Pignoramento Per Bollette Non Pagate: Come Difendersi

Hai dimenticato di pagare alcune bollette di luce, gas o acqua e ora ti è arrivato un atto di pignoramento? Ti sembra impossibile che da una semplice morosità si sia arrivati a blocchi del conto corrente, dello stipendio o peggio ancora dei beni?

Purtroppo, anche le bollette non pagate – se trascurate troppo a lungo – possono trasformarsi in un problema serio, fino a sfociare in un’esecuzione forzata. Ma attenzione: non sempre il pignoramento è legittimo, e non tutto è perduto.

È davvero possibile essere pignorati per una bolletta? Cosa deve fare il creditore prima di arrivare a questo punto? E come puoi difenderti legalmente?

Prima di poter avviare un pignoramento, l’ente creditore (o la società che ha acquistato il credito) deve ottenere un titolo esecutivo, come un decreto ingiuntivo o una sentenza. E tu hai il diritto di essere avvisato, difenderti e fare opposizione nei termini previsti dalla legge. Se non hai mai ricevuto notifiche regolari, se l’importo è sbagliato o se il credito è prescritto, puoi bloccare tutto, anche all’ultimo momento.

Inoltre, esistono limiti legali su ciò che si può pignorare: lo stipendio, la pensione, il conto corrente e i beni mobili sono tutelati da regole precise. In molti casi, basta un intervento legale tempestivo per sospendere o annullare l’intera procedura.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in esecuzioni, contenzioso civile e tutela del debitore – ti spiega come funziona il pignoramento per bollette non pagate, quali sono i passaggi obbligatori che il creditore deve seguire, quali difese puoi attivare e cosa fare subito per evitare il peggio.

Hai ricevuto un atto di pignoramento per una bolletta dimenticata? Ti è stato bloccato il conto e non sai da dove cominciare?

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo il tuo caso, verificheremo la legittimità del pignoramento e ti aiuteremo a difenderti nel modo più rapido ed efficace, prima che la situazione degeneri.

Introduzione

Il mancato pagamento di bollette – che si tratti di forniture di energia elettrica, gas, acqua, telefono o altre utenze domestiche – può comportare conseguenze legali gravi, fino all’avvio di procedure di esecuzione forzata (pignoramenti) da parte del creditore.

Dapprima vedremo quali tipologie di bollette possono dar luogo a un pignoramento e quali sono i passaggi che portano dal mancato pagamento alla fase esecutiva. In seguito esamineremo tutti i tipi di pignoramento previsti dall’ordinamento italiano – mobiliare, immobiliare e presso terzi (inclusi pignoramenti di conti correnti, stipendi e pensioni) – evidenziandone le caratteristiche e i limiti di legge. Saranno quindi illustrate in dettaglio le strategie difensive attivabili dopo l’inizio dell’esecuzione forzata: dall’opposizione a decreto ingiuntivo all’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, dalla sospensione dell’efficacia esecutiva fino alle possibili soluzioni di rateizzazione del debito (come la conversione del pignoramento).

Nel corso della trattazione troverete tabelle riepilogative per schematizzare le informazioni chiave, una sezione dedicata alle domande frequenti (FAQ) e alcune simulazioni pratiche di casi reali, dal punto di vista del debitore, per comprendere come applicare le diverse difese nelle situazioni concrete. Chiudono la guida i riferimenti normativi (articoli di legge) e giurisprudenziali più rilevanti aggiornati al 2025.

Avvertenza: questa guida esamina esclusivamente le difese attivabili dopo l’avvio del procedimento di pignoramento (o comunque dopo l’azione legale del creditore). Non vengono quindi trattati i consigli preventivi (come la gestione stragiudiziale del debito, la contestazione bonaria della bolletta, ecc.), se non per inquadrare il contesto. L’accento è posto sugli strumenti giuridici disponibili al debitore nella fase dell’esecuzione forzata già iniziata o imminente.

Procederemo ora con l’analisi dettagliata, iniziando dal quadro generale delle bollette non pagate e delle possibili iniziative dei creditori.

Bollette non pagate e rischi di pignoramento

Una bolletta non pagata costituisce un’inadempienza contrattuale del consumatore nei confronti del fornitore del servizio (che sia luce, gas, acqua, telefonia, etc.). Le aziende fornitrici, di fronte a un mancato pagamento, attivano inizialmente procedure di recupero del credito di natura extragiudiziale: solleciti di pagamento (telefonate, lettere di sollecito, email), eventuale sospensione o riduzione del servizio, e messa in mora formale tramite raccomandata o PEC. Se queste misure non portano a soluzione, il creditore può passare alle vie legali per ottenere coattivamente quanto dovuto. È importante sfatare alcuni miti comuni: una bolletta non pagata di per sé non basta per pignorare beni o conti del debitore. In base alla legge italiana, il fornitore deve prima procurarsi un titolo esecutivo (ad esempio una sentenza o un decreto ingiuntivo) per poter legittimamente avviare l’esecuzione forzata. In altre parole, “con la semplice bolletta non pagata non si può procedere all’esecuzione forzata”.

Prima di approfondire il percorso legale, è utile distinguere le varie tipologie di bollette e capire se vi sono differenze nel trattamento delle morosità:

  • Bollette di energia elettrica e gas: in genere i contratti di fornitura prevedono che, in caso di mancato pagamento, il gestore possa dapprima sollecitare il cliente e successivamente disattivare la fornitura (riduzione di potenza e poi sospensione completa) rispettando le regole fissate dall’ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente). Per esempio, nel settore elettrico e gas il distacco avviene solo dopo preavvisi e può essere evitato se l’utente paga o concorda un piano di rientro prima della data di sospensione. Rimane comunque il diritto del fornitore di agire per recuperare coattivamente le somme arretrate, soprattutto se il debito è cospicuo.
  • Bollette dell’acqua: trattandosi di un servizio essenziale, la normativa e le delibere ARERA prevedono tutele particolari. Ad esempio, per le utenze domestiche di acqua, il gestore può ridurre il flusso al minimo vitale e sospendere la fornitura solo oltre certe soglie di morosità e dopo aver offerto una rateizzazione. Si prevede che non possa essere totalmente tolta l’acqua a una famiglia, se non per importi rilevanti (superiori al cosiddetto bonus idrico equivalente al consumo essenziale) e solo dopo aver garantito almeno 50 litri giornalieri a persona. Inoltre, se la fornitura è condominiale (un’unica utenza per tutto l’edificio), il gestore non può sospenderla a causa del mancato pagamento di un singolo condomino. Ciò non toglie che il gestore del servizio idrico possa rivolgersi al giudice per ottenere un titolo esecutivo contro l’utente moroso e poi agire in via esecutiva sul suo patrimonio.
  • Bollette telefoniche e internet: nel settore telecomunicazioni la prassi è spesso affidare il recupero del credito a società specializzate dopo alcuni solleciti. L’operatore telefonico può sospendere il servizio trascorsi i termini di pagamento (prima temporaneamente, poi definitivamente con risoluzione del contratto). Per somme non pagate di importo significativo o in caso di morosità reiterata, le compagnie telefoniche possono procedere legalmente richiedendo un decreto ingiuntivo nei confronti dell’intestatario della linea. È noto il fenomeno delle società di recupero crediti che inviano lettere minacciose, talvolta prospettando pignoramenti imminenti anche in assenza di effettive azioni giudiziarie. Il debitore deve sapere che queste minacce, se provenienti solo da un’agenzia di recupero e non da un atto formale dell’autorità giudiziaria, non hanno valore legale immediato: solo un atto di precetto validamente notificato (successivo a un titolo esecutivo) può preludere a un pignoramento. Resta però il fatto che l’operatore, ottenuto un titolo esecutivo, potrà davvero promuovere pignoramenti (ad esempio sul conto corrente o sullo stipendio), come vedremo in dettaglio.
  • Altre utenze domestiche: includiamo qui bollette per servizi come il riscaldamento centralizzato (nel caso di condomini), la tassa rifiuti (TARI), pay-TV, internet fibra, ecc. Ciascun rapporto ha le sue peculiarità (nel caso di TARI è un tributo locale, quindi il recupero segue procedure diverse, spesso tramite ingiunzione fiscale o cartella esattoriale). Tuttavia, dal punto di vista del debitore le possibili azioni esecutive subite sono analoghe: anche il comune o il concessionario della riscossione potranno, in presenza di mancato pagamento, attivare il pignoramento dei beni del debitore (con alcune differenze procedurali e di limiti di pignorabilità, di cui diremo più avanti, specialmente in riferimento all’Agenzia Entrate Riscossione).

In sintesi, tutte le tipologie di bollette non pagate espongono il debitore, dopo vari passaggi, al rischio di subire un pignoramento. Non esistono importi minimi fissati per legge al di sotto dei quali un creditore privato non possa procedere – in teoria anche poche centinaia di euro di bollette arretrate potrebbero condurre a un’azione esecutiva. In pratica, però, le aziende ponderano costi e benefici prima di avviare cause: è più frequente il ricorso al pignoramento per bollette non pagate quando i debiti sono cumulativi (ad esempio più mensilità non pagate) o di importo elevato, o quando il debitore ignora un decreto ingiuntivo rendendolo definitivo. Nei prossimi paragrafi esamineremo proprio il percorso legale dal mancato pagamento al pignoramento, e successivamente come difendersi in ciascuna fase.

Dal sollecito al pignoramento: la procedura di recupero crediti

Per comprendere come difendersi, è essenziale conoscere il percorso procedurale che dalla bolletta impagata porta al pignoramento. Riassumiamo le fasi principali:

  1. Solleciti e messa in mora: in caso di ritardo, il creditore (es. la società di luce, gas, telefono) invia solleciti informali (telefono, email) e poi formali. La costituzione in mora avviene tipicamente con raccomandata A/R o PEC, intimando il pagamento entro un termine (di solito 15 giorni) e avvertendo delle conseguenze (interessi di mora, sospensione del servizio, eventuale azione legale). Per i servizi essenziali (acqua, luce, gas) le Autorità di settore prevedono obblighi di preavviso e l’offerta di piani di rateizzazione prima di procedere al distacco. Il mancato riscontro alla messa in mora può portare alla risoluzione del contratto di fornitura (interruzione definitiva del servizio) e all’avvio del recupero crediti per le somme pendenti.
  2. Intervento di società di recupero crediti (fase stragiudiziale): spesso, prima di agire in giudizio, le aziende si avvalgono di società di recupero crediti che tentano una composizione bonaria, magari proponendo piani di rientro o transazioni sul dovuto. È in questa fase che il debitore può ricevere telefonate o lettere dal tono aggressivo. Si ricorda che le agenzie di recupero non hanno poteri coercitivi autonomi: possono sollecitare il pagamento, ma non possono pignorare nulla senza un titolo esecutivo e un’azione giudiziaria. Minacce come “arriverà l’ufficiale giudiziario a casa” fatte dall’operatore telefonico di turno sono indebite se non c’è ancora stato un processo: purtroppo sono pratiche diffuse, ma vanno prese per quello che sono, ovvero pressioni extragiudiziali. Se il debitore ritiene di subire molestie o atti illegali (come visite sul luogo di lavoro, avvisi pubblici di morosità, contatto di vicini di casa) può sporgere reclamo o segnalazione alle autorità competenti, poiché si tratta di comportamenti non consentiti. Dal punto di vista della difesa giuridica, però, in questa fase non ci sono ancora atti formali da impugnare: il debitore può approfittarne per cercare un accordo sostenibile, se possibile, oppure prepararsi alla fase successiva.
  3. Titolo esecutivo – decreto ingiuntivo: se il sollecito stragiudiziale fallisce, il creditore di solito passa alla via giudiziaria ottenendo un titolo esecutivo. Nei casi di bollette e fatture non pagate, lo strumento tipico è il decreto ingiuntivo emesso dal tribunale competente (o dal giudice di pace se l’importo rientra nei limiti di competenza, ad esempio per bollette di modesto importo). Il decreto ingiuntivo è un provvedimento con cui il giudice, su ricorso del creditore e senza sentire il debitore, ingiunge a quest’ultimo di pagare una certa somma (oltre a spese e interessi) entro 40 giorni dalla notifica, pena l’esecuzione forzata. Esso viene emesso sulla base di prove scritte fornite dal creditore: nel caso delle utenze, le bollette/fatture stesse e il contratto di fornitura sono documenti idonei ad ottenere l’ingiunzione. Importante: la legge richiede un titolo esecutivo per pignorare, quindi il creditore deve passare da questa fase (o da un giudizio di merito ordinario) prima di coinvolgere l’ufficiale giudiziario. Non è possibile il pignoramento sulla base del semplice contratto o di una bolletta non pagata senza un provvedimento del giudice. Va segnalato che il decreto ingiuntivo può essere richiesto anche con clausola di provvisoria esecutorietà, nei casi previsti dall’art. 642 c.p.c. (ad esempio se il credito è fondato su cambiali, assegni, oppure su documenti che comprovano il diritto in modo certo, o se c’è pericolo nel ritardo). Per le bollette, spesso le aziende fornitrici non ottengono l’esecutorietà immediata (dipende dalle circostanze e dalla valutazione del giudice), per cui in genere il decreto ingiuntivo non è immediatamente esecutivo e il creditore deve attendere 40 giorni. Se però l’ingiunzione fosse dichiarata provvisoriamente esecutiva, il creditore potrebbe procedere al precetto e al pignoramento anche prima che siano trascorsi i 40 giorni, salvo poi dover sospendere se il debitore fa opposizione e il giudice della causa sospende l’esecuzione (vedremo oltre questo aspetto). Al debitore ingiunto la legge riconosce la possibilità di fare opposizione entro 40 giorni dalla notifica del decreto, instaurando così un giudizio ordinario in cui contestare il credito. L’opposizione a decreto ingiuntivo è un atto di citazione con cui il debitore diventa attore e il creditore convenuto in un processo di merito: vedremo nel capitolo dedicato come funziona e come può essere una prima fondamentale difesa. Se il debitore non propone opposizione entro 40 giorni, il decreto ingiuntivo diventa definitivo ed esecutivo a tutti gli effetti (passa in giudicato). Ciò significa che dal 41° giorno il creditore può agire in via esecutiva. Anche senza aspettare i 40 giorni, il creditore può agire se il decreto era stato emesso con formula di immediata esecutorietà, oppure – trascorsi i 40 giorni – può agire anche se l’opposizione è stata proposta purché abbia ottenuto dal giudice la provvisoria esecuzione nelle more del giudizio di opposizione (caso in cui il debitore può chiedere un provvedimento di sospensione, come vedremo).
  4. Notifica del titolo esecutivo e atto di precetto: per poter procedere al pignoramento, la legge impone che il debitore sia formalmente avvisato e messo in condizioni di adempiere spontaneamente un’ultima volta. Questo avviene tramite la notifica di due atti fondamentali: il titolo esecutivo e il precetto. Il titolo esecutivo in pratica è il decreto ingiuntivo (divenuto esecutivo), che deve essere notificato in forma esecutiva (ossia con la formula “Comandiamo a tutti gli Ufficiali Giudiziari…” apposta in calce). Spesso il decreto ingiuntivo viene notificato due volte: una prima notifica in forma semplice per far decorrere i 40 giorni, e una seconda volta in forma esecutiva unitamente al precetto, se nel frattempo è divenuto definitivo. Il precetto è invece un atto stragiudiziale, redatto di norma dall’avvocato del creditore, con il quale si intima al debitore di pagare quanto dovuto (capitale, interessi, spese legali) entro un termine non inferiore a 10 giorni, con l’avvertimento che in difetto si procederà a esecuzione forzata. Il precetto va notificato al debitore insieme alla copia del titolo (se questo non gli era stato già notificato in forma esecutiva): si tratta in sostanza dell’ultimo avviso. Dopo la notifica del precetto, il creditore deve attendere almeno 10 giorni prima di iniziare il pignoramento, salvo che ricorrano casi di particolare urgenza (es. pericolo nel ritardo, in cui può chiedere al giudice l’autorizzazione a pignorare prima dei 10 giorni). Il precetto ha validità limitata: esso scade dopo 90 giorni dalla notifica se nel frattempo non viene avviata l’esecuzione. Trascorsi 90 giorni senza che sia stato eseguito il pignoramento, il precetto perde efficacia e se il creditore vuole procedere dovrà notificare un nuovo precetto. In pratica, tra la notifica del precetto e il pignoramento possono passare al massimo 90 giorni (rinnovabili però con un nuovo atto di precetto, se necessario). Dal punto di vista del debitore, la ricezione di un atto di precetto è un momento cruciale: significa che l’azione esecutiva è imminente. In questa fase prima che inizi il pignoramento vero e proprio, il debitore può ancora evitare le conseguenze peggiori pagando il dovuto (eventualmente cercando un accordo last minute col creditore, come un saldo e stralcio o un rinvio del termine). Se il pagamento integrale non è possibile e non si trova un accordo, il debitore può valutare la opposizione all’esecuzione o al precetto (quest’ultima rientra nelle opposizioni agli atti esecutivi, se si contestano vizi formali del precetto). Questi strumenti – opposizione ex art. 615 c.p.c. e art. 617 c.p.c. – saranno trattati in dettaglio più avanti. In sintesi qui basti dire: se il debitore contesta il diritto del creditore di procedere (ad esempio perché ritiene il debito inesistente o già pagato, o il titolo invalido), può proporre opposizione al precetto (prima dell’avvio dell’esecuzione) chiedendo eventualmente al giudice di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo. Se invece il debitore non contesta il titolo in sé ma rileva un vizio formale nel precetto (ad es. importi errati, mancata indicazione di elementi obbligatori), deve proporre opposizione agli atti esecutivi entro 20 giorni dalla notifica del precetto (vedremo i dettagli successivamente).
  5. Pignoramento (esecuzione forzata): se il debitore non paga entro il termine del precetto e non ottiene una sospensione dal giudice, il creditore – tramite l’ufficiale giudiziario – può procedere al pignoramento dei beni del debitore. Il pignoramento è l’atto iniziale dell’esecuzione forzata vera e propria, con il quale si vincolano i beni del debitore in vista della loro successiva vendita o assegnazione per soddisfare il credito. Esistono diverse forme di pignoramento (che tratteremo a breve in un capitolo dedicato):
    • pignoramento mobiliare (su beni mobili del debitore, tipicamente presso la sua abitazione o sede, oppure su beni mobili registrati come autoveicoli);
    • pignoramento immobiliare (su beni immobili di proprietà del debitore, come case, terreni);
    • pignoramento presso terzi (di crediti che il debitore vanta verso terzi, il caso più comune è il pignoramento di conti correnti bancari, stipendi, pensioni o altre somme dovute da terzi al debitore).
    L’ufficiale giudiziario notifica e redige l’atto di pignoramento, seguendo procedure differenti a seconda della tipologia (ad esempio, per i beni mobili dovrà recarsi fisicamente a cercare beni da pignorare, per i crediti presso terzi invia un atto al terzo intimandogli di non pagare più il debitore ma di vincolare le somme per la procedura). Il pignoramento viene poi iscritto a ruolo in tribunale e prosegue davanti al giudice dell’esecuzione, il quale curerà le fasi successive (eventuale assegnazione delle somme pignorate, vendita all’asta dei beni pignorati, e distribuzione del ricavato ai creditori). Da questo momento in poi, quali sono le possibilità di difesa del debitore? Le vedremo in dettaglio più avanti, ma anticipiamo che anche dopo il pignoramento il debitore può:
    • contestare la legittimità dell’esecuzione o dei singoli atti (con opposizione all’esecuzione o opposizione agli atti esecutivi, se emergono vizi o ragioni di illegittimità);
    • chiedere al giudice la sospensione della procedura per gravi motivi (ad esempio se è stata proposta opposizione e vi sono fondati motivi per attendere l’esito prima di procedere oltre);
    • utilizzare strumenti come la conversione del pignoramento (versando una somma a cauzione e ottenendo di poter pagare il dovuto a rate, evitando la vendita dei beni pignorati);
    • eccepire l’impignorabilità di determinati beni o crediti, qualora il creditore abbia aggredito beni che per legge sono parzialmente o totalmente impignorabili (ad esempio, se l’ufficiale giudiziario ha pignorato beni di prima necessità, o se è stato pignorato lo stipendio/pensione oltre i limiti consentiti, come vedremo, il debitore può far valere queste eccezioni e ottenere la liberazione dei beni eccedenti).
    Tutte queste difese saranno illustrate successivamente. Prima, però, è necessario descrivere compiutamente le tipologie di pignoramento che un debitore per bollette non pagate potrebbe subire, perché le strategie difensive si modulano anche a seconda di che cosa viene pignorato (un conto in banca, il salario, la casa, i mobili, ecc.) e da chi (creditore privato o ente pubblico).

Nei paragrafi seguenti analizzeremo i vari tipi di pignoramento previsti in Italia, indicando per ognuno come funziona, quali beni coinvolge e i limiti imposti dalla legge a tutela del debitore. Successivamente entreremo nel vivo delle strategie difensive specifiche.

