Chiusura SRL con Debiti Equitalia (Ex): Cosa Sapere

Hai una SRL con debiti verso Equitalia (ora Agenzia delle Entrate-Riscossione) e stai pensando di chiuderla? Ti stai chiedendo se è davvero possibile liquidare la società anche se ha cartelle esattoriali aperte, e cosa rischi come amministratore?

Molti imprenditori, davanti a una situazione fiscale diventata insostenibile, pensano alla chiusura della società come unica via d’uscita. Ma quando ci sono debiti con il Fisco, la procedura si complica, e bisogna valutare bene ogni mossa per evitare di aggravare la propria posizione personale.

Si può chiudere una SRL con debiti fiscali? Gli amministratori rispondono con il loro patrimonio? Che ruolo ha l’Agenzia delle Entrate-Riscossione nella liquidazione della società?

In linea generale, una SRL può essere chiusa anche con debiti, perché è una società di capitali, e risponde con il proprio patrimonio. Tuttavia, se l’amministratore ha commesso errori gestionali, distrazioni di fondi o non ha tutelato i creditori, può essere chiamato a rispondere in proprio, anche anni dopo la chiusura. E in certi casi, l’Agenzia delle Entrate può bloccare la cancellazione della società dal Registro Imprese, se non viene chiusa correttamente.

Per questo è fondamentale affidarsi a un avvocato esperto, che sappia valutare lo stato della SRL, guidarti nella liquidazione volontaria o nella cessazione d’attività e, se necessario, negoziare una strategia con l’ente di riscossione per ridurre l’esposizione e chiudere senza rischi futuri.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario, crisi d’impresa e contenzioso tributario – ti spiega cosa sapere prima di chiudere una SRL con debiti fiscali, quali sono i pericoli per l’amministratore, come si gestisce la liquidazione e quali alternative puoi valutare per salvare la tua posizione.

Hai una SRL ferma con debiti verso l’erario e non sai come uscirne? Vuoi capire se puoi chiudere senza rischiare di dover pagare tutto personalmente?

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Introduzione

La chiusura di una S.r.l. indebitata verso l’ex Equitalia (oggi Agenzia Entrate–Riscossione – AER) non estingue automaticamente i debiti tributari: l’impresa cancellata dal Registro delle Imprese resta soggetta a procedimenti di accertamento e riscossione. Anzi, la legge prevede una finzione giuridica di sopravvivenza fiscale quinquennale: “ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi” una società cancellata è considerata esistente fino a 5 anni dalla cancellazione. In pratica, entro 5 anni dall’estinzione l’Agenzia può notificare cartelle esattoriali o avvisi di accertamento nei confronti della società estinta o dei suoi ex responsabili. In via civilistica, l’art. 2495 c.c. stabilisce che, dopo la cancellazione, i creditori insoddisfatti possono rivalersi sui soci della società “fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”. Di conseguenza, i soci non rispondono con il loro patrimonio personale dei debiti sociali se non in misura pari a quanto avevano ottenuto in sede di liquidazione. La Corte di Cassazione (Sezioni Unite) del 2025 ha confermato questo principio: gli ex soci possono essere chiamati a rispondere dei debiti fiscali della società cancellata solo entro i limiti delle somme effettivamente ricevute. Perciò se i soci non hanno percepito nulla dalla liquidazione, non possono essere obbligati a pagare i debiti della società. In precedenza una pronuncia del 2023 (Cass. 20840/2023) aveva affermato l’orientamento opposto nei casi di S.r.l. a base ristretta, ma le Sezioni Unite hanno ora privilegiato la tesi intermedia (responsabilità limitata alle somme percepite).

In definitiva, per chiudere una SRL indebitata è fondamentale pianificare attentamente la procedura di liquidazione o altro strumento concorsuale. Vedremo di seguito tutte le opzioni possibili, i profili civilistici, fiscali e penali connessi, e le responsabilità a carico di soci e amministratori.

Modalità di chiusura della S.r.l. con debiti erariali

Le principali modalità per chiudere una S.r.l. indebitata verso l’AER sono: (a) Liquidazione volontaria, (b) scioglimento con cancellazione immediata (senza liquidazione), (c) Liquidazione giudiziale (fallimento), oltre a soluzioni concorsuali stragiudiziali (concordato). Di seguito i tratti salienti.

