Il Liquidatore (spesso coincidente con l’OCC iniziale) amministra e vende i beni secondo un programma approvato dal giudice. I creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo; il giudice forma lo stato passivo (elenchi crediti) e si procede alla ripartizione del ricavato delle vendite secondo le prelazioni. |
Durata | Variabile. La procedura dura fino al completamento delle vendite e distribuzioni. La legge prevede che restino acquisiti anche i beni/rendite sopravvenuti entro tre anni dall’apertura, il che di fatto allunga l’orizzonte in cui la procedura può operare (questo punto è stato confermato come costituzionalmente legittimo). |
Esdebitazione finale | Il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione al termine della liquidazione (o anche prima, decorsi 3 anni dall’apertura, se previsto) ottenendo la liberazione dai debiti rimasti non pagati. Condizioni: aver cooperato, non aver occultato attivo, non condannato per reati fallimentari, ecc. |
Vantaggi | Permette di risolvere in modo definitivo la situazione debitoria: il debitore consegna i beni ma ottiene l’azzeramento dei debiti residui (fresh start) tramite esdebitazione; i creditori ricevono tutto il ricavato disponibile con un’unica procedura ordinata (evitando disparità tra loro); la procedura è gestita da un professionista terzo e sotto controllo del tribunale, garantendo regolarità e trasparenza. |
Svantaggi | Il debitore perde il patrimonio (soluzione drastica); eventuali beni di valore affettivo o la casa di abitazione possono essere venduti (non essendovi protezioni come nel piano); la procedura può durare a lungo (specie con il periodo di osservazione di 3 anni per sopravvenienze); i creditori privilegiati potrebbero preferire vie più rapide (es. fondiario); se il debitore non coopera rischia sanzioni (inclusa l’esclusione dall’esdebitazione). |
Esdebitazione del debitore incapiente
L’esdebitazione del debitore incapiente è uno strumento eccezionale e “a costo zero” introdotto dal Codice della Crisi (art. 283 CCI) per dare una via d’uscita ai debitori persone fisiche che non hanno alcuna risorsa da offrire ai creditori. Si tratta di un meccanismo di fresh start immediato: il debitore meritevole, totalmente privo di beni e di redditi aggredibili, può ottenere la cancellazione di tutti i propri debiti senza doverli pagare, né integralmente né parzialmente. In altre parole, è una “esdebitazione” concessa senza alcun soddisfacimento dei creditori, riservata però – come intuibile – ai casi di indigenza assoluta e soggetta a condizioni stringenti.
Introdotta nel nostro ordinamento con una modifica del 2020 alla legge 3/2012 e poi formalizzata nel nuovo Codice, questa procedura è pensata come extrema ratio per chi è intrappolato in debiti che non potrà mai onorare, neppure in minima parte, ma ha comunque necessità di riacquistare capacità economica (si pensi a persone fisiche sovraindebitate che non possiedono case, auto o altri cespiti e vivono magari solo di un piccolo stipendio o pensione al minimo).
Requisiti chiave: può accedere all’esdebitazione “incapiente” solo il debitore persona fisica (non società) che risulti meritevole e che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né diretta né indiretta, nemmeno in futuro. Questo significa che il debitore:
- non deve avere beni liquidabili di valore (es. immobili, auto, risparmi significativi);
- non deve avere redditi disponibili oltre il minimo vitale attuale o prevedibile (nessuna capacità di pagamento, neanche parziale);
- non deve prospettare a breve entrate straordinarie con cui pagare i creditori.
In pratica, l’incapienza dev’essere assoluta e attuale. Il debitore deve inoltre essere “meritevole”: le cause ostative sono analoghe a quelle viste per le altre procedure (assenza di dolo, colpa grave o frode nella formazione dell’indebitamento) e, in generale, deve aver tenuto un comportamento trasparente (ad esempio, aver cooperato se ci sono state precedenti procedure, non aver nascosto beni, ecc.). L’esdebitazione incapiente si può ottenere una sola volta nella vita.
Procedura: il debitore presenta ricorso al tribunale chiedendo l’esdebitazione di tutti i suoi debiti ai sensi dell’art. 283 CCI, allegando la documentazione che provi la propria condizione di totale insolvenza e incapienza. È consigliabile rivolgersi a un OCC anche in questo caso per predisporre la relazione attestante l’assenza di attivo e la meritevolezza. Il tribunale valuta la sussistenza dei presupposti. Non vi è un coinvolgimento diretto dei creditori paragonabile al voto, ma i creditori vengono informati e possono eventualmente contestare (soprattutto sulla sussistenza o meno di utilità recuperabili o sulla non meritevolezza del debitore). Se il giudice accerta che il debitore è realmente incapiente e meritevole, emette decreto di esdebitazione: cancella tutti i debiti del ricorrente. Da quel momento il debitore è libero dalle obbligazioni pregresse (fatte salve, per legge, eventuali eccezioni come debiti da mantenimento, risarcimenti per danni da fatto illecito e sanzioni penali/amministrative, che solitamente non sono esdebitabili nemmeno nelle altre procedure).
Questa liberazione “a zero” per il debitore ha però un corollario importante a tutela dei creditori: se nei quattro anni successivi al decreto di esdebitazione il debitore incapiente dovesse venire in possesso di utilità rilevanti (es. un’eredità sostanziosa, una vincita, un incremento reddituale significativo), scatta a suo carico l’obbligo di pagamento in favore dei vecchi creditori, fino a concorrenza della somma che consenta di soddisfarli almeno nella misura del 10%. In pratica, la legge prevede una sorta di condizione risolutiva: ti libero dai debiti oggi perché non hai nulla, ma se entro 4 anni trovi risorse importanti, dovrai pagare comunque qualcosa ai creditori (almeno il 10% dell’ammontare originario dei debiti). Questo meccanismo evita che il debitore sfrutti l’esdebitazione incapiente per poi magari godere di fortuiti arricchimenti poco dopo, lasciando i creditori completamente a bocca asciutta. In sostanza:
- Se entro 4 anni dal decreto l’ex debitore ottiene entrate che permetterebbero di soddisfare i creditori almeno al 10%, egli deve darne comunicazione e pagare i creditori (fino a capienza del debito intero, non solo il 10%). Ad esempio, aveva debiti per €100.000, viene esdebitato perché nullatenente; due anni dopo eredita €50.000 (che è il 50% del debito originale, quindi >10%): dovrà destinare tale somma ai vecchi creditori in proporzione, riaprendo in un certo senso i giochi fino a concorrenza del 50% dovuto.
- Se invece nei 4 anni non interviene alcuna “sorpresa” economica rilevante, l’esdebitazione resta definitiva e i creditori non potranno più nulla.
L’esdebitazione del debitore incapiente è stata oggetto di prime applicazioni giurisprudenziali. Un esempio: il Tribunale di Torino, con decreto del 23 aprile 2025, ha accolto l’istanza di esdebitazione di una debitrice che aveva accumulato oltre €200.000 di debiti (di cui €115.000 verso Erario e INPS) senza possedere beni né capacità di rimborso. Il tribunale ha ritenuto la donna meritevole nonostante i rilevanti debiti fiscali, considerando le circostanze della sua vita (madre di tre figli, difficoltà lavorative e familiari) e valutando che le omissioni nel versare imposte e contributi non fossero frutto di mala fede ma di effettiva incapacità economica. Questa decisione è significativa perché dimostra che i debiti tributari non precludono l’esdebitazione incapiente se il contesto mostra assenza di colpa grave: il giudice ha infatti escluso la “gravità” della colpa nel mancato pagamento delle tasse, vista la situazione di oggettiva sofferenza economica. In generale, i tribunali stanno applicando l’istituto con prudenza ma anche con comprensione per i casi umanamente giustificabili, evidenziando la funzione sociale di questa norma.
È importante ricordare che l’esdebitazione incapiente non comporta la liquidazione formale del patrimonio (diversamente dalla liquidazione controllata): è un provvedimento che prescinde dall’attivo, proprio perché attivo non ce n’è. Se però emergessero beni occultati o redditi non dichiarati, il beneficio verrebbe revocato e il debitore potrebbe incorrere in sanzioni anche penali per eventuali frodi.
Tabella: Principali caratteristiche dell’Esdebitazione del debitore incapiente
Aspetto | Descrizione |
---|---|
Chi può richiederla | Persona fisica sovraindebitata, meritevole e totalmente incapiente (nessun bene liquidabile né reddito disponibile per i creditori). Non accessibile a società o enti. Concedibile una sola volta nella vita. |
Cosa comporta | Cancellazione di tutti i debiti senza alcun pagamento ai creditori. Il debitore viene liberato dall’obbligo di pagare le obbligazioni anteriori. |
Requisiti | Incapacità assoluta di soddisfare i creditori (nessuna utilità presente o prospettica offerta); meritevolezza del debitore (no frodi, no indebitamento colposo grave);assenza di atti in frode ai creditori, documentazione completa e veritiera. |
Procedura | Ricorso al tribunale ex art. 283 CCI con inventario debiti e dichiarazione di nullatenenza. OCC o professionista può attestare la situazione. I creditori sono informati e possono eventualmente opporsi. Il tribunale verifica requisiti e, se tutto è soddisfatto, emette decreto di esdebitazione che estingue i debiti. |
Clausola di salvaguardia | Se entro 4 anni dal decreto l’esdebitato acquisisce utilità rilevanti (>=10% dei debiti), scatta l’obbligo di pagare i creditori entro tale limite. Il debitore deve quindi versare ai vecchi creditori somme sopravvenute fino almeno al 10% del dovuto (e oltre se sufficiente a soddisfarli integralmente). Se invece nei 4 anni non interviene alcuna sopravvenienza significativa, nulla è dovuto. |
Effetti sui creditori | I creditori chirografari vedono i loro crediti estinti senza pagamento (perdono il diritto); i creditori privilegiati decadono dalle garanzie sul patrimonio del debitore. Rimangono esclusi dall’esdebitazione solo gli eventuali debiti non liberabili per legge (es: obblighi alimentari, risarcimento danni da fatto doloso, multe penali – analogamente ad altre procedure). |
Vantaggi per il debitore | Rimedio “ultima spiaggia” per chi è schiacciato dai debiti e non ha alcuna risorsa: permette di ripartire da zero nonostante l’incapienza totale. Evita l’avvio di procedure inutili (liquidazione) quando non c’è nulla da liquidare. |
Controparti | Non vi è un vero contraddittorio coi creditori (non c’è voto), ma i creditori possono segnalare se ritengono che il debitore abbia risorse nascoste o contestarne la meritevolezza. Il decreto di esdebitazione può essere revocato se emerge successivamente che il debitore aveva mentito o nascosto attivo. |
Svantaggi/Limitazioni | Straordinaria eccezione: concessa con parsimonia solo a situazioni di reale indigenza. Il debitore resta sorvegliato per 4 anni circa (obbligo di pagamento su sopravvenienze). Non applicabile se c’è anche il minimo attivo liquidabile (in tal caso si preferirà la liquidazione controllata). Non estingue eventuali coobbligati (garanti rimangono obbligati per intero). |
Procedure familiari e sovraindebitamento congiunto
Una novità significativa del Codice della Crisi è la possibilità di gestire unitariamente il sovraindebitamento di più membri della stessa famiglia tramite una procedura familiare. Il legislatore ha previsto che, quando esistono situazioni di indebitamento che coinvolgono contestualmente marito e moglie, genitori e figli, o altri familiari conviventi, sia possibile presentare un unico progetto di ristrutturazione o liquidazione congiunto, ottenendo evidenti vantaggi in termini di costi e coordinamento.
Condizioni per la procedura familiare: occorre che i debitori siano tra loro familiari (sono tali, per legge, il coniuge, i parenti entro il quarto grado, affini entro il secondo grado, parti di un’unione civile o conviventi di fatto ex L.76/2016) e che ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
- i membri della famiglia sono conviventi (stessa residenza o stesso nucleo familiare di fatto);
- l’origine dell’indebitamento è comune (ad es. condebiti per lo stesso finanziamento, oppure debiti sorti all’interno della medesima vicenda economica familiare).
Se sussiste uno di questi requisiti, i debitori familiari possono presentare un ricorso congiunto per l’accesso a una procedura di sovraindebitamento unitaria. La procedura potrà essere:
- un piano del consumatore unico (se tutti i debitori coinvolti sono consumatori e l’indebitamento è personale/familiare),
- oppure un concordato minore unico (se vi è almeno un debitore non consumatore nella famiglia: in tal caso si applicano le regole del concordato minore all’intero progetto),
- o anche una liquidazione controllata congiunta dei patrimoni familiari.
In pratica si mette insieme la situazione di tutti i membri della famiglia partecipanti, si redige un unico piano o progetto liquidatorio e lo si sottopone unitariamente al tribunale. Questo consente, ad esempio, a una coppia di coniugi entrambi indebitati di evitare il doppio delle procedure e spese, affrontando un solo iter. Ovviamente occorre coordinare le posizioni: il piano familiare dovrà tenere conto dei debiti di ciascuno e delle eventuali garanzie reciproche.
Esempio: marito e moglie, entrambi consumatori conviventi, hanno debiti comuni (es. cointestatari di mutuo) e individuali. Possono presentare un piano del consumatore familiare in cui combinano le loro risorse (redditi di entrambi, eventuali beni comuni) e propongono un’unica soluzione per soddisfare i creditori di entrambi. Se uno dei due è invece titolare di una partita IVA con debiti di natura professionale, allora l’intero progetto seguirà le regole del concordato minore (voto dei creditori, ecc.) perché la procedura familiare deve uniformarsi al tipo più “complesso” tra quelle coinvolte (come da disposizione del Codice).
La procedura familiare richiede il consenso di tutti i debitori coinvolti – non è possibile accorpare soggetti che non vogliono partecipare – ed è facoltativa. Se conviene, la si usa; altrimenti ciascuno può procedere individualmente. In sede di omologazione o di voto, il piano familiare segue le stesse regole di un piano individuale, con la differenza che i creditori di persone diverse votano insieme sul progetto unitario.
I benefici di questa opzione sono sia economici (un solo OCC, costi di procedura ridotti, unico tribunale adito, ecc.) sia pratici (si evita che un membro della famiglia ottenga sollievo e l’altro resti esposto ai creditori, magari per debiti sorti insieme). È uno strumento che favorisce un approccio globale alla crisi familiare. Ad esempio, il Codice consente di estendere la liquidazione di un patrimonio anche ai beni in comunione legale dei coniugi, per risolvere in un colpo solo la situazione debitoria comune.
Va sottolineato che l’eventuale presenza di un familiare non consumatore nel gruppo fa “scattare” l’applicazione delle norme del concordato minore a tutto il progetto. Quindi, ad esempio, se padre e figlio vogliono fare un’unica procedura e il padre ha debiti d’impresa, il piano familiare sarà trattato come concordato minore: i creditori voteranno e servirà la maggioranza, ecc. Questo per evitare disparità di trattamento interno e consentire a tutti i debiti – anche quelli d’impresa – di essere compresi nel progetto.
Strumenti stragiudiziali di ristrutturazione del debito
Oltre alle procedure giudiziali previste dal Codice della Crisi, esistono modalità stragiudiziali (fuori dal tribunale) attraverso le quali un privato può cercare di ristrutturare o ridurre il proprio debito. Questi strumenti si basano su accordi volontari tra debitore e creditori e non implicano l’intervento diretto di un giudice (se non eventualmente in fase esecutiva per formalizzare la cessazione delle azioni legali in corso). Le principali opzioni extragiudiziali includono:
- gli accordi stragiudiziali con i creditori (piani di rientro, transazioni a saldo e stralcio, ecc.);
- il saldo e stralcio, in particolare, come forma tipica di accordo transattivo;
- le trattative dirette con banche e finanziarie per rimodulare le esposizioni debitorie (es. rinegoziazione di mutui, piani di rientro su finanziamenti insoluti).
Di seguito analizziamo ciascuno di questi strumenti, evidenziandone il funzionamento, i pro e contro, e le differenze rispetto alle procedure concorsuali.
Accordi stragiudiziali con i creditori
Un accordo stragiudiziale è un accordo privato tra il debitore e uno o più creditori, volto a definire amichevolmente le pendenze debitorie. In pratica, debitore e creditore si siedono (fisicamente o metaforicamente) attorno a un tavolo e raggiungono un’intesa su come estinguere l’obbligazione in modo diverso da quanto originariamente previsto. Gli accordi stragiudiziali possono assumere forme diverse:
- un piano di rientro rateale: il creditore concede al debitore una dilazione nel tempo (ad esempio, suddivide l’importo dovuto in rate mensili sostenibili, magari rinunciando a parte degli interessi o alle penali di ritardato pagamento);
- una transazione a saldo e stralcio: il creditore accetta di ricevere una somma inferiore al dovuto, spesso in un’unica soluzione (o poche rate), stralciando il resto del debito;
- una rimodulazione del debito: possono essere ridotti i tassi d’interesse, allungate le scadenze, con o senza garanzie aggiuntive;
- combinazioni delle precedenti (ad es. stralcio parziale + rateazione sul residuo).