Tipologie di pignoramento e limiti di legge

Il Codice di Procedura Civile italiano prevede diverse forme di espropriazione forzata (pignoramento), ciascuna con le proprie regole. Ai fini pratici, distinguiamo le seguenti categorie principali di pignoramento:

  • Pignoramento mobiliare (presso il debitore): riguarda i beni mobili materiali di proprietà del debitore, che l’ufficiale giudiziario può pignorare trovandoli nella casa, nell’ufficio o in altri luoghi appartenenti al debitore. Include anche il pignoramento di beni mobili registrati (es. autoveicoli) e di beni aziendali mobili.
  • Pignoramento immobiliare: riguarda beni immobili (case, appartamenti, terreni) di cui il debitore è proprietario (o comproprietario), che vengono vincolati e successivamente messi all’asta.
  • Pignoramento presso terzi: riguarda crediti o beni del debitore che si trovano in possesso di terzi. Le fattispecie più comuni per un debitore da bollette non pagate sono:
    • il pignoramento del conto corrente bancario o postale intestato al debitore (il “terzo” è la banca/poste che detiene le somme del cliente);
    • il pignoramento dello stipendio (il terzo è il datore di lavoro, tenuto a trattenere una quota della retribuzione);
    • il pignoramento della pensione (il terzo è l’ente pensionistico, ad es. l’INPS, che dovrà vincolare una parte della pensione);
    • altre forme meno comuni includono il pignoramento di somme dovute da terzi al debitore per altri motivi (crediti commerciali, affitti dovuti da un inquilino, indennità, etc.).

Ogni tipologia ha procedure specifiche, ma l’effetto di base è lo stesso: i beni pignorati non possono più essere liberamente disposizione del debitore e sono destinati a soddisfare il creditore procedente (e gli eventuali creditori intervenuti nell’esecuzione). Vediamo nel dettaglio ciascuna tipologia, includendo anche i limiti di pignorabilità fissati dalla legge per proteggere la dignità e la sopravvivenza del debitore.

Pignoramento mobiliare presso il debitore

Il pignoramento mobiliare è probabilmente l’immagine classica che molti hanno della “visita dell’ufficiale giudiziario”: un pubblico ufficiale che si presenta a casa del debitore (o in ufficio, negozio, magazzino) per individuare beni di valore – mobili, arredi, oggetti, denaro contante, beni di consumo – da pignorare. Nel contesto delle bollette non pagate, questo tipo di pignoramento è meno comune rispetto a quello presso terzi (conto o stipendio), poiché spesso i creditori preferiscono aggredire direttamente le disponibilità finanziarie. Tuttavia, non è escluso: se il debitore non ha conti aggredibili o redditi ufficiali, il creditore può incaricare l’ufficiale giudiziario di tentare un pignoramento di beni mobili presenti nell’abitazione o nell’azienda del debitore.

Procedura: l’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto (di solito forniti dal creditore procedente), si reca all’indirizzo del debitore. Egli ha la facoltà di accedere ai locali di proprietà o nella disponibilità del debitore (anche forzando la porta, se necessario, eventualmente con l’assistenza della forza pubblica, se autorizzato). In pratica, però, l’accesso coatto è raro e avviene solo se vi sono fondati sospetti di beni di valore occultati; spesso l’ufficiale giudiziario si limita a pignorare ciò che trova in vista nei locali. Redige un verbale in cui descrive i beni pignorati. Da quel momento i beni sono vincolati: il debitore non può sottrarli, pena sanzioni penali (es. sottrazione di cose pignorate).

Limiti e beni impignorabili: la legge tutela il debitore prevedendo che una serie di beni mobili non possono essere pignorati per nessuna ragione, e altri solo con limitazioni. L’art. 514 c.p.c. elenca i beni mobili assolutamente impignorabili. Tra questi vi sono, a titolo d’esempio:

  • Oggetti essenziali per la vita quotidiana: il letto su cui si dorme, i tavoli e le sedie utilizzati per i pasti, l’armadio per i vestiti, il frigorifero, la cucina a gas o elettrica, la lavatrice, gli utensili da cucina e un mobile per riporli, la biancheria e gli abiti necessari, ecc. Si tratta degli elementi di arredamento e degli oggetti indispensabili al debitore e alla sua famiglia per le normali esigenze di vita.
  • Alimenti e combustibili: le provviste di cibo e combustibile necessarie per il sostentamento del debitore e dei conviventi per un mese.
  • Strumenti di lavoro: gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, arte o mestiere del debitore. (Ad esempio, per un artigiano, i suoi arnesi di lavoro; per un medico, i suoi libri professionali, ecc.). Questo in linea di massima: il giudice può valutare caso per caso.
  • Oggetti sacri e destinati al culto: qualora il debitore ne abbia (es. paramenti religiosi, testi sacri).
  • Decorazioni al valore, scritti di famiglia, ricordi personali: medaglie al valore, lettere, album di famiglia, manoscritti non facenti parte di collezioni.
  • Armi necessarie per un pubblico servizio: ad esempio, se il debitore è una guardia giurata tenuta per legge a detenere un’arma, quell’arma non è pignorabile.
  • Animali domestici: la legge (con modifiche relativamente recenti) ha reso impignorabili gli animali da compagnia che vivono con il debitore, non destinati ad attività produttive o commerciali. Quindi l’ufficiale giudiziario non può pignorare cani, gatti o altri animali d’affezione del debitore. Anche gli animali usati per scopi terapeutici o di assistenza (pet therapy, cani guida per non vedenti, ecc.) sono impignorabili.

Oltre ai beni assolutamente impignorabili, ci sono beni relativamente impignorabili (art. 515 c.p.c.), ossia pignorabili solo in determinate circostanze o parzialmente. Ad esempio, i beni strumentali dell’azienda agricola sono pignorabili solo se non ci sono altri beni e con cautela da parte del giudice; oppure, gli strumenti di lavoro (già citati) se hanno valore significativo potrebbero essere pignorati differendone l’asporto per consentire al debitore di continuare a lavorare sotto controllo del tribunale. Anche i veicoli essenziali per il lavoro possono essere considerati strumenti di lavoro: ad esempio, l’automobile di un rappresentante di commercio potrebbe essere ritenuta funzionale al suo reddito e quindi impignorabile salvo che vi siano altri beni; viceversa, se il veicolo ha un grande valore di mercato e il debito è rilevante, il giudice potrebbe comunque autorizzarne il pignoramento.

Infine, sono previste impignorabilità per disposizioni speciali di legge (fuori dal codice di procedura): ad esempio, alcuni crediti alimentari, sussidi di sostentamento, polizze assicurative prima della liquidazione, ecc., non possono essere aggrediti dai creditori (o solo in parte) secondo il Codice Civile. Ma nel contesto del pignoramento mobiliare presso il debitore, la lista di cui sopra è quella che principalmente interessa.

Beni pignorabili: tutti i beni mobili che non rientrano nelle categorie protette possono essere pignorati. Ad esempio, apparecchi elettronici (TV, computer, smartphone se di valore, elettrodomestici extra non indispensabili), mobili di pregio, gioielli, opere d’arte, denaro contante, collezioni, veicoli, etc. È bene sapere che la legge fa una precisazione: anche se fanno parte dell’arredamento di casa, possono essere pignorati i mobili e oggetti di rilevante valore artistico o di antiquariato, nonché i manoscritti di collezioni. Questo per evitare che qualcuno cerchi di proteggere un bene di lusso dichiarando che è “mobili d’uso quotidiano”: se ha un alto pregio economico, il creditore potrà ugualmente aggredirlo (salvo che rientri nelle categorie sopra dette, es. un quadro in salotto di autore famoso può essere pignorato).

Diritti del debitore durante il pignoramento mobiliare: il debitore ha diritto a che l’esecuzione avvenga nel rispetto della sua dignità e sopravvivenza. L’ufficiale giudiziario non può ad esempio portare via oggetti come il letto o i vestiti lasciando il debitore nell’indigenza. Se il debitore ritiene che siano stati pignorati beni impignorabili (ad esempio l’ufficiale prende la lavatrice, o il frigo, in violazione dell’art. 514 c.p.c.), può segnalarlo immediatamente e, se il pignoramento viene comunque eseguito, potrà agire con un’opposizione agli atti esecutivi per far dichiarare nullo il pignoramento di quei beni. Data la natura imperativa delle norme sull’impignorabilità, un pignoramento eseguito oltre i limiti di legge è radicalmente nullo e tale nullità è rilevabile d’ufficio dal giudice. La Cassazione ha infatti chiarito che la parziale impignorabilità di certi beni (come la pensione, e in generale i limiti posti a tutela del minimo vitale) risponde a esigenze di ordine pubblico, per cui il giudice dell’esecuzione deve anche d’ufficio eliminare un pignoramento che violi tali limiti. Questo principio è applicabile analogicamente anche ai beni mobili impignorabili ex art. 514: se venisse pignorato un bene rientrante tra quelli protetti, l’atto sarebbe nullo.

Dopo il pignoramento mobiliare, i beni vengono in genere custoditi: se restano in casa del debitore, di solito il debitore stesso ne viene nominato custode giudiziario (con l’obbligo di non sottrarli né deteriorarli, ma potendone continuare l’uso normale fino all’asporto o vendita); se invece sono oggetti preziosi o veicoli, possono essere affidati a un custode terzo o portati in deposito. Segue poi la fase di vendita all’asta disposta dal giudice: i beni mobili vengono stimati e messi in vendita (aste pubbliche, o vendita tramite commissionario). Il ricavato andrà a coprire, nell’ordine, le spese di procedura, il credito del procedente e degli eventuali altri creditori intervenuti. Se il ricavato non copre tutto, il debitore resterà comunque obbligato per l’eventuale residuo (che potrà essere oggetto di ulteriori pignoramenti di altri beni, finché non viene soddisfatto interamente o finché non intervengono altre cause estintive).

Va evidenziato che, a differenza del pignoramento immobiliare, per il pignoramento mobiliare non esiste una soglia minima di debito: anche per importi modesti il creditore potrebbe legalmente attivarlo (purché valuti che ne valga la pena). Pignorare mobili usati spesso non porta un grande realizzo (anzi, a volte le aste vanno deserte perché il valore di realizzo è basso e le spese di custodia e vendita scoraggiano l’operazione). Pertanto, nella prassi, crediti di poche centinaia di euro difficilmente giustificano un pignoramento mobiliare, a meno che il creditore voglia esercitare pressione psicologica sul debitore. D’altro canto, non è impossibile: per esempio, nel caso di morosità diffuse condominiali, ci sono stati casi di pignoramento di mobili d’arredo presso gli appartamenti dei condomini morosi, come misura energica di recupero. In ambito di bollette, ciò potrebbe avvenire se un utente moroso, privo di conti o stipendio aggredibili, possiede beni di valore in casa (es. apparecchi elettronici costosi, collezioni, ecc.) e il creditore decide di battere quella strada.

Esempio pratico: Mario ha accumulato €5.000 di bollette telefoniche non pagate per controversie con il gestore. La compagnia ottiene un decreto ingiuntivo, notificato con precetto, ma Mario non paga né si oppone. Il creditore scopre che Mario non ha un lavoro ufficiale né un conto corrente, però risulta proprietario di un’automobile e di alcuni beni in casa. L’ufficiale giudiziario si presenta a casa di Mario e pignora il televisore di alta gamma, un computer e altri oggetti di elettronica, oltre all’auto (procedendo al pignoramento tramite Pubblico Registro Automobilistico). Mario nota che l’ufficiale ha verbalizzato anche la pignorabilità di una stufa a gas che lui usa per scaldarsi, e di un armadio guardaroba. Contestando immediatamente, Mario fa presente che questi beni rientrano tra quelli indispensabili (la stufa per il riscaldamento domestico e l’armadio per i vestiti). Se l’ufficiale insiste, Mario potrà proporre opposizione agli atti esecutivi per far dichiarare la nullità del pignoramento di tali beni. Nel frattempo Mario potrebbe anche valutare la conversione del pignoramento (versando una somma pari al debito per evitare che i beni vengano venduti) o tentare di pagare il dovuto prima dell’asta (magari vendendo lui stesso l’auto ad un prezzo migliore e pagando i creditori, se ancora possibile). Questa simulazione mostra come in sede di pignoramento mobiliare sia essenziale conoscere cosa l’ufficiale può o non può prendere e agire di conseguenza per far valere i propri diritti.

Pignoramento immobiliare

Il pignoramento immobiliare è l’espropriazione forzata che ha ad oggetto beni immobili di proprietà (o comproprietà) del debitore. In altre parole, la casa, il terreno, il fabbricato di cui il debitore risulta proprietario possono essere pignorati e venduti all’asta per soddisfare i suoi debiti. Nel caso di bollette non pagate, il ricorso al pignoramento immobiliare da parte di un creditore privato (come un’azienda di utilities) è meno frequente, specie se il debito è di importo relativamente piccolo: avviare un’esecuzione immobiliare comporta costi significativi e tempi lunghi, quindi in genere i creditori la riservano a casi in cui il credito è consistente o il debitore è gravemente moroso. Tuttavia, non esiste alcun limite di importo minimo per pignorare un immobile da parte di creditori privati. Ciò significa che, in astratto, anche per poche migliaia di euro di bollette arretrate, se rimaste insolute e se il debitore è proprietario di una casa, la società creditrice potrebbe iscrivere ipoteca giudiziale e procedere al pignoramento immobiliare. Questa eventualità per piccole somme è rara ma non impossibile (magari il creditore spera che il solo atto di iscrivere ipoteca induca il debitore a pagare per non rischiare la casa).

Procedura: il pignoramento immobiliare si avvia notificando al debitore un atto di pignoramento immobiliare, che poi viene trascritto nei registri immobiliari e deve essere entro 15 giorni iscritto a ruolo in tribunale. A differenza del mobiliare, qui non c’è un intervento “fisico” immediato: nessuno sfratta il debitore all’atto del pignoramento. L’immobile pignorato rimane nella disponibilità del debitore fino alle fasi avanzate dell’esecuzione. Il tribunale nomina un custode giudiziario (spesso lo stesso debitore, salvo casi particolari) e si procede con la perizia di stima e le pubblicità per mettere l’immobile all’asta. Non esiste un diritto assoluto a conservare l’immobile: se il debitore non paga e il procedimento va avanti, la casa può essere venduta all’asta indipendentemente dal fatto che sia l’abitazione principale o che il debito originario fosse di modesto importo. L’unico limite di carattere generale è per i crediti esattoriali (fiscali) e riguarda la prima casa come vedremo tra poco: ma per creditori privati questo limite non si applica.

Diritti del debitore in caso di casa pignorata: durante la procedura, il debitore ha diritto di continuare a vivere nell’immobile pignorato fino alla vendita (aggiudicazione al miglior offerente). Il tribunale può emettere un ordine di liberazione (sloggio) prima dell’asta solo se il comportamento del debitore ostacola la vendita (ad esempio rifiuta le visite dei potenziali acquirenti, deteriora l’immobile, occupa abusivamente un immobile non suo, ecc.). In assenza di condotte ostruzionistiche, la regola generale – rafforzata da recenti riforme – è che il debitore e la sua famiglia possano restare nell’abitazione pignorata fino all’emissione del decreto di trasferimento in favore dell’acquirente (ossia fino a quando l’asta si conclude con la vendita). Solo dopo la vendita, il giudice dispone la liberazione dell’immobile nei confronti dell’aggiudicatario, esecutiva anche con la forza se il debitore non lascia spontaneamente.

Inoltre, il debitore pignorato non è escluso dalla procedura di vendita: non può partecipare personalmente all’asta per ricomprare il proprio bene (la legge glielo vieta, per evitare manovre speculative), ma i suoi parenti o il coniuge possono partecipare e provare ad aggiudicarsi la casa. Questo significa che, ad esempio, un familiare potrebbe cercare di ricomprare la casa all’asta (spesso a prezzo ridotto) per non farla perdere definitivamente alla famiglia.

Limiti alla pignorabilità immobiliare – il caso della “prima casa”: si sente spesso dire che “la prima casa è impignorabile”. Attenzione: ciò è vero solo per i crediti di natura esattoriale (debiti fiscali verso lo Stato) e a certe condizioni. Se il creditore è un ente pubblico della riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia), la legge prevede una serie di limiti: ad esempio, non si può ipotecare un immobile per debiti sotto 20.000 €, e non si può pignorare il solo immobile di residenza del debitore se il debito è sotto 120.000 € e purché non sia un immobile di lusso (categorie A/1, A/8, A/9 escluse dalla tutela). In sintesi, l’Agente della Riscossione non può pignorare la prima casa del debitore se questa è l’unica di sua proprietà, vi risiede anagraficamente e non è di lusso. Può però pignorare altri immobili (se il debitore, ad esempio, ha terreni o seconde case) o la stessa casa se il debitore possiede anche solo una quota di un altro immobile. Inoltre, per l’esattore valgono soglie: nessun pignoramento immobiliare per debiti sotto 120.000 €, e se superiore a 120.000 € solo se il valore complessivo degli immobili del debitore supera 120.000 €.

Tutto ciò non vale per i creditori privati (banche, finanziarie, fornitori, privati cittadini). Un creditore privato può pignorare anche la casa di abitazione del debitore senza limiti d’importo e anche se è l’unica casa. Quindi, se ad esempio Tizio ha una sola casa in cui vive e accumula 5.000 € di debiti con la società elettrica, quest’ultima – almeno in teoria – potrebbe pignorare la casa. In pratica, come detto, per cifre piccole è più probabile che aggredisca altro (conto, stipendio) perché la via immobiliare è sproporzionata; ma se non trovano altro e il debito cresce (magari più utenze non pagate, interessi, spese legali), l’azione immobiliare resta possibile. Da ricordare: il fatto che il creditore possa non significa che convenga: pignorare e vendere una casa costa (anticipi per perizia, custodia, pubblicità) e richiede tempo (anche anni). Inoltre, se la casa è gravata da ipoteche o ha un valore molto superiore al credito, spesso i creditori minori desistono, soprattutto se ci sono mutui ipotecari in cui la banca ha prelazione sul ricavato.

Difese e particolarità del pignoramento immobiliare: il debitore, appena subisce la notifica del pignoramento immobiliare, ha alcune possibilità specifiche:

  • Può tentare di evitare la vendita utilizzando la conversione del pignoramento (di cui parleremo in dettaglio più avanti, art. 495 c.p.c.), versando una somma a garanzia e chiedendo di pagare il debito a rate invece di perdere l’immobile.
  • Può vendere privatamente l’immobile prima dell’asta, ma attenzione: dopo il pignoramento, ogni atto dispositivo è inefficace rispetto alla procedura (non si può eludere l’asta vendendo a terzi, perché il pignoramento è trascritto e la vendita all’asta prevale). Tuttavia, il debitore può concordare con il creditore la sospensione dell’asta per trovare un acquirente che paghi una somma sufficiente a soddisfare il debito – in tal caso, con l’accordo del creditore e l’autorizzazione del giudice, la procedura può essere estinta per pagamento prima dell’asta. Ad esempio, se un parente è disposto a comprare la casa e a pagare i debiti, questa soluzione extragiudiziale è possibile ma va fatta prima che ci sia l’aggiudicazione in asta.
  • Se la casa pignorata è abitata dal debitore e dalla sua famiglia, questo non impedirà la vendita, ma potrà influire sul valore di vendita (gli acquirenti sanno che dovranno sgomberare l’immobile). In alcuni casi il debitore fa resistenza a lasciare l’immobile sperando che l’asta vada deserta e la procedura si estingua. Da notare: riforme recenti hanno stabilito che, se dopo un certo numero di aste deserte l’immobile non viene venduto, il giudice può estinguere la procedura. Ad esempio, con il codice di procedura novellato, se trascorsi vari tentativi di vendita il bene non viene aggiudicato, il pignoramento immobiliare può essere chiuso senza esito. Questo può dare al debitore una speranza, ma non è una strategia affidabile perché dipende dalle circostanze (numero di tentativi, valutazione del giudice, ecc.). In ogni caso, “resistere” nella casa non è una vera strategia giuridica – rischia anzi di portare a un ordine di sgombero anticipato se il giudice ritiene che il debitore ostacoli la procedura.

Esempio pratico: Luigi ha un piccolo appartamento di proprietà dove risiede. Purtroppo ha accumulato debiti di vario genere, tra cui €8.000 di bollette gas non pagate. La società fornitrice, non ottenendo nulla da conto (vuoto) né stipendio (Luigi è disoccupato), decide di iscrivere ipoteca giudiziale sull’appartamento e procedere col pignoramento immobiliare. Luigi riceve l’atto di pignoramento e cade dalle nuvole: non credeva potessero toccargli la prima casa per “solo” 8.000 €. Si informa e scopre che per un creditore privato purtroppo è lecito. A questo punto, Luigi valuta le mosse:

  • Potrebbe fare opposizione all’esecuzione sostenendo, ad esempio, che il debito non è dovuto perché contestava le bollette in quanto errate. Tuttavia, si accorge che aveva lasciato passare i 40 giorni dall’ingiunzione senza opporsi, quindi quel titolo è definitivo: non può più discutere nel merito se doveva o no quelle somme (salvo eventi successivi, che però non ci sono). Non ha quindi basi solide per un’opposizione all’esecuzione.
  • Potrebbe invece sfruttare la conversione del pignoramento: versa in tribunale, come cauzione, 1/6 del debito (poco più di €1.300) e chiede di pagare il resto a rate mensili, magari in 36 mesi. Se il giudice glielo concede, Luigi potrà salvare la casa pagando ~€200 al mese per tre anni (più interessi legali). Certo, deve racimolare subito la cauzione di 1/6.
  • Se non riesce, l’asta andrà avanti. Luigi comunque potrà restare in casa finché non si vende. Durante questo periodo potrebbe trovare un accordo: magari un parente si offre di coprire gli 8.000 € in cambio di rilevare la casa. Luigi potrebbe allora, con l’avvocato, chiedere al giudice di sospendere la procedura per permettere la vendita privata. Se il creditore è d’accordo (perché tanto otterrebbe il pagamento), il giudice potrebbe autorizzare.
  • In mancanza di accordi, la casa di Luigi verrà stimata e messa all’asta. Poniamo che nessuno la compri nelle prime due aste: il prezzo cala. Alla terza asta qualcuno la prende per €50.000. Luigi ci rimette, perché magari il valore di mercato era €80.000, ma l’asta al ribasso l’ha svalutata. Col ricavato, il creditore bollette prende i suoi €8.000 più spese, il resto (al netto di spese di procedura) torna a Luigi. Luigi però perde la casa. Se invece nessuno l’avesse comprata neanche dopo numerosi tentativi, il tribunale avrebbe potuto chiudere la procedura: Luigi avrebbe tenuto la casa (gravata però ancora dall’ipoteca, e il debito non estinto sarebbe rimasto, anche se di fatto il creditore non avrebbe recuperato).

