Azienda Con Debiti Che Fare: La Guida

La tua azienda è sommersa dai debiti e non sai più come andare avanti? I pagamenti si accumulano, le banche non ti danno più fiducia e i fornitori iniziano a fare pressioni? Ti stai chiedendo se esiste ancora una via d’uscita?

Quando un’impresa entra in crisi, il primo rischio è la paralisi: non sapere cosa fare, a chi rivolgersi, da dove cominciare. Ma la verità è che ci sono soluzioni per uscire dai debiti, salvare l’attività e, in molti casi, evitare fallimenti, pignoramenti e chiusure forzate.

Meglio chiudere subito o tentare un piano di rientro? Si può trattare con i creditori? E cosa succede se l’azienda è una società di persone o una ditta individuale?

Ogni situazione è diversa, ma una cosa è certa: aspettare peggiora tutto. Esistono strumenti legali per imprese in difficoltà – come la composizione negoziata della crisi, i piani di risanamento, gli accordi di ristrutturazione – che permettono di trattare con l’Agenzia delle Entrate, bloccare le azioni esecutive, ridurre i debiti e ristrutturare l’intera posizione finanziaria.

Lo Studio Monardo – avvocati specializzati in crisi d’impresa, diritto societario e protezione del patrimonio – ti guida in questa guida passo dopo passo: ti spieghiamo cosa fare se la tua azienda ha debiti, quali strumenti puoi usare legalmente, come mettere in sicurezza l’attività (e spesso anche la tua posizione personale) e quali errori evitare assolutamente.

Hai paura che sia troppo tardi? O che ammettere la crisi significhi arrendersi? Non è così.

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo insieme la situazione della tua impresa, individueremo la strategia più adatta e ti accompagneremo in ogni fase, per rimettere in carreggiata l’azienda e ripartire senza l’ansia dei debiti.

Introduzione

Gestire un’azienda indebitata richiede conoscenze giuridiche aggiornate e un approccio strategico. Negli ultimi anni, l’Italia ha rivoluzionato la disciplina della crisi d’impresa con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019. Questo Codice, pienamente efficace dal 15 luglio 2022 dopo vari rinvii dovuti alla pandemia e al recepimento della Direttiva UE 2019/1023, ha sostituito la storica Legge Fallimentare del 1942. Il nuovo impianto normativo privilegia la prevenzione e il risanamento rispetto alla mera liquidazione, incoraggiando l’emersione tempestiva delle difficoltà e soluzioni negoziali con i creditori.

Questa guida offre un’analisi approfondita e aggiornata a giugno 2025. Adottando un linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile, esamineremo:

  • I principali tipi di debito aziendale in Italia (fiscali, bancari, verso fornitori, dipendenti, previdenziali, da leasing, ecc.), con le relative caratteristiche e implicazioni.
  • Tutte le procedure di gestione e risoluzione della crisi d’impresa previste dalla normativa italiana vigente (Composizione negoziata, piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo – in continuità e liquidatorio – concordato semplificato, liquidazione giudiziale, procedure di sovraindebitamento per piccoli imprenditori e professionisti, esdebitazione del debitore, transazioni fiscali e previdenziali).
  • Le differenze di approccio in base alla dimensione dell’impresa (micro, PMI, grande impresa) e al settore di attività (es. edilizia, commercio, artigianato, tecnologia), evidenziando come variano obblighi normativi e soluzioni disponibili.
  • Tabelle riepilogative per ogni sezione, FAQ con domande frequenti e simulazioni pratiche di casi di debito (es. un’azienda con debiti tributari e bancari), per concretizzare i concetti trattati.
  • Una sezione finale con riferimenti alle fonti normative (dal Codice della Crisi al Codice Civile, TUIR e leggi speciali) e alle principali sentenze e siti ufficiali utili, aggiornati al 2025.

Tipologie di debiti aziendali e loro caratteristiche

Una corretta strategia di risanamento parte dall’analisi della natura dei debiti dell’azienda. Diverse categorie di debito infatti presentano caratteristiche e vincoli differenti (in termini di priorità di pagamento, possibilità di negoziazione, conseguenze del mancato pagamento, etc.). Di seguito esaminiamo i principali tipi di debiti aziendali in Italia e le loro implicazioni per il debitore.

Debiti fiscali (Erario e cartelle esattoriali)

I debiti fiscali comprendono imposte dovute all’Erario (Stato) come IVA, IRES, IRAP, ritenute fiscali su redditi di lavoro, accise, ecc., nonché eventuali sanzioni e interessi di mora. In caso di mancato versamento spontaneo, queste somme vengono iscritte a ruolo e riscosse tramite l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), che notifica le famose cartelle esattoriali. Le cartelle intimano il pagamento entro termini fissati e, se ignorate, aprono la strada ad azioni esecutive: ad esempio fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili, pignoramenti di conti correnti o beni aziendali.

Caratteristica cruciale dei debiti tributari è la presenza di privilegi sui beni del debitore: taluni crediti fiscali (es. IVA degli ultimi 12 mesi, ritenute non versate negli ultimi 2 anni, alcuni tipi di imposte) godono di privilegio generale mobiliare ex art. 2752 e 2777 c.c. (spesso colloquialmente detti “privilegio Erario”), che li rende preferiti rispetto ai crediti chirografari in caso di concorso. Ciò significa che, in caso di procedura concorsuale, queste imposte dovranno essere soddisfatte prioritariamente fino a concorrenza del valore dei beni su cui insiste la prelazione. Inoltre, l’IVA e le ritenute operate e non versate sono tradizionalmente tutelate in modo speciale dal legislatore (trattandosi di somme che il contribuente ha incassato per conto dello Stato); per lungo tempo l’ordinamento italiano ne ha persino vietato la falcidia (riduzione) nei piani di concordato, vincolo attenuato solo di recente con l’attuazione della Direttiva Insolvency.

Le conseguenze del mancato pagamento di debiti fiscali possono essere drastiche. Sul piano amministrativo, scaduti i termini di legge le somme diventano esigibili coattivamente: l’Agenzia Riscossione può procedere con iscrizione di ipoteca legale su immobili, pignoramenti di crediti verso terzi (es. pignoramento presso clienti dell’azienda) e altre misure per recuperare il dovuto. Sul piano finanziario, si accumulano interessi di mora e sanzioni pecuniarie per omesso versamento, che aumentano l’esposizione. Da notare che sanzioni e interessi, pur gonfiando l’importo totale dovuto, hanno rango chirografario (non privilegiato) nelle procedure concorsuali e spesso possono essere stralciati per primi in sede di trattativa o transazione fiscale.

Sul piano penale, il diritto italiano prevede specifici reati tributari per i casi più gravi di omesso versamento: ad esempio, omesso versamento di IVA e omesso versamento di ritenute certificate sopra determinate soglie (attualmente €250.000 annui per IVA e €150.000 per ritenute, secondo il D.Lgs. 74/2000) configurano reato. La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che una crisi di liquidità dell’impresa non esime l’imprenditore dagli obblighi tributari, specie se nel frattempo egli ha destinato risorse ad altre finalità (es. pagare fornitori o dipendenti) invece di saldare l’Erario. In altre parole, utilizzare la “crisi” come giustificazione per non versare imposte dovute è un terreno scivoloso: la legge richiede di attivarsi per tempo per cercare soluzioni negoziali o concorsuali, anziché lasciare che i debiti fiscali lievitino. È importante segnalare però che recenti interventi legislativi hanno introdotto elementi di maggior flessibilità e clemenza: ad esempio, la soglia di punibilità per l’omesso versamento IVA viene ora valutata al 31 dicembre dell’anno successivo, concedendo di fatto qualche mese in più per regolarizzare ed evitare il reato; inoltre, omessi versamenti di importo modesto (fino a €10.000 annui) sono stati depenalizzati e costituiscono solo illecito amministrativo, punibile con sanzione pecuniaria.

Possibilità di gestione e tutela: Il debitore che accumula debiti fiscali ha a disposizione alcuni strumenti per evitare di essere travolto da azioni esecutive. In via amministrativa ordinaria, può chiedere una rateizzazione all’Agenzia Entrate-Riscossione (di norma, se il debito è entro certe soglie – es. fino a €120.000 – la dilazione è concessa in modo relativamente automatico, fino a 6 anni; per importi superiori serve provare temporanea difficoltà e la dilazione può arrivare a 10 anni). Inoltre, negli ultimi anni il legislatore ha frequentemente varato misure di definizione agevolata (le cosiddette rottamazioni delle cartelle e il saldo e stralcio): ad esempio, la rottamazione-quater 2023/24 ha consentito di pagare i ruoli fiscali senza sanzioni né interessi, in forma dilazionata. Tali opportunità possono ridurre significativamente l’esposizione fuori dalle procedure concorsuali. Tuttavia, se il debito fiscale è molto ingente o la situazione generale di insolvenza conclamata, sarà necessario ricorrere agli strumenti previsti dal Codice della Crisi per trattare con l’Erario in modo strutturato (si veda più avanti la transazione fiscale nell’ambito di concordati, accordi di ristrutturazione e – novità del 2024 – perfino composizione negoziata). In ogni caso, prima di intraprendere pagamenti parziali “fai-da-te” o accordi isolati, l’azienda deve valutare con attenzione l’intero quadro, per evitare che privilegiare il Fisco metta in difficoltà altri settori (o viceversa). Un principio chiave delle procedure concorsuali è la parità di trattamento dei creditori di pari grado, salvo deroghe concordate o imposte dalla legge; quindi, mosse unilaterali possono essere annullate ex post (ad es. pagamenti preferenziali possono essere soggetti a revocatoria se fatti quando l’impresa era insolvente). Meglio dunque agire nell’alveo di piani o accordi complessivi.

Tabella riepilogativa – Debiti fiscali: caratteristiche e gestione

AspettoDescrizione
CreditoriStato (Erario) – Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate-Riscossione. Coinvolge imposte dirette (es. IRES), indirette (IVA, registro), ritenute, accise, ecc.
Ranghi e garanziePrivilegio generale mobiliare su beni mobili (per IVA, ritenute e altri tributi entro limiti di tempo); ipoteche iscrivibili su immobili (ruolo ≥ €20.000). Sanzioni e interessi chirografari.
Conseguenze mancato pagamentoIscrizione a ruolo e cartelle esattoriali; interessi e sanzioni in aumento; azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, fermi) dopo 60 giorni dalla cartella; possibile blocco a DURC e certificazioni fiscali; reati per omessi versamenti rilevanti (IVA, ritenute).
Strumenti di soluzioneRateizzazioni amministrative (piano di dilazione fino 72-120 rate se ammesso); definizioni agevolate (rottamazioni); transazione fiscale in procedure concorsuali (possibile riduzione di imposta, sanzioni e interessi); procedure concorsuali per bloccare azioni esecutive (automatic stay) e disciplinare il pagamento secondo un piano.

Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL)

Accanto ai tributi, un capitolo fondamentale sono i debiti contributivi verso gli enti previdenziali e assistenziali, principalmente INPS (pensioni e contributi obbligatori dei lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, gestione separata, ecc.) e INAIL (assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro). Queste somme, dovute per legge, garantiscono la copertura pensionistica e assicurativa dei lavoratori: perciò il loro mancato versamento incide direttamente su diritti dei dipendenti e sulla legalità dell’attività aziendale (il DURC, Documento Unico di Regolarità Contributiva, attesta proprio l’assenza di debiti verso INPS/INAIL e altre casse – senza DURC l’azienda non può partecipare ad appalti pubblici e rischia sospensioni in alcuni settori).

I debiti previdenziali godono anch’essi di privilegi nelle procedure concorsuali (privilegio generale al pari dei tributi, ex art. 2753 c.c., per i contributi dovuti ai lavoratori) e in parte di prededucibilità se riferiti a periodo successivo all’apertura di una procedura (ad esempio, i contributi maturati durante un concordato in continuità devono essere pagati regolarmente e sono prededucibili). Le sanzioni civili per omesso versamento (che INPS applica in via amministrativa) invece sono normalmente degradate a credito chirografario.

Se l’azienda non versa i contributi dovuti per i dipendenti, l’INPS può attivare un procedimento analogo a quello fiscale: emissione di avvisi di addebito (titoli esecutivi immediatamente esecutivi, in sostanza cartelle) e successiva esecuzione forzata tramite Agenzia Riscossione. Dal 2021, gli avvisi di addebito INPS vengono notificati telematicamente via PEC alle aziende. Importante: il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti (la quota a carico del lavoratore trattenuta in busta paga) oltre soglie modeste (circa €10.000 annui) costituisce reato ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 (convertito in L. 638/1983). A differenza dell’omesso versamento di contributi propri (quota datoriale), che è depenalizzato e punito solo con sanzione amministrativa, l’appropriazione delle trattenute del lavoratore è considerata condotta più grave. Anche qui, tuttavia, il legislatore ha previsto che l’adempimento tardivo, se integrale e prima dell’apertura del dibattimento, estingue il reato: segnale della volontà di favorire la regolarizzazione spontanea quando possibile.

Conseguenze specifiche: oltre a ipoteche e pignoramenti simili a quelli per i tributi, l’irregolarità contributiva comporta la perdita del DURC (il documento risulterà “irregolare”). Senza DURC, come accennato, l’azienda non può ottenere pagamenti in appalti pubblici e rischia la risoluzione di contratti pubblici in corso. Anche per molte commesse private, specie nell’edilizia, è richiesta l’esibizione di un DURC regolare. Dunque, accumulare debiti INPS/INAIL può bloccare operativamente l’impresa. Inoltre, l’INPS – in quanto creditore “qualificato” – rientra nei meccanismi di allerta esterna: se i contributi non versati superano determinate soglie e perdurano per oltre 3 mesi, l’ente invia una segnalazione formale invitando l’azienda a rivolgersi all’Organismo di Composizione della Crisi (v. sezione Allerta). Attualmente, tali soglie sono: €15.000 di contributi arretrati per aziende con dipendenti (purché rappresentino almeno il 30% dei contributi dovuti nell’anno precedente), oppure €5.000 per datori di lavoro senza dipendenti (es. ditte individuali), con omesso versamento per oltre 90 giorni. Superate queste soglie, l’INPS (così come l’INAIL per i premi assicurativi) deve inviare entro 60 giorni un avviso al debitore, mettendolo a conoscenza della criticità e delle possibili soluzioni negoziali (composizione assistita).

Gestione dei debiti contributivi: analogamente ai debiti fiscali, anche per contributi e premi INAIL la legge consente rateizzazioni amministrative (fino a 24 rate mensili, prorogabili in alcuni casi). In sede concorsuale, la transazione previdenziale è ora equiparata a quella fiscale: l’impresa in concordato o accordo di ristrutturazione può proporre il pagamento parziale/dilazionato dei crediti INPS, con le stesse condizioni dei tributi (comparazione con scenario liquidatorio, attestazione di convenienza). Anzi, dal 2024 è stato esplicitato che anche nell’ambito di una composizione negoziata (procedura stragiudiziale) si può raggiungere un accordo transattivo con gli enti previdenziali, analogamente a quanto si fa col Fisco. Questo è un avanzamento significativo: prima l’INPS poteva aderire solo informalmente alle trattative, ora ha base legale per concordare una riduzione del credito contributivo persino fuori dal tribunale. Rimane fermo che, in mancanza di un accordo o di una procedura concorsuale, l’ente potrà rivalersi su tutti i beni aziendali e – in certi casi – personali: si pensi al caso di aziende individuali o soci di società di persone, che rispondono illimitatamente con il proprio patrimonio dei debiti previdenziali dell’impresa. Invece, i soci di S.r.l./S.p.A. di regola non ne rispondono personalmente, salvo abbiano prestato fideiussioni o si configurino particolari responsabilità (ad es. il liquidatore di una società che, durante la liquidazione, paga altri debiti e lascia inevasi i contributi può essere ritenuto personalmente obbligato fino alla concorrenza delle somme distratte).

In sintesi: i debiti verso INPS e INAIL, pur meno “visibili” di quelli fiscali, possono compromettere la continuità aziendale (per la perdita di regolarità contributiva) e vanno affrontati con la stessa urgenza. Spesso nelle ristrutturazioni vengono equiparati ai debiti fiscali, sia come priorità di pagamento sia come possibilità di stralcio tramite transazione previdenziale.

Debiti bancari e finanziari (mutui, finanziamenti, scoperti di conto)

Le banche e gli intermediari finanziari sono spesso tra i principali creditori delle imprese, soprattutto per aziende che hanno fatto investimenti (mutui ipotecari per immobili, leasing finanziari per macchinari) o utilizzato linee di credito per cassa (scoperti di conto corrente, anticipo fatture, castelletto). Il debito bancario ha alcune peculiarità:

  • Spesso è assistito da garanzie reali (ipoteche su immobili, pegni su beni mobili o su azioni, privilegio speciale su beni d’impresa per finanziamenti agevolati) o garanzie personali (fideiussioni dei soci o di terzi, garanzie dei confidi). Ciò significa che la banca, in caso di insolvenza, può rivalersi su beni specifici e/o escutere i garanti. In una procedura concorsuale, i crediti garantiti da pegno/ipoteca hanno rango privilegiato (prelazione) fino a concorrenza del valore del bene dato in garanzia. Ad esempio, un mutuo ipotecario sulla sede aziendale potrà essere rimborsato con priorità utilizzando il ricavato della vendita dell’immobile ipotecato.
  • Il rapporto banca-impresa è regolato da contratti che spesso prevedono clausole di decadenza dal beneficio del termine o di covenant finanziari: se l’impresa ritarda i pagamenti o peggiora i propri indicatori, la banca può revocare gli affidamenti e chiedere il rientro immediato. Questo può innescare una crisi di liquidità improvvisa (effetto “pull the plug”).
  • Le banche hanno l’onere di valutare attentamente l’affidabilità (merito creditizio) del debitore all’atto di concedere credito. Va segnalato che il Codice della Crisi sottolinea il principio del “merito creditizio”: in caso di sovraindebitamento del debitore civile, eventuali condotte di concessione irresponsabile di credito da parte di banche/finanziarie possono essere “punite” ad esempio non riconoscendo l’opposizione del creditore negligente al piano di ristrutturazione del debitore (principio di origine europea che mira a responsabilizzare gli enti finanziatori).

Conseguenze del default bancario: Se l’azienda non riesce a pagare le rate di mutuo o a rientrare dagli scoperti, la banca avvierà tipicamente una messa in mora formale e, trascorsi i termini contrattuali, potrà procedere con la risoluzione del contratto e l’azione esecutiva. Per i mutui ipotecari, ciò significa attivare una procedura esecutiva immobiliare sul bene ipotecato (pignoramento e vendita giudiziaria); per i fidi di c/c non garantiti, si tratterà di decreto ingiuntivo e pignoramento di beni mobili o crediti. I garanti personali (es. i soci che hanno firmato fideiussioni) saranno escussi sul loro patrimonio personale. Inoltre, l’esposizione “a sofferenza” verrà segnalata in Centrale Rischi di Banca d’Italia, compromettendo la reputazione creditizia dell’azienda e dei garanti.

Possibilità di ristrutturazione: Le banche, a differenza del Fisco, sono interlocutori più flessibili sul piano negoziale privato, se intravedono chance di recuperare più valore attraverso un accordo che non tramite l’escussione immediata. È frequente la rinegoziazione dei mutui (allungamento piani di ammortamento, periodi di pre-ammortamento), consolidamento di linee a breve termine in finanziamenti a medio termine, accordi transattivi a saldo e stralcio (sconto sul dovuto se il debitore paga subito una parte significativa). Tali accordi possono avvenire in via stragiudiziale se la crisi non è irreversibile: ad esempio, con l’assistenza di consulenti l’impresa può presentare un piano di risanamento alle banche, convincendole a diluire i crediti. In contesti più gravi, la cornice ideale è quella degli accordi di ristrutturazione del debito omologati o del concordato preventivo, dove le banche spesso costituiscono una o più classi di creditori. Il CCII prevede anche strumenti particolari come gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ai creditori finanziari dissenzienti: se almeno il 75% degli istituti di credito (per ammontare di crediti) aderisce, l’accordo può essere esteso coattivamente alle banche minoritarie rimaste fuori (art. 61 CCII, recependo l’art. 182-septies L.F.). Ciò tutela dal rischio che una singola banca “tenga in ostaggio” la ristrutturazione.

Importante evidenziare che, se il risanamento passa per un nuovo apporto di finanza (nuovo credito bancario per salvare l’azienda), la legge incentiva ciò prevedendo la prededuzione per i finanziamenti autorizzati dal giudice in pendenza di concordato o accordo (cioè tali nuovi crediti saranno rimborsati con priorità assoluta). Anche nel contesto della composizione negoziata, i finanziamenti ponte concessi all’impresa con il beneplacito dell’esperto indipendente godono di protezione in caso di successivo fallimento (non sono revocabili e sono prededucibili, secondo art. 25-bis CCII).