  • Liquidazione volontaria – La società convoca l’assemblea, delibera lo scioglimento (art. 2484 c.c.) e nomina uno o più liquidatori (art. 2485 c.c.). I liquidatori vendono gli attivi e incassano i crediti sociali. Con il ricavato si pagano i debiti secondo l’ordine legale (prima privilegi, poi chirografari). Se l’attivo è insufficiente, i creditori insoddisfatti possono esercitare azioni di rivalsa verso soci e liquidatori (in base all’art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602/73). Completata la liquidazione, il liquidatore redige il bilancio finale, lo approva (anche tacitamente dopo 30 gg) e richiede la cancellazione dal Registro imprese. A questo punto la società cessa di esistere come soggetto giuridico, ma i debiti non si estinguono: gli inadempimenti vengono portati avanti dall’AER nei confronti della società estinta o dei suoi ex amministratori/soci. La liquidazione volontaria è conveniente quando la società non ha più speranze di risanamento e non esistono piani di ristrutturazione; è anche obbligatoria se le perdite abbassano il patrimonio sotto i limiti di legge (art. 2482-bis c.c.). In questa fase l’amministratore deve evitare comportamenti rischiosi (es. distribuire beni ai soci prima di soddisfare i creditori fiscali) per non incorrere in responsabilità (cfr. art. 36 DPR 602/73).
  • Scioglimento senza liquidazione – Questa procedura semplificata, rara per le S.r.l., si applica solo se non esistono né attivi né passivi da liquidare. In tal caso i soci possono deliberare lo scioglimento e la cancellazione contestualmente (senza nomina di liquidatori), attestando di non avere rapporti residui. In pratica, se una S.r.l. risulta completamente “nullatenente” (nessun bene, nessun credito e nessun debito da esigere), può essere sciolta e cancellata in via immediata. Se invece esistono debiti, questa via non è percorribile: i creditori rimarrebbero insoddisfatti e potrebbero proporre giudizialmente il fallimento. Lo scioglimento senza liquidazione è pertanto ammesso solo in casi residuali di totale inerenza patrimoniale. Gli amministratori che abusassero di questa procedura omettendo beni o debiti rischiano sanzioni civili e penali.
  • Liquidazione giudiziale (fallimento) – Se la società è insolvente (debiti superiori agli attivi) e non vi sono prospettive di risanamento, può essere dichiarata fallita dal tribunale. Con il nuovo Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), si parla di liquidazione giudiziale anziché fallimento, ma le regole penali continuano a richiamare gli artt. 216-223 R.D. 267/1942. Il tribunale nomina un curatore che cura la vendita coatta dei beni sociali e la ripartizione del ricavato tra i creditori, secondo l’ordine legale. I soci perdono tutti i conferimenti e non ricevono nulla. Gli amministratori decadono dai loro incarichi: se la procedura è aperta, agiscono in sostanza per conto del curatore. In tal sede, le posizioni fiscali vengono gestite dal curatore, che può agire con le procedure di definizione concordata (piano concordatario con o senza continuità). Il fallimento è in genere l’ultima spiaggia (rischio di bancarotta), ma serve a tutelare i creditori: consente alla banca (o all’Aer) di dichiarare esecutivo il passivo residuo (pignorando magari anche ciò che i soci hanno avuto), mentre in liquidazione volontaria i creditori postergati avrebbero dovuto inseguire i soci. Dal punto di vista pratico, il fallimento può essere chiesto dai creditori anche dopo che la società è stata cancellata, entro 1 anno dalla cancellazione. In molti casi, però, il curatore constata l’assenza di attivo e chiude la procedura (fallimento privo di massa), lasciando irrimediabilmente persi i debiti non coperti. Nel complesso, rispetto alla liquidazione volontaria la chiusura giudiziale è più complessa e lunga (anni), ma elimina il rischio di contenziosi spezzettati e può favorire l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui nei confronti di alcune categorie).

Aspetti civilistici e fiscali

Normativa applicabile: La chiusura di una S.r.l. è regolata dal Codice Civile (artt. 2484-2496 c.c. sullo scioglimento e liquidazione). In particolare, l’art. 2482-bis c.c. obbliga l’amministratore a convocare i soci se le perdite ne azzerano il capitale sociale. L’art. 2495 c.c. disciplina gli effetti della cancellazione: “dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse”. Sul piano fiscale, le norme di accertamento (DPR 600/1973, DPR 602/1973) attribuiscono all’Agenzia termini di accertamento che decorrono anche dopo la cancellazione. In particolare il D.Lgs. 175/2014 ha introdotto il meccanismo della sopravvivenza fiscale quinquennale, ribadito poi dalla Corte Costituzionale (sent. n. 142/2020). Ciò significa che gli atti fiscali possono essere notificati entro 5 anni dalla radiazione della società.

Accertamento post-chiusura: L’Agenzia delle Entrate può quindi procedere a verifiche fiscali anche dopo l’estinzione formale, citando la “società non più esistente” per dimostrare tributi non versati. Gli ex amministratori e soci possono essere destinatari di tali atti in sostituzione della società. La giurisprudenza tributaria conferma che, civilisticamente, la cancellazione sposta i debiti sui soci (per l’IVA mancante, ad es.), ma occorre sempre collegare i crediti ad un soggetto preciso: spesso viene notificato un accertamento alla società estinta (per la sopravvivenza legale di 5 anni) e contestualmente agli ex soci. In ogni caso, per riscossione coattiva l’ente accertatore potrà procedere verso i soci fino a coprire il residuo del debito, salvo la prova che costoro non hanno percepito alcunché. Ad esempio, se tutti i beni sono stati liquidati e poi distribuiti, il Fisco può iscrivere a ruolo i tributi mancanti “in capo” agli ex soci, ma questi ultimi potranno eccepire il saldo a loro carico pari a zero se dimostrano che non hanno preso utili.

Adempimenti finali: Il liquidatore deve curare anche gli aspetti dichiarativi: presentare le dichiarazioni fiscali finali (IVA, IRES/IRPEF societaria, dichiarazione IVIE/IVAFE se rimangono attività estere, ecc.). Deve versare le imposte dovute sulla liquidazione (ad es. le imposte dirette sui proventi realizzati e sulle riserve distribuite ai soci). In caso di coesistenza di utili e perdite in bilancio finale, si procede come se fosse un esercizio d’impresa estinto. Tali versamenti attenuano eventuali sanzioni e interessi. Comunque, dal punto di vista tributario nessuna definizione agevolata cancella i debiti erariali con la liquidazione: rimane in piedi la regolarizzazione tramite rottamazioni, transazioni e via di fatto le imposte restano interamente dovute.