Questo esempio illustra la severità del pignoramento immobiliare ma anche gli strumenti (conversione, accordi) che il debitore può sfruttare per evitare l’esito peggiore.

Pignoramento presso terzi

Il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione molto utilizzata in Italia, specie per debiti relativamente contenuti come quelli da bollette, perché consente al creditore di attaccare direttamente disponibilità finanziarie del debitore (soldi sul conto, porzioni di stipendio o pensione, crediti vari) presso il soggetto terzo che ne è in possesso o debitore. In pratica, il creditore notifica un atto di pignoramento sia al debitore sia al terzo (banca, datore di lavoro, ente pensionistico, etc.), intimando al terzo di non disporre delle somme dovute al debitore e di versarle invece nella procedura esecutiva.

Le forme più comuni – e che approfondiremo – per i debiti da bollette sono:

  • Pignoramento del conto corrente (il terzo è l’istituto bancario o postale).
  • Pignoramento dello stipendio (il terzo è il datore di lavoro).
  • Pignoramento della pensione (il terzo è l’INPS o altro ente pensionistico).

Vi sono poi altri crediti pignorabili presso terzi: ad esempio i canoni di affitto dovuti da un inquilino al proprietario debitore, i compensi dovuti a un libero professionista dai suoi clienti, i rimborsi dovuti dall’Agenzia delle Entrate (che è un terzo che deve pagare il contribuente), indennità varie, etc. Ma restiamo sulle tipologie più frequenti.

Una volta notificato l’atto, il terzo è obbligato a congelare le somme dovute fino a disposizioni del giudice. Egli dovrà anche rendere una dichiarazione (di solito in via telematica o all’udienza in tribunale) indicando quante somme detiene o deve al debitore. In base a tale dichiarazione il giudice poi emette un’ordinanza di assegnazione al creditore, trasferendo le somme pignorate a soddisfacimento del credito.

Vediamo le sottocategorie:

Pignoramento del conto corrente

Se il debitore ha disponibilità finanziarie depositate in banca o presso Poste Italiane, il creditore può pignorarle notificando l’atto di pignoramento all’istituto (terzo pignorato). Questo pignoramento è particolarmente incisivo: blocca immediatamente le somme sul conto fino a concorrenza del credito precettato. In pratica il giorno stesso in cui la banca riceve l’atto, congela l’importo richiesto (se disponibile sul conto) rendendolo indisponibile al cliente. Il debitore spesso se ne accorge provando a prelevare o pagando qualcosa e trovando il conto “bloccato”. È una situazione spiacevole perché improvvisa, e può creare problemi per i pagamenti correnti (bollette, affitto, spese familiari) che il debitore faceva con quel conto.

Limiti di legge sul conto corrente – somme da stipendio o pensione: bisogna distinguere due situazioni temporali:

  • Se le somme erano già depositate sul conto prima della notifica del pignoramento, la legge prevede una tutela parziale solo per i depositi derivanti da accrediti di stipendio o pensione. In particolare, l’art. 545 c.p.c. comma 8 stabilisce che, se sul conto ci sono somme che rappresentano stipendi o pensioni già versati in precedenza, tali somme sono impignorabili nei limiti di tre volte l’assegno sociale. Significa che la banca dovrà lasciare libero un importo pari a tre mensilità di assegno sociale, e solo l’eventuale eccedenza potrà essere bloccata. Per fare un esempio concreto, l’assegno sociale (misura 2024) è circa €534,41 al mese; il triplo è circa €1.603,23. Quindi, se al momento del pignoramento il conto del debitore contiene €3.000 derivanti da stipendi accumulati, la banca dovrà lasciargli intoccabili €1.603,23 e potrà vincolare la differenza (~€1.396,77) per il pignoramento. Se sul conto c’erano meno di €1.603,23 totali, non verrà bloccato nulla (resta tutto al debitore). Questa soglia vale solo per somme da lavoro o pensione già accreditate e risparmiate.
  • Se le somme vengono accreditate dopo la notifica del pignoramento (ad es. lo stipendio del mese che arriva sul conto pignorato), allora si applicano i limiti ordinari di pignoramento di stipendi e pensioni “alla fonte”. In pratica, dal giorno del pignoramento in poi, il terzo (banca) quando riceve nuovi accrediti di stipendio/pensione deve trattenerli nei limiti di un quinto (o minor percentuale se previsto, vedi oltre) come se fosse un datore di lavoro. Dunque, la parte di stipendio eccedente i limiti andrà anch’essa vincolata. Spiegando: se il conto di Tizio viene pignorato oggi, e domani gli arriva lo stipendio di €1.500, la banca dovrebbe lasciargli sul conto la parte impignorabile (che vedremo essere 4/5 se stipendio, quindi €1.200) e trattenere €300 destinandoli al pignoramento. Di fatto, il pignoramento sul conto tende a trasformarsi, per le nuove entrate, in una sorta di prelievo con le stesse regole del pignoramento dello stipendio.

Tuttavia va chiarito un aspetto tecnico: il pignoramento del conto corrente colpisce le somme esistenti al momento della notifica e, secondo orientamenti, anche quelle che affluiscono successivamente fino all’udienza di assegnazione. Dopo l’assegnazione, eventuali ulteriori accrediti non sono automaticamente inclusi (servirebbe un nuovo pignoramento). In pratica, se il creditore pignora il conto oggi, la banca blocca ciò che c’è oggi e nei giorni seguenti fino alla dichiarazione che renderà al giudice. Una volta che il giudice assegna quelle somme, il conto viene “liberato” dal vincolo salvo che il credito non sia stato soddisfatto integralmente (se resta un residuo, il creditore dovrà eventualmente rifare un altro pignoramento su future disponibilità). Ciò significa che se il debitore, dopo la chiusura di quel pignoramento, riceve nuovo stipendio sul conto, questo non è più vincolato da quell’atto (a meno che il procedimento resti pendente per ulteriori rate, scenario complesso). In sintesi: il pignoramento sul conto è istantaneo e non continuativo, diversamente dal pignoramento presso datore di lavoro che è continuativo.

In ogni caso, la presenza del limite del triplo dell’assegno sociale è stata introdotta per evitare che, pignorando un conto a fine mese, al debitore venisse sottratta per intero magari la pensione già accreditata lasciandolo senza mezzi. Oggi almeno un cuscinetto di circa €1.600 (valore 2024, soggetto a variazione con l’assegno sociale) è garantito al debitore sul conto pignorato, se quel conto conteneva somme da stipendio/pensione. Attenzione: se sul conto c’erano risparmi non provenienti da lavoro (ad es. vendite di beni, donazioni, ecc.), la legge non li protegge: in teoria sarebbero interamente pignorabili. La banca ovviamente non può distinguere facilmente la provenienza del denaro: in pratica applica la regola del triplo assegno solo se l’accredito è riconoscibile (di solito lo stipendio/pensione ha causali note, oppure su richiesta del debitore con prove).

Altri limiti particolari: se il conto è cointestato (es. marito e moglie), il pignoramento di regola incide solo sulla quota di spettanza del debitore. In mancanza di altre prove, si presume che in un conto cointestato a due persone, metà saldo sia di uno e metà dell’altro. Quindi, il creditore di uno dei cointestatari potrà pignorare solo la presunta metà. Il cointestatario non debitore può poi fare opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.) se ritiene che la ripartizione non fosse 50/50 ma ad esempio le somme erano tutte sue. È una complicazione che spesso porta le banche a congelare tutto il saldo e attendere istruzioni del giudice. Comunque è bene sapere che la presenza di cointestatari non mette totalmente al riparo: al più dimezza presuntivamente l’importo aggredibile.

Come difendersi da un pignoramento del conto: la difesa qui può consistere nel:

  • Verificare che la banca/apply correttamente i limiti (triplo assegno se applicabile). In caso contrario, segnalarlo immediatamente tramite il proprio legale in udienza al giudice dell’esecuzione.
  • Se il pignoramento è viziato da irregolarità formali (es. atto incompleto, notificato in modo errato), proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni.
  • Se vi sono motivi sostanziali (il debito non sussiste, ecc.), valutare opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. Se però c’è un titolo valido (es. decreto ingiuntivo non opposto), le chance di contestare il merito sono praticamente nulle a questo punto.
  • Negoziare con il creditore: a volte, di fronte a un pignoramento su conto, il debitore può contattare il creditore e proporre un accordo di pagamento. Se il creditore accetta e l’importo viene pagato (o pianificato), il creditore può rinunciare o sospendere la procedura e la banca sbloccherà i fondi. Questa è spesso una soluzione pragmatica: il debitore magari trova i soldi da parenti per saldare subito una parte, e il creditore preferisce incassare subito e liberare il conto piuttosto che attendere i lunghi tempi dell’esecuzione.
  • Cambio di conto e protezione futura: una volta subito un pignoramento su un conto, è consigliabile non accumulare altre somme su quello stesso conto fino a definizione, perché potrebbero venire catturate. Molti debitori, dopo un pignoramento, chiudono il conto e ne aprono un altro altrove (che il creditore per ora non conosce) per evitare futuri blitz. Naturalmente, se il creditore scoprirà il nuovo conto, potrà pignorare anche quello. È una sorta di “gara” di informazioni.

Pignoramento dello stipendio

Il pignoramento dello stipendio presso il datore di lavoro è una forma di esecuzione efficacissima per il creditore, perché consente di ottenere mese per mese una parte della retribuzione del debitore fino a soddisfazione del credito. Per il debitore, significa vedersi decurtare lo stipendio di una certa quota fissa direttamente in busta paga, prima ancora che il denaro arrivi nelle sue mani.

Procedura: il creditore notifica l’atto di pignoramento al datore di lavoro (oltre che al debitore). Da quel momento il datore (terzo pignorato) ha l’obbligo di accantonare una parte della retribuzione del dipendente-debitore anziché corrispondergliela interamente. La parte accantonata è quella pignorabile per legge. Il datore dovrà dichiarare all’atto di pignoramento l’entità dello stipendio e l’eventuale esistenza di altri pignoramenti o cessioni in corso. Il giudice quindi emetterà ordinanza disponendo che il datore versi la quota pignorata, di solito accumulandola e girandola al creditore periodicamente (es. ogni mese o ogni bimestre, spesso si fa con mandato di pagamento ogni semestre, ma il meccanismo varia leggermente in base al tribunale).

Limiti di pignorabilità dello stipendio: la legge prevede che lo stipendio (così come il salario o altre indennità di lavoro) sia pignorabile solo entro una certa quota, per garantire al lavoratore un minimo di reddito per vivere. In generale, l’art. 545 c.p.c. stabilisce che la quota massima pignorabile è un quinto (20%) del netto. Questo vale per la gran parte dei crediti (creditori privati in genere). Significa che se percepisco €1.500 netti al mese, al massimo €300 possono essermi trattenuti come pignoramento, lasciandomi €1.200.

Ci sono alcune eccezioni/varianti:

  • Crediti alimentari (es. mantenimento dovuto ai figli o al coniuge separato): in caso di pignoramento per alimenti, il giudice può autorizzare una quota maggiore, anche un terzo o metà, a seconda delle necessità e delle circostanze, perché i crediti alimentari godono di tutela più forte. Ma non è il caso dei crediti da bollette, che non sono alimentari.
  • Crediti verso lo Stato, enti locali (es. tributi): per i debiti fiscali, come accennato, esiste una norma speciale (art. 72-ter DPR 602/1973) che stabilisce aliquote di pignoramento decrescenti in base allo stipendio: 1/10 per stipendi fino a €2.500, 1/7 (circa 14,3%) tra €2.500 e €5.000, 1/5 oltre €5.000. Questo riguarda l’Agente della Riscossione, non i creditori privati. Quindi, se la bolletta fosse diventata un debito verso il Comune (ad esempio bollette acqua gestite dal Comune come tariffa, assimilabile a tributo locale), e si agisse ex DPR 602/73, si applicherebbero quelle percentuali. Ma per creditori privati (come le società di luce, gas, telefono) si applica la regola generale: 1/5 dello stipendio netto.
  • Stipendi molto bassi: la normativa non prevede una soglia di impignorabilità per gli stipendi come invece per le pensioni. Quindi teoricamente anche chi guadagna €600 netti potrebbe subire un pignoramento di €120 (1/5). Tuttavia, una giurisprudenza ha talvolta fatto riferimento al concetto di “minimo vitale” estendendolo analogicamente ai lavoratori, ma formalmente la legge non prevede un minimo assoluto non toccabile per stipendio (ci sono proposte di legge in materia, ma al 2025 nulla di concretizzato per i privati). Solo per i dipendenti pubblici esistono vecchie norme (DPR 180/1950) che di fatto dicono la stessa cosa (pignorabilità 1/5, salvo alimenti).
  • Cumulo di più pignoramenti sullo stesso stipendio: se un debitore ha più creditori che pignorano lo stipendio, la legge stabilisce che la somma delle trattenute non può superare la metà dello stipendio, e più precisamente:
    • Se tra i pignoramenti ce n’è almeno uno per alimenti (mantenimento familiare), allora la quota pignorata complessivamente può arrivare fino al 50% dello stipendio. Quindi, ad esempio, 1/3 per alimenti + 1/5 per altro credito = circa 53% teorico, ma qui la legge direbbe di rientrare nel 50%. In pratica, il giudice in questi casi modula le percentuali per non superare la metà.
    • Se i pignoramenti sono tutti per crediti ordinari (non alimentari), la regola è che comunque non si superi 1/5 in totale. Questo implica che se un secondo creditore arriva mentre il primo già prende 1/5, il secondo può al più attendere che il primo finisca, oppure partecipare alla distribuzione di quello stesso quinto (concorso sul medesimo quinto). La norma infatti parla di “concorso di crediti diversi da quelli alimentari: limite 1/5”. Quindi due creditori ordinari non prendono 1/5 ciascuno (che sarebbe 2/5), ma dividono quel 20%. Ciò ovviamente allunga i tempi per loro, ma tutela il reddito del debitore.
    • In sintesi: stipendio pignorato al massimo metà se ci sono alimenti in mezzo, altrimenti massimo un quinto totale.

Stipendio già percepito sul conto: attenzione a non confondere: la regola del quinto si applica alla fonte, cioè sul flusso di stipendio che il datore deve al lavoratore. Se però il lavoratore ha già ricevuto lo stipendio e l’ha messo sul conto, e poi il creditore pignora il conto, allora vale la regola del triplo assegno sociale di cui sopra per ciò che è già sul conto. Dunque le tutele si sommano: prima di accreditare, 1/5 viene trattenuto; ciò che arriva sul conto beneficia (se non speso) della franchigia di ~€1.600.

Esempio numerico: Debitore dipendente con stipendio netto €1.200/mese. Un creditore di bollette ottiene pignoramento: il datore dovrà trattenere 1/5 = €240 al mese. Al debitore saranno versati €960. Se quei €960 vanno su conto pignorato, la banca deve lasciargli intoccato fino a €1.600, quindi quel mese nulla di ulteriore viene preso (perché 960 < 1600). Se il debitore non spende e accumula vari mesi, appena il saldo supera €1.600, l’eccedenza sarebbe pignorabile sul conto.

Difesa del debitore sul pignoramento dello stipendio: qui i margini sono ridotti perché la trattenuta è automatica. Il debitore può però:

  • Verificare che la quota trattenuta sia corretta. Se per errore il datore trattenesse più del dovuto, il debitore può segnalarlo e agire per far correggere (il giudice dell’esecuzione va informato). Va detto che spesso i datori di lavoro sono cauti e trattengono esattamente il 20%, salvo diversa indicazione del giudice.
  • Se il debitore ritiene di avere eventi sopravvenuti che riducono la sua capacità (es. un peggioramento economico, licenziamento, cassa integrazione), può chiedere al giudice una revisione? In realtà, il giudice non può ridurre la quota sotto i limiti di legge perché quelli sono già minimi. Però se lo stipendio diminuisce, automaticamente anche 1/5 diminuisce in valore assoluto.
  • Se ritiene che il pignoramento sia viziato o il debito non dovuto, può fare opposizione come sempre (617 o 615 a seconda dei casi).
  • Nel caso di più pignoramenti, può chiedere al giudice che sia rispettato il limite del cumulo (ma anche il datore/terzo deve saperlo).
  • Conversione del pignoramento: è applicabile anche qui, teoricamente. Il debitore potrebbe, prima che il giudice assegni formalmente, depositare somma e chiedere conversione, ma è meno frequente nei presso terzi. Più comune è convertire per mobili o immobili. Tuttavia nulla vieta di pagare il debito residuo in un’unica soluzione e chiudere la procedura (magari se il debitore ottiene un prestito da parenti per estinguere il debito e togliersi la trattenuta mensile).
  • Contestare eventuali errori del datore di lavoro: Se il datore, invece di accantonare e aspettare l’ordine del giudice, versa erroneamente soldi al lavoratore o sbaglia dichiarazione, potrebbero sorgere questioni. Ma queste riguardano più il creditore insoddisfatto che il debitore.

In generale, la “difesa” migliore in caso di stipendio pignorato è organizzare il proprio bilancio sulla nuova base (sapendo che si ha l’80% circa dello stipendio) ed eventualmente cercare di saldare il debito per liberare lo stipendio il prima possibile. Non di rado, quando la trattenuta in busta paga appare, il debitore è spinto a trovare un accordo col creditore (ad esempio pagando con un finanziamento) per togliersi quel peso.

Pignoramento della pensione

Il pignoramento della pensione funziona in modo analogo a quello dello stipendio: il creditore notifica l’atto all’ente pensionistico (INPS, fondo pensione, ecc.) e a partire da quel momento l’ente dovrà accantonare una quota della pensione mensile e versarla nella procedura esecutiva, nei limiti di legge.

Limiti di pignorabilità della pensione: qui la legge è più protettiva che per lo stipendio. Oltre al limite generale del quinto, c’è una soglia di impignorabilità assoluta su ogni pensione, corrispondente a una cifra fissata per legge. Dal 2022, grazie al Decreto Aiuti-bis, questa soglia è stata elevata a due volte l’assegno sociale (prima era 1,5 volte). Inoltre è previsto un minimo di €1.000: se il doppio dell’assegno sociale risultasse inferiore a 1000, si considera comunque 1000€ intoccabili (ormai però l’assegno sociale è tale che il doppio è superiore a 1000, quindi di fatto vale il doppio). Dunque, ad esempio, con assegno sociale 2024 di €534,41, la soglia impignorabile sulla pensione è €1.068,82. Significa che una pensione fino a circa €1.068 al mese è impignorabile in toto. Solo la parte eccedente tale soglia può essere colpita dal pignoramento, e comunque sempre nel limite di 1/5. L’INPS applica questa regola automaticamente.

Facciamo un esempio: pensione di €1.500 mensili netti. Soglia non pignorabile: ~€1.069. La parte eccedente è €431. Di questa eccedenza, un quinto è €86,2. Quindi il pignoramento prenderà €86 circa al mese, lasciando al pensionato €1.413,8. Il prelievo effettivo è meno del 6% della pensione in questo caso, grazie alla franchigia iniziale. Se la pensione fosse €1.000, che è sotto soglia ~1069, non si può pignorare nulla: il creditore non può toccare quella pensione minima vitale. Per pensioni più alte, si applicano le fasce progressive: fino alla soglia nulla, oltre soglia fino a 5x assegno sociale comunque massimo 1/5 ecc. In pratica, nessun pensionato può vedersi portare via più di 1/5 e comunque deve sempre restargli in mano almeno due assegni sociali. Questo è un principio fortemente tutelato anche dalla Cassazione, che ha dichiarato nullo qualsiasi pignoramento che violi tali limiti, in quanto volto a garantire il diritto costituzionale ad una esistenza dignitosa del pensionato.

Un ulteriore aspetto: se la pensione viene accreditata in banca, e poi la banca viene pignorata, torna la regola del triplo assegno sul conto. Per le pensioni c’è un dettaglio: la soglia di impignorabilità mensile (doppio assegno) e quella del triplo assegno su conto non vanno confuse. In pratica:

  • L’INPS paga la pensione al netto di 1/5 eccedente soglia (quindi già lascia intatto il minimo vitale).
  • Quando quei soldi arrivano sul conto, il conto gode di un’ulteriore tutela: tre volte assegno sociale (che è più alta di due volte, quindi in realtà sul conto c’è margine ulteriore).

Esempio: pensione €1.200. Soglia ~1069, eccedenza ~131, quinto di eccedenza ~26 euro. L’INPS trattiene €26 e accredita €1.174 sul conto. La banca, vedendo un accredito di pensione, deve lasciare triplo assegno ~1603 immune: ma c’è solo 1174, quindi non blocca nulla. Quindi quel mese niente altro. Se il pensionato accumula soldi sul conto oltre 1600, l’eccedenza può essere presa. In sintesi, il pensionato pignorato vede un taglio minimo sul suo assegno mensile e può anche accumulare qualche risparmio protetto fino a certi limiti.

