Hai accumulato troppi debiti e non riesci più a farvi fronte con il tuo reddito? Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, solleciti o rifiuti di finanziamento e ti chiedi: c’è un modo legale per uscire da tutto questo e ripartire?
La risposta è sì. Se ti trovi in una situazione di sovraindebitamento – cioè non riesci più a pagare i debiti in modo regolare – puoi presentare un ricorso al tribunale per accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi. È una strada concreta per bloccare i creditori, sospendere le azioni esecutive e chiedere al giudice la cancellazione o la ristrutturazione dei debiti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi, tutela del patrimonio e difesa dei debitori – ti spiega quando puoi fare ricorso per sovraindebitamento, quali sono i requisiti, come funziona la procedura, e come possiamo aiutarti ad ottenere l’esdebitazione e ripartire legalmente.
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Introduzione
Il sovraindebitamento indica la situazione di squilibrio finanziario in cui una persona o piccola impresa non riesce più a far fronte ai propri debiti in modo regolare, pur non rientrando tra i soggetti assoggettabili alle normali procedure fallimentari (oggi liquidazione giudiziale). Per molto tempo, i debitori non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, imprenditori agricoli, ecc.) non disponevano di strumenti efficaci per uscire dalla crisi debitoria. Ciò è cambiato con la Legge 3/2012, che ha introdotto in Italia le prime procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, e più recentemente con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 ed entrato in vigore il 15 luglio 2022.
Le procedure di sovraindebitamento oggi disponibili sono quattro:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – una procedura riservata alle persone fisiche “consumatrici”, che consente di proporre al giudice un piano di pagamento parziale dei debiti, senza necessità di accordo dei creditori (analogo al vecchio “piano del consumatore” della L.3/2012).
- Concordato minore – una procedura concorsuale rivolta ai debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, etc.) per la ristrutturazione dei debiti, con prosecuzione eventuale dell’attività d’impresa, che richiede l’approvazione a maggioranza dei creditori (corrisponde in parte al vecchio “accordo di composizione”).
- Liquidazione controllata del sovraindebitato – una procedura di tipo liquidatorio applicabile a qualsiasi debitore sovraindebitato (persona fisica o impresa minore), in cui il patrimonio del debitore viene liquidato sotto controllo del tribunale per soddisfare i creditori, con successiva esdebitazione di diritto dei debiti residui (era la “liquidazione dei beni” ex L.3/2012).
- Esdebitazione del debitore incapiente – un’innovativa procedura introdotta dal CCII per il debitore persona fisica privo di beni o redditi e “meritevole”, che consente di ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza alcun pagamento (la cosiddetta “esdebitazione a costo zero”). È un rimedio eccezionale, applicabile una sola volta, subordinato a rigorose condizioni e con la previsione di un obbligo di pagamento entro 4 anni in caso di sopravvenienze attive rilevanti.
Nel corso della guida esamineremo in dettaglio ciascuna procedura, delineandone presupposti soggettivi, condizioni di accesso, fasi del procedimento, effetti dell’omologazione o apertura e possibili esiti. Forniremo consigli pratici sulla redazione del ricorso e sulla documentazione da allegare, evidenziando dove possibile modelli e accorgimenti operativi. Saranno inserite tabelle riepilogative per confrontare rapidamente le procedure tra loro e verranno proposti casi esemplificativi con numeri per illustrare il funzionamento pratico degli istituti. Infine, una sezione FAQ risponderà alle domande più frequenti (ad esempio: chi può accedere? quali debiti si possono stralciare? cosa succede alla casa di abitazione?). In chiusura, tutte le fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali citate verranno elencate per un rapido riferimento.
1. Ambito applicativo e definizioni
Prima di entrare nelle singole procedure, è fondamentale chiarire chi può accedere ai rimedi offerti dal sovraindebitamento e con quali limiti. Il CCII dedica l’art. 65 proprio all’ambito di applicazione delle procedure di sovraindebitamento, mutuando in gran parte le categorie già individuate dalla L.3/2012. In generale, si tratta di strumenti riservati ai debitori non assoggettabili alla liquidazione giudiziale, ossia coloro che non rientrano nell’ambito delle procedure concorsuali “maggiori” (fallimento/liquidazione giudiziale, concordato preventivo, amministrazione straordinaria):
- Consumatori: persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali. È considerato consumatore, ad esempio, il privato cittadino indebitato per mutui, prestiti personali, bollette, fideiussioni prestate a terzi, ecc., purché tali obbligazioni non siano legate a una propria attività d’impresa. Il CCII (come modificato dal D.Lgs. 136/2024) ha precisato che rientra nella nozione di consumatore anche il socio di società di persone o di capitali limitatamente ai debiti personali estranei all’attività d’impresa. In altre parole, anche un individuo socio di una SNC o SRL può accedere al piano del consumatore per i debiti che ha contratto a titolo personale (ad esempio un finanziamento per esigenze familiari), distinguendoli da quelli eventualmente contratti per fini aziendali.
- Imprenditori minori: sono gli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità previste dalla legge. Il CCII mantiene criteri dimensionali simili alla vecchia legge fallimentare: ad esempio, imprese individuali o società che negli ultimi esercizi non hanno superato determinati limiti di attivo patrimoniale, ricavi lordi e debiti (indicativamente, soglie come €300.000 di attivo, €200.000 di ricavi e €500.000 di debiti, secondo la normativa previgente). Tali imprese cosiddette “sotto soglia” non possono essere assoggettate a liquidazione giudiziale e quindi, in caso d’insolvenza, hanno accesso alle procedure di sovraindebitamento. Rientrano qui anche le start-up innovative e, in genere, gli imprenditori commerciali di piccole dimensioni.
- Imprenditori agricoli: storicamente esclusi dal fallimento, gli imprenditori del settore agricolo (anche se di grandi dimensioni) possono ricorrere solo alle procedure da sovraindebitamento in caso di insolvenza. Il CCII conferma questa peculiarità: l’imprenditore agricolo non può essere dichiarato in liquidazione giudiziale, ma può accedere alle soluzioni negoziate o alle procedure minori in funzione della dimensione dell’impresa. Ad esempio, un grande produttore agricolo insolvente non fallirà, ma potrà proporre un concordato minore o subire una liquidazione controllata. Le imprese agricole godono anzi di un regime di favore potendo scegliere, in taluni casi, tra più opzioni di regolazione della crisi in base alle caratteristiche del caso concreto.
- Professionisti, artisti e altri lavoratori autonomi: pur svolgendo un’attività economica, non sono soggetti a fallimento e dunque, se sovraindebitati, possono accedere alle procedure minori (concordato minore o liquidazione controllata). Ad esempio, un avvocato, uno studio tecnico, un commerciante individuale non “imprenditore” rientrano tra i soggetti ammessi.
- Enti non commerciali e start-up senza scopo di lucro: soggetti che, non svolgendo attività d’impresa commerciale o non avendo fini di lucro, non falliscono (es. associazioni, fondazioni non imprenditoriali) possono anch’essi utilizzare questi strumenti in caso di insolvenza.
- Debitori civili in genere: qualsiasi persona fisica non fallibile sovraindebitata – si pensi ad esempio a un pensionato oberato dai debiti – è potenzialmente ammessa al beneficio.
Al contrario, non possono usare le procedure di sovraindebitamento gli imprenditori commerciali sopra le soglie di fallibilità (che dovranno ricorrere al concordato preventivo, liquidazione giudiziale o altri strumenti maggiori) e in generale i soggetti per i quali la legge prevede procedure concorsuali diverse (ad es. banche, assicurazioni, enti pubblici).
La definizione normativa di sovraindebitamento nel CCII (art. 2, co.1, lett. c) rimane sostanzialmente quella già contenuta nella L.3/2012, includendo tanto lo stato di crisi (difficoltà economico-finanziaria reversibile) quanto lo stato di insolvenza conclamata del debitore non fallibile. Si tratta dunque di uno spettro ampio di situazioni, dal semplice squilibrio che rende probabile l’insolvenza fino all’incapacità definitiva di adempiere alle obbligazioni. In termini pratici, un debitore “sovraindebitato” è colui che non riesce più a pagare regolarmente i propri debiti (rate di mutuo, finanziamenti, fornitori, tasse, ecc.) e non ha accesso alle procedure concorsuali ordinarie. Ai fini dell’accesso ai benefici dell’esdebitazione, però, il legislatore richiede anche un profilo di meritevolezza: in tutte le procedure è previsto che il debitore non abbia provocato la propria situazione con dolo o colpa grave, né che abbia compiuto atti in frode ai creditori (ad esempio, sottrazione di beni). L’assenza di frode e di condotte gravemente imprudenti è un filo conduttore essenziale: il sistema favorisce il fresh start di chi è onestamente incapiente o sfortunato, ma non premia chi ha agito con malafede.
Un ruolo chiave in queste procedure è svolto dagli Organismi di Composizione della Crisi (OCC). Gli OCC sono enti (pubblici o privati iscritti in un apposito registro ministeriale) deputati ad assistere il debitore nella gestione della crisi da sovraindebitamento. Possono essere costituiti presso gli Ordini professionali (ad es. Ordine dei dottori commercialisti, degli avvocati) o presso le Camere di Commercio, oppure essere società o fondazioni autorizzate. Quando un debitore intende avviare una procedura di sovraindebitamento, deve solitamente rivolgersi a un OCC nel circondario del Tribunale competente. L’OCC nomina un gestore della crisi (spesso un professionista esperto in materia) il quale avrà vari compiti: aiutare a predisporre la proposta o il piano, verificare i dati, redigere la relazione particolareggiata, fungere da commissario giudiziale o liquidatore durante la procedura. In pratica, l’OCC è l’organismo terzo e indipendente che garantisce il controllo della procedura e l’assistenza tecnica necessaria sia al debitore sia al tribunale. Se nel distretto non esiste un OCC disponibile, il tribunale può nominare un professionista individuale con funzioni analoghe.
È importante notare che, al momento del deposito del ricorso, l’assistenza di un avvocato è facoltativa per legge (il ricorso è ammissibile anche con la sola firma del debitore e del Gestore OCC). Ciò non significa che sia consigliabile procedere senza legale: al contrario, la figura dell’avvocato rimane fondamentale per tutelare al meglio il debitore in tutte le fasi successive (udienza, contraddittorio con i creditori, eventuali contestazioni). L’intento della norma è solo quello di semplificare l’accesso iniziale, evitando formalità eccessive: l’OCC può presentare la domanda al tribunale anche senza procura alle liti. Tuttavia, il debitore dovrà verosimilmente avvalersi di consulenti (legale e/o finanziario) per preparare il piano e la documentazione in modo adeguato, fermo restando che l’OCC non può coincidere con il “consulente di parte” del debitore (dovendo poi redigere una relazione imparziale sulla condotta del debitore stesso).
Un’altra innovazione del CCII è la disciplina delle procedure familiari. Già prevista dall’art. 7-bis L.3/2012, ora confluita nell’art. 66 CCII, essa consente ai membri di una stessa famiglia, conviventi o con debiti comuni, di presentare un ricorso congiunto per la risoluzione unitaria della crisi. In pratica, più soggetti legati da vincoli familiari (coniuge, parenti fino al 4° grado, affini fino al 2° grado) o anche semplicemente coobbligati per le stesse obbligazioni, possono accedere insieme a un’unica procedura di sovraindebitamento. Ad esempio, marito e moglie indebitati insieme, oppure soci illimitatamente responsabili di una SNC, possono presentare un unico progetto di ristrutturazione dei debiti comune. Il tribunale nominerà un unico giudice delegato e un unico OCC/gestore, formando massa attiva e passiva unitarie ai fini del procedimento. Rimangono tuttavia distinte le posizioni debitorie personali (ogni debitore conserva la propria “massa” di debiti e relativi beni, sebbene gestite congiuntamente). Le procedure familiari mirano a ottimizzare tempi e costi quando l’insolvenza coinvolge intere famiglie.
Da ultimo, va segnalato che il D.Lgs. 136/2024 (“Correttivo ter”) ha introdotto la regola per cui non è ammesso nelle procedure di sovraindebitamento il deposito di una “domanda in bianco” o prenotativa (come invece avviene per il concordato preventivo). Il debitore, quindi, non può limitarsi a depositare un’istanza generica per bloccare le azioni esecutive riservandosi di presentare il piano in seguito: la richiesta di accesso al concordato minore o al piano del consumatore deve sin da subito contenere la proposta, il piano e la documentazione completa. Questo per evitare un uso strumentale dei termini di sospensione a discapito dei creditori. In compenso, come vedremo, se sono i creditori a chiedere l’apertura di una liquidazione controllata, al debitore è concessa una finestra temporale (fino a 120 giorni) per presentare un proprio piano o concordato e salvarsi dalla liquidazione.
2. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore
Il piano del consumatore, ora denominato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, è la procedura di sovraindebitamento pensata specificamente per le persone fisiche non fallibili che hanno contratto debiti nella sfera privata (utenze, mutui, finanziamenti personali, debiti verso privati, fisco per tasse personali, etc.). Si tratta dell’evoluzione del “piano del consumatore” introdotto nel 2012, con alcune novità ma sostanza analoga: il consumatore può proporre al tribunale un piano di pagamento parziale e/o dilazionato dei propri debiti, da attuare con le risorse economiche disponibili, ottenendo al termine l’esdebitazione del residuo. La caratteristica principale di questa procedura è che non richiede l’accordo dei creditori: l’omologazione del piano avviene su valutazione del giudice, che verifica la fattibilità e la correttezza della proposta. Ciò tutela il debitore meritevole dalle pretese di eventuali creditori dissenzienti, potendo il giudice imporre il piano anche contro la loro volontà, purché siano rispettati determinati requisiti di legge.
2.1 Presupposti di ammissibilità e caratteristiche del piano
Chi può accedere: esclusivamente il debitore “consumatore”, definito come visto come persona fisica estranea all’attività di impresa o professionale. Se il soggetto ha anche debiti derivanti da attività imprenditoriale (es. era un piccolo imprenditore), in teoria non potrebbe qualificarsi come consumatore. In passato ciò creava vuoti di tutela per chi aveva debiti misti (in parte privati, in parte d’impresa, magari come garante di società): tali soggetti non rientravano nei piani del consumatore, ma neppure potevano accedere al concordato minore se non offrivano un apprezzabile apporto esterno. La riforma del 2024 ha attenuato questo problema: oggi, in presenza di debiti misti, l’orientamento è di ammettere comunque il concordato minore come soluzione, riservando il piano del consumatore solo a chi ha debiti personali puri. Dunque il presupposto soggettivo è stringente: deve trattarsi di una persona fisica sovraindebitata che non sia un imprenditore in esercizio. È però considerato consumatore – come già detto – il fideiussore o coobbligato che abbia garantito debiti altrui per ragioni personali: la giurisprudenza ha chiarito che il fideiussore che agisce per fini estranei all’attività dell’impresa garantita può qualificarsi consumatore (Cass. civ. n. 742/2020).
Stato di insolvenza o crisi: non è necessario trovarsi già in insolvenza conclamata; basta uno stato di crisi inteso come difficoltà a soddisfare regolarmente le obbligazioni. Il debitore deve comunque trovarsi in una situazione tale per cui, ragionevolmente, non riuscirà a pagare tutti i debiti alle scadenze concordate. Il piano del consumatore può prevedere di soddisfare i creditori parzialmente e/o con dilazioni temporali significative, purché sia garantito un equilibrio e una sostenibilità nel pagamento.
Meritevolezza: condizione fondamentale è che il consumatore sia esente da comportamenti gravemente colposi o dolosi all’origine dell’indebitamento. In concreto, il giudice valuterà se il sovraindebitamento è dovuto a circostanze sfortunate (perdita del lavoro, malattia, crisi economica, ecc.) oppure se il debitore ha contratto debiti in modo imprudente, sproporzionato alle proprie capacità, o addirittura fraudolento. La presenza di atti in frode ai creditori (es. aver nascosto o dissipato beni prima del ricorso) comporta l’inammissibilità. Il CCII richiede inoltre che il debitore non abbia già beneficiato di un’esdebitazione in tempi recenti: niente altro piano del consumatore se nei 5 anni precedenti ha ottenuto un’esdebitazione; inoltre la legge pone un limite di due volte in totale al ricorso a procedure di sovraindebitamento con esdebitazione. In pratica, un consumatore può accedere al beneficio al massimo due volte nella vita, e comunque non più di una volta ogni 5 anni (questo per evitare abusi e recidive frequenti).
Contenuto del piano: il piano di ristrutturazione dei debiti è estremamente flessibile. Può consistere in qualsiasi proposta di regolazione dei debiti senza limiti predeterminati, salvo il rispetto delle norme inderogabili. Il debitore può proporre: pagamento parziale dei crediti chirografari (una falcidia delle somme dovute), pagamento integrale o ridotto dei crediti privilegiati nei limiti del valore del bene su cui insiste la garanzia, moratorie e dilazioni pluriennali, suddivisione dei creditori in classi, ecc. Ad esempio, si possono distinguere classi di creditori se vi è un motivo ragionevole (nel piano del consumatore la classificazione non è obbligatoria come nel concordato, ma è ammessa). È possibile prevedere che alcuni creditori ricevano percentuali diverse oppure che taluni vengano soddisfatti da terzi apportatori (es. un familiare del debitore decide di contribuire finanziariamente al piano). L’apporto di risorse esterne non è obbligatorio nel piano del consumatore, ma può essere utilissimo per aumentare la percentuale offerta ai creditori e rendere il piano più sostenibile. Il CCII, per i piani e concordati minori, ha chiarito il concetto di “risorse esterne”: si tratta di nuovo attivo apportato al patrimonio del debitore che incrementa in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Dopo il correttivo 2024, il parametro è legato all’incremento dell’attivo disponibile rispetto a quello esistente, più che a una percentuale predeterminata di soddisfacimento. In sintesi, nel piano si può offrire ai creditori qualsiasi forma di utilità (denaro, beni in pagamento, cessione di crediti futuri, ecc.), purché il piano risulti fattibile e conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Trattamento dei crediti privilegiati: il piano del consumatore può prevedere il pagamento parziale anche dei creditori privilegiati (p.e. Ipoteche, pegni) purché sia assicurato a ciascuno di essi almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione del relativo bene. In pratica, se un creditore ha garanzia su un bene, si determina il presumibile ricavato di vendita di quel bene e il piano deve garantire il pagamento di un importo non inferiore. Questa valutazione viene fatta sulla base di un’attestazione dell’OCC (relazione particolareggiata). Non è invece più prevista espressamente la moratoria fino a un anno per iniziare i pagamenti dei creditori privilegiati, che esisteva nella legge 3/2012: il CCII ha eliminato il limite di un anno, lasciando la possibilità di pagare i privilegiati anche con dilazioni più lunghe, se il creditore è d’accordo. La Cassazione aveva già ritenuto nella vigenza della L.3/2012 che la moratoria potesse essere estesa con consenso del creditore, e il nuovo codice si pone in linea con questa flessibilità negoziale.
Debiti con trattenuta sullo stipendio (cessione del quinto): il piano del consumatore consente espressamente di falcidiare (ridurre) i debiti derivanti da finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio/pensione. Ciò significa che il debitore può includere nel piano anche tali finanziamenti, proponendo di pagarli parzialmente, nonostante siano assistiti da trattenuta diretta. È una particolarità importante, introdotta già con la L.3/2012, che supera il rigido meccanismo della cessione del quinto (altrimenti il debitore sarebbe costretto comunque a cedere il quinto fino a estinzione del debito).
