Hai ricevuto un avviso di pagamento, una cartella esattoriale o un pignoramento e ti è stato detto che si tratta di riscossione coattiva? Ti chiedi cosa significhi questo termine e se puoi difenderti legalmente per bloccare le azioni esecutive?
La riscossione coattiva è il meccanismo con cui lo Stato e gli enti pubblici (come Agenzia delle Entrate, INPS o Comuni) recuperano forzatamente i crediti che risultano non pagati, tramite strumenti come cartelle, fermi amministrativi, ipoteche e pignoramenti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, cartelle esattoriali e difesa da riscossione forzata – ti spiega cos’è la riscossione coattiva, come funziona e soprattutto quali sono i tuoi diritti e le strategie per opporti legalmente.
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Introduzione
La riscossione coattiva è il procedimento mediante il quale gli enti creditori (Stato, enti locali, enti previdenziali, ecc.) recuperano forzosamente le somme dovute dai debitori che non hanno pagato spontaneamente. In altre parole, si tratta dell’esecuzione forzata dei debiti verso la Pubblica Amministrazione, attuata attraverso atti e misure previsti dalla legge. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, offre una panoramica completa della riscossione coattiva dal punto di vista del debitore, spiegando cos’è, come funziona e soprattutto come difendersi.
Contenuti in sintesi: Affronteremo tutte le principali tipologie di debito soggette a riscossione coattiva (dai tributi erariali e locali, ai contributi previdenziali, alle sanzioni amministrative e penali-tributarie). Analizzeremo i diversi agenti della riscossione (Agenzia delle Entrate-Riscossione, enti locali e concessionari privati) mettendone a confronto poteri e procedure. Verranno descritte le fasi della procedura (dalla notifica della cartella o dell’atto esecutivo fino ai pignoramenti), con casi pratici e simulazioni che illustrano scenari tipici e relativi flussi procedurali. Ampio spazio sarà dedicato agli strumenti di difesa del debitore: opposizioni e impugnazioni, istanze di sospensione, vizi di nullità, piani di rateizzazione, definizioni agevolate (come la rottamazione o il saldo e stralcio), nonché alle speciali tutele (sospensione, inespropriabilità prima casa, limiti di pignorabilità di stipendi/pensioni ecc.). Saranno inoltre presentate tabelle riepilogative (ad es. su termini di prescrizione/decadenza, sanzioni e interessi, tipi di atti impugnabili e relativi termini) e una sezione di FAQ con le domande frequenti.
Dal punto di vista normativo, la guida include riferimenti aggiornati alle disposizioni vigenti al giugno 2025, tenendo conto delle più recenti novità legislative (come la riforma della riscossione attuata con D.lgs. 110/2024, la Legge di Bilancio 2023 sulla rottamazione-quater e lo stralcio dei piccoli debiti, nonché il nuovo Testo Unico sulla riscossione approvato a marzo 2025). Saranno citati i principali orientamenti giurisprudenziali (sentenze della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, e delle Corti di merito) più rilevanti in materia, nonché la prassi amministrativa (circolari, direttive e note di Agenzia Entrate-Riscossione, Agenzia delle Entrate, INPS, Ministero delle Finanze) che aiutano a interpretare le norme. Al termine, un’appendice elencherà in modo sistematico tutte le fonti (normative, giurisprudenziali, dottrinali e di prassi) menzionate nel testo.
Approccio dal lato del debitore: La prospettiva privilegiata sarà quella del contribuente/debitore, evidenziando i suoi diritti di difesa e le azioni che può intraprendere di fronte a procedure esecutive fiscali. Verranno forniti consigli pratici su come leggere e comprendere gli atti della riscossione, come reagire correttamente entro i termini previsti e come evitare errori comuni (ad esempio ignorare le comunicazioni, lasciar decorrere le scadenze di ricorso, ecc.). Conoscere il funzionamento della riscossione coattiva è fondamentale non solo per adempiere correttamente ai propri doveri tributari e contributivi, ma anche per evitare azioni esecutive potenzialmente devastanti (come pignoramenti di conti, stipendi o immobili) e per poter fruire degli strumenti di sollievo offerti dall’ordinamento.
Di seguito, entriamo nel dettaglio delle diverse tipologie di debito e delle relative procedure di riscossione coattiva.
Tipologie di debiti soggetti a riscossione coattiva
Non tutti i debiti verso enti pubblici seguono le stesse regole nella riscossione coattiva. Possiamo distinguere varie categorie di entrate per le quali la legge prevede la riscossione forzata, ciascuna con proprie norme specifiche. Le principali tipologie sono: (a) i tributi erariali (imposte e tasse dovute allo Stato), (b) i tributi locali (imposte, tasse e entrate patrimoniali dovute a Comuni, Province, Regioni), (c) i contributi previdenziali e assistenziali (dovuti a enti come INPS, INAIL, Casse professionali), (d) le sanzioni amministrative (es. multe stradali o altre sanzioni pecuniarie per violazioni amministrative) e (e) le sanzioni penali-tributarie (ad es. pene pecuniarie conseguenti a reati tributari o spese di giustizia). Vediamo in dettaglio ciascuna categoria, perché la natura del debito influisce sul procedimento di riscossione.
Tributi erariali (imposte statali)
Rientrano in questa categoria imposte come IRPEF, IRES, IVA, IRAP, le accise, i dazi doganali, l’imposta di registro, bollo, e in generale tutti i tributi il cui gettito spetta allo Stato o agli enti pubblici nazionali. La riscossione coattiva di questi tributi è disciplinata principalmente dal D.P.R. 29 settembre 1973 n.602 (in particolare la Parte II relativa alla riscossione mediante ruolo) e dal D.P.R. 602/1973 stesso per la fase esecutiva, nonché dalle singole leggi d’imposta per aspetti di accertamento. Tradizionalmente, il meccanismo prevedeva che, a seguito di un avviso di accertamento o di liquidazione d’imposta definitivo e non pagato, l’importo venisse iscritto a ruolo e affidato all’Agente della Riscossione, il quale notificava quindi una cartella di pagamento al contribuente moroso. La cartella esattoriale (o di pagamento) è l’atto con cui si intima al debitore il pagamento delle somme iscritte a ruolo entro 60 giorni, pena l’avvio delle procedure esecutive. Essa contiene il dettaglio delle imposte dovute, delle sanzioni amministrative pecuniarie per omesso pagamento, degli interessi e degli aggi (oneri di riscossione) eventualmente dovuti.
Evoluzione recente – “avviso di accertamento esecutivo”: a partire dagli anni 2010, il legislatore ha introdotto strumenti per rendere più celere la riscossione erariale, unificando la fase di accertamento e quella di esecuzione. In particolare, per le imposte sui redditi e l’IVA, gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate recano ormai essi stessi l’intimazione a pagare entro il termine per proporre ricorso (in genere 60 giorni), e decorsi 30 giorni da tale termine l’atto diviene automaticamente titolo esecutivo da trasmettere all’agente della riscossione. Ciò significa che, per molti tributi statali, non viene più emessa una cartella separata: l’avviso di accertamento “esecutivo” svolge una doppia funzione (accertamento e precetto esecutivo). Ad esempio, un avviso di accertamento IRPEF notificato nel 2024, se non viene impugnato né pagato entro 60 giorni, dal 61° giorno diventa esecutivo e trascorsi ulteriori 30 giorni può essere inviato ad Agenzia Entrate-Riscossione per l’avvio delle azioni di recupero. In pratica, sull’atto impositivo è già inserita la dicitura che “costituisce titolo esecutivo decorso il termine per il ricorso” e contiene l’indicazione dell’agente di riscossione incaricato. Questa prassi, originariamente prevista da decreti del 2010–2011 per alcuni tributi, è stata estesa a tutti i principali tributi erariali dalla recente riforma della riscossione (D.Lgs. 110/2024, in vigore dal 1° gennaio 2025).
Esempi comuni: rientrano tra i tributi erariali soggetti a riscossione coattiva i debiti da dichiarazioni dei redditi (se non versati alle scadenze previste), gli avvisi di accertamento per maggiori imposte accertate (IRPEF, IRES, IVA, registro, bollo, ecc.), le somme dovute a seguito di controlli formali e automatizzati (avvisi bonari non pagati che vengono iscritti a ruolo), le sanzioni tributarie amministrative irrogate dall’Agenzia delle Entrate (es. per omessa dichiarazione, infedele dichiarazione, omesso versamento) una volta divenute definitive, e così via.
Termini di decadenza e prescrizione: ogni tributo ha specifici termini entro cui l’amministrazione finanziaria deve notificare gli atti di accertamento o la cartella (termine di decadenza). Ad esempio, per le imposte sui redditi e l’IVA, il termine ordinario di accertamento è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o del settimo se omissione di dichiarazione). Una volta che il debito tributario è definitivo (perché il termine di ricorso è scaduto o vi è una sentenza passata in giudicato), la riscossione può essere avviata. La legge prevede anche termini di decadenza per la notifica della cartella di pagamento (ad esempio, ex art. 25 DPR 602/1973 la cartella va notificata, per le somme derivanti da controlli automatizzati, entro fine del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, o entro il secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo). Sul piano della prescrizione, ossia il tempo oltre il quale il debito non è più esigibile se non sono stati effettuati atti interruttivi, la giurisprudenza più recente ha affermato che anche i debiti tributari erariali si prescrivono in 5 anni, salvo che intervenga una sentenza di condanna definitiva (giudicato). Le Sezioni Unite della Cassazione hanno infatti chiarito che l’irretrattabilità di un atto amministrativo definitivo (come un avviso di accertamento non impugnato) non lo equipara a una sentenza: dunque, ad esempio, un credito IRPEF risultante da cartella non impugnata si estingue per prescrizione dopo 5 anni dall’ultima notifica valida, se nel frattempo il Fisco non compie altri atti interruttivi. Questo orientamento, espresso ad es. in Cass. SS.UU. n. 23397/2017 e confermato da Cass. ord. n. 7409/2020, deroga alla regola generale dei 10 anni ex art. 2946 c.c. e trova applicazione per la generalità dei crediti tributari dello Stato e degli enti pubblici. Approfondiremo oltre i dettagli su prescrizioni e decadenze (vedi sezioni dedicate).
Tributi locali (imposte e tasse locali)
Appartengono a questa categoria i tributi il cui gettito spetta a Comuni, Province o Regioni. Esempi tipici sono: IMU (Imposta Municipale sugli Immobili), TARI (Tassa Rifiuti), TOSAP/COSAP (tassa o canone per occupazione suolo pubblico), ICP (imposta sulla pubblicità), addizionali comunali e regionali (come l’addizionale IRPEF regionale e comunale), bollo auto (tassa automobilistica regionale), ecc. Anche molte entrate patrimoniali degli enti locali, come canoni, rette, sanzioni per violazioni di regolamenti comunali, sono riscosse coattivamente con procedure analoghe.
La riscossione coattiva dei tributi locali ha vissuto negli ultimi anni una riforma significativa. Fino al 2019, i Comuni potevano scegliere se avvalersi dell’Agente nazionale della riscossione (all’epoca Equitalia, oggi Agenzia Entrate-Riscossione) oppure procedere autonomamente o tramite concessionari privati mediante lo strumento dell’ingiunzione fiscale di cui al R.D. 639/1910 (un ordine di pagamento emesso dall’ente locale, titolo esecutivo decorso il termine di pagamento). Dal 1° gennaio 2020, però, la Legge n. 160/2019 (legge di bilancio 2020) ha introdotto l’accertamento esecutivo per i tributi locali comunali. In pratica, gli avvisi di accertamento emessi dai Comuni in materia di IMU, TARI e altre entrate locali devono contenere anch’essi l’intimazione a pagare entro il termine di proposizione del ricorso (in genere 60 giorni): scaduto tale termine senza pagamento né impugnazione, l’accertamento diviene esso stesso titolo esecutivo. Decorsi ulteriori 30 giorni, le somme non pagate possono essere affidate all’agente della riscossione o al concessionario per l’esecuzione forzata, senza bisogno di cartella. In sostanza, anche a livello locale si è passati ad un sistema simile a quello statale: un unico atto (avviso di accertamento esecutivo) che funge sia da accertamento del tributo sia da atto esecutivo. Va ricordato che alcuni Comuni (specie quelli di piccole dimensioni) possono comunque avvalersi di Agenzia delle Entrate-Riscossione per incassare coattivamente anche dopo il 2020, ma la tendenza normativa è verso la riscossione diretta da parte degli enti locali con i loro atti esecutivi.
Esempio: se un Comune emette nel 2025 un accertamento IMU per omesso versamento dell’anno 2020, l’avviso conterrà l’ingiunzione a pagare l’imposta, gli interessi e le sanzioni entro 60 giorni. Se il contribuente non paga né fa ricorso alla giustizia tributaria in quel termine, dal 61° giorno l’atto è esecutivo e, dopo ulteriori 30 giorni, il Comune potrà procedere a iscrivere fermi, ipoteche o pignoramenti inviando il titolo al concessionario locale oppure stipulando convenzione con Agenzia Entrate-Riscossione per le azioni esecutive. Non riceverò una cartella esattoriale separata in questo caso, poiché l’accertamento stesso vale come “cartella”.
Alcuni enti locali che non adottano l’accertamento esecutivo (ad esempio perché si riferisce a entrate antecedenti o particolari) possono ancora utilizzare lo strumento dell’ingiunzione fiscale (previsto dal R.D. 14 aprile 1910 n. 639): si tratta di un provvedimento emesso dall’ente o dal concessionario, notificato al debitore, con intimazione a pagare entro 30 giorni. Trascorso tale termine, l’ingiunzione – che è già di per sé titolo esecutivo – consente di procedere al pignoramento secondo le norme del Codice di Procedura Civile. L’ingiunzione fiscale è stata modernizzata per allinearla alle percentuali di aggio usate da Agenzia Entrate-Riscossione: oggi, se il debitore paga entro 60 giorni dall’ingiunzione, si applica un aggio del 3% (max €300), altrimenti 6% (max €600), sul modello di quanto avveniva per le cartelle esattoriali (vedi oltre). Questo uniforma i costi di riscossione a carico del contribuente tra sistema nazionale e locale.
Termini di prescrizione: i tributi locali, in assenza di specifiche diverse, seguono in generale la prescrizione quinquennale (5 anni) prevista dall’art. 2948 c.c. per le prestazioni periodiche. Ad esempio, IMU e TARI si prescrivono in 5 anni dall’anno dovuto se il Comune non notifica atti interruttivi. Anche qui, comunque, se c’è un provvedimento giurisdizionale definitivo il termine diverrebbe decennale; ma è raro in materia tributaria locale avere giudicati su singole annualità d’imposta. Le sanzioni amministrative per violazioni di regolamenti locali seguono la regola generale di 5 anni (art. 28 L. 689/1981). I termini di decadenza per l’accertamento dei tributi locali sono di norma anch’essi al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui doveva essere presentata la dichiarazione o versato il tributo (salvo eccezioni previste da leggi specifiche). Ad esempio, per IMU/TARI il Comune deve notificare l’avviso di accertamento entro il 31/12 del quinto anno successivo all’anno d’imposta, pena la decadenza.
Caso particolare – ingiunzione o cartella per multe stradali: le multe per violazioni del Codice della Strada (che sono sanzioni amministrative, v. oltre) se non pagate volontariamente entro 60 giorni vengono iscritte a ruolo dal Comune trascorsi i tempi di legge. In passato venivano notificate tramite cartella esattoriale; oggi molti Comuni le includono negli accertamenti esecutivi o ingiunzioni. Comunque, l’eventuale cartella/ingiunzione per multe stradali non pagate deve rispettare il termine di decadenza di 2 anni dall’anno in cui la sanzione è divenuta esigibile (art. 36 D.L. 17/2022, convertito in L. 34/2022, cosiddetto “Decreto Sostegni-ter”): se l’ente non attiva la riscossione coattiva entro due anni, la pretesa per quella multa decade. Questo termine speciale vale pro futuro per le sanzioni stradali. Diversamente, la prescrizione delle multe resta quinquennale (ex art. 28 L. 689/81).
Contributi previdenziali e assistenziali
Questa categoria comprende i contributi obbligatori dovuti dai cittadini e dalle imprese agli enti previdenziali e assistenziali, in primis INPS (contributi pensionistici, contributi per lavoratori dipendenti, autonomi, artigiani, commercianti, gestione separata, ecc.) e INAIL (premi assicurativi obbligatori contro gli infortuni sul lavoro), oltre ai contributi dovuti alle Casse professionali (es. Cassa Forense, INARCASSA, etc.) per gli iscritti agli ordini professionali.
La riscossione coattiva dei contributi INPS e INAIL segue un percorso in parte assimilabile a quello dei tributi. Storicamente, tali enti si avvalevano di cartelle esattoriali emesse a seguito dell’iscrizione a ruolo dei contributi omessi (in base al D.Lgs. 46/1999). Tuttavia, dal 2011 è stato introdotto l’avviso di addebito con valore di titolo esecutivo: a decorrere dai debiti contributivi dall’anno 2011 in poi, l’INPS notifica direttamente un avviso di addebito al debitore (datore di lavoro o lavoratore autonomo) contenente l’intimazione a pagare i contributi non versati entro 60 giorni. Trascorso tale termine senza pagamento né ricorso, l’avviso di addebito diviene titolo esecutivo e viene affidato all’Agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) per procedere coattivamente, senza necessità di cartella. In pratica, l’avviso di addebito INPS funziona come un’accertamento esecutivo: vi sono indicati i periodi contributivi non versati, l’importo dovuto comprensivo di sanzioni civili (le sanzioni per omissione contributiva, tipicamente percentuali di mora) e interessi, e invita a sanare entro 60 giorni. Se non si paga né si contesta giudizialmente, l’INPS incarica l’esattore di recuperare coattivamente quelle somme. L’INAIL ha una procedura analoga per i premi assicurativi. Le Casse professionali generalmente emettono ruoli (quindi cartelle) oppure ricorrono a ingiunzioni tramite decreti ingiuntivi, a seconda dei rispettivi regolamenti e convenzioni con l’Agente della riscossione.
Decadenza e prescrizione: i contributi previdenziali sono soggetti a specifiche regole di prescrizione dettate dalla L. 335/1995 (riforma pensionistica). In base all’art. 3, co. 9 L.335/95, tutti i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori si prescrivono in 5 anni, salvo che intervenga atti interruttivi prima della scadenza di tale termine. Fino al 2012 esisteva una differenza tra contribuzione non denunciata (prescrizione decennale) e contribuzione denunciata (quinquennale), ma tale distinzione è stata superata: oggi la prescrizione è quinquennale anche per i contributi omessi non dichiarati, come confermato da orientamento unanime della Cassazione. Le Sezioni Unite (sent. n. 23397/2017) hanno chiarito che il decorso del termine per opporsi a una cartella INPS non “trasforma” la prescrizione breve di 5 anni in quella ordinaria decennale. In altri termini, anche se il debitore non impugna la cartella di pagamento dei contributi entro 40 giorni (termine per i contributi, vedi oltre), il credito contributivo resta soggetto al termine quinquennale e non a quello decennale. Fa eccezione solo il caso in cui la fondatezza del credito contributivo sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o altro provvedimento giudiziario definitivo – in tal caso si applicherebbe la prescrizione ordinaria di 10 anni. I termini di decadenza per l’accertamento dei contributi variano: ad esempio, l’INPS deve notificare l’avviso di addebito per contributi omessi entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di scadenza del pagamento (termine ordinario previsto dall’art. 25 D.Lgs. 46/1999 per l’iscrizione a ruolo dei contributi). Se perde questo termine, il credito contributivo non può più essere riscosso (decade). Bisogna però distinguere tra decadenza dall’accertamento (che riguarda l’ente impositore) e prescrizione del credito (che opera dopo l’accertamento).
Giurisdizione competente: le controversie sui contributi previdenziali (ad esempio impugnazione di avvisi di addebito INPS o cartelle per contributi) rientrano nella giurisdizione del Giudice ordinario – sezione Lavoro (trattandosi di materia previdenziale). Il termine per proporre opposizione a un avviso di addebito o a una cartella di contributi è solitamente di 40 giorni dalla notifica, mediante ricorso al Tribunale ordinario competente (funzione di giudice del lavoro). Questo termine e procedimento sono stabiliti dal D.Lgs. 46/1999 e dal D.Lgs. 150/2011 (che disciplina le “opposizioni a cartella esattoriale per crediti previdenziali” come opposizioni all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.). Si tornerà sulla distinzione di giurisdizione in seguito, ma anticipiamo che non è il giudice tributario a decidere su questi atti, bensì il giudice civile. Anche le sanzioni civili INPS (more e aggi per ritardato pagamento dei contributi) seguono lo stesso regime.
Sanzioni amministrative (multe e altre ammende pecuniarie)
Questa sezione riguarda le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, ossia multe, ammende e altre penalità inflitte per violazioni di norme amministrative (non costituenti reato). Esempi tipici: multe stradali (violazioni del Codice della Strada), sanzioni per violazioni fiscali di natura amministrativa (es. omessa fatturazione non configurante reato), sanzioni irrogate da Autorità amministrative indipendenti (AGCOM, Antitrust, ecc.), sanzioni per violazioni in materia di lavoro, ambiente, commercio, ecc.
Le sanzioni amministrative sono di norma disciplinate dalla Legge 24 novembre 1981 n. 689, che all’art. 27 prevede che, in caso di mancato pagamento spontaneo entro 60 giorni dalla notifica dell’ordinanza-ingiunzione o del verbale, l’ente può procedere alla riscossione coattiva mediante ruolo. Dunque molte sanzioni amministrative confluiscono in cartelle esattoriali emesse dall’Agente della riscossione. Un caso particolare sono le multe stradali: dopo la notifica del verbale, se non si paga entro 60 giorni né si propone ricorso, la sanzione raddoppia e viene emesso un ruolo esattoriale per l’importo aggiornato (sanzione in misura raddoppiata più interessi e spese). L’Agente della riscossione notifica quindi una cartella di pagamento al proprietario del veicolo o al trasgressore, ingiungendo il pagamento entro 60 giorni. Oggi, come già detto nella parte sui tributi locali, i Comuni possono anche utilizzare l’accertamento esecutivo o l’ingiunzione fiscale per riscuotere le proprie sanzioni (tra cui le multe stradali), senza passare da Agenzia Entrate-Riscossione. L’importante per il debitore è capire che, in ogni caso, una multa non pagata spontaneamente non sparisce, ma passa alla fase coattiva: riceverà un atto esecutivo (cartella o ingiunzione) che aumenta considerevolmente l’importo dovuto (per via del raddoppio, degli interessi e delle spese di notifica).