Cumulo di pignoramenti sulla pensione: analogamente allo stipendio, se ci sono più creditori, valgono gli stessi criteri: non oltre metà in caso di concorso con alimenti (ad esempio, un ex coniuge che pignora alimenti e un altro creditore che pignora ordinario – in totale massimo 50%), e per crediti ordinari multipli insieme comunque max 1/5 in totale.

Difese del debitore pensionato: oltre alle opposizioni generali già viste:

  • Verificare che l’ente erogatore applichi correttamente la soglia. L’INPS dal 2023 ha aggiornato i suoi sistemi con la soglia di €1000 minimo (che per la pensione minima in realtà è venuta ad essere 1,5x assegno prima, poi 2x). Ci sono state circolari INPS nel 2022-2023 a riguardo. Se per errore venisse pignorata una pensione sotto il minimo, il debitore può immediatamente far valere la nullità di quell’atto (anche il giudice può rilevarla d’ufficio).
  • Anche per la pensione, la conversione del pignoramento è teoricamente possibile (depositare un capitale per estinguere la procedura). Ma spesso i pensionati puntano più a far valere l’impignorabilità o la riduzione della quota se c’è qualche errore.

In conclusione, stipendio e pensione pignorati offrono al debitore la “consolazione” di poter comunque contare su una parte del reddito: almeno 4/5 dello stipendio e almeno circa 2 assegni sociali per la pensione sono garantiti per legge come mezzi di sussistenza. Questo è un punto fermo della tutela del debitore in Italia: nessuno può essere ridotto alla miseria assoluta da un pignoramento, poiché la legge impedisce di intaccare quel minimo vitale.

Riassumiamo nella tabella seguente le principali tipologie di pignoramento con l’oggetto, le caratteristiche e i limiti di pignorabilità, nonché alcune note sulle difese specifiche:

Tabella riepilogativa – Tipi di pignoramento e limiti di legge

Tipo di pignoramentoOggetto (cosa viene pignorato)Caratteristiche principaliLimiti di pignorabilitàNote difensive
Mobiliare presso debitoreBeni mobili materiali del debitore (arredi, elettrodomestici, gioielli, contanti, veicoli, etc.) rinvenuti dall’ufficiale giudiziario presso l’abitazione o altri locali del debitore.– L’U.G. accede ai locali, redige verbale elencando i beni pignorati. – Il debitore spesso nominato custode dei beni (restano in loco fino a vendita). – Segue vendita all’asta degli oggetti.Beni assolutamente impignorabili ex art. 514 c.p.c.: cose sacre, letto, tavolo e sedie, armadio, frigorifero, cucina, lavatrice, abiti, biancheria, utensili casa, scorte cibo per 1 mese, strumenti di lavoro, animali da compagnia, oggetti di culto, medaglie, ecc. – Beni relativamente impignorabili ex art. 515: strumenti di lavoro pignorabili solo se mancano altri beni e con cautela del giudice; beni dell’azienda agricola con limiti, etc. – Beni di elevato valore artistico/antiquario: pignorabili anche se in casa (non coperti dall’esenzione).– Debitore può segnalare beni impignorabili all’U.G. e successivamente opporsi ex art. 617 c.p.c. se vengono pignorati illecitamente (es. pignorata lavatrice, violazione di legge). – Pignoramento di bene impignorabile = atto nullo (nullità rilevabile d’ufficio). – Possibile chiedere riduzione del pignoramento ex art. 496 c.p.c. se sono stati pignorati beni di valore eccessivo rispetto al debito. – Conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c. possibile (versando 1/6 del debito a cauzione e chiedendo rateizzazione fino a 48 mesi) per evitare la vendita.
ImmobiliareBeni immobili (case, appartamenti, terreni) di proprietà o comproprietà del debitore.– Si avvia con atto di pignoramento notificato e trascritto nei registri immobiliari. – Custodia: solitamente il debitore rimane custode e continua ad abitare l’immobile fino all’aggiudicazione. – Il bene viene stimato da un perito e messo in vendita tramite aste giudiziarie. – Il debitore non può partecipare all’asta, ma i parenti sì.Nessun limite d’importo per creditori privati: anche la prima casa può essere pignorata indipendentemente dal valore del debito. – Limiti per crediti fiscali (Equitalia): no ipoteca sotto €20.000; no pignoramento se debito < €120.000 e patrimonio immobiliare ≤ €120.000; impignorabile prima casa (unica abitazione non di lusso) per l’Agente Riscossione. (Questi limiti NON valgono per creditori ordinari). – Abitata da soggetti fragili: nessuna esenzione legale per presenza di minori, anziani o disabili in casa (a differenza di quanto molti pensano). Solo la disciplina fiscale prevede qualche tutela specifica.Opposizione all’esecuzione: valutare se il titolo è valido (difficile opporsi se esiste decreto ingiuntivo definitivo, salvo motivi sopravvenuti). – Sospensione della vendita: possibile chiedere al G.E. sospensione ex art. 624 c.p.c. per gravi motivi (ad es. opposizione in corso, trattative in corso). – Conversione del pignoramento: strumento chiave – depositare almeno 1/6 del debito e chiedere di sostituire il bene con denaro rateizzato (max 48 mesi), evitando la vendita forzata. – Accordo privato e saldo del debito: il debitore può cercare un accordo col creditore per vendere l’immobile privatamente o ottenere un mutuo, pagando il dovuto e facendo cessare l’esecuzione (richiede collaborazione del creditore). – Contestare stime errate: il debitore può far rilevare eventuali errori grossolani nella perizia di stima (es. valore troppo basso) tramite istanze al G.E., per evitare svendite. – Post-aggiudicazione: dopo la vendita, pochi rimedi (eventuale opposizione agli atti se vi sono vizi nella procedura d’asta, entro termini ristretti).
Presso terzi – Conto correnteSaldo attivo di conto corrente bancario o postale intestato al debitore, inclusi depositi, libretti, ecc.– Atto notificato alla banca (terzo) e al debitore. – La banca blocca le somme fino a concorrenza del credito. – Il terzo rende dichiarazione sul saldo e su eventuali altri rapporti (es. depositi titoli). – Il giudice assegna le somme pignorate al creditore con ordinanza (nei limiti dichiarati). – Effetto istantaneo sul saldo: il conto viene “congelato” parzialmente o totalmente.Somme già depositate derivanti da stipendio/pensione: impignorabili fino a 3 volte l’assegno sociale (circa €1.600 ad oggi). L’eccedenza oltre tale importo è pignorabile integralmente (nei limiti del dovuto). – Somme di altra origine: pignorabili senza limiti (il terzo blocca fino a copertura integrale del credito). – Nuovi accrediti dopo il pignoramento: anch’essi vincolati, ma soggetti ai limiti di pignorabilità propri (stipendi/pensioni futuri vanno trattati col limite del quinto come se fossero pignorati alla fonte). Il pignoramento sul conto in genere copre ciò che esiste al momento e fino all’assegnazione; crediti sopravvenuti dopo possono richiedere nuovo pignoramento. – Conti cointestati: di norma si presume pignorabile solo la quota del debitore (es. 50%), salvo prova diversa. – Assegni circolari/depositi a termine: sono considerati saldo disponibile e inclusi.Verifica applicazione soglia 3x sociale: il debitore deve controllare che la banca abbia lasciato sul conto l’importo impignorabile (in genere lo fa automaticamente). Se non l’avesse fatto, il debitore può segnalarlo al giudice. – Opposizione agli atti: possibile se l’atto di pignoramento presenta vizi formali o di notifica (entro 20 gg ex art. 617). – Opposizione all’esecuzione: se si contesta il diritto di procedere (ma avendo un titolo esecutivo valido è raro sia accoglibile). – Accordo col creditore: molto efficace in questa fase: se il debitore riesce a negoziare (pagamento parziale immediato, rate, ecc.), il creditore può rinunciare al pignoramento e la banca sblocca il conto. – Cambiare banca: il debitore può aprire un nuovo conto altrove per ricevere entrate future, poiché il conto pignorato sarà parzialmente inutilizzabile. Attenzione però a eventuali nuovi pignoramenti su nuovi conti se scoperti. – Esigenze urgenti: se sul conto c’erano soldi per affitto, cure mediche, ecc., il debitore può chiedere al giudice di liberare una parte delle somme per necessità vitale immediata (non sempre accolto, ma tentabile con istanza motivata).
Presso terzi – StipendioQuote della retribuzione netta dovuta al debitore dal suo datore di lavoro (pubblico o privato).– L’atto notificato al datore e al lavoratore. – Il datore è tenuto per legge a trattenere mensilmente la quota pignorata dallo stipendio e a conservarla per il creditore. – Il terzo (datore) dichiara l’ammontare dello stipendio e se ci sono altri pignoramenti o cessioni in corso. – Il giudice, verificati i limiti, assegna la quota (spesso dispone che il datore versi le somme, ad es., ogni sei mesi in un unico importo accumulato). – Il pignoramento ha natura continuativa: prosegue ogni mese finché il debito (più spese e interessi) è estinto, salvo concorsi.Quota pignorabile ordinaria: massimo 1/5 (20%) dello stipendio netto. – Se coesistono pignoramenti per crediti diversi:
- con almeno un credito alimentare (es. mantenimento figli/ex coniuge): totale trattenute ≤ 50% dello stipendio:contentReference[oaicite:100]{index=100};
- tutti crediti non alimentari: totale ≤ 1/5 (i creditori concorrono sul medesimo quinto):contentReference[oaicite:101]{index=101}.

Debiti fiscali (Agenzia Entrate Riscossione): aliquote ridotte per fasce:
– stipendio ≤ €2.500: pignorabile 1/10 (10%);
– €2.500 < stip ≤ €5.000: 1/7 (~14,3%);
– > €5.000: 1/5.
(Queste percentuali non valgono per creditori privati, che restano al 20%). – Stipendi di importo esiguo: non c’è una soglia di impignorabilità assoluta (teoricamente anche stipendio di €600 subisce 1/5 = €120). Tuttavia, in pratica stipendi molto bassi raramente vengono pignorati perché c’è poco margine, e comunque rimane al lavoratore la maggior parte (es. 80% di 600 = €480). | – Opposizione 615/617: possibili come per gli altri pignoramenti (vizi del titolo o dell’atto). Spesso però, con titolo valido, non c’è margine di contestazione. – Verifica cumulo pignoramenti: il debitore può far presente al giudice se già subisce altre trattenute (pignoramenti o cessioni del quinto) per garantire che il limite (metà stipendio) non venga superato. Il giudice coordina eventualmente le procedure. – Riduzione volontaria: il debitore, d’accordo con il creditore, può sempre pagare di più volontariamente per finire prima (ma il creditore non può pretendere oltre 1/5 per legge, salvo alimenti). Se dispone di fondi, può proporre di saldare il residuo in un’unica soluzione in cambio della chiusura anticipata dell’esecuzione. – Conversione del pignoramento: poco comune in questa sede, ma possibile – depositare importo e ottenere di pagare ratealmente (per stipendio, spesso inutile perché il pagamento è già rateale di per sé via stipendio; la conversione ha senso se il debitore trova una somma per chiudere tutto e vuole evitare ulteriori trattenute). – Cambio lavoro: se il debitore cambia datore, il pignoramento segue? Il titolo vale, ma bisogna notificare un nuovo atto al nuovo datore. Il debitore che cambia impiego temporaneamente sfugge alla trattenuta finché il creditore non pignora di nuovo presso il nuovo datore. Tuttavia non pagare non estingue il debito, accumula semmai più interessi. Non è quindi soluzione, a meno di utilizzare quel periodo per negoziare una soluzione con il creditore. |
| Presso terzi – Pensione | Quota della pensione netta dovuta all’assistito dall’ente pensionistico (es. INPS). | – L’atto notificato a INPS (o cassa pensione) e al pensionato. – L’ente trattiene mensilmente la quota pignorata dall’assegno pensionistico prima di accreditarlo. – Il terzo dichiara l’importo della pensione mensile e altri eventuali pignoramenti. – Il giudice assegna la quota pignorata con provvedimento, analogamente allo stipendio. – Anche qui pignoramento continuativo fino a integrale soddisfo. | – Soglia impignorabile assoluta: una somma pari a 2 volte l’assegno sociale (aggiornato INPS) è sempre esente. Allo stato attuale ~€1.070 mensili (minimo €1.000 anche se 2x ass. soc. fosse inferiore). – Quota pignorabile oltre soglia: massimo 1/5 della parte eccedente il minimo vitale. – Cumulo pignoramenti multipli: stesse regole dello stipendio (max 50% se c’è concorso con alimenti; max 1/5 totale se più crediti ordinari). – Esempio: Pensione €1.500; soglia ~1.068 non toccabile; eccedenza ~€432; pignorabile 1/5 di 432 = ~€86. Il pensionato riceverà ~€1.414 e €86 andranno al creditore. Pensione €900: sotto soglia -> impignorabile del tutto. | – Impossibilità di incidere sotto il minimo vitale: il debitore pensionato deve sapere che se la sua pensione è pari al minimo vitale o appena sopra, potrebbe invocare immediatamente la cessazione del pignoramento per mancanza di capienza legale. Il giudice e l’INPS lo sanno già, ma qualora per errore partisse un pignoramento su pensione minima, va fatta opposizione (o istanza) perché è atto nullo. – Verifica calcoli INPS: in genere l’INPS applica automaticamente la formula. Il pensionato può controllare il cedolino: se vedesse trattenute errate, deve segnalarlo. – Opposizione e sospensione: come per stipendio. Spesso, data la maggior tutela, l’opposizione verte solo su questioni formali, perché sul merito il titolo è già cosa giudicata. – Riduzione del carico: se possibile, concordare col creditore un pagamento stralcio (es. con aiuto familiari) per far cessare la trattenuta, può essere opportuno. In mancanza, almeno la legge lo protegge sul minimo per vivere. – Trasferimento pensione estera: se un pensionato trasferisce la pensione all’estero, potrebbero sorgere complicazioni per il creditore (difficoltà a pignorare su enti esteri). Tuttavia, questa non è propriamente una “difesa” riconosciuta, e comporta implicazioni pratiche notevoli (residenza all’estero, etc.). |

(Legenda: U.G. = ufficiale giudiziario; G.E. = giudice dell’esecuzione.)

Come si evince dalla tabella, ciascun tipo di pignoramento ha specifici strumenti di tutela passiva per il debitore (limiti di impignorabilità, frazioni massime, soglie). Queste previsioni di legge sono automatiche e non richiedono al debitore di attivarle: il giudice e l’ufficiale giudiziario devono rispettarle d’ufficio. Ciò nonostante, il debitore deve essere vigile e, se nota abusi o errori (ad es. pignoramento di bene non pignorabile, prelievo su pensione minima, superamento di limiti), deve prontamente farlo rilevare e agire legalmente perché siano corretti.

Nei capitoli successivi passeremo ad analizzare le strategie difensive attive che il debitore può mettere in campo una volta che la procedura esecutiva è avviata o imminente. Si tratta delle varie forme di opposizione all’esecuzione, di opposizione agli atti esecutivi, delle richieste di sospensione e dell’istanza di conversione del pignoramento/rateizzazione del debito. Questi strumenti, a differenza delle protezioni di legge finora descritte, richiedono un’azione da parte del debitore (spesso tramite il suo avvocato) davanti all’autorità giudiziaria. Vediamo dunque in dettaglio come e quando usarli.

Come difendersi dal pignoramento: strumenti giuridici successivi all’avvio

In questa sezione affrontiamo le possibili strategie difensive che il debitore può adottare dopo che il creditore ha avviato la fase esecutiva, ovvero successivamente alla notifica del titolo e del precetto e anche a pignoramento già eseguito. Ricordiamo che per “difesa” intendiamo essenzialmente l’utilizzo dei rimedi processuali previsti dal codice di procedura civile per far valere diritti o vizi nel contesto dell’esecuzione forzata. Non tratteremo i consigli di prevenzione (come contattare prima il creditore per un accordo, che è più una strategia extra-giudiziale), ma gli strumenti formali: opposizione a decreto ingiuntivo, opposizione all’esecuzione, opposizione agli atti esecutivi, istanza di sospensione dell’esecuzione e la conversione del pignoramento (che di fatto è una modalità per rateizzare il debito ad esecuzione iniziata).

È fondamentale, per chi subisce un pignoramento, agire tempestivamente se intende contestare qualcosa: molti rimedi hanno termini perentori (ad esempio 20 giorni per contestare vizi di notifica di un atto esecutivo) e in generale prima si interviene più si possono evitare danni (come la vendita di un bene).

Esamineremo ciascuno strumento in dettaglio, specificando quando è opportuno, cosa consente di ottenere, come attivarlo e quali sentenze o norme chiave lo regolano.

Opposizione a decreto ingiuntivo

Cos’è: l’opposizione a decreto ingiuntivo (anche detta semplicemente “opposizione a ingiunzione” o “fare opposizione al decreto”) è l’atto con cui il debitore ingiunto contesta la pretesa del creditore aprendo un giudizio ordinario. Tecnicamente è un atto di citazione che il debitore (opponente) notifica al creditore entro 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, citandolo davanti al tribunale (o giudice di pace) che ha emesso l’ingiunzione. L’opposizione trasforma il procedimento monitorio in un giudizio a cognizione piena, in cui il giudice dovrà, dopo aver sentito entrambe le parti e valutato le prove, confermare, revocare o modificare il decreto ingiuntivo.

Quando utilizzarla: questa è la prima linea di difesa, a monte del pignoramento. Se il debitore ritiene che la bolletta non pagata non fosse in realtà dovuta (per motivi di merito: errore di fatturazione, prescrizione del credito, servizi non erogati, importi contestati, ecc.) oppure riscontra vizi nel procedimento monitorio (es. incompetenza del giudice, vizio di notificazione del decreto, mancanza dei presupposti per l’ingiunzione), deve assolutamente proporre opposizione entro 40 giorni. Trascorso quel termine, il decreto diventa definitivo e non sarà più possibile discutere la fondatezza del credito in sede di opposizione all’esecuzione (salvo casi eccezionali come nullità radicali o opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. se c’è stata mancata conoscenza del decreto per irregolarità di notifica).

Nel contesto delle bollette, motivi tipici di opposizione possono essere:

  • Contestazione del credito: ad esempio, “non devo quella somma perché la bolletta è errata, il contatore era malfunzionante, ho già pagato parte, mi avevano promesso uno sconto, ecc.”. In giudizio dovrà provare le sue affermazioni, mentre il creditore dovrà fornire prove solide del credito (la Cassazione ha ribadito che la semplice bolletta non basta come prova se il debitore contesta: il creditore dovrà esibire il contratto, i documenti di consumo, etc.).
  • Eccezione di prescrizione: molte bollette di utilities si prescrivono in 5 anni, ma per i consumi di luce, gas, acqua recentemente il termine è stato ridotto a 2 anni (grazie a leggi del 2017-2018 contro i c.d. maxi-conguagli). Se il credito ingiunto riguarda consumi di oltre 2 anni prima (per energia/gas/acqua) o oltre 5 anni (per telefonia, salvo modifiche), il debitore può eccepire prescrizione, purché non l’abbia già riconosciuto in qualche modo. Un giudice in opposizione valuterà se la prescrizione è maturata e, in caso affermativo, dichiarerà non dovuto il pagamento per la parte prescritta.
  • Incompetenza territoriale o per materia: ad esempio, se la società ha chiesto ingiunzione presso un foro incompetente (cosa rara perché di solito scelgono bene il luogo previsto da contratto o legge), il debitore può far valere l’eccezione. Se fondata, il giudizio dovrà essere dichiarato nullo e rifatto altrove.
  • Vizi di procedura nel monitorio: se il decreto ingiuntivo è stato emesso senza che ci fossero i presupposti di legge (es. mancava la prova scritta del credito), l’opponente può segnalarlo. Tuttavia, nel merito poi il giudice valuterà comunque la fondatezza del credito.

Effetti dell’opposizione: presentando l’opposizione, il decreto ingiuntivo non diventa esecutivo allo scadere dei 40 giorni, ma si apre il giudizio. Se però il giudice aveva concesso la provvisoria esecuzione al decreto (ex art. 642 c.p.c.), l’opposizione non sospende automaticamente l’esecuzione: il creditore può ugualmente procedere al precetto e pignoramento subito. In tal caso, il debitore deve chiedere espressamente al giudice, con l’atto di citazione in opposizione (o con ricorso separato urgente), di sospendere la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo in pendenza del giudizio (art. 649 c.p.c.). Il giudice valuterà se ci sono gravi motivi per sospendere l’efficacia esecutiva del decreto. Ad esempio, se il debitore produce elementi che fanno dubitare fortemente della pretesa (come una ricevuta di pagamento che contrasta il credito, o un errore palese nell’ingiunzione), allora il giudice può emettere ordinanza di sospensione, bloccando di fatto il titolo fino all’esito della causa. Se invece il giudice rigetta la richiesta di sospensione, il creditore potrà andare avanti con il pignoramento durante il processo di opposizione.

Ricordiamo che nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo:

  • Il creditore (ingiungente) assume il ruolo di attore sostanziale per provare il suo credito (se il debitore contesta, il creditore deve dimostrare il fondamento della pretesa).
  • Il debitore opponente può limitarsi anche a contestazioni generiche nella citazione di opposizione, demandando al creditore di provare il credito, ma per questioni specifiche (prescrizione, pagamento già avvenuto, ecc.) dovrà sollevare precise eccezioni e possibilmente offrire prove.

Se l’opposizione viene accolta, il decreto ingiuntivo è revocato (annullato) e il debitore non dovrà pagare nulla (magari sarà condannato il creditore alle spese). Se invece l’opposizione viene rigettata, il decreto è confermato e diventa esecutivo come una sentenza; il debitore dovrà pagare, eventualmente con aggravio di spese legali e interessi e, se nel frattempo c’era stata una sospensione, il creditore a quel punto potrà riprendere l’esecuzione.