Debiti fiscali (IVA e ritenute): una novità di rilievo apportata dal CCII è la possibilità di includere nel piano proposte di pagamento parziale anche per debiti tributari altrimenti considerati intangibili. In particolare, è ora ammesso trattare l’IVA e le ritenute non versate con pagamento parziale, non più necessariamente integrale. In passato la L.3/2012 prevedeva che IVA e ritenute dovessero essere soddisfatte integralmente (salvo dilazione) a pena di inammissibilità, ma questa disposizione è stata dichiarata incostituzionale (Corte Cost. 245/2019) e il nuovo Codice ne ha fatto tesoro. Pertanto, nel piano del consumatore odierno è possibile prevedere stralci anche sui debiti IVA, ferma restando la valutazione di convenienza da parte del giudice e il parere dell’amministrazione finanziaria.
Debiti esclusi dalla liberazione: non tutti i debiti possono essere cancellati dalla procedura. Analogamente a quanto avviene nel fallimento, restano in ogni caso a carico del debitore gli obblighi di mantenimento e alimentari, le obbligazioni derivanti da risarcimento di danni da fatto illecito e le sanzioni penali/ammende. Ad esempio, le somme dovute per mantenimento dei figli o del coniuge separato, oppure una multa comminata in sede penale, non possono essere falcidiate né esdebitate: il debitore, anche dopo la procedura, dovrà pagarle integralmente (art. 282 CCII). Il piano dunque non può incidere su tali crediti “non falcidiabili”. Può tuttavia prevederne la dilazione se necessario.
Salvaguardia dell’abitazione principale: un elemento di grande importanza sociale è la tutela della prima casa. Il piano del consumatore prevede espressamente la possibilità per il debitore di conservare la propria abitazione gravata da mutuo ipotecario, continuando a pagare le rate del mutuo come da contratto, fuori dal piano. Ciò è possibile a condizione che il debitore sia in regola con i pagamenti delle rate o, se in temporaneo arretrato, che il giudice lo rimetta in termini (ossia gli consenta di sanare l’arretrato). In tal caso, il mutuo ipotecario sulla casa non viene toccato dal piano: il debitore continua a pagarlo normalmente, evitando la risoluzione del finanziamento e la conseguente esecuzione immobiliare. Questa norma consente di salvare la casa di abitazione in molti casi, purché il debitore abbia un reddito sufficiente a mantenere il pagamento del mutuo corrente. Se invece il debito ipotecario è insostenibile, si dovrà valutare la vendita dell’immobile o altre soluzioni (es. rinegoziazione). Ma quando possibile, la legge favorisce la continuità dell’indebitamento immobiliare per l’abitazione, sottraendolo alla falcidia e mantenendolo estraneo alla procedura. In sintesi: se il debitore riesce a continuare a pagare il mutuo prima casa, potrà conservarla; i creditori chirografari saranno soddisfatti con le altre risorse, senza intaccare l’abitazione.
2.2 Presentazione della domanda e procedimento
Competenza territoriale: il ricorso per l’omologazione del piano del consumatore va presentato al Tribunale del luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali (COMI). Tipicamente, per una persona fisica coincide con la residenza o domicilio abituale. Il CCII adotta il concetto di COMI in linea con il Regolamento UE sulle insolvenze transfrontaliere, superando il semplice criterio della residenza: ad esempio, se un debitore italiano vive temporaneamente all’estero ma i suoi affari e debiti sono ancora concentrati in Italia, il COMI potrebbe ritenersi in Italia. Nella stragrande maggioranza dei casi del consumatore, comunque, si farà riferimento al Tribunale del luogo di residenza del debitore.
Scelta e attivazione dell’OCC: prima di depositare il ricorso in tribunale, il debitore deve contattare un OCC nel circondario del tribunale competente. Sul sito del Ministero della Giustizia è disponibile l’elenco degli OCC autorizzati, e spesso presso ogni tribunale c’è almeno un organismo convenzionato. Il debitore espone la propria situazione debitoria all’OCC, il quale verifica la sussistenza dei presupposti e accetta l’incarico di gestore della crisi. Se nel circondario non vi fossero OCC, o fossero sovraccarichi, il Presidente del Tribunale può designare un professionista indipendente (es. un commercialista) con funzioni analoghe. Una volta individuato il gestore, questi aiuta il debitore a predisporre piano e documentazione, e alla fine trasmette il ricorso al tribunale tramite PEC. È l’OCC formalmente a depositare la domanda (la norma dice “la domanda è presentata tramite un OCC” – art. 68 CCII).
Contenuto del ricorso: l’istanza presentata al tribunale deve includere:
- La proposta di piano con l’indicazione dettagliata di tempi e modalità di adempimento. Deve essere chiaro come il debitore intenda utilizzare le proprie risorse nei confronti di ciascun creditore, con che tempistiche (es. pagamento mensile per 5 anni, oppure saldo immediato al X% grazie a un finanziamento terzo, ecc.). Il piano può essere redatto in forma libera, ma dev’essere completo e coerente.
- La relazione particolareggiata dell’OCC (Gestore della crisi) sui vari aspetti richiesti dalla legge. Questa relazione è un documento essenziale in cui l’organismo attestatore riferisce sulla completezza e attendibilità della documentazione fornita, sulla situazione patrimoniale e reddituale del debitore, sulle cause dell’indebitamento, sul comportamento tenuto (valutando la diligenza e l’assenza di atti in frode) e sulla fattibilità del piano. In particolare, l’OCC deve attestare che il piano è sostenibile e che il debitore ha agito con sufficiente prudenza (o quantomeno senza colpa grave) nell’assumere le obbligazioni. Questa attestazione offre al giudice un elemento di giudizio tecnico fondamentale sulla meritevolezza e realizzabilità della proposta.
- La documentazione obbligatoria a corredo della domanda. Il CCII, diversamente dalla vecchia legge, non elenca più in modo analitico tutti i documenti richiesti (si limita a pretendere la documentazione “prevista dalla legge” senza dettagli). Tuttavia, facendo riferimento all’esperienza pregressa (art. 9 e 14 L.3/2012) e alle linee guida, possiamo indicare quali documenti tipicamente devono accompagnare il ricorso:
- l’elenco di tutti i creditori con indicazione delle somme dovute a ciascuno, delle eventuali cause di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni) e del relativo domicilio digitale (PEC). Questo elenco è cruciale perché definisce la massa passiva. Deve comprendere tutti i debiti esistenti alla data, nessuno escluso, per trasparenza verso il tribunale e i creditori.
- l’elenco dei beni del debitore (e dei condebitori/fideiussori), con la descrizione del patrimonio mobiliare e immobiliare, eventuali polizze, conti correnti, partecipazioni societarie, ecc., e l’indicazione di eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi anni (in genere 5 anni).
- una relazione aggiornata sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore: in pratica un prospetto riepilogativo dello stato attivo/passivo e del bilancio familiare.
- le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni (se il debitore era tenuto a presentarle) e ogni ulteriore documentazione su entrate correnti (es. buste paga, cedolino pensione, ecc.). Se il debitore non ha redditi ufficiali, occorre una dichiarazione sostitutiva o altra prova della propria situazione reddituale.
- per il debitore consumatore l’indicazione di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia. È prassi allegare un prospetto delle spese mensili necessarie (vitto, affitto, utenze, trasporti, spese mediche, ecc.), così da giustificare la parte di reddito che rimarrà esclusa dai pagamenti ai creditori in quanto destinata ai bisogni primari. La legge infatti impone di salvaguardare una quota di reddito sufficiente a un dignitoso sostentamento del debitore e dei familiari a carico.
- lo stato di famiglia o autocertificazione della composizione del nucleo familiare, utile per valutare i carichi di famiglia.
- un certificato dei carichi pendenti e delle procedure concorsuali: viene solitamente richiesta una visura in Centrale Rischi e nei registri di fallimenti/procedure, per attestare che il debitore non è soggetto a fallimento e non ha fatto altre procedure (non sempre allegato dal debitore stesso, spesso verificato dall’OCC).
- copia di eventuali atti di pignoramento o decreti ingiuntivi notificati, se esistenti, per informare il giudice delle azioni esecutive in corso.
L’OCC trasmette quindi telematicamente al tribunale il ricorso completo di piano, relazione e allegati. Da questo momento si avvia la procedura giudiziale.
Effetti della presentazione – misure protettive: il debitore, contestualmente al ricorso, può chiedere l’applicazione di misure protettive a tutela del patrimonio. Nella L.3/2012 il semplice deposito produceva automaticamente la sospensione delle azioni esecutive; ora, invece, occorre un’apposita istanza e un provvedimento del giudice. Le misure protettive possono includere la sospensione delle procedure esecutive individuali in corso e il divieto di intraprenderne di nuove durante la pendenza dell’omologazione. Ad esempio, se un creditore ha avviato un pignoramento, il debitore chiederà al giudice di sovraindebitamento di sospenderlo fino all’omologazione. Il tribunale, valutata la domanda, emette un decreto che fissa l’udienza di omologazione e concede le misure protettive richieste (se ci sono i presupposti, tipicamente se il piano appare non manifestamente inammissibile). Con il decreto, viene nominato eventualmente un commissario giudiziale (spesso coincide con lo stesso gestore OCC) che vigilerà nel frattempo. Le misure protettive, una volta concesse, hanno effetto erga omnes: vengono comunicate a tutti i creditori indicati nel piano (anche via PEC) e, dal momento della comunicazione, bloccano i procedimenti di esecuzione sui beni del debitore. Restano salve però le azioni per i diritti impignorabili (es. alimenti) e proseguono eventuali procedure riguardanti obbligazioni garantite da fideiussori o coobbligati (cioè, se un terzo ha garantito, i creditori potranno rivalersi su di lui). Le misure protettive durano per tutto il tempo necessario all’omologazione e perdono efficacia se la procedura si chiude o viene rigettata.
Da notare che, con l’ammissione alla procedura, scattano anche alcuni effetti automatici previsti dalla legge: in particolare, diventano inefficaci rispetto ai creditori alcuni atti dispositivi eventualmente compiuti dal debitore dopo il deposito del ricorso. Ciò per evitare che, nel frattempo, il debitore possa pregiudicare la par condicio. Inoltre, il debitore non può aggravare la propria esposizione: ad esempio, eventuali interessi maturati dopo l’omologazione non sono dovuti (salvo ipoteche).
Udienza ed omologazione: una volta depositata la domanda, il Tribunale (o Giudice delegato) esamina gli atti. Se la documentazione è completa e la proposta appare ammissibile, fissa l’udienza di comparizione del debitore e dell’OCC, disponendo la notificazione del ricorso e del decreto ai creditori. I creditori hanno diritto di prendere visione del piano e della relazione e possono presentare eventuali opposizioni o osservazioni. Nell’udienza, tipicamente, il giudice verifica ancora la sussistenza dei requisiti e ascolta l’eventuale creditore opponente. Poiché nel piano del consumatore non c’è votazione, l’udienza serve proprio per far emergere eventuali contestazioni: ad esempio, un creditore potrebbe eccepire che il debitore non è meritevole (magari producendo prove di spese voluttuarie, atti fraudolenti, ecc.) oppure che il piano lo danneggia ingiustamente (riceverebbe meno che in un’alternativa liquidatoria). L’OCC e il debitore replicano a tali opposizioni.
Il giudice quindi valuta se:
- il piano soddisfa le condizioni di legge (completezza documentale, rispetto delle priorità dei privilegi, eventuale fattibilità economica);
- il debitore è meritevole (assenza di dolo o colpa grave);
- il piano offre ai creditori un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in una liquidazione dell’intero patrimonio. Questo è il cosiddetto ”best interest test”: occorre che nessun creditore sia peggiorato dal piano rispetto allo scenario liquidatorio. Ad esempio, se dal calcolo risulta che in caso di liquidazione del patrimonio i creditori chirografari prenderebbero il 10%, il giudice omologherà un piano che prevede il pagamento, poniamo, del 20% (quindi migliorativo) ma non omologherebbe un piano che offrisse solo il 5%.
Se non vi sono opposizioni, o se le opposizioni sono infondate e respinte, il tribunale procede all’omologazione del piano con decreto motivato. Il decreto di omologazione viene comunicato a tutte le parti. Da quel momento, il piano omologato diventa vincolante per tutti i creditori antecedenti, anche se non consenzienti. Gli eventuali creditori rimasti silenti o dissenzienti non potranno più agire esecutivamente al di fuori di quanto previsto dal piano.
Va sottolineato che l’omologazione può avvenire anche in presenza di opposizione di creditori, grazie al meccanismo di cram down giudiziale tipico di questa procedura. Il giudice può omologare il piano nonostante il dissenso dei creditori purché ritenga soddisfatte le condizioni di legge e che il credito dell’opponente riceva nel piano una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile nella liquidazione. In sostanza, la convenienza del piano è valutata oggettivamente: se il creditore otterrà dal piano almeno quanto ricaverebbe pignorando i beni del debitore, la sua opposizione viene superata. Questa è una differenza cruciale rispetto al concordato minore (dove serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti, come vedremo). Nel piano del consumatore, il parere dei creditori non è decisivo: conta la valutazione del giudice sulla fattibilità e sull’equità complessiva.
Se invece il tribunale non omologa – ad es. perché scopre elementi di frode, o perché il piano è manifestamente non sostenibile – emette decreto motivato di diniego. Contro il decreto di rigetto il debitore può proporre reclamo. In caso di rigetto definitivo, il tribunale dichiara inefficaci le eventuali misure protettive concesse e, su istanza del debitore stesso, può contestualmente aprire la liquidazione controllata del patrimonio. Questa possibilità di “conversione” permette al consumatore, il cui piano sia stato bocciato magari per sopravvenienze negative, di ripiegare immediatamente sulla procedura liquidatoria e accedere comunque all’esdebitazione, evitando di tornare punto e a capo. Se il rigetto è dovuto a frodi del debitore, la legge addirittura consente ai creditori o al PM di chiedere l’apertura della liquidazione controllata coattiva.
2.3 Esecuzione del piano e chiusura della procedura
Una volta omologato, il piano deve essere puntualmente eseguito dal debitore. Egli continua a gestire in autonomia il proprio patrimonio (non c’è spossessamento, a differenza della liquidazione), ma l’OCC di norma mantiene un ruolo di controllo e monitoraggio. Talvolta il decreto di omologazione nomina espressamente un professionista delegato (spesso lo stesso gestore) per sovraintendere all’esecuzione, raccogliere i pagamenti e distribuirli ai creditori secondo il piano. In altri casi, soprattutto se il piano prevede pagamenti diretti e semplici, l’OCC si limita a richiedere periodicamente rendiconti e attestare il completamento.
Durante l’esecuzione, il debitore deve rispettare rigorosamente le scadenze e gli importi stabiliti. Ha l’obbligo di non aggravare la propria posizione finanziaria: non può ad esempio contrarre nuovi debiti che compromettano il piano, né alienare beni senza l’eventuale autorizzazione prevista dal piano stesso. Se il piano dura diversi anni, è possibile che il debitore incontri difficoltà (es. temporanea perdita di reddito). La legge non prevede in modo espresso un meccanismo di modifica del piano omologato (come invece accade per il concordato preventivo in certi casi), ma in dottrina si ritiene ammissibile un’istanza al giudice per ottenere lievi adattamenti o proroghe, in presenza di giustificati motivi e col consenso dell’OCC.
Al completamento dei pagamenti previsti, l’OCC presenta un rapporto conclusivo al tribunale certificando che il piano è stato eseguito correttamente. A questo punto il giudice emette un decreto che attesta l’adempimento e dichiara l’esdebitazione del debitore, ossia la liberazione da tutti i debiti residui non soddisfatti nel piano. In realtà, per il piano del consumatore molti ritengono che l’esdebitazione sia effetto automatico dell’avvenuto adempimento (diversamente dalla liquidazione, dove occorreva un’istanza separata nella vecchia legge). Già il CCII dispone che nella liquidazione l’esdebitazione è concessa di diritto a chi collabora e non commette irregolarità; per il piano, essendo i creditori vincolati dall’omologazione, il saldo e stralcio si perfeziona semplicemente con la completa esecuzione. In ogni caso, è buona prassi avere un provvedimento formale che chiude la procedura.
Effetti finali – esdebitazione: il debitore, adempiuto il piano, è definitivamente libero dai debiti pregressi rimasti insoddisfatti. Questi debiti vengono dichiarati inesigibili verso di lui. Attenzione: ciò non significa che siano estinti in senso assoluto – eventuali coobbligati o fideiussori dei medesimi debiti restano obbligati per la parte non pagata (salvo che anch’essi abbiano beneficiato di una procedura). L’esdebitazione opera solo sul soggetto debitore che ha fatto il piano. I creditori chirografari che hanno ricevuto ad es. il 30% delle somme nel piano, non potranno più agire sul debitore per il restante 70%. I creditori privilegiati che non hanno ottenuto la parte eccedente il valore del pegno/ipoteca non potranno pretendere il residuo chirografario. Invece, come detto, alcuni debiti “imprescrittibili” (alimenti, danni da illecito, multe) non sono toccati dall’esdebitazione: il debitore li dovrà comunque onorare separatamente.
Revoca dell’esdebitazione: il beneficio può essere revocato dal tribunale su istanza di un creditore in caso di condotte fraudolente scoperte dopo. Ad esempio, se emergesse che il debitore ha dolosamente nascosto un patrimonio durante il piano, il giudice – entro un anno dalla scoperta – può revocare l’esdebitazione e far tornare i creditori in possesso dei loro diritti per intero. In generale, la scoperta di atti in frode o di informazioni false determinerebbe serie conseguenze per il debitore (anche penali, essendo previste specifiche fattispecie di reato per chi rende false attestazioni o distrae beni nelle procedure da sovraindebitamento).
Conversione in liquidazione controllata: se invece, durante l’esecuzione, il debitore non adempie regolarmente e ciò compromette in modo sostanziale il piano, i creditori o l’OCC possono segnalare l’inadempimento al tribunale. Il giudice potrà revocare l’omologazione del piano e dichiarare aperta la liquidazione controllata, su istanza di parte. Ad esempio, se il debitore smette di versare le rate dovute senza giustificato motivo, la procedura concordataria può essere convertita in procedura liquidatoria, così che i creditori tentino di soddisfarsi sul patrimonio residuo. In tal caso, ovviamente, l’esdebitazione finale non sarà automatica ma subordinata alle regole della liquidazione (collaborazione del debitore, ecc.). Fortunatamente, non tutti gli inadempimenti minori portano a questa conseguenza: spesso si cerca, con la vigilanza OCC, di rinegoziare marginalmente il piano o concedere breve tempo, specie se la maggioranza dei creditori è d’accordo.
2.4 Esempio pratico di piano del consumatore
Per comprendere meglio il funzionamento, ipotizziamo il caso di Mario, un impiegato con stipendi mensili, che si trova in difficoltà economica. Mario ha accumulato vari debiti come consumatore:
- Residuo mutuo prima casa: €120.000 (rate mensili €600, ipoteca sulla casa dove vive con la famiglia).
- Prestiti personali e carte di credito: €30.000 (debiti chirografari verso banche/finanziarie).
- Debiti tributari: €10.000 (di cui €6.000 per IVA non versata come ex lavoratore autonomo e €4.000 per IMU arretrata).
- Altri debiti: €5.000 verso un privato che gli aveva prestato denaro.
Il totale del debito è circa €165.000. Mario percepisce uno stipendio netto di €1.800 e la moglie €600 da lavoro part-time; hanno due figli a carico. Le spese familiari essenziali ammontano a circa €1.400 al mese (affrancate dal mutuo perché la rata del mutuo è a parte). Dunque, teoricamente, dal reddito di Mario resterebbero ~€400 mensili di capacità di rimborso. Tuttavia, con €400/mese potrebbe ripagare ben poco dei €45.000 di debiti chirografari: in 5 anni raccoglierebbe €24.000, pari a meno della metà dei debiti. Inoltre deve considerare che ha anche l’IVA tra i debiti (che prima non poteva tagliare) e che se i creditori agissero esecutivamente rischierebbe di perdere la casa all’asta.
