Prima Udienza Opposizione A Decreto Ingiuntivo: La Guida

Hai ricevuto un decreto ingiuntivo per un presunto debito e hai deciso di opporti, ma adesso ti chiedi: cosa succede alla prima udienza? Devo presentarmi? Cosa devo aspettarmi dal giudice?
La prima udienza dell’opposizione a decreto ingiuntivo è un passaggio fondamentale: può segnare l’inizio di una causa vera e propria oppure portare alla chiusura del procedimento, se gestita correttamente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto civile, opposizioni a decreti ingiuntivi e difesa del debitore – ti spiega in modo chiaro cosa accade nella prima udienza, quali sono le strategie possibili, e perché è importante farsi assistere fin da subito da un avvocato specializzato.

Hai un’opposizione in corso o stai per affrontare la prima udienza contro un decreto ingiuntivo?

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Introduzione

La prima udienza nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è un momento cruciale del procedimento. Quando un creditore ottiene un decreto ingiuntivo (ossia un’ingiunzione di pagamento emessa inaudita altera parte, in base a prova scritta di un credito certo, liquido ed esigibile), il debitore intimato ha normalmente 40 giorni per proporre opposizione. L’opposizione trasforma il procedimento monitorio in un giudizio a cognizione piena, nel quale il giudice esamina nel merito la sussistenza del credito ingiunto. Questa guida fornisce ad avvocati e imprenditori un’analisi approfondita e aggiornata (maggio 2025) della fase iniziale di tale giudizio, con particolare attenzione alla prima udienza di comparizione delle parti.

In questa guida esamineremo sia il caso in cui l’opposizione segue il rito ordinario (cioè il processo civile ordinario, introdotto con atto di citazione) sia quello in cui segue il rito semplificato (già rito sommario, introdotto con ricorso ai sensi dell’art. 281-decies c.p.c., come innovato dalla riforma 2022). Verranno affrontate tutte le varianti dell’opposizione: dall’opposizione parziale a quella contro un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, con relativa istanza di sospensione ex art. 649 c.p.c. Approfondiremo inoltre le implicazioni fiscali (ad esempio l’imposta di registro sulle decisioni e il contributo unificato) e le conseguenze in sede esecutiva nel caso in cui l’opposizione venga rigettata, incluse le regole sulla rifusione delle spese legali e dei compensi professionali.

Per facilitare la consultazione, la guida include tabelle riepilogative (ad esempio sul confronto tra rito ordinario e rito semplificato, sui termini processuali e sugli effetti della sospensione dell’esecutività). Sono inoltre presentate simulazioni pratiche di casi realistici di opposizione, con analisi di atti, possibili esiti e decisioni giudiziarie. Una sezione finale raccoglie le FAQ – domande frequenti, fornendo risposte chiare ai dubbi più comuni di imprenditori e operatori del diritto su questo tema.

Il tutto è redatto in italiano con un linguaggio tecnico-giuridico rigoroso ma dal taglio divulgativo, in modo da risultare accessibile anche ai non addetti ai lavori pur mantenendo l’approfondimento richiesto dagli operatori del diritto. Ogni affermazione rilevante è corredata dai riferimenti normativi (c.p.c., codice civile, normativa fiscale) e giurisprudenziali più aggiornati (sentenze di merito e di legittimità fino a maggio 2025), raccolti nella bibliografia conclusiva.

Il decreto ingiuntivo e l’opposizione: nozioni generali

Prima di addentrarci nella prima udienza, è utile richiamare brevemente cosa sono il decreto ingiuntivo e l’opposizione a tale decreto, per contestualizzare il quadro normativo.

Decreto ingiuntivo: è un provvedimento giudiziario emesso su ricorso del creditore, senza contraddittorio iniziale, con cui il giudice ingiunge al debitore il pagamento di una somma di denaro (o altra prestazione) entro un termine prefissato (tipicamente 40 giorni). Si basa su prova scritta del credito (es. fatture, cambiali, estratti di conti) e viene concesso inaudita parte debitoris, cioè senza ascoltare il debitore. Se il debitore non reagisce entro il termine, il decreto diviene definitivo ed esecutivo a tutti gli effetti. In tal caso, su istanza del creditore, il cancelliere appone la formula esecutiva e il decreto ingiuntivo diventa titolo esecutivo per procedere a esecuzione forzata (pignoramenti, ecc.).

Opposizione a decreto ingiuntivo: è il rimedio esperibile dal debitore intimato per contestare il decreto. Proponendo opposizione, il debitore introduce un giudizio di cognizione piena davanti al giudice che ha emesso il decreto. L’opposizione si propone con atto di citazione notificato al creditore (detto “opposto”) entro il termine perentorio di 40 giorni dalla notifica del decreto (salvo termini maggiori se il debitore risiede all’estero, come vedremo). Con l’opposizione si instaura un normale processo civile di primo grado, in cui il creditore opposto assume la posizione sostanziale di attore (deve provare il proprio credito) e l’opponente quella di convenuto sostanziale. Di fatto, il giudice dovrà riesaminare nel merito la pretesa creditoria: il giudizio di opposizione non si limita a verificare la regolarità formale del decreto, ma estende l’esame a tutte le questioni di merito relative al rapporto sottostante. Il debitore opponente può far valere qualsiasi eccezione di merito e anche proporre domande riconvenzionali contro il creditore, nei limiti consentiti (ad esempio chiedendo risarcimenti o compensazioni). L’opposizione ha quindi natura sia di rimedio “impugnatorio” (per eliminare il decreto) sia di giudizio di primo grado sul merito del credito.

Dal punto di vista processuale, l’opposizione a decreto ingiuntivo segue le forme del procedimento ordinario di cognizione, salvo alcune peculiarità. In particolare, il codice di rito prevedeva un tempo fa termini di comparizione dimezzati per la citazione in opposizione, per accelerare la trattazione; tale dimezzamento è stato eliminato e la riforma del 2022 ha anzi introdotto termini minimi più ampi (come vedremo a breve). Inoltre l’opponente, pur essendo formalmente attore, non può citare terzi alla prima udienza senza autorizzazione del giudice: se intende chiamare in causa un terzo (es. un coobbligato o un garante), deve chiederlo espressamente nell’atto di opposizione e ottenere un’apposita autorizzazione. Solo l’opponente può proporre riconvenzionali; il creditore opposto, invece, non può ampliare la domanda originaria, salvo replicare ad eventuali domande riconvenzionali dell’opponente (c.d. reconventio reconventionis).

