Esempi Di Piano Di Ristrutturazione Del Debito Aziendale Per Il Risanamento

Hai un’azienda in difficoltà, con debiti che continuano a crescere e margini che si assottigliano? Stai valutando se esiste un modo concreto e legale per ristrutturare i debiti, fermare le azioni dei creditori e salvare l’attività?

Uno degli strumenti più efficaci previsti dal Codice della Crisi è il piano di ristrutturazione del debito aziendale, una soluzione su misura che ti consente di negoziare con i creditori, dilazionare i pagamenti e ripristinare l’equilibrio economico e finanziario dell’impresa.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in risanamento aziendale, ristrutturazioni societarie e crisi d’impresa – ti mostra come funziona un piano di ristrutturazione, quali modelli possono essere seguiti e come possiamo aiutarti a costruirne uno adatto alla tua azienda, per evitare la chiusura e ripartire.

Hai un’impresa in difficoltà e vuoi sapere se un piano di ristrutturazione del debito può salvare la tua attività?

Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la situazione finanziaria della tua azienda, costruiremo un piano su misura e ti guideremo nei rapporti con i creditori, nel pieno rispetto della legge. Con la giusta strategia, il risanamento è possibile.

Introduzione

Nell’ordinamento italiano, il piano di ristrutturazione del debito aziendale è uno strumento fondamentale per consentire alle imprese in difficoltà di risanare la propria situazione finanziaria e evitare la liquidazione. Con l’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – emanato con D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 e più volte modificato fino al 2024 – il legislatore ha profondamente innovato la disciplina delle procedure concorsuali, privilegiando un approccio conservativo orientato al salvataggio dell’impresa ove possibile. La riforma, attuata anche in recepimento della Direttiva UE 2019/1023 (Insolvency Directive), ha introdotto nuovi strumenti di ristrutturazione preventiva e ha potenziato quelli esistenti, con l’obiettivo di facilitare la continuità aziendale e la soddisfazione dei creditori in misura almeno pari a quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale.

In questa guida verranno esaminati tutti i principali strumenti di ristrutturazione del debito, siano essi di natura extragiudiziale (come i piani attestati di risanamento ex art. 56 CCII) o giudiziale (come il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione e la liquidazione controllata). L’esposizione adotta il punto di vista dell’imprenditore debitore, illustrando come ciascuna soluzione possa essere utilizzata per affrontare una situazione di crisi o insolvenza, tutelando al contempo i diritti dei creditori.

All’interno della guida troverete esempi pratici e simulazioni di piani di risanamento applicati a vari settori (dall’edilizia al commercio, dal manifatturiero ai servizi e al tecnologico), così da comprendere le strategie più efficaci nei diversi contesti aziendali. Sarà posta particolare attenzione al trattamento delle diverse categorie di debiti – verso banche, fornitori, Fisco ed enti previdenziali, nonché verso i dipendenti – evidenziando vincoli normativi e prassi operative per la ristrutturazione di ciascuna tipologia di credito. Sono inoltre incluse tabelle riepilogative che confrontano le caratteristiche dei vari strumenti e procedure, facilitando un rapido paragone tra le soluzioni disponibili.

Per garantire un alto livello di approfondimento e usabilità, la guida è organizzata in sezioni chiare con apposite intestazioni e contiene approfondimenti e note esplicative sui punti di maggiore rilevanza. Nella sezione finale è presente un elenco di domande e risposte frequenti, che affronta i dubbi pratici più comuni (FAQ), e vengono forniti modelli esemplificativi di documenti tipici del processo di ristrutturazione: dallo schema di un piano di risanamento alla relazione dell’attestatore indipendente, fino a una bozza di accordo di ristrutturazione. Infine, è inclusa una sezione dedicata alle fonti normative e giurisprudenziali aggiornate al 2025, con riferimenti a leggi, articoli del Codice e pronunce giurisprudenziali citate nel testo.

Approccio del debitore alla gestione della crisi

Affrontare tempestivamente e strategicamente uno stato di crisi aziendale è cruciale per aumentare le chances di risanamento. Dal punto di vista del debitore, l’approccio alla ristrutturazione del debito deve iniziare con una diagnosi accurata della crisi e con l’adozione di adeguati assetti organizzativi capaci di rilevare per tempo gli indizi di difficoltà finanziaria. La normativa impone agli amministratori di dotarsi di sistemi di monitoraggio della continuità aziendale e di indicatori di crisi, in modo da poter attivare per tempo le misure correttive previste dal Codice della Crisi. Ignorare a lungo i segnali di allarme può infatti aggravare il dissesto e comportare responsabilità personali per gli organi sociali (si pensi all’azione di responsabilità per gestione negligente o, nei casi più gravi, ai reati di bancarotta preferenziale o fraudolenta se si procrastina indebitamente il fallimento).

Il debitore, una volta presa coscienza della gravità della situazione, deve valutare con i propri consulenti le opzioni disponibili per la ristrutturazione. È importante un’analisi preliminare che consideri: (a) la fattibilità economico-finanziaria di un piano di risanamento (ossia se esiste una prospettiva realistica di riequilibrio); (b) la necessità di protezione dagli attacchi dei creditori (ad esempio, se sono già iniziate azioni esecutive o se serve tempo per negoziare, potrebbe occorrere un provvedimento di stay o misure protettive concesse dal tribunale); (c) il grado di consenso che si può prevedere da parte dei creditori (se si ritiene di poter raggiungere accordi con una percentuale sufficiente di essi fuori dal tribunale, oppure se è necessario coinvolgere l’autorità giudiziaria per superare l’eventuale dissenso di minoranze); (d) la presenza di particolari categorie di creditori strategici o privilegiati (ad esempio banche con garanzie ipotecarie, l’Erario, i dipendenti) che richiedono un trattamento conforme alla legge e spesso priorità di pagamento.

Dal punto di vista pratico, l’imprenditore deve adottare un atteggiamento proattivo e trasparente con i propri creditori chiave, cercando di instaurare un dialogo costruttivo sin dalle prime fasi. La normativa attuale incoraggia la ricerca di soluzioni concordate e rapide: emblematico è l’istituto della composizione negoziata della crisi (introdotta nel 2021 e ora a regime nel CCII), che consente al debitore di farsi assistere da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio per condurre trattative riservate con i creditori e individuare una via di risanamento consensuale. Durante la composizione negoziata il debitore può anche richiedere dal tribunale misure protettive temporanee (uno stay delle azioni esecutive) per lavorare al piano senza l’assillo di pignoramenti. Questo strumento “negoziale” non porta di per sé a un accordo vincolante, ma spesso costituisce il preludio per formalizzare poi un accordo di ristrutturazione omologato o per presentare un concordato preventivo in tribunale qualora le trattative non raggiungano l’unanimità necessaria.

In ogni caso, il debitore deve selezionare lo strumento più appropriato alla propria situazione: se la crisi è relativamente gestibile e c’è consenso quasi unanime, un piano attestato di risanamento extragiudiziale potrebbe bastare; se invece servono effetti vincolanti anche per i dissenzienti o una moratoria legale, sarà opportuno ricorrere a strumenti giudiziali come l’accordo di ristrutturazione omologato o il concordato. L’approccio dal lato debitore richiede anche di considerare l’impatto reputazionale e di mantenere la continuità operativa: alcune procedure (come il concordato) sono rese pubbliche e possono creare incertezze con fornitori e clienti, mentre altre soluzioni (come i piani riservati ex art. 56 CCII) consentono maggiore riservatezza. Pertanto, l’imprenditore deve bilanciare la necessità di trasparenza verso i creditori con l’esigenza di non disperdere il valore dell’azienda nel frattempo (ad esempio, evitando il cosiddetto effetto annuncio di una procedura concorsuale che potrebbe allontanare commesse o far revocare fidi bancari).

Da ultimo, è fondamentale che il debitore si avvalga di professionisti indipendenti qualificati – in particolare un attestatore indipendente iscritto all’albo ministeriale (OCRI) – per la predisposizione del piano e la verifica della sua fattibilità. Oltre a essere richiesto dalla legge (nel concordato, negli accordi omologati e nei piani attestati, la relazione di un professionista è obbligatoria ex art. 13 e 56 CCII), l’intervento di un esperto conferisce credibilità al piano agli occhi dei creditori e del tribunale. Il linguaggio tecnico ma chiaro utilizzato nel piano e nella relazione dell’attestatore dovrà illustrare in modo convincente le cause della crisi, le strategie di ristrutturazione proposte e le prospettive di soddisfacimento dei creditori, dimostrando che il percorso scelto è sostenibile e conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Strumenti extragiudiziali di ristrutturazione del debito

Quando le circostanze lo consentono, è preferibile per il debitore tentare una soluzione extragiudiziale della crisi, attraverso accordi privati con i creditori, al fine di minimizzare costi, tempi e pubblicità negativa. Gli strumenti di composizione stragiudiziale del debito consentono infatti di evitare l’apertura di una procedura concorsuale formale, mantenendo la gestione dell’azienda in mano all’imprenditore e riducendo l’intervento dell’autorità giudiziaria al minimo indispensabile. Di seguito esaminiamo i principali strumenti extragiudiziali previsti dal legislatore o sviluppati nella prassi: il piano attestato di risanamento, le convenzioni di moratoria tra creditori e le semplici ristrutturazioni volontarie (accordi privati non soggetti ad omologazione).

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è un’iniziativa unilaterale del debitore consistente in un piano di risanamento dell’impresa, avente forma scritta e data certa, corredato dalla relazione di un professionista indipendente che ne attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica. Questo strumento, disciplinato dall’art. 56 CCII, non richiede l’intervento del tribunale né un’omologazione formale: si tratta di un accordo privato (o anche di un piano unilaterale) che il debitore può predisporre con l’obiettivo di superare lo stato di crisi o di prevenire l’insolvenza, ottenendo al contempo alcuni benefici legali importanti. In particolare, gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato (pagamenti, transazioni, nuova finanza, garanzie concesse ecc.) sono esentati dall’azione revocatoria in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). Ciò significa che, se anche il piano dovesse fallire e l’azienda venisse dichiarata insolvente in seguito, le operazioni realizzate durante l’attuazione del piano non potranno essere invalidate dal curatore fallimentare, salvo il caso di frode o dolo. Inoltre, l’esecuzione di un piano attestato in sé non costituisce di per sé reato di bancarotta preferenziale o fraudolenta, sempre che non vi siano intenti fraudolenti.

Il piano attestato deve contenere un’analisi dettagliata della situazione aziendale e le misure previste per il risanamento. La legge e la prassi individuano una serie di elementi minimi che tipicamente vanno inclusi nel documento di piano, tra cui ad esempio:

  • Descrizione della situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, con dati aggiornati e l’indicazione delle principali cause della crisi (es. calo di fatturato, perdita di un mercato chiave, squilibri finanziari dovuti a investimenti errati, ecc.);
  • Elenco dei creditori e ammontare dei debiti oggetto di ristrutturazione, distinguendo i creditori con cui si è raggiunto o si intende raggiungere un accordo (aderenti) e quelli che rimangono estranei, specificando per questi ultimi le risorse destinate al soddisfacimento integrale dei loro crediti alle relative scadenze;
  • Strategie di intervento proposte e tempistica di attuazione: ad esempio, rinegoziazione dei debiti bancari (allungamento delle scadenze, riduzione tassi), accordi transattivi con fornitori per stralciare parte dei crediti, dismissione di asset non strategici per fare cassa, riduzione dei costi operativi, ricapitalizzazione da parte dei soci o ingresso di nuovi investitori, ecc., indicando il cronoprogramma delle azioni e i relativi milestone;
  • Piano industriale e finanziario a medio termine (di solito 3-5 anni), che mostri la sostenibilità del risanamento: include proiezioni di conto economico, stato patrimoniale e flussi di cassa future, con evidenza degli effetti attesi delle misure di ristrutturazione sul cash flow e sugli indicatori di equilibrio finanziario;
  • Eventuali apporti di finanza nuova (nuovi finanziamenti, equity dei soci, ecc.) e il loro utilizzo nel piano;
  • Ipotesi alternative e sistemi di monitoraggio: il piano dovrebbe indicare come ci si propone di monitorare l’avanzamento (es. covenant trimestrali) e quali contromisure si adotteranno in caso di scostamento dagli obiettivi (piani B), per garantire flessibilità qualora la realtà differisca dalle previsioni.

Una caratteristica importante del piano attestato è che può avere natura riservata e non richiede il coinvolgimento di tutti i creditori. Anzi, in certi casi si configura come un piano unilaterale, nel senso che può non essere accompagnato necessariamente da accordi formali di ristrutturazione con ciascun creditore: ad esempio, l’imprenditore potrebbe predisporre un piano di ristrutturazione unilaterale del debito bancario (con l’apporto di risorse proprie per pagare interamente i fornitori e altri creditori estranei), oppure un creditore potrebbe unilateralmente rinunciare a parte del proprio credito in sede di esecuzione del piano senza un accordo plurilaterale. In pratica, tuttavia, spesso il piano attestato si sostanzia in una serie di accordi bilaterali stipulati tra l’impresa e i singoli creditori (banche, leasing, fornitori rilevanti) che accettano ristrutturazioni individuali dei loro crediti, il tutto coordinato nell’ambito di un unico piano di risanamento certificato dall’esperto.

Per conferire data certa al piano – requisito essenziale affinché valga la protezione dalle revocatorie, provando l’anteriorità del piano rispetto all’eventuale insolvenza dichiarata successivamente – è prassi registrare il piano presso un notaio o allegarlo ad una PEC inviata a sé stessi o altra forma equivalente. Il professionista indipendente (attestatore) scelto dal debitore redige la relazione di attestazione, che deve anch’essa essere munita di data certa, nella quale dichiara di aver verificato la veridicità dei dati aziendali e di ritenere fattibile il piano proposto (cioè idoneo a superare la crisi e a ripagare i creditori secondo le modalità previste). L’attestatore deve possedere i requisiti di indipendenza e professionalità indicati dall’art. 2 lett. o) CCII, in pratica un commercialista o esperto in crisi d’impresa iscritto all’albo tenuto dal Ministero della Giustizia. Va notato che l’attestazione non garantisce il successo del piano, ma costituisce un’opinione qualificata che il piano ha basi realistiche; essa tutela anche l’imprenditore e gli organi sociali, mostrando che hanno adottato un comportamento diligente affidandosi ad un esperto.

Il vantaggio principale dei piani attestati è la flessibilità e riservatezza: il piano non è reso pubblico, rimane noto solo alle parti coinvolte, evitando ripercussioni reputazionali sul mercato. Inoltre, non essendo una procedura concorsuale, la gestione rimane integralmente al debitore e non interviene alcun commissario o giudice a dettare le regole (salvo il controllo ex post in caso di successivo fallimento, in cui comunque il piano attestato funge da esimente per atti in esso previsti). Questo li rende strumenti ideali quando l’impresa ha ancora margine di recupero e dispone dell’adesione spontanea dei principali creditori. Di contro, occorre sottolineare i limiti: il piano attestato non produce effetti vincolanti sui creditori non aderenti (quelli estranei devono essere comunque pagati alle scadenze originarie, come confermato dall’art. 56 CCII), né sospende le azioni esecutive (non c’è automatic stay). Quindi, se anche un solo creditore importante non collabora, l’azienda resta esposta a iniziative individuali (pignoramenti, decreti ingiuntivi) che possono compromettere il risanamento. Inoltre, alcuni effetti concessi invece nelle procedure giudiziali non si applicano nei piani attestati: ad esempio, non è possibile ottenere in via unilaterale il cram-down sui creditori pubblici (Fisco/INPS) né imporre moratorie generalizzate. Proprio sul fronte dei debiti fiscali e contributivi, il piano attestato al momento non consente di concludere una transazione fiscale globale nell’ambito del piano stesso (non essendo previsto da art. 56, a differenza di concordati e accordi). Il debitore dovrà negoziare separatamente con l’Erario eventuali rateazioni o definizioni agevolate, oppure considerare di passare a un accordo di ristrutturazione ex art. 57 o a un concordato se vuole includere formalmente il Fisco nel perimetro.

Un ulteriore beneficio di natura fiscale va menzionato: le sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti nel contesto di un piano attestato (ad esempio, se una banca rinuncia a credito per X euro) godono di una parziale detassazione in base all’art. 88, comma 4-ter TUIR. La normativa fiscale infatti equipara il piano attestato omologato a taluni effetti degli accordi ex art. 57, prevedendo che le riduzioni dei debiti risultanti da tali piani non concorrano interamente a formare il reddito imponibile dell’impresa, a condizione che il piano sia asseverato e rispetti i requisiti di legge. Ciò evita che un’azienda che si vede abbuonare debiti per, ad esempio, un milione di euro, debba poi pagare imposte su tale importo come se fosse un ricavo.

In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento snello e rapido per ristrutturare il debito aziendale, particolarmente indicato quando: (i) la crisi è ancora reversibile e non acuta, (ii) si prevede l’adesione volontaria di larga parte dei creditori, (iii) si vuole evitare la pubblicità e i costi di una procedura concorsuale. Esso richiede tuttavia disciplina e trasparenza da parte del debitore nella fase esecutiva, poiché nessun soggetto esterno controllerà l’attuazione se non gli stessi creditori: è buona prassi istituire comitati di monitoraggio informali o nominare un advisor che verifichi periodicamente l’andamento del piano per mantenere la fiducia del ceto creditorio.

Convenzione di moratoria tra creditori

Un ulteriore strumento extragiudiziale previsto dal Codice della Crisi (art. 62 CCII) è la convenzione di moratoria. Si tratta di un accordo stipulato tra l’impresa debitrice e una parte significativa dei creditori (di regola finanziari, come banche) per ottenere una sospensione temporanea delle azioni di recupero e delle scadenze di pagamento, al fine di guadagnare tempo e gestire ordinatamente la crisi. In sostanza, i creditori sottoscrittori della convenzione si impegnano a non esigere i propri crediti e a non intraprendere procedure esecutive o cautelari per un certo periodo, consentendo al debitore di respirare e magari finalizzare un piano di ristrutturazione più complessivo.

La particolarità della convenzione di moratoria è che, se approvata dalla maggioranza dei creditori di una certa categoria (ad esempio, la maggioranza delle banche finanziatrici in valore di credito), essa può essere resa efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti della medesima categoria. Questo meccanismo di estensione degli effetti ai dissenzienti è stato introdotto per evitare che pochi creditori dissenzienti possano vanificare l’accordo di standstill raggiunto dalla maggioranza. Ad esempio, se l’80% delle banche che hanno finanziato l’impresa concordano nel congelare i rimborsi per 6 mesi, la convenzione di moratoria può essere opponibile anche al rimanente 20% di banche non firmatarie. In tal modo si ottiene un effetto simile a un automatic stay limitato ai creditori finanziari, ma senza intervento giudiziale diretto (anche se la pubblicazione nel Registro delle Imprese può essere necessaria per l’opponibilità ai terzi).

La convenzione di moratoria è quindi uno strumento negoziale di natura contrattuale che ha il vantaggio di essere rapido e costruito su misura dalle parti. Può essere utilizzata in concomitanza con la composizione negoziata o prima di un accordo di ristrutturazione più ampio. Di per sé, la convenzione non risolve la crisi, ma congela la situazione per consentire di elaborare e implementare le misure di risanamento. Tipicamente vi si ricorre quando l’azienda ha una struttura di debito concentrata presso pochi finanziatori e questi, riconoscendo le prospettive di recupero, accettano di evitare l’escussione immediata delle garanzie o il default, nell’interesse comune di massimizzare il recupero a lungo termine.

Dal punto di vista formale, per essere efficace, la convenzione deve essere sottoscritta dai creditori che rappresentino almeno i 3/4 del valore dei crediti di quella categoria (ad esempio, il 75% dell’esposizione bancaria) – soglia prevista dall’art. 62 CCII – e pubblicata nel Registro Imprese. Essa non comporta necessariamente un’attestazione professionale né omologazione, a meno che non sia inserita come fase di un accordo ex art. 57. Proprio l’assenza di omologazione rende la convenzione uno strumento flessibile ma anche privo di forza coercitiva al di fuori della categoria di creditori coinvolta: i fornitori, il Fisco o altri soggetti estranei non sono vincolati dalla moratoria e restano liberi di agire. Pertanto la convenzione di moratoria trova il suo campo ideale in accordi interbancari o inter-finanziatori, come ad esempio nelle ristrutturazioni di debiti bancari sindacati o bond, dove si vuole evitare che un singolo istituto attivi il default cross-default.

In sintesi, la convenzione di moratoria è uno strumento temporaneo e settoriale: utile per guadagnare tempo e creare una finestra di stabilità durante la quale il debitore elabora il piano definitivo. Non risolve da sola l’indebitamento, ma è spesso il preludio per accordi più strutturati.

Accordi stragiudiziali informali

Oltre ai piani attestati e alle convenzioni di moratoria, esiste sempre la possibilità per l’impresa di perseguire una ristrutturazione del debito interamente stragiudiziale e informale, semplicemente negoziando privatamente con i propri creditori al di fuori di schemi normativi predeterminati. In questo caso, non si fa ricorso né a istituti codificati né all’autorità giudiziaria: il debitore e ciascun creditore (o gruppi di creditori) raggiungono accordi transattivi bilaterali su base volontaria. Ad esempio, l’azienda può ottenere che alcuni fornitori accettino un pagamento parziale a saldo del loro credito (stralcio) o una dilazione dei termini di pagamento, oppure che le banche rinuncino temporaneamente a inquadrare come sofferenza la posizione e rinegozino i covenant. Questi accordi non richiedono attestazione né pubblicità, e possono essere altamente personalizzati.

Il vantaggio maggiore di una ristrutturazione informale è la massima libertà contrattuale e riservatezza: le parti possono pattuire qualsiasi modifica alle obbligazioni originarie (nei limiti generali della legge civile) senza dover rispettare requisiti procedurali o percentuali di consenso. Se tutti i creditori rilevanti aderiscono, l’operazione può avvenire rapidamente e senza i costi di una procedura. Inoltre, una ristrutturazione volontaria evita lo stigma concorsuale e permette spesso di mantenere migliori rapporti con i partner commerciali.

Di converso, però, questa soluzione non conferisce alcuna protezione legale aggiuntiva: i creditori non aderenti mantengono intatti i loro diritti e potrebbero agire esecutivamente. Anche tra aderenti, se poi la società finisse in fallimento entro i successivi anni, i pagamenti preferenziali ricevuti o le garanzie concesse potrebbero essere oggetto di azione revocatoria fallimentare (a differenza di quanto avviene per un piano attestato formalizzato) – a meno che non si dimostri che tali atti rientrano nelle esenzioni di legge (ad esempio, pagamenti a condizioni normali di mercato). Questo rischio legale spesso induce le imprese a formalizzare il piano come piano attestato proprio per usufruire del safe harbor anti-revocatoria. Un altro limite è la fragilità dell’accordo: se non c’è un vincolo legale collettivo, basta che uno o più creditori cambino idea o vendano il credito a terzi perché l’equilibrio si rompa.