Soluzione con piano del consumatore: Mario si rivolge all’OCC e predispone un piano così strutturato:
- Mantenimento del mutuo casa: Mario è in regola con le rate e decide di continuare a pagarle normalmente fuori piano (€600/mese). In questo modo la casa non viene toccata dalla procedura e l’ipoteca della banca rimane, ma Mario eviterà la vendita forzata. Il giudice autorizza ciò poiché la rata è sostenibile e la casa è l’abitazione familiare.
- Uso del reddito disponibile per i creditori chirografari: Mario si impegna a versare €400 al mese per 5 anni nel piano, destinandoli interamente ai creditori chirografari (banche, finanziarie, privati, e anche al fisco per la parte senza garanzie). In 5 anni questi versamenti raggiungeranno €24.000.
- Contributo di terzi: i genitori di Mario offrono un aiuto di €6.000 una tantum da versare subito nel piano, per aumentare la percentuale di soddisfacimento.
- Trattamento dei crediti privilegiati/garantiti: Mario non ha creditori con pegno o ipoteca a parte la banca del mutuo (che è fuori piano). Ha però un debito IVA €6.000 che sarebbe prededucibile. Nel piano propone di pagarne €2.000 (33%), suddivisi nei 5 anni, e chiede il parziale stralcio del restante. L’OCC attesta che se la casa di Mario fosse liquidata la parte di IVA chirografa sarebbe zero (perché l’ipoteca della banca assorbe tutto il valore), quindi offrire il 33% è conveniente per l’erario rispetto alla liquidazione. Gli altri debiti erariali (IMU €4.000) saranno inclusi nel riparto generale.
- Riparto ai creditori chirografari: sommando €24.000 (rate stipendio) + €6.000 (aiuto familiari) = €30.000, disponibili in piano per i chirografari. Il totale dei debiti chirografari (banche, carte, privato, fisco chirografo) è circa €45.000. Pertanto, la percentuale offerta è circa 67%. Nel dettaglio: alle finanziarie andrà il 67% dei loro crediti, al privato pure, al fisco sul debito IMU 67% e sull’IVA 33% (essendo privilegiata in parte, ma come visto quell’importo è comunque di più di quanto otterrebbe dall’eventuale vendita forzata dei beni di Mario, visto che la casa è già coperta dall’ipoteca bancaria).
- Durata del piano: 5 anni (60 mesi) per completare i versamenti periodici.
- Meritevolezza: Mario illustra che i suoi debiti derivano in parte da un periodo di disoccupazione passato e da spese mediche per un figlio, senza alcuna volontà dilatoria o sperperi ingiustificati. Non ha compiuto atti anomali negli ultimi anni. L’OCC attesta la sua buona fede.
Verifica giudiziale: all’udienza, nessun creditore si oppone formalmente. Le finanziarie accettano tacitamente il 67%, il privato pure (per lui è meglio recuperare 3.350€ su 5.000, piuttosto che rischiare nulla). L’Agenzia delle Entrate segnala di non opporsi poiché il piano rispetta i criteri di legge (l’IVA viene parzialmente falcidiata ma in misura non inferiore al realizzo ipotetico, e comunque la Convenienza è rispettata; l’IMU è chirografa e prende 67%). Il giudice verifica che, se Mario fosse costretto alla liquidazione del patrimonio, lo scenario sarebbe peggiore per i creditori: il solo bene aggredibile sarebbe la casa, ma vendendola all’asta con ipoteca della banca (credito 120k) probabilmente non rimarrebbe nulla per chirografari; inoltre, in 5 anni di pignoramento dello stipendio i creditori avrebbero preso forse 20-25% e non 67%. Quindi il piano è nettamente conveniente. Inoltre la famiglia di Mario può conservare la casa (evitando costi sociali). Il tribunale dunque omologa il piano.
Esecuzione: Mario continua a pagare regolarmente il mutuo (€600/mese) e in parallelo versa €400/mese all’OCC per il piano. L’OCC ogni 6 mesi ridistribuisce le somme raccolte pro quota ai creditori chirografari. Dopo 5 anni esatti, Mario ha versato €24.000 e i genitori avevano già versato i €6.000 iniziali: tutti i creditori hanno incassato il 67% (l’Erario ha incassato €2.000 su IVA + €2.680 su IMU, ecc.). L’OCC relaziona al giudice il completamento.
Esdebitazione: il tribunale dichiara Mario esdebitato per i debiti residui: restano dunque definitivamente cancellati circa €15.000 di debiti chirografari (il 33% non pagato) e circa €4.000 di IVA rimasta (che in liquidazione sarebbe stata comunque persa). Mario e la sua famiglia possono proseguire la loro vita nella casa, con uno stipendio liberato dai vecchi debiti (dovranno solo continuare con il mutuo, com’è normale). La meritevolezza di Mario ha premiato: in 5 anni di sacrifici ha ottenuto la liberazione da tutti i suoi debiti pregressi. I creditori hanno ottenuto una soddisfazione parziale, ma superiore a quanto avrebbero ricavato in caso di azioni esecutive individuali, considerato che Mario senza il piano avrebbe probabilmente visto la casa espropriata (andando a gravare su servizi sociali) e avrebbe potuto subire pignoramenti limitati del quinto stipendio, insufficienti a soddisfarli interamente.
3. Concordato minore
Il concordato minore è la procedura destinata ai debitori sovraindebitati che non siano consumatori, in particolare agli imprenditori “minori”, ai professionisti e agli altri soggetti economici di piccola dimensione. È assimilabile, concettualmente, a un concordato preventivo semplificato per chi non può accedere a quello maggiore: il debitore propone ai creditori un accordo per la ristrutturazione dei debiti, che per essere efficace necessita dell’approvazione dei creditori stessi (mediante voto a maggioranza) e della successiva omologazione del tribunale. Rispetto al piano del consumatore, qui i creditori hanno un ruolo attivo nella decisione, analogamente a un concordato preventivo o a un accordo di ristrutturazione dei debiti.
Il concordato minore sostituisce e amplia il vecchio “accordo di composizione della crisi” della L.3/2012. Mentre l’accordo era aperto sia ai consumatori (in alternativa al piano) che ai non consumatori, il concordato minore odierno è riservato ai debitori diversi dal consumatore. Ciò significa che un consumatore puro non può proporre un concordato minore – deve usare il piano – mentre un imprenditore o professionista non può accedere al piano ma deve coinvolgere i creditori attraverso il concordato minore.
3.1 Presupposti di ammissibilità e contenuto della proposta
Chi può accedere: tutti i debitori sovraindebitati non consumatori. La platea comprende:
- imprenditori commerciali minori (sotto soglia fallimentare),
- imprenditori agricoli di ogni dimensione,
- professionisti (avvocati, commercialisti, etc.) e lavoratori autonomi,
- start-up innovative (anche se società di capitali, se non fallibili),
- enti non profit con attività economica,
- in generale soggetti che hanno debiti derivanti da attività d’impresa o professionale.
Come accennato, anche persone fisiche con debiti misti (parte personali, parte di impresa) ricadranno tendenzialmente nel concordato minore, poiché la qualifica di consumatore è negata se vi sono obbligazioni legate all’impresa. Il correttivo ter 2024 ha espressamente reso il concordato minore applicabile ai “debiti misti” (derivanti sia da attività personali che imprenditoriali): in tali casi il giudice dovrà verificare che non vi siano abusi (ad esempio, fingere debiti d’impresa per accedere al concordato minore aggirando regole del piano). Questa apertura garantisce che, ad esempio, un ex imprenditore che ha anche debiti personali possa trovare soluzione in un’unica procedura.
Stato di crisi o insolvenza: anche qui, il debitore può trovarsi in crisi o insolvenza. Ad esempio, un artigiano che prevede di non poter onorare tutti i debiti a breve può già attivarsi. Se l’insolvenza è conclamata, il concordato minore può essere richiesto purché non sia già pendente un’istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) – in caso di concorrenza, comunque, il CCII dà preferenza alle procedure concordate minori rispetto al fallimento, finché il debitore è “sovraindebitato” e non grande impresa.
Continuità o liquidazione: la proposta di concordato minore può presentarsi in due forme:
- Concordato minore in continuità aziendale: il debitore intende proseguire l’attività imprenditoriale o professionale, ristrutturando il debito. Il piano concordatario prevede la continuazione dell’azienda, eventualmente con ristrutturazione dei debiti sul lungo termine e l’impiego dei flussi di cassa futuri per pagare i creditori.
- Concordato minore liquidatorio: il debitore prevede di cessare l’attività e liquidare i beni, però mediante un accordo concordato con i creditori che offra un ritorno migliore rispetto alla semplice liquidazione controllata. In questi casi la legge richiede espressamente un quid pluris: siccome si chiede ai creditori di accettare un concordato invece di una liquidazione, è necessario offrire loro un beneficio aggiuntivo. In particolare, la proposta deve prevedere un apporto di risorse esterne che aumenti in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Ciò significa che, se l’azienda non prosegue, il debitore (o terzi per lui) deve mettere sul piatto qualcosa in più (denaro fresco, beni ulteriori) rispetto a quanto i creditori ricaverebbero dalla mera liquidazione del patrimonio disponibile. Ad esempio, se un imprenditore in concordato liquidatorio vende i propri beni, potrebbe aggiungere l’apporto di capitali da un socio o la rinuncia a crediti personali, in modo da far arrivare ai creditori magari il 30% invece del 20% ottenibile altrimenti. Questo vincolo garantisce che il concordato liquidatorio minore non sia mai peggiorativo per i creditori rispetto alla liquidazione controllata. La valutazione di questo incremento è affidata al tribunale, che con il correttivo 2024 la ancora all’aumento dell’attivo disponibile al momento della domanda.
Condizioni soggettive (meritevolezza e precedenti): analogamente al piano, il debitore deve aver tenuto un comportamento onesto e collaborativo. Nel concordato minore in particolare la legge elenca alcuni divieti di accesso (art. 77 CCII) poi modificati dal correttivo 2024: oggi, non può proporre concordato minore il debitore che abbia già ottenuto un’esdebitazione (anche in altra procedura) nei 5 anni precedenti. Invece è stata eliminata la preclusione che c’era inizialmente per chi avesse fatto ricorso a qualsiasi procedura di sovraindebitamento nei 5 anni: ora conta solo se ha ottenuto una esdebitazione. Quindi, se un imprenditore aveva tentato un accordo tre anni fa ma senza esdebitazione finale, oggi può riprovarci; se invece cinque anni fa ha già beneficiato della cancellazione dei debiti, deve attendere il termine quinquennale. Rimane ovviamente precluso l’accesso in caso di frode o atti in malafede verso i creditori.
Contenuto della proposta: la proposta di concordato minore può essere molto varia, come un mini piano d’impresa. Deve indicare:
- le strategie di risanamento se in continuità (es. ristrutturazione di costi, nuove commesse, finanziamenti ponte);
- le modalità di soddisfazione dei creditori, anche parziale e/o differita. Ad esempio: pagamento integrale dei fornitori strategici e parziale (30%) degli altri chirografari; pagamento in 4 anni di tutti, oppure vendita di un immobile e distribuzione del ricavato; conversione di parte dei crediti in equity o altro.
- eventuale suddivisione in classi di creditori con trattamento differenziato. La classificazione è facoltativa, ma obbligatoria se vi sono creditori muniti di garanzie prestate da terzi. Ciò per assicurare trasparenza: ad esempio, se un terzo ha garantito un debito, quel creditore va in una classe a sé per decidere anche in virtù della garanzia esterna.
- possibilità di stralcio dei crediti privilegiati oltre il valore del bene vincolato: come per il piano, anche qui si può proporre di pagare i privilegiati non integralmente ma almeno fino a concorrenza del valore del pegno/ipoteca. Non c’è più la moratoria rigida, ma si può prevedere pagamento dilazionato dei privilegiati anche oltre un anno, con l’accordo dei creditori.
- se in continuità, come gestirà i contratti pendenti e come assicurerà la regolarità dei pagamenti correnti (ad esempio, potrebbe prevedere di continuare a pagare leasing su macchinari essenziali, previa attestazione OCC che ciò non danneggia gli altri creditori). In effetti, il CCII consente nel concordato minore in continuità, analogamente al piano del consumatore per la casa, che il debitore continui a pagare le rate di mutui o leasing gravanti su beni strumentali all’esercizio dell’impresa, se ciò non lede gli altri creditori (attestazione OCC che il bene copre il debito integrale e le rate a scadere non pregiudicano gli altri).
- il rispetto delle priorità di legge: i creditori con privilegio generale sui beni mobili (es. dipendenti, fisco per IVA) in mancanza di risorse esterne non possono essere soddisfatti in misura inferiore al realizzo in caso di liquidazione o in violazione dell’ordine dei privilegi. Il piano deve quindi assicurare, se propone tagli, che questi siano giustificati da mancanza di capienza dei beni e/o consenso dei creditori interessati.
- un piano economico-finanziario a supporto, se c’è continuità: il debitore deve mostrare come ricaverà le somme promesse (es. proiezione di fatturato, riduzione costi, ecc.). Questa parte è soggetta ad attestazione OCC.
Maggioranza e voto dei creditori: diversamente dal piano del consumatore, il concordato minore richiede il voto favorevole dei creditori. La legge prevede che la proposta sia approvata se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Non serve più, come nella vecchia L.3/2012, il 60% di tutti i crediti: è sufficiente la maggioranza semplice (più del 50%). Questo abbassa significativamente il quorum di approvazione, rendendo più agevole ottenere il consenso. Occorre anche considerare eventuali classi: se i creditori sono divisi in classi, occorre che la maggioranza sia raggiunta in ogni classe o comunque nel complesso (il CCII richiama in parte le regole del concordato preventivo, ma semplificate). In ogni caso, i crediti dei privilegiati soddisfatti integralmente di norma non votano (perché non incisi), mentre votano quelli falcidiati o parziali.
Cram down fiscale: un aspetto peculiare riguarda i debiti fiscali e previdenziali. Nel concordato minore, come nel piano, è ammesso proporre il pagamento parziale di IVA e ritenute, ma per l’approvazione serve anche il parere dell’amministrazione. Se l’Erario o gli enti previdenziali (creditori pubblici) rifiutano la proposta, il tribunale può comunque omologare il concordato (cram down sui creditori pubblici) a condizioni più rigorose introdotte dal correttivo 2024. In particolare, occorre che la soddisfazione proposta non sia inferiore a quella ottenibile in alternativa e che sia rispettata la speciale disciplina della transazione fiscale (art. 63 CCII). Questo è un tema tecnico, ma in sostanza la legge consente al giudice di bypassare un eventuale “no” del fisco se il piano è vantaggioso e il rifiuto appare irragionevole, bilanciando la tutela dell’Erario con l’esigenza di risanamento.
3.2 Procedura: presentazione della domanda, voto e omologazione
La fase iniziale ricalca quella del piano del consumatore, con alcune differenze:
- Il debitore si rivolge a un OCC competente e predispone la proposta di concordato minore con il piano di fattibilità.
- Presenta il ricorso al Tribunale tramite l’OCC, allegando la documentazione richiesta dall’art. 39 CCII. La documentazione allegata nel concordato minore è più corposa che nel piano del consumatore, perché spesso c’è un’attività d’impresa di mezzo. In particolare, vanno allegati (oltre a quanto già elencato per il consumatore, se pertinente):
- i bilanci degli ultimi 3 esercizi se l’imprenditore li redige, oppure le dichiarazioni dei redditi, IVA e IRAP degli ultimi 3 anni;
- le scritture contabili e fiscali obbligatorie (registro IVA, libro giornale, ecc.) degli ultimi 3 anni, per permettere valutazioni contabili;
- una relazione sulla situazione economico-patrimoniale aggiornata, simile a un bilancio di apertura della procedura;
- l’elenco analitico dei creditori con indicazione di privilegio, importi, indirizzi digitali;
- l’indicazione degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi 5 anni (vendite di immobili, beni importanti, atti a titolo gratuito, pagamenti anomali, etc. – informazioni rilevanti per valutare possibili revocatorie o malafede);
- nel caso di ditte individuali o soci illimitatamente responsabili, anche la documentazione reddituale personale e familiare come nel piano (stipendi, tenore di vita);
- la relazione particolareggiata dell’OCC che attesta veridicità dei dati, cause della crisi, diligenza del debitore e fattibilità economica del piano. Questa relazione è particolarmente importante: il correttivo 2024 ha preteso che l’OCC esprima un’attenta valutazione sulla diligenza del debitore nell’assumere i debiti e sulle sue eventuali colpe, poiché ciò potrà condizionare in futuro la concessione dell’esdebitazione.
Una volta depositata la domanda completa, il tribunale verifica preliminarmente l’ammissibilità. Può concedere subito le misure protettive (sospensione dei fallimenti e delle esecuzioni individuali) analoghe a quelle viste per il piano. Nel decreto, nomina di norma un commissario giudiziale – di solito coincide con l’OCC proponente – con il compito di gestire la fase di voto e vigilare.
Adunanza dei creditori e voto: il commissario giudiziale invia a tutti i creditori una copia della proposta e della relazione OCC, convocandoli per esprimere il voto entro un termine o in un’adunanza. Spesso il tribunale fissa un’udienza di adunanza dei creditori, che funziona in modo simile a quella del concordato preventivo: i creditori possono discutere, chiedere chiarimenti, quindi votare la proposta. Il voto può avvenire anche per iscritto via PEC prima o dopo l’adunanza, secondo le indicazioni del giudice. Ogni creditore ha un peso di voto proporzionale al proprio credito ammesso. I creditori privilegiati parteciperanno al voto solo per la parte eventualmente falcidiata del loro credito (la parte coperta dalla garanzia di solito non vota, se soddisfatta integralmente). I crediti contestati o non definitivamente accertati possono essere ammessi al voto in via provvisoria.
Al termine del periodo di votazione, il commissario giudiziale fa il conteggio: se la maggioranza dei crediti votanti (o ammessi) ha espresso voto favorevole, la proposta si intende approvata. Ad esempio, se il totale crediti ammessi è €100.000 e hanno votato sì creditori per €60.000, la maggioranza è raggiunta (60% > 50%). Non è necessario il voto favorevole di eventuali classi separate, salvo specifiche situazioni (nel concordato minore la disciplina di classi è semplificata rispetto a quella del concordato preventivo ordinario).
Se la proposta non raggiunge la maggioranza, la procedura di concordato minore viene dichiarata infruttuosa. Il tribunale, su istanza del debitore, potrà aprire una liquidazione controllata in conversione. Se invece la maggioranza c’è, si passa alla fase dell’omologazione.
Omologazione del concordato minore: il tribunale, ricevuto il verbale di votazione, fissa udienza per l’omologazione. In questa sede, eventuali creditori dissenzienti o rimasti inattivi possono proporre opposizione all’omologazione, sollevando obiezioni ad esempio sulla regolarità del procedimento, sulla convenienza o sulla legittimità della proposta. Un caso tipico: un creditore dissenziente potrebbe lamentare che il trattamento offertogli è inferiore a quello che otterrebbe in caso di liquidazione del patrimonio del debitore (violazione del best interest test). Oppure potrebbe eccepire che il debitore non ha merito per ottenere l’esdebitazione. Il tribunale esamina queste opposizioni.
Se non vi sono opposizioni, o se vengono respinte, il giudice verifica d’ufficio che:
- la procedura di voto si sia svolta regolarmente e con le dovute maggioranze;
- la proposta rispetti tutte le prescrizioni di legge (pagamento dei privilegiati almeno fino al valore delle garanzie, eventuali risorse esterne apprezzabili se liquidatorio, ecc.);
- i creditori dissentienti non ricevano meno di quanto spetterebbe loro in una liquidazione (principio di convenienza). Questo è fondamentale: anche se la maggioranza ha detto sì, il giudice deve tutelare le minoranze assicurandosi che nessuno venga sacrificato oltre il dovuto.