Termini per proporre opposizione: il termine ordinario è di 40 giorni dalla notificazione del decreto ingiuntivo. Se il decreto è notificato all’estero, il termine è più lungo (generalmente 60 giorni in base alle previsioni generali sugli aumenti per le distanze, ex art. 641 c.p.c. e art. 155 c.p.c.). Il computo del termine segue le regole processuali ordinarie (esclusione del giorno iniziale, eventuale slittamento se la scadenza cade di sabato/domenica o festivo, ecc.). Attenzione: se il debitore lascia decorrere inutilmente il termine, il decreto diventa definitivo (passa in giudicato) e perde la possibilità di opporsi, salvo la speciale ipotesi di opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c. (esaminata più avanti). L’opposizione, oltre ad essere tempestiva, dev’essere proposta con le forme corrette (atto di citazione, contenente tutti i motivi di opposizione sia di merito che di procedura): un’opposizione viziata (ad esempio priva dei requisiti formali) può essere dichiarata inammissibile, consolidando il decreto.

Effetto sospensivo dell’opposizione: una domanda frequente è se, proponendo opposizione, il decreto ingiuntivo perda immediatamente efficacia esecutiva. La risposta dipende dal tipo di decreto:

  • Se il decreto non era provvisoriamente esecutivo, la sua esecutorietà rimane sospesa per legge finché pende il giudizio di opposizione. In pratica, il creditore non può procedere ad esecuzione forzata basandosi sul decreto durante il giudizio, a meno che non ottenga un’esecuzione provvisoria in corso di causa (vedremo infra art. 648 c.p.c.). Dunque l’opposizione in questi casi impedisce al decreto di produrre effetti esecutivi fino alla sentenza.
  • Se invece il decreto era già provvisoriamente esecutivo (ex art. 642 c.p.c., ad esempio perché fondato su cambiale, assegno, certificato di stato di credito, o perché il giudice ha concesso la clausola di provvisoria esecutorietà per urgente necessità), l’opposizione non blocca automaticamente l’esecuzione: il decreto rimane esecutivo e il creditore può avviare o proseguire il processo esecutivo anche dopo l’opposizione, salvo che il debitore ottenga una sospensione dal giudice. In altri termini, l’onere è sull’opponente: deve presentare un’istanza motivata di sospensione ex art. 649 c.p.c. perché il giudice “congeli” la provvisoria esecutività del decreto fino all’esito della causa (l’istanza e la relativa decisione sono trattate alla prima udienza, come vedremo).

Riassumendo: l’opposizione apre un vero e proprio giudizio di merito in cui il decreto ingiuntivo viene messo in discussione. Il creditore opposto dovrà dimostrare la fondatezza della sua pretesa creditoria, mentre il debitore opponente potrà far valere tutte le sue ragioni (pagamento già avvenuto, inesistenza o estinzione del debito, nullità del titolo, prescrizione, errori di calcolo, ecc.). Il cuore del giudizio di opposizione è proprio la dialettica tra le parti sul rapporto sottostante il decreto. In questo contesto, la prima udienza di comparizione assume un rilievo particolare: in essa si concentrano alcune decisioni chiave (come la concessione o sospensione dell’esecutività) e si stabilisce l’impostazione del processo (tempistiche, attività istruttorie, ecc.). Nei capitoli seguenti vedremo in dettaglio come si svolge la prima udienza e quali sono gli snodi principali, distinguendo fra rito ordinario e rito semplificato.

Rito ordinario vs rito semplificato nell’opposizione a decreto ingiuntivo

L’opposizione a decreto ingiuntivo può seguire due diverse forme procedurali: quella del rito ordinario di cognizione (il processo civile ordinario disciplinato dagli artt. 163 ss. c.p.c.) oppure, in taluni casi, quella del rito semplificato di cognizione (introdotto nel 2023 agli artt. 281-decies ss. c.p.c., evoluzione del precedente rito sommario ex art. 702-bis c.p.c.). Di seguito un confronto tra i due:

1. Rito ordinario (atto di citazione): È la forma tradizionale e predefinita per l’opposizione. L’opponente redige un atto di citazione in opposizione ex art. 645 c.p.c., notificandolo al creditore opposto. La citazione deve indicare, oltre ai motivi di opposizione, il tribunale competente e fissare una data di prima udienza per la comparizione delle parti. Con la riforma, non vi è più il dimezzamento dei termini: l’opponente deve rispettare i termini ordinari di comparizione di cui all’art. 163-bis c.p.c. (oggi aumentati a 120 giorni liberi per le citazioni a persona residente in Italia). In pratica, tra la data di notifica della citazione e la prima udienza devono intercorrere almeno 120 giorni. Questo significa che, depositato il decreto ingiuntivo e decorsi i 40 giorni, qualora il debitore proponga opposizione con atto di citazione, la prima udienza non potrà avvenire prima di circa 160 giorni dall’emissione del decreto (40 giorni di termine per opporsi + 120 giorni di termine a comparire). In realtà la prima udienza spesso sarà fissata ancor più avanti, tenendo conto di possibili rinvii tecnici (ad es. se la notifica non è via PEC ma a mezzo posta, l’opponente per prudenza potrebbe concedere qualche giorno aggiuntivo, oppure il giudice può differire l’udienza fino a 45 giorni per esigenze organizzative ex art. 171-bis c.p.c.).

Alla prima udienza nel rito ordinario, il giudice tratta le questioni introduttive (costituzione delle parti, eventuali eccezioni preliminari, richieste di provvisoria esecuzione o sospensione) e poi, in caso di prosecuzione, fissa i termini per le memorie istruttorie di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. (generalmente: 30 giorni per memorie integrative, 30 giorni per repliche e richieste istruttorie, 20 giorni per controrepliche). Si apre dunque una fase scritta post-udienza per definire il thema decidendum e le istanze di prova.

2. Rito semplificato (ricorso ex art. 281-decies c.p.c.): La riforma del processo civile (D.lgs. 149/2022, integrato dal D.lgs. 164/2024) ha introdotto un “rito semplificato di cognizione” agli artt. 281-decies e seguenti c.p.c. Esso è applicabile, su scelta dell’attore o su disposizione del giudice, in determinate condizioni: quando i fatti di causa non sono controversi, oppure la domanda si fonda su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa. Nell’opposizione a decreto ingiuntivo, la parte opponente può scegliere di adire il rito semplificato presentando un ricorso anziché una citazione. Il ricorso va depositato presso la cancelleria del giudice competente e deve contenere gli elementi essenziali (parti, fatti, motivi di opposizione, prove, ecc.). Il tribunale, ricevuto il ricorso, fissa con decreto un’udienza di comparizione a breve termine e indica le modalità e i termini per la notificazione all’opposto. In genere, nel rito semplificato, i termini sono più brevi: l’opposto (creditore) deve costituirsi depositando comparsa difensiva entro 10 giorni prima dell’udienza (analogamente all’art. 702-bis c.p.c. previgente), potendo anche proporre eventuali eccezioni e produrre documenti. L’opponente può replicare a sua volta con note o memorie brevi se il giudice lo consente, fino all’udienza.