In sintesi: i debiti verso banche richiedono un approccio calibrato: evitare reazioni unilaterali (es. revoca improvvisa dei fidi) negoziando per tempo, e se necessario sfruttare il “ombrello” di una procedura concorsuale per imporre anche ai creditori finanziari dissenzienti un piano di rientro equo. Le banche, da parte loro, valutano piani attestati e accordi con attenzione perché anch’esse preferiscono, ove possibile, una ristrutturazione del credito piuttosto che subire perdite più gravi in un fallimento. La chiave è presentare un piano credibile e sostenibile, con eventuali nuove garanzie o capitali di terzi a supporto.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

Debiti verso fornitori (trade payables) sono gli importi dovuti ai propri fornitori di beni e servizi. Tipicamente sono debiti chirografari (non garantiti da collaterali) e di importo frammentato su molti creditori, spesso con scadenze brevi (30-90 giorni). Se l’azienda entra in crisi di liquidità, tende a ritardare i pagamenti ai fornitori come valvola di sfogo. Ciò però può innescare reazioni a catena: i fornitori, se non pagati, potrebbero sospendere le forniture indispensabili (bloccando la produzione o l’attività) o addirittura agire legalmente. Singoli fornitori potrebbero presentare decreti ingiuntivi e pignorare merci o crediti, oppure chiedere il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda debitrice, qualora i debiti scaduti e non pagati evidenzino uno stato d’insolvenza.

Va ricordato che in Italia qualunque creditore, anche un piccolo fornitore, ha legittimazione a presentare istanza di fallimento se il debitore si trova in stato d’insolvenza (art. 121 CCII) – salvo che l’azienda rientri tra i “non fallibili” per dimensione. Questo potere rende i debiti fornitori potenzialmente molto pericolosi: basta un fornitore insoddisfatto e un giudice potrebbe essere investito della crisi, aprendo d’ufficio una procedura.

Nelle procedure concorsuali, i fornitori non garantiti rientrano di norma tra i creditori chirografari, ossia quelli che vengono soddisfatti solo dopo l’integrale pagamento di privilegiati e garantiti, e spesso ricevono percentuali modeste. Per questo motivo, negli strumenti di risanamento il trattamento dei fornitori è spesso un indicatore della fattibilità: se si propone un haircut (taglio) molto elevato del loro credito, occorre valutarne la reazione commerciale (continueranno a lavorare per l’azienda?) e legale (accetteranno il piano?).

Gestione dei debiti verso fornitori: In situazioni di tensione finanziaria, è fondamentale comunicare tempestivamente con i fornitori critici, cercando magari di scaglionare i pagamenti o concordare nuove condizioni (standstill temporanei). Talvolta un fornitore strategico preferirà accettare un pagamento parziale o ritardato piuttosto che spingere l’azienda cliente al fallimento e perdere così un partner commerciale definitivamente. Strumenti come la composizione negoziata possono facilitare questo dialogo in una cornice protetta (grazie alle misure protettive, si può congelare per qualche mese l’azione dei fornitori mentre si negozia).

Nei piani di ristrutturazione e concordati, ai fornitori può essere proposta la conversione dei loro crediti in parte in equity (quote di partecipazione nell’azienda risanata) o in strumenti finanziari partecipativi, se ciò è fattibile e previsto dal piano. Questa soluzione, mutuata da esperienze di ristrutturazioni societarie, è però rara per le PMI, più comune nei casi di grandi imprese dove i fornitori sono anch’essi di dimensioni notevoli e interessati a mantenere il rapporto commerciale.

Infine, da un punto di vista umano e reputazionale, gestire con correttezza i fornitori durante la crisi è essenziale: evitare disparità di trattamento ingiustificate (pagare solo alcuni e non altri senza criterio oggettivo) e tenere informati i partner può fare la differenza tra un risanamento con filiera preservata e un’azienda che, pur risanata finanziariamente, si ritrova senza più fornitori disposti a servirla.

Debiti verso dipendenti (retribuzioni, TFR, ecc.)

I debiti verso i dipendenti hanno una posizione peculiare e privilegiata nell’ordinamento. Comprendono stipendi non pagati, ferie maturate e non godute, straordinari, tredicesime, oltre al TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato e non versato al Fondo Tesoreria o al fondo pensione, e altre eventuali indennità.

Sul piano civile, i crediti di lavoro dipendente godono del privilegio generale mobiliare di primo grado (art. 2751-bis n.1 c.c.) fino a un certo importo (le retribuzioni degli ultimi 12 mesi e il TFR fino a un limite, oggi circa €50.000 per lavoratore) e del privilegio immobiliare speciale su beni dell’impresa (art. 2776 c.c.) per le ultime retribuzioni. Ciò significa che, in caso di fallimento o concordato, i dipendenti devono essere soddisfatti prima degli altri crediti privilegiati di grado inferiore e dei chirografari, entro tali limiti. Inoltre, la legge prevede l’intervento del Fondo di Garanzia INPS: se l’azienda fallisce (o è assoggettata a liquidazione concorsuale) e non può pagare i dipendenti, l’INPS subentra corrispondendo ai lavoratori il TFR e le ultime tre mensilità impagate (poi l’INPS si insinua nel passivo al posto loro). Questo tutela parzialmente i lavoratori, ma soltanto quando c’è l’apertura formale di una procedura concorsuale; se l’impresa evita il fallimento con un accordo o un concordato, dovrà prevedere nel piano il pagamento dei crediti di lavoro in misura adeguata. In un concordato preventivo, per legge, i lavoratori devono ricevere almeno il 100% delle retribuzioni impagate degli ultimi 3 mesi e il 40% del TFR maturato, a meno che non votino espressamente per accettare meno (art. 109 CCII). Questo vincolo di trattamento di favore riflette la natura alimentare di tali crediti.

Da un punto di vista penale e amministrativo, il mancato pagamento degli stipendi entro i termini previsti (di norma, il giorno 10 del mese successivo per la retribuzione mensile) può portare a sanzioni amministrative da parte dell’Ispettorato del Lavoro. Inoltre, se un datore di lavoro prolunga l’omesso pagamento, rischia l’accusa di estorsione contrattuale se cerca di costringere i dipendenti a condizioni peggiorative minacciando il licenziamento (casistica rara, ma da menzionare).

Gestione durante la crisi: Non pagare i dipendenti è spesso l’ultima risorsa disperata per l’imprenditore in crisi, sia per motivi etici che pratici (una forza lavoro non retribuita difficilmente prosegue l’attività con impegno, si rischiano scioperi e abbandoni). Se ciò avviene, significa che la crisi è grave. In ottica di risanamento, i debiti verso il personale vanno considerati prioritari: in molti casi, gli stipendi arretrati vengono saldati appena si ottiene nuova finanza o con i primi incassi utili. Talora, nei piani di concordato in continuità, si prevede di pagare subito (in prededuzione) le mensilità arretrate essenziali per ripristinare la pace sociale, lasciando eventualmente a falcidia concordataria solo il TFR o altre voci differite. Diversamente, il rischio è perdere il capitale umano o incorrere in istanze legali immediate (un singolo lavoratore può chiedere ingiunzione e pignorare cassa o beni).

Nelle procedure concorsuali, comunque, i lavoratori hanno una posizione protetta: ad esempio, se in fase di concordato l’impresa prosegue l’attività, deve continuare a pagare regolarmente le retribuzioni correnti, altrimenti il tribunale può revocare l’autorizzazione alla continuità. E se si arriva a liquidazione giudiziale, come detto interviene il Fondo di Garanzia. Importante: In sede di accordi di ristrutturazione o composizione negoziata, i dipendenti spesso vengono coinvolti tramite accordi sindacali per gestione di esuberi o cassa integrazione straordinaria: l’ordinamento prevede ammortizzatori come la CIGS per crisi, che consente di alleggerire temporaneamente il costo del personale durante la ristrutturazione senza accumulare ulteriori debiti verso i lavoratori.

Debiti da leasing, canoni e altre esposizioni specifiche

Debiti da leasing finanziario: Nel leasing, l’azienda utilizzatrice si impegna a versare canoni periodici per poter utilizzare un bene (macchinario, automezzo, immobile) di proprietà della società di leasing, con opzione finale di acquisto. Se l’impresa utilizzatrice smette di pagare i canoni, la società di leasing ha facoltà di risolvere il contratto e riprendere possesso del bene (riappropriazione), trattenendo le rate incassate e chiedendo il pagamento di quelle scadute e, in parte, di quelle future a titolo risarcitorio (dedotta la ricollocazione del bene). Nei fallimenti, i contratti di leasing non scaduti possono essere sciolti dal curatore con l’obbligo di restituire il bene; la società di leasing insinua al passivo il suo credito (di regola, il CCII prevede che abbia un privilegio sul ricavato della vendita del bene oggetto di leasing, fino a concorrenza del valore del bene).

Impatti pratici: se un’azienda in crisi ha molti beni in leasing (es. veicoli per una società di trasporti), deve tenere conto che il default sui canoni comporterebbe la perdita immediata di tali beni, spesso cruciali per la continuità operativa. Nei piani di ristrutturazione, pertanto, è frequente prevedere il proseguimento dei leasing (con pagamento regolare dei canoni correnti e magari dilazione degli arretrati), oppure la rinegoziazione del debito residuo con la società concedente (ad esempio, trasformare il valore residuo in un finanziamento). In concordato, l’impresa può chiedere al tribunale di autorizzare il pagamento dei canoni leasing in corso di procedura come crediti prededucibili, se l’utilizzo del bene è essenziale per proseguire l’attività.

Debiti per affitto di immobili o rami d’azienda: Questi debiti sono relativi ai canoni di locazione di immobili commerciali, capannoni, negozi, oppure ai canoni di affitto di azienda (se l’impresa affitta un altro ramo d’azienda). Il mancato pagamento per più mensilità può portare la controparte (locatore) a risolvere il contratto e sfrattare l’azienda dallo stabile – evento spesso letale per l’attività se riguarda l’unico sito produttivo o il negozio. Anche qui, nelle procedure di crisi il legislatore ha introdotto tutele: l’art. 95 CCII consente all’impresa in concordato di sciogliersi o sospendere i contratti di locazione in essere con autorizzazione del tribunale, se ciò è funzionale al piano (es. chiudere punti vendita in perdita). D’altra parte, se i locali servono, l’impresa deve includere i canoni scaduti come debito da soddisfare (di norma chirografo) e assicurare il pagamento dei canoni correnti per mantenere il contratto. Il locatore in caso di concordato può insinuarsi per i canoni scaduti e per un’indennità di occupazione.

Debiti verso soci finanziatori: Se i soci dell’azienda hanno effettuato finanziamenti (prestiti soci) invece che apporto di capitale, tali crediti dei soci sono giuridicamente postergati (subordinati) per legge (art. 2467 c.c., nelle S.r.l., e principio analogo in S.p.A.): significa che, in caso di crisi, i soci vengono rimborsati solo dopo che tutti gli altri creditori sono stati soddisfatti integralmente. Dunque i debiti verso soci, di fatto, non partecipano al concorso se non come ultimi della lista. Nei piani di risanamento spesso i finanziamenti soci vengono convertiti in capitale o comunque rinunciati dai soci, come segnale di impegno. Bisogna quindi essere cauti nel considerarli come possibile “leva” per abbattere il debito complessivo: un euro di prestito dal socio non può essere trattato alla pari di un euro dovuto a fornitori o banche.

Altre esposizioni particolari: Potremmo citare i debiti verso l’Agenzia delle Dogane (accise, dazi doganali): simili ai tributi, con in più implicazioni su licenze e concessioni se insoluti. Debiti per sanzioni amministrative (multe, ammende): generalmente chirografari e falcidiabili nelle procedure, ma non soggetti a transazione fiscale ordinaria perché formalmente non tributari (anche qui, serve norma ad hoc per enti locali). Debiti derivanti da azioni risarcitorie (es. cause civili perse): questi crediti, se liquidi, seguono il regime civile normale (eventuali privilegi se il risarcimento deriva da fatto illecito con sequestro conservativo, altrimenti chirografo). Debiti verso fornitori esteri: da considerare anche implicazioni di diritto internazionale e valuta, ma nell’ambito di una procedura italiana saranno trattati come chirografari a parità di condizioni (salva l’applicazione del Regolamento UE Insolvenza se l’azienda ha attività in più Stati).

In generale, conoscere la natura di ciascun debito consente al professionista di elaborare piani che tengano conto di: chi ha priorità su cosa, chi può essere coinvolto in un accordo transattivo, quali crediti non si possono tagliare o richiedono consenso specifico (ad esempio, il credito IVA poteva storicamente non essere falcidiato senza assenso erariale – oggi è possibile farlo ma con rigidi limiti). Nella sezione successiva, passeremo in rassegna tutti gli strumenti legali per gestire e risolvere la crisi d’impresa, evidenziando per ciascuno come possono essere trattati i vari tipi di debiti analizzati.

Strumenti di gestione e risoluzione della crisi d’impresa

Il quadro normativo italiano offre molteplici procedure per affrontare l’eccesso di debiti e lo stato di crisi o insolvenza di un’impresa. Tali strumenti spaziano dalle soluzioni stragiudiziali volontarie a procedure concorsuali giudiziali vere e proprie, fino ai percorsi riservati alle micro-imprese e ai debitori civili (sovraindebitamento). La scelta corretta dipende dalla gravità della crisi, dalla composizione del debito (tipologie di creditori coinvolti) e dall’obiettivo (risanare e proseguire l’attività, oppure liquidare ordinatamente). Il CCII incoraggia innanzitutto soluzioni precoce e negoziate, riservando la liquidazione giudiziale come extrema ratio.

Di seguito analizziamo in dettaglio tutti gli strumenti disponibili a giugno 2025, con i recenti aggiornamenti normativi. Prima, però, un cenno ai meccanismi di allerta e prevenzione introdotti per intercettare la crisi sul nascere.

Allerta precoce e prevenzione della crisi (segnalazioni e assetti adeguati)

Il Codice della Crisi ha posto grande enfasi sull’emersione tempestiva della crisi. A tal fine, due pilastri sono: gli assetti organizzativi adeguati in capo all’imprenditore (art. 2086 c.c. novellato) e il sistema di segnalazioni d’allerta da parte di creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione).

  • Adeguati assetti organizzativi: Ogni imprenditore collettivo (società) deve dotarsi di assetti amministrativi, contabili e organizzativi adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, funzionali a rilevare squilibri e segnali di crisi. Ciò significa, in pratica, monitorare indicatori come indici di liquidità, sostenibilità dei debiti, continuità aziendale, così da intervenire prima che l’insolvenza diventi conclamata. L’organo amministrativo e, se esistente, l’organo di controllo (sindaci, revisore) hanno il dovere di attivarsi appena colgano indizi di crisi – pena la responsabilità personale per eventuali aggravamenti (ad esempio, gli amministratori che ritardano colpevolmente l’emersione della crisi possono essere chiamati a rispondere dei maggiori danni arrecati a creditori).
  • Segnalazioni di allerta esterna: Il CCII (Titolo II, art. 25-octies e segg.) ha previsto che alcuni enti pubblici, se rilevano esposizioni debitorie rilevanti e persistenti, debbano avvisare formalmente l’imprenditore. In particolare:
    • Agenzia delle Entrate: invia segnalazione se l’impresa ha IVA scaduta e non versata oltre una certa soglia (oggi €5.000) dopo la scadenza del trimestre successivo.
    • INPS: come visto, segnala se contributi omessi > €15.000 (aziende con dipendenti) o > €5.000 (senza dip.) per oltre 3 mesi.
    • Agenzia Entrate-Riscossione: segnala se l’esposizione totale a ruolo supera €100.000 per ditte individuali, €200.000 per società di persone, €500.000 per società di capitali, e il debito è scaduto da oltre 90 giorni senza provvedimenti di sospensione.

Le segnalazioni avvengono tramite PEC e invitano formalmente l’imprenditore a presentare istanza di composizione negoziata della crisi entro 90 giorni. Non sono di per sé una dichiarazione d’insolvenza pubblica, ma un alert confidenziale. Se l’imprenditore ignora l’avviso, l’ente pubblico non può (almeno secondo la normativa vigente) aprire d’ufficio una procedura concorsuale, ma la segnalazione rimarrà agli atti: in caso di successivo fallimento, potrà essere valutata dal tribunale come elemento indice di colpevole inerzia degli amministratori. Al contrario, se l’imprenditore reagisce attivando la composizione negoziata (o altra procedura) dimostra diligenza.

Queste misure di allerta, combinate con l’obbligo degli assetti adeguati, segnano un cambio di paradigma culturale: non più attendere il default totale, ma intervenire ai primi scricchiolii. L’efficacia dell’allerta esterna in Italia è in evoluzione (è stata rinviata più volte e calibrata nel 2023/24 con soglie e procedure digitali), ma già nel 2024 sono partite le prime PEC di Agenzia Entrate e INPS alle imprese in ritardo. Ciò ha spinto molte PMI a prendere coscienza della situazione e consultare esperti.

Focus: Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ha elaborato indici di allerta settoriali (art. 13 CCII) che aiutano a capire quando scatta la probabilità di crisi (es. eccessivo indebitamento rispetto al MOL). Pur non obbligatori, questi indici sono un utile strumento di autodiagnosi per l’impresa e i suoi consulenti.

In sintesi, l’allerta e la prevenzione creano il “primo tassello” della gestione della crisi. Vediamo ora lo strumento principe che è stato introdotto per dare una risposta costruttiva a tali segnali: la Composizione Negoziata della Crisi.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è una procedura volontaria, riservata e stragiudiziale introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021) e poi confluita nel Codice della Crisi (artt. 17–25-septies CCII). Rappresenta uno degli strumenti cardine del nuovo sistema e ha la finalità di facilitare la ristrutturazione dell’impresa prima che questa scivoli in insolvenza irreversibile.

Chi può accedervi e quando: Può richiederla qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione, che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far presumere la crisi o l’insolvenza, ma che appaia risanabile. Non è dunque necessario – anzi, non è auspicabile – attendere l’insolvenza conclamata; si può (e dovrebbe) attivare la composizione negoziata già ai primi segnali di difficoltà seria (es. tensioni di liquidità, ritardi significativi nei pagamenti). È ammessa anche se l’impresa è già insolvente, purché l’insolvenza sia ritenuta reversibile (es. mancanza di liquidità temporanea in un’azienda con buone commesse e potenzialità di rilancio). La volontarietà è fondamentale: l’istanza può essere presentata solo dall’imprenditore stesso (amministratore della società o imprenditore individuale), non dai creditori né su iniziativa del tribunale. Questo la distingue dalle procedure concorsuali tradizionali dove i creditori potevano attivare (es. istanza di fallimento).

Come funziona in breve: L’imprenditore presenta domanda tramite una piattaforma telematica dedicata (gestita dalle Camere di Commercio in coordinamento con Unioncamere e Ministero della Giustizia). Nella domanda espone la situazione aziendale e allega documentazione finanziaria. Un’apposita Commissione nomina quindi un esperto indipendente – solitamente un commercialista o altro professionista con specifiche competenze in risanamenti, scelto da elenchi – il quale ha il compito di guidare le trattative con i creditori in modo imparziale. L’esperto convoca l’imprenditore in una prima riunione riservata e insieme stilano un piano di approccio verso i creditori. Le trattative si svolgono in forma riservata (non c’è pubblicità, l’azienda continua ad operare normalmente) e hanno una durata base di 180 giorni, prorogabile se necessario di ulteriori 180.

Strumenti e tutele durante la composizione: Durante questo periodo, l’impresa può richiedere al tribunale delle misure protettive (protective measures), in particolare un’ordinanza che sospende o impedisce azioni esecutive o cautelari dei creditori sul patrimonio aziendale. Ciò crea un “moratorium” simile all’automatic stay del Chapter 11 USA, ma concesso caso per caso e revocabile se l’azienda abusa della protezione. Le misure protettive possono coprire tutti i creditori o solo alcuni, e durano inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili. Inoltre, come accennato, eventuali finanziamenti ottenuti durante la composizione (con il placet dell’esperto) sono protetti in prededuzione, incentivando banche e soci a mettere liquidità per traghettare l’impresa. L’imprenditore rimane alla guida dell’azienda (non c’è spossessamento né commissario), ma deve cooperare lealmente con l’esperto, informandolo di atti di gestione straordinaria e seguendone le indicazioni.