- per i debiti fiscali, se l’Erario ha votato contro ma il piano offre il massimo possibile, valuti il cram down fiscale (sentito il commissario sul rispetto dei criteri).
Se tutto è a posto, il tribunale emette il decreto di omologazione del concordato minore. Da questo momento, la proposta concordataria omologata diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi i dissenzienti. L’omologazione produce gli effetti di un accordo giudiziale di ristrutturazione: i creditori potranno pretendere solo quanto stabilito dal concordato, nei tempi ivi indicati, e non oltre.
Vantaggi della maggioranza vs opposizione individuale: notiamo come nel concordato minore il principio democratico concorsuale è temperato comunque dal controllo giudiziale. La maggioranza decide l’accettazione della proposta, ma il giudice impedisce soprusi ai danni delle minoranze verificando la parità di trattamento e convenienza. Un creditore che ad esempio vota no perché spera in un esito migliore nel fallimento, vedrà rigettata la sua opposizione se il giudice accerta che nel fallimento avrebbe probabilmente ottenuto ancora meno. In un caso simile, il giudice omologherà nonostante l’opposizione, applicando di fatto un cram down (imposizione coattiva) sull’opponente.
Se invece emergessero irregolarità o violazioni (ad es. il debitore ha frodato alcuni creditori, o la maggioranza si è formata con il voto determinante di un creditore con conflitto di interessi, ecc.), il tribunale potrebbe rifiutare l’omologa. In tal scenario, si aprirebbe la via della liquidazione controllata.
Vale la pena ricordare che durante tutto il procedimento, eventuali istanze di liquidazione giudiziale (fallimento) pendenti a carico del debitore restano sospese: l’art. 65 CCII sancisce la preferenza delle soluzioni concordate sulla liquidazione d’ufficio, finché il debitore è in grado di presentare un concordato minore. Solo se il concordato minore fallisce, si potrà riprendere in considerazione il fallimento (sempre che il debitore fosse soggetto fallibile, altrimenti si andrà comunque in liquidazione controllata).
3.3 Esecuzione e chiusura del concordato minore
Dopo l’omologazione, il commissario giudiziale di norma viene confermato come liquidatore/attestatore per la fase esecutiva (può cambiare denominazione, ma è la figura che sovrintende all’attuazione del concordato). Se la proposta prevedeva la cessione di beni, il liquidatore provvederà a venderli e distribuire i proventi ai creditori secondo quanto stabilito. Se prevedeva il pagamento con i flussi dell’impresa in continuità, il debitore proseguirà la gestione, ma dovrà periodicamente versare al liquidatore le somme destinate ai creditori. Il liquidatore redige piani di riparto dei pagamenti, soggetti all’approvazione del giudice delegato, e vigila che il debitore rispetti il piano industriale.
I creditori, durante l’esecuzione, non possono agire individualmente contro il debitore: eventuali pignoramenti sono preclusi dall’effetto esdebitativo salvo revoca dell’omologa. Devono attendere le distribuzioni concordatarie. Possono però segnalare al liquidatore o giudice eventuali inadempimenti.
Una volta eseguite tutte le obbligazioni previste nel concordato (o comunque fornita ai creditori l’utilità promessa, ad esempio consegnando beni ceduti, ecc.), il tribunale dichiara chiusa la procedura. Diversamente dal piano consumatore, qui formalmente c’è un decreto di adempimento del concordato.
Esdebitazione finale: con l’omologa e il suo adempimento, il debitore è esdebitato per la parte di debiti rimasta insoddisfatta secondo la proposta. Già l’omologazione in sé libera il debitore dall’obbligo di pagare oltre quanto concordato: la parte eccedente dei crediti è remissa (abbonata) per effetto dell’accordo. Possiamo dire che nel concordato minore l’esdebitazione è intrinseca: i creditori hanno accettato di rinunciare alla percentuale non pagata. Pertanto, quando il concordato è eseguito, il debitore non dovrà più nulla di quanto non ha pagato (salvo i debiti esclusi ex lege come sanzioni e alimenti). Non occorre un ulteriore provvedimento di esdebitazione, essendo conseguenza dell’omologa.
Inadempimento e risoluzione: se il debitore non adempie agli obblighi concordatari, e l’inadempimento è grave (tale da compromettere gli interessi dei creditori), ciascun creditore insoddisfatto può chiedere al tribunale la risoluzione del concordato. La risoluzione fa perdere al debitore i benefici: i debiti originari risorgono per la parte non pagata. Subito dopo, il tribunale può aprire la liquidazione controllata di tutti i beni del debitore su istanza di un creditore o del PM, come rimedio residuale. È quindi essenziale che il debitore rispetti scrupolosamente il piano. Tuttavia, se l’inadempimento è parziale e non incide molto (es. ritardo breve di qualche pagamento), il tribunale potrebbe non risolvere, soprattutto se i creditori si mostrano tolleranti o accettano una modifica del piano.
Modifica del concordato: il CCII non disciplina espressamente la modifica del concordato minore omologato. Per analogia con il concordato preventivo, è possibile presentare un’istanza di modifica post omologationem solo se circostanze eccezionali lo richiedono e i creditori (o almeno la maggioranza) acconsentono. Di regola, però, una volta omologato il piano è “cristallizzato” e il debitore deve fare tutto il possibile per attuarlo.
Esempio di concordato minore in continuità: per fissare le idee, immaginiamo Luca, titolare di una piccola impresa artigiana (elettricista), sovraindebitato per €200.000 così ripartiti:
- €50.000 fornitori e artigiani subappaltatori (chirografari);
- €30.000 banca scoperto di c/c (chirografo);
- €20.000 leasing attrezzature (garantito da riserva di proprietà sulle attrezzature);
- €40.000 debiti verso dipendenti (TFR e stipendi arretrati – privilegiati);
- €40.000 debiti fiscali vari (IVA €15.000, ritenute €5.000, altro €20.000 – in parte privilegiati);
- €20.000 altri debiti (utenze, affitto capannone arretrato, etc. – chirografari).
Luca ha un laboratorio con attrezzature e un furgone in leasing, 3 dipendenti, e un portafoglio clienti in calo ma ancora buono. Non vuole chiudere la sua attività di elettricista, ma non può pagare tutto subito. Presenta un piano di concordato minore in continuità offrendo:
- Pagamento integrale dei dipendenti (€40.000) in 24 mesi dal futuro flusso di cassa, per tutelare i lavoratori (classe privilegiata alta).
- Pagamento parziale dei fornitori chirografari (50%): verserà €25.000 su €50.000, in 4 anni, suddivisi pro-rata.
- Banca chirografa (50%): €15.000 su 30.000, stesso piano dei fornitori.
- Leasing attrezzature: intende mantenere le attrezzature indispensabili, quindi prosegue i pagamenti delle rate come da contratto. Le attrezzature infatti hanno riserva di proprietà e il piano prevede di continuare a pagarle, attestando che ciò non danneggia gli altri creditori (il valore delle attrezzature è pari al debito leasing residuo, quindi nessuno sarebbe meglio soddisfatto liquidandole).
- Fisco: propone di pagare integralmente l’IVA (€15.000) e le ritenute (€5.000) in 4 anni (poiché questi sono crediti privilegiati per legge), mentre per il resto dei debiti fiscali chirografari (€20.000, ad es. sanzioni e interessi) offre il 30% (€6.000). Quindi all’Erario andranno €15k+5k+6k = €26.000 (in pratica circa 65% del totale fiscale).
- Altri debiti chirografari (affitto, utenze): 50% come gli altri, nei 4 anni (dunque €10.000 su 20.000).
- Risorse per attuare il piano: Luca prevede che mantenendo l’attività potrà generare un utile netto di ~€15.000 annui da destinare ai creditori. Inoltre un parente è disposto a immettere €10.000 immediatamente come apporto esterno. In 4 anni quindi stima di avere €15k x4 + €10k = €70.000 per soddisfare i creditori.
- Con questi €70.000 pagherà: €40k dipendenti (prioritari), €6k fisco chirografo, €24k ai fornitori/banca/affitti (50% di 50k+30k+20k=100k è 50k, ma non avendo 50k interi dovrà ridurre qualcosina o contare su eventuale incasso extra; diciamo i 70k sono un minimo, se va meglio integrerà).
I creditori votano: i dipendenti ovviamente favorevoli (prendono 100% seppur dilazionato, molto meglio di un fallimento incerto), i fornitori rappresentanti €50k votano per la metà + forse preferiscono 50% col cliente che continua piuttosto che nulla se chiude, la banca su 30k forse storce il naso ma con l’apporto esterno e la prospettiva di perdere tutto se l’azienda muore, potrebbe votare sì; l’Erario per la parte IVA/ritenute viene pagato al 100% (dunque come privilegiato tacito assenso) e per la parte chirografa 30% – qui se l’Agenzia votasse no, il giudice potrebbe omologare comunque perché l’alternativa liquidazione darebbe forse meno; leasing non vota perché continua come da contratto e non subisce decurtazioni. Sommando, la maggioranza semplice è raggiunta (dipendenti + parte fornitori fanno oltre il 50%). Il tribunale omologa rilevando che nessun chirografo dissenziente ha prospettive migliori in liquidazione: infatti se Luca avesse chiuso e liquidato, i dipendenti privilegiati e IVA avrebbero preso i pochi beni disponibili (forse un magazzino), e per i chirografi sarebbe rimasto ben poco, oltre al fatto che l’azienda avrebbe cessato di creare valore.
Luca esegue il piano: continua la sua attività, paga puntualmente stipendi correnti e quote concordatarie ai vecchi dipendenti; paga le rate di leasing (mantenendo le attrezzature); ogni sei mesi versa al liquidatore le somme per i fornitori e altri creditori nella misura prevista. Dopo 4 anni, ha pagato quanto promesso (complice anche l’apporto del parente). Il tribunale constata l’adempimento e dichiara Luca esdebitato dal residuo 50% non pagato. La sua impresa è salva e alleggerita dai vecchi debiti, i lavoratori hanno avuto le loro spettanze, i fornitori almeno metà credito. L’Erario ha incassato in buona parte (IVA per intero). Questo esempio mostra come il concordato minore possa consentire di ristrutturare un’attività meritevole, evitando la chiusura e distribuendo il sacrificio tra i creditori in misura sostenibile.
4. Liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata è la procedura concorsuale di carattere liquidatorio riservata ai debitori sovraindebitati. Rappresenta l’equivalente, per i soggetti non fallibili, della liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”) prevista per le imprese maggiori. In altre parole, quando un consumatore, un piccolo imprenditore o altro debitore non è in grado di proporre o sostenere un piano/concordato, oppure quando questi falliscono, interviene la liquidazione controllata per smobilizzare tutto il patrimonio disponibile a favore dei creditori, sotto la direzione del tribunale, con successiva esdebitazione finale.
Questa procedura sostituisce quella che la L.3/2012 chiamava “liquidazione del patrimonio”. Il CCII l’ha ridenominata e collocata sistematicamente nel Titolo V accanto alla liquidazione giudiziale (fallimento), sottolineandone la natura analoga. La liquidazione controllata, infatti, comporta:
- lo spossessamento dei beni del debitore (che confluiscono in un’attività destinata ai creditori);
- la nomina di un liquidatore (figura paragonabile al curatore fallimentare);
- l’accertamento del passivo (predisposizione dello stato passivo dei crediti);
- la vendita di tutti i beni e la distribuzione del ricavato ai creditori secondo l’ordine dei privilegi;
- al termine, la chiusura della procedura con possibile esdebitazione residua.
Vediamo in dettaglio come funziona.
4.1 Presupposti di ammissibilità e avvio
Chi può accedere/iniziativa: la liquidazione controllata può essere aperta:
- su domanda del debitore stesso, quando questi ritenga di non avere possibilità di pagare i debiti e/o preferisca liquidare il patrimonio per ottenere l’esdebitazione;
- su istanza di uno o più creditori, o su richiesta del Pubblico Ministero, in caso di insolvenza del debitore sovraindebitato. Questa è una novità rispetto alla L.3/2012: ora i creditori possono provocare l’apertura della liquidazione (come accade per il fallimento), ad esempio se un piccolo imprenditore insolvente non prende iniziative. Tuttavia, se il creditore chiede la liquidazione, il debitore ha diritto a presentare entro termini brevi un proprio piano o concordato minore alternativo, come già accennato: il tribunale in pratica sospende l’istanza di liquidazione dei creditori e dà al debitore (fino a 120 giorni) la chance di depositare una proposta concordataria. Se il debitore non ci riesce, allora si procede con la liquidazione su istanza dei creditori.
Stato di insolvenza: presupposto oggettivo è l’insolvenza del debitore, ossia l’incapacità di adempiere regolarmente le obbligazioni (cessazione dei pagamenti). Tecnicamente, la legge include anche lo stato di crisi (difficoltà non ancora sfociate in insolvenza) come possibile presupposto per la liquidazione su richiesta del debitore. In pratica, se un debitore persona fisica capisce di essere in una situazione senza via d’uscita, può chiedere la liquidazione anche prima di essere formalmente insolvente. Invece un creditore istante dovrà sempre dimostrare l’insolvenza (ad esempio, insoluti, pignoramenti infruttuosi, ecc.) per giustificare la richiesta di liquidazione coattiva.
Patrimonio liquidabile: la procedura è pensata per chi ha un patrimonio o redditi da liquidare. Una modifica fondamentale apportata dal D.Lgs. 83/2022 (attuativo della direttiva Insolvency) e poi confermata dal correttivo 2024 riguarda i casi di assenza di attivo. La legge delega aveva inizialmente consentito di aprire la liquidazione anche a “zero attivo” (solo per ottenere esdebitazione); ciò però è stato rivisto. Oggi, l’art. 268 CCII vieta l’apertura di una liquidazione controllata se non c’è alcun attivo realizzabile e l’OCC non attesta la possibilità di ricavare qualcosa per i creditori. In altre parole: se il debitore non possiede beni e non sono esperibili azioni recuperatorie, la domanda di liquidazione è dichiarata improcedibile per evitare procedure inutili e costose per l’erario. In tal caso, il debitore potrà semmai accedere direttamente all’esdebitazione da incapiente (v. sezione 5). Solo se l’OCC attesta che anche se attualmente l’attivo è nullo, potrebbero però recuperarsi beni (ad es. cause risarcitorie da intentare, revocatorie, crediti verso terzi), la liquidazione può aprirsi ugualmente.
Presentazione della domanda (debitore): il debitore che intende attivare la procedura presenta ricorso al Tribunale (se già aveva un OCC nominato, tramite l’OCC, altrimenti può anche chiedere contestualmente la nomina di un gestore). Nel ricorso descrive la propria insolvenza e elenca i beni e i creditori, in modo analogo al piano ma con la differenza che non propone un piano di pagamento – chiede semplicemente di essere ammesso a liquidare tutto. La documentazione allegata è similare: elenco creditori, inventario beni, redditi, atti recenti, stato di famiglia, ecc., oltre alla relazione particolareggiata dell’OCC. Se la liquidazione è chiesta dai creditori, il procedimento inizia con un ricorso dei creditori, seguito da un’istruttoria in cui il giudice convoca il debitore, nomina un OCC per relazione e decide.
Apertura della procedura: il Tribunale, verificati i presupposti (insolvenza, competenza, documenti, etc.), dichiara aperta la liquidazione controllata con sentenza (parallela alla sentenza dichiarativa di fallimento). Nella sentenza:
- nomina il Giudice delegato che sovrintenderà alla procedura;
- nomina il Liquidatore (figura analoga al curatore, spesso scelto tra gli iscritti OCC del circondario);
- dispone eventuali misure urgenti (es. sequestro di beni in pericolo);
- fissa i termini per il deposito delle domande di insinuazione da parte dei creditori.
La sentenza viene notificata al debitore, comunicata ai creditori e pubblicata (registro delle imprese se ditta, avviso su portale della crisi, ecc.).
Effetti dell’apertura: con l’apertura della liquidazione controllata:
- il debitore è spossessato dei suoi beni presenti e futuri (salvo quelli dichiarati impignorabili per legge). Tutto il patrimonio diventa massa attiva affidata al liquidatore. I beni futuri che dovessero sopravvenire entro la chiusura entreranno pure (eredità durante la procedura, vincite, etc.).
- le azioni esecutive individuali e i pignoramenti pendenti sono sospesi e poi estinti: i creditori dovranno far valere le proprie ragioni solo nella procedura collettiva.
- decadono gli amministratori (se fosse una società sotto soglia) e il debitore persona fisica perde la gestione dei suoi beni. Tuttavia, se il debitore è un imprenditore in esercizio, potrebbe essergli consentito (in rarissimi casi) di continuare provvisoriamente l’attività se utile per la liquidazione, sotto direzione del liquidatore.
- gli atti dispositivi compiuti dal debitore dopo l’apertura sono inefficaci (non può vendere beni, pena nullità).
- il Liquidatore acquisisce la rappresentanza e l’amministrazione del patrimonio: egli redige l’inventario, chiude le pendenze attive (incassa crediti del debitore) e può compiere atti anche straordinari previa autorizzazione del giudice.
Domande di insinuazione dei creditori: i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo al liquidatore entro il termine fissato (generalmente 90 giorni dalla comunicazione della sentenza di apertura, prorogabili al massimo a 120). Il correttivo ter ha allungato questo termine rispetto ai 60 gg iniziali, per dare più respiro ai creditori. Nella domanda ciascun creditore indica l’ammontare del credito, le eventuali cause di prelazione (privilegio, ipoteca) e allega documenti giustificativi (fatture, decreti, mutui, ecc.).
Il Liquidatore esamina le domande e predispone lo stato passivo, ammettendo o escludendo i crediti. Viene poi tenuta un’udienza in cui il Giudice delegato verifica lo stato passivo e decide sulle eventuali contestazioni (come nel fallimento). Viene quindi formato lo stato passivo definitivo con l’elenco dei creditori ammessi e l’importo del loro credito (distinguendo chirografari e privilegiati, ecc.). I crediti tardivi possono insinuarsi successivamente fino a riparto non ancora eseguito, con alcune preclusioni.
Liquidazione dell’attivo: il Liquidatore, una volta mappato il patrimonio, procede a realizzarlo:
- vende i beni mobili e immobili del debitore con procedure competitive (aste giudiziarie, trattative autorizzate, ecc.);
- riscuote i crediti che il debitore vantava verso terzi (se non pagano spontaneamente, attiva azioni legali);
- può esercitare azioni revocatorie per recuperare beni alienati prima della procedura in frode ai creditori (es. vendita a prezzo irrisorio a un parente poco prima del fallimento – può essere revocata e il bene riportato in massa);
- può proseguire o iniziare cause risarcitorie nell’interesse dei creditori (es. se il debitore aveva cause in corso, o responsabilità contro amministratori in caso di società, etc.);
- verifica se il debitore svolge attività lavorativa corrente: una parte del reddito eccedente le necessità di mantenimento dovrà essere versata periodicamente in massa per la durata della procedura (il CCII prevede un limite di 3 anni di contribuzione dei redditi futuri disponibili, a differenza dei 4 anni previsti prima: quindi il debitore persona fisica, se lavora, deve versare ai creditori la parte di reddito pignorabile generato nei 3 anni successivi l’apertura, poi gli rimane libero).
- il Liquidatore tiene informati i creditori tramite relazioni periodiche sullo stato delle operazioni.
Distribuzione ai creditori: man mano che realizza attivo, il Liquidatore effettua riparti parziali secondo l’ordine delle cause di prelazione:
- prima soddisfa i crediti prededucibili (coste procedura, compenso liquidatore, debiti sorti per continuazione attività se autorizzata, etc.);
- poi i crediti privilegiati (verso dipendenti, Erario, banche con ipoteca, ecc.), ognuno fino a concorrenza del valore del bene su cui ha prelazione;
- infine, con l’eventuale residuo, paga proporzionalmente i chirografari.