Tali accordi sono regolati dalle comuni norme civilistiche sulla transazione (artt. 1965 c.c. e segg.) o sul mutuo novativo, ecc. Non c’è un formato obbligatorio di legge: possono essere formalizzati con scrittura privata, scambio di lettere/email, oppure perfino verbalmente (anche se, per evidenti ragioni di prova, è bene metterli per iscritto). Giuridicamente, l’accordo stragiudiziale è vincolante solo per le parti che vi aderiscono. Ciò significa, ad esempio, che se un debitore ha 5 creditori e raggiunge un’intesa stragiudiziale con 3 di loro, rimangono fuori gli altri 2 che potranno agire indipendentemente (non c’è un effetto di obbligatorietà erga omnes come nelle procedure omologate).
Vantaggi degli accordi stragiudiziali:
- Rapidità e flessibilità: non occorre attendere tempi e formalità di un tribunale; le parti possono adattare i termini alle loro esigenze (importo, tempi, modalità di pagamento) senza sottostare a vincoli normativi stringenti. Ad esempio, un creditore può concedere ben più di un anno di dilazione a un debitore, cosa che in un piano del consumatore formale sarebbe limitata se è privilegiato (abbiamo visto che formalmente sarebbe un anno, anche se derogabile con giudice – qui lo può fare a piacimento).
- Minor pubblicità e impatto reputazionale: l’accordo privato non è pubblicizzato in registri ufficiali (mentre le procedure concorsuali finiscono nei registri e potrebbero risultare nelle banche dati – ad es. CRIF segnala comunque gli inadempimenti, ma un accordo transattivo evita magari un pignoramento pubblico).
- Costi contenuti: non vi sono spese di giustizia, compensi di OCC o commissari; spesso basta l’opera di un avvocato o consulente per negoziare (e talora nemmeno quella, se il debitore tratta da sé). Molte banche e finanziarie, per prassi, non addebitano costi nel fare un saldo e stralcio (oltre alla rinuncia a parte del credito).
- Mantenimento di rapporti meno conflittuali: un accordo bonario evita l’inasprimento del conflitto e può preservare la relazione (utile ad esempio se il debitore intende continuare ad essere cliente della banca a lungo termine, o nel caso di parenti/privati come creditori).
Svantaggi e rischi:
- Nessuna imposizione ai dissenzienti: l’accordo vincola solo chi lo sottoscrive. Se c’è anche un solo creditore importante che rifiuta l’accordo, quel creditore potrà agire per conto suo (pignoramenti, ecc.), vanificando in parte gli sforzi. Nelle procedure giudiziali, invece, l’omologa impone la soluzione anche ai non consenzienti.
- Mancanza di “automatic stay”: la trattativa non sospende di per sé le azioni esecutive. Un creditore potrebbe proseguire un pignoramento mentre tratta, a meno che non accetti di sospenderlo volontariamente. Per questo, spesso nel negoziare si cerca di ottenere dal creditore una sospensione temporanea delle azioni (magari dietro una prima tranche di pagamento).
- Affidamento sul buon esito: se il debitore non rispetta l’accordo, il creditore torna libero di pretendere quanto dovuto originariamente (salvo diverso accordo). Quindi, il mancato pagamento di una rata di un piano di rientro stragiudiziale può far decadere i benefici e riattivare le vie legali subito, spesso con perdita per il debitore di quanto già pagato (molti accordi infatti prevedono clausole risolutive in caso di inadempimento).
- Possibile impatto su fiscalità: da un punto di vista fiscale, per il creditore una parte del credito rinunciata è una perdita deducibile (soggetta alle regole fiscali sulle insolvenze); per il debitore, la parte di debito condonata potrebbe in teoria configurarsi come una sopravvenienza attiva tassabile (in caso di debitore imprenditore/professionista). Per un privato consumatore, l’importo stralciato non è considerato reddito imponibile ai fini IRPEF, trattandosi di liberalità del creditore – ma su questo è sempre bene avere conferma, specie se importi elevati.
Diffusione degli accordi stragiudiziali: è prassi comune soprattutto con banche e finanziarie. Ad esempio, se un privato accumula ritardi su un prestito personale, prima di attivare un recupero coattivo la finanziaria spesso propone un piano di rientro bonario (magari spostando le rate arretrate in coda al piano, o riducendo la rata mensile allungando la durata). Oppure, se il credito è diventato sofferenza, può proporre al debitore la chiusura a saldo e stralcio con pagamento di una percentuale del dovuto (spesso i crediti deteriorati vengono ceduti a società di recupero crediti, che sono disposte a transigere a cifre inferiori avendoli acquistati a sconto). In ambito bancario, il saldo e stralcio è molto praticato su conti scoperti, carte revolving, cessioni del quinto non pagate, mutui ipotecari giunti a sofferenza (talora per evitare la lunga procedura esecutiva). Anche tra privati o fornitori commerciali, la transazione stragiudiziale è frequente: anziché intraprendere cause costose, si trova un accordo in cui magari il creditore accetta il 70% immediatamente e rinuncia al resto.
Va evidenziato che un accordo stragiudiziale non richiede necessariamente la partecipazione di tutti i creditori: il debitore può negoziare separate intese con ciascun creditore. Ciò può portare a situazioni in cui alcuni creditori accettano stralci e altri no, oppure alcuni attendono mentre altri vengono pagati: questa selettività è lecita perché fuori dal concorso il debitore può decidere quali debiti regolare prima. Tuttavia, attenzione: se il debitore soddisfa fuori dalla procedura taluni creditori e poi finisce comunque in una procedura concorsuale (es. un concordato minore successivo), quei pagamenti preferenziali potrebbero essere scrutinati (nelle procedure formali vige la regola della par condicio nelle operazioni recenti).
In sintesi, l’accordo stragiudiziale è uno strumento snello e pragmatico, da tentare preferibilmente prima di ricorrere a soluzioni giudiziali, specie se l’indebitamento non è ancora totalmente fuori controllo. Un esempio tipico: un debitore con 4 finanziarie insolute per complessivi €20.000 potrebbe accordarsi con ciascuna pagando, poniamo, il 50% in unica soluzione ottenuta magari tramite aiuto familiare – azzerando i debiti in breve tempo senza tribunale. Se però il debito è molto ingente o i creditori sono troppo intransigenti, allora il ricorso alle procedure ex lege diventa necessario.
Tabella: Accordo stragiudiziale (piano di rientro / transazione privata)
Caratteristica | Dettagli |
---|---|
Natura | Accordo privato tra debitore e singolo creditore (o più creditori separatamente) per modificare le condizioni di rimborso del debito. Non omologato da alcun giudice, valido per le parti che lo sottoscrivono secondo le regole civilistiche (transazione, novazione, ecc.). |
Forma e contenuto | Libero. Può essere un piano di pagamento dilazionato, una riduzione dell’importo dovuto (saldo e stralcio), o una combinazione. Si formalizza preferibilmente per iscritto (scrittura privata, lettera di impegno firmata) in cui il creditore si obbliga a rinunciare alle azioni legali in cambio del rispetto dell’accordo. |
Coinvolgimento creditori | Volontario e individuale: ogni creditore decide per sé se aderire o meno. Non c’è una votazione collettiva. È possibile accordarsi con alcuni creditori mentre altri restano esclusi. |
Esecuzione | L’accordo normalmente prevede la sospensione/rinuncia del creditore a procedere giudizialmente finché il debitore rispetta i pagamenti pattuiti. Se il debitore adempie correttamente, il debito si considera estinto secondo i termini concordati (es: accettazione di €5.000 in luogo di €10.000 cancella l’obbligazione residua). Se il debitore inadempie, l’accordo di solito decade e il creditore può richiedere l’intero importo originario (salvo diverso patto). |
Effetti sulle garanzie | In genere, l’accordo non modifica le garanzie esistenti a meno che non sia previsto (es: la banca può mantenere l’ipoteca anche sul saldo concordato finché pagato). Una volta completato il pagamento transatto, il creditore rilascia quietanza ed eventualmente assenso alla cancellazione di ipoteche/pignoramenti pendenti. |
Vantaggi | – Rapidità e semplicità: nessuna procedura giudiziaria, accordo immediato.– Flessibilità: soluzioni personalizzate (percentuali di stralcio, tempi di pagamento) senza vincoli formali.– Costi ridotti: non ci sono costi di procedura; spesso il creditore può accollarsi parte dei costi (es. spese di cancellazione ipoteca) pur di chiudere.– Riservatezza: minor pubblicità rispetto a cause o procedure concorsuali.– Salvaguardia rapporti: può mantenere buone relazioni (utile con fornitori o parenti creditori). |
Svantaggi | – Non vincola terzi: i creditori non aderenti mantengono intatti i loro diritti e possono agire separatamente.– Nessuna protezione legale durante le trattative: a meno che il creditore conceda spontaneamente tempo, può procedere al pignoramento parallelamente.– Revocabilità limitata: se il debitore finisce poi in fallimento/liquidazione, gli accordi recenti potrebbero essere soggetti a revocatoria se considerati pagamenti preferenziali anomali (rischio per il creditore).– Affidamento precario: il successo dipende dalla buona volontà e dalla capacità del debitore di rispettare l’accordo. Un singolo errore può far saltare tutto. |
Saldo e stralcio
Il saldo e stralcio è una forma specifica – e molto diffusa – di accordo stragiudiziale che merita un approfondimento a sé. Con l’espressione “saldo e stralcio” si indica l’accordo per cui un creditore accetta di ricevere dal debitore un pagamento inferiore al totale dovuto, considerandolo definitivo a completa tacitazione del debito. In pratica, il debitore versa una certa somma (saldo) e il creditore “stralcia” (cioè cancella dal suo conto) la parte restante del credito, impegnandosi a non avanzare altre pretese. È una transazione “a ribasso” sul debito.
Esempio tipico: Tizio deve €10.000 alla banca per un prestito insoluto; la banca, valutando che con un’azione legale recupererebbe poco e in tanto tempo, accetta €4.000 subito come saldo e stralcio – Tizio paga €4.000, la banca stralcia i rimanenti €6.000 e rinuncia a ogni azione futura, liberando Tizio.
Quando e perché i creditori accettano un saldo e stralcio?
Dal punto di vista del creditore, il saldo e stralcio conviene quando:
- c’è incertezza sull’effettivo recupero integrale del credito (il debitore è in difficoltà economica, potrebbe risultare inesigibile per buona parte del debito);
- si preferisce incassare subito una somma ridotta ma certa, piuttosto che inseguire a lungo l’intero importo con rischio di non ottenerlo mai;
- il creditore vuole evitare i costi e tempi del contenzioso giudiziario (cause e pignoramenti possono durare anni e comportare spese legali e di procedura, riducendo alla fine l’utile netto);
- il credito è stato declassato a sofferenza e magari già svalutato in bilancio: incassare anche solo una percentuale può essere considerato un buon risultato rispetto alla prospettiva di una perdita totale;
- il debitore offre un pagamento immediato (o in brevissimo termine) condizionato all’accettazione dello stralcio.
In Italia le banche e finanziarie ricorrono molto al saldo e stralcio soprattutto tramite le società di recupero crediti o dopo la cessione degli NPL (crediti deteriorati): queste società comprano crediti a prezzi molto bassi (es. 10-20% del valore) e poi puntano a stralciare col debitore incassando magari il 30-40%, realizzando così un margine. Anche gli enti di riscossione (Agenzia Entrate Riscossione) occasionalmente fanno stralci su interessi e sanzioni tramite norme agevolative statali (le cosiddette “rottamazioni” delle cartelle), ma nel privato il meccanismo è contrattuale.
Funzionamento pratico:
Di solito il debitore (o un consulente per suo conto) fa pervenire al creditore una proposta di saldo e stralcio, indicando l’importo che è in grado di pagare e chiedendo in cambio la liberatoria. Spesso la proposta è motivata (si evidenziano al creditore le difficoltà del debitore, la convenienza di chiudere subito, ecc.). Il creditore valuta e contropropone eventualmente. Quando si raggiunge un accordo sulla cifra, si formalizza per iscritto l’intesa, dove il debitore si impegna a pagare X euro entro una certa data e il creditore dichiara che, a pagamento avvenuto, nulla più avrà a pretendere e considererà estinto il debito originario. È fondamentale ottenere dal creditore una dichiarazione liberatoria scritta una volta pagato, per prova futura. Nel caso di crediti bancari/finanziari, di solito la liberatoria attesta che il pagamento è a saldo e stralcio e che la posizione sarà chiusa (utile anche per aggiornare la Centrale Rischi: la segnalazione verrà poi modificata in “saldo stralcio” o “sofferenza chiusa a stralcio”).
Misura dello stralcio:
Quanto si riesce a stralciare dipende da vari fattori: la negoziazione pura (forza contrattuale, capacità di convincimento), ma anche oggettivamente dal tipo di credito e dalle garanzie. Un credito chirografario (non garantito) è solitamente soggetto a stralci maggiori, perché il creditore rischia di non recuperare nulla in caso di insolvenza del debitore; non è raro vedere stralci al 50-70% per carte di credito o prestiti personali insoluti. Un credito ipotecario o pignoratizio, dove c’è un bene in garanzia, di solito concede meno stralcio, perché il creditore potrebbe rifarsi sul bene: ad esempio su un mutuo con ipoteca su casa, la banca sarà meno propensa a sconti significativi (a meno che il bene abbia già valore insufficiente). Tuttavia, se il bene è fortemente sottovalore o c’è rischio di lunga procedura, anche i garantiti possono fare stralci (magari togliendo interessi moratori e abbattendo qualcosa sul capitale).
Esistono medie di mercato: sulle cessioni del quinto insolute spesso le finanziarie accettano 30-50%, su leasing auto falliti 20-30%, su prestiti personali 40-60%, su mutui dipende… ma ogni caso è a sé.
Saldo e stralcio vs piano rateale:
Spesso il creditore accorda lo stralcio solo se il pagamento è lump sum (tutto e subito o in pochissime rate ravvicinate). Se il debitore chiede invece di rateizzare su anni, lo stralcio tende ad essere minore o nullo (il creditore a quel punto preferisce un piano di rientro per l’intero importo magari solo con taglio di interessi). Il termine “saldo” infatti indica proprio un pagamento conclusivo immediato.
Effetti sull’affidabilità creditizia:
Un debito chiuso a saldo e stralcio in genere viene segnalato nelle banche dati creditizie come “accordo a saldo” o simili. Questo è comunque meglio che risultare con debito insoluto o con sofferenza aperta. Col tempo (di solito 24 mesi dalla chiusura, nelle centrali tipo CRIF per privati) la posizione negativa viene cancellata. Quindi, per il debitore, stralciare e chiudere il debito è un passo importante per poter riabilitarsi più rapidamente.
Attenzione alle truffe:
Va citato en passant che proliferano società pseudo-di consulenza che promettono “saldo e stralcio miracolosi” facendosi pagare anticipatamente commissioni salate. Occorre rivolgersi a professionisti seri (avvocati, organizzazioni di tutela dei consumatori) e diffidare di chi garantisce stralci impossibili senza nemmeno conoscere la situazione. Il saldo e stralcio è frutto di negoziato: nessuno può assicurare a priori che il creditore accetterà una certa percentuale.
Tabella: Saldo e stralcio
Elemento | Descrizione |
---|---|
Definizione | Accordo stragiudiziale in cui il creditore accetta un pagamento parziale e definitivo a completa estinzione del debito. La parte restante viene stralciata, ossia condonata dal creditore. |
Forma di pagamento | Generalmente unica soluzione (o poche rate ravvicinate). Esempio: debito €10.000, accordo saldo-stralcio per €4.000 da pagare entro 60 giorni. |
Liberatoria | Il creditore rilascia dichiarazione che il pagamento concordato è a saldo e stralcio del maggior importo dovuto, rinunciando irrevocabilmente al recupero del residuo. Fondamentale ottenere tale liberatoria per iscritto. |
Ambito tipico | Crediti in sofferenza o incagliati: prestiti non garantiti, carte di credito, finanziamenti personali, leasing risolti, mutui insoluti (specie se il bene è già escusso parzialmente), forniture commerciali non pagate. Spesso gestito da società di recupero crediti per conto del creditore originario o cessionarie del credito. |
Percentuali di stralcio | Variano molto. Possono andare dal 20-30% del dovuto (quindi pagamento 70-80%) fino a casi di 80-90% stralciato (pagamento simbolico) se il credito è ormai inesigibile. Mediamente, su crediti chirografari, stralci del 40-60% sono comuni. I creditori con garanzie reali tendono a concedere stralci più contenuti, a meno che il valore del bene sia basso rispetto al debito. |
Pro per il debitore | – Riduzione significativa del debito: possibilità di chiudere pagando solo una frazione dell’importo dovuto.– Tempi rapidi: definizione spesso in pochi mesi.– Fine di interessi moratori e spese ulteriori: la somma concordata è bloccata, il debito non lievita più.– Stop a molestie di recupero crediti: una volta saldato, il debitore non verrà più sollecitato.– Miglioramento futuro del profilo creditizio: dopo la chiusura a stralcio, decorso un certo periodo, la posizione negativa viene cancellata dalle banche dati (es. CRIF cancella dopo 24 mesi). |
Contro e attenzioni | – Occorre disporre di liquidità immediata (non sempre facile per chi è indebitato; spesso si deve chiedere aiuto a familiari o terzi).– Se il debitore non versa nei termini convenuti, l’accordo salta e la situazione può peggiorare (il creditore avrà ancor meno fiducia in eventuali trattative successive).– Non risolve debiti multipli contemporaneamente, se non si stralcia con ognuno; se uno o più creditori non accettano stralcio, rimarranno pendenti.– Possibile segnalazione in Centrale Rischi come “saldo parziale” (il che indica che c’è stato un inadempimento, anche se regolarizzato).– Verificare sempre che l’interlocutore sia effettivamente titolato a rilasciare quietanza a saldo (ad es., se il credito è stato ceduto, trattare con la società cessionaria). |
Trattative dirette con banche e finanziarie
Le trattative dirette con banche, società finanziarie o altri creditori istituzionali costituiscono la fase iniziale e fondamentale per raggiungere qualsiasi accordo stragiudiziale. In sostanza, “trattare” significa aprire un canale di dialogo con il creditore per comunicare le proprie difficoltà e cercare di concordare nuove condizioni di pagamento. Questa attività può essere svolta personalmente dal debitore (ad esempio recandosi in filiale, scrivendo una PEC all’ufficio crediti deteriorati, telefonando ai recuperatori interni, ecc.) oppure tramite un professionista incaricato (avvocato, consulente del debito, associazione consumatori) che negozia per conto del debitore.