Esiti possibili: La composizione negoziata può concludersi con diversi scenari:

  • Accordo stragiudiziale con i creditori: ideale ma non sempre raggiungibile. Si formalizza in uno o più accordi bilaterali o plurilaterali con i principali creditori (ad esempio, un accordo di moratoria con le banche, un accordo transattivo con alcuni fornitori, ecc.), senza coinvolgere il tribunale se non per la ratifica finale. Questi accordi privati possono essere “auto-ombreggiati” dall’esperto, il quale redige una relazione finale attestando che l’accordo raggiunto assorbe la crisi ed è idoneo a evitare l’insolvenza. Con tale relazione, l’imprenditore può chiedere l’autorizzazione del tribunale alla conclusione della procedura e ottenere omologazione di eventuali accordi di esenzione da azioni revocatorie (il legislatore consente di esentare da revocatoria pagamenti e atti esecuti in esecuzione dell’accordo raggiunto).
  • Piano attestato di risanamento: se un accordo con tutti i creditori non è praticabile, si può optare per un piano attestato ex art. 56 CCII. L’esperto potrebbe consigliare questa via qualora la maggior parte dei creditori sia collaborativa. In tal caso, l’imprenditore, parallelamente o subito dopo la negoziazione, fa predisporre un piano di risanamento unilaterale, attestato da un attestatore indipendente (diverso dall’esperto). Il vantaggio è la protezione dalle revocatorie per gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato pubblicato, così come previsto dall’art. 56 CCII (già art. 67 L.F.). In pratica, l’azienda esce dalla composizione negoziata con un piano di risanamento unilaterale che potrà eseguire, avendo già sondato la disponibilità dei creditori durante le trattative. Questa soluzione è molto “leggera” in termini di intervento giudiziario (non serve omologa, ma solo la pubblicazione del piano presso il Registro delle Imprese per ufficializzarne la data certa).
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) soggetto a omologazione: un altro possibile esito è che, grazie all’esperto, l’imprenditore raccolga il consenso di una parte consistente dei creditori (≥60% dei crediti) e decida di formalizzare un accordo di ristrutturazione ai sensi degli artt. 57 e 60 CCII. In tal caso, le trattative confluiscono nella redazione di un accordo vincolante da sottoporre al tribunale per l’omologazione. Si passa dunque da una fase stragiudiziale a una fase giudiziale semplificata, in cui il tribunale verifica legalità e ragionevolezza dell’accordo e, se tutto a posto, lo omologa rendendolo efficace anche verso eventuali creditori minori dissenzienti (v. oltre la sezione dedicata agli ARD).
  • Concordato preventivo: se la situazione lo richiede (ad es. troppi creditori eterogenei, necessità di imporre sacrifici anche a dissenzienti), l’esito può essere il deposito di una domanda di concordato preventivo. La composizione negoziata può fungere da preludio a un concordato: l’esperto aiuta a strutturare un piano che poi viene posto al voto dei creditori secondo le regole concorsuali ordinarie. In alcuni casi, l’esperto stesso nella relazione finale dichiara fallite le trattative ma riconosce che l’unica via è un concordato, magari avendo già individuato un possibile investitore o delineato un piano di massima. Il debitore può allora depositare il ricorso per concordato entro 60 giorni dalla chiusura della composizione (usufruendo anche di alcune facilitazioni come l’esenzione dal pagamento del contributo unificato).
  • Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio: questa è una novità assoluta introdotta dall’art. 25-sexies CCII (dal D.L. 118/2021). Se la composizione negoziata si conclude senza accordo e l’esperto attesta che non ci sono soluzioni percorribili diverse dalla liquidazione, l’imprenditore – entro 60 giorni – può richiedere al tribunale l’apertura di un concordato semplificato senza voto dei creditori, finalizzato alla mera liquidazione dei beni. Di fatto, è un “paracadute” per evitare la liquidazione giudiziale immediata: il debitore presenta un piano di liquidazione, il tribunale lo comunica ai creditori che possono proporre osservazioni, e quindi lo omologa se ritiene che i creditori ricevano almeno quanto otterrebbero da un fallimento. Non c’è voto né classi. È uno strumento particolare, destinato ai casi estremi in cui non si è trovata altra soluzione ma si vuole comunque beneficiare di una chiusura concordata (ad es. per vendere l’azienda in blocco rapidamente, evitando la dispersione fallimentare). Ne parleremo più avanti separatamente.
  • Esito negativo – liquidazione giudiziale: infine, può accadere che la composizione negoziata fallisca e non vi siano le condizioni né per un accordo né per un concordato (es. creditori intrattabili, situazione irrimediabile). In tal caso l’impresa è avviata alla liquidazione giudiziale (ex fallimento) su istanza di creditori o d’ufficio. Purtroppo, sebbene la composizione negoziata tenda a prevenirlo, questo rimane il destino delle imprese non risanabili.

Novità introdotte dal “Correttivo-ter” (D.Lgs. 136/2024): Nel corso del 2024 la disciplina della composizione negoziata è stata ulteriormente affinata. Una novità di grande rilievo è l’introduzione esplicita della transazione fiscale e contributiva in composizione negoziata. Dal 28 settembre 2024, l’imprenditore può proporre a Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione e Agenzia Dogane un accordo di ristrutturazione dei debiti fiscali anche all’interno della composizione negoziata, senza dover per forza ricorrere a concordato o accordo di ristrutturazione omologato. In sostanza, oggi è consentito fare un “mini-accordo” col Fisco in via stragiudiziale: ad esempio, l’impresa può offrire di pagare il 50% del debito fiscale in 6 anni, ottenere il placet dell’Esperto e l’attestazione di convenienza da un professionista, e poi farsi autorizzare dal tribunale a perfezionare tale accordo. Ci sono però condizioni precise: non c’è cram-down, quindi serve obbligatoriamente il consenso dell’Agenzia (non può essere imposto dal giudice se il Fisco dice no), e occorrono una relazione asseverata di un professionista indipendente che certifichi che l’Erario riceve almeno quanto otterrebbe da una liquidazione, nonché una relazione del revisore sui dati aziendali. Inoltre, l’accordo deve essere autorizzato dal tribunale ex art. 23 co.7 CCII. Tale accordo in sede negoziata può includere qualsiasi debito tributario o contributivo verso Erario – incluso IVA, abolendo ogni distinzione – mentre restano esclusi per ora i tributi locali (Comuni/Regioni) in attesa di decreti attuativi.

Con la transazione fiscale in composizione negoziata, questo strumento diventa ancora più potente e completo, permettendo di affrontare tutti i tipi di debito (privati e pubblici) in via stragiudiziale. Rimangono come elementi di attenzione la volontarietà (nessuna imposizione ai creditori: se alcuni non stanno all’accordo, bisognerà passare a procedura giudiziale) e la gestione dei tempi – le trattative non possono protrarsi indefinitamente e richiedono un impegno intenso da parte dell’imprenditore e dell’esperto per trovare soluzioni entro pochi mesi.

Vantaggi e limiti in sintesi: La composizione negoziata è confidenziale (non pubblica l’insolvenza sul Registro Imprese, salvo l’eventuale decreto di misure protettive), rapida e flessibile. Consente di evitare lo stigma del tribunale e di coinvolgere i creditori in modo collaborativo. Ha costi contenuti (non ci sono organi come il commissario o il comitato creditori, solo il compenso dell’esperto secondo tariffe ministeriali). Di contro, non offre la certezza del risultato: se un creditore chiave non vuole aderire e blocca la soluzione, l’azienda potrebbe ritrovarsi semplicemente ad aver ritardato l’inevitabile. Inoltre, per le banche e i creditori occorre fiducia nella figura dell’esperto e trasparenza totale da parte dell’imprenditore – elementi non sempre presenti.

La composizione negoziata è stata definita un “laboratorio di soluzioni”: al suo interno si possono creare vari mix (accordi, piani, transazioni) con la regia imparziale dell’esperto. Nei primi anni di applicazione (2021-2024) ha avuto risultati alterni: diverse imprese l’hanno usata per risanare con successo, altre l’hanno abbandonata per passare a concordati. Col rafforzamento normativo recente, ci si attende un uso crescente, specie tra le PMI.

Tabella riepilogativa – Composizione negoziata

CaratteristicheDettagli
AccessoVolontario, su istanza dell’imprenditore (società o ditta individuale, anche agricola) in crisi reversibile. Nessun limite di dimensione.
Figura chiaveEsperto indipendente nominato da commissione (professionista terzo che assiste nelle trattative). L’imprenditore mantiene l’amministrazione.
Durata180 giorni + eventuale proroga 180. Trattative riservate.
EffettiPossibili misure protettive dal tribunale (sospensione azioni esecutive). L’azienda continua operatività.
Esiti possibiliAccordo stragiudiziale bilaterale/plurilaterale; Piano attestato di risanamento; Accordo di ristrutturazione ex art.57 CCII; Concordato preventivo (anche semplificato liquidatorio); oppure esito negativo (liquidazione giudiziale).
Novità 2024Transazione fiscale/previdenziale ammessa nell’ambito negoziato (con consenso AE/INPS e attestazione).
VantaggiRiservatezza, flessibilità, costi limitati; protezione temporanea dai creditori; possibilità di trovare soluzioni tailor-made (coinvolgimento volontario creditori).
LimitiNessuna imposizione coattiva ai creditori dissenzienti (se non vogliono aderire, occorre cambiare procedura); richiede collaborazione e buona fede; rischio di insuccesso se mancano accordi; comunque pubblicazione degli esiti (accordi, piano o domanda concordato) sul Registro Imprese alla fine.

Piani attestati di risanamento

Il piano attestato di risanamento è lo strumento di risanamento più snello e totalmente extragiudiziale previsto dalla legge. È disciplinato dall’art. 56 CCII (già art. 67, co.3, lett. d), L.F.). Consiste in un piano predisposto dall’imprenditore (tipicamente con l’ausilio di advisor finanziari) che dettaglia le azioni da intraprendere per riequilibrare la situazione economico-patrimoniale dell’impresa, e che viene attestato da un professionista indipendente circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso. L’attestatore deve essere un esperto iscritto in apposito registro, che svolge un ruolo di garanzia per i terzi.

Il punto cruciale è che il piano attestato non è soggetto ad omologazione né coinvolge il tribunale: è un accordo privatistico. Non vincola i creditori dissenzienti: ciò significa che l’imprenditore non può, con il piano attestato, imporre unilateralmente ristrutturazioni dei debiti ai creditori senza consenso. Se alcuni creditori non aderiscono, restano liberi di agire. Perciò, usualmente, un piano attestato ha successo se l’imprenditore ha già ottenuto almeno un accordo di massima con tutti i creditori principali. Ad esempio, può essere il caso di una PMI indebitata con 3 banche: si siede con ciascuna, negozia nuove scadenze o stralci, poi formalizza tutto in un piano attestato che comprende gli accordi firmati con quelle banche.

Beneficio principale: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare qualora poi l’impresa fallisca. Questo scudo (previsto dall’art. 56 CCII) è fondamentale: consente ai creditori di fidarsi nell’aderire al piano, sapendo che se pure il risanamento fallisse, ciò che hanno ricevuto (es. pagamenti parziali) non verrà chiesto indietro dal curatore del fallimento successivo. Condizione per la protezione è che il piano sia stato pubblicato nel Registro delle Imprese (diventa dunque conoscibile ai terzi, benché il contenuto dettagliato possa restare riservato). La pubblicazione serve a dare data certa e opponibilità del piano. Inoltre, naturalmente, la protezione vale solo per atti coerenti con il piano e fatti dopo la pubblicazione.

Contenuto tipico del piano attestato: Si prevedono operazioni come:

  • Ristrutturazione del debito su base privata: ad esempio, conversione di debiti in capitale (debt equity swap con i creditori consenzienti), dilazione di pagamenti, remissione parziale di crediti da parte di alcuni creditori.
  • Ricerca di finanza fresca: nuovi apporti dai soci o terzi, vendite di beni non strategici per fare cassa, ecc., per ottenere liquidità con cui pagare in parte i debiti.
  • Riorganizzazione aziendale: taglio di rami d’azienda in perdita, riduzione costi, investimenti in efficienza, ecc., con proiezioni economico-finanziarie che mostrino il ritorno in bonis in un certo periodo.
  • Pagamento integrale o regolare dei debiti fiscali e contributivi, oppure loro trattamento tramite misure amministrative (es. adesione a definizioni agevolate in corso). Come già evidenziato, non è possibile nel piano attestato imporre uno stralcio ai debiti erariali senza accordo: se l’impresa ha debiti fiscali, dovrà negoziare separatamente con il Fisco (chiedere dilazioni, sfruttare rottamazioni) o predisporre comunque il pagamento integrale di tali debiti col cash flow generato dal piano. In pratica, il Fisco non è parte del piano attestato se non aderendo su base volontaria. Questo era un limite importante: fino al 2024 i piani attestati con ingenti debiti fiscali erano difficili, poiché l’Agenzia Entrate non poteva formalmente aderire a stralci extra-procedura. Oggi, grazie anche alla transazione fiscale in composizione negoziata, c’è un canale in più: l’impresa potrebbe prima ottenere un accordo fiscale in composizione negoziata e poi tradurlo nel piano attestato.
  • Eventuale accordo “monstre” firmato dall’esperto: In vigenza del D.L. 118/21, c’era una figura di accordo introdotta nel DL (art. 11) per facilitare i piani attestati: l’esperto della composizione negoziata poteva “benedire” un piano attestato rilasciando un nulla osta che esentava da revocatoria certi pagamenti. Nel CCII tale meccanismo è meno rilevante perché la pubblicazione del piano attestato già offre esenzione ex lege.

Esempio pratico di piano attestato: L’azienda Alfa S.r.l., con 5 milioni di debiti di cui 3 verso banche e 2 verso fornitori, elabora un piano dove i soci apportano €500.000 di nuova finanza, cede un capannone per €1 milione, e con queste risorse paga parzialmente i fornitori (es. 50%). Le banche accettano di allungare i mutui di 5 anni riducendo la rata; una banca converte €200.000 di credito in una quota di partecipazione al capitale. Un professionista assevera che, attuando queste misure, Alfa tornerà redditizia e potrà pagare le banche sul nuovo piano. Tutti i principali creditori hanno firmato accordi. Il piano viene pubblicato e inizia l’esecuzione. Se tutto va bene, l’impresa evita procedure concorsuali, con costi ridotti e minima pubblicità negativa. Se qualcosa va storto e Alfa fallisce nonostante il piano, i pagamenti fatti e le garanzie date secondo piano (es. ipoteca data a banca a fronte di nuova finanza) non saranno revocati dal curatore, poiché coperti dall’art. 56 CCII.

Limiti: Il piano attestato non offre alcuna forzatura legale: un piccolo creditore non firmatario potrebbe comunque agire (anche chiedere fallimento). Per questo talvolta l’azienda abbina il piano attestato a una richiesta di misure protettive (ex art. 54 CCII) per congelare i creditori durante la predisposizione del piano. Tali misure, possibili in fase di composizione negoziata, non sono invece disponibili se uno fa un piano attestato fuori dalla composizione (a meno di depositare un’istanza prenotativa di concordato per proteggersi temporaneamente, che poi viene rinunciata una volta attuato il piano attestato – operazione borderline ma talvolta vista nella prassi). Dunque, per imprese con numerosi creditori eterogenei, il piano attestato puro è rischioso perché basta una pecora nera. È invece indicato per imprese con pochi creditori principali e una crisi ancora gestibile, dove c’è consenso quasi unanime.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD), disciplinati dagli artt. 57-64 CCII, sono uno strumento ibrido tra il piano puramente negoziale e la procedura concorsuale vera e propria. Si tratta, in sostanza, di accordi tra il debitore e una parte significativa dei suoi creditori, che vengono poi omologati dal tribunale per acquistarne l’efficacia verso tutti i partecipanti e – in certi casi – anche verso alcuni dissenzienti.

Caratteristiche chiave degli ARD:

  • È necessario l’accordo con almeno il 60% dei crediti totali. Dunque, il debitore deve ottenere il consenso (scritto) di creditori rappresentanti almeno il 60% dell’esposizione debitoria. Attenzione: non numero di creditori, ma ammontare di crediti.
  • Il contenuto dell’accordo è liberamente negoziabile: può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione (stralci, dilazioni, conversioni, cessione di beni ai creditori, ecc.), purché il piano aziendale conseguente assicuri la sostenibilità.
  • I creditori che non aderiscono all’accordo non sono vincolati da esso, salvo alcune eccezioni. In generale, i creditori estranei conservano i loro diritti e potrebbero agire esecutivamente: per tutelare l’accordo, il debitore può chiedere misure protettive analoghe a quelle del concordato (sospensione azioni) durante l’omologazione.
  • Il tribunale, investito della domanda di omologazione, verifica la legalità e fattibilità dell’accordo: controlla che siano rispettati requisiti di legge (ad es. che i creditori estranei non siano pregiudicati oltre misura) e si avvale di una relazione di un professionista attestatore sulla veridicità dei dati e sull’attuabilità dell’accordo.

Gli ARD hanno subìto nel tempo varie evoluzioni. Da segnalare:

  • Transazione fiscale negli accordi: l’art. 63 CCII consente espressamente di includere una transazione sui debiti tributari e previdenziali anche negli accordi di ristrutturazione. In passato ciò era controverso, ora è chiarito. Ciò significa che nel pacchetto concordato col 60% dei creditori può esserci anche il Fisco, a cui si offre un pagamento parziale/dilazionato di imposte. Se il Fisco aderisce, è vincolato come gli altri.
  • Flessibilità sul rispetto dei privilegi: a differenza del concordato, dove la suddivisione in classi e la regola che i privilegi vanno soddisfatti almeno per il valore di liquidazione è stringente, nell’ARD non si applicano rigidamente le regole del concorsopurché vi sia il consenso richiesto. In pratica, se il Fisco o altri creditori privilegiati aderiscono all’accordo, si può anche prevedere di soddisfarli in misura inferiore rispetto al loro privilegio (deroga all’ordine delle prelazioni), perché è un accordo negoziale. Ad esempio, si potrebbe concordare di pagare integralmente le banche ipotecarie ma solo il 50% dei debiti IVA chirografari: scenario che in concordato sarebbe possibile solo con classi e voto, mentre in un accordo è sufficiente l’assenso di Agenzia Entrate.
  • Cram-down sui creditori dissenzienti minoritari: sebbene formalmente i creditori non aderenti restino estranei, il CCII prevede meccanismi per estendere gli effetti dell’accordo ad alcune categorie di dissenzienti. Ad esempio, l’art. 61 CCII consente, in presenza di particolari condizioni, di ottenere l’omologazione dell’accordo anche con il consenso di solo il 50% dei crediti, a patto che venga richiesto l’estensione ai creditori finanziari dissenzienti che abbiano posizione omogenea e non siano stati discriminati (questa è la versione aggiornata del vecchio “accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari” ex art. 182-septies L.F.). In sostanza: se ho 50% creditori che mi sostengono e questi includono magari tutte le banche, il giudice può omologare estendendo l’accordo alle altre banche minoritarie non aderenti, garantendo però che ricevano almeno quanto spetterebbe loro in un concordato/liquidazione (principio di best interest test). Inoltre, la riforma Insolvency Directive ha portato la possibilità di un cram-down fiscale anche negli accordi: se il Fisco non aderisce ma la sua adesione non è determinante per raggiungere il 60%, il tribunale può omologare comunque l’accordo (coinvolgendo il Fisco dissenziente) se ritiene soddisfatta la condizione che non riceva meno del realizzo in liquidazione. Ad esempio: altri creditori arrivano al 60% senza contare il Fisco; il Fisco è dissenziente ma col piano otterrebbe il 30% contro il 10% ipotetico in fallimento; il giudice può forzare il Fisco nell’accordo (è un cram-down analogico come dice il testo). Questa è una differenza sostanziale dal passato dove, se l’Erario diceva no, l’accordo saltava quasi sicuramente. Ora c’è margine per bypassare il veto del Fisco, a patto che sia minoritario in termini di peso.
  • Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO): sebbene distinto dagli ARD, merita citare qui il Piano di Ristrutturazione Omologato introdotto per recepire la Direttiva UE. Ne parleremo a parte, ma è concettualmente un accordo con consensi ridotti (≥30%) in cui poi c’è un meccanismo giudiziale di imposizione a classi dissenzienti. È quindi un ulteriore strumento che arricchisce la gamma tra accordi e concordati.

Procedimento di omologazione: L’azienda deposita l’accordo (sottoscritto dai creditori aderenti) in tribunale insieme alla documentazione e alla relazione di un professionista attestatore. Se ci sono creditori estranei, può chiedere misure protettive per evitare azioni individuali nel frattempo. Il tribunale fissa un’udienza e nomina un commissario giudiziale solo se necessario (in genere negli ARD non è nominato, a differenza del concordato). All’udienza, eventuali creditori non aderenti possono fare opposizione all’omologazione se ritengono di essere pregiudicati. Il giudice valuta e, se tutto è regolare, emette decreto di omologazione dell’accordo. Da quel momento l’accordo diviene vincolante per le parti e i creditori aderenti non possono più agire esecutivamente fuori dai termini dell’accordo.

Vantaggi degli ARD: Rispetto al concordato:

  • Rapidità e minore pubblicità: non c’è il voto di tutti i creditori né un lungo periodo di gestione commissariale. La procedura si può chiudere in pochi mesi dalla firma dell’accordo. Viene iscritta al Registro Imprese l’omologazione, ma non c’è quella connotazione di dissesto pubblico di un fallimento.
  • Maggiore autonomia contrattuale: come detto, con l’accordo si possono gestire diversamente i creditori in base a ciò che accettano. Non serve applicare la regola del “pari passu” se non per il perimetro di chi aderisce. Ad esempio, potrei avere un accordo con banche e fornitori strategici e lasciare fuori alcune posizioni contestate da trattare a parte.
  • Possibilità di tenere fuori alcuni asset o crediti: un accordo di ristrutturazione può essere “parziale”, coinvolgendo solo certi debiti, mentre altri restano fuori (contrariamente al concordato che per definizione coinvolge tutto il patrimonio e tutti i crediti chirografari). Ciò consente flessibilità – benché spesso per efficacia conviene risolvere tutta la crisi con un unico accordo.

Limiti degli ARD:

  • Bisogna convincere tanti creditori fino al 60%: non semplice se la base creditori è molto frammentata. Di solito riesce quando ci sono pochi creditori principali (es. banche).
  • I creditori minori dissenzienti possono creare problemi: se uno di essi ha un credito tale da potere chiedere il fallimento e non è soddisfatto, potrebbe farlo prima che l’accordo sia omologato. In fase di omologazione, comunque, se l’accordo è conveniente anche per lui (nessun pregiudizio rispetto al fallimento) il tribunale di regola omologa nonostante l’opposizione (applicando l’equivalente del cram-down).
  • Serve liquidità per iniziare ad eseguire subito le obbligazioni pattuite: spesso l’accordo prevede pagamenti immediati a certi creditori o classi (specialmente se si è pattuito di pagarli parzialmente in un’unica soluzione). Quindi l’impresa deve avere predisposto risorse (nuovi finanziamenti o realizzi) disponibili al momento dell’omologazione.