All’udienza fissata con il ricorso, il giudice verifica la sussistenza delle condizioni per il rito semplificato. Se la causa appare complessa (per pluralità di domande, parti, o necessità di istruttoria non sommaria), il giudice può disporre il passaggio al rito ordinario ai sensi dell’art. 281-duodecies c.p.c. In tal caso, l’udienza stessa diventa la prima udienza ex art. 183 c.p.c. e si procede come se la causa fosse introdotta con citazione. Se invece il giudice ritiene che la controversia sia adatta al rito semplificato, lo conferma con ordinanza e procede immediatamente in modo snello: può assumere le prove ritenute rilevanti (anche in quella stessa udienza o in poche udienze ravvicinate) e decidere la causa in tempi più brevi. Il rito semplificato ha infatti lo scopo di accelerare la definizione nei casi meno complessi, evitando le lungaggini delle memorie ex art. 183 e concentrando la trattazione.

Vantaggi e svantaggi: optare per il ricorso (rito semplificato) in un’opposizione permette in teoria di ottenere una prima udienza più ravvicinata, il che può essere determinante ad esempio per discutere subito un’istanza di sospensione dell’esecuzione. Dottrina e giurisprudenza recente suggeriscono che molti opponenti sceglieranno il rito semplificato per poter anticipare la decisione sull’eventuale sospensiva ex art. 649 c.p.c., evitando di attendere i lunghi termini del rito ordinario. Di contro, se la causa è poi convertita in ordinaria, si potrebbe aver perso tempo nella fase iniziale. Occorre dunque valutare caso per caso. In ogni caso, entrambe le forme confluiscono nella stessa fase decisoria finale: la sentenza che decide l’opposizione (sia emanata all’esito di un rito ordinario che di uno semplificato) avrà identico valore.

Tabella di confronto – Rito ordinario vs. rito semplificato nell’opposizione

ProfiloOpposizione in rito ordinarioOpposizione in rito semplificato
Atto introduttivoCitazione (art. 645 c.p.c.) notificata al creditore. Deve contenere la vocatio in ius con data udienza.Ricorso (art. 281-decies c.p.c.) depositato in cancelleria. L’udienza viene fissata dal tribunale con decreto.
Termine di comparizioneOrdinario: 120 giorni min. (in Italia) dalla notifica. Non più previsto dimezzamento dei termini.Fissato dal giudice, di regola più breve (es. 30-60 giorni dalla notifica del ricorso).
Costituzione dell’oppostoEntro 20 giorni prima dell’udienza (art. 166 c.p.c.), con comparsa di risposta.Entro termine minore (es. 10 giorni prima dell’udienza) con memoria difensiva ex art. 281-undecies c.p.c.
Prima udienzaUdienza ex art. 183 c.p.c.: trattazione iniziale, decisioni su istanze ex art. 648/649 c.p.c., poi termini 183 comma 6 per memorie.Udienza semplificata: il giudice valuta se decidere in rito semplificato o convertire in rito ordinario. Possibile assunzione immediata di prove e trattazione nel merito concentrata.
IstruttoriaTradizionale: dopo le memorie, ammissione mezzi di prova rilevanti, testimonianze in udienze successive, CTU ecc.Semplificata: ammissione prove limitate e rilevanti subito. Tempi più rapidi; se istruttoria complessa -> passaggio a rito ordinario.
DecisioneSentenza finale (tendenzialmente dopo varie udienze istruttorie e precisazione conclusioni).Ordinanza finale motivata immediatamente (ex art. 281-decies) oppure sentenza, se il giudice riserva decisione. In caso di conversione: sentenza a fine rito ordinario.
Tempi stimatiPiù lunghi: prima udienza ~5-6 mesi dal ricorso; istruttoria scritta di almeno 2-3 mesi; più eventuali rinvii per prove.Più brevi se rimane semplificato: prima udienza in ~2-3 mesi; eventuale decisione già in udienza o poche udienze dopo.

Nota: Il Giudice di Pace, competente per decreti ingiuntivi di valore fino a €5.000 (o €50.000 per alcune materie, ad es. risarcimento danni da circolazione stradale), segue in parte regole proprie. L’opposizione davanti al GdP si propone comunque ex art. 645 c.p.c., ma alla prima udienza il giudice di pace è tenuto per legge a tentare la conciliazione delle parti (art. 320 c.p.c.). Inoltre, il giudizio innanzi al GdP ha forme semplificate: ad esempio non vi è il triplice scambio di memorie ex art. 183, ma il giudice fissa direttamente i mezzi di prova e può ammettere nuove eccezioni anche oltre la prima udienza, con maggior flessibilità. Tuttavia, per quanto qui rileva, i meccanismi di concessione/sospensione dell’esecutorietà del decreto e le varianti dell’opposizione sono analoghi a quelli dinanzi al tribunale.


La prima udienza di comparizione nel giudizio di opposizione

Vediamo ora nel dettaglio che cosa accade alla prima udienza dell’opposizione a decreto ingiuntivo, distinguendo tra gli snodi in rito ordinario e in rito semplificato, e quali decisioni il giudice può assumere in tale sede. Questa fase iniziale è cruciale perché da essa dipendono sia eventuali provvedimenti provvisori (sospensioni o esecuzioni provvisorie) sia la pianificazione dell’istruttoria successiva.