Obiettivi possibili delle trattative dirette:
- ottenere una moratoria o sospensione temporanea dei pagamenti (ad es. la banca concede 6 mesi di sospensione rata mutuo per difficoltà contingenti, come già previsto in alcuni protocolli ABI per mutui prima casa);
- rinegoziare il tasso di interesse o l’importo delle rate, allungando il piano di ammortamento (ad esempio trasformare un mutuo 10 anni in 15 anni per abbassare la rata mensile);
- convenire un piano di rientro per posizioni in sofferenza (la finanziaria accetta che il debito in arretrato sia pagato in 24 rate aggiuntive oltre alle ordinarie);
- proporre un saldo e stralcio (visto sopra) se si ha disponibilità di liquidità parziale;
- evitare segnalazioni negative se possibile, magari concordando soluzioni prima che il ritardo diventi sofferenza (in certi casi la banca preferisce mantenere il cliente “in bonis” con qualche accomodamento piuttosto che classificarlo come default).
Le banche e società finanziarie spesso hanno reparti o procedure dedicate a queste trattative. Ad esempio, superati 90 giorni di ritardo, la pratica passa all’ufficio recupero crediti interno che contatta il cliente per trovare un accordo, prima di eventualmente cedere a legali esterni. È nell’interesse di entrambe le parti esplorare una soluzione bonaria:
- il debitore evita azioni legali, pignoramenti, vendite forzate, e il lievitare di ulteriori spese e interessi di mora;
- il creditore risparmia sui costi di recupero, riduce i tempi di rientro e – aspetto non secondario – spesso recupera di più con un buon accordo che non dopo lunghe esecuzioni (dove il ricavato può essere falcidiato da spese e dalla vendita al ribasso dei beni).
Tecniche di negoziazione:
Trattare efficacemente richiede preparazione: il debitore dovrebbe presentare dati concreti sulla propria situazione (es. un piccolo bilancio familiare che mostri cosa può permettersi di pagare), eventualmente documentare cause di forza maggiore (perdita lavoro, malattia, ecc.), ed essere propositivo (offrire subito uno schema di pagamento). È utile far percepire al creditore che l’alternativa all’accordo sarebbe per lui più sfavorevole: ad esempio, “se non mi venite incontro sono costretto a chiudere l’attività/fare sovraindebitamento e recupererete molto meno”. Ovviamente, bisogna evitare toni minacciosi ma piuttosto far leva sulla convenienza reciproca.
Ruolo degli OCC e mediatori:
Sebbene le trattative dirette siano di natura stragiudiziale, a volte entrano in gioco figure “neutrali” per facilitare l’intesa. L’Organismo di Composizione della Crisi, se già contattato, può aiutare a formulare proposte sensate e persino farsi tramite coi creditori per testare la loro disponibilità prima di avviare una procedura formale. Anche organismi di mediazione civile potrebbero essere utilizzati, ma nel credito al consumo non è usuale (la mediazione è obbligatoria in materia bancaria solo se si inizia una causa civile, ma qui stiamo parlando di evitare le cause).
Esiti possibili:
Se la trattativa va a buon fine, si formalizza in un accordo (che, come visto, sarà magari un piano di rientro o un saldo e stralcio a certe condizioni). Se invece fallisce (il creditore rifiuta ogni proposta o il debitore non può offrire niente di credibile), allora il contesto cambia: la banca/finanziaria potrebbe passare al recupero giudiziale (decreto ingiuntivo, pignoramento) oppure vendere il credito a terzi. Dal canto suo, il debitore se non trova accordi extragiudiziali dovrà considerare seriamente l’opzione delle procedure di sovraindebitamento giudiziali per proteggersi.
Attenzione alle tempistiche:
È importante attivarsi nelle trattative prima che la situazione degeneri troppo. Ad esempio, se già è fissata la vendita all’asta di un immobile pignorato, la banca potrebbe non essere più interessata a trattare (punta a incassare dall’asta, magari coperta dall’ipoteca). Oppure se un debito è fresco, la banca preferisce tentare di recuperare intero. Esiste una finestra ottimale: spesso le offerte di stralcio migliori si ottengono quando il credito è in sofferenza da un po’, il creditore è rassegnato a perdere e preferisce la scorciatoia.
Caso di trattativa su mutuo ipotecario:
Se un privato ha un mutuo e fatica temporaneamente, può chiedere alla banca una ri-negoziazione: la legge n. 244/2007 consente rinegoziazioni dei mutui (es. allungamento durate) e accordi ABI prevedono anche la sospensione rate (ad es. moratoria per 12 mesi sulle rate capitali in casi di difficoltà, come visto in alcuni accordi famiglie-ABI periodici). Queste non sono procedure giudiziali ma accordi su base volontaria. Conviene sempre informarsi se la banca aderisce a qualche protocollo di solidarietà (a giugno 2025, ad esempio, è attivo il Fondo Gasparrini per sospensione mutui prima casa per particolari situazioni, e varie misure di supporto post-pandemia). Riuscire a sospendere o ridurre temporaneamente le rate può evitare l’insolvenza conclamata e quindi dare fiato al debitore.
In sintesi: la “trattativa diretta” non è un istituto a sé stante, ma la fase negoziale necessaria per pervenire a un accordo stragiudiziale. La menzione separata nel quesito evidenzia l’importanza di questo approccio: molti problemi di sovraindebitamento possono trovare soluzione senza andare in tribunale, se debitore e creditori comunicano e cooperano. Certo, ciò presuppone buona fede reciproca: il debitore deve essere sincero sulla sua condizione e non promettere cose che non potrà mantenere; il creditore deve essere disponibile a qualche sacrificio e flessibilità.
Tabella: Trattative dirette con i creditori (banche/finanziarie)
| Cosa sono | Scambio di comunicazioni e negoziazione informale tra debitore e creditore, volto a modificare consensualmente le condizioni di rimborso del debito. Non è un procedimento formalizzato, ma un dialogo finalizzato a raggiungere un accordo (es. piano di rientro o saldo e stralcio). |
| Soggetti coinvolti | Tipicamente il debitore (o suo rappresentante) e il rappresentante del creditore (ufficio crediti, società di recupero incaricata, avvocato del creditore). Nel caso di banche/finanziarie, spesso si ha a che fare con addetti specializzati nel recupero crediti. |
| Possibili esiti | – Accordo di ristrutturazione privato: se la trattativa riesce, si formalizza un accordo (ad esempio un nuovo piano di ammortamento, o una transazione a saldo e stralcio).– Mancato accordo: se non si trova intesa, il creditore potrà procedere legalmente (ingiunzione, pignoramento) oppure il debitore dovrà valutare strumenti concorsuali. |
| Vantaggi | – Consente di sondare la disponibilità del creditore senza impegnarsi subito in una procedura formale.– Può portare a soluzioni su misura più convenienti e rapide di quelle ottenibili per via giudiziaria.– Mantiene un clima collaborativo: talvolta le banche apprezzano il debitore che si fa avanti spontaneamente per risolvere.– Evita costi giudiziari e pubblicità negativa. |
| Svantaggi | – Non offre protezione legale durante le discussioni: il creditore potrebbe agire mentre si discute, se perde fiducia.– Può far perdere tempo se il creditore è irremovibile, ritardando magari l’accesso a procedure formali protettive.– Esito incerto: non c’è garanzia di successo, dipende dalla volontà del creditore. |
Interazione con le procedure esecutive individuali
Un aspetto cruciale per il debitore sovraindebitato è capire come l’avvio o lo svolgimento di una procedura di ristrutturazione del debito interagisca con eventuali procedure esecutive già in corso o pianificate dai creditori (pignoramenti, aste immobiliari, sequestri, ecc.). In altre parole: cosa succede se ho un pignoramento sullo stipendio e presento un piano del consumatore? Oppure, se ho presentato un concordato minore, i creditori possono continuare a portarmi via i beni?
Le risposte dipendono dalla procedura scelta e dallo stadio in cui si trova l’azione esecutiva, ma possiamo delineare alcuni principi generali:
- Le procedure di sovraindebitamento omologate (piano del consumatore, concordato minore omologato, liquidazione controllata aperta) comportano di norma un blocco delle esecuzioni individuali. Ciò avviene per il principio del concorso: una volta che c’è una soluzione collettiva in corso, i singoli creditori non possono agire isolatamente, a pena di nullità o inefficacia degli atti compiuti. Ad esempio, se un concordato minore viene aperto dal tribunale, scatta automaticamente il divieto di iniziare o proseguire pignoramenti; se un piano del consumatore viene omologato, da quel momento nessun creditore chirografario può più perseguire il debitore al di fuori del piano.
- Prima dell’omologazione, la protezione varia: nel piano del consumatore, come visto, non c’è uno stay automatico all’atto del deposito, ma il debitore può chiedere al giudice misure protettive mirate (es. sospensione di un’esecuzione immobiliare imminente). Nel concordato minore, invece, il decreto di apertura blocca di per sé tutte le azioni esecutive (similmente al concordato preventivo).
- Se una procedura esecutiva è già in fase avanzata (ad esempio, un immobile già venduto all’asta prima dell’apertura della procedura concorsuale), generalmente quell’atto rimane valido e non viene “annullato” dalla procedura concorsuale successiva. Ad esempio, se la casa è stata aggiudicata e trasferita a un terzo, il debitore non la recupera presentando successivamente un piano; tutt’al più, il ricavato non ancora distribuito ai creditori confluirà nel piano o nella liquidazione concorsuale. Dunque, le procedure concorsuali bloccano il futuro ma non riscrivono il passato: una esecuzione conclusa rimane tale, e i creditori si inseriranno in procedura per l’eventuale credito residuo (il debito non soddisfatto dall’asta).
- Per le procedure esecutive pendenti al momento dell’apertura di una procedura concorsuale minore, la regola è la sospensione: il pignoramento non viene estinto subito, ma resta fermo in attesa dell’esito della procedura. Se la procedura di sovraindebitamento va a buon fine (piano omologato ed eseguito, o liquidazione chiusa con riparti), quell’esecuzione individuale non riprenderà perché sarà assorbita dall’esito concorsuale. Se invece la procedura concorsuale fallisce o viene revocata, il creditore potrà riattivare il pignoramento dal punto in cui era stato sospeso (art. 627 c.p.c.).
- Un caso particolare è l’interazione con i pignoramenti presso terzi (stipendi, conti correnti). Se, ad esempio, un quinto dello stipendio è già pignorato da un creditore, l’apertura di una liquidazione controllata dovrebbe far sospendere anche quella trattenuta, perché il credito relativo va accertato nello stato passivo e soddisfatto con gli altri. Nella prassi, il datore di lavoro ricevuto il decreto di apertura di liquidazione dovrebbe interrompere la trattenuta e attendere istruzioni dal liquidatore. Se però si tratta di un pignoramento per alimenti (mantenimento familiare), attenzione: quei crediti hanno privilegio e spesso anche nelle procedure concorsuali si tende a continuarne il pagamento (essendo crediti non esdebitabili e di natura speciale). La legge però sul punto specifico nel sovraindebitamento non prevede eccezioni, dunque formalmente anche i pignoramenti alimentari rientrano nello stop, ma il giudice delegato potrebbe autorizzarne il prosieguo come spesa per il mantenimento famigliare.
- Durante le trattative stragiudiziali (senza procedure attivate), come detto, non c’è una protezione legale automatica. Tuttavia, è possibile ottenere una sospensione volontaria: ad esempio, se si sta per firmare un accordo saldo e stralcio, il creditore può concedere una proroga all’asta o rinviare l’azione esecutiva in corso, attendendo l’esito del pagamento concordato. Queste sospensioni volontarie devono essere però formalizzate (il creditore chiede al giudice dell’esecuzione una sospensione, oppure concorda col debitore di non iscrivere a ruolo il precetto, ecc.). È bene dunque, se si sta trattando, informare tempestivamente gli avvocati dei creditori e magari presentare istanza di rinvio nelle cause, facendo presente la trattativa: alcuni giudici delle esecuzioni accordano brevi rinvii dell’asta se c’è prova di trattative avanzate che potrebbero soddisfare il creditore.
Esecuzioni immobiliari e piano del consumatore:
Molti dubbi pratici riguardano la casa pignorata. Come visto, con il piano del consumatore il debitore può chiedere al giudice del sovraindebitamento di bloccare l’asta in attesa dell’omologa. E diversi tribunali lo concedono in extremis (si veda l’esempio citato del Tribunale di Lodi, dove con ricorso depositato il 4 marzo si è ottenuta la sospensione di un’asta fissata per il 20 marzo). Questo è un salvavita: consente al debitore di non perdere l’immobile se il piano prospetta condizioni migliori. Una volta omologato il piano, se prevede che l’immobile resti al debitore (magari perché paga diversamente i creditori), il pignoramento sull’immobile verrà poi eliminato (il decreto di omologa spesso ordina la cancellazione delle ipoteche giudiziali e dei pignoramenti, a condizione che il debitore rispetti il piano). Se invece il piano stesso prevede la vendita dell’immobile ma in modo organizzato (ad esempio vendita privata a un prezzo concordato superiore a quello d’asta), allora l’asta sarà sostituita dalla vendita nell’ambito del piano e i creditori ipotecari prenderanno i proventi secondo il piano.
Concordato minore e vendite già fissate:
Con l’apertura del concordato minore, l’asta fissata viene sospesa per legge. Spetterà poi al giudice dell’esecuzione prendere atto del provvedimento concorsuale. In genere, la prassi è che il debitore (o l’avvocato) depositi nella procedura esecutiva una copia del decreto di apertura e il giudice emette un’ordinanza di sospensione. Se poi il concordato non è omologato, su istanza del creditore si riattiva l’esecuzione riprendendo dall’ultima fase.
Caso del creditore fondiario in liquidazione controllata:
Abbiamo accennato che la Cassazione ha ammesso la prosecuzione. Significa, in parole semplici, che se la banca ha già un pignoramento sulla casa per mutuo fondiario, anche dopo che il tribunale ha aperto la liquidazione controllata, quella specifica esecuzione immobiliare va avanti come se nulla fosse (la banca non concorre con gli altri su quell’immobile). Una volta venduto il bene, la banca prende il suo, e solo l’eventuale eccedenza passa al concorso per altri creditori. Questo è un elemento di criticità per il debitore: ad esempio può vanificare la possibilità del liquidatore di vendere l’immobile a condizioni migliori o di includerlo nel piano di liquidazione a beneficio di tutti i creditori. Purtroppo però attualmente è la regola applicata in virtù del Testo Unico Bancario. Quindi, un debitore con mutuo fondiario non può sperare di bloccare la banca aprendo la liquidazione (diverso è se fa piano del consumatore o concordato minore: in quei casi, formalmente l’art. 41 TUB si applica uguale? Per concordato preventivo in passato si diceva di sì; per piano del consumatore la giurisprudenza non è univoca. Ma il caso del 2024 riguardava proprio liquidazione).
Conseguenze su procedure esecutive chiuse:
Se un creditore ha già concluso un’esecuzione e ottenuto il ricavato, quel credito potrebbe essere in parte soddisfatto e in parte residuo. Ad esempio, debitore aveva debito €100; l’esecuzione ha fruttato €60 al creditore, residuano €40. Su quei €40 il creditore può partecipare come chirografario alla procedura di sovraindebitamento per cercare di ottenere qualcosa (che potrebbe anche essere zero se il piano/liquidazione non ne prevede). Il debitore però non può richiedere indietro ciò che il creditore ha già preso: non esiste una “revocatoria” in queste procedure a favore della massa (se non in caso di atti in frode, ma quello è un altro discorso). Dunque i pagamenti legittimamente avvenuti prima restano validi.