In pratica, quindi, le ristrutturazioni informali funzionano soprattutto quando l’indebitamento è concentrato in poche mani, magari omogenee (es. un pool di 2-3 banche, oppure pochi fornitori principali), e c’è una fiducia reciproca nella riuscita del piano. Molte ristrutturazioni iniziano come tentativi informali; se però emergono contrasti o difficoltà, allora si passa a strumenti attestati o omologati per “imbrigliare” formalmente l’accordo.

Un caso particolare di accordi extragiudiziali informali riguarda i rapporti infragruppo o verso i soci: spesso nelle crisi le società controllanti o i soci finanziano l’impresa, o viceversa vantano crediti verso di essa. Questi crediti dei soci sono per legge postergati (subordinati) rispetto agli altri, e i soci possono decidere di convertirli in capitale o rinunciarvi per rafforzare il patrimonio dell’azienda. Tali interventi, se volontari, possono essere effettuati immediatamente e comunicati ai terzi per migliorare la percezione della solidità aziendale.

In conclusione, la via stragiudiziale pura è allettante per la sua semplicità ma presenta rischi notevoli in caso di crisi grave: per questo motivo il legislatore ha creato istituti come il piano attestato e gli accordi omologati, per incanalare l’autonomia negoziale in un quadro che dia maggiori certezze giuridiche alle parti.

Strumenti giudiziali di ristrutturazione del debito

Se la gravità della crisi, la necessità di coinvolgere tutti i creditori o la presenza di dissensi significativi rendono impraticabile la soluzione puramente extragiudiziale, il debitore può ricorrere ai strumenti giudiziali di regolazione della crisi. Si tratta di procedure previste dalla legge in cui interviene il tribunale per omologare (approvare) un accordo o un piano, rendendolo vincolante erga omnes e attivando una serie di effetti giuridici (come il stay delle azioni esecutive, il cram-down sui dissenzienti, ecc.). Nel CCII in vigore al 2025, i principali strumenti giudiziali di risanamento sono: (a) gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati (art. 57 e ss. CCII, inclusi i sottotipi “agevolati” ed “ad efficacia estesa”), (b) il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64-bis CCII, il cosiddetto PRO), e (c) il concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII, nelle varie forme: in continuità, liquidatorio o misto). Tratteremo anche (d) la liquidazione controllata del debitore, che pur essendo una procedura liquidatoria e non di risanamento, rappresenta l’ultima spiaggia giudiziale in caso di insuccesso delle soluzioni di ristrutturazione, soprattutto per i soggetti non fallibili o minori.

Vediamo in dettaglio ciascuno di questi istituti, con un linguaggio tecnico ma cercando di evidenziare gli aspetti salienti per la pratica.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII)

L’accordo di ristrutturazione dei debiti è un istituto introdotto originariamente nella Legge Fallimentare (art. 182-bis) e confermato nel nuovo Codice della Crisi (artt. 57-64 CCII) con alcuni ampliamenti. Esso consiste in un accordo negoziato con i creditori che rappresentino una determinata maggioranza dei crediti, accordo che viene poi omologato dal tribunale e acquisisce efficacia vincolante. In pratica, l’imprenditore in crisi elabora un piano di risanamento e lo sottopone ai creditori: se ottiene l’adesione di una percentuale sufficiente di essi (generalmente almeno il 60% dei crediti totali, per la versione ordinaria dell’accordo), presenta al tribunale la domanda di omologazione. Il tribunale verifica la regolarità dell’accordo, la fattibilità del piano e l’idoneità a soddisfare i creditori estranei in misura non inferiore a quanto otterrebbero in caso di liquidazione, quindi omologa l’accordo rendendolo efficace anche per i creditori aderenti dissenzienti (in certi casi, anche per alcuni non aderenti, come vedremo). Durante questo iter, il debitore può chiedere misure protettive per sospendere temporaneamente le azioni esecutive dei creditori mentre sono in corso le trattative e la raccolta delle adesioni.

Requisiti e contenuto: L’accordo di ristrutturazione richiede che il debitore sia in stato di crisi o insolvenza (anche prospettica). Deve essere allegato un piano economico-finanziario che illustri come verrà risanata la situazione e soddisfatti i creditori, oltre a una relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità dell’accordo a assicurare l’integrale pagamento dei creditori non aderenti nei termini di legge. Infatti, una differenza chiave rispetto al concordato è che nell’accordo ex art. 57 i creditori non aderenti (cioè quelli che non hanno firmato l’accordo) devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dalla scadenza (se il credito è già scaduto) o entro 120 giorni dall’omologazione (se non ancora scaduto) – questo prevedeva la normativa previgente, e il CCII ha mantenuto la tutela per i creditori estranei, salvo che intervenga un’estensione dell’accordo come spiegato oltre. In altri termini, l’accordo vincola direttamente solo i creditori che vi aderiscono; i terzi estranei devono ricevere quanto gli spetta fuori dall’accordo (a meno che la legge consenta di estendere loro gli effetti).

Percentuale di consenso richiesta: Nella forma standard, come detto, serve il consenso di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Una novità del Codice della Crisi è l’introduzione di sottotipi di accordo che agevolano il debitore riducendo tale soglia o aumentando l’efficacia:

  • Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII): consente di omologare un accordo anche con il consenso di soli 30% dei crediti totali. Questa soglia ridotta è pensata in situazioni in cui è difficile raggiungere il 60% (ad esempio, platea molto frammentata di creditori), ma al contempo non sono concesse misure protettive automatiche e l’accordo non può prevedere moratorie per i creditori non aderenti (che quindi vanno pagati regolarmente). In sostanza, l’accordo agevolato sacrifica alcune protezioni in cambio di una soglia di adesione più bassa, ed è utile per accordi rapidi con pochi creditori chiave: ad esempio, se un’azienda ha 30% di debiti verso una banca e il resto diffuso in piccoli creditori che verranno pagati normalmente, può bastare quell’unica banca consenziente per validare l’accordo.
  • Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): questa variante consente di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti alla stessa categoria omogenea di quelli aderenti. In pratica, il debitore può suddividere i creditori in categorie (tipicamente, ciò è avvenuto con le banche o obbligazionisti finanziari) e, se in una data categoria aderisce una maggioranza qualificata (almeno il 75%) in valore, l’accordo viene imposto anche ai membri dissenzienti di quella categoria. Questo strumento è stato introdotto per superare il problema dei “holdout” (creditori che rifiutano per ottenere trattamento di favore, sfruttando il vincolo dell’unanimità). Un esempio è il seguente: l’azienda propone un accordo ai 10 fornitori strategici ponendoli in un’unica classe; se 8 su 10 (che rappresentano poniamo l’80% del credito totale di quella classe) aderiscono, i 2 fornitori rimanenti saranno anch’essi vincolati a quanto previsto per la classe (ad es. accettare un pagamento parziale). Questo avvicina l’accordo di ristrutturazione a una mini-procedura concorsuale con classi. L’efficacia estesa è però limitata ad alcune tipologie di creditori previsti dalla legge (nel vecchio ordinamento era ammessa soprattutto verso le banche e gli obbligazionisti con specifiche tecnicalità).
  • Convenzione di moratoria e accordi su crediti pubblici: il CCII disciplina anche la possibilità di inserire nell’accordo delle sezioni specifiche relative a transazione fiscale e contributiva (art. 63) e alle convenzioni di moratoria (art. 62) di cui si è detto sopra, integrandole nell’ambito di un unico procedimento di omologazione. Inoltre, è prevista la possibilità di un cram-down fiscale: se la maggioranza richiesta per l’omologa c’è, ma il Fisco o gli enti previdenziali non aderiscono e il loro voto sarebbe determinante per raggiungere il quorum, il tribunale può ugualmente omologare l’accordo in assenza del loro consenso purché la proposta di soddisfacimento dei crediti fiscali/contributivi sia conveniente rispetto alla liquidazione. In pratica, se lo Stato rifiuta l’offerta ma l’alternativa (fallimento) gli garantirebbe meno, il giudice può forzare l’omologa (questa regola del “cram down fiscale” vale anche nel concordato preventivo).

Effetti dell’omologazione: Una volta omologato dal tribunale, l’accordo di ristrutturazione produce effetti vincolanti per tutti i creditori aderenti (ovvero firmatari) e, nei casi di efficacia estesa, anche per i non aderenti appartenenti alle categorie coinvolte nell’estensione. I creditori vincolati dall’accordo non possono avviare o proseguire azioni esecutive individuali, dovendo rispettare i tempi e le modalità di pagamento concordati. Di converso, il debitore è tenuto ad eseguire puntualmente gli obblighi assunti nel piano omologato; se non lo fa, i creditori potranno chiederne la risoluzione in tribunale e a quel punto si aprirebbe la liquidazione giudiziale (il che è una forte incentivazione per l’azienda a rispettare gli impegni). Durante la pendenza dell’accordo, il debitore rimane normalmente alla guida dell’impresa – non c’è spossessamento come nel fallimento – ma il Codice prevede possibili controlli sull’esecuzione: ad esempio, può essere nominato un ausiliario o una sorta di commissario su richiesta delle parti per vigilare sull’attuazione del piano, specie nei casi di accordi molto complessi. Inoltre, va ricordato che per incoraggiare l’afflusso di liquidità, i nuovi finanziamenti erogati in esecuzione di un accordo omologato – se previsti dal piano e attestati come funzionali – godono di privilegio in caso di successiva procedura concorsuale (sono prededucibili, art. 111 LF e corrispondente del CCII), e non sono soggetti a revocatoria, similmente a quanto avviene per i piani attestati.

Confronto con il concordato: Gli accordi di ristrutturazione possono essere visti come una via di mezzo tra il piano puramente contrattuale e il concordato preventivo. Rispetto al concordato, essi comportano minor coinvolgimento del tribunale e spesso tempi più rapidi (non c’è un voto formale di tutti i creditori, si raccolgono firme privatamente); inoltre, l’accordo non è pubblicizzato se non al momento dell’omologazione, limitando la diffusione di informazioni sensibili. Di contro, offrono meno garanzie di completezza: i creditori estranei restano fuori dall’accordo e vanno soddisfatti separatamente. Pertanto, l’accordo ex art. 57 è ideale quando vi è un numero ristretto di creditori chiave con cui si può trovare l’intesa, e gli altri possono essere pagati integralmente. Se invece la massa dei creditori chirografari è ampia e non si può pagarne tutti integralmente, è preferibile il concordato che consente di imporre falcidie anche ai dissenzienti di massa, a fronte però di maggioranze di voto formali.

Le modifiche del 2024-2025: va segnalato che con il D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo al CCII) sono state ulteriormente affinate queste norme, come evidenziato dallo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n.71-2024/PC pubblicato a maggio 2025. Le modifiche mirano a razionalizzare e semplificare l’uso degli accordi di ristrutturazione, chiarendo aspetti procedurali (ad esempio l’ambito soggettivo di applicazione, l’ammissibilità per imprenditori non commerciali in crisi, ecc.) e potenziando gli istituti introdotti (accordi agevolati, estesi, convenzioni di moratoria). In particolare, il correttivo ha esplicitato alcune condizioni: per l’accordo agevolato (30%) è confermato che non si possono ottenere misure protettive generalizzate e che i creditori estranei vanno tutti pagati regolarmente; per l’accordo ad efficacia estesa si è meglio definito il concetto di “categoria omogenea” e la procedura per notificare l’estensione ai dissenzienti. Inoltre è stata rafforzata la disciplina della transazione fiscale, prevedendo espressamente che il tribunale possa omologare l’accordo anche senza il voto favorevole dell’ente pubblico se il soddisfacimento proposto è almeno pari a quello di liquidazione (c.d. cram-down fiscale). Nel complesso, tali innovazioni rendono l’accordo di ristrutturazione uno strumento ancora più duttile e capace di adattarsi a vari scenari di crisi, con l’obiettivo di incentivare le soluzioni negoziate e scongiurare il fallimento ove possibile.

Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO, art. 64-bis CCII)

Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, abbreviato spesso in PRO, è una procedura di nuova introduzione nel diritto italiano, prevista dal Capo I-bis, Titolo IV del CCII (artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater). Introdotto con il D.Lgs. 83/2022 in attuazione della direttiva europea, il PRO rappresenta uno strumento intermedio tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo. In sostanza, consente al debitore di proporre un piano di risanamento a tutti i creditori, suddivisi obbligatoriamente in classi, e di ottenere l’omologazione del tribunale senza necessità del voto unanime di tutte le classi, purché ogni classe abbia approvato a maggioranza. Il PRO vincola tutti i creditori al pari di un concordato omologato, ma offre una maggiore flessibilità nelle regole di pagamento rispetto al concordato tradizionale.

Caratteristiche distintive: La peculiarità principale del PRO è che, in sede di piano, è possibile derogare alle regole civilistiche della parità di trattamento dei creditori e delle cause di prelazione. Ciò significa che nel PRO il debitore può proporre un soddisfacimento dei crediti non strettamente conforme all’ordine delle preferenze legali (privilegi, ipoteche, chirografi) e al principio che tutti i creditori chirografari debbano ricevere uguale percentuale: queste regole possono essere modulate attraverso la formazione di classi e l’offerta di trattamenti differenziati, a condizione di rispettare alcuni criteri di equità tra classi (come vedremo). Di fatto, questo strumento recepisce il concetto di “relative priority rule” della direttiva europea: non serve più l’assenso di ogni singola classe se si rispettano certe condizioni di trattamento relativo.

Requisiti di accesso: Possono accedere al PRO gli imprenditori commerciali (dunque società o ditte che esercitano attività commerciale, escluse le micro-imprese “minori”) che si trovino in stato di crisi o insolvenza. La presentazione della domanda avviene con ricorso al tribunale e, similmente al concordato, può avvenire in via prenotativa (con riserva di depositare il piano in un secondo momento, ex art. 44 CCII) ottenendo nel frattempo misure protettive per bloccare le azioni dei creditori. Il piano depositato deve necessariamente prevedere la suddivisione dei creditori in classi omogenee per posizione giuridica ed interesse economico. Tutte le classi formate devono approvare il piano a maggioranza (per valore di crediti; il CCII rinvia alle norme del concordato per modalità di voto), dopodiché il tribunale procede all’omologazione verificando la legittimità e fattibilità.

Una differenza notevole col concordato è che nel PRO non valgono i limiti minimi di soddisfazione del concordato liquidatorio: in caso di piano puramente liquidatorio, il PRO non richiede né l’apporto obbligatorio di risorse esterne pari al 10% né il pagamento minimo del 20% ai chirografari. Tali vincoli, previsti invece per il concordato liquidatorio tradizionale, sono stati volutamente esclusi per rendere il PRO più appetibile e flessibile (come confermato anche da giurisprudenza recente, ad es. Trib. Milano 9/10/2024, che ha dichiarato ammissibile un PRO a natura liquidatoria puro). Questo significa che un debitore può proporre un PRO in cui, ad esempio, i creditori chirografari ricevano meno del 20% se così è negoziato nelle classi, cosa non consentita nel concordato liquidatorio, purché ovviamente la proposta sia accettata dalle classi interessate.

Trattamento dei creditori nel PRO: La legge prevede criteri di equità e protezione dei creditori analoghi al concordato in continuità ma declinati in termini di classi. In particolare: i creditori privilegiati possono essere non pagati integralmente solo se ricevono almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni su cui hanno prelazione (principio del best interest test); la parte di credito privilegiato non coperta dal valore del pegno/ipoteca diventa chirografaria (come anche nel concordato). Inoltre, per quanto riguarda le classi chirografarie, la regola di ripartizione è che sul valore corrispondente al “valore di liquidazione” dell’azienda si rispetta l’ordine delle prelazioni (nessuna classe inferiore può ricevere più di una classe superiore su tale quota), mentre sul valore eccedente (quello generato dal piano di risanamento) è sufficiente rispettare una priorità relativa: ogni classe deve ricevere un trattamento non inferiore a quello delle altre classi di pari grado e più favorevole di quello delle classi di grado inferiore. Questa è la Relative Priority Rule: diversamente dall’Absolute Priority (dove una classe inferiore non può ricevere nulla se una superiore non è pagata integralmente), qui è possibile dare qualcosa a classi junior anche se le senior non sono soddisfatte integralmente, purché nessuna classe prioritaria stia peggio di una subordinata. Eccezione: i creditori con privilegio ex art. 2751-bis n.1 c.c. (lavoratori) mantengono il diritto di essere soddisfatti con priorità assoluta sia sul valore di liquidazione che su quello in continuità. Ciò significa che nel PRO (come nel concordato) i crediti per stipendi e TFR dei dipendenti non possono essere falcidiati né postergati: vanno pagati integralmente e con preferenza temporale (al più con un breve differimento di 6 mesi dall’omologa, come previsto per legge).

In sintesi, il PRO consente di costruire soluzioni molto flessibili di ristrutturazione: ad esempio, si può proporre di lasciare in azienda parte del valore generato dal risanamento (utile futuro) senza doverlo distribuire tutto ai creditori, il che equivale a far sì che alcuni creditori rinuncino a parte del dovuto in cambio di evitare la liquidazione. Questa possibilità di haircut concordato è subordinata però all’approvazione della classe di quei creditori stessi e al rispetto del vincolo che non ricevano meno di classi inferiori. In altre parole, il PRO contrattualizza la regola del concorso: se i creditori accettano in maggioranza di prendere meno, la minoranza dissenziente non può opporsi se il piano è omologato, anche se in un fallimento avrebbero forse concorso diversamente.

Procedura e omologazione: Il procedimento del PRO è simile a quello del concordato in termini di fase votazione e omologa, con qualche differenza. Il debitore deposita il piano e la proposta, il tribunale apre la procedura e nomina un giudice delegato e un commissario giudiziale se necessario (il CCII richiama alcune norme del concordato). Si svolge una votazione per classi: ciascuna classe approva se i crediti votanti favorevoli superano la metà del totale di quella classe (non conta la maggioranza numerica ma quella per valore). Regola di approvazione generale: il PRO è approvato se tutte le classi votano a favore. Se una o più classi votano contro, la legge consente tuttavia al debitore di chiedere al tribunale l’omologazione lo stesso, a condizione che il piano rispetti comunque le condizioni di trattamento sopra descritte e che almeno un’intera classe di creditori di grado pari o inferiore a quella dissentiente abbia accettato (criterio analogo al cross-class cram down europeo). Il giudice, verificati questi presupposti e la convenienza del piano per i dissenzienti (nessun creditore dissenziente può ricevere meno di quanto otterrebbe dalla liquidazione giudiziale, secondo il best interest of creditors test), può cramdown la classe contraria e omologare ugualmente il piano. Questa facoltà di omologazione nonostante il dissenso di classi è un elemento innovativo che distingue il PRO tanto dall’accordo di ristrutturazione (dove serve la percentuale minima, ma se la minoranza non aderisce e non viene pagata fuori resta un problema) quanto dal concordato vecchio stile (in cui, salvo casi di cramdown fiscale, serviva il voto favorevole di tutte le classi oppure alcune condizioni specifiche per bypassare una classe dissenziente).

Dal punto di vista degli effetti, un PRO omologato ha forza pari a un concordato: obbliga tutti i creditori antecedenti (anche quelli che non hanno votato perché magari non avevano diritto a voto, come privilegiati soddisfatti al 100%, o quelli che hanno votato contro in una classe approvata/compressa) secondo i termini del piano. Il decreto di omologazione, una volta definitivo, impedisce azioni individuali per i crediti anteriori e consente al debitore di proseguire l’attività (se in continuità) o di procedere alle dismissioni previste (se liquidatorio). Non essendo il PRO annoverato tra le procedure concorsuali “fallimentari” tradizionali, non dà luogo a reati fallimentari: cioè se poi il debitore in esecuzione del PRO commettesse irregolarità, non ricadrebbe nelle fattispecie di bancarotta (questo si deduce dall’assenza di richiamo nel RD 267/42 e confermato da dottrina). Ciò lo rende ulteriormente attraente per gli imprenditori, anche se naturalmente rimangono applicabili eventuali altri reati comuni in caso di frodi.

Impiego pratico: Il PRO è stato introdotto di recente e, come notato da osservatori, nei primi tempi ha avuto una scarsissima applicazione pratica. Questo perché le imprese e i professionisti hanno dovuto familiarizzare con lo strumento e perché spesso si è continuato ad usare il concordato o gli accordi noti. Tuttavia, le prime pronunce dei tribunali (es. Tribunale di Udine 9/3/2023; Tribunale di Milano 9/10/2024) hanno dato fiducia alla flessibilità del PRO, chiarendo ad esempio che: (i) è ammissibile un PRO anche a contenuto meramente liquidatorio (senza continuità aziendale e senza offerte concorrenti sui beni), purché le classi lo approvino; (ii) nel PRO è legittimo includere anche la falcidia dei debiti fiscali e contributivi senza necessità di una formale transazione fiscale, dato che l’art. 64-bis consente di prescindere dalle cause legittime di prelazione (il Tribunale di Udine ha ritenuto che nulla osti a ridurre l’IVA o altri tributi se il piano nel complesso è conveniente per l’Erario). Inoltre, è stata confermata la possibilità per il debitore, in sede di presentazione del PRO, di richiedere al giudice finanziamenti prededucibili urgenti per la gestione corrente o la ripresa dell’attività, analogamente a quanto avviene nel concordato in continuità (art. 54 CCII).

In definitiva, il PRO si configura come uno strumento altamente sofisticato, adatto a ristrutturazioni complesse dove occorre rimodellare in modo creativo il passivo, coinvolgere i creditori in soluzione di continuità o in operazioni sul capitale (il PRO infatti può prevedere anche la ristrutturazione delle partecipazioni, come aumenti di capitale con esclusione del diritto di opzione, conversione di crediti in quote, ecc., operazioni che l’omologazione rende efficaci anche senza il consenso di tutti i soci, superando eventuali resistenze degli azionisti “out of the money”). Il suo impiego richiede elevate competenze tecniche, ma offre in cambio grande flessibilità e potere contrattuale al debitore che riesca a ottenere il consenso delle classi di creditori più rilevanti.

Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è probabilmente lo strumento di regolazione della crisi più noto e tradizionale nell’ordinamento italiano. Esso consiste in una procedura concorsuale giudiziale nella quale l’imprenditore in crisi, per evitare la più traumatica liquidazione fallimentare, propone ai creditori un piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e il soddisfacimento parziale degli stessi, in cambio della prosecuzione dell’attività (concordato “in continuità”) oppure della liquidazione controllata dei beni (concordato “liquidatorio”). Il concordato preventivo è aperto dal tribunale su ricorso del debitore e si conclude – se ha successo – con una sentenza di omologazione che rende il piano vincolante per tutti i creditori anteriori.

