Studio Legale Per Risoluzione Crisi Di Impresa

Hai un’azienda in difficoltà, con debiti verso banche, fornitori, INPS o Agenzia delle Entrate? Ti trovi nel pieno di una crisi di impresa e non sai a chi rivolgerti per evitare il fallimento, salvare l’attività e ristrutturare i debiti in modo legale?

La legge oggi offre strumenti concreti per affrontare la crisi, fermare i creditori e riorganizzare l’azienda in modo sostenibile. Ma servono competenze specifiche: non basta un commercialista o un consulente generico. Serve uno studio legale specializzato in crisi d’impresa, che conosca a fondo le regole del Codice della Crisi e sappia come negoziare, proteggere e rilanciare l’azienda.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario, ristrutturazione del debito e composizione della crisi d’impresa – ti spiega come può aiutarti un avvocato specializzato, quali strumenti puoi attivare, e cosa fare subito per evitare la chiusura dell’attività e responsabilità personali.

Hai un’impresa in crisi e vuoi sapere quali strumenti legali puoi attivare per salvare tutto?

Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, studio legale specializzato nella risoluzione della crisi d’impresa. Analizzeremo la tua situazione in modo approfondito e ti guideremo passo passo per bloccare i creditori, evitare la chiusura e ristrutturare il debito nel rispetto della legge. Non aspettare che sia troppo tardi: la ripartenza comincia da una strategia legale efficace.

Introduzione

La crisi d’impresa è una fase delicata nella vita di un’azienda, in cui l’equilibrio economico-finanziario risulta compromesso e il rischio di insolvenza diventa concreto. In tali frangenti, rivolgersi a uno studio legale specializzato nella risoluzione della crisi d’impresa è fondamentale per valutare le soluzioni disponibili e tutelare al meglio gli interessi del debitore. Questo tipo di studio offre competenze legali avanzate nel diritto fallimentare e della ristrutturazione aziendale, guidando imprenditori, professionisti e privati attraverso strumenti sia stragiudiziali (fuori dal tribunale) sia giudiziali (procedure concorsuali formali) per superare la crisi. La presente guida – aggiornata a giugno 2025 – fornisce una panoramica approfondita, dal punto di vista del debitore, su ciò che uno studio legale specializzato come Studio Monardo può fare per risolvere la crisi d’impresa.

Affronteremo innanzitutto i servizi offerti da tali studi in favore di tutte le tipologie di imprese (dalle piccole imprese individuali e artigiane, alle PMI, fino alle società di capitali, cooperative e startup innovative). Successivamente, esamineremo gli strumenti di regolazione della crisi d’impresa previsti dall’ordinamento italiano, distinguendo tra soluzioni stragiudiziali (come la composizione negoziata, il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione) e soluzioni concorsuali giudiziali (come il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale) – senza dimenticare le procedure dedicate ai soggetti non fallibili (sovraindebitamento, concordato minore, ecc.). Verranno presentati i riferimenti normativi aggiornati (in particolare il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) e le principali novità giurisprudenziali di merito e di legittimità fino al 2025, con analisi di sentenze significative. Troverete inoltre tabelle comparative tra i vari strumenti (con relativi vantaggi, requisiti e procedure), una sezione di FAQ (domande ricorrenti) dal punto di vista del debitore, nonché alcune simulazioni pratiche di situazioni tipo (es. una PMI indebitata verso banche e fornitori, una startup pre-revenue in difficoltà, un artigiano sovraindebitato). Infine, mettiamo a disposizione fac-simile di atti e modelli utili (come l’istanza di accesso alla composizione negoziata, una proposta di accordo di ristrutturazione, un piano attestato e la domanda di concordato), e una sezione finale con tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate.

Panoramica dei servizi offerti dallo studio legale specializzato nella crisi d’impresa come Studio Monardo

Uno studio legale specializzato in crisi d’impresa affianca il debitore in ogni fase della gestione della crisi, dalla prevenzione del dissesto fino all’eventuale ristrutturazione o liquidazione. I servizi offerti sono altamente personalizzati e multidisciplinari, poiché la crisi d’impresa coinvolge aspetti legali, finanziari e aziendalistici. Di seguito, forniamo una panoramica dei principali servizi che uno studio legale di questo tipo offre – adattabili a qualsiasi tipologia di impresa, siano esse micro-imprese individuali, PMI, società di capitali (S.r.l., S.p.A.), cooperative, imprese artigiane o startup innovative:

  • Analisi preventiva e consulenza strategica: Gli avvocati esaminano la situazione economico-finanziaria dell’impresa (anche collaborando con commercialisti o advisor finanziari) per individuare i segnali di crisi ed evitare che l’azienda scivoli in insolvenza conclamata. Vengono analizzati i bilanci, la posizione debitoria (verso banche, fornitori, fisco, dipendenti, ecc.) e valutati gli indici di allerta. Sulla base di questa due diligence, lo studio legale consiglia la strategia migliore: ad esempio, se sia opportuno tentare una soluzione stragiudiziale e negoziata con i creditori, oppure accedere a una procedura concorsuale per congelare le azioni esecutive e ristrutturare il debito sotto l’egida del tribunale.
  • Pianificazione degli strumenti di risanamento: Una volta scelta la strategia, lo studio supporta il debitore nella predisposizione del piano di risanamento o della proposta di accordo più idonea. Ciò include la redazione del piano industriale e finanziario volto a superare la crisi (con misure come ristrutturazione del debito, dilazioni di pagamento, aumento di capitale, ricerca di nuovi investitori, cessioni di rami d’azienda, taglio dei costi, ecc.) e l’individuazione del percorso legale adeguato (es. piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII, accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII, concordato preventivo o altra procedura). Gli avvocati coordinano eventuali professionisti attestatori indipendenti (richiesti per alcuni strumenti, come vedremo) e curano tutti gli aspetti formali richiesti dalla legge (ad es., allegati documentali, attestazioni, depositi presso il registro delle imprese o il tribunale).
  • Negoziazione con i creditori e gestione delle trattative: Uno dei ruoli chiave dello studio è interfacciarsi con i creditori (banche, fornitori strategici, Agente della Riscossione per i debiti fiscali, enti previdenziali, ecc.) per trovare soluzioni concordate. Il debitore, assistito dai legali, può ad esempio proporre ai creditori un accordo stragiudiziale di ristrutturazione del debito (offrendo il pagamento parziale dei crediti, garanzie, equity o altre forme di soddisfazione) per evitare misure più drastiche. In tale contesto, lo studio prepara le proposte formali da sottoporre a ciascun creditore o gruppi di creditori, conduce le trattative e cerca di ottenere il consenso necessario. Se la negoziazione avviene nell’ambito della Composizione Negoziata (strumento introdotto nel 2021), l’avvocato collabora con l’esperto indipendente nominato per facilitare le trattative e può richiedere al tribunale eventuali misure protettive (come il blocco temporaneo delle azioni esecutive) per dare respiro all’impresa.
  • Assistenza nelle procedure giudiziali concorsuali: Se la soluzione extragiudiziale non è praticabile o fallisce, lo studio legale rappresenta il debitore nelle procedure concorsuali avanti al tribunale. Ciò include la preparazione e il deposito della domanda di concordato preventivo (anche in “concordato con riserva” o concordato in bianco, ove si deposita inizialmente la sola richiesta per ottenere protezione e poi si presenta il piano entro termini fissati dal giudice), oppure l’istanza di apertura della liquidazione giudiziale (l’equivalente del vecchio fallimento) quando si rende inevitabile. Gli avvocati si occupano di tutte le memorie e istanze nel corso della procedura concorsuale, difendono il piano di concordato avanti al giudice delegato e al commissario giudiziale, contrastano eventuali opposizioni dei creditori e curano gli aspetti tecnici (ad esempio, la formazione delle classi di creditori nel concordato, il rispetto della par condicio creditorum, ecc.). In caso di liquidazione giudiziale, assistono l’imprenditore durante la fase di spossessamento, interagendo con il curatore fallimentare per assicurare una gestione ordinata e verificare le insinuazioni al passivo, e si adoperano per richiedere al termine l’esdebitazione del debitore (la liberazione dai debiti residui).
  • Consulenza su responsabilità personali e aspetti penali: Un aspetto cruciale per gli imprenditori (specie amministratori di società) è la propria responsabilità durante la crisi. Lo studio legale fornisce consulenza per limitare i rischi di responsabilità civile o penale connessi alla gestione dell’impresa in crisi, ad esempio indicando come evitare l’aggravamento fraudolento del dissesto, come comportarsi per non incorrere in reati concorsuali (bancarotta preferenziale, bancarotta fraudolenta, false comunicazioni sociali, ecc.), e come ottemperare agli obblighi di legge (come quelli sugli assetti organizzativi adeguati introdotti dal Codice della Crisi). In caso di procedure concorsuali, gli avvocati tutelano il debitore in possibili azioni di responsabilità o istanze di fallimento in estensione, e difendono l’imprenditore da eventuali contestazioni penali derivanti dalla crisi (ad es. bancarotta).
  • Supporto per soggetti non fallibili (sovraindebitamento): Gli studi specializzati aiutano anche persone fisiche, professionisti, imprenditori agricoli o piccole imprese sotto soglia che, pur essendo escluse dalle procedure fallimentari ordinarie, versano in una situazione di grave indebitamento (il cosiddetto sovraindebitamento). In questi casi, lo studio assiste il debitore nell’accesso alle procedure ad hoc previste (come il piano di ristrutturazione del consumatore, il concordato minore o la liquidazione controllata del sovraindebitato) supportandolo nella predisposizione della proposta da presentare all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) competente e al tribunale. I legali assicurano che il piano soddisfi i requisiti di legge (es. meritevolezza del debitore, rispetto del best interest dei creditori) e rappresentano il debitore nell’udienza di omologazione, nonché in eventuali contestazioni dei creditori. Inoltre, si occupano di ottenere l’esdebitazione finale, ossia la cancellazione dei debiti residui a chiusura della procedura (anche nell’ipotesi particolare di debitore incapiente, introdotta dalla riforma del 2021-2022, in cui il debitore onesto ma senza alcuna risorsa ottiene l’esdebitazione senza dover offrire nulla ai creditori).

In sintesi, lo studio legale per la crisi d’impresa svolge il ruolo di “regista” dell’intero processo di risanamento o liquidazione, assicurando che il debitore conosca e sappia sfruttare tutti gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione. Dalla negoziazione privata all’assistenza in tribunale, dall’adempimento di formalità burocratiche (depositi al registro imprese, comunicazioni ai creditori) alla consulenza strategica, i professionisti legali specializzati garantiscono che ogni passo sia compiuto nel rispetto della legge e con il massimo vantaggio per l’imprenditore in difficoltà. Ciò è particolarmente importante in un contesto normativo in evoluzione, come quello italiano degli ultimi anni, caratterizzato dall’entrata in vigore del Codice della Crisi (in vigore dal 15 luglio 2022) e dai successivi interventi correttivi e attuativi della direttiva europea sull’insolvenza. Nel prosieguo della guida, passeremo in rassegna i principali strumenti giuridici di regolazione della crisi, evidenziando per ciascuno di essi finalità, presupposti, procedura, vantaggi e limiti dal punto di vista del debitore.

Strumenti di gestione della crisi d’impresa: soluzioni giudiziali e stragiudiziali

Il diritto italiano mette a disposizione dell’imprenditore una pluralità di strumenti per affrontare la crisi d’impresa, che spaziano da soluzioni stragiudiziali volontarie (accordi privati con i creditori) a procedure concorsuali giudiziali (attivate con l’ausilio o sotto il controllo del tribunale). La scelta dello strumento dipende dalla gravità della crisi, dal livello di consenso dei creditori che si può presumere di ottenere, dalla necessità o meno di misure protettive e dagli obiettivi del debitore (continuare l’attività o cessarla liquidando il patrimonio). In questa sezione analizziamo i principali strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – aggiornato dai decreti correttivi più recenti – adottando il punto di vista del debitore che intende utilizzarli con l’assistenza del proprio studio legale.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La Composizione Negoziata è una procedura volontaria e stragiudiziale, introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinata dagli artt. 17-25 CCII, concepita per aiutare le imprese in difficoltà a negoziare una soluzione con i creditori prima di dover ricorrere a procedure concorsuali formali. Si tratta di un percorso riservato (non è pubblico come un fallimento o un concordato) in cui l’imprenditore mantiene la gestione dell’azienda (non c’è spossessamento dei beni) e viene affiancato da un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio.

Finalità e vantaggi per il debitore: L’obiettivo principale della composizione negoziata è risanare l’impresa o evitare il tracollo tramite accordi con i creditori, prima che lo stato di insolvenza diventi irreversibile. Il vantaggio per il debitore consiste nel poter avviare trattative protette – è possibile infatti chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive che sospendono temporaneamente le azioni esecutive e cautelari dei creditori (ad es. pignoramenti, decreti ingiuntivi) durante le trattative. Inoltre, l’impresa può ottenere dal tribunale autorizzazioni specifiche, come contrarre finanziamenti prededucibili o trasferire beni aziendali senza incorrere in revocatorie, al fine di favorire il risanamento. Importante: nella composizione negoziata non si ha il voto dei creditori né un’omologazione giudiziale di un piano, poiché non è una procedura concorsuale, ma eventuali accordi raggiunti restano di natura contrattuale (salvo il caso in cui si sfocino in un successivo accordo omologato o concordato). Questo garantisce flessibilità e minor pubblicità, ma significa anche che il successo dipende interamente dalla volontà delle parti di trovare un accordo.

Accesso e requisiti: Possono accedere alla composizione negoziata tutte le imprese commerciali o agricole, di qualsiasi dimensione, incluse le PMI e gli imprenditori sotto-soglia che non sarebbero soggetti a fallimento. È necessario che l’impresa versi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma non è richiesto che sia già insolvente: anzi, la composizione può essere attivata anche in fase di pre-crisi per prevenire il dissesto. Il debitore presenta un’istanza tramite la piattaforma telematica dedicata (gestita dalle Camere di Commercio) in cui descrive la situazione aziendale, indica le cause della difficoltà e allega documenti come ultimi bilanci, elenco creditori, una bozza di piano di risanamento e le misure che si intendono adottare. Uno specifico algoritmo di autodiagnosi sulla piattaforma aiuta l’imprenditore a valutare il grado di rischio. La commissione istituita presso la Camera di Commercio nomina quindi un esperto indipendente (scelto da un elenco nazionale di professionisti qualificati) che, entro 2 giorni, viene incaricato di gestire la procedura (art. 17 CCII).

Ruolo dell’esperto e svolgimento delle trattative: L’esperto indipendente è una figura terza (tipicamente un commercialista, avvocato o consulente d’azienda con specifica formazione) che ha il compito di facilitare le trattative tra debitore e creditori, verificando la fattibilità delle soluzioni di risanamento. L’esperto convoca l’imprenditore e, se opportuno, i creditori chiave, e valuta insieme a loro le possibili opzioni: dalla rinegoziazione dei debiti esistenti alla ricerca di nuova finanza o investitori, fino a operazioni sul capitale. Le trattative si svolgono in modo riservato. Durante il periodo della composizione (che ha una durata iniziale di 180 giorni, prorogabile di ulteriori 180), l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda ma è tenuto ad informare l’esperto di atti di straordinaria amministrazione eventualmente compiuti e a gestire con correttezza la sua posizione (il CCII sanziona eventuali condotte in mala fede durante la procedura).

Misure protettive e loro effetti: Contestualmente all’istanza di nomina dell’esperto, o anche successivamente, il debitore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive (art. 18 CCII). Il tribunale, valutati sommariamente i presupposti (ad es. che l’impresa non sia già compromessa irrimediabilmente), può emettere un decreto che inibisce ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari per tutta la durata delle trattative (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili). In pratica, i creditori non possono pignorare beni né risolvere unilateralmente contratti essenziali, né acquisire cause di prelazione durante la protezione. Questo “ombrello” consente all’impresa di avere respiro temporale per negoziare senza la pressione dei creditori aggressivi. Le misure protettive possono essere revocate su istanza dei creditori se emergono abusi (ad es. se il debitore le ha ottenute in malafede). È previsto inoltre un controllo sul rispetto degli obblighi fiscali e contributivi correnti: il debitore in composizione negoziata deve pagare i debiti nel frattempo sorti per IVA e ritenute, altrimenti le misure protettive decadono (salvo autorizzazione del tribunale a dilazionare tali pagamenti).

Esito della composizione negoziata: Le trattative possono concludersi con diversi esiti:

  • Raggiungimento di un accordo stragiudiziale con i creditori: Ad esempio, l’impresa può sottoscrivere una moratoria dei debiti con le banche, un accordo di saldo e stralcio con alcuni fornitori, o altri accordi bilaterali/multilaterali che, complessivamente, riportino l’azienda in equilibrio. Tali accordi privatistici possono rimanere riservati oppure, se lo si ritiene opportuno (ad esempio per proteggere da azioni revocatorie), essere pubblicati nel registro delle imprese insieme al piano attestato di risanamento eventualmente predisposto. L’esperto redige una relazione finale in cui dà atto dell’esito positivo.
  • Accesso a una procedura concorsuale “ordinaria”: Se dalle trattative emerge che è necessario un intervento dell’autorità giudiziaria (ad es. per imporre la ristrutturazione anche ai dissenzienti), il debitore – di concerto con l’esperto – può decidere di depositare un accordo di ristrutturazione dei debiti da omologare in tribunale (si veda oltre) oppure un ricorso per concordato preventivo. In tal caso, la composizione negoziata funge da “preparazione” della procedura: spesso, le trattative condotte con l’esperto facilitano il successivo voto dei creditori in concordato o l’adesione formale all’accordo omologato.
  • Mancato accordo e uscita dalla crisi non riuscita: Può accadere che, nonostante l’assistenza dell’esperto, l’impresa non riesca a trovare una soluzione con i creditori (ad es. perché il debito è troppo elevato o i creditori non hanno fiducia nel piano proposto). In tal caso l’esperto lo attesta nella relazione finale, dichiarando che le trattative si sono svolte correttamente ma senza esito positivo. Tuttavia, il debitore ha un’ultima possibilità introdotta dalla normativa: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Ai sensi dell’art. 25-sexies CCII, se la composizione negoziata fallisce, l’imprenditore entro 60 giorni può proporre al tribunale un concordato semplificato liquidatorio, cioè una cessione dei propri beni con nomina di un ausiliario e omologazione giudiziale senza necessità di voto dei creditori. Si tratta di uno strumento speciale liquidatorio (non consente la continuazione dell’attività se non per il realizzo dell’attivo), pensato per evitare il fallimento quando la composizione non ha funzionato: il tribunale omologa la proposta se ritiene che i creditori riceveranno non meno di quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale e se la procedura è stata correttamente svolta. In pratica, il concordato semplificato consente al debitore di chiudere la crisi in modo controllato e più rapido del fallimento, senza passare dal voto dei creditori, ma solo a condizione che si sia davvero tentata la via negoziata (è richiesto infatti il “lasciapassare” della relazione finale positiva dell’esperto).

Novità normative 2024-2025: La disciplina della composizione negoziata è stata rafforzata e chiarita dai recenti interventi normativi. In particolare, il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. “terzo correttivo”) ha ampliato l’accesso e migliorato l’efficacia di questo strumento. Ad esempio:

  • È ora consentito accedere alla composizione negoziata anche se pende una istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) presentata da un creditore: in passato alcuni tribunali negavano l’accesso in tali casi, temendo usi dilatori, ma il correttivo ha stabilito che il divieto vale solo se la domanda di liquidazione era stata presentata dallo stesso debitore nei 4 mesi precedenti. Di conseguenza, come notato da sentenze successive, oggi un’impresa può avviare la composizione negoziata anche se un creditore ha chiesto il suo fallimento, purché vi siano concrete chances di risanamento e le trattative siano condotte in buona fede. Resta vietata invece l’attivazione se il debitore, poco prima, ha ritirato una propria domanda concorsuale (anche un concordato in bianco) al solo scopo di guadagnare tempo.
  • La composizione negoziata è stata espressamente aperta anche a soggetti prima esclusi dalle procedure concorsuali tradizionali, come gli imprenditori agricoli. Difatti, un tribunale ha rilevato che già la formulazione del CCII lo consentiva e, ad esempio, il Tribunale di Siena con decreto 6 giugno 2024 ha ammesso un imprenditore agricolo alla composizione negoziata, confermando che anche le imprese agricole e le piccole imprese (non fallibili) possono avvalersi di questo strumento.
  • Sono state introdotte norme per rendere la procedura più flessibile e trasparente, rafforzando il ruolo dell’esperto (che oggi deve avere requisiti di competenza ancora più stringenti) e dotandolo di maggiori poteri per condurre efficacemente le trattative. Ad esempio, il correttivo ha chiarito che l’esperto non può concordare parcelle anticipate con il debitore: qualsiasi accordo sul compenso nei primi 120 giorni è nullo, per evitare commistioni e garantire l’indipendenza.
  • Sul fronte fiscale, le riforme 2022-2024 hanno previsto incentivi e misure premiali per chi accede alla composizione negoziata, come esenzioni da alcune imposte e agevolazioni tributarie sulle nuove finanze apportate, al fine di incoraggiare l’uso dello strumento (che nella prima fase ha registrato un’applicazione pratica piuttosto limitata).

Novità giurisprudenziali: Anche la giurisprudenza ha contribuito a definire i confini della composizione negoziata. Oltre ai casi già citati in tema di ammissibilità con istanza di fallimento pendente e soggetti agricoli, segnaliamo che i tribunali stanno sviluppando prassi uniformi, ad esempio:

  • Alcuni protocolli suggeriscono che nelle trattative l’esperto rediga verbali periodici sugli incontri e sulle proposte discusse, per documentare la buona fede negoziale.
  • Sul tema delle grandi imprese e gruppi, si sono avute applicazioni coordinate: l’art. 25, co. 6 CCII consente la composizione negoziata unitaria per gruppi di imprese e alcune pronunce (es. Tribunale di Milano) hanno gestito la crisi di più società dello stesso gruppo con un unico esperto e un approccio centralizzato, evitando duplicazioni.
  • Circa le banche e i rapporti bancari, si è chiarito che la concessione o mantenimento di linee di credito durante la composizione negoziata non costituisce automatico nuovo finanziamento prededucibile a meno di specifica autorizzazione. Le banche mantengono la facoltà di revocare affidamenti in corso? La legge prevede un divieto di revoca dei fidi bancari durante le trattative se la revoca è basata solo sull’avvio della composizione (obbligo di comportamento in buona fede).
  • Infine, in tema di soluzioni individuate, alcuni tribunali hanno evidenziato che l’esperto nella relazione finale può raccomandare la soluzione migliore tra quelle esaminate. Se il debitore non la persegue (ad esempio, l’esperto suggerisce un concordato ma il debitore non lo deposita), ciò può rilevare in eventuali future azioni di responsabilità.