Spesso non tutti i creditori vengono soddisfatti integralmente – anzi, la regola nelle situazioni di insolvenza è che i chirografari subiscano forti decurtazioni, e talvolta anche i privilegiati non integrali prendano percentuali modeste.
Durata: la liquidazione controllata è finalizzata a chiudersi più celermente possibile. Il CCII auspica che entro 3 anni dall’apertura si concluda la liquidazione. Infatti ha ridotto a 3 anni (dai 4 previsti prima) l’orizzonte temporale per il contributo dei redditi futuri e per l’esdebitazione di diritto. Ciò significa che, dopo 3 anni, di regola la procedura dovrebbe poter terminare, salvo casi più complessi. Questo stimola il liquidatore a non dilatare i tempi. Naturalmente, se ci sono beni immobili non facili da vendere, o cause pendenti, la chiusura può richiedere anche più anni; ma l’obiettivo di policy è di non eccedere.
4.2 Chiusura della procedura ed esdebitazione
Quando tutte le attività sono state liquidate e distribuite, o comunque quando rimangono solo attivi di difficile realizzazione, il Liquidatore presenta un conto finale e un piano di riparto finale ai creditori. Il Giudice delegato approva e deposita il decreto di chiusura della liquidazione controllata.
Esdebitazione “di diritto”: una delle novità di maggior rilievo del CCII è che l’esdebitazione del debitore fallito o sovraindebitato (meritevole) avviene automatica. In passato, il debitore doveva fare apposita istanza di esdebitazione e il tribunale valutava dopo la chiusura. Ora, l’art. 280 e seguenti CCII stabiliscono che, chiusa la liquidazione, il tribunale dichiara inesigibili nei confronti del debitore tutti i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti, contestualmente al decreto di chiusura. Il debitore deve aver collaborato e non aver subito sanzioni per frodi, ma non serve più un giudizio separato: l’esdebitazione è concessa subito dal giudice a chiusura, sentito il parere di liquidatore e creditori. Addirittura, se sono passati tre anni dall’apertura della liquidazione e la procedura è ancora in corso, il tribunale può comunque dichiarare l’esdebitazione (su istanza del debitore) decorsi 3 anni, senza attendere la formale chiusura, per non ritardare il fresh start quando la liquidazione si protrae un po’ più a lungo.
L’esdebitazione viene negata solo in casi specifici, ad esempio se il debitore:
- non ha cooperato o ha nascosto attivo;
- ha ritardato la procedura con dolo;
- ha violato obblighi di legge (es. obbligo di depositare le scritture contabili);
- è stato condannato per bancarotta o reati fiscali rilevanti;
- oppure se emergono situazioni di abuso (es. ha già avuto esdebitazione nei 5 anni precedenti – regola analoga al piano).
In mancanza di tali fattori, l’esdebitazione viene concessa. Essa riguarda tutti i debiti concorsuali anteriori non soddisfatti, con le solite eccezioni: debiti per alimenti, danni da illecito e sanzioni pecuniarie a seguito di condanna penale non sono cancellati (art. 280 CCII). Tali debiti il debitore dovrà comunque pagarli, se e quando potrà, anche dopo la procedura.
Dopo l’esdebitazione, i creditori non possono più agire contro il debitore per i crediti oggetto della procedura. Chi aveva garanzie da terzi (fideiussori) potrà rivalersi su di essi se non escussi durante la procedura, ma non sul debitore esdebitato.
Revoca dell’esdebitazione: la legge consente, entro 6 mesi dalla scoperta, di revocare l’esdebitazione se si scopre che il debitore l’ha ottenuta con dolo o frode (ad es. ha occultato attivi rilevanti). Ciò può avvenire su istanza di creditori o del PM. Decorso 1 anno dalla chiusura, comunque, l’esdebitazione diventa definitiva e irrevocabile, tranne per condotte penali scoperte dopo.
4.3 Esempio pratico di liquidazione controllata
Consideriamo Paolo, un ex piccolo imprenditore edile cancellato dal registro imprese due anni fa. Ha debiti totali per circa €300.000 (fornitori, banche, debiti fiscali e contributivi, alcune cause risarcitorie perse). Paolo non ha presentato per tempo un concordato e ora i creditori lo perseguitano. Il suo patrimonio attuale consiste in: una casa di proprietà non di lusso (valore stimato €150.000, su cui grava però un’ipoteca della banca residua €100.000), un’auto utilitaria (€5.000), e pochi risparmi (€3.000). Paolo ha trovato nel frattempo un impiego come dipendente con stipendio €1.400 al mese, con cui a malapena mantiene sé e la famiglia. La sua insolvenza è conclamata: molte fatture impagate, cartelle esattoriali esecutive, ecc.
Non avendo la possibilità di offrire un piano di rientro significativo, Paolo opta per la liquidazione controllata volontaria per liberarsi dai debiti. Con l’aiuto di un OCC, presenta ricorso al Tribunale. Il tribunale accerta che Paolo è sovraindebitato insolvente e ha un attivo liquidabile (la casa, l’auto) e quindi, con sentenza, dichiara aperta la liquidazione controllata:
- Nomina un liquidatore (avv. Tizio) e un giudice delegato.
- Concede misure protettive verso i creditori (sospende i pignoramenti in corso).
- Stabilisce che i creditori entro 90 giorni devono insinuarsi.
Gli effetti: Paolo perde la gestione dei beni. Il liquidatore prende possesso della casa (anche se magari permette a Paolo di abitarvi ancora per qualche mese se compatibile con la vendita) e dell’auto. I conti di Paolo vengono bloccati e gestiti dalla procedura. Paolo ovviamente smette di pagare direttamente i creditori, tutto sarà regolato nella procedura.
I creditori si insinuano: la banca ipotecaria per €100.000 (privilegiata su casa), i fornitori per tot €, l’Agenzia Entrate per vari crediti (IVA, IRPEF – parte privilegiati e parte no), l’INPS, ecc., e i creditori chirografari vari.
Il liquidatore predispone lo stato passivo, che viene approvato dal giudice: risulta ad es. un passivo ammesso di €280.000, di cui: banca €100k ipotecaria, Erario €50k (di cui €20k privilegiati), INPS €10k privilegiati, altri privilegiati minori €5k, chirografari €115k.
Procede poi a liquidare:
- Vende la casa all’asta: ottiene €140.000 netti. Da questi paga prima l’ipoteca: la banca (ipot. primo grado €100k) viene soddisfatta integralmente con €100k. Rimangono €40k da destinare.
- Vende l’auto: ricava €5.000.
- Incassa i €3.000 dal conto di Paolo.
- In totale quindi la massa attiva è €40k + 5k + 3k = €48.000 (tralasciamo costi procedura per semplicità).
- Paolo ha anche uno stipendio: il liquidatore calcola che dal netto €1.400 di Paolo, al mese ne può prelevare circa €200 (tenendo conto del minimo vitale). In 3 anni ciò fa circa €7.200 che Paolo verserà (200*36). Quindi attivo finale sale a circa €55.000.
Ora come vengono distribuiti €55.000 ai creditori ammessi (dopo la banca ipotecaria già soddisfatta):
- Si pagano le spese di procedura (diciamo €5k tra compenso liquidatore e spese legali) in prededuzione.
- Restano €50.000 da dividere tra privilegiati e chirografari.
- Privilegiati: Erario €20k (IVA ad es.), INPS €10k, altri €5k – totale privilegiati €35k. Si soddisfano preferenzialmente: se ci sono €50k, tutti i privilegiati possono essere pagati interamente (€35k su €35k). Rimangono €15k per i chirografari.
- Chirografari: ce ne sono per €115k ammessi (esclusa la parte di Erario chirografa e fornitori senza garanzie). Riceveranno in proporzione €15k su €115k, cioè circa il 13% dei loro crediti.
- Dunque, in sintesi: Banca ha avuto 100%; Erario privilegiato 100%; INPS 100%; chirografari 13%.
Dopo aver effettuato il riparto finale, la procedura chiude. Paolo ha perso la casa e l’auto, e per 3 anni ha dovuto contribuire col suo stipendio, però ora ottiene l’esdebitazione: il tribunale, nel decreto di chiusura, dichiara inesigibili tutti i residui debiti di Paolo. Quindi i creditori chirografari che hanno avuto solo il 13% non potranno pretendere il restante 87%; il Fisco per la parte chirografa rimasta fuori (es. sanzioni, interessi) non potrà più esigerla; la banca ipotecaria era già soddisfatta in toto; eventuali coobbligati (se qualcuno aveva garantito i debiti di Paolo) rimangono obbligati per la parte non pagata (ma ipotizziamo non ve ne fossero). Paolo conserva soltanto i debiti per multe e sanzioni penali (se ne aveva) e gli obblighi di mantenimento eventualmente esistenti, per il resto è libero.
In conclusione, con la liquidazione controllata Paolo ha potuto risolvere la sua situazione debitoria drammatica al prezzo della perdita dei beni e di qualche anno di ristrettezze, ma ottenendo il fresh start grazie all’esdebitazione di diritto. I creditori hanno recuperato il possibile in base alle garanzie e priorità: chi aveva ipoteche o privilegi ha ottenuto molto (taluni integralmente), i chirografari purtroppo poco, ma equamente in proporzione. Questa procedura garantisce così la par condicio creditorum e, al contempo, offre al debitore onesto la possibilità di ripartire senza restare oppresso dai debiti a vita.
Va segnalato che se Paolo non avesse avuto beni, avrebbe potuto richiedere direttamente l’esdebitazione da incapiente (v. infra) senza passare da una procedura lunga. Inoltre, il correttivo ter ha risolto un dubbio: Paolo era un imprenditore cancellato da oltre un anno – prima c’era incertezza se potesse accedere; ora l’art. 33 co.4 CCII chiarisce che sì, anche gli imprenditori cessati da tempo possono accedere alla liquidazione controllata oltre l’anno dalla cessazione (mentre non possono essere dichiarati falliti oltre un anno dalla cessazione). Questo ha consentito a Paolo la via del sovraindebitamento invece di restare privo di tutele.
5. Esdebitazione del debitore incapiente
L’esdebitazione del debitore incapiente è la quarta e più innovativa procedura introdotta dal Codice. Consiste nella possibilità per il debitore persona fisica sovraindebitato, privo di qualunque risorsa per soddisfare i creditori, ma meritevole, di ottenere la cancellazione totale dei propri debiti senza dover offrire alcun pagamento ai creditori (cd. esdebitazione “a costo zero”). Si tratta di uno strumento eccezionale e residuale, attuato sulla scia delle indicazioni della direttiva UE 2019/1023 per dare una seconda chance anche a chi è completamente incapiente.
Questa procedura, anticipata già con il “Decreto Ristori” del 2020, è diventata operativa con l’entrata in vigore del CCII a luglio 2022. È disciplinata dagli artt. 282-283 CCII.
5.1 Presupposti e condizioni
Soggetto ammesso: solo il debitore persona fisica può beneficiarne (non un’azienda, che per definizione se incapiente verrebbe liquidata e poi cesserebbe). Possono accedervi sia consumatori sia imprenditori minori, purché persone fisiche. Ad esempio, un ex imprenditore individuale ormai nullatenente, un consumatore dissoccupato, ecc.
Incapienza assoluta: condizione imprescindibile è che il debitore non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né immediata né futura. Ciò significa che:
- Non ha beni liquidabili di valore apprezzabile. Eventuali beni di modico valore o non aggredibili (beni di casa di uso quotidiano, abbigliamento, ecc.) non contano; se invece avesse anche solo un immobile o un’auto vendibile, non sarebbe incapiente puro (dovrebbe semmai tentare la liquidazione controllata).
- Non ha reddito disponibile oltre il minimo vitale, né prospettive concrete di guadagni futuri tali da soddisfare i creditori in misura apprezzabile. In pratica, ha un reddito nullo o talmente basso che, dedotte le spese essenziali di vita, non residua nulla o quasi per i creditori.
- Nessun terzo è disposto a contribuire per lui (altrimenti potrebbe fare un piano sia pur piccolo). Se parenti o amici dessero un contributo significativo, magari i creditori arriverebbero ad almeno un 10-20% e allora si potrebbe preferire un concordato minore stragiudiziale.
La valutazione dell’incapienza ha ora criteri più oggettivi grazie al correttivo ter. In particolare, il nuovo art. 283 co.2 CCII chiarisce che un debitore resta considerato incapiente anche se ha un piccolo surplus di reddito, purché tale surplus (al netto delle spese di produzione del reddito e di mantenimento familiare) non superi un certo limite: l’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà, moltiplicato per il parametro familiare ISEE. In pratica, si fa un calcolo simile a quello per l’accesso al gratuito patrocinio: si prende l’importo annuo dell’assegno sociale (circa €6.800 nel 2025), lo si aumenta del 50% (=> ~€10.200), lo si moltiplica per il numero di componenti familiari ponderato secondo l’ISEE. Se il reddito annuo disponibile del debitore, al netto delle spese basilari, non supera tale soglia, il debitore è considerato incapiente ex lege. Ad esempio, un single con reddito netto annuo €8.000 sarebbe incapiente (è sotto €10.200), uno con €15.000 no. Un nucleo di 3 persone con €20.000 annui netti potrebbe forse rientrare nell’incapienza se il parametro ISEE per 3 è circa 2.04, quindi soglia ~€20.800, e così via. Questa formula evita che possa essere considerato “incapiente” chi invece ha un reddito, sebbene modesto, in parte aggredibile dai creditori.
Meritevolezza estrema: il debitore incapiente deve soddisfare un requisito di meritevolezza ancora più stringente: la norma richiede che sia “meritevole”, cioè che il sovraindebitamento non sia dipeso da suoi comportamenti dolosi o gravemente imprudenti. In sostanza, dev’essere un caso sfortunato per ragioni indipendenti dalla sua volontà. Esempi tipici: spese mediche impreviste, perdita lavoro, garanti escussi per debiti altrui, vittime di truffe, ecc. Se invece il soggetto ha colpa grave (es. ha dilapidato patrimonio in gioco d’azzardo, o ha evaso tasse volontariamente, ecc.), l’istanza sarà respinta: dovrà almeno passare per la liquidazione e faticare qualche anno per “espiare” prima dell’esdebitazione.
Assenza di procedure recenti: l’esdebitazione incapiente può essere concessa una sola volta nella vita. Non è ammesso se il debitore ha già beneficiato di esdebitazione in qualunque forma (fallimentare o da sovraindebitamento) in passato. Inoltre non deve aver subito revoche di esdebitazione per dolo.
Procedura alternativa: l’esdebitazione incapiente è definita residuale: può essere richiesta solo se il debitore non ha attivo sufficiente per una liquidazione e non ha accesso ad altre soluzioni. In effetti la legge chiede di allegare alla domanda l’attestazione OCC che non vi sono beni né attese utilità per i creditori. Se qualcosa c’è, dovrebbe essere attivata la liquidazione controllata (che comunque ora dura poco e porta ad esdebitazione di diritto). Si vuole evitare che l’incapiente sia uno scappatoia per chi potrebbe invece pagare almeno un minimo.
5.2 Procedimento e effetti
Domanda al Tribunale: il debitore incapiente deposita un ricorso, sempre tramite OCC, al Tribunale competente (stesso criterio territoriale di cui sopra). Nel ricorso dichiara di trovarsi in stato di sovraindebitamento e di non poter offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno parziale. Allegati:
- un elenco di tutti i suoi creditori e debiti, per evidenziare l’entità del sovraindebitamento;
- la descrizione delle cause che l’hanno generato, soffermandosi per dimostrare la sua buona fede (es. “ho perso il lavoro a causa della pandemia, ho dovuto fare debiti per vivere, ora non ho nulla”);
- l’inventario di eventuali beni posseduti (spesso sarà “nessuno di valore”);
- la documentazione reddituale e patrimoniale (buste paga o certificazione di disoccupazione, estratti conto bancari per provare che non ha risparmi, visure immobiliari per mostrare che non possiede case, etc.);
- la relazione particolareggiata dell’OCC che confermi la condizione di incapienza e meritevolezza. L’OCC dovrà attestare che: i) il debitore non ha beni né redditi aggredibili (o quel poco che ha è sotto soglia sociale) e ii) che dalle informazioni raccolte il debitore non risulta aver colpe gravi nel suo indebitamento, né aver posto in essere atti in frode. Questa relazione è fondamentale: il giudice si baserà su di essa per valutare la credibilità dell’istanza.
Notifica ai creditori: di regola, il tribunale notifica il ricorso ai creditori, i quali possono eventualmente comparire per contestare (per esempio potrebbero obiettare: “non è vero che non ha nulla, ha nascosto soldi all’estero” o “si è indebitato per gioco, non merita il beneficio”). In mancanza di contestazioni o se queste vengono smentite da prove, si procede.
Decreto di esdebitazione incapiente: il tribunale, verificati i presupposti, accoglie il ricorso con decreto. Nel decreto:
- dichiara che i debiti del richiedente sono inesigibili nei suoi confronti;
- dispone che l’esdebitazione è concessa una tantum (una volta sola);
- importante: include la clausola secondo cui, se entro 4 anni dal decreto sopravvengono utilità rilevanti che permettono il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10%, il debitore ha l’obbligo di pagare i creditori fino a concorrenza dei beni sopravvenuti. Questo è il meccanismo di “condizione risolutiva” dell’esdebitazione incapiente: per i 4 anni successivi, se il debitore riceve entrate significative, dovrà rimborsare i creditori almeno in parte (nella misura resa possibile, comunque non meno del 10% dei loro crediti originari).
- Notifica il decreto a tutti i creditori, che così vengono informati che non possono più pretendere nulla, salvo attivarsi in quei 4 anni se appare qualcosa.
Effetti immediati: tutti i debiti antecedenti alla data del decreto diventano inesigibili verso il debitore. Significa che i creditori non possono più iniziare né proseguire azioni esecutive o di riscossione nei suoi confronti. Se c’erano pignoramenti in corso, decadono. Se c’erano ipoteche giudiziali iscritte, rimangono ma diventano inutili perché il credito sottostante è inesigibile (tuttavia, se entro 4 anni appare un immobile, quelle ipoteche forse ridiventeranno utili per riprenderlo).
Durata della condizione: trascorsi i 4 anni, se non sono intervenute “utilità rilevanti”, l’esdebitazione diventa definitiva e il debitore è libero per sempre da quei debiti. Se invece entro i 4 anni il debitore ottiene per esempio un bene di valore o un consistente miglioramento, scatta il dovere di rimborsare i creditori in proporzione, fino a un massimo del 100% del dovuto (non oltre ovviamente, non deve pagare interessi o altro, solo il debito originario eventualmente ridotto). La norma parla di utilità “che consentano il soddisfacimento in misura non inferiore al 10%”: l’interpretazione prevalente è che se il debitore ottiene risorse tali da poter teoricamente pagare almeno un decimo di ogni credito, allora è tenuto a pagarle (anche integralmente se le risorse bastano). Se invece la fortuna è piccola (es. vince €1.000 su debiti totali €50.000, cioè il 2%), probabilmente non scatta l’obbligo perché non raggiunge la soglia del 10%. La ratio è evitare di disturbare per piccole somme, ma obbligare se il colpo di fortuna è significativo. Ovviamente, se uno ottiene milioni tali da poter pagare tutti al 100%, dovrà farlo fino a concorrenza integrale del debito.
Ruolo dell’OCC nei 4 anni: la legge non specifica un ruolo di vigilanza formale, ma è presumibile che il debitore debba informare l’OCC o il tribunale di eventuali utilità sopravvenute. I creditori vigilanti potrebbero anche monitorare (es. un creditore può controllare se improvvisamente il debitore compra casa o appare con redditi alti, e segnalare). In ogni caso, l’obbligo di legge esiste e la sua violazione potrebbe portare a revoca del beneficio se scoperto.