Aspetti penali

Gli amministratori (e, in casi estremi, anche i soci sindaci o liquidatori) possono incorrere in responsabilità penali collegabili alla gestione societaria in crisi:

  • Reati tributari: L’omesso versamento di imposte (IVA, ritenute, IRPEF/IRES) rilevante oltre le soglie di punibilità (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) configura il reato di dichiarazione fraudolenta o omessa dichiarazione. Ad esempio, il mancato versamento di IVA rilevante può integrare il reato di cui al comma 2 dell’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000. Se gli amministratori hanno destinato ad altri scopi fondi societari (es. hanno distratto attività societarie per la loro persona), rischiano il reato di bancarotta fraudolenta (artt. 216-223 L.F.) o, per semplice negligenza, di bancarotta semplice (art. 217 L.F.). In questo caso, le pene possono arrivare fino a 10 anni di reclusione (bancarotta fraudolenta).
  • Reati societari: La prosecuzione colpevole dell’attività nonostante l’insolvenza, la falsificazione della contabilità, l’omessa convocazione dell’assemblea obbligatoria (art. 2486 c.c.) possono comportare rilievi penali. Ad esempio, la Cassazione ha espressamente escluso una responsabilità penale generalizzata degli amministratori: serve un comportamento doloso/colposo specifico (es. distrazione di beni) per integrare bancarotta.
  • Altri reati fallimentari: In caso di fallimento, si applicano tutte le fattispecie del diritto penale fallimentare. Ad esempio, atti di cancellazione fraudolenta di crediti, o di favori a creditori privilegiati, possono dar luogo a contestazioni di bancarotta fraudolenta. Gli amministratori pregressi possono essere indagati anche per reati tributari (se l’evasione supera i limiti di legge).
  • Codice della crisi: Il D.Lgs. 14/2019 prevede specifiche interdizioni per gli amministratori colpevoli di aver cagionato la crisi con dolo o colpa grave (ad es. art. 255-256 CCII, riprendendo art. 2486 c.c.). Ci sono inoltre norme che ampliano le sanzioni (es. interdizione da uffici direttivi aziendali) in caso di omesse scritture contabili in crisi.

In ogni caso, l’art. 36 del D.P.R. 602/1973 impone responsabilità civilistica ma non penale: essa si configura come una “obbligazione sussidiaria” degli amministratori/liquidatori per i tributi non pagati, non come estensione del debito fiscale. La sua inottemperanza non è sanzionata penalmente, ma la mancata notifica di atti fiscali non giustifica alcuna pena (ripeto: è un obbligo civile). La rilevanza penale rimane invece nelle scritturazioni false o omissioni dolose collegate al dissesto.

Responsabilità patrimoniale di amministratori e soci

In linea di massima, la responsabilità patrimoniale di soci e amministratori è limitata. I soci di una S.r.l. rispondono verso i creditori sociali soltanto entro la misura dei conferimenti effettuati e, in caso di cancellazione, solo fino alle somme ricevute. Di regola i creditori sociali devono rivalersi sulla società stessa (fino all’esaurimento del patrimonio sociale), e solo residualmente sui soci. La Cassazione (SS.UU. 2025) ha ribadito che “senza specifiche norme positive” non esiste una responsabilità coobbligata generalizzata dei soci per i debiti sociali.

Gli amministratori sono in generale responsabili solo in caso di violazione dei loro doveri: per dolo o colpa grave nel gestire la liquidazione o la crisi. Ad esempio, se un amministratore prosegue l’attività finanziaria dopo l’emersione di perdite ingenti senza adottare misure (violando l’art. 2486 c.c.), i soci o i creditori possono agire in giudizio per mala gestio. Il nuovo Codice della Crisi impone agli amministratori di segnalare tempestivamente la crisi; se ignorano segnali evidenti e aggravano il dissesto, possono rispondere di “indebita prosecuzione dell’attività” (civile e, in casi estremi, penale).

L’art. 36 del D.P.R. 602/1973 estende la responsabilità patrimoniale anche agli amministratori/liquidatori per i debiti tributari non pagati dalla società. In base a tale norma, se i liquidatori (o amministratori negli ultimi due anni) hanno distribuito risorse ai soci ignorando i crediti tributari, sono personalmente tenuti al versamento delle somme residue. Va però ricordato che questa è una responsabilità autonoma e sussidiaria, ossia un’azione di regresso a carico del singolo, non una proroga del debito fiscale dell’azienda. Anche su questo fronte, la prassi impone all’Amministrazione finanziaria di notificare un apposito avviso di addebito all’interessato (non è più sufficiente iscrivere semplicemente nel ruolo il nome degli amministratori). L’onere probatorio, del resto, spetta in via principale al liquidatore che deve dimostrare di aver rispettato l’ordine dei pagamenti (par condicio creditorum) e di non aver agito con colpa. Se dimostra che in liquidazione non c’erano fondi e che non ha favorito creditori in modo irregolare, l’azione di responsabilità dell’Erario decade.

In sostanza, amministratori diligenti non diventano debitori dei creditori sociali semplicemente per effetto della cancellazione: essi rispondono solo se hanno violato obblighi specifici (art. 2495 c.c. o art. 36 DPR 602/73). Al contrario, amministratori negligenti o dolosi rischiano azioni di responsabilità civile (danno ai creditori/soci) e, in caso di distrazione o frode, perseguimenti penali (bancarotta fraudolenta o reati fiscali). I soci, se attivano azioni di regresso, possono rivalersi reciprocamente se qualcuno ha pagato più della propria quota.

Conseguenze sui debiti pendenti e recupero AER

Le cartelle esattoriali già iscritte nei confronti della SRL rimangono attive anche dopo la chiusura. L’AER può continuare le procedure esecutive (pignoramenti bancari, ipoteche fiscali, fermo amministrativo) nei 5 anni della finzione di sopravvivenza. Se la società è stata liquidata, l’AER potrà eventualmente chiedere allo stato passivo del fallimento postumo di essere soddisfatto come creditore privilegiato (ivi inclusi i crediti con privilegio generale). Se invece la società è stata cancellata volontariamente, l’Agenzia di regola iscrive a ruolo e prova a notificare le cartelle direttamente agli ex soci (in base al fenomeno successorio).