Prima udienza nel rito ordinario

Nel caso di opposizione introdotta con citazione, la prima udienza è l’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c.. Si tiene dinanzi al giudice designato (giudice istruttore) e presenta diverse attività da svolgere:

  • Costituzione delle parti e verifiche preliminari: Il giudice innanzitutto verifica la regolare costituzione delle parti. Il debitore opponente è attore formale e dovrebbe essersi costituito depositando il fascicolo entro 10 giorni dalla notifica dell’atto di citazione a decreto ingiuntivo (art. 165 c.p.c.). Il creditore opposto, convenuto formale, deve costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza ex art. 166 c.p.c., depositando la comparsa di risposta con le proprie difese e l’eventuale domanda riconvenzionale (che, ricordiamo, di regola non può eccedere la domanda monitoria, salvo eccezioni legate a reconventio reconventionis). Se il creditore opposto non si costituisce ed era stato ritualmente citato, viene dichiarato contumace: il giudice procederà ugualmente nella trattazione. In tal caso, il creditore, non svolgendo difese, rischia seriamente la revoca del decreto: l’onere della prova del credito infatti grava su di lui e la sua contumacia equivale a non contestare le ragioni dell’opponente. Spesso, l’assenza del creditore implica che l’opposizione sarà accolta e il decreto annullato, purché l’opponente abbia dedotto anche minimamente l’inesistenza del diritto ingiunto.
  • Tentativo di conciliazione: Il giudice, sia pure non obbligato dal codice (eccetto nei procedimenti davanti al Giudice di Pace, come detto), può invitare le parti a una soluzione bonaria della controversia. Nella pratica, soprattutto nelle cause tra imprenditori, questo tentativo viene fatto raramente alla primissima udienza, se non quando la posizione dell’opponente appare fondata e il creditore potrebbe accettare una transazione (ad esempio un pagamento rateale). Se vi è spazio per un accordo, il giudice può rinviare brevemente l’udienza per permettere alle parti di trattare. Un eventuale accordo potrà essere formalizzato con conciliazione giudiziale (processo verbale ai sensi dell’art. 185 c.p.c., titolo esecutivo) oppure con remissione della causa dal ruolo per successiva definizione transattiva. In mancanza di accordo, si procede oltre.
  • Verifica della mediazione obbligatoria: Aspetto fondamentale introdotto dalla riforma 2022 (D.lgs. 149/2022) riguarda la mediazione obbligatoria. Se la materia del credito rientra tra quelle per cui è prevista la mediazione come condizione di procedibilità (ad es. contratti bancari, finanziamenti, locazioni, assicurazioni, condomini, ecc.), il giudice deve controllare che sia stata attivata la procedura di mediazione dopo l’opposizione. Infatti, il deposito del ricorso monitorio esonera inizialmente il creditore dal tentare la mediazione, ma se il debitore propone opposizione, la mediazione diventa condizione di procedibilità della domanda di cognizione. L’onere di avviarla è a carico del creditore opposto (colui che aveva richiesto il d.i.). Dunque, alla prima udienza il giudice verifica se il creditore ha depositato istanza di mediazione presso un organismo competente. Se , e la mediazione è in corso o fallita, si passa oltre (eventualmente il giudice potrà valutare il comportamento delle parti in mediazione ai fini delle spese, ex art. 8 D.lgs. 28/2010). Se non è stata avviata, il giudice deve rinviare l’udienza e concedere un termine (fino a 15 giorni) al creditore per presentare l’istanza di mediazione. L’udienza viene aggiornata di alcuni mesi (massimo tre mesi, prorogabili di altri tre su accordo delle parti) per consentire lo svolgimento del tentativo di conciliazione mediatoria. Se la mediazione non viene attivata nel termine, la legge prevede una sanzione severa: il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda monitoria del creditore e, conseguentemente, revoca il decreto ingiuntivo, condannando il creditore alle spese. In altre parole, il creditore perde la causa per non aver attivato la mediazione obbligatoria. Questo esito può sorprendere l’opponente vittorioso, ma è la conseguenza espressa della norma. Se invece la mediazione viene svolta e dà esito positivo, le parti formalizzano un accordo e il giudizio di opposizione si estingue. Se la mediazione fallisce, il processo riprende dal punto in cui era rimasto. In sintesi: alla prima udienza il giudice di opposizione deve verificare la condizione di procedibilità della mediazione (quando prevista) e adottare i provvedimenti conseguenti (rinvio per mediazione o declaratoria di improcedibilità) prima di entrare nel merito della causa.
  • Istanze ex art. 648 c.p.c. (esecuzione provvisoria): Sempre in prima udienza, se il decreto ingiuntivo non era munito di clausola di provvisoria esecutorietà ex art. 642 c.p.c., il creditore opposto ha facoltà di chiedere al giudice di concedere l’esecuzione provvisoria del decreto in pendenza di opposizione, ai sensi dell’art. 648 c.p.c.. Il giudice decide con ordinanza non impugnabile, valutando i motivi dell’opposizione. La norma prevede che tale esecuzione può essere concessa se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione. Ciò significa che, qualora le difese dell’opponente non siano supportate da documenti di evidente decisività (ad esempio una quietanza di pagamento, un accordo transattivo, ecc.) né prospettino questioni immediatamente risolvibili a suo favore, il giudice può dare corso all’esecuzione provvisoria, ritenendo il credito presumibilmente valido. Diversamente, se l’opponente esibisce già nella citazione un documento che prova il suo diritto (ad esempio una ricevuta che attesta il pagamento del debito) o solleva eccezioni che richiedono poca istruttoria ma appaiono fondate, il giudice tenderà a negare la provvisoria esecuzione, lasciando il decreto “congelato” sino alla sentenza. Oltre a questa valutazione discrezionale, vi sono due situazioni normative specifiche:
    • Esecuzione provvisoria parziale obbligatoria: l’art. 648 c.p.c. dispone che il giudice deve concedere l’esecuzione provvisoria limitatamente alle somme non contestate dell’ingiunzione. Se quindi l’opponente ammette di dovere una parte del credito (opposizione parziale), il giudice in prima udienza autorizzerà il creditore a eseguire il decreto per la parte non oggetto di contestazione. Esempio: decreto ingiuntivo di €100.000, il debitore oppone solo €20.000 contestando interessi e penali ma riconosce debito per €80.000 – il giudice dovrà concedere esecuzione provvisoria per €80.000. Fanno eccezione i casi in cui l’opposizione sia basata esclusivamente su motivi procedurali (es. vizio di notifica del ricorso monitorio): qui, pur essendo “non contestato” il merito del credito, la legge esclude l’esecuzione parziale perché l’intera pretesa è colpita da un vizio processuale dedotto.
    • Esecuzione provvisoria con cauzione: l’art. 648, comma 2, c.p.c. (come modificato dalla Corte Costituzionale nel 1984) prevede che se il creditore offre una cauzione idonea a garantire la restituzione di quanto eventualmente percepito, il giudice in genere concede l’esecuzione provvisoria anche in presenza di opposizione fondata. In pratica, il creditore può proporre di depositare una somma o fideiussione a garanzia; salvo casi eccezionali, ciò induce il giudice a autorizzare l’esecuzione immediata del decreto (pur subordinandola a detta cauzione). Questa facoltà è meno frequente nella prassi, dato che offre un percorso oneroso per il creditore, ma può essere utile in opposizioni dall’esito incerto quando il creditore teme che attendendo la fine del processo troverà il debitore insolvente: pagando una cauzione, può intanto soddisfarsi subito.
    La decisione sull’istanza ex art. 648 c.p.c. viene formalizzata con ordinanza non impugnabile pronunciata in udienza. Se concessa, il decreto ingiuntivo diventa esecutivo e il creditore può iniziare (o proseguire) l’esecuzione forzata nei limiti di quanto autorizzato (tutto o parte del credito). Se negata, il decreto rimane inesecutivo fino alla sentenza finale.
  • Istanze ex art. 649 c.p.c. (sospensione provvisoria esecuzione): Se il decreto ingiuntivo era stato emesso in forma esecutiva ex art. 642 c.p.c., l’opponente generalmente ha richiesto nell’atto di citazione la sospensione della provvisoria esecutorietà. Questa istanza viene trattata anch’essa alla prima udienza. Il giudice, sentite le parti, valuta se sussistono i “gravi motivi” per sospendere l’efficacia esecutiva del decreto fino alla decisione. I gravi motivi implicano una valutazione circa:
    • Fumus boni iuris dell’opposizione: se le difese del debitore appaiono seriamente fondate, ad esempio perché contestano un titolo di credito con querela di falso o perché eccepiscono la prescrizione con plausibili argomenti, ecc.. In altre parole, se vi è una ragionevole probabilità che il decreto sia errato.
    • Periculum in mora nell’esecuzione: il danno potenziale derivante al debitore dall’esecuzione immediata. Ad esempio, il pignoramento di beni potrebbe causargli un pregiudizio grave e difficile da risarcire in caso di vittoria finale (vendita di un immobile, blocco di conti aziendali, ecc.). Il giudice bilancia questo con l’interesse del creditore a ottenere subito soddisfazione del credito.
    Se ritiene integrati i gravi motivi, il giudice emette ordinanza non impugnabile di sospensione. Da quel momento, sono sospesi gli effetti esecutivi del decreto: se il creditore aveva già avviato un’esecuzione forzata, questa viene congelata (sospensione della procedura esecutiva ex art. 623 c.p.c.); se non aveva ancora iniziato, non potrà iniziare finché dura la sospensione. Importante: la sospensione non elimina la qualità di titolo esecutivo del decreto, che resta formalmente tale, né travolge gli atti esecutivi già compiuti. Questi ultimi restano validi, ma semplicemente rimangono “fermi” in attesa dell’esito del giudizio. Ad esempio, se era stata iscritta ipoteca giudiziale sul bene del debitore in base al decreto, la sospensione non cancella l’ipoteca (che resta a garanzia, seppur la realizzazione coattiva è sospesa). Similmente, un eventuale pignoramento già notificato rimane, ma le aste o i pagamenti sono sospesi. Se invece l’istanza di sospensione viene respinta, il decreto ingiuntivo mantiene la sua provvisoria esecutorietà. L’opponente non può riproporre la richiesta di sospensione (salvo fatti nuovi straordinari), dovendosi a quel punto concentrare sul merito. In caso di rigetto, il giudice lo annota a verbale o con ordinanza, e il creditore potrà proseguire le esecuzioni.