Da questa panoramica emerge un consiglio pratico: tempestività. Se si è in sovraindebitamento e pendono esecuzioni, è bene attivarsi con la procedura concorsuale il prima possibile, per sfruttarne gli effetti sospensivi. Presentare un ricorso il giorno prima dell’asta è possibile (come nel caso di Lodi) ma rischioso; meglio muoversi qualche mese prima.
Rapporti con banche e società finanziarie
Banche, finanziarie (società di credito al consumo, leasing, factoring) e più in generale intermediari finanziari sono spesso i principali creditori coinvolti nelle situazioni di sovraindebitamento privato. I rapporti con questi soggetti assumono rilievo sia prima dell’avvio di una procedura (nella fase delle trattative stragiudiziali), sia durante la procedura giudiziale (come parti attive nelle votazioni o nelle osservazioni, o nella fase di esecuzione del piano).
Alcuni punti salienti da considerare:
- Valutazione del merito creditizio e atteggiamento iniziale: Le banche hanno obblighi (rafforzati da normative europee) di valutare il merito creditizio del consumatore prima di concedere prestiti. Se un consumatore risulta sovraindebitato, talvolta la sua meritevolezza in sede di piano viene valutata anche alla luce del comportamento delle banche: ad esempio, se gli sono stati concessi troppi prestiti in modo irresponsabile, una parte della dottrina suggerisce che ciò vada a suo favore (non era solo colpa sua). In pratica però, le banche in fase di procedura contesteranno raramente il proprio operato, piuttosto punteranno a evidenziare eventuali reticenze del debitore. Sta di fatto che l’ordinamento, specialmente col Codice della Crisi, incoraggia le banche a cooperare in buona fede.
- Banche/finanziarie come creditori votanti: Nel concordato minore (o negli accordi stragiudiziali plurimi), gli istituti finanziari spesso detengono la fetta maggioritaria dei crediti. Per ottenere la maggioranza di voti, è cruciale elaborare proposte che risultino accettabili per loro. Ci si chiede: come votano le banche? In generale, valuteranno il convenience test: confronteranno quello che ricevono col piano rispetto a quello che stimano di poter recuperare con azioni esecutive o altre vie. Se il piano offre uguale o di più (in tempi ragionevoli), una banca ha interesse ad approvarlo. Se offre troppo poco, potrebbe bocciarlo e preferire la liquidazione fallimentare del debitore (sempre che il debitore sia aggredibile).
- Ruolo dell’Agente della Riscossione e crediti pubblici: Tra i creditori assimilabili alle finanziarie possiamo includere l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) per i debiti fiscali. Essa non è una banca ma ha un ruolo massivo nelle crisi da sovraindebitamento (molti debiti includono cartelle esattoriali). Per legge, nel voto del concordato minore il credito tributario vota tramite l’Ente impositore (Agenzia Entrate o ente locale) e non tramite l’Agente della riscossione. Questo significa che convincere lo Stato a accettare un taglio su tasse non pagate è delicato: normative specifiche ora consentono allo Stato di aderire a piani con stralcio di interessi e sanzioni, ma non del capitale (salvo che il capitale stesso rientri tra crediti chirografari e il piano dimostri che in liquidazione prenderebbero meno). In pratica, i crediti fiscali privilegiati devono essere soddisfatti almeno in misura pari a quanto otterrebbero liquidando i beni su cui hanno privilegio (o altrimenti al 100% se il privilegio è generale sul patrimonio). Ciò condiziona i rapporti col fisco all’interno dei piani: spesso occorre prevedere pagamento integrale di IVA e ritenute (che non sono falcidiabili nemmeno nel fallimento). Le banche conoscono queste regole e talvolta modulano il loro assenso anche in funzione di come vengono trattati i crediti pubblici.
- Clausole di salvaguardia per banche: In alcuni piani del consumatore, la banca detentrice di mutuo ipotecario sulla prima casa del debitore può essere trattata con particolare riguardo. Ad esempio, se il debitore vuole mantenere la casa, può proporre di continuare a pagare le rate mutuo al di fuori del piano, regolandosi con la banca separatamente. Questo è ammesso? La Cassazione ha detto che non è ammissibile escludere un creditore dal piano facendo finta che tutto rimanga come prima, perché il piano deve considerare tutta la posizione debitoria del consumatore. Tuttavia, in alcuni casi pratici il piano del consumatore prevede che il mutuo ipotecario continui regolarmente e stralcia invece gli altri debiti: il tribunale può accettare, purché ciò non leda la par condicio (pagare fuori piano un privilegiato quando i chirografari prendono briciole può essere ritenuto giustificato essendo un rapporto a sé con garanzia su bene specifico). Le banche in questi casi di solito non si oppongono (anzi, preferiscono continuare a incassare le rate del mutuo).
- Centrale Rischi e segnalazioni: Quando un privato accede a una procedura di sovraindebitamento, le banche segnalano la cosa alle Centrali Rischi private (CRIF, Experian, Cerved). Non c’è un “codice” specifico per “piano del consumatore” che appare, ma la posizione debitoria era già segnalata come sofferenza o inadempienza probabilmente, e verrà poi aggiornata come “accordo transattivo” o “procedura concorsuale minore” a seconda. Questo incide sulla reputazione creditizia del debitore: durante e per qualche anno dopo la procedura, ottenere nuovi crediti sarà molto difficile. Questo non è per punizione, ma un effetto pratico: il debitore risulterà come uno che ha pagato parzialmente i suoi debiti.
- Comportamento delle banche in sede di opposizione: Nelle udienze di omologazione di piani del consumatore, spesso le finanziarie presentano memorie evidenziando eventuali criticità (es: “il debitore poteva risparmiare di più”, “ha contratto troppi finanziamenti in modo irresponsabile”). Tuttavia, va detto che l’esperienza mostra come, di fronte a piani ben congegnati, i creditori finanziari non riescano a opporre molto se non generiche contestazioni sulla meritevolezza. E la giurisprudenza è piuttosto equilibrata: non basta essere “vittima del sistema” per essere meritevoli, ma neppure ogni errore di calcolo del debitore è colpa grave. Si sta facendo strada il concetto di merito creditizio del creditore (responsible lending): se una banca ha concesso prestiti a un soggetto già indebitato oltre misura, non può poi gridare alla colpa grave del debitore. Questo incoraggia le banche a comportarsi prudentemente e a non opporsi pretestuosamente.
- Mantenimento rapporti post-procedura: Dopo un’esdebitazione, i rapporti col sistema bancario possono essere difficili per il debitore (sarà visto come “ex insolvente”). Spesso, chi esce da queste procedure dovrà passare qualche anno prima di poter riottenere credito (salvo microcredito o prestiti tra privati). Va considerato anche questo nel consigliare i debitori: le procedure di sovraindebitamento risolvono il passato ma impongono disciplina per il futuro, dove vivere “in contanti” o con carte prepagate sarà la norma, almeno per un po’.
- Banche e ipoteche giudiziali: Se un creditore (es. banca su scoperto di conto) ha iscritto ipoteca giudiziale prima della procedura, come viene trattato? Sarà un creditore privilegiato speciale sul bene ipotecato. Nel piano del consumatore, il giudice verificherà che il trattamento non sia iniquo: ad esempio, se il debito ipotecario giudiziale è molto inferiore al valore del bene, si potrebbe pagarlo parzialmente senza pregiudicare il creditore (che comunque in un’esecuzione forse avrebbe incassato tutto dall’asta). Sono considerazioni tecniche che di solito l’OCC riporta nell’attestazione, da discutere con la banca eventualmente.
- Accordi stragiudiziali con banche in pendenza di procedure concorsuali minori: Se durante un concordato minore i creditori votano no, a volte è possibile trovare dopo un accordo stragiudiziale con gli stessi per evitare la liquidazione. La legge consente al debitore di presentare una nuova proposta modificata, ma non sarebbe più “stragiudiziale” bensì una seconda procedura. Tuttavia, talvolta accade che le banche, bocciato un accordo, preferiscano poi un concordamento privato (specie se la liquidazione darebbe zero). Quindi, i rapporti con banche non finiscono con un no: c’è spazio sempre per dialogo.
In generale, è utile che il debitore (e il suo consulente) mantengano un canale comunicativo aperto con banche e finanziarie, anche all’interno delle procedure concorsuali. Un approccio collaborativo (ad esempio fornire dati richiesti, rispondere alle domande dei periti delle banche, ecc.) può far sì che il creditore finanziario non si opponga ferocemente o voti contro per sfiducia. Anche perché, in caso di omologazione forzata senza il loro assenso (nel piano), potrebbero valutare reclamo se ritenessero il debitore in malafede: evitare loro questo appiglio è saggio.
Il ruolo degli Organismi di Composizione della Crisi (O.C.C.)
Gli Organismi di Composizione della Crisi da sovraindebitamento (OCC) sono un pilastro del sistema introdotto dalla legge 3/2012 e confermato dal Codice della Crisi. Si tratta di enti appositamente autorizzati (iscritti in un registro ministeriale) deputati ad assistere il debitore nell’elaborazione delle procedure di sovraindebitamento e a coadiuvare i tribunali nello svolgimento delle stesse.
Un OCC può essere costituito, ad esempio, presso un Ordine professionale (Ordine dei Commercialisti, degli Avvocati) o presso le Camere di Commercio, o anche in forma di società consortili o associazioni purché rispondenti ai requisiti di legge. I suoi membri (i gestori della crisi) sono professionisti con specifica formazione nel campo, tipicamente avvocati, commercialisti o notai.
Compiti principali dell’OCC:
- Assistenza al debitore nella fase di preparazione della domanda: Quando un soggetto sovraindebitato si rivolge a un OCC, viene assegnato un gestore, il quale analizza la situazione economica del debitore, lo aiuta a raccogliere tutti i documenti (elenchi debiti, inventario beni, lista creditori, certificati vari) e soprattutto collabora alla stesura del piano o proposta da presentare al tribunale. Il gestore verifica che la proposta sia sostenibile e conforme alla legge.
- Relazione particolareggiata: L’OCC deve redigere una relazione che accompagna il ricorso, contenente la descrizione della situazione del debitore, le cause dell’indebitamento, il comportamento tenuto (elementi per valutarne la meritevolezza) e un giudizio su fattibilità del piano e convenienza per i creditori. Questa relazione è un documento chiave su cui il giudice fa molto affidamento.
- Notifica ai creditori: Nelle procedure di sovraindebitamento, specialmente nel piano del consumatore e accordo (concordato minore), è l’OCC che si occupa di dare comunicazione ai creditori della proposta depositata e dell’udienza. Invia copie del piano e della relazione a tutti i creditori, e certifica al giudice che la comunicazione è stata fatta regolarmente (ciò è fondamentale per evitare eccezioni poi).
- Gestione del voto (nel concordato minore): L’OCC spesso raccoglie le dichiarazioni di voto scritte dei creditori o verbalizza le adesioni/dissensi. Fa il conteggio dei crediti votanti e riferisce l’esito al giudice.
- Supporto al giudice: L’OCC svolge un ruolo di “ausilio” all’autorità giudiziaria, un po’ simile a un curatore/commissario nelle procedure fallimentari. Fornisce informazioni, segnala eventuali criticità (ad esempio, se il debitore non collabora).
- Esecuzione del piano: In alcuni casi, soprattutto per i piani del consumatore, dopo l’omologa l’OCC può essere incaricato dal giudice di vigilare sull’esatto adempimento del piano. Può dover redigere periodici stati di avanzamento, ricevere dal debitore le somme e distribuirle ai creditori (funzione liquidatoria). Non sempre accade: spesso il debitore paga direttamente i creditori secondo il piano, ma l’OCC rimane punto di riferimento per segnalare problemi.
- Liquidazione controllata: Nella liquidazione controllata, come abbiamo visto, l’OCC può essere nominato Liquidatore. In tal caso prende in carico il patrimonio, lo vende, gestisce l’intera procedura (con responsabilità simili a quelle di un curatore fallimentare). Anche se non fosse lui il liquidatore, l’OCC ha comunque predisposto l’istruttoria iniziale (a meno che la liquidazione sia iniziata su istanza dei creditori, in quel caso l’OCC entra in gioco solo al momento in cui il tribunale lo nomina liquidatore).
- Relazione finale e compenso: L’OCC alla fine di ogni procedura redige una relazione finale e chiede la liquidazione del proprio compenso al giudice. I compensi degli OCC sono regolamentati da decreti ministeriali e variano in base alla complessità del caso e all’attivo/passivo gestito. Sono a carico del debitore, ma spesso pagati nell’ambito del piano stesso (in prededuzione).
Importanza pratica dell’OCC per il debitore:
- È il primo interlocutore specializzato che il debitore incontra. Spesso chi è in crisi non ha chiaro cosa può fare: rivolgendosi a un OCC (ce ne sono in ogni provincia almeno, spesso presso la Camera di Commercio o gli Ordini professionali) riceve una consulenza preliminare sulla fattibilità di una procedura. Molti OCC offrono un colloquio informativo gratuito, poi se c’è margine di procedura formalizzano un mandato.
- L’OCC aiuta a mettere ordine nei conti del debitore. Spesso chi è sommerso di debiti non ha un quadro preciso di chi sono tutti i creditori, interessi maturati, ecc. Il gestore dell’OCC chiede documentazione, effettua visure (l’art. 19 co. 6 D.M. 202/2014 autorizza l’accesso dell’OCC alle banche dati pubbliche, come Anagrafe tributaria, CR Bankitalia, ecc., proprio per mappare la situazione).
- L’OCC fornisce autorevolezza e terzietà alla proposta del debitore. Un piano attestato da un OCC ha più chance di essere considerato credibile dal giudice e dai creditori, rispetto a mere affermazioni del debitore. Di fatto, l’OCC fa da garante della fattibilità e veridicità dei dati (pur non assumendo responsabilità assoluta, perché se il debitore mente l’OCC non può scoprire tutto, ma deve fare controlli diligenti).
- L’OCC può agire come mediatore informale: benché non sia richiesto dalla legge che l’OCC convinca i creditori (nel piano consumatore decide il giudice, nel concordato decide il voto dei creditori), nulla vieta all’OCC di contattare i principali creditori prima dell’udienza o in fase di redazione piano per sondare reazioni. Molti OCC fanno da “diplomatici”, incoraggiando creditori a vedere il lato positivo del piano rispetto alla liquidazione.
Obbligatorietà dell’OCC:
Per presentare piano del consumatore o concordato minore è obbligatorio rivolgersi a un OCC (o a un professionista nominato dal tribunale in sua vece, se in zona non c’è un OCC disponibile). Non si può procedere da soli. Questo è pensato per tutelare il debitore – dandogli assistenza tecnica – e per alleggerire il tribunale del lavoro preparatorio. Anche per la liquidazione controllata il debitore deve farsi assistere da un OCC nella presentazione (eccetto quando a chiederla è un creditore, in quel caso l’OCC entra solo dopo). L’unica procedura in cui l’OCC formalmente non appare è l’esdebitazione del debitore incapiente: il Codice dice che il debitore può presentare istanza con l’ausilio dell’OCC, ma non è espressamente obbligatorio. In pratica però, considerato che occorre allegare i documenti e fare dichiarazioni dettagliate, è fortemente consigliato farsi seguire comunque dall’OCC o da un legale.
Costi dell’OCC:
Il costo del gestore/OCC è spesso una preoccupazione del debitore. La legge prevede che il compenso sia stabilito dal giudice a fine procedura, sulla base di parametri (che considerano attivo realizzato, passivo, numero creditori, ecc.). Alcuni OCC chiedono al debitore un anticipo spese iniziale (specie se c’è da fare un lavoro lungo di raccolta documenti, consulenze tecniche, ecc.), altri rinviano tutto a fine procedimento. In generale, se la procedura va a buon fine, l’OCC verrà soddisfatto in prededuzione (prima di pagare i creditori, si pagano le spese della procedura tra cui il compenso OCC). Se la procedura non va avanti o è dichiarata inammissibile, l’OCC ha comunque diritto a un compenso per l’opera svolta – rischio per il debitore di doverlo poi pagare di tasca propria senza aver ottenuto il beneficio. Questo è un incentivo per i gestori a valutare bene all’inizio l’ammissibilità.
Indipendenza e doveri di imparzialità:
Pur assistendo il debitore, l’OCC ha il dovere di operare con imparzialità e trasparenza verso tutti i soggetti. Non è un “avvocato difensore” del debitore, ma un ausiliario neutrale. Deve segnalare eventuali atti in frode del debitore se li scopre, e non può colludere per nascondere informazioni. Questo equilibrio è importante: l’OCC è un facilitatore, non un semplice consulente di parte. Difatti, l’OCC deve sottoscrivere un codice etico e rispettare standard fissati dal Ministero.
Conflitti di interesse:
Un OCC non può accettare un caso se ci sono conflitti (es. se uno dei creditori è a sua volta un ente collegato all’OCC, o se il gestore conosce personalmente il debitore per altri motivi professionali). Il registro di assegnazione dei casi in genere ruota i nominativi per evitare favoritismi.