Conseguenze: per 4 anni il debitore vive con la consapevolezza che se ha miglioramenti economici importanti ne dovrà destinare una parte (fino a 10% almeno) ai vecchi creditori. Dopo tale periodo di “probation”, è totalmente libero. Non potrà più chiedere altra esdebitazione incapiente in futuro.
5.3 Esempio pratico di esdebitazione incapiente
Anna è una persona di 40 anni che si trova in miseria finanziaria. Qualche anno fa aveva contratto vari debiti (prestiti personali per €20.000, carte di credito €5.000, bollette arretrate €2.000, piccoli debiti con amici €3.000). Totale circa €30.000. Successivamente ha perso il lavoro e, complice anche una separazione familiare costosa, non ha più potuto pagare nulla. Attualmente:
- non possiede immobili né auto;
- vive in un piccolo appartamento in affitto (spesato in parte dai genitori);
- è disoccupata, cerca lavoro ma sinora solo lavoretti saltuari in nero che le permettono a malapena di comprare cibo;
- il suo ISEE è bassissimo e non ha redditi dichiarati, salvo un sussidio comunale;
- i creditori la perseguitano (società di recupero crediti la chiamano di continuo), ma da lei non c’è nulla da prendere (anche un eventuale pignoramento mobiliare troverebbe due mobili vecchi senza valore).
Anna si rivolge a un OCC presentando tutta la sua situazione. L’OCC verifica che effettivamente non ci sono beni né redditi utilmente pignorabili; il totale debiti è 30k. La causa del suo indebitamento principale è stata la perdita del lavoro e spese di salute (soffre di una patologia cronica), nessun vizio o spesa voluttuaria. È chiaramente meritevole (se non altro per sfortuna).
Presentano dunque istanza di esdebitazione incapiente al tribunale. Il giudice esamina e accerta che:
- Anna rientra nel parametro di incapienza: vive sola, reddito quasi zero; assolutamente sotto la soglia minima (10% di 30k sarebbe 3k, lei non potrebbe pagare neanche €300).
- Nessun indizio di frode o di condotta abusiva.
- I creditori vengono informati: alcuni scrivono opposizioni banali (“non è giusto che non paghi nulla!”) ma senza provare alcuna malafede o patrimonio occulto.
Il tribunale accoglie: emette decreto che esdebita Anna da €30.000 di debiti. Da quel momento, tutti i creditori – banche, finanziarie, amici – non possono più reclamarle nulla. Anna finalmente non riceve più telefonate minacciose e può concentrarsi sul ricostruirsi una vita. Per i 4 anni successivi, però, deve stare attenta: c’è la clausola che se le arriva una consistente sopravvenienza, dovrà avvisare e pagare. Ad esempio:
- Dopo 2 anni, Anna riesce a ottenere un lavoro stabile che le dà un reddito di €1.200 al mese. Questa è una buona notizia per lei. Tale reddito annuo (~€14.400) supera la soglia di incapienza per una single (che stimavamo ~€10.200). Quindi c’è da valutare: grazie a questo reddito, in teoria Anna ora potrebbe destinare qualcosa ai creditori. Ma la norma sui 4 anni si riferisce a sopravvenienze tali da consentire il soddisfacimento dei creditori almeno al 10%. I creditori originali erano €30k, il 10% è €3k. Con €1.200/mese, tolte le spese di sopravvivenza (affitto, bollette, cibo: magari €800), resterebbero €400/mese disponibili, ovvero €4.800 l’anno. In due anni di lavoro, potrebbe mettere da parte ~€9.600. Questo importo consentirebbe di pagare oltre il 30% dei debiti. Quindi effettivamente scatta l’obbligo: Anna dovrebbe destinare ai suoi ex creditori almeno €3.000 (10%) o fino al massimo €9.600 se così è corretto interpretare. Probabilmente il tribunale direbbe: “ti è sopravvenuta la capacità di pagare, quindi sei tenuta a pagare integralmene il 10% a tutti i creditori entro i 4 anni”. Anna allora, responsabilmente, versa quell’importo (magari proporzionalmente agli ex creditori). Così ottempera all’obbligo legale e il resto del suo migliorato reddito può tenerlo per sé.
- Se invece Anna avesse ricevuto una eredità di €50.000 entro i 4 anni, allora chiaramente potrebbe pagare tutto il suo debito residuo (€30.000) e le rimarrebbero pure €20.000. La legge le impone di farlo: l’esdebitazione sarebbe di fatto “risolta” parzialmente, nel senso che i creditori verrebbero soddisfatti integralmente dal nuovo attivo. Anna, avendo pagato tutto entro i 4 anni, resterebbe comunque con l’esdebitazione (che a quel punto sarebbe stata inutile ex post, ma intanto le aveva dato la tranquillità e se non fosse arrivata l’eredità i creditori avrebbero avuto zero).
Trascorsi i 4 anni dal decreto:
- Se Anna non ha avuto alcuna fortuna particolare (magari è rimasta con redditi modesti sotto soglia), l’esdebitazione diviene definitiva. I creditori non possono più toccarla in assoluto. Lei pian piano migliorerà la propria condizione economica (si spera) ma senza l’ombra dei vecchi debiti.
- Se ha dovuto pagare qualcosa perché le sue condizioni sono migliorate, lo avrà fatto nei termini fissati (sotto controllo eventuale del tribunale), e i creditori avranno ottenuto quel minimo. Oltre non potranno chiedere. Anna sarà comunque libera da eventuali resti.
In ogni caso, Anna ha avuto la possibilità di un nuovo inizio senza essere stritolata da debiti impagabili. L’istituto, definito dal tribunale di Oristano “innovativo e di carattere sociale”, svolge proprio questa funzione di ultima spiaggia per chi non ha davvero nulla. Naturalmente va applicato con cautela per evitare abusi, ed è per questo che i requisiti di meritevolezza e i limiti temporali sono rigorosi. Non a caso, i primi pronunciamenti giurisprudenziali (Trib. Ferrara e Rimini 2025) si sono soffermati su come interpretare strettamente la condizione di incapienza per evitare che soggetti con qualche margine di reddito ne abusassero. Ma quando ricorrono i presupposti, l’esdebitazione dell’incapiente rappresenta un istituto di civiltà: sancisce che punire a vita l’insolvenza non giova a nessuno, e che anche il debitore sfortunato, se onesto, ha diritto a riemergere dalla disperazione.
6. Confronto sintetico delle procedure
Di seguito, una tabella riepilogativa che confronta le principali caratteristiche delle quattro procedure di sovraindebitamento analizzate:
Caratteristica | Piano del consumatore | Concordato minore | Liquidazione controllata | Esdebitazione incapiente |
---|---|---|---|---|
Soggetti ammessi | Solo debitore consumatore (persona fisica, debiti personali estranei attività d’impresa). | Debitori non consumatori sovraindebitati (imprenditori minori, professionisti, imprese agricole, soci illimitatamente responsabili per debiti extra-impresa). | Qualsiasi debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica non fallibile). Spesso usata come residuale se piano/concordato non attuabili. | Solo persona fisica completamente incapiente (senza beni né reddito disponibile). Esclusa per società ed enti (che se incapienti cessano). |
Necessità accordo creditori | No. Omologazione giudiziale anche senza consenso creditori. Creditori possono opporsi ma giudice approva se requisiti ok. | Sì. Serve voto favorevole >50% crediti votanti (maggioranza semplice). Se raggiunta, giudice omologa salvo tutela dissenzienti (best interest test). | N/A. Procedura concorsuale giudiziale avviabile anche d’ufficio (istanza creditori/PM). Non c’è accordo: i creditori si soddisfano secondo legge (ordine privilegi). | No. È una procedura unilaterale del debitore. I creditori non votano, possono solo opporsi se contestano i presupposti. Decisione rimessa al giudice. |
Funzione / Scopo | Ristrutturare i debiti del consumatore mantenendo un livello di vita dignitoso. Evitare liquidazione di beni essenziali (es. casa di abitazione). Pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti, con scarico finale del residuo. | Comporre la crisi di un’attività economica minore, consentendo se possibile la continuità aziendale (concordato in continuità) o, se liquidatorio, offrire comunque ai creditori più che in fallimento. Paragonabile a un “mini concordato preventivo”. | Liquidare l’intero patrimonio del debitore per soddisfare il più possibile i creditori secondo la par condicio. Procedura analoga al fallimento (liquidazione giudiziale) ma per non fallibili. Consente al debitore collaborativo l’esdebitazione di diritto a fine procedura. | Liberare il debitore “nullatenente” dai debiti senza alcun pagamento, dato che non è possibile ricavare utilità per i creditori. Scopo umanitario: dare una seconda possibilità al debitore onesto ma sfortunato, evitando procedure inutili e costose. |
Durata tipica | Variabile, dipende dal piano proposto: spesso 4–5 anni di pagamenti (ma può essere più breve se liquidazione immediata di beni, o più lunga se dilazioni maggiori). Procedura di omologazione in tribunale di solito breve (2-4 mesi) salvo opposizioni. | Durata doppia: fase di voto (2-4 mesi per convocazione e raccolta voti) + esecuzione del piano. L’esecuzione varia: se liquidatorio può concludersi in 1-2 anni con vendite beni; se in continuità può durare 3-5 anni di pagamenti. | 3 anni circa è il periodo mirato dal CCII per chiudere la liquidazione (contribuzione redditi futuri limitata a 3 anni). Procedura formale potenzialmente più lunga se attivo complesso, ma raramente oltre 4-5 anni per soggetti minori. | Immediata quanto agli effetti di sollievo: il decreto del giudice cancella i debiti subito. La procedura in sé dura pochi mesi (il tempo dell’istruttoria). C’è però la “coda” dei 4 anni di condizione risolutiva, durante i quali il debitore ha l’obbligo di pagare eventuali sopravvenienze rilevanti. Dopo 4 anni, diventa definitiva. |
Esdebitazione (liberazione debiti residui) | Al termine del piano eseguito: automatica per effetto dell’omologazione e integrale adempimento (i creditori sono vincolati dalla falcidia). Non serve domanda separata: i debiti stralciati dal piano si intendono estinti per la parte eccedente. | Al termine del concordato eseguito: i creditori hanno accettato la falcidia, quindi il debitore è libero dai residui secondo l’accordo (esdebitazione implicita nell’omologa). In caso di esito positivo, nessuna formalità ulteriore; in caso di inadempimento, revoca omologa e niente esdebitazione (si va in liquidazione). | Di diritto a fine procedura: il giudice la dichiara contestualmente al decreto di chiusura. Il debitore è liberato da tutti i debiti insoddisfatti (salvo quelli esclusi ex lege come alimenti, illeciti, sanzioni). Se la procedura dura oltre 3 anni, può ottenerla comunque dopo 3 anni dall’apertura. | Contestuale al decreto: i debiti sono immediatamente dichiarati inesigibili. Tuttavia è condizionata per 4 anni: se il debitore riceve utilità significative (≥10% debiti) deve versarle ai creditori. Trascorsi 4 anni senza novità rilevanti, l’esdebitazione diventa definitiva e irrevocabile. Un solo “fresh start” concesso in vita. |
Beni del debitore | Non viene spossessato dei beni. Mantiene la disponibilità del patrimonio sotto vigilanza OCC. Può anzi escludere la casa di abitazione dal piano mantenendo il mutuo corrente. Eventuali beni non funzionali al piano possono essere liquidati volontariamente per reperire fondi, ma non c’è liquidatore coattivo. | Non spossessamento formale (il debitore resta in possesso), ma se il piano prevede cessione di beni interviene un liquidatore per venderli. Se in continuità, il debitore conserva l’azienda e i beni strumentali, pagando i creditori con utili futuri. Beni non funzionali all’attività di solito sono destinati alla vendita concordataria. | Spossessamento totale: il patrimonio, presente e futuro entro la chiusura, è gestito dal Liquidatore nominato dal tribunale. Il debitore perde la disponibilità dei beni (salvi quelli impignorabili). Tutti i beni vengono venduti secondo le regole concorsuali. Anche una parte del reddito futuro (3 anni di eccedenza) va ai creditori. | Mantiene i (pochi) beni semplicemente perché sono di valore trascurabile. Non c’è vendita coattiva. In realtà, se avesse beni di un certo valore non sarebbe incapiente e la procedura non sarebbe ammessa. Piccoli beni di uso quotidiano restano al debitore. |
Redditi del debitore | Il debitore impiega nel piano solo la quota di reddito che si è impegnato a destinare. È tenuto comunque a riservare quanto occorre al mantenimento suo e famiglia. Dunque conserva la parte di reddito necessaria a vivere; l’eccedenza concordata viene versata per i creditori durante la durata del piano. | Simile al piano: se in continuità, il debitore utilizza i redditi della sua attività per pagare le percentuali offerte, tenendo per sé le somme per costi aziendali e vita privata come da piano finanziario. Se il piano è liquidatorio, i redditi futuri non rilevano (cessa attività), salvo se concorda di versare una percentuale di stipendio se cambia lavoro, ma sarebbe frutto di accordo. | Il debitore deve contribuire con i redditi futuri disponibili per 3 anni dall’apertura. Ciò significa che, detratto il necessario per mantenimento suo e famiglia (stabilito dal giudice, spesso allineato alla quota impignorabile), l’eccedenza di stipendi/pensioni per 3 anni viene ripartita tra i creditori. Dopo i 3 anni, il reddito torna interamente al debitore (anche se la procedura non fosse formalmente chiusa). | Presuppone che il debitore non abbia redditi attuali disponibili oltre il minimo vitale. Se ne ha di modesti, viene valutato nella soglia di incapienza. Dopo l’esdebitazione, i redditi che percepirà restano a lui, salvo l’obbligo legale di destinare eventuali entrate straordinarie (eredità, vincite, forti aumenti di reddito) al pagamento dei debiti entro 4 anni. |
Trattamento beni essenziali (casa, auto, strumenti di lavoro) | Casa di abitazione: il piano può evitare la vendita se il debitore riesce a sostenere il mutuo, continuando a pagarlo regolarmente. In generale beni essenziali non vengono toccati se il piano non lo prevede. Auto: se serve al lavoro e di valore modesto, spesso è mantenuta, altrimenti il debitore può venderla e inserirne il ricavato nel piano. | Casa: se debitore non consumatore, l’abitazione può essere coinvolta nella proposta (venduta o mantenuta a seconda del piano e delle garanzie). Non c’è tutela automatica come per il consumatore, ma il debitore può offrire soluzioni (es. far subentrare un familiare nell’acquisto). Strumenti d’impresa: se in continuità, il piano li lascia al debitore, prevedendo il pagamento delle rate di leasing/mutuo su di essi per non interrompere l’attività. | Casa di abitazione: purtroppo in liquidazione viene venduta se di proprietà (non esiste più l’esdebitazione senza perdere la casa, quella era con piano). Non c’è tutela speciale tranne le norme generali (es. immobili di terzi non toccati, ecc.). Beni indispensabili: per legge sono esclusi dalla liquidazione gli oggetti impignorabili (es. beni di stretta necessità, stipendio minimo, etc.). Strumenti di lavoro indispensabili possono essere parzialmente esclusi o venduti solo con cautele. Ma in sostanza, i beni vendibili si vendono tutti. | Il debitore incapiente in genere non ha casa di proprietà né beni di rilievo. Se li avesse, andrebbe in liquidazione invece. Può conservare gli eventuali beni personali di modico valore, perché non c’è procedura liquidatoria. Ad esempio, se possiede un’auto vecchia da €1.000, probabilmente gliela lasceranno (perché venderla non porterebbe utilità significativa >10% ai creditori). Se invece emergesse che aveva un bene non insignificante, allora probabilmente la domanda sarebbe rigettata in favore di una liquidazione. |
Costi e organi della procedura | OCC/gestore: il compenso dell’OCC (stabilito dal DM 202/2014 e successivi) è a carico del debitore, ma spesso viene pagato con le somme destinate ai creditori nel piano (in prededuzione). Avvocato: non obbligatorio ma consigliato; il compenso può rientrare tra le spese di procedura. Tribunale: nessun contributo unificato dovuto dal debitore (procedure esenti da bolli). Se il debitore è a basso reddito può chiedere il gratuito patrocinio per le spese legali (ammesso in materia di sovraindebitamento). | OCC/commissario: ha diritto a compenso, pagato di solito in prededuzione sul patrimonio concordatario. Eventuale liquidatore (per vendite beni) anch’egli da compensare (spesso coincide con OCC). I costi procedurali (notifiche, ecc.) sono contenuti. Anche qui possibile gratuito patrocinio per l’assistenza legale. Tribunale: no imposte, solo spese vive minime. | Liquidatore: compenso stabilito dal giudice a fine procedura, sulla base dell’attivo realizzato (tariffe simili al curatore fallimentare). Viene pagato con precedenza sui ricavi di vendita. OCC: se nominato prima, spesso l’OCC diviene liquidatore stesso. Spese giudiziarie: esenti da contributo unificato. In caso di attivo insufficiente, alcune spese possono essere anticipate dall’Erario. Il costo più elevato è se ci sono beni immobili (per perizie, custodia etc.), ma anch’esso viene prelevato dall’attivo. Debitore persona fisica nullatenente può accedere al patrocinio a spese Stato per assistenza legale. | OCC: ha diritto a un compenso per la relazione, generalmente modesto rispetto ad altre procedure (date le poche complessità), spesso a carico dell’Erario se il debitore non ha nulla. Non c’è liquidatore né riparti, quindi i costi sono ridotti al minimo (solo il compenso OCC e poche spese di cancelleria). In alcuni casi gli OCC fanno queste pratiche quasi pro bono, essendo debitori disagiati. Il debitore incapiente, per definizione, non potrebbe pagare grandi costi, quindi il sistema prevede un sostegno pubblico eventuale. L’assistenza legale può essere coperta dal gratuito patrocinio (in quanto generalmente rientra nei limiti di reddito). |
Vantaggi per il debitore | – Mantiene il controllo sui propri beni e redditi (niente liquidazione coatta).– Può salvare la casa di abitazione e beni essenziali continuando a pagarli.– Non subisce l’infamia del “fallimento” e nessuna restrizione personale (piena capacità civile, il piano non comporta incapacità a contrarre).– Al termine, ottiene l’esdebitazione dei debiti residui anche senza aver pagato integralmente creditori (può anche pagare percentuali basse se questa è la migliore soluzione possibile).– Procedura abbastanza rapida e snella; protezione immediata da pignoramenti durante la procedura. | – Possibilità di continuare l’attività imprenditoriale o professionale nonostante l’insolvenza, ristrutturando il debito.– I creditori cooperano perché intravedono convenienza rispetto alla liquidazione forzata, dunque c’è spazio per soluzioni creative (dilazioni, conversione debiti in quote, ecc.).– Maggioranza di voto ridotta rispetto al passato (50% invece di 60%) => più facile da approvare.– Anche qui, niente stigma di fallimento; il debitore rimane “in sella” sotto vigilanza del commissario.– Se l’attività funziona, consente di salvare posti di lavoro (nel caso di piccola impresa con dipendenti) e il valore aziendale.– Prevede esdebitazione a fine piano omologato, quindi liberazione dai debiti residui come per il piano del consumatore. | – Soluzione ordinata per chiudere la posizione debitoria di chi non ha prospettive di risanamento: si volta pagina liquidando il patrimonio e cancellando i debiti col decreto di esdebitazione.– Il debitore collaborativo ha la certezza legale dell’esdebitazione di diritto a fine procedura (non più soggetta a giudizio discrezionale a parte).– Durata limitata (3 anni di contributi) e poi fine delle pretese sul reddito futuro.– Possibilità di attivarla anche su istanza dei creditori: il debitore apatico può essere comunque “liberato” dai debiti tramite la procedura, anziché rimanere inseguito a vita.– Risolve anche situazioni complicate (es. ex soci illimitatamente responsabili dopo fallimento società, che non potevano fallire essi stessi; con liquidazione controllata si definisce la loro posizione). Il correttivo ter ha ampliato l’accesso (es. imprenditori cancellati da oltre 1 anno ora ammessi). | – È l’unica procedura che consente di azzerare i debiti senza pagare nulla (se non eventuali minime risorse future se capitano entro 4 anni).– Rapidissima: in pochi mesi il debitore esce dall’incubo dei creditori, con atto formale del giudice.– Estremamente umana: evita di infierire con procedure lunghe su persone in miseria totale, e allo stesso tempo evita costi inutili a credito e giustizia (se non c’è da prendere nulla, si chiude subito la vicenda).– Offre una vera seconda opportunità: il debitore può cercare lavoro, ripartire, senza lo spettro dei debiti pregressi. Questo incentiva anche a tornare nell’economia legale (in assenza di questo istituto, un nullatenente sarebbe incentivato a lavorare in nero per non farsi pignorare nulla).– I creditori evitano spese di inseguimento vane e sanno di poter eventualmente recuperare qualcosa se nei 4 anni il debitore torna abbiente (grazie alla clausola del 10%). Non viene quindi neanche leso eccessivamente il principio di responsabilità patrimoniale, avendo quella finestra di monitoraggio. |
Svantaggi / Limiti | – Richiede la meritevolezza del debitore: se ha compiuto atti in frode o avuto colpe gravi, il piano può essere respinto.– Il debitore deve essere disciplinato: se non rispetta il piano poi rischia la conversione in liquidazione e perde i benefici.– I creditori privilegiati possono opporsi se ritengono di ricevere meno del valore delle loro garanzie (ma giudice non omologa in tal caso).– Può essere proposto solo dal consumatore: se una persona ha anche debiti professionali, deve andare su concordato minore, più complesso e con voto creditori.– Accessibile al max 1 volta ogni 5 anni e non più di 2 volte in totale, quindi non abusabile di frequente. | – È più complesso del piano: serve convincere i creditori a votare, quindi magari offrire qualcosa di più (e.g. risorse esterne per farli aderire).– Se manca la maggioranza, fallisce: rischio di dover poi subire liquidazione forzata. Dunque c’è incertezza legata all’esito del voto creditori.– Il debitore perde un po’ di autonomia: c’è un commissario che supervisiona e, se del caso, un liquidatore per vendere beni.– Rimane comunque perimetro “minore”: un’impresa sopra soglia non può usarlo (deve andare in concordato preventivo ordinario).– Precluso a chi ha già avuto esdebitazione nei 5 anni (e inizialmente, pre-correttivo, anche a chi aveva fatto qualsiasi procedura recente). Quindi non ripetibile a breve. | – Implica la perdita di tutti i beni del debitore: è una soluzione drastica patrimonialmente (anche la casa, se di proprietà, viene sacrificata). Il debitore ricomincia da zero sul serio.– Comporta per la persona fisica, finché la procedura è aperta, una sorta di stigma (non “fallimento” in senso tecnico ma effetti analoghi): il suo nominativo comparirà nei registri delle procedure concorsuali. Tuttavia, non è soggetto a quelle incapacità tipiche del fallito (perché la legge fallimentare non si applica, ma comunque la reputazione può risentirne).– I creditori chirografari spesso recuperano ben poco. Inoltre la procedura può essere costosa in proporzione se l’attivo è scarso (i costi fissi di liquidazione potrebbero erodere buona parte dell’attivo piccolo).– Non adatta a debitori con patrimoni minuscoli: per quelli c’è l’incapiente. Infatti oggi se attivo = 0 la liquidazione non si apre, ma c’è un’area grigia dove attivo pochissimo vs costi procedura può essere un problema.– Necessita di collaborazione totale del debitore: se nasconde beni o non consegna documenti, rischia denunce penali e perdita esdebitazione. | – Può sembrare “ingiusto” per i creditori: essi subiscono la cancellazione dei loro crediti senza ricevere nulla (equivale a una perdita totale). Di fatto è un condono giudiziario. Ciò ne giustifica l’uso limitato ai casi umanamente più meritevoli.– Rischio di abuso: per questo la legge richiede meritevolezza stringente. Se un soggetto malizioso cercasse di farsi incapiente di proposito (svuotando il patrimonio) per poi esdebitarsi, sarebbe frode: i creditori potrebbero provare queste manovre e far rigettare la domanda, magari chiedendo liquidazione comunque (se individua beni occultati).– Se entro 4 anni il debitore risorge economicamente, deve comunque pagare una parte (quindi l’esdebitazione non è “pura” immediata ma condizionata). Potrebbe dover, ad esempio, versare ai creditori una somma rilevante se torna ad avere reddito, il che di fatto trasforma la procedura in una sorta di piano a posteriori. Tuttavia è giusto così, evita furbizie.– Una volta utilizzata, non può più essere usata a vita. Se dopo l’esdebitazione incapiente la persona s’indebita di nuovo (ahimè), non avrà accesso a un secondo “perdono” a costo zero. Potrà semmai tentare un piano o concordato se avrà qualche risorsa, altrimenti resterà insolvibile senza rimedi (salvo legislatore futuri interventi). |
(Legenda: le fonti citate tra parentesi quadre nel testo fanno riferimento ai documenti normativi e dottrinali elencati in bibliografia. “Meritevolezza” indica assenza di dolo o colpa grave del debitore; “utilità rilevanti ≥10%” significa nuove risorse che permetterebbero di pagare almeno il 10% dei debiti originari.)