Nota: Di norma la discussione sull’esecuzione provvisoria (648 c.p.c.) e sulla sospensione (649 c.p.c.) avviene alla prima udienza stessa. Tuttavia, la riforma ha allungato il termine di comparizione, e in dottrina ci si è chiesti se sia possibile anticipare tali decisioni prima della prima udienza formale (data la necessità per il creditore di non attendere troppi mesi). Alcuni tribunali, ad esempio il Tribunale di Bologna (decreto 21.09.2023), hanno ritenuto ammissibile fissare una udienza anticipata dedicata alla discussione dell’istanza ex art. 648 c.p.c., persino prima dell’udienza ex art. 183. Si tratta di prassi organizzative: in sostanza, il giudice può convocare le parti in un’udienza preliminare urgente (specie su sollecitazione del creditore) per decidere sull’esecuzione provvisoria o sulla sospensione, senza attendere la scadenza del termine a comparire ordinario. Questa prassi, che ha precedenti anche pre-riforma, mira ad evitare che il creditore debba aspettare inutilmente; è stata ritenuta compatibile con il nuovo rito dal citato tribunale, richiamando anche la possibilità di provvedere inaudita altera parte in casi eccezionali (analogia con art. 669-sexies c.p.c.). In conclusione, se vi è urgenza, nulla vieta di chiedere al giudice di fissare in anticipo la trattazione della sospensione o dell’esecutorietà.