Poiché (come detto) le azioni esecutive contro i soci hanno limitata efficacia se non hanno ricevuto nulla, l’AER concentra gli sforzi sulle società ancora formalmente esistenti o propone definizioni agevolate. In particolare, negli ultimi anni sono state introdotte diverse opportunità per sanare i debiti fiscali. La rottamazione quater (legge n.197/2022) consente di definire spontaneamente i debiti ante-giugno 2022 cancellando sanzioni e interessi, pagando solo il capitale e le spese esecutive. La transazione fiscale (art. 63 CCII, D.Lgs.14/2019) permette di negoziare con l’Agenzia uno sconto sull’IVA e sulle imposte con piano di rientro vincolante: se accettata, la proposta diventa obbligatoria per entrambe le parti, sospendendo le procedure esecutive. Va tuttavia precisato che la transazione non azzera il debito: IVA e imposte dirette restano dovute in parte. Un’altra forma di definizione agevolata è il saldo e stralcio (legge n.145/2018 e proroghe), riservato ai contribuenti in grave difficoltà economica, che permette di chiudere le cartelle pagando solo una frazione stabilita dell’importo dovuto. Questi strumenti straordinari – insieme alla rateizzazione ordinaria fino a 120 rate (D.L. 119/2018 e ss.mm.) – sono applicabili in sede di chiusura societaria solo se formalmente utilizzati prima della cancellazione.

Va inoltre menzionato l’impatto del Codice della crisi d’impresa sulle soluzioni negoziali: dal 2019 esistono procedure alternative per imprese in crisi (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, composizione negoziata) che consentono di dialogare con l’Agenzia e con gli altri creditori. In particolare, il concordato liquidatorio permette di liquidare beni e pagare creditori secondo un piano omologato, ottenendo l’esdebitazione dei residui (in alcuni casi anche a favore del fisco). Tali strumenti, pur non essendo modalità di “chiusura” immediata, offrono percorsi di sanatoria della società e meritano valutazione preventiva.

Infine, segnaliamo che piani del consumatore (art. 82-ter L.3/2012, oggi art. 89 CCII) e procedure di sovraindebitamento consentono alle persone fisiche (ad es. soci persone fisiche, ex amministratori) di ristrutturare i propri debiti privati se non sono imprenditori commercianti. Queste procedure, aggiornate al Codice della crisi, prevedono la liquidazione del patrimonio personale o il piano del consumatore con conseguente cancellazione dei debiti residui (“esdebitazione”). Anche debiti verso Agenzie fiscali rientrano tra quelli rinegoziabili in tali piani. Tali strumenti possono essere rilevanti se il socio o l’amministratore non imprenditore ha garantito personalmente debiti societari.

Casistiche comuni

Le situazioni pratiche incontrate più frequentemente sono diverse a seconda del patrimonio e dello stato della S.r.l.:

  • S.r.l. con immobili – Se la società possiede immobili gravati da mutui o ipoteche, la liquidazione volontaria o giudiziale comincia con la vendita di tali immobili. Come nell’Caso 3 simulato, il ricavato va prioritariamente a estinguere i debiti garantiti (banca ipotecaria). Eventuali residui sono poi destinati al Fisco e agli altri creditori. Se l’immobile vale più del debito garantito (come nel caso di vendita a prezzo di mercato), rimane un piccolo avanzo disponibile per pagare parzialmente IVA/IMU non versate o fornitori. In tale scenario, gli amministratori devono rispettare l’ordine legale: ad esempio, l’IVA ha sempre un privilegio (generale sui beni mobili), quindi conviene addebitare i proventi principalmente all’Erario, come fatto dal liquidatore del Caso 3. I soci, non avendo comunque ricevuto nulla, rimangono estranei all’impegno residuo. L’immobile può anche essere oggetto di accordo con la banca (concordato) prima della vendita forzata, ma in mancanza di un accordo occorre procedere alla liquidazione pura: tutto sarà definito dagli atti di pignoramento e eventuali fallimenti postumi.
  • S.r.l. “inerte” (nullatenente) – Molte società chiudono quando sono ormai prive di attività e di beni: in Caso 2 la Beta S.r.l. era già inattiva, con un unico cespite pignorato e debiti ingenti. In situazioni del genere il liquidatore si limita a constatare l’assenza di attivo e redigere il bilancio finale con debiti non pagati. Dopo la cancellazione, i creditori insoddisfatti (Erario, banche, fornitori) possono notificare i loro crediti residui agli ex soci e al liquidatore. Tuttavia, ai sensi dell’art. 2495 c.c., questi potranno chiedere di essere sollevati se dimostrano di non aver percepito alcunché. Nel caso Beta S.r.l. i soci, avendo incassato 0 €, eviteranno ogni pagamento: come spiegato dalla Cassazione, “se il socio non ha ricevuto nulla, non può essere costretto a pagare i debiti della società”. Anche i creditori privilegiati non trovano beni su cui rivalersi (la banca non esegue sugli amministratori, a meno che non abbiano dato garanzie personali; lo Stato ha la finzione dei 5 anni ma alla fine del contenzioso troverà bilancio a zero). Il liquidatore diligente, constatando lo stato decotto, non commette inadempimento se non vi erano beni da liquidare. Gli unici rischi per i soci/amministratori in questi casi sono di natura procedurale: devono gestire opposizioni e istanze dell’Agenzia fino ad archiviazione (difendersi in giudizio da un accertamento notificato fittiziamente), ma non subiscono aggravi patrimoniali diretti.
  • S.r.l. con contenziosi pendenti – Se la società è coinvolta in cause civili (es. controversie contrattuali, causa del lavoro, contenziosi tributari in corso), tali posizioni vanno segnalate e poste a bilancio finale. Un contenzioso esigibile e già accertato rappresenta un passivo come ogni altro. Tuttavia, eventuali diritti di credito (ad esempio crediti vantati dalla società) possono essere percepiti dal liquidatore solo se sono certi e quantificati. Se la S.r.l. ha contenziosi con risultati incerti (es. appelli pendenti, ricorsi tributari sospesi), in generale questi diritti non si trasferiscono ai soci dopo la cancellazione (fenomeno successorio). Ciò significa che gli atti processuali restano nei fascicoli esistenti e se perduti, la società ha “rinunciato” a tali pretese. Dal lato debiti, se i contenziosi devono essere ancora definiti, il liquidatore di norma accantona fondi in bilancio finale in misura prudenziale. Dopo chiusura, eventuali adesioni o mediazioni tributarie (come quelle previste dall’ultima riforma fiscale) possono essere attivate dall’ex società prima della cancellazione. In caso contrario, sarà l’Agenzia a rifare accertamenti su nuovi elementi emersi.
  • S.r.l. unipersonale – La liquidazione di una S.r.l. a socio unico segue le stesse regole delle altre S.r.l. L’unica differenza procedurale è che l’assemblea di scioglimento è convocata e deliberata dall’unico socio (o dal liquidatore stesso) senza necessità di quorum deliberativo pluralistico. Dopo la cancellazione, ai sensi dell’art. 2484-bis c.c. l’unico socio può recuperare solo i residui attivi, e il meccanismo di responsabilità resta inalterato: risponde fino alle somme eventualmente percepite dalla liquidazione (sempre nulla o poco in caso di debiti).