In conclusione, la Composizione Negoziata rappresenta per il debitore una opportunità di mediazione tempestiva con i creditori, sfruttando un ombrello protettivo ma evitando il peso di una procedura concorsuale. Uno studio legale specializzato è essenziale per preparare un’istanza completa e ben documentata, condurre le trattative in modo efficace e – se possibile – chiudere accordi soddisfacenti. In caso di esito negativo, lo studio guiderà comunque l’imprenditore verso l’uscita ordinata attraverso il concordato semplificato o le altre procedure concorsuali, limitando i danni e proteggendo il più possibile il patrimonio residuo.

Piano attestato di risanamento

Il Piano attestato di risanamento (spesso abbreviato in PAR) è uno strumento negoziale e stragiudiziale previsto per consentire all’impresa in crisi di ristrutturare il proprio debito e riequilibrare la situazione finanziaria senza l’intervento diretto del tribunale. Introdotto originariamente nel 2005 (art. 67, co. 3, lett. d) Legge Fallimentare) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII, il piano attestato consiste in un piano di risanamento aziendale predisposto dall’imprenditore, corredato da una attestazione di veridicità e fattibilità rilasciata da un professionista indipendente (attestatore), e rivolto ai creditori al fine di ottenerne il consenso spontaneo alle misure di ristrutturazione proposte. A differenza di un concordato, il piano attestato non comporta effetti concorsuali: non c’è spossessamento, non c’è omologazione in tribunale, e i creditori non sono obbligati per legge ad accettarlo (devono aderirvi volontariamente). Ciò comporta maggiore flessibilità e riservatezza, ma anche che il successo dipende dal convincimento dei creditori e il piano, di per sé, non può imporre sacrifici ai dissenzienti.

Quando utilizzarlo – presupposti: Il piano attestato è indicato quando l’impresa ritiene di poter superare la crisi mediante accordi volontari con tutti o la gran parte dei creditori, senza la necessità di una moratoria forzosa o di cram-down giudiziali. Tipicamente, viene usato in situazioni di crisi non ancora irreversibile, dove c’è fiducia da parte dei creditori nella buona fede dell’impresa e nel suo piano di rilancio. Il CCII richiede che l’imprenditore sia in stato di crisi o insolvenza (anche qui, “crisi” è intesa come probabilità di futura insolvenza), ma in pratica il piano attestato può essere approntato anche in situazioni di tensione finanziaria incipiente. Non ci sono soglie di debito o dimensionali: anche grandi imprese possono ricorrervi (anzi, spesso è preferito da grandi gruppi che vogliono evitare la pubblicità di un concordato). Sono escluse solo le categorie di debitori che non hanno accesso alle procedure concorsuali e non possono offrire garanzie di successo: ad esempio, l’uso del piano attestato per soggetti non fallibili è teoricamente possibile, ma in pratica un piccolo imprenditore agricolo o artigiano sotto-soglia difficilmente convincerà i creditori senza l’ombrello di un tribunale.

Contenuto del piano: Il piano di risanamento è un documento articolato che descrive:

  • la situazione attuale dell’impresa (analisi delle cause della crisi, esposizione debitoria, stato patrimoniale ed economico);
  • le misure previste per il risanamento (es. rinegoziazione dei debiti, aumento dei ricavi tramite nuovi contratti, taglio di costi, cessione di asset non strategici, apporto di nuova finanza da soci o terzi, ecc.);
  • i tempi e modi di attuazione di queste misure;
  • le proiezioni finanziarie per i prossimi anni (piano finanziario e industriale) che mostrano come l’azienda tornerà in equilibrio e sarà in grado di pagare i creditori secondo l’accordo;
  • l’indicazione dei creditori coinvolti e delle proposte fatte a ciascuno (ad esempio: pagamento integrale ma dilazionato su 5 anni per le banche, stralcio del 20% ai fornitori chirografari da pagarsi entro 2 anni, conversione di parte dei crediti in capitale, ecc.);
  • eventuali accordi già sottoscritti con taluni creditori (allegandoli in forma di scrittura privata o atto pubblico, se disponibili).

Attestazione del professionista indipendente: La caratteristica peculiare del piano attestato è la presenza di una relazione di attestazione redatta da un professionista indipendente nominato dal debitore (solitamente un commercialista o revisore esperto in crisi d’impresa). Questo attestatore deve verificare due aspetti fondamentali:

  1. Veridicità dei dati aziendali: Deve confermare che i numeri riportati nel piano (bilanci, debiti, crediti, valori di realizzo degli asset) sono veri, corretti e derivano da una contabilità affidabile.
  2. Fattibilità del piano: Deve esprimere un giudizio sulla ragionevole attuabilità del piano, ossia se le misure proposte sono idonee a risanare l’impresa e garantire il regolare pagamento dei creditori secondo quanto previsto. Non serve certezza assoluta di successo, ma il piano deve apparire concretamente realizzabile nelle condizioni date.

L’attestatore si assume una notevole responsabilità: risponde anche penalmente in caso di false attestazioni (ad esempio, se nasconde informazioni o avalla piani irrealistici può incorrere nel reato di falso in attestazioni e, in concorso, in bancarotta fraudolenta). La sua relazione è cruciale per dare credibilità al piano agli occhi dei creditori: un creditore sarà più propenso ad aderire se un esperto indipendente certifica che il piano è serio e che aderendo ha buone probabilità di essere soddisfatto meglio che in uno scenario liquidatorio.

Procedura e formalità: Il piano attestato non richiede l’intervento del tribunale per essere efficace. Tuttavia, per ottenere alcuni benefici di legge, è opportuno che il piano e l’attestazione vengano pubblicati nel Registro delle Imprese (art. 56, co. 2 CCII). La pubblicazione conferisce data certa e opponibilità ai terzi, ed è condizione per poter invocare la protezione dalle azioni revocatorie fallimentari: infatti, gli atti e pagamenti eseguiti in esecuzione di un piano attestato pubblicato non sono soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento dell’impresa, a condizione che il piano abbia effettivamente consentito il risanamento dell’esposizione debitoria. Questo scudo incentivante è fondamentale: ad esempio, una banca che rinuncia a parte del credito o concede nuova finanza in base al piano non rischierà poi di vedersi contestare l’atto come pagamento preferenziale se il piano era corretto. Per la pubblicazione, il piano deve essere accompagnato dalla dichiarazione di un notaio o di un altro pubblico ufficiale che attesti la conformità degli originali allegati, secondo quanto previsto dalla normativa (spesso il tutto viene depositato con un verbale notarile di deposito degli atti).

Non essendoci omologa, l’adesione dei creditori al piano attestato avviene su base volontaria e individuale. In pratica, l’impresa propone a ciascun creditore (o categoria di creditori) le condizioni di ristrutturazione; se il creditore accetta, formalizzerà un accordo bilaterale (ad esempio un accordo modificativo del contratto di mutuo, o una remissione parziale del debito firmata). Non c’è un quorum legale da raggiungere, ma evidentemente il piano funziona solo se aderiscono tutti o quasi tutti i creditori rilevanti. È possibile che alcuni piccoli creditori restino estranei: in tal caso il debitore dovrà comunque onorare i loro crediti per intero alle scadenze originarie, perché nulla li obbliga ad accettare riduzioni.

Vantaggi per il debitore: Il piano attestato, dal punto di vista dell’imprenditore, offre vari vantaggi:

  • Rapidità e minori costi: Non essendoci procedure giudiziali lunghe, il piano può essere negoziato e attuato in tempi relativamente brevi. I costi si limitano a quelli del professionista attestatore e degli eventuali consulenti coinvolti, evitando le spese di una procedura concorsuale (con tribunale, commissari, ecc.).
  • Riservatezza e continuità: Il piano non è pubblicizzato (tranne la mera pubblicazione del documento al registro imprese, che però non ha la risonanza di un fallimento). L’azienda continua ad operare normalmente durante la predisposizione e l’esecuzione del piano, senza la stigma di essere “in procedura concorsuale”. Questo può preservare rapporti commerciali e reputazione.
  • Flessibilità delle soluzioni: Si può personalizzare ogni accordo con i singoli creditori. Non serve uniformare trattamenti come in concordato, né rispettare rigide regole di graduazione se i creditori acconsentono diversamente (fermo restando che, per evitare future contestazioni, di solito si cerca di non penalizzare eccessivamente alcuni rispetto ad altri).
  • Protezione dagli effetti distruttivi del fallimento: Se il piano riesce, l’impresa evita il fallimento e prosegue la sua attività risanata. E come detto, anche se successivamente qualcosa andasse storto, almeno gli atti compiuti in base al piano attestato sono protetti da revocatoria, quindi chi ha fatto affari con l’azienda nel frattempo è più tutelato.

Limiti e rischi: D’altro canto, vi sono anche limiti:

  • Nessun effetto vincolante sui dissenzienti: Un creditore che non voglia aderire mantiene intatti i suoi diritti. Ciò significa che basta anche un singolo creditore (magari un banco creditore ipotecario, o l’Erario) che si chiami fuori perché il piano rischi di fallire. Il debitore deve quindi riuscire a convincere la totalità (o la quasi totalità) dei creditori ad aderire – il che richiede una posizione negoziale forte o soluzioni molto equilibrate.
  • Nessuna protezione integrale dalle azioni esecutive: Diversamente dal concordato o dall’accordo omologato, qui non c’è automatic stay generale con effetto erga omnes. Se un creditore decide di agire esecutivamente (ad es. pignorare un bene) e non vuole attendere il piano, in teoria potrebbe farlo. In pratica, durante le trattative per un piano attestato i debitori spesso cercano accordi moratori individuali con i creditori, ma non c’è un divieto legale generale.
  • Necessità di un’attestazione solida: L’attestatore deve potersi esprimere positivamente. Se l’indipendente ritiene che il piano non sia fattibile o i dati siano poco attendibili, potrebbe negare l’attestazione; senza di essa il piano attestato perde efficacia protettiva (sarebbe un piano qualsiasi, con rischio revocatorie). Quindi l’impresa deve collaborare pienamente con l’attestatore fornendo tutte le informazioni e, se necessario, rivedere il piano secondo le indicazioni di quest’ultimo.
  • Possibile responsabilità per false informazioni: Se in seguito il piano dovesse risultare basato su dati falsi o fuorvianti forniti dall’imprenditore (e l’attestatore non se ne è accorto), l’imprenditore potrebbe subire azioni revocatorie o persino penali (per avere ottenuto ad esempio finanziamenti in base a un piano mendace). Quindi la veridicità è essenziale per non aggravare la situazione.

Rapporti con altri strumenti: Il piano attestato può essere visto come complementare rispetto ad altri strumenti. Ad esempio, l’impresa potrebbe iniziare con una composizione negoziata e poi formalizzare gli accordi in un piano attestato. Oppure, laddove non tutti i creditori aderiscano, il piano può trasformarsi in un accordo di ristrutturazione omologato per includere forzosamente la minoranza dissenziente (vedi infra, accordi ad efficacia estesa). Va notato però che piano attestato e accordo di ristrutturazione sono mutuamente esclusivi nel senso che lo stesso debitore decide se perseguire una strada totalmente privata (piano attestato) o fare il salto verso l’omologazione giudiziale se necessaria.

La legge prevede anche un particolare tipo di piano affine al piano attestato ma con controllo giudiziale: il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), di cui diremo più avanti, che è una novità del CCII atta a implementare la direttiva UE 2019/1023. In sostanza, il PRO è un piano che viene presentato al tribunale per l’omologazione senza passare per il voto dei creditori, a certe condizioni di consenso per classi – una sorta di via di mezzo tra accordo e concordato.

Giurisprudenza rilevante: Sul piano attestato in sé la giurisprudenza soprattutto affronta casi di revocatoria fallimentare di atti avvenuti durante il piano: in passato la Cassazione ha chiarito che la protezione dalla revocatoria opera solo se il piano è idoneo realmente a risanare (Cass. 1521/2013). Con il nuovo codice, la formulazione sembra offrire maggior certezza di esenzione se il piano è pubblicato e attestato. Vi sono state anche pronunce in tema di responsabilità dell’attestatore (ad esempio, condanne per attestazioni grossolanamente errate) e sul concorso dell’attestatore in eventuali reati del debitore (Cass. Pen. 35845/2021 evidenziò la responsabilità penale dell’attestatore connivente in un falso piano). Dal lato del debitore, invece, sentenze hanno sottolineato che l’imprenditore conserva piena autonomia gestionale durante il piano attestato ma deve comunque rispettare gli obblighi civilistici di corretta amministrazione: se aggrava volontariamente il dissesto mentre è in corso il piano, potrà rispondere di mala gestio.

In conclusione, il piano attestato di risanamento è uno strumento “soft” che un buon studio legale può consigliare quando l’azienda ha prospettive concrete di ripresa e un rapporto relativamente collaborativo con i propri creditori. Lo studio seguirà passo passo il debitore: dalla predisposizione del piano insieme ai consulenti aziendali, alla selezione dell’attestatore indipendente adatto, fino alla negoziazione delle singole adesioni e all’esecuzione del piano stesso. È un percorso che richiede fiducia e trasparenza reciproca tra debitore e creditori, e dove la credibilità fornita dall’attestazione indipendente è decisiva per il buon esito.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti rappresentano uno strumento “ibrido”, a metà strada tra il piano puramente privato e la procedura concorsuale. Previsti inizialmente dall’art. 182-bis della Legge Fallimentare ed evolutisi nel tempo, oggi sono disciplinati dagli artt. 57 e seguenti CCII. Si tratta sostanzialmente di accordi negoziati con una parte significativa dei creditori, che vengono poi sottoposti all’omologazione del tribunale per acquisire efficacia anche verso i creditori dissenzienti o estranei. In altre parole, l’imprenditore in crisi cerca l’adesione di una maggioranza qualificata di creditori al suo piano di ristrutturazione e, se la ottiene, chiede al tribunale di omologare l’accordo, rendendolo vincolante ed efficace erga omnes (con certi limiti verso chi non ha aderito). L’obiettivo è facilitare il risanamento dell’azienda evitando procedure più complesse come il concordato, ma al contempo avere una “patente” giudiziaria che dà certezza e stabilità agli accordi raggiunti.

Vantaggi e finalità per il debitore: Dal punto di vista del debitore, l’accordo di ristrutturazione offre innanzitutto la possibilità di negoziare in modo flessibile con i creditori (è un accordo contrattuale, quindi c’è libertà negoziale sulle condizioni) e, se si raggiunge il quorum richiesto, di ottenere la protezione del tribunale:

  • innanzitutto con la concessione di misure protettive (il cosiddetto automatic stay): presentando la domanda di omologazione, il debitore può chiedere la sospensione delle azioni esecutive dei creditori durante la pendenza della procedura, analogamente a quanto avviene nel concordato;
  • in secondo luogo, con l’omologazione che vincola anche eventuali creditori non aderenti (entro certi limiti) e impedisce future contestazioni o revocatorie sui pagamenti effettuati in esecuzione dell’accordo.

In pratica, l’accordo di ristrutturazione è utile quando il debitore riesce a ottenere il consenso di una larga fetta di creditori, ma magari non di tutti: grazie all’omologa, quell’accordo parziale diventa efficace in modo “allargato”. È uno strumento meno gravoso del concordato perché non coinvolge necessariamente tutti i creditori e non richiede l’attivazione formale di una procedura concorsuale con voto di tutte le classi (anche se, come vedremo, nelle versioni più innovative dell’accordo possono entrare in gioco concetti di classi e maggioranze interne).

Tipologie di accordi di ristrutturazione: Il CCII contempla tre principali varianti di accordo, pensate per adattarsi a diverse situazioni:

  1. Accordo di ristrutturazione ordinario (art. 57 CCII): È la forma base. Richiede che il debitore abbia ottenuto l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali dell’impresa. Si calcola in valore (somma dei crediti dei consenzienti ≥ 60% indebitamento complessivo). Una volta raggiunto questo quorum e presentata domanda al tribunale, se l’accordo viene omologato esso è vincolante anche per i creditori estranei (che non hanno firmato) limitatamente al fatto che costoro non possono agire esecutivamente per 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza dei loro crediti. Tuttavia, c’è una condizione importante: i creditori non aderenti devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa (se i loro crediti sono scaduti) o dalla loro scadenza naturale. In sostanza, l’accordo ordinario consente di ristrutturare il debito con la maggioranza dei creditori, imponendolo temporaneamente ai dissenzienti, ma questi ultimi devono comunque essere soddisfatti per intero in tempi brevi. L’utilità di questo istituto sta nel fatto che consente una moratoria (i creditori estranei non possono accelerare il recupero perché tanto verranno pagati entro quel termine fisso) e nel dare stabilità all’accordo raggiunto con i più: se ad esempio il 70% dei creditori accetta di ridursi il credito del 30%, l’accordo omologato permette di portarlo avanti sapendo che il restante 30% di creditori dovrà essere pagato per intero ma non può far saltare il banco nel frattempo. Questo modello “classico” di accordo è stato molto utilizzato specialmente da aziende medio-grandi con pochi creditori dissenzienti.
  2. Accordo di ristrutturazione agevolato (art. 60 CCII): Introdotto in via sperimentale nel 2015 e ora stabile nel CCII, prevede un quorum ridotto al 30% dei crediti. Quindi, se il debitore riesce ad accordarsi con creditori che rappresentano almeno il 30% dell’esposizione, può chiedere l’omologa. Perché una soglia così bassa? Perché l’accordo agevolato è pensato per casi in cui è difficile ottenere il 60%, quindi si facilita l’accesso, però a prezzo di alcune limitazioni:
    • Il debitore non può chiedere misure protettive in corso di procedura. Ciò significa che, diversamente dall’accordo ordinario, nell’agevolato i creditori non subiscono un automatic stay. Questo è coerente con la logica: se il debitore coinvolge solo il 30%, accetta di “rischiare” che qualche estraneo possa agire, ma evidentemente confida di poterlo gestire.
    • I creditori estranei (cioè quel 70% o meno che non aderisce) devono essere pagati integralmente e immediatamente all’omologazione. In pratica, al momento dell’omologa l’imprenditore deve già avere le risorse per soddisfare tutti i non aderenti al 100%. L’accordo agevolato quindi serve quando il debitore ha liquidità o supporto finanziario sufficiente per liberarsi di chi non partecipa, ma ha bisogno di ristrutturare il debito con un nucleo ristretto di creditori principali (ad esempio le banche).
    Questo strumento è utile se l’impresa ha magari pochi creditori chiave disposti a fare sacrifici, mentre può pagare i piccoli per intero. Il vantaggio per il debitore è che, con solo il 30% di consensi, può comunque ottenere l’efficacia esdebitativa per i creditori partecipanti e soprattutto l’omologazione che cristallizza l’accordo. Inoltre, la procedura è più rapida perché non c’è udienza per confermare misure protettive (che non ci sono). Lo svantaggio è il requisito di dover disporre di risorse per pagare subito gli estranei e il fatto che, fino all’omologa, quei creditori estranei possono teoricamente agire (anche se in pratica, sapendo che verranno pagati a breve, spesso attendono).
  3. Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): Questa è una variante innovativa, ispirata alla direttiva europea, che introduce concetti di classi di creditori e di cram down settoriale. In sostanza, consente di estendere gli effetti dell’accordo anche a creditori che non hanno aderito, purché appartengano a una categoria omogenea in cui una larga maggioranza ha approvato l’accordo. Funziona così: il debitore, in sede di accordo, suddivide i creditori in categorie omogenee per posizione giuridica e interessi economici (esempi tipici: categoria banche, categoria fornitori strategici, categoria fornitori chirografari generici, ecc.). All’interno di ciascuna categoria, si richiede che i creditori titolari di almeno il 75% dei crediti in quella categoria aderiscano all’accordo. Se questa soglia è raggiunta, l’accordo – una volta omologato – viene imposto anche al restante 25% di creditori di quella categoria che non hanno aderito. Di fatto si ha un cram-down limitato intra-categoria: la minoranza dissenziente in ogni classe è trascinata nell’accordo. Condizioni per questo meccanismo:
    • Le categorie devono essere costituite in modo omogeneo e non artificioso (no “spezzatini” fatti ad hoc per isolare dissenzienti).
    • I creditori non aderenti che vengono obbligati dall’efficacia estesa devono ricevere un trattamento non inferiore a quello che otterrebbero in una liquidazione giudiziale (principio del best interest of creditors).
    • In origine, questa forma era concepita soprattutto per agevolare accordi in continuità aziendale con prevalenza di crediti finanziari (banche): infatti l’art. 61 CCII inizialmente limitava l’efficacia estesa a piani in continuità. Una modifica recente (D.Lgs. 83/2022) ha esteso l’istituto anche ai piani liquidatori, purché oltre la metà dei debiti dell’impresa sia verso banche o altri finanziatori qualificati. Ciò per risolvere situazioni in cui il settore finanziario è predominante e si vuole evitare che poche banche dissenzienti blocchino tutto.
    • Ulteriore incentivo: se l’accordo è preceduto da una Composizione Negoziata della crisi, le maggioranze richieste per categoria possono essere più basse: basta il 60% in ciascuna categoria (anziché 75%). Questo per incoraggiare il passaggio da composizione assistita ad accordo.
    L’accordo ad efficacia estesa è particolarmente vantaggioso per il debitore quando c’è accordo con la maggioranza dei creditori di un certo tipo ma qualche minoranza ostativa rischia di far fallire la ristrutturazione. Ad esempio, se il 80% delle banche finanzatrici è d’accordo a rinegoziare il debito ma il 20% no, con questo strumento il debitore può comunque procedere, garantendo però a quel 20% almeno quanto prenderebbero in uno scenario liquidatorio. In passato, senza questa norma, sarebbe occorso un concordato preventivo per imporre perdite a creditori non consenzienti; ora, in certi limiti, lo si può fare già nell’accordo di ristrutturazione.

Procedimento di omologazione: Per tutti i tipi di accordo, il procedimento prevede il deposito della domanda di omologa presso il tribunale competente, allegando l’accordo sottoscritto dai creditori aderenti, una relazione dettagliata di un attestatore indipendente che certifichi la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo (simile all’attestazione del piano, ma focalizzata su eventuale soddisfacimento dei non aderenti e sostenibilità del piano con quella percentuale di adesione), e l’eventuale richiesta di misure protettive. Il tribunale verifica che siano rispettati i requisiti di legge (ad esempio, soglie di adesione raggiunte, parità di trattamento entro le categorie nell’accordo ad efficacia estesa, convenienza per i creditori estranei). Se non emergono opposizioni rilevanti o se le opposizioni vengono respinte (i creditori non aderenti possono fare opposizione all’omologa entro 30 giorni dal deposito, solitamente), il tribunale omologa l’accordo dichiarando che diventa efficace erga omnes. Da quel momento i creditori sono vincolati secondo i termini dell’accordo: quelli aderenti secondo quanto pattuito (spesso con falcidie o dilazioni), quelli non aderenti secondo quanto stabilito per loro (che, come detto, di norma è pagamento integrale entro 120 giorni).