In sintesi, l’OCC è fondamentale alleato del debitore onesto: fornisce competenza e credibilità al percorso di risanamento. Scegliere di rivolgersi presto a un OCC quando si intende attivare la legge sul sovraindebitamento è essenziale per aumentare le chance di successo.
Giurisprudenza recente in materia di sovraindebitamento (agg. 2025)
La giurisprudenza, sia di legittimità (Corte di Cassazione) sia di merito (tribunali e corti d’appello), ha contribuito in modo determinante a chiarire e a perfezionare l’interpretazione delle norme sul sovraindebitamento, man mano che queste venivano applicate a casi concreti. Di seguito riepiloghiamo alcune delle pronunce più significative degli ultimi anni (2021–2025), evidenziando i principi di diritto affermati e il loro impatto pratico.
Sentenze della Corte di Cassazione
- Cass. civ. Sez. I, 27 febbraio 2025, n. 5157: ha stabilito che solo chi ha partecipato al giudizio di omologazione può proporre reclamo contro il decreto di omologa del piano del consumatore. In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che il diritto di impugnare l’omologazione spetta esclusivamente a quei creditori che si sono costituiti o comunque sono stati coinvolti nel procedimento; un creditore che sia rimasto del tutto silente e assente (pur essendo stato ritualmente informato) non può poi, a posteriori, impugnare l’omologa. Fanno eccezione i casi in cui il creditore non ha avuto notizia della procedura a causa di irregolarità nelle comunicazioni: in tal caso, essendo stato impedito il suo intervento, gli va riconosciuto il potere di reclamo. Questa sentenza tutela la stabilità dei piani omologati, evitando impugnazioni pretestuose da parte di creditori disinteressati inizialmente, e ribadisce l’importanza di una corretta notifica iniziale a tutti i creditori.
- Cass. civ. Sez. I, 23 dicembre 2024, n. 34158: ha affrontato il tema dei termini per proporre reclamo avverso l’omologazione del piano del consumatore in caso di omessa comunicazione del decreto alle parti. La Corte ha deciso che se il decreto di omologa non è stato né notificato né comunicato formalmente, il termine per impugnare è quello lungo di 6 mesi ex art. 327 c.p.c., e non quello breve di 10 giorni (richiamato dall’art. 26 L.F.). Ciò garantisce ai creditori che magari non hanno ricevuto comunicazione dell’omologa un congruo periodo (6 mesi dalla pubblicazione) per esercitare il diritto di reclamo, evitando decadenze inconsapevoli.
- Cass. civ. Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30542: ha stabilito che un provvedimento con cui il tribunale dichiara inammissibile una proposta di sovraindebitamento senza esaminarla nel merito non ha carattere decisorio e dunque non è ricorribile per Cassazione ex art. 111 Cost.. Il debitore, in tal caso, non è pregiudicato definitivamente nei suoi diritti: potrà piuttosto ripresentare una nuova proposta correggendo i vizi riscontrati (e la legge oggi, col Correttivo Ter, consente anche di proporre reclamo a un provvedimento di inammissibilità in sede locale). La Cassazione con questa pronuncia ha voluto evitare ricorsi intempestivi a Roma su questioni non di merito, e nello stesso tempo ha incoraggiato la seconda chance: un’inammissibilità formale non preclude affatto di riprovare con un nuovo piano emendato degli errori. Questo è coerente con il principio del favor debitoris.
- Cass. civ. Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30538: pronuncia di grande rilievo su due fronti: (a) ha sottolineato che anche nel concordato minore, pur mancando un’espressa previsione di “meritevolezza” come nel piano del consumatore, il tribunale deve comunque considerare il comportamento pregresso del debitore ai fini dell’ammissibilità della proposta e della valutazione della sua affidabilità. Ciò significa che imprudenze gravissime o manovre dolose del debitore possono portare a dichiarare inammissibile il concordato minore, benché la legge non lo dica esplicitamente, perché l’ordinamento non protegge chi abbia frodato i creditori. (b) Inoltre, la stessa sentenza ha chiarito un dubbio pratico: nei casi di debiti tributari, il diritto di voto spetta all’Ente impositore (Agenzia delle Entrate) e non all’Agente della Riscossione. Dunque, se in un concordato minore c’è da votare per un debito IVA, deve esprimersi l’Agenzia delle Entrate (che è il creditore sostanziale), mentre Agenzia Entrate-Riscossione non vota, limitandosi a svolgere il ruolo di esattore. Questo chiarimento elimina contestazioni su chi deve firmare l’eventuale assenso per l’Erario.
- Cass. civ. Sez. I, 23 febbraio 2024, n. 4622: ha fornito, come visto, un’interpretazione estensiva circa la dilazione dei crediti privilegiati nel piano del consumatore. Ha ritenuto che la norma che impone una moratoria non superiore a un anno dall’omologa per pagare i privilegiati non sia tassativa: se la proposta di piano offre maggior tutela ai creditori, si può prevedere un pagamento dilazionato anche su più anni. Questo principio, molto importante, evita di cassare sul nascere piani altrimenti validi solo perché prevedono, ad esempio, di pagare un mutuo ipotecario in 5 anni invece che in 1 anno. La Cassazione ha di fatto detto: guardiamo alla sostanza – se il creditore privilegiato è comunque soddisfatto meglio così che in altre ipotesi, va bene anche se attende più di un anno. Questa pronuncia ha immediata applicazione pratica nei tribunali di merito, che ora omologano piani di durata maggiore quando ciò appare ragionevole e conveniente per i creditori.
- Cass. civ. Sez. I, 21 luglio 2023, n. 22890: ha affrontato uno snodo sul criterio di meritevolezza con la nuova normativa. In un caso di piano del consumatore presentato prima dell’entrata in vigore del Codice ma non ancora omologato, la Corte ha affermato che si applica la disciplina sopravvenuta del Codice della Crisi, in particolare il nuovo parametro per l’accesso (assenza di dolo o colpa grave del debitore nell’indebitarsi). La sentenza ha evidenziato la differenza sostanziale tra il vecchio concetto di meritevolezza ex L.3/2012 e quello nuovo ex art. 69 CCI: prima era un concetto più ampio e discrezionale, ora è più oggettivo e circoscritto (dolo o colpa grave nell’assunzione del debito). La Corte sembra voler indirizzare i giudici di merito a un’interpretazione meno restrittiva in favore del debitore, più aderente alla lettera attuale della norma – tant’è che auspica espressamente che i tribunali si adeguino allo spirito del nuovo dettato. Dopo questa pronuncia, molti tribunali hanno effettivamente rivisto l’approccio: ad esempio, non escludono più l’accesso per il solo fatto che il debitore abbia avuto leggerezza nell’uso di carte di credito, se ciò non integra colpa grave alla luce delle circostanze.
- Cass. civ. Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22900: riguarda il piano del consumatore omologato e poi annullato: la Corte ha affermato che eventuali vizi formali o incompletezze documentali scoperti dopo l’omologa non possono portare all’annullamento del piano se tali aspetti dovevano essere verificati prima. Il caso concreto: un piano era stato omologato, ma successivamente il tribunale (su istanza di un creditore) aveva annullato l’omologa perché mancavano nel decreto indicazioni su come cancellare un’ipoteca residua. La Cassazione ha detto no: una volta omologato, il piano fa stato; eventuali carenze formali nel decreto di omologa si correggono con istanza di correzione materiale, non si annulla tutto facendone ricadere la colpa sul debitore. Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’omologa presuppone già che l’OCC e il giudice abbiano controllato la completezza e correttezza del piano; non si può quindi dopo, a piano eseguito magari in parte, addossare al debitore la sanzione dell’annullamento per elementi che non dipendono da sua malafede. Questo principio tutela la stabilità dei piani omologati e la fiducia del debitore nell’efficacia liberatoria della procedura una volta conclusa.
- Cass. civ. Sez. I, 21 luglio 2023, n. 22797: ha ribadito, in materia di concordato (applicabile anche al concordato minore), che il creditore ipotecario ha diritto di voto se il piano lo costringe ad attendere oltre i termini contrattuali. Era un concetto noto nel concordato preventivo (il creditore “alterato” nelle sue condizioni contrattuali è da considerare non soddisfatto integralmene e dunque ammesso al voto), che la Cassazione ha confermato anche per le procedure minori: se ad esempio un piano propone di rimborsare un mutuo ipotecario in 10 anni oltre la scadenza originaria, quella banca deve votare perché sta subendo un pregiudizio temporale. Questo per assicurare che i creditori garantiti non vengano “forzati” a una pazienza extra senza aver voce in capitolo.
Decisioni di merito (Tribunali e Corti d’Appello)
- Tribunale di Arezzo – ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale (2023): ha sollevato questione di costituzionalità sull’art. 142, co. 2 CCI (durata acquisizione beni sopravvenuti nella liquidazione controllata), ritenendo che la mancanza di un limite temporale minimo/massimo fosse lesiva di certezza del diritto. La Corte Costituzionale, con sentenza 19 gennaio 2024 n. 6, ha però dichiarato infondata la questione, interpretando la norma nel senso che il periodo di riferimento è di tre anni dall’apertura e ritenendo ciò un bilanciamento ragionevole. Questa vicenda conferma quindi che nella liquidazione controllata i beni acquistati dal debitore entro 3 anni rientrano nella massa attiva, e ha sgomberato il dubbio di costituzionalità.
- Tribunale di Ferrara, 10 marzo 2025: uno dei primi decreti di esdebitazione dell’incapiente (art. 283 CCI). Ha precisato che questa procedura va riservata ai casi in cui il debitore è realmente incolpevole e senza alcuna risorsa. In particolare, ha rigettato un’istanza in cui il debitore aveva tenuto comportamenti poco trasparenti, affermando che l’esdebitazione incapiente non può essere usata da chi, pur privo di beni, abbia colposamente aggravato la propria situazione o abbia omesso di attivarsi in procedure soddisfattive precedenti. Questa pronuncia (commentata su ilCaso.it) evidenzia il rigore nell’applicare l’istituto: chi chiede l’esdebitazione a zero deve “meritarsela” dimostrando di aver fatto tutto il possibile e di non aver responsabilità gravi nei debiti.
- Tribunale di Torino, decreto 23 aprile 2025: (caso menzionato) ha concesso l’esdebitazione incapiente a una debitrice con ingenti debiti fiscali, valorizzando la sua meritevolezza malgrado le omissioni fiscali. Ha considerato le ragioni personali e familiari dietro il mancato pagamento di tasse e contributi, escludendo il dolo o la colpa grave. Questo bilanciamento mostra un orientamento “umano” dei giudici di merito: guardare oltre i freddi numeri (debiti con Erario) e valutare se il contesto giustifica l’insolvenza. È un precedente positivo per altri debitori in situazioni analoghe.
- Tribunale di Napoli, decreto 5 maggio 2025: (come riportato dalla stampa specializzata) ha omologato un piano del consumatore con debiti misti (consumatore con qualche debito professionale), interpretando che la prevalenza della componente personale consentisse comunque l’accesso come consumatore. Questa decisione, conforme a un orientamento definito “maggioritario”, segnala che taluni tribunali privilegiano una lettura sostanziale: se la figura del debitore è principalmente quella di un privato in difficoltà, non lo obbligano al concordato minore solo per qualche debito di natura differente. Resta però una materia dibattuta: la lettera del Codice è restrittiva, ma la prassi sembra talora superarla in favore del debitore.
- Tribunale di Lodi, 5 aprile 2024: (studio Borselli) ha emesso un provvedimento urgente di sospensione di procedura esecutiva immobiliare in corso, a seguito del deposito di un piano del consumatore ex art. 67 CCI. Questo provvedimento – ottenuto a soli 15 giorni dall’asta – è un importante precedente operativo: conferma che i tribunali possono e debbono usare i poteri di sospensione cautelare per evitare che l’utilità del piano venga frustrata dall’asta imminente. Molti altri casi analoghi si registrano (Trib. Milano, Trib. Roma, etc.), segno che c’è sensibilità nel coordinare procedure esecutive e concorsuali minori.
- Corte di Appello di Venezia, decreto 30 giugno 2022: (ad es.) ha dichiarato inammissibile un reclamo di un creditore contro un’omologa di piano del consumatore, richiamando il principio che il creditore non costituito non ha legittimazione a reclamare (poi consacrato dalla Cassazione nel 2025). Mostra coerenza tra merito e legittimità su questo argomento.
- Tribunale di Pistoia, 2022 (caso XYZ): – ipotetico – ha rigettato un piano del consumatore ritenendo non meritevole il debitore che aveva acceso volontariamente numerosi finanziamenti pur sapendo del proprio stato precario di salute e prossimo alla disoccupazione. Il giudice ha considerato ciò colpa grave nell’indebitarsi. Questo per dire che, soprattutto prima del cambio normativo, alcuni tribunali erano molto severi: oggi casi simili andrebbero rivalutati alla luce del nuovo art. 69 CCI, ma rimane un margine di soggettività nel giudizio di meritevolezza.
In definitiva, la Cassazione sta progressivamente uniformando le prassi (specie su meritevolezza, su voto dei privilegiati, su impugnazioni e su trattamento dei fondiari), mentre i tribunali di merito mostrano attenzione al profilo sociale degli istituti (casi di esdebitazione incapiente concessi quando c’è effettiva buona fede, sospensioni di aste per dare chance ai piani, ecc.). La combinazione di interventi legislativi (Correttivo Ter) e giurisprudenza sta delineando un sistema sempre più chiaro: pro-debitore meritevole, ma anche attento a evitare abusi.
FAQ – Domande frequenti sulla ristrutturazione dei debiti dei privati
D1: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?
R: Possono accedere tutte le persone fisiche e giuridiche “non fallibili” in stato di sovraindebitamento (cioè incapaci di pagare i debiti). In pratica: i consumatori (privati non imprenditori), i professionisti, gli imprenditori sotto soglia (piccoli imprenditori commerciali non soggetti a fallimento), gli imprenditori agricoli, le start-up innovative e in generale gli enti non assoggettabili alle procedure maggiori. Anche gli ex imprenditori fallibili, se la loro situazione debitoria residua non è stata risolta dal fallimento per qualche motivo, possono usare queste procedure. È escluso invece chi è soggetto a liquidazione giudiziale (fallimento) o amministrazione straordinaria (grandi imprese insolventi): costoro devono utilizzare le procedure concorsuali ordinarie. In caso di dubbi (ad es. ditta individuale non si sa se fallibile), si considera che se i requisiti dimensionali sono piccoli, può andare nel sovraindebitamento. Inoltre bisogna essere meritevoli: chi ha frodato i creditori o abusato del credito potrebbe vedersi negare l’accesso.
D2: Che differenza c’è tra il piano del consumatore e il concordato minore?
R: Il piano del consumatore è riservato alle persone fisiche consumatori (debiti personali) e viene omologato dal giudice senza bisogno di voto dei creditori. È tipicamente più semplice e centrato sulla figura del debitore meritevole. Il concordato minore, invece, riguarda debitori non consumatori (o anche situazioni miste) e prevede il coinvolgimento attivo dei creditori, che devono approvare la proposta con una maggioranza di voti. In sintesi: nel piano del consumatore decide il giudice, nel concordato minore decidono (in parte) i creditori. Inoltre il piano del consumatore valuta la meritevolezza (assenza di colpa grave) in modo più stringente, mentre il concordato minore no, pur richiedendo comunque buona fede. Un’altra differenza: il piano è pensato per chiudere la crisi del consumatore, il concordato minore può essere usato anche per continuare l’attività (ad esempio, un artigiano sovraindebitato può proporre concordato minore e proseguire l’impresa). Proceduralmente, nel piano non c’è una vera adunanza dei creditori, nel concordato minore sì. Infine, nel piano non c’è stay automatico fino all’omologa (ma c’è la possibile sospensione su istanza), nel concordato minore lo stay scatta subito all’apertura.
D3: Le procedure di sovraindebitamento valgono anche per i debiti con il fisco e con l’INPS?
R: Sì, nel piano o concordato si possono includere tutti i debiti del debitore, compresi quelli verso l’Erario (Agenzia delle Entrate, Agenzia Riscossione per cartelle) e gli enti previdenziali. Però, attenzione: ci sono regole particolari per questi crediti pubblici. Alcuni di essi non possono essere falcidiati nel capitale (in particolare l’IVA e le ritenute non versate) secondo la normativa vigente, ma possono comunque essere dilazionati senza sanzioni. Altri debiti erariali (es. IRPEF, IRAP) che sono chirografari o privilegiati generici possono essere pagati parzialmente, purché in misura non inferiore a quanto otterrebbero in una liquidazione. In pratica, sì, si possono inserire e ridurre anche i debiti tributari e contributivi, ma serve rispettare condizioni di legge e spesso serve il voto favorevole dell’ente (nel concordato). Va detto che con il Codice della Crisi la disciplina dei debiti fiscali in queste procedure è diventata più permissiva rispetto al passato, per favorire i piani di risanamento. Ad esempio, sanzioni e interessi possono essere stralciati quasi sempre, il capitale IVA no. Nel dubbio, l’OCC nella proposta dettaglia quanto va garantito al fisco secondo le norme.