Finalità e tipologie: L’art. 84 CCII, riscritto interamente dalla riforma del 2022, stabilisce che scopo del concordato è assicurare ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile da una liquidazione giudiziale, attraverso qualsiasi forma idonea: continuità aziendale, liquidazione del patrimonio, assegnazione delle attività a un assuntore, o altre forme tecniche. Si individuano due macro-tipologie di concordato:

  • il concordato in continuità aziendale (diretta o indiretta), dove l’impresa prosegue la sua attività (in capo al debitore stesso o trasferita a terzi) e i creditori sono pagati con i flussi generati dalla prosecuzione dell’azienda;
  • il concordato liquidatorio, dove invece l’attività cessa e i beni dell’impresa vengono liquidati (venduti o ceduti a un assuntore) per ricavare risorse con cui pagare i creditori.

Esistono anche forme miste (concordato con continuità parziale e liquidazione di asset non strategici), ma ai fini normativi si applicano principalmente le regole dell’una o dell’altra categoria a seconda che la continuità aziendale sia prevalente o meno nel piano.

Requisiti di ammissibilità: Può accedere al concordato l’imprenditore commerciale che versi in stato di crisi o insolvenza. Il debitore deve presentare un ricorso al tribunale, anche in questo caso con la possibilità di depositare una domanda “in bianco” (domanda con riserva ex art. 44 CCII) per ottenere subito protezione e poi completare la proposta e il piano entro un termine. All’atto del deposito del piano completo, il tribunale valuta l’ammissibilità verificando una serie di requisiti introdotti dalla riforma 2022-2023:

  • Per il concordato liquidatorio: il piano non deve essere manifestamente inidoneo a raggiungere gli obiettivi prefissati (quindi serve una fattibilità almeno apparente) e la proposta deve assicurare quei requisiti minimi di cui diremo a breve (10% attivo esterno, 20% ai chirografari).
  • Per il concordato in continuità: il tribunale verifica la ritualità della proposta e che il piano non sia manifestamente incapace di soddisfare i creditori secondo quanto promesso né di preservare i valori aziendali. In altre parole, il piano in continuità non può essere palesemente irrealistico o tale da non garantire un miglior risultato rispetto alla liquidazione.

Se il tribunale ammette il debitore, nomina i organi della procedura: un giudice delegato e uno o più commissari giudiziali. Da quel momento i creditori anteriori sono soggetti alla sospensione di azioni esecutive (automatic stay) e non possono iniziare o proseguire pignoramenti, né acquisire titoli di prelazione sul patrimonio del debitore, ex art. 54 CCII. L’impresa continua a operare, ma sotto la vigilanza del commissario e con eventuali limiti: atti eccedenti l’ordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del tribunale. Questo consente al debitore di preservare l’integrità aziendale in attesa del voto dei creditori.

Contenuto del piano di concordato: L’art. 87 CCII elenca analiticamente i contenuti che il piano deve avere, in parte simili a quelli del piano attestato visti sopra, ma con ulteriori specificità. Ad esempio, se il concordato è in continuità, il piano deve indicare l’analisi della capacità dell’impresa di stare sul mercato e generare ricavi, il piano industriale dettagliato, le misure di ristrutturazione organizzativa eventualmente previste (chiusura di rami d’azienda, taglio del personale, ecc., ricordando che licenziamenti collettivi o cassa integrazione durante il concordato seguono procedure semplificate ex lege). Se il concordato è liquidatorio, il piano deve descrivere le modalità di liquidazione (vendite all’asta, progetto di riparto, eventuale liquidatore già designato, ecc.). In ogni caso devono essere indicati: l’elenco dei creditori e i trattamenti proposti (es. percentuale e tempi di pagamento per ciascuna classe), la presenza di eventuali apporti di finanza esterna (nel liquidatorio obbligatoria come detto, almeno 10%), l’indicazione di quali creditori rimarranno inalterati (ad esempio alcuni privilegiati pagati integralmente subito, che quindi potrebbero anche non aver diritto di voto), e la classificazione in classi se richiesta.

Classi di voto: Nel concordato la suddivisione dei creditori in classi è obbligatoria quando vi sono creditori con posizioni giuridiche differenti o quando c’è continuità aziendale. In particolare, tutti i creditori privilegiati che vengono “pregiudicati” dalla proposta (cioè non soddisfatti integralmente in denaro entro 180 giorni dall’omologazione) devono essere messi in classi separate; inoltre i piccoli fornitori (imprese minori titolari di crediti chirografari) vanno in classi a sé, per evitare che la loro voce venga confusa con creditori più grandi. La logica delle classi è garantire trattamenti differenziati se necessario e assicurare voti separati per categorie omogenee.

Maggioranze e cram-down: Per l’approvazione del concordato si applica la regola generale: il concordato è approvato se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Nel caso di classi, occorre la maggioranza in ogni classe (oltre che la maggioranza assoluta sul totale crediti). Se vi è dissenso di una o più classi, il tribunale può comunque omologare il concordato (c.d. cram-down giudiziale) a condizione che: almeno una classe di grado pari o inferiore a quella dissenziente abbia approvato, e che i creditori dissenzienti siano soddisfatti in misura non inferiore a quella di liquidazione (best interest test) e nel rispetto del criterio di priorità relativa visto sopra. Questa regola, introdotta col nuovo Codice, consente di superare l’opposizione di una classe di creditori, compresa l’eventuale classe dei soci, se il piano nel complesso è equo. Inoltre, come già accennato, la legge specifica che il tribunale può omologare anche in mancanza di adesione del Fisco o degli enti previdenziali (cram-down fiscale) se l’adesione è decisiva per le maggioranze e l’offerta al Fisco è conveniente. Ciò evita che l’erario possa bloccare concordati che offrano comunque più di quanto il Fisco incasserebbe in caso di fallimento.

Requisiti speciali per il concordato liquidatorio: Per evitare il ricorso abusivo a concordati meramente liquidatori finalizzati solo a dilazionare il fallimento, il legislatore impone condizioni stringenti: i) il piano deve introdurre risorse esterne aggiuntive tali da incrementare di almeno il 10% l’attivo rispetto alla liquidazione fallimentare; ii) la soddisfazione proposta ai creditori chirografari (e ai privilegiati degradata in chirografo) deve essere almeno del 20% del loro credito. Questi due parametri – 10% di attivo in più e 20% di dividendo minimo – sono essenziali e la loro mancanza rende inammissibile la proposta. Ad esempio, se in fallimento i chirografari stimavano 10 centesimi di recupero, in concordato liquidatorio ne devono avere almeno 20 cent, e ciò deve risultare anche grazie a beni o denaro nuovo apportato da terzi (spesso i soci). La nozione di “risorse esterne” è stata precisata: sono quelle apportate dai soci o terzi senza obbligo di rimborso e destinate ai creditori concorsuali. Queste risorse godono di un regime di favore (possono distribuirsi in deroga alle cause di prelazione, ma sempre nei limiti di assicurare almeno il 20% in proporzione).

Trattamento dei crediti privilegiati e dei lavoratori: Nel concordato, come nel PRO visto, i creditori privilegiati possono essere falciati (cioè non pagati integralmente) solo se viene garantito loro almeno il valore di realizzo dei beni su cui hanno garanzia, calcolato al netto dei costi di procedura. Ciò deve risultare da una attestazione specifica del professionista. Qualora una parte del credito privilegiato resti non coperta, essa scivola tra i chirografari. Per i lavoratori dipendenti, invece, vige l’obbligo di pagamento integrale e prioritario di salari e stipendi arretrati (di regola ammessi in prededuzione se riferiti agli ultimi 3 mesi, o comunque in privilegio ex art. 2751-bis c.c.). Il CCII consente al massimo una moratoria fino a 6 mesi dall’omologazione per il pagamento di questi crediti da lavoro, ma non oltre, e solo se necessario per la riuscita del piano. Inoltre, l’art. 2116 c.c. citato nel Codice impone che in ogni caso i lavoratori percepiscano le retribuzioni dovute anche se il datore non ha versato i contributi (il che rileva in concordato per evitare che scoperti contributivi impediscano l’INPS di erogare il trattamento di fine rapporto garantito). In sostanza, dipendenti e collaboratori sono tutelati al massimo grado: il concordato non può essere a loro danno, ed anzi deve tendere a preservare i posti di lavoro quando è in continuità.

Omologazione e effetti: Se i creditori approvano la proposta (o se il tribunale supera eventuali dissensi con cram-down) si passa all’omologazione. Dall’omologazione il concordato preventivo dispiega i suoi effetti: sostituisce le obbligazioni originarie con quelle nuove previste nel piano (ad esempio, un creditore aveva 100€ a pronti, ora ha diritto a 60€ in 2 anni come da piano omologato), ed è vincolante per tutti i creditori anteriori. Questi non potranno agire individualmente, ma solo ottenere quanto stabilito. L’esecuzione del concordato viene supervisionata dal commissario (che diventa liquidatore giudiziale se c’è da liquidare beni) e dal giudice delegato. Se il debitore adempie correttamente, al termine il tribunale dichiara eseguito il concordato e la procedura si chiude positivamente. Se invece il debitore non adempie (ad esempio non paga le rate concordatarie), i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato, che comporta generalmente l’apertura della liquidazione giudiziale (ex fallimento). L’adempimento del concordato comporta che i creditori sono soddisfatti per quanto previsto e perdono la parte residua di credito non pagata (la quale è definitivamente falcidiata e inesigibile, salvo eventuali garanzie di terzi come fideiussioni di soci su cui poi il creditore potrebbe rivalersi separatamente).

Concordato in continuità aziendale: Merita una breve focalizzazione. In questo tipo di concordato l’enfasi è sul mantenere in vita l’impresa, convogliando ai creditori il valore generato dall’esercizio continuo dell’attività. Per favorirlo, il legislatore ha introdotto diverse norme di sostegno:

  • la possibilità di moratorie lunghe per i creditori privilegiati (diverse dai lavoratori) anche oltre l’omologazione, purché ciò sia funzionale al piano e non vi sia vendita dei beni dati in garanzia (es. pagare le banche ipotecarie a 2 anni se la continuità richiede capitale circolante nel frattempo);
  • l’esclusione dell’obbligo del 20% chirografi e 10% attivo nuovo (che si applicano solo al liquidatorio puro);
  • la protezione dei contratti in corso di esecuzione importanti, che il debitore può scegliere di continuare o sciogliere con autorizzazione (con eventuale indennizzo come credito ante-concordato);
  • la facoltà di ottenere finanziamenti interinali e di emergenza durante la procedura, autorizzati dal giudice, con privilegio di prededuzione, per sostenere la gestione corrente (ad esempio credito di fornitura post-petition, o prestiti ponte).

Il concordato in continuità può essere diretto (l’imprenditore stesso continua a gestire la sua azienda risanandola) oppure indiretto (il piano prevede che un terzo assuntore prenda in carico l’azienda, ad es. tramite affitto d’azienda e successiva vendita, assicurando la continuità dei livelli occupazionali). In caso di assuntore, costui può anche immettere risorse e beneficiare di un regime di esenzione dalle responsabilità pregresse (salvo obblighi contrattuali che si assume). La procedura di concordato con assuntore comporta inoltre le offerte concorrenti: se il debitore individua un assuntore, l’offerta di questi (ad es. pago 5 milioni per avere l’azienda) viene pubblicata e possono presentarsi offerte migliorative di altri, per massimizzare il ricavato a beneficio dei creditori. Questo meccanismo, potenzialmente scoraggiante per l’assuntore iniziale, è stato reso più flessibile: il tribunale può modulare il procedimento di gara per equilibrare l’interesse dei creditori a un prezzo migliore e quello alla conservazione dell’offerta iniziale.

Gli ultimi correttivi 2024: Anche per il concordato, il D.Lgs. 136/2024 ha apportato alcuni ritocchi, ad esempio estendendo a 5 anni (da 3) la durata massima della moratoria per i creditori privilegiati nel caso di concordati con continuità a lungo termine, e affinando la disciplina del voto dei creditori privilegiati parzialmente soddisfatti. Inoltre, ha chiarito che nel concordato minore (procedura per piccoli imprenditori non fallibili, art. 74 CCII) si applicano gli stessi principi di quello preventivo, salvo adattamenti, come l’obbligo del 20% chirografi anche lì. Ha poi colmato lacune relative al coordinamento col sovraindebitamento e rafforzato il ruolo degli adeguati assetti nel segnalare la crisi prima del concordato.

In conclusione, il concordato preventivo resta lo strumento cardine per le situazioni di crisi più gravi dove serve una soluzione collettiva e autoritativa. È una procedura complessa, che richiede un intenso lavoro di preparazione e costi (tribunale, commissari, eventuali esperti), ma garantisce un esito definitivo: o l’azienda risorge e riparte alleggerita dai debiti (se il piano riesce), oppure si passa alla liquidazione con una certa tutela dell’ordine delle cause di prelazione. La sua efficacia dipende molto dalla qualità del piano e dal convincimento dei creditori: ecco perché, anche in un concordato, spesso la differenza la fa la capacità del debitore di negoziare anticipatamente il supporto dei creditori maggiori (in gergo, pre-concordato negotiating), per arrivare al voto già con il quorum in tasca. Le norme aggiornate al 2025 offrono comunque più strumenti che in passato per persuadere i creditori (come la possibilità di classi e offerte calibrate) e per evitare che minoranze o enti pubblici blocchino soluzioni vantaggiose per tutti.

Liquidazione controllata del debitore

Quando ogni tentativo di risanamento o accordo risulta impraticabile, si giunge all’epilogo della crisi con la liquidazione giudiziale (il “fallimento” nella vecchia terminologia) o, per i soggetti minori, con la liquidazione controllata. Poiché questa guida adotta la prospettiva del debitore e del risanamento, la liquidazione rappresenta la soluzione di ultima istanza, da considerare solo se non vi è alcuna prospettiva di salvaguardare l’attività aziendale come going concern. Tuttavia, è opportuno illustrarla brevemente, soprattutto nella forma speciale di liquidazione controllata, in cui emergono alcune peculiarità utili a completare il quadro.

Liquidazione giudiziale vs. liquidazione controllata: La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale aperta su iniziativa dei creditori (o d’ufficio in rari casi) o anche su richiesta dello stesso debitore, quando questi è insolvente e non ha prospettive di risanamento. Essa corrisponde all’idea tradizionale di “fallimento”, con la nomina di un curatore, la spossessione dell’imprenditore e la vendita dell’intero patrimonio per pagare i creditori secondo le prelazioni. La liquidazione controllata invece è una procedura prevista per i debitore “sovraindebitati” non assoggettabili al fallimento (soggetti minori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, consumatori), ed è disciplinata nella parte del CCII dedicata al sovraindebitamento. In pratica, la liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268 e ss. CCII) rimpiazza la vecchia “liquidazione del patrimonio” della L. 3/2012: il debitore sovraindebitato può chiedere al tribunale di liquidare tutti i suoi beni sotto la supervisione di un liquidatore nominato, al fine di soddisfare i creditori e ottenere l’esdebitazione (cioè la liberazione dai debiti residui) a fine procedura.

Dal punto di vista del debitore imprenditore, la liquidazione giudiziale o controllata è un percorso che segna la fine dell’attività: l’azienda di fatto viene spenta o ceduta, l’imprenditore perde l’amministrazione dei beni e un organo terzo (curatore o liquidatore) provvede a vendere gli asset, incassare crediti, sciogliere contratti, e ripartire il ricavato ai creditori. Non vi è alcun piano di ristrutturazione in senso stretto, solo un programma di liquidazione. Non c’è soddisfazione integrale di solito: i creditori ricevono un dividendo proporzionale in base al rango (i privilegiati di grado più elevato per primi, etc., i chirografari di solito molto parziale). Alla fine, nella liquidazione controllata, il debitore persona fisica o socio illimitatamente responsabile può chiedere di essere esentato dai debiti residui (una sorta di fresh start, se ha collaborato e non ci sono irregolarità), mentre nella liquidazione giudiziale di una società, quest’ultima viene cancellata dal registro imprese e i debiti insoddisfatti restano inesigibili (la società non esiste più, quindi i creditori non possono che prendere atto della perdita).

Perché parlarne in una guida sul risanamento? Perché a volte la minaccia o la prospettiva della liquidazione è ciò che spinge creditori e debitore a fare concessioni e trovare soluzioni negoziali prima. Inoltre, anche in sede di liquidazione controllata esiste la possibilità di concordare un concordato semplificato post-fallimentare o soluzioni parziali (ad es. cessione dell’azienda a terzi che magari proseguono l’attività fuori dalla procedura), che non salvano la vecchia impresa ma salvaguardano i suoi valori economici (es. i dipendenti assunti dall’acquirente, etc.). In questo senso, conoscere i meccanismi della liquidazione aiuta a valutare il scenario peggiore con cui confrontare qualsiasi piano: ogni piano di ristrutturazione serio deve garantire ai creditori almeno la pari o migliore soddisfazione rispetto a quella ottenibile in liquidazione, dunque occorre saper stimare quest’ultima.

Principali caratteristiche della liquidazione controllata:

  • È una procedura che può essere avviata su istanza del debitore sovraindebitato (anche persona fisica) o di un creditore. Il tribunale nomina un liquidatore e le procedure sono semplificate rispetto al fallimento classico.
  • Il liquidatore predispone un progetto di liquidazione e uno stato passivo dei crediti, sotto il controllo del giudice delegato. Spesso c’è meno formalismo (ad esempio, per piccoli patrimoni le vendite possono essere fatte anche direttamente, con minor spese).
  • Il debitore persona fisica (o socio illimitatamente resp.) può ottenere l’esdebitazione del sovraindebitato a fine procedura: se ha cooperato e non ha tenuto comportamenti dolosi, il tribunale può dichiarare inesigibili i debiti residui non soddisfatti, offrendo un fresh start. Questa è una forte motivazione per scegliere la liquidazione controllata volontaria quando non si intravede risanamento, perché consente di chiudere col passato e ripartire senza debiti (cosa che un semplice fallimento in passato lasciava incerti).
  • Per le società non fallibili (es. imprese agricole di piccole dimensioni), la liquidazione controllata porta alla loro cancellazione; per le persone fisiche, come detto, all’esdebitazione.
  • I creditori nella liquidazione controllata partecipano secondo le regole concorsuali classiche (privilegi, ipoteche, chirografi tutti in concorso). Non c’è una fase di voto perché non c’è un piano da approvare, è il giudice che alla fine omologa il riparto.
  • La durata dipende dalla complessità, ma essendo tipicamente soggetti minori, molte liquidazioni controllate si chiudono in tempi relativamente brevi (1-2 anni).

Esempio: Un artigiano non fallibile con debiti per 300.000€, nessuna prospettiva di accordo credibile, può presentare istanza di liquidazione controllata. Il liquidatore vende i macchinari e la casa di proprietà (se non protetta) per ricavare magari 150.000€, paga le prededuzioni e poi distribuisce il resto in percentuale ai creditori (mettiamo 50%). Il giudice, su richiesta, concede l’esdebitazione per il restante 50%, liberando l’artigiano da ogni obbligo ulteriore, che così può magari riprendere attività altrove senza il fardello dei debiti pregressi.

Rapporto con le procedure di risanamento: Spesso, nelle trattative di ristrutturazione, il debitore deve convincere i creditori che la soluzione proposta (accordo, concordato, ecc.) è più vantaggiosa della liquidazione giudiziale. Ciò si dimostra con comparazioni di scenari. Ad esempio, se in caso di fallimento i creditori stimano di recuperare 30%, mentre l’accordo proposto ne offre 50%, la convenienza è evidente. Viceversa, se i creditori percepiscono che la liquidazione farebbe recuperare di più (magari perché il patrimonio è sufficiente a pagare il 100% e il debitore vuole stralciare e pagare solo 70%), difficilmente accetteranno un piano. La legge tutela questo concetto con il citato best interest test, che impedisce omologazioni di piani peggiorativi rispetto alla liquidazione.

In ultimo, va menzionato il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, introdotto dal D.L. 118/2021: se un tentativo di composizione negoziata fallisce, l’imprenditore può chiedere direttamente l’omologazione di un concordato liquidatorio senza passare per il voto dei creditori. Questo strumento è speciale e di uso limitato, ma è parte del ventaglio di opzioni dal lato debitore. Prevede la cessione dei beni a un assuntore individuato dall’esperto della composizione negoziata e viene omologato dal tribunale valutando la soddisfazione dei creditori; essi possono solo proporre opposizioni ma non votano. È stato pensato per evitare la liquidazione giudiziale quando c’è una soluzione di liquidazione “rapida” con un soggetto disponibile a rilevare i beni. Tuttavia, trattandosi di ipotesi particolari, non lo approfondiamo oltre in questa sede avanzata.

Conclusione sezione giudiziale: Abbiamo esaminato il ventaglio completo: l’accordo omologato (più contrattuale), il PRO (ibrido con classi), il concordato (procedura concorsuale classica) e infine la liquidazione (la fine del percorso). Nel prossimo capitolo applicheremo questi concetti in pratica, attraverso esempi simulati di piani di ristrutturazione nei principali settori aziendali, per comprendere come adattare la strategia e gli strumenti al contesto specifico di ciascuna impresa in crisi.

Esempi pratici di piani di risanamento per diversi settori

In questa sezione presentiamo alcuni casi esemplificativi di imprese appartenenti a diversi settori (edilizia, commercio, manifatturiero, servizi, tecnologico) e ipotizziamo per ciascuna un percorso di ristrutturazione del debito con relativo piano. Queste simulazioni, pur semplificate, riflettono problematiche tipiche e soluzioni frequenti in quei comparti, mostrando come gli strumenti descritti finora possano essere applicati nella pratica operativa. Ogni esempio mette in luce anche il trattamento delle varie categorie di creditori (banche, fornitori, Fisco, dipendenti) nel contesto specifico.

Caso Alpha S.p.A. – Settore Edilizia

Scenario: Alpha S.p.A. è un’impresa di costruzioni con 50 dipendenti, specializzata in edilizia civile. A seguito di una grave crisi immobiliare, si trova con diversi cantieri bloccati e debiti ingenti: 10 milioni di euro verso banche (per mutui e scoperti di cantiere garantiti da ipoteche su terreni edificabili), 4 milioni verso fornitori di materiali e subappaltatori, 2 milioni di debiti tributari (IVA non versata e contributi arretrati) e 0,5 milioni verso dipendenti (stipendi arretrati di alcuni mesi e TFR maturato). L’attivo di Alpha consiste in alcuni terreni e immobili in costruzione (valore stimato 8 milioni se completati, ma vendibili nello stato attuale per soli 4 milioni), attrezzature e mezzi (1 milione), crediti verso clienti (0,5 milioni, ma incassabili a fine lavori) e cassa quasi esaurita.

Crisi: L’azienda è di fatto insolvente: non riesce a pagare i fornitori e le banche hanno revocato gli affidamenti. Tuttavia, c’è un progetto di housing sociale co-finanziato pubblico che potrebbe risollevarla se completato, e un investitore immobiliare interessato ad acquistare i cantieri finiti.