Prescrizione delle sanzioni amministrative: ai sensi dell’art. 28 della L. 689/1981, il diritto a riscuotere le somme dovute per le sanzioni amministrative si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno in cui è divenuta definitiva l’ordinanza-ingiunzione o il verbale di multa. Ad esempio, se una multa stradale diventa definitiva (non opposta) nel 2025, l’ente ha fino al 2030 per notificare la cartella o l’ingiunzione; se non lo fa, la pretesa è prescritta. Ogni atto interruttivo notificato (es. la cartella stessa, un sollecito, un’intimazione) fa decorrere un nuovo quinquennio. La legge di bilancio 2023 ha previsto uno “stralcio” automatico dei debiti fino a 1.000 euro affidati a ruolo dal 2000 al 2015, comprendendo anche molte multe stradali minori: questi debiti sono stati annullati d’ufficio al 31 marzo 2023 (ad eccezione di sanzioni per violazioni Codice della Strada, per cui lo stralcio ha riguardato solo gli interessi). Dunque, per multe antecedenti al 2015 di importo esiguo, può essere intervenuta questa cancellazione automatica prevista dalla L. 197/2022.
Opposizione alle sanzioni amministrative: ricordiamo che per le sanzioni amministrative, in sede di notifica iniziale (verbale o ordinanza), il destinatario ha la possibilità di presentare ricorso entro termini brevi (es. 30 giorni al Giudice di Pace per le multe stradali, 60 giorni al Prefetto o autorità competente, a seconda dei casi). Trascorso tale termine, la sanzione diviene definitiva e si passa alla riscossione. Al momento della cartella esattoriale, non è più ammesso contestare il merito della violazione (salvo il caso in cui si eccepisca di non aver mai ricevuto la notifica originaria: in tal caso si può fare opposizione tardiva al GdP appena si viene a conoscenza della multa tramite la cartella). In generale, l’impugnazione di una cartella relativa a una sanzione amministrativa avviene davanti al Giudice ordinario (Giudice di Pace se si tratta di violazione CDS entro valore di legge), entro 30 giorni, ma solo per vizi della cartella o notifica originaria nulla. Approfondiremo oltre nelle sezioni su opposizioni e giurisdizioni.
Sanzioni penali tributarie e spese di giustizia
Questa particolare categoria si riferisce alle somme dovute a seguito di condanne penali per reati tributari o in genere alle spese di giustizia. Ad esempio, una persona condannata per il reato di dichiarazione fraudolenta (D.Lgs. 74/2000) potrebbe dover pagare, oltre alla pena detentiva (se prevista), una pena pecuniaria (multa o ammenda) e le spese processuali. Tali importi, una volta definitivi con la sentenza, diventano crediti dello Stato. La riscossione delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia è anch’essa mediante ruolo: il Ministero della Giustizia affida all’Agente della riscossione il compito di recuperare le somme dovute dal condannato. Viene dunque emessa e notificata una cartella di pagamento al debitore. In alternativa, in certi casi il recupero può avvenire tramite ingiunzione gestita dall’ufficio recupero crediti presso le Corti d’Appello, ma nella pratica oggi molte di queste voci transitano tramite Agenzia Entrate-Riscossione.
Esempio concreto: Tizio viene condannato nel 2024 per omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000) con una multa penale di €50.000. Quando la sentenza diviene definitiva, il Ministero emette un ruolo per €50.000 più eventuali spese processuali e lo trasmette all’esattore: Tizio riceverà una cartella esattoriale che lo invita a pagare quella somma entro 60 giorni, altrimenti si procederà al pignoramento.
Giurisdizione: importante notare che i crediti di questo tipo non hanno natura tributaria, ma derivano da provvedimenti giudiziari. Pertanto, le contestazioni riguardanti cartelle di pagamento per spese di giustizia o pene pecuniarie appartengono alla giurisdizione del Giudice ordinario, non a quella tributaria. Lo hanno chiarito anche le Sezioni Unite della Cassazione (es. SS.UU. n. 959/2017) stabilendo che se il provvedimento di fermo amministrativo o altro atto di riscossione si riferisce a crediti per “spese processuali” penali, la controversia spetta al giudice ordinario. Dunque, un’eventuale opposizione a cartella per spese di giustizia andrà proposta ex art. 615 c.p.c. davanti al tribunale civile (o al giudice di pace se di valore basso).
Prescrizione: le sanzioni penali pecuniarie (multe, ammende) e le spese processuali penali si prescrivono in 10 anni, poiché equiparabili a provvedimenti giudiziali di condanna definitivi (titoli giudiziali). Il termine decorre dal passaggio in giudicato della sentenza. Anche le sanzioni tributarie irrogate in sede penale (ad esempio la confisca per equivalente o le pene accessorie pecuniarie) seguono le regole proprie della sentenza. Si tratta comunque di casistiche relativamente meno frequenti per il cittadino comune rispetto ai debiti tributari o contributivi.
Agenti della riscossione: chi riscuote i debiti?
Il processo di riscossione coattiva coinvolge diversi attori istituzionali. Dal lato del creditore troviamo l’ente impositore (Agenzia delle Entrate, Comune, INPS, Ministero, ecc.) che forma il titolo di credito (ruolo, avviso esecutivo, ingiunzione). Dal lato del recupero forzoso vero e proprio troviamo invece gli agenti della riscossione, ovvero i soggetti incaricati per legge di svolgere le operazioni di notifica delle cartelle, incasso dei pagamenti e attivazione delle procedure esecutive (fermi, ipoteche, pignoramenti). A seconda della natura del debito e dell’ente coinvolto, l’agente della riscossione può essere:
- Agenzia delle Entrate–Riscossione (AdER): è l’agente nazionale competente per la riscossione dei tributi erariali, dei contributi e in genere di gran parte delle entrate pubbliche.
- Enti locali o loro concessionari privati: per le entrate locali (tributi comunali, multe, ecc.) l’attività di riscossione può essere svolta direttamente dall’ente impositore (Comune/Provincia/Regione) oppure affidata a società concessionarie iscritte in appositi albi.
- Altri agenti speciali: ad esempio la società pubblica Riscossione Sicilia S.p.A. che opera in Regione Siciliana (storicamente fuori dal perimetro Equitalia), o altri soggetti autorizzati in casi particolari (es. per alcune tipologie di crediti sanitari, universitari, ecc.).
Di seguito un confronto tra le caratteristiche principali di questi agenti:
Caratteristica | Agenzia Entrate-Riscossione (AdER) | Ente locale / Concessionario privato |
---|---|---|
Ambito operativo | Nazionale (tutte le regioni tranne casi speciali es. Sicilia); competente per ruoli statali, contributivi e per enti locali convenzionati. | Locale (limitatamente all’ente che li incarica: es. un singolo Comune o Regione). Può operare tramite proprie strutture o affidare a concessionari. |
Normativa di riferimento | D.Lgs. 112/1999 (riordino riscossione nazionale); DPR 602/1973; leggi speciali (es. DL 193/2016 per passaggio da Equitalia ad AdER); Codice Proc. Civile per fase esecutiva. | R.D. 639/1910 (ingiunzione fiscale); Legge 160/2019 (accertamento esecutivo locale); normative regionali; Codice Proc. Civile per esecuzione forzata. |
Atto iniziale tipico | Cartella di pagamento ex DPR 602/73, oppure direttamente avviso esecutivo (se previsto dalla legge delegante, es. accertamento esecutivo AE, avviso addebito INPS). | Avviso di accertamento esecutivo (dal 2020 per Comuni) oppure ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910) se ente non usa AdER. In alcuni casi anche cartella di pagamento se ente si avvale di AdER. |
Poteri e strumenti di riscossione | Poteri speciali di indagine e azione: può accedere a banche dati fiscali, utilizzare procedure rapide (es. ordine di pagamento diretto a terzi ex art. 72-bis DPR 602/73 per pignorare conti correnti senza passare dal giudice); può iscrivere ipoteca e fermo amministrativo senza autorizzazione del giudice; procedura di espropriazione mobiliare e immobiliare semplificata (titolo esecutivo è il ruolo/cartella). | Concessionari locali hanno poteri analoghi limitati al loro ambito: anche l’ingiunzione fiscale è titolo esecutivo, ma per pignorare devono seguire il rito ordinario (atto di pignoramento con ufficiale giudiziario, istanza al giudice per assegnazione crediti ecc.). Non hanno uno strumento identico all’art.72-bis: in genere devono notificare atto di pignoramento e attendere autorizzazioni giudiziali. Possono iscrivere fermi e ipoteche sui debitori locali, ma devono rispettare la normativa (spesso allineata a DPR 602/73). |
Costi di riscossione (aggio/oneri) | Nessun aggio a carico del debitore per ruoli dal 2022 in poi – dal 1/1/2022 la legge di bilancio ha abolito gli oneri di riscossione a carico del contribuente. Prima del 2022: 3% se si pagava entro 60 gg, 6% oltre, più 1% per riscossione spontanea. Oggi il costo del servizio è coperto dallo Stato e in parte dall’ente creditore, mentre al debitore restano solo le spese vive (notifica, eventuali diritti di procedura). | In passato i concessionari applicavano spesso aggio 4,5%-8%. Dal 2019 è previsto che anche per ingiunzioni locali si applichi 3% entro 60gg, 6% dopo (con massimali) per uniformità. Tuttavia, questi oneri nelle realtà locali spesso restano a carico del debitore, salvo diversa delibera. Gli enti locali, infatti, non godono del finanziamento statale previsto per AdER. |
Obbligo di accettare rateizzazioni | Sì, secondo la legge: AdER concede rate fino a 72/120 rate su richiesta (vedi sezione rateazione). Dopo riforma 2024: fino 84 rate per debiti <€120.000 senza prova, fino 120 rate se debito maggiore o grave difficoltà. | Concessionari locali normalmente concedono rateizzazioni in base a regolamenti comunali, spesso analoghe a quelle statali (72 rate, talvolta più brevi). Molti statuti locali richiamano il DPR 602/73 per la rateazione. |
Ambito di esecuzione | Può agire su tutto il territorio nazionale (anche su beni fuori provincia del debitore). Ha sportelli e articolazioni regionali, ma il titolo è valido ovunque. | Limitato dalla competenza territoriale dell’ente: un Comune può pignorare beni anche fuori comune, ma deve coordinarsi (ad es. tramite ufficiali giudiziari del luogo). Il concessionario privato opera con mandato limitato. |
Esempi di soggetti | Agenzia delle Entrate-Riscossione (unico agente nazionale, ente pubblico economico dal 2017, nato dalla fusione di Equitalia). | Es. società concessionarie: Sorit, Abaco, Andreani Tributi, Ica, Duomo Gpa, So.Ge.T., Publiservizi, Etc. Oppure l’ente locale stesso (ufficio tributi/entrate). In Sicilia: Riscossione Sicilia S.p.A. (partecipata regionale). |
Come si evince, Agenzia Entrate-Riscossione (AdER) dispone di poteri e strumenti particolarmente incisivi e standardizzati a livello nazionale. La sua nascita risale al 1° luglio 2017, quando ha sostituito le società Equitalia: da allora la riscossione è tornata sotto un ente pubblico (AdER è ente strumentale dell’Agenzia delle Entrate). AdER gestisce un servizio nazionale, si avvale di personale con qualifica di esattore e ufficiale della riscossione e utilizza procedure informatiche integrate con il fisco. È il soggetto che notifica la maggior parte delle cartelle esattoriali e attiva le relative esecuzioni. Gli enti locali che non si avvalgono di AdER operano invece in proprio o tramite concessionari: questi ultimi, pur avendo poteri di agire in via esecutiva, devono rispettare formalità a volte più complesse (ad esempio non possono emanare un atto di pignoramento “secco” come AdER, ma devono passare dal giudice per l’ordinanza di assegnazione).
Confronto sui tempi e sull’efficacia: storicamente Equitalia/AdER veniva percepita come più efficiente e “aggressiva” rispetto a molti concessionari locali, per via dell’automatismo di alcune procedure (basti pensare al fermo amministrativo auto o all’accesso diretto alle banche dati finanziarie per i pignoramenti presso terzi). D’altro canto, i concessionari locali talora sono più flessibili nel rapporto col debitore, potendo concordare con l’ente soluzioni ad hoc o considerando situazioni particolari. In ogni caso, dal punto di vista del debitore, un atto emesso da AdER o da un concessionario locale ha valore analogo: entrambi sono titoli esecutivi e, se validamente notificati e non seguiti dal pagamento, portano alle stesse conseguenze (pignoramento di beni, ecc.).
Importante: il debitore può sempre identificare chi è l’agente della riscossione incaricato leggendo l’atto ricevuto. Le cartelle di pagamento riportano l’ente creditore e l’agente (AdER o altro). Gli avvisi di accertamento esecutivo comunali indicano se la riscossione è interna o affidata (spesso recano il logo del concessionario o di AdER se quest’ultima gestirà la fase esecutiva). Capire “chi si ha di fronte” è utile anche per sapere dove rivolgersi: ad esempio, per chiedere una rateizzazione su una cartella AdER ci si rivolge ad AdER stessa; per una rateizzazione su un’ingiunzione comunale, al concessionario indicato o all’ufficio tributi comunale.
Fasi della riscossione coattiva (procedura)
Vediamo ora come si svolge in pratica la riscossione coattiva di un credito. Il processo può essere suddiviso in diverse fasi successive. In generale, si parte da un atto di richiesta di pagamento notificato al debitore (cartella, avviso esecutivo o ingiunzione), si passa poi – in mancanza di adempimento – a eventuali misure cautelari (fermo di beni mobili registrati, ipoteca) e infine alle azioni esecutive vere e proprie (pignoramenti di beni mobili, crediti, immobili), che culminano con la realizzazione forzata del credito mediante espropriazione e vendita dei beni pignorati o esazione delle somme dovute dal terzo pignorato. Di seguito analizziamo ogni fase in dettaglio, compresi i termini e le tutele previste.
Formazione del titolo esecutivo (ruolo, avviso o ingiunzione)
La prima fase si svolge presso l’ente creditore: quando un debito risulta non pagato nei termini, l’ente adotta un provvedimento per attivare la riscossione coattiva. I casi possono essere:
- Iscrizione a ruolo e formazione della cartella: l’ente creditore (es. Agenzia Entrate, Comune, INPS) iscrive il credito in un ruolo (elenco dei debitori e somme dovute) che viene reso esecutivo e trasmesso all’agente della riscossione competente. Sulla base del ruolo, l’agente stampa e notifica la cartella di pagamento. Il ruolo costituisce il titolo esecutivo, e la cartella è l’atto di precetto (intimazione di pagamento) rivolto al debitore. Questo era il metodo classico per la generalità dei crediti fino a qualche anno fa, ed è tuttora utilizzato per molti casi (ad esempio per i crediti affidati fino al 2019 dai Comuni, o per crediti di natura diversa non coperti dagli avvisi esecutivi).
- Emissione di avviso di accertamento esecutivo: come spiegato, per tributi erariali (e ora anche locali) spesso l’ente emette un unico avviso che vale anche come titolo esecutivo. In tal caso, non c’è un ruolo separato e non ci sarà una cartella: l’atto stesso invita a pagare entro tot giorni e avverte che, in caso contrario, si procederà alla riscossione forzata. Questo avviso viene notificato direttamente dall’ente impositore (es. Agenzia delle Entrate tramite posta o PEC, Comune tramite messo comunale o raccomandata/PEC). Se decorrono i termini senza pagamento, l’ente trasmette l’estratto dell’avviso all’agente della riscossione per iniziare le procedure (o se in proprio, attiva direttamente il pignoramento passato un ulteriore preavviso). In sintesi qui il titolo esecutivo è l’avviso stesso, che contiene l’intimazione.
- Emissione di ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910): nel caso di riscossione locale non tramite AdER, l’ente o concessionario produce un’ingiunzione, la notifica e se non viene pagata entro 30 giorni procederà con atti esecutivi. L’ingiunzione è già di per sé un titolo esecutivo, senza bisogno di convalida giudiziaria, in virtù della legge speciale del 1910 ancora in vigore (con modifiche).
Indipendentemente dalla forma (cartella, avviso o ingiunzione), deve esistere un titolo esecutivo legittimo alla base della riscossione. Il debitore ha diritto di riceverne notifica regolare di modo da poterne avere conoscenza. Se la notifica non avviene o è gravemente viziata, gli atti successivi (fermi, pignoramenti) possono essere considerati nulli perché privi di un valido titolo. In altra sezione discuteremo proprio i vizi di notifica e come farli valere.
Notifica dell’atto al debitore
La notifica al debitore dell’atto che richiede il pagamento è il momento in cui formalmente inizia la riscossione coattiva. Da tale data, infatti, decorrono i termini sia per pagare spontaneamente sia per eventualmente impugnare l’atto (fare ricorso/opposizione). La notifica delle cartelle esattoriali e degli altri atti della riscossione può avvenire con diverse modalità:
- Notifica a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento: è la modalità più diffusa storicamente per le cartelle. La legge consente all’agente della riscossione di notificare mediante raccomandata AR, senza bisogno di ufficiale giudiziario (notifica “diretta” via posta). Il portalettere se non trova il destinatario segue le regole di giacenza postale. La cartella si considera notificata alla data di ricezione o, in caso di irreperibilità relativa, alla data di ritiro o di compiuta giacenza presso l’ufficio postale.
- Notifica tramite PEC (Posta Elettronica Certificata): oggi per le imprese e i professionisti è obbligatoria la notifica telematica. Agenzia Entrate-Riscossione notifica le cartelle e intimazioni via PEC all’indirizzo risultante dagli elenchi ufficiali (INI-PEC) per società, ditte individuali, professionisti iscritti ad albi. Dal 2021-2022 si sta estendendo la notifica PEC anche ai cittadini privati che abbiano un domicilio digitale registrato. La notifica via PEC è valida a tutti gli effetti: il file inviato (di solito un PDF con firma digitale) costituisce copia conforme dell’originale cartaceo. Se la casella PEC risulta piena o non funzionante, l’agente procede con notifica cartacea di cortesia.
- Notifica tramite messi notificatori: AdER e i concessionari possono avvalersi di messi notificatori abilitati o di ufficiali della riscossione per consegnare l’atto di persona. Ad esempio, in alcune zone i messi comunali notificano anche le cartelle per conto di AdER. Si segue il procedimento analogo a quello degli ufficiali giudiziari (con possibilità di notificare a familiari conviventi, portiere, ecc. se il destinatario è assente, oppure per irreperibilità assoluta deposito presso comune e affissione).
- Notifica per pubblici proclami o irreperibilità: se il destinatario è sconosciuto all’indirizzo o trasferito senza aggiornare la residenza, si applica l’art. 60 DPR 600/73 che prevede il deposito presso l’albo del Comune (ora reso pubblico online) dell’atto. Dopo un periodo (di solito 8 giorni) la notifica si considera eseguita. In questi casi spesso il debitore non viene a conoscenza immediata dell’atto – ciò può aprire la strada a contestazioni (se la procedura non è stata seguita correttamente) o a rimedi come l’accesso agli estratti di ruolo.
Contenuto della cartella/avviso: è importante sapere leggere l’atto. La cartella di pagamento contiene, di regola, una prima pagina con l’intimazione (“paghi entro 60 giorni € X a titolo di…”) e le istruzioni di pagamento. Seguono poi i dettagli del ruolo: per ogni ente creditore le somme dovute, con indicazione di imposta, interessi, sanzioni, ecc., e gli estremi dell’atto presupposto (ad esempio l’anno d’imposta e numero dell’avviso di accertamento che ha originato il ruolo). In fondo sono indicati gli oneri di riscossione e le spese di notifica. Gli avvisi di accertamento esecutivi contengono anch’essi un prospetto analitico e specificano: “atto emesso ai sensi dell’art. … costituisce titolo esecutivo decorsi 60 giorni” con avvertenza che l’omesso pagamento comporterà l’affidamento all’agente della riscossione e l’avvio delle misure cautelari/esecutive. L’ingiunzione fiscale ha un testo simile a una cartella, richiamando il R.D. 639/1910 e intimando il pagamento entro 30 giorni, con indicazione delle voci dovute.
Termine per il pagamento volontario: decorre dalla notifica. Per le cartelle e avvisi esattoriali è in genere 60 giorni. Per le ingiunzioni spesso 30 giorni (ma alcuni enti locali estendono a 60). Entro questo termine il debitore può pagare la somma indicata evitando sanzioni ulteriori (restano però dovuti gli interessi di mora maturati fino alla notifica e le spese di notifica). Se si paga entro 60 giorni la cartella AdER, non scattano interessi di mora successivi né procedure (né oneri aggiuntivi, considerato che dal 2022 l’aggio non si applica più). Se invece si lascia decorrere il termine senza pagare e senza fare ricorso, la somma è iscritta a ruolo definitivamente e iniziano a maturare gli interessi di mora.