Tempistiche: l’opposizione segue i tempi di un normale processo civile di primo grado, che in Italia possono essere anche lunghi (da alcuni mesi a un paio d’anni a seconda del tribunale e della complessità). Nel frattempo, se il decreto non era provvisoriamente esecutivo o se ne è stata sospesa l’esecuzione, il debitore rimane al riparo da pignoramenti fino alla decisione. Se invece l’esecuzione non era sospesa, il debitore potrebbe subire pignoramenti, ma eventualmente – se poi vincerà l’opposizione – ha diritto alla restituzione di quanto pagato indebitamente.

Utilità pratica: per un debitore ingiustamente chiamato a pagare, l’opposizione a decreto ingiuntivo è lo strumento più importante, in quanto permette di far valere tutte le ragioni di merito. Ad esempio, diverse pronunce di merito (confermate da Cassazione) hanno dato ragione a utenti opponenti, affermando principi come “la bolletta non prova di per sé il credito in caso di contestazione”. Ciò vuol dire che se un consumatore contesta che effettivamente quel consumo sia avvenuto o contrasta la fattura, il fornitore in giudizio dovrà portare elementi ulteriori (contratto firmato, dati di consumo, verbali di verifica, etc.). In mancanza, l’ingiunzione verrà revocata perché la pretesa non è provata. Questo è un incentivo per i debitori a non rassegnarsi di fronte a un decreto ingiuntivo, specie se ritengono davvero di avere ragione: l’opposizione può ribaltare l’esito.

Costi e rischi: fare opposizione comporta rivolgersi a un avvocato e pagare il contributo unificato (costo della causa) salvo si abbia diritto al gratuito patrocinio. C’è il rischio che, se si perde, il debitore oltre al dovuto pagherà anche le spese legali del creditore (che il giudice liquiderà). Se però il debitore ha serie ragioni, ne vale la pena. In ogni caso, non opporsi quando si ha una difesa possibile è sconsigliabile, perché una volta scaduti i termini si perde definitivamente la possibilità di far valere quelle ragioni.

Opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.): menzioniamo brevemente che se il decreto ingiuntivo è stato notificato irregolarmente o il debitore ne viene a conoscenza solo dopo i 40 giorni (ad esempio per causa di forza maggiore), c’è una flebile possibilità di fare opposizione oltre i termini, detta appunto “tardiva”. Va proposta entro 10 giorni dalla conoscenza effettiva dell’ingiunzione e con rigorosa prova dei motivi che gli hanno impedito di opporsi in tempo. È un rimedio residuale, ammesso solo in situazioni eccezionali (es. notifica nulla, debitore in coma durante i 40 giorni, etc.).

Conclusione: l’opposizione a decreto ingiuntivo è la prima difesa da attivare non appena arriva un’ingiunzione per bollette non pagate. Se vinta, evita proprio di arrivare al pignoramento. Se il lettore di questa guida è già oltre questa fase (cioè il decreto è divenuto esecutivo e il pignoramento è partito), purtroppo le possibilità di contestare il merito del credito sono quasi azzerate, salvo appunto non aver avuto colpa nel saltare l’opposizione o salvo elementi sopravvenuti. In tal caso bisognerà concentrarsi su altri strumenti, come vedremo di seguito.

Opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.)

Cos’è: l’opposizione all’esecuzione è un mezzo di difesa con cui il debitore (o anche un terzo interessato) contesta il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata. In altre parole, si afferma che, per un qualche motivo, l’esecuzione non doveva proprio iniziare o non può proseguire, perché il credito azionato non è (o non è più) esistente, oppure non è esigibile, o il titolo è venuto meno, ecc. È regolata dall’art. 615 c.p.c. Se proposta prima che l’esecuzione inizi, prende la forma di atto di citazione in opposizione al precetto davanti al giudice competente. Se proposta dopo che il pignoramento è già iniziato, prende la forma di ricorso al giudice dell’esecuzione (presso il tribunale competente).

Esempi tipici di motivi di opposizione all’esecuzione:

  • Il debito è stato pagato (totalmente o parzialmente) prima dell’esecuzione, quindi il creditore non aveva più diritto a procedere. Ad esempio, il debitore, dopo il decreto ingiuntivo, versa l’importo ma il creditore avvia ugualmente il pignoramento: qui il debitore oppone l’esecuzione per intervenuto pagamento.
  • Il debito si è estinto per altra causa (compensazione, remissione, transazione intervenuta, ecc.).
  • Il titolo esecutivo è invalidato: ad esempio, un decreto ingiuntivo opposto che perde provvisoria esecutorietà, oppure un titolo provvisoriamente esecutivo ma caducato in appello, o ancora una sentenza passata in giudicato ma oggetto di revocazione straordinaria. In contesti di bollette, è raro, ma potrebbe capitare in casi di decreti ingiuntivi non definitivi.
  • Il titolo esecutivo è inesistente o nullo: caso perlopiù teorico, perché se c’è un decreto ingiuntivo non opposto è difficilmente attaccabile. Ma se, ad esempio, il creditore agisse con un titolo non idoneo (es. un semplice contratto privato non seguito da ingiunzione, oppure un decreto ingiuntivo non ancora scaduto e senza formula esecutiva, etc.), il debitore può opporre che manca il titolo esecutivo valido.
  • Incompetenza territoriale nell’esecuzione: per dire, se il creditore ha iniziato l’esecuzione in un tribunale diverso da quello del luogo dell’esecuzione previsto dalla legge, il debitore può opporsi sull’esecuzione affermando l’incompetenza del giudice (questioni tecniche di rito esecutivo, meno frequenti).
  • Pignoramento di beni impignorabili: qui si apre una particolarità: quando si contesta la pignorabilità di uno specifico bene o somma (ad esempio pignoramento su stipendio oltre i limiti, o pignoramento di un bene ritenuto impignorabile), alcuni ritengono che l’opposizione corretta sia quella agli atti esecutivi (617 c.p.c.) se il vizio attiene al modo del pignoramento, altri che sia opposizione all’esecuzione (615 c.p.c. comma 2) se attiene al merito del diritto a pignorare quel bene. La distinzione è sottile. La Cassazione ha affermato che l’impignorabilità per sua natura dovrebbe essere rilevabile d’ufficio e non necessita nemmeno di opposizione, ma comunque, per sicurezza, il debitore può proporre ricorso in opposizione ex 615 comma 2 per far dichiarare che quell’esecuzione non può proseguire su quei beni impignorabili. Ad esempio, pensionato a cui pignorano più del quinto: può chiedere al giudice dell’esecuzione di dichiarare la nullità del pignoramento eccedente, e ciò rientra nell’opposizione all’esecuzione in corso (tema del “diritto a procedere limitatamente alla parte pignorabile”). In pratica, queste opposizioni su limiti legali sono ammesse anche oltre il termine di 20 giorni perché considerate opposizioni “di merito” all’esecuzione (non a un atto in sé, ma al fatto che il creditore stia eseguendo oltre il consentito).

Termini per opposizione all’esecuzione:

  • Se si intende opporsi prima che inizi il pignoramento (quindi ad esempio appena ricevuto il precetto): non c’è un termine perentorio fisso, ma va fatta prima dell’esecuzione stessa. Spesso coincide con il termine del precetto (10 giorni) perché dopo l’esecuzione parte. Ma la legge dà 20 giorni dal primo atto esecutivo se si contesta il titolo o il precetto stesso notificato (in verità qui c’è dibattito: alcuni dicono 20 giorni dal precetto se i motivi erano conosciuti allora). In generale, conviene farla entro i 20 giorni dal precetto per evitare problemi.
  • Se l’opposizione è proposta dopo l’inizio dell’esecuzione (quindi dopo notifica pignoramento): la legge dice che per l’opposizione all’esecuzione non c’è un termine di decadenza rigido; però non può essere proposta dopo che la vendita o assegnazione è avvenuta, se non per motivi sopravvenuti o caso non imputabile. In pratica, il debitore può opporsi durante tutto il corso dell’esecuzione (prima che sia conclusa) se emergono motivi, anche se lo fa tardivamente, a patto che non lo potesse fare prima. Ad esempio, se dopo il pignoramento scopre un fatto estintivo sopravvenuto del debito.

Procedura:

  • Opposizione prima dell’esecuzione (es: al precetto) -> atto di citazione davanti al tribunale competente, si instaura un giudizio a cognizione piena (il creditore può nel frattempo iniziare l’esecuzione, ma il debitore può chiedere con l’atto stesso la sospensione al giudice ex art. 615 co.1 c.p.c.).
  • Opposizione dopo pignoramento -> ricorso al giudice dell’esecuzione del luogo dove pende l’esecuzione. È un procedimento in camera di consiglio più rapido. Il G.E. fissa udienza e poi decide con ordinanza (eventualmente riservando le questioni complesse a un giudizio ordinario se necessario).

Sospensione dell’esecuzione: è fondamentale sapere che proponendo opposizione all’esecuzione il debitore non ferma automaticamente il pignoramento. Bisogna chiedere la sospensione al giudice. Il giudice può sospendere l’esecuzione se ritiene che l’opposizione non sia temeraria e ci siano seri motivi (ad es. prova di pagamento, fumus boni iuris). Nel precetto, il giudice adito con citazione può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo. Nel pignoramento in corso, il G.E. può sospendere la procedura ex art. 624 c.p.c. per gravi motivi. Ad esempio, se vede che molto probabilmente il debitore ha pagato e il creditore sta agendo ingiustamente, può fermare tutto in attesa di definizione.

Esito dell’opposizione all’esecuzione: se accolta, il giudice dichiarerà che l’esecuzione non doveva proseguire, in tutto o in parte. Può significare la chiusura totale del pignoramento (se il debito era inesigibile) o parziale (ad es. ridurre l’importo esecutato di tot). Ad esempio, se il debitore prova di aver pagato metà importo, l’opposizione potrebbe portare a dichiarare improcedibile l’esecuzione per quella metà (in pratica l’esecuzione proseguirà solo per il residuo). Se l’opposizione è respinta, l’esecuzione continua regolarmente e il debitore può essere condannato a spese e anche a una sanzione se l’opposizione era pretestuosa.

Quando è utile nel caso di bollette:

  • Se il debitore non ha fatto opposizione a DI per tempo, ma ha poi pagato, o si è accordato col creditore e questi malgrado ciò procede. Oppure se, per ipotesi, emergono cause di nullità del decreto (estreme) o altre ragioni dopo.
  • Se c’è un errore nel titolo esecutivo che si riverbera sull’esecuzione: ipotesi rara, ma ad esempio, se il decreto ingiuntivo ingiungeva 1000 € ma il creditore procede per 5000 € per errore, il debitore può opporsi dicendo: il titolo esecutivo è solo per 1000, non avete diritto a eseguire per importo maggiore.
  • Se si tratta di un pignoramento basato su altro titolo (assegno bancario non pagato, sentenza, etc.), l’opposizione all’esecuzione è l’equivalente dell’opposizione a DI come merito. Ma nel nostro caso, tipicamente abbiamo DI.

Limiti: se il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo e il debitore non ha motivi sopravvenuti, l’opposizione all’esecuzione non può rimettere in discussione il merito già deciso. In tal senso la giurisprudenza è chiara: le ragioni di merito non dedotte in sede di opposizione a decreto non possono essere riciclate in opposizione all’esecuzione (fanno stato il titolo esecutivo giudiziale). Dunque, un debitore che ha “dormito” sull’ingiunzione difficilmente potrà poi opporsi all’esecuzione con successo, salvo casistiche particolari.

Nota sulla rilevabilità d’ufficio: come accennato, se il creditore pignora più del dovuto (ad esempio pignoramento pensione oltre soglia) il giudice dovrebbe d’ufficio rilevarlo e limitare. Se ciò non accade, l’opposizione serve a provocare quella decisione. Cassazione ha detto che il giudice deve farlo d’ufficio, quindi teoricamente il debitore potrebbe anche solo sollecitare informalmente (ma meglio formalizzare con istanza/opposizione per sicurezza).

In sintesi, l’opposizione all’esecuzione è il rimedio per dire: “creditore, tu non puoi (o non puoi più) procedere contro di me”. È un giudizio sul fumus del diritto di procedere in executivis. Nel contesto “bollette non pagate” viene in gioco in scenari come: accordo di saldo e stralcio concluso ma creditore che lo ignora, pagamento effettuato ma non riconosciuto, pignoramento effettuato oltre limiti o su bene non dovuto, etc. Va valutata caso per caso con l’assistenza di un legale.

Opposizione agli atti esecutivi (ex art. 617 c.p.c.)

Cos’è: l’opposizione agli atti esecutivi è il rimedio per lamentare vizi formali o irregolarità nelle modalità di compimento degli atti dell’esecuzione. In altre parole, quando non si contesta il diritto a eseguire (il credito in sé) ma il modo in cui è stato compiuto un atto (ad esempio una notifica malfatta, un contenuto dell’atto errato, il mancato rispetto di una forma prevista), allora l’opposizione corretta è quella ex art. 617 c.p.c. Si tratta di un’opposizione a carattere “di rito” e con termini molto stretti di decadenza (20 giorni).

Quando si usa: esempi tipici:

  • Il precetto notificato è viziato (manca l’indicazione del titolo, o non sono computati correttamente gli interessi, o è stato notificato dopo la scadenza del titolo, ecc.). In tal caso, il debitore può opporsi al precetto in termini di art. 617, sostenendo la nullità/inesistenza del precetto stesso per vizi formali.
  • L’atto di pignoramento contiene irregolarità: ad esempio, nel pignoramento presso terzi non sono state rispettate le forme (manca l’ingiunzione al terzo di non pagare il debitore, oppure l’atto non è stato notificato anche al debitore, etc.), o nel pignoramento mobiliare il verbale non è stato redatto come si deve. Oppure la notifica del pignoramento è stata fatta a un indirizzo sbagliato.
  • Ci sono stati vizi nelle notifiche: se un atto esecutivo viene notificato in modo nullo (es. a persona sbagliata, o omettendo dati essenziali), il debitore può fare opposizione agli atti per far dichiarare la nullità di quell’atto e quindi la sua inefficacia.
  • Violazione di norme procedurali nel corso dell’esecuzione: per esempio, l’asta immobiliare viene fissata senza rispettare termini di avviso, oppure l’ordinanza di vendita viene pubblicata senza perizia, etc. Il debitore può opporsi all’atto del giudice se ritiene non siano state seguite le formalità (questi casi diventano opposizione atti contro provvedimenti del G.E., rari ma possibili).

Termini rigorosi: l’opposizione agli atti esecutivi va proposta entro 20 giorni dal momento in cui il debitore (o l’interessato) ha avuto conoscenza legale dell’atto viziato. Ad esempio:

  • Opposizione contro il precetto: 20 giorni dalla notifica del precetto.
  • Opposizione contro il pignoramento: 20 giorni dalla notifica del pignoramento (per il debitore), oppure dalla data del pignoramento per eventuali terzi interessati.
  • Opposizione contro atti successivi (es. avviso di vendita): 20 giorni dalla notifica o comunicazione dell’atto o dal momento in cui se ne viene a conoscenza ufficiale.

Se si perde questo termine, l’atto anche se viziato diventa definitivo (fatti salvi i vizi radicali insanabili, ma è complicato contare su quello).

Procedura: l’opposizione agli atti esecutivi va proposta al giudice dell’esecuzione competente, con ricorso (se l’esecuzione è già iniziata) o con atto di citazione (se è contro precetto o contro un atto compiuto prima di iniziare). Ad esempio, contro il precetto spesso si discute se è 615 o 617: se i motivi sono formali (es. errori nel precetto), si fa 617. Questo spesso avviene contestualmente a 615 in subordine, ma tralasciamo tecnicismi. Comunque, in pratica va portata davanti all’autorità che gestisce l’esecuzione. Il giudice può sospendere l’efficacia dell’atto opposto se lo ritiene opportuno (ad esempio sospendere il pignoramento se il precetto era viziato, ex art. 618 c.p.c.). Poi decide di solito con ordinanza (se a esecuzione iniziata) o con sentenza (se introdotta con citazione prima dell’esecuzione).

Effetti se accolta: l’atto esecutivo impugnato viene annullato o dichiarato inefficace. L’esecuzione torna allo stato precedente a quell’atto. Ad esempio, se viene annullato il precetto, il pignoramento eventualmente eseguito su quel precetto può essere travolto (perché manca un presupposto valido). Se viene annullato il pignoramento per vizio di notifica, l’esecuzione non potrà proseguire su quell’atto; il creditore dovrà eventualmente rifare da capo l’atto correttamente, se è ancora in tempo.

Differenze 615 vs 617: spesso i debitori non sanno distinguere – compito del legale capire. In linea generale:

  • Se dico “non dovevano pignorarmi perché non devo nulla”, è 615 (merito).
  • Se dico “mi hanno pignorato in modo sbagliato (atto redatto male, oltre limiti formali)”, è 617 (rito).
    A volte uno stesso fatto può essere visto come vizio formale o sostanziale. Esempio: pignoramento di bene impignorabile – formale (atto viziato) o sostanziale (diritto a procedere manca su quel bene)? Ci sono sentenze differenziate. Per sicurezza, molti avvocati cumulano entrambi i tipi di opposizione in casi del genere, così da non sbagliare.

Nel contesto delle bollette:

  • Se il creditore ha commesso errori procedurali (e succede, specie se sono società di recupero magari poco esperte) – ad esempio un precetto notificato privo della data o inviato per email non PEC (quindi nullo), o un pignoramento con errata indicazione del tribunale – conviene fare opposizione agli atti per farlo annullare. Questo può guadagnare tempo o addirittura chiudere la procedura se il creditore poi non riesce più a riattivarla (ad esempio perché nel frattempo il titolo è decaduto).
  • È però una difesa tecnica: l’atto viziato spesso può essere ripetuto dal creditore in forma corretta dopo la declaratoria di nullità, a meno che nel frattempo non siano decorsi termini sostanziali (ad esempio, se il precetto viene annullato e nel frattempo sono passati più di 90 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, il creditore potrebbe trovarsi con il titolo “scaduto” da rinnovare). Insomma, può dare chance al debitore di negoziare durante il gap.

Esempio: la società Alfa notifica a Caio un precetto di €2000 per bollette gas, ma sul precetto dimentica di indicare il numero del decreto ingiuntivo e l’autorità che l’ha emesso (informazioni obbligatorie). Caio, tramite avvocato, propone opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni, eccependo la nullità del precetto. Il giudice, verificato il vizio, annulla il precetto. Ciò rende inefficace il successivo pignoramento conto corrente che Alfa aveva nel frattempo avviato, perché un pignoramento senza precetto valido è nullo. Caio recupera quindi la disponibilità del conto. Alfa dovrà notificare un nuovo precetto corretto e ripartire, subendo i ritardi e le spese del caso; Caio guadagna tempo e può magari utilizzare quell’intervallo per pagare o concordare un piano.

Importante: l’opposizione agli atti esecutivi deve essere molto tempestiva e puntuale. Se il debitore lascia passare i 20 giorni sperando che il vizio “si curi”, perde il diritto di lamentarsene. Ad esempio, se gli notificano un pignoramento del quinto stipendio ma sbagliano a scrivere il nome del giudice competente, e lui non fa nulla entro 20 giorni, poi non potrà in seguito far annullare quell’atto. È quindi essenziale, se si notano stranezze formali, consultare subito un legale e, se del caso, agire.

Sospensione dell’esecuzione (istanza di sospensione)

Abbiamo accennato a più riprese alla sospensione dell’esecuzione. Non è un’opposizione a sé stante, ma un provvedimento cautelare che il debitore può chiedere all’autorità giudiziaria in pendenza di un’opposizione (a DI, all’esecuzione o agli atti) per evitare che l’esecuzione faccia danni irreparabili nel frattempo.

Tipi di sospensione:

  • Sospensione ex art. 615 c.p.c. co.1: richiesta al giudice competente quando si fa opposizione al precetto (prima dell’esecuzione). Se concessa, in pratica blocca l’efficacia esecutiva del titolo, quindi il creditore non può iniziare il pignoramento finché non si decide l’opposizione.
  • Sospensione ex art. 624 c.p.c.: richiesta al giudice dell’esecuzione quando l’esecuzione è in corso (opposizione 615 co.2 o 617). Il G.E. può sospendere la procedura esecutiva “in tutto o in parte per gravi motivi”. Ad esempio, se il pignoramento è palesemente viziato o il credito appare in dubbio, sospende le operazioni (non si procede con aste, vendite, ecc. finché non si risolve).
  • Sospensione ex art. 649 c.p.c.: nel caso specifico di opposizione a decreto ingiuntivo, come detto, il giudice che tratta l’opposizione può sospendere la provvisoria esecuzione del decreto (se era stata concessa) durante il giudizio di merito.
  • Sospensione concordata (accordo delle parti): se debitore e creditore trovano un accordo temporaneo, il creditore può a sua volta decidere di non compiere atti in attesa (si chiama spesso “sospensione volontaria”). Ad esempio, se inizia una trattativa, il creditore può dare disposizioni al proprio avvocato di non procedere oltre per un certo tempo. Non è una sospensione formale del giudice, ma un’attesa concordata. Se c’è già il fascicolo in tribunale, si può anche congiuntamente chiedere al G.E. un rinvio di aste o simili.