In sintesi, nelle casistiche più comuni – con o senza beni, con o senza debiti pendenti – il fil rouge è che i creditori possono far valere i propri diritti fino al patrimonio liquidato; successivamente puntano contro soci/amministratori solo nei limiti del contributo che essi hanno ricevuto. In pratica, se la società ha disponibilità (beni o credito realizzabili) sufficienti, questi vengono incassati per pagare i creditori; se non basta, alla fine i soci non perderanno più di quanto ricevuto dalla liquidazione (spesso niente).

Novità normative “post-pandemia”

Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto strumenti di alleggerimento del debito fiscale e di deflazione del contenzioso, alcuni dei quali rilevanti anche in caso di chiusura societaria:

  • Rottamazione quater (Legge 197/2022) – Definizione agevolata dei ruoli fino a giugno 2022: prevede lo stralcio delle sanzioni e degli interessi per debiti affidati alla riscossione, lasciando a carico soltanto il capitale residuo e le spese (contenzioso compreso). Permette di estinguere i debiti fiscali pregressi con un pagamento ridotto (senza interessi). Benché formalmente destinata ai contribuenti privati, potrebbe valere anche per SRL ancora operanti prima dello scioglimento se si attiva la procedura prima della chiusura.
  • Transazione fiscale (art. 63 CCII) – Negoziazione con l’Agenzia delle Entrate di un piano di rientro per debiti tributari e contributivi, nel contesto di una procedura concorsuale (concordato o accordo di ristrutturazione). Consente, se accettata, di ottenere uno sconto percentuale sulle imposte dovute e una dilazione sostenibile. La delibera del concordato (o l’accordo) vincola tutti i creditori, inclusi Fisco e INPS. Tuttavia, l’IVA (per legge) non può essere cancellata completamente: va pagata almeno in parte (di norma almeno il 10-20%), mentre il restante debito può essere cancellato nell’accordo. La transazione è utile per salvare l’azienda senza arrivare alla liquidazione forzata. Rimane un’opportunità da valutare prima di avviare la liquidazione: una volta sciolta la società, non ha più oggetto.
  • Saldo e stralcio (Legge 145/2018 e succ.) – Definizione agevolata riservata a privati (reddito/Isee basso) con riduzioni significative delle cartelle. Anche se formulata per persone fisiche, può riguardare i soci se assicurano i crediti (es. titolari di impresa individuale). Ad esempio, un socio garante che cessi l’attività può aderire al saldo e stralcio per i carichi addebbitigli dopo l’estinzione della SRL, senza rimborsare l’intero dovuto.
  • Strumenti deflativi del contenzioso – Sul fronte fiscale, norme come l’adesione agli accertamenti (DL 193/2016, art. 6) e le conciliazioni giudiziali (nuovo meccanismo art. 10-bis D.Lgs. 546/1992 per controversie pendenti) possono ridurre le liti tributarie. La riforma fiscale 2024-25 ha inoltre reso più accessibile il pagamento rateale (fino a 20 anni in alcuni casi) e la definizione agevolata delle controversie (reciproca conciliazione). Questi strumenti semplificano le procedure di chiusura societaria consentendo al contempo di contenere l’esposizione dell’azienda fino al 2025.
  • Procedure di sovraindebitamento e piani del consumatore – La legge n. 3/2012 (e D.Lgs. 14/2019) ha introdotto misure straordinarie per debitori non fallibili. Il piano del consumatore (art. 89 CCII) consente a un debitore privato non imprenditore di estinguere i debiti con la liquidazione del proprio patrimonio e l’esdebitazione dei residui. La legge sul sovraindebitamento elenca una vasta platea di debiti eseguibili (banche, fornitori, tributi, condominio, Agenzia Entrate, ecc.), e consente l’esdebitazione del residuo. Un amministratore o socio non fallibile può ricorrere a queste procedure per i debiti personali (anche pensioni contributive, prestiti, multe, ecc.), ottenendo la cancellazione dei debiti residui. Se l’imprenditore è invece ancora soggetto fallibile, i nuovi istituti del Codice della crisi (concordato, accordo di ristrutturazione) rappresentano i corrispettivi modelli di composizione.