Interessi e sanzioni dopo la notifica (mora e aggi)
Trascorso il termine per il pagamento volontario, sul debito iscritto a ruolo si applicano gli interessi di mora per il ritardo. Il tasso di interesse di mora è fissato annualmente con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, commisurato ai tassi bancari attivi. Negli ultimi anni tale tasso è stato del 2,68% annuo (fino al 2020), poi 3,01% (2021), 3,87% (2022), salito a 4,50% dal 2023, in ragione dell’aumento generale dei tassi di interesse. Ciò significa che dal 61° giorno successivo alla notifica fino al giorno del pagamento, l’importo a ruolo è maggiorato di interessi giornalieri al tasso annuo vigente (ad esempio 4,5%). Questo tasso viene aggiornato in genere al 1° luglio di ogni anno in base alla media dei tassi bancari. Per importi di grande entità e ritardi lunghi, gli interessi di mora possono far crescere significativamente il debito. Al pagamento, l’agente calcolerà gli interessi dovuti e dovranno essere versati anch’essi (oltre al capitale, sanzioni e altri oneri).
Oltre agli interessi, occorre menzionare gli oneri di riscossione (detti anche aggio): come già anticipato, dal 1° gennaio 2022 non è più addebitata al contribuente la quota di aggio del 3-6%. In precedenza l’agente applicava il 3% se il pagamento avveniva entro 60 giorni e il 6% oltre tale termine. Ora tali costi gravano sul bilancio dello Stato e, per la parte eccedente, sull’ente creditore. Permangono però a carico del debitore le spese vive: in primis le spese di notifica della cartella (generalmente circa €5,56 per invio postale o vari importi per PEC, comunque specificate in cartella) e le spese per eventuali procedure cautelari ed esecutive (ad esempio €100-150 di spese per un fermo amministrativo, €200-300 per un pignoramento, ecc., secondo tariffario ministeriale). Tali spese sono recuperate dall’agente aggiungendole al debito man mano che si verificano (sono elencate in dettaglio nel prospetto delle spese allegato agli atti esecutivi o comunicato al debitore).
Quanto alle sanzioni, nella fase di riscossione coattiva non si applicano ulteriori sanzioni amministrative tributarie: queste infatti vengono irrogate solo in fase di accertamento (ad esempio il 30% per omesso versamento, o altre penalità per infedele dichiarazione) e poi fanno parte del carico iscritto a ruolo. Unica eccezione sono le sanzioni civili per omissione contributiva INPS, che continuano a maturare finché non si paga (in luogo degli interessi legali): ma anche queste vengono “congelate” una volta iscritto a ruolo l’importo (l’avviso di addebito fissa la misura). Invece, per le multe stradali, come visto, la sanzione raddoppia una volta scaduti i 60 giorni dal verbale: però questo raddoppio è già computato nel ruolo, non è aggiuntivo dopo la cartella. In sintesi, dopo la notifica della cartella/atto esecutivo, il debito aumenta solo per interessi di mora e spese, non per nuove sanzioni.
Dilazione di pagamento (rateizzazione)
Fin dalla notifica dell’atto (o anche dopo, in fase di esecuzione) il debitore ha la facoltà di richiedere una rateizzazione del debito. Questo strumento consente di sospendere le azioni esecutive purché si paghino le rate concordate. Le regole di rateazione sono in parte dettate dalla legge e in parte rimesse alla discrezionalità dell’agente/ente nei limiti normativi.
Per i debiti affidati ad Agenzia Entrate-Riscossione, la disciplina generale (art. 19 DPR 602/1973) prevede piani fino a 72 rate mensili (6 anni) in caso di temporanea difficoltà economica del debitore, estensibili fino a 120 rate (10 anni) in casi di comprovata grave difficoltà. La legge di riforma 2024 (D.Lgs. 110/2024) ha introdotto ulteriori miglioramenti a partire dal 2025:
- Importi fino a €120.000: concessione automatica fino a 84 rate mensili (7 anni) su semplice richiesta del debitore, senza bisogno di documentare lo stato di difficoltà.
- Dal 2027 il limite salirà a 96 rate, e dal 2029 a 108 rate per tali importi.
- Importi superiori a €120.000 o debitori in difficoltà: possibilità di piano fino a 120 rate (10 anni), previa dimostrazione di una situazione di obiettiva difficoltà (indicatori patrimoniali/reddituali specifici sono stati introdotti per persone fisiche, imprese e anche condomini).
- Pubbliche Amministrazioni debitrici: possono accedere automaticamente al massimo delle rate con una semplice attestazione del rappresentante legale (novità per evitare che comuni o enti saltino pagamenti).
Inoltre, la riforma ha stabilito che se un coobbligato in solido (es. un co-debitore garante) presenta domanda di rateizzazione, ciò sospende la prescrizione anche nei confronti degli altri coobbligati, e che l’Agente della riscossione potrà agire contro i coobbligati solo dopo aver notificato anche a loro una cartella e solo se il piano del debitore principale viene meno. Questa novità tutela i coobbligati (ad es. soci, garanti) da sorprese esecutive mentre il debitore principale sta rateizzando.
Il procedimento per chiedere rate ad AdER è relativamente semplice: fino a debiti di una certa soglia (recentemente €120.000) basta una richiesta online o modulo, senza allegare ISEE o documenti. Per importi maggiori serve un’istanza motivata con documenti contabili. Se la richiesta viene accolta, il debitore riceve un piano con l’importo delle rate (comprensive di un interesse di dilazione, pari al tasso fissato da AdER, attualmente intorno al 3-4% annuo). Pagando la prima rata, si perfeziona la dilazione e decadono eventuali fermi o procedure in corso (non possono proseguire pignoramenti se si è in regola col piano, e l’Agente sospende le azioni).
Decadenza e nuove chance: se il debitore non paga un certo numero di rate, decade dalla rateizzazione e l’intero debito residuo torna esigibile immediatamente. Attualmente il limite è abbastanza favorevole: si decade se si saltano 8 rate anche non consecutive. Fino al 2015 bastavano 2 rate consecutive saltate per decadere; poi il limite è stato portato a 5 e infine a 8. Dunque oggi c’è maggior tolleranza ai ritardi: finché non si accumulano otto mensilità non pagate, il piano resta valido. Comunque, se si decade, non si può ottenere una nuova dilazione sullo stesso debito (salvo lo strumento di rottamazione se disponibile, o salvo pagare le rate arretrate entro certi termini per essere riammessi). Il recente “milleproroghe” (DL 198/2023 conv. L. 14/2023) ha riammesso alcuni debitori decaduti dalle rottamazioni precedenti a rientrare in nuovi piani (vedi oltre).
Gli enti locali e concessionari privati solitamente applicano criteri analoghi. Molti regolamenti comunali prevedono rateizzazioni analoghe a quelle di AdER (es. fino 72 rate per importi elevati). Alcuni enti richiedono garanzie per rate consistenti (fideiussioni se importi alti e rate lunghe). Per le multe stradali, la rateazione è prevista dal Codice della Strada stesso (art. 202-bis) per importi oltre €200, con un massimo di 12 rate in 12 mesi per debiti fino €2.000, 24 rate fino €5.000, 36 rate oltre €5.000. Anche AdER applica queste regole alle cartelle di sole multe.
In ogni caso, beneficio della rateazione: oltre a sospendere le procedure esecutive, consente di ottenere ad esempio il DURC regolare (documento di regolarità contributiva) pur avendo debiti, se questi sono rateizzati regolarmente. Lo stesso vale per il certificato di agibilità fiscale per partecipare ad appalti: se le cartelle sono in corso di rateazione, il contribuente risulta adempiente.
Misure cautelari: fermo amministrativo e ipoteca
Quando il debitore non paga nel termine indicato, prima di passare ai veri e propri pignoramenti l’agente della riscossione può attuare delle misure cautelari sui beni del debitore, al fine di tutelare il credito in attesa della riscossione. Le principali misure cautelari previste sono: il fermo amministrativo sui beni mobili registrati e l’ipoteca sugli immobili.
- Fermo amministrativo (cd. “ganasce fiscali”): è il provvedimento con cui l’Agente della riscossione iscrive un vincolo (fermo) su un veicolo intestato al debitore, impedendone la circolazione legale. Tecnicamente, AdER invia un preavviso di fermo e, decorso un termine (20 giorni dal preavviso), iscrive il fermo al PRA (Pubblico Registro Automobilistico) se il debito non è stato saldato o rateizzato. Il fermo risulta sul certificato del veicolo, bloccandone la possibilità di essere venduto o radiato, e se il debitore circola ugualmente rischia sanzioni (multa e sequestro del mezzo). Soglia di importo: per legge AdER non può disporre fermi per debiti di importo inferiore a €1.000 (questa soglia, introdotta nel 2013, evita fermi per cartelle di piccola entità). Sopra tale soglia, può colpire auto, moto, autocarri, ecc. Spesso il fermo viene usato come “moral suasion”: viene preannunciato con comunicazione (es. Preavviso di fermo amministrativo), dando tempo al debitore di pagare o proporre un piano, in difetto scatta. Va segnalato che se il veicolo è strumentale all’attività d’impresa o professionale del debitore (unico mezzo per lavoro), il fermo potrebbe essere sospeso su istanza perché pregiudica il sostentamento, ma occorre documentarlo. Il fermo, una volta iscritto, si cancella solo con il pagamento integrale del debito (o con eventuale annullamento del debito). AdER non accetta di cancellare il fermo solo per concessione di rateazione – mantiene il fermo a garanzia finché non sono pagate tutte le rate, sebbene sospenda la procedura (in alcuni casi però consente la sospensione se prima rata versata, a discrezione).
- Ipoteca: è l’iscrizione di garanzia sui beni immobili del debitore. L’Agente può iscrivere ipoteca su un immobile se il debitore ha un debito totale superiore a €20.000. Prima di iscrivere ipoteca, notifica al debitore una comunicazione preventiva (preavviso) concedendo 30 giorni per pagare o contestare. Decorso tale termine, può iscrivere l’ipoteca presso la Conservatoria sui beni indicati (es. casa, terreno) fino a concorrenza del credito. L’ipoteca non trasferisce il possesso ma vincola l’immobile: se il debitore prova a venderlo, l’ipoteca segue e il creditore ha prelazione sul ricavato. Prima casa: anche l’abitazione principale, se unico immobile, può avere ipoteca ma non pignoramento (vedi oltre). L’ipoteca ha durata ventennale rinnovabile. Se il debito viene pagato (o annullato), AdER deve cancellare l’ipoteca a sue spese entro 60 giorni. L’ipoteca è spesso preludio all’espropriazione immobiliare, ma non sempre: può essere iscritta anche solo a scopo cautelativo. AdER in passato iscriveva ipoteche anche per importi modesti (poche migliaia di euro), ma una sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 5771/2012) ha stabilito che l’ipoteca esattoriale è illegittima per debiti sotto €8.000 (importo ritenuto minimo perché l’ipoteca non sia sproporzionata). Oggi comunque vige la soglia di legge di €20.000.
Queste misure cautelari non comportano un immediato esproprio, ma servono a “bloccare” beni che altrimenti il debitore potrebbe alienare. Per legge (art. 86 DPR 602/73) l’agente può iscrivere ipoteca o disporre il fermo trascorsi 60 giorni dalla notifica della cartella, purché il ruolo non sia stato pagato o annullato. Non serve un’autorizzazione del giudice. Tuttavia, come detto, prima di iscrivere ipoteca su immobili ad uso abitativo, deve notificarne preavviso al contribuente (lo ha previsto il DL 70/2011 art.7). Per il fermo sui veicoli, la prassi consolidata è comunque di inviare un preavviso (anche se la norma non lo impone espressamente se non per il masso amministrativo sui beni d’impresa).
Effetti sul debitore: il fermo di un’auto di fatto impedisce di utilizzarla legalmente; l’ipoteca su un immobile può rendere difficoltoso ottenere mutui su di esso o venderlo (si potrà vendere ma l’acquirente pretenderà la cancellazione del vincolo pagando il dovuto).
Come difendersi: il debitore può contestare queste misure se sono illegittime (ad esempio: fermo disposto per debiti sotto soglia, oppure su veicolo cointestato a terzi estranei, oppure ipoteca su importo inferiore a €20.000, oppure mancato invio del preavviso). La giurisprudenza ha riconosciuto che il preavviso di fermo è un atto impugnabile dinanzi al giudice (tributario se il credito è tributario) in quanto lesivo. Ugualmente, l’iscrizione di ipoteca può essere fatta oggetto di ricorso (giurisdizione tributaria se trattasi di tributi – Cass. SS.UU. n. 19667/2014). Se invece la misura è corretta ma il debitore ha urgente necessità di riottenere il veicolo o liberare l’immobile, l’unica via è pagare (o almeno accordarsi su un piano di rientro, se l’agente acconsente a sospendere l’ipoteca per vendita, a volte accade).
Avviso di intimazione (sollecito prima dell’esecuzione)
Prima di avviare le vere e proprie misure di espropriazione forzata, la legge prevede talvolta un ultimo avviso al debitore. In particolare, l’art. 50 co.2 del DPR 602/1973 stabilisce che se è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella e il debitore non ha pagato, l’Agente della riscossione deve notificare un avviso contenente l’intimazione ad adempiere entro 5 giorni prima di procedere con l’esecuzione. Questo atto viene chiamato “intimazione di pagamento” o anche sollecito entro 5 giorni. In pratica è un ultimo warning: se il debitore non paga in 5 giorni, partirà il pignoramento. L’intimazione conserva efficacia per 180 giorni dalla notifica; significa che l’agente, notificata l’intimazione, ha 180 giorni per avviare l’esecuzione (pignoramento) senza doverne notificare un’altra. Se decorrono più di 180 giorni, servirà una nuova intimazione prima di pignorare.
Nella prassi, l’intimazione è un foglio semplice che richiama la/e cartella/e già notificate e mai pagate, e intima il pagamento immediato. Spesso il debitore si accorge di avere vecchie cartelle in sospeso proprio ricevendo queste intimazioni a distanza di anni. Bisogna prestare attenzione, perché l’intimazione non è un atto impugnabile autonomamente, a meno che il debitore non contesti la cartella presupposta come mai notificata: in tal caso, potrebbe impugnare l’intimazione deducendo l’inesistenza della notifica originaria. Ma se la cartella era stata regolarmente notificata e solo l’intimazione arriva dopo tempo, non si può far ricorso solo contro l’intimazione (che è un sollecito).
Negli enti locali, spesso si inviano solleciti di pagamento analoghi, anche se non strettamente previsti da norme come obbligatori, per correttezza amministrativa. Alcune leggi speciali prevedono avvisi ulteriori: ad esempio, prima di eseguire un pignoramento immobiliare, per Equitalia era obbligatorio notificare una sorta di intimazione ad adempiere 30 giorni prima della vendita (ma ora con l’art. 50 già assolto).
In sintesi: se riceviamo un’intimazione di pagamento 5 giorni, significa che l’Agente ha intenzione di pignorare a breve. È un segnale di allarme: a questo punto occorre, se possibile, attivarsi immediatamente (pagare, chiedere rateazione urgente, verificare se la cartella era nulla, ecc.) poiché trascorsi i 5 giorni potremmo subire un pignoramento senza ulteriore avviso.
Esecuzione forzata: pignoramenti
Se il debitore rimane inerte anche dopo tutti gli avvisi e solleciti, l’agente della riscossione può dare avvio all’esecuzione forzata, cioè al pignoramento dei beni del debitore. Il pignoramento è l’atto formale con cui i beni del debitore vengono vincolati e destinati a soddisfare il credito. Nel sistema italiano, il pignoramento esattoriale segue in parte regole speciali del DPR 602/73 e in parte quelle del Codice di Procedura Civile (artt. 491 e segg. c.p.c.).
Le forme principali di pignoramento sono:
- Pignoramento mobiliare presso il debitore: ufficiali della riscossione (per AdER) o ufficiali giudiziari (per concessionari) possono recarsi presso l’abitazione o la sede del debitore e pignorare beni mobili (mobili d’arredo, macchinari, merci, ecc.). Nei fatti, questo tipo di pignoramento mobiliare domiciliare è divenuto raro, soprattutto per i privati, a causa della difficile realizzazione (spesso i beni in casa hanno scarso valore di rivendita e i costi superano il ricavato). Viene più utilizzato verso aziende (pignoramento di merci, attrezzature). Con AdER, l’ufficiale della riscossione redige un verbale di pignoramento in loco, elencando i beni pignorati, che verranno poi assegnati a un custode e venduti all’asta se il debitore non paga. Per legge, sono impignorabili gli oggetti personali indispensabili, i beni di uso quotidiano, i letti, tavoli da pranzo, stufe per riscaldamento, strumenti di culto, e in generale quanto sarebbe leso dal sequestro (art. 514 c.p.c.). Quindi l’ufficiale non può pignorare, ad esempio, il frigorifero di casa o i vestiti, ma potrebbe prendere TV, computer non strettamente essenziale, mobili di pregio, opere d’arte. In ogni caso, come detto, questa forma è poco fruttuosa e di rado praticata per piccoli crediti.
- Pignoramento presso terzi: è il più efficace. Consiste nel pignorare crediti che il debitore vanta verso terzi, tipicamente: stipendi/salari, pensioni, conti correnti bancari/postali, crediti commerciali (fatture da incassare), canoni di affitto, ecc. AdER può individuare tali crediti grazie all’accesso alle banche dati: ad esempio può interrogare l’Anagrafe dei rapporti finanziari per sapere in quali banche il debitore ha conti; può consultare archivi dell’INPS per conoscere datore di lavoro o ente pensionistico. Una volta individuato un “terzo” debitore del nostro debitore, l’agente invia un atto di pignoramento presso terzi: nel sistema ordinario civile, questo atto viene notificato sia al debitore che al terzo e contiene l’ingiunzione al terzo di non pagare più il debitore ma di vincolare quelle somme per il creditore procedente. Nel sistema esattoriale, grazie all’art. 72-bis DPR 602/73, AdER può notificare direttamente un ordine di pagamento al terzo (ad esempio alla banca) intimandogli di versare le somme direttamente all’Agente dopo 60 giorni. In pratica, con il pignoramento esattoriale del conto corrente, la banca riceve l’atto e immediatamente blocca i fondi disponibili sul conto del debitore fino a concorrenza del credito; trascorsi 60 giorni, se nel frattempo il debitore non ha fatto opposizione o il giudice non ha sospeso nulla, la banca gira le somme pignorate ad AdER. Questo salta la fase dell’udienza di assegnazione davanti al giudice prevista dal codice civile. Il debitore viene comunque informato perché l’atto gli viene notificato contestualmente. Analogo meccanismo vale per pignoramenti dello stipendio/pensione: l’Agente notifica al datore di lavoro o ente pensionistico un atto che intimora di iniziare a trattenere dal successivo stipendio/pensione la quota pignorata e di versarla periodicamente. Non c’è bisogno di ulteriore intervento del tribunale (a meno che il debitore non faccia opposizione). Ci sono limiti legali a quanto si può pignorare: per stipendi e salari, il Codice di Proc. Civile (art. 545 c.p.c.) fissa massimo un quinto (20%) del netto per ogni singolo credito (e addirittura un decimo se concorre con alimenti). Tuttavia, per gli stipendi e pensioni pignorati da AdER vige una disciplina ancora più favorevole al debitore in certi casi: l’art. 72-ter DPR 602/73 prevede che si pignori 1/10 dello stipendio se l’importo netto mensile non supera €2.500, 1/7 se è tra €2.500 e €5.000, e 1/5 (20%) se supera €5.000. Ad esempio, con stipendio netto €1.800, AdER può prendere al massimo €180 al mese (1/10), mentre un creditore ordinario poteva chiederne €360 (1/5). Ciò è stato introdotto nel 2013 a tutela dei redditi bassi. Per le pensioni, la legge inoltre rende impignorabile una quota pari all’assegno sociale aumentato della metà: nel 2025 tale soglia è intorno a €750 mensili circa (1,5 volte ~€500 di assegno sociale aggiornato); solo la parte eccedente è pignorabile nelle percentuali viste. Per i conti correnti, se su un conto viene accreditato regolarmente lo stipendio/pensione, la legge (art. 545 c.p.c. ult. comma) salvaguarda un importo pari al triplo dell’assegno sociale (circa €1.500) per i depositi antecedenti il pignoramento: significa che se il conto aveva sul saldo solo stipendio da vivere, lascia sul conto quell’importo minimo. In pratica però le banche tendono a bloccare tutto al momento e poi eventualmente sbloccano la parte impignorabile su richiesta.
- Pignoramento immobiliare: è l’azione più invasiva, che consiste nell’espropriazione e vendita forzata di un immobile di proprietà del debitore. AdER la attiva solo per debiti di importo elevato e quando il debitore ha immobili di valore. Per legge, non si può procedere a pignorare immobili se il debito totale con AdER è inferiore a €120.000. Inoltre, vige la tutela della prima casa introdotta dal 2013: “l’agente della riscossione non può procedere ad espropriazione immobiliare se l’immobile del debitore è l’unico di sua proprietà, adibito a uso abitativo e residenza anagrafica, e non di lusso (no cat. A/8, A/9)”. In altre parole, la prima casa (non di lusso) non è pignorabile dal Fisco, a meno che il debitore possegga altri immobili o il debito superi €120.000, nel qual caso quell’immobile diventa pignorabile. Se però è l’unica casa e vi risiede, AdER non può metterla all’asta. La Cassazione, con l’ordinanza n. 32759/2024, ha chiarito che questa regola si applica retroattivamente anche ai procedimenti in corso all’entrata in vigore della norma (21 agosto 2013) a favore del contribuente. Ciò ha comportato l’estinzione di molti pignoramenti su prime case iniziati prima del 2013 e non ancora conclusi, perché ora non più consentiti. Se il debitore ha più immobili o l’immobile non è “prima casa” (es. seconda casa, casa data in affitto, immobile commerciale), allora l’espropriazione è possibile per debiti > €120.000 ed è soggetta alla procedura esecutiva immobiliare classica: AdER notifica un atto di pignoramento al debitore e lo iscrive nei registri immobiliari, poi procede con l’intervento del tribunale (tramite la vendita all’asta dell’immobile, gestita dal giudice dell’esecuzione). AdER deve comunque aver iscritto ipoteca almeno 6 mesi prima sul bene, e solo se il debitore non regolarizza in quel frattempo può iniziare l’esproprio. La presenza del giudice significa che il debitore potrà eventualmente chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione o altre istanze, ma sul merito del debito di norma non può discutere in quella sede (va discusso nel merito davanti al giudice tributario o di altro tipo, vedi capitolo impugnazioni).