Soluzione prospettata: Dopo consultazioni con i consulenti, Alpha S.p.A. decide per un concordato preventivo in continuità aziendale con assuntore (concordato misto). La strategia è: completare il cantiere principale (housing sociale) e vendere le unità immobiliari con l’incasso destinato ai creditori, mentre altre opere secondarie verranno cedute a un assuntore (un investitore che rileverà un cantiere non finito). In parallelo, i soci metteranno nuova finanza per 500.000€ per contribuire ai costi di completamento. Il tutto confluisce in un piano di concordato così strutturato:

  • I creditori sono divisi in classi:
    • Banche ipotecarie (classe A): hanno garanzie sui terreni. La proposta è di pagare il 100% del valore di perizia dei terreni (che equivale a circa il 60% dei loro crediti, ossia 6 milioni su 10) entro 12 mesi dall’omologazione, mediante la vendita degli immobili completati. La parte residua dei loro crediti (4 milioni) sarà degradată a chirografaria (classe C).
    • Fornitori e subappaltatori (classe B): chirografari puri, proposta di soddisfacimento al 40% in 2 anni, utilizzando i flussi di cassa delle vendite immobiliari e un contributo dell’assuntore.
    • Crediti Fisco e INPS (classe C1): privilegio generale e chirografi erariali, proposta di transazione fiscale: pagamento integrale dell’IVA dovuta (prioritario per legge) e del 50% degli altri tributi e contributi, dilazionato in 4 anni (con interessi legali), sfruttando la continuità. L’IVA (che ha privilegio speciale sugli immobili in costruzione) verrà soddisfatta con preferenza dal ricavato delle vendite.
    • Dipendenti (classe D): crediti per stipendi e TFR, saranno pagati integralmente entro 6 mesi dall’omologazione (utilizzando anche il Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità).
    • Creditori chirografari residuali (classe C2): qui confluirà la parte non garantita delle banche (4 milioni) e qualsiasi altro debito chirografario. Proposta: stesso trattamento della classe B (40% in 2 anni), così da rispettare parità intra-grade.
  • Continuità diretta su cantiere housing: Il piano prevede che Alpha porti a termine il progetto di housing sociale (con durata 18 mesi). I flussi generati (vendita degli appartamenti, contributi pubblici a saldo lavori) stimati in 8 milioni serviranno a pagare in primis i costi per finire l’opera e i creditori come da piano.
  • Assuntore per altri asset: Un investitore (Beta Real Estate) funge da assuntore rilevando un secondo cantiere semi-iniziato per 2 milioni, somma che entrerà nelle casse concordatarie e sarà destinata ai creditori. Beta Real Estate si impegna a proseguire quell’intervento fuori dal concordato.
  • Apporto soci: I soci di Alpha verseranno 500.000 € di finanza esterna, destinata interamente a soddisfare in parte i debiti tributari e i fornitori (questo apporto incrementa l’attivo ed è condizione per raggiungere il 20% di soddisfacimento dei chirografi).
  • Moratorie: Si prevede una moratoria di 1 anno per il pagamento della parte ipotecaria delle banche (che attendono la vendita immobili per incassare il 60%) e di 6 mesi per il pagamento dei dipendenti (massimo consentito). I fornitori invece riceveranno già acconti entro il primo anno grazie alle prime vendite.
  • Attestazioni: Il professionista indipendente attesta che il piano è fattibile: in caso di liquidazione giudiziale, la perizia dice che i creditori avrebbero preso solo 30% (dati i valori forzati molto bassi dei cantieri interrotti) – qui invece i chirografi prendono 40%, e i privilegiati speciali (banche) 60% del loro complessivo (ma pari al 100% del valore dei beni), quindi tutti stanno meglio del fallimento.

Esito atteso: Nel piano Alpha, i creditori votano per classi. Le banche (classe A) sono favorevoli perché ottengono velocemente il valore pieno dei loro collaterali senza attendere un fallimento incerto; i fornitori (B) comprendono di avere il 40% invece del probabile 10-20% in caso di default e votano sì; il Fisco (C1) formalmente potrebbe opporsi per il 50% di abbuono, ma data la convenienza viene utilizzato il meccanismo del cram-down fiscale e il tribunale omologa anche senza un voto esplicito dell’erario, notando che quell’accordo conviene (incassa l’IVA e metà del resto) più del fallimento. I dipendenti (D) ricevono tutto e quindi non hanno diritto di voto (sono classi soddisfatte integralmente). L’omologazione viene pronunciata e Alpha S.p.A. esegue il piano sotto la vigilanza del commissario: i lavori proseguono, vengono generate vendite, i creditori vengono pagati secondo le scadenze. Dopo 2 anni, completati i pagamenti del 40% a fornitori e banca chirografa, il tribunale dichiara eseguito il concordato. La società è salva e, alleggerita dall’onere dei debiti residui, può continuare la sua attività (eventualmente riconvertendosi in un modello meno rischioso, come solo general contractor di progetti pubblici). Il valore sociale è preservato: la clientela (acquirenti delle case) ha visto terminare l’opera, 30 dei 50 dipendenti sono stati mantenuti (20 purtroppo sono usciti con incentivo all’esodo, costo coperto dal fondo apposito nel piano).

Nota: Questo caso evidenzia l’utilizzo combinato di continuità e liquidazione mirata, tipico del settore edile dove spesso conviene finire almeno un’opera per non perdere il valore latente. Mostra anche il trattamento delle varie categorie: banche garantite soddisfatte fino al valore dei beni (nessuna violazione del loro privilegio), fornitori trattati in classe separata con percentuale, Stato trattato con transazione ad hoc, lavoratori integralmente pagati.

Caso Beta S.r.l. – Settore Commercio (Retail)

Scenario: Beta S.r.l. gestisce una catena di 15 negozi di abbigliamento. La crisi è dovuta all’avvento dell’e-commerce e a costi fissi elevati: Beta ha accumulato 3 milioni di debiti verso fornitori (collezioni non pagate), 1 milione con la banca (affidamenti di cassa garantiti da pegno su magazzino), 0,5 milioni verso proprietari immobiliari (affitti arretrati), 0,5 di debiti tributari (IVA e tasse locali) e circa 0,3 verso dipendenti (pochi arretrati, avendo già chiuso alcuni punti vendita e licenziato parte del personale con TFR dovuto). L’attivo consiste essenzialmente in un magazzino di merce invenduta (valore contabile 2 milioni, realizzabile forse la metà con saldi o stock) e arredi/usato di negozi.

Beta è in crisi di liquidità ma non ancora in insolvenza irreversibile: se ridimensiona la rete e converge sulle vendite online, potrebbe tornare profittevole. Non vuole però entrare in procedura pubblica per timore di perdere del tutto la fiducia dei brand fornitori e dei clienti.

Soluzione prospettata: Beta opta per un accordo di ristrutturazione dei debiti in bonis (senza fallimento) con i principali creditori, sfruttando la possibilità di ottenere un omologa che renda l’accordo definitivo. Con l’aiuto di un esperto nominato informalmente (un professionista che farà anche da attestatore), Beta elabora un piano che prevede:

  • Chiusura di 5 negozi meno redditizi, con disdetta delle locazioni (ha trovato un accordo con i landlord: rientreranno in possesso dei locali e rinunceranno al 50% degli affitti arretrati, accettando il resto in 12 mesi).
  • Vendita rapida a stock del magazzino in eccesso per generare cassa (svendita o a grossisti).
  • Conversione del modello di business puntando più sull’e-commerce e mantenendo 10 negozi fisici in zone profittevoli.
  • I soci immettono 200.000 € di nuovo capitale per finanziare parzialmente i costi di licenziamento di 20 dipendenti e investimenti sul canale online.

Accordo con i creditori: Beta riesce a coinvolgere i creditori che rappresentano il 70% del totale debiti (quindi sopra soglia 60%). In particolare:

  • 2 fornitori principali (che coprono il 50% del credito fornitori) accettano di essere pagati al 60% in 18 mesi, e continueranno a fornire merce alle nuove condizioni.
  • La banca (credito 1 milione) è d’accordo a non revocare il fido e a convertirne 300k in un finanziamento a 5 anni, mentre rinuncia a 200k (stralcio) e manterrà pegno sulla merce residua. Totale recupero banca 800k = 80%. Avendo pegno su merci, la banca ragiona che in fallimento avrebbe forse recuperato meno data la svalutazione.
  • I proprietari dei negozi (50% di affitti arretrati, perché alcuni locali sono di piccoli investitori) aderiscono rinunciando al 50% come negoziato, e già rifittano i locali liberati ad altri.
  • L’Erario (IVA e tasse) è di 500k. Beta presenta istanza di transazione fiscale: propone di pagare integralmente IVA (300k) e il 40% di IRAP e IMU arretrate, in 2 anni. Questo accordo necessita di adesione dell’Agenzia Entrate e Comune. Supponiamo che venga ottenuta (il debitore ha evidenziato che in caso contrario c’è rischio fallimento con recupero stimato <30%). In virtù dell’art. 63 CCII, l’accordo di ristrutturazione può includere la transazione fiscale e contributiva, soggetta al giudizio di convenienza del tribunale in sede di omologa.
  • I dipendenti: quelli licenziati (20 persone) prendono subito il TFR e rate di incentivo coperti dall’apporto soci e dal fondo di garanzia; i restanti 30 restano in organico e Beta garantisce loro continuità e pagamento degli arretrati in 3 mesi (questi debiti lavoro non richiedono adesione: Beta li paga e basta, fuori accordo, per legge).

Beta deposita l’accordo con l’adesione di oltre il 60% dei crediti totali e chiede l’omologazione ex art. 57 CCII. Dato che i creditori estranei (chi non aderisce) verranno comunque pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa (infatti Beta, con la liquidità generata dalle vendite di stock e un finanziamento post-omologa concordato dalla banca di 200k, prevede di soddisfare i piccoli fornitori non aderenti per intero e i dipendenti li ha già sistemati), il tribunale può omologare senza problemi. L’attestatore produce relazione positiva, affermando che l’accordo è sostenibile e che i creditori estranei non verranno lesi.

Esito atteso: Una volta omologato, l’accordo diviene vincolante. Ad esempio, se c’è un piccolo fornitore che non aveva formalmente aderito, Beta comunque lo paga integralmente nei termini di legge, quindi non subisce danno. I fornitori aderenti ricevono i pagamenti falcidiati secondo il calendario concordato. L’Erario incassa l’IVA e il 40% di altro (per omologare il tribunale ha valutato che il cram-down fiscale non serve perché l’Agenzia ha accettato vedendo convenienza). La banca vede consolidato il nuovo piano di rimborso e lo stralcio; soprattutto, rimane partner dell’azienda e non deve svalutare tutto il credito. Beta riesce a rilanciarsi: ridotti i costi, i negozi rimasti iniziano a generare utile, l’e-commerce decolla in parte. In 2 anni l’azienda è di nuovo in bonis e può anche cercare un investitore per crescere.

Questo caso Beta mostra come nel commercio al dettaglio, dove la fiducia di fornitori e brand è fondamentale, spesso si prediliga un accordo di ristrutturazione piuttosto che un concordato pubblico. I fornitori preferiscono trattare direttamente e mantenere il cliente (se credono nel rilancio). Viene inoltre evidenziato il ruolo della transazione fiscale e la necessità di convincere anche i creditori pubblici. Infine, illustra la combinazione di misure: riduzione di punti vendita (taglio costi), contributo soci, stralcio parziale dei debiti. Tutto senza tribunale se non per l’omologa finale, il che preserva la reputazione di Beta (che comunica alla stampa una “riorganizzazione volontaria” più che un concordato).

Caso Gamma S.p.A. – Settore Manifatturiero

Scenario: Gamma S.p.A. è un’azienda manifatturiera meccanica con 120 addetti, forte patrimonializzazione in impianti e macchinari, molto indebitata con le banche (20 milioni di esposizione, di cui 15 mutui ipotecari su capannoni e 5 scoperti vari con garanzie miste) e con un calo di fatturato dovuto alla perdita di un cliente estero. Ha anche debiti verso fornitori per 4 milioni, verso l’Erario per 3 milioni (IVA più contributi) e verso i dipendenti per 1 milione (TFR maturato e alcune mensilità, poiché l’azienda ha fatto cassa integrazione). L’attivo: immobilizzazioni per 10 milioni (capannoni e macchinari, valore di mercato in blocco forse 6-7 milioni), magazzino e crediti per 5 milioni, liquidità scarsa.

I covenant bancari sono saltati, la società è in stato di crisi avanzata ma potenzialmente recuperabile se trova investimenti per riconvertirsi e nuovi mercati. Spunta un potenziale investitore industriale disposto a entrare nel capitale con 5 milioni, a condizione di “pulire” il bilancio dai debiti e ridurre il personale di 30 unità con costi a carico in parte dei soci uscenti.

Soluzione prospettata: Data la complessità (molte banche, vari fornitori, esuberi di personale), Gamma S.p.A. intraprende un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), sfruttando la flessibilità in termini di classi e la possibilità di efficacia erga omnes con maggioranze. Questo le consente di impostare un piano relativamente aggressivo ma sostenibile:

  • I creditori vengono suddivisi in classi:
    1. Banche garantite ipotecarie (Classe 1): 15 milioni di crediti. Proposta: pagamento del 80% del credito (12 milioni) entro 5 anni, con nuovi finanziamenti (anche dall’investitore) e dismissione di un capannone secondario. Il 20% residuo viene stralciato. Questa classe accetta perché in scenario liquidatorio le banche stimano di recuperare forse 60%: qui 80% è soddisfacente.
    2. Banche chirografarie e finanziarie minori (Classe 2): 5 milioni. Proposta: conversione di metà credito (2,5M) in quote di capitale (l’investitore gradisce che alcune banche diventino socie minoritarie con equity, per allineare interessi) e l’altro 50% pagato in 5 anni. In termini percentuali, recupero del 100% ma in parte con equity risk. Le banche di questa classe vedono meglio prendere equity che rischiare un fallimento con 0, e si coinvolgono.
    3. Fornitori strategici (Classe 3): 3 milioni (fornitori indispensabili da mantenere). Proposta: pagamento 60% in 2 anni, residuo stralciato.
    4. Fornitori residuali (Classe 4): 1 milione (tanti piccoli). Proposta: pagamento 30% in 1 anno, grazie a un accordo con una società di factoring che anticipa qualcosa e poi incasserà il 30%. (Molti di questi piccoli creditori preferiscono poco subito che attendere).
    5. Erario e INPS (Classe 5): 3 milioni. Proposta: pagamento integrale dei contributi e ritenute (prioritari) e 40% di IVA e imposte, in 4 anni, con eventuale conversione in strumenti finanziari (ipotizzando normative di favore per crediti fiscali). Questo è un punto difficile: ma Gamma chiede al tribunale di utilizzare il cram-down fiscale se l’Erario vota contro, dimostrando che in liquidazione stimata l’Erario prenderebbe 10%, qui 40%.
    6. Dipendenti (Classe 6): 1 milione. Proposta: pagamento integrale di TFR e arretrati in 12 mesi (6 mesi oltre i termini legali, ma con copertura del Fondo per una parte). Inoltre, l’investitore si impegna a riassorbire 90 dipendenti su 120; per i 30 in esubero, la società predisporrà un fondo d’uscita con 6 mensilità extra (finanziato dall’investitore stesso come condizione).
    7. Soci attuali (Classe 7 – eventuale): i vecchi soci azzereranno il capitale e non avranno nulla; l’investitore apporta 5 milioni di equity freschi per il rilancio, diventando socio di controllo.

Il piano di Gamma mostra come con un PRO si possono articolare soluzioni differenziate. Qui alcune classi ottengono anche contropartite non monetarie (equity, continuità di fornitura). Al voto, supponiamo:

  • Classe 1 banche garantite: favorevole (80% incasso è ok).
  • Classe 2 banche chirografarie: favorevole (scommettono sull’equity).
  • Classe 3 fornitori strategici: favorevole (60% e continuare a vendere a Gamma, meglio che vedere Gamma fallire).
  • Classe 4 piccoli fornitori: anche se qui qualcuno prende solo 30%, molti di essi non votano o accettano perché 30% subito magari via factor lo hanno già incassato anticipato. Comunque, se questa classe fosse dissenziente, il tribunale può omologare lo stesso perché altre classi pari grado (fornitori strategici 60%) hanno detto sì e i piccoli comunque non prendono meno di loro in proporzione alla subordinazione (in realtà prendono di meno, ma sono di pari grado… qui andrebbe calibrato, magari un 30% può essere visto come giustificato perché quei fornitori erano di scarsa importanza? In un PRO bisogna fare attenzione a non discriminare ingiustamente classi di pari rango se ciò causerebbe rigetto).
  • Classe 5 Erario: presumibilmente voterà contro sull’IVA al 40%. Ma grazie alla legge, se tutte le altre classi (o la maggioranza necessaria) approvano, il tribunale può cramdown l’Erario se ritiene l’offerta almeno pari al valore di liquidazione.
  • Classe 6 Dipendenti: votano? In teoria sono soddisfatti 100% in 12 mesi (un leggero ritardo oltre 180gg ma con garanzie), potrebbero essere considerati non troppo pregiudicati e quindi non aventi diritto di voto. Comunque, come stakeholder sociali, sono stati negoziati con i sindacati prima e accettano il piano (preferibile a perdere tutti il lavoro in fallimento).
  • Classe 7 Soci: non votano perché non creditori, ma di fatto perdono la proprietà, accettando di essere diluiti a zero.

Il PRO viene omologato. L’investitore immette i fondi, diventando nuovo azionista, e con quei fondi e la cessione di un immobile si procede a pagare le banche e il fisco secondo il piano. Le percentuali stralciate vengono cancellate definitivamente. Alcune banche diventano piccole azioniste. Gamma S.p.A. ora ha un profilo più leggero (debiti ridotti), un nuovo socio con capitale, ed è posizionata per riprendersi. L’operazione ha richiesto creatività contrattuale (coinvolgimento soci, conversione debiti in capitale) resa possibile dal PRO perché consente di derogare al principio della responsabilità patrimoniale illimitata del debitore e di effettuare tali manovre con il consenso delle classi.

Questo caso Gamma evidenzia come in un contesto manifatturiero con molti stakeholder il PRO possa essere lo strumento ideale: permette il cramdown di alcune parti (es. Fisco), consente di orchestrare la ristrutturazione del capitale sociale insieme a quella del debito (cosa difficile in un semplice accordo 182-bis), e di modulare diversamente il trattamento di diverse categorie economiche di creditori (banche vs fornitori piccoli). Il focus è stato mantenere l’attività produttiva e i posti di lavoro (90 su 120) – un risultato che un fallimento avrebbe vanificato. D’altronde, la presenza di un investitore disposto a mettere denaro fresco è stata la chiave: senza di lui, forse Gamma avrebbe dovuto optare per un concordato con continuità da sola, ma con possibilità inferiori di successo.

Caso Delta S.r.l. – Settore Servizi

Scenario: Delta S.r.l. è una società di servizi informatici (software house) con 25 dipendenti, attiva da 10 anni ma finita in difficoltà a causa di investimenti in un progetto non andato a buon fine. Ha debiti principalmente verso le banche (leasing e prestiti per attrezzature, 1 milione, in parte garantiti dal Fondo PMI dello Stato), debiti verso il Fisco per 300.000 € (ritenute e IVA di un anno non pagate) e verso i dipendenti per 100.000 € (premi non erogati e qualche mese di stipendi arretrati nel periodo di crisi). I fornitori sono pochi e modesti (50.000 €). L’attivo consiste nel software sviluppato (intangibile, difficile da valutare), hardware e server aziendali in leasing (ancora da pagare), crediti verso clienti 200.000 € (incassi attesi da contratti annuali), cassa 20.000 €.

Delta è tecnicamente insolvente perché non riesce a rimborsare le rate dei finanziamenti e l’Agenzia Entrate ha avviato pignoramenti su conti per l’IVA dovuta. Tuttavia ha un portafoglio clienti solido e una prospettiva di redditività se si ristrutturano i debiti e magari se entra un partner. Un socio della società è disposto ad iniettare ancora liquidità se si evitano procedure lunghe.

Soluzione prospettata: Visto l’importo relativamente contenuto del debito e il fatto che i creditori principali (banca e fisco) hanno già le loro garanzie (il Fondo PMI e il privilegio fiscale), Delta tenta un percorso extragiudiziale con l’ombrello di un piano attestato di risanamento. In pratica, elaborano un piano di risanamento su 5 anni che prevede:

  • Rifocalizzazione del business su attività più profittevoli (lasciando il progetto fallimentare e riducendo costi).
  • Apporto di 200.000 € da parte del socio di maggioranza per pagare le pendenze immediate su stipendi e per fare investimenti mirati.
  • Accordo informale con la banca: la banca accetta di allungare la durata del prestito residuo da 3 a 6 anni, riducendo la rata, e di concedere 12 mesi di sola quota interessi (moratoria), in cambio Delta fornisce un pegno su alcune licenze software e il socio garante offre garanzie personali aggiuntive. Non c’è un taglio nominale del debito, ma la dilazione aiuta la liquidità. Il Fondo PMI pubblico mantiene la garanzia sull’esposizione.
  • Accordo con l’Erario: Delta sfrutta la possibilità di chiedere una rateazione straordinaria delle somme iscritte a ruolo (72 rate) e nel frattempo aderisce a una definizione agevolata se disponibile (ipotizziamo un condono su sanzioni ed interessi). In parallelo, include nel piano un impegno a pagare regolarmente l’IVA corrente. Non c’è formale transazione fiscale, ma l’Agenzia, vedendo i pagamenti riprendere, sospende le misure esecutive.
  • I fornitori vengono pagati integralmente grazie all’apporto del socio (sono piccoli importi).
  • I dipendenti ricevono immediatamente gli arretrati (grazie ai 200k soci, destinati in parte a loro) e l’azienda ottiene dai sindacati un accordo di riduzione temporanea dell’orario di lavoro (per 6 mesi) per alleviare il costo del personale finché la situazione non migliora. Inoltre, 3 dipendenti vicini alla pensione escono con accordo consensuale (costo a carico del socio pure).
  • Il professionista attestatore verifica che con queste misure la società sarebbe in grado di generare cassa sufficiente a sostenere il piano: il break-even operativo si raggiunge di nuovo entro 1 anno, e in 5 anni i flussi permettono di onorare tutte le rate ai creditori (banca e fisco) e mantenere solvibilità.

Delta formalizza tutto ciò in un piano attestato ex art. 56 con data certa, allegando le lettere di accordo con banca (lettera modificativa del contratto di mutuo/leasing) e la copia del piano di rateazione ottenuto dal Fisco. L’attestatore dichiara che i dati di Delta (contratti futuri, costi ridotti, ecc.) sono attendibili e che il piano è fattibile e idoneo a superare la situazione di crisi (che definisce reversibile grazie ai sacrifici dei soci e all’allungamento dei debiti).

Esito atteso: Non essendovi omologazione, la “chiusura” del piano è sostanzialmente l’esecuzione stessa. Se Delta rispetta i piani di pagamento e torna in utile, la crisi sarà risolta in modo silenzioso e i creditori recupereranno i loro crediti nel tempo senza dover ricorrere a fallimenti. Gli atti compiuti (ad esempio la concessione di pegno alle banche, i pagamenti fatti ai dipendenti arretrati, ecc.) sono protetti dalla revocatoria in caso – non auspicato – di successiva insolvenza. Se tutto va bene, tra qualche anno Delta sarà sana e neanche risulterà pubblicamente che abbia rischiato il fallimento.