Casi particolari: Esistono varianti come gli accordi di ristrutturazione agevolati (soglia di consenso ridotta al 30% se l’impresa versa in particolari condizioni, introdotti con il D.Lgs. 83/2022, ma richiedono adesione di banche e debitore equiparabile a PRO) e i piani di allerta “incentivata” (accordi di ristrutturazione in esito all’allerta con esenzione di certe sanzioni). Al giugno 2025, comunque, il quadro principale è quello descritto sopra.

Tabella riepilogativa – Accordi di ristrutturazione vs Concordato

ConfrontoAccordo di ristrutturazioneConcordato preventivo
Percentuale consensi≥ 60% dei crediti (possibile omologa con 50% in casi particolari). Creditori non aderenti non votano.≥ 50% dei crediti votanti (esclusi privilegiati soddisfatti integralmente). Tutti i creditori ammessi votano, divisi in classi se previsto.
Ruolo del giudiceOmologa l’accordo già negoziato; verifica legittimità e rispetto requisiti (best interest test, etc.). Può imporre l’accordo a dissenzienti minori.Sovrintende l’intera procedura; ammette al concordato, nomina commissario, convoca adunanza, omologa se maggioranza raggiunta e requisiti di legge rispettati.
Trattamento creditoriFlessibile, determinato dall’accordo. Possibile differenziare e derogare prelazioni con consenso. Creditori estranei: non vincolati (salvo estensione ex lege ad alcuni).Rigidamente regolato: classi omogenee, rispetto cause di prelazione salvo voto contraro di privileggiati (cram-down) mantenendo valore di liquidazione. Parità di trattamento all’interno di classe.
Durata e gestioneDi norma più rapida: nessuna fase di voto generalizzato; esecuzione può iniziare subito dopo omologa. Nessuna perdita di poteri per l’imprenditore durante la trattativa (salvo accordi specifici).Procedimento più lungo: fase prenotativa (se richiesta), fase fino all’omologa con gestione vigilata dal commissario. Debitore resta in possesso (“debtor in possession”) ma sotto controllo.
Ambito di applicazioneTipicamente usato se pochi creditori rilevanti e possibile accordo “mirato” (es. ristrutturazione bancaria). Buono per evitare procedure pubbliche se c’è cooperazione.Necessario se creditori numerosissimi o disaccordo diffuso: offre soluzione erga omnes con voto a maggioranza. Anche richiesto se si vuole sciogliere contratti pendenti o vendere beni liberi da vincoli, cose possibili solo in concorsuale.
EsempioPMI con 4 banche creditrici che rappresentano 70% debiti e accettano un accordo di riscadenzamento; fornitori minori pagati cash al 30% con nuova finanza (60% adesioni totali, accordo omologato e vincolante).Impresa commerciale con 200 creditori, propone concordato: banche (classe A) prendono 80% su 5 anni, fornitori (classe B) 30% in 2 anni, Fisco (classe C) 40% in 4 anni con transazione. Se classi A e C votano sì e B no, si può chiedere cram-down (omologa nonostante dissenso classe B se B riceve >= quanto in liquidazione).

(N.B.: Il PRO – piano di ristrutturazione omologato – rappresenta una terza via ibrida: consenso iniziale minimo (30%) e poi omologa con eventuale cram-down su classi. Lo tratteremo di seguito.)

Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

Tra le novità apportate dal recepimento della Direttiva UE 2019/1023 (cd. “Direttiva Insolvency”) vi è l’introduzione nel nostro ordinamento del Piano di Ristrutturazione Omologato (PRO). Questo strumento, disciplinato dagli artt. 64-bis e seguenti CCII (introdotti dal D.Lgs. 83/2022), si pone a metà strada tra un accordo di ristrutturazione e un concordato preventivo con classi. In parole semplici, il PRO consente all’imprenditore di proporre un piano di risanamento e ristrutturazione che verrà sottoposto direttamente al giudice per l’omologazione, con la particolarità che non serve l’adesione di tutti o della maggioranza dei creditori in fase iniziale. È sufficiente il consenso iniziale di creditori rappresentanti almeno il 30% dei crediti.

Come funziona un PRO: Il debitore elabora un piano di risanamento che prevede il trattamento dei creditori suddivisi per classi omogenee (come si farebbe in un concordato), e raccoglie l’adesione di almeno il 30% del totale crediti (non necessariamente di ogni classe). Presenta quindi ricorso al tribunale chiedendo l’omologazione del piano anche in mancanza di voto formale dei creditori. Il tribunale apre un procedimento simile a quello di omologa di un accordo, ma con la differenza che deve essere verificato il soddisfacimento equo di tutti i creditori per classi:

  • Se alcune classi di creditori (rappresentanti almeno il 30%) hanno espresso adesione al piano, quelle classi sono considerate concordi.
  • Le classi che non hanno aderito vengono considerate dissenzienti. Tuttavia, il tribunale può cram-dow (imporre) il piano anche a tali classi dissenzienti se ritiene soddisfatte le condizioni stabilite dal Codice: in pratica, che i creditori dissenzienti non ricevano un trattamento peggiore rispetto alle alternative (liquidazione o valore di mercato dell’azienda in continuità) e che nessun’altra classe di pari rango riceva di più (principio di trattamento interclasse equo). Inoltre occorre che almeno una classe di creditori interessati dal piano (cioè non integralmente soddisfatti) abbia votato a favore (questo per rispettare la direttiva).
  • Il PRO quindi permette di bypassare l’assenza di voto dei creditori: è il giudice, all’esito di udienza, a omologare il piano rendendolo vincolante erga omnes, un po’ come avviene per l’accordo di ristrutturazione ma qui con portata più ampia perché coinvoglia anche classi ampie di creditori.

Differenze dal concordato: Nel concordato preventivo classico serve il voto della maggioranza dei crediti; nel PRO l’imprenditore può ottenere omologa anche senza quella maggioranza, basandosi su consensi parziali. Ciò lo rende uno strumento “a disposizione del debitore” per superare eventuali sacche di resistenza irragionevoli. Naturalmente, per tutela dei creditori, la legge pone criteri stringenti di controllo (best interest test, no unfair prejudice).

Trattamento dei debiti fiscali nel PRO: La normativa consente la ristrutturazione dei debiti fiscali anche nel PRO, con possibilità di omologa anche senza voto favorevole del Fisco, a patto che sia rispettato il best interest test per l’Erario (cioè che il Fisco non venga pregiudicato rispetto all’alternativa liquidatoria). Ciò significa, ad esempio, che se il piano PRO prevede di pagare il 30% del debito IVA e il giudice valuta che in un fallimento l’Erario prenderebbe solo 10%, può omologare anche se l’Agenzia delle Entrate non è d’accordo (come per l’accordo di ristrutturazione, ma qui ancor più marcato).

Il PRO è uno strumento innovativo e finora poco sperimentato (nel 2023-2024 sono stati depositati pochi casi pilota, data la novità). È destinato soprattutto a situazioni con struttura del debito complessa, dove vi sia necessità di intervenire con classi di creditori eterogenee e magari imporre la soluzione a qualche gruppo dissenziente. Si può pensare al PRO come a un “concordato senza voto”, che però richiede comunque un certo supporto iniziale e l’approvazione giudiziale. È una risposta alle istanze europee di avere procedure di ristrutturazione preventiva più flessibili.

Vantaggio per l’imprenditore: con il PRO può evitare il lungo e incerto percorso del voto; se ha dalla sua alcune categorie cruciali (es. le banche) e un piano convincente, può farlo calare dall’alto sugli altri creditori. D’altro canto, per i creditori, il PRO è piuttosto drastico: riduce il loro potere contrattuale, confidando nel controllo del tribunale per evitare abusi. Solo la pratica ci dirà come troverà equilibrio.

(Per semplicità espositiva, spesso nella trattazione il PRO viene considerato una specie di “concordato particolare” – ma è bene ricordare che legalmente è distinto: si chiama proprio accordo o piano soggetto a omologazione.)

Concordato preventivo (ordinario)

Il concordato preventivo è la più nota e “collaudata” delle procedure concorsuali italiane di regolazione della crisi d’impresa. Previsto dagli artt. 84-120 CCII, è l’erede moderno del vecchio concordato della legge fallimentare. In un concordato preventivo, l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un accordo concorsuale sotto controllo del tribunale, volto a evitare la liquidazione giudiziale e a regolare in modo ordinato la posizione debitoria. In pratica, è un patto tra debitore e creditori: il debitore offre un certo piano di soddisfacimento (che può consistere in pagamento parziale, dilazioni, o altre soluzioni come attribuzione di beni) e i creditori votano se accettarlo; se si raggiunge la maggioranza e il tribunale verifica che tutto sia conforme alla legge, il concordato viene omologato ed eseguito, sostituendo le normali pretese dei creditori (i creditori rinunciano a parte dei loro diritti in cambio dell’esecuzione del piano concordatario).

Il concordato preventivo può assumere due forme principali:

  • Concordato in continuità aziendale: quando prevede che l’attività d’impresa prosegua, sia in forma diretta (il debitore continua a gestire l’azienda durante e dopo il concordato) sia in forma indiretta (ad es. cessione o conferimento dell’azienda a un terzo che la porterà avanti). L’obiettivo è duplice: salvaguardare la continuità aziendale – quindi i posti di lavoro, il valore dell’avviamento, i contratti in essere – e soddisfare i creditori con i flussi generati dalla prosecuzione dell’attività (in misura concordata, ovviamente). Ad esempio, un concordato in continuità tipico potrebbe prevedere che l’azienda resti aperta, che i creditori vengano pagati in percentuale grazie ai profitti futuri, e magari l’ingresso di un nuovo investitore.
  • Concordato liquidatorio: quando il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutto il patrimonio, con distribuzione del ricavato ai creditori. In sostanza, qui l’impresa chiude i battenti, ma anziché farlo tramite un fallimento disordinato, lo fa attraverso un piano concordato che di solito consente di ottenere un realizzo migliore dei beni (ad es. vendendoli in modo unitario o evitando ribassi eccessivi) e/o prevede l’apporto di risorse aggiuntive da parte del debitore o di terzi interessati.

Il CCII esprime una preferenza per la continuità aziendale: infatti, mentre per il concordato in continuità non vi sono soglie rigide di soddisfazione dei creditori chirografari, il concordato liquidatorio è ammissibile solo se garantisce ai chirografari almeno il 20% di soddisfazione e prevede un apporto di risorse esterne pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidabile. Questi requisiti – introdotti proprio dalla riforma – assicurano che un concordato liquidatorio offra qualcosa in più rispetto a una liquidazione giudiziale (dove spesso i chirografari prendono pochissimo) e che il debitore contribuisca con risorse proprie al pagamento. Ad esempio, se Tizio S.r.l. vuole fare un concordato liquidatorio, deve garantire che i creditori chirografari riceveranno almeno 20 centesimi per ogni euro di credito e, supponiamo, aggiungere magari un immobile personale del socio o nuova finanza esterna pari al 10% del totale attivo venduto, così da migliorare l’outcome. Se non rispetta queste condizioni, il tribunale non ammetterà la domanda di concordato (perché sarebbe più utile a quel punto un fallimento).

Procedimento del concordato: Si compone di varie fasi:

  1. Domanda di concordato: può essere “con riserva” (concordato in bianco, art. 44 CCII) o completa di piano e proposta. Nel concordato “in bianco” l’impresa chiede l’ammissione ma chiede tempo (fino a 120-180 giorni) per presentare il piano definitivo, ottenendo intanto le misure protettive automatiche. Questa è un’opzione usata per bloccare i creditori in urgenza e guadagnare tempo per predisporre il piano.
  2. Ammissione alla procedura: Il tribunale, ricevuta la domanda (se completa di piano) o integrata successivamente, valuta i requisiti di ammissibilità (stato di crisi/insolvenza, fattibilità del piano sul piano generale, presenza delle soglie minime se liquidatorio, regolarità documentale). Se tutto ok, ammette l’azienda al concordato e nomina un Commissario Giudiziale (figura terza di controllo) e fissa la data per l’adunanza dei creditori (generalmente 4-6 mesi dopo).
  3. Fase intermedia: Il debitore resta in possesso dei beni ma sotto l’ombrello del tribunale. Il Commissario raccoglie le insinuazioni dei creditori (ognuno dichiara il proprio credito), forma l’elenco provvisorio dei crediti ammessi al voto, sorveglia la gestione e riferisce periodicamente. I creditori intanto sono bloccati (divieto di azioni esecutive). Se è un concordato in continuità, il debitore continua l’esercizio aziendale sotto monitoraggio; se è liquidatorio, spesso l’attività cessa e ci si limita a conservare il valore dei beni in attesa della liquidazione.
  4. Votazione: All’adunanza (o anche con voto per corrispondenza) i creditori votano sulla proposta. Se ci sono classi, la maggioranza richiesta è sia nel complesso (maggioranza del totale crediti ammessi al voto) sia per classi (serve il sì della maggioranza delle classi, calcolata come almeno la metà + una, con qualche particolarità). Se non ci sono classi, serve il sì del 50% + 1 dei crediti ammessi al voto. I creditori privilegiati votano solo se rinunciano in parte al privilegio (altrimenti si considerano comunque soddisfatti per intero).
  5. Omologazione: Se la votazione dà esito positivo (maggioranze raggiunte), il tribunale passa alla fase di omologazione. Qui verifica d’ufficio la legalità e fattibilità del piano. Può succedere che qualche creditore dissenziente faccia opposizione all’omologazione, adducendo magari che il piano lo danneggia oltre il lecito. Il giudice decide su queste opposizioni. Inoltre, se qualche classe o creditore privilegiato ha votato contro, il debitore può chiedere il cram-down: ossia l’omologazione nonostante il dissenso, se il piano rispetta comunque il requisito di dare a quel creditore almeno il valore di liquidazione del suo credito (best interest test). Ad esempio, se una banca ipotecaria dissente ma col piano prende 80% mentre in fallimento stimiamo prenderebbe 50%, il tribunale può forzarla nel concordato lo stesso.
  6. Esecuzione del concordato: Ottenuta l’omologazione (il decreto viene pubblicato e diventa definitivo se non ci sono reclami in Corte d’appello), l’azienda deve eseguire il piano sotto la sorveglianza di un Liquidatore Giudiziale (nominato se il piano prevede vendite o distribuzione attivo) o dello stesso debitore vigilato dal commissario (se è in continuità). I creditori ricevono quanto previsto (pagamenti dilazionati, titoli ecc.). Una volta adempiti gli obblighi, il tribunale dichiarerà chiuso il concordato e l’azienda torna libera da vincoli.

Trattamento dei debiti nelle varie tipologie di concordato:

  • Debiti con garanzie reali: in un concordato liquidatorio, se il bene è venduto, i creditori garantiti (es. banca ipotecaria) prendono il ricavato fino a soddisfazione integrale (altrimenti concorrono per l’eventuale parte scoperta come chirografari). Nel concordato in continuità, i garantiti possono essere ristrutturati (es: una banca ipotecaria potrebbe accettare l’allungamento del debito, o uno stralcio parziale). Se non accetta, il piano deve comunque rispettare il suo diritto sul valore di liquidazione del bene: potrà ad esempio prevedere che la banca continui ad avere ipoteca e venga pagata regolarmente per intero, oppure che il bene sia liquidato ma la banca riceva non meno di quel valore.
  • Debiti privilegiati (Fisco, INPS, dipendenti): come già trattato nella sezione debiti fiscali, nel concordato in continuità è ammesso falcidiare (ridurre) anche i tributi privilegiati, a condizione di garantire almeno il valore di liquidazione e di non discriminare il Fisco rispetto ad altri di pari grado. Nel concordato liquidatorio, invece, i privilegiati vanno soddisfatti integralmente sul valore di realizzo dei beni su cui insistono – il che equivale a dire che non li si può ridurre rispetto al fallimento, pena inammissibilità (salvo rinuncia volontaria). Come visto, in concordato liquidatorio i crediti Erariali privilegiati prendono tutto il ricavato del bene oggetto di prelazione; l’eventuale eccedenza non coperta potrà essere falcidiata come chirografo, ma solo se nel complesso il Fisco ottiene comunque almeno quanto avrebbe preso liquidando tutto (il che di norma è vero se c’è l’apporto esterno del 10% o se il piano riesce a vendere i beni a valore di mercato leggermente superiore rispetto alla svendita fallimentare). In generale, il CCII spinge per un trattamento “doveroso” dei privilegiati: se li vuoi falcidiare, devi utilizzare il concordato in continuità (dove c’è più libertà grazie al valore aggiunto generato dalla continuità); se fai un liquidatorio, devi rispettare le regole ferree del 20% e contributo 10%. I debiti verso dipendenti, come visto, hanno soglie specifiche (minimo 90% su ultime 3 mensilità e 40% TFR, salvo consenso lavoratori a meno).
  • Debiti chirografari (fornitori, banche unsecured, etc.): subiscono la parte maggiore del sacrificio. Possono vedersi offrire percentuali molto variabili a seconda del piano (a volte 100% ma dilazionato, altre volte 10-20%). Il CCII non impone un minimo in continuità, teoricamente potrebbe essere anche basso se giustificato (purché sempre meglio della liquidazione). Nel liquidatorio c’è la soglia del 20% come detto.
  • Transazione fiscale e classi: se si propone di falcidiare tributi o contributi, il CCII impone che tali crediti stiano in una classe separata. E la regola pratica è: se il Fisco vota contro, il concordato può essere omologato lo stesso solo se il giudice ritiene rispettato il parametro del best interest (nessun pregiudizio). Altrimenti no. Questo è il meccanismo di cram-down fiscale introdotto nel 2017 e confermato: la Cassazione ha riconosciuto che il tribunale può omologare anche in presenza di voto contrario dell’Erario, se quel piano è più vantaggioso per l’Erario rispetto al fallimento. Ad esempio, Cass. 13 dicembre 2023 n.34865 ha ribadito che nelle procedure concordatarie l’interesse concorsuale prevale su quello tributario, e in caso di diniego del Fisco la competenza è del giudice ordinario valutare.

Casi particolari e giurisprudenza: Il concordato preventivo ha generato negli anni una mole enorme di pronunce. Alcuni temi rilevanti:

  • Concordato in continuità indiretta con affitto d’azienda: spesso l’azienda in crisi viene data in affitto a un terzo durante la procedura, che poi la comprerà in caso di omologa (cd. concordato con apporto di terzo). La Cassazione ha chiarito che l’affitto d’azienda in concordato è lecito ma il terzo affittuario deve garantire adeguatamente i canoni e la restituzione (si cita giurisprudenza 2025 su danni da ritardata restituzione nel fallimento in affitto d’azienda).
  • Classi di creditori: obbligatorie se si tratta in modo differenziato creditori di stessa posizione giuridica. La giurisprudenza ha annullato concordati che “spezzettavano” artificiosamente classi per creare maggioranze (cd. voto artificioso). Il CCII ora codifica criteri più chiari su formazione classi.
  • Cram-down di creditori ipotecari dissenzienti: ammesso se ricevono almeno il valore di mercato del bene dato in garanzia (da attestazione). Se un perito stima l’immobile 1 milione e la banca ha ipoteca per 1,2 milioni, se col piano le dai 1 milione può essere crammata sul resto.
  • Attestazione: figure come l’attestatore e il commissario sono cruciali. False attestazioni hanno portato a revoche di concordati e anche a procedimenti penali (bancarotta concordataria). Nel CCII c’è più rigore nel definire i contenuti della relazione di attestazione.
  • Concordato con continuità e tutela dei creditori estranei: in continuità, l’impresa può contrarre debiti durante la procedura (es. fornitori nuovi): questi sono prededucibili. Attenzione a non creare situazioni in cui la procedura concordataria aggrava il dissesto (es. continuare troppo a lungo accumulando nuovi debiti prededucibili e poi il piano fallisce – in tal caso si rischia il fallimento a valle con prededuzioni che erodono quel poco che resta, a danno dei crediti concordatari).

In generale, la giurisprudenza recente (2022-2025) sta ancora assestando l’interpretazione delle norme CCII, ma di base c’è continuità con i principi consolidati: centralità del principio di maggioranza, rispetto delle cause legittime di prelazione, necessità di fattibilità economica del piano e meritevolezza del debitore (assenza di frode ai creditori, altrimenti il concordato va inammissibile).

In sintesi, il concordato preventivo è lo strumento principe se si vuole una soluzione collettiva vincolante per tutti i creditori e sotto controllo giudiziario, specialmente quando c’è da gestire una platea vasta. Offre soluzioni sia di continuità che di liquidazione, ma il legislatore spinge a usarlo soprattutto per salvare imprese (introducendo paletti punitivi per chi vorrebbe usarlo solo per liquidare senza dare sufficiente soddisfazione ai creditori). Va anche detto che il concordato è una procedura onerosa e complessa: richiede tempo, costi di giustizia, intervento di più professionisti, e una certa pubblicità. Dunque, va affrontato con preparazione e con piani realistici, perché un concordato omologato e poi non eseguito porta comunque al fallimento (e con aggravio di spese).

Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio

Introdotto nel 2021 e ora stabilizzato nel CCII (art. 25-sexies), il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio è, come accennato, una procedura speciale priva di votazione dei creditori. Ne può beneficiare esclusivamente il debitore che abbia svolto senza successo una composizione negoziata della crisi. Si tratta dunque di un’uscita di sicurezza: l’imprenditore che, con l’aiuto dell’esperto, non sia riuscito a trovare un accordo, per evitare il fallimento può proporre al tribunale un concordato liquidatorio semplificato in cui i creditori non votano. È definito “semplificato” proprio per questo, perché salta la fase dell’adunanza e del voto.

Come si svolge: Entro 60 giorni dalla conclusione della composizione negoziata, il debitore deposita il piano di concordato semplificato. Il piano deve essere esclusivamente liquidatorio: quindi prevede la vendita dei beni e la distribuzione ai creditori secondo le regole legali (rispetto dei privilegi). Spesso consiste in una proposta di cessione unitaria dell’azienda o di beni a un terzo individuato (che magari era emerso durante le trattative). Il tribunale nomina un commissario giudiziale che analizza la proposta e redige un parere per i creditori. I creditori vengono avvisati e possono depositare osservazioni/opposizioni. Non c’è voto: il tribunale passa all’udienza di omologazione, valutando le eventuali opposizioni. Può omologare se ritiene che il piano non sia pregiudizievole per i creditori (cioè che prendano almeno quanto in una liquidazione giudiziale standard). Se omologa, si procede poi alla liquidazione con le modalità proposte (di solito il commissario o un liquidatore nominato vende i beni e ripartisce il ricavato).

Caratteristiche particolari:

  • Non richiede soglie minime del 20% o apporto esterno come il concordato liquidatorio ordinario – tuttavia, è ovvio che se propone percentuali irrisorie i creditori potranno opporsi e il giudice non omologherà se ravvisa abuso.
  • È uno strumento eccezionale: serve a evitare che dopo mesi di composizione negoziata l’esito sia solo il fallimento, offrendo la chance di una chiusura più guidata. Ad esempio, se c’è un investitore pronto a pagare X per rilevare l’azienda, un concordato semplificato consente di trasferirgli l’azienda libera dai debiti, distribuendo X ai creditori, il tutto senza attendere un fallimento (che sarebbe più lungo e forse svaluterebbe l’azienda).
  • Dato che i creditori non votano, il loro controllo è solo attraverso le opposizioni e il giudice. Questo ha suscitato qualche malumore tra i creditori istituzionali, ma è pensato che se il debitore arriva a questo punto, è l’ultima spiaggia per evitare dispersione di valore.

Esperienze pratiche 2022-2024: Ci sono stati concordati semplificati omologati con successo (pochi, perché è nuovo): tipicamente piccole società che non avevano speranze di risanamento ma grazie all’esperto hanno trovato un compratore per l’azienda. Il tribunale, viste le relazioni, ha omologato per massimizzare il soddisfacimento creditori (che magari hanno preso una percentuale bassa ma subito e meglio che zero in fallimento). Il semplificato però non può essere usato furbescamente: se l’esperto fiuta che l’imprenditore ha fatto la composizione negoziata solo pro forma per poi “saltare” al semplificato, potrebbe segnalarlo al giudice (e la mancata buona fede farebbe negare l’omologa).

In conclusione, il concordato semplificato è un istituto di nicchia ma importante nel mosaico della crisi d’impresa: completa il percorso negoziale offrendo un epilogo concordato anche laddove gli accordi non sono stati possibili.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che prende il posto di quello che in passato era denominato “fallimento”. Rappresenta la soluzione giudiziale per le imprese che versano in stato di insolvenza irreversibile, quando non vi siano alternative praticabili di risanamento. Non a caso, nel sistema del CCII la liquidazione giudiziale è collocata come ultima ratio, da attivare solo se tutte le altre strade (accordi, concordati, ecc.) risultano impraticabili o falliscono.

Presupposti: l’insolvenza attuale dell’imprenditore (impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni). La dichiarazione di liquidazione giudiziale può essere richiesta dal debitore stesso, da un creditore o da ufficio dal Pubblico Ministero (in casi particolari, es. insolvenza coinvolgente interesse pubblico). Esistono soglie di non fallibilità: restano esonerati gli imprenditori “minori” (sotto parametri di attivo < €300k, ricavi < €200k, debiti < €500k, come da art. 2 CCII – gli stessi che definiscono il “debitore minore” ammissibile solo a sovraindebitamento).

Effetti principali: Con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (che ha effetto costitutivo):

  • L’imprenditore (o gli amministratori, nel caso di società) è spossessato dell’amministrazione e della disponibilità dei beni: subentra il Curatore nominato dal tribunale, che gestisce e liquida il patrimonio per soddisfare i creditori.
  • I creditori non possono più agire individualmente: scatta l’automatic stay generale (congelamento delle azioni esecutive individuali) e devono partecipare al concorso presentando domanda di ammissione al passivo.
  • I debiti pregressi si cristallizzano: maturano da quel momento in poi solo eventualmente interessi per i crediti privilegiati se il patrimonio li copre, e le pene pecuniarie, multe e sanzioni amministrative pecuniarie restano sospese (spesso poi insoddisfatte).
  • I contratti in corso possono essere sciolti o proseguiti dal Curatore a seconda dell’utilità per la massa.

La procedura consiste nella formazione dello stato passivo (il Giudice Delegato esamina le domande dei creditori e forma l’elenco dei crediti ammessi, privilegi, ecc.), e nella liquidazione dell’attivo da parte del Curatore (vendite di beni mobili, immobili, crediti, eventuale esercizio provvisorio dell’impresa se autorizzato). Il ricavato viene periodicamente ripartito fra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.

Durata e chiusura: Tradizionalmente i fallimenti duravano diversi anni. Il CCII ha posto l’obiettivo di chiudere le liquidazioni in 3 anni (salvo complessità eccezionali). A fine procedura, il tribunale emette decreto di chiusura. Se l’attivo ha permesso di soddisfare tutti i creditori chirografari almeno al 20%, la chiusura comporta anche l’esdebitazione di diritto del debitore persona fisica (vedi prossima sezione). Altrimenti, il debitore può chiedere esdebitazione a certe condizioni.

Effetti sul debitore: Per le società, la liquidazione giudiziale comporta lo scioglimento e poi l’estinzione della società (salvo riapertura). Per gli imprenditori individuali, comporta limitazioni a svolgere nuova attività d’impresa finché la procedura è aperta (una volta era 5 anni post-fallimento il divieto di intraprendere nuova iniziativa senza esdebitazione, ora con il CCII la riabilitazione è più immediata grazie all’esdebitazione). Lo stigma del termine “fallito” è stato volutamente eliminato sostituendo la terminologia: oggi si parla di debitore in liquidazione giudiziale, proprio per attenuare l’aspetto infamante. L’idea culturale nuova è che la liquidazione non è una punizione ma uno strumento ordinato per chiudere una vicenda d’impresa non più recuperabile. In parallelo, tutto il sistema concorsuale è costruito per evitarla se l’azienda è risanabile.

Rapporti con reati e responsabilità: Il curatore ha l’obbligo di segnalare al PM eventuali reati di bancarotta o altro commessi dagli amministratori. Il fallimento storicamente portava con sé pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, incapacità a esercitare impresa, etc.), che ora sono ridotte o condizionate all’esito dell’esdebitazione.

Confronto con altre procedure: La liquidazione giudiziale è analoga alla liquidazione controllata del sovraindebitato (per i non fallibili) – la differenza sta nei soggetti coinvolti (non fallibili vs fallibili) e in qualche semplificazione procedurale. In entrambi i casi c’è un liquidatore (curatore o gestore) che vende e ripartisce. Per creditori e debitore, l’importanza è che dopo la liquidazione giudiziale esiste la possibilità di ripartire puliti dai debiti residui grazie all’esdebitazione.

Procedure di sovraindebitamento per micro-imprese e persone (concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore, liquidazione controllata)

Il CCII dedica un apposito Titolo (IV) alle procedure per i soggetti non fallibili – tipicamente: piccoli imprenditori sotto soglia, imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative (che per legge non falliscono), enti non profit con debiti, e le persone fisiche consumatrici (non imprenditori). Queste procedure, originariamente introdotte con la L. 3/2012, sono state in parte modificate e rinominate dal Codice. Esse includono:

  • Il concordato minore (artt. 74-83 CCII), erede dell’“accordo di composizione della crisi” della legge 3/2012, destinato ai debitori non fallibili che svolgono attività d’impresa o professionale (o comunque non consumatori).
  • La ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII), evoluzione del vecchio “piano del consumatore”, riservata alle persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (famiglie, privati).
  • La liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII), che sostituisce la liquidazione del patrimonio della L.3/2012, applicabile a qualsiasi sovraindebitato (consumatore o piccolo imprenditore) che voglia liquidare tutti i beni per soddisfare i creditori.
  • La particolare fattispecie dell’esdebitazione del debitore incapiente (art. 278 CCII), introdotta per la prima volta col CCII, di cui diremo tra poco.

Caratteristiche comuni: Queste procedure sono gestite con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) nominato dal tribunale, oppure di un professionista gestore nominato ad hoc. Il debitore sovraindebitato deve presentare una proposta o un ricorso al tribunale competente (residenza/sede) con l’assistenza di un organismo o di un professionista. La procedura è semplificata rispetto al concordato preventivo: i costi sono minori, i termini più brevi e non c’è un comitato dei creditori.

Vediamole in dettaglio:

Concordato minore: rivolto al piccolo imprenditore sotto soglia, al socio illimitatamente responsabile di società insolvente, al professionista, all’imprenditore agricolo, ecc. – in generale debitore che non può essere soggetto a liquidazione giudiziale. Funziona in modo simile a un concordato preventivo:

  • Il debitore propone un piano che può prevedere la continuità aziendale (se vuole proseguire la sua attività) oppure la liquidazione parziale di beni. L’importante è che dalla proposta risulti superabile lo stato di sovraindebitamento.
  • Viene nominato un Gestore (figura analoga al commissario) che verifica la veridicità dei dati e riferisce al giudice.
  • I creditori vengono suddivisi in classi se opportuno e vengono chiamati a votare sulla proposta (non c’è adunanza fisica, spesso esprimono il voto per iscritto). Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza “semplice” in percentuale di crediti).
  • Se la maggioranza approva, il tribunale omologa il concordato minore, anche se il Fisco o altri privilegiati hanno votato contro, purché siano rispettati i paletti di legge (il Fisco deve avere almeno quanto in liquidazione controllata, ecc.). In pratica è previsto il cram-down: il giudice può omologare nonostante il no del Fisco/INPS se la maggioranza generale c’è e il Fisco ottiene il minimo garantito.
  • Dopo l’omologa, il piano è vincolante e viene attuato sotto vigilanza, quindi si chiude con eventuale esdebitazione residua.

Il concordato minore è pensato per dare anche alle micro-imprese una chance di ristrutturare il debito e continuare l’attività. Ad esempio, un artigiano sotto soglia con debiti 100 può proporre di pagarne 50 in 5 anni usando gli utili futuri, mantenendo aperta la bottega. I creditori votano: se la metà del credito totale dice sì, il tribunale omologa, e l’artigiano prosegue l’attività con quell’accordo. Questa procedura di fatto sostituisce il vecchio piano del consumatore per i casi in cui c’è attività d’impresa, ed è più simile a un mini-concordato.

Ristrutturazione dei debiti del consumatore: dedicata alle persone fisiche non imprenditori (o piccoli imprenditori cessati da oltre un anno, etc.). In questo caso non c’è votazione dei creditori: il consumatore propone un piano di rientro (ad esempio: “pago il 30% dei debiti in 4 anni usando il mio stipendio, perché il resto mi serve per vivere dignitosamente”), il gestore della crisi verifica la fattibilità e la convenienza per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Il giudice può omologare il piano anche se i creditori sono contrari, valutando la meritevolezza del debitore (che non deve avere colpa grave nell’aver creato i debiti, né aver mentito ai creditori) e la proporzionalità del sacrificio imposto ai creditori rispetto alle capacità del debitore. In altri termini, qui il criterio è: se il debitore onesto sta offrendo tutto il ragionevolmente possibile, e i creditori comunque prenderebbero poco dal pignoramento, il giudice può approvare il piano e liberare il debitore dall’eccesso di debiti. I creditori possono presentare osservazioni e il giudice le tiene in conto, ma non c’è un voto formale. Questo strumento – già esistente come “piano del consumatore” – è stato potenziato: non serve più il requisito della meritevolezza ex ante in modo stringente (basta che non vi sia dolo o colpa grave). Per esempio, un privato sovraindebitato per aver accumulato troppi prestiti può proporre di pagarne una parte in tot anni, mantenendo per sé il minimo vitale: se il giudice vede che ha agito senza frode e che sta facendo il massimo sforzo possibile, potrà omologare anche con banche e finanziarie contrarie (che quindi saranno obbligate ad accettare i pagamenti ridotti). Questo risponde alla logica sociale di dare fresh start ai privati e famiglie strangolate dai debiti.

Liquidazione controllata del sovraindebitato: è l’equivalente del fallimento per chi non può fallire. Il debitore o un creditore possono chiederla. Un liquidatore nominato dal tribunale vende tutti i beni del debitore e ripartisce il ricavato ai creditori. Alla fine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione, come vedremo. È “controllata” perché il tribunale vigila, ma è più semplice della liquidazione giudiziale classica (meno formalità). Importante: anche un ex imprenditore che non possa essere dichiarato fallito (perché cessato da oltre un anno, ad esempio) può accedere a questa procedura per liberarsi dei debiti residui.

Novità introdotte dal CCII per sovraindebitati:

  • Si possono presentare procedure familiari congiunte: membri della stessa famiglia indebitati per ragioni comuni (es. marito e moglie garanti dello stesso mutuo) possono fare un’unica procedura insieme, risparmiando costi.
  • Introdotto il principio di merito creditizio: se banche/finanziarie hanno concesso credito irresponsabilmente al debitore (sovraindebitandolo pur sapendo della sua incapacità di pagare), il giudice può tenere conto di ciò sfavorendo quei creditori (ad es. riducendo maggiormente i loro crediti). È un concetto nuovo, derivato dalla direttiva UE, che “punisce” i creditori che hanno alimentato il sovraindebitamento.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: qui la vera rivoluzione: una persona fisica sovraindebitata che non ha alcun patrimonio né reddito aggredibile – e quindi non può offrire nulla ai creditori – può ottenere la cancellazione dei debiti presentando comunque istanza al giudice. Il giudice concede l’esdebitazione “a zero” se il debitore è meritevole (non ha frodato, non ha colpe gravi, e non ha già usufruito di esdebitazione nei 5 anni precedenti), pur non dando nulla ai creditori. Questo è un condono giudiziale che si può ottenere una sola volta nella vita, definito anche “fresh start”. Se però nei 4 anni successivi il debitore incapiente migliora la propria situazione (es. riceve un’eredità), deve pagare comunque i creditori nella misura in cui ciò diventa possibile, altrimenti l’esdebitazione può essere revocata. Questa norma mira a liberare dal “debito perenne” persone oneste che davvero non hanno nulla.

In conclusione, le procedure di sovraindebitamento estendono i benefici delle procedure concorsuali anche a quel tessuto di microimprenditori, partite IVA e privati che, pur non facendo rumore mediatico, costituiscono una platea numerosa di soggetti con problemi debitori. L’aggiornamento 2022-2025 le ha rese più accessibili e vantaggiose per il debitore (ad esempio eliminando alcuni dinieghi automatici per pregresse procedure e introducendo la citata esdebitazione senza utilità). Bisogna tuttavia notare che ancora molti debitori minori ignorano queste opportunità o le attivano tardivamente, spesso per scarsa informazione o per diffidenza. Compito di avvocati e consulenti è diffondere la conoscenza di questi strumenti.

Esdebitazione del debitore (cancellazione dei debiti residui)

L’esdebitazione è l’istituto che consente al debitore fallito (o al sovraindebitato liquidato) di ottenere l’apertura di un “nuovo capitolo” della propria vita economica, liberandolo dai debiti che sono rimasti insoddisfatti al termine della procedura concorsuale. È il coronamento del principio del fresh start, ovvero di dare al debitore onesto ma sfortunato un’altra opportunità, senza le zavorre del passato.

Nel fallimento (liquidazione giudiziale), l’esdebitazione fu introdotta nel 2006 e ora è ripresa dal CCII (artt. 278-279 per i non incapienti). Il debitore persona fisica – tipicamente il piccolo imprenditore individuale o il socio illimitatamente responsabile – a fine procedura può chiedere al tribunale di essere esdebitato, cioè di dichiarare inesigibili tutti i debiti concorsuali rimasti impagati. Condizioni: deve aver collaborato durante la procedura, non aver tenuto comportamenti dolosi o gravemente imprudenti che abbiano causato il fallimento, non aver usufruito di esdebitazione nei 5 anni precedenti, ecc. Se accordata, l’esdebitazione cancella i debiti residui (eccetto quelli di natura personale come alimenti, risarcimenti da illecito extracontrattuale per danni alla persona, e le sanzioni penali/amm.ve pecuniarie, che restano comunque dovuti). Il CCII in realtà prevede ora l’esdebitazione di diritto: se nella liquidazione giudiziale i chirografari ricevono almeno il 20%, l’esdebitazione è automatica alla chiusura. Negli altri casi va richiesta entro 1 anno.

Nelle procedure di sovraindebitamento, l’esdebitazione era già presente: dopo l’omologa e l’esecuzione di un piano del consumatore o concordato minore, il debitore viene liberato dai debiti eccedenti quanto pagato. Analogamente, dopo una liquidazione controllata, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione residua (qui per i sovraindebitati il 20% non è richiesto; basta aver destinato tutto il patrimonio). Come detto, c’è ora anche la versione “senza utilità” per chi non può dare nulla, concessa subito.

Per gli imprenditori commerciali insolventi (soggetti fallibili) l’esdebitazione è cruciale: pensiamo all’ex titolare di impresa fallito che, senza esdebitazione, resterebbe a vita debitore per somme magari enormi non soddisfatte (nel fallimento i creditori possono teoricamente tornare a chiedergliele se emergono nuovi beni post chiusura – l’esdebitazione impedisce ciò). Con l’esdebitazione, invece, potrà avviare una nuova attività senza timore che arrivino vecchi creditori.

Limitazioni: L’esdebitazione non copre i debiti verso i coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso (art. 279 co. 3 CCII): se la società Alfa fallisce ed è esdebitata, i soci garanti però ne rispondono ancora se non sono falliti anch’essi. Inoltre, restano fuori multe e ammende e obblighi di mantenimento (es. assegni di divorzio), per ragioni di ordine pubblico.

Revoca dell’esdebitazione: se entro l’anno successivo il creditore scopre che il debitore ha sottratto attivi o mentito, può chiedere la revoca. Oppure, come detto, nel caso dell’incapiente, se entro 4 anni migliorano le sue fortune, i creditori potrebbero rientrare.

Sentenze rilevanti: La Cassazione ha emanato criteri su cosa sia meritevolezza e colpa grave nel sovraindebitamento: ad es., fare debiti sperando in incassi aleatori può essere considerata colpa grave e portare a rigetto del piano del consumatore (es. Cass. 18609/2019). Ma il CCII ha attenuato il rigore: oggi l’esdebitazione tende ad essere concessa salvo frodi conclamate.

In sintesi: l’esdebitazione è quell’istituto di chiusura umanitaria del diritto fallimentare moderno: né vendette per i debitori sfortunati, né condoni indiscriminati – bensì la possibilità di voltare pagina dopo aver fatto tutto il possibile per soddisfare i creditori. È un potente incentivo anche durante le procedure: un debitore collaborerà di più se sa che alla fine potrà essere libero.


Abbiamo ora delineato tutti gli strumenti e procedure a disposizione di un’“azienda con debiti” per fronteggiare la crisi. Resta da esaminare come la dimensione dell’impresa e il settore di attività possano influire sulle scelte e sugli esiti, prima di passare ad alcune tabelle riassuntive, alle FAQ e ai casi pratici.

Differenze di approccio per dimensione d’impresa e settore

La strategia per gestire i debiti e la crisi d’impresa non è univoca: deve essere calibrata sulla taglia dell’azienda e sul contesto in cui opera. Le norme stesse a volte distinguono le procedure in base a dimensione e tipo di impresa; inoltre, la prassi insegna che soluzioni efficaci per una grande società quotata possono essere impraticabili per una microimpresa familiare, e viceversa. Analizziamo dunque, a grandi linee, le differenze per:

  • Microimprese e ditte individuali
  • Piccole e Medie Imprese (PMI)
  • Grandi imprese (società di dimensioni rilevanti)
  • Settori specifici: edilizia, commercio, artigianato, tecnologia (esemplificativamente).