Riassumendo le priorità dell’Agente: di solito, se un debitore non paga, AdER tenta prima le vie più rapide e sicure: pignoramento di conti e stipendi (procedura molto efficiente soprattutto con art. 72-bis che evita udienze). Se il debitore non ha liquidità su conti noti né un lavoro/pensione aggredibile, si può passare ai beni mobili registrati (fermo auto, eventuale pignoramento e vendita all’asta dell’automezzo se di valore) e infine ai beni immobili (ipoteca e, se possibile, esproprio). In pratica molti debitori vedono bloccarsi prima il conto corrente o vedono trattenute in busta paga, prima di subire pignoramenti in casa o sull’immobile.
Effetti del pignoramento: una volta notificato il pignoramento, il bene o credito è vincolato. Se è un conto corrente, l’importo fino a copertura del debito viene congelato sul conto; se è uno stipendio, il datore trattiene la quota ogni mese; se è un immobile, il debitore viene informato che non può vendere né affittare l’immobile senza informare l’acquirente e in ogni caso la procedura prosegue verso l’asta. Da questo momento, interrompere la procedura è difficile senza accordo col creditore o provvedimento giudiziale: o si paga il dovuto (anche tramite un saldo e stralcio negoziato, se l’ente accetta) oppure il procedimento proseguirà fino all’esecuzione finale (es. accredito dei soldi pignorati ad AdER, o vendita dell’immobile e distribuzione del ricavato).
Custodia e vendita dei beni: Nel caso di pignoramenti mobiliari, gli oggetti sequestrati vengono affidati in custodia (spesso al debitore stesso, o a un custode professionale se necessario) e poi venduti tramite mercati telematici o case d’asta convenzionate. Per i veicoli pignorati (diverso dal semplice fermo), di solito si delega la vendita a società specializzate o all’IVG (Istituto Vendite Giudiziarie). Per gli immobili, la vendita è curata dal Tribunale: si svolge un’asta pubblica; se va deserta, ne vengono fissate altre con prezzo ribassato. Dal ricavato, tolte spese e oneri, AdER riscuote il suo credito (e se c’erano altri creditori con ipoteche, anch’essi secondo grado). Se resta un surplus, è restituito al debitore. Se invece il ricavato non copre tutto (cosa frequente), il debitore rimane con un debito residuo (in teoria AdER potrebbe cercare altri beni, ma spesso dopo aver venduto casa e preso quel che c’era, il resto è difficilmente recuperabile).
Limiti temporali per iniziare l’esecuzione: non esistono termini di decadenza stringenti per iniziare l’esecuzione, salvo la necessità dell’intimazione se >1 anno (visto sopra). Il vero limite è la prescrizione del credito: se passano oltre 5 anni (per la maggior parte dei crediti) senza alcun atto, il debito si prescrive e non è più legittimo pignorare. Quindi l’agente tende a fare almeno un atto (sollecito, intimazione) entro 5 anni per tenere “vivo” il credito.
Opposizione all’esecuzione: una volta avviato il pignoramento, se il debitore ritiene che l’azione sia illegittima (ad esempio perché il debito è già pagato, o prescritto, o l’atto non è mai stato notificato), può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. davanti al giudice competente. Però, attenzione: se si tratta di crediti tributari, la Cassazione ha di recente stabilito che questioni come la prescrizione o il difetto di notifica dell’atto precedente rientrano comunque nella giurisdizione del giudice tributario, anche se sollevate tardivamente (Sez. Unite n. 2098/2025). Hanno infatti affermato che “restando escluse dalla giurisdizione tributaria solo le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione successivi alla notifica della cartella, se il contribuente sottopone all’esame del giudice la definitività o meno della cartella di pagamento, la relativa controversia non è di mera esecuzione”. In sostanza, se la contestazione involge ancora la pretesa tributaria (es. cartella nulla, prescrizione maturata), la competenza resta al giudice tributario, anche se formalmente si è in fase esecutiva. Il giudice ordinario dell’esecuzione rimane competente solo per questioni tipicamente esecutive (es. vizi formali del pignoramento, modalità della vendita, pignorabilità di un bene alla luce delle esenzioni). Torneremo su questo aspetto nella parte sulle giurisdizioni. Comunque, per gli altri crediti (contributi INPS, multe, ecc.) l’opposizione all’esecuzione è la sede appropriata per far valere estinzione o prescrizione, perché in quei casi non c’è un giudice “tributario” alternativo.
Termini di prescrizione e decadenza dei debiti
Come accennato più volte, i concetti di decadenza e prescrizione sono fondamentali nella riscossione coattiva. È utile fare un riepilogo, anche mediante una tabella riassuntiva, dei principali termini che riguardano la validità della pretesa nel tempo:
- Decadenza: è il termine entro cui l’ente creditore deve compiere un determinato atto (di solito notificare l’atto impositivo o il primo atto della riscossione) pena la perdita del potere di far valere il credito. Ad esempio, l’Agenzia Entrate deve notificare un avviso di accertamento IRPEF entro il quinto anno successivo a quello di imposta, altrimenti è decaduta la possibilità di pretendere quell’imposta. Nella riscossione, un tipico termine di decadenza è quello per la notifica della cartella ex art. 25 DPR 602/73: se l’Agenzia non notifica la cartella entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, il ruolo (e quindi la cartella) è nullo. I termini di decadenza sono specifici per ogni tipo di entrata e vanno verificati nelle singole leggi. Ad esempio: cartelle da controlli automatizzati entro il terzo anno successivo alla dichiarazione; cartelle da accertamento esecutivo entro i termini di art.25 DPR 602; ingiunzioni locali entro 2 anni per sanzioni CDS (caso particolare), ecc. Se un atto è notificato oltre il termine decadenziale, il debitore può farne dichiarare la nullità perché l’azione è decaduta.
- Prescrizione: è il termine oltre il quale il diritto del creditore si estingue se non è stato esercitato. Diversamente dalla decadenza, che riguarda l’inattività dell’ente entro un termine fisso, la prescrizione riguarda il tempo trascorso dall’ultima azione compiuta. Ogni volta che il creditore o chi per esso notifica un atto valido di riscossione (ad es. una cartella, un sollecito, un pignoramento), la prescrizione si interrompe e ricomincia a decorrere da capo. I termini di prescrizione sono fissati dal codice civile o da leggi speciali: quello ordinario è 10 anni, ma per i crediti della PA spesso si applica il termine breve di 5 anni (come visto per tributi e contributi). Per le sanzioni amministrative è 5 anni (ex lege). Per alcuni contributi previdenziali prima del ’95 era 10, poi ridotto a 5. Insomma, la gran parte dei debiti fiscali/previdenziali si prescrive in 5 anni, salvo eccezioni (ad es. somme da sentenza passata in giudicato 10 anni, somme oggetto di transazione omologata 10 anni dall’inadempimento, ecc.). Esempio: se ho ricevuto una cartella il 1° marzo 2018 e da allora non ricevo più nulla, il 1° marzo 2023 (5 anni dopo) il diritto a riscuotere si estingue, salvo che l’agente non mi abbia inviato nel frattempo un sollecito o intimazione interrompendo il termine. L’onere di provare l’interruzione spetta al creditore: tipicamente lo fa esibendo le relate di notifica degli atti inviati. Va detto che nel periodo 2020-2021 la pandemia ha causato sospensioni dei termini di prescrizione per alcuni mesi a favore del fisco (moratorie Covid), allungando di fatto i termini, ma questi dettagli vanno valutati caso per caso.
Presentiamo ora una tabella riepilogativa con i termini di prescrizione più rilevanti per ciascun tipo di debito e i principali termini di decadenza per l’avvio della riscossione:
Tipo di debito | Prescrizione | Termini di decadenza per la riscossione | Riferimenti |
---|---|---|---|
Tributi erariali (IRPEF, IVA, ecc.) | 10 anni (teorico) – Giurisprudenza prevalente: 5 anni se il credito deriva da atto amministrativo non giudiziale. (Esempio: cartella da avviso non impugnato: 5 anni) | Accertamento: 31/12 del 5° anno successivo (ordinario) alla violazione/dichiarazione; Notifica cartella post accertamento: 31/12 del 2° anno successivo a definitivo; Accertamento esecutivo AE: 60 gg + 30 gg dall’emissione (poi affidamento a AdER). | Art. 43 DPR 600/73 (accertamento); Art. 25 DPR 602/73 (cartella); Cass. SS.UU. 23397/2017. |
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.) | 5 anni (in genere, salvo atti giudiziali). | Accertamento: 31/12 del 5° anno successivo (IMU/TARI); Cartella/ingiunzione: varia (es. vecchie cartelle ICI 2 anni dal definitivo); Avviso esecutivo: 60gg + 30gg poi esecuzione. | Art. 1 co.161 L. 296/2006 (decadenza accertamenti locali); L. 160/2019 (accert. esecutivo dal 2020). |
Contributi INPS/INAIL | 5 anni (L.335/95) – anche se da cartella non impugnata. (Eccezione: sentenza giudice lavoro – 10 anni). | Avviso addebito INPS: entro 2 anni dal termine di pagamento (art.25 D.Lgs 46/99); Cartella INPS (per crediti antecedenti 2011): entro 31/12 del 2° anno successivo a quello di notifica dell’avviso di accertamento o scadenza contributo (art. 25 cit.). | L. 335/1995 art. 3 co.9; Cass. SS.UU. 23397/2017; D.Lgs. 46/1999 (ruoli). |
Multe stradali (sanzioni CDS) | 5 anni da quando la sanzione è definitiva (art. 28 L.689/81). | Notifica verbale: 90 gg dall’accertamento (art. 201 CDS); Ordinanza prefettizia: 5 anni dal verbale; Cartella/ingiunzione: 2 anni dall’anno esecutività (art. 36 DL 17/2022 conv. L.34/22) – solo per ruoli dal 2020. | Art. 28 L. 689/81; Art. 201 D.Lgs.285/92 (CDS); Art. 36 DL 17/2022 (decad. 2 anni). |
Altre sanzioni amm.ve (non CDS) | 5 anni (L.689/81). | Ruolo/ingiunzione: di regola nessun termine specifico oltre prescrizione (salvo norme settore). Spesso applicata analogia 5 anni. | L. 689/81 art. 28; giurisprudenza settore. |
Spese di giustizia / pene pecuniarie | 10 anni (titolo giudiziario). | Ruolo spese: nessun termine fisso in norme, ma prassi entro pochi anni. (Prescrizione 10 anni comunque). | Art. 95 DPR 115/2002 (riscoss. spese giust.). |
Nota: la tabella semplifica un panorama complesso. Ad esempio, per le imposte erariali va considerato se c’è stata o meno dichiarazione, se il reato tributario sospende i termini, ecc. La prescrizione di 5 anni per i tributi non è espressa in legge ma deriva da un indirizzo giurisprudenziale che assimila tali crediti a quelli periodici o del pubblico erario soggetti al termine breve. È opportuno, in casi concreti, farsi assistere per calcolare con esattezza i termini applicabili.
In ogni caso, il debitore ben informato può far valere decadenza o prescrizione come armi difensive: ad esempio, se riceve una cartella per IRPEF 2014 notificata nel 2023, potrebbe eccepire la decadenza (fuori termine di notifica); se riceve un pignoramento su cartella IRPEF 2010 di cui non ha mai saputo nulla, potrebbe eccepire la prescrizione 5ennale sopravvenuta. Approfondiremo come far valere tali eccezioni nei ricorsi e opposizioni.
Difendersi dalla riscossione coattiva: strumenti e strategie
Passiamo ora al cuore pratico della guida: cosa può fare un debitore che si trova di fronte a una cartella esattoriale o ad altri atti di riscossione coattiva per tutelarsi e, se possibile, alleggerire o risolvere la propria situazione debitoria. Le possibili azioni difensive si collocano su vari piani: amministrativo (istanze allo stesso ente di riscossione o creditore), giudiziale (ricorsi, opposizioni ai giudici competenti), soluzioni alternative (definizioni agevolate, transazioni, piani del consumatore).
In questa sezione, organizziamo gli strumenti di difesa in sottosezioni tematiche: verifica della legittimità degli atti (errori e vizi da controllare), sospensione e annullamento in autotutela (come congelare temporaneamente la riscossione o far annullare l’atto senza tribunale), rateizzazioni (per diluire il pagamento ed evitare il pignoramento), impugnazioni e opposizioni giudiziali (come e dove fare ricorso contro cartelle o pignoramenti), nullità degli atti (vizi radicali che rendono annullabile la cartella o l’esecuzione), limiti di pignorabilità e opposizioni esecutive (per proteggere beni essenziali), definizioni agevolate e strumenti deflattivi (rottamazione, saldo e stralcio, transazioni) e procedure concorsuali (come il sovraindebitamento) per i casi di insolvenza grave.
Vediamo ciascuno di questi aspetti.
Verifica iniziale: controllare l’atto e la propria posizione debitoria
La primissima cosa da fare quando si riceve un atto di riscossione (cartella, intimazione, fermo, ecc.) è verificarne attentamente il contenuto e la regolarità. Consigli pratici:
- Identificare la natura dell’atto: è una cartella di pagamento? Un avviso di intimazione? Un preavviso di fermo? Un atto di pignoramento? – Capirlo è fondamentale per sapere il da farsi (ci sono differenze nei termini di ricorso e nei passi successivi). Ad esempio, una cartella ha 60 giorni per ricorso; un preavviso di fermo non è di per sé impugnabile se non per contestare la cartella sottostante. L’atto dovrebbe indicare in intestazione di cosa si tratta. In caso di dubbio, contattare l’ente emittente o un esperto.
- Controllare l’ente creditore e l’agente: la cartella elenca gli enti per cui si riscuote. Vedere se magari riguarda un tributo comunale e non statale, o contributi INPS, ecc. Questo incide su dove proporre ricorso (giudice tributario vs giudice ordinario).
- Verificare la notifica: controllare la data di notifica (timbro postale, ricevuta PEC, relata del messo). Se l’atto è arrivato per posta, vedere a chi è stato consegnato e quando. Se c’è stata giacenza postale, annotare le date. Eventuali irregolarità di notifica (consegna a persona non autorizzata, mancanza di secondonotice di giacenza, ecc.) possono costituire motivo di ricorso (notifica nulla o inesistente).
- Esaminare il dettaglio degli addebiti: nella cartella, scorrere le pagine dove sono indicati i carichi. Vedere per ciascuna riga: l’anno e il tipo di imposta/contributo, l’ente creditore, l’importo principale, le sanzioni, gli interessi. Ciò serve a capire a cosa si riferisce il debito. Ad esempio, potreste trovare “IRPEF Anno 2018 da dichiarazione controllata” oppure “Multe Codice Strada Prefettura di…”, “INPS gestione commercianti 2015”, ecc. Se qualcosa non vi torna (ad es. un anno per cui avevate pagato, o un tributo che non dovete), annotate.
- Verificare termini e prescrizioni: con le informazioni raccolte, chiedetevi: quel tributo/credito è ancora esigibile o potrebbe essere prescritto? Ad esempio, una cartella notificata oggi per IRPEF 2012 appare oltre i termini (prescrizione o decadenza, come visto). Oppure: un fermo auto per una cartella del 2010 notificata nel 2010 stesso ma poi rimasta lì, magari è intervenuta prescrizione se per 5 anni nulla fu notificato. Segnate se notate tempi sospetti.
- Controllare eventuali doppi pagamenti o sgravii: se avete pagato in passato quella somma o ottenuto un provvedimento di annullamento, e ora rispunta, siamo davanti a un errore. In tal caso è possibile presentare istanza di sgravio in autotutela allegando la prova del pagamento o dell’annullamento precedente.
- Consultare l’estratto conto fiscale: AdER mette a disposizione, anche online tramite area riservata, l’estratto dei propri debiti a ruolo. Ci si può registrare sul sito AdER o recarsi agli sportelli e chiedere lo “Estratto di Ruolo” o “situazione debitoria”. Questo documento elenca tutte le cartelle a nome vostro, con stato (pagata/non pagata, importo residuo, atti successivi). È utile per non navigare al buio: potreste scoprire di avere altre cartelle mai notificate (ma presenti a ruolo) oppure vedere che l’atto arrivato è già presente in elenco con dettagli. Fare attenzione: come vedremo, l’estratto di ruolo non è di per sé impugnabile (non è un atto contestabile), ma se emergono cartelle che voi ignoravate, potete usarlo per eventualmente contestare la mancata notifica di quelle cartelle presentando ricorso in tribunale (ora ammesso in casi specifici di “pregiudizio”, vedi oltre).
Questa verifica iniziale è cruciale. Spesso consente di individuare errori o appigli difensivi. Ad esempio, potreste rendervi conto che la cartella è basata su un avviso di accertamento che voi avete impugnato e vinto in Commissione – quindi quella cartella è illegittima perché la pretesa è stata annullata. In tal caso, basterà segnalare la cosa all’Agente allegando la sentenza per ottenere lo sgravio (annullamento) del ruolo. Oppure potreste accorgervi che la cartella è stata notificata a un vecchio indirizzo nonostante aveste aggiornato la residenza: questa è una notifica nulla o quantomeno contestabile per esercitare un ricorso tardivo.
Vediamo ora i principali strumenti di tutela, partendo da quelli amministrativi (autotutela e sospensione).
Sospensione e annullamento in via amministrativa (autotutela)
Non sempre è necessario ricorrere immediatamente al giudice per difendersi: l’ordinamento prevede procedure di autotutela che consentono di correggere o sospendere la riscossione di atti palesemente errati o che, per varie ragioni, non dovrebbero essere eseguiti. Ci sono due istituti fondamentali: la sospensione amministrativa/legale della riscossione e l’annullamento/sgravio in autotutela del debito. Vediamoli separatamente, anche se spesso le richieste vanno di pari passo.
1. Istanza di sospensione legale della riscossione (art. 1 L.228/2012): Dal 2013 è in vigore una procedura che consente al debitore di chiedere direttamente all’Agente della Riscossione la sospensione di un carico a ruolo quando ritiene che vi siano cause che ne impediscono la legittima riscossione. In particolare, la legge (Stabilità 2013) ha previsto che se il contribuente ritiene non dovuto l’importo richiesto, può presentare entro 60 giorni dalla notifica dell’atto una dichiarazione all’Agente della Riscossione indicando le ragioni e allegando la documentazione comprovante tali ragioni. Le possibili cause tassative di sospensione (indicate dalla norma) sono:
- Prescrizione o decadenza del credito intervenuta prima della formazione del ruolo (es: l’ente ha iscritto a ruolo un credito già prescritto).
- Sgravio o annullamento da parte dell’ente creditore: ad es. l’ente ha emesso provvedimento di annullamento del debito, oppure avete una comunicazione che il tributo è stato sgravato, ma il ruolo risulta ancora attivo.
- Sospensione giudiziale: se c’è una sentenza o un provvedimento del giudice che sospende la riscossione di quel debito. Ad esempio, avete fatto ricorso in Commissione Tributaria e questa ha sospeso l’esecuzione dell’atto impugnato.
- Sentenza favorevole al contribuente, passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte la pretesa. Ad esempio avete vinto la causa tributaria e l’ente non ha appellato: il debito non è più dovuto.
- Pagamento effettuato prima del ruolo: se avete già pagato il dovuto prima che venisse formato il ruolo e potete provarlo (quietanza con data antecedente).
In tutti questi casi, presentando l’istanza di sospensione con copia dei documenti (ricevute, sentenze, provvedimenti), AdER è tenuta a sospendere immediatamente ogni attività esecutiva o cautelare su quelle somme. L’Agente poi trasmette l’istanza all’ente creditore per le verifiche del caso. L’ente ha max 220 giorni per rispondere direttamente al contribuente e a AdER, comunicando se conferma la richiesta (annullando in tutto o parte il debito) o la rigetta. Se l’ente non risponde affatto entro 220 giorni, scatta un meccanismo importante: le somme sono annullate di diritto e il ruolo viene discaricato. In altre parole, il silenzio-assenso oltre 220 giorni comporta lo sgravio automatico del debito. Questo vincola fortemente l’ente creditore a dare un esito in tempi certi, pena la perdita del credito.
Nel frattempo (dalla presentazione dell’istanza fino all’esito), la riscossione è sospesa: non possono proseguire pignoramenti, fermi, ecc. È quella che si definisce “sospensione legale”. Se l’ente risponde respingendo l’istanza, AdER riprenderà le azioni e il contribuente potrà a quel punto valutare ricorso al giudice. Se invece l’ente accoglie, il debito viene annullato (sgravato) e AdER archivia definitivamente. Questa procedura è preziosa perché evita al contribuente di dover correre subito in giudizio e responsabilizza gli enti e l’esattore.
Esempio pratico: Mario riceve una cartella per IRAP 2018, ma lui ha una sentenza del 2022 che ha annullato l’accertamento IRAP 2018. Anziché fare ricorso in Commissione contro la cartella, Mario invia a AdER – entro 60 gg dalla notifica – un’istanza in cui indica la sentenza favorevole definitiva e chiede la sospensione/annullamento. AdER sospende il carico e manda il tutto all’Agenzia Entrate. Questa verifica, vede che effettivamente Mario ha ragione (sentenza allegata) e quindi dispone lo sgravio integrale del ruolo IRAP. Mario riceve dall’ente magari una lettera di “presa d’atto annullamento”, e AdER non procederà oltre su quella cartella.
L’istanza di sospensione si presenta con apposito modello (detto “Modello SL1” disponibile sul sito AdER), inviabile via PEC o tramite area riservata online. Anche molti concessionari locali hanno moduli analoghi. È fondamentale allegare documenti prova e un documento d’identità. Se ci sono più cartelle, si elencano tutte nell’istanza. La presentazione entro 60 giorni è a pena di decadenza: se fatta dopo, AdER potrebbe non accettare la sospensione legale (resta la via dell’autotutela semplice o del ricorso giudiziale). Però, a rigore, la legge parla di 60 gg dalla notifica “del primo atto di riscossione”: se uno scopre un debito da un preavviso di fermo (primo atto che vede) potrebbe far partire da lì i 60 gg.