7. Domande frequenti (FAQ)
D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?
R: Possono accedere tutti i debitori in difficoltà che non possono essere soggetti a liquidazione giudiziale (fallimento). In particolare: le persone fisiche consumatrici (debiti privati), i piccoli imprenditori commerciali sotto soglia (individuali o società minori), gli imprenditori agricoli (esclusi dal fallimento), i professionisti e lavoratori autonomi, gli enti non profit indebitati. In generale, qualunque soggetto sovraindebitato “non fallibile” può utilizzare una delle procedure (piano del consumatore se persona fisica con debiti personali, concordato minore se ha debiti d’impresa, ecc.). Le società di capitali sopra soglia o imprenditori grandi invece devono ricorrere alle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, ecc.).
D: Ho sia debiti personali (es. carte di credito) sia debiti per la mia piccola attività di freelance. Quale procedura posso fare?
R: In presenza di debiti misti, la legge attuale tende ad escludere il piano del consumatore (riservato ai debiti estranei all’attività). In tal caso il debitore può usare il concordato minore, che dal 2024 è stato esplicitamente esteso ai debiti misti. Ad esempio, un artigiano con debiti sia familiari che verso fornitori potrebbe proporre un concordato minore includendoli tutti. Va verificato che il soggetto sia meritevole e presenti magari un contributo esterno, perché inizialmente la giurisprudenza era restia ad ammettere un ex “garante” d’impresa come consumatore, ma ora con il concordato minore aperto ai misti c’è la soluzione. In sintesi: se hai anche debiti di natura professionale/imprenditoriale, orientati sul concordato minore.
D: Posso includere tutti i tipi di debito? Anche debiti fiscali, multe, alimenti?
R: Quasi tutti. Debiti fiscali e contributivi: sì, vanno inclusi e possono essere anche falcidiati (ridotti) parzialmente sia nel piano che nel concordato. In particolare l’IVA, che un tempo era intoccabile, ora può essere stralciata in parte, a patto di rispettare certe condizioni (il piano deve essere conveniente e l’Erario può opporsi se riceve meno del valore che avrebbe da liquidazione). Multe e sanzioni amministrative/penali: vanno dichiarate, ma queste non possono essere cancellate dall’esdebitazione (art. 282 CCII). Ciò significa che, anche a fine procedura, resterai obbligato per le sanzioni e le ammende penali. In un piano/concordato potresti tuttavia chiederne la dilazione, ma non l’abbuono integrale. Obblighi di mantenimento/alimenti: anche questi non sono cancellabili. Non esiste modo di liberarsi di un debito per assegni di mantenimento dovuti per legge: i figli o l’ex coniuge vanno pagati comunque, e non rientrano nell’esdebitazione. Debiti da risarcimento per fatti illeciti (es. danni da incidente per colpa grave): pure esclusi dall’esdebitazione. In un piano potresti dilazionarli, ma il residuo non verrà scaricato. Quindi, riassumendo: nel piano/concordato puoi includere tutto nei pagamenti previsti (con eventuali riduzioni per i crediti falcidiabili), però a fine procedura non saranno perdonati gli alimenti, le sanzioni e i danni da illecito – quei debiti eventualmente rimasti andranno ancora onorati (la loro esigibilità riprende). Nella liquidazione controllata, analogamente, l’esdebitazione non copre quei debiti “non perdonabili”. Nell’incapiente, se i tuoi debiti sono solo di quel tipo, la procedura non servirebbe perché comunque resterebbero da pagare; se invece sono mischiati, otterrai l’esdebitazione tranne per quelle eccezioni.
D: Ho un mutuo sulla casa in cui vivo. Rischio di perderla se faccio una procedura?
R: Dipende dalla procedura e dal tuo piano di pagamenti. Nel piano del consumatore, c’è una norma ad hoc che consente di mantenere il mutuo casa fuori dal piano se sei in regola con le rate (o vieni rimesso in regola dal giudice). In tal caso continui a pagare le rate normalmente e la casa non viene toccata dalla procedura: i creditori chirografari non possono aggredirla e tu conservi l’abitazione. Quindi, se hai un reddito sufficiente a sostenere la rata, il piano ti tutela la prima casa. Nel concordato minore, non c’è una protezione automatica per la casa, ma puoi impostare la proposta in modo da non liquidarla: ad esempio, potresti offrire ai creditori altri beni o risorse esterne affinché accettino di lasciarti la casa, oppure prevedere di continuare a pagare il mutuo ipotecario se il creditore ipotecario acconsente, attestando che ciò non lede gli altri. È più complesso ma possibile se il valore della casa è interamente coperto dall’ipoteca (gli altri creditori comunque non avrebbero ricavato nulla dalla sua vendita oltre la banca). Nella liquidazione controllata, purtroppo no: la casa di proprietà viene venduta dal liquidatore per soddisfare i creditori, e l’eventuale mutuo in essere viene estinto con parte del ricavato. Non c’è margine: la liquidazione è come un fallimento, la casa entra nella massa attiva. Nell’esdebitazione incapiente, di solito il debitore non ha casa (se l’avesse, dovrebbe venderla prima di chiedere esdebitazione); se ce l’ha e magari vale pochissimo ed è ipotecata oltre il valore, la situazione è peculiare. In linea di massima, con casa di proprietà non sei considerato incapiente, perché un immobile qualche utilità ce l’ha. Quindi diciamo che l’incapiente non può tenersi la casa: se ne hai una, dovresti passare per la liquidazione. Concludendo: l’unica procedura che esplicitamente protegge la prima casa è il piano del consumatore, a patto di poter continuare a pagare il mutuo regolarmente. Se non riesci a pagare il mutuo, allora la casa sarà comunque destinata a essere ceduta (magari la vendi tu stesso nel piano per pagare i creditori, oppure la banca farà valere l’ipoteca).
D: Devo per forza rivolgermi a un avvocato? Posso fare da solo?
R: Formalmente, la legge dice che “l’assistenza di un difensore non è necessaria” al deposito della domanda. Questo consente, in teoria, di presentare il ricorso con la sola firma tua e dell’OCC. Tuttavia, in pratica è altamente consigliato avere un avvocato esperto che ti assista. Le procedure concorsuali hanno molte insidie giuridiche e la posta in gioco è alta (i tuoi beni, i tuoi debiti). L’OCC è un organismo neutrale: ti aiuta a predisporre la documentazione e presenta la domanda, ma non è il tuo avvocato, non difende i tuoi interessi in giudizio. Ad esempio, se un creditore fa opposizione, servirà un difensore per controbattere in udienza. Inoltre, il lavoro di redazione di un buon piano/concordato spesso richiede competenze legali (trattamento dei crediti, clausole) e l’OCC potrebbe non potersi sbilanciare nel “consigliarti” perché deve restare terzo. Dunque, è saggio farsi affiancare da un legale sin dall’inizio, anche per dialogare con i creditori in fase preparatoria. Considera che se hai i requisiti, puoi ottenere il gratuito patrocinio (difesa a spese dello Stato) per il tuo avvocato in queste procedure, essendo materie ammesse e, di solito, i debitori insolventi rientrano nelle soglie di reddito. Quindi, riassumendo: la legge non lo impone obbligatoriamente, ma avvalersi di un avvocato è fortemente raccomandato.
D: Quanto costa avviare una procedura di sovraindebitamento?
R: Ci sono tre voci principali:
- il compenso dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi),
- l’eventuale compenso dell’avvocato che ti segue,
- le spese vive (contributi minori, bolli) che però per queste procedure sono in gran parte esenti o irrisori.
Il costo dell’OCC è variabile in base al lavoro e alla complessità. Solitamente si compone di una quota fissa iniziale e di una percentuale sull’attivo distribuito (per i piani/concordati) oppure una tariffa oraria se è liquidazione. Ad esempio, per un piano del consumatore con pochi creditori, l’OCC potrebbe chiedere qualche centinaio di euro iniziali per istruire la pratica, e poi un compenso percentuale se il piano va a buon fine (stabilito dal giudice). Tieni conto che il DM 202/2014 regola questi compensi, e in molti casi gli OCC pubblici applicano tariffe calmierate. Se non hai liquidità per anticipare, spesso l’OCC accetta di essere pagato a esito positivo con le prime risorse che affluiscono (in prededuzione). Nella liquidazione controllata, il liquidatore (spesso un professionista nominato) verrà pagato coi soldi ricavati dalla vendita dei beni, con priorità rispetto ai creditori. Quindi se non c’è attivo, c’è il problema dei costi: in casi di totale incapienza, la legge prevede che la liquidazione non si apra proprio, oppure i costi minimi (OCC) potrebbero essere a carico dell’Erario. L’avvocato: se non hai diritto al gratuito patrocinio, dovrai concordare con lui un onorario. Molti avvocati praticano forfait accessibili per queste procedure (sapendo che il cliente è in difficoltà). Spesso gli avvocati chiedono una piccola parte all’inizio e poi il saldo a omologa ottenuta, anche qui magari inserendo la loro parcella nel piano in prededuzione. Gratuito patrocinio: se il tuo reddito familiare imponibile è sotto ~€11.700 (2025) e non hai cespiti rilevanti, puoi chiedere di essere ammesso al patrocinio gratuito, così lo Stato copre le spese legali del tuo avvocato. Molti debitori insolventi rientrano in questa soglia, dunque verifica con il tuo legale. Per quanto riguarda bolli e contributi: la procedura di sovraindebitamento è esente dal pagamento del contributo unificato (art. 40 DL 137/2020), quindi non devi pagare quelle tasse di iscrizione a ruolo che ci sono nelle cause civili normali. In sintesi: se hai i requisiti per l’assistenza statale, potresti non pagare nulla o quasi di tasca tua. Se non li hai, i costi comunque vengono di solito prelevati in corso di procedura. Un tipico costo “vivo” potrebbe essere l’acconto OCC (es. €200/300) all’avvio. Ma ogni situazione è a sé: organizzati chiedendo preventivi all’OCC e al legale, e valutate insieme il da farsi (talora gli OCC rinunciano ad anticipi per non gravare ulteriormente sul debitore).
D: Cosa succede se ho già utilizzato una procedura di sovraindebitamento in passato?
R: Le normative vogliono evitare il recidivismo frequente. Ci sono dunque limiti temporali:
- Se hai già ottenuto una esdebitazione (cancellazione debiti) da una procedura, non puoi averne un’altra prima che siano passati almeno 5 anni. Questo vale sia se l’hai avuta in una precedente procedura di sovraindebitamento, sia se ad esempio l’hai avuta post-fallimento (fallito esdebitato). Quindi, entro 5 anni da un’esdebitazione, nessuna nuova procedura con esdebitazione.
- Addirittura, per il concordato minore inizialmente la legge diceva che se avevi fatto ricorso a qualsiasi procedura nei 5 anni, non potevi proporlo di nuovo. Il correttivo ha tolto questo sbarramento e l’ha limitato al caso di esdebitazione ottenuta. Quindi ora contano le esdebitazioni effettive, non i semplici tentativi.
- C’è un limite assoluto: il piano del consumatore può essere concesso massimo 2 volte in totale nella vita. Anche il concordato minore di riflesso aveva prima “due volte” e ora solo se due esdebitazioni già avute. Diciamo che come regola prudenziale, le autorità concederanno difficilmente più di due fresh start a una stessa persona.
- L’esdebitazione incapiente invece è esplicitamente “solo per una volta”. Quella è one-shot: se l’hai fatta, non c’è replica.
- In ogni caso, se in passato hai usato la vecchia Legge 3/2012 (p.e. un accordo o una liquidazione) e non hai ottenuto esdebitazione (magari hai pagato integralmente i debiti), potresti tecnicamente ricorrere di nuovo. Il giudice valuterà comunque il tuo comportamento.
- Anche chi in passato è stato dichiarato fallito può oggi accedere alle nuove procedure se ricade tra i non fallibili ora (perché magari era socio illimitato, oppure è fallito come imprenditore e ora come persona fisica ha debiti personali residui; in taluni casi la liquidazione controllata può chiudere anche la posizione dei soci per le escussioni post-fallimento).
Riassumendo: se hai già beneficiato di una cancellazione debiti negli ultimi 5 anni, dovrai attendere; se ne hai beneficato due volte in vita, probabilmente non te ne concederanno una terza (salvo cambino le leggi). Ogni caso va visto alla luce della normativa vigente al momento del nuovo ricorso, quindi consultati con un esperto.
D: Se la procedura che avvio non va a buon fine (ad es. il giudice non omologa il piano, o i creditori bocciano il concordato), cosa succede?
R: Il CCII prevede spesso delle “uscite di sicurezza”:
- Se un piano del consumatore viene rigettato (ad es. perché scoprono atti in frode, o il giudice non ritiene il debitore meritevole), oppure se viene revocato in corso d’opera per inadempimento, allora il debitore può chiedere (o i creditori in caso di frode) di aprire una liquidazione controllata immediatamente. Così almeno i creditori saranno soddisfatti con il patrimonio disponibile e tu potrai comunque aspirare all’esdebitazione via liquidazione. In pratica, il fallimento del piano spesso porta alla liquidazione come alternativa.
- Se un concordato minore non ottiene le maggioranze di voto, il tribunale chiude la procedura. Ma normalmente, contestualmente, il debitore o i creditori possono chiedere la conversione in liquidazione controllata. Di nuovo, si finisce col liquidare i beni. Idem se il concordato salta per revoca (inadempimento grave): si può aprire la liquidazione su istanza dei creditori o del PM.
- In alcuni casi, se la proposta di concordato minore non passa, il debitore potrebbe provare a convertire in un piano del consumatore (ma solo se a monte era qualificabile come consumatore e magari aveva provato concordato erroneamente; fattibile ma raro).
- Se la liquidazione controllata non va a buon fine… beh, la liquidazione va sempre a “buon fine” in senso di chiusura, anche se i creditori prendono zero. L’unico rischio è se il debitore si comporta male: potrebbe essergli negata l’esdebitazione (quindi esce chiusa la liquidazione ma con i debiti ancora esigibili!). Questo è l’esito peggiore: il debitore dissipatore o in mala fede potrebbe vedersi rifiutare l’esdebitazione e tornare punto e a capo (anche se senza beni ormai). A quel punto resterebbe insolvente senza rimedi. Quindi la liquidazione “fallisce” solo se tu ne comprometti la finalità con comportamenti fraudolenti.