Microimprese e ditte individuali

Le microimprese (ad es. l’officina artigiana con pochi dipendenti, il piccolo negozio al dettaglio, la start-up a conduzione familiare) spesso coincidono con la figura dell’imprenditore individuale o di società di persone di ridottissime dimensioni. Caratteristiche tipiche:

  • Strutture manageriali semplici (spesso l’imprenditore stesso gestisce tutto, con consulenti esterni part-time). Questo può comportare minore attenzione agli obblighi formali di allerta interna – l’art. 2086 c.c. chiede assetti adeguati, ma in una micro impresa tali assetti sono commisurati: un piccolo esercente può considerarsi adeguato se tiene una contabilità regolare e monitora incassi/pagamenti con un commercialista. Tuttavia, la carenza di sofisticati sistemi di controllo significa che la crisi può essere percepita tardi.
  • Patrimonio personale intrecciato: spesso l’imprenditore micro ha investito beni personali nell’azienda, o ha garantito con il suo patrimonio (fideiussioni, ipoteche su casa). Ciò significa che la distinzione tra crisi dell’azienda e crisi personale è labile: il fallimento dell’impresa coinvolgerebbe i beni familiari. Fortunatamente, se sotto soglia, l’imprenditore individuale non è soggetto a liquidazione giudiziale, ma comunque i creditori potrebbero aggredirlo personalmente. Dunque, per le microimprese, le procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata) sono uno strumento di tutela sia aziendale che familiare.
  • Accesso al credito: microimprese spesso finanziano il circolante con debiti verso fornitori o scoperti modesti. Hanno meno esposizione con grandi banche (a parte mutui, se immobili). Quindi, in crisi, il peso maggiore potrebbe essere di fornitori e Fisco. Questo orienta verso soluzioni come la composizione negoziata per cercare accordi con alcuni creditori chiave, oppure verso il concordato minore se serve una falcidia generale.

Approccio consigliato per microimprese indebitate:

  • Valutare l’entità dei debiti e la fattibilità di un risanamento: se i debiti superano di molto le capacità di reddito future, spesso conviene considerare la liquidazione (controllata) e l’esdebitazione, per poi eventualmente ripartire da zero con nuova attività (fresh start). Forzare una continuità senza prospettive rischia di peggiorare la situazione.
  • Se c’è possibilità di salvataggio, la composizione negoziata è accessibile anche a loro (la legge ha predisposto la piattaforma nazionale proprio per raggiungere anche le PMI e micro). Tuttavia, bisogna considerare costi e competenze: serve affidarsi a un esperto negoziatore e presentare qualche prospettiva di ripresa. Molti microimprenditori preferiscono accordi informali: andrebbero informati che la composizione negoziata è riservata e non li espone a pubblicità, quindi è un’opzione valida anche per “chi ha tutto da perdere con lo stigma pubblico”.
  • Spesso, la soluzione passa per un mix: ristrutturare i debiti principali (magari aderendo a rottamazioni per il Fisco e chiedendo saldo e stralcio ai fornitori) e ridurre i costi fissi (chiudere eventuali sedi secondarie, licenziare personale ecc., magari usando ammortizzatori sociali).
  • Le micro imprese non fallibili non rischiano istanze di fallimento, ma rischiano pignoramenti singoli devastanti (es: Equitalia che pignora il macchinario, il fornitore che fa pignorare il conto corrente). Quindi, se non attivano procedure concorsuali, devono comunque correre ai ripari tramite dilazioni o accordi individuali, altrimenti l’esecuzione individuale può farle collassare. A volte conviene aprire una liquidazione controllata volontariamente, perché paradossalmente porta ordine e sospende le esecuzioni, altrimenti impazzano incontrollate.

Esempio settore artigianato: Un falegname con laboratorio (ditta individuale, 3 dipendenti) ha debiti 50k con Fisco, 30k con fornitori legno. Se il lavoro è calato e non riesce a pagare tutto, può tentare: rottamazione cartelle sui 50k (magari riducendo a 30k senza sanzioni/interessi), accordo con fornitori per pagare 15k e tagliare 15k. Se i fornitori chiave sono pochi e ci stanno, potrebbe farcela senza procedure formali. Se invece i debiti sono 10 volte tanto, forse meglio fare concordato minore offrendo il ricavato della vendita di un immobile e chiudere.

Piccole e Medie Imprese (PMI)

Le PMI, cioè imprese con decine di dipendenti e fatturati nell’ordine di milioni ma non colossi, sono il cuore produttivo italiano. Per molte di esse il Codice della Crisi prevede obblighi di organizzazione più stringenti (ad es. nomina dell’organo di controllo se superano certe soglie di capitale/fatturato, e quindi monitoraggio professionale). Le PMI che superano i requisiti di non fallibilità sono soggette alle normali procedure concorsuali.

Aspetti tipici:

  • Diversificazione dei creditori: di solito hanno sia esposizioni bancarie (mutui, fidi) sia debiti verso svariati fornitori, personale, fisco. Quindi le loro crisi sono “multidimensionali” e richiedono soluzioni globali (un semplice accordo con una banca non basta se poi i fornitori mettono in ginocchio l’azienda).
  • Attenzione reputazionale: le PMI spesso lavorano in filiere ristrette (distretti, settori specialistici). Un loro ingresso in procedura concorsuale diventa di pubblico dominio e può portare alla perdita di commesse o fiducia. Pertanto preferiranno soluzioni riservate come la composizione negoziata o l’accordo di ristrutturazione, se possibile, adottando il concordato solo come ultima opzione o se devono necessariamente tagliare aggressivamente il debito.
  • Struttura societaria: la presenza di soci investitori (non familiare) è più probabile che nelle micro. In crisi, i soci di PMI talvolta apportano capitali freschi per evitare il default, oppure spingono per la cessione dell’azienda a nuovi investitori. Questo apre la strada a soluzioni come la ricerca di un partner industriale tramite la procedura (es. concordato in continuità con affitto d’azienda a un terzo).
  • Risanamento operativo: molte PMI possono risollevarsi tramite ristrutturazione operativa (chiusura di rami improduttivi, licenziamenti con accordo sindacale, focus su core business). Le procedure concorsuali (concordato, accordi) danno strumenti per ciò: ad esempio, possibili licenziamenti con autorizzazione ministeriale in concordato, disdetta di contratti onerosi, etc. Quindi una PMI con vero potenziale di recupero può usare il concordato in continuità come “ombrello” per fare un turnaround.

Approccio per PMI indebitata:

  • Diagnosi accurata della crisi: spesso conviene farsi affiancare da un advisor finanziario per un check-up. Le PMI di solito preparano un piano industriale per convincere creditori e/o investitori della fattibilità del risanamento.
  • Composizione negoziata: strumento ideale da provare appena emergono segnali di tensione (infatti molte Camere di Commercio stanno pubblicizzando alle PMI la possibilità di nominare un esperto). Se la PMI è “sana” nelle fondamenta ma appesantita da debiti, l’esperto può aiutare a convogliare tutti i creditori su un tavolo e trovare un accordo equilibrato.
  • Accordo di ristrutturazione: se la composizione fallisce, una PMI potrebbe avere comunque già un 60% di consensi (magari delle banche) e quindi scegliere l’ARD per vincolarli e portarlo in tribunale. Ciò evita il costo e lo stigma di un concordato.
  • Concordato preventivo: se il debito è troppo grande da gestire e serve tagliare brutalmene (ad es. ridurre del 70% i debiti), allora serve il concordato. Qui la PMI deve però mettere in conto la pubblicità (verrà a saperlo tutto l’ambiente) e la durata (mesi di incertezza). Sarà opportuno predisporre misure come eventuale finanziamento interinale per arrivare a omologa senza collassare.
  • Le PMI in settori con alto impatto occupazionale troveranno anche un’interlocuzione con il Ministero del Lavoro per strumenti come la cassa integrazione straordinaria per crisi (CIGS): è prassi attivare la CIGS durante un concordato per alleviare il costo del personale e accompagnare eventuali esuberi con meno traumi.
  • Esempio PMI commerciale: un’azienda di moda (produzione abbigliamento) con 80 dipendenti in crisi di liquidità: scoperto revocato, fornitori non pagati. Potrebbe: entrare in composizione negoziata, ottenere protezione dai creditori (blocco ingiunzioni), intanto cercare un investitore (magari un concorrente interessato al marchio). Se lo trova, concludere un accordo (vendita azienda con assunzione debiti parziale) e chiudere la composizione; se non lo trova, predisporre un concordato con continuità indiretta (affitto a terzo per mantenere produzione, poi vendita). Durante la procedura usare CIGS per alleggerire costi. Questo scenario mostra l’uso combinato di strumenti in una PMI.

Grandi imprese

Per grandi imprese intendiamo società di dimensioni molto rilevanti: centinaia di dipendenti, debiti verso banche e obbligazionisti per centinaia di milioni, spesso importanza strategica (es. utility locali, aziende industriali storiche). Per tali imprese, oltre alle procedure ordinarie, esistono anche procedure speciali:

  • L’Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese insolventi, disciplinata dal D.Lgs. 270/1999 (cd. Prodi-bis) e dal D.L. 347/2003 (cd. Legge Marzano) per imprese con oltre 200 dipendenti o con debiti sopra certe soglie. È una procedura finalizzata non tanto alla liquidazione ma alla ristrutturazione o cessione dell’impresa nell’interesse pubblico (si pensi ai casi Alitalia, Ilva…). L’ammissione richiede un provvedimento ministeriale. Nel 2025 è in discussione una riforma per armonizzare meglio l’amm. straord. con il CCII.
  • Le banche e assicurazioni non seguono il CCII ma le proprie procedure (amministrazione straordinaria bancaria, liquidazione coatta amministrativa).

A parte tali eccezioni, una grande impresa può comunque accedere alle procedure CCII, PRO incluso.

Aspetti tipici delle grandi imprese:

  • Creditori finanziari diffusi: spesso hanno emesso obbligazioni o minibond, quindi creditori non solo banche ma investitori diffusi (fondi, obbligazionisti). Ciò impone l’uso di procedure con classi e meccanismi di voto particolari (ad es. assemblee obbligazionisti). È qui che un PRO o un concordato con classi multiple trovano la loro ragion d’essere, per gestire molte categorie di creditori (banche, bondholder, trade, etc.).
  • Coinvolgimento istituzionale: per grandi imprese vi è l’interessamento di Governo, Regioni, sindacati. Possono intervenire fondi pubblici di sostegno (ad es. Fondo salva imprese, garanzie SACE, ecc.), o decreti legge ad hoc. Ad esempio, durante la pandemia, imprese grandi in crisi hanno potuto accedere a finanziamenti garantiti dallo Stato per evitare default.
  • Patrimonio complesso: asset anche all’estero, partecipazioni, brevetti ecc. Le procedure possono diventare transnazionali (con riconoscimento reciproco nelle varie giurisdizioni EU, secondo Reg. 848/2015).
  • Timeline: le grandi imprese raramente possono restare a lungo in procedura concorsuale: la cassa brucia velocemente. Spesso si preparano soluzioni pre-confezionate (pre-pack) da attuare subito. Ad esempio, depositare un concordato con contestuale offerta vincolante di un acquirente per un ramo d’azienda, in modo da chiudere in pochi mesi.

Settori di particolare rilievo per grandi imprese:

  • Edilizia e grandi opere: le imprese di costruzioni di grandi dimensioni, se insolventi, coinvolgono appalti pubblici aperti. Il CCII permette la continuazione di contratti pubblici in concordato in continuità (previa autorizzazione stazione appaltante). Spesso si opta per amministrazione straordinaria se l’impresa è strategica, come fu per grandi gruppi dell’edilizia (Parmalat fu alimentare ma fece straordinaria, Ilva metallurgia).
  • Utility e trasporti: aziende di trasporto pubblico locale o servizi essenziali – il loro default impatta la collettività, quindi si tende a trovare soluzioni extra-fallimentari (commissariamenti governativi, fusioni con altri enti). Il CCII prevede che se l’impresa gestisce servizi pubblici essenziali, il tribunale nel dichiarare insolvenza ne dia comunicazione all’autorità competente per predisporre la continuità del servizio.
  • Settore tecnologico avanzato: grandi società tech raramente falliscono in Italia (spesso se vanno male vengono comprate da competitor). Ma se accadesse, bisogna gestire la tutela di asset intangibili (software, dati). Una preoccupazione è che in liquidazione giudiziale, se il curatore non trova acquirenti per queste attività rapidamente, il loro valore crolla (il know-how si disperde, i dipendenti chiave vanno via). Quindi le procedure per grandi tech puntano sempre a soluzioni quick, come vendite concordatarie in blocco a investitori, oppure accordi di ristrutturazione dove i venture capital convertano debito in equity etc.

Osservazioni generali settore per settore:

  • Edilizia (PMI e micro): molti fallimenti in edilizia coinvolgono tante parti: subappaltatori, fornitori di materiali, acquirenti di immobili in costruzione (questi ultimi sono creditori particolari, spesso tutelati da fideiussioni o da privilegio speciale ex d.lgs 122/2005 per gli acconti versati). Le imprese edili in concordato cercano di portare a termine i cantieri per poter vendere gli immobili e pagare i creditori. Il concordato in continuità viene preferito se c’è almeno un cantiere completabile in attivo. Settore edilizia è soggetto a DURC: l’impresa in concordato può ottenere DURC provvisorio se rispetta certi requisiti, altrimenti i cantieri si bloccano. Quindi, una raccomandazione: curare subito i rapporti con INPS/Cassa Edile per continuare ad avere DURC regolare (ad es. pagando contributi correnti e includendo gli arretrati in transazione).
  • Commercio e retail: qui tipicamente il problema sono i contratti di locazione dei punti vendita e i fornitori di merce. In un concordato retail, spesso si prevede di chiudere i negozi non redditizi (grazie alla facoltà di scioglimento contratti locazione ex art. 95 CCII) e mantenere aperti i negozi profittevoli. I fornitori vengono soddisfatti parzialmente ma è cruciale mantenere le forniture durante la procedura (con pagamento in prededuzione delle forniture essenziali). L’esperto nella composizione negoziata o il commissario in concordato deve coordinare questa continuità del flusso merci, altrimenti gli scaffali vuoti portano a morte sicura. Settore retail inoltre può avere gift card e acconti dei clienti come voci di debito, che in procedure concorsuali spesso generano contenziosi (clienti insoddisfatti).
  • Artigianato locale: come già detto per micro, spesso sovrapposto con persona fisica del titolare. Approccio quasi personale: magari meglio un piano del consumatore se i debiti sono anche personali (es: l’artigiano ha fatto debiti in parte per l’attività e in parte personali: può cumularli e fare un unico piano). L’aspetto “di relazione” è forte: in piccoli centri, tutti sanno se un artigiano è in concordato, e ciò può influenzare la clientela. A volte l’accordo stragiudiziale (magari supportato dal parroco o associazione di categoria) funziona più che andare in tribunale.
  • Aziende tecnologiche e start-up: se innovative registrate come tali, non sono fallibili per 5 anni dalla costituzione per legge, quindi usano la via sovraindebitamento se falliscono presto. Spesso hanno pochi asset tangibili; il loro valore sta in cervelli e IP. In crisi, la soluzione è quasi sempre trovare un investitore che rilevi brevetti o integri il team (acquisizione). Le procedure concorsuali rigide mal si adattano a valore “umano”: qui la composizione negoziata è ottima per guadagnare tempo e cercare una Exit strategy (un acquirente) sotto tutela delle misure protettive. Andare in fallimento per una startup significa spaventare eventuali acquirenti (che potrebbero temere cause su IP, responsabilità nascoste). Quindi c’è molta cautela: meglio un accordo di cessione prima di arrivare all’insolvenza manifesta.

Tabelle e parametri dimensionali:

Le normative definiscono micro, piccola e media impresa secondo parametri UE (dipendenti, fatturato). A fini concorsuali però la distinzione chiave è tra fallibile e non fallibile, che come detto dipende dai 3 parametri di cui almeno 2 superati. Esempio:

  • Impresa attivo €400k, ricavi €250k, debiti €600k: fallibile (2 parametri su 3 sopra soglia).
  • Impresa attivo €100k, ricavi €150k, debiti €300k: non fallibile (nessun parametro sopra soglia).
    Quindi dimensione giuridica rilevante è questa.

Un’altra differenza: società di capitali vs persone: le società di capitali rispondono solo col patrimonio sociale, quelle di persone anche coi soci. Ciò incide: per SAS e SNC, la crisi coinvolge anche i soci (che possono essere dichiarati falliti in estensione). Questo scoraggia soluzioni di fresh start per i soci senza procedure: anzi, conviene includere i soci in un concordato unico (il CCII lo consente, art. 66, procedure unitarie per socio e società). Invece per SRL/SpA, soci sono al riparo (salvo garanzie personali).

Settore pubblico e parapubblico: un breve cenno: se l’azienda con debiti è partecipata pubblica (es. società in house del Comune), la gestione del debito segue regole particolari (TUSP) e a volte il Comune preferisce farla fallire e poi re-internalizzare il servizio; oppure c’è la strada del concordato preventivo (ci sono esempi di aziende municipalizzate in concordato per ridurre debiti garantendo servizio). Il CCII non esclude queste società, ma servono autorizzazioni di soci pubblici.

Tabelle riepilogative delle procedure

Di seguito, riportiamo alcune tabelle riassuntive che mettono a confronto le varie procedure e strumenti menzionati, per facilitarne la comprensione rapida.

Tabella 1 – Principali procedure per imprese fallibili (commerciali sopra soglia)

ProceduraTipoChi la attivaEffetti principaliQuando conviene
Composizione negoziata (artt.17-25septies CCII)Stragiudiziale assistitaImprenditore volontariamenteEsperto negoziatore aiuta trattative; misure protettive possibili; esiti flessibili (accordi, piano, concordato).Crisi non ancora irreversibile; volontà di risanare evitando tribunale; necessità di moratoria breve.
Piano attestato di risanamento (art.56 CCII)Stragiudiziale unilateraleImprenditore (con attestatore)Pianificazione unilaterale con attestazione indipendente; nessun vincolo per creditori non aderenti; atti esecutivi protetti da revocatoria.Crisi contenuta e accordo con creditori principali già raggiunto; evitare procedure formali.
Accordo di ristrutturazione (art.57 CCII)Concordato stragiudiziale omologatoImprenditore (con ≥60% crediti consenzienti)Vincola solo aderenti (salvo estensioni ex lege); omologa tribunale; nessun voto generale; possibile cram-down fiscale.Consenso della maggioranza dei creditori già ottenuto; pochi creditori dissenzienti gestibili.
PRO – Piano ristrutt. omologato (art.64-bis CCII)Concordatario (no voto)Imprenditore (≥30% consensi iniziali)Tribunale omologa piano con classi anche senza voto creditori; possibili cram-down interclassi e su Fisco.Azienda medio-grande con creditori eterogenei; necessario imporre il piano a minoranze dissenzienti.
Concordato preventivo (artt.84-120 CCII)Procedura concorsuale giudizialeImprenditore (o creditori se “concordato necessario”)Spossessamento attenuato (debtor in possession, vigilato); congelamento debiti; voto dei creditori e omologa; prededuzione nuovi crediti; esdebitazione dopo esecuzione.Crisi grave con bisogno di taglio debiti generalizzato; necessità di coinvolgere tutti i creditori in un accordo obbligatorio.
Concordato in continuitàImpresa continua attività (diretta o tramite terzi); niente soglie minime di pagamento creditori chirografari (tranne rispetto best interest test); possibili falcidie a privilegiati con regole speciali.Impresa ancora economicamente valida; valore di going concern da preservare; supporto di investitori o creditori chiave.
Concordato liquidatorioImpresa cessa attività; vendite beni e distribuzione; richiesto ≥20% ai chirografari + 10% attivo da terzi; soddisfa privilegiati integralmente su valore collaterale.Impresa decotta; si vuole evitare fallimento offrendo leggero miglior trattamento a creditori (grazie a apporto terzi o vendita più efficiente).
Conc. semplificato liquidatorio (art.25-sexies)Procedura concorsuale eccezionaleImprenditore (post-comp. negoziata fallita)Senza voto creditori; liquidazione beni sotto controllo giudice; omologa giudice se creditori non pregiudicati; curatore vende beni.Composizione negoziata non ha portato accordi; insolvenza inevitabile ma c’è chance di liquidare meglio rispetto a fallimento (es. vendendo in blocco azienda).
Liquidazione giudiziale (artt.121-270 CCII)Procedura concorsuale liquidatoriaCreditori / PM / debitore (insolvenza conclamata)Spossessamento totale; curatore liquidatore; scioglimento impresa; creditori soddisfatti secondo prelazioni; possibili azioni di responsabilità.Ogni altra soluzione fallita; insolvenza irreversibile. Obiettivo: chiusura ordinata dell’impresa e riparto attivo.