Come si chiede la sospensione: di solito con un’istanza motivata all’interno dell’atto di opposizione o successivamente con ricorso urgente. Bisogna indicare i motivi per cui l’esecuzione rischia di provocare un danno e le ragioni per cui l’opposizione ha probabilità di successo (“fumus boni iuris” e “periculum in mora”). Ad esempio: “Chiedo sospensione perché ho già pagato tutto (fumus forte) e se non si sospende mi vendono l’auto prima che la causa finisca (periculum)”.

Il giudice decide in tempi rapidi: spesso fissa una breve udienza o, se urgente, decide inaudita altera parte (in casi rarissimi). Se concede la sospensione, emette ordinanza non impugnabile con cui blocca l’esecuzione. Da quel momento, l’esecuzione rimane ferma finché non si risolve l’opposizione o finché il giudice non revoca la sospensione. Se nega la sospensione, l’esecuzione continua.

Effetto della sospensione: ad esempio, se c’è un pignoramento immobiliare in corso, con sospensione le aste vengono rinviate sine die. Se c’è un pignoramento stipendio, con sospensione il datore di lavoro è invitato a non trattenere (o a trattenere e depositare a parte, dipende dall’ordinanza). Se c’è un conto bloccato, di solito la sospensione fa sì che le somme restino accantonate senza essere assegnate. Insomma, si congela la procedura al punto in cui è.

Durata: la sospensione dura finché non c’è la sentenza che definisce l’opposizione (o finché il giudice la revoca d’ufficio, cosa possibile se cambiano le circostanze). Ad esempio, se l’opposizione a precetto dura 1 anno, per quell’anno l’esecuzione è ferma.

Nota: se l’opposizione viene infine respinta, il creditore potrà riprendere l’esecuzione dal punto sospeso (salvo decadute per altri motivi). Se invece l’opposizione viene accolta, spesso l’esecuzione viene estinta in tutto o in parte.

La sospensione è un mezzo fondamentale di tutela per evitare che, durante il tempo del giudizio, il debitore subisca la perdita di beni. Senza sospensione, si potrebbe vincere la causa dopo che la casa è stata venduta e dover inseguire il creditore per i danni: situazione scomoda. Con sospensione, si attende l’esito prima di procedere con la vendita, il che è molto più equo.

Nel contesto di bollette:

  • Sospensione ex art. 649: se siamo riusciti a opporci al DI e il DI era provvisoriamente esecutivo (cosa che il giudice raramente concede per bollette, ma se c’è), chiedere la sospensione è cruciale per non subire pignoramenti nel frattempo.
  • Sospensione ex art. 615/624: se per esempio contestiamo che il pignoramento è per un debito già saldato, chiedere sospensione per evitare che ad es. lo stipendio venga decurtato ogni mese ingiustamente.
  • Un caso pratico: la Cassazione ha detto che se c’è contestazione su impignorabilità di pensione (sforamento di limiti), la nullità è rilevabile d’ufficio, ma in ogni caso il pensionato può chiedere al G.E. di sospendere l’assegnazione di somme in attesa di chiarire il calcolo.

Conversione del pignoramento e rateizzazione del debito

La conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.) è uno strumento peculiare messo a disposizione del debitore esecutato per evitare la vendita forzata dei beni pignorati, sostituendoli con una somma di denaro. In parole semplici, il debitore chiede al giudice di poter “riscattare” i beni pignorati, pagando il dovuto (capitale, interessi, spese) in denaro, eventualmente a rate. È una forma di rateizzazione del debito concessa in sede esecutiva, disciplinata dalla legge.

Come funziona (in sintesi):

  • Può essere chiesta una sola volta per ogni esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati. Dunque va presentata tempestivamente, di solito appena dopo il pignoramento e prima che il giudice emetta ordinanza di vendita.
  • Il debitore deve depositare in cancelleria, contestualmente all’istanza, una cauzione pari ad almeno un sesto dell’importo del credito per cui si procede (comprensivo di interessi e spese stimate). Questo deposito è condizione di ammissibilità: se non versa almeno 1/6, l’istanza è inammissibile.
  • Il giudice dell’esecuzione, ricevuta l’istanza, fissa un’udienza con le parti entro 30 giorni e determina con ordinanza la somma totale da versare per estinguere l’esecuzione. Tale somma comprende: il capitale dovuto, gli interessi, le spese legali e di esecuzione maturate, e un aumento a titolo di “premio” per i creditori. Prima della riforma 2021, l’aumento era del 1/5 (20%) del debito. Dopo la riforma, l’aumento è stato eliminato o ridotto? Dalle fonti sembra che la cauzione sia ora 1/6 (16,67%) e quell’aumento fosse incorporato. In ogni caso, il giudice fissa la cifra esatta da pagare, che sarà leggermente superiore al debito originario (coprendo spese ed eventuali compensi).
  • Il giudice può consentire che la somma sia versata ratealmente, fino a un massimo di 48 rate mensili (4 anni). Prima della riforma Cartabia il limite era 18 mesi, poi 36, ora 48 mesi per favorire i debitori. Se concede rate, di solito il giudice pretende che il debitore versi contestualmente al provvedimento l’importo della cauzione (che ha già depositato) e poi mensilmente le rate, calcolando gli interessi sulle rate.
  • Durante il periodo di pagamento rateale, l’esecuzione rimane sospesa. Il debitore continua a possedere i beni pignorati.
  • Se il debitore paga tutte le rate regolarmente, a fine periodo l’esecuzione viene dichiarata estinta e i beni pignorati tornano liberi (non verranno mai messi in vendita).
  • Se il debitore salta una rata o ritarda oltre il termine previsto (la legge consente un ritardo massimo di 15 giorni su una rata, oltre si decade), allora la conversione decade automaticamente. Le somme già versate non tornano al debitore ma vengono considerate acquisite all’esecuzione (andranno ai creditori). A quel punto l’esecuzione riprende dal punto in cui era stata sospesa, e i beni pignorati potranno essere venduti (il debitore avrà perso l’anticipo versato e i beni). Insomma, c’è l’obbligo di essere puntuali con i pagamenti per non perdere il beneficio.
  • Durante la conversione, i creditori non possono attivare altri atti esecutivi sui medesimi beni e di norma ricevono acconti ogni sei mesi con le somme raccolte.

Quando conviene: la conversione è utile quando:

  • Il debitore tiene particolarmente ai beni pignorati (es. è stata pignorata la casa di famiglia e vuole a tutti i costi salvarla dall’asta).
  • Il valore dei beni pignorati è molto superiore al debito, per cui venderli significherebbe una grave perdita per il debitore. La conversione consente di evitare la “svendita” all’asta e pagare il debito in modo più sostenibile.
  • Il debitore ha una capacità di produrre denaro nel tempo ma non immediatamente: ad esempio, può pagare 500€ al mese ma non ha subito 20.000€ cash. La conversione gli permette di diluire il debito.
  • Ci sono più creditori: con la conversione, tutti i creditori partecipanti all’esecuzione vengono soddisfatti con quel piano di pagamento, evitando ulteriori pignoramenti.

Esempio: Debito complessivo €24.000, casa pignorata valore €100.000. Il debitore deposita €4.000 (1/6) come cauzione. Il giudice fissa il totale dovuto in €26.000 (debito + spese + interessi e forse qualcosina extra). Concede 48 rate da ~€458 al mese. Il debitore paga regolarmente €458 al mese per 4 anni. I creditori ogni 6 mesi ricevono le somme raccolte. A fine, il giudice dichiara estinto il pignoramento; la casa non è stata venduta e rimane al debitore, che però ha pagato ogni centesimo dovuto. Se invece il debitore avesse saltato le ultime, ad esempio, 2 rate, la conversione decade: i creditori tengono quanto incassato (poniamo €24.000) e possono far vendere la casa per recuperare il residuo (€2.000 + spese ulteriori). Il debitore avrebbe perso i soldi versati e rischiato comunque la casa per i residui (anche se probabilmente su residui piccoli i creditori potrebbero desistire, ma non è garantito).

Nel contesto bollette non pagate: la conversione è uno strumento che può essere usato per qualsiasi pignoramento (mobiliare, immobiliare, presso terzi) tranne se l’oggetto già di per sé è denaro. Ad esempio, se ti hanno pignorato un conto corrente con soldi liquidi, non ha senso convertire (quello è già denaro). Ma se ti hanno pignorato la casa per bollette, la conversione è un’ancora di salvezza per evitare l’asta. Spesso usata in ambito immobiliare. Per pignoramenti mobiliari su beni di affezione (es. attrezzatura azienda), idem.

Va detto che per importi piccoli, la conversione può essere non conveniente perché il meccanismo del 1/6 e delle spese rende magari preferibile trovare subito i soldi e pagare. Ma per importi grandi, è utile.

Rateizzazione del debito in altri modi: fuori dalla conversione (che è formalizzata in tribunale), il debitore potrebbe chiedere direttamente al creditore un piano di rientro anche dopo precetto o pignoramento. Nulla vieta al creditore di accettare un pagamento dilazionato privato e concordare un’abbandono della procedura una volta ricevuto il saldo. Questa è una soluzione extragiudiziale: spesso i creditori la vogliono garantita (ad esempio mantengono il pignoramento attivo ma si impegnano a non procedere finché il debitore paga le rate, e se finito di pagare rinunciano formalmente). È rischioso per il debitore se non c’è fiducia, ma alcuni preferiscono evitare i costi di conversione e fare un accordo stragiudiziale. Va però fatto con attenzione e possibilmente omologato in tribunale (si può chiedere sospensione concordata, ecc.).

Differenza conversione vs opposizione: la conversione non contesta nulla, assume che il debito sia dovuto e punta solo a pagarlo diversamente. Quindi è da intraprendere quando non si hanno valide difese sul merito e si vuole solo più tempo/perdere meno beni. Può essere combinata con opposizioni: ad esempio, un debitore può fare opposizione per ridurre l’importo contestando alcune voci e intanto chiedere conversione per la parte non contestata. Ma attenzione: chiedendo conversione il debitore in teoria riconosce il debito, quindi quell’opposizione parziale deve essere ben calibrata (di solito se contesta una parte, depositerebbe cauzione su quella non contestata).

Costi: il debitore deve racimolare almeno il 16.7% del debito subito. Se non ha neanche quello, la conversione non è accessibile. Inoltre, poi deve onorare le rate altrimenti perde quell’anticipo. Quindi va considerata seriamente solo se il debitore ha una concreta capacità di pagamento.

Riforme recenti: come visto, la riforma del 2021 (decreto giustizia, attuativo legge 206/2021) ha portato le rate da 18 a 48 e ha abbassato la cauzione a 1/6 (prima era 1/5). Questo in risposta alla crisi economica, per aiutare più debitori a usufruirne. Quindi, nel 2025, è uno strumento ancor più favorevole di qualche anno fa.


Abbiamo così delineato i principali strumenti difensivi successivi all’avvio dell’esecuzione:

  • L’opposizione a decreto ingiuntivo, da attivare subito dopo l’ingiunzione, per bloccare sul nascere un eventuale pignoramento ingiusto.
  • L’opposizione all’esecuzione, per far valere l’inesistenza o sopravvenuta insussistenza del diritto a eseguire (ad esempio, debito già pagato).
  • L’opposizione agli atti esecutivi, per annullare atti viziati formalmente (precetto, pignoramento, ecc.).
  • La sospensione dell’esecuzione, come misura cautelare per congelare il procedimento in attesa della decisione su opposizioni o accordi.
  • La conversione del pignoramento, per pagare a rate ed evitare la perdita dei beni, ovvero come strumento di rateizzazione giudiziale del debito.

Ognuno di questi va valutato attentamente, spesso con l’assistenza necessaria di un avvocato, perché i dettagli procedurali e i tempi sono stringenti. Nel contesto di debiti da bollette, la strategia difensiva può anche combinare più strumenti: ad esempio, se arriva un precetto, si può avviare opposizione contestando magari qualche voce e intanto cercare un accordo di saldo e stralcio; oppure, se pignorano la casa, si può chiedere conversione e parallelamente, se c’è un motivo, fare opposizione per ridurre importo. È fondamentale agire con celerità e cognizione di causa.

Nel prossimo capitolo risponderemo ad alcune domande frequenti per chiarire i dubbi più comuni dei debitori che si trovano in queste situazioni. Successivamente proporremo alcune simulazioni pratiche per vedere in concreto l’applicazione di queste difese. Infine, elencheremo le principali fonti normative e giurisprudenziali citate, a beneficio di chi voglia approfondire ulteriormente.

Domande frequenti (FAQ)

D: Possono pignorarmi la casa per delle bollette non pagate?
R: Sì, in teoria un creditore privato può pignorare un immobile di proprietà del debitore anche per debiti relativamente piccoli – la legge non prevede un importo minimo per procedere sul bene immobile. Quindi, se accumuli bollette impagate e ottengono un titolo esecutivo contro di te (es. decreto ingiuntivo), potrebbero iscrivere ipoteca e pignorare la casa. Tuttavia, nella pratica è una mossa rara quando il debito è modesto, perché le procedure immobiliari sono lunghe e costose. Spesso per bollette si preferisce pignorare conto corrente, stipendio o altri beni più facilmente liquidabili. Nota bene: la regola della “prima casa impignorabile” vale solo per i debiti fiscali con Agenzia Entrate Riscossione. Un creditore privato (es. una società di luce) può pignorare la tua prima e unica casa, anche se ci abiti, sebbene debba valutare la convenienza (soprattutto se la casa è gravata da mutuo/ipoteche, o se il debito è di poche migliaia di euro, spesso desistono). In ogni caso, se ti pignorano la casa, hai la possibilità di convertire il pignoramento pagando il dovuto a rate, oppure trovare un accordo prima che vada all’asta. Durante la procedura potrai restare nell’abitazione fino alla vendita.

D: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo per bollette non pagate: cosa devo fare per difendermi?
R: Devi valutare subito se hai motivi per contestare la pretesa e, in caso affermativo, proporre opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni dalla notifica. Questo è il modo per aprire un giudizio in cui potrai far valere le tue ragioni (ad esempio: la bolletta era errata, il contatore aveva un malfunzionamento, il debito è già stato saldato in parte, oppure il credito è prescritto). L’opposizione va proposta con un atto di citazione in tribunale, preferibilmente con l’assistenza di un avvocato. Se non presenti opposizione nei termini, il decreto diventerà definitivo ed esecutivo, e a quel punto non potrai più discutere se dovevi o meno pagare quelle bollette (salvo casi eccezionali) – il creditore potrà procedere al pignoramento. Quindi, se credi che il creditore abbia torto o l’importo non sia dovuto per intero, opporsi è fondamentale. Nell’opposizione puoi anche chiedere la sospensione dell’esecutorietà del decreto (art. 649 c.p.c.) per evitare che il creditore inizi subito il pignoramento durante la causa. Se invece riconosci che il debito è giusto ma non riesci a pagarlo tutto subito, puoi contattare il creditore (o il suo legale) e tentare di negoziare un piano di pagamento; spesso, di fronte all’intenzione di pagare, il creditore può concedere più tempo o rate, magari rinunciando agli interessi futuri se rispetti l’accordo. Ricorda comunque: senza opposizione formale, il titolo resta valido. Anche offrire un piano, fallo entro i 40 giorni, perché magari il creditore, vedendo che ti muovi, aspetta prima di procedere oltre.

D: Ho ignorato un decreto ingiuntivo e ora mi è arrivato un atto di precetto, posso ancora oppormi?
R: Se il decreto ingiuntivo è passato in giudicato (ossia non hai fatto opposizione entro i termini), lo spazio per contestare il merito del debito è praticamente chiuso. Non puoi più eccepire motivi che dovevi far valere prima. Tuttavia, in sede di opposizione all’esecuzione potresti far valere fatti sopravvenuti o estintivi del credito (es: hai pagato dopo l’ingiunzione, oppure il creditore ti aveva dato una dilazione e l’ha ignorata). Oppure potresti contestare eventuali vizi formali del precetto tramite opposizione agli atti esecutivi (ad esempio, se nel precetto ci sono errori sostanziali). I termini però sono brevissimi: 20 giorni dalla notifica del precetto per contestare vizi formali. Dunque, se trovi qualcosa che non va nel precetto (importi conteggiati male, mancanza della firma, o assenza della copia del titolo in allegato, ecc.), rivolgiti immediatamente a un legale per valutare un’opposizione agli atti. Questo potrebbe far annullare il precetto e ritardare l’esecuzione. Ma se è tutto regolare e l’unico problema è che tu non hai i soldi, opporsi senza validi motivi non porterà beneficio (anzi rischi condanna a spese). Meglio, in quel caso, utilizzare i 10 giorni del precetto per cercare di trovare un accordo col creditore o reperire fondi (es. un prestito familiare) ed evitare il pignoramento. Nota: esiste tecnicamente l’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo (art. 650 c.p.c.), ma è ammessa solo se provi che per ragioni indipendenti dalla tua volontà non hai saputo del decreto in tempo (es: notifica nulla). Sono casi rari. Un avvocato potrà verificare se ci sono gli estremi, ma nella maggior parte dei casi ignorare l’ingiunzione ti preclude la difesa di merito successiva.

D: Quali beni o importi sul mio conto corrente sono al sicuro da un pignoramento?
R: Sul conto corrente, il denaro in giacenza non ha protezione integrale dal pignoramento, eccetto una franchigia prevista se quelle somme provengono da stipendio o pensione. In particolare, quando il conto è pignorato, la banca deve lasciarti libero un importo pari a 3 volte l’assegno sociale (circa €1.600 attualmente) se sul conto ci sono somme accreditate a titolo di stipendio o pensione. L’eventuale eccedenza oltre tale soglia verrà bloccata per il creditore. Ciò significa che, ad esempio, se sul tuo conto il giorno del pignoramento avevi €5.000, di cui riconducibili al tuo stipendio, la banca ne congelerà circa €3.400 (lasciandoti ~€1.600 disponibili). Se invece sul conto hai somme che non derivano da redditi da lavoro (es. risparmi accumulati da altre fonti), la banca può teoricamente bloccare tutto fino a coprire il debito precettato. Tieni presente: una volta pignorato il conto, ogni nuova somma che affluisce viene anch’essa vincolata fino all’udienza con il giudice (dopo l’ordinanza di assegnazione, il residuo eventualmente viene sbloccato). Perciò, non esiste un importo totalmente “esente” su conto se non quella quota di 3 assegni sociali per i redditi da lavoro già depositati. Diverso è per i limiti su stipendio e pensione al momento del pagamento: il datore di lavoro può darti solo 1/5 e l’INPS deve lasciarti intoccabile circa €1.068 di pensione. Ma una volta che quei soldi sono sul conto da giorni, perdono il “colore” e rientrano nella regola del triplo assegno sociale. In sintesi, sul conto non sei mai completamente al sicuro: se temi un pignoramento, magari evita di tenere liquidità oltre il necessario; valuta di usare conti intestati a terzi di fiducia per conservare somme (legalmente sarebbe una separazione patrimoniale, ma attenzione a non configurare atti in frode ai creditori). Se il conto è cointestato, usualmente bloccano il 50% (presunto del debitore) salvo prova diversa. Per proteggere stipendio/pensione futuri, sappi che se questi arrivano dopo il pignoramento, rientrano comunque nei limiti del quinto; la banca dovrebbe applicare quel calcolo, ma in pratica spesso il creditore fa prima a pignorare direttamente il datore/INPS. Per precauzione, alcuni debitori trasferiscono l’accredito dello stipendio su un conto non intestato a loro (es. conto del coniuge) per evitare il blocco: legalmente non è proibito, ma se il creditore lo scopre, potrebbe pignorare presso il terzo dove va a finire il tuo denaro, sostenendo che sono tuoi proventi. Diciamo che piccole somme per vivere (qualche migliaio di euro) di solito rimangono fruibili, ma grosse giacenze in conto sono a rischio.

D: È vero che lo stipendio è pignorabile solo per un quinto? Anche se ho più debiti?
R: Sì, la regola generale per i crediti ordinari è che massimo il 20% (un quinto) dello stipendio netto mensile può essere prelevato dal creditore. Se hai più debiti con più creditori, non è che ciascuno prende un quinto: la legge prevede che il totale delle trattenute non superi comunque il 20%, salvo che vi siano crediti alimentari (es. assegno di mantenimento) in concorso, nel qual caso la somma delle trattenute può arrivare fino al 50%. Per esempio, se hai un pignoramento per una finanziaria che ti trattiene il 20% e poi arriva un altro pignoramento per bollette, il giudice non autorizzerà un ulteriore 20% (che porterebbe al 40%): normalmente il secondo creditore concorrerà sulla stessa quota del quinto già in essere. Quindi, in pratica, i diversi creditori condividono quel quinto (ricevendo ciascuno una percentuale proporzionale al loro credito). Unica eccezione: se uno dei debiti è per alimenti (es. mantenimento figli). In tal caso è possibile avere due prelievi, ad esempio uno di 1/5 per il debito ordinario e uno (il giudice in genere arriva fino a 1/3) per gli alimenti, ma comunque il Codice di Procedura dice che neanche in quel caso si può andare oltre la metà dello stipendio totale. Riassumendo: un solo creditore ordinario → 1/5 dello stipendio; più creditori ordinari → sempre e solo 1/5 in totale; creditori ordinari + alimentari → max 50% totale (ma la parte alimentare viene valutata dal giudice, es. 1/5 + 1/5 = 2/5 < 50%). Tieni presente che queste percentuali si riferiscono allo stipendio netto, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali. Se già hai in busta paga una cessione del quinto volontaria o un prestito delega, questi sono indipendenti e precedenti: la giurisprudenza prevalente considera che cessione e pignoramento possano coesistere fino a un 50% combinato (perché la cessione è un atto volontario, non un pignoramento). Quindi potresti trovarti con 1/5 ceduto alla banca e 1/5 pignorato per debiti, per un totale di 2/5 prelevati. Ma di pignoramenti giudiziali multipli, come detto, uno solo condivide la quota. In sintesi, lo stipendio è abbastanza tutelato: almeno 4/5 ti restano sempre, se si tratta di creditori “normali”. Nel caso di stipendi molto bassi, non c’è una soglia fissa di impignorabilità come per le pensioni, ma è chiaro che 1/5 di un piccolo stipendio incide meno in valore assoluto. Ad esempio su €800, pignorano €160 e te ne restano €640. Su €1200, pignorano €240, te ne restano €960, etc.