  • Questioni processuali ed eccezioni: Nella prima udienza il giudice invita le parti a precisare eventuali eccezioni preliminari. Il creditore opposto potrebbe eccepire ad esempio l’inesistenza o nullità della citazione in opposizione (p.es. notifica viziata), la tardività dell’opposizione (se proposta oltre 40 giorni), l’improcedibilità per difetto di giurisdizione o competenza, etc. Alcune di queste eccezioni sono rilevabili d’ufficio (ad es. incompetenza per valore/territorio inderogabile); altre devono essere sollevate dal convenuto opposto tempestivamente, a pena di decadenza, proprio nella comparsa di risposta o comunque non oltre la prima udienza. Un caso particolare: se il creditore ritiene che l’opposizione sia tardiva e non ricorrano i presupposti dell’art. 650 c.p.c., può chiedere che venga dichiarata improcedibile/inammissibile perché il decreto è ormai definitivo. In tal caso il giudice potrebbe scindere i due piani: decidere prima sull’ammissibilità dell’opposizione e solo in caso di esito favorevole all’opponente (opposizione ammissibile) passare al merito. Spesso, tuttavia, questioni del genere vengono trattate nella sentenza finale insieme al merito, a meno che siano evidenti.
  • Fissazione dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c.: Espletate le attività sopra descritte (mediazione, eventuali provvedimenti su esecutorietà, eccezioni preliminari), se il processo prosegue il giudice normalmente assegna alle parti i termini per le memorie previste dall’art. 183, comma 6, c.p.c.:
    1. Prima memoria (entro 30 giorni): l’attore (opponente) può precisare o modificare le domande ed eccezioni già proposte e proporre eccezioni nuove che sono conseguenza delle difese del convenuto; il convenuto (opposto) può a sua volta specificare meglio le sue difese ed eccezioni, e proporre eventuali eccezioni non rilevabili d’ufficio.
    2. Seconda memoria (30 giorni successivi): entrambe le parti possono replicare alle domande ed eccezioni nuove dell’avversario ed indicazione di mezzi di prova e produzioni documentali in risposta alle nuove allegazioni dell’altra parte.
    3. Terza memoria (ulteriori 20 giorni): per le sole indicazioni di prova contraria.
    Tali memorie servono a delineare compiutamente il thema decidendum et probandum. Nell’opposizione a d.i., l’onere della prova verte principalmente sul creditore opposto (deve provare il credito), mentre l’opponente deve provare eventuali fatti estintivi o modificativi (pagamento, compensazione, prescrizione, ecc.). È prassi che il creditore opposto, nella comparsa di risposta, abbia già allegato tutti i documenti del credito (contratti, fatture, estratti contabili) e l’opponente nella citazione abbia prodotto le eventuali ricevute o altre prove contrarie. Le memorie ex art. 183 servono quindi per perfezionare questi scambi documentali e definire gli eventuali mezzi istruttori residui (es. prova testimoniale su circostanze controverse).
  • Decisioni istruttorie e fasi successive: Dopo le memorie, il giudice fissa una successiva udienza di trattazione/istruzione (art. 183 co. 7 c.p.c. e art. 184) in cui decide sulle prove da ammettere. Nell’opposizione a decreto ingiuntivo, le prove ammesse spesso riguardano aspetti contestati quali: l’avvenuto pagamento (testimoni che confermano pagamenti in contanti, o CTU contabile), la qualità e quantità della merce consegnata (testimoni), l’autenticità di firme (consulenza grafologica), il rispetto di tassi antiusura (CTU finanziaria), ecc. Se non vi sono prove orali da assumere e la causa è documentalmente completa, il giudice può saltare l’istruttoria e passare direttamente alla fase decisoria, invitando le parti a precisare le conclusioni. In caso contrario, si aprirà la fase di assunzione dei mezzi di prova ammessi (con eventuali udienze dedicate, ad esempio all’audizione dei testimoni, al giuramento estimatorio in caso di conti approvati, ecc.). Infine, terminata l’istruttoria, si giungerà alla fase decisionale: nei tribunali, di regola il giudice invita a depositare le comparse conclusionali e repliche scritte e poi pronuncia la sentenza che decide l’opposizione (accogliendola e revocando il decreto, oppure rigettandola e confermando il decreto, o accogliendola parzialmente con eventuale nuova regolazione del credito).

In sintesi, la prima udienza nel rito ordinario svolge un ruolo essenziale per: 1) risolvere eventuali questioni pregiudiziali di procedura (mediazione obbligatoria, competenza, ecc.); 2) emettere provvedimenti provvisori sull’efficacia esecutiva del decreto (artt. 648-649 c.p.c.); 3) pianificare lo svolgimento futuro del giudizio attraverso le memorie e l’istruttoria. Per l’opponente, presentarsi preparati a questa udienza è cruciale, poiché è il momento per insistere sulla sospensione del decreto (se è esecutivo) e gettare le basi della propria difesa. Per il creditore, è l’occasione per ottenere un titolo esecutivo immediato (in mancanza di serie prove contrarie) e per eventualmente far rilevare carenze formali dell’opposizione.

Prima udienza nel rito semplificato

Se l’opposizione è introdotta con ricorso ex art. 281-decies c.p.c., la prima udienza si svolge in modo più snello ma con obiettivi analoghi di impostazione del giudizio:

  • Il giudice verifica la presenza delle condizioni per il rito semplificato. Poiché la valutazione delle condizioni (fatti non controversi, prova documentale sufficiente, istruttoria semplice)presuppone di conoscere le difese di entrambe le parti, questa decisione avviene all’udienza stessa, dopo aver dato la parola sia all’opponente che all’opposto. Il convenuto opposto infatti avrà già depositato una memoria difensiva prima dell’udienza, con eventuali contestazioni sui fatti e produzioni documentali. Se da tali atti emerge che la causa è semplice (ad esempio basata su pochi documenti, senza necessità di prova orale, oppure l’unica questione è giuridica), il giudice prosegue in rito semplificato. Viceversa, se la controparte ha sollevato molte eccezioni, o servono numerose testimonianze, il giudice dispone il passaggio al rito ordinario con ordinanza in udienza (non impugnabile). In quest’ultimo caso, come detto, l’udienza di quel giorno di fatto si “trasforma” nella prima udienza ex art. 183 c.p.c.: il giudice potrà assegnare i termini per memorie 183 comma 6 e proseguire come visto per il rito ordinario, evitando di ripetere gli atti già compiuti.
  • Trattazione delle istanze ex artt. 648-649 c.p.c.: Anche in rito semplificato, nulla vieta alle parti di formulare nel ricorso o nella memoria difensiva le stesse richieste di esecuzione provvisoria o di sospensione. Queste saranno discusse all’udienza. Il giudice può adottare provvedimenti provvisori in forma di ordinanza. Ad esempio, se l’opponente nel ricorso ha chiesto sospensione ex art. 649, il giudice in udienza valuterà i gravi motivi e deciderà analogamente a quanto visto per il rito ordinario. Lo stesso dicasi se il creditore opposto ha chiesto nel suo scritto difensivo la provvisoria esecuzione ex art. 648: il giudice potrà concederla o negarla motivando. Il fatto che il rito sia semplificato non priva le parti di queste tutele, sebbene spesso l’urgenza di tali decisioni spinga comunque i giudici a trattarle immediatamente.
  • Mediazione obbligatoria: Anche qui si applica la regola della condizione di procedibilità. Il giudice dovrà verificare se il creditore opposto ha promosso la mediazione nelle materie obbligatorie. Un dettaglio: poiché il ricorso in opposizione può essere depositato prima che siano decorsi i 40 giorni (in teoria l’opponente potrebbe attivarsi subito), in alcuni casi la mediazione potrebbe non essere stata avviata ancora. All’udienza, se risulta non avviata e obbligatoria, il giudice ordina il rinvio e assegna termine per attivarla, come visto sopra. Trattandosi di rito semplificato, il giudice emette un’ordinanza e fissa una nuova udienza dopo la scadenza del termine massimo di 3+3 mesi per la mediazione. Se la mediazione non viene attivata, dovrà dichiarare improcedibile la domanda del creditore e revocare il d.i., chiudendo il giudizio.
  • Discussione sul merito: Se la causa resta in rito semplificato, il giudice tende a concentrare la trattazione. Può avvenire che, se le posizioni sono già chiare dagli atti scritti, il giudice passi direttamente a discutere il merito con le parti. In questa fase le parti orali possono sintetizzare le rispettive ragioni. Ad esempio, il debitore opponente ribadirà perché ritiene infondato il credito (mostrando eventuali documenti salienti), il creditore difenderà la validità del proprio titolo. Il giudice può porre domande per chiarire i punti controversi.
  • Assunzione di prove immediate: Uno dei vantaggi del rito semplificato è la possibilità per il giudice di assumere prove già in prima udienza se ciò è funzionale a definire la causa rapidamente. Ad esempio, se c’è un testimone chiave presente o facilmente convocabile, il giudice potrebbe ammetterlo e sentirlo subito in udienza. Oppure, se occorre una rapida verifica tecnica (ad es. calcolo di interessi), potrebbe nominare un CTU in via breve. Nella prassi tuttavia, a meno che le parti abbiano pre-allertato eventuali testimoni, è più comune che il giudice, ove servano prove, fissi una seconda udienza a breve distanza per assumerle.
  • Possibile decisione immediata: Qualora la causa appaia matura (ad esempio tutta documentale) e le difese siano state esaurientemente discusse, il giudice in rito semplificato potrebbe arrivare a decidere già alla prima udienza o subito dopo. L’art. 281-decies c.p.c. consente al giudice, sentite le parti, di trattenere la causa in decisione con ordinanza (o eventualmente con sentenza immediata) se non necessita di ulteriore istruttoria. In alternativa, può rinviare per la sola discussione finale a un’udienza prossima, senza attivare la trafila di memorie 183. Spesso il giudice emette un’ordinanza finale contestualmente (che ha efficacia di sentenza) oppure fissa un termine breve per deposito di note conclusive prima di emettere sentenza.
  • Conversione in rito ordinario: Se invece in prima udienza il giudice rileva la complessità del caso, formalizza il passaggio al rito ordinario con ordinanza ex art. 281-duodecies c.p.c.. A questo punto, l’udienza prosegue come una normale prima udienza: il giudice verificherà eventuali eccezioni, deciderà su 648/649 c.p.c., e probabilmente fisserà i termini di cui all’art. 183 comma 6 per consentire alle parti di completare le loro difese in forma estesa. L’ordinanza di passaggio al rito ordinario è spesso emessa quando la costituzione del convenuto ha portato nuovi elementi che il ricorso non considerava (es. contestazione di fatti dati per ammessi). Da notare: gli atti già compiuti nel rito semplificato conservano efficacia (art. 281-duodecies c.p.c.), quindi documenti depositati e domande già proposte restano validi, senza necessità di reiterarli. Si eviterà dunque di ripetere la notifica dell’atto introduttivo o simili: il processo prosegue senza soluzione di continuità.