Questo caso Delta è tipico delle PMI di servizi: la leva principale è l’accordo con i pochi creditori chiave e l’apporto di risorse fresche dai soci. Poiché l’importo non è enorme e la banca è collaborativa (grazie anche alle garanzie statali, che preferisce non escutere per evitare lungaggini), il piano attestato era sufficiente. Non si è dovuti passare da tribunale, evitando costi e perdita di reputazione verso i clienti (che infatti non hanno percepito nulla). L’elemento cruciale è stato la disponibilità del socio a investire ancora e a fare da garante verso i creditori, mostrando impegno nel risanamento.

Caso Epsilon S.r.l. – Settore Tecnologico (Startup)

Scenario: Epsilon S.r.l. è una startup tecnologica (settore app mobile) fondata 3 anni fa. Ha pochi asset tangibili ma possiede un software innovativo e aveva raccolto investimenti da un fondo VC (venture capital) di 2 milioni in equity e 1 milione in forma di convertendo (un prestito da convertire in quote). Purtroppo, il prodotto non ha generato i ricavi sperati e la cassa è quasi esaurita. I debiti principali sono verso il fondo (il convertendo di 1M scaduto, ora tecnicamente un debito esigibile), verso alcuni fornitori di marketing (200k), e verso l’erario (100k di IVA arretrata, nessun dipendente perché i founder non si pagavano stipendi). La società è in pre-insolvenza: se il fondo chiedesse indietro il 1M porterebbe i libri in tribunale.

Soluzione prospettata: Poiché trattasi di startup, c’è ancora la possibilità di un pivot o di vendere la tecnologia. Infatti, una società terza del settore si dice interessata a acquisire Epsilon per integrare il suo team e prodotto, ma solo se si risolvono i debiti: offre 500k per rilevare l’intero capitale (che andranno a ripagare parzialmente i creditori) e chiede che il fondo VC convertendo rinunci a qualcosa.

Qui la soluzione è una ristrutturazione extragiudiziale nel contesto di una acquisizione (M&A) orchestrata come segue:

  • Gli acquirenti (Zeta S.p.A.) concordano di comprare Epsilon S.r.l. versando 500k, a condizione di riceverla libera da debiti sostanziali.
  • Il fondo VC, che è anche socio (aveva 30% delle quote) e creditore convertendo, accetta di convertire il debito di 1M in azioni prima della vendita, e contestualmente di vendere tutte le sue quote a Zeta per un prezzo simbolico di 100k. In pratica, il fondo incassa 100k ora e perde il resto, ma preferisce questa exit parziale che zero in caso di fallimento. (Si formalizza come accordo transattivo tra soci: il fondo rinuncia alla pretesa sul convertendo in cambio della piccola exit).
  • I fornitori di marketing (200k) vengono pagati 30% (60k) subito utilizzando parte dei 500k di Zeta, e firmano quietanza a saldo (erano pochi e negoziabili).
  • L’IVA di 100k deve essere sistemata: qui i founder decidono di usare parte dell’incasso (altri 60k) per pagare in prededuzione l’IVA (o la frazione non condonabile) e per eventuali sanzioni contano su una definizione agevolata. Resterebbero forse 40k non pagati, che però con l’operazione M&A si spera di risolvere tramite compensazioni o accordi con l’AdE.
  • In parallelo, per sicurezza, si predispone un piano attestato brevissimo che indica che la società verrà venduta a Zeta e con quel ricavato saranno pagati i creditori in parte come sopra. L’attestatore conferma che la via è più vantaggiosa che liquidare i pochi asset (in liquidazione i creditori avrebbero forse zero, qui almeno percentuali discrete).
  • In sostanza, è quasi una liquidazione fuori procedura: vendendo la società, il ricavato viene allocato ai debiti secondo una negoziazione. Il vantaggio di fare un piano attestato in questo caso è dare un’ultima tutela ai nuovi acquirenti e agli amministratori uscenti: se per qualche ragione un creditore escluso (es. se ne scopre un altro poi) contestasse, il piano con data certa e attestazione li mette al riparo da azioni revocatorie o responsabilità (sarebbe come dire: abbiamo venduto e distribuito in modo trasparente secondo un piano certificato).

Esito atteso: L’operazione si conclude: Zeta S.p.A. acquisisce Epsilon senza debiti (tranne eventuali piccoli residui concordati), i fornitori hanno ricevuto poco ma subito e mantengono una relazione col nuovo gruppo, il fondo VC limita le perdite e chiude la posizione. L’IVA è stata in gran parte saldata (quindi l’erario non ha interesse a inseguire la società, che ora è dentro Zeta). I founder di Epsilon ottengono ruoli in Zeta (salvando il progetto in altra forma). Non c’è stata necessità di tribunale, essendo tutto consensuale; l’unico elemento formale è il piano attestato depositato come pezza d’appoggio.

Questo caso illustra una ristrutturazione atipica con strumenti societari (conversione debito-equity e vendita partecipazioni) anziché concorsuali. Nel mondo tech-startup, spesso la exit (vendita) è l’unica via di “ristrutturazione”, perché l’asset principale è il team/know-how che può avere valore solo se trasferito. È comunque un esempio di come si possa utilizzare il piano attestato come cappello legale a un accordo complesso che coinvolge soci, acquirenti e creditori, per garantire che nessuno poi possa farlo saltare (ad es. il piano attestato rende non revocabile la cessione e i pagamenti fatti, se mai Epsilon fallisse dopo – improbabile essendo acquistata, ma cautela).


Questi casi settoriali ovviamente non coprono tutte le situazioni possibili, ma danno un’idea di come i vari strumenti di ristrutturazione possano essere calibrati e combinati a seconda del modello di business e della composizione del debito. Nell’edilizia e manifattura abbiamo visto predominare concordati o PRO per gestire asset fisici e molti creditori; nel commercio e servizi si punta ad accordi e piani più discreti; nel tech conta la flessibilità contrattuale e la velocità. In ogni scenario, il debitore deve costruire un piano credibile e coinvolgere i creditori chiave, ricordando che – al di là delle differenze – tutti i piani di risanamento hanno un denominatore comune: restituire ai creditori almeno quanto otterrebbero liquidando tutto, e preferibilmente di più, convincendoli che credere nella continuità aziendale conviene.

Trattamento delle principali categorie di debito nei piani di ristrutturazione

Un piano di ristrutturazione efficace deve considerare attentamente le differenze tra le varie categorie di creditori, poiché ciascuna tipologia di debito è soggetta a regole e aspettative diverse. Di seguito analizziamo come vengono tipicamente trattati i quattro macro-gruppi di debiti più importanti – verso banche, fornitori, Erario/enti previdenziali e dipendenti – nell’ambito di un risanamento, evidenziando vincoli legali e soluzioni pratiche applicabili a tutte le procedure (estragiudiziali e giudiziali) di cui abbiamo parlato.

Debiti finanziari verso banche e intermediari

I debiti bancari (mutui, finanziamenti, linee di credito, leasing) spesso costituiscono la quota maggiore del passivo aziendale. Il loro trattamento nei piani di risanamento dipende in parte dalla presenza di garanzie: molte esposizioni bancarie sono assistite da pegno o ipoteca. I punti chiave da considerare sono:

  • Vincolo del rispetto del valore di garanzia: Per legge, in un concordato o accordo omologato, una banca garantita da ipoteca/pegno non può essere costretta a incassare meno di quanto otterrebbe liquidando il bene gravato. Questo significa che, salvo consenso esplicito della banca, il piano deve riconoscere al creditore ipotecario almeno il “valore di realizzo” del relativo immobile o bene, attestato da un perito indipendente. In pratica, se una banca ha mutuo di 2 milioni garantito da capannone che vale stimati 1,5 milioni, il piano può prevedere che la banca recuperi 1,5 milioni (ad esempio vendendo l’immobile) e la restante parte 0,5 milioni venga trattata come chirografa (pagata parzialmente come gli altri chirografi).
  • Rinegoziazione vs Stralcio: Le banche sono interlocutori sofisticati e regolamentati, meno propense ad accettare stralci significativi (rinunce al capitale) a meno che la stima di recupero in scenario di insolvenza sia drammatica. Più spesso, i piani prevedono ristrutturazioni delle scadenze: ad esempio allungamento dei piani di ammortamento, periodi di grazia (moratorie temporanee sulle rate), riduzione del tasso di interesse, consolidamento di fidi in un prestito a termine. Queste misure possono ridurre la pressione finanziaria sul debitore senza che la banca debba “perdonare” il capitale. Tuttavia, in situazioni gravi, può darsi che la banca accetti un haircut (ad esempio conversione parziale del credito in equity, o stralcio di interessi moratori, ecc.) soprattutto se ciò è l’unico modo per evitare un default completo.
  • Garanzie pubbliche e sindacati di banche: Se i debiti verso banche sono assistiti da garanzie statali (Fondo di Garanzia PMI, SACE, MCC, ecc.), la ristrutturazione può richiedere il coinvolgimento degli enti garanti. Spesso le banche, sapendo di poter escutere lo Stato per l’80% ad esempio, non sono incentivate a stralciare: preferiscono far saltare il debitore e rifarsi sulla garanzia. Qui la strategia del piano deve convincere la banca che anche per lo Stato garante conviene la continuità (gli enti garanti guardano al salvataggio delle PMI, talvolta emanano linee guida per la ristrutturazione). In un concordato, i crediti con garanzia pubblica vanno trattati come altri, ma attenzione: se la banca escute la garanzia prima, subentra lo Stato come creditore surrogato. È importante quindi coordinare eventuali moratorie con l’intervento del garante (spesso viene chiesto di congelare l’escussione).
  • Nuove garanzie o covenants: Nel contesto di accordi stragiudiziali, una leva per convincere la banca a dilazionare o non agire è offrire nuove garanzie: ad esempio ipoteche aggiuntive se ci sono beni liberi, pegni su macchinari, o garanzie personali/fideiussioni dei soci. Oppure stabilire covenant stringenti e reporting finanziari frequenti come condizione. Questo rassicura la banca che il debitore farà ogni sforzo e che la banca avrà un controllo.
  • Classi di banche e accordi interbancari: In piani con molte banche, spesso si costituiscono classi di creditori finanziari. È buona pratica negoziare un accordo interbancario preliminare (un “accordo di moratoria” come visto, o un term sheet di ristrutturazione condiviso) per evitare che una banca dissenziente rovini tutto. Dal 2022 col CCII esiste l’accordo ad efficacia estesa che consente, se 75% di banche approvano, di legare anche il 25% dissenziente. Ciò va sfruttato in sede di accordo omologato, mentre in piani extragiudiziali serve comunque convincere attivamente ogni banca perché basta una per far fallire l’azienda tramite azioni legali.
  • Finanziamenti ponte (DIP financing): Le banche potrebbero essere coinvolte anche come finanziatori del risanamento. In un concordato o accordo omologato, i nuovi finanziamenti concordati nel piano sono prededucibili e privilegiati, per cui una banca che creda nel rilancio potrebbe anche erogare liquidità aggiuntiva (ad esempio per capitale circolante), sapendo che se la procedura malauguratamente finisse in liquidazione, quel nuovo credito sarebbe rimborsato prima degli altri. A volte nel piano si offre a una banca di mettere più soldi ora per recuperare di più sul vecchio: è un paradosso, ma in alcune ristrutturazioni le banche finanziano il pagamento di altri creditori per salvare l’impresa, preferendo ciò al fallimento in cui perderebbero gran parte dei propri crediti.

In generale, il rapporto con le banche in un risanamento richiede trasparenza e credibilità: le banche condurranno due diligence sul piano, faranno domande sulla governance futura dell’azienda (magari chiedendo di sostituire i manager se hanno perso fiducia), e vorranno evitare il cosiddetto azzardo morale. Un piano convincente per le banche deve mostrare: (i) flussi di cassa realistici per servire il debito ristrutturato, (ii) eventuali sacrifici equamente distribuiti (non che la banca sopporta tutto e i fornitori nulla, a meno di cause giustificate), (iii) un impegno concreto dei soci (nuovo capitale, garanzie) come segno di serietà.

Debiti verso fornitori e trade creditors

I debiti commerciali verso fornitori e partner vari presentano peculiarità diverse dalle banche:

  • Numero e frammentazione: Spesso i fornitori sono numerosi e con importi individualmente minori (tranne alcuni fornitori “strategici” che possono avere crediti alti). Questo significa che è quasi impossibile negoziare individualmente con ciascuno in maniera proficua se ce ne sono centinaia. In procedure di concordato, molti fornitori chirografari saranno raggruppati in classi e riceveranno un trattamento uniforme (es. “tutti i chirografari: 30% in 2 anni”). Ci sarà un voto collettivo e la maggioranza deciderà per tutti.
  • Rapporto commerciale continuo: A differenza delle banche, i fornitori sono anche fornitori futuri necessari per l’operatività. Un rischio dei piani di ristrutturazione è che, saputo del dissesto, i fornitori interrompano le forniture o pretendano pagamenti anticipati, peggiorando la crisi. Per questo, i piani di solito individuano i fornitori critici (ad esempio quello che fornisce la materia prima chiave) e li trattano meglio: magari li si paga in prededuzione (cioè fuori dal piano, integralmente, per mantenerli fedeli), o si propone loro contratti nuovi più vantaggiosi in cambio del supporto sul pregresso. Spesso nel concordato in continuità, i crediti dei fornitori “essenziali” sono soddisfatti integralmente (o quasi) per ragioni di continuità, e posti in classi separate.
  • Falcidia chirografaria: Fornitori non privilegiati generalmente diventano creditori chirografari e, soprattutto nelle crisi severe, devono accettare una riduzione significativa del credito (falcidia). Le percentuali variano: nei concordati liquidatori medi storicamente i chirografi prendevano da 0 a 30%. Nelle soluzioni in continuità oggi si cerca di offrire loro di più (es. 40-50%) grazie al valore incrementale generato dall’azienda risanata. Resta il fatto che i fornitori spesso subiscono la parte più dura dei tagli, perché non hanno garanzie. Il minimo legale 20% in concordato liquidatorio è stato introdotto proprio per assicurare un trattamento dignitoso, ma in continuità potrebbe essere minore se il piano comunque li tratta meglio di classi inferiori (comunque in un concordato tipico non ci sono classi inferiori ai chirografi se non i soci).
  • Transazioni individuali extragiudiziali: Fuori dalle procedure formali, con i fornitori è possibile usare accordi individuali di saldo e stralcio: offrire ad ognuno una percentuale a fronte di rinuncia al residuo. La difficoltà è che se non c’è omologazione, qualcuno potrebbe rifiutare sperando di fare causa e ottenere di più. Tuttavia, quando la situazione è di pre-insolvenza, molti fornitori preferiscono “prendere il 20% oggi piuttosto che 0 domani”. È fondamentale in questi accordi fare firmare ai fornitori quietanze transattive in piena e definitiva soddisfazione, per evitare che poi avanzino pretese per la parte falcidiata.
  • Fornitori con privilegio speciale: Alcuni fornitori potrebbero avere privilegi (ad esempio il venditore di macchinari con riserva di proprietà ha privilegio sul bene venduto, oppure il trasportatore ha privilegio sulla merce trasportata per le sue fatture). Questi crediti privilegiati vanno trattati come altri privilegiati: o li si paga per intero (magari dilazionato) o si garantisce loro il valore di realizzo del bene su cui hanno privilegio. Spesso però i fornitori hanno privilegi su beni specifici di modesto valore rispetto al credito, per cui la parte eccedente diventa chirografa e subisce falcidia. Bisogna stare attenti a rispettare queste cause legittime di prelazione come da legge per evitare impugnazioni.
  • Rapporti di fornitura post-piano: Nei piani in continuità, per rassicurare i fornitori (anche quelli falcidiati), l’azienda può offrire contratti di fornitura post ristrutturazione con termini migliorativi (es. ordini futuri garantiti o pagamento anticipato per un periodo, come segno di buona fede) oppure può ricorrere a fornitori alternativi se quelli attuali sono reticenti. Questo va valutato caso per caso.
  • Classi speciali per PMI fornitrici: Il CCII ha introdotto l’obbligo di mettere in classe separata le imprese minori fornitrici chirografarie. Questo perché tali creditori hanno spesso scarso potere negoziale e subiscono molto il default altrui; mettendoli in classe a sé, il legislatore vuole evitare che subiscano coalizioni di creditori più forti. Ad esempio, in un concordato, se una classe di soli piccoli fornitori vota contro, il giudice dovrà valutarne le ragioni e non potrà comprimere i loro diritti se non con attento bilanciamento. In pratica, può darsi che i piani li trattino un po’ meglio (ad esempio offrendo percentuali un filo più alte a quei creditori persona fisica o microimprese). Non è un obbligo, ma una sensibilità che spesso i tribunali incoraggiano per equità sociale.

Riassumendo: i fornitori tendono a soffrire le falcidie più elevate nelle ristrutturazioni, ma sono anche la linfa dell’attività produttiva. Un buon piano deve identificare chi tra loro è essenziale e garantirgli la fiducia necessaria (magari pagando almeno in parte i crediti strategici), mentre per gli altri giustificare il perché della proposta di pagamento (mostrando, ad esempio, che in fallimento non riceverebbero nulla e che invece col piano c’è tot%). La chiave è mantenere la collaborazione: meglio comunicare presto con i fornitori, spiegare la situazione e proporre soluzioni condivise anziché lasciarli all’oscuro (evitando però comunicazioni troppo anticipate che possano scatenare corse al pignoramento – serve tatto e tempi giusti, spesso coincide con l’avvio di procedure protette).

Debiti fiscali e contributivi (Erario e INPS)

I debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione, INPS, ecc.) hanno un trattamento particolare per ragioni di ordine pubblico. Storicamente, su tali crediti c’erano limiti stringenti: fino al 2017 non si poteva falcidiare l’IVA e le ritenute, e la transazione fiscale ex art. 182-ter L.F. era uno strumento a parte. Oggi, con il CCII, la disciplina è più organica ma ancora peculiare:

  • Privilege ed eventuale falcidia: I crediti erariali si dividono in privilegiati (es. IVA, ritenute non versate, contributi previdenziali – questi hanno privilegio generale sui mobili ex art. 2752 c.c. e 2753 c.c.) e chirografari (es. sanzioni, interessi spesso vanno in chirografo, o imposte non assistite da privilegio se per caso eccedono certi limiti). Nel concordato, è ora ammesso proporre la falcidia anche dell’IVA e ritenute, purché i creditori privilegiati ottengano almeno il valore di liquidazione. Quindi, lo Stato può vedersi proporre ad esempio 50% su IVA se si dimostra che in fallimento prenderebbe meno. Tuttavia, in pratica l’Agenzia difficilmente aderisce a falcidie IVA a meno di situazioni lampanti, perché l’IVA è considerata risorsa UE. Il CCII ha reso possibile il cram-down fiscale – ovvero l’omologazione forzosa senza voto favorevole dell’ente – quindi se il piano assicura il best interest (paga quanto o più del fallimento) il giudice può confermare anche contro il parere del Fisco. Questo toglie il potere di veto che l’Erario aveva un tempo.
  • Transazione Fiscale e Contributiva (art. 63 CCII): Il debitore può presentare agli enti una proposta formale di trattamento dei loro crediti nell’ambito di accordi o concordato. Spesso si allega al piano un prospetto di “transazione fiscale” con dettaglio di imposte, contributi, sanzioni, interessi e la percentuale/rateizzazione proposta a ciascuno. L’Agenzia Entrate e gli enti valutano (ci sono commissioni ad hoc). Se approvano, bene; se non approvano, come detto, il tribunale può superare il diniego se l’offerta è comunque conveniente. Importante: la legge ora consente all’Agenzia di adesione parziale (possono accettare la falcidia di alcune imposte e rifiutarne altre motivando). Il debitore nel piano deve esplicitare la convenienza comparativa per l’Erario, pena rigetto. Nel caso di accordi ex art. 57, se l’Erario non risponde entro 90 giorni alla proposta di transazione, la legge la considera come consenso (silenzio-assenso), per accelerare.
  • Debiti fiscali non falcidiabili in esecuzione di piani attestati: Come menzionato, in un piano attestato extragiudiziale puro non c’è modo di imporre riduzione ai crediti fiscali. Bisogna passare tramite le procedure proprie come la rateazione amministrativa o definizioni agevolate che periodicamente il legislatore offre (rottamazione cartelle, ecc.). Molti piani attestati includono l’adesione a queste normative per ridurre l’esposizione fiscale. Ad esempio, la “rottamazione-quater” delle cartelle esattoriali può permettere di stralciare sanzioni e interessi e pagare solo il capitale in 18 rate: questo aiuta il piano senza dover convincere un giudice. Se però serve tagliare anche il capitale di imposta, allora si deve entrare in un accordo omologato.
  • Nuovi debiti fiscali: Una regola fondamentale è che durante il piano l’azienda deve adempiere ai nuovi obblighi tributari corrente. Qualsiasi piano di risanamento serio prevede che dal giorno X in poi il debitore sia in regola con pagamenti IVA, ritenute, contributi correnti. Questo sia per ragioni legali (nel concordato l’inadempimento di obblighi fiscali futuri può far decadere benefici) sia di credibilità: non ha senso chiedere sconti sul passato se si continua ad evadere nel presente.
  • Ruolo di Agenzia Riscossione: Molti debiti fiscali confluiscono in cartelle esattoriali o accertamenti affidati all’Agente della Riscossione. Nelle trattative, spesso l’interlocutore pratico è Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), che può concedere dilazioni standard (72 rate) senza necessità di piano concorsuale. AER però non può ridurre l’importo se non c’è norma di legge: quindi fuori dal concordato, l’unica è rateare. All’interno di accordi/concordati, AER segue le istruzioni dell’ente creditore (AE o INPS).
  • Cram-down previdenziale: Parallelo al fiscale, anche l’INPS può essere cramdow-ato (es. se non accetta riduzione contributi, il giudice può omologare lo stesso se contributi prendono almeno il dovuto in scenario liquidatorio). Anche qui, contributi non versati di solito hanno privilegio altissimo e devono essere trattati con riguardo (a differenza delle sanzioni per omissione contributiva, che vanno in chirografo e spesso si tagliano completamente).
  • Aspetti penali: Attenzione che certi debiti tributari elevati (IVA oltre soglie, ecc.) possono aver generato reati tributari per gli amministratori. Il risanamento non cancella la responsabilità penale, ma mostra quantomeno la volontà di porre rimedio (nel caso di reati tributari pagare il debito prima del dibattimento può attenuare molto la pena o estinguere il reato in taluni casi). Quindi, un piano dovrebbe considerare se ci sono procedimenti in corso e coordinarsi (spesso l’avvocato penalista raccomanderà di saldare almeno l’IVA evasa per evitare condanne).
  • Fondo rischi fiscali: Un piano di risanamento prudentemente può accantonare una somma per eventuali nuove pretese fiscali (es. un accertamento in corso). Meglio predisporre margini perché se il Fisco tra un anno chiede altro e il piano non ha risorse, si rischia di farlo saltare.