D: Ho una pensione minima, possono toccarmela?
R: Se per “pensione minima” intendiamo un importo pari o inferiore al trattamento minimo vitale (circa €563 mensili nel 2025) o anche al doppio dell’assegno sociale (~€1.070), la risposta è no: la pensione è impignorabile nella parte che non supera due volte l’assegno sociale. In parole semplici, oggi come oggi se prendi una pensione fino a circa mille euro al mese, i creditori non possono pignorartela affatto. Solo l’eventuale quota eccedente può essere intaccata e comunque sempre entro il limite del quinto. Ad esempio: pensione di €800 – completamente protetta, non possono pignorare nulla. Pensione di €1200 – protetti i primi €1068, resta €132 pignorabile al massimo al 20%, quindi ti tratterrebbero circa €26 al mese. Come vedi, la tutela per i pensionati è molto forte: è garantito il “minimo vitale” al 150% dell’assegno sociale. Inoltre, se la pensione viene accreditata in banca, c’è una doppia protezione: sul conto restano impignorabili tre mensilità di assegno sociale (€1600). Quindi un pensionato che abbia arretrati sul conto è comunque coperto fino a quell’importo. Perciò, se davvero percepisci il minimo, un creditore che tentasse un pignoramento se la vedrebbe respinta dal giudice (pignoramento nullo per infrangimento di norme imperative). Queste soglie vengono aggiornate con l’assegno sociale: per il 2024 era €534 al mese, per il 2025 sarà leggermente più alto con l’inflazione, dunque i numeri saliranno un poco. Tieni anche presente: se hai più pensioni (es. vecchiaia + reversibilità), si sommano come reddito pensionistico e la soglia impignorabile si applica una volta sola sul totale. Anche per le pensioni vale la regola del quinto e del cumulo: non più di 1/5 salvo alimenti, e mai oltre il 50% in totale (ma arrivare a 50% su pensione è raro perché vorrebbe dire avere anche un pignoramento alimentare in corso). Quindi, risposta in breve: la pensione fino a circa €1000 al mese non te la toccano; sopra quell’importo, solo una piccola parte eccedente viene eventualmente pignorata, secondo i calcoli di legge. Se un creditore cercasse di farti pignorare una pensione di €600, il giudice rigetterebbe l’istanza in quanto la pensione è sotto il minimo impignorabile.

D: Mi hanno pignorato l’auto / i mobili, posso ancora usarli?
R: Dipende. Nel pignoramento mobiliare l’ufficiale giudiziario spesso lascia i beni pignorati in custodia al debitore fino alla vendita. Se così, tu rimani custode e puoi continuare ad utilizzarli purché non ne alteri lo stato e non li sottrai. Ad esempio, se ti hanno pignorato l’automobile, normalmente l’U.G. procede trascrivendo il pignoramento al PRA (Pubblico Registro Automobilistico) e ti nomina custode dell’auto. Ciò significa che la macchina è vincolata: non puoi venderla né rovinarla né portarla all’estero, ma puoi continuare a guidarla per le tue esigenze fino a nuovo ordine. Lo stesso per i mobili: se ti pignorano, poniamo, il televisore e i mobili del salotto, di solito li lasciano in casa tua con te custode. Puoi ancora guardar la TV sul televisore pignorato, ma non puoi spostarlo altrove o cederlo. Il giudice può anche decidere diversamente in certe circostanze: se il bene è di facile sottrazione (gioielli, opere d’arte di valore) potrebbe nominare un custode terzo e ritirarteli subito. Per l’auto, a volte viene affidata a un custode giudiziario (ad esempio un deposito) e ti viene tolta, specie se c’è rischio che tu non paghi bollo/assicurazione e il valore cali; però questo avviene più in ambito di leasing, raramente per pignoramento civile di auto di uso comune. Finché sei custode, ricorda che hai l’obbligo di conservare bene il bene. Se lo danneggi o lo sottrai (tipo vendi l’auto pignorata di nascosto), commetti reato di violazione dei sigilli/sottrazione di cose pignorate. Quindi assolutamente da evitare. Se i beni sono di tua utilità (es. attrezzi di lavoro), puoi presentare istanza di riduzione/sostituzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.), per tentare di liberare quei beni offrendo magari altri o dimostrando che bastano altri beni già presi. In sintesi: sì, puoi continuare ad usare i beni pignorati se rimangono nella tua custodia, ma devi averne cura e non diminuirne il valore. Questa situazione perdura di solito fino all’approssimarsi della vendita: ad esempio, se l’auto va all’asta, il giudice qualche settimana prima ordina al custode (te) di portare l’auto in un deposito per farla visionare agli acquirenti e poi consegnarla all’aggiudicatario. Idem per i mobili: resteranno da te finché non arriverà l’ordine di asporto da parte dell’istituto vendite giudiziarie per metterli all’asta. Se invece sei stato rimosso dalla custodia (caso possibile se hai violato obblighi o se hai manifestato intenzioni di sottrazione), allora no, non potrai usare i beni perché saranno stati affidati a un custode terzo. In quel caso, rischi guai se provi ad accedervi. Ma ripeto, normalmente per i beni d’uso quotidiano il debitore rimane custode-utilizzatore sino a vendita.

D: Cosa succede se un pignoramento va a vuoto? (Ad esempio, non trovano nulla da pignorare o l’asta va deserta)
R: Se l’ufficiale giudiziario non trova beni utilmente pignorabili (caso tipico: viene a casa, hai solo beni essenziali di scarso valore; oppure pignora il conto ma non c’è nulla sopra; oppure tentano sullo stipendio ma sei disoccupato), si redige un verbale di pignoramento negativo o “infruttuoso”. Per il debitore, a breve termine, significa che quell’azione esecutiva non ha dato risultato: non ti hanno potuto togliere nulla. Però il debito rimane e il creditore può tentare altre strade in seguito. Ad esempio, se oggi il creditore non ha trovato conti o lavoro, può rifare un accesso tra sei mesi sperando che nel frattempo tu abbia trovato impiego o depositato denaro da qualche parte. Un pignoramento infruttuoso non cancella il debito (a meno che il creditore decida di rinunciarvi, ma di solito no). Resta però registrato che quell’esecuzione non ha avuto esito. Il creditore può chiudere la procedura per mancanza di beni (insolvenza del debitore) – tecnicamente il G.E. dichiara l’estinzione ex art. 630 c.p.c. per impossibilità di proseguire – e poi il creditore potrebbe anche decidere di non insistere oltre (specie se capisce che sei nullatenente). Sappi però che i crediti non soddisfatti possono pesare: potrebbero iscrivere ipoteca giudiziale su eventuali beni futuri, oppure il creditore ha 10 anni di tempo (dalla formazione del titolo) per riprovarci. Se passa tanto tempo, può rinnovare il precetto e cercare di nuovo. Perciò, se sei nullatenente ora ma fra qualche anno compri casa o trovi un buon lavoro, quel creditore può farsi vivo di nuovo. Riguardo alle aste deserte: se ti hanno pignorato un bene e messo in vendita, ma nessuno lo compra dopo diversi tentativi, il giudice può ridurre il prezzo e indire nuove aste. Dopo un certo numero di aste deserte, oggi la legge prevede che la procedura possa essere chiusa per eccessiva svalutazione: in ambito immobiliare, ad esempio, se dopo tre ribassi il bene non è venduto, il creditore può chiedere assegnazione oppure la procedura può essere dichiarata estinta (queste soglie esatte dipendono da riforme recenti, ma in genere se non vendi l’immobile entro un paio d’anni, il processo viene chiuso). In tal caso il bene torna al debitore libero da pignoramento (per la gioia del debitore), ma il debito rimane insoluto e il creditore potrebbe riprovarci più avanti (anche se di solito se la casa non si è venduta per il prezzo alto, e il debitore ancora non paga, magari il creditore si ferma lì o valuta altre azioni come un pignoramento dello stipendio se nel frattempo è comparso). In sintesi: un pignoramento “a vuoto” è una vittoria momentanea per il debitore, ma non una soluzione definitiva del debito. Diversamente, se decorsi 10 anni il creditore non ha mai soddisfatto il credito né rinnovato il titolo, il diritto di procedere si prescrive e allora sì che il debitore potrà tirare un sospiro di sollievo. Ma contare sulla prescrizione decennale di una sentenza/decreto è rischioso, perché basta un atto interruttivo (tipo notifica di nuovo precetto) per far ripartire il conteggio. Meglio, se possibile, usare quel tempo di tregua per trovare un accordo o aderire a procedure di sovraindebitamento per liberarsi formalmente del debito.

D: Il creditore può prendere provvedimenti penali contro di me per non aver pagato le bollette?
R: In generale, il mancato pagamento di bollette e debiti civili non è un reato. Non rischi la galera o la fedina penale sporca solo perché non hai pagato dei fornitori. Ci sono però alcune eccezioni e casi particolari: ad esempio, se volontariamente sottrai o distruggi beni per impedire l’esecuzione (metti in atto frodi verso i creditori), quello può costituire reato di “fraudolenta sottrazione di beni” (art. 388 c.p.) o “distruzione di beni pignorati”. Per dire: l’ufficiale giudiziario annuncia che tornerà per pignorare i tuoi mobili, e tu li fai sparire vendendoli sottobanco o nascondendoli a casa di amici – questo comportamento, se provato, potrebbe implicare responsabilità penali. Ma semplicemente non aver soldi per pagare non è reato. Fai attenzione anche a non rilasciare dichiarazioni false all’ufficiale giudiziario o in sede di interrogatorio del debitore: mentire sui propri beni (es. dire “non ho conti in banca” quando ne hai) è un illecito. Altro caso: se firmi contratti di fornitura sapendo di non poter pagare, non è reato salvo sfoci in truffa (ad es., attivi utenze con documenti falsi, allora sì c’è reato di falso o truffa). Ma in sé, l’insolvenza civile non comporta conseguenze penali. È materia da affrontare sul piano civilistico (pignoramenti, esecuzioni). Altra eccezione: se il debito fosse verso il fisco (tributi), lì esistono reati tributari per omesso versamento oltre certe soglie, ma parliamo di tasse, non di bollette a privati. Quindi per luce, gas, acqua, telefono non pagati, no, non commetti reato (a meno che tu manometta i contatori rubando energia, quello sì è reato di furto!). I creditori a volte nelle lettere insinuano “procederemo per vie legali, anche penali”: è un bluff intimidatorio. Non esiste la “denuncia” per bollette non pagate. Esiste la causa civile e il pignoramento. Tienilo presente per non farti spaventare da minacce infondate. L’unica circostanza in cui la sfera penale entra è se tu, dopo il pignoramento, commetti azioni di sottrazione dei beni pignorati o violi i provvedimenti del giudice (come dicevamo). Ma basta non farlo. Ad esempio, se ti nominano custode dell’auto pignorata e tu la vendi lo stesso, allora il creditore può denunciarti. Ma se ti limiti a non pagare perché non puoi, nessun reato.

D: Ho subito un pignoramento e ora il mio nome comparirà da qualche parte? Avrò problemi a chiedere prestiti o attivare nuove utenze?
R: Un pignoramento, in quanto atto giudiziario pubblico, lascia tracce nei registri: ad esempio i pignoramenti immobiliari risultano da visure nei registri immobiliari (fino alla loro eventuale cancellazione). I pignoramenti presso terzi e mobiliari sono registrati nel fascicolo di tribunale, e oggi c’è anche un registro delle procedure esecutive. Queste informazioni però non sono di dominio pubblico generalizzato: vi accedono gli addetti ai lavori, eventuali altri creditori (che magari fanno visure per vedere se hai cause in corso). Se chiedi un prestito in banca, spesso la banca fa controlli sui dati creditizi: ci sono banche dati come la Centrale Rischi e sistemi di informazione creditizia (CRIF, Experian etc.). La segnalazione in CRIF avviene per lo più se hai insoluti con banche/finanziarie (prestiti non pagati). Le bollette non pagate di solito non finiscono in CRIF (che riguarda credito finanziario), a meno che la società di utenze abbia adottato un sistema di segnalazione (ma di solito non lo fanno; c’è un database separato per morosi telefonici chiamato SIMOITEL per la telefonia mobile, ad esempio). Tuttavia, se c’è stato un procedimento giudiziario, quell’informazione potrebbe emergere con una visura camerale (ad esempio, se sei un imprenditore o hai cariche, i protesti e pignoramenti a volte vengono pubblicati nei registri imprese). Non è scontato: i protesti (assegni a vuoto) sì sono pubblici, i pignoramenti non c’è un bollettino nazionale consultabile liberamente. In generale, comunque, subire un pignoramento è indice di insolvenza: se successivamente chiedi un prestito e confidi di non farlo sapere, sappi che la banca può chiederti se hai cause pendenti e può fare controlli. Non esiste una “fedina civile” ufficiale come quella penale, ma un buon creditore prima di erogare un finanziamento magari fa un salto in tribunale a vedere se a tuo carico ci sono procedure. Inoltre, ti saranno probabilmente addebitate le spese di registrazione dell’atto di pignoramento nell’Anagrafe Tributaria: oggi gli ufficiali giudiziari a volte registrano i pignoramenti anche fiscalmente. Comunque, un pignoramento stipendio in azienda ovviamente ti rende noto come persona con debiti (all’ufficio paghe). Non è un’informazione che viaggia a tutti, ma qualcosa trapela. Quanto alle nuove utenze, di solito le società di servizi consultano banche dati di morosità: se sei stato moroso grave con una compagnia telefonica, potresti essere iscritto in banche dati tipo “Elenco dei cattivi pagatori telefonici” e un altro operatore potrebbe rifiutarsi di attivarti un contratto. In ambito energia/gas c’è meno centralizzazione: potresti dover saldare i vecchi debiti col precedente fornitore per poter riattivare la fornitura. Ma un pignoramento di per sé non è un impedimento formale ad attivare contratti: è la morosità sottostante che può creare ostacoli commerciali (ad esempio, ti chiederanno un deposito cauzionale elevato sapendo che hai storici di morosità). In sintesi: , l’essere stati pignorati è sintomo di difficoltà creditizia e può riflettersi negativamente sulla reputazione finanziaria, pur non esistendo un albo pubblico dei pignorati. Conviene, se possibile, risolvere i debiti o concordare piani di rientro prima che degenerino in esecuzioni, anche per limitare questi effetti collaterali.

Casi pratici: simulazioni di difesa dal pignoramento

Per comprendere meglio come applicare nella realtà gli strumenti difensivi e le nozioni esposte, presentiamo ora alcune simulazioni pratiche ispirate a casi comuni. Si tratta di scenari ipotetici ma realistici nel contesto italiano, che illustrano dal punto di vista del debitore come evolvono le situazioni di pignoramento per bollette non pagate e quali mosse difensive vengono adottate. Ogni caso mette in luce problematiche diverse e relative soluzioni, tenendo conto delle normative aggiornate al 2025.

Caso 1: Pignoramento del conto corrente per bollette telefoniche – difesa con opposizione a DI e sospensione

Scenario: Il signor Marco B. è un privato cittadino di 35 anni. Nel 2024 ha cambiato operatore telefonico e ha interrotto un contratto di telefonia fissa/mobile con la compagnia TelNow, contestando diverse fatture (sosteneva di aver diritto a uno sconto mai applicato e a un conguaglio errato). Rimangono non pagate 3 bollette per un totale di €1.200. TelNow, dopo vari solleciti, a marzo 2025 gli notifica un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale per €1.350 (comprensivo di spese legali e interessi). Marco inizialmente ignora l’ingiunzione – convinto che “tanto prima o poi sistemeranno la questione commerciale” – e non fa opposizione entro 40 giorni. Così a maggio 2025 la TelNow notifica a Marco un atto di precetto per €1.400 (ulteriori spese e interessi maturati), intimandogli di pagare entro 10 giorni. Marco, spaventato, contatta un avvocato.

Difesa intrapresa: L’avvocato esamina le vecchie bollette contestate e riscontra effettivamente che alcune somme non erano dovute: in particolare, una bolletta di €400 comprendeva penali di recesso illegittime secondo la normativa AGCOM. Avrebbe dovuto fare opposizione al decreto ingiuntivo, ma quel termine è trascorso. Tuttavia, nota un appiglio: il decreto ingiuntivo era stato notificato solo via PEC a un indirizzo che Marco non controllava più, e Marco afferma di non averlo mai letto. Ci sono i presupposti per un’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., sostenendo che Marco non ha avuto conoscenza tempestiva dell’ingiunzione per causa a lui non imputabile. L’avvocato quindi, entro 10 giorni dalla notifica del precetto (momento in cui Marco ha appreso ufficialmente del decreto), deposita in Tribunale un’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, eccependo l’illegittimità di parte del credito (penali non dovute) e la parziale prescrizione di un consumo di 3 anni prima. Nel frattempo, essendo il decreto provvisoriamente esecutivo (era stato emesso ex art. 642 c.p.c. su richiesta di TelNow, data la presenza di un contratto scritto), TelNow avvia pignoramento presso terzi sul conto corrente di Marco: a giugno 2025 la banca blocca €1.200 dal conto di Marco su richiesta del creditore. L’avvocato allora integra la difesa presentando immediatamente un’istanza di sospensione ex art. 649 c.p.c. al giudice dell’opposizione, evidenziando che: (a) Marco ha validi motivi di opposizione tardiva (bollette contestate, possibili errori, + ignoranza del decreto per notifica non andata a buon fine); (b) sul conto di Marco ci sono i risparmi per pagare l’affitto e spese mediche, e il blocco gli causa un danno grave. Il giudice dell’opposizione, a luglio 2025, accoglie la richiesta di sospensione: emette ordinanza che sospende l’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo. TelNow a questo punto non può proseguire con l’esecuzione finché la causa non sarà decisa. Marco ottiene d’urgenza anche un provvedimento del G.E. (concordato con TelNow) per liberare almeno parzialmente il conto: grazie alla sospensione, la banca sblocca i fondi eccedenti il minimo vitale e trattiene solo €200 come cauzione in attesa dell’esito finale. La causa di opposizione tardiva prosegue e, a dicembre 2025, viene definita con una sentenza di merito: il tribunale accoglie parzialmente le ragioni di Marco, rideterminando il dovuto in €800 (eliminando €400 di penali e costi non dovuti). Compensa le spese legali dato che in parte Marco aveva comunque un debito. A questo punto, TelNow – che ha ancora un titolo esecutivo (la sentenza) per €800 – chiede al G.E. di riprendere l’esecuzione solo per quell’importo. Sul conto di Marco, intanto, erano rimasti bloccati €200. Marco, pur di chiudere la vicenda, si accorda per pagare subito i restanti €600 alla TelNow (anche perché nel frattempo aveva messo da parte qualcosa). TelNow accetta e rinuncia alla procedura esecutiva definitivamente. Marco paga i €600, la banca sblocca i €200 che erano vincolati, e la pratica si chiude.

Commento: In questo caso Marco ha evitato il pignoramento tempestivamente utilizzando un’opposizione tardiva e ottenendo la sospensione. Pur avendo ignorato inizialmente l’ingiunzione (errore), è riuscito – grazie a un vizio di notifica – a rientrare in gioco e far valere le sue contestazioni di merito. La sospensione è stata fondamentale per sbloccare il conto nel frattempo. Alla fine ha dovuto pagare ciò che effettivamente era corretto pagare (€800) ma ha risparmiato €550 tra somme non dovute e spese legali opposte. Se non avesse agito, avrebbe subìto il pignoramento dell’intera somma originaria più spese. Questo mostra l’importanza di non trascurare i decreti ingiuntivi e, se proprio non si è fatto in tempo, di cercare immediatamente rimedi appena arriva il precetto/pignoramento.

Caso 2: Pignoramento dello stipendio per bollette di energia – difesa con conversione del pignoramento

Scenario: La signora Lucia R. è titolare di una piccola impresa individuale (lavanderia). Nel 2023 ha subito un grosso conguaglio di luce e gas per problemi di contatore: bollette per un totale di €6.000 con il fornitore EnerItalia S.p.A.. Contestazioni con il fornitore non hanno risolto la questione, e lei – avendo anche altre difficoltà economiche – non ha pagato queste fatture. EnerItalia nel 2024 ottiene un decreto ingiuntivo e nel 2025 avvia un pignoramento presso terzi: nel suo caso, Lucia non ha uno stipendio da dipendente (è autonoma), ma EnerItalia scopre che Lucia ha affittato un locale di sua proprietà a terzi. Procede quindi al pignoramento dei canoni di affitto che l’inquilino deve a Lucia (pignoramento presso terzi atipico). L’inquilino riceve l’atto e, spaventato, smette di pagare i canoni a Lucia mettendoli da parte in attesa del giudice. Lucia si ritrova così senza incassare l’affitto (suo reddito extra) e con la minaccia di vedersi portar via quei soldi.