2. Istanza di annullamento in autotutela (sgravio): questo è un concetto più generale. Significa chiedere all’ente creditore (non all’Agente della riscossione) di annullare o correggere l’atto perché errato o perché il debito non è dovuto. Mentre la sospensione di cui sopra si chiede all’esattore, l’annullamento in autotutela si chiede all’ente titolare del credito (Comune, Agenzia Entrate, INPS, Prefettura, ecc.). Ad esempio, se una cartella dell’Agenzia Entrate deriva da un errore palese (doppia imposizione, oppure pagamento non registrato), si può scrivere all’Agenzia Entrate – Ufficio territoriale, evidenziare l’errore e chiedere l’annullamento o lo “sgravio” del ruolo. Gli enti hanno facoltà di correggere i propri errori in ogni momento (autotutela amministrativa), anche se l’atto è divenuto definitivo per mancato ricorso (non è obbligo, ma facoltà). In pratica, molti enti accolgono istanze di autotutela quando l’errore è oggettivo e documentato: in quei casi emettono un provvedimento di sgravio che comunicano a AdER, la quale cancella il debito dal ruolo. Se l’ente invece non ritiene di annullare, il contribuente dovrà valutare di procedere legalmente.
Autotutela e sospensione spesso vanno insieme: presentando l’istanza di sospensione legale a AdER, come visto, l’ente viene coinvolto. Ma nulla vieta di agire anche in autonomia: ad es., per un tributo comunale erroneo, scrivere subito all’ufficio tributi chiedendo annullamento; contestualmente segnalare a AdER di sospendere.
Limiti dell’autotutela: L’ente non è obbligato ad accogliere l’istanza di annullamento. Inoltre, l’istanza di autotutela non sospende i termini per ricorrere in giudizio. Dunque, se non si è attivata la sospensione legale su AdER e siamo vicini alla scadenza dei 60 gg per ricorso, conviene comunque presentare ricorso per sicurezza, altrimenti si rischia di far passare il termine confidando in un autotutela che magari non arriva. La sospensione ex L.228/2012, invece, congela la riscossione ma non sospende i termini di ricorso: tuttavia, la Cassazione ha detto che se il contribuente aspetta l’esito dell’autotutela e poi ricorre, può essere rimesso in termini se prova di aver confidato legittimamente (tema complesso).
Conclusione su sospensione/autotutela: Sono strumenti da usare appena si riscontra un errore palese o una causa di non debenza. Il loro vantaggio è la semplicità e il basso costo (istanze, senza cause) e a volte la velocità di soluzione. Il loro limite è che non sempre l’ente ammette gli errori; in quei casi, non risolvendo bonariamente, occorrerà la via giudiziaria.
Impugnazioni e opposizioni: come ricorrere contro gli atti
Se un atto della riscossione è ritenuto illegittimo o infondato e l’autotutela non ha risolto, occorre passare alle impugnazioni giudiziarie. A seconda del tipo di atto e della natura del debito, cambiano l’autorità giudiziaria competente e i termini e modalità di ricorso. Questa è una materia delicata perché negli anni c’è stata molta evoluzione giurisprudenziale, specie riguardo al riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario. Cercheremo di riassumere le situazioni più comuni dal punto di vista del debitore.
Innanzitutto, quali atti si possono impugnare? L’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 (processo tributario) elenca gli atti impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie (ora “Corti di Giustizia Tributaria”): tra essi figurano la cartella di pagamento e l’avviso di intimazione, nonché il fermo e l’ipoteca iscritti dall’agente su crediti tributari, e in generale “ogni altro atto della riscossione” che pregiudica il contribuente. Nel campo ordinario, il codice di procedura civile prevede l’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) e l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) per contestare rispettivamente il diritto di procedere ad esecuzione (ad es. per prescrizione o pagamento già avvenuto) o i vizi formali degli atti esecutivi (es. notifica viziata di un pignoramento). Tali opposizioni vanno proposte al giudice dell’esecuzione competente (tipicamente il Tribunale del luogo dell’esecuzione, o il Giudice di Pace per piccole cause relative a sanzioni).
A) Ricorso al Giudice Tributario:
Va presentato quando si contestano cartelle o altri atti riferiti a tributi (erariali o locali) o sanzioni tributarie. È un ricorso che si propone alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Non è necessario aver fatto un’istanza in autotutela prima (è facoltativa). Nel ricorso si devono indicare i motivi per cui l’atto è illegittimo (es: notifica nulla, importo non dovuto, vizio di motivazione, decadenza, ecc.). Il giudice tributario può sospendere l’atto su istanza motivata, se c’è pericolo di danno grave e irreparabile (art. 47 D.Lgs.546/92). Il processo tributario di regola è documentale (si decide con scambio di memorie e eventuale udienza pubblica).
Atti impugnabili davanti al giudice tributario:
- Cartella di pagamento per tributi o sanzioni tributarie: impugnabile in 60 gg, di solito per vizi propri (mancata notifica atto precedente, prescrizione, ecc.) o anche per contestare il merito se la cartella è il primo atto con cui si viene a conoscenza del tributo (ad esempio ruoli derivanti da controllo automatizzato). Invece, non si può contestare nel merito un tributo se c’era un avviso precedente non impugnato: in quel caso la cartella è impugnabile solo per questioni come la mancata notifica del precedente o la decadenza/prescrizione, non per rimettere in discussione l’accertamento ormai definitivo. Attenzione però: secondo Cassazione, la cartella non validamente notificata può essere impugnata appena se ne abbia conoscenza (anche oltre 60 gg) se c’è un pregiudizio concreto, come partecipazione a gara o perdita di beneficio. La riforma 2024 ha ampliato i casi in cui è ammessa tale impugnazione tardiva di cartelle mai notificate (come visto sopra: appalti, crediti verso PA, perdita benefici, e aggiunto crisi d’impresa, finanziamenti, cessione azienda). In questi casi eccezionali il contribuente può ricorrere contro la cartella “sconosciuta” senza limiti di tempo, purché provi il pregiudizio.
- Avviso di intimazione (intimazione a pagare entro 5 gg ex art.50 DPR 602): è impugnabile secondo giurisprudenza tributaria se si fanno valere motivi sul ruolo/cartella sottostante (es. la cartella era nulla o prescritta). Altrimenti sarebbe atto meramente sollecitatorio non autonomamente contestabile. Cassazione ha detto che se uno contesta che la cartella sottostante non è mai stata notificata, può impugnare l’intimazione per far dichiarare che nulla è dovuto.
- Fermo amministrativo (iscrizione di fermo su auto per tributi): impugnabile al giudice tributario entro 60 gg dalla comunicazione di avvenuto fermo o dal preavviso di fermo. Motivi tipici: mancata previa notifica di cartella o intimazione, importo sotto soglia, difetto di proporzionalità. Anche l’ipoteca esattoriale è impugnabile in Commissione (motivi: soglia non superata, preavviso mancato, importo già pagato, ecc.).
- Rifiuto di sospensione/annullamento: se l’Agente rifiuta una sospensione o l’ente rigetta autotutela su tributi, quel diniego stesso è atto impugnabile entro 60 gg davanti al giudice tributario, perché di fatto conferma la pretesa.
La giurisdizione tributaria comprende ormai “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie… comprese le relative sanzioni ed accessori”, eccetto solo quelle sugli atti dell’esecuzione forzata dopo la notifica della cartella (o intimazione). Dunque, se siamo ancora nella fase di accertamento o formazione del ruolo, o anche di atti antecedenti il pignoramento, in materia tributaria ci si rivolge al giudice tributario. Perfino se la questione è la prescrizione maturata dopo la cartella, come detto, le Sezioni Unite 2025 hanno attribuito al giudice tributario la competenza. Questo implica che il contribuente deve stare attento a non imboccare il giudice sbagliato: se, ad esempio, pensa di fare opposizione al tribunale civile per una cartella IRPEF sostenendo la prescrizione post-cartella, rischia un rigetto per difetto di giurisdizione a favore del giudice tributario. Quindi in caso di dubbi, conviene usare il ricorso tributario (o eventualmente entrambi percorsi in parallelo laddove c’è incertezza, ma è raro necessario).
Procedura e tempi: il ricorso tributario va notificato all’ente creditore o all’Agente della riscossione (a seconda del vizio) entro 60 gg, poi depositato in segreteria entro 30 gg. Ci sarà uno scambio di memorie con l’ente (che si costituisce con controdeduzioni) e poi l’udienza. La decisione di primo grado arriva in genere in 6-18 mesi. È appellabile alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado (ex CTR). In materia di riscossione, spesso i giudici tributari annullano gli atti per vizi formali (notifiche, decadenze) o per prescrizione, e in tal caso il debito viene sgravato. In altri casi confermano la legittimità e allora il contribuente dovrà pagare (magari con rate se possibile).
B) Opposizioni al Giudice Ordinario (civile):
Riguardano i crediti non tributari: quindi principalmente contributi previdenziali, sanzioni amministrative, spese di giustizia. E inoltre gli atti dell’esecuzione in senso stretto (es. pignoramenti) qualunque sia la natura del credito, se si lamentano vizi formali del procedimento esecutivo. Elenchiamo i principali casi:
- Opposizione a cartella per contributi INPS/INAIL: va proposta entro 40 giorni dalla notifica al Tribunale ordinario (sezione lavoro) competente per territorio. Si tratta di un’opposizione ex art. 24 D.Lgs.46/1999, qualificata come ricorso in funzione di opposizione a entrata previdenziale. Avviene col rito lavoro (più rapido, udienza a breve, ecc.). Motivi tipici: prescrizione del contributo, inesistenza dell’obbligo contributivo, errore di persona, eccezioni di merito se la cartella è il primo atto (ad es. cartella da omissione contributiva senza che sia stato notificato precedentemente un avviso di accertamento: si può contestare il merito entro 40 gg).
- Opposizione a cartella per sanzioni amministrative (multe): qui la legge è ambigua. In teoria, il verbale/ordinanza doveva essere impugnato entro 30/60 gg. Se siamo alla cartella e quel termine è perso, la Cassazione ha ritenuto che la cartella per multa può essere impugnata entro 30 gg al Giudice di Pace solo per vizi suoi propri o per eccepire difetti di notifica del verbale originario (opposizione tardiva L.689/81). Altri orientamenti dicono invece che la cartella su multa (che è titolo esecutivo) se viziata va impugnata col rito dell’opposizione agli atti esecutivi in 20 gg ex art. 617 c.p.c. al GdP. La prassi prevalente vede i GdP accettare ricorsi entro 30 gg sulle cartelle di multe se si lamenta ad esempio la notifica mai avvenuta del verbale. Meglio in questi casi consultare un legale specialista perché c’è rischio di inammissibilità se scelta procedura errata. In ogni caso, giudice è il Giudice di Pace (perché valore e materia).
- Opposizione ad altri atti di pignoramento (es. preavviso di pignoramento presso terzi, atto pignoramento stesso): per contributi o multe, se il pignoramento è già iniziato (conto bloccato, stipendio decurtato) e si vuole far valere che il credito è estinto o inesistente o prescritta, si propone opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. innanzi al Tribunale civile competente. Non vi è un termine fisso se l’esecuzione non è ancora avviata in forma giudiziaria (opposizione preventiva); se invece è già pendente davanti a un giudice (es. per un immobile o altre cause), va fatta prima della distribuzione del ricavato. Ad esempio, se AdER pignora un conto e io sostengo che il debito era prescritto, dovrei fare ricorso in Tribunale con 615 cpc. Ma – avvertenza – se fosse un credito tributario, come detto, il Tribunale civile dichiarerà difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario. Quindi l’opposizione 615 per questioni di merito è adatta solo per contributi o sanzioni amministrative, non per tributi.
- Opposizione per vizi formali del pignoramento (art.617 c.p.c.): va fatta entro 20 giorni dalla notifica dell’atto esecutivo viziato, davanti al giudice dell’esecuzione (Tribunale se esecuzione mobiliare >€5000 o immobiliare; GdP se mobiliare <€5000). Esempio: pignoramento di un bene impignorabile, mancato rispetto delle forme, vizi nella notifica del pignoramento stesso. Se il credito è tributario, tecnicamente questo è l’unico spazio rimasto al giudice ordinario: gli atti dell’esecuzione successivi alla cartella. E infatti l’art. 2 del processo tributario esclude espressamente “le controversie su atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella o dell’intimazione”. Dunque, se contesto ad esempio che l’asta immobiliare non ha seguito le forme di legge, farò opposizione al giudice dell’esecuzione. Ma se contesto la legittimità della cartella o del titolo a monte, come abbiamo visto, spetta al giudice tributario (anche in fase tardiva).
Sintesi pratica sulle giurisdizioni:
- Per debiti tributari: ricorso a giudice tributario per ogni vizio sostanziale (compresi prescrizione, notifica nulla cartella, ecc.), e al giudice civile solo per vizi della fase esecutiva strettamente detta (es. modalità vendita).
- Per debiti contributivi INPS: ricorso a giudice del lavoro per contestare merito/prescrizione (entro 40 gg da cartella/avviso). Se pignoramento in corso, il giudice dell’esecuzione ordinario può decidere su aspetti esecutivi e anche sulla prescrizione se non già giudicata altrove (per contributi c’è solo lui).
- Per multe e altre sanzioni amm.ve: Giudice di Pace (o tribunale se importi alti) con termini variabili a seconda dell’atto (30 gg da cartella per vizi notifica originaria, 20 gg per vizi del pignoramento, ecc.).
- Per spese di giustizia: Tribunale civile (o GdP) in opposizione ex art.615 per far valere prescrizione o errori, entro 30 gg se l’atto è cartella equiparata a ingiunzione (Cass. SU 2020 ha riconosciuto quell’opposizione, e definisce giudice ordinario competente).
C) Sospensione giudiziale:
In parallelo alle opposizioni, va ricordato che si può chiedere al giudice adito la sospensione dell’esecuzione. Nel processo tributario, come detto, c’è l’istanza di sospensione cautelare (decisa spesso in 1-3 mesi) che se accolta ferma la riscossione fino alla sentenza. Nel processo civile ordinario, se si fa opposizione all’esecuzione 615 cpc, si può chiedere la sospensione immediata ex art.624 c.p.c., che il giudice dell’esecuzione può concedere se ricorrono gravi motivi (evita che si venda il bene in attesa del giudizio di merito). Nel processo di opposizione a sanzione (GdP) c’è analoga possibilità ex art. 5 L. 689/81. Quindi è importante, se c’è pericolo imminente (pignoramento su conto, asta fissata), accompagnare il ricorso con la richiesta di sospensiva.
D) Esiti possibili:
Se il ricorso/opposizione va a buon fine, il giudice dichiarerà ad esempio nulla la cartella o inefficace il pignoramento: l’atto verrà annullato e il debitore non dovrà pagare (o se aveva pagato in corso di causa potrà chiedere rimborso). Se invece il ricorso è respinto, l’atto rimane valido e la riscossione procederà; a volte la sentenza aggiunge spese a carico del ricorrente, specie in giudizio tributario in caso di soccombenza (anche se dal 2023 la riforma prevede compensazione spese in primo grado per buona fede).
Va evidenziato che impugnare subito, quando ci sono motivi seri, è fondamentale: ad esempio, se ritenete prescritta una cartella e non ricorrete, AdER continuerà a poter agire. Spesso si vedono persone che confidano “non mi hanno più notificato nulla, sarà andata in prescrizione” ma non formalizzano la cosa in nessun giudizio, e magari anni dopo si ritrovano un pignoramento e devono affrettarsi a eccepire la prescrizione tardivamente. Meglio prevenire impugnando l’atto appena appare il motivo.
Vizi di nullità degli atti della riscossione
La materia dei vizi (errori formali o sostanziali) che possono affliggere cartelle e atti esecutivi è molto vasta. Qui riepiloghiamo i principali vizi che, se presenti, possono rendere annullabile (dal giudice) o addirittura nullo di diritto un atto della riscossione. Conoscere questi vizi aiuta il debitore a individuare possibili punti deboli nell’azione dell’Agente.
- Notifica inesistente o nulla: se la cartella o l’atto non è stato mai notificato in modo idoneo al destinatario (es. inviato ad indirizzo sbagliato, o consegnato a persona non abilitata e senza successiva regolarizzazione), l’atto non ha efficacia. La notifica inesistente (caso estremo) non è sanabile neppure col tempo; la notifica nulla (ad es. vizio di procedura) può essere sanata se il destinatario ha comunque avuto conoscenza dell’atto e non lo impugna tempestivamente. Ad esempio, cartella consegnata al portiere senza invio della raccomandata informativa al destinatario: la Cassazione l’ha ritenuta nulla, dunque se il contribuente lo eccepisce per tempo, la cartella è da annullare (vizio insanabile in giudizio). Oppure notifica via PEC con file privo di firma digitale o diverso dal formato legale: può essere viziata. Il confine tra inesistenza e nullità è tecnico e deciso caso per caso. Comunque, la mancata notifica di un atto presupposto consente di impugnare l’atto successivo per contestarne la legittimità: es. impugnare una cartella eccependo di non aver mai ricevuto l’avviso di accertamento precedente. In tali casi, se il giudice accerta che manca prova di notifica dell’atto presupposto, annulla la cartella perché il ruolo non poteva essere formato senza quel passaggio.
- Violazione dei termini di legge (decadenza/prescrizione): come detto, se l’agente ha notificato la cartella oltre il termine decadenziale, la cartella è nulla. Così pure se il credito era già prescritto alla data di formazione del ruolo, la pretesa è illegittima. Il giudice annulla la cartella/atto se riscontra tali violazioni temporali sollevate dal ricorrente.
- Carenza di motivazione o di elementi essenziali: una cartella deve indicare sufficientemente cosa si richiede e perché. Se arrivasse una cartella incomprensibile (es. importo senza indicazione dell’ente o del tributo, o senza riferimento all’anno d’imposta, ecc.), sarebbe nulla per difetto di motivazione. La legge (art. 7 L.212/2000, Statuto Contribuente) prescrive che la cartella contenga la motivazione o rinvii a quella dell’atto precedente. Ad esempio, cartella per “IRPEF 2017 €5.000” è legittima se c’è stato un avviso di accertamento e la cartella ne richiama gli estremi; se invece fosse un’iscrizione a ruolo d’ufficio, dovrebbe spiegare il calcolo. Il contribuente può contestare l’atto se non è messo in grado di capire l’origine del debito. Anche l’omessa indicazione del responsabile del procedimento in cartella è stata dibattuta: la Cassazione inizialmente annullava cartelle senza nome del responsabile (richiesto dallo Statuto), poi a fasi alterne; attualmente la cartella digitale può riportare solo l’indicazione codificata dell’ufficio responsabile, e la Cassazione ha ridimensionato quel vizio.
- Errore di persona o di soggetto obbligato: a volte arrivano cartelle a persone decedute (magari intestate al “Sig. X fu Y” morto da anni e notificate agli eredi in modo errato). Oppure cartelle intestate a omonimi. Se si prova che il soggetto debitore non è quello giusto, l’atto è nullo. Anche cartelle a società estinte (cancellate) sono inefficaci (il Fisco però prova a notificarle ai soci).
- Importo errato o doppia imposizione: se c’è un errore materiale grossolano (es. importo richiesto maggiore di quello risultante dall’atto presupposto, o duplicazione di ruoli per lo stesso tributo), si può far valere. Questo spesso si risolve in autotutela più che in giudizio, ma in giudizio è motivo di annullamento parziale (il giudice riduce all’importo corretto).
- Ruolo privo di notifica dell’atto presupposto: questo è tipico: se la cartella deriva da un avviso di accertamento mai notificato, è nulla perché il contribuente non è stato messo in condizione di difendersi su quell’accertamento. Cassazione lo conferma costantemente (deve essere provata la notifica del prodromico).
- Cartella emanata nonostante sgravio o sentenza favorevole: se l’ente aveva annullato in autotutela o se c’è sentenza passata in giudicato favorevole al contribuente, qualsiasi cartella contraria è nulla perché la pretesa è già venuta meno.
- Omessa intimazione ex art.50 DPR 602/73 se >1 anno: se l’agente procede a pignoramento senza aver inviato l’intimazione 5 giorni nonostante fosse trascorso oltre un anno dalla cartella, l’atto di pignoramento è nullo. Questo è un vizio del procedimento esecutivo: il debitore deve sollevarlo nel contesto giusto (giudice trib se tributo, ordinario se contributo). Cass. SS.UU. n. 25790/2009 fece scuola su ciò, annullando pignoramenti senza intimazione.
- Mancato preavviso di fermo/ipoteca: la norma e la giurisprudenza richiedono il preavviso. AdER oggi lo invia sempre. Se non fosse inviato, il fermo o ipoteca potrebbe essere considerato nullo (anche se alcune Commissioni dicevano annullabile ma con onere di provare il pregiudizio).
- Violazione dei limiti di pignorabilità o delle procedure: es. AdER pignora stipendio eccedendo i limiti (magari prende 1/5 su pensione minima, vietato): quell’atto è impugnabile e si ottiene la riduzione alle quote di legge. Oppure ferma un’auto per 500 euro (sotto soglia): illegittimo. Oppure pignora la prima casa in violazione del divieto: da far dichiarare improcedibile.
Molti di questi vizi si fanno valere davanti al giudice: alcuni portano a nullità assoluta rilevabile d’ufficio (es. atti contro decuius senza legittimo contraddittore, crediti prescritti, ecc.), altri se eccepiti dalla parte. Sta al difensore individuarli e argomentarli.