Effetti dell’omologazione e tutela del debitore: Con l’omologa:

  • I creditori con adesione insufficiente non possono più iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (per i tempi previsti), né iscrivere nuove ipoteche su beni del debitore. Quindi il debitore ottiene una pace temporanea che gli consente di eseguire l’accordo.
  • I pagamenti e gli atti eseguiti in attuazione dell’accordo omologato sono protetti: analogamente al concordato, l’accordo omologato funge da scudo verso contestazioni future. Ad esempio, se in futuro l’impresa fallisse comunque, i pagamenti fatti ai creditori secondo accordo omologato non sarebbero revocabili (perché autorizzati da un provvedimento giudiziario).
  • Importante per il debitore: a differenza del concordato, non c’è spossessamento né nomina di organi concorsuali (commissario) durante la fase di accordo. L’imprenditore rimane in carica e gestisce l’impresa (salvo eventualmente un esperto che può essere nominato ex art. 64 CCII per vigilare su accordi molto complessi, ma non è la norma). Questo consente maggiore autonomia e continuità gestionale, che per molti imprenditori è un vantaggio non trascurabile.

Aggiornamenti 2024-2025: Il D.Lgs. 136/2024 (Correttivo) ha introdotto modifiche anche in tema di accordi di ristrutturazione, volte a favorire la continuità aziendale e la sostenibilità fiscale:

  • Sul piano fiscale, è stato introdotto il cram-down fiscale: in passato, per includere debiti tributari e previdenziali in un accordo occorreva necessariamente l’adesione dell’Erario o degli enti (la cosiddetta transazione fiscale ex art. 182-ter L.F.). Ora, invece, il tribunale può omologare l’accordo anche senza il voto favorevole del Fisco, purché siano rispettate certe condizioni (ad esempio che la proposta formulata al fisco sia conveniente e almeno pari al realizzo in liquidazione). La Cassazione, con sentenza n. 34377 del 30 dicembre 2024, ha chiarito che il debitore, prima di chiedere l’omologa in cram-down, deve comunque aver presentato una proposta di transazione fiscale all’Erario e attendere il diniego o il decorso del termine previsto. Solo dopo può chiedere al giudice di disporre l’omologa nonostante il dissenso erariale.
  • Sono state apprezzate novità per semplificare la procedura: ad esempio la possibilità per il giudice di concedere termini brevi al debitore per integrare la documentazione mancante invece di rigettare subito (Cass. 24870/2024 ha confermato la possibilità per il giudice di dare 15 giorni per completare il piano e i documenti).
  • Lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 71-2024 ha esaminato le modifiche, evidenziando come l’accordo di ristrutturazione si confermi uno strumento duttile: ad esempio si ribadisce che può accedervi anche l’imprenditore non commerciale (come professionisti, start-up innovative se non considerate commerciali, ecc.) purché in stato di crisi, e come l’accordo possa essere utilizzato pure in funzione liquidatoria (non solo di risanamento in continuità) sebbene la norma nasca per favorire il risanamento.

Giurisprudenza rilevante: L’accordo di ristrutturazione è stato protagonista di varie pronunce:

  • La Cassazione, Sez. I, 29 dicembre 2024 n. 34837 ha stabilito che l’accordo omologato va iscritto nel Registro Imprese per essere efficace, anche se questo adempimento è successivo all’omologa (questione di pubblicità, su cui c’era dibattito).
  • In tema di risoluzione dell’accordo: Cass. 32996/2024 ha affrontato il caso di un accordo omologato non adempiuto dal debitore, chiarendo la sorte giuridica (se debba aprirsi d’ufficio la liquidazione giudiziale su istanza dei creditori insoddisfatti o se serve un nuovo procedimento).
  • Cass. 23312/2023 (Sez. Trib.) ha ribadito che l’accordo di ristrutturazione, pur basato su un negozio privatistico, costituisce procedura concorsuale agli effetti fiscali, e quindi le agevolazioni fiscali (imposte di registro fisse etc.) previste per concordati e fallimenti si applicano anche agli accordi omologati.
  • Alcuni tribunali di merito hanno esaminato casi di accordi non omologabili perché il debitore abusava dello strumento per dilazionare tempi: es. Tribunale di Milano 2023 ha negato l’omologa di un accordo ritenuto in realtà inidoneo a soddisfare anche i non aderenti.

Conclusione sulla scelta dello strumento: Per un debitore seguito da uno studio legale, la valutazione se perseguire un accordo di ristrutturazione (e quale tipo) dipende in sostanza dal grado di consenso che si riesce a costruire informalmente attorno al piano. Se si prevede di ottenere un’ampia adesione (60% o più), l’accordo ordinario è un’ottima via: l’azienda evita la complessità del concordato, mantiene riservatezza e continuità e “mette in sicurezza” l’intesa con la benedizione del tribunale. Se i consensi sono scarsi (ad esempio solo uno o due creditori disposti su tanti), forse conviene il concordato, a meno che si possano pagare tutti gli altri per intero (caso d’uso dell’accordo agevolato). L’accordo ad efficacia estesa, dal canto suo, è uno strumento sofisticato che richiede di orchestrare il consenso per classi: qui l’assistenza legale è indispensabile per creare categorie corrette e rispettare i criteri di legge, così da evitare rischi di diniego di omologa.

In definitiva, grazie anche alle innovazioni normative recenti, gli accordi di ristrutturazione costituiscono per il debitore una corsia preferenziale per ristrutturare il debito in modo consensuale ma con la forza della legge a sostegno. Uno studio legale esperto saprà guidare l’imprenditore nella predisposizione dell’accordo (dall’ingaggio dell’attestatore alla trattativa con i creditori chiave), nel deposito della pratica in tribunale e fino all’omologa, minimizzando i rischi di contestazioni e massimizzando le chance di successo dell’operazione di risanamento.

Concordato preventivo

Il Concordato Preventivo è la più nota procedura concorsuale prevista dall’ordinamento italiano per consentire al debitore di evitare la liquidazione fallimentare, attraverso una proposta concordata di soddisfazione (anche parziale) dei crediti, soggetta all’approvazione dei creditori e all’omologazione del tribunale. Discendente storico dell’istituto presente nella Legge Fallimentare (R.D. 267/42), oggi il concordato è regolato dagli artt. 84-120 del Codice della Crisi d’Impresa (come modificato dai correttivi del 2020-2022). Si tratta di una procedura giudiziale a tutti gli effetti: si apre con un ricorso al tribunale, prevede la nomina di un commissario giudiziale, il coinvolgimento di tutti i creditori e termina con un decreto di omologazione (se la maggioranza dei creditori approva la proposta) oppure con il suo diniego (che di solito porta al fallimento/liquidazione giudiziale).

Per il debitore, il concordato preventivo rappresenta uno strumento potente ma impegnativo: offre protezione e la possibilità di ristrutturare i debiti anche contro il volere di alcuni creditori (basta convincere la maggioranza), ma richiede di sottostare a un procedimento formale, con un certo grado di controllo da parte degli organi della procedura e con la necessità di massima trasparenza informativa verso i creditori.

Tipologie di concordato: Il CCII distingue principalmente due forme di concordato, in base agli obiettivi del piano:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84, co. 3 CCII): è il concordato volto a preservare, in tutto o in parte, la prosecuzione dell’attività d’impresa. Può trattarsi di continuità diretta (l’impresa prosegue la gestione durante e dopo il concordato) o continuità indiretta (l’azienda viene trasferita a un soggetto terzo, ad esempio venduta o conferita, che la prosegue). La caratteristica è che la soddisfazione dei creditori deriva in misura sostanziale dalla redditività futura dell’azienda in esercizio (ad esempio: i creditori verranno pagati con i ricavi futuri, o mantenendo i contratti in essere). Questo tipo di concordato è favorito dalla legge perché mira al salvataggio dell’impresa come entità produttiva e dei posti di lavoro. Infatti, normative speciali prevedono alcune agevolazioni: ad esempio nel concordato in continuità non è obbligatorio garantire una percentuale minima di soddisfacimento ai chirografari (contrariamente a quello liquidatorio che storicamente richiedeva almeno il 20%, regola poi abolita dal CCII); inoltre, è consentito al debitore ottenere autorizzazioni a finanziamenti interinali o prededucibili per sostenere l’azienda in procedura.
  • Concordato liquidatorio (art. 84, co. 4 CCII): è il concordato in cui l’obiettivo è liquidare il patrimonio del debitore (in modo più ordinato e vantaggioso rispetto al fallimento) e distribuire il ricavato ai creditori secondo un piano. In sostanza, l’impresa non prosegue l’attività, se non nella misura minima per vendere gli asset come going concern. Un concordato liquidatorio tipicamente prevede la cessione di beni (es. vendita di immobili, incasso crediti, eventuale affitto d’azienda con cessione) e il riparto ai creditori in percentuale. Il CCII consente concordati liquidatori, ma ha introdotto il concetto che devono offrire ai creditori un’utilità specifica maggiore rispetto alla liquidazione giudiziale (ad esempio, un apporto di finanza esterna che aumenti il monte disponibile, o tempi più rapidi) e rispettare in pieno il principio di miglior soddisfazione dei creditori (best interest test). Senza tali elementi migliorativi, il concordato verrebbe dichiarato inammissibile in quanto meramente dilatorio.

Una volta, la differenza era netta anche per percentuali minime (come detto, la legge fallimentare richiedeva almeno 20% ai chirografari se liquidatorio); oggi il CCII non fissa soglie ma pone la condizione generale di convenienza rispetto alla liquidazione.

Esistono poi varianti particolari:

  • Il concordato con riserva (art. 44 CCII, ex “concordato in bianco”): il debitore può presentare un ricorso contenente la sola domanda di concordato, riservandosi di presentare successivamente entro un termine (fino a 60-120 giorni prorogabili) il piano e la proposta dettagliata. Questo serve per ottenere immediatamente le protezioni (divieto di azioni esecutive) e guadagnare tempo per perfezionare il piano o attendere esiti di trattative (spesso usato mentre si negozia un accordo o una vendita d’azienda). Il tribunale in questa fase nomina un commissario “istruttorio” e impartisce obblighi informativi al debitore. Se il piano non viene poi depositato nei termini, la procedura viene dichiarata improcedibile e spesso porta al fallimento.
  • Il concordato semplificato (già menzionato nella sezione sulla composizione negoziata): previsto dall’art. 25-sexies CCII, è una forma speciale di concordato liquidatorio senza voto dei creditori, attivabile solo dopo l’esito negativo di una composizione negoziata. L’abbiamo già descritto: è un’eccezione alla regola generale che prevede invece sempre il voto.
  • Il concordato di gruppo: il CCII prevede la possibilità di presentare proposte concordatarie coordinate per più società del medesimo gruppo, con alcuni aspetti di gestione unitaria (tribunale unico se competente, possibilità di classi trasversali, ecc.). È una tematica avanzata oltre lo scopo qui, ma vale menzionare che esiste una disciplina dedicata ai gruppi in crisi (artt. 284-292 CCII) che consente soluzioni concordate intercompany.

Procedura in sintesi (concordato ordinario):

  1. Deposito del ricorso: Il debitore deposita in tribunale la domanda di concordato con il piano, la proposta e la documentazione richiesta (stato analitico delle attività e passività, elenco creditori, elenco beni, bilanci ultimi 3 esercizi, relazione di un professionista attestatore che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano, ecc.). Può contestualmente chiedere le misure protettive a tutela.
  2. Apertura della procedura: Il tribunale verifica la completezza della domanda e se ci sono i requisiti minimi di ammissibilità (ad esempio, non deve esserci stata una condotta fraudolenta, il debitore non deve aver depositato un altro concordato nei ultimi 5 anni omologato, ecc.). Se ammette il ricorso, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, nomina un Commissario Giudiziale (figura di controllo) e convoca i creditori all’adunanza per il voto, fissando i termini. Da questo momento, scattano gli effetti protettivi: divieto di azioni esecutive individuali (art. 54 CCII) e di acquisire cause di prelazione se non autorizzate, congelamento dei debiti pregressi.
  3. Fase istruttoria e voto: Il commissario esamina la situazione e redige una relazione per i creditori (e il tribunale) in cui descrive il piano, la condotta del debitore, e dà un parere sulla proposta. Nell’adunanza, i creditori discutono e votano. Il meccanismo di voto: i creditori sono divisi per classi se il piano le prevede; serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza in valore, e – nel caso di classi – almeno la maggioranza delle classi). Precisamente, il CCII all’art. 109 richiede il sì di crediti pari al 50% + 1 del totale ammesso al voto, e in caso di classi, che abbiano detto sì classi rappresentanti la maggioranza delle classi. Se c’è una sola classe, basta quella. I creditori privilegiati che vengono integralmente soddisfatti non votano (si considerano consenzienti per legge), mentre quelli cui si propone una falcidia votano anch’essi.
  4. Omologazione: Se la maggioranza vota a favore, il tribunale passa alla fase di omologazione. In questa fase, vanno esaminati eventuali opposizioni (creditori contrari possono opporsi lamentando ad es. lesione dei propri diritti, mancanza di requisiti). Il giudice verifica il rispetto di tutte le norme (in particolare il fondamentale principio di completa informazione e veridicità: se emergono omissioni informative rilevanti, il concordato potrebbe essere annullato) e il best interest test (nessun creditore dissenziente riceve meno di quanto otterrebbe in liquidazione). Se tutto è in regola, omologa il concordato con decreto. A quel punto, il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche per quelli che hanno votato contro o non si sono presentati). Se invece il voto non raggiunge la maggioranza, o il tribunale ritiene non omologabile la proposta (ad es. per difetto di convenienza), dichiara chiusa la procedura e generalmente apre la liquidazione giudiziale (salvo che il debitore non abbia ancora margini per accordi, ma di solito finisce lì).
  5. Esecuzione del piano: Dopo l’omologa, il debitore (o un liquidatore nominato se il piano lo prevede) deve eseguire il concordato secondo i termini. Il Commissario vigila fino alla chiusura. Se il debitore non adempie, su istanza di creditori il concordato può essere risolto (annullato) e a quel punto i creditori possono chiedere il fallimento.

Ruolo dello studio legale per il debitore: È evidente come il concordato sia procedura complessa; l’avvocato specializzato assiste il debitore in:

  • decidere la fattibilità del concordato (serve spesso fare un test di convenienza se col concordato i creditori ottengono di più di altri scenari);
  • predisporre il piano e la proposta in modo conforme alla legge, classando i creditori in maniera corretta ed equa, e prevedendo percentuali e trattamenti sostenibili;
  • accompagnare l’attestatore indipendente fornendogli tutti i dati per la relazione (e spesso interagendo per modulare il piano secondo le raccomandazioni dell’attestatore affinché possa dare parere positivo);
  • curare la redazione del ricorso, che deve essere persuasivo e ben documentato. Come visto di recente dalla Cassazione (ord. 14839/2025), la completezza informativa è imprescindibile: la mancata puntuale indicazione e documentazione di poste creditorie rilevanti è causa di inammissibilità della proposta, non sanabile nemmeno in sede di reclamo. Ciò significa che l’avvocato deve assicurarsi di elencare correttamente tutti i debiti e crediti, e allegare la documentazione necessaria, perché eventuali lacune non potranno essere colmate dopo (la Cassazione ha chiarito che presentare documenti integrativi in appello non sana un piano incompleto inizialmente).
  • rappresentare il debitore in tutte le udienze (ammissione, adunanza creditori, omologa) e nelle interlocuzioni con il commissario e il giudice delegato, nonché negoziare eventualmente con creditori strategici per ottenere il loro voto (in un concordato spesso prima del voto i debitori cercano di convincere le banche o altri grandi creditori con accordi ad hoc dentro il piano).
  • gestire eventuali proposte concorrenti: il CCII permette ai creditori (o terzi) di presentare una proposta di concordato concorrente se il debitore propone di soddisfare i chirografari in misura inferiore al 30% (o 40% se concordato liquidatorio). Lo studio legale deve fronteggiare questa eventualità, difendendo la proposta del debitore o magari migliorandola per evitare l’ingresso di proposte di terzi.

Vantaggi del concordato per il debitore:

  • Garantisce la protezione massima: appena ammesso (o fin dalla domanda se in bianco), il debitore è protetto da assalti dei creditori. Può inoltre con l’autorizzazione del tribunale compiere atti urgenti (es. vendere beni, contrarre finanziamenti prededucibili) per tenere in vita l’impresa durante la procedura.
  • Permette di imporre sacrifici a tutti i creditori se si ottiene la maggioranza: diversamente dagli strumenti negoziali, qui i dissenzienti restano comunque vincolati al decreto di omologa (non potranno pretendere oltre quanto previsto, né agire per conto proprio).
  • Consente di sfruttare meccanismi di cram down tra classi: se ci sono più classi, il CCII consente l’omologa anche contro il voto di una o più classi dissenzienti, purché certe condizioni siano rispettate (è il cram-down giudiziale, da applicare se almeno una classe ha votato sì e le dissenzienti sono trattate equamente e non alteriormente pregiudicate).
  • Possibilità di liberazione dei debiti residui: una volta eseguito, il debitore viene liberato dai debiti pregressi non soddisfatti (salvo eccezioni come debiti personali dei soci illimitatamente responsabili, o penali/tributari non falcidiabili, etc.). Quindi è una vera fresh start se completato con successo.

Svantaggi e oneri:

  • Procedura pubblica e lunga: l’avvio del concordato è iscritta nel Registro delle Imprese e portata a conoscenza di tutti i creditori. La durata può essere significativa (mesi per arrivare al voto e all’omologa, anni per l’esecuzione). Questo può impattare su fornitori, clienti, dipendenti, che vengono a sapere dello stato di crisi formalizzato.
  • Costi concorsuali: occorre pagare il compenso del commissario, eventuali coadiutori, e sostenere spese di procedura. Inoltre c’è la parcella dell’attestatore e dei consulenti. Sono costi spesso non irrilevanti, ma diventano prededucibili (cioè da pagare prima di tutti, incorporati nel piano).
  • Perdita parziale di controllo: sebbene nel concordato in continuità l’imprenditore resti in carica, è sottoposto alla vigilanza del commissario e deve astenersi da atti gestionali non autorizzati (specialmente in continuità: atti straordinari vanno approvati dal giudice). Nel concordato liquidatorio spesso c’è addirittura un liquidatore nominato che sostituisce il debitore per la vendita dei beni.
  • Rischio di fallimento in caso di insuccesso: se la proposta non passa, o se non viene omologata, il fallimento (liquidazione giudiziale) è dietro l’angolo, spesso dichiarato d’ufficio dal tribunale contestualmente al diniego di omologa se l’insolvenza persiste. Questo rende il concordato un’arma da usare solo quando si ha una ragionevole probabilità di farcela. Anche in esecuzione: se il debitore non rispetta gli impegni del piano e il concordato viene risolto, i creditori possono chiederne il fallimento (e a quel punto sarà difficilissimo evitarlo, a meno di trovare un accordo last-minute con tutti).
  • Complessità giuridica: come si vede, la procedura è intricata e soggetta a innumerevoli regole (anche la giurisprudenza ne aggiunge: es. la Cassazione insiste sulla trasparenza informativa e ha invalidato proposte per difetti informativi, oppure ha chiarito dettagli sul computo delle maggioranze, sulle modalità di voto tardivo, ecc.). Serve dunque un’assistenza legale di alto livello.

Aggiornamenti giurisprudenziali recenti:

  • La Cassazione (Sez. I) con ordinanza n. 14839 del 3 giugno 2025 ha ribadito due principi chiave: (i) nel giudizio di reclamo contro la sentenza che dichiara il fallimento (ad esempio se un concordato viene rigettato e segue fallimento, poi impugnato), la costituzione in appello del curatore sana eventuali vizi di notifica; (ii) ai fini dell’ammissibilità di un concordato in continuità, è imprescindibile la completezza informativa sulla situazione debitoria, in particolare su crediti rilevanti, la cui mancata esatta quantificazione e documentazione è di per sé causa ostativa alla procedibilità del concordato stesso. Questo significa che i tribunali sono inflessibili su omissioni o sottovalutazioni di debiti nel piano: ciò viene considerato un indice di mancanza di buona fede e comporta la non ammissione.
  • Cass. 9371/2025 ha affrontato il tema del concordato con riserva e la competenza territoriale: ha stabilito entro quale fase il giudice deve rilevare una eventuale incompetenza territoriale in caso di domanda in bianco (principio tecnico che incide sul timing).
  • Cass. 4596/2025 ha riguardato la risoluzione del concordato omologato: ha affermato che la domanda di risoluzione (per inadempimento del debitore) può essere presentata da singoli creditori e il tribunale deve valutare se l’inadempimento è di non scarsa importanza, chiarendo la portata dell’art. 118 CCII.
  • Merito: Tribunale di Milano e altri stanno elaborando linee guida per la redazione dei piani, ad esempio raccomandando di esplicitare il confronto tra il piano concordatario e lo scenario liquidatorio (necessario per il best interest test).

In definitiva, il concordato preventivo resta la soluzione di “ultima istanza” per il debitore che voglia evitare il fallimento imponendo una ristrutturazione giudiziale. Uno studio legale specializzato in crisi d’impresa è indispensabile per impostare correttamente la procedura: dalla scelta tra continuità o liquidazione, alla predisposizione di un piano credibile e conforme alla legge, fino alla conduzione di tutta l’iter procedurale e delle eventuali cause connesse. Il concordato, se ben utilizzato, può salvare un’azienda e i suoi posti di lavoro o, quantomeno, assicurare ai creditori un risultato migliore e più ordinato del fallimento. Tuttavia, va maneggiato con cura: un passo falso documentale o negoziale può comprometterne l’esito, motivo per cui l’esperienza dello studio legale nel prevedere le possibili contestazioni e nel predisporre soluzioni solide fa la differenza tra un concordato approvato e uno respinto.

Liquidazione giudiziale (già “fallimento”)

La Liquidazione Giudiziale è la procedura concorsuale che prende il posto del vecchio “fallimento” nella disciplina introdotta dal Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019). Si tratta dell’extrema ratio: una procedura giudiziale liquidatoria avviata quando l’impresa è insolvente e non vi sono percorsi di risanamento percorribili o tentati con successo. La finalità della liquidazione giudiziale è di realizzare tutto il patrimonio del debitore insolvente e ripartirne il ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle prelazioni, sotto il controllo del tribunale. Dal punto di vista del debitore, è chiaramente l’esito meno desiderabile, poiché comporta la perdita della disponibilità dei beni (lo spossessamento), lo stop dell’attività (salvo esercizio provvisorio temporaneo se utile) e una serie di conseguenze personali (come eventuali inabilitazioni per gli imprenditori individuali o effetti sugli organi societari).

Tuttavia, anche nella liquidazione giudiziale il ruolo dello studio legale specializzato rimane importante: sia nell’eventualità di dover gestire la difesa in una istanza di fallimento presentata da terzi, sia nell’accompagnare il debitore (impresa o persona) durante la procedura per garantirne i diritti, agevolare una chiusura rapida e ottenere infine l’esdebitazione (cioè l’esonero dai debiti residui).