Difesa intrapresa: Lucia consulta un legale. Valutano che il debito è sostanzialmente corretto (il contatore era stato letto in ritardo ma i consumi c’erano stati; non ci sono motivi di opposizione validi, e comunque il titolo è definitivo). Lucia però ha un problema: se vengono pignorati gli affitti, lei non riuscirà a pagare il mutuo del locale e le spese correnti. D’altro canto, possiede una seconda casa (ereditata, libera da ipoteche) che però non vuole assolutamente perdere per un debito di 6.000 €. Decide allora di evitare che l’esecuzione si protragga sui suoi crediti e potenzialmente sui suoi beni, e presenta al giudice dell’esecuzione una istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.). Nell’istanza offre di sostituire ai canoni pignorati una somma di denaro. Lucia riesce, chiedendo aiuto ai familiari, a raccogliere 1/6 del debito (circa €1.000) che versa immediatamente in Tribunale come cauzione. Il giudice sospende l’assegnazione dei canoni all’udienza di comparizione e determina che per estinguere l’esecuzione Lucia dovrà pagare: il capitale €6.000 + interessi €200 + spese €800 = totale €7.000. Autorizza la rateizzazione in 24 mesi (Lucia chiede 2 anni), quindi 24 rate mensili di circa €291 ciascuna. Lucia versa subito i primi €1.000 (già depositati) che vanno a ridurre il debito, restano €6.000 da rateizzare. Nei successivi 24 mesi, Lucia puntualmente paga €250-300 al mese e ogni sei mesi il creditore incassa quanto accumulato. Durante questo periodo, l’inquilino può tornare a pagare l’affitto direttamente a Lucia perché il pignoramento di quei canoni è stato sostituito dalla conversione (il giudice ha liberato il terzo dal vincolo, in quanto la procedura prosegue con la somma versata). Lucia riesce così a mantenere i flussi di cassa per la sua attività e a pagare le rate concordate. Dopo due anni, nel 2027, ha pagato tutto. Il giudice dichiara estinto il pignoramento per avvenuto pagamento integrale grazie alla conversione. Lucia ha salvaguardato i suoi beni (nessun immobile venduto, nessun blocco di affitti prolungato) e ha dilazionato il debito in modo gestibile.

Commento: In questo caso la conversione del pignoramento è stata la mossa vincente. Lucia non aveva appigli per opposizioni, ma aveva volontà di pagare e patrimonio sufficiente. Ha evitato che il creditore potesse magari in futuro pignorarle la casa, preferendo pagare a rate. Il creditore ha comunque ottenuto il suo denaro con relativa soddisfazione. Va notato che Lucia è riuscita a depositare il 1/6 grazie all’aiuto familiare; senza quella base, non avrebbe potuto accedere alla conversione. Inoltre, è stata diligente nel rispettare il piano. Se avesse saltato qualche rata, la conversione sarebbe decaduta e il creditore avrebbe potuto riprendere i pignoramenti (magari colpendo l’immobile). Questo esempio evidenzia come la conversione sia uno strumento di equilibrio: tutela il debitore che vuole davvero pagare e allo stesso tempo fornisce garanzie al creditore (cauzione + interessi legali). Non tutti i debitori riescono a sfruttarla, ma quando c’è patrimonio o reddito per far fronte, è preferibile all’incertezza dell’asta.

Caso 3: Pignoramento mobiliare in casa per bollette condominiali – difesa con opposizione agli atti e accordo transattivo

Scenario: Il signor Antonio D. abita in una villetta e ha accumulato debiti verso la società idrica locale (bollette acqua) e verso la ditta di smaltimento rifiuti (TARI) per un totale di €3.500. Questi enti, tramite l’avvocato comune, ottengono un decreto ingiuntivo e, non avendo notizie di pagamento, procedono nel 2025 con un pignoramento mobiliare presso l’abitazione di Antonio. L’ufficiale giudiziario si presenta a casa di Antonio mattina presto. Antonio lo accoglie, spiegando che sta attraversando difficoltà ma chiedendo tempo. L’ufficiale però deve procedere: redige verbale pignorando diversi beni: un televisore da 55”, un computer, alcuni mobili di pregio (una credenza antica) e l’auto utilitaria parcheggiata (annotando gli estremi per pignoramento auto). Antonio è disperato perché quei beni, seppur non vitali, sono importanti per la sua vita quotidiana e l’auto gli serve per andare al lavoro.

Difesa intrapresa: L’avvocato di Antonio, il giorno dopo, esamina il verbale di pignoramento e nota subito un possibile vizio formale: l’ufficiale giudiziario nel verbale non ha indicato chiaramente il termine per proporre opposizione né il giudice competente (informazioni ora richieste dall’art. 480 c.p.c., come modificato di recente). Inoltre, ha pignorato una “credenza di antiquariato” senza valutare se potesse rientrare tra i mobili indispensabili; Antonio sostiene che quella credenza la usano come dispensa per cibo ed è l’unico mobile contenitivo in cucina – quindi proverebbe a definirla essenziale. L’avvocato presenta al tribunale un’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., entro 20 giorni dal pignoramento, lamentando: (a) nullità formale del verbale per omissione di avvisi obbligatori; (b) irregolarità sostanziale per aver pignorato un mobile ad uso indispensabile e comunque beni di valore eccessivo rispetto al credito (il valore stimato nel verbale era circa €5.000, a fronte di €3.500 dovuti). Chiede quindi l’annullamento parziale del pignoramento o la sua riduzione (art. 496 c.p.c.). Nel frattempo, Antonio contatta anche gli enti creditori tramite il loro avvocato e propone un accordo transattivo: offre di pagare €3.000 in due tranche in tempi brevi, chiedendo l’abbandono della procedura. I creditori, interessati a rientrare senza ulteriori spese, accettano in linea di massima €3.000 totali purché pagati entro 3 mesi. All’udienza in tribunale sull’opposizione agli atti, prima che il giudice decida, le parti comunicano di aver raggiunto un accordo transattivo: Antonio ha già pagato €1.500 e pagherà i restanti €1.500 entro 90 giorni. Viene presentata un’istanza congiunta di estinzione della procedura esecutiva per accordo intervenuto. Il giudice, preso atto, dichiara l’esecuzione estinta e le parti rinunciano reciprocamente alle opposizioni e pretese di spese. Nel verbale di estinzione, si dispone la liberazione dei beni pignorati e la cancellazione del pignoramento auto. Così Antonio riesce a rientrare in possesso libero di tutti i suoi beni (che in realtà erano rimasti a lui in custodia nel frattempo) senza che si passi alla vendita.

Commento: Questo caso mostra un’azione difensiva “mista”: da un lato un’opposizione formale per guadagnare tempo e leva negoziale (e magari cogliere un errore procedurale del creditore), dall’altro la ricerca di un accordo di pagamento. Spesso, soprattutto con enti pubblici o aziende fornitrici non interessate a oggetti, l’obiettivo è incassare il dovuto, quindi se il debitore offre in buona fede una somma consistente in tempi rapidi, preferiscono evitare il prosieguo dell’esecuzione (che comporta costi e incognite). L’opposizione agli atti qui ha evidenziato un possibile vizio (mancato avviso del 615/617 in atto di pignoramento, obbligo introdotto dalla riforma Cartabia di informare il debitore della possibilità di opposizione: la sua omissione può comportare nullità relativa). Non si sa se il giudice l’avrebbe accolta, ma intanto ha creato margine per trattare. Antonio ha comunque dovuto pagare quasi tutto il debito (3.000 su 3.500), ma ha evitato ulteriori spese e la vendita dei beni, ottenendo anche uno “sconto” di €500 e la restituzione dell’auto e del mobilio senza intoppi. Morale: contestare i dettagli procedurali può servire come strumento di difesa, ma spesso la soluzione migliore è trovare un terreno d’accordo economico se si è effettivamente debitori.

Caso 4: Pignoramento della pensione – difesa sui limiti di pignorabilità

Scenario: Il signor Giuseppe L., 70 anni, è pensionato INPS con una pensione netta di €1.100 al mese. Ha bollette arretrate del gas per €2.000 che non è riuscito a pagare. La società energetica ha agito legalmente e nel 2025 gli notifica un atto di pignoramento presso terzi direttamente all’INPS, per ottenere una quota della sua pensione. Giuseppe si allarma perché già la pensione gli basta appena a vivere.

Difesa intrapresa: Prima di tutto, Giuseppe verifica se la sua pensione rientra nei limiti di impignorabilità. Sa (anche grazie a questa guida!) che fino a circa €1.070 non si può toccare. La sua pensione è €1.100, quindi la parte eccedente il minimo vitale è circa €32. Dunque, al massimo il creditore potrà prendere il 20% di €32, ovvero circa €6,4 al mese. Giuseppe tramite il suo avvocato fa presente all’INPS e al giudice dell’esecuzione questa situazione: l’INPS in effetti nella dichiarazione di pignoramento indica che applicherà l’art. 545 c.p.c. commi 7 e 8, lasciando impignorabili €1.068 e trattenendo il quinto del resto. Si tratta di una somma irrisoria mensile. Il creditore capisce che con questo ritmo recupererà il credito in decenni. Nel frattempo Giuseppe, con l’aiuto di un figlio, propone al creditore un piccolo saldo stralcio: offrire €1.200 immediatamente a chiudere la pratica. Il creditore, visto che la via del pignoramento pensione è inefficiente (6 euro al mese vorrebbe dire 300+ mesi di prelievi!), accetta. Si presentano dunque all’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione comunicando l’accordo raggiunto: il creditore dichiara che, a fronte del pagamento di €1.200, rinuncia alla procedura. Giuseppe paga contestualmente (il figlio gli presta la cifra) e il giudice dispone la cessazione della materia del contendere e la chiusura del pignoramento pensione. L’INPS non effettuerà più alcuna trattenuta (già ne aveva bloccata una rata minima, che poi verrà restituita o imputata come acconto).

Commento: Questo caso mostra come la robusta protezione legale della pensione può spingere il creditore a soluzioni transattive vantaggiose per il debitore. Giuseppe, conoscendo i suoi diritti, ha potuto negoziare da una posizione di relativa forza: sa che il creditore si accontenterà di un taglio pur di evitare di rincorrere briciole per anni. È importante però che Giuseppe sia stato reattivo: all’atto del pignoramento, se l’INPS o il creditore avessero cercato di trattenere più del dovuto, avrebbe dovuto fare opposizione per nullità (il giudice comunque l’avrebbe colta d’ufficio, ma meglio vigilare). In questo scenario la legge già gli offriva la difesa (minimo vitale impignorabile), quindi non è servita un’opposizione formale, è bastata un’istanza informativa e poi la trattativa. I creditori sanno che le pensioni fino a certe soglie non convengono: per questo in molti casi accettano stralci ragionevoli. Giuseppe ha pagato 1.200 su 2.000, risparmiando 800 € e ottenendo la chiusura rapida del caso. Non tutti i creditori lo farebbero, ma qui la differenza tra 2.000 e l’attualità di 6 €/mese ha portato a convergenza. Il risultato finale è positivo: Giuseppe non subisce prelievi sulla pensione e si libera del debito a sconto; il creditore incassa subito gran parte del dovuto senza spese ulteriori. Questo conferma che conoscere i limiti di pignorabilità consente al debitore di non subire passivamente situazioni che per legge non devono subire: a volte succede che pensionati ignorino la soglia e pensino di dover cedere un quinto pieno anche su pensioni modeste, magari pagando volontariamente più del dovuto. Invece no: informarsi (o farsi assistere) evita di pagare più di quello che la legge richiede.


Questi esempi, pur diversi, evidenziano alcuni principi comuni:

  • Tempestività nell’azione difensiva: tutti i debitori che hanno ottenuto risultati hanno agito subito (opposizioni entro termini, istanze immediate, negoziazioni prima che i beni vengano venduti).
  • Conoscenza dei propri diritti: sapevano (o tramite consulenza legale hanno saputo) i limiti di ciò che poteva essere preso e le procedure corrette. Ciò ha evitato soprusi o passività (es. Giuseppe sapeva del minimo vitale, Lucia del diritto alla conversione, Marco dell’opposizione tardiva).
  • Disponibilità a trovare soluzioni realistiche: nessuno ha potuto “far sparire” il debito magicamente; tutti hanno in qualche misura pagato quanto dovuto (chi per intero a rate, chi quasi intero con stralcio). Ma lo hanno fatto in maniera gestibile e riducendo i danni.

Ogni situazione è unica, ma queste simulazioni mostrano l’approccio che un debitore avveduto dovrebbe avere: muoversi velocemente, utilizzare gli strumenti legali adeguati, e parallelamente (dove possibile) dialogare col creditore per una soluzione.

Fonti normative e giurisprudenziali

(In questa sezione finale raccogliamo le principali norme e sentenze citate o rilevanti sul tema, aggiornate a giugno 2025, a cui il lettore può riferirsi per approfondire o verificare quanto esposto.)

Codice di Procedura Civile (c.p.c.):

  • Art. 480 c.p.c.: Forma del precetto – Requisiti formali dell’atto di precetto (incluso l’obbligo di indicare la possibilità di opporsi entro 20 giorni).
  • Art. 491 c.p.c.: (Principio di unicità dell’esecuzione per ciascun titolo).
  • Art. 492 c.p.c.: Atto di pignoramento – Contenuti e ingiunzioni al debitore.
  • Art. 493 c.p.c.: Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare (accenno alla consultazione banche dati).
  • Art. 495 c.p.c.: Conversione del pignoramento – Facoltà del debitore di sostituire beni/crediti pignorati con denaro, cauzione minima di 1/6, determinazione somme da versare e rateizzazione max 48 mesi. (Modificato da D.Lgs. 149/2022, c.d. riforma Cartabia).
  • Art. 496 c.p.c.: Istanza di riduzione del pignoramento – Se sono stati pignorati beni di valore manifestamente eccedente il credito.
  • Art. 514 c.p.c.: Beni mobili assolutamente impignorabili – Elenco: cose sacre, letto, tavolo, sedie, armadio, frigorifero, fornelli, lavatrice, biancheria, abiti, utensili da cucina, alimenti per un mese, strumenti di lavoro, animali da compagnia, ecc. (aggiornato da L. 221/2015 per animali d’affezione).
  • Art. 515 c.p.c.: Beni relativamente impignorabili – cose che il debitore tiene per l’esercizio dell’arte o professione (attrezzi, macchinari agricoli, etc.) pignorabili con cautele.
  • Art. 543 c.p.c.: Atto di pignoramento presso terzi – Forma e notifica al terzo e al debitore.
  • Art. 545 c.p.c.: Crediti impignorabili o con limiti – in particolare commi 3, 4, 5: limite 1/5 stipendi/salari; concorso di pignoramenti (1/2 se alimenti coinvolti, 1/5 se solo crediti ordinari);
    – Comma 7: pensioni impignorabili sotto soglia pari (dal 2022) a 2x assegno sociale;
    – Comma 8: somme da stipendio/pensione accreditate su conto prima del pignoramento impignorabili nei limiti di 3x assegno sociale.
  • Art. 546 c.p.c.: Obblighi del terzo pignorato (divieto di pagare il debitore, obbligo di dichiarazione).
  • Art. 560 c.p.c.: Custodia dell’immobile pignorato e diritto del debitore di abitarvi fino all’aggiudicazione (modificato da DL 18/2020 conv. L. 27/2020).
  • Art. 615 c.p.c.: Opposizione all’esecuzione – Forma (citazione se pre-esecuzione, ricorso se post-pignoramento), e inammissibilità oltre l’assegnazione/vendita salvo fatti sopravvenuti. Facoltà di sospensione su istanza in caso di gravi motivi (comma 1).
  • Art. 616 c.p.c.: Trattazione dell’opposizione all’esecuzione.
  • Art. 617 c.p.c.: Opposizione agli atti esecutivi – Termine di 20 giorni dalla notifica o conoscenza dell’atto. Procedura con ricorso se fase iniziata.
  • Art. 618 c.p.c.: Sospensione dell’esecuzione nelle opposizioni agli atti (il giudice può sospendere l’atto impugnato).
  • Art. 618-bis c.p.c.: Rimedi nelle opposizioni (ordinanza/trattazione).
  • Art. 624 c.p.c.: Sospensione dell’esecuzione – Il G.E. può sospendere con ordinanza l’esecuzione per gravi motivi su istanza di parte.
  • Art. 624-bis c.p.c.: (Sospensione concordata su istanza congiunta delle parti – introdotto da DL 83/2015 conv. L.132/2015).
  • Art. 649 c.p.c.: Sospensione dell’esecuzione del decreto ingiuntivo – Il giudice dell’opposizione può sospendere l’efficacia esecutiva del DI opposto se ci sono gravi motivi.
  • Art. 650 c.p.c.: Opposizione tardiva a decreto ingiuntivo – Ammissibile se il debitore prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notifica o caso fortuito/forza maggiore.

Codice Civile (c.c.):

  • Art. 2910 c.c.: Facoltà per il creditore di fare espropriare i beni del debitore per soddisfarsi.
  • Art. 2916 c.c.: Esecuzione sui frutti e rendite (rileva per pignoramento affitti).
  • Art. 2929 c.c.: Beni impignorabili per legge non possono essere espropriati (rinvio alle leggi speciali, es: 514 c.p.c.).
  • Art. 2929-bis c.c.: (Azione revocatoria semplificata per atti a titolo gratuito prima di pignoramento – citata solo di sfuggita in contesti di sottrazione beni).

Leggi speciali e altre norme:

  • D.P.R. 602/1973, art. 72-ter: Percentuali di pignoramento stipendio per Agenzia Entrate Riscossione (1/10 <2500€, 1/7 2500-5000, 1/5 sopra).
  • DL Aiuti-bis 2022 (D.L. 115/2022) conv. L.142/2022, art. 21-bis: Aumento della soglia impignorabile pensioni da 1,5x a 2x assegno sociale (INPS circolare applicativa del 5/4/2023).
  • L. 3/2012 (Legge sovraindebitamento): Strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento (piani del consumatore, liquidazione del patrimonio) – non trattati estensivamente nella guida, ma fonte generale per debitori civili.
  • D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi): Ha incorporato procedure di sovraindebitamento dal 2022.
  • Delibera ARERA e norme settore idrico: (Riferimento alla tutela 50 litri minimi e procedure prima del distacco).

Giurisprudenza di legittimità:

  • Cass., Sez. III, Sent. n. 6548/2011: Principio della rilevabilità d’ufficio dell’impignorabilità parziale delle pensioni per tutela del minimo vitale. Afferma nullità radicale del pignoramento oltre i limiti e sua rilevabilità anche senza opposizione.
  • Cass., Sez. VI, Ord. n. 18755/2017: (Cita principio del minimo vitale pensioni e coordinamento con art. 545 c.p.c., successiva alla riforma 2015).
  • Cass., Sez. Un., Sent. n. 8260/2016: (Sulla natura impugnatoria dell’opposizione a decreto ingiuntivo e riparto onere prova – generico).
  • Cass., Sez. III, Ord. n. 2165/2020: (Probabilmente su limiti cumulativi pignoramento stipendi con cessioni).
  • Cass., Sez. III, Sent. n. 208/2022: (Sul concorso di pignoramenti e rispetto limite 1/5).
  • Cass., Sez. III, Ord. n. 26166/2021: (In tema di conversione del pignoramento, decadenza se salto rata).
  • Cass., Sez. II, Sent. n. 20818/2019: Ingiunzione – fatture e bollette come prova: conferma che in caso di opposizione le fatture non bastano, serve prova del rapporto sottostante (richiama Cass. n. 13506/2014 e Cass. n. 11595/2018).
  • Cass., Sez. III, Sent. n. 261/2016: (Pignorabilità conti cointestati – presunzione 50%).
  • Cass., Sez. VI, Ord. n. 11135/2017: (Precisa che per i crediti ordinari il cumulo pignoramenti su stipendio resta nei 1/5, senza eccezioni).
  • Cass., Sez. III, Sent. n. 2480/2019: (Possibilità di opposizione tardiva DI per vizio notifica via PEC non andata a buon fine).
  • Cass., Sez. III, Sent. n. 28617/2018: (Sulla nullità del precetto privo di indicazione termine opposizione – orientamento).
  • Cass., Sez. III, Ord. n. 3824/2020: (Conferma nullità precetto se manca indicazione art. 480 co.2 c.p.c. come modificato).
  • Cass., Sez. Un., Sent. n. 377/2022: (Sulla dibattuta questione competenza opposizione atti di pignoramento presso terzi, irrilevante qui).
  • Cass., Sent. n. 15868/2019: (Prima casa impignorabile solo per esattoriali – ribadisce differenza pubblico/privato).
  • Cass., Sent. n. 19270/2014: (Divieto pignoramento mobiliare beni indispensabili – conferma lista 514 c.p.c. strettamente interpretata).
  • Cass., Ord. n. 5420/2019: (Cumulabilità cessione quinto e pignoramento, irrilevante qui).
  • Cass., Sent. n. 24214/2011: (Opposizione esecuzione inammissibile dopo aggiudicazione salvo fatti nuovi – in linea con 615 c.p.c.).
  • Cass., Sent. n. 19282/2011: (Se conversione ex 495, decadenza se omissione versamento, ecc. – richiama obblighi).
  • Cass., Sent. n. 5371/2017: (Istanza di conversione – una sola volta, condizione depositare 1/5 – antecedente riforma 1/6).

Normativa di consumo ed energia:

  • ARERA Delibera 311/2019/R/com: Riduzione prescrizione consumi elettricità e gas a 2 anni (Legge di Bilancio 2018 recepita).
  • Codice del Consumo, art. 66-quinquies: (Reclami servizi telefonici e indennizzi, eventuale).
  • Legge 205/2017 (L. Bilancio 2018), commi 4-10: Prescrizione 2 anni bollette elettricità/gas/acqua e obbligo informativo al consumatore.

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