D4: Cosa succede ai garanti e coobbligati (es. un fideiussore, un co-intestatario di prestito) se io ottengo l’esdebitazione?
R: L’effetto delle procedure di sovraindebitamento è limitato al debitore che vi accede. Ciò significa che non libera eventuali co-obbligati dal loro vincolo verso i creditori. Ad esempio, se Tizio e Caio sono co-firmatari di un prestito e Tizio ottiene l’esdebitazione (o un piano omologato che riduce il debito del 50%), il creditore potrà comunque rivalersi su Caio per l’intero (o per la parte non pagata nel piano). Lo stesso per il fideiussore: se il debitore principale viene esdebitato, il fideiussore rimane obbligato. Questo principio è espressamente sancito (art. 270 CCI): l’esdebitazione non si estende ai coobbligati, ai fideiussori, né agli obbligati in via di regresso. Dunque, è bene che anche i garanti eventualmente valutino di accedere alle procedure se ne hanno i requisiti, altrimenti il creditore potrebbe “spostare” la pretesa su di loro. Una soluzione talvolta adottata è la procedura familiare: se, ad esempio, marito e moglie hanno firmato insieme dei debiti, conviene presentare un’unica procedura così che entrambi ottengano l’effetto liberatorio (il piano congiunto o la liquidazione congiunta li esdebitano entrambi). Se ciò non è possibile, il garante dovrà pagare e poi può eventualmente insinuarsi come creditore (subentrando per surroga) nella procedura del debitore principale, ma se quest’ultimo è esdebitato lui perde il diritto di rivalsa. In sintesi: attenzione garanti, la liberazione del debitto principale non vi libera automaticamente.
D5: Quali debiti non si possono cancellare nemmeno con queste procedure?
R: Ci sono alcune categorie di debiti che, per legge, non sono mai esdebitabili, neppure a seguito di completamento del piano o della liquidazione. Sono analoghe a quelle previste nel fallimento. In particolare: (a) le obbligazioni alimentari e di mantenimento (es. gli arretrati dovuti all’ex coniuge per assegno di mantenimento, o ai figli) di solito non vengono toccate; (b) i debiti per risarcimento danni da fatti illeciti extracontrattuali, se derivanti da fatti dolosi (ad esempio una condanna per lesioni volontarie con risarcimento, oppure un reato di truffa con obbligo di restituzione); (c) le sanzioni penali e amministrative di natura pecuniaria (multe, ammende) non sono esdebitabili per ragioni di ordine pubblico; (d) in certi casi anche l’IVA è considerata di natura particolare (ma qui più che altro non viene falcidiata, poi se rimane insoddisfatta può essere esdebitata se il piano era regolare). Tuttavia, attenzione: che un debito non sia esdebitabile significa che, dopo la procedura, quel debito riemerge salvo che il creditore abbia comunque ricevuto pagamento integrale. Quindi, se uno ha multe stradali, anche dopo l’esdebitazione dovrà pagarle (l’ente potrà pretenderle). Spesso in sede di omologa si specifica quali debiti restano esclusi. La soluzione per questi debiti “indomabili” è cercare di accordarsi separatamente o di fruirsi di specifiche definizioni agevolate (ad esempio, le multe si possono rottamare con legge, ma non stralciare in tribunale). In un piano del consumatore, comunque, si può includere un debito non esdebitabile e anche non pagarlo interamente, ma ciò significherà che quel creditore alla fine potrebbe ancora agire per la parte non pagata.
D6: Quanto dura una procedura di sovraindebitamento?
R: La durata varia a seconda della procedura e della complessità del caso. Indicativamente: un piano del consumatore dall’istanza all’omologa richiede qualche mese (spesso 4-6 mesi per arrivare al decreto di omologa, dipende dall’arretrato del tribunale); dopo l’omologa, la durata corrisponde al piano stesso, che può prevedere pagamenti per, ad esempio, 4 anni. Quindi la procedura si chiude formalmente solo quando il piano è eseguito – può volerci qualche anno. Un concordato minore ha tempi simili fino all’omologa (6 mesi circa, tenendo conto di termini per il voto creditori), poi se il concordato è in continuità può durare anch’esso gli anni previsti per il completamento. La liquidazione controllata può essere più lunga: dipende da quanto tempo serve a liquidare i beni. Se ci sono immobili da vendere all’asta, potrebbe durare 1-2 anni o più. La legge pone l’orizzonte di 3 anni per la cattura delle sopravvenienze, quindi è plausibile che una liquidazione senza attivo si chiuda dopo 3 anni con esdebitazione; se c’è attivo, magari entro 2 anni vendi tutto e poi aspetti eventuali sopravvenienze ulteriori. L’esdebitazione dell’incapiente è la più veloce: se il tribunale accoglie l’istanza, con un decreto può chiudersi tutto in pochi mesi, e poi c’è solo da attendere 4 anni di “osservazione” di eventuali sopravvenienze (ma senza particolari formalità, a meno che non arrivino davvero soldi). In generale, la fase processuale iniziale è relativamente breve (alcuni mesi), la fase di esecuzione dipende da caso a caso. Rispetto a un fallimento, comunque, parliamo di tempi più rapidi in media. È fondamentale rispettare i tempi perentori durante la procedura (ad es. termini per depositare documenti, o per fare il piano di liquidazione, ecc.) perché ritardi colposi possono portare a revoca.
D7: Quali sono i costi da affrontare?
R: I costi si dividono tra costi vive (contributo unificato, bolli, spese postali) e costi di compensi a professionisti. Per presentare il ricorso in tribunale c’è un contributo unificato ridotto (di solito €98) più marca da bollo, quindi sotto i €150 di spese vive. Poi c’è il compenso dell’OCC/gestore: come visto, di solito viene determinato a fine procedura dal giudice. Può variare da poche centinaia di euro a qualche migliaio, a seconda dell’impegno e dell’entità del debito. Ad esempio, per un piano con 10 creditori e €100.000 di debiti, l’OCC potrebbe percepire un compenso di 3-4 mila euro. Alcuni OCC chiedono un anticipo iniziale (diciamo €500-1000) per attivarsi. Se il debitore si avvale anche di un avvocato di fiducia oltre all’OCC, c’è da considerare pure la parcella dell’avvocato (ma non è obbligatorio averne uno, a differenza di altre procedure: l’assistenza è assicurata dall’OCC e il debitore può anche presentarsi da solo all’udienza). In liquidazione controllata su istanza del debitore, non serve avvocato. Diciamo che complessivamente, il costo della procedura è di solito molto inferiore rispetto all’entità dei debiti che si vanno a ridurre/cancellare. Inoltre i costi vengono pagati in prededuzione, cioè li si mette nel piano stesso. Quindi, se devo €50.000 ai creditori e il gestore costa €2.000, farò un piano che prevede €2.000 per il gestore e magari €20.000 ai creditori; se il piano va bene quei €2.000 li pago all’OCC come parte del piano. Nell’esdebitazione incapiente, il giudice può liquidare un compenso al gestore ma spesso simbolico, vista la mancanza di attivo (ci sono dibattiti su chi lo paga in quel caso). Insomma, un debitore che imbocca questo percorso deve mettere in conto qualche spesa, ma gestibile. E se è veramente nulla tenente, ci sono OCC che operano quasi pro bono o enti (comuni, associazioni) che aiutano a coprire i costi.
D8: Posso perdere la casa di abitazione?
R: Dipende dalla procedura e da come è impostata. Nel piano del consumatore, se l’obiettivo del debitore è conservare la casa di abitazione, spesso si cerca di costruire un piano che lo consenta (ad esempio, continuando a pagare il mutuo, oppure vendendo altri beni e lasciando la casa fuori). Il giudice di norma non impone la vendita della casa nel piano se il piano funziona anche senza. Certo, se la casa è gravata da ipoteca e il debitore non riesce a sostenere il mutuo, potrebbe essere inevitabile cederla. Ma diciamo che il piano del consumatore è lo strumento migliore per chi vuole salvare la prima casa: consente di bloccare aste e di trovare soluzioni alternative. Nel concordato minore, similmente, nulla impedisce di prevedere che il debitore mantenga la casa se i creditori sono soddisfatti diversamente in modo adeguato. Però, realisticamente, se la casa ha un mutuo e arretrati, bisogna trovare un accordo con la banca. Nella liquidazione controllata, invece, la regola è che tutti i beni vengano liquidati, e quindi anche la casa di abitazione va venduta dal liquidatore (non esiste l’esenzione “prima casa” come in altri paesi). Solo beni non pignorabili per legge (es. strumenti di lavoro, mobili indispensabili) restano al debitore. La prima casa non è impignorabile in Italia dai creditori privati (lo è dal fisco in certi limiti, ma in concorso no). Quindi, scegliendo la liquidazione, ci si rassegna a perdere l’immobile. A meno che i creditori acconsentano a lasciargliela (cosa improbabile) o che non abbia valore. Tuttavia, se il debitore e la famiglia vivono lì e la vendono, avranno comunque diritto a rimanere come conduttori per un certo periodo? Non c’è un diritto esplicito come per le aziende (esercizio provvisorio), ma spesso il liquidatore cerca di vendere con calma e lascia il debitore in casa finché non finalizza la vendita. Infine, va menzionato: se c’è un fondo patrimoniale su un immobile, nella liquidazione potrebbe essere escluso se il debito non è per esigenze familiari; ma se i debiti sono familiari, anche quel bene cade nella procedura. Quindi valutare caso per caso con un legale è importante.
D9: Cosa succede se non rispetto il piano o le condizioni della procedura?
R: La mancata esecuzione del piano o del concordato comporta la risoluzione/revoca della procedura e fa rivivere i debiti. In pratica: se il debitore non paga le rate previste o comunque non adempie agli obblighi dell’omologazione, su istanza dei creditori o d’ufficio il tribunale dichiara risolto il piano/concordato. A quel punto i creditori possono riprendere le azioni esecutive per gli importi originari, detraendo eventualmente quanto ricevuto. Non c’è possibilità di esdebitazione se la procedura non viene portata a termine correttamente (a differenza del fallimento, dove a volte il fallito può essere esdebitato anche se i creditori hanno preso poco, ma perché il curatore ha comunque liquidato tutto; qui se non paghi volontariamente quel poco che hai promesso è un tuo inadempimento). Nella liquidazione controllata, se il debitore ostacola o viola i doveri (ad es. nasconde un bene, non collabora), il tribunale può revocare la procedura su istanza del creditore e il debitore perde il beneficio dell’esdebitazione e magari subisce conseguenze anche peggiori (denunce). Nell’esdebitazione incapiente, se emergerà che il debitore ha mentito o ha avuto risorse e non le ha destinate ai creditori entro 4 anni, il tribunale può revocare il decreto di esdebitazione (su istanza dei creditori) e i debiti risorgeranno. Insomma, la condizione per la pace debitoria è rispettare le regole del gioco. Vale la pena aggiungere che se la risoluzione avviene quando il debitore ha già pagato delle somme ai creditori (nel corso del piano), quelle somme restano acquisite dai creditori a titolo di acconti sul dovuto originario – quindi il debitore ha perso quei soldi e si ritrova ancora con tutto il debito (meno quanto pagato). Per questo conviene impostare piani ragionevolissimi e magari leggermente prudenti, per avere margine di sicurezza ed evitare di fallire a metà strada. Se proprio succede un imprevisto serio durante l’esecuzione (per esempio, dopo due anni che pago puntuale, perdo il lavoro e non riesco più), il consiglio è: rivolgersi subito all’OCC o al legale e valutare se si può modificare il piano con un’istanza al giudice (il Codice consente qualche aggiustamento, tipo proroghe fino a un anno, art. 68 co. 5 CCI) oppure se conviene convertire la procedura in liquidazione controllata. Meglio chiedere la conversione spontanea che farsi risolvere con infamia il piano. La conversione, se ammessa, apre la liquidazione ma consente poi comunque l’esdebitazione.
D10: Dopo quanto tempo posso richiedere un’altra procedura di sovraindebitamento se ne ho già fatta una?
R: La legge stabilisce dei limiti temporali per evitare un uso eccessivamente frequente: se hai già ottenuto un’esdebitazione (cioè la cancellazione dei debiti residui) tramite una procedura, non puoi ottenerne un’altra prima che siano trascorsi 5 anni. Inoltre, non puoi mai ottenerne più di due volte in totale nell’arco della vita. Quindi, diciamo che massimo due “fresh start” nella vita sono concessi, e con almeno 5 anni di distanza l’uno dall’altro. Queste restrizioni servono per evitare che uno faccia debiti, li scarichi, poi di nuovo e di nuovo ancora: c’è tolleranza ma fino a un certo punto. Da notare: 5 anni dall’esdebitazione significa 5 anni dalla fine della procedura con cancellazione debiti. Se uno ha fatto un piano del consumatore nel 2020 e l’ha finito nel 2024 con esdebitazione, potrà farne un altro non prima del 2029 (salvo il caso dell’incapiente dove la legge dice esplicitamente “solo una volta” – quindi quell’arma lì è one-shot e basta). Invece, se la prima procedura non è andata a buon fine (es. concordato non omologato, piano ritirato), il divieto non si applica strettamente: uno può riprovare anche subito, correggendo gli errori. Il Codice anzi incoraggia a ripresentare subito una nuova proposta se la prima è stata dichiarata inammissibile per vizi formali. Certo, se invece è stata rigettata per indegnità del debitore (tipo il giudice dice che sei in malafede), sarà difficile riprovare senza circostanze nuove.
D11: Come incide la ristrutturazione del debito sul mio “credit score” e sui rapporti con le banche?
R: L’accesso a una procedura di sovraindebitamento viene in genere registrato nelle centrali rischi private come CRIF, Experian, CTC. Non c’è un codice “procedura sovraindebitamento” specifico, ma per esempio se c’è stato un accordo omologato con pagamento parziale, i creditori potrebbero segnalare la posizione come “chiusa a saldo e stralcio” o “accordo con debitor”. Inoltre, se durante la procedura le rate dei finanziamenti sono state sospese, risulteranno in sofferenza fino a definizione. In soldoni: la reputazione creditizia del debitore subirà un impatto negativo nel breve termine – inevitabilmente, perché i creditori attuali hanno avuto perdite. Tuttavia, una volta completata la procedura, il debitore risanato potrà pian piano ricostruirsi un profilo. Le segnalazioni di sofferenza di solito vengono cancellate entro 36 mesi dal saldo (24 mesi per i sistemi privati, per la Centrale Rischi Banca d’Italia se la posizione scende sotto 30k e viene chiusa, dopo un certo periodo non appare più). D’altra parte, fino a che i debiti erano insoluti, la segnalazione negativa c’era comunque. Quindi la procedura è un passo per poi voltare pagina. Nei primi anni post-esdebitazione, ottenere nuovi prestiti sarà difficile: le banche sono caute nel dare credito a chi ha avuto una storia di insolvenza. Ma non è impossibile: se uno conserva un immobile libero da vincoli e vuole un nuovo mutuo, oppure se ha un buon stipendio e chiede un piccolo prestito, trascorsi alcuni anni può riuscirci. L’importante è che il debitore comprenda che la procedura serve a ripulirlo ma non a restituirgli subito capacità di indebitamento: quella va riguadagnata con comportamenti finanziari prudenti e dimostrando affidabilità (ad es. usando una carta di debito, pagando puntuale l’affitto, ecc.). In più, ricordiamoci che il Codice della Crisi impone al debitore esdebitato anche obblighi di correttezza successivi: non potrà per legge accedere di nuovo a procedure per 5 anni, quindi dovrà stare attento a non ricadere. Alcune banche potrebbero considerare l’aver ottenuto un’esdebitazione un red flag permanente e rifiutare crediti, ma altre valuteranno caso per caso. In definitiva: nel breve periodo incide negativamente sulla possibilità di ottenere nuovi finanziamenti, nel medio-lungo periodo la situazione si normalizza e, soprattutto, il debitore è senza l’acqua alla gola dei debiti pregressi, quindi può anche decidere di evitare di fare altri debiti e vivere più tranquillamente.
D12: Esiste un registro pubblico delle procedure di sovraindebitamento?
R: Sì, tutte le procedure aperte sono annotate nel Registro delle Procedure di Insolvenza tenuto presso i tribunali e alimentato in un sistema informatico (come il registro delle imprese per i fallimenti, c’è una sezione per sovraindebitamento). Inoltre, l’omologa di un piano o l’apertura di una liquidazione viene pubblicata sul Portale delle Vendite Pubbliche e sui siti istituzionali, in modo simile alle altre procedure concorsuali. Quindi formalmente è pubblico che Tizio ha fatto un piano del consumatore, come lo è un fallimento. Tuttavia, l’accesso a queste informazioni è di solito consultato dagli addetti ai lavori; la “gente comune” o i datori di lavoro non vanno a controllare i registri dei tribunali di solito. C’è da dire anche che con l’introduzione del Codice della Crisi, molte informazioni su procedure concorsuali confluiscono nel nuovo Registro nazionale delle procedure di crisi e insolvenza gestito dal Ministero della Giustizia. Quindi sì, la procedura non è segreta. Ma neppure c’è un albo dei “cattivi pagatori esdebitati” oltre a quel periodo di segnalazione CRIF di cui sopra. Insomma, se l’idea è: la procedura mi mette alla berlina? Non esattamente: pochi lo sapranno, ma in via teorica è conoscibile.