Apertura della procedura: La liquidazione giudiziale si apre con una sentenza del tribunale su ricorso di un creditore, del debitore stesso (o del PM in taluni casi). I presupposti:

  • Stato d’insolvenza: incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Può essere dimostrata da inadempimenti, protesti, ecc.
  • Soggettività fallibile: vengono assoggettati gli imprenditori commerciali non piccoli (cioè sopra le soglie definite dall’art. 2 CCII), le società (anche di persone se commerciali) e gli enti assimilati. Restano esclusi gli imprenditori sotto soglia e categorie protette (agricoltori, enti pubblici, ecc.), i quali semmai seguono procedure di sovraindebitamento.

Quando il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale:

  • Nomina un Curatore (figura incaricata di amministrare e liquidare il patrimonio);
  • Nomina un Giudice Delegato alla procedura;
  • Dispone il divieto per il debitore di disporre dei suoi beni (spossessamento) e blocca le azioni individuali dei creditori (tutti i crediti dovranno essere accertati nella procedura).
  • Se il debitore è un imprenditore persona fisica, ne dichiara il fallimento personale; se è una società, la gestione passa al curatore e gli amministratori perdono i poteri.

Effetti per il debitore: Dal giorno della sentenza:

  • Il debitore persona fisica subisce alcuni effetti limitativi (ad es., non può ricoprire cariche in altre società, viene iscritto nel registro dei falliti ora registro delle insolvenze, e storicamente subiva interdizioni civili come l’incapacità ad esercitare impresa per un periodo).
  • Il patrimonio diventa una massa attiva gestita dal curatore per pagare i creditori. Il debitore non può più disporne.
  • Tutti i debiti anteriori diventano inesigibili individualmente: i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo e verranno soddisfatti se e in quanto ci sarà realizzo.
  • I contratti in corso di esecuzione possono essere sciolti o proseguiti su scelta del curatore, con indennizzo dell’eventuale controparte per la mancata esecuzione.
  • Se l’attività dell’azienda ha prospettive di vendità come azienda funzionante, il curatore può chiedere l’esercizio provvisorio per un breve periodo, al fine di vendere l’azienda in continuità.

Ruolo dello studio legale per il debitore in questa fase: Contrariamente agli strumenti visti prima, nella liquidazione giudiziale il debitore è in posizione passiva. Tuttavia, l’assistenza legale è cruciale per:

  • Contestare l’istanza di fallimento: Se un creditore ha chiesto il fallimento ma il debitore ritiene di non essere insolvente o di rientrare tra i soggetti esonerati (piccolo imprenditore sotto soglia), lo studio legale lo rappresenta in tribunale cercando di evitare la dichiarazione di liquidazione giudiziale. Ad esempio, può eccepire l’assenza dello stato d’insolvenza (magari dimostrando che si tratta di crisi temporanea, o che i debiti contestati non sono certi, liquidi ed esigibili), oppure eccepire incompetenza territoriale, o invocare l’ammissione in estremis a un concordato preventivo (se c’è un piano in preparazione, si può chiedere un breve rinvio per depositare un concordato e sospendere la decisione sul fallimento).
  • Consulenza su effetti e doveri: Una volta dichiarata la liquidazione, l’avvocato spiega al debitore i suoi doveri: presentarsi al curatore e collaborare (c’è obbligo di collaborazione, pena sanzioni), consegnare documenti, fornire informazioni veritiere; e i suoi diritti: chiedere l’esdebitazione a fine procedura, conservare eventuali beni impignorabili, ecc.
  • Assistenza durante la procedura: Sebbene il debitore non amministri più nulla, può aver bisogno di legali per questioni specifiche: ad esempio, impugnare lo stato passivo (se il curatore ammette crediti in maniera che il debitore ritiene ingiusta o esagerata, il debitore può avere interesse a contestare, anche se raramente lo fa perché tutti i debiti saranno in ogni caso spazzati via dall’esdebitazione alla fine). Oppure, se la persona fallita subisce provvedimenti come perquisizioni, sequestri penali nell’ambito di bancarotta, l’avvocato lo assiste anche penalmente.
  • Chiusura procedura ed esdebitazione: Terminata la liquidazione dei beni, il curatore presenta il rendiconto e la procedura viene chiusa. A questo punto il debitore persona fisica ha il diritto di chiedere al tribunale di essere esdebitato, ossia liberato dai debiti non soddisfatti (a meno che non gli sia stata revocata per condotte disoneste). Lo studio legale prepara e presenta l’istanza di esdebitazione, dimostrando che il debitore ha cooperato e che non ci sono ragioni ostative. Il CCII rende l’esdebitazione quasi automatica per il debitore meritevole e cooperativo.

Novità introdotte dal CCII: La liquidazione giudiziale in sé ricalca il vecchio fallimento, ma ci sono alcune differenze introdotte:

  • Maggior focus su chiusura più rapida: sono stati ridotti i tempi di alcune operazioni e introdotte misure per vendere presto i beni (ad es. piattaforme online, ecc.).
  • Esdebitazione più accessibile: Prima la liberazione dai debiti era quasi discrezionale e negata se il fallito non aveva soddisfatto almeno parzialmente i creditori. Ora il CCII prevede esdebitazione anche se ha pagato zero, purché non ci siano state irregolarità gravi. Inoltre, ha introdotto la figura dell’esdebitazione del debitore incapiente: per il consumatore o piccolo imprenditore persona fisica che non ha nulla da liquidare, il tribunale può ugualmente cancellare i debiti subito per dare il “fresh start”, a condizione di meritevolezza (art. 283 CCII).
  • Consolidamento delle procedure familiari: Non tanto in liquidazione giudiziale ma per sovraindebitamento, c’è la possibilità di procedure familiari uniche.
  • Disciplina anti-abuso: Il correttivo 2024 ha introdotto norme per evitare che i debitori passino da uno strumento all’altro solo per ritardare la liquidazione: ad esempio, se un imprenditore presenta un concordato e poi lo ritira per fare composizione negoziata e poi fallisce, queste manovre vengono valutate per evitare vantaggi indebiti (già visto il limite dei 4 mesi per cambiare idea su composizione negoziata).
  • Ruolo dei professionisti: Il correttivo ha imposto requisiti più stringenti a curatori e organi: il debitore ha diritto a figure qualificate e indipendenti, e se ne può chiedere la sostituzione in casi di conflitto.

Per il debitore cosa significa tutto ciò? Significa che, pur essendo la liquidazione giudiziale un evento spesso traumatico, l’ordinamento cerca di bilanciare la necessità di liquidare con alcune tutele: l’imprenditore onesto, anche se fallisce, non è più marchiato a vita. Dopo la procedura, può ottenere la liberazione dai debiti e ricominciare (salvo per alcuni debiti come alimentari o risarcimenti danni da illecito che non si cancellano). Ci sono però comunque conseguenze negative: per le società, il fallimento è la morte dell’ente; per l’imprenditore individuale, c’è un discredito e possibili sanzioni (anche penali, le azioni di responsabilità, ecc. a seconda di come ha gestito l’impresa).

Lo studio legale, in ottica debitore, in questo contesto si occupa spesso anche di:

  • Transazione in extremis: a volte, per evitare la declaratoria di fallimento, il legale negozia con il creditore istante il ritiro dell’istanza dietro pagamento parziale o piano di rientro. Spesso le udienze pre-fallimentari sono terreni di transazione: se si trova un accordo magari per un concordato stragiudiziale, il fallimento può essere evitato.
  • Piani di liquidazione alternativi: talvolta, anche a fallimento dichiarato, se il debitore procura un compratore per l’azienda o un asset a un prezzo interessante, lo segnala al curatore per migliorare i risultati dell’attivo (questo anche per evitare azioni di responsabilità: dimostra cooperazione).
  • Sorvegliare che i propri diritti vengano rispettati: il debitore, pur spossessato, ad esempio ha diritto all’assegno di mantenimento se persona fisica (una parte di reddito è impignorabile per vivere), o a far valere l’eventuale carattere personale di alcuni beni. L’avvocato può intervenire se il curatore esagera nel pignorare beni non pignorabili o nel qualificare come aziendali beni personali.

In sintesi, la liquidazione giudiziale non è esattamente uno strumento “scelto” dal debitore, ma piuttosto la conseguenza del fallimento delle altre strade. Per questo l’abbiamo posta per ultima. Uno studio legale per crisi d’impresa avrà come missione principale quella di evitare la liquidazione giudiziale trovando soluzioni alternative. Se però essa sopraggiunge, lo studio sposta il suo ruolo nel mitigare le conseguenze per il debitore e assisterlo fino alla fine della procedura e oltre (riabilitazione). Ad esempio, in caso di esdebitazione negata dal giudice (magari perché il debitore non ha cooperato), l’avvocato può proporre reclamo in Corte d’Appello per far valere l’ingiustizia di un diniego e cercare di far ottenere la liberazione dai debiti.

Strumenti per la crisi da sovraindebitamento (soggetti “non fallibili”)

Oltre alle procedure finora descritte, che in varia misura riguardano i debitori assoggettabili a fallimento (imprese commerciali sopra soglia, società, ecc.), l’ordinamento italiano prevede dei percorsi speciali per la gestione della crisi dei soggetti non fallibili, cioè di quei debitori che non possono essere dichiarati in liquidazione giudiziale. Si parla di crisi da sovraindebitamento per:

  • Persone fisiche consumatori (che hanno debiti personali, es. familiari, di consumo, mutui, ecc.).
  • Piccoli imprenditori sotto le soglie di fallibilità (ricavi lordi annui < 200.000 €, debiti < 500.000 €, attivo patrimoniale < 300.000 € circa, stime ai sensi dell’art. 2 CCII).
  • Imprenditori agricoli (tradizionalmente esclusi dal fallimento).
  • Professionisti, start-up innovative se considerate non commerciali, enti non commerciali e altre categorie analoghe.
  • Società “minori” eventualmente, anche se in pratica se è società commerciale non rientra nell’esclusione (le soglie di non fallibilità valgono per imprenditori individuali e società di persone commerciali di ridotte dimensioni).

Il Codice della Crisi ha riordinato la materia (che prima era disciplinata dalla L. 3/2012). Oggi abbiamo tre procedure principali:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII).
  2. Concordato minore (artt. 74-83 CCII).
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII).

Inoltre, una misura peculiare:

  • Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), detta anche esdebitazione senza utilità, per il debitore persona fisica meritevole che non abbia alcun patrimonio da liquidare.

Analizziamo brevemente queste soluzioni dal punto di vista di un debitore sovraindebitato che si rivolge allo studio legale.

Organismo di Composizione della Crisi (OCC): Una particolarità di queste procedure è il coinvolgimento di un organismo terzo, l’OCC, che assiste il debitore nella preparazione della proposta e svolge funzioni simili a quelle del commissario/curatore nelle fasi successive. Il debitore deve rivolgersi a un OCC (di solito istituito presso gli Ordini professionali o enti pubblici) e gli viene assegnato un professionista gestore della crisi. Lo studio legale collabora con tale professionista per confezionare la soluzione migliore.

Piano del consumatore: Riservato alla persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa (es. debiti familiari, di credito al consumo, per garanzie prestate, ecc.). Questo piano permette al consumatore di proporre al tribunale una ristrutturazione dei suoi debiti (ad esempio: pagamento parziale di ogni credito, oppure dilazioni lunghe, ecc.) senza bisogno del consenso dei creditori. Infatti, nel piano del consumatore non c’è votazione dei creditori: decide il giudice se omologarlo, valutando la fattibilità e soprattutto la meritevolezza del debitore. La meritevolezza significa che il consumatore non deve aver provocato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode (ad esempio accumulando debiti con leggerezza o peggio con intento fraudolento). Storicamente i tribunali erano severi su questo, ma il CCII ha temperato il concetto introducendo anche il merito creditizio: se una banca ha concesso prestiti sproporzionati, il consumatore non è automaticamente considerato malcolpevole; anzi la norma punisce i creditori che hanno concesso credito irresponsabilmente, non facendogliene avvantaggiare (il concetto di merito creditizio citato). Se il giudice ritiene il piano fattibile (di solito c’è l’attestazione di un OCC sulla fattibilità) e il consumatore meritevole, omologa il piano nonostante l’opposizione di eventuali creditori (che però possono far presente se riceverebbero meno che in liquidazione, criterio di convenienza da rispettare). Una volta omologato, il piano vincola tutti i creditori anteriori. Il consumatore dovrà eseguire i pagamenti promessi; se li esegue, ottiene l’esdebitazione finale liberatoria.

Per il debitore consumatore, lo studio legale serve a:

  • Valutare se rientra come “consumatore” (non sempre netto, es. un ex piccolo imprenditore con debiti misti deve dimostrare quali sono personali).
  • Assemblare con l’OCC un piano credibile: di solito si offre di pagare mensilmente una quota del reddito disponibile per tot anni, o liquidare eventuali beni non essenziali e distribuire il ricavato. Spesso integrato da aiuti familiari ecc.
  • Dimostrare la propria meritevolezza: documentando magari eventi sfortunati (malattia, perdita lavoro) che hanno causato la crisi, mostrando di non aver fatto spese voluttuarie eccessive in malafede. Ad esempio, Cassazione in passato ha negato omologa se il debitore aveva continuato a indebitarsi per consumi non necessari pur sapendo di non poter pagare – oggi si considererebbe anche la corresponsabilità delle finanziarie.
  • Rappresentare il debitore in eventuale opposizione all’omologa da parte di creditori, sostenendo che comunque il piano offre a tutti più che alternative (di solito confrontandolo con la liquidazione controllata).

Concordato minore: È l’erede dell’“accordo di composizione” della L.3/2012, ma presenta analogie con un mini-concordato preventivo. Si applica ai debitori non fallibili che siano imprenditori o soggetti non consumatori. Ad esempio, un artigiano, un commerciante sotto soglia, una start-up innovativa (se sotto soglia), un professionista con debiti professionali, oppure anche un imprenditore agricolo per i debiti aziendali agricoli. La proposta di concordato minore funziona con meccanismo di voto dei creditori: i creditori sono chiamati ad esprimersi e serve la maggioranza (in percentuale di crediti) per l’approvazione, analogamente al concordato preventivo. Se la maggioranza approva e il giudice riscontra regolarità e convenienza, omologa il concordato minore. Se i creditori respingono, il giudice comunque può omologare lo stesso se ritiene la proposta più conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione (qui c’è un potere di cram-down del giudice analogo a quanto la direttiva UE prevedeva). Quindi il concordato minore dà una chance di ristrutturazione semi-coattiva anche a piccoli debitori, senza i formalismi del concordato grande (ad esempio, non c’è commissario ad acta a meno di nomina OCC). Anche qui serve l’attestazione OCC e soprattutto la meritevolezza non è richiesta in modo stringente come per il consumatore (però condotte fraudolente escludono l’accesso). In pratica, un artigiano potrebbe proporre: vi pago il 50% dei vostri crediti in 4 anni, grazie alla mia continuazione di attività, ecc. Se i creditori che rappresentano più del 50% dei crediti votano sì, il piano passa e sarà vincolante per tutti; se votano no ma il giudice vede che nella liquidazione prenderebbero solo il 30%, può comunque omologare forzatamente (questo potere è stato discusso, ma sembra delineato).

Lo studio legale qui aiuta a predisporre la proposta, negoziare prima informalmente con i creditori principali per assicurarsi la maggioranza, e seguire la procedura con l’OCC. La presenza dei creditori rende il concordato minore un po’ più complesso del piano del consumatore, ma allo stesso tempo permette a un piccolo imprenditore di ridurre i debiti garantendo la prosecuzione dell’attività (ad esempio, un ristoratore potrebbe salvare il locale riducendo affitti arretrati, pagando col tempo i fornitori, ecc., invece di chiudere e liquidare).

Liquidazione controllata: Corrisponde alla liquidazione del patrimonio ex L.3/2012. Si applica a qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no) che voglia o debba liquidare i propri beni per soddisfare i creditori. Può essere richiesta dallo stesso debitore (spontaneamente) o dai creditori/PM in alcuni casi (forzosa, se il debitore ha aggravato la situazione o violato accordi). La liquidazione controllata è sostanzialmente un fallimento in miniatura: il tribunale nomina un Liquidatore (spesso è l’OCC stesso), vengono spossessati i beni del debitore (tranne quelli impignorabili ex lege), i creditori presentano domande di partecipazione al passivo, si vendono i beni e si distribuisce il ricavato. Dura massimo 3 anni per il realizzo dell’attivo (salvo immobili difficili da vendere). Alla fine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione residua. È definita “controllata” perché il giudice controlla gli atti, ma è più semplificata del fallimento: ad esempio, se il debitore è una società minore, la liquidazione controllata porta comunque alla sua estinzione simil-fallimentare.

Il debitore può preferire questa procedura quando:

  • non ha modo di offrire un piano ai creditori (nessun reddito o patrimonio per pagare parzialmente con un piano);
  • oppure vuole semplicemente mettere fine alla situazione liquidando tutto in modo regolato e ripartendo pulito (fresh start in 3 anni).

Il correttivo 2024 ha ampliato la possibilità di accedere a liquidazione controllata anche dopo la cessazione dell’attività da più di un anno (prima c’era un limite temporale per imprenditori cessati), per facilitare l’accesso all’esdebitazione anche a ex imprenditori non più attivi.

Lo studio legale qui assiste nel presentare l’istanza (specie se volontaria), nel collaborare con il liquidatore, e nell’assicurare alla fine la richiesta di esdebitazione, oltre che nel difendere il debitore in eventuali reclami dei creditori (es: se un creditore contesta l’esdebitazione accusando il debitore di frode, l’avvocato difende la meritevolezza del debitore).

Esdebitazione del debitore incapiente: Novità di grande rilievo sociale: se una persona fisica sovraindebitata non possiede alcun bene liquidabile né redditi pignorabili, può ugualmente rivolgersi al tribunale per chiedere di essere liberata dai debiti senza dare nulla ai creditori. È un provvedimento di clemenza economica, con l’idea che tenere in vita all’infinito debiti inesigibili non giova a nessuno. Condizioni: non deve aver commesso atti in frode, non deve avere la capacità di pagare almeno in parte i creditori nei 4 anni successivi (se la sua condizione migliora in 4 anni, i creditori possono chiedere di revocare l’esdebitazione e ottenere qualcosa). Inoltre, può essere usata una volta sola nella vita e per debiti sotto certi limiti (non chiaramente definiti, ma se avesse milioni di debiti forse no). È una soluzione estrema per casi disperati, spesso legati a situazioni personali drammatiche. Il ruolo dell’avvocato è di dimostrare l’assoluta incapienza e la buona fede (ad esempio un ex imprenditore rovinato che non ha più nulla, né reddito né beni, merita una chance di ripartire se non ha colpe gravi).

Conclusione sovraindebitamento: Le procedure da sovraindebitamento, pur diverse nei meccanismi, puntano tutte a un risultato: dare al debitore sommerso dai debiti un percorso per uscirne, pagando quanto può e venendo liberato dal resto. Per un debitore non fallibile rivolgersi a uno studio legale esperto è fondamentale per scegliere la strada adatta (piano, concordato minore o liquidazione) e per compilare correttamente la proposta o istanza in conformità ai requisiti di legge (meritevolezza, convenienza per creditori, ecc.). Inoltre, la presenza di un legale è importante per interfacciarsi con l’OCC e con il tribunale, e per gestire eventuali opposizioni dei creditori. Ad esempio, banche e finanziarie a volte contestano la meritevolezza del consumatore: un buon avvocato preparerà le controdeduzioni mostrando la corresponsabilità delle banche se hanno concesso credito facile (applicazione del principio di merito creditizio in cui si “puniscono” le banche che hanno ignorato i segnali di indebitamento e concesso prestiti ulteriori).

È interessante notare che spesso le procedure di sovraindebitamento hanno un impatto sociale importante (famiglie salvate dall’usura, piccoli imprenditori che possono evitare il suicidio economico). In questo senso, lo studio legale specializzato non solo offre competenze tecniche, ma anche comprensione delle dinamiche psicologiche del debitore sopraffatto dai debiti, guidandolo con sensibilità attraverso un percorso di risanamento della propria vita economica.

Tabelle comparative degli strumenti di regolazione della crisi

Per avere una visione d’insieme, riportiamo di seguito alcune tabelle riassuntive che confrontano i principali strumenti di risoluzione della crisi d’impresa, evidenziandone natura (stragiudiziale vs giudiziale), requisiti, procedura, vantaggi e svantaggi dal punto di vista del debitore.

Tabella 1: Confronto strumenti stragiudiziali vs. giudiziali (imprese “fallibili”)

StrumentoNaturaChi può accedereRequisiti chiaveEsiti e vincolativitàVantaggi per debitoreSvantaggi/Rischi
Composizione negoziataStragiudiziale assistito (esperto)Imprese di qualsiasi dimensione (incl. minori e agricole)Squilibrio o crisi/insolvenza probabile; nomina esperto.Accordi volontari; possibile concordato semplificato se fallisce. Non vincola dissenzienti salvo uso successivo di procedure.+ Mantiene gestione impresa (no spossessamento); + Misure protettive sospendono azioni dei creditori; + Procedura riservata, flessibile.– Nessun effetto coercitivo sugli estranei (accordi solo se c’è consenso); – Successo dipende dalla collaborazione creditori; – Durata limitata (6+6 mesi) poi occorre altra soluzione.
Piano attestato di risanamentoStragiudiziale puro (privatistico)Imprese in crisi/insolvenza (di regola medio-grandi). Minori possibili ma raro.Piano fattibile attestato da professionista indipendente; Consenso individuale creditori chiave.Accordi contrattuali bilaterali con creditori; nessuna omologazione. Atti esecutivi del piano non revocabili se piano pubblicato.+ Massima riservatezza (no tribunale); + Flessibile, negoziabile caso per caso con creditori; + Rapido e minori costi procedurali.– Nessuna imposizione ai dissenzienti (serve consenso pressoché totale); – Nessuno stay automatico: creditori liberi di agire se non negoziano; – Successo legato alla credibilità attestazione e volontà creditori.
Accordo di ristrutturazioneordinarioagevolatoad efficacia estesaNegoziato + omologazione giudiziale (ibrido)Imprese in crisi/insolvenza (anche non commerciali); soggetti fallibili o non fallibili (questi ultimi se creditori lo accettano, se no c’è concordato minore).Ordinario: adesioni ≥ 60% crediti; Agevolato: adesioni ≥ 30%, no misure protettive, pagamento integrale estranei; Esteso: adesioni ≥ 75% per categoria (60% se pre-CN); attestazione fattibilità + best interest creditori estranei.Omologato dal tribunale → vincola anche estranei: – Ordinario: estranei congelati 120 gg ma vanno pagati al 100%; – Agevolato: estranei pagati subito al 100%; – Esteso: accordo imposto anche ai dissenzienti nelle classi con quorum.+ Struttura flessibile, il debitore negozia termini con creditori aderenti; + Effetto legale di stay (se ordinario) e di vincolo per estranei (dopo omologa); + Niente spossessamento né gestione commissariale durante la trattativa (debitor in possesso).– Richiede un quorum di consenso non banale (almeno 30%/60%); – Procedura di omologa: tempi e costi giudiziali, possibili opposizioni creditori; – Creditori estranei comunque da soddisfare integralmente (nessun taglio a chi non firma, solo dilazione breve se ord.).
Concordato preventivo (continuità / liquidatorio)Concorsuale giudiziale (formalizzato)Debitori insolventi o in crisi che vogliono evitare la liquidazione forzata. (Solo soggetti “fallibili”).Pres. soggettivo: imprenditore fallibile. Piano con proposta soddisfazione creditori (eventuale classi); attestazione indipendente su fattibilità. Se liquidatorio puro, richiesta utilità aggiuntiva ai creditori rispetto a fallimento.Omologazione giudice dopo voto creditori (≥ 50% crediti, salvo cram-down). Vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti). Esonera da debiti residui a esecuzione conclusa.+ Stay automatico appena ammesso (stop azioni esecutive); + Possibilità di falcidiare e ristrutturare debiti anche senza consenso unanime; + Può prevedere continuità aziendale (salvataggio impresa) o liquidazione ordinata con contributi esterni; + Debitore liberato dai debiti a fine procedura (fresh start).– Procedura pubblica e complessa: tempi lunghi, controllo di commissario e giudice; – Servono maggioranze di creditori: rischio di esito incerto (se voto no → liquidazione giudiziale); – Costi alti (spese concorsuali, professionalità varie); – Rigidità legali (par condicio, rispetto cause prelazione, ecc.) e trasparenza totale su atti impresa.