Da tener presente che la sanatoria di eventuali vizi può avvenire se il contribuente non li eccepisce nei termini o se paga: infatti il pagamento di quanto dovuto, se volontario e consapevole, in teoria elimina la possibilità di contestare l’atto poi (sarebbe acquiescenza).
Limiti e tutele nel pignoramento: impignorabilità e opposizioni
Ci sono casi in cui, pur essendo legittimo il credito e l’atto, il debitore può opporre determinati limiti legali per proteggere beni essenziali. Abbiamo già menzionato alcuni limiti normativi:
- Impignorabilità della prima casa: il contribuente può opporre in giudizio l’art. 76 DPR 602/73 per bloccare un’esecuzione sulla sua abitazione principale se è l’unico immobile e il debito < €120.000. AdER in realtà non procede neppure se riconosce i requisiti, ma se per caso avesse iniziato (magari perché non era unica casa all’inizio, poi venduti altri immobili), il contribuente solleva l’eccezione e l’esecuzione dev’essere dichiarata improcedibile. La Cassazione 32759/2024 ha anche stabilito la retroattività favorevole, quindi copre situazioni pregresse.
- Limiti su stipendio e pensione: se AdER (o altro agente) ha pignorato più del dovuto, il debitore può fare opposizione per ridurre la quota al massimo consentito (1/10, 1/7 o 1/5 a seconda del netto, e salvaguardia pensione minima). I giudici di solito correggono questi eccessi.
- Beni assolutamente impignorabili: se l’ufficiale di riscossione ha pignorato un bene per legge non pignorabile (es. strumenti di fede, anello nuziale, oggetti per disabili, ecc.), l’opposizione agli atti esecutivi porterà alla liberazione di tali beni (art. 514-515 c.p.c.). Questi casi sono rari nella riscossione fiscale perché di rado portano via beni fisici.
- Fondo patrimoniale: questione delicata. Il fondo patrimoniale su beni di famiglia di per sé non rende immuni da debiti tributari, salvo che il debito non fosse contratto per bisogni della famiglia. La Cassazione ha oscillato, ma oggi tende a escludere l’esecuzione su beni in fondo se i debiti non erano connessi a necessità familiari (es. cartelle per redditi di impresa di attività estranea ai bisogni familiari): in quel caso, su opposizione ex art.615 cpc si potrebbe evitare il pignoramento della casa in fondo patrimoniale. L’onere di provare destinazione e scopo ricade su chi oppone.
- Sospensione per situazione di sovraindebitamento: se la persona ha avviato una procedura da sovraindebitamento (piano del consumatore, liquidazione del patrimonio), la legge 3/2012 (oggi Codice Crisi) prevede la possibilità di sospendere le azioni esecutive individuali. Quindi, informare AdER di essere in procedura concorsuale può fermare i pignoramenti perché poi i crediti confluiscono nel piano generale.
- Rateizzazione in corso: come ricordato, ottenere la dilazione blocca nuovi pignoramenti e sospende quelli avviati (salvo forse se già fatti, ma in genere AdER al primo pagamento sospende e non insiste su quell’azione, a meno che sia già conclusa). Anche la rottamazione definizione agevolata in corso sospende esecuzioni e impedisce nuove (la norma lo prevede: finché paghi le rate, non eseguono, e se in atto esecuzioni vengono sospese e poi estinte a fine pagamento).
In pratica, se vi trovate di fronte a un pignoramento: controllate se l’agente ha rispettato i limiti e se avete strumenti per bloccarlo. Uno strumento “moratorio” generale non esiste (tipo “non ho soldi” purtroppo non evita il pignoramento se il bene è pignorabile), ma alcuni congiunture sì. Ad esempio, molti debitori, alla notifica di pignoramento del conto, corrono a rateizzare il giorno stesso: a volte AdER, appena accordata la rateazione, invia alla banca un ordine di sblocco dei fondi pignorati (preferendo incassare a rate anziché tenere soldi bloccati in attesa esito causa di opposizione). Questo è un aspetto non codificato ma di prassi: se siete veloci e collaborativi, l’Agente può sospendere l’azione in autotutela proprio perché entrati in rateazione.
Definizioni agevolate, rottamazioni, saldo e stralcio
Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto più volte delle misure agevolative per aiutare i contribuenti con debiti iscritti a ruolo. Queste misure permettono di chiudere il debito con lo Stato a condizioni di favore, di solito abbuonando interessi e sanzioni e permettendo il pagamento del solo capitale (talora neanche tutto) in forma rateale. Dal 2016 in poi abbiamo avuto ben quattro edizioni di rottamazione delle cartelle e una misura di saldo e stralcio per soggetti in difficoltà, oltre a vari stralci automatici di micro-debiti. È utile conoscerle perché rappresentano un’importante opportunità di difesa (in senso lato), nel senso di risolvere il problema debitorio in maniera meno onerosa.
Rottamazione delle cartelle (“Definizione agevolata”): consiste nella possibilità di pagare i carichi iscritti a ruolo senza le sanzioni e gli interessi di mora. L’idea introdotta col DL 193/2016 (rottamazione 1) era: “paga l’imposta e gli interessi legali, ti abbuoniamo sanzioni e interessi di ritardata iscrizione a ruolo”. Equitalia ha riscosso così molti crediti che altrimenti erano incagliati. Da allora, le varie rottamazioni (2017, 2018, 2023) hanno avuto regole simili: riguardano i ruoli di determinati anni; richiedono istanza del debitore entro una certa data; consentono pagamento in una soluzione o a rate (in alcune edizioni fino a 18 rate in 5 anni, come la Rottamazione-quater del 2023). I vantaggi: nessuna sanzione e nessun interesse di mora. Nel 2023, per esempio, la rottamazione-quater (L. 197/2022) permetteva di pagare i ruoli 2000-30/6/2022 senza sanzioni né interessi di mora, con sole spese di notifica e pochi diritti esattoriali residui. Migliaia di contribuenti hanno aderito. Se si aderisce, le procedure esecutive sono sospese e non ne iniziano di nuove, inoltre si può ottenere il DURC regolare (documento contributivo) anche se i debiti contributivi sono in rottamazione e non ancora pagati. Questo perché la legge prevede la non attivazione di nuove azioni coattive a fronte di adesione valida.
Importante: la rottamazione produce effetti solo se poi si pagano effettivamente le rate. Se non si paga una rata (o la si paga in ritardo oltre i 5 giorni di tolleranza), si decade dai benefici: il debito torna con sanzioni e interessi originari dedotti gli acconti già versati. Quindi bisogna ponderare bene l’adesione se non si è certi di riuscire a sostenere i pagamenti successivi.
Al giugno 2025, è in corso la “rottamazione-quater” introdotta dalla legge di bilancio 2023: i termini di adesione erano scaduti il 30 giugno 2023, ma il Decreto Milleproroghe 2023 ha dato una seconda chance a chi era decaduto dalle precedenti definizioni agevolate (rottamazione-ter etc.) permettendo di rientrare nella quater presentando domanda entro aprile 2025 e pagando entro luglio 2025 le rate di ingresso. Questa è una misura particolare di riapertura per i “decaduti”. Per chi ha aderito regolarmente nel 2023, le rate vanno avanti fino al 2027.
Saldo e Stralcio (L. 145/2018): è stata una misura una tantum rivolta alle persone fisiche in comprovata difficoltà economica (ISEE familiare sotto €20.000) per debiti derivanti da omessi versamenti di imposte dichiarate e contributi dovuti da lavoratori autonomi. In pratica, chi rientrava poteva chiudere il debito pagando solo una percentuale del dovuto (16%, 20% o 35% a seconda dell’ISEE), con stralcio del resto. Era molto vantaggiosa ma limitata a chi proprio non poteva pagare (situazioni disagiate, no imprese). Quella misura fu applicata nel 2019-2020. Oggi non è aperta (era un termine scaduto). Ma potrebbe essere riproposta in futuro se il legislatore decidesse. Se ne parla come strumento di equità per i debitori meno abbienti.
Stralcio automatico dei mini-debiti: più volte il Parlamento ha disposto la cancellazione d’ufficio di ruoli di modesta entità. Ad esempio, la L. 228/2012 stralciò i ruoli sotto €2.000 ante 2000 (poi considerato incostituzionale per disparità di trattamento temporale). Di recente, l’art. 47 DL 34/2019 ha previsto lo stralcio dei ruoli fino €1.000 riferiti agli anni fino al 2010. Ultimamente, la L. 197/2022 ha previsto lo stralcio dei ruoli fino €1.000 affidati dal 2000 al 2015 (cosiddetto “stralcio 2000-2015”) da attuarsi entro il 31 marzo 2023. Poi però ha escluso le multe stradali dal saldo del capitale (stralciando solo interessi). In sostanza, moltissime cartelle piccole sono state eliminate nel 2023 grazie a questa norma. Il contribuente in quei casi magari nemmeno se ne accorge subito: AdER cancella d’ufficio e invia comunicazione che il debito è annullato. Questo vale come “difesa” passiva: se avete vecchie cartelle micro, controllate perché potrebbero essere già state cancellate per legge.
Transazione fiscale e contributiva nelle procedure concorsuali: un altro strumento di difesa (più avanzato) è quando un imprenditore o una persona in grave crisi avvia una procedura concorsuale (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, piano di risanamento, oppure la procedura da sovraindebitamento per privati). In questi casi, è possibile proporre agli enti fiscali e previdenziali un trattamento parzialmente falcidiato dei loro crediti: ad esempio pagare solo il 50% del debito tributario chirografario. La cosiddetta transazione fiscale (art. 63 D.Lgs.14/2019, ex art. 182-ter L.Fall.) consente di includere anche debiti tributari nell’accordo concorsuale, ottenendo su approvazione del tribunale la riduzione di sanzioni e interessi, e anche del capitale per tributi non IVA. Questo è un contesto diverso (insolvenza conclamata), ma di fatto è un mezzo per chiudere i debiti in modo definitivo e ripartire puliti. Fa parte delle strategie di difesa estrema quando si è insolventi (in quel caso difendersi = cercare un risanamento globalmente con aiuto del tribunale).
Chi può accedere alle definizioni agevolate? Le rottamazioni erano aperte a tutti (imprese, privati, ecc.), bastava avere i debiti rientranti nel periodo. Il saldo e stralcio 2019 era solo per PF con ISEE basso. Le procedure concorsuali ovviamente a chi è in stato di crisi conclamata.
Effetti sui contenziosi in corso: se un contribuente ha cause pendenti su quelle cartelle, aderendo alla definizione di solito deve rinunciare ai ricorsi (o li perde di oggetto, tanto paga e definisce). Il legislatore ha anche introdotto definizioni liti pendenti: ad es. nel 2023 c’era la possibilità di definire una lite in Cassazione pagando il 5% se l’Agenzia aveva perso nei primi due gradi, ecc. Insomma, varie misure di chiusura tombale anche su contenziosi. Questo esula dalla riscossione diretta, ma è correlato: se definisci la lite con pagamento ridotto, poi la cartella relativa viene sgravata per differenza.
Consiglio pratico: tenersi aggiornati su eventuali “pace fiscali”. Ad esempio, se nel 2024 uscirà una nuova rottamazione, valutare di aderire se la situazione lo consiglia. Anche perché durante la finestra di definizione, le azioni esecutive sono sospese per legge (nel 2023 per es. c’era una sospensione dei pagamenti rateali per chi aderiva).
Procedure da sovraindebitamento e altre soluzioni concorsuali
Quando i debiti (non solo fiscali, ma in generale) di una persona o impresa sono troppi per essere pagati, il sistema giuridico offre delle procedure concorsuali che includono anche i debiti con il Fisco. In particolare, per le persone non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori) esiste la procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento (Legge 3/2012, ora trasfusa nel D.Lgs.14/2019 Codice della Crisi d’Impresa, artt. 268-277). Questa procedura consente di presentare al giudice un piano di ristrutturazione dei debiti, anche con stralcio parziale, che vincola tutti i creditori (compresi AdER, Agenzia Entrate, INPS) se approvato. In sostanza, il debitore in grave difficoltà può chiedere di pagare quello che può (ad es. vendendo la casa paga il 50%, il resto esdebitato) ottenendo l’esdebitazione finale, ossia la liberazione da tutti i debiti residui. Lo Stato partecipa come creditore e spesso accetta di ricevere poco piuttosto che nulla. Questa è la extrema ratio di difesa del debitore onesto ma sfortunato: un “fresh start”. Certo, è una procedura complessa, richiede un OCC (Organismo Composizione Crisi) e approvazione giudice, ma è importante sapere che c’è. Ad esempio, un piccolo imprenditore sommerso da cartelle, se dimostra di non poter pagare integralmente, può proporre di versare una parte in tot anni e farsi esdebitare il resto: se il tribunale glielo concede, AdER dovrà accontentarsi di quella parte e poi chiudere i ruoli.
All’altro estremo, le imprese più grandi possono usare il concordato preventivo: idem, presentano un piano dove i crediti erariali vengono soddisfatti parzialmente (almeno quanto il ricavato in una liquidazione fallimentare). Se il concordato è omologato, i debiti fiscali si riducono secondo il piano (anche qui c’è stata evoluzione legislativa: oggi IVA e ritenute si possono stralciare solo con transazione fiscale, prima erano intoccabili; con la transazione fiscale ora anche IVA può essere falcidiata in certi limiti con 30% minimo, cfr. L. 176/2020).
Queste soluzioni concorsuali richiedono di “mettere sul piatto” eventuali beni e risorse, e comportano spesso la liquidazione del patrimonio (a meno di concordati in continuità). Non sono passi da prendere alla leggera, ma per debitori senza vie d’uscita possono essere la scelta più sensata per evitare una vita inseguiti dai creditori.
Casi pratici (simulazioni)
Per comprendere meglio come applicare nella realtà tutti questi concetti, presentiamo alcune simulazioni pratiche, ossia scenari ipotetici di debitori con determinati problemi e il possibile svolgimento delle vicende, incluse le azioni difensive. Questi casi di studio servono a illustrare, in modo narrativo e procedurale, l’effetto delle norme spiegate e le possibili scelte del debitore.
Caso 1: Cartella per imposte non dichiarate e pignoramento del conto
Mario, piccolo imprenditore individuale, nel 2019 attraversa difficoltà e omette di presentare la dichiarazione IVA per l’anno 2018, non versando circa €15.000 di IVA. Nel 2021, l’Agenzia delle Entrate effettua un controllo d’ufficio e emette un avviso di accertamento per l’IVA evasa, comprensivo di sanzione al 90% e interessi, per un totale di €28.000. Mario però ha cambiato indirizzo senza aggiornare il domicilio fiscale; l’avviso viene notificato via PEC ma la PEC risulta disabilitata. L’Agenzia allora notifica l’atto per posta all’ultima residenza conosciuta, dove Mario non abita più. Mario non viene mai a conoscenza dell’accertamento, che quindi diventa definitivo. Nel 2022, il debito viene iscritto a ruolo e Agenzia Entrate-Riscossione notifica a Mario (sempre all’indirizzo vecchio) una cartella di pagamento di €30.000 (importo aumentato di altre sanzioni e interessi). Mario, non avendo ricevuto nulla, non paga. Nell’ottobre 2023, AdER – trovando ancora irreperibile Mario ai vecchi recapiti – procede con la notifica di un atto di pignoramento presso terzi inviato a due banche dove Mario risulta aver conto corrente (grazie all’Anagrafe dei conti). A novembre 2023 Mario scopre improvvisamente che i suoi conti sono bloccati: la banca gli comunica di aver ricevuto da AdER un ordine di pagamento ex art.72-bis per €32.000 sul suo conto. Mario è preso dal panico.
Come può difendersi Mario?
Innanzitutto, analizza la situazione: vede che la causa è una cartella per IVA 2018, che lui non ha mai saputo di dovere. Si rivolge a un avvocato tributarista. Il legale verifica l’estratto di ruolo: risulta una cartella del 2022 notificata per compiuta giacenza. Si richiede copia dell’accertamento 2018: risulta notificato al vecchio indirizzo. Ci sono quindi vizi di notifica sia dell’accertamento che della cartella. Tuttavia, siamo ora in fase di pignoramento già in atto. Il legale consiglia due mosse parallele:
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria avverso la cartella (e atti connessi), eccependo la nullità della notifica dell’accertamento e quindi l’illegittimità del ruolo e della cartella, nonché la prescrizione eventualmente maturata (dal 2019 al 2022 oltre 5 anni? in realtà no, sono 3 anni). Il ricorso è ammesso perché Mario sostiene di aver saputo del debito solo dal pignoramento e ciò gli causa pregiudizio (conto bloccato): rientra nei casi di impugnazione di cartella mai notificata con pregiudizio. Chiede anche la sospensione cautelare urgente.
- Opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. davanti al Tribunale, in subordine, per far sospendere immediatamente il pignoramento del conto, evidenziando che il titolo è viziato da omessa notifica e che Mario non ha mai potuto difendersi. Si chiede provvedimento di urgenza inaudita altera parte.
Dopo discussione, il giudice tributario concede rapidamente la sospensione dell’atto impugnato (cartella) riconoscendo il fumus di mancata notifica. Trasmette l’ordinanza ad AdER. Nel frattempo, anche il giudice dell’esecuzione – informato della sospensione tributaria – dispone la sospensione del pignoramento (poiché il titolo è sub judice). Le somme di Mario restano bloccate in attesa; ma con l’ordinanza tributaria, Mario può andare in banca e ottenere un temporaneo sblocco per l’ordinario (a volte le banche aspettano l’ordine dall’Agente). Comunque, passati alcuni mesi, nel 2024 la Corte Tributaria emette sentenza: accoglie il ricorso di Mario, annulla la cartella e il ruolo per difetto di notifica dell’atto presupposto (accertamento) e dichiara non dovuto il debito. L’Agenzia Entrate non appella, prende atto dell’errore. A questo punto, Agenzia Riscossione revoca il pignoramento e sblocca completamente i conti di Mario. Debito annullato, fine.
In questo scenario, Mario ha dovuto attivarsi legalmente ma è riuscito a far valere un vizio importante (notifica nulla) e a evitare di perdere i soldi sul conto. Se fosse rimasto inerme, dopo 60 giorni la banca avrebbe versato i €32.000 ad AdER e poi Mario avrebbe dovuto iniziare una causa di rimborso improbabile. La prontezza è stata decisiva.
Caso 2: Multe stradali e fermo dell’auto
Chiara è una professionista che tra il 2015 e il 2018 ha accumulato diverse multe per divieto di sosta e ZTL nella sua città, per un totale di €1.200 di sanzioni. Purtroppo, avendo cambiato residenza senza aggiornare subito i documenti, molte delle notifiche dei verbali non le sono mai arrivate; Chiara non ha pagato nulla e le sanzioni sono diventate cartelle esattoriali nel 2019. Nel 2020 le arriva – all’indirizzo giusto – una comunicazione di preavviso di fermo dall’Agente di Riscossione: le dicono che, avendo debiti per €1.500 (le multe con interessi), se non paga entro 30 giorni verrà iscritto fermo amministrativo sulla sua auto utilitaria. Chiara, spaventata, ignora la lettera. Dopo qualche mese, scopre che effettivamente la sua auto è stata sottoposta a fermo amministrativo: non può più circolare legalmente, e in occasione di un controllo viene multata perché circolava con veicolo in fermo.
Cosa può fare Chiara? Prima mossa: prendere coscienza dei debiti. Va allo sportello AdER o accede online e vede di avere 3 cartelle per sanzioni codice della strada. Totale con maggiorazioni: €1.500. Ormai le cartelle sono definitive da anni. Valuta le opzioni: impugnare oggi queste cartelle sarebbe tardivo (notificate nel 2019, bisognava fare opposizione entro 30 gg al GdP per contestare eventuale notifica nulla). Tuttavia, nota che alcune multe forse non furono notificate affatto. Potrebbe tentare un ricorso tardivo al Giudice di Pace sostenendo la notifica nulla originaria, ma nel frattempo il fermo la blocca. Allora la strategia migliore è risolvere a monte il debito per rimuovere il fermo.
Chiara scopre che rientra nello “Stralcio sotto 1000€” per parte dei ruoli: i ruoli 2015-2016 sotto €1.000 potrebbero essere stati annullati di diritto nel 2023. Verifica: due delle sue multe erano del 2015 e 2016, importo cadauna €300, quindi dovrebbero essere stralciati interessi e la quota sanzione residua come da L.197/22 (che prevedeva annullamento integrale per multe? in realtà il capitale multa no, ma gli interessi sì). Insomma, la posizione è intricata. Decide di cogliere l’occasione della Definizione agevolata 2023: fa domanda di rottamazione-quater per tutte le sue cartelle di multe. Questo le permette di pagare solo l’importo originale delle sanzioni senza le maggiorazioni di ritardato pagamento. E può rateizzare in 18 rate. Il totale rottamato scende a circa €1.000 diluito in 5 anni – sostenibile. Appena la domanda è accolta (2023), AdER sospende il fermo amministrativo (per legge, in attesa dei pagamenti). Chiara può chiedere un attestato per circolare; formalmente il fermo non è cancellato finché non paga tutto, ma viene “congelato” (non dovrebbero multarla se esibisce la ricevuta domanda definizione). Nel 2025 Chiara completa i pagamenti delle prime rate. A fine 2025, avendo pagato tutto il dovuto definito, AdER provvede a cancellare il fermo dal PRA. Le multe sono state così risolte con costo minore e Chiara riottiene piena disponibilità dell’auto.
In caso contrario, se Chiara non avesse potuto aderire a nessuna definizione, l’alternativa sarebbe stata: pagare per intero i €1.500 (magari a rate) e poi chiedere la cancellazione del fermo. Oppure, se proprio non poteva pagare, vendere l’auto (difficile col fermo) o farla rottamare per non pagare bollo inutile. Fortunatamente, le misure agevolative l’hanno aiutata. Questo caso evidenzia come rottamazioni e stralci siano efficaci per i debiti da multe, che altrimenti crescendo di interessi diventano pesanti rispetto all’importo iniziale.