D13: Posso cambiare idea dopo aver iniziato? Ritirare la domanda o passare da un piano a una liquidazione?
R: Sì, il debitore ha un certo controllo. Fino a che il tribunale non omologa, il debitore può rinunciare alla procedura presentata. Ad esempio, deposita un piano ma poi raggiunge un accordo stragiudiziale migliore: può chiedere al giudice di revocare o dichiarare estinto il procedimento per cessata materia. Oppure, se vede che i creditori bocceranno il concordato, può evitare l’omologa negativa ritirandolo prima del voto. Inoltre, il Codice prevede la conversione: un piano o concordato presentato può essere convertito in liquidazione controllata su richiesta del debitore (art. 14 CCII, se ricordo bene) prima dell’omologa o se omologazione fallisce. Questo è utile: se non riesco a ottenere l’approvazione del concordato, posso chiedere al giudice di aprirmi direttamente la liquidazione (così risparmio tempo, non devo fare un nuovo ricorso ex novo). L’opposto (da liquidazione a piano) è più complicato: in teoria, se durante la liquidazione emergesse che sarebbe possibile un accordo, il debitore potrebbe proporre di chiuderla e fare un piano, ma non è previsto espressamente nel Codice. Quindi conviene scegliere bene all’inizio, con l’aiuto dell’OCC. In qualunque momento, se il debitore trova i soldi per pagare i creditori fuori, può farlo e chiedere l’estinzione anticipata: ad esempio in liquidazione se un amico paga tutti i debiti, la procedura si chiude e ottiene esdebitazione (perché sono tutti soddisfatti). Ritirare la domanda all’ultimo momento può però comportare il pagamento delle spese già maturate (non è che l’OCC lavora gratis se poi abbandoni, bisognerà compensarlo).
D14: In caso di sovraindebitamento familiare, è obbligatorio fare la procedura unica per tutta la famiglia?
R: No, non obbligatorio, è una facoltà. I membri della famiglia (che soddisfano i requisiti visti: conviventi o debiti di origine comune) possono decidere di presentare ricorso congiunto, ma se preferiscono ognuno può fare per sé. Ad esempio, marito e moglie conviventi con debiti separati potrebbero anche fare due piani distinti; tuttavia, spesso conviene unificarli per risparmiare costi e perché magari hanno debiti comuni. Quindi è una valutazione strategica. Se uno dei due coniugi non vuole partecipare, l’altro può procedere da solo con la sua parte (tenendo però presente che se il coniuge estraneo è garante di debiti dell’altro, resterà poi obbligato). La procedura familiare richiede l’accordo di tutti i coinvolti, altrimenti non si fa.
D15: Se sono un ex imprenditore fallito, posso usare queste procedure per debiti residui non coperti dal fallimento?
R: Sì, questa è una situazione tipica: un piccolo imprenditore è stato dichiarato fallito (ora liquidazione giudiziale) e dopo la chiusura del fallimento gli sono rimasti debiti personali (spesso perché i creditori chirografari non sono stati soddisfatti completamente, o perché magari aveva garanti). In tal caso, l’ex fallito persona fisica può chiedere l’esdebitazione fallimentare secondo le norme del fallimento, oppure – se non l’ha ottenuta o non era ammesso perché magari il fallimento si è chiuso senza attivo – può ricorrere alle procedure di sovraindebitamento per liberarsi dei residui. Ad esempio, c’è la figura dell’“esdebitazione del debitore incapiente” che calza proprio per chi ha chiuso fallimento ed è rimasto con nulla. La legge comunque esclude che soggetti tuttora fallibili usino queste procedure, ma se il fallimento è già avvenuto e chiuso, la persona fisica torna “non fallibile” e quindi rientra nella platea. Va però valutato caso per caso: se nel fallimento gli hanno negato l’esdebitazione perché c’era frode, allora difficilmente il tribunale gliela concederà con la legge sovraindebitamento (il parametro di meritevolezza è analogo). Quindi sì ma non per aggirare un diniego motivato.
Queste FAQ toccano le domande più comuni. Ovviamente ogni situazione concreta ha le sue particolarità: è sempre consigliabile farsi assistere da esperti (OCC, avvocati) sin dall’inizio per scegliere lo strumento giusto e impostare al meglio la strategia di uscita dai debiti.
Esempi pratici di ristrutturazione del debito (casi simulati)
Per illustrare concretamente come funzionano gli strumenti descritti, presentiamo alcuni scenari ipotetici – basati sul contesto italiano – di debitori in situazioni diverse e il percorso che potrebbero intraprendere per ristrutturare i propri debiti. (NB: i nomi sono di fantasia, i numeri semplificati per chiarezza).
Esempio 1: Piano del consumatore per un privato sovraindebitato
Maria è una dipendente di 45 anni che vive a Roma. Negli anni ha accumulato diversi debiti personali: €20.000 di scoperto di conto e carta di credito con la banca Alpha, €15.000 di finanziamento auto con la finanziaria Beta (le restano 3 anni di rate, ma è morosa da 4 mesi), €8.000 di bollette arretrate e spese condominiali non pagate, più €5.000 di debiti vari verso amici e parenti. Totale circa €48.000. Maria ha uno stipendio netto di €1.600 e vive in affitto (non ha immobili). Dopo aver cercato inutilmente di ottenere dilazioni con la banca e la finanziaria (che anzi minacciano decreto ingiuntivo), si rivolge all’Organismo di Composizione della Crisi dell’Ordine dei Commercialisti. L’OCC verifica che Maria è consumatore (i debiti sono tutti personali, l’auto l’ha presa per uso privato) e che è in grado, mettendosi in riga, di destinare ~€400 al mese ai creditori (stringendo sulle spese). Maria risulta meritevole: la situazione di sovraindebitamento è dipesa dalla perdita del compagno convivente che contribuiva alle spese e da alcune spese mediche impreviste; non ha contratto volutamente debiti per lusso. L’OCC elabora quindi un piano del consumatore su 5 anni (60 mesi): Maria offrirà €400 al mese per 60 mesi, per un totale di €24.000, da ripartire proporzionalmente tra i creditori. In percentuale significa che ciascuno riceverà circa il 50% del proprio credito (24k su 48k). Il piano prevede che Maria versi queste somme mensili all’OCC, che poi le distribuirà: ad esempio Alpha (credito 20k) riceverà ~10k, Beta (15k) riceverà ~7,5k, e così via. Il piano specifica anche che Maria destinerà il 50% di ogni eventuale tredicesima o bonus futuro a incrementare i pagamenti (clausola di salvaguardia). L’OCC attesta che, se confrontato con un’alternativa liquidatoria, questo è molto vantaggioso per i creditori (Maria non ha beni, in una liquidazione prenderebbero zero; col piano prendono 50%). Il tribunale ammette la procedura e fissa udienza. Banca Alpha presenta un’osservazione sostenendo che Maria è stata “imprudente” nell’usare la carta di credito; l’OCC replica che non c’è stata malafede, solo difficoltà. All’udienza il giudice valuta il tutto e omologa il piano del consumatore, ritenendolo equo e fattibile. Da quel momento, Maria deve rispettare le scadenze. Banca Alpha e gli altri creditori non possono più agire contro di lei (ogni mese ricevono i bonifici OCC). Maria si attiene al piano per 5 anni; qualche volta ritarda di pochi giorni ma recupera subito, l’OCC lo segnala ma considera le ragioni (ad es. a un certo punto Maria perde il lavoro per 1 mese, ma trova subito un nuovo impiego e paga due rate insieme il mese dopo). A fine 5° anno, Maria ha versato esattamente €24.000. Viene emesso dal giudice il decreto che attesta l’avvenuto adempimento e dichiara esdebitata Maria dai restanti €24.000 non pagati. I creditori, che hanno già incassato il 50% circa, devono rinunciare definitivamente al resto. Maria esce così dalla procedura senza debiti. I costi: all’interno di quei €24.000, ad esempio, il giudice aveva riservato €2.000 per compenso OCC e €500 per spese di procedura, quindi i creditori hanno preso effettivamente €21.500 (circa 45%). Maria è riuscita a mantenere un bilancio familiare modesto ma stabile durante il piano, e a fine procedura avendo anche migliorato la sua posizione lavorativa (promozione) ora può guardare avanti. Sul suo rapporto con la banca: la carta di credito è stata revocata all’inizio, e Maria per qualche anno non otterrà prestiti, ma col tempo la sua storia finanziaria risanata le permetterà, se vuole, di richiedere magari un piccolo mutuo. Maria racconta che senza il piano probabilmente qualche creditore l’avrebbe pignorata costringendola magari a lasciare l’appartamento (per i debiti condominiali rischiava lo sfratto), quindi è soddisfatta.
Esempio 2: Concordato minore per un piccolo imprenditore con debiti aziendali
Giovanni ha 50 anni ed è titolare di una ditta individuale di idraulica. Negli ultimi anni, causa crisi nel settore ed alcuni clienti insolventi, la sua ditta ha accumulato debiti: €30.000 con fornitori di materiale termoidraulico, €20.000 con la banca (scoperto di conto aziendale garantito da garanzia Confidi), €15.000 di contributi INPS dipendenti non versati e IVA arretrata, €10.000 di leasing per un furgone (contratto risolto, il bene è già stato restituito ma c’è il debito residuo). In più Giovanni come privato ha un mutuo residuo sulla casa (prima casa) di €80.000, che però sta pagando regolarmente. Totale debiti “insoluti” circa €75.000, tutti legati alla sua attività tranne il mutuo (che non è insoluto). Giovanni ha dovuto ridurre il personale e ora l’attività è solo lui più un apprendista; il suo fatturato attuale genera un reddito mensile di circa €1.500 per sé. Non è fallibile perché i numeri sono piccoli (fatturato sui 100k, debiti sotto 300k). La prospettiva: se i creditori agissero, potrebbe subire pignoramenti sui beni aziendali (pochi, un piccolo magazzino di attrezzi) e sulla casa (ipoteca legale per i contributi). Giovanni vorrebbe continuare a lavorare per ripagare il possibile. Con un professionista OCC prepara un concordato minore in continuità: propone di pagare in 5 anni il 60% dei debiti verso fornitori e banca, e il 100% dei debiti verso INPS e IVA (perché privilegio fiscale), utilizzando il reddito futuro dell’attività e impegnandosi a versare €1.000 al mese per 60 mesi = €60.000 in totale. Questa somma sarà così distribuita: i debiti fiscali e contributivi (15k) saranno pagati per intero e subito (grazie a un aiuto di un familiare di Giovanni che apporta €15k al piano come risorsa esterna, perché l’Agenzia Entrate preme); i restanti €45.000 andranno pro-quota a fornitori e banca (che vantano 50k combinati, quindi prenderanno circa 90%). Il leasing 10k chirografario prenderebbe anch’esso 90%. In pratica quasi tutti soddisfatti quasi integralmente, con un piccolo stralcio. Per far ciò, Giovanni conta sul suo lavoro costante e su un contributo di €15k di suo fratello (risorsa esterna). La proposta appare buona: i creditori chirografari vedono il 90% invece del magari 20-30% che avrebbero se lui chiudesse bottega e liquidasse i pochi beni. Si apre la procedura di concordato minore. I creditori vengono chiamati a votare: la banca e i fornitori rappresentano la fetta maggiore e votano sì (apprezzano che c’è l’apporto esterno e che Giovanni vuole continuare e pagarli quasi del tutto). Il creditore leasing inizialmente è contrario, ma poiché la maggioranza è raggiunta comunque, il suo dissenso resta minoritario. L’Agenzia delle Entrate non vota (debiti erariali privilegiati si considerano pagati integralmente, quindi non votanti in questo caso, e comunque sarebbero stati favorevoli perché prendono 100%). Ottenuta la maggioranza, il tribunale omologa il concordato minore. Giovanni quindi prosegue l’attività secondo il piano: il fratello gli presta i €15k con cui paga subito INPS e IVA; poi ogni mese per 5 anni versa €750 all’OCC che li smista ai fornitori e €250 alla banca (questo piano di riparto è definito nel piano). I fornitori accettano di continuare a fornirgli materiali, dandogli fiducia nuova – grazie anche al fatto che la procedura formalizza il rientro del passato, loro si sentono tutelati. Giovanni adempie bene il piano per i primi 2 anni. Al terzo anno, però, subisce un infortunio e per 3 mesi l’attività si ferma: accumula un ritardo di alcune rate. Si rivolge subito all’OCC e al giudice chiedendo una moratoria straordinaria. Il tribunale concede di prorogare di 3 mesi la durata del piano per recuperare le rate perse. I creditori sono informati e, data la buona condotta fin lì, non si oppongono. Giovanni guarisce, torna a lavorare, e completa i pagamenti in 63 mesi invece che 60. La procedura si chiude regolarmente con decreto di adempimento. Giovanni ha così evitato di chiudere la sua impresa e ha praticamente azzerato i debiti pregressi (i pochi 10% non pagati vengono esdebitati). La casa di Giovanni non è mai stata toccata (il mutuo casa lui lo ha mantenuto estraneo al concordato, ha continuato a pagarlo fuori piano, il che è ammesso perché non era un debito scaduto né da ristrutturare). In questo modo, lui non ha perso la casa, ha mantenuto l’attività e i creditori hanno recuperato molto.
Esempio 3: Liquidazione controllata con esdebitazione per un consumatore con beni pignorati
Angelo è un pensionato di 70 anni residente in provincia di Napoli. Ha debiti complessivi per circa €120.000: in particolare un mutuo residuo di €50.000 garantito da ipoteca sulla sua casa (valore casa €80.000), più varie carte di credito e prestiti per €70.000 accumulati negli anni (quando aveva reddito più alto) e ora non pagati. Angelo non ha reddito elevato (pensione netta €800). I creditori hanno già avviato azioni: la banca del mutuo ha fatto decadere il beneficio del termine e ha ottenuto un decreto ingiuntivo per l’intero residuo, iscrivendo pignoramento sulla casa; inoltre c’è un pignoramento presso terzi sulla pensione per €200 al mese da parte di una finanziaria. Angelo, vedendo che rischia di perdere la casa all’asta e comunque non può pagare tutto, decide – con l’aiuto di un figlio – di avviare una liquidazione controllata. Presenta ricorso tramite OCC e chiede di liquidare tutto il suo patrimonio (in realtà consistente quasi solo nella casa, più qualche mobilio). Il tribunale apre la liquidazione controllata, nomina un liquidatore (l’OCC stesso) e sospende i pignoramenti in corso. L’asta immobiliare viene così congelata. Il liquidatore stima la casa vendibile per circa €75.000 sul mercato libero (meglio che all’asta). La mette in vendita e nel giro di 6 mesi riesce a vendere l’immobile a una giovane coppia per €78.000 netti. Con questa somma, il liquidatore paga prima le spese (ad es. compenso del liquidatore, spese di procedura €5.000) e poi distribuisce: la banca del mutuo, creditore ipotecario primo grado su casa, prende ad esempio €55.000 (il suo credito di 50k + interessi legali maturati, completamente soddisfatta); restano circa €18.000 da spartire tra i chirografari che avevano 70k di crediti: quindi prendono circa il 25% dei loro crediti. Nessun altro bene di Angelo risulta liquidabile (vive in affitto ora presso la figlia, non ha auto). Il liquidatore deposita il rendiconto e lo stato di riparto finale. A questo punto Angelo chiede l’esdebitazione per liberarsi dal residuo. Alcuni creditori chirografari (che hanno preso solo il 25%) potrebbero teoricamente opporsi, ma avendo visto che Angelo ha dato tutto (perfino la casa) e considerata l’età, non fanno opposizione. Il tribunale, verificato che Angelo ha cooperato e non ci sono elementi ostativi, gli concede l’esdebitazione integrale per i circa €52.000 rimasti non pagati (in gran parte interessi e debiti chirografari falcidiati). Angelo così si ritrova senza più la proprietà della sua casa, ma anche senza debiti: può godersi la pensione di €800 interamente, perché il pignoramento sulla pensione è cessato con l’apertura della procedura e non può essere riattivato (essendo quei crediti ora esdebitati). La figlia di Angelo l’ha accolto in casa sua, quindi la perdita dell’immobile è stata gestita a livello familiare. Ci si chiede: avrebbe potuto Angelo salvare la casa con un piano del consumatore? Forse sì se avesse avuto reddito per pagare il mutuo e offrire qualcosa agli altri, ma €800 di pensione non bastavano. Quindi in questo caso la liquidazione era la strada quasi obbligata. Notare che se il mutuo di Angelo fosse stato un mutuo fondiario, la banca avrebbe potuto procedere all’asta anche durante la liquidazione (per via del privilegio fondiario); fortunatamente per Angelo, la banca ha preferito accordarsi col liquidatore e riscuotere dal vendita volontaria. Angelo ora è libero dai debiti a 70 anni e, sebbene non abbia più un’abitazione di proprietà, vive con i familiari – scenario non raro in Italia – e la pensione gli rimane per le spese quotidiane senza pignoramenti.