Tabella 2: Strumenti per soggetti non fallibili (sovraindebitamento)

StrumentoChi (debitori ammessi)MeccanismoRuolo dei creditoriEsito per il debitoreNote e vantaggi
Piano del consumatoreConsumatori (persone fisiche, debiti non imprenditoriali)Proposta di ristrutturazione con pagamento parziale/dilazionato dei debiti.Nessun voto creditori; giudice omologa se piano fattibile e debitore meritevole; creditori possono fare osservazioni/opposizione ma decisione finale al giudice.Vincolante per tutti i creditori chirografari e privilegiati (nei limiti del rispetto ordine cause prelazione); debitore paga secondo piano e ottiene esdebitazione su eventuale saldo.+ Non serve consenso creditori (ottimo per chi ha molti creditori ostili); + Taglio debiti modellato su capacità di pagamento reale; + Il giudice può “punire” banche imprudenti (merito creditizio) non riconoscendo loro pieno diritto se hanno concorso al sovraindebitamento. – Necessaria rigorosa sincerità e assenza di frodi; patrimonio e reddito devono essere dichiarati interamente.
Concordato minoreDebitori non fallibili non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, agricoltori, start-up non commerciali, ecc.)Proposta simile a concordato preventivo in piccolo: può prevedere continuità o liquidazione, con classi di creditori.Voto dei creditori richiesto (≥ 50% crediti ammessi, salvo cram-down se convenienza comprovata). OCC/commissario gestisce voto.Omologa del tribunale rende la proposta vincolante per tutti i creditori anteriori. Debitore esegue il piano sotto vigilanza OCC, poi esdebitazione residuo.+ Procedura giudiziale, con effetti di stay e sospensione azioni (come mini-concordato); + Permette falcidie di crediti con il consenso della maggioranza, anche per categorie di soggetti piccoli che altrimenti solo liquidazione; – Richiede convincere i creditori al voto (necessaria negoziazione preparatoria); tempi comunque giudiziali, seppur più brevi di un fallimento standard.
Liquidazione controllataQualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no) che abbia patrimonio liquidabile o su istanza creditori.Liquidazione di tutti i beni tramite Liquidatore nominato dal tribunale. Simile a fallimento ma semplificato e su scala più piccola.Creditori presentano domanda di insinuazione; nessun voto, solo riparto pro-quota secondo prelazioni.Debitore spossessato dei beni (eccetto indispensabili); al termine (max ~3 anni di realizzo) ottiene esdebitazione di legge dai debiti residui.+ Via d’uscita per chi non può offrire un piano: dopo la procedura il debitore “riparte da zero” libero dai debiti; + Durata contenuta e controllo giudiziario su liquidazione (maggior trasparenza rispetto a esecuzioni sparse); – Debitore perde i beni; procedura concorsuale a tutti gli effetti (stigma sociale, seppur per piccoli debiti); possibile iniziativa anche dei creditori se accordi falliscono.
Esdebitazione “incapiente”Persona fisica (consumatore o imprenditore cessato) totalmente priva di beni e redditi pignorabili. Meritevole e non ha usato altre procedure.Procedimento presso tribunale per cancellare debiti senza alcun pagamento.Creditori possono opporsi (es. se trovano beni occulti o contestano meritevolezza).Debiti cancellati immediatamente. Se nei 4 anni successivi il debitore acquista disponibilità rilevanti (es. eredità, vincite), deve pagarle ai creditori fino a concorrenza in proporzione.+ Seconda chance estrema per il debitore onesto ma sfortunato che non ha nulla da dare; + Evita economie sommerse (incentiva a emergere, tanto i debiti pregressi non tormentano più); – Molto rigorosa nelle condizioni; il beneficio viene revocato se si scoprono frodi o miglioramenti economici nei primi anni. Una tantum nella vita del debitore.

(Legenda: CN = Composizione Negoziata; OCC = Organismo Composizione Crisi).

Le tabelle sopra mostrano come ogni strumento abbia pro e contro e risponda a situazioni diverse. Ad esempio, un’azienda medio-grande con struttura complessa potrebbe preferire un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa per coinvolgere banche, mentre una PMI familiare potrebbe tentare prima la composizione negoziata e poi eventualmente un concordato in continuità se ha un piano industriale valido. Un consumatore sommerso dai debiti prediligerà il piano del consumatore se ha un reddito da offrire, altrimenti dovrà optare per la liquidazione controllata (se ha beni) o chiedere l’esdebitazione da incapiente. Uno studio legale esperto è in grado di valutare queste variabili e consigliare il percorso ottimale, nonché modulare gli strumenti (spesso in sequenza: es. composizione negoziata preliminare → concordato, oppure accordo stragiudiziale → se salta, fallimento pilotato con esdebitazione, ecc.).

Domande frequenti (FAQ) dal punto di vista del debitore

Di seguito una serie di domande ricorrenti che un imprenditore o debitore in crisi potrebbe porsi, con risposte sintetiche focalizzate sui suoi interessi e diritti.

D: La mia azienda sta accumulando debiti e non riesco a farvi fronte regolarmente. Quando dovrei rivolgermi a uno studio legale esperto in crisi d’impresa?
R: Il prima possibile. Non bisogna aspettare di essere sommersi dai decreti ingiuntivi o con i conti bloccati per cercare aiuto. I segnali di crisi – calo di liquidità, ritardi nei pagamenti di fornitori o tasse, tensione con le banche – vanno affrontati precocemente. Uno studio legale specializzato può analizzare la situazione e attivare strumenti di allerta e composizione assistita prima che l’insolvenza diventi conclamata. Intervenendo tempestivamente, aumentano le opzioni di salvataggio (piani negoziati, ristrutturazione del debito) e si evitano le condotte che potrebbero aggravare la situazione o costituire reato (continuare ad indebitarsi sapendo di non poter pagare, ad esempio). In sintesi: appena la continuità aziendale è a rischio, è il momento di consultare i professionisti della crisi.

D: Quali documenti e informazioni devo preparare prima di andare dall’avvocato per discutere della crisi della mia impresa?
R: Più dati fornisci, migliore sarà la diagnosi. In genere dovresti preparare:

  • Gli ultimi bilanci depositati e una situazione contabile aggiornata (stato patrimoniale e conto economico recenti).
  • L’elenco completo dei debiti con indicazione di importi, creditori (banche, fornitori, Fisco, dipendenti, ecc.), scadenze e eventuali garanzie.
  • L’elenco dei crediti attivi (clienti, lavori in corso non incassati) e delle commesse in essere.
  • Una lista dei beni aziendali e, se ditta individuale, anche personali significativi (immobili, macchinari, partecipazioni).
  • Le eventuali azioni legali già in corso: cause pendenti, decreti ingiuntivi, pignoramenti, cartelle esattoriali ricevute.
  • Qualunque piano finanziario interno o prospetto di liquidità se l’hai (molte volte non c’è, ma se hai fatto previsioni portale).
  • Informazioni su eventuali trattative in corso con banche (es. richieste di moratoria) o con investitori interessati.

Con questi elementi, l’avvocato e i consulenti potranno valutare la gravità della crisi e proporre soluzioni. Non temere di rivelare informazioni sensibili: c’è il segreto professionale. Meglio essere del tutto trasparenti su numeri e problemi, per evitare che in seguito emergano buchi nascosti che possano minare una procedura (es: debiti non dichiarati potrebbero fare fallire un concordato all’ultimo, meglio metterli subito sul tavolo).

D: Ho debiti soprattutto verso le banche e il fisco. Qual è la differenza tra cercare un accordo stragiudiziale con loro e aprire una procedura concorsuale?
R: L’accordo stragiudiziale significa negoziare direttamente con banche e Agenzia Entrate Riscossione (AER) senza coinvolgere il tribunale. Può funzionare se i creditori sono collaborativi: ad esempio, ottenere una ristrutturazione del mutuo dalla banca (allungamento del piano, riduzione tassi) e chiedere una rateazione straordinaria al fisco o lo stralcio di sanzioni. I vantaggi: meno pubblicità, rapporto più flessibile, nessun terzo che decide. Gli svantaggi: ogni creditore può tirarsi indietro; l’accordo di per sé non impedisce che un altro creditore ti porti in tribunale nel frattempo; e ad AER serve spesso una cornice normativa (ad esempio la “transazione fiscale” che però di solito si fa nel concordato o accordo omologato).
Aprire una procedura concorsuale (come un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione omologato) dà una cornice legale: il tribunale può imporre ai creditori dissenzienti di rispettare l’accordo se c’è la maggioranza, e nel frattempo concede il blocco delle azioni esecutive. Inoltre, col tribunale puoi ottenere di tagliare i debiti fiscali e contributivi anche senza accordo con l’ente, grazie al meccanismo della transazione fiscale e ora del cram-down fiscale. Di contro, è un percorso più formale, pubblico e lungo.
In pratica: se pensi di poter ottenere un’intesa accettabile con banche e fisco, si tenta prima quella (magari in sede di composizione negoziata). Se qualche attore è inflessibile o il debito è troppo grande, allora conviene la procedura, dove un giudice può forzare anche la mano al creditore pubblico (in presenza di certe condizioni di legge) e congelare le azioni dei creditori.

D: La composizione negoziata è obbligatoria prima di fare un concordato o un accordo di ristrutturazione?
R: No, non è obbligatoria, ma è fortemente consigliabile in molti casi. L’ordinamento inizialmente voleva introdurre degli “allerta obbligatori” ma poi ha preferito un approccio volontario assistito (la composizione negoziata). Puoi presentare direttamente un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione senza passare dalla composizione negoziata. Tuttavia, se passi prima dalla composizione negoziata ottieni vari vantaggi:

  • Se poi fai un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, le maggioranze richieste nelle classi sono ridotte (60% invece che 75%).
  • In caso di successivo concordato preventivo, hai già svolto trattative preliminari con i creditori, facilitando il voto, e hai dimostrato al tribunale di aver esplorato soluzioni meno invasive (il che può predisporre positivamente il giudice e i creditori).
  • Se la composizione fallisce, hai comunque la chance del concordato semplificato, che altrimenti non avresti.
    Quindi, pur non essendo obbligatoria, molti professionisti la suggeriscono come primo step, salvo situazioni di emergenza in cui bisogna subito proteggersi con un concordato in bianco perché c’è un’azione esecutiva imminente che rischia di far cessare l’attività.

D: Sto valutando il concordato preventivo: potrò continuare a svolgere l’attività durante la procedura? I clienti lo verranno a sapere?
R: Se presenti un concordato in continuità aziendale, la legge ti consente di proseguire l’attività sotto la vigilanza del commissario. Anzi, il piano stesso prevede che tu continui a operare e a generare ricavi per pagare i creditori. Il tribunale di solito ti lascia alla guida, ma con alcune limitazioni: gli atti di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati (es: vendere immobili, assumere mutui nuovi, ecc.), e il commissario controllerà che tu non sottragga beni o non favorisca qualcuno. I fornitori e clienti possono venirlo a sapere perché il concordato è pubblicato nel Registro Imprese e albo tribunale. Spesso inoltre i commissari inviano comunicazioni ai principali clienti/fornitori per raccogliere informazioni sui crediti/debiti. Quindi una certa pubblicità c’è. Questo è un fattore critico: alcuni clienti potrebbero essere diffidenti a fare affari sapendo che sei “in concordato”, altri invece comprenderanno che è un percorso di ristrutturazione e continuano i rapporti (magari chiedendo pagamenti anticipati per sicurezza). In base alla mia esperienza, conviene avvisare tempestivamente clienti e fornitori strategici, rassicurandoli che l’attività continua e il concordato serve a sistemare i debiti pregressi, mentre i rapporti correnti verranno rispettati regolarmente (infatti i debiti “di concordato” riguardano quelli sorti prima del deposito; i nuovi debiti devono essere pagati in corso di procedura).
Se invece il concordato è liquidatorio, potresti cessare l’attività o cederla a terzi secondo piano, quindi in quel caso la continuazione è solo strumentale alla vendita. In generale, predisponi con l’avvocato una strategia di comunicazione: trasparenza con i partner chiave, evitando però annunci allarmistici. La pubblicità legale è inevitabile ma il messaggio su come la interpreti fa la differenza: “Ci siamo rivolti al tribunale per ristrutturare e tornare più solidi: continueremo a fornirvi servizi/beni come sempre, garantiti dalla vigilanza del tribunale stesso”.

D: Cosa succede se ho presentato un concordato ma i creditori non approvano la mia proposta?
R: Se nella votazione all’adunanza dei creditori non ottieni le maggioranze richieste (50% in valore, salvo diverse regole con classi), il concordato viene considerato respinto. A quel punto il tribunale non potrà omologarlo (a meno che tu riesca a far valere qualche eccezione di cram-down, ma se proprio non hai la maggioranza di voti favorevoli, difficilmente potrai convincere il giudice a forzare la mano, perché almeno una classe deve aver detto sì). In pratica, il commissario riferirà l’esito negativo e il tribunale chiuderà la procedura di concordato. Se la tua impresa è in insolvenza, quasi sicuramente contesterà il tuo stato e pronuncerà contestualmente la liquidazione giudiziale (fallimento). Infatti, l’apertura del concordato sospende eventuali istanze di fallimento, ma se il concordato fallisce, quelle istanze si “riattivano”. La legge consente talvolta di convertire il concordato in fallimento d’ufficio.
C’è una remota possibilità: se la mancata approvazione è dovuta a pochi creditori dissenzienti ma la maggioranza delle classi era favorevole e il piano era conveniente, il tribunale potrebbe valutare un’omologazione forzata (cram-down giudiziale). Ad esempio, se hai 3 classi e 2 hanno votato sì e una no, e quest’ultima comunque in concordato prendeva più che in fallimento, il giudice può omologare nonostante il no di quella classe. Questo scenario è molto tecnico e l’avvocato lo valuterà, ma se proprio l’hai bocciato su tutta la linea, allora è game over sul concordato.
In sostanza: è fondamentale fare un sondaggio dei voti prima, durante la fase di concordato in bianco o nei contatti col commissario, per capire se la tua proposta passa. Uno studio esperto fa lobbying sui creditori determinanti e magari modula la proposta in corsa (nei limiti possibili) per ottenere il via libera. Se percepisce che non ce la fai, potrebbe consigliarti di chiedere la conversione in liquidazione già subito (risparmiando tempo e costi) o di esplorare alternative (una proposta concorrente da terzi? un accordo fuori dal concordato con quelli contrari?). Purtroppo, se la maggioranza è contraria e non c’è soluzione, il fallimento è la conclusione.

D: Sono un piccolo artigiano individuale molto indebitato ma formalmente non fallibile. Posso fare qualcosa di simile al concordato?
R: Sì, è proprio il caso del concordato minore o del piano del consumatore, a seconda di come sono i tuoi debiti. Se i debiti riguardano la tua attività artigiana (fornitori, attrezzature, forse tasse), userai il concordato minore: presenti un piano ai tuoi creditori e loro votano. Se invece la gran parte dei debiti sono personali (metti che hai anche debiti familiari, prestiti personali), potresti qualificarti come consumatore per quella parte e presentare un piano del consumatore. Anche combinato: la legge permette ai membri di una stessa famiglia di fare una procedura unica se i debiti hanno origine comune. Ad esempio, tu artigiano e tua moglie coobbligata su prestiti potete fare un unico piano familiare.
In pratica, non conta che tu sia “non fallibile”: hai a disposizione procedure di sovraindebitamento molto simili a quelle concorsuali grandi. Per te l’interlocutore sarà l’OCC e il tribunale. Dovrai mostrare la meritevolezza (non hai truffato i creditori, non hai fatto spese folli con intenzione di non pagare) e offrire tutto il possibile: o una parte di reddito futuro o la liquidazione di qualche bene con eventuali rate. In cambio, avrai la liberazione dai debiti residui una volta eseguito il piano o la liquidazione. Visto che sei artigiano, probabilmente vuoi salvare l’attività: magari proponendo di pagare i debiti in 5-6 anni usando i profitti futuri. I creditori valuteranno che preferiscono incassare qualcosa col tuo lavoro, piuttosto che farti chiudere bottega e non vedere quasi nulla.
Tieni presente che per attivare queste procedure devi rivolgerti all’OCC competente (ad esempio presso la tua Camera di Commercio locale c’è un OCC). Uno studio legale può aiutarti a predisporre tutta la domanda e rappresentarti, ma formalmente la legge vuole che ci sia il filtro di questo organismo. Comunque sì, c’è vita oltre la soglia di non fallibilità: la tua crisi può essere composta con strumenti ad hoc.

D: Se apro una procedura di sovraindebitamento, posso includere anche i debiti con Equitalia/Agenzia Entrate? Posso far tagliare le cartelle esattoriali?
R: Assolutamente sì, anche i debiti fiscali e previdenziali possono rientrare nel piano o nel concordato minore. C’è però una particolarità: l’Erario e gli enti previdenziali hanno la facoltà di aderire o meno a eventuali proposte di stralcio. Nel piano del consumatore, ad esempio, il giudice potrebbe omologare anche senza il consenso esplicito del fisco, purché tu preveda di pagare almeno quello che pagheresti liquidando un tuo eventuale patrimonio (principio di convenienza). Il CCII e i suoi correttivi hanno introdotto la possibilità del cram-down fiscale anche qui: se l’ente non risponde o rifiuta ma la tua offerta è ragionevole e vantaggiosa rispetto al fallimento, il giudice può imporsi e omologare comunque.
Nel concordato minore, analogamente, se la maggioranza dei crediti (in cui c’è magari dentro pure il fisco) approva, sei a posto. Se per caso il fisco è determinante e vota contro facendoti mancare la maggioranza, il giudice può valutare di omologare lo stesso se ritiene l’offerta al fisco adeguata. Ad ogni modo, l’avvocato cercherà di negoziare anche con l’Agenzia Entrate o l’Inps magari prima, per vedere se accettano formalmente il piano (cosa che spesso fanno se vedono che non c’è molto da spremere).
Quindi, sì: puoi inserire le cartelle esattoriali e prevedere ad esempio di pagarne solo una parte. Tieni a mente che per IVA e ritenute la legge di solito non consente stralcio integrale – bisogna offrire almeno il 100% di queste imposte “sacrate” a meno di casi eccezionali. Mentre su sanzioni e interessi c’è più margine di falcidia. Anche qui uno studio esperto saprà come strutturare la proposta di transazione fiscale all’interno del piano. L’importante è non escludere il fisco: se hai debiti fiscali e contributivi, devi inserirli e trattarli equamente, altrimenti il giudice non omologa. Non sperare di salvarli per dopo: o li affronti nella procedura o ti inseguiranno poi.

D: Quanto dura la protezione dai creditori nelle varie procedure? Rischio che durante la procedura qualcuno mi pignori i beni?
R: Dipende dallo strumento:

  • Composizione negoziata: Se ottieni le misure protettive, avrai una sospensione delle azioni esecutive tipicamente per la durata della procedura (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabile al massimo di altri 4). Quindi potenzialmente fino a 8 mesi di protezione. Se hai chiesto anche misure cautelari, ad esempio di bloccare la revoca di fidi bancari, valgono anch’esse in questo lasso. Dopo, se non hai risolto, decadono.
  • Accordo di ristrutturazione (ordinario/ad efficacia estesa): Dal deposito in tribunale puoi chiedere il divieto di azioni esecutive e il giudice lo concede fino all’omologazione. Quindi la protezione vale per l’intero iter (che può durare qualche mese). Una volta omologato, c’è per legge un ulteriore “franchigia” per pagare gli estranei di 120 giorni in cui quei creditori non possono agire. Nell’accordo agevolato, invece, non è previsto automatic stay (hai rinunciato per poter scendere al 30% quorum), quindi durante quell’iter se un estraneo volesse pignorare potrebbe tentare (in pratica, sapendo che lo pagherai subito a omologa, attendono, ma giuridicamente potrebbero).
  • Concordato preventivo: Offre la protezione più forte. Dalla data di pubblicazione della domanda di concordato (anche con riserva) al registro imprese, nessun creditore può iniziare o proseguire esecuzioni o cautelari sul patrimonio (art. 54 CCII, ex art. 168 l.f.). Eventuali pignoramenti in corso restano sospesi. Questa protezione dura per tutto il procedimento fino all’omologa (o al decreto di non omologa). Parliamo spesso di 6-12 mesi di tranquillità (a volte di più se procedure complesse). Dopo l’omologa, per i crediti falcidiati secondo il piano, i creditori non possono agire se non secondo quanto stabilito (chi doveva esser pagato in percentuale riceverà quella e stop). Se invece il concordato non viene omologato, allora la protezione cessa e i creditori possono riprendere le ostilità (spesso però a quel punto interviene il fallimento con suo automatic stay).
  • Procedure sovraindebitamento: Quando presenti un piano del consumatore o concordato minore, puoi chiedere immediatamente la sospensione delle azioni e tutele analoghe al concordato. Il giudice di norma emette un decreto di apertura che include lo stay. Dura fino all’omologazione, simile a un concordato ma a dimensione ridotta. Nella liquidazione controllata, con l’apertura della liquidazione, tutti i creditori sono chiamati a presentare domanda al passivo e le esecuzioni individuali decadono. Quindi anche lì, sebbene non ci sia “protezione” per te nel senso che hai perso i beni, c’è comunque il blocco delle azioni individuali (si convogliano nella procedura).
  • Piano attestato di risanamento: Questo è un caso particolare: non c’è protezione legale generale. La protezione è indiretta: i creditori che aderiscono di solito si impegnano a non agire se tu rispetti il piano. Quelli estranei potrebbero agire: per questo spesso li paghi per intero o li tieni buoni in altro modo.