Sentenze e giurisprudenza rilevanti

  • Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 3625/2025 (12 feb. 2025) – Ha deciso il tema della responsabilità degli ex soci per debiti fiscali della società cancellata. Le Sezioni Unite hanno confermato l’“orientamento intermedio”: gli ex soci rispondono dei debiti solo nei limiti delle somme ricevute in liquidazione, non automaticamente per intero. Il Fisco può notificare avvisi anche agli ex soci, ma questi ultimi non sono coobbligati in solido; anzi, senza percezione di utili non sono tenuti a pagare nulla. Ha inoltre stabilito che l’avviso di accertamento deve essere formulato specificatamente per ciascun ex socio. Questa sentenza è ora il punto di riferimento in materia, in opposizione all’orientamento “estensivo” che tendeva a ritenere i soci responsabili indipendentemente dai riparti.
  • Cassazione, sez. trib., ord. n. 20840/2023 (18 lug. 2023) – In un caso di SRL a base partecipativa ristretta, la Corte aveva ammesso la responsabilità dei soci anche in assenza di distribuzione di utili. La CTR aveva accertato un debito IVA sulla società estinta e recuperato sulle due socie, ma la Cassazione aveva chiarito che questo rimanda a un orientamento ormai superato dalle SS.UU. In pratica, l’ordinanza 20840/2023 è stata considerata superata dal principio di proporzionalità stabilito dalle SS.UU. 3625/2025, ma resta utile per il principio secondo cui liquidatori e amministratori non diventano debitori coobbligati dei creditori sociali per il solo fatto della cancellazione.
  • Corte Costituzionale, sent. n. 142/2020 – Ha legittimato la “sopravvivenza fiscale” quinquennale della società cancellata (art. 28, comma 4, DLgs. 175/2014). La Consulta ha ritenuto ragionevole che l’amministrazione finanziaria possa notificare atti fiscali fino a 5 anni dopo la cancellazione, bilanciando il diritto del contribuente alla certezza con l’interesse pubblico alla riscossione. La sopravvivenza fiscale consente dunque all’Agenzia di intestare a nome della società estinta avvisi e cartelle entro il quinquennio, superato il quale la “finzione” decade.
  • Altre pronunce – Tribunali di merito e CTR hanno affrontato spesso casi di liquidazione con debiti. Ad esempio, si segnala una pronuncia del Tribunale di Torino (2022) che ha chiarito come gli acconti distribuiti agli ex soci debbano essere computati nell’ammontare complessivo dei crediti aggredibili ex art. 2495. Giudici di merito hanno ribadito che liquidatori responsabili di par condicio creditorum (che violano l’ordine dei privilegi) possono essere condannati dai creditori insoddisfatti.

Confronto tra modalità di chiusura

Modalità di chiusuraEffetti giuridiciResponsabilità soci/amministratoriDurata tipica
Liquidazione volontariaAssemblea deliberante e nomina liquidatori; vendita attivi e pagamento debiti secondo legge; deposito del bilancio finale e cancellazione. Debiti non estinti restano aggredibili ex art. 2495 c.c..I soci rispondono fino alle somme percepite in liquidazione (art. 2495 c.c.). Amministratori/liquidatori rispondono solo per mala gestio o in violazione dell’ordine dei pagamenti (art. 36 DPR 602/73).Mediamente 6–18 mesi (dipende da volume attivo/passivo).
Scioglimento + cancellazionePossibile solo in assenza di attivi e passivi. Delibera e istanza di cancellazione contestuale. Non si nomina liquidatore. Debiti inesistenti, creditori non protetti.Salvo casi dubbi, non è consentito se esistono debiti. Amministratori che usano impropriamente questa via rischiano sanzioni (se non segnalano debiti ancora presenti).Molto breve (deposito del modello S3 con dichiarazione di assenza di debiti e beni).
Liquidazione giudiziale (fall.)Decreto di fallimento, curatore e tribunale competenti. Vendita coatta dei beni, piano di riparto asseverato. Fine della società; il debito residuo concorsuale può essere cancellato con esdebitazione fallimentare. Fisco come creditore privilegiato.Soci perdono conferimenti; rispondono solo per eventuali distribuzioni ricevute (tipicamente zero). Amministratori possono rispondere per bancarotta (artt. 216-223 L.F.) in caso di distrazioni o violazioni contabili. Liquidatore (curatore) incolpevole salvo reati.Diversi anni (minimo 2–3, spesso più per esecuzioni e contenzioso).

Domande e Risposte (FAQ)