In sintesi, i debiti verso Fisco/INPS richiedono un equilibrio tra rigore legale (rispettare prelazioni e normative speciali) e negoziazione pragmatica. L’Agenzia delle Entrate oggi ha parametri precisi: ad esempio, se con fallimento prenderebbe 0, preferisce in teoria 20% con concordato, ma vuole essere convinta con perizie e attestazioni solide. Il nuovo regime del cram-down rimuove il veto assoluto del Fisco, ma in pratica i tribunali italiani applicano il cram-down con molta attenzione, tendendo a richiedere che la proposta al Fisco sia davvero il massimo ragionevolmente ottenibile. Quindi il debitore deve essere sincero: non proporre percentuali offensive al ribasso sperando nel cram-down, perché il giudice potrebbe rigettare l’omologa se ritiene che il debitore poteva fare di più e non l’ha fatto. Ad esempio, se c’è patrimonio occultabile per pagare l’IVA e non lo si destina, l’omologa può saltare per mancanza di buona fede.

Debiti verso dipendenti

I debiti verso i lavoratori (stipendi arretrati, ferie non godute, TFR, ecc.) sono trattati con la massima priorità e delicatezza nei piani di risanamento, per motivi normativi e sociali. Principali punti:

  • Privilegio e prededuzione: I salari e stipendi degli ultimi mesi prima della procedura, nonché le indennità di fine rapporto (TFR), godono di privilegi speciali molto forti (art. 2751-bis n.1 c.c. per retribuzioni ultimi 12 mesi e indennità) e in parte sono addirittura prededucibili in caso di procedura (se riferiti a rapporti proseguiti, o se lavoro durante il concordato). In pratica, quasi tutto ciò che è dovuto ai dipendenti va pagato integralmente. Come visto, nelle regole concordatarie anche in continuità i lavoratori devono essere soddisfatti come se non ci fosse domani: priorità sul valore di liquidazione e su quello di continuità. Dunque un piano non può ad esempio dire “pagheremo ai dipendenti il 50% del TFR”: sarebbe inammissibile e ingiusto, e i giudici non lo omologherebbero. L’unica flessibilità è nella tempistica: la legge consente, con giustificato motivo, di dilazionare il pagamento fino a 6 mesi dall’omologa (moratoria breve) – e ciò solo se necessario per sostenere la cassa aziendale nel frattempo. Superati i 6 mesi, i dipendenti dovrebbero incassare tutto.
  • Fondo di Garanzia INPS: Va ricordato che se l’impresa va in liquidazione (fallimento) o anche in concordato liquidatorio, i lavoratori possono attingere al Fondo di Garanzia INPS che paga loro il TFR e ultime tre mensilità, surrogandosi poi come creditore. Nei concordati in continuità invece in genere l’azienda stessa paga col proprio piano (se però l’azienda in concordato continua a non avere liquidità, può chiedere al Fondo di anticipare? Normativamente il Fondo interviene per aziende insolventi o concordati con cessione, ma per continuità di solito no perché l’azienda sopravvive). Nei piani, spesso viene previsto di far ricorso al Fondo di Garanzia se la procedura lo consente, per alleviare il fabbisogno di cassa (specie nei concordati liquidatori, il commissario chiede al Fondo di pagare i dipendenti, così la percentuale per loro è assicurata da INPS e il concordato si fa carico di rimborsare l’INPS pro-quota).
  • Costo del personale e piani sociali: Oltre al pagamento del dovuto, i piani devono considerare se la forza lavoro è sovradimensionata. Spesso una parte cruciale del risanamento è la riduzione del personale (licenziamenti o cassa integrazione straordinaria). La legge “Prodi bis” e ora il CCII prevedono procedure particolari per i licenziamenti in concordato: ad esempio, se c’è concordato con continuità e il piano li prevede, il datore può licenziare seguendo una procedura semplificata (art. 189bis disp.att. L.F. etc., ora integrato nel CCII) con autorizzazione del GD, senza dover pagare il ticket licenziamento etc. Anche la CIGS per aziende in concordato è stata reintrodotta (fino a 12 mesi) per supportare esuberi temporanei. Dunque, un piano sociale ben definito è parte del piano industriale: includere costi di buonuscita, spese per riqualificazione, etc. Questi costi spesso godono di prededuzione (costituiscono spese della procedura necessarie per esecuzione piano).
  • Coinvolgimento sindacale: In grandi imprese, è prassi (e spesso obbligo di L. 223/91, etc.) coinvolgere i sindacati nelle scelte di riduzione personale. Ottenere l’appoggio dei lavoratori al piano è importante per la pace sociale e anche perché i dipendenti possono essere creditori votanti (anche se di solito li si paga interamente per cui non votano). In alcuni casi i lavoratori hanno persino accettato di posporre una parte del credito (es. convertire TFR in azioni, o accettare piani di welfare aziendale). Queste soluzioni vanno maneggiate con cura e di solito non si chiedono sacrifici economici ai dipendenti, se non in situazioni estreme e col loro consenso (preferiscono magari mantenere il posto e perdere qualcosa del passato).
  • Mantenimento dei livelli occupazionali: La legge favorisce piani che preservano il più possibile l’occupazione. Ad esempio, nel concordato in continuità si sottolinea la salvaguardia dei posti di lavoro come uno degli obiettivi. In sede di omologa, anche la valutazione dell’interesse dei creditori e dell’economia nazionale può includere questo fattore. Quindi, un piano che comporti la prosecuzione di 100 dipendenti su 120 potrebbe essere visto comunque di pubblica utilità, rispetto a un fallimento che li licenzierebbe tutti. Ciò a volte influenza i tribunali ad essere più favorevoli a omologare pur con sacrifici di creditori se i lavoratori ne beneficiano (non ufficialmente, ma come sensibilità).
  • Retribuzioni post-piano: I piani in continuità prevedono come saranno retribuiti i dipendenti going forward (magari contratti di solidarietà, taglio premi, ecc. temporanei). Qualunque modifica peggiorativa dei contratti di lavoro deve essere contrattata con i sindacati o i singoli (non è che il giudice possa imporre riduzione stipendi). Quindi l’azienda deve qui lavorare di concertazione: in crisi spesso i lavoratori accettano temporaneamente riduzioni (es. 4 giorni settimana) per aiutare la ripresa, confidando di tornare a condizioni normali appena possibile.

In tutti i casi, mai sacrificare i diritti fondamentali dei dipendenti oltre i limiti consentiti. La tutela del lavoro è costituzionalmente rilevante: tentare di far omologare un concordato che paga i dipendenti la metà sarebbe anticostituzionale e certamente non passato. Dunque i dipendenti vanno messi in sicurezza il più possibile. Anche dal lato imprenditore, è una questione etica e di reputazione: è difficile poi rilanciare un’azienda se i dipendenti rimasti si sentono traditi. Molti piani di risanamento di successo includono coinvolgimento dei dipendenti nel futuro dell’impresa, per esempio con schemi di incentivazione se il piano va bene, o partecipazione agli utili futuri (questo per compensare, almeno moralmente, i sacrifici fatti).

Confronto tra strumenti: Tabelle riepilogative

Per avere una visione d’insieme, presentiamo di seguito alcune tabelle riassuntive che confrontano le caratteristiche chiave dei principali strumenti di ristrutturazione del debito, distinguendo tra soluzioni extragiudiziali e giudiziali. Queste tabelle aiutano a capire a colpo d’occhio differenze e similitudini in termini di requisiti, maggioranze, effetti e utilizzo.

Tabella 1 – Principali strumenti di regolazione della crisi a confronto

La Tabella 1 confronta i seguenti strumenti: Piano attestato di risanamento (ex art. 56 CCII), Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII) – includendo varianti agevolata ed estesa, Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO, art. 64-bis), Concordato preventivo e Liquidazione giudiziale/controllata (come riferimento di scenario liquidativo).

CaratteristicaPiano attestato di risanamentoAccordo di ristrutturazione (60% standard)Accordo “agevolato” (30%)Accordo a efficacia estesaPRO (Piano omologato)Concordato preventivoLiquidazione (giudiziale o controllata)
NaturaExtragiudiziale riservato (atto privato con attestazione, no omologa)Giudiziale semplificato (omologa tribunale, no voto generalizzato)Giudiziale sempl. (omologa tribunale, soglia ridotta)Giudiziale (omologa, effetti estesi a dissenzienti categ.)Giudiziale (nuova procedura con classi e voto)Giudiziale concorsuale (procedura concorsuale classica con voto)Giudiziale concorsuale liquidatoria (fallimento o sovraindebitamento)
Stato soggettivo (chi può accedere)Imprese in crisi o a rischio (anche non insolventi); no limiti dimensionali esplicitiImprese in crisi o insolventi (anche grandi); escluse micro per accordi? (possono usare concordato minore)Idem accordo standard (strumento per PMI in composizione negoziata tipicamente)Imprese in crisi/insolvenza, solo per specifiche categorie di creditori (finanziari)Imprenditori commerciali non minori in crisi o insolvenzaImprenditori commerciali (non minori) in crisi o insolvenza (o anche solo rischio in caso concordato in continuità)Chiunque (liquidazione controllata per non fallibili; liquidazione giudiziale per fallibili) se insolvente
Ruolo del tribunaleNessuno (solo eventuale deposito “cautelativo” presso registro imprese per data certa)Omologa necessaria dal tribunale; possibile richiesta misure protettive durante trattativeOmologa tribunale; no misure protettive concesse (per legge)Omologa tribunale, con valutazione estensione effetti a creditori non aderentiOmologa tribunale dopo voto classi; tribunale vigila e può cramdown classi dissenz.Ammissione e omologa tribunale; nomina commissario e giudice delegato; procedura pubblicaSentenza dichiarativa tribunale; nomina curatore/liquidatore e giudice; forte controllo giudiziario
Magistratura coinvolta– (nessun commissario o giudice)Giudice omologa, può nominare ausiliario su attuazione se serveGiudice omologa; di solito nessun commissarioGiudice omologa; può nominare esperto per valutare condizioni estensioneGiudice omologa; nominato commissario giudiziale per vigilare su operazioniGiudice delegato + Commissario Giudiziale (nella fase fino a omologa; poi eventuale liquidatore se liquidatorio)Giudice delegato + Curatore (fallimento) o Liquidatore (controllata); Comitato creditori
Attestazione professionistaObbligatoria (veridicità dati e fattibilità piano)Obbligatoria (deve attestare piano e pagamento integrale estranei)Obbligatoria (come sopra)Obbligatoria (e attestazione su equità estensione effetti)Obbligatoria (piano economico e classi attestato fattibile)Obbligatoria (piano concordatario attestato art. 87 CCII)Non prevista (curatore redige stato passivo e relazione, ma non c’è piano da attestare)
Percentuale consenso creditoriNon prevista (accordi individuali con chi si vuole; piano può essere anche unilaterale)≥ 60% del totale crediti; altri creditori estranei pagati entro 120 gg≥ 30% crediti; (nessuna moratoria per estranei)≥ 60% totale; in più ≥ 75% di una categoria per estenderne gli effetti ai dissenzienti di quella cat.Approvazione a maggioranza di tutte le classi (maggioranza in valore per classe); se una classe dissente, serve cram-down con condizioni (≥1 classe pari/inferiore approva e rispetto priorità)≥ 50% di crediti ammessi al voto (maggioranza semplice); se classi, tutte le classi devono approvare salvo cram-down giudizialeNon applicabile (non c’è accordo da approvare da creditori, liquidatore esegue e ripartisce)
Misure protettive (stay)Non automatiche; debitore può chiedere misure protettive al tribunale solo se contestualmente avvia composizione negoziata (ex D.L. 118/21) o pre-accordo, altrimenti noSì, si possono chiedere in tribunale all’inizio trattative (sospensione azioni esecutive fino 4 mesi rinnovabili)No misure protettive ad hoc per legge (si presume strumento rapido)Sì, se utilizzato con procedura ex art. 44 prenotativa o misure di moratoria contrattuale (convenzione)Sì, dal momento presentazione ricorso PRO, misure protettive ex art. 54 CCII applicabili anche al PROSì, automatic stay dal decreto di ammissione (o da ricorso con riserva): blocco azioni esecutive e cautelari ex art. 54 CCIISì, dalla sentenza di apertura liquidazione scattano divieto azioni esecutive e maturano effetti spossessamento
PubblicitàRiservato (non pubblicato, solo data certa)Pubblicato (registro imprese) al momento del deposito per omologa; i creditori aderenti nominativi resi noti in atti; possibile riservatezza su piano allegati ma in genere pubblicoCome accordo standard (omologa pubblica)Pubblicato e notifica ai creditori per estensione effettiProcedura concorsuale pubblica (registro imprese e tribunale); eventuali info sensibili possono essere secretate su richiesta ma in generale pubblicoProcedura pubblica (avviso ai creditori, registro imprese, possibili notizie stampa in casi rilevanti)Pubblico (massima pubblicità per chiamata creditori; stigma fallimentare completo)
Insolvenza vs crisiPuò intervenire prima dell’insolvenza conclamata; spesso usato in fase di crisi iniziale per evitare insolvenza futura (strumento di prevenzione)Richiede almeno lo stato di crisi; può essere usato anche in insolvenza conclamata se creditori cooperano (sostitutivo del fallimento)Idem accordo standard, ma di solito concepito per casi di crisi non gravissima (perché pochi creditori possono fare 30%)Idem accordo; dedicato a insolvenze complesse con molte banche – tipicamente già conclamata crisiPensato sia per crisi sia per insolvenza; include scenari di insolvenza grave dove però creditori potrebbero trovare convenienza nel pianoCrisi o insolvenza; il concordato in continuità può essere proposto anche in pre-insolvenza (per prevenire) se dimostrabili prospettive; concordato liquidatorio implica insolvenza sostanzialeInsolvenza conclamata (per liquidazione giud.) o sovraindebitamento per liquidazione controllata (non si richiede insolvenza giuridica ma incapacità di soddisfare regolarmente obbligazioni)
Vantaggi– Riservato, evita stigma e costi procedura; – Protetto da revocatorie; – Flessibile (nessun quorum, accordi selettivi); – Rapido da attuare; – Nessun controllo esterno sull’azienda– Coinvolge giudice solo ex post (costi contenuti rispetto concordato); – Vincolante per aderenti una volta omologato; – Possibili misure protettive mentre si tratta; – Creditore estraneo deve essere pagato ma almeno c’è piano sostenibile attestato; – Meno invasivo del concordato (azienda resta “in bonis”)– Quorum ridotto 30%, utile quando pochi creditori rilevanti; – Più facile da raggiungere adesioni; – Procedura ancora più snella (no stay, minor durata); – Utile post-composizione negoziata (D.L.118/21 prevede incentivo accordo rapido)– Risolve problema holdout su categorie omogenee (es. minoranza banche dissenziente viene forzata); – Permette includere virtualmente tutti creditori finanziari se maggioranza è d’accordo, senza passare da concordato; – Mantiene confidenzialità di dettagli (accordo privato con effetto esteso)– Molto flessibile su trattamenti (deroga parità e prelazioni); – Consente soluzioni creative (convertire debiti in equity, trattenere parte di valore in azienda); – Nessun minimo 20%/10% se liquidatorio; – Cram-down classi possibile (supera veti minoranze); – Non genera reati di bancarotta in caso insuccesso– Strumento consolidato e noto; – Coinvolge tutti i creditori con voto democratico (massima legittimazione esito); – Ampie tutele per creditori deboli (lavoratori, ecc.); – Possibilità di cessione azienda con offerte concorrenti se utile; – Effetti esdebitativi per la società dopo esecuzione (debiti falcidiati estinti)– Elimina debiti definitivamente via ripartizione patrimonio (esdebitazione per persone fisiche); – Segue ordine legale rigoroso (tutela parità formale); – Curatore professionale gestisce (fiducia per creditori di imparzialità); – Per i creditori privilegiati potrebbe essere più conveniente se patrimonio sufficiente venduto a valori di mercato
Svantaggi– Non vincola i non aderenti (rischio azioni individuali se qualcuno fuori accordo); – Nessuna protezione legale (stay) intrinseca; – Se situazione peggiora, si rischia fallimento e piano salta; – Richiede fiducia estrema dei creditori poiché è fuori concorso; – Non consente transazione fiscale “coatta” (solo accordi diretti col Fisco)– Necessita 60% consensi: se molti creditori, difficile da coordinare; – I creditori estranei vanno soddisfatti per intero (serve cassa o accordi separati); – Pubblicità dell’accordo (comunque diventa noto); – Non risolve insolvenza se troppi creditori non aderiscono; – Rischio di opposizione in omologa da creditori estranei (possono contestare convenienza) anche se pagati– Accordato “agevolato” non permette stay: rischio creditori intanto agiscano; – 30% quorum ma se questo 30% non è rappresentativo (es. solo un soggetto) può generare contestazioni dai restanti; – Resta obbligo pagare tutti estranei regolarmente: quindi funziona se quelli fuori sono piccoli ininfluenti; – Comunque pubblicità (anche se procedura più veloce)– Valido solo per categorie specifiche (in pratica utilizzato per banche, obbligazionisti): non copre tutti i debiti; – Richiede comunque un accordo di base col 60% totale, quindi va di pari passo con accordo standard; – Applicazione complessa: tribunale valuta omogeneità categorie, possibile contenzioso da dissenzienti su criteri di inclusione in categoria (rischio cause); – Ancora poco sperimentato (incertezze interpretative)– Procedura nuova e complessa (richiede classificazione creditori, iter simile a concordato con doppio quorum per classi e totale); – Necessita consenso di ogni classe o aggravio di contenzioso per cram-down; – Tempi non brevissimi (simili a concordato, quindi mesi); – Ancora scarsa prassi: creditori possono diffidare di strumento “poco noto”; – L’azienda resta in gestione al debitore ma sotto vigilanza (possibili costi commissari e iter); – Non adatto a imprese piccole (no soci minori, costi alti)– Procedura formale e costosa (spese legali, compensi commissari, ecc.); – Pubblicità negativa forte (potenziali danni commerciali); – Tempi medio-lunghi (voto, omologa, possibili reclami); – Rigidità legali: es. richiesti minimi 20%/10% in liquidatorio, obbligo classi in continuità, ecc.; – Rischio di non omologa se anche solo un classe dissente e non soddisfa requisiti cram-down; – Organi terzi vigilano (meno libertà gestione per debitori); – Eventuali reati concorsuali se mala gestio pregressa restano perseguibili; – Esiti incerti (dipende da voto creditori)– Azienda perde totalmente il controllo (curatore liquida asset senza considerazione per la continuità aziendale); – Tempi lunghi per incassi creditori (anni); – Dividendi spesso bassi (costo procedura erode attivo); – Creditore chirografo medio è insoddisfatto (tassi recupero <10% in molti fallimenti); – Stigma e distruzione valore: marchio, avviamento, rapporti si perdono; – Lavoratori perdono occupazione (salvo vendite a esercizio provvisorio rare); – Soci perdono capitale e azienda cessa esistenza; – Possibili azioni di responsabilità contro amministratori (effetto collaterale)

Nota: Nella colonna “Liquidazione” si intendono caratteristiche generali valide sia per liquidazione giudiziale (ex fallimento) sia per liquidazione controllata del sovraindebitato, pur con qualche differenza (ad esempio, l’esdebitazione è automatica per persona fisica in liquidazione controllata, mentre in fallimento va richiesta; i soggetti ammessi differiscono: solo non fallibili in controllata, ecc.).

Come si evince, ogni strumento ha il suo ambito ideale: i piani attestati per crisi gestibili in modo riservato, gli accordi per situazioni dove si può pagare almeno in buona parte i creditori o dove c’è coesione fra essi, il PRO per operazioni più complesse ma con possibilità di maggioranze per classi, il concordato come strumento generale soprattutto se serve imporre tagli anche a dissenzienti, e infine la liquidazione come ultima risorsa di chiusura.

Tabella 2 – Sintesi trattamento creditori privilegiati vs chirografari nei vari strumenti

La Tabella 2 riassume come sono trattati i creditori a seconda della loro posizione (privilegiati o chirografari) nei diversi procedimenti, evidenziando in particolare l’esistenza di eventuali soglie di soddisfacimento imposte per legge.

Tipo di creditorePiano attestatoAccordo ristrutturazionePROConcordato continuitàConcordato liquidatorioLiquidazione giudiziale
Privilegiato (pegno/ipoteca)Deve essere pagato integralmente come da contratto oppure come concordato (non c’è vincolo legale, ma se non paga rischio azioni)Se aderisce, può accettare riduzione; se non aderisce, deve essere pagato per intero entro 120 gg (se scaduto) altrimenti accordo non omologabile; possibilità cram-down fiscale per privilegi Erario se convienePuò essere falcidiato con consenso classe a condizione riceva ≥ valore liquidazione bene; se classe approva, vincola minoranza; se classe non approva, niente PRO omologa a meno cram-down generico (povero privilegio avrebbe veto in classe)Può falcidia se riceve ≥ valore di realizzo bene (attestato); vota in classe separata se degradato oltre 180 gg pagamento; se dissente ma un’altra classe pari o inferiore approva e best interest test ok, giudice può cramdownIdem continuità per falcidia tecnica≥valore realizzo; in più se concordato solo liquidatorio: privilegio non degradato deve essere pagato entro 1 anno dall’omologa se chiede (art. 110 CCII); spesso comunque privilegio soddisfatto vendendo bene; eventuale residuo in chirografo soggetto a min 20% globaleRiceve distribuzione secondo grado prelazione: di solito privilegio mobiliare su beni specifici, ipoteca su ricavato immobili; statisticamente recupero dipende base asta (spesso <100% se valori ribasso).
Privilegiato generale (es. lavoratori, Erario)Pagato integralmente su scadenze originali (piano di solito prevede pagarli per evitare problemi)Se aderisce può accettare stralcio; se no, va pagato integrale entro 120 gg da omologa se scaduto (o secondo natura privilegio); transazione fiscale possibile con stralcio interessi e sanzioni; giudice può omologare accordo anche se Erario/INPS dissente se offerta ≥ scenario liquidat.Deroga prelazioni: può ridurre anche privilegi generali con consenso classi, salvo lavoratori (no deroga art. 2751-bis n.1); se Erario dissente, giudice può cmq omologare PRO (norme PRO non vietano stralcio tributi, anzi ammesse). Lavoratori privilegio: classe loro deve avere full priority su tutto (non comprimibili).Lavoratori: super-priorità, vanno pagati tutto entro max 6 mesi; Erario/INPS: privilegio generale su mobili, possono essere falcidiati purché ≥quota liquidazione, votano classe se non pagati integrali, cram-down fiscale se dissenso e convenienza≥fallimento.Lavoratori: come sopra, non falcidiabili (in liquidatorio spesso interviene Fondo di garanzia); Erario: in concordato liquidat. vige(va) regola che IVA e ritenute non falcidiabili – ora superata, ma restano soggette a best interest test e transazione fiscale obbligatoria; in pratica concordato liquida spesso propone pagamento parziale tributi con esdebitazione sul resto, ammesso da 2022.Lavoratori: Fondo garanzia INPS paga TFR e ultime 3 mensilità e si surroga come privilegio; lavoratori hanno priorità massima nel riparto; Erario: privilegio su mobili dopo lavoro e procedura, in riparto spesso prende qualcosa se attivo sufficiente, se no nulla. Niente esdebitazione dentro la procedura (ma persona fisica poi può chiederla).
Chirografo (ordinario non garantito)Deve contrattare singolarmente: possibile stralcio o dilazione ad libitum (nessun vincolo salvo consenso individuo). Se non accordato, resta con diritto integrale e può agire legalm.Se aderisce: prende quanto accordo prevede (tipicamente % su crediti). Se non aderisce: legalmente diritto a 100% ma deve riceverlo entro 120gg sennò accordo non omologabile. Di fatto, spesso estranei piccoli vengono pagati cash integrale da debitore per chiudere.Suddivisi in classi; possono ricevere anche <20% (nessun minimo) se valore piano scarso, purché no classe inferiore preferita. Se una classe chirografa approva e altra no, giudice può omologare comunque se relative priority ok e best interest test ok. Se tutte chirografe dissentono, PRO non omologa.Nessun minimo per continuità salvo relative priority: in valore oltre liquidazione, devono ricevere ≥ classi pari grado e > classi infer. (di solito non ci sono inferiori ai chirografi se non soci). Su valore base liquidazione, rispettato ordine cause prelaz. In pratica se impresa produce plusvalore, quel plusvalore può essere distribuito difformemente favorendo alcune classi chirografi su altre, rispettando priorità relativa. Classe chirografa deve comunque prendere ≥ scenario liquidatorio atteso.Minimo 20% sul totale chirografi (obbligo di legge); se piano non dà 20%, inammissibile. Spesso piani liquidat. offrono il minimo sindacale se attivo scarso. Possono esservi classi differenziate (es. chirografi privilegiati degradati vs trade) ma alla fine tutti devono avere almeno 20% salvo classi che rinunciano volontariamente (improbabile).Recupero dipende attivo residuo dopo privilegi. Statistica: molto variabile, ma spesso <10%. Chirografi subiscono perdita massima (in molti fallimenti non percepiscono nulla). Liquidazione controllata: dopo procedura, persona fisica ottiene esdebitazione residuo, società viene estinta.