Caso 3: Debiti contributivi INPS di una ditta e pignoramento presso terzi
La Ditta ABC s.n.c. ha avuto problemi di liquidità e non ha versato i contributi INPS per i suoi dipendenti negli anni 2020-2021, accumulando un debito di €50.000 tra contributi e sanzioni civili. L’INPS invia nell’ottobre 2022 un avviso di addebito per €50.000, regolarmente notificato alla sede della società. I soci amministratori, però, non riescono a pagare. Nel marzo 2023, Agenzia Entrate-Riscossione, su incarico INPS, notifica alla società una comunicazione di presa in carico del debito e quasi contestualmente invia ai clienti noti della società (committenti) degli atti di pignoramento presso terzi, pignorando i crediti che ABC vanta verso quei clienti. In particolare, un importante cliente di ABC che doveva pagarle €30.000 per lavori viene raggiunto dal pignoramento: gli viene intimato di pagare quelle somme ad AdER. Ciò mette in crisi la società, che si vede togliere liquidità vitale. ABC vuole reagire.
Cosa può fare la società? Distinguiamo: il debito contributivo è certo (non ci sono errori, sono contributi dovuti). Non ci sono vizi formali nell’avviso (ricevuto). L’unico spiraglio è la prescrizione quinquennale: i contributi 2020 sarebbero prescritti se entro 5 anni non fossero stati richiesti; ma qui c’è avviso 2022, quindi no. Quindi nessuna contestazione di merito appare efficace. ABC potrebbe valutare un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione includendo i contributi (transazione contributiva): ma è lungo e costoso. E il cliente bloccato dal pignoramento sta per pagare ad AdER.
La mossa rapida potrebbe essere: chiedere una rateizzazione del debito contributivo ad AdER e contemporaneamente un atto di sospensione/revoca del pignoramento in corso per adesione al piano. La legge in realtà non obbliga AdER a revocare un pignoramento già notificato per la sola rateazione, ma spesso, per prassi, se il debitore inizia a pagare un piano, l’Agente può allentare la presa per facilitare la continuità aziendale (anche perché se strozza l’azienda, poi non incassa il resto). ABC dunque presenta a maggio 2023 domanda di rateazione 120 rate (mostrando difficoltà finanziaria) per i €50.000. AdER la concede (10 anni di dilazione). Con la prima rata pagata, gli avvocati di ABC contattano AdER segnalando che il cliente debitore pagherà quelle fatture alla società e che la società userà quei fondi anche per onorare il piano, quindi chiedono di liberare quel credito pignorato. AdER, a sua discrezione, sospende la procedura esecutiva presso il cliente (non la estingue, ma fa una lettera al terzo dicendo di sospendere il versamento in attesa di verifica piano). Il cliente così paga ad ABC, la quale riesce a portare avanti l’attività e pagare le rate. In questo scenario, la collaborazione negoziale ha salvato capra e cavoli: AdER avrà i suoi €50.000 in 10 anni; ABC non viene fatta fallire sul colpo e può continuare l’attività. Certo, rimane vincolata a lungo.
Se AdER fosse stata inflessibile, ABC avrebbe potuto fare opposizione al pignoramento forse per eccepire un vizio (ad esempio: la notifica dell’atto di pignoramento al cliente non indicava correttamente la causale? O non è stato rispettato il termine di 60gg tra intimazione e pignoramento? Forzature…). Difficile. Avrebbe potuto allora tentare un concordato in bianco per bloccare tutto (la legge fallimentare blocca le esecuzioni con concordato). Ma è macchinoso e costoso e con esito incerto. Invece la via amministrativa è stata più efficiente.
Caso 4: Sovraindebitamento di una persona fisica
Luigi è un ex piccolo imprenditore edile, che ha chiuso l’attività nel 2020 lasciando però debiti ingenti: €80.000 di cartelle Equitalia (IVA non versata, IRAP, INPS artigiani, multe) e anche €50.000 di banche finanziarie. Possiede solo la casa dove vive con la famiglia (prima casa), su cui Equitalia nel 2012 aveva messo ipoteca per €30.000 (all’epoca consentito, ipoteca sì anche se prima casa, ma poi non pignorabile). Luigi è disoccupato, la moglie fa piccoli lavori. Non riescono a pagare nulla di questi debiti. Negli anni, AdER ha provato pignoramenti su conti trovando zero, ha iscritto l’ipoteca ma non può espropriare la casa perché unica e debito >€120k comunque. La situazione è di fatto congelata: Luigi non paga, AdER non può aggredire la casa e non ci sono stipendi da prendere. Tuttavia, i debiti restano, con interessi. Luigi vorrebbe “liberarsi” perché un domani vorrebbe intestare casa ai figli senza ipoteca, e magari tornare a lavorare senza paura di farsi pignorare lo stipendio.
La soluzione è la procedura di esdebitazione (Legge 3/2012). Luigi si rivolge all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) locale e con un gestore prepara un Piano del Consumatore: propone di vendere l’automobile e alcuni beni per racimolare €20.000 da offrire a saldo di tutti i debiti. Mette sul piatto anche eventuali aiuti familiari. Il piano prevede di pagare circa il 15% a tutti, in proporzione, e chiede l’esdebitazione del restante 85%. Il giudice verifica i requisiti (Luigi non ha colpa grave, i debiti si sono creati per la crisi dell’edilizia etc.). I creditori vengono informati; AdER partecipa ma non può opporsi se il giudice ritiene soddisfatte le condizioni di legge. Nel 2024 il Tribunale omologa il Piano del Consumatore di Luigi: con i €20.000 messi a disposizione, vengono soddisfatti parzialmente tutti. Nello specifico, AdER riceve ad esempio €12.000 a fronte degli €80.000 dovuti e l’ipoteca sulla casa viene ordinata cancellata dal giudice a esdebitazione avvenuta (perché il credito residuo è annullato). Luigi esegue il piano, versa i soldi secondo i tempi. Nel 2025 il giudice dichiara Luigi esdebitato: tutti i debiti pregressi sono estinti definitivamente. AdER non può più pretendere nulla, deve cancellare ipoteca e ruoli. Luigi ottiene una “fresh start”: potrà tornare a lavorare e se guadagnerà qualcosa, sarà libero da pregressi (dovrà solo stare attento a non fare altri debiti…).
Questo caso mostra che anche in situazioni disperate esiste una via legale di uscita, benché seria e non priva di sacrifici (ha dovuto vendere beni e vivere con stigma di procedura concorsuale). È però preferibile a restare a vita con l’ipoteca e debiti in agguato.
Queste simulazioni, pur semplificate, evidenziano come si intrecciano gli strumenti visti: dai ricorsi alle definizioni agevolate, dalle rateazioni alle procedure concorsuali. Ogni situazione richiede di valutare costi/benefici delle opzioni. L’importante è non restare passivi: informarsi, farsi aiutare e reagire per tempo è sempre la scelta migliore.
Domande frequenti (FAQ) sulla riscossione coattiva
Di seguito una raccolta di domande frequenti che debitori e contribuenti si pongono in materia di riscossione coattiva, con risposte concise basate su quanto esposto nella guida:
D: Che cos’è una cartella esattoriale (o cartella di pagamento)?
R: È l’atto tramite cui l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione o altro) intima formalmente al debitore il pagamento di somme dovute ad un ente pubblico. Viene emessa a seguito di iscrizione a ruolo del debito e contiene l’indicazione delle somme e degli enti creditori. Notificata la cartella, si hanno 60 giorni per pagare o per fare ricorso. Trascorso tale termine, la cartella diventa titolo esecutivo per procedere a pignoramenti senza bisogno di ulteriori sentenze.
D: Qual è la differenza tra una cartella e un avviso di accertamento esecutivo?
R: La cartella è emessa dall’Agente della riscossione su iniziativa dell’ente creditore, spesso dopo che l’ente ha emesso un accertamento distinto. L’avviso di accertamento esecutivo invece è emesso dallo stesso ente impositore (es. Agenzia Entrate, Comune) e vale anche come titolo esecutivo decorso il termine di pagamento. Quindi evita la fase intermedia della cartella. Dopo 60 giorni dall’avviso, se non pagato, l’ente lo affida direttamente all’esattore per l’esecuzione forzata. In pratica, la differenza è che la cartella è un atto successivo (separato) dall’accertamento, mentre l’avviso esecutivo unifica in sé l’accertamento e la precettazione. Esempio: oggi molti tributi (IMU, TARI, imposte statali) seguono la via dell’avviso esecutivo (nessuna cartella successiva).
D: Cosa posso fare se ricevo una cartella e credo sia sbagliata (ad esempio ho già pagato quel tributo)?
R: Puoi presentare entro 60 giorni un ricorso all’autorità competente (giudice tributario per tributi, giudice ordinario per contributi/multe) per farla annullare. In alternativa, e anche contestualmente, puoi presentare un’istanza di sospensione in autotutela all’Agente della Riscossione entro 60 giorni allegando le prove (ricevute di pagamento, ecc.) e chiedendo che blocchi la riscossione. L’Agente sospenderà il recupero e girerà la pratica all’ente creditore per verifica. Se l’ente conferma l’errore, annullerà il debito (sgravio). Se invece l’ente insiste, a quel punto dovrai proseguire col ricorso giudiziario (se già avviato, vai avanti; se non lo avevi fatto, valuta se farlo subito, attenzione ai termini).
D: Cosa succede se ignoro una cartella di pagamento?
R: Dopo 60 giorni senza pagamento, la cartella diventa esecutiva. Significa che l’Agente può applicare interessi di mora e soprattutto avviare azioni come fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili (se importo > €20k), o direttamente pignoramenti (su stipendio, conto, ecc.). Potresti inizialmente ricevere un intimazione di pagamento (se è passato oltre un anno) con 5 giorni per pagare, dopodiché il pignoramento (es. blocco conto) può scattare improvvisamente. Ignorare la cartella quindi porta quasi sicuramente, prima o poi, a subire il recupero forzoso. Inoltre il debito cresce per via degli interessi di mora e delle spese aggiuntive. È consigliabile, se non si può pagare subito, almeno attivarsi per rateizzare o contestare se ci sono motivi validi.
D: Dopo quanti anni il mio debito con il Fisco si prescrive e non possono più esigerlo?
R: Dipende dal tipo di debito. In generale molti debiti fiscali e contributivi si prescrivono in 5 anni. Ad esempio: contributi INPS 5 anni, imposte erariali secondo Cassazione 5 anni (anche se la legge non lo dice espressamente), multe 5 anni. Tuttavia, ogni volta che ricevi un atto (sollecito, intimazione, pignoramento) la prescrizione si interrompe e ricomincia a decorre da capo. Quindi non è un 5 anni “assoluto”: l’ente può mantenerlo vivo notificando atti. In pratica, devi contare 5 anni dall’ultimo atto notificato valido. Se passano più di 5 anni senza alcuna notifica o pagamento, allora il debito è prescritto e puoi fare opposizione per far dichiarare estinto il credito. Eccezioni: sentenze passate in giudicato creano debiti con prescrizione 10 anni (se un tribunale ti ha condannato a pagare, vale 10 anni). Alcune imposte locali seguono comunque 5 anni. Importante: la prescrizione non è automatica, va eccepita: se nessuno la solleva, l’agente potrebbe continuare a chiedere, ma tu puoi opporla in giudizio e il giudice la riconoscerà. L’Agente non ha l’obbligo di annullare d’ufficio le cartelle prescritte, anche se una circolare interna gli dice di non insistere se evidente.
D: Possono pignorarmi lo stipendio o la pensione? In che misura?
R: Sì, i crediti verso terzi (stipendi, salari, pensioni) sono pignorabili. Ci sono però rigide soglie massime: normalmente non più di 1/5 (20%) dello stipendio netto. Nel caso di pignoramento fiscale da AdER ci sono limiti ancor più favorevoli: se il tuo stipendio netto è sotto €2.500, al massimo 1/10; tra 2.500 e 5.000, al massimo 1/7; sopra 5.000, 1/5. Quindi, ad es., con stipendio €1.500, al massimo €150 al mese. Per le pensioni, è impignorabile la parte fino a circa €750 (1,5 volte l’assegno sociale), sul resto valgono le quote di 1/5, 1/7, 1/10 come sopra. Questi limiti sono per singolo pignoramento. Se hai più pignoramenti concorrenti, in totale non oltre metà dello stipendio. NB: il datore di lavoro o l’INPS devono applicare queste regole: se per caso viene prelevato più del dovuto, puoi fare opposizione per ridurlo.
D: Possono pignorare la mia casa?
R: Dipende. Se è la prima e unica casa di abitazione, no: la legge vieta ad Agenzia Entrate-Riscossione di espropriare l’unico immobile di proprietà del debitore, se adibito a suo uso abitativo e non di lusso (categorie A/8 A/9). Questo immobile è impignorabile dal Fisco (il quale però può metterci ipoteca se il debito supera €20.000). Se invece hai più immobili o la casa non è quella di residenza, AdER può pignorarla ma solo se il tuo debito supera €120.000. Inoltre deve prima iscrivere ipoteca e attendere 6 mesi. Quindi, riassumendo: se hai una sola casa dove risiedi, il Fisco non può venderla all’asta (tutela prima casa). Se hai due case o un capannone, etc, sì possono (sopra 120k debito). Creditori privati (banche, fornitori) invece possono pignorare anche la prima casa, il divieto è solo per il Fisco.
D: Mi hanno ipotecato la casa: che significa?
R: L’ipoteca è una garanzia iscritta nei registri immobiliari: vincola la casa come garanzia del credito. Non ti toglie la proprietà, ma risulta che c’è questo gravame. L’ipoteca fiscale viene iscritta per debiti oltre €20.000. Se è la prima casa, come detto, rimarrà solo ipotecata ma non espropriabile; se hai altre case e il debito >120k, dopo 6 mesi da ipoteca possono iniziare l’esproprio (se non paghi in quei 6 mesi). Per rimuovere l’ipoteca, occorre pagare il debito o ottenere un annullamento. Se paghi integralmente, AdER ha 30 giorni per cancellarla. Anche una definizione agevolata (rottamazione) una volta pagata tutta comporta la cancellazione. Attenzione: se vendi la casa ipotecata, l’ipoteca segue (il compratore di solito pagherà il debito dalle somme di acquisto per liberarla).
D: Ho ricevuto un preavviso di fermo auto: posso venderla prima che fermino?
R: Sì, tecnicamente finché non è iscritto il fermo, l’auto è tua libera. Dopo il preavviso hai 30 giorni per pagare ed evitare il fermo. Se invece vendi l’auto a terzi in quei giorni, legalmente potresti farlo perché ancora non c’è il fermo. Ma attenzione: è una pratica scorretta e potrebbe configurare tentativo di sottrazione di garanzia; inoltre se vendi a un familiare e continui a usarla, non risolvi granché (possono eventualmente fermare altra auto a tuo nome se appare). La soluzione migliore al preavviso è pagare o fare un piano di rientro. Vendere l’auto per recuperare soldi e pagare il debito potrebbe essere una mossa (almeno usi il ricavato per chiudere il debito e prevenire il fermo).
D: Posso richiedere una rateizzazione? Quante rate e con quali interessi?
R: Sì, la rateizzazione è un tuo diritto se sei in difficoltà economica. AdER concede piani fino a 72 rate (6 anni) abbastanza facilmente per debiti sotto una certa soglia (120k) anche senza documenti. Per debiti grandi e situazioni di grave crisi, può arrivare a 120 rate (10 anni) presentando ISEE, bilanci e indice di liquidità. Gli interessi di rateazione (interessi di dilazione) sono stabiliti per legge: al momento sono intorno al 2-3% annuo (nel 2023 fissati al 2% per rottamazione, ma generalmente ~4%). Quindi c’è un piccolo interesse sul debito rateato. Per ottenere la dilazione contatta AdER (anche online) e segui la procedura (per importi fino a €120.000 non devi allegare nulla, autocertifichi la temporanea difficoltà; oltre, fornisci documenti). Una volta ottenuta, pagando la prima rata il piano parte e finché sei regolare AdER non procede con pignoramenti. Se eri in sofferenza con fermi o ipoteche, in genere restano fino a fine piano (il fermo spesso rimane a garanzia, ma non ti faranno altri). Se salti troppe rate (8) decadi dal piano e torna tutto dovuto. Ma puoi chiedere una nuova dilazione se non ne hai avute altre decadute da poco.
D: Ho aderito alla “rottamazione” delle cartelle: sono al sicuro da azioni esecutive?
R: Sì, la legge prevede che dal momento in cui presenti la domanda di definizione agevolata (rottamazione) sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza e sono sospese le azioni di riscossione fino alla scadenza delle rate. Inoltre, finché rispetti il pagamento delle rate, non decadrai e quindi non potranno partire esecuzioni. Anche eventuali fermi amministrativi o pignoramenti in corso dovrebbero essere congelati: ad esempio, durante la rottamazione-ter era così. Dunque, se hai aderito e sei in regola, AdER non ti toccherà (anche perché se lo facesse violerebbe la norma e comunque poi tu stai pagando). Attenzione però: se non paghi una rata nei termini, decadi dai benefici e a quel punto riprendono le azioni, senza ulteriori avvisi. Quindi segnati bene le scadenze (le rate di solito sono a fine mese di febbraio, maggio, luglio, novembre a seconda del piano).
D: Come posso sapere se ho cartelle esattoriali a mio nome?
R: Puoi consultare il tuo “Estratto conto” presso Agenzia Entrate-Riscossione. Ci sono vari modi: se hai SPID o CIE puoi accedere all’area riservata del sito AdER e usare il servizio “Situazione debitoria – consulta e paga”. Oppure puoi recarti fisicamente a uno sportello AdER con documento e chiedere l’estratto (ti daranno un elenco dei ruoli a tuo carico e lo stato). Ancora, puoi telefonare o delegare un intermediario. L’estratto conto ti permette di monitorare debiti magari mai notificati perché a vecchio indirizzo, ecc. Tieni presente che l’estratto di ruolo elenca ruoli e cartelle emesse, con date di notifica (se ci sono). Non è un documento impugnabile di per sé, ma è uno strumento informativo.
D: Mi è arrivata una cartella per un tributo che avevo impugnato in Commissione e su cui non c’è ancora sentenza: possono farlo?
R: In alcuni casi, sì. Dipende dal tributo e dal grado di giudizio. Per le imposte erariali, il ricorso di solito sospende solo 1/3 dell’importo (l’ente può riscuotere 2/3 dopo la sentenza di primo grado anche se c’è appello). Se non hai chiesto né ottenuto una sospensione dal giudice, può succedere che durante il contenzioso arrivi la cartella per la parte esigibile. Ad esempio, se impugni un avviso da €10.000, paghi intanto 1/3 (€3.333) entro 60 gg per legge (art. 15 DPR 602/73) oppure se non lo fai quell’importo va a ruolo, e il restante 2/3 restano sospesi in attesa di primo grado. Se vinci, ti rimborsano eventualmente; se perdi, ti arriverà il resto. Nel processo tributario riformato 2023 c’è la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione in ogni grado, e se concessa blocca la riscossione. Quindi la risposta: verifica se dovevi versare un importo provvisorio e se hai chiesto sospensione; se la cartella è illegittima (perché magari l’ente ha frainteso lo stato del giudizio) puoi segnalarlo o chiederne la sospensione al giudice. In generale, durante un contenzioso, per evitare arrivi la cartella conviene chiedere la sospensione giudiziale dell’atto impugnato.
D: È vero che Equitalia (AdER) non può più chiedere l’“aggio” 8% sulle cartelle?
R: Sì, confermato. Dal 1° gennaio 2022, con la riforma degli oneri di riscossione, è stato eliminato qualsiasi aggio a carico del debitore. Prima, fino al 2021, funzionava così: se pagavi entro 60 gg dalla cartella, aggiungevano 3% a titolo di oneri, se oltre, 6%. Ora questo non c’è: tu paghi imposta, interessi, sanzioni e le spese vive di notifica, ma non paghi più quell’extra del 3-6%. Lo Stato ha deciso di coprire i costi dell’Agente con stanziamenti di bilancio invece che col famoso aggio. Quindi sulle cartelle nuove non vedi più voci di “oneri di riscossione”. Per le cartelle vecchie affidate prima del 2022, in teoria l’aggio era dovuto (3 o 6% secondo quando paghi).
D: Ho subito un pignoramento sul conto corrente: potevano farlo senza passare dal giudice?
R: Sì, l’art. 72-bis del DPR 602/73 consente ad Agenzia Entrate-Riscossione di notificare direttamente alla banca un ordine di pagamento (un atto di pignoramento) senza la necessità dell’udienza di convalida in tribunale. La banca blocca le somme e se entro 60 giorni non arriva una sospensione o non paghi, trasferisce i soldi ad AdER. Questo è un privilegio procedurale concesso al Fisco. Non c’è quindi l’intervento di un giudice a monte, avviene tutto in via amministrativa. Puoi però contestare il pignoramento a posteriori con opposizione al giudice se ci sono irregolarità (es. importo sbagliato o impignorabilità di quelle somme, tipo pensione minima). Ma inizialmente lo fanno in autonomia. I creditori privati invece devono rivolgersi al giudice per ottenere decreto ingiuntivo e fare pignoramento classico con udienza, etc. Il Fisco salta i primi passaggi.
D: Cos’è l’intimazione di pagamento 5 giorni che ho ricevuto?
R: È un avviso dell’Agente della Riscossione che sollecita il pagamento immediato di uno o più debiti, dandoti 5 giorni. Viene inviato quando la cartella è stata notificata da oltre un anno e non hai pagato. Serve come ultimo avvertimento prima del pignoramento. Se entro quei 5 giorni non paghi o rateizzi, l’Agente può avviare l’esecuzione forzata senza ulteriori indugi (pignorare conti, stipendio, ecc.). L’intimazione è prevista dall’art. 50 DPR 602/73 e ha validità 180 giorni. Quindi se non agisce entro 180 gg, dovrà notificarne un’altra. Non è un atto con cui discutere il merito del debito (quello andava fatto contro la cartella): è proprio un “paga subito o procediamo”. Puoi considerarlo come opportunità finale: se hai i soldi, paga ora ed eviti guai; se non li hai, valuta di rateizzare immediatamente; se ritieni il debito nullo, puoi ancora fare ricorso contro la cartella sottostante se sei in termini o magari impugnare l’intimazione come veicolo per far valere la prescrizione. Ma in sé è un sollecito esecutivo.