- Se una esdebitazione incapiente viene rigettata (perché il giudice ritiene che potresti offrire qualcosa o che non sei meritevole), il giudice di solito dichiara l’istanza improcedibile. In quel caso, i creditori rimangono liberi di agire. Potresti comunque valutare di convertire la richiesta in una liquidazione controllata (se magari hai piccole risorse nascoste potresti liquidarle). Oppure di attendere e rifare la domanda se cambiano le condizioni (non c’è un divieto di ripresentare istanza incapiente, ma se nulla cambia, verrebbe di nuovo rigettata).
In sintesi, se un tentativo “soft” fallisce, c’è sempre la possibilità di ricorrere alla liquidazione controllata come ultima ratio, salvo tu l’abbia già scartata perché incapiente (in cui caso speri nell’incapiente, e se neanche quella passa, sei in un limbo in cui i debiti restano…).
D: I miei creditori possono opporsi o impedire la procedura?
R: Dipende dalla procedura:
- Nel piano del consumatore, i creditori non votano, ma possono presentare opposizione all’omologazione sollevando obiezioni (ad es. contestando la tua meritevolezza o sostenendo che avrebbero diritto a più di quanto offri). Il giudice valuta e, se ritiene il piano conforme alla legge e conveniente per i creditori, può omologarlo anche contro il parere dei creditori. Quindi i creditori non possono “bloccarlo” da soli, ma se sollevano un punto valido il giudice potrebbe anche rigettare il piano. Esempio: creditore ipotecario dice “nel piano mi offrono troppo poco rispetto al valore della casa ipotecata”; se è vero, il giudice non omologa finché non si corregge. Ma se l’opposizione è solo “non voglio perdere soldi”, il giudice la supera se oggettivamente riceverà almeno quanto in liquidazione.
- Nel concordato minore, i creditori decidono col voto: se la maggioranza (50%+1 in valore) vota No, la proposta non passa. Quindi possono effettivamente impedire l’accordo non aderendo. Tuttavia, non serve l’unanimità: se almeno metà in valore dice Sì, i dissenzienti rimangono vincolati comunque dopo l’omologa (salva la verifica che non siano trattati peggio del fallimento). Quindi la minoranza di creditori non può imporre il fallimento se la maggioranza è convinta della convenienza del concordato.
- Nella liquidazione controllata, i creditori l’hanno spesso promossa loro o comunque partecipano insinuandosi. Non possono opporsi perché è un provvedimento del tribunale basato sull’insolvenza. Semmai potrebbero chiedere la liquidazione (contro la volontà del debitore) se vedono che stai dissipando beni. Una volta aperta, i creditori non possono “uscirne”: devono rispettare il concorso.
- Nell’esdebitazione incapiente, i creditori possono presentare opposizione prima che il giudice decida, ad esempio sostenendo che non sei davvero incapiente o che hai colpa. Se portano elementi probatori (es: “ha nascosto dei soldi su un altro conto” oppure “è indebitato per gioco d’azzardo”), il giudice potrebbe rigettare. Se sono mere lamentele, il giudice può concedere l’esdebitazione comunque. Una volta concessa, se un creditore scopre entro 4 anni che hai patrimonio, può attivarsi per chiedere la revoca del provvedimento (o quantomeno pretendere il suo 10%). Diciamo che i creditori, per quanto spiazzati, hanno quella finestra per vigilare.
D: Cosa significa che potrei dover pagare i creditori entro 4 anni se mi arrivano “utilità rilevanti”?
R: Questa clausola vale solo per l’esdebitazione a costo zero (debitore incapiente). Significa che l’esdebitazione è condizionata risolutivamente: se entro i 4 anni successivi al decreto tu, prima nullatenente, acquisisci patrimoni o redditi consistenti, devi destinarne una parte al pagamento dei vecchi debiti. “Utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10%” vuol dire ad esempio:
- se vinci alla lotteria una somma sufficiente a dare almeno il 10% a ciascun creditore, allora quell’obbligo si attiva e dovrai usare la vincita (fino a coprire integralmente i debiti, se la vincita basta).
- se trovi un lavoro ben retribuito, tale per cui in 4 anni avresti potuto pagare almeno il 10% di ogni debito, dovrai comunque versare quell’importo ai creditori (fino a concorrenza del debito).
- Qual è il 10%: se devi €100k totali, 10% = €10k. Quindi se entro 4 anni ottieni risorse per €10k o più, in linea di massima scatta l’obbligo. In pratica la legge ti dice: ti perdono tutto ora, ma se entro 4 anni hai un colpo di fortuna o un miglioramento notevole, almeno un po’ li rimborsi.
Questo meccanismo è per evitare che uno si approfitti: immagina uno che si esdebita e due anni dopo riceve un’eredità milionaria – senza clausola, resterebbe ricco e i creditori beffati a zero; con la clausola, dovrà pagare il dovuto. Passati i 4 anni, qualunque cosa accada dopo, i crediti restano non esigibili per sempre (i creditori han perso la chance). In sintesi, per 4 anni tu resti “sorvegliato”: se esci dalla condizione di miseria e torni in grado di pagare almeno in parte, devi pagare. Se la tua situazione non migliora significativamente in quei 4 anni, allora lo Stato considera chiuso il capitolo e nulla sarà più dovuto.
D: Quali obblighi ho durante la procedura?
R: Il denominatore comune è la collaborazione e la buona fede:
- Devi dichiarare e documentare fedelmente tutta la tua situazione: elenco completo dei debiti, l’indicazione di tutti i beni, eventuali atti compiuti di recente (vendite, donazioni). Le omissioni o falsità possono portare a inammissibilità (se scoperte prima) o revoca dell’omologa/esdebitazione (se scoperte dopo).
- Non devi aggravare la posizione: una volta avviata la procedura, non contrarre nuovi debiti imprudenti, non disperdere denaro. Ad esempio, se in pendenza di piano spendi soldi in beni di lusso invece di adempiere, il giudice può revocare la procedura.
- Durante il piano/concordato, devi rispettare le rate e gli impegni presi. Un lieve ritardo può essere tollerato, ma un inadempimento rilevante no. Se prevedi difficoltà, avvisa l’OCC/commissario: magari si può chiedere un’aggiustamento al giudice, ma non tacere.
- Nel concordato con continuità, avrai obblighi tipici di gestione sotto controllo: ad esempio, non potrai compiere atti oltre l’ordinaria amministrazione senza il benestare del giudice (questo per evitare che fai spostamenti di beni durante la procedura).
- Nella liquidazione controllata, l’obbligo è di mettere a disposizione tutti i beni al liquidatore, consegnare documenti, informazioni, e anche versare la quota di stipendio pignorabile mensilmente se lavori (di solito il datore di lavoro la trattiene su ordine del giudice).
- Non devi favorire alcuni creditori a scapito di altri: niente pagamenti “furbi” fuori procedura (es. rimborsare sottobanco un parente creditore). Qualunque atto del genere può essere revocato e considerato frode.
- Devi informare l’OCC/commissario di qualsiasi variazione significativa: es. se durante il piano ricevi un bonus inaspettato, magari dovrai destinarlo pro-quota ai creditori (salvo specifiche del piano).
- Nel caso dell’incapiente, se entro 4 anni ti entra una somma rilevante, hai l’obbligo di segnalarlo e provvedere al pagamento del 10% ai creditori (o informare il tribunale perché emetta i provvedimenti del caso). Tieni presente che se non lo fai e viene scoperto dopo, rischi la revoca del beneficio e anche sanzioni.
- In generale, nessuna procedura ti consente di fare il “furbo”: se emergono frodi, oltre a perdere i benefici, incorri in possibili reati (la legge punisce l’occultamento o la distrazione di beni, le dichiarazioni false al tribunale, ecc., in modo simile ai reati fallimentari).
D: Se ho garantito un debito altrui (sono fideiussore) e il debitore principale non paga, posso includere anche questa esposizione?
R: Sì. Dal lato giuridico, appena il debitore principale è inadempiente, il garante diventa obbligato in solido e quindi quel debito è suo a tutti gli effetti. Se tu sei un consumatore (hai fatto da garante magari a un parente ma non nell’ambito di un’attività tua), la Cassazione ha chiarito che rimani un consumatore per quel debito. Quindi puoi inserirlo nel tuo piano del consumatore eventualmente. Se invece l’hai garantito nell’ambito della tua impresa (es. hai garantito un fornitore della tua azienda), allora è un debito attinente alla tua attività e nel sovraindebitamento rientra ma come concordato minore. Ad ogni modo, i debiti da fideiussione sono debiti a tutti gli effetti: li devi dichiarare e trattare come gli altri. Nota però: il creditore garantito può anche insinuarsi nella procedura del debitore principale e/o escutere altri garanti. La tua procedura riguarda te soltanto, quindi libererà te da quella fideiussione, ma non toglie al creditore il diritto verso eventuali altri coobbligati (o di insinuarsi nella procedura concorsuale del debitore principale se c’è). Quindi, includi pure la fideiussione tra i tuoi debiti: se ottieni l’esdebitazione, tu ne esci. Chiaro che se poi paghi solo una parte, il creditore potrebbe rifarsi per il resto su altri garanti o sul debitore principale se qualcosa recuperabile c’è.
D: Dopo la procedura, la mia “fedina finanziaria” torna pulita?
R: Distinguiamo: registro pubblico concorsuale vs centrali rischi e affidabilità creditizia.
- Le procedure concorsuali (anche sovraindebitamento) vengono annotate nel Registro delle procedure di insolvenza e, se riguardano un’impresa, nel Registro Imprese. Tuttavia, non c’è un registro pubblico dei “sovraindebitati” accessibile indiscriminatamente (non come il casellario giudiziale, per intenderci). Solo chi ha interesse (banche, ecc.) può fare visure mirate. Comunque, a procedura chiusa e debiti esdebitati, la vicenda è archiviata. Nel caso di liquidazione controllata, credo che analogo al fallimento si possa chiedere la cancellazione del nome dai registri una volta ottenuta l’esdebitazione.
- Nelle banche dati creditizie private (CRIF, Experian, Centrale Rischi Bankitalia), il fatto che tu sia ricorso a una procedura e i tuoi debiti siano stati ridotti/stralciati verrà registrato come eventi negativi. Ad esempio, i creditori finanziari segnaleranno “sofferenza chiusa per accordo a saldo e stralcio” oppure “procedura concorsuale”. Queste segnalazioni restano di solito per un certo periodo (in CRIF, un sofferto/stralciato rimane 3 anni dalla data di aggiornamento). Dopo quell’arco di tempo, vengono cancellate automaticamente. Inoltre, l’esdebitazione è una riabilitazione legale: trascorsi gli anni di rito, anche se uno interrogasse il registro protesti o altro, non risulteranno posizioni attive contro di te.
- Capacità di indebitarsi di nuovo: legalmente, non hai interdizioni (il termine “fallito” portava con sé restrizioni, ma qui non c’è). Potresti chiedere nuovi prestiti subito dopo la procedura, ma realisticamente le banche vedranno la tua storia recente e saranno prudenti. Con tempo e miglioramento di reddito, potrai ricostruire un merito creditizio. L’importante è che a livello legale sei libero dai debiti precedenti, quindi nessuno potrà più iscrivere ipoteche o pignorare i tuoi beni per quei vecchi crediti.
In conclusione, dopo la procedura e l’esdebitazione:
- non risulti “cattivo pagatore” per sempre: dopo qualche anno le segnalazioni decadono;
- se qualcuno fa una ricerca di procedure concorsuali, troverà che ne hai avuta una, ma contestualmente troverà il decreto di omologa/esdebitazione, segno che hai risolto;
- potrai tornare a contrarre finanziamenti, certo con la consapevolezza di dover essere più prudente per evitare ricadute (visto che le chance di scarico debiti sono limitate).
D: Se nella mia famiglia siamo più indebitati (es. marito e moglie entrambi con debiti), possiamo fare una procedura unica?
R: Sì, la normativa prevede le procedure familiari congiunte. Se i debiti hanno origine comune o se i familiari sono coobbligati, si può presentare un unico ricorso coinvolgendo tutti i membri della famiglia sovraindebitati. Ad esempio, marito e moglie, oppure genitori e figlio convivente con debiti condivisi, possono fare un solo piano o concordato familiare. Si avrà un unico giudice, un unico OCC, un’unica massa attiva e passiva (salvo mantenere distinte le posizioni dei singoli ai fini dei calcoli). Questo semplifica molto e assicura un trattamento unitario. Anche soci illimitatamente responsabili di una società di persone possono fare procedura congiunta se i debiti derivano dall’attività sociale (per dire, due soci SNC entrambi escussi dai creditori sociali potrebbero presentare un concordato minore congiunto). Quindi, sì, si può e conviene in questi casi perché evita duplicazione di costi e rischio di soluzioni scoordinate. Naturalmente tutti i partecipanti devono avere i requisiti soggettivi: se ad esempio il marito è consumatore e la moglie è piccola imprenditrice, si opterà per la procedura adatta alla “natura” prevalente (verosimilmente un concordato minore congiunto, includendo anche i debiti personali di lui secondo la giurisprudenza sulla famiglia come coobbligati). Da valutare caso per caso con l’OCC, ma la legge incoraggia le procedure familiari unitarie.
D: Se nella procedura pago solo una parte del debito, la parte restante mi viene cancellata: come si comporta il Fisco riguardo a tasse su questa “remissione”?
R: Ottima domanda. Fiscalmente, quando a un debitore viene abbuonato un debito, si potrebbe configurare un reddito diverso (sopravvenienza attiva) tassabile, specie per le imprese. Tuttavia, l’art. 88 comma 4-ter TUIR prevede che le sopravvenienze da accordi o piani di sovraindebitamento omologati non sono imponibili ai fini delle imposte sui redditi. Quindi, se una parte dei tuoi debiti viene cancellata grazie a un’omologa, non pagherai IRPEF su quel “guadagno” figurativo. Per le persone fisiche consumatori era comunque irrilevante fiscalmente. Per le imprese minori, questa norma evita loro di trovarsi un carico fiscale per il debito condonato. Dunque, la porzione di debito che i creditori rinunciano non genera tasse per te. L’IVA falcidiata non comporta una rivalsa etc. Insomma, non c’è una beffa fiscale ulterioriore. Naturalmente, se la procedura prevede che tu ceda un bene e ci guadagni plusvalenza, quella è un’operazione come le altre e può avere effetto fiscale, ma la remissione debiti in sé no.
8. Fonti normative e giurisprudenziali
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022, articoli 1-391. Disciplina unitaria delle procedure concorsuali, incluse le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. (Aggiornato con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024). In particolare, art. 2 co.1 lett. c) definizione di sovraindebitamento; artt. 65-83 CCII disciplina del piano del consumatore e concordato minore; art. 268-277 CCII liquidazione controllata; art. 278-283 CCII esdebitazione (incl. incapiente).
- D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Decreto attuativo della Direttiva (UE) 2019/1023, ha apportato modifiche significative al CCII, tra cui l’introduzione dell’esdebitazione del debitore incapiente e l’adeguamento della disciplina dei piani e concordati minori. Entrato in vigore il 15 luglio 2022.
- D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (“Correttivo ter”) – Decreto integrativo e correttivo del CCII, in vigore dal 28 settembre 2024, che ha ulteriormente semplificato l’accesso al sovraindebitamento. Ha chiarito definizioni (es. consumatore), introdotto soglia reddito per l’incapienza, eliminato la domanda in bianco, potenziato OCC (accesso banche dati), risolto il caso imprenditori cancellati>1 anno (art. 33 co.4), e allungato termini liquidazione (domande credito da 60 a 90 gg).
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (abrogata) – Vecchia “legge sul sovraindebitamento”. Citata per confronto storico. Principi e termini come “piano del consumatore”, “accordo di composizione” e “liquidazione del patrimonio” sono confluiti nel nuovo Codice. Giurisprudenza formatasi su L.3/2012 (es. Corte Cost. 245/2019) rimane rilevante e recepita nel CCII.
- Direttiva (UE) 2019/1023 – Direttiva europea su ristrutturazioni e insolvenza. Ha ispirato D.Lgs. 83/2022 e introdotto il concetto di seconda opportunità per insolventi onesti. Ha spinto per l’esdebitazione automatica dopo max 3 anni per imprenditori e misure per sovraindebitamento dei consumatori.
- Corte Costituzionale, sentenza 29 novembre 2019, n. 245 – Ha dichiarato incostituzionale il divieto di falcidia dell’IVA nei piani del consumatore ex L.3/2012. Ha aperto la strada alla possibilità di stralciare parzialmente l’IVA, poi recepita espressamente nel CCII.
- Cassazione Civile, Sez. I, 13 agosto 2020, n. 17391 – In tema di L.3/2012 art. 8, ha affermato che la moratoria annuale per i creditori privilegiati poteva essere superata con consenso degli stessi, non essendo inderogabile. Principio ora recepito: il CCII non prevede più quel limite annuale rigido.
- Cassazione Civile, Sez. I, 16 gennaio 2020, n. 742 – Importante per la nozione di consumatore: ha riconosciuto che un fideiussore persona fisica di un debito altrui può qualificarsi consumatore se ha agito per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale. Ciò ha portato ad includere i garanti “di cortesia” nell’ambito del piano del consumatore.
- Cassazione Civile, Sez. VI, 30 ottobre 2019, n. 27544 – (L.3/2012) Ha confermato la possibilità, col consenso del creditore, di estendere moratorie ai privilegiati oltre l’anno previsto dalla legge. Ribadisce la flessibilità negoziale delle procedure.
- Cassazione Civile, Sez. I, 2 luglio 2019, n. 17834 – (L.3/2012) In linea con le altre, ribadisce la derogabilità in melius delle condizioni di pagamento dei creditori privilegiati con il loro consenso oltre i limiti di legge.
- Tribunale di Oristano, decreto 29 luglio 2024 – Uno dei primi decreti di accoglimento di esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII. Caso di una debitrice incolpevole, senza beni, con debiti per cause familiari e di salute: tribunale ha concesso l’esdebitazione immediata. Il provvedimento sottolinea la ratio di fresh start dell’istituto e analizza puntualmente i requisiti (meritevolezza, incapienza).
- Tribunale di Ferrara, decreto 10 marzo 2025 – Affronta il tema del limite di reddito per l’accesso all’esdebitazione incapiente. Sostiene un’interpretazione sistematica: va valutato caso per caso se il debitore abbia anche minima utilità per i creditori, altrimenti si rischia di far passare incapiente chi in realtà ha un reddito oltre il necessario per vivere (eccedenze utilmente pignorabili). In pratica, invita a non applicare letteralmente la soglia, ma a considerare la concreta destinabilità di reddito ai creditori.
- Tribunale di Rimini, decreto 6 febbraio 2025 – Caso analogo ma con conclusione opposta: sostiene che la norma (art. 283 co.2 CCII come innovato dal correttivo) è chiara e va applicata letteralmente: si considera incapiente il debitore il cui reddito netto eccedente il mantenimento non superi 1,5 volte l’assegno sociale * parametro familiare. Stabilisce che anche chi ha un piccolo surplus di reddito, entro quel limite, va considerato incapiente e può ottenere l’esdebitazione una volta nella vita. Le due pronunce (Ferrara e Rimini) mostrano approcci diversi poi uniformati proprio dall’intervento normativo chiarificatore del 2024.
- Direttiva Insolvency – Considerando UE – Tra i considerando della direttiva (UE) 2019/1023 c’è l’esigenza di ridurre le durate delle procedure di liberazione dai debiti per gli imprenditori onesti (fresh start in max 3 anni) e di prevedere possibilità di esdebitazione anche per i consumatori insolventi. Questo spirito permea le novità del nostro ordinamento.
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