Le tabelle evidenziano, ad esempio, che solo nel concordato liquidatorio vi sono soglie quantitative obbligatorie (20% ai chirografi, 10% attivo esterno), mentre altrove vige più flessibilità vincolata però al test di convenienza per creditori dissenzienti e all’ordine delle prelazioni. Anche si nota che i lavoratori sono sempre l’anomalia positiva: mai comprimibili oltre certe tempistiche, e con prelazione assoluta.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande e risposte che ricorrono spesso in tema di piani di ristrutturazione del debito e risanamento aziendale, per chiarire dubbi pratici e punti cruciali:

D: Un imprenditore in crisi deve per forza passare dal tribunale per ristrutturare i debiti?
R: No. Se la situazione lo consente, può optare per soluzioni extragiudiziali (es. piano attestato di risanamento o accordi privati) senza coinvolgere il tribunale. Queste soluzioni sono preferibili per riservatezza e velocità, ma richiedono un sufficiente consenso dei creditori chiave e non offrono misure coercitive verso eventuali dissenzienti. Se invece i debiti sono troppo elevati o diffusi e serve una moratoria/stay sulle azioni o imporre il piano anche ai contrari, allora è necessario ricorrere a procedure giudiziali (accordi omologati, concordato, ecc.). In pratica: no, non è obbligatorio passare dal giudice, ma in molti casi gravi è l’unica via per un risanamento efficace.

D: Qual è la differenza principale tra un piano attestato di risanamento e un accordo di ristrutturazione omologato?
R: Il piano attestato è una soluzione privata: non richiede approvazione dei creditori in forma di voto collettivo né omologazione giudiziale. Esso consiste in un piano elaborato dall’impresa, certificato da un professionista indipendente, e attuato con il consenso dei creditori che aderiscono in via negoziale. Offre protezione dalle revocatorie ma non dalle azioni individuali dei creditori estranei e non vincola chi non sia d’accordo. L’accordo di ristrutturazione omologato invece è un vero e proprio accordo contrattuale tra debitore e una maggioranza di creditori (almeno 60%) che viene poi reso efficace erga omnes con l’omologazione del tribunale. Una volta omologato, vincola i creditori aderenti (ed eventualmente alcune categorie di non aderenti, se efficacia estesa) e prevede che i creditori estranei siano pagati come da legge. In sintesi, il piano attestato è meno formalizzato e più flessibile ma non impone nulla ai dissenzienti; l’accordo omologato coinvolge il giudice e permette di blindare l’intesa, ottenendo misure protettive e superando in parte il problema di minoranze contrarie, al prezzo di maggiore formalità e pubblicità.

D: Che cos’è la “convenzione di moratoria” e quando conviene usarla?
R: È un accordo stretto tra il debitore e una parte dei suoi creditori (tipicamente finanziari) per sospendere o posticipare le scadenze dei crediti e le azioni di recupero per un certo periodo. Si usa soprattutto per dare respiro immediato all’impresa in crisi, evitando che qualche creditore rompa le fila e aggredisca il patrimonio. Conviene usarla quando l’azienda ha un problema di liquidità temporanea e vuole guadagnare tempo (es. in attesa di un aumento di capitale, o di definire un piano). È efficace se la maggioranza dei creditori chiave aderisce e – grazie alla norma – vincola anche gli eventuali dissenzienti di quella stessa categoria (ad es. 75% banche firma di non escutere garanzie per 6 mesi, quindi anche il 25% restante è tenuto a rispettare la moratoria). In pratica è utile nelle fasi iniziali della crisi, come preludio a un accordo di ristrutturazione o un concordato, oppure durante la composizione negoziata. Da sola però non risolve i debiti: scaduto il periodo, bisogna aver predisposto la soluzione definitiva.

D: In un concordato preventivo, i soci perdono sempre la proprietà dell’azienda?
R: Non necessariamente. Nel concordato in continuità senza intervento di terzi assuntori, i soci possono mantenere la proprietà se il piano non prevede operazioni sul capitale a loro sfavore. Tuttavia, con la riforma, è possibile coinvolgere i soci come classe di contribuenti residuali: ad esempio, se il piano prevede che i soci debbano rinunciare alle proprie partecipazioni (per far entrare un investitore o soddisfare creditori con equity), i soci possono formare una classe e perdere la proprietà per effetto del cram-down se ciò è necessario. In un concordato liquidatorio con assuntore, invece, spesso l’azienda viene ceduta e i soci attuali escono. In sintesi: i soci non hanno garanzia di mantenere la proprietà in una procedura concorsuale – dipende dal piano. Se l’equity ha ancora valore e i soci partecipano con risorse esterne (dimostrando commitment), possono anche conservare il controllo post-concordato. Ma se l’equity è “out of the money” (azienda insolvente), un investitore o i creditori possono esigere la diluizione o azzeramento dei soci come condizione del risanamento. La diretrice UE e il CCII consentono di forzare i soci dissenzienti a cedere quote se necessario al successo del piano (nel PRO e concordato ciò è implementabile legalmente).

D: Come si calcola concretamente se un piano è conveniente rispetto alla liquidazione per poter fare il cram-down sui creditori dissenzienti?
R: Si effettua il cosiddetto “best interest of creditors test”. Bisogna stimare in modo documentato quanto ogni classe di creditori (o ogni creditore nel caso di accordi) otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale dell’impresa. Questa stima si basa su: valore di realizzo dei beni (aste, tempi, costi procedura), grado di privilegio di ciascuno, tempi di distribuzione. Si redige un prospetto comparativo: ad esempio, i chirografari in fallimento prenderebbero il 10% dopo 5 anni; con il piano si propone loro il 30% in 2 anni. Oppure il Fisco in fallimento incasserebbe 100k, con il piano 150k – quindi conveniente. Queste cifre devono essere attestate dal professionista e a volte confermate da perizie di stima (per immobili etc.). Se per una classe dissenziente risulta che la percentuale/valore offerto dal piano è almeno pari o superiore a quello ottenibile dalla liquidazione, il tribunale può omologare il piano nonostante il loro voto negativo. Altrimenti no: se una classe verrebbe pagata meglio in fallimento, non è possibile imporle il piano. In pratica quindi il calcolo è di tipo differenziale: valore in scenario concordatario vs scenario liquidatorio, tenendo conto del fattore tempo (50% fra 6 mesi può valere più di 70% fra 5 anni, ma giuridicamente si guarda al valore nominale; però i giudici considerano anche la tempestività come elemento qualitativo).

D: I garanti e fideiussori sono liberati se nel piano si riduce il debito principale verso il creditore?
R: Attenzione: la regola generale del codice civile (art. 1303 c.c.) prevede che la transazione o remissione del debito accordata al debitore principale non liberi il fideiussore se non è diversamente pattuito. Cioè, se la banca accetta nel concordato 70% e stralcia 30% del credito verso la società, il fideiussore (es. un socio garante) rimane obbligato per quel 30% salvo la banca abbia rinunciato espressamente anche nei suoi confronti. Questo significa che un piano non incide automaticamente sulle garanzie personali: bisogna negoziare anche la posizione dei garanti. In un accordo di ristrutturazione, spesso i garanti firmano anch’essi l’accordo e ottengono manleva per la parte stralciata. Nel concordato, il tribunale non può imporre al creditore di liberare il garante – a meno che il garante stesso sia co-obbligato e magari entri nel perimetro di procedura (ad es. socio garante che fallisce con l’azienda, allora unica procedura li copre). Ma se il garante è solvente fuori concordato, il creditore potrebbe legalmente pretendere da lui l’intero dovuto. In pratica però molti istituti finanziari, se decidono di aderire al piano, richiedono anche al garante di contribuire (pagare qualcosa) e poi liberano la rimanenza. È un tema contrattuale da non dimenticare: la falcidia del debito principale non estingue automaticamente le garanzie collaterali. Anche per pegni e ipoteche vale: se ipoteca di terzo, il creditore potrebbe voler escutere quella per soddisfarsi oltre quanto preso nel piano.

D: Cosa succede se, dopo l’omologazione, il debitore non rispetta il piano?
R: Se il debitore non adempie agli obblighi come da piano omologato, i creditori hanno diverse tutele. Nel caso di concordato preventivo, possono chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento (art. 118 CCII): se il tribunale accerta che il debitore non ha eseguito il piano regolarmente (mancati pagamenti rilevanti), dichiara risolto il concordato e contestualmente apre la liquidazione giudiziale (fallimento). A quel punto i creditori riprendono le loro azioni ma ormai nell’ambito del fallimento. Analogo meccanismo per gli accordi di ristrutturazione omologati: il tribunale, su istanza, può risolvere l’accordo e dichiarare il fallimento (se l’insolvenza permane). I creditori quindi non perdono i loro diritti originali: se hanno ottenuto solo una percentuale e il debitore non paga nemmeno quella, si torna in sede concorsuale e possono rivalersi sul patrimonio residuo (che di solito a quel punto è ridotto, purtroppo). Nei piani attestati, non essendoci omologa, l’inadempimento configura un normale inadempimento contrattuale: il singolo creditore può agire subito (pignoramenti, ecc.) secondo gli accordi eventualmente presi (spesso gli accordi prevedono che se debitore salta una rata, l’intero debito originario risorge esigibile). Quindi, l’omologa dà una chance ma non una garanzia assoluta: l’importante è che, fino a quando il piano è in corso, eventuali creditori non soddisfatti come previsto non possono attivare esecuzioni individuali (perché bloccati dall’omologazione); ma se il piano salta, tutti liberi di agire, sebbene a quel punto di solito si confluisca in un fallimento unico.

D: I creditori possono proporre un piano alternativo a quello del debitore?
R: Nelle procedure di concordato preventivo, la legge attuale non consente ai creditori di presentare un piano di concordato concorrente salvo casi eccezionali (in passato era ammesso in alcune situazioni, ma con il CCII questa facoltà è scomparsa). Solo se il debitore è una grande impresa in amministrazione straordinaria esistono piani di ristrutturazione proposti da terzi. Nei concordati “classici”, i creditori possono solo votare sì/no sul piano del debitore, ed eventualmente fare osservazioni o proporre modifiche concordate prima dell’omologa (ma il proponente formale rimane il debitore). In un accordo di ristrutturazione, trattandosi di negoziato contrattuale, i creditori possono negoziare e quindi di fatto proporre modifiche o soluzioni alternative durante le trattative: finché non si deposita in tribunale c’è libertà contrattuale, e se il debitore accetta le proposte dei creditori, l’accordo conterrà quelle. In sintesi: formalmente il piano di concordato deve provenire dal debitore; i creditori non possono imporre un loro piano, ma possono rifiutare quello offerto e spingere per aggiustamenti. Un’eccezione riguarda la liquidazione giudiziale: dopo un fallimento, i creditori (o terzi) potrebbero proporre al posto del debitore un concordato fallimentare (ossia un accordo nella procedura liquidatoria) per chiuderla anticipatamente. Ma questo è un altro istituto e comunque avviene a fallimento aperto.

D: Quali costi comporta avviare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione?
R: Ci sono diversi costi diretti e indiretti. Diretti: per il concordato, bisogna pagare un fondo spese in tribunale (spesso un anticipo per coprire costi di procedura, variabile in base a dimensione, nell’ordine di qualche migliaio di euro minimo), oltre ai compensi del commissario e del giudice che saranno liquidati a fine procedura e dovranno trovare capienza. Poi i consulenti: l’attestatore indipendente chiederà un compenso (commisurato a complessità, magari decine di migliaia di euro per medie aziende); gli avvocati che preparano ricorso, gli advisor finanziari, ecc. Quindi un concordato può costare facilmente dal 3-5% dell’attivo aziendale in consulenze e spese procedurali. L’accordo di ristrutturazione, essendo meno coinvolgente per il tribunale, ha leggermente meno costi procedurali (non c’è commissario, solo un giudice per omologa) però richiede comunque attestatore, negoziazioni, atti notarili eventuali, ecc. Il piano attestato è il meno costoso in termini di spese vive (non c’è tribunale) ma comunque serve il compenso dell’attestatore e i professionisti che lo redigono. Indiretti: la procedura può generare costi di diminuzione di fiducia (es. fornitori chiedono contrassegno, clienti stentano, il rating bancario peggiora), difficili da quantificare ma reali. Questi costi vanno messi a budget nel piano. Tuttavia, vanno visti alla luce dei benefici: sono spese necessarie per salvare l’impresa. Un fallimento costerebbe ben di più in termini di valore distrutto. Da notare che i compensi dei professionisti della crisi (attestatori, legali) in concordato e accordi omologati sono considerati prededucibili – quindi in caso di fallimento successivo verrebbero pagati prima di altri debiti, ciò per incentivare i professionisti a impegnarsi (e i creditori ad accettarli).

D: Dopo un piano di risanamento andato a buon fine, l’impresa ha “fedina pulita”?
R: Dipende. Se il piano è extragiudiziale, in registro imprese non risulta nulla, quindi verso terzi l’azienda appare come se nulla fosse (tranne eventuali accordi pubblicati come notizia). Se invece ha fatto un concordato o accordo omologato, quell’informazione rimane negli archivi pubblici per un certo periodo. In centrale rischi delle banche, un concordato viene registrato e può penalizzare l’accesso al credito per qualche anno. Tuttavia, completato il piano, l’azienda è formalmente risanata: nel concordato, l’omologa seguita da esecuzione dà luogo a un decreto di adempimento e la procedura chiusa; è sicuramente meglio di un fallimento (dove ci sono interdizioni). L’azienda può dire di aver superato una crisi con successo – anzi spesso esce rafforzata. In caso di concordato, per 5 anni non può proporne un altro salvo eccezioni. I soci e amministratori possono incorrere in restrizioni? Per il concordato, no – non è come fallimento che inabilita. Quindi la “fedina” del debitore persona fisica rimane pulita (salvo eventuali condanne penali pregresse). In conclusione: a livello reputazionale una procedura concorsuale lascia qualche traccia, ma a livello legale, un’impresa che adempie al piano di risanamento torna ad essere a tutti gli effetti un soggetto solvibile e normalmente operante. I debiti passati falcidiati sono estinti definitivamente e i creditori non possono più pretenderli.

Modelli esemplificativi di documenti

In questa sezione conclusiva presentiamo schemi sintetici di alcuni documenti tipici nel processo di ristrutturazione del debito. Non si tratta di fac-simili completi (che sarebbero molto voluminosi e dipendenti dal caso concreto), ma di outline che evidenziano la struttura e i contenuti essenziali di ciascun documento. I modelli riguardano: il Piano di risanamento vero e proprio, la Relazione del professionista indipendente (Attestazione), e l’Accordo di ristrutturazione con i creditori.

Schema di Piano di ristrutturazione del debito

Un Piano di risanamento aziendale dettagliato può estendersi per decine di pagine. Di seguito uno schema di capitoli e paragrafi che solitamente compongono il documento:

  1. Executive Summary: sintesi del piano, con breve descrizione della crisi e delle linee di intervento proposte, percentuali di soddisfacimento creditori, ecc. (utile per lettori che vogliono visione d’insieme).
  2. Descrizione dell’impresa: storia aziendale, settore di attività, struttura societaria, governance, organigramma. Questa parte presenta la società, i suoi prodotti/servizi, posizione di mercato, eventuali cause generali di difficoltà settoriale.
  3. Analisi della situazione economico-finanziaria attuale: bilanci degli ultimi 3 anni, principali indicatori (ROI, ROE, DSCR), analisi della situazione di crisi (perdite registrate, flussi di cassa negativi, ecc.). Tavole con Stato Patrimoniale e Conto Economico riclassificati pre-crisi.
  4. Cause della crisi: elenco e spiegazione fattori che hanno portato alle difficoltà (esempi: calo domanda per crisi settore, insolvenza di un grosso cliente, investimenti errati, eccessivo leverage, problemi gestionali, eventi straordinari come pandemia, ecc.). Distinzione tra cause interne ed esterne.
  5. Situazione debitoria dettagliata: tabella/elenco dei debiti per categoria al momento X (data di piano) – banche (con indicazione garanzie), fornitori (magari top 20), debiti tributari (distinti per imposta e annualità), debiti previdenziali, altri (leasing, canoni, ecc.). Indicare per ciascuno se c’è contenzioso, se scaduto, e se privilegiato. Eventuali piani di ammortamento preesistenti (mutui).
  6. Situazione patrimoniale e di liquidità: elenco attivo: beni immobili (con stime), impianti e macchinari (valore di libro e stimato realizzo), partecipazioni, magazzino (valore e stato: obsoleto o rivendibile?), crediti vs clienti (analisi anzianità crediti, svalutazioni previste), cassa. Evidenziare se ci sono beni dati a garanzia specifica (pegno, ipoteca). Illustrare eventuali carenze di liquidità e rating attuale.
  7. Strategia di risanamento proposta:(cuore del piano). Qui si spiegano le misure da adottare:
    • Ristrutturazione operativa: chiusura di reparti o filiali, riduzione personale (con piano esuberi e costi correlati), efficientamento costi, dismissione di asset non core, miglioramenti di processo, investimenti necessari al rilancio (spiegare ROI atteso di investimenti).
    • Ristrutturazione finanziaria: illustrare come si intende trattare ogni categoria di debito: es. “Debiti bancari: proposta di moratoria 6 mesi e allungamento piani a 7 anni, con interesse al X%; Debiti fornitori: pagamento del 40% in 24 mesi, il resto stralcio; Debiti fiscali: richiesta transazione per IVA e rateazione 6 anni; ecc.”. Se il piano è un concordato, dire le percentuali di soddisfo classi e tempi. Se accordo, specificare quanti hanno già aderito in principio. Inserire tabelle che riassumano il trattamento (prima/dopo).
    • Eventuale apporto di nuove risorse: se i soci o terzi apportano denaro, spiegare quanto, quando e sotto che forma (aumento capitale, finanziamento postergato, ecc.). Se previsti investitori, citarli (se confidenziale, dire “un primario investitore ha manifestato interesse vincolante…”).
    • Continuità aziendale e nuovo business plan: se l’azienda prosegue, delineare come tornerà competitiva: nuovi mercati, nuovi prodotti, partnership, ecc. Se c’è un assuntore/cessionario, spiegare come avverrà la cessione.
    • Eventuali operazioni societarie: fusione, scissione, cessione di ramo d’azienda, affitto d’azienda, ingresso di equity partner, conversione debiti in equity – tutto ciò va descritto (passo per passo e implicazioni su governance).
    • Calendario di attuazione (timeline): magari con un diagramma Gantt che mostri i principali step: es. “T0: omologa piano; T+30gg: pagamento 100% dipendenti; T+3 mesi: vendita immobile X; T+6 mesi: aumento capitale soci eseguito; T+12 mesi: pagamento prima rata fornitori; T+24 mesi: fine pagamenti fornitori…”, etc. Anche milestone operative (nuovo impianto attivo a T+9 mesi, margine operativo in pareggio da T+12, …).
    • Aspetti legali particolari: ad esempio se ci sono cause pendenti, come si prevede di gestirle nel piano (transazioni?). Se il piano richiede autorizzazioni (antitrust per cessione, pareri ministeriali), indicarlo.
  8. Piano finanziario su 3-5 anni (proiezioni): presentare i prospetti economico-finanziari attesi con e senza piano:
    • Conti economici pro-forma per ciascun esercizio (ricavi, costi, Ebitda, utile).
    • Stato patrimoniale pro-forma annuale (vedere evoluzione patrimonio netto, debiti residui…).
    • Cash flow forecast dettagliato (mensile o trimestrale almeno per i primi 1-2 anni, poi annuale): serve a dimostrare che con i flussi generati si possono rispettare le scadenze dei pagamenti previsti dal piano. Evidenziare la voce “pagamenti ai creditori concorsuali” secondo piano.
    • Indici di sostenibilità: ad es. DSCR (Debt Service Coverage Ratio) ogni anno (mostrare che è >1 dopo ristrutturazione), PFN/Ebitda evoluzione, ecc.
    • Situazione liquidità: evidenziare se rimane cassa minima di sicurezza e come è calcolata.
    • Eventuali scenari: worst case / best case, e strumenti di intervento in caso di scostamento (piani B).
  9. Impatto per i creditori (comparazione scenario liquidatorio): tavola che confronta per ciascuna classe di creditori:
    • % e tempi di soddisfacimento con il piano;
    • % stimata in caso di liquidazione fallimentare. Deve risultare piano ≥ liquidazione. Questa sezione è fondamentale per l’attestatore e per il tribunale: spesso in forma tabellare e con spiegazioni su come si è calcolato il valore di liquidazione (es. perizia giurata su immobili allegata).
  10. Conclusioni: ribadire perché il piano è fattibile e conviene a tutti: l’azienda eviterà il fallimento e tornerà redditizia, i creditori prendono più e prima che in alternativa, i soci/investitori supportano, e il territorio mantiene i posti di lavoro. Inserire eventuali lettere di supporto (manifestazioni di interesse) di banche o partner.
  11. Allegati: qui vanno allegati documenti chiave come:
    • Estratti bilanci e situazioni contabili;
    • Elenco creditori analitico;
    • Relazione di stima di un perito per beni immobili (se serve);
    • Calcolo analitico scenario liquidatorio (spese procedura, valori beni, tempi);
    • Eventuali accordi preliminari (es. accordo soci-investitore; lettere banche aderenti; accordi sindacali se già firmati; termine di moratoria ex art. 182-octies se convenzione moratoria).
    • Relazione attestatore (anche separata, vedi dopo).
    • Documenti societari come delibere CdA di approvazione piano, etc.