D: Ho dei debiti col Fisco ma davvero non posso pagarli tutti: fallisco o c’è un modo di uscirne?
R: Se sei una persona fisica sovraindebitata, esiste la procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento (oggi nel Codice della Crisi). Ti permette, rivolgendoti a un OCC, di proporre un piano di ristrutturazione a tutti i creditori (incluso Fisco) dove paghi quello che puoi (magari vendendo qualcosa o in tot anni una parte) e il resto viene cancellato. Devi essere meritevole (non aver frodato volutamente). È una sorta di “piccolo fallimento” per privati non fallibili, detto anche esdebitazione. Oppure, se sei un imprenditore, c’è il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione debiti in tribunale, che includono la transazione fiscale (dove lo Stato accetta un pagamento parziale). In poche parole, esiste la possibilità di pagare parzialmente e far cancellare i debiti residui per legge, in situazioni di grave crisi, così da ripartire pulito. È una procedura complessa, serve assistenza legale e di gestori, e dura diversi mesi, ma è l’ultima spiaggia legale per chi non vede via d’uscita. Informati presso un OCC o un professionista esperto in crisi da sovraindebitamento per valutare il tuo caso. Meglio questo che rimanere inadempiente a vita con ansia di pignoramenti futuri.
Tabelle riepilogative
Per facilitare la comprensione e avere un riferimento rapido, presentiamo alcune tabelle riepilogative su aspetti chiave della riscossione coattiva:
Tabella 1 – Termini di decadenza e prescrizione dei principali debiti (riassunto):
Tipo di debito | Decadenza atti impositivi/riscossivi | Prescrizione del credito |
---|---|---|
Tributi erariali (es. IRPEF, IVA) | Accertamento: 5 anni (dich. omessa 7 anni). Cartella post-accert.: 2 anni dal definitivo. | 10 anni (codice civile) – Cassazione: 5 anni se da atto amm.vo non giudiz. definitivo. |
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.) | Accertamento: 5 anni dall’anno dovuto. Cartella/ingiunzione: 2 anni per multe CDS dal 2020; altri ruoli, di regola 3 anni dalla dichiarazione. | 5 anni (in genere) per tributi e sanzioni locali (L. 296/06, L.689/81) |
Contributi previdenziali (INPS, INAIL) | Avviso addebito INPS: 2 anni dal mancato pagamento (D.Lgs 46/99). | 5 anni (L.335/95) per tutti contributi salvo giudicato (10 anni). |
Multe Codice della Strada | Cartella: 2 anni dall’esecutività (dal 2020). Verbale: 90 gg notifica. | 5 anni dalla definitività (art. 28 L.689/81). |
Sanzioni amm.ve (non CDS) | Ordinanza-ingiunzione: 5 anni dalla violazione per emetterla (L.689/81). | 5 anni (art.28 L.689/81). |
Spese di giustizia, pene pecuniarie | Ruolo spese: 3 anni dalla sentenza per formarlo (DPR 115/02). | 10 anni (titolo giudiziario). |
Tabella 2 – Atti impugnabili, termini e giurisdizione:
Atto della riscossione | Termine ricorso | Giudice competente | Note |
---|---|---|---|
Cartella di pagamento (tributi) | 60 gg dalla notifica | Corte Giust. Tributaria | Contestabili vizi propri, notifiche, prescr. ecc. Merito se nessun atto precedente notificato. |
Cartella di pagamento (contributi INPS) | 40 gg dalla notifica | Tribunale ordinario (Lavoro) | Opposizione ex art. 24 D.Lgs 46/99 (rito lavoro). |
Cartella sanzioni amm.ve (multe) | 30 gg (notifica regolare) oppure entro il tempo di opposizione tardiva | Giudice di Pace (se di sua competenza valore/materia) | Solo vizi notifica verbale/ordinanza se ricorso tardivo; altrimenti non contestabile nel merito dopo 30gg. |
Avviso di accertamento esecutivo (AE) | 60 gg (tributi) | Giudice Tributario | Equivale ad atto impositivo impugnabile. |
Avviso di addebito INPS | 40 gg | Tribunale Lavoro | Equivale a cartella INPS. |
Ingiunzione fiscale (R.D.639/1910) | 30 gg (se tributo: CTR? in dubbio, di solito Commissione Tributaria se tributo) | Giudice tributario per tributi; ordinario per entrate patrimoniali | Giurisdizione ibrida in base alla natura del credito. |
Fermo amministrativo (provvedimento) | 60 gg (tributi), 30 gg (multe) | Giudice Tributario (se tributi) – GdP (se multe) | Si può impugnare anche preavviso di fermo (in trib.). |
Ipoteca esattoriale | 60 gg (tributi) | Giudice Tributario | Cass. SS.UU. 2014. (Se multa, GdP 30 gg). |
Intimazione di pagamento (art.50 DPR602) | 60 gg (se eccepisce vizi ruolo) | Giudice Tributario (tributi) | Valido per contestare cartella prescritta o nulla. |
Atto di pignoramento (esattoriale) | 20 gg (vizi forma) | Giudice Ordinario (esecuzione) | Opposizione atti esec. 617 cpc (solo forme). |
Atto di pignoramento – eccez. su titolo (es. prescr.) | Prima o durante esecuzione | Tributario se tributi; Ordinario se contributi/multe | SS.UU. 2025: prescrizione post-cartella tributi → giud. trib.. Contributi, sanz amm: tribunale esecuzione 615 cpc. |
Tabella 3 – Misure cautelari/esecutive e requisiti:
Misura | Quando applicabile | Condizioni e limiti |
---|---|---|
Fermo amministrativo auto | Dopo 60 gg da cartella non pagata (o avviso esecutivo). Preavviso 30 gg. | Debito > €1.000. Non su beni strumentali d’impresa essenziali (valutazione caso). |
Ipoteca immobiliare | Dopo 60 gg da cartella non pagata. Preavviso 30 gg (DL 70/2011). | Debito > €20.000. Importo proporzionato al valore immobile. Prima casa: ipotecabile ma non espropriabile. |
Pignoramento mobiliare | Dopo 60 gg (180 gg se intimazione 50(2)). | No beni impignorabili (art. 514 cpc). Raro su beni casa. |
Pignoramento presso terzi | Dopo intimazione (se >1 anno) o immediato (se <1 anno?). | Stipendi/pensioni: max 1/10, 1/7, 1/5; pensione minima impignorabile. Conti correnti: salvaguardia ultimi accrediti stipendio (Dl 83/2015). |
Pignoramento immobiliare | Dopo 6 mesi da iscrizione ipoteca, se debito > €120.000. | Non ammesso su unico immobile abitazione principale non di lusso. Altri immobili sì. Necessaria preventiva iscrizione ipoteca. |
Tabella 4 – Difese del debitore e riferimenti normativi:
Strumento difensivo | Descrizione | Riferimento |
---|---|---|
Sospensione legale ex L.228/2012 | Richiesta a AdER entro 60 gg con documenti che provano prescrizione, pagamento, sgravio, sentenza, ecc. AdER sospende e ente risponde entro 220 gg. | Art. 1, c.537 L.228/2012. |
Autotutela (sgravio) | Istanza all’ente creditore di annullare/correggere atto per errore palese o fondate ragioni. | Statuto Contribuente art.2-quater, L.212/2000 (non obbligatoria accettazione). |
Ricorso giudiziale (tributario) | Impugnazione di cartella/atto riscossione avanti Comm. Trib. entro 60 gg. Sospensione possibile. | D.Lgs. 546/92 art.19 (atti impugnabili), art.47 (sospensione). |
Opposizione a esecuzione/atti (civile) | Impugnazioni di pignoramenti o cartelle avanti giudice ordinario (differenziato tempi 615/617 cpc). | Artt. 615 e 617 c.p.c.; art.618-bis cpc (rito lavoro per 615 su contributi). |
Rateizzazione | Piano dilazionato fino 120 rate (10 anni) se difficoltà. | Art.19 DPR 602/73 (ruoli); D.Lgs.112/99 art.16; (INPS: art.13-bis DL 52/2013). |
Definizione agevolata (rottamazione) | Pagamento agevolato di ruoli senza sanzioni né interessi. Necessaria previsione di legge specifica (2023 rottamazione-quater). | L.197/2022 art.1 c.231-252 (rottamazione-quater). |
Saldo e stralcio | Pagamento percentuale su ruoli per soggetti a basso ISEE. (Misura straordinaria 2019). | L.145/2018 art.1 c.184-198 (Saldo stralcio). |
Transazione fiscale/contributiva | Concordato preventivo o accordo ristrutturazione: accordo con Erario/INPS per pagamento parziale in procedura concorsuale. | Art.63 D.Lgs.14/2019 (transazione fiscale), art.54 D.L. 50/2017 conv.L.96/17 (stralcio sanzioni). |
Sovraindebitamento (esdebitazione) | Procedura giudiziale per persone non fallibili: piano consumatore o liquidazione: possibile stralcio parziale debiti fiscali con esdebitazione finale. | L.3/2012 (ora Cod. Crisi D.Lgs.14/2019 art. 268-277, 14-22). |
Reclamo e mediazione (tributario) | Per debiti tributari < €50.000: tentativo obbligatorio di mediazione con AE, possibile riduzione sanzioni. Non riguarda la riscossione coattiva in sé, ma la fase di accertamento. | D.Lgs.546/92 art.17-bis (istituto del reclamo/mediazione). |
Istanza di rate in corso di giudizio | Possibile chiedere al giudice di sospendere 2/3 importo in pendenza appello (art.68 c.2 D.Lgs.546/92) se già versato 1/3. | D.Lgs.546/92 art.68, come modif. da L.130/2022 (giustizia trib.). |
(Le tabelle sopra semplificano concetti complessi; in caso di dubbio normativo, fare riferimento alle leggi e regolamenti specifici citati.)
Conclusioni
La riscossione coattiva è un meccanismo complesso e a tratti severo, ma come abbiamo visto esistono garanzie e strumenti di tutela che il debitore può e deve conoscere. Questa guida ha esaminato in dettaglio cos’è la riscossione coattiva, come si articola la procedura e soprattutto come difendersi in modo efficace e legittimo di fronte alle pretese del Fisco o di altri enti pubblici.
Dal punto di vista del debitore, le parole chiave sono: tempestività, consapevolezza e proattività. Tempestività nel reagire (attivarsi subito alla ricezione di un atto, senza aspettare che la situazione peggiori), consapevolezza dei propri diritti (sapere ad esempio che la prima casa è protetta, che uno stipendio non può essere pignorato integralmente, che un debito potrebbe essere prescritto dopo tot anni, ecc.) e proattività nel cercare soluzioni (chiedere rate, aderire a rottamazioni, presentare ricorso quando necessario, rivolgersi a professionisti per le scelte più delicate).
Abbiamo evidenziato come spesso la difesa vincente richieda un mix di strumenti: ad esempio combinare un’istanza di autotutela con un ricorso giudiziale, oppure negoziare con l’Agente per sospendere un’azione esecutiva mentre si mette in piedi un piano di rientro, o ancora sfruttare le aperture normative (come le definizioni agevolate) per ridurre il peso dei debiti.
È emerso anche che negli ultimissimi anni (2023-2025) il legislatore sta cercando di semplificare e riorganizzare la materia: la riforma della riscossione con il D.Lgs. 110/2024 e la delega fiscale punta a un sistema più efficiente e chiaro (ad esempio con termini più stretti per notificare le cartelle e ampliamento dei casi di tutela del contribuente), l’approvazione di Testi Unici (come il nuovo Testo Unico su versamenti e riscossione dal 2026) dovrebbe raccogliere le norme finora frammentate, e l’attenzione del Parlamento a misure di sollievo (rottamazioni, stralci) indica la volontà di bilanciare la rigorosità della riscossione con la sostenibilità per i debitori in difficoltà.
Dal canto suo, la giurisprudenza (specialmente della Cassazione) negli ultimi anni ha preso posizioni importanti a tutela del contribuente: basti pensare alla conferma della prescrizione quinquennale per i crediti erariali non giudiziali, al principio di giurisdizione tributaria estesa a tutte le contestazioni sul merito del tributo anche in fase esecutiva, alla tutela della prima casa (con applicazione retroattiva favorevole), etc. Queste pronunce, alcune recepite in norma, vanno conosciute perché offrono argomenti di difesa efficaci.
In conclusione, il debitore non è privo di diritti né di speranza di fronte alla riscossione coattiva: “la legge gli consente di opporsi a esazioni ingiuste, di diluire il peso dei debiti e perfino di ottenere una liberazione parziale o totale dai debiti in casi estremi, nel rispetto di determinate condizioni”. L’auspicio è che questa guida abbia fornito gli strumenti conoscitivi utili per affrontare con maggiore serenità ed efficacia situazioni che, all’impatto, possono sembrare schiaccianti.
La chiave è non lasciare che incertezza e paura prendano il sopravvento: informarsi (anche consultando le fonti normative e giurisprudenziali indicate), farsi consigliare da professionisti quando serve, e ricordare che ogni problema ha almeno una soluzione legale perseguibile. Da parte dell’amministrazione, è importante ricordare che la riscossione coattiva deve avvenire nel rispetto rigoroso delle procedure e dei diritti del contribuente: quando ciò non accade, esistono i mezzi per far valere le proprie ragioni nelle sedi opportune.
Infine, un consiglio preventivo: per quanto possibile, evitare di accumulare debiti con il fisco è la miglior difesa – usufruendo di strumenti come il ravvedimento operoso per regolarizzare ritardi, richiedendo dilazioni prima che le somme vadano a ruolo, e mantenendo una contabilità ordinata. Ma se ormai il debito c’è ed è passato in riscossione, conoscere i propri diritti è la miglior arma per non subirla passivamente.
Fonti (normativa, giurisprudenza, prassi e dottrina)
Di seguito si elencano le principali fonti normative, giurisprudenziali, di prassi amministrativa e dottrinali citate o utilizzate nella presente guida:
Normativa primaria e secondaria:
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”. Particolarmente rilevanti: art. 25 (notifica cartella di pagamento); art. 50 (intimazione ad adempiere entro 5 gg); art. 72-bis (pignoramento presso terzi – ordine diretto); art. 72-ter (limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni); art. 76 (espropriazione immobiliare, limiti prima casa e soglia €120.000); art. 77 (iscrizione di ipoteca sopra €20.000); art. 86 (fermo amministrativo di beni mobili registrati).
- D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 – “Riordino del servizio nazionale della riscossione”. Rilevante l’art. 19 (prescrizione quinquennale applicabile ai ruoli? – richiamato da Cass. ord. 7409/2020), art. 17 (remunerazione Agente riscossione; modificato da L.234/2021 abolendo aggio).
- Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013), art. 1 commi 537–543 – Introduce la sospensione legale della riscossione su istanza del debitore con obbligo di risposta entro 220gg e annullamento automatico in caso di mancata risposta.
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative tributarie. (Sanzioni tributarie definibili, ecc.).
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) – rilevanti art. 6 (tutela del contribuente in fase di riscossione), art. 7 (motivazione degli atti e indicazione del responsabile).
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – “Disposizioni sul processo tributario”. In particolare: art. 2 (ambito della giurisdizione tributaria, come modif. da DL 98/2011); art. 19 (atti impugnabili, include cartella, fermi, ipoteche, intimazioni); art. 47 (sospensione giudiziale); art. 68 (sospensione dell’esecutività limitatamente a 1/3 importi in caso di ricorso pendente, ecc. – modif. da L.130/2022).
- R.D. 14 aprile 1910, n. 639 – “Testo Unico delle disposizioni relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato” (Ingiunzione fiscale).
- Legge 689/1981 – “Modifiche al sistema penale” (sanzioni amministrative): art. 28 (prescrizione 5 anni delle sanzioni) citato.
- Codice di Procedura Civile – rilevanti: art. 491 e segg. (pignoramento in genere); art. 545 (limiti di pignorabilità di stipendi/pensioni); art. 615 (opposizione all’esecuzione); art. 617 (opposizione atti esecutivi).
- Legge 3/2012 (sovraindebitamento) e D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi) – disciplina esdebitazione del debitore civile (utilizzata in simulazione 4).
- Legge 160/2019 (legge bilancio 2020) – commi 784-814 art.1: introduce l’accertamento esecutivo per tributi locali dal 2020.
- Legge 130/2022 – riforma giustizia tributaria (istituzione Corti di Giustizia Tributarie, ritocchi a processo come testimonianza ammessa, ecc.).
- D.L. 146/2021 conv. L. 215/2021 – ha inserito nell’art. 12 DPR 602/73 il comma 4-bis che tipizza i casi impugnazione diretta ruolo/cartella per “interesse a tutela”: appalti, crediti PA, perdita benefici.
- D.Lgs. 29 settembre 2024, n. 110 – (attuazione delega fiscale L.118/2022) “Riforma della riscossione”. Principali novità dal 2025: tentativo notifica cartella entro 9 mesi da carico (non decadenziale); ampliamento ipotesi tutela giurisdizionale (aggiunti crisi impresa, finanziamenti, cessione azienda); potenziamento rateizzazioni (84 rate automatiche fino 120k, ecc.); regole su coobbligati solidali (sospensione prescrizione se principale rateizza).
- D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 – (delega fiscale tributi locali) allinea le regole regioni/enti locali ai principi nazionali; previsti avvisi esecutivi per tributi regionali dal 2026.
- Decreto Legge 34/2023 (c.d. Milleproroghe 2023) conv. L. 14/2023 – riapertura rottamazione-quater per decaduti entro 2024 (domanda entro 30/04/2025, pagamento entro 31/07/2025).
- Legge 197/2022 (Bilancio 2023) – art.1 commi 231-252: definizione agevolata “rottamazione-quater” dei carichi 2000-30/6/2022; commi 222-230: stralcio automatico carichi fino 1.000€ dal 2000-2015 (con eccezioni multe solo interessi).
- Legge 145/2018 (Bilancio 2019) – commi 184-199: “Saldo e stralcio” carichi persone fisiche ISEE < 20k (pagamento 16%,20%,35%).
Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione) citata:
- Cass., Sez. Un., 17/01/2017 n. 959: giurisdizione ordinaria per opposizione a fermo su credito di spese processuali (giurisdizione secondo natura credito).
- Cass., Sez. Un., 22/02/2018 n. 4485: (non citata testualmente, ma relativa a giurisdizione su cartella per sanzioni CDS: GdP per vizi notifica originaria).
- Cass., Sez. Un., 25/07/2018 n. 19667: (conferma giurisdizione trib anche su atti esecutivi pre-espropriazione se inerenti tributi).
- Cass., Sez. Un., 20/09/2018 n. 23397: prescrizione quinquennale per crediti erariali non preceduti da giudicato.
- Cass., Sez. Un., 24/12/2019 n. 34447: su confine giurisdizione trib/ord in materia esecutiva (prescrizione post-cartella è questione sottratta a giurisd. esecuzione? – conflitto risolto poi da SSUU 2098/2025).
- Cass., Sez. Un., 15/04/2021 n. 8500: su limiti impugnabilità estratto ruolo dopo L.215/2021 (interessi tutelati tipizzati).
- Cass., Sez. Un., 09/03/2022 n. 26283: su decorrenza nuove ipotesi impugnazione estratto ruoli.
- Cass., Sez. Un., 30/01/2025 n. 2098: (Ord. SSUU) conflitto giurisdizione su eccezione di prescrizione maturata dopo notifica cartella – afferma giurisdizione tributaria su tale eccezione.
- Cass., Sez. Un., 26/03/2025 n. 8069: simile a 2098/25, ribadisce intervento normativo e applicazione immediata ai giudizi pendenti (citato in rassegna).
- Cass., Sez. 5, 12/03/2025 n. 6588: conferma non impugnabilità estratto di ruolo se non nei casi legge (stessa linea).
- Cass., Sez. Trib., 09/03/2025 n. 6269: ordinanza che applica retroattivamente nuovi casi impugnazione estratto ruolo ai giudizi pendenti.
- Cass., Sez. 5, 16/12/2024 n. 32759: su pignoramento prima casa – conferma impignorabilità unica casa anche a procedure pendenti dal 2013 (retroattività favorevole).
- Cass., Sez. 6-L, 17/03/2020 n. 7409: contributi previdenziali – conferma prescrizione 5 anni anche dopo notifica cartella non impugnata.
- Cass., Sez. Un., 18/09/2023 n. 26339: (non citata prima) ribadisce che estratto di ruolo non è atto impugnabile se non nei casi ex art.12 c.4-bis DPR 602.
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Hai ricevuto una cartella esattoriale, un’intimazione o un atto di pignoramento?
Ti stanno aggredendo il conto, lo stipendio o la casa?
⚠️ Sei entrato nella fase di riscossione coattiva: è l’azione forzata con cui lo Stato cerca di recuperare i debiti non pagati, anche senza il tuo consenso.
💡 Ma attenzione: non tutto è legittimo. E puoi ancora difenderti.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza il tuo estratto di ruolo e gli atti notificati
📑 Verifica prescrizioni, vizi formali e irregolarità
⚖️ Presenta ricorso e ottiene sospensioni cautelari
🔁 Richiede piani di rateazione o saldo e stralcio
🧩 Ti assiste anche in caso di esdebitazione o sovraindebitamento
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso con Agenzia Entrate Riscossione
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di famiglie, imprenditori, pensionati e partite IVA
✔️ Consulente in strategie legali contro la riscossione forzata
Conclusione
La riscossione coattiva non è una condanna irreversibile.
Con le giuste verifiche e un avvocato esperto, puoi bloccare le procedure e difendere i tuoi beni.
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