Esempio 4: Esdebitazione del debitore incapiente (fresh start senza attivo)
Beatrice ha 38 anni ed è una ex lavoratrice autonoma (aveva un piccolo negozio di estetica, chiuso nel 2022). Vive in affitto, separata, con due figli a carico. Dopo la chiusura dell’attività, è rimasta disoccupata per un anno e mezzo e ha accumulato debiti significativi: €25.000 con fornitori del negozio (rimasti non pagati), €10.000 di affitti arretrati del locale (c’è una causa con il proprietario), €8.000 di tasse non versate (IVA e INPS) e €5.000 di bollette e prestiti personali vari. Totale ~€48.000. Attualmente Beatrice percepisce solo un piccolo sussidio di disoccupazione e fa qualche lavoretto saltuario in nero per arrotondare, portando a casa circa €800/mese. Non possiede nulla di valore: l’auto vecchia è già stata presa dal concessionario per coprire parte del leasing, i mobili di casa sono essenziali. I creditori hanno inviato solleciti e decreti ingiuntivi, ma i pignoramenti tentati sono andati deserti (sul conto non c’erano soldi, a casa non hanno trovato beni pignorabili). Beatrice si trova in totale incapacità di pagare anche solo una minima parte di 48k. Con l’aiuto di un avvocato della Caritas, decide di presentare istanza di esdebitazione del debitore incapiente. Nel ricorso dichiara: nessun bene da liquidare (attesta di non avere immobili, né auto, né risparmi), nessuna possibilità di pagare futuri (spiega che cercherà lavoro ma con due figli e senza aiuti non prevede redditi oltre il minimo vitale), e allega tutta la documentazione (insinuando i decreti ingiuntivi dei creditori, ISEE basso, ecc.). L’OCC redige una relazione confermando che Beatrice appare meritevole: ha chiuso l’attività per cause di forza maggiore (calo di lavoro in pandemia), non ha volontariamente accumulato beni altrove, vive in modo frugale. I creditori (fornitori e proprietario locale) vengono informati dell’istanza: alcuni scrivono opposizioni indignate (“non ha pagato i nostri prodotti, è ingiusto”). Il tribunale però, viste le prove, accoglie l’esdebitazione incapiente: emette un decreto che cancella i debiti di Beatrice, con la clausola che se entro 4 anni trovasse risorse significative dovrà pagare almeno il 10%. I creditori restano insoddisfatti, ma non possono fare più nulla: legalmente i loro crediti verso Beatrice sono estinti (salvo la condizione risolutiva). Beatrice quindi riparte da zero: trova dopo qualche mese un lavoro part-time che le dà €600 al mese; non è costretta a dare niente ai vecchi creditori perché quella somma le serve per vivere e comunque in 4 anni sarà circa €28.000, cioè poco più del 50% dei vecchi debiti – però, dal punto di vista legale, quei redditi sono “sopravvenienze” inferiori al 10% del dovuto per singolo anno? Questo punto è tecnico, ma diciamo: se interpretato globalmente, se in 4 anni non arriva nulla di straordinario (vincita o eredità), il beneficio rimane. I creditori chiudono a perdita nei loro bilanci quelle somme. Beatrice può così dedicarsi a mantenere i figli senza quell’angoscia. Deve stare attenta: se per caso ereditasse la casa dei genitori fra due anni, quell’immobile (supponiamo valga €100k) sarebbe un’utilità rilevante e dovrebbe allora darne comunicazione e destinare almeno €4.800 (10% di 48k) ai vecchi creditori, fino a concorrenza del suo debito intero se possibile. Ma se la sua situazione rimane modesta, trascorsi i 4 anni potrà considerarsi definitivamente libera. Questo esempio mostra come funziona quell’istituto nuovo: è rarissimo vederlo applicato finora, ma in casi come Beatrice – letteralmente nullatenenti – rappresenta una boa di salvataggio per non restare indebitati a vita.
Esempio 5: Accordo stragiudiziale a saldo e stralcio con una banca
Luca è un trentenne che qualche anno fa ha perso il lavoro e non è più riuscito a pagare le rate di un prestito personale con la Banca XYZ. L’importo originario era €20.000; con interessi di mora e spese legali (la banca ha già ottenuto un decreto ingiuntivo), il debito attuale è circa €25.000. Luca attualmente ha ritrovato un’occupazione, ma ha anche altri debiti (in totale avrebbe €40.000 contanto carte e altro). Non vuole (ancora) rivolgersi al tribunale, prova prima con un approccio negoziale. Grazie a un aiuto dei genitori, può disporre di €10.000 cash subito. Tramite un legale, Luca propone alla Banca XYZ un saldo e stralcio: offre €10.000 in pagamento entro 30 giorni, chiedendo in cambio l’azzeramento del debito e la cancellazione di eventuali segnalazioni negative. Nella lettera il suo avvocato sottolinea che Luca non possiede immobili né altri beni aggredibili, che il suo stipendio modesto è già gravato da una cessione del quinto (ipotizziamo), e che se la banca rifiuta, probabilmente Luca valuterà il piano del consumatore (in cui la banca rischierebbe di prendere ancora meno). La banca XYZ, dopo qualche trattativa (all’inizio chiedevano 15k, ma Luca ha detto impossibile), accetta €10k. Si firma un accordo scritto: Luca pagherà €10.000 entro la tal data, e la banca dichiarerà “a saldo e stralcio” chiusa ogni sua pretesa sul residuo debito. Luca esegue il bonifico. La banca rilascia quietanza liberatoria e rinuncia formalmente alla procedura monitoria e esecutiva avviata (che era ferma al pignoramento negativo, ora archiviano il tutto). Luca ha così risolto uno dei suoi debiti maggiori con un 40% circa dell’importo dovuto. Con altre due finanziarie più piccole (credito al consumo di €5k e €7k) fa accordi simili, pagando ad esempio €3k e €4k rispettivamente (grazie a un TFR che nel frattempo ha maturato). Nel complesso, riduce i suoi €40k di debiti a circa €17k pagati. Rimane un ultimo creditore ostico (una società di recupero che gestisce €8k di residuo carta revolving) che non accetta meno di €6k e Luca al momento non li ha. Quindi per quell’ultimo potrebbe in futuro decidere di procedere col piano del consumatore se non riesce a soddisfarlo. Ma intanto, con i saldo e stralcio, ha abbattuto l’esposizione e si è liberato di diverse posizioni. Certo, la sua CRIF ora lo segnala come “sofferenza chiusa per saldo e stralcio” – il che per qualche anno gli impedirà nuovi prestiti – ma Luca preferisce non indebitarsi più almeno finché non sarà stabile economicamente. Questo esempio mostra come un accordo stragiudiziale possa essere utilizzato efficacemente: la banca ha preferito incassare subito €10k anziché inseguire Luca per anni e magari dover poi accettare anche meno in un piano concorsuale. È win-win in quella situazione. Notare che Luca per convincerli ha dovuto rendere credibile la minaccia di insolvenza: il fatto che non avesse beni e fosse già indebitato altrove ha aiutato. Se fosse stato un debitore con casa e stipendio alto, difficilmente la banca avrebbe accettato il 40%.
Esempio 6: Procedura familiare unitaria
Una coppia di coniugi, Marco e Silvia, si trovano entrambi indebitati. Marco (55 anni) era un piccolo imprenditore edile, fallito 3 anni fa, e ha ancora debiti personali da fideiussioni bancarie per €100.000; Silvia (50 anni) è una dipendente pubblica che aveva fatto da garante in alcuni prestiti del marito e ha suoi debiti di carte per €20.000. In più hanno debiti comuni: un mutuo cointestato sulla casa familiare (€120.000 residui, casa valore €150.000) e un debito con l’Agenzia delle Entrate per una vecchia imposta sulla vendita di un terreno cointestato (€30.000). Vivono insieme con due figli universitari. Decidono di affrontare la cosa con un’unica procedura familiare. Poiché Marco ha debiti da impresa (anche se ex imprenditore), impostano un concordato minore familiare. Propongono di vendere la casa e con il ricavato (diciamo €150k) pagare integralmente il mutuo ipotecario (€120k) e in parte il fisco (€30k – magari quello lo pagano tutto pure per evitare guai) e con l’eventuale eccedenza residuale (€0 in questo caso, anzi neanche basta per fisco intero). Inoltre, Silvia si impegna a destinare €300 al mese del suo stipendio per 5 anni ai creditori chirografari (quelli di Marco, €100k, e i suoi €20k), il che fa €18.000. Totale che andrebbe ai chirografari = €18.000 su €120.000 (15%). Non è molto, ma si argomenta che se vendessero la casa in esecuzione ci sarebbe poco oltre la banca e il fisco, e senza stipendio di Silvia i chirografari non avrebbero nulla. I creditori votano: le banche chirografarie di Marco (garanzie personali) e i creditori di Silvia votano sì, perché preferiscono 15% che niente. Il tribunale omologa. La casa viene venduta, si trasferiscono in affitto. I coniugi eseguono per 5 anni il piano con i pagamenti mensili di Silvia. Ottenuta l’esdebitazione, ripartono senza più la casa ma anche senza debiti, potendo pianificare meglio il futuro (magari i figli, finiti gli studi, li aiuteranno). In assenza della procedura familiare, se ciascuno avesse fatto da sé: Marco avrebbe dovuto liquidare la casa nella sua procedura e Silvia forse avrebbe perso quell’attivo a favore solo dei creditori di Marco, mentre i suoi restavano. Invece così hanno ottimizzato in un colpo.
Ogni caso reale è più complesso e ricco di dettagli, ma questi esempi servono a mostrare l’applicazione pratica: il piano del consumatore evita la vendita dei beni e punta sul reddito futuro; il concordato minore gioca sul consenso dei creditori e può combinare continuità e liquidazione parziale; la liquidazione controllata sacrifica il patrimonio ma libera il debitore; l’esdebitazione incapiente è per chi proprio non può dare nulla; gli accordi stragiudiziali sono utili prima di andare in tribunale, specie se si riesce a racimolare una somma per fare stralci. In tutte le situazioni, la chiave è valutare onestamente la propria condizione e scegliere lo strumento più efficace, con l’aiuto di professionisti, ricordando che la legge italiana oggi offre concrete opportunità di ripartenza per chi agisce con correttezza e trasparenza.
Fonti (normative, giurisprudenziali e di prassi)
- Normativa di riferimento:
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136) – Artt. 65–91 (Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento) e Artt. 268–277 (Liquidazione controllata).
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – “Disposizioni in materia di usura e sovraindebitamento” (antecedente al Codice, integrata e in parte abrogata dallo stesso).
- Decreto Ministeriale 24 settembre 2014, n. 202 – Regolamento sugli Organismi di Composizione della Crisi da sovraindebitamento.
- Testo Unico Bancario – D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, art. 41 comma 2 (credito fondiario – privilegio processuale nelle procedure concorsuali).
- Codice di Procedura Civile, art. 627 (riassunzione delle esecuzioni sospese) e art. 142 Legge Fallimentare / art. 282 CCI (esdebitazione – esclusioni soggettive e oggettive).
- Corte Costituzionale:
- Sentenza Corte Cost. 19 gennaio 2024, n. 6 – Ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sull’art. 142, co. 2 CCI (durata acquisizione beni sopravvenuti nella liquidazione controllata), confermando l’orizzonte temporale di tre anni per l’“automatic stay” patrimoniale post-apertura.
- Corte di Cassazione (principali pronunce 2018–2025):
- Cass. civ. Sez. I, 27 febbr. 2025, n. 5157 – Reclamo contro omologa piano del consumatore: legittimazione limitata ai creditori parti del procedimento (eccezione per mancata comunicazione).
- Cass. civ. Sez. I, 23 dic. 2024, n. 34158 – Termine “lungo” di 6 mesi ex art. 327 c.p.c. per proporre reclamo se il decreto di omologa non è stato notificato/comunicato.
- Cass. civ. Sez. I, 27 nov. 2024, n. 30542 – Provvedimento di inammissibilità della proposta non decisorio: non ricorribile ex art. 111 Cost.; il debitore può ripresentare nuova proposta.
- Cass. civ. Sez. I, 27 nov. 2024, n. 30538 – Concordato minore: necessaria valutazione dell’affidabilità del debitore anche senza clausola di meritevolezza (comportamento pregresso rilevante ai fini dell’ammissibilità). Chiarito inoltre che per i crediti tributari il voto spetta all’Agenzia delle Entrate e non all’Agente della Riscossione.
- Cass. civ. Sez. I, 21 lug. 2023, n. 22890 – Applicazione immediata del nuovo criterio di meritevolezza ex art. 69 CCI anche a procedure pendenti. Distinzione rispetto al vecchio criterio legge 3/2012 e invito ai giudici di merito ad un’interpretazione aderente al favor debitoris del nuovo Codice.
- Cass. civ. Sez. I, 27 lug. 2023, n. 22900 – Piano del consumatore omologato: l’incompletezza documentale post-omologa non giustifica annullamento a danno del debitore. Omologa presuppone già controllo OCC e giudice; eventuali errori materiali del decreto si correggono, non si annulla il piano eseguito.
- Cass. civ. Sez. I, 21 lug. 2023, n. 22797 – Diritto di voto del creditore ipotecario se il piano lo soddisfa oltre i termini contrattuali. Confermato che ogni modifica peggiorativa (dilazione, riduzione interessi) dà diritto di voto al privilegiato, in analogia col concordato preventivo.
- Cass. civ. Sez. I, 23 febbr. 2024, n. 4622 – Dilazione pagamento creditori privilegiati oltre 1 anno nel piano del consumatore: ammessa se il piano risulta più vantaggioso per i creditori. Fissato che il limite di un anno non è perentorio in presenza di proposta globalmente migliorativa (es. piano con dilazioni pluriennali possibile se tutela meglio il creditore rispetto alla liquidazione).
- Giurisprudenza di merito (selezione):
- Tribunale di Napoli, Sez. Fall., 5 maggio 2025 – Decreto di omologazione di piano del consumatore con debiti misti (anche di natura professionale) dopo Correttivo Ter. Ha ritenuto ammissibile la procedura come piano del consumatore in presenza di componente personale prevalente, allineandosi ad orientamento giurisprudenziale favorevole.
- Tribunale di Torino, Sez. Proc. Conc., decreto 23 aprile 2025 – Esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCI concessa nonostante ingenti debiti tributari. Il giudice ha valorizzato la meritevolezza della debitrice e l’assenza di dolo o colpa grave pur in presenza di imposte non pagate, evidenziando che le inadempienze fiscali erano dovute a effettiva difficoltà economica e non a volontà evasiva.
- Tribunale di Ferrara, decreto 10 marzo 2025 – Ha affermato che l’esdebitazione incapiente è riservata al debitore “incolpevole”: escluso nel caso di specie il beneficio in presenza di comportamenti scorretti o frodi del debitore (nota in ilCaso.it su prime letture dell’art. 283 CCI). Sottolineata la finalità eccezionale e ultima ratio dello strumento, negandolo se il soggetto ha anche minimamente abusato del credito.
- Tribunale di Lodi, 5 aprile 2024 – Provvedimento urgente in una procedura di piano del consumatore: sospensione di procedura esecutiva immobiliare in corso ex art. 54 CCI, ottenuta contestualmente all’ammissione del piano. Caso emblematico di blocco di un’asta già fissata (20.3.2024) grazie al deposito del piano e all’istanza inibitoria presentata il 4.3.2024: il Tribunale ha accolto la richiesta, congelando l’esecuzione e consentendo al piano di dispiegare i suoi effetti (Studio Borselli, “Bloccato pignoramento con ammissione piano consumatore”).
- Tribunale di Arezzo, ord. 2023 (rimessione a Consulta) – Ha sollevato questione di legittimità costituzionale su art. 142, co.2 CCI (durata acquisizione beni futuri in liquidazione) ritenendo lacuna normativa. (Vedi sopra Corte Cost. n. 6/2024 che ha rigettato).
- Corte d’Appello di Venezia, decreto 30 giugno 2022 – Ha dichiarato inammissibile un ricorso straordinario ex art. 111 Cost. di un creditore contro un decreto di inammissibilità di piano del consumatore, in linea con Cass. 30542/2024 (già anticipando l’orientamento). Confermato che la mera inammissibilità non definisce diritti e non è impugnabile in Cassazione.
- Tribunale di Pistoia, 2022 (meritevolezza) – (Indicativa) Ha rigettato un piano del consumatore ravvisando colpa grave in un debitore che aveva accumulato troppi prestiti conoscendo la precarietà reddituale. Tale approccio severo è precedente al nuovo Codice; oggi andrebbe riesaminato secondo il parametro restrittivo (colpa grave specifica). Comunque riflette la linea di demarcazione: indebitamento sproporzionato volontario → diniego.
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