  • D. La cancellazione della S.r.l. estingue i debiti con l’Agenzia delle Entrate?
    R. No. Anche dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese l’Agenzia può procedere all’accertamento dei tributi non pagati entro il quinquennio della finzione fiscale. Eventuali cartelle esattoriali già emesse restano valide, e l’Agenzia potrà notificare nuove cartelle ai soggetti responsabili (società o ex soci/liquidatori) per gli anni ancora “in vita” della società.
  • D. Chi risponde dei debiti residui della società dopo la chiusura?
    R. Civilisticamente, i creditori possono rivalersi sui soci della società estinta entro il limite delle somme che essi hanno ricevuto in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.). In pratica, se i soci hanno preso 0 € (caso tipico di società “nullatenente”), non rispondono di nulla. Gli amministratori/liquidatori rispondono solo per la loro colpa nella gestione (ad es. per aver favorito indebitamente alcuni creditori, o per malversazione dei fondi sociali). Non esiste una responsabilità automatica “da cancellazione” a carico di soci o amministratori.
  • D. Qual è il termine di accertamento dei tributi dopo la chiusura?
    R. La società estinta è assoggettata alla regola della sopravvivenza fiscale: entro 5 anni dalla cancellazione l’Agenzia può notificare avvisi di accertamento e cartelle per tributi non accertati o non versati al momento della chiusura. Oltre quel termine decadrà ogni pretesa fiscale.
  • D. Cosa succede se i soci di una S.r.l. ricevono utili in liquidazione ma non pagano le imposte?
    R. Se l’amministratore distribuisce utili durante la liquidazione tralasciando di pagare i tributi dovuti, per l’art. 36 DPR 602/1973 i soci che hanno percepito quegli utili possono essere chiamati a rispondere verso l’Erario fino alle somme ottenute. Ad esempio, se un socio ha preso 10.000 € di utili e al fisco ne erano dovuti 6.000, questi 6.000 potranno essere addebitati al socio fino alla concorrenza delle somme incassate. Il liquidatore dovrà pertanto tener conto di tutti i crediti tributari nell’ordine di pagamento.
  • D. Posso usare la rottamazione o il saldo e stralcio per cancellare i debiti prima di chiudere la S.r.l.?
    R. Sì, tutte le procedure speciali di definizione agevolata dei tributi (rottamazioni, saldo e stralcio, pace fiscale) possono essere utilizzate da una società in attività per sanare il debito prima della liquidazione. È consigliabile farlo, poiché riduce l’onere fiscale da pagare in chiusura. Ad esempio la rottamazione quater elimina sanzioni e interessi su debiti fino a metà 2022. Una volta liquidata e cancellata la società, tuttavia, non esistono ulteriori benefici: l’Agenzia opererà secondo le regole ordinarie finché non scadranno i 5 anni.
  • D. Cosa cambia se la S.r.l. è unipersonale?
    R. Poco cambia sul piano dei debiti: il socio unico rimane responsabile come tutti gli altri soci limitatamente al conferimento. L’unico vantaggio formale è che le decisioni di scioglimento e liquidazione possono essere prese senza assemblea. Al termine il socio unico può versare le imposte finali e ritirare eventuali residui (se esistenti) come unico beneficiario della liquidazione.
  • D. Gli amministratori rischiano il carcere se la società fallisce con debiti al fisco?
    R. Non automaticamente. Se la società fallisce (liquidazione giudiziale), gli amministratori possono essere indagati per reati fallimentari solo in presenza di atti dolosi (es. distrazione di beni, falsi in bilancio, favoritismi ai creditori). Per un fallimento «tecnico» dovuto a un calo economico, non c’è reato. I reati tributari (omessi versamenti sopra soglia, dichiarazioni fraudolente) possono colpire l’amministratore indipendentemente dal fallimento, ma richiedono soglie di punibilità precise e dolo. In ogni caso la responsabilità penale è personale e richiede condotte dolose o colpose, non dipende solo dal dissesto societario.
  • D. E se ci sono cartelle già notificate all’S.r.l. prima della chiusura?
    R. Le cartelle notificate prima dell’estinzione sono valide e possono essere eseguite anche dopo la cancellazione (l’Agenzia continua le procedure coattive fino a esaurimento delle vie legali). Gli atti amministrativi già perfezionati non cadono. Tuttavia, il contribuente può opporsi con ricorsi tributari anche dopo la chiusura, utilizzando come terminus che la società è ancora “viva” ai fini fiscali (entro 5 anni). In pratica, una chiusura societaria non sospende o annulla le opposizioni già presentate.

Simulazioni pratiche

Per illustrare quanto detto, ecco tre esempi concreti di liquidazione di S.r.l. con debiti erariali, e le conseguenze per soci e amministratori:

  • Caso 1: Liquidazione con attivo sufficiente a pagare i debiti fiscali. Alfa S.r.l. ha debiti IVA e IRPEF per €50.000 e fornitori per €30.000. Il patrimonio liquido (magazzino e attrezzature) vale €100.000 vendibili. Il liquidatore incassa €100.000, paga integralmente i 30.000 € ai fornitori e i 50.000 € al Fisco, saldando tutto. Rimangono €20.000 da distribuire ai soci in base alle quote. In questo caso “virtuoso” i creditori sono totalmente soddisfatti e i soci non subiscono nulla, perché hanno ricevuto utili solo dopo aver pagato tutti i debiti. Il bilancio finale è chiuso e la società è cancellata. Non c’è spazio per pretese ulteriori: i soci, che hanno riscosso €20.000 a titolo di utili, non possono essere aggrediti da alcun credito residuo (non ne esistono). Il liquidatore è del tutto incolpevole (ha rispettato le priorità di pagamento), e presenterà semplicemente le dichiarazioni fiscali finali versando eventuali imposte su quel reddito di liquidazione. Non vi sono profili penali né civilistici. Questo scenario è auspicabile: chiusura pulita, nessun rischio residuo e nessun costo aggiuntivo per soci o amministratori.
  • Caso 2: Liquidazione di una società nulla tenente. Beta S.r.l. non ha beni né liquidità; l’unico asset (un macchinario) è stato pignorato da una banca. I debiti accumulati sono €40.000 di tributi (IVA+IRAP), €20.000 di imposte pregresse e €30.000 verso banche. Il liquidatore constata l’assenza di attivi e redige il bilancio finale con passivo di €90.000 e attivo pari a zero. Tutti i creditori rimangono insoddisfatti. Al termine della liquidazione, i soci non ricevono alcun riparto (non c’è niente da distribuire) e la società viene cancellata. Esito: I creditori (Agenzia per €60.000 di debiti fiscali residui e banca per €30.000) possono cercare di agire contro soci e liquidatore. Tuttavia, per l’art. 2495 c.c. possono rivalersi sui soci “fino alle somme riscosse”: siccome i soci hanno ricevuto zero, la loro posizione è ineccepibile. In pratica, l’Agenzia potrà notificare un avviso ai soci per €40.000, ma essi dovranno solo dichiarare di non aver preso nulla in liquidazione e quindi di non dover nulla (cosa che la giurisprudenza gli riconosce). Anche la banca non può rivalersi sui soci, in mancanza di garanzie personali. Il liquidatore, data l’assenza di attivi, ha svolto solo l’attività di redigere il bilancio finale e comunicare lo stato. Non ha distribuito alcunché ai soci né effettuato pagamenti irregolari, dunque non può essere ritenuto responsabile: la mancata soddisfazione dei creditori è dovuta allo stato di insolvenza preesistente, non a sue omissioni. L’Agenzia potrebbe contestargli teoricamente l’omesso versamento, ma se dimostra di non aver avuto fondi né favorito creditori privati (il banale fatto di aver pagato 0 agli erario per mancanza di mezzi non è colpevole), l’azione fallirà. Penalmente, non commette reato l’amministratore subentrato in tale liquidazione per chiusura coatta. In sintesi, i soci non pagheranno nulla (non avendo preso nulla) e i debiti della società restano, di fatto, inesigibili. Gli unici oneri per gli ex amministratori possono essere di difesa in giudizio (opposizioni agli avvisi) e la segnalazione in centrale rischi. Al massimo, pendono su di loro eventuali accertamenti IRPEF personali per l’IVA non versata: ma se l’IVA fosse stata sotto soglia penale (es. €40.000) non scatta reato.
  • Caso 3: Liquidazione con immobile ipotecato. Gamma S.r.l. possiede un capannone del valore di €500.000, gravato da ipoteca bancaria per un mutuo residuo di €400.000. Ha debiti fiscali per €100.000 e fornitori per €50.000. Il liquidatore vende il capannone a €480.000; con il ricavato estingue il mutuo (€420.000 con interessi) e cancella l’ipoteca. Rimangono €60.000 in cassa. Seguendo l’ordine legale, questi €60.000 vengono destinati ai crediti privilegiati – in particolare all’Erario (IVA e imposte) prima che ai fornitori. Supponiamo che l’intero importo sia versato al Fisco, che recupera così il 60% dei suoi €100.000. I fornitori restano esclusi, i soci ricevono nulla. Esito: La banca è stata soddisfatta per intero; l’Agenzia è soddisfatta parzialmente; i fornitori restano con €50.000 scoperti. I creditori insoddisfatti possono far valere le loro ragioni verso soci/liquidatore, ma di fatto i soci non dovranno nulla, avendo ricevuto zero. L’Agenzia potrebbe notificare ai soci un avviso per i €40.000 mancanti, ma i soci replicheranno che non hanno percepito utili e quindi non rispondono (come confermato dalla giurisprudenza). Il liquidatore in questo caso si è comportato correttamente: ha seguito le regole di prelazione, pagando per primo il debito fiscale (privilegio generale). Non si può contestargli nulla per non aver dato soldi ai fornitori, anzi egli ha agito secondo legge. Solo in sede fallimentare eventuale si potrebbe discutere se quel pagamento al Fisco sia revocabile (pagamento preferenziale), ma in assenza di fallimento postumo la ripartizione resta valida. Penalmente l’amministratore non rischia reati tributari perché la residua IVA non versata è inferiore alla soglia (esempio: 40k sotto i 50k necessari).

In tutti e tre i casi, la leva cruciale è stata il rapporto tra attivo e passivo: se l’attivo è bastato a coprire il debito fiscale (Caso 1), la chiusura è indolore. Se l’attivo è nullo (Caso 2) o insufficiente (Caso 3), i creditori restano in parte insoddisfatti ma i soci pagano solo fino alle somme ricevute (qui 0). Questi esempi mostrano come, anche con debiti AER ingenti, la chiusura formale della SRL non genera automaticamente obblighi aggiuntivi per gli ex soci/sociomegliori, se non nei limiti strettamente previsti dalla legge.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • Codice Civile, artt. 2482-bis, 2484-2496 (scioglimento, liquidazione e cancellazione società) e art. 2495 c.c. (responsabilità dei soci dopo cancellazione).
  • D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), artt. 63 ss. (transazione fiscale) e artt. 2501-2506 (concordato liquidatorio e ristrutturazione).
  • D.P.R. 602/1973, art. 36 (responsabilità solidale di amministratori/liquidatori per debiti tributari non soddisfatti).
  • D.Lgs. 175/2014, art. 28, comma 4 (finzione giuridica di sopravvivenza fiscale quinquennale).
  • Legge 3/2012 (sovraindebitamento; esdebitazione del debitore incapiente), così come modificata dal Codice della crisi (D.Lgs.14/2019, introdotto per le persone non fallibili).
  • Legge 145/2018 (saldo e stralcio delle cartelle), L. 197/2022 (rottamazione quater) e altre disposizioni recenti sulla definizione agevolata dei debiti tributari.
  • Cassazione Civile, Sezioni Unite, sent. n. 3625/2025 (12 feb. 2025) – sulla responsabilità limitata degli ex soci.
  • Cassazione Civile, ord. n. 20840/2023 (18 lug. 2023) – sul caso di SRL a base ristretta.
  • Corte Costituzionale, sent. n. 142/2020 – sulla legittimità della sopravvivenza fiscale quinquennale.
  • Giurisprudenza di merito – Tribunali e Commissioni tributarie (es. Trib. Napoli 18/3/2024, Trib. Torino 10/4/2024, ecc.) sui principi del fenomeno successorio e responsabilità del liquidatore.

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