Naturalmente, la struttura può variare. Ad esempio, in un accordo di ristrutturazione 182-bis la sezione 7 includerà esattamente i termini dell’accordo e allegati le sottoscrizioni dei creditori, etc. In un concordato, la sezione 7 è la “proposta ai creditori” e la sezione 8 il “piano economico finanziario” art. 87 CCII; inoltre nel concordato si dovrà includere la sezione “classi di creditori” e “cause di prelazione” separata. Ma lo schema generale rimane quello: analisi, misure, proiezioni.

Dal punto di vista stilistico, il piano è un documento tecnico-legale ma deve essere scritto in modo chiaro anche ai creditori non tecnici. Spesso si usano note esplicative per termini finanziari, e molte tabelle riassuntive e grafici per facilitare la comprensione.

Schema di Relazione del professionista indipendente (Attestazione)

La relazione dell’attestatore è un documento formale redatto ai sensi di legge (art. 56 co.3, art. 57 co.2, art. 87 co.2 CCII a seconda dei casi) in cui un professionista indipendente (commercialista o esperto di crisi) attesta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Schema tipico:

  • Intestazione e destinatari: titolo “Relazione del Professionista indipendente ai sensi dell’art. … Codice della Crisi…”, indirizzata al Tribunale o al debitore a seconda se concordato/accordo.
  • Premessa: generalità dell’attestatore (nome, iscrizioni albo dottori commercialisti o avvocati, albo gestori crisi se esistente, qualifica ex art. 2 CCII lettera o); dichiarazione di indipendenza (assenza di conflitti di interesse, non legami col debitore negli ultimi anni oltre limiti di legge); incarico ricevuto (da chi e quando, deliberato da CdA debitore e accettato).
  • Documentazione esaminata: elenco di tutti i documenti che il debitore ha fornito e che sono stati analizzati: bilanci, estratti contabili, elenco creditori, perizie, contratti importanti, ordine libri sociali, ecc. Anche fonti terze (es. analisi di mercato, statistiche del settore per verifica ipotesi ricavi).
  • Procedura di verifica seguita: descrizione metodologia: incontri con management, sopralluoghi (se fatti), verifiche a campione su poste di bilancio (ad es. “ho verificato i principali crediti clienti ottenendo conferme per il 60% del valore totale”), controllo corrispondenza tra elenco debiti e libro mastri, eventualmente riscontri esterni (es. verifica cartelle Equitalia per debiti fiscali). L’attestatore qui spiega come ha accertato la veridicità dei dati aziendali. Se ha utilizzato propri ausiliari (collaboratori), lo dichiara.
  • Situazione patrimoniale e finanziaria iniziale: l’attestatore riporta in sintesi lo stato dell’impresa al momento del piano: riepilogo attivo/passivo, evidenziando eventuali differenze rispetto a quanto affermato dal debitore (se ha trovato scostamenti li deve segnalare). Di fatto rifà un’analisi critica del punto 3-5 del Piano. Conferma se i dati sono attendibili e veritieri secondo le sue verifiche (o segnala errori corretti).
  • Analisi delle ipotesi del piano: questo è il cuore. L’attestatore esamina le ipotesi di fondo del piano di risanamento:
    • Ipotesi di ricavi futuri: su cosa si basano? (nuovi contratti, quale tasso di crescita, scenario di mercato). L’attestatore dice se le ritiene plausibili o troppo ottimistiche. Magari farà analisi sensitivity (es. “anche se i ricavi fossero il 10% inferiori alle previsioni, l’azienda avrebbe cassa sufficiente per pagare le rate, quindi tenuta robusta”).
    • Ipotesi di margini: verifica se la riduzione costi pianificata è credibile (es. se licenziano 10 persone, si risparmia X, ma serve considerare costo TFR).
    • Apporti terzi: controlla impegni di soci/investitori (devono essere concreti: es. lettera vincolante dell’investitore, delibera di assemblea soci per aumento capitale già fatta). Se apporto non garantito, segnala rischio.
    • Valore realizzo cespiti: se il piano prevede vendite di asset, l’attestatore valuta se il prezzo atteso è realistico confrontandolo con perizie o mercato.
    • Tempistiche: dice se le scadenze proposte (es. completamento opere, incasso crediti) sono coerenti con evidenze (storico incassi, ecc.).
  • Attestazione di veridicità dei dati: formula in cui dichiara che i dati contabili e di stato patrimoniale utilizzati nel piano sono veritieri e completi secondo le verifiche fatte. (Se ci sono limiti, li cita: es. mancanza di contabilità aggiornata per un mese, su cui si è basato su stime).
  • Attestazione di fattibilità del piano: formula conclusiva dove afferma, con motivato giudizio, se a suo avviso il piano è idoneo a superare la crisi/insolvenza e se le proiezioni sono realistiche. Spesso con caveat: “a giudizio di chi scrive, il piano nel suo complesso è fattibile, ossia raggiungibile con ragionevole probabilità, in quanto… (riassume ragioni: es. nuovi ordini già firmati, costi fissi ridotti del 30%, ecc.).”. Può anche dire “fattibile ma con margine ridotto”: se c’è rischio lo segnala, tuttavia se troppo rischioso dovrebbe concludere negativamente.
  • Best interest test: nel concordato/PRO, l’attestatore deve anche certificare che i creditori in scenario concordato non riceveranno meno di quanto avrebbero in liquidazione. Quindi includerà un paragrafo: “Confronto con alternativa liquidatoria: in base alle stime, in liquidazione giudiziale il realizzo per chirografari sarebbe 10%; nel piano è previsto 40%: risulta soddisfatto il requisito di convenienza”. Idem per creditori privilegiati parzialmente falcidiati: attesta che il valore coperto è almeno pari a valore di beni.
  • Considerazioni finali e firma: a volte aggiunge raccomandazioni (es. necessità di monitoraggio periodico), poi data, firma digitale.

La relazione è destinata ai creditori e al giudice, quindi deve essere obiettiva e rigorosa. Non è un atto di parte, l’attestatore risponde legalmente della sua analisi (se dolosamente/revissoriamente falsa, rischia sanzioni penali). Egli non garantisce il successo, ma garantisce che il piano ha una solida logica e può funzionare.

Spesso l’attestatore allega qualche documento di supporto (tabelle di test di stress, elenco fornitori controllati, ecc.), ma di solito la relazione è discorsiva con molti numeri inseriti.

Nel caso di piano attestato ex art.56, la relazione copre simili punti, anche se non c’è classe di voto. L’attestazione di fattibilità lì significa credibilità nel superare la crisi entro 3-5 anni e ripagare i creditori come previsto. Nell’accordo di ristrutturazione ex art.57, la relazione deve specificare che i creditori estranei possono essere pagati integralmente come previsto (questo in accordo standard) e che il piano finanziario è congruo a tal fine.

Schema di Accordo di ristrutturazione dei debiti (bozza)

L’accordo di ristrutturazione vero e proprio è un atto negoziale che normalmente assume la forma di un contratto sottoscritto dal debitore e dai creditori aderenti. Può essere strutturato come scrittura privata autenticata o atto di transazione plurilaterale. Uno schema indicativo:

  • Titolo e preambolo: “Accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 57 CCII di [NOME DEBITORE]” – con data certa, elenco delle parti contraenti (Debitore e l’elenco nominativo dei Creditori firmatari con generalità e importi di credito riconosciuti). Nelle premesse si richiamano: la situazione di difficoltà del debitore (es. “premesso che la Società versa in stato di crisi, come da piano di risanamento allegato…”), la volontà comune di evitare insolvenza, e l’avvenuta attestazione del piano da parte del professionista indipendente (si cita nome e data relazione).
  • Definizioni: elenco di definizioni chiave utilizzate (es. “Società” per il debitore, “Banche” per un certo gruppo di creditori, “Data di Efficacia” – il momento in cui l’accordo diventa efficace, di solito all’omologazione; “Piano” come il piano di risanamento allegato, “Creditori Estranei” etc.).
  • Riconoscimento dei crediti: clausola in cui il debitore riconosce l’esistenza e l’importo dei crediti di ciascun aderente (spesso con tabella nominativa: creditore X ha credito €…, di cui €… privilegiato e €… chirografo, etc.), e i creditori dichiarano di non avere null’altro a pretendere salvo quanto indicato (questo serve a fissare il perimetro).
  • Impegni del debitore (Obbligazioni del Debitore): parte centrale dove il debitore si obbliga a:
    • Eseguire il piano di risanamento allegato secondo i termini previsti.
    • Effettuare i pagamenti ai creditori aderenti come di seguito dettagliato (es. “pagherà a Banca Alfa €500.000 entro 30/06/2025 a saldo del suo credito ipotecario, e €200.000 entro 31/12/2026 a saldo del chirografo; pagherà a Fornitore Beta €50.000 (50% del credito) in 4 rate semestrali dal 2024…”).
    • Pagare integralmente i creditori estranei come indicato nel piano (elencare se pochi).
    • Astenersi dal compiere atti oltre l’ordinaria amministrazione non previsti nel piano (spesso i creditori vogliono vincolare il debitore a non fare spese pazze finché non li paga).
    • Eventuali covenants finanziari di monitoraggio (ad es. obbligo di fornire report trimestrali ai creditori su stato avanzamento piano, diritto di ispezione).
    • Impegno a depositare l’accordo per omologa in tribunale entro X giorni e a cooperare per ottenere l’omologa (incluso chiedere misure protettive).
    • Se c’è un garante o terzi coinvolti (es. i soci che mettono soldi): inserire impegno del debitore a far sì che ciò avvenga.
  • Impegni dei creditori aderenti: speculari:
    • Rinunciano ad azioni esecutive o iniziative individuali per l’intera durata del piano (standstill).
    • Accettano i pagamenti parziali/dilazionati come soddisfazione integrale del proprio credito secondo l’accordo, rinunciando espressamente a rivalersi per eventuale parte residua (lo stralcio).
    • Se previsto, accettano di estendere la moratoria/accordo anche alle loro eventuali garanzie (ad es. un creditore ipotecario accetta di non escutere ipoteca se sta ricevendo pagamenti secondo piano).
    • Accettano l’eventuale modifica di condizioni contrattuali in essere: ad es. banche modificano i contratti di finanziamento come da piano (tassi, scadenze); fornitori forse rinegoziano termini fornitura futura etc.
    • Si impegnano a votare a favore di un eventuale concordato qualora il presente accordo non raggiungesse omologa e si convertisse (questo può comparire come clausola di backup: i creditori dicono “se per qualche motivo l’accordo non arriva a efficacia e la Società propone concordato con contenuto equivalente, voteremo sì”).
    • Clausola di riservatezza: spesso i creditori concordano di mantenere riservate le informazioni del piano salvo obblighi di legge (specie se società quotata).
  • Trattamento creditori estranei: descrivere come saranno soddisfatti i non aderenti (specie i privilegiati). Spesso: “I creditori non aderenti elencati in Allegato X (estranei) saranno pagati integralmente alle loro scadenze originali/entro 120 giorni dall’omologa, per un totale di €Y, utilizzando le risorse destinate nel Piano. I creditori aderenti concordano che tali pagamenti possano essere effettuati anche anticipatamente rispetto ai propri, nella misura necessaria all’omologa.”.
  • Clausola di condizione sospensiva: di solito l’accordo prevede che entri in vigore solo ad omologazione avvenuta. Tipo: “Il presente accordo è condizionato risolutivamente al mancato ottenimento dell’omologazione ai sensi art. 48 CCII entro il XX/XX/2025. In difetto di omologa entro tale termine, il presente accordo perderà efficacia salvo diverso accordo scritto tra le Parti.”. Ciò tutela le parti: se il giudice omologa, allora l’accordo vale pienamente e sostituisce le obbligazioni originarie; se l’omologa è rifiutata, ciascuno riacquista diritti originari (o si può decidere di prorogare e riprovare).
  • Risoluzione e clausola di inadempimento: definire cosa succede se il debitore non adempie. Es.: “In caso di mancato pagamento di una rata ai creditori che rappresentino almeno il 10% dei crediti complessivi e perdurante per oltre 30 giorni, l’accordo si intenderà risolto di diritto ai sensi art. 1256 c.c., salvo patto diverso tra le parti, e ciascun creditore potrà agire per l’intero suo credito dedotto l’importo eventualmente già incassato in esecuzione del Piano.”. Oppure alcuni accordi inseriscono automatismo: decadenza dal beneficio del termine (se salta rata, tutto subito esigibile, più penali eventuali).
  • Foro competente e legge applicabile: se non è già in sede concorsuale (ma in questo caso è), comunque indicare che è soggetto a legge italiana e eventuali controversie saranno di competenza del tribunale X (anche se se omologato, eventuali contestazioni vanno nel contesto del tribunale che ha omologato).
  • Firma delle parti: tutte le parti firmano (per le banche spesso il dirigente con poteri; per società i legali rappresentanti). Se scrittura privata, può essere autenticata da notaio per la certezza delle firme.
  • Allegati importanti:
    • Piano di risanamento (richiamato come parte integrante).
    • Elenco creditori estranei (con importi) – utile soprattutto per il tribunale.
    • Relazione attestatore (il giudice la vedrà sicuramente).
    • Eventuali documenti di modifica contrattuale: ad es. nuovo piano di ammortamento mutuo con banca (a volte li incorporano direttamente invece di rifare contratti separati).
    • Manifestazioni di consenso individuale: se tutti firmano sullo stesso documento, ok; se si raccolgono adesioni separate, allegare le dichiarazioni di adesione di ciascuno.

In un accordo con efficacia estesa (art. 61), supponiamo tra banche, ci sarebbe una sezione che spiega: “le Parti chiedono al tribunale di estendere il presente accordo anche a Banca Gamma e Delta, non aderenti, ai sensi dell’art. 61 CCII, avendo raggiunto il 75% di consenso nella categoria “banche” come attestato da professionista…”. E andrà notificato a quelle banche dissenzienti, le quali potranno opporsi in omologa.

Se invece fosse un accordo agevolato (30%), l’accordo stesso deve evidenziare che l’impresa ha i requisiti (presumibilmente che ha avviato composizione negoziata, visto che di solito quell’accordo è collegato) e che non si chiederanno misure protettive (per legge). Quindi magari si scrive: “Le Parti danno atto che il presente accordo è stipulato ai sensi dell’art. 60 CCII (accordo agevolato) e pertanto la Debitrice non ha richiesto né richiederà misure protettive nel corso del procedimento di omologa, avendo ottenuto un quorum ridotto di adesioni pari al XX%.”.

In un accordo di ristrutturazione “standard”, molto spesso, più che un unico documento contrattuale, si formalizza con un ricorso al tribunale contenente la proposta e le adesioni dei creditori scritte su moduli di adesione. Dipende dalle prassi. Ma qui abbiamo illustrato come se fosse un unico documento firmato da tutti (cosa che succede in ambiti ristretti di pochi creditori).

Lo scopo del documento è formalizzare il nuovo patto che sostituisce le precedenti obbligazioni. Ha elementi di transazione (remissione parziale debiti), di novazione (nuove scadenze) e di regolamentazione procedurale (condizione omologa, ecc.). Deve essere chiaro e dettagliato, perché dopo l’omologa sarà la “bibbia” da seguire per eseguire il piano. Un buon accordo prevede anche la gestione di eventuali intoppi (es. cosa se la società riceve un incasso extra, può usarlo per pagare prima qualcuno? Spesso i creditori vogliono clausole pro-rata: se c’è extra cash, rimborsi anticipati parziali a tutti in proporzione).

Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a giugno 2025)

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022 con D.Lgs. 83/2022 (recepimento Direttiva UE 2019/1023). Partizioni rilevanti:
    • Art. 56 CCII: Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (disciplina del piano attestato).
    • Art. 57 CCII: Accordi di ristrutturazione dei debiti (quorum 60%, omologa).
    • Art. 60 CCII: Accordi di ristrutturazione agevolati (quorum 30%, no misure protettive).
    • Art. 61 CCII: Accordi ad efficacia estesa (estensione accordi ai creditori dissenzienti della stessa categoria con 75% consenso).
    • Art. 62 CCII: Convenzione di moratoria (accordo di sospensione pagamenti con maggioranza qualificata).
    • Art. 63 CCII: Transazione su crediti tributari e contributivi (disciplinante proposta al Fisco/INPS nell’ambito di accordi e concordati).
    • Art. 64-bis/ter/quater CCII: Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) – nuova procedura introdotta dal D.Lgs. 83/2022.
    • Artt. 84–120 CCII: Concordato preventivo – requisiti, classi, moratorie, percentuali minime (comma 4 art.84: 10% attivo, 20% chirografi in liquidatorio), relative priority rule (comma 6 art.84), tutela lavoratori (art. 84 co. 7), autorizzazioni atti (art. 94), offerte concorrenti (art. 91), omologazione anche in caso di dissenso erario (art. 88 co.2-bis, c.d. cram-down fiscale).
    • Art. 110 CCII: Effetti dell’omologazione del concordato (vincolo per tutti i creditori anteriori).
    • Artt. 268–277 CCII: Liquidazione controllata del sovraindebitato – procedura liquidatoria per non fallibili.
  • D.Lgs. 13 ottobre 2022, n. 147 (cd. “Correttivo bis”) e D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (cd. “Terzo correttivo”) – decreti che hanno modificato il CCII:
    • Introdotto miglioramenti su concordato in continuità (es. chiarimenti su percentuale 20%, definizione risorse esterne).
    • Potenziato accordi di ristrutturazione agevolati/estesi (Notariato, Studio 71-2024/PC, 2025).
    • Procedura composizione negoziata (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021) integrata nel CCII Titolo II – strumento di allerta e negoziazione assistita.
  • Codice Civile – disposizioni richiamate:
    • Art. 2740 c.c. e 2741 c.c.: principio di responsabilità patrimoniale universale e par condicio creditorum (nel PRO derogati con consenso classi).
    • Art. 2751-bis n.1 c.c.: privilegio generale sui mobili per crediti di lavoro (tutela massima, v. art. 84 co.7 CCII).
    • Art. 2116 c.c.: diritto dei lavoratori a retribuzione anche se datore non versa contributi.
    • Artt. 1230 e segg. c.c.: disciplina della novazione (rilevante per accordi).
    • Art. 1304 c.c.: effetti remissione del debito verso coobbligati/garanti (garante non liberato salvo patto contrario).
  • Legge fallimentare previgente (R.D. 267/1942) – abrogata dal CCII dal 15/7/2022. Citata per comprensione storica:
    • Art. 182-bis L.F.: accordo di ristrutturazione debiti (ora trasfuso art.57 CCII).
    • Art. 160-186 L.F.: concordato preventivo (vecchie soglie: 40% chirografi, ecc., superate).
    • Art. 67 L.F. co.3 lett. d): piano attestato come esenzione revocatoria (ora art. 56 e art.166 co.3 CCII).
    • Art. 182-ter L.F.: transazione fiscale (ora integrata in CCII).
  • Direttiva UE 2019/1023 del Parlamento Europeo e Consiglio (sui quadri di ristrutturazione preventiva) – recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022. Principi introdotti:
    • Early warning e composizione negoziata.
    • Stay moratoria fino 4+4 mesi.
    • Cram-down interclass (cross-class cram down) e relative priority rule.
    • Protezione nuovi finanziamenti (prededuzione).
  • Giurisprudenza:
    • Tribunale di Udine, 9 marzo 2023 – prima applicazione PRO: conferma ammissibilità PRO liquidatorio e stralcio crediti erariali in PRO.
    • Tribunale di Vicenza, 25 febbraio 2023 – su risoluzione PRO per inadempimento (creditore ipotecario chiede risoluzione e liquidazione giud., cit. in dottrina).
    • Tribunale di Milano, decreto 9 ottobre 2024 – caso PRO: chiarisce che il PRO può avere natura liquidatoria pura e non soggiace a requisiti 10%-20% del concordato.
    • Corte di Cassazione, Sez. I, 20 luglio 2023 n. 20595 – conferma che omologa concordato non copre con giudicato l’entità dei crediti (creditore può far valere importo diverso se errore, anche dopo omologa).
    • Cassazione civile, Sez. Un., 23 gennaio 2013 n. 1521 – principi su valutazione fattibilità concordato: giudice non entra nel merito economico salvo manifesta inidoneità (precedente ancora citato per definire “fattibilità” come attitudine a raggiungere obiettivi).
    • Cassazione Sez. I, 4 luglio 2023 n. 18864 – ribadisce che decreto di omologazione concordato non pregiudica diritti di garanti (fideiussori obbligati per intero residuo, salvo patto) – coerente con art. 1304 c.c.
    • Tribunale di Napoli, 24 aprile 2024 – ha applicato il cram-down fiscale in concordato in continuità di gruppo: omologato nonostante diniego Fisco, ritenendo soddisfatto art. 63 CCII.
    • Corte Costituzionale 6/2021 – decisione che ha legittimato falcidia IVA nei concordati, rimuovendo il divieto previgente per compatibilità con dir. UE (base per riforma).

La tua azienda ha debiti con banche, fornitori o il Fisco? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda ha debiti con banche, fornitori o il Fisco?
Sei in difficoltà ma vuoi evitare la chiusura e salvare l’attività?

⚠️ Il modo più efficace per uscire da una situazione critica non è pagare tutto subito, ma proporre un piano di ristrutturazione del debito aziendale ben costruito, legalmente valido e sostenibile.

📌 È la soluzione per evitare il fallimento, trattare con i creditori e rilanciare l’impresa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione patrimoniale, debitoria e fiscale dell’azienda
📑 Redige il piano di ristrutturazione tecnico-legale
🤝 Dialoga con banche, fornitori, Agenzia Entrate e INPS
⚖️ Attiva le procedure legali più adatte (composizione negoziata, concordato, OCC)
🔁 Ti assiste in ogni fase fino al risanamento o all’esdebitazione

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e diritto tributario
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di PMI, artigiani, professionisti e ditte individuali
✔️ Consulente in ristrutturazioni sostenibili e tutelate

Conclusione

Ogni azienda può uscire dalla crisi se ha un piano, una strategia e una guida legale competente.
Un piano di ristrutturazione ben costruito può salvare l’impresa, ridurre i debiti e rilanciare l’attività.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo:

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!