Riassumendo: in un concordato o accordo omologato hai una buona protezione, in un piano stragiudiziale sei esposto. Va detto che quando presenti queste procedure, il Cancelliere invia comunicazione ai vari uffici (ufficiali giudiziari, ecc.) e in genere i creditori lo sanno e attendono. Se qualcuno provasse un pignoramento durante un concordato, sarebbe nullo e potresti farlo sospendere subito con l’ingiunzione del tribunale. Con la composizione negoziata, se ottieni le misure protettive dal giudice, sei al riparo; se decidi di non chiederle (per non allarmare i creditori), allora c’è rischio.

D: Cosa comporta per me personalmente il fallimento (liquidazione giudiziale)? Rischio conseguenze penali o di perdere anche la casa?
R: Se sei un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile fallito:

  • Patrimonio: finiscono nella massa fallimentare tutti i tuoi beni, esclusi quelli per legge impignorabili (abbigliamento, cose personali di stretto uso, stipendi entro certi limiti, ecc.) e la cosiddetta “casa di abitazione” se non ipotecata? In verità, la casa se è di tua proprietà e ci sono creditori, potrebbe essere venduta dal curatore salvo tu concordi un modo di tenerla pagando creditori (ma è raro, solo se la casa è modesta e i creditori acconsentono). Quindi sì, la casa di solito si perde se serve a pagare debiti, specie se c’è un mutuo insoluto (la banca ipotecaria aggredirà).
  • Attività: ovviamente cessa, a meno di esercizio provvisorio. Se hai un’azienda, il curatore può tenerla aperta un po’ per venderla meglio. Tu però non la gestisci più.
  • Personali conseguenze: Il CCII ha attenuato alcune: prima c’era l’interdizione all’esercizio di impresa per un certo periodo post-fallimento, ora credo rimanga un periodo entro cui non puoi fare l’imprenditore individuale (mi pare 3 anni dal decreto di chiusura). Non puoi avere cariche societarie per un po’. Comunque, la più importante è che dopo la chiusura, se sei stato onesto, puoi chiedere l’esdebitazione e quindi ripartire senza i vecchi debiti. Ciò include i debiti residui verso il fisco (tranne eventuali sanzioni penali pecuniarie, risarcimenti danni da lesioni etc., che non si cancellano).
  • Penali: Il fallimento di per sé non è reato, ma genera una serie di possibili reati concorsuali se hai compiuto certi atti. La curatela esamina la tua gestione passata: se emergono ammanchi di beni, distrazioni di denaro a te stesso o terzi prima del fallimento, false scritture contabili, preferenze a qualche creditore poco prima della procedura, potresti essere denunciato per bancarotta (fraudolenta se c’è dolo, semplice se solo gestione imprudente). Ad esempio, se hai venduto sottoprezzo un macchinario a un amico poco prima di fallire, è bancarotta fraudolenta patrimoniale. Se hai continuato a comprare merce a credito sapendo di non poter pagare, potresti avere una contestazione di bancarotta semplice per mala gestione o anche una truffa ai creditori.
    Qui il ruolo del legale è cruciale: se la tua gestione è stata pulita ma hai fatto errori formali (mancanza di libri, pagato qualcuno in più pressante violando par condicio), spesso c’è l’inchiesta penale. L’avvocato ti difenderà spiegando il contesto, eventualmente patteggiando se opportuno. Non tutti i fallimenti sfociano in condanne: se hai agito in buona fede e la crisi è dovuta a cause esterne, magari al più c’è una bancarotta semplice (che spesso viene dichiarata non punibile o con pene minori).
  • Famiglia: Se sei in comunione dei beni col coniuge, attenzione, perché la metà dei beni comuni potrebbe entrare nella massa fallimentare (ma su questo serve analisi specifica). I debiti personali restano tuoi, non colpiscono direttamente tua moglie se non è garante. Comunque, il fallimento è un terremoto ma oggi l’ordinamento mira a dargli anche uno scopo di “ripartenza” dopo.

Se invece sei amministratore di una società fallita: non fallisci tu personalmente, ma potresti avere:

  • Azione di responsabilità dal curatore se hai aggravato il dissesto.
  • Azioni penali per bancarotta societaria (stesse regole, se hai fatto atti distrattivi o tenuto scritture false).
  • Se hai prestato fideiussioni personali, quelle si attivano e i creditori verranno contro di te personalmente (non in fallimento, ma come persona fisica dovrai magari sottoporti a sovraindebitamento).

In sintesi: la liquidazione giudiziale è l’ultimo stadio da evitare se possibile; se inevitabile, l’obiettivo dello studio legale sarà mitigare le conseguenze, ottenere l’esdebitazione per toglierti i debiti residui e difenderti da eventuali strascichi di responsabilità.

D: Quanto costa affrontare queste procedure? Posso permettermi di pagare gli avvocati e gli esperti se sono in crisi?
R: Questa è una domanda legittima. In un mondo ideale, i costi professionali dovrebbero essere essi stessi “ristrutturabili”. Diciamo che:

  • Per procedure stragiudiziali (piani attestati, negoziazioni private), gli onorari di avvocati e consulenti li paghi tu come spese dell’azienda. Molti studi cercano di modulare i compensi in parte fissi e in parte success fee (ad esempio, un compenso base e un ulteriore compenso se si raggiunge l’accordo e si evitano guai peggiori). È qualcosa da discutere apertamente con lo studio: chiedi un preventivo e magari una rateazione. Considera che un professionista bravo può farti risparmiare moltissimo sul debito, quindi il costo suo è un investimento.
  • Nelle procedure concorsuali, le spese principali (commissari, curatori, ecc.) diventano prededucibili e vengono pagate con priorità nell’ambito della procedura stessa. Ad esempio, nel concordato puoi inserire nella massa passiva il compenso dell’attestatore e del commissario; quindi li paghi con le risorse destinate ai creditori, prima dei creditori. Anche il legale può chiedere prededuzione, ma di solito per trasparenza il suo compenso viene in parte anch’esso incluso nel piano (questo dipende, non in tutte le sedi). Quindi, se sei proprio a zero cassa, un minimo di liquidità iniziale per avviare la pratica serve (non puoi pretendere che l’avvocato e l’attestatore lavorino gratis sperando nel concordato). Tuttavia, certe spese vive (bollo, contributo unificato) sono modeste rispetto ai debiti totali.
  • Negli accordi di ristrutturazione simile: il compenso dell’attestatore e le spese di omologa sono a tuo carico, ma vengono pagate come prededuzione all’omologa. Lo studio legale di solito ti chiederà almeno una parte iniziale e poi il resto a omologa avvenuta.
  • Nella composizione negoziata, l’esperto indipendente è pagato a fine procedura secondo tariffe ministeriali e metà compenso è a carico dello Stato (per le PMI) e metà dell’imprenditore, se non erro. Comunque c’è la possibilità di chiedere un fondo di garanzia statale per contribuire. L’esperto non può chiederti parcelle anticipate (è vietato). Quindi lui lo pagherai dopo (spesso lo Stato anticipa).
  • Nelle procedure di sovraindebitamento, l’OCC chiede un compenso anch’esso parametrato (spesso relativamente contenuto) e spesso c’è la possibilità di pagarlo a rate durante l’esecuzione del piano. Se sei proprio incapiente, in alcuni casi lo Stato interviene o il compenso viene ridotto.

È un paradosso che chi è in crisi debba tirar fuori soldi per consulenti. Però considera: non affrontare la crisi ti costerà quasi sempre di più (pignoramenti, interessi di mora, aggravi, perdita totale dell’azienda). Gli studi legali seri sanno calibrarsi. Puoi chiedere se c’è l’accesso al gratuito patrocinio: in materia di sovraindebitamento, alcuni tribunali ammettono i debitori non abbienti al patrocinio a spese dello Stato per l’assistenza legale, essendo procedure civili di volontaria giurisdizione. Vale la pena informarsi presso l’Ordine avvocati locale.

In breve: concorda bene i termini di pagamento con il tuo legale, valuta eventuali aiuti (soci, parenti) per coprire queste spese iniziali: spesso un familiare è più disposto a prestarti i soldi per l’avvocato che non per pagare l’intero debito, perché capisce che così investi in una soluzione. Inoltre, molte procedure permettono di far ricadere i costi sui creditori (nel senso di prelevarli dall’attivo destinato a loro). Non ultimo, chiedi allo studio di stimare i costi di procedura (ad es: “Se facciamo concordato, quanto andrà a commissario e attestatore e tribunale?”) così puoi tenerne conto nel piano.

D: Alla fine, se tutto va male e fallisco, dovrò comunque pagare i debiti rimanenti?
R: In linea di massima, no, non dovrai pagarli con il tuo futuro reddito, a patto di utilizzare gli strumenti giusti per chiudere la vicenda. Mi spiego:

  • Se segui una procedura concorsuale (concordato, accordo, ecc.) e la completi con successo, i debiti vengono pagati nella misura stabilita e il resto viene stralciato per legge all’omologa (nel concordato) o comunque non più esigibile (in un accordo, i creditori hanno accettato di rinunciare a parte, quindi non possono più pretendere nulla). Dunque lì sei a posto.
  • Se invece finisci in liquidazione giudiziale (fallimento), hai diritto a chiedere l’esdebitazione a fine procedura, cioè la cancellazione dei debiti non pagati in sede fallimentare. Oggi questa è concessa abbastanza di routine ai falliti onesti. Significa che, chiuso il fallimento, i creditori non soddisfatti non possono più perseguitarti (diventa un debito d’onore, moralmente li avevi ma legalmente sono estinti).
  • Se nemmeno chiedi l’esdebitazione (sarebbe sciocco non farlo), comunque dopo 3 anni potresti essere riabilitato su istanza. Ma meglio chiedere esdebitazione entro 1 anno dalla chiusura come prevede la norma.
  • Nelle procedure da sovraindebitamento, l’esdebitazione è proprio l’obiettivo finale, come detto. Se fai un piano del consumatore e lo rispetti, i residui debiti vengono cancellati dall’omologa compiuta. Se fai liquidazione controllata, l’esdebitazione è integrata.

Quindi, la logica del sistema attuale è: chiude la procedura, si chiudono i conti col passato. Le uniche eccezioni sono:

  • Debiti per risarcimento di danni da fatto illecito con dolo o debiti di mantenimento familiare, alimenti, o debiti per multe penali: quelli non si cancellano neanche col fallimento (art. 282 CCII). Es: se devi alimenti all’ex coniuge, quell’obbligo rimane.
  • Sanzioni penali pecuniarie o ammende: neppure quelle si estinguono.
  • Debiti fiscali per IVA e ritenute non versate: in concordato di solito devi pagarne almeno una parte (non esdebitabili totalmente), ma se fossi fallito e non c’è capienza per pagarli, con l’esdebitazione vengono comunque cancellati (c’è discussione su ciò, ma la giurisprudenza tende a includerli).

In pratica, se “tutto va male” ma tu segui la strada legale fino in fondo, non ti troverai a vita schiavo dei creditori. La peggior cosa sarebbe ignorare la crisi: perché se non attivi nessuna procedura e i creditori ottengono decreti e pignoramenti, potresti accumulare debiti (interessi, spese legali loro) e restare soggetto a precetti per decenni senza via d’uscita. Ecco perché conviene “istituzionalizzare” la crisi: inserendola in un alveo normativo che prevede poi la tua liberazione. Oggi l’ordinamento, recependo la filosofia americana del fresh start, ti dà l’opportunità di ripartire pulito dopo aver affrontato la crisi con trasparenza.

D: Ho sentito parlare di “piani di risanamento soggetti a omologazione (PRO)” e altri termini nuovi. Devo preoccuparmi di queste cose?
R: Il PRO (Piano di Ristrutturazione Omologato) è un nuovo strumento introdotto nel Codice della Crisi nel 2022 per recepire la normativa europea. In realtà è una variante sofisticata che riguarda soprattutto le grandi imprese. Permette di presentare al giudice un piano concordato con alcuni creditori, e il giudice può omologarlo anche senza il voto formale di tutti, a condizione che tutti i creditori in ciascuna classe siano almeno consenzienti (100% per classe) e certi standard siano rispettati. In sintesi, è utile magari a banche e aziende di grandi dimensioni con debiti in strumenti finanziari. Se sei una PMI o un’artigiano, queste cose probabilmente non ti toccano direttamente: userai gli strumenti più classici. Il PRO è un po’ un ibrido tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato, dedicato alle imprese più strutturate (non accessibile se sei sotto soglia fallimentare, ad esempio, perché l’art. 64-bis CCII lo esclude per imprese minori). Quindi direi di non complicarti con quello se non rientri nella categoria. Ci sono altri termini nuovi come le “procedure di allerta” (che però al momento sono state sospese e sostituite appunto dalla composizione negoziata). Oppure “concordato semplificato” di cui abbiamo già parlato, ma quello scatta solo in una specifica circostanza (fallimento composizione negoziata).
In pratica, come debitore, affidati alla consulenza: saranno i professionisti a valutare se c’è uno strumento particolare cucito per te. Ad esempio, se fossi una società con centinaia di obbligazionisti, forse il PRO sarebbe interessante. Ma per la maggior parte dei casi, le soluzioni sono quelle di cui abbiamo parlato approfonditamente.

D: Cosa posso fare per proteggere il mio patrimonio personale (es. la casa di famiglia) in caso di crisi della mia società?
R: Questa è spinosa. Se la tua società è di capitali (S.r.l., S.p.A.), di norma c’è separazione patrimoniale: i creditori sociali non possono aggredire i beni personali dei soci o amministratori, salvo abbiano garanzie personali (fideiussioni, avalli) o in caso di illeciti gravi (tipo azione di responsabilità, o il socio ha usato la società come schermo fraudolento). Quindi, se non hai firmato garanzie, la casa di tua proprietà è al sicuro dai debiti della società.
Tuttavia, nella realtà spesso l’imprenditore ha firmato fideiussioni bancarie per ottenere prestiti alla società, oppure ci sono debiti personali (es. tributari, tipo l’IVA se sei rappresentante legale e non versata potrebbe portare a sanzioni personali, ma normalmente rimane verso la società). Dunque, se la società va in concordato o fallisce, le banche su cui hai garanzie verranno da te. In tal caso:

  • Puoi includere te stesso in una procedura di sovraindebitamento parallela (se sei non fallibile come persona) o se sei fallibile, potresti tu stesso fallire (ma se sei solo socio di S.r.l., non fallisci a meno che tu abbia altre attività come imprenditore individuale).
  • Per proteggere la casa, se ipotecata dalla banca, l’unica è trattare con la banca: magari includerla in un accordo personale dove vendi la casa e paghi parte, oppure se la casa non è ipotecata ma temi pignoramenti, considera strumenti come il fondo patrimoniale o il trust. Attenzione però: costituire un fondo patrimoniale o trust quando i debiti sono già manifesti può essere revocato come atto in frode ai creditori. Le protezioni patrimoniali funzionano se fatte in tempi non sospetti e per giuste cause. Farlo all’ultimo è rischioso e potrebbe configurare anche reati (distrazione di patrimonio).
  • Se la casa è cointestata col coniuge, la metà del coniuge è protetta, l’altra metà no. A volte si pensa di simulare vendite o donazioni a parenti: sconsigliabile se già sei in odore di insolvenza, perché sono annullabili e peggiorano la tua posizione (appaiono come atti fraudolenti).

La via migliore è gestire la crisi nella legalità: se proprio la società non può salvare la casa, considera vendere tu stesso la casa e usare il ricavato per chiudere la posizione con le banche (magari stralciando il residuo). Oppure, se vai in liquidazione personale, rivolgiti all’OCC e dichiara la casa nei beni: paradossalmente, se è prima casa e non di lusso, a volte nel sovraindebitamento il giudice potrebbe escluderla dalla liquidazione per ragioni sociali (in alcune giurisprudenze si è fatto). Non è garantito però.
Insomma, ogni caso è a sé. Parlando col tuo avvocato, potrai studiare se c’è margine per salvare alcuni asset personali (spesso la risposta sincera sarà: se vuoi salvare l’azienda devi sacrificare qualcosa; oppure salva te stesso lasciando andare l’azienda e con essa i debiti).

D: In concreto, come funziona la nomina dell’esperto nella composizione negoziata e quanto tempo ci vuole per iniziare?
R: La nomina è piuttosto rapida e burocraticamente definita: dopo che presenti l’istanza tramite la piattaforma telematica delle Camere di Commercio, una commissione (composta da membri designati da Ministero Giustizia, dello Sviluppo Economico, ecc.) individua un esperto dall’elenco nazionale in base a criteri di competenza e territorialità. Tipicamente entro pochi giorni (in teoria 2 giorni, ma spesso 5-10 giorni lavorativi) ti viene comunicato il nominativo. L’esperto poi entro 7 giorni convoca l’imprenditore per il primo incontro. Dall’istanza di solito passa poco tempo per l’avvio – diciamo che in un paio di settimane sei operativo.
Ci sono moduli prestabiliti per la domanda sulla piattaforma; dovrai caricare i documenti richiesti (elenco debiti, crediti, ecc.). Lo studio legale ti aiuta a compilare il tutto in modo convincente (anche se in teoria non serve convincere nessuno a nominare l’esperto, è un diritto se hai i requisiti).
Una volta nominato, l’esperto fa un primo incontro in cui spiega le regole e valuta sommariamente se ci sono prospettive di risanamento. Se l’esperto percepisce che non c’è nulla da fare (impresa completamente decotta senza alcuna via), potrebbe segnalare subito la possibilità di chiudere anticipatamente o consigliare altre vie. Se c’è spazio, si firmerà un protocollo di conduzione e si partirà con le riunioni coi creditori.
Quindi, tempi: presentazione istanza telematica (giorno X); nomina esperto ~ giorno X+7; primo incontro ~ X+14; da lì hai 180 giorni max per condurre le trattative, estensibili a 240 se motivato. Le misure protettive, se richieste, scattano non appena il tribunale emette il decreto (di solito poche giorni dopo l’istanza di protezione, può essere anche in 2-3 giorni se urgenza).
Se hai necessità urgentissima di bloccare creditori (es: sta per esserci un’asta), potresti depositare subito un ricorso autonomo per misure protettive urgente e poi avviare la composizione. Questo lo valuterai col legale.

D: Una startup innovativa (senza ricavi, solo investimenti) può accedere a queste procedure?
R: Sì, certo. Una startup innovativa se iscritta come tale è temporaneamente esente da fallimento (per 5 anni dalla costituzione non può essere dichiarata fallita finché ha requisiti di startup innovativa). Però può comunque autonomamente accedere a concordato o accordi se vuole. Anzi, se vede che brucia cassa e non arriva un nuovo round, può usare un accordo di ristrutturazione per trattare con eventuali creditori (fornitori, banche). Frequentemente però le startup hanno pochi debiti (perché nessuno fa credito significativo se non ci sono asset; i problemi possono essere leasing di attrezzature, debiti con incubatori, o i soci stessi finanziatori).
Una startup può anche accedere alla composizione negoziata, perché non c’è limite: se prevede crisi, nomina l’esperto e magari trova un investitore o concorda dilazioni con fornitori.
Se è indebitata e non recuperabile, può fare liquidazione “volontaria” societaria (non concorsuale) se non raggiunge soglie di fallibilità. Ma i creditori potrebbero poi chiedere il fallimento una volta persi requisiti di startup (dopo 5 anni).
Quindi sì: direi che può usare tranquillamente gli strumenti, compresi i nuovi come il PRO se fosse già più grande (ma startup per definizione piccola, PRO direi di no per dimensione).
Nota bene: per le startup innovative c’è una particolarità, se hanno soci finanziatori, a volte il fallimento è evitato anche oltre i 5 anni tramite vari artifizi (si punta su procedure alternative). Lo scenario tipico: se una startup fallisce, spesso i soci preferiscono liquidarla in bonis (cioè senza attivare procedure concorsuali, pagando chi si può e chiudendo). Ma se non possono pagare tutti, potrebbero dover ricorrere a un concordato minore (se sotto soglia) o concordato preventivo. Insomma, la risposta breve: sì, anche la startup ha i suoi paracadute.

Simulazioni pratiche di situazioni tipo

Per dare concretezza a quanto esposto, presentiamo alcune simulazioni (casi di studio ipotetici) che illustrano come un debitore, assistito da uno studio legale specializzato, può affrontare la crisi d’impresa in diversi contesti. Questi esempi servono a mostrare l’applicazione pratica degli strumenti e le decisioni strategiche prese dal debitore con il supporto legale.

Caso 1: PMI manifatturiera con debiti verso banche e fornitori

Scenario: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera tessile a conduzione familiare, 50 dipendenti, attiva da decenni. Negli ultimi 2 anni ha subito un calo di fatturato (crisi del settore, perdita di un cliente importante) accumulando perdite. Ha debiti per circa 2 milioni €: 800k € verso banche (mutuo ipotecario su capannone e linee di credito a revoca utilizzate), 500k € verso fornitori (di materie prime), 300k € verso fornitori di servizi e consulenti, 200k € di debiti fiscali (IVA di un anno e ritenute non versate) e 200k € verso altri (leasing macchinari arretrati). L’azienda è in tensione di liquidità: paga stipendi ma a fatica, è fuori fido in banca, alcuni fornitori minacciano azioni legali. Il patrimonio: un capannone del valore stimato 1M € (ipotecato per 600k residuo mutuo), macchinari per 300k (leasing su metà di essi), magazzino 200k (materie prime e semilavorati), crediti verso clienti 150k (molti incassi in ritardo). Gli imprenditori non vogliono chiudere: hanno ancora ordini (seppur ridotti) e credono di poter recuperare con nuovi design e mercati esteri, ma servirebbe alleggerire il debito e avere liquidità per investire in nuove tecnologie.