In conclusione, la prima udienza nel rito semplificato è improntata a rapidità e flessibilità. Per l’opponente è un’opportunità per ottenere in tempi brevi la sospensione dell’esecuzione (se richiesta) e magari una risoluzione accelerata della causa. Per il creditore, è un modo di abbreviarsi il periodo di incertezza, ottenendo presto una decisione sull’eventuale esecutorietà o perfino sul merito. Va tuttavia preparata con attenzione: le difese scritte prima dell’udienza devono essere complete, perché potrebbe non esservi una seconda chance di integrare le allegazioni come avviene con le memorie nel rito ordinario. D’altro canto, se il giudice ritiene che siano necessari gli scambi di memorie, disporrà il passaggio al rito ordinario, garantendo pieno contraddittorio.


Varianti dell’opposizione: opposizione parziale, tardiva, a decreto esecutivo, ecc.

Non tutte le opposizioni a decreto ingiuntivo sono uguali. Possono presentarsi situazioni particolari che influenzano la portata e gli effetti dell’opposizione. Analizziamo le principali varianti: l’opposizione parziale, l’opposizione tardiva, l’opposizione contro decreto già provvisoriamente esecutivo (con richiesta di sospensione), nonché gli esiti peculiari come la estinzione del giudizio per rinuncia e la posizione delle domande riconvenzionali.

Opposizione parziale

Si parla di opposizione parziale quando il debitore riconosce una parte del credito ingiunto e intende contestare solo la parte residua. In pratica l’opponente dichiara espressamente, nell’atto di citazione, di opporsi al decreto limitatamente a un certo importo o a certe voci. Esempi tipici:

  • Il decreto ingiuntivo comprende capitale, interessi e spese: il debitore può opporsi solo agli interessi o alle spese (ritenendoli non dovuti o calcolati male), ma non al capitale.
  • Oppure il debitore ammette di dovere €X ma contesta l’eccedenza di €Y per vizi della merce, penali non dovute, ecc.

Effetti sostanziali: L’opposizione parziale comporta che la parte non opposta del decreto diviene definitiva come se non vi fosse opposizione su di essa. In altre parole, per la parte non contestata il decreto acquista autorità di cosa giudicata decorso il termine di 40 giorni. Infatti l’art. 647 c.p.c. stabilisce che, se l’opposizione non è proposta (o è desistita) il decreto diventa esecutivo. Nel caso di opposizione parziale, si può ritenere che sulla porzione non opposta non vi sia stata opposizione, e quindi il decreto diviene esecutivo limitatamente a tale importo una volta spirato il termine di legge. Il giudice dell’opposizione, peraltro, in base all’art. 648 c.p.c. deve comunque, su richiesta del creditore, concedere la provvisoria esecuzione parziale per la somma non contestata. Pertanto, già alla prima udienza l’opposto ottiene un titolo esecutivo immediato per la parte ammessa dal debitore. Se ad esempio il decreto ingiuntivo ingiungeva €50.000 e l’opponente afferma “riconosco €30.000, mi oppongo ai restanti 20.000”, il giudice autorizzerà l’esecuzione per €30.000. Il creditore potrebbe quindi procedere subito a pignoramento per questa somma, senza aspettare la fine della causa.

Pagamento della parte non contestata: Spesso, se la parte non contestata è significativa, il debitore la paga spontaneamente prima o durante il giudizio, per ridurre il contenzioso. Questo pagamento non elimina la necessità di opporsi per la restante parte (pena decadenza), però incide sullo svolgimento del processo. Secondo la giurisprudenza, ogni pagamento parziale intervenuto in corso di giudizio impone la revoca del decreto opposto e la pronuncia di una sentenza che si sostituisce al decreto per il residuo debito. Ciò significa che se, durante l’opposizione, l’opponente versa una quota del dovuto, il giudice a fine causa dovrà comunque revocare il decreto ingiuntivo nel suo complesso (in quanto l’originario importo non è più integralmente dovuto) ed emettere una sentenza di condanna solo per la parte ancora non pagata. Questa prassi garantisce chiarezza: il titolo esecutivo finale sarà la sentenza, per il saldo residuo. In sede di prima udienza, pertanto, l’opponente che abbia pagato la parte non contestata può informarne il giudice (esibendo prova del pagamento): ciò non evita la concessione della provvisoria esecuzione (se non era già esecutivo il decreto) perché essa verrebbe comunque limitata alla parte ancora dovuta. Ma ai fini delle spese, il giudice valuterà che la contestazione riguardava solo la differenza.