Tabella 2 – Procedure per debitori non fallibili (sovraindebitamento)

ProceduraSoggettiSintesi meccanismoNote
Concordato minore (art.74 CCII)Piccoli imprenditori sotto soglia; soci illimitatamente resp. non falliti; imprenditori agricoli; start-up innovative; professionisti; enti non commerciali sovraindebitati.Procedura concorsuale con voto creditori (maggioranza semplice) su un piano simil-concordatario; possibile continuità; nomina gestore OCC; omologa giudice anche contro Fisco se best interest test ok.Simile a concordato preventivo ma dimensione ridotta e regole alleggerite. Richiede meritevolezza (no frodi). Consente esdebitazione a fine piano.
Ristrutturazione debiti consumatore (art.67 CCII)Persona fisica consumatore (debiti per esigenze personali, non professionali).Nessun voto creditori; il consumatore propone un piano sostenibile di pagamento parziale; OCC attesta fattibilità; giudice omologa se debitore meritevole e creditori soddisfatti almeno quanto in liquidazione.I creditori possono fare osservazioni ma non opporsi formalmente. Il piano può prevedere rimborso parziale e cancellazione saldo. Debiti residui cancellati con l’omologa (eccetto esclusi per legge).
Liquidazione controllata (art.268 CCII)Qualunque sovraindebitato (persona, ditta, consumatore) insolvente che voglia liquidare tutto il patrimonio.Il tribunale nomina un liquidatore; il debitore è spossessato dei beni (tranne impignorabili); liquidazione e riparto analoghi al fallimento; chiusura ed esdebitazione per il debitore persona fisica.Procedura analoga al fallimento ma semplificata. Spesso usata se altre soluzioni non fattibili o se il debitore preferisce liquidare tutto subito.
Esdebitazione del debitore incapiente (art.278 CCII)Persona fisica sovraindebitata senza beni né redditi disponibili (nullatenente).Su ricorso del debitore, il tribunale cancella i debiti senza attivare alcuna liquidazione (poiché non ci sono attivi da liquidare). Condizioni: il debitore non ha soddisfatto i creditori per effettiva incapienza, è meritevole (no atti in frode), non ha già beneficiato di esdebitazione recente. Se nei 4 anni seguenti sopravvengono utilità rilevanti (es. eredità), deve pagarle ai creditori proporzionalmente.Introdotta nel 2021; “fresh start” puro. Concessa una sola volta. Libera da ogni debito civile (restano obblighi alimentari e debiti esclusi per legge). Molto favorevole al debitore, con equilibrio affidato al controllo di meritevolezza del giudice.

(Le procedure familiari: membri di una famiglia possono presentare un’unica procedura di concordato minore o piano consumatore se legati dalla causa comune dei debiti.)

Domande frequenti (FAQ)

D.1: L’imprenditore risponde con i propri beni personali dei debiti dell’azienda?
R: Dipende dalla forma giuridica e dalle circostanze. Se l’azienda è una società di capitali (S.r.l., S.p.A.), vige la regola della responsabilità limitata: i debiti sociali si pagano solo col patrimonio della società. I soci non rischiano la casa o i beni personali, salvo abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni) o vi siano profili di mala gestio (azioni di responsabilità) o particolari eccezioni (es. socio unico di S.r.l. che non ha versato i conferimenti). In caso di procedure concorsuali, i creditori potranno rifarsi sui beni sociali e su eventuali garanti. Se invece l’azienda è una società di persone (SNC, SAS) o una ditta individuale, l’imprenditore e i soci accomandatari rispondono illimitatamente: tutti i beni personali presenti e futuri possono essere aggrediti per i debiti dell’impresa (in SNC e ditte indiv., anche dopo il fallimento, se c’è incapienza, i creditori non soddisfatti potrebbero tentare azioni residue contro il socio, salvo esdebitazione). Va detto che se anche la persona fisica viene coinvolta in una procedura (fallimento esteso ai soci illimitatamente responsabili, o concordato minore/piano del consumatore per il titolare), potrà poi ottenere l’esdebitazione e liberarsi dai debiti residui. Inoltre, molti soci di piccole s.r.l. firmano fideiussioni alle banche: in tal caso, pur essendo società di capitali, di fatto i soci diventano garanti personali e quindi escutibili se la società non paga.

D.2: Cosa succede se l’azienda non paga i debiti fiscali e previdenziali?
R: I debiti verso Erario e INPS sono tra i più pericolosi da ignorare. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione emetterà cartelle esattoriali ed eventualmente attiverà misure come ipoteche su immobili aziendali, fermi amministrativi su veicoli e pignoramenti di crediti verso terzi o del conto corrente. Inoltre, il mancato pagamento di IVA e ritenute oltre soglie rilevanti costituisce reato penale (omesso versamento) se non viene regolarizzato entro determinati termini. Sul fronte INPS, un grave arretrato contributivo fa perdere il DURC (impedendo di partecipare ad appalti o, nel caso in edilizia, portare avanti i cantieri) e può anch’esso portare a pignoramenti e segnalazioni di allerta. Gli interessi e sanzioni faranno lievitare l’importo dovuto. Va anche considerato che Fisco e INPS sono creditori qualificati: se i debiti superano certe soglie (es. €100k affidati all’Agente Riscossione, o €15k di contributi non versati), gli enti invitano formalmente l’imprenditore a prendere provvedimenti (composizione negoziata). In positivo, la legge consente di gestire questi debiti con strumenti come la rateizzazione (72/120 rate) e soprattutto la transazione fiscale e contributiva nelle procedure (concordato, accordo, e ora anche composizione negoziata), tramite cui è possibile ottenere la riduzione di sanzioni e interessi e anche parte del capitale tributario, purché si garantisca all’Erario almeno il valore di liquidazione. In sostanza: se l’azienda non paga spontaneamente, Fisco/INPS possono mettere in serio pericolo la continuità aziendale; è quindi prioritario includerli in un piano di risanamento o accordo. L’inerzia completa porta quasi sempre al fallimento o alla cessazione forzata dell’attività.

D.3: Si possono ridurre o cancellare i debiti verso fornitori e banche?
R: Sì, ma di norma solo attraverso un accordo negoziato o una procedura concorsuale. Al di fuori di queste ipotesi, un debito è dovuto per intero e il creditore può pretendere il pagamento integrale (salvo transazioni private). Con un accordo stragiudiziale, l’azienda può chiedere a fornitori e banche una riduzione (stralcio) del dovuto in cambio di pagamento immediato di una percentuale: è il classico saldo e stralcio, che però richiede la volontaria accettazione del creditore (spesso possibile se il creditore teme di peggio da un fallimento). Nelle procedure concorsuali invece l’azienda può proporre formalmente un pagamento parziale e i creditori vengono vincolati dalla volontà della maggioranza. In un concordato preventivo i debiti chirografari vengono solitamente ridotti (es. 30% di soddisfazione) secondo quanto offre il piano, e i creditori devono accettare se la maggioranza approva. Le banche o fornitori chirografari dissenzienti saranno comunque obbligati dall’omologazione se il piano è stato votato dalle altre classi e rispetta i requisiti di legge (best interest test). Anche in un accordo di ristrutturazione, se si raggiunge l’adesione del 60% dei crediti, quell’accordo omologato può prevedere pagamenti parziali e i creditori che hanno aderito vi rinunciano alla parte stralciata; i non aderenti restano formalmente con il loro credito nominale, ma spesso l’accordo prevede che siano pagati altrettanto in percentuale (per equità e per evitare opposizioni). Dunque, sì: il taglio dei debiti finanziari e commerciali è uno degli scopi primari delle procedure di crisi. Occorre però convincere i creditori che la percentuale offerta è il meglio possibile nelle circostanze (ad esempio mostrando che in un fallimento prenderebbero ancora meno). Una volta omologato un concordato o completato un accordo, la parte di debito non pagata viene cancellata definitivamente (e, per favorire ciò, l’art. 88 TUIR esenta queste sopravvenienze attive da tasse se il piano/accordo è omologato o attestato). Da notare che, per i debiti bancari garantiti da ipoteche, pegni o fideiussioni, la riduzione è possibile ma richiede attenzione: la banca potrebbe avere diritto di escutere la garanzia per la differenza. Di solito, in concordato, se si intende ridurre un credito ipotecario, si deve ottenere il suo consenso o assicurare che prende almeno il valore della garanzia.

D.4: Come variano le soluzioni in base al settore di attività?
R: Il settore influisce soprattutto sugli aspetti operativi della crisi più che sulle regole legali (che sono uniformi). Ad esempio, nel settore edile: è fondamentale mantenere la regolarità contributiva (DURC) per proseguire i lavori, quindi una ditta edile in concordato deve puntare a pagare correntemente INPS/Cassa Edile. Inoltre, se ha appalti pubblici, dovrà comunicare l’apertura della procedura alla stazione appaltante e c’è la possibilità (prevista dal Codice Appalti) di farsi autorizzare la continuazione del contratto nonostante il concordato, magari affiancata da un’impresa terza. Nel commercio al dettaglio, l’aspetto critico è gestire i contratti di affitto dei locali: molti concordati di catene commerciali prevedono la chiusura di un certo numero di punti vendita in perdita (sciogliendo i contratti di locazione, con il solo indennizzo di legge al locatore come credito concorsuale) e il mantenimento dei negozi redditizi. Quindi il settore retail usa il concordato anche per rinegoziare la rete distributiva. Nel settore dei servizi tecnologici o consulenziali, un problema è la fuga dei clienti alla notizia della crisi: qui la riservatezza della composizione negoziata è preziosa per evitare allarmismi; in caso di concordato, l’azienda deve investire in comunicazione verso i clienti per assicurare la continuità del servizio. Nel manifatturiero, se l’azienda ha commesse in corso, il concordato in continuità può proteggere dai sequestri dei beni dei fornitori: ad esempio, fornitori con patto di riservato dominio sui macchinari forniti non possono riprendersi i beni se il tribunale autorizza l’azienda in concordato a trattenerli per proseguire la produzione (strumento cruciale per non fermare l’attività). Settori come l’agroalimentare (specialmente se con merci deperibili) necessitano di procedure rapide: spesso scelte come il prepack (concordato con contestuale cessione azienda a un competitor) salvano l’avviamento. Infine, nel settore artigianato locale (es. officine, laboratori), dove la reputazione personale conta, molti preferiscono evitare il fallimento anche solo per uno stigma morale: qui le soluzioni di sovraindebitamento (che sono meno pubblicizzate) possono essere un salvagente per chi vuole risolvere ma poi continuare a operare nel territorio mantenendo la fiducia dei clienti. In sintesi, le norme sono uguali per tutti, ma un piano di crisi efficace deve tener conto del “contesto”: quali licenze/permesse si rischia di perdere (es. licenza trasporto in caso di procedura?), quali contratti chiave vanno preservati, quali stakeholder (fornitori strategici, committenti pubblici, clienti fidelizzati) vanno rassicurati. Ad esempio, il CCII consente accordi di continuità indiretta: vendere l’azienda a un soggetto affidabile anche durante il concordato, così i clienti/commesse passano al soggetto nuovo in bonis e non vanno perduti. Questo viene usato in settori come automotive o aerospazio dove i committenti (es. multinazionali) non tollerano fornitori in procedura concorsuale: la soluzione è far subentrare subito un investitore.

D.5: Quanto dura una procedura concorsuale?
R: I tempi variano a seconda della procedura e della complessità del caso. Composizione negoziata: per legge la durata standard è 6 mesi prorogabili al massimo di altri 6, quindi entro 1 anno si deve concludere (con accordo o con esito negativo). Accordo di ristrutturazione: qui il tempo dipende dalle negoziazioni (possono durare mesi o anni in casi complicati) ma una volta depositato l’accordo in tribunale, l’omologa di solito avviene entro 4-6 mesi. Concordato preventivo: la legge cerca di contenerli entro circa 1 anno dall’ammissione all’omologa. Spesso: 2-4 mesi per ammissione, 4-6 mesi per votazione e omologa, totale 8-12 mesi. Tuttavia, l’esecuzione del piano poi può durare anni (ad esempio, un concordato può prevedere pagamenti in 5 anni: i creditori vedranno i soldi in quel periodo). La procedura rimane aperta finché il piano non è eseguito, con il tribunale che vigila, anche se la fase acuta (dal ricorso all’omologa) è intorno all’anno. Liquidazione giudiziale (fallimento): il CCII ha fissato l’obiettivo di chiusura in 3 anni. Questo è ambizioso; in pratica, se molti beni da vendere o contenziosi, può richiedere più tempo. Ci sono ancora liquidazioni di 5-6 anni, ma la tendenza è a velocizzare. Liquidazione controllata (sovraindebitati): analogamente, essendo patrimoni piccoli, spesso si chiudono in 2-3 anni. Amministrazione straordinaria (per grandi imprese): quella può durare molto (grandi casi sono rimasti aperti 10-15 anni, ma lì il legislatore è intervenuto di volta in volta con proroghe normative). Riassumendo: procedure di ristrutturazione (accordi, concordati) ~1 anno per definizione + n anni per esecuzione; procedure di liquidazione ~2-3 anni (per piccole) a 5 anni (per grandi e complesse) per chiusura definitiva.

D.6: Quali sono i costi di queste procedure?
R: Ci sono costi professionali (compenso di esperti, attestatori, legali, notai se servono atti, ecc.) e costi giudiziali (marche da bollo, contributo unificato – ad esempio per un concordato il contributo è attorno a €1000-2000 in base all’attivo, anche esente se successivo a composizione negoziata). Nella composizione negoziata, l’esperto ha un compenso fissato in base ai parametri ministeriali (variabile in funzione del fatturato dell’azienda e della durata: per PMI può essere qualche migliaio di euro, per aziende grandi decine di migliaia). Questo costo spesso è molto inferiore a quello di consulenti privati. Nel concordato e negli accordi, occorre un attestatore: il suo compenso è libero ma proporzionato alla dimensione dell’impresa (per un’azienda media può essere ad esempio €20-30k). Inoltre c’è il compenso del commissario/curatore nelle procedure concorsuali: anch’esso fissato per legge su base percentuale rispetto all’attivo e al passivo (a scaglioni decrescenti; può andare dall’1% al 4-5% tipicamente sugli attivi, più qualcosa sui distribuiti). Nei concordati, il commissario prende poco (perché l’attivo spesso rimane in mano al debitore) – molto dipende dall’opera prestata. In un fallimento, il curatore può prendere cifre significative se recupera tanto attivo. Anche OCC e gestori nelle procedure minori hanno compensi normati (spesso qualche migliaio di euro a carico del debitore se attivo, altrimenti a carico dello Stato fino a un massimo). In parole semplici: procedure come composizione negoziata e sovraindebitamento sono state pensate per costare il meno possibile; il concordato è più oneroso (un’azienda media può spendere decine di migliaia in attestazioni e commissioni). Tuttavia, la legge consente di porre tali costi come spese prededucibili nel piano, cioè di pagarle preferenzialmente. Se l’esito è la liquidazione, i costi vengono prelevati prima per pagare i curatori e altri organi. Quindi, dal punto di vista del debitore, spesso i costi vengono sopportati a fine procedura prelevandoli dall’attivo aziendale (è comunque un sacrificio per i creditori, che così ricevono un po’ meno). Esempio: in un concordato con attivo €1.000.000, si può stimare un 5-8% di spese procedurali totali (commissari, spese giustizia, professionisti), quindi €50-80k assorbiti dai costi. Va visto come un investimento per risolvere la crisi: se senza la procedura i creditori avrebbero preso 0, con la procedura prendono il, diciamo, 30% e qualcosa va a coprire i costi tecnici.

D.7: Un imprenditore può aprire una nuova attività dopo un fallimento o un concordato?
R: Sì, in generale può, ma con qualche riserva. Se l’imprenditore persona fisica è stato soggetto a fallimento (liquidazione giudiziale) e non è ancora ottenuta l’esdebitazione, la legge poneva dei limiti (un tempo, l’interdetto fallimentare non poteva intraprendere nuova impresa per 5 anni; col CCII queste pene automatiche sono state eliminate). Oggi, se c’è stata liquidazione giudiziale e l’impresa è chiusa, l’ex fallito può tecnicamente avviare una nuova impresa subito, ma pragmaticamente incontrerà difficoltà di credito e fiducia. Ottenere l’esdebitazione migliora la situazione perché lo “stigma” giuridico scompare e i vecchi creditori non potranno importunarlo. Se invece l’imprenditore è passato per un concordato preventivo o un accordo e la procedura si è chiusa regolarmente, non ci sono preclusioni legali a iniziare nuove attività. Anzi, può succedere che durante un concordato in continuità l’imprenditore costituisca una newco per proseguire il business ristrutturato. Occorre però attenzione: se la nuova attività è troppo simile e serve solo a spostare asset, può incorrere in contestazioni (es. phoenix company – trasferimento illecito di azienda per sottrarla ai creditori). Legalmente, dopo la chiusura della procedura, l’imprenditore è libero. Anche un ex fallito, con l’esdebitazione concessa, ritrova capacità piena. Diverso è per i soggetti con reati: se condannato per bancarotta fraudolenta, scatta l’interdizione dai pubblici uffici e dall’esercizio di impresa per un periodo stabilito dal giudice penale. Ma parliamo di casi di frode. Per il debitore onesto, la filosofia attuale è di incoraggiare un nuovo inizio. Dunque, non c’è un casellario dei “falliti inibiti” come una volta. Ad esempio, un imprenditore individuale che chiude i suoi debiti col concordato minore e viene esdebitato, può immediatamente aprire una nuova partita IVA e ripartire. Naturalmente, dovrà riconquistare la fiducia del mercato e probabilmente troverà chiusura da banche per un po’, ma legalmente può farlo.

D.8: Come vengono trattati i dipendenti dell’azienda in crisi? Perdono il lavoro?
R: La tutela dei lavoratori è uno degli obiettivi delle procedure di risanamento. In caso di continuità aziendale, l’idea è proprio salvare l’impresa e con essa i posti di lavoro. Durante un concordato in continuità, i contratti di lavoro proseguono regolarmente; i dipendenti devono essere pagati per l’attività corrente come crediti prededucibili (a meno che non si attivi cassa integrazione). Se ci sono arretrati stipendi prima della procedura, questi formano crediti privilegiati da soddisfare secondo le regole (spesso integralmente o in alta percentuale grazie all’intervento del Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità). In caso di liquidazione o ristrutturazione con esuberi, i dipendenti possono perdere il lavoro, ma si cerca di gestire la cosa in modo ordinato: per esempio, l’azienda può chiedere la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi o cessazione, che copre fino a 12 mesi di integrazione salariale mentre la procedura si svolge, evitando licenziamenti immediati. Oppure, se c’è trasferimento d’azienda a un acquirente, spesso nell’offerta si prevede il passaggio di parte dei dipendenti al compratore (art.2112 c.c. si applica se è un trasferimento in continuità; se avviene in fallimento, la legge consente all’acquirente di scegliere quali lavoratori assumere, ma è prassi negoziare col sindacato per tutele). In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), l’attività cessa e i lavoratori vengono licenziati, però possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR e stipendi arretrati, e alla NASPI (disoccupazione). Nelle procedure minori (concordato minore, piano del consumatore), se c’è un’impresa con dipendenti, valgono analogamente gli strumenti di cassa e licenziamento collettivo. Da notare: il CCII ha semplificato la procedura di licenziamento collettivo in concordato/fallimento, equiparandola a quella dei casi di cessazione attività. Quindi, i dipendenti di un’azienda in concordato liquidatorio possono essere licenziati dal commissario con autorizzazione ministeriale semplificata. In sintesi, non è automatico che i dipendenti perdano il lavoro: se l’azienda si salva, loro pure; se l’azienda viene ceduta, c’è speranza di continuità occupazionale (magari non per tutti, ma per molti sì); se l’azienda chiude, allora scattano le reti di protezione sociale. Una cosa è certa: i crediti per stipendi, ferie, TFR maturati sono privilegiati di grado massimo e tendenzialmente sono pagati (o dal datore via piano, o dall’INPS). Il danno maggiore per i lavoratori è la perdita del posto, ma le procedure cercano di minimizzarla, compatibilmente con le esigenze economiche.

D.9: Che differenza c’è tra piano attestato, accordo di ristrutturazione e concordato preventivo?
R: In breve:

  • Il piano attestato è una soluzione privata e unilaterale: il debitore fa un piano e un esperto ne attesta la fattibilità. Non richiede percentuali legali di adesione né omologhe. Serve il consenso pratico dei creditori principali, ma non c’è vincolo giuridico sui dissenzienti. È rapido e confidenziale ma fragile, perché basta un creditore fuori accordo per farlo saltare.
  • L’accordo di ristrutturazione è una soluzione contrattuale con base legale: serve un consenso qualificato (60% dei crediti) e poi interviene il giudice a omologare. È vincolante per i consenzienti e può legare anche alcuni dissenzienti per legge (banche minoritarie, Erario se minoritario). Meno intrusivo del concordato (niente voto generale, niente commissario di regola), ma richiede di negoziare con successo con la maggior parte dei creditori in anticipo.
  • Il concordato preventivo è una soluzione collettiva giudiziale: coinvolge tutti i creditori (di regola) con un meccanismo di votazione a maggioranza e forte controllo del tribunale (commissario nominato, etc.). È il più “solido”: una volta omologato, vincola tutti, anche chi non era d’accordo, ed è un provvedimento giudiziario. Ma è anche il più oneroso e lungo, e comporta pubblicità e potenziale perdita di controllo per il debitore.
  • Inoltre, esiste il PRO che è un ibrido: un concordato senza voto, basato su un accordo parziale + cram down giudiziale. E la composizione negoziata che è procedura di aiuto prima di arrivare a questi, modulabile in vari esiti.

In pratica, se facessimo un continuum da minimo intervento a massimo:
Piano attestato (minima ingerenza tribunale, massimo consenso volontario richiesto) → Accordo ristrutturazione (ingerenza moderata, serve già buon consenso) → Concordato preventivo (ingerenza forte, consenso costruito formalmente in procedura).

Le imprese tenteranno il piano attestato se possono (niente pubblicità, niente attori esterni), se no proveranno l’accordo (negoziazione privata + timbro giudice), e se no vanno di concordato (via giudiziale completa). In pratica, spesso si passa per la composizione negoziata che può sbocciare in un piano attestato se va bene, in un accordo se va abbastanza bene, o in un concordato se va male.