Azioni intraprese con lo studio legale: Dopo aver analizzato la situazione, lo studio consiglia innanzitutto di tentare la Composizione Negoziata. Motivazioni: l’impresa ha prospettive di risanamento (settore non spacciato, solo da riconvertire parzialmente), c’è un capannone come garanzia che si può rifinanziare, però serve tempo per ristrutturare il debito senza che i creditori singoli aggrediscano. Si prepara l’istanza sulla piattaforma indicando i segnali di squilibrio (indice DSCR < 1, insomma crisi probabile). Viene nominato l’esperto.
Nel frattempo l’avvocato suggerisce di chiedere subito misure protettive: Alfa S.r.l. presenta istanza al tribunale per bloccare i creditori (infatti un fornitore ha già ottenuto decreto ingiuntivo). Il tribunale concede la sospensione delle azioni per 4 mesi. Ciò calma le acque.
L’esperto, nei primi incontri, vede margine per accordo: l’azienda in 6 mesi potrebbe vendere un terreno non strategico (adiacente al capannone) per incassare 300k, e i soci sono disposti a mettere 100k freschi se si raggiunge un accordo. Questi 400k servirebbero a pagare i fornitori chirografari almeno al 50%. Per il resto, l’esperto propone di contattare una banca disponibile a rifinanziare consolidando i debiti finanziari: trasformare le esposizioni a revoca e il residuo mutuo in un nuovo mutuo decennale, con garanzia pubblica (Fondo PMI) e ipoteca sul capannone (già c’è). Una banca partner si mostra disponibile se gli altri creditori accettano uno stralcio.
Durante le trattative, l’esperto e l’avvocato di Alfa incontrano un gruppo di fornitori principali: viene prospettato loro un piano in cui riceverebbero il 50% dei loro crediti in 12 mesi (grazie alla vendita del terreno e all’apporto soci) e il restante 50% verrebbe esdebitato; in cambio, l’azienda continuerà a lavorare e garantirà loro future commesse. I fornitori, temendo di perderla e di ricavare meno da un fallimento, sono per lo più d’accordo sul 50%. Alcuni però chiedono il 60%. Si discute.
Parallelamente, si tratta col fisco: c’è un debito IVA (che per legge andrebbe pagato integralmente se possibile) e ritenute. Si propone di inserirli nel nuovo mutuo (parte dei 600k rifinanziati andrà anche al fisco). Agenzia Entrate sembra accettare una transazione fiscale: prendere 150k su 200k (stralciando sanzioni e interessi).
Dopo 3 mesi, il quadro che emerge è: banche ok a rifinanziamento 600k a 10 anni; fornitori chirografari disposti a stralciare del 50% (qualcuno 40%, si media a 50% per par condicio) su 500k = ne restano 250k da pagare; fisco accetta 150k su 200k (75%); leasing e altri debiti analoghi si risolvono rifinanziandoli a fine piano. Totale cash needed: 250k fornitori + 150k fisco + alcune spese procedura 20k = ~420k. Fonti: 300k vendita terreno + 100k soci = 400k, un gap di 20k colmato da cessione di un macchinario secondario.
L’esperto compila la relazione finale dicendo che c’è un accordo quadro: banche, fornitori principali e fisco hanno aderito alla bozza di accordo di ristrutturazione. A questo punto, Alfa S.r.l., col supporto legale, decide di formalizzare un Accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (ordinario) chiedendone l’omologa. Perché non lasciarlo stragiudiziale? Perché alcuni piccoli fornitori (un 20% dei chirografari in valore) non hanno risposto o non aderiranno. Con l’omologa, quell’accordo coi 80% degli altri verrà esteso anche a loro, purché siano pagati al 100% entro 120 gg. In effetti, col rifinanziamento, Alfa conta di avere liquidità per pagarli integralmente (sono in totale 50k quei piccoli crediti, li include nel mutuo addirittura).
Si chiude la composizione negoziata con successo e in parallelo si deposita l’accordo al tribunale con le firme raccolte (metà firmata in composizione, gli altri firmano poi, raggiungendo ad esempio 65% adesione). Il tribunale omologa. I creditori estranei vengono poi pagati. I creditori aderenti ricevono pagamenti parziali secondo accordo (ad esempio 50% subito e 50% stralciato). L’azienda prosegue l’attività con un debito molto ridotto e una sola banca finanziatrice con rata sostenibile. I posti di lavoro sono salvi.

Commento: In questo caso, l’approccio graduale composizione negoziata → accordo omologato ha funzionato bene. Lo studio legale ha orchestrato trattative multi-partes sotto l’ombrello protettivo, sfruttando anche i correttivi normativi (prevedere quorum ridotti e transazione fiscale). Se invece i fornitori fossero stati meno collaborativi, l’alternativa sarebbe stata un concordato preventivo in continuità offrendo magari il 50% ai chirografari. Probabilmente avrebbe ottenuto il voto comunque (fornitori erano favorevoli), ma si è preferito l’accordo per minori formalità.
L’importante è notare come i creditori pragmatici spesso preferiscano stralci ragionevoli subito piuttosto che un’incognita in fallimento (dove magari prendevano 20%). Il fattore nuova finanza (100k soci, qui prededucibile) e cessione asset non core (il terreno) è stato decisivo.
In alternativa, se la situazione fosse stata più compromessa (ad esempio ordini quasi zero), la strada sarebbe potuta essere un concordato misto: vendere l’azienda ad un terzo e liquidare il resto, oppure, se insalvabile, liquidazione giudiziale con esercizio provvisorio per vendere il brand. Ma qui c’era volontà di recupero e la composizione ha offerto quell’opportunità di flessibilità.

Caso 2: Startup tecnologica pre-revenue in crisi

Scenario: Beta S.r.l. è una startup innovativa nel settore app mobile, fondata 3 anni fa. Ha raccolto 1 milione € da investitori in equity e 200k € di un finanziamento Smart&Start da Invitalia. Non ha ancora generato ricavi significativi (prodotto in sviluppo, qualche pilot gratuito). Ora il prodotto MVP è pronto ma la cassa è quasi esaurita (hanno 50k € in banca). Debiti: 50k € verso fornitori (soprattutto consulenti informatici freelance), 20k € verso 2 ex-dipendenti che hanno cause per pagamenti arretrati, 100k € residui del finanziamento pubblico da restituire in futuro (fondo perduto in parte). Non ci sono debiti bancari rilevanti (solo 20k € di carta credito aziendale). I soci stimano che per arrivare sul mercato servirebbe un nuovo investimento di 500k €, ma i fondi di VC contattati sono titubanti perché la burn rate è stata alta e non vedono traction. La società rischia insolvenza entro 2 mesi (non potranno pagare i freelance né le spese vive). Non avendo garanzie, i creditori possono solo minacciare cause ma la società ha poco attivo: qualche laptop, e soprattutto gli asset intangibili (codice sorgente, IP).

Azioni intraprese con lo studio legale: Qui la questione è: ha senso tentare di ristrutturare o conviene chiudere? Spesso con startup pre-revenue se non arrivano capitali freschi, la soluzione è liquidarla volontariamente per non accumulare debiti. Lo studio legale analizza che la società è non fallibile (ricavi bassi, startup innovativa esente). Quindi i creditori non possono chiederne il fallimento. Peggio scenario: azioni legali individuali, pignoramento conto (ma c’è poco) e beni. I soci vogliono provare un ultimo giro di boa: uno dei soci è disposto a rilevare l’intero progetto se libera dai debiti e farne un pivot.
Lo studio propone di utilizzare la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. Essendo la startup una piccola S.r.l., formalmente fallibile dal 5° anno, ma qui ancora protetta come innovativa, comunque possiamo considerarla soggetto “non grande”. Forse meglio presentare un concordato minore: proporre ai creditori di Beta un concordato liquidatorio in cui il socio interessato rileva l’IP e paga qualcosa.
I passi: la società contatta un OCC e prepara, con l’aiuto dei legali, un piano di liquidazione: Beta cede il software e brevetti al socio Gamma per, diciamo, 100k €. Questi 100k andranno ai creditori secondo priorità: prima i dipendenti (20k) integrali, poi i freelance (ne prendono circa 50% dei loro 50k = 25k), poi Invitalia (ha privilegio sul residuo? se è finanziamento pubblico chirografo, avrà pro-quota dai restanti 55k, circa la metà). In totale, sui 170k debiti, se ne pagano 100k (59%). L’alternativa (liquidare la società da sola) darebbe quasi zero (perché senza quell’acquisto, pochi asset vendibili). Quindi i creditori dovrebbero essere ragionevolmente favorevoli.
Si deposita la proposta di concordato minore liquidatorio: niente continuità perché la startup si chiude, ma c’è un “affittuario” ipotetico che rileva l’IP (che in mani della società non varrebbe, in mani del socio forse produce reddito in futuro ma quella è storia a parte). I creditori votano: i freelance e i dipendenti, per disperazione, votano sì (piuttosto che niente, meglio 50%). Invitalia è più formale ma vede che recupera metà invece di forse zero in liquidazione spontanea, quindi si esprime favorevolmente. Raggiunto facilmente più del 50%. Il giudice omologa considerando che il piano rispetta la convenienza (ogni classe prende più che nella liquidazione, chiaramente).
La società Beta viene dichiarata chiusa e liquidata. I creditori incassano come da piano e i debiti residui vengono cancellati. Il socio Gamma costituisce una nuova società (o tramite la sua persona fisica) e prosegue il progetto software.
Sottotrama: se i soci originali non volessero rilevare, avrebbero potuto cercare un acquirente terzo del progetto (anche a poco, giusto per non buttare 2 anni di lavoro). Il concordato minore è servito per dare trasparenza e ordine alla chiusura: tutti i creditori trattati equamente, usando l’unico asset intangibile per soddisfarli un po’. Alternative: avrebbero potuto fare una liquidazione controllata pure, però in liquidazione controllata il IP venduto magari avrebbe fruttato meno e comunque i soci sarebbero tagliati fuori dall’acquisto (non è vietato che comprino, ma preferiscono orchestrarlo con più controllo). Con concordato minore, c’è più controllo da parte del debitore su come disporre degli asset (presenti un piano specifico).
Conclusione: La startup in crisi non genera “turnaround” nel senso di ristrutturare debiti e continuare, perché mancando ricavi, la soluzione è la exit ordinata. Lo studio ha evitato che i creditori facessero cause slegate (che avrebbero portato a pignorare i conti personali dei garanti, se ve ne erano, e spinto i soci nella rovina). Hanno canalizzato la situazione in tribunale con un piccolo concordato che, in assenza di fallimento, ha comunque permesso di usare strumenti concorsuali su base volontaria. Beta S.r.l. viene cancellata dal registro imprese con le pendenze risolte.

Questa simulazione mostra come per una microazienda innovativa l’approccio sia diverso da una PMI tradizionale: qui contava la protezione dei soci e l’asset immateriale. Non c’era nemmeno tempo o convenienza a comporre negozialmente (che avresti negoziato? forse avresti potuto fare un piano attestato con un acquirente in background, ma tanto serve passare i creditori dal tribunale per chiudere).

Caso 3: Artigiano in difficoltà economica (ditta individuale)

Scenario: Mario è un elettricista artigiano con piccola impresa individuale (Mario Impianti). Negli ultimi anni, complici problemi di salute e calo di lavoro, ha accumulato debiti: 30k € con la banca (tra un fido di conto e rate arretrate di un prestito), 40k € con fornitori di materiale elettrico, 10k € con l’Agenzia delle Entrate (IVA di due annualità non pagata), 5k € di contributi INPS artigiani arretrati e 8k € di cartelle comunali (TARI e multe). In totale ~93k €. Mario possiede un furgone (ancora con leasing), attrezzature modeste, e una casa di proprietà intestata a sé e moglie (50 e 50). Il fatturato annuo è intorno a 60k € quando va bene, ma con margini ridotti dopo le spese. Al netto delle spese di famiglia, dice di poter destinare forse 500 € al mese per i debiti. Ovviamente a quel ritmo (500€/mese sono 6k € l’anno) non coprirebbe mai 93k + interessi. Alcuni fornitori minacciano di portarlo in tribunale e la banca ha revocato il fido, chiedendo rientro immediato di 15k scoperto. Mario è disperato perché se gli bloccano il conto non può comprare materiali per i lavori e di fatto deve chiudere l’attività.

Azioni intraprese con lo studio legale: Dato che Mario è non fallibile (artigiano sotto soglie), la soluzione è nelle procedure di sovraindebitamento. L’avvocato valuta che Mario abbia una parte di debito professionale (fornitori, fisco) e parte familiare (le multe comunali). Comunque, nel complesso agiscono come sovraindebitato unitario. Si opta per il Piano di ristrutturazione del consumatore, se possibile, perché non coinvolge il voto creditori ed è più calibrato sul bilancio familiare di Mario. Si argomenta che Mario è un piccolo imprenditore ma sostanzialmente assimilabile a un consumatore (questo è un punto sottille: la legge consente anche al piccolo imprenditore non fallibile di fare il “piano del consumatore” se vuole ristrutturare i debiti personali e d’impresa con quel meccanismo? In CCII c’è distinzione “piano del consumatore” vs “concordato minore” proprio su base soggettiva. Mario essendo imprenditore, dovremmo fare concordato minore. Tuttavia, se volesse lasciare l’impresa sullo sfondo e trattarla come debiti personali, c’è giurisprudenza: Cass. 24/12/2021 e altre hanno ammesso piani del consumatore anche con debiti misti purché l’attività sia modesta e si mira a ristrutturare il debito complessivo. Diciamo che in questo caso, l’avvocato può provare a trattarlo come consumatore “promiscuo” soprattutto se Mario decide di chiudere la P.IVA).
Mario, su consiglio, è disposto anche a chiudere la partita IVA se necessario e cercare lavoro dipendente, ma preferirebbe mantenere l’attività se alleggerito dai debiti. Si propone dunque un Piano del consumatore in cui:

  • Mario si impegna a pagare 500 €/mese per 5 anni ai creditori, tramite OCC, quindi 500*60 = 30k €.
  • Propone inoltre di vendere il furgone (lo riscatterebbe dal leasing e lo vende, ricavando netto 5k €).
  • La casa di abitazione non viene toccata (prima casa, cointestata, non ipotecata). Dirà che non è opportuno venderla perché c’è la famiglia e servirebbe a stento a coprire i debiti ipotecari (in realtà nessuno ha ipoteca, ma vendere casa per 93k di debiti è eccessivo sacrificio, confida che il giudice non lo ritenga necessario).
  • Quindi, totale da destinare: 30k rate + 5k furgone = 35k €.
  • Il piano propone di distribuirli così: intanto i creditori con privilegio (Agenzia Entrate ha privilegio su IVA, diciamo 8k su 10k sono IVA; INPS contributi 5k privilegio; banca aveva garanzie? il fido no, il prestito forse chirografo; fornitori chirografari; Comune chirografo). Nel piano, i 35k coprono integralmente i privilegiati (8k IVA + 5k INPS = 13k, li paghiamo 100%) e il resto 22k va a chirografari su ~70k chirografari totali (banca 30k, fornitori 40k, Comune 8k). Quindi i chirografari prendono circa 31% pro-quota. Dopo 5 anni, il residuo di debito sarà esdebitato.
  • L’OCC attesta che il piano è fattibile: Mario con 500 € al mese ce la fa perché la famiglia ha altre entrate (moglie lavora) e hanno ridotto spese; e che i creditori stanno prendendo più di quanto avrebbero se si pignorasse qualcosa (realisticamente, se li pignorano, c’è poco da prendere: non ha conti pingui, solo la casa ma col primo casa spesso esecuzioni vanno lente e costose).
  • Sulla meritevolezza: Mario non ha truffato i creditori, è vittima di circostanze (spiega che quando stava male ha dovuto chiedere prestiti, che il Covid ha ridotto il lavoro, ecc.). Ha qualche difetto: l’IVA l’ha non versata, ma il giudice valuterà che non è stato per arricchirsi ma per far sopravvivere l’attività.
  • Riguardo al merito creditizio: noteranno che la banca gli ha tenuto il fido aperto nonostante il calo fatturato, e i fornitori continuavano a dare materiale a credito sapendo dei suoi ritardi (piccola considerazione, ma ai fini del piano del consumatore anche il comportamento dei creditori conta).

Si deposita il piano in tribunale. Nessun voto è richiesto, ma i creditori possono fare osservazioni. Nel nostro scenario, la banca scrive che 31% è poco, vorrebbe almeno 60%. Il giudice valuta: in un fallimento (che però Mario non può subire formalmente) la banca forse non avrebbe preso nulla (perché la casa essendo per metà impignorabile e gravata da eventuali altre spese, boh). Comunque, il giudice vede che il piano dà tutto il possibile senza spogliare la famiglia, e che i creditori privilegiati sono soddisfatti. Quindi omologa il piano ritenendo Mario meritevole.
Mario allora esegue: vende il furgone, versa 5k alla cassa OCC, e poi ogni mese 500 € per 5 anni all’OCC che li ripartisce come da piano.
Durante questi 5 anni Mario continua la sua attività (magari affitta un furgone o ne compra uno usato piccolo con i soldi della moglie) con la serenità che nessuno può perseguitarlo (le azioni dei creditori sono sospese dall’omologa e poi i debiti si considerano ristrutturati). Se anche un creditore prova a fare un pignoramento, quell’azione è incompatibile col piano e il legale la blocca richiamando il decreto di omologa.
Dopo 5 anni di pagamenti puntuali, Mario ha versato i 30k previsti. Il tribunale emette il decreto che attesta l’avvenuto adempimento e dichiara l’esdebitazione di Mario: i restanti 58k di debiti chirografari sono cancellati. Mario può finalmente respirare, magari la sua azienda è ancora modesta ma sostenibile, e la famiglia mantiene la casa.

Commento: Questo caso mostra come per un debitore persone fisica sia cruciale il concetto di sforzo sostenibile e fresh start. Lo studio legale qui, più che negoziare con creditori (che tanto se fossero interpellati direbbero “no voglio di più”), ha predisposto un piano convincente per il giudice, centrato su:

  • dare tutto il surplus di reddito per un periodo definito (5 anni di austerità per Mario, ma poi libero);
  • trattare bene i creditori privilegiati (che altrimenti farebbero opposizione forte);
  • evidenziare la buona fede di Mario e punte di responsabilità dei creditori (merito creditizio), per prevenire obiezioni tipo “ha fatto debiti a casaccio”.
    Difatti spesso l’opposizione che i creditori fanno è “Mario ha vissuto sopra i suoi mezzi, perché dobbiamo rimetterci noi?” – qui l’avvocato mostrerebbe, ad esempio, che Mario non ha acquistato auto di lusso o speso in vacanze, semplicemente non ce la faceva per cause di salute/lavoro.
    Il giudice in questi piani agisce un po’ da arbitro equo: in passato, certe ordinanze di Cassazione rigettavano piani se l’indebitato era stato troppo disinvolto; ma la tendenza 2023-25 è più compassionevole, grazie anche alla spinta di punire piuttosto gli enti creditori se concedevano credito facile.
    In conclusione, Mario salva la casa e la dignità, e i creditori incassano qualcosa (tra l’altro in 5 anni la casa di Mario può anche aumentare di valore e se volessero potrebbero rifarsi su quell’aumento se emergesse oltre i 4 anni – ma qui entriamo in dettagli). L’importante è che la famiglia di Mario non viene distrutta da 93k di debiti: lui ne paga 35k e si libera. Questo è esattamente lo scopo sociale della legge sul sovraindebitamento.

Fac-simile di atti e modelli utili

In questa sezione forniamo degli schemi esemplificativi di alcuni atti chiave nella gestione della crisi d’impresa, dal lato del debitore. Si tratta di modelli semplificati per illustrare la struttura e il linguaggio utilizzati in tali documenti. Naturalmente, ogni atto andrà poi personalizzato sul caso concreto con l’assistenza legale.

1. Istanza di accesso alla Composizione Negoziata della crisi

Destinatario: Segreteria della Commissione Regionale per la Composizione Negoziata c/o Camera di Commercio di [Luogo]
Oggetto: Istanza di nomina dell’esperto indipendente ex art. 17 D.Lgs. 14/2019 (Composizione Negoziata della Crisi)

Istante: Alfa S.r.l., C.F. 01234567890, con sede in [indirizzo], iscritta al Registro Imprese di ____, settore manufatturiero tessile, capitale € ___, in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. ___, nato il ___, residente il ___.

Premesso che:

  • Alfa S.r.l. si trova attualmente in uno stato di squilibrio economico-finanziario tale da far prevedere la possibilità di crisi o insolvenza, come risultante dagli indici di cui all’art. 13 CCII (in particolare: DSCR a 6 mesi < 1; patrimonio netto ridotto di oltre 1/3 negli ultimi 12 mesi);
  • Le cause di detto squilibrio sono riconducibili a [es. calo di commesse a seguito emergenza Covid-19, ritardo nei pagamenti da parte di primari clienti esteri, incremento costo materie prime];
  • L’istante intende attivare la procedura di Composizione Negoziata ex D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 e art. 17 CCII, ritenendo sussistenti concrete prospettive di risanamento attraverso la ristrutturazione dell’indebitamento e la reindustrializzazione dell’azienda, ove assistita da un esperto indipendente;
  • È stata predisposta una relazione sintetica sulla situazione economico-patrimoniale dell’impresa e sulle possibili strategie di intervento, come da documentazione allegata;
  • L’istante dichiara di non trovarsi in stato di insolvenza irreversibile né di aver presentato istanza di fallimento o concordato nell’ultimo anno (salvo il concordato in bianco ritirato in data ____, rispetto al quale sono decorsi oltre 4 mesi, come da art. 17 co. 3-quinquies CCII);

Tutto ciò premesso, Alfa S.r.l.
chiede
la nomina di un Esperto indipendente che assista l’impresa nella Composizione Negoziata della Crisi, ai sensi degli artt. 17-19 D.Lgs. 14/2019, per avviare le trattative con i creditori e gli stakeholders, finalizzate al risanamento aziendale.

Allega in piattaforma telematica:

  • Ultimi tre bilanci depositati (2019-2020-2021) e situazione contabile al 31/08/2025;
  • Elenco nominativo dei creditori con indicazione di importi, cause di prelazione, scadenze (Allegato A);
  • Elenco dei debitori e crediti aziendali (Allegato B);
  • Relazione illustrativa dell’organo amministrativo sulla situazione di crisi e sulle possibili strategie di risanamento, con indicazione preliminare delle ipotesi di intervento (Allegato C);
  • Indicazione dell’esistenza di eventuali gruppi d’impresa (non sussistente nel caso di specie);
  • Certificazione aggiornata dei debiti fiscali, previdenziali e dei contributi dovuti (Allegato D);
  • Dichiarazione di assenza delle condizioni ostative di cui all’art. 17 c.3 e c.5 CCII (procedura pendente ex art. 25 co. 1 lett. a, ecc.).

Si resta a disposizione per fornire ogni ulteriore informazione utile. L’istante indica sin d’ora quale referente il proprio legale Avv. ___ (recapiti: ___) per eventuali comunicazioni di servizio.

Luogo, data.
Alfa S.r.l.
Il legale rappresentante ______________ (firma digitale)

(Nota: L’istanza è presentata tramite il portale telematico nazionale, in formato digitale e firmata digitalmente dal rappresentante. Non è necessario un formale atto cartaceo. In caso di esito positivo, la Commissione comunicherà via PEC la nomina dell’esperto.)

2. Proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti (schema di lettera ai creditori)

(Intestazione della società debitore)
Luogo, data

Spett.le [Nome Creditore]
[indirizzo]
(anche via PEC a …@pec…)

Oggetto: Proposta ex art. 57 D.Lgs. 14/2019 di Accordo di Ristrutturazione dei Debiti della [Nome Debitore]

Egregi Sigg. ____,
[Nome della società debitrice] (di seguito “Società”), in persona del legale rappresentante [Nome], Vi presenta la seguente proposta di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 57 e segg. del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), invitandoVi ad aderire formalmente all’accordo nei termini sottoindicati.