D.10: Quali debiti non si possono cancellare nemmeno col fallimento o con le procedure?
R: Alcuni debiti rimangono a carico del debitore anche dopo le procedure e l’eventuale esdebitazione. Ad esempio:

  • Le sanzioni penali e amministrative di natura punitiva (multe, ammende) non sono esdebitabili (art.279 CCII). Se la società fallisce, la sanzione pecuniaria amministrativa rimane però concorsuale e spesso non viene soddisfatta per mancanza attivo – per la persona, la multa penale resta a suo carico anche post esdebitazione.
  • I debiti per alimenti e mantenimento (es. assegni divorzili, obblighi di mantenimento dei figli) restano dovuti.
  • Debiti da risarcimento per fatti illeciti in certi casi: il CCII esclude dall’esdebitazione quelli da dolo nonché quelli verso persone che il debitore ha danneggiato con fatti penalmente rilevanti (es. risarcimento a vittima di reato).
  • L’IVA un tempo si diceva non falcidiabile in concordato; ora lo è, ma comunque l’IVA non pagata interamente potrebbe rimanere a carico se la procedura non va a buon fine penale a parte. Tuttavia, se concordato omologato la parte non pagata è esdebitata per definizione. Quindi non un’eccezione vera salvo mal gestione (se uno prende esdebitazione, comprende IVA).
  • In caso di liquidazione società, se il liquidatore ha pagato certi creditori e trascurato tributi, può restare obbligato personalmente per quei tributi non versati (responsabilità ex art.2495 c.c. e 36 DPR 602/73). Non è propriamente un “debito non cancellato”, è che il creditore (Erario) può rivolgersi a lui in virtù di legge speciale.
  • Debiti di società verso lo Stato per aiuti di Stato illegittimi: in teoria se c’è un ordine di recupero, non possono essere falcidiati (vincoli UE) – ma questo è molto di nicchia.
  • Debiti da sanzioni pecuniarie civili per illecito extracontrattuale (es: risarcimento danni con punitive?), questo rientra nel alveo già detto di debiti verso persone da reato doloso.

In generale, però, i debiti commerciali, bancari, fiscali, contributivi, verso fornitori, ecc., sono cancellabili attraverso la procedura concorsuale e l’esdebitazione (o transazione). Il CCII ha voluto includere anche il Fisco in questo (mentre prima era più restrittivo su IVA, ad esempio). Quindi ciò che sicuramente rimane è: multe, ammende, e i famosi debiti di giustizia (spese processuali penali a carico del condannato, quelle restano a vita, non esdebitabili).

D.11: A chi ci si può rivolgere per attivare queste procedure?
R: Per avviare un percorso di risanamento o liquidazione, l’imprenditore o il privato dovrebbero coinvolgere professionisti specializzati (avvocati d’affari, commercialisti esperti in crisi, consulenti del lavoro per la parte lavoro). Ci sono tuttavia anche organismi pubblici e associazioni di categoria che aiutano. Ad esempio:

  • Le Camere di Commercio, tramite la piattaforma di composizione negoziata (raggiungibile online), forniscono le istruzioni e nominano l’esperto una volta presentata l’istanza. Sul sito di Unioncamere o delle CCIAA locali ci sono sportelli informativi. Quindi un imprenditore in difficoltà può presentare autonomamente domanda sulla piattaforma e poi sarà seguito dall’esperto nominato, chiaramente dovrà predisporre i documenti con l’aiuto di un suo commercialista di fiducia.
  • Gli Organismi di Composizione della Crisi (OCC), istituiti presso ordini professionali o enti pubblici, offrono consulenza e gestiscono le procedure di sovraindebitamento. Quindi il piccolo imprenditore o il consumatore possono rivolgersi a un OCC territoriale: questi organismi (spesso presso i tribunali, i comuni, o anche associazioni di consumatori convenzionate) forniscono un gestore della crisi che aiuta a predisporre il piano e lo presenta al giudice.
  • L’Agenzia delle Entrate e l’INPS hanno sezioni dedicate a transazioni e rateizzazioni: in procedure formali conviene comunque avere un legale, ma per una semplice rateizzazione il contribuente può farlo sul sito dell’Agenzia Riscossione.
  • Le associazioni di categoria (Confartigianato, Confcommercio, ecc.) spesso hanno convenzioni con esperti per assistere le imprese associate in crisi, a costi calmierati.
  • Infine, se la situazione è di insolvenza conclamata e i creditori hanno già agito, inevitabilmente bisognerà passare per il tribunale fallimentare. In tal caso, la nomina di un avvocato è necessaria per difendersi o per presentare una domanda di concordato.

In generale, è consigliabile muoversi prima che i creditori lo facciano: l’imprenditore proattivo che chiede aiuto (in camera di commercio, all’OCC, al proprio consulente) ha più chance di salvare l’attività o almeno evitare guai penali. Al contrario, chi aspetta la notifica dell’istanza di fallimento subisce soluzioni più traumatiche.

Casi pratici

Vediamo ora due simulazioni semplificate di gestione della crisi, per capire come si applicano concretamente gli strumenti illustrati:

Caso 1: PMI manifatturiera con debiti bancari e fiscali
La Alfa S.p.A. produce componenti meccanici, 50 dipendenti. A causa di investimenti errati e calo ordini, accumula €2 milioni di debiti: €800k mutui e leasing con banche (garantiti da ipoteche su capannone e macchinari), €300k scoperto di c/c, €400k debiti fornitori, €300k debiti verso Fisco (IVA e ritenute) e €200k altri (INPS e alcuni contenziosi). L’azienda ha ancora mercato ma poca liquidità. Banche minacciano revoca dei fidi; l’Agenzia Entrate-Riscossione ha appena iscritto ipoteca per ruoli non pagati e inviato PEC di allerta. Cosa fare?

  • Fase 1 – analisi e allerta: Gli amministratori di Alfa, su suggerimento del collegio sindacale, attivano subito la Composizione negoziata sulla piattaforma online. Ottengono misure protettive dal tribunale (sospensione delle azioni esecutive, congelando il pignoramento bancario e altre azioni). Un esperto indipendente è nominato.
  • Fase 2 – trattative: L’esperto analizza la situazione. Capisce che Alfa è in crisi ma non insolvente irreversibile: se si allevia il debito finanziario e fiscale, l’azienda può riprendersi grazie a un paio di nuovi contratti in arrivo. Convoca separatamente i creditori chiave: le 2 banche principali e l’Agenzia delle Entrate. Con le banche, si discute di rinegoziare mutui (allungare durata) e convertire lo scoperto in un mutuo 5 anni; con l’altra banca di leasing, di restituire un macchinario poco usato per cancellare parte residua del leasing. L’esperto suggerisce anche di vendere un magazzino inutilizzato per fare cassa €300k.
    Con l’Agenzia Entrate e INPS, grazie alla nuova norma 2024, propone una transazione fiscale nell’ambito negoziato, offrendo: pagare il 100% dell’IVA dovuta (perché su quella Alfa era inadempiente solo per ultimo anno, €100k) e il 50% di IRAP e contributi, stralciando sanzioni/interessi, dilazionato 5 anni. L’offerta, corredata da relazione asseverata che mostra che in caso di fallimento l’Erario prenderebbe forse 20%, è convincente. Agenzia Entrate aderisce (preferisce incassare €150k su €300k in 5 anni che attendere il fallimento incerto).
    I fornitori: l’esperto coinvolge le associazioni di categoria per convincerli a uno stralcio del 30%: Alfa pagherà 70% dei loro crediti in 12 mesi in cambio della loro pazienza (questi in parte dipendono da Alfa come cliente, quindi accettano per mantenerla in vita).
  • Fase 3 – esito: Dopo 4 mesi intensi, Alfa S.p.A. raggiunge un accordo stragiudiziale plurilaterale: le banche firmano un accordo di ristrutturazione (non omologato ma contrattuale) per allungare e in parte ridurre interessi; l’Agenzia Entrate firma l’accordo transattivo autorizzato dal tribunale; i fornitori sottoscrivono singoli patti di saldo al 70%. L’esperto conclude la procedura attestando che l’accordo complessivo risolve la crisi. Il tribunale, su istanza di Alfa, autorizza l’accordo fiscale e dichiara chiusa la composizione negoziata.
    Risultato: Alfa evita il fallimento, riprende a pagare i debiti rideterminati. I dipendenti restano tutti al lavoro (magari sono stati in CIG per 3 mesi durante la negoziazione). Due anni dopo Alfa torna in utile, e in 5 anni adempie gli accordi, col Fisco regolare. Nessuna pubblicità negativa è apparsa (solo comunicazioni riservate).

(Se le trattative fossero fallite, l’esperto avrebbe magari indirizzato Alfa verso un concordato preventivo: ipotesi, vendere l’azienda a un concorrente per €1,2M e offrire ai creditori il ricavato, raggiungendo 40% ai chirografari – se creditori avessero approvato, concordato omologato; se no, fallimento. In questo caso, invece, la negoziazione precoce ha permesso un successo maggiore.)

Caso 2: Ditta individuale con troppi debiti personali e aziendali
Mario è un elettricista (ditta individuale) che ha accumulato €100k di debiti: €30k con fornitori materiali elettrici, €20k con banca (prestito artigiano), €15k di cartelle esattoriali (IVA e INPS), €10k di affitto arretrato del negozio, €5k bollette, e €20k di debiti personali (prestito auto, carte di credito). Il calo di lavoro e alcune fatture non incassate l’hanno travolto. Non è fallibile per dimensioni, ma i creditori lo assillano: un fornitore ha ottenuto decreto ingiuntivo, l’Agenzia Entrate ha pignorato 1/5 del suo conto, il proprietario del negozio minaccia sfratto. Mario non possiede immobili (vive in affitto) né grosse attrezzature (ha un furgone e attrezzi modesti). Ha però un discreto avviamento e potrebbe guadagnare sui €2k netti al mese se ristruttura l’attività. Cosa fare?

  • Mario si rivolge all’OCC locale tramite la sua associazione di categoria. Un gestore esamina il caso. Dato che Mario è in parte consumatore (debiti privati) e in parte imprenditore sotto soglia, potrebbe accedere al concordato minore o al piano del consumatore. Poiché la sua attività è molto legata a lui persona, decidono per la ristrutturazione dei debiti del consumatore (così includono anche i debiti personali in un unico piano).
  • Il gestore OCC raccoglie documenti e prepara un piano per il tribunale: Mario propone di pagare €600 al mese per 5 anni ai creditori, cioè €36.000 in totale, da ripartire proporzionalmente. Ciò significa che i creditori chirografari (fornitori, banca, privati) prenderanno circa il 30% dei loro crediti, l’Agenzia Entrate e l’INPS (che hanno parte privilegiata per IVA/contributi) prenderanno magari 50%. Il gestore attesta che il piano è fattibile (Mario può sostenere €600/mese stringendo sulle spese familiari) e che i creditori non sarebbero trattati meglio da un’alternativa liquidatoria (in liquidazione controllata, vendendo furgone e attrezzi forse avrebbero €5k appena, quindi meno del 36k proposto).
  • Il piano viene presentato in tribunale. Non c’è voto dei creditori, ma molti presentano osservazioni arrabbiate (“Perché solo 30%?!”). Il gestore risponde che purtroppo Mario non ha nulla di più da offrire se non il suo lavoro futuro. Il Fisco evidenzia che c’è IVA falcidiata al 30%: il giudice verifica il rispetto dell’art. 69 CCII (che rimanda al fatto di non pregiudicare l’Erario rispetto a liquidazione).
  • Il tribunale, valutata la meritevolezza di Mario (non ha compiuto atti fraudolenti, semplicemente è stato travolto dal calo lavoro e da clienti insolventi, quindi non c’è dolo), e la convenienza per i creditori (36k meglio di quasi zero), decide di omologare il piano del consumatore. Le opposizioni dei creditori vengono rigettate.
  • A questo punto Mario inizia ad eseguire il piano: ogni mese versa €600 all’OCC che li distribuisce ai creditori secondo quanto stabilito (privilegiati prima, poi il resto pro quota). Mario continua la sua attività di elettricista con il fiato un po’ sospeso (per 5 anni dovrà stare attento a rispettare i pagamenti; eventuali nuovi debiti dovrà gestirli cash perché non può fallire questo piano).
  • Nel frattempo, il proprietario del negozio ottiene lo sfratto per morosità pregressa, ma quell’affitto arretrato è incluso nel piano e sarà pagato parzialmente. Mario si trasferisce a un laboratorio più piccolo per risparmiare. I fornitori accettano di continuare a fornirlo ma solo a pagamento anticipato, almeno finché non riconquistano fiducia.
  • Esito: Mario completa i 5 anni di pagamenti, versa i €36k. Il tribunale emette il decreto di attestazione di avvenuto adempimento e dichiara Mario esdebitato dal residuo debiti di €64k circa. Quei debiti sono cancellati: i creditori non potranno più pretenderli. Mario ha dunque un “fresh start”: ha ancora il suo lavoro e ora è libero da debiti, anche se ci sono voluti 5 anni di sforzi. Durante la procedura, tra l’altro, è rimasto padrone del suo furgone e strumenti perché il piano prevedeva che li tenesse per continuare a lavorare (i creditori chirografari hanno accettato di non vendere tutto subito in cambio di quel 30% guadagnato con il suo lavoro – principio di vantaggio reciproco).
  • Nota: se Mario avesse fallito del tutto, i creditori avrebbero forse pignorato il furgone e chiuso l’attività; Mario sarebbe finito disoccupato e pieno di debiti, magari costretto al lavoro nero. Con la procedura di sovraindebitamento, invece, si è ottenuto un risultato bilanciato: i creditori hanno incassato qualcosa in più e Mario ha potuto tornare a contribuire all’economia (e pagare tasse future).

Questi due casi mostrano come, opportunamente utilizzati, gli strumenti legali possano trasformare situazioni disperate in soluzioni gestibili e relativamente eque per tutti.

Fonti normative, giurisprudenziali e siti utili (aggiornate al 2025)

Principali norme di legge:

  • Codice Civile: art. 2086 c.c. (obbligo di assetti adeguati per rilevare la crisi); artt. 2446-2447 c.c. (riduzione capitale per perdite, spesso precursore di crisi); art. 2467 c.c. (postergazione finanziamenti soci).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14, entrato in vigore il 15/7/2022, come modificato dai decreti correttivi: D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024. Contiene:
    • Parte sulle misure di allerta e prevenzione (artt.12-25 CCII) – es. art. 15 (indicatori), 16 (strumenti informatici), 25-octies/novies (segnalazioni dei creditori pubblici).
    • Composizione negoziata (artt.17-25-septies CCII) – introdotta da DL 118/2021; art. 23 co.2-bis aggiunto da D.Lgs.136/2024 consente transazione fiscale in composizione.
    • Strumenti di regolazione stragiudiziale: art.56 (piano attestato), art.57-64 (accordi di ristrutturazione, comprese varianti: art.60-bis accordi agevolati 30%, art.61 accordi ad efficacia estesa a dissenzienti, art.63 transazione fiscale negli accordi); art.64-bis e seguenti (Piano di Ristrutturazione Omologato – PRO).
    • Concordato preventivo: art.84 (definizioni e ammissibilità; co.3 requisiti concordato liquidatorio 20%+10%); art.85 (classi); art.86-88 (contenuto piano, transazione fiscale ammessa); art.94 (voto); art.112 (omologazione, cram-down).
    • Concordato semplificato liquidatorio: art.25-sexies CCII.
    • Liquidazione giudiziale: art.121 (presupposti insolvenza); art.2 lett.c (definizione “debitore minore” sotto soglie); art.153 (esdebitazione automatica se 20%).
    • Sovraindebitamento: art.2 lett.b (definizione sovraindebitamento come squilibrio non soggetto a liquidazione giudiziale); art.65-66 (presupposti accesso sovraindebitati); art.67-73 (ristrutturazione consumatore); art.74-83 (concordato minore); art.268-277 (liquidazione controllata); art.278 (esdebitazione persona incapiente, requisiti).
    • Disposizioni penali e finali: alcune coordinate con D.Lgs.74/2000 reati tributari (es. modifica soglie e termini omesso versamento IVA).
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – formalmente abrogata dal CCII, ma rilevante per fatti anteriori e per interpretazioni giurisprudenziali pregresse. I vecchi articoli 160 (concordato) e 182-bis/ter (accordo e transazione fiscale) vengono spesso richiamati in decisioni ante 2022 che restano applicabili in sostanza: es. la transazione fiscale art.182-ter L.F., ora trasfusa in art.63 CCII.
  • Legge 3/2012 (sovraindebitamento) – anch’essa abrogata e inglobata dal CCII, ma casi pre-2022 ancora pendenti ne seguono regole simili. Ad esempio, meritevolezza valutata come da art.12 L.3/2012 per piano consumatore. Oggi articoli equivalenti nel CCII.
  • Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, DPR 917/1986) – art. 88 comma 4-ter TUIR: sopravvenienze attive da riduzione dei debiti in procedure concorsuali non concorrono a formare reddito imponibile, se la procedura rientra tra quelle previste (concordato omologato, accordo omologato, piano attestato pubblicato). Questa norma è stata interpretata estensivamente dall’Agenzia Entrate: es. Risposta AE n.222/2024 conferma che anche piani attestati ex art.56 CCII (già ex art.67 L.F.) pubblicati godono di esenzione. Dunque un riferimento chiave per il debitore: il “guadagno” derivante dal taglio dei debiti non viene tassato, altrimenti paradosso.
  • Leggi speciali:
    • D.Lgs. 270/1999 e D.L. 347/2003 (conv. L.39/2004): Amministrazione Straordinaria grandi imprese insolventi. Indicate per aziende >200 dipendenti o con rilevanza strategica. Non integrate nel CCII (che le esclude espressamente dal suo campo).
    • Legge 297/1982 e succ. mod.: intervento Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime retribuzioni in caso di insolvenza datore (valido per fallimento, concordato, liquidazione controllata).
    • D.Lgs. 74/2000 (reati tributari): art.10-bis e 10-ter (omesso versamento ritenute e IVA) – soglie €150k e €250k; D.Lgs. 8/2016 ha depenalizzato omessi contributi sotto €10k.
    • Codice Penale: artt.216-217 (bancarotta fraudolenta e semplice, per società fallite – in CCII ora 324-325 reati concorsuali), art.641 CP (insolvenza fraudolenta, reato contrattuale).
    • Normativa lavoro: L. 223/1991 integrata dal D.Lgs.148/2015 per CIGS in caso di procedure; D.L. 109/2018 (tutela occupazionale in cessione rami da fallimenti).
    • Direttiva (UE) 2019/1023 (Insolvency Directive): base del D.Lgs.83/2022 che ha introdotto PRO, misure transazione fiscale, esdebitazione incapiente, etc..

Giurisprudenza rilevante (Selezione):

  • Giurisdizione su transazione fiscale: Cass. Sez.U. 8500/2021 e più di recente Cass. 34865/2023: controversie su diniego Agenzia Entrate di aderire a transazione fiscale appartengono al giudice fallimentare ordinario, non al giudice tributario. Consegna: se Fisco rifiuta in concordato, il debitore può rivolgersi al tribunale fallimentare per cram-down, non può fare ricorso commissione tributaria.
  • Omologazione concordato con cram-down erariale: Cass. 272/2019 Sez.Unite – ha sanzionato l’ammissibilità di omologare concordati anche senza adesione Fisco se soddisfatte condizioni di legge (superando un contrasto interpretativo). Ormai principio recepito in CCII art.48 e 112.
  • Meritevolezza consumatore: Cass. 18609/2019 – definì che la “colpa grave” nell’indebitamento (es: ricorrere al credito in modo sproporzionato) può far rigettare un piano del consumatore. CCII poi ha introdotto criterio del merito creditizio punendo anche le banche incoscienti, quindi bilanciando colpa debitore e creditore.
  • Sopravvenienze da esdebitazione d’impresa: Cass. 262/2021 (CTR Lombardia) e varie Commissioni Tributarie – confermate non imponibilità fiscale di riduzioni debiti in concordato anche per IVA, riconoscendo prevalenza norma TUIR 88(4-ter).
  • Concordato semplificato: prime applicazioni da Tribunali, es. Tribunale di Roma 22/3/2022, Tribunale di Vasto 11/12/2024 (quest’ultimo citato: omologato accordo di ristrutturazione con cram-down fiscale). Giurisprudenza ancora scarsa perché nuovo.
  • Reati concorsuali: Cass. Pen. 12039/2022 – crisi di impresa non esime da dolo eventuale in bancarotta preferenziale se paga solo taluni creditori; Cass. Pen. 3455/2020 – afferma che la convenienza del concordato per il fisco non esclude comunque il reato di omesso versamento se elementi integri fattispecie (ma ravvedimento operoso in costanza procedura può escludere punibilità).
  • Sent. Corte Cost. 6/2015 – aveva dichiarato illegittimo divieto falcidia IVA in concordato, aprendo di fatto alle novità normative successive.
  • Giurisprudenza europea: Corte di Giustizia UE C-198/17 (Feniks) su trust come procedure concorsuali, irrilevante qui; la direttiva 2019/1023 genererà in futuro pronunce su cross-class cram down e ristrutturazioni preventive.

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