Situazione attuale della Società:
La Società versa in uno stato di crisi finanziaria caratterizzato da un indebitamento complessivo di € [totale] (cfr. prospetto allegato) e da difficoltà di far fronte regolarmente alle obbligazioni. In particolare, i debiti principali verso di Voi ammontano a € [importo] a titolo di [es. fornitura merci/fido bancario ecc.]. Le cause della crisi sono da attribuirsi a [sintesi cause]. Nonostante ciò, la Società dispone di potenzialità di risanamento come evidenziato nel piano allegato, condizionate all’ottenimento di una moratoria e parziale remissione dei debiti.

Sintesi del Piano di risanamento:
Si allega il Piano attestato di risanamento redatto dall’organo amministrativo e attestato dal professionista indipendente [Nome Attestatore] in data /. Esso prevede, in sintesi:

  • [Eventuale continuità] La prosecuzione dell’attività aziendale focalizzata sul core business [X], con riduzione dei costi operativi di € __ annui e dismissione degli asset non strategici (immobile/ramo d’azienda) per ricavare liquidità.
  • [Eventuali apporti] L’ingresso di nuova finanza per € __ da parte dei soci/investitori terzi entro il /, destinata interamente al pagamento dei creditori secondo l’accordo.
  • [Pagamenti] La soddisfazione dei creditori chirografari nella misura media del __%, mediante pagamento dilazionato in __ rate semestrali nell’arco di __ anni, con prima rata al /. I crediti privilegiati (es. dipendenti, erario per IVA) saranno soddisfatti integralmente, salvo rinuncia a sanzioni e interessi per i debiti fiscali (oggetto di transazione fiscale ex art. 63 CCII già presentata).
  • [Garanzie] A maggior garanzia dell’adempimento, i soci [o terzi] offriranno [es. una fideiussione di €__ a beneficio dei creditori aderenti / ovvero] è prevista la conservazione delle garanzie reali esistenti nei limiti dei nuovi piani di rimborso.

Proposta ai fini dell’accordo ex art. 57 CCII:
La Società propone di ristrutturare il Vs. credito di € [importo originario] riconoscendovi, in sede di accordo, l’importo ridotto di € [importo proposto] (pari al __% del dovuto) da pagarsi con le seguenti modalità: [es. “€ __ entro 30 gg dall’omologazione dell’accordo, e il restante € __ in 4 rate semestrali di € __ ciascuna, scadenti il 30/6 e 31/12 di ogni anno a partire dal 2024”]. La parte residua di credito (€ __) verrebbe rimessa/stralciata da parte Vs. a esecuzione avvenuta. Eventuali garanzie prestate a Vs. favore (pegno/ipoteca) resteranno efficaci ma il loro esercizio sarà sospeso durante la puntualeper esecuzione del presente accordo, e dovranno intendersi limitate al soddisfacimento secondo le nuove scadenze pattuite.

Contestualmente, la Società si impegna a non preferire altri creditori non aderenti rispetto a Voi: i creditori estranei saranno soddisfatti integralmente come previsto dalla legge entro 120 giorni dall’omologazione, cosicché la moratoria concessa a Voi avverrà in condizioni di parità di trattamento.

Attestazione di veridicità e fattibilità:
Il Piano di risanamento è corredato dalla relazione di un professionista indipendente (Dr./Avv. ______) che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità della proposta qui formulata. Dalla relazione (allegata in copia) risulta che la percentuale offerta ai creditori aderenti è più conveniente rispetto al presumibile soddisfacimento in caso di liquidazione giudiziale della Società, ove si stima che il Vs. realizzo sarebbe non superiore al __%. Pertanto, l’accordo risulta conveniente e vantaggioso anche per Voi.

Effetti dell’accordo e omologazione:
Una volta raccolte le adesioni di creditori rappresentanti almeno il 60% dei debiti, la Società provvederà a depositare l’accordo in tribunale per chiederne l’omologazione ex art. 48 CCII. L’omologazione attribuirà efficacia all’accordo anche nei confronti di eventuali creditori non aderenti, i quali saranno comunque soddisfatti integralmente come per legge. Vi informiamo che, ricorrendone i presupposti, la Società intende richiedere sin d’ora misure protettive per preservare il patrimonio da azioni esecutive individuali durante la procedura.

Adesione richiesta:
Ai fini di cui sopra, Vi invitiamo ad esaminare la presente proposta e, ove concordiate, a formalizzare la Vs. adesione. In concreto, ciò potrà avvenire sottoscrivendo per accettazione la seguente dichiarazione e restituendola via PEC o raccomandata alla Società entro e non oltre il /.

“[Denominazione creditore] , titolare di credito di € ___ verso [Società], dichiara di aderire all’accordo di ristrutturazione proposto ai sensi dell’art. 57 CCII con lettera del ____, accettando i termini di soddisfacimento ivi indicati (pagamento parziale di € ___ secondo le scadenze proposte e rinuncia al credito residuo a completamento dei pagamenti). La presente adesione è vincolata all’omologazione dell’accordo ex art. 48 CCII e produrrà effetti da tale momento.”(Luogo, data, timbro e firma del creditore).

In difetto di riscontro entro la data indicata, la Società potrà presumere il Vs. dissenso. Qualora non si raggiunga la percentuale legale di consensi, la Società valuterà alternativamente l’accesso a procedure concorsuali (concordato preventivo) con possibili esiti meno favorevoli per i creditori chirografari.

Confidando in un Vostro positivo riscontro, restiamo a disposizione per eventuali incontri di chiarimento (potete contattare il nostro advisor Avv. ____ Tel ____ mail ____). Lavorando insieme ad una soluzione concordata, potremo evitare soluzioni giudiziali più lunghe e incerte e garantire la continuità dei nostri rapporti.

Distinti saluti,
[Società]
Il Legale Rappresentante _______________

(Allegati: Piano di risanamento e relazione attestatore; elenco debiti; bozza accordo)

3. Schema di Piano attestato di risanamento (indice e struttura)

(Documento interno non formale, ma atto unilaterale del debitore, eventualmente da allegare a istanze o pubblicare.)

Piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII
della Alfa S.r.l.

  • 1. Premessa e dichiarazioni iniziali: (Identità dell’impresa, attività svolta, struttura del gruppo se del caso, scopo del piano – riequilibrio finanziario ed evitare insolvenza – e riferimento normativo all’art. 56 CCII che esclude revocatorie)
  • 2. Analisi della situazione di crisi:
    • 2.1 Situazione economica e finanziaria attuale: (dati di bilancio, perdite registrate, cash flow tensione, indicatori allerta)
    • 2.2 Cause della crisi: (esogene: calo mercato, pandemia; endogene: struttura costi, contrazione credito)
    • 2.3 Indebitamento dettaglio: (tabella creditori per categoria, importi, scadenze, garanzie)
    • 2.4 Eventuali profili di insolvenza giuridica: (ritardi pagamenti significativi, ecc.)
  • 3. Piano industriale e strategie di risanamento:
    • 3.1 Obiettivi del piano: (es. riduzione costi del xx%, recupero redditività, dismissione rami)
    • 3.2 Misure operative previste:
      • 3.2.1 Riorganizzazione aziendale (taglio personale, chiusura sedi secondarie, ecc.)
      • 3.2.2 Investimenti/ disinvestimenti (vendita immobile non strategico per liquidità, acquisto nuovi macchinari efficienti)
      • 3.2.3 Linee di prodotto/mercato: (focalizzarsi su prodotti ad alta marginalità, penetrare nuovo mercato estero Y con partner Z…)
    • 3.3 Piano finanziario pluriennale: (proiezioni a 3-5 anni di conto economico, stato patrimoniale e cash flow, con ipotesi realistiche di fatturato e margini post-risanamento)
    • 3.4 Apporto di nuove risorse finanziarie: (es. aumento di capitale €, finanziamento soci €, nuovo credito bancario garantito €__, contributi pubblici richiesti…)
  • 4. Proposta di ristrutturazione dei debiti:
    • 4.1 Debiti finanziari (banche): (es. mantenimento linea di fido ridotta da __ a __ con rimborso bullet a fine piano; conversione di scoperto in mutuo 6 anni; tasso X; eventuale stralcio interessi moratori)
    • 4.2 Debiti verso fornitori: (es. pagamento del __% dell’importo in 24 mesi, calendario rate; eventuali accordi individuali già sottoscritti)
    • 4.3 Debiti verso Fisco e Previdenza: (es. richiesta definizione agevolata o dilazione equitalia in 6 anni; transazione fiscale su sanzioni; pagamento integrale IVA entro fine piano con risorse da vendita cespiti)
    • 4.4 Altri debiti (leasing, canoni, ecc.): (es. risoluzione anticipata leasing con restituzione bene, pagamento a saldo €__; dilazione canoni locazione con proprietario…)
    • (N.B.: Questa sezione può farsi anche per macro-categorie di creditori, con tabelle)
    • 4.5 Garanzie offerte e covenants: (eventuali garanzie reali o personali aggiuntive date a creditori in cambio di ristrutturazione; impegni di fare o non fare da parte debitrice: es. obbligo di destinare eventuali extra incassi per prepagare debiti, informativa periodica a creditori…)
  • 5. Modalità di attuazione e tempistiche:
    • 5.1 Fasi del piano: (es. Fase 1: entro T1 2024 aumento capitale e vendita immobile; Fase 2: entro T2 2024 accordi esecutivi con banche e fornitori; Fase 3: 2024-2026 monitoraggio e pagamento rate)
    • 5.2 Ruoli e responsabilità: (chi seguirà cosa: es. CFO interno per controllo di gestione, advisor esterno per cessione asset, ecc.)
    • 5.3 Eventi o condizioni sospensive: (es. piano subordinato a ottenere finanziamento pubblico di €__ entro data __; se ciò non avviene, piano da rivedere)
    • 5.4 Contingency plan: (piano B in caso di scostamenti: es. se ricavi inferiori del 10% vs piano, predisposizione vendita ulteriore asset o ricerca partner)
  • 6. Impatti per i creditori e attestazione convenienza:
    • 6.1 Confronto con scenario liquidatorio: (stima di quanto riceverebbero i creditori in ipotesi di fallimento, a confronto con quanto ottengono nel piano: qui magari una tabella per classi di creditori – evidenziando miglior trattamento nel piano)
    • 6.2 Effetti giuridici: esenzione revocatorie: (specificare che il piano, se pubblicato e attestato, darà esenzione da revocatoria ai sensi art. 56 co.3 CCII per atti in esso previsti, e dunque i creditori possono aderire con fiducia)
    • 6.3 Prospetto pagamenti: (riepilogo finale: es. creditori chirografari prenderanno 50% in 2 anni; banche: 100% in 6 anni ma interessi ridotti; Fisco: 100% imposta, 0% sanzioni in 5 anni, etc.)
  • 7. Conclusioni:
    • Richiesta di adesione dei creditori al piano (specificando che il successo dipende dalla collaborazione di tutti);
    • Impegno dell’imprenditore a eseguire fedelmente il piano e a fornirne notizie all’attestatore e ai creditori su base [mensile/trimestrale];
    • Indicazione della data e firma del legale rappresentante.

(Segue in documento separato o in appendice la Relazione di Attestazione del professionista indipendente che, rivolgendosi ai creditori e terzi, concluderà: “attesto, ai sensi dell’art. 56 CCII, che i dati aziendali su cui si fonda il piano sono veritieri e che l’attuazione del piano è idonea a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”.)

4. Ricorso per l’ammissione a concordato preventivo (schema semplificato)

(Da presentare tramite avvocato al Tribunale competente)

TRIBUNALE CIVILE DI [X]
Sezione Fallimentare

Ricorso ex art. 40 D.Lgs. 14/2019 per l’ammissione alla procedura di Concordato Preventivo

Ricorrente: Beta S.p.A., C.F. ______, con sede in _____, capitale € ____, società in stato di crisi/insolvenza, rappresentata dall’Amministratore Unico Sig. ____ (C.F. _), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. ____ (CF) in ____, PEC ____, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al presente atto;

PREMESSO

  • Che la ricorrente versa in stato di insolvenza ai sensi dell’art. 2 co.1 lett. b) CCII, manifestato da plurimi inadempimenti (si vedano debiti scaduti per € ___ verso fornitori e banche, elenco allegato) e dalla cronica carenza di liquidità (cassa € __ vs debiti esigibili € __);
  • Che le cause della crisi sono analiticamente esposte nella relazione ex art. 39 CCII allegata, in sintesi riconducibili a [es. improvvisa contrazione del mercato export e perdita di commessa principale];
  • Che la società intende evitare la liquidazione giudiziale e ha predisposto un piano di concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 84 CCII, ritenuto idoneo a soddisfare i creditori in misura più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria;
  • Che in data / (antecedente al presente ricorso) essa ha avviato trattative con i creditori principali (banche e fornitori strategici), da cui è emersa la disponibilità ad aderire alla proposta concordataria come sotto formulata; [oppure: Che la società ha già presentato in data __ istanza di nomina dell’esperto per la composizione negoziata, tuttora pendente: in tal caso, chiede la sospensione del presente ricorso finché…]
  • Che il piano concordatario prevede la continuazione dell’attività d’impresa nella forma della continuità diretta, con prosecuzione dell’oggetto sociale e salvaguardia di n. __ posti di lavoro, sotto la vigilanza degli organi della procedura;
  • Che la società ha nominato il professionista indipendente Dr./Avv. ______ quale attestatore, il quale ha redatto la relazione di cui all’art. 47 CCII, allegata al ricorso, attestando la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano nonché la convenienza della proposta per i creditori rispetto alla liquidazione;
  • Che sussistono pertanto tutti i presupposti di legge per l’ammissione al concordato preventivo;

Tutto ciò premesso, la Beta S.p.A., come sopra rappresentata,
RICORRE
a codesto Ecc.mo Tribunale affinché Voglia:

  1. Dichiarare aperta la procedura di concordato preventivo della Beta S.p.A., nominando un Giudice Delegato e un Commissario Giudiziale;
  2. Conseguentemente, fissare termini e modalità per il voto dei creditori sulla proposta di concordato (adunanza o voto scritto) e per la successiva udienza di omologazione;
  3. Concedere sin d’ora, ai sensi degli artt. 54 e 55 CCII, le misure protettive richieste, in particolare il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio della ricorrente e la sospensione delle prescrizioni, per tutta la fase prenotativa e fino all’omologa;
  4. Nelle more, autorizzare la ricorrente al compimento degli atti urgenti di gestione indicati in ricorso (pagamento fornitori essenziali per €__, continuazione fidi di cassa, pagamento stipendi correnti), stante la funzionalità di tali atti alla continuità aziendale ex art. 94 CCII.

A tal fine, la ricorrente propone ai creditori il seguente concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 84 CCII:

  • I creditori saranno suddivisi in n. 3 classi, come da seguente specifica:
    Classe 1 – Creditori privilegiati integralmente soddisfatti: creditori muniti di privilegio generale (dipendenti per TFR e ultime mensilità, Erario per IVA) e creditori ipotecari su immobile [X]; costoro saranno pagati al 100% entro 6 mesi dall’omologazione (quelli ipotecari mediante rifinanziamento bancario già contrattato, quelli chirografari con nuova finanza soci).
    Classe 2 – Creditori bancari chirografari: banche per scoperti di c/c e finanziamenti non garantiti, che hanno ruolo strategico di partner finanziari futuri; sarà loro corrisposto il 40% del credito in 4 rate semestrali post-omologa, con contestuale rinuncia al saldo. Tale trattamento supera il valore di realizzo in liquidazione (stimato 15%).
    Classe 3 – Creditori chirografari generici: fornitori, trade e altri chirografari; sarà loro corrisposto il 25% del credito, in unica soluzione al 24° mese dall’omologa, grazie ai flussi di cassa generati dalla continuità. La percentuale è superiore al realizzo stimato in fallimento (0-5%).
  • La continuità aziendale diretta è assicurata attraverso un contratto di affitto d’azienda già stipulato in data __ con la NewCo Beta Service s.r.l. (società di nuova costituzione partecipata dagli attuali soci Beta al 100%), con canone annuo €__, il cui introito servirà in prededuzione per pagare la procedura e i creditori privilegiati. L’affitto prevede obbligo di acquisto dell’azienda entro 2 anni a un prezzo di € __ (apporto di cassa destinato ai creditori concordatari).
  • I flussi finanziari derivanti dalla gestione caratteristica durante il concordato (stimati in €__ al netto oneri) saranno anch’essi destinati all’integrale soddisfo delle classi 2 e 3 come da piano di dettaglio allegato.
  • È prevista l’apertura di credito post-omologa da parte di [Banca] per € __, con privilegio ex art. 99 CCII, al fine di garantire la continuità (linea già deliberata, lettera d’intenti allegata).
  • I soci della ricorrente si impegnano a versare nuovo capitale per € __ entro 30 gg dall’omologazione, destinato interamente al pagamento dei creditori in prededuzione e privilegiati (impegno irrevocabile sottoscritto, v. allegato).
  • In caso di mancato perfezionamento della cessione d’azienda entro i 2 anni, è prevista la liquidazione degli asset residui (immobile, macchinari) per garantire comunque ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella promessa.
    (Ulteriori dettagli vengono sviluppati nel piano allegato.)

Documenti allegati (art. 39 CCII):

  1. Piano di concordato preventivo datato /, sottoscritto dall’organo amministrativo, contenente specifica indicazione di tempi e modalità della strategia di risanamento e del soddisfacimento dei creditori;
  2. Relazione del Professionista Attestatore Dr. ____, iscritto all’Ordine di __, ex art. 47 CCII, che attesta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano nonché l’idoneità della proposta a migliorare la posizione dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria;
  3. Situazione patrimoniale aggiornata della società al /;
  4. Elenco nominativo dei creditori con indicazione di ammontare dei crediti, eventuali cause di prelazione, ripartizione in classi come da proposta (Allegato A);
  5. Elenco dei beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione negli ultimi 5 anni (Allegato B);
  6. Elenco integrale di eventuali atti a titolo gratuito compiuti negli ultimi 2 anni e pagamenti anomali negli ultimi 6 mesi (Allegato C);
  7. Dichiarazione dell’organo amministrativo circa l’assenza di procedure penali pendenti per bancarotta o riciclaggio a carico della società o dei suoi rappresentanti (Allegato D).

Con riserva di ulteriore produzione documentale ove richiesta.

Istanza finale:
Si chiede, quindi, l’ammissione della Beta S.p.A. alla procedura di concordato preventivo come da proposta sopra esposta, con i provvedimenti e le autorizzazioni di cui al punto 1-4 iniziale del ricorso.

Luogo, Data.

Firma Avv. ________
(Procura alle liti allegata)

Firma legale rappresentante Beta S.p.A. ________

(Atto sottoscritto digitalmente e notificato via PEC alla cancelleria fallimentare e al Pubblico Ministero presso il Tribunale.)

Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022, come modificato dai successivi provvedimenti: D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (attuazione direttiva UE 2019/1023), D.L. 24 agosto 2021, n. 118 conv. L. 147/2021 (introduzione composizione negoziata), e D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (Terzo correttivo al CCII).
  • Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) – previgente normativa concorsuale, citata per riferimenti storici; abrogata e sostituita dal CCII.
  • Legge 3/2012 – “Legge sul sovraindebitamento”, abrogata e trasfusa nel CCII Titolo IV. Rilevante per precedenti giurisprudenziali sul sovraindebitamento (piani del consumatore, accordi).
  • Articoli di legge rilevanti del CCII: artt. 2 (definizioni di crisi e insolvenza), 13 (indici di allerta), 17-25 (Composizione negoziata), 25-sexies (concordato semplificato), 56 (piano attestato), 57-64 (accordi di ristrutturazione ordinari, agevolati, ad efficacia estesa), 63 (transazione fiscale negli accordi), 64-bis e 64-ter (piano ristrutturazione omologato – PRO), 84-120 (concordato preventivo), 94 (atti di ordinaria/straordinaria amministrazione in concordato), 109 (maggioranze concordato), 112 (omologazione cram-down), 118-120 (risoluzione ed effetti concordato), 268-277 (liquidazione controllata), 283 (esdebitazione del debitore incapiente).
  • Decreto Legge 6 novembre 2021 n. 152 (conv. L. 233/2021) – Norme PNRR che hanno inciso su composizione negoziata (obblighi segnalazione e misure premiali).
  • Corte di Cassazione – Sez. I civile – sentenze e ordinanze recenti:
    • Cass. civ. Sez. I, 3 giugno 2025 n. 14839 – Principio di completezza informativa nel concordato preventivo: omessa indicazione di crediti rilevanti causa inammissibilità.
    • Cass. civ. Sez. I, 31 luglio 2024 n. 21431 – Concordato preventivo: classificazione dei crediti contestati (classe separata obbligatoria).
    • Cass. civ. Sez. I, 9 aprile 2024 n. 10086 – Divieto di pagamenti ex art. 168 L.F. e regolarità contributiva DURC in concordato (incompatibilità salvo autorizzazione).
    • Cass. civ. Sez. I, 24 dicembre 2024 n. 34372 – Concordato preventivo: contestazioni diritto di voto, effetti.
    • Cass. civ. Sez. I, 17 dicembre 2024 n. 32996 – Sorte dell’accordo di ristrutturazione in caso di inadempimento e risoluzione.
    • Cass. civ. Sez. I, 29 dicembre 2024 n. 34837 – Obbligo di iscrizione dell’accordo di ristrutturazione omologato nel Registro delle Imprese.
    • Cass. civ. Sez. I, 30 dicembre 2024 n. 34377 – Cram-down fiscale negli accordi ex art. 61 CCII: necessità di tempestiva proposta all’Erario.
    • Cass. civ. Sez. VI, 27 luglio 2023 n. 22900 – Sovraindebitamento: ammissibilità ricorso straordinario in Cassazione e meritevolezza del consumatore.
    • Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2023 n. 4613 – Sovraindebitamento: piano del consumatore, requisito di meritevolezza e buona fede.
    • Cass. civ. Sez. Un. 15 novembre 2021 n. 36376 – Criteri di calcolo delle maggioranze nel concordato preventivo (esclusione astensioni).
    • Cass. civ. Sez. I, 13 ottobre 2021 n. 27947 – Composizione crisi da sovraindebitamento: esdebitazione anche senza pagamento minimo se debitore meritevole (precursore esdebitazione incapiente).
  • Giurisprudenza di merito (Tribunali):
    • Tribunale di Bari, 30 maggio 2024 – Nega apertura composizione negoziata se pende istanza di fallimento (orientamento poi superato dal correttivo).
    • Tribunale di Siena, 6 giugno 2024 – Ammissibile composizione negoziata per imprenditore agricolo (soggetto non fallibile).
    • Tribunale di Milano, decreto 28 luglio 2023 – Concordato preventivo: autorizzata continuazione contratti essenziali ex art. 95 CCII con bilanciamento interessi.
    • Tribunale di Nola, 25 marzo 2025 – Omologazione piano del consumatore prevedente dilazioni lunghe: ammesso se creditori ottengono soddisfazione maggiore che in liquidazione.
    • Tribunale di La Spezia, 31 maggio 2023 – Concordato minore: omologato concordato minore di imprenditore sotto soglia con falcidia privilegi analogamente al concordato preventivo.

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Conclusione

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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