Decisione finale in caso di accoglimento parziale: Se a conclusione del giudizio l’opposizione riesce solo in parte (ad esempio il giudice ritiene non dovuti €10.000 su 20.000 contestati, ma dovuti gli altri €10.000), la sentenza che definisce il merito accoglie parzialmente l’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo e contestualmente condanna l’opponente al pagamento dell’importo ritenuto dovuto (nel nostro esempio €10.000). In tal caso, il titolo esecutivo risultante è esclusivamente la sentenza di condanna parziale. Il decreto ingiuntivo infatti viene revocato e perde efficacia, anche se non era stato integralmente contestato. La Cassazione ha chiarito che, qualora il giudizio di opposizione si chiuda con una condanna del debitore a una somma inferiore a quella ingiunta, l’unico titolo esecutivo utilizzabile è la sentenza, da notificare ex art. 479 c.p.c., mentre il decreto ingiuntivo non può più essere azionato, pur se la sentenza non lo revoca espressamente. La ragione è che la pronuncia giudiziale sostituisce il provvedimento monitorio, determinando esattamente quanto spetta al creditore. Anche se il giudice dimenticasse di scrivere “revoca il decreto per la parte eccedente”, tale revoca è implicita nell’accoglimento parziale.

Atti esecutivi già compiuti: Un problema può sorgere se il creditore, in corso di causa, aveva avviato l’esecuzione in forza del decreto per l’intera somma (magari perché provvisoriamente esecutivo). Cosa accade, ad esempio, ai pignoramenti effettuati su €50.000 se alla fine risulta che solo €30.000 erano dovuti? L’art. 653, comma 2, c.p.c. dispone che in caso di accoglimento parziale, gli atti esecutivi già compiuti in base al decreto conservano effetto nei limiti in cui l’esecutività del decreto sussisteva legittimamente. Ciò vuol dire che i sequestri, pignoramenti, ipoteche eseguiti sulla base del d.i. restano validi fino a concorrenza della somma riconosciuta dovuta. Oltre tale limite, perdono efficacia. Ad esempio, se era stata iscritta ipoteca per €50.000, questa resterà a garanzia fino a €30.000 e dovrà essere ridotta per l’eccedenza. Se era stato pignorato un conto e bloccati €50.000, il pignoramento rimane efficace ma solo fino a €30.000; l’eventuale surplus dovrà essere liberato. In pratica, la sentenza parziale funge da titolo per proseguire l’esecuzione entro i limiti del credito accertato, senza necessità di iniziare un nuovo procedimento esecutivo da zero (salvo notificare la sentenza come nuovo titolo per il precetto).

Spese legali nell’opposizione parziale: La regolazione delle spese in caso di esito intermedio è a discrezione del giudice, che può compensarle in tutto o in parte a seconda di chi prevale sul punto principale e sull’entità della soccombenza reciproca. Orientativamente:

  • Se l’opponente contestava un importo modesto e viene accolto solo in quello (p.es. contesta €5.000 su 100.000 e vince per quei 5.000), potrebbe essere considerato soccombente prevalente per la parte principale e condannato comunque alle spese, magari con una lieve compensazione.
  • Se l’opponente ottiene una riduzione significativa del credito (p.es. contestava metà e ottiene uno sconto della metà), spesso le spese vengono compensate in tutto o in parte, riconoscendo che ambedue le parti hanno vinto e perso qualcosa.
  • È importante notare che le spese del decreto ingiuntivo (fase monitoria) solitamente restano a carico di chi risultava soccombente su quella parte. Se il decreto ingiuntivo includeva già una liquidazione di spese a favore del creditore, tale importo rimane fermo se l’opposizione viene rigettata o solo parzialmente accolta. Al contrario, se l’opposizione viene accolta revocando in toto il decreto, anche la condanna alle spese monitorie viene travolta (il giudice liquiderà eventualmente spese a favore dell’opponente). In caso di accoglimento parziale, di solito le spese del monitorio restano ferme (per la parte di credito confermata) e si litigano solo le spese della fase di opposizione. Il giudice può, ad esempio, decidere che le spese dell’opposizione siano compensate al 50% e l’opponente paghi il restante 50% al creditore opposto.

In definitiva, l’opposizione parziale consente al debitore di ridurre il contendere al minimo indispensabile, ma comporta anche un rischio: se l’opponente non versa spontaneamente la parte non contestata, il creditore potrà agire immediatamente per quella, incrementando costi e magari ottenendo anche interessi di mora e spese esecutive su di essa. Strategicamente, spesso l’opponente paga subito la quota non contestata (se ne ha la possibilità) e litiga solo sul residuo, per mostrarsi in buona fede e ridurre l’esposizione ad atti esecutivi durante la causa.

Opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (e istanza di sospensione)

Quando un decreto ingiuntivo viene emesso con clausola di provvisoria esecutorietà ex art. 642 c.p.c., il creditore può fin da subito iniziare l’esecuzione forzata, senza attendere 40 giorni. Ciò accade, ad esempio, se il decreto è fondato su cambiale, assegno bancario o certificati di liquidazione di somme dovute dalla PA, che per legge danno luogo a ingiunzioni immediatamente esecutive, oppure se il giudice concede discrezionalmente la provvisoria esecuzione perché il creditore può subire grave pregiudizio dal ritardo (art. 642, co. 2, c.p.c.). In questi casi, per il debitore ingiunto l’opposizione non è di per sé sufficiente a fermare l’eventuale esecuzione già avviata dal creditore. Egli deve necessariamente richiedere al giudice la sospensione della provvisoria esecutorietà, ai sensi dell’art. 649 c.p.c..

Presentazione dell’istanza: L’opponente può inserire la richiesta di sospensione direttamente nell’atto di citazione in opposizione, motivandola con l’esistenza di “gravi motivi” e allegando eventuali prove (es. contestazione della firma se il decreto si basa su un assegno presumibilmente falso, eccezione di usura, ecc.). Alternativamente, se l’opposizione è già stata proposta senza menzionare la sospensione, l’opponente può presentare un’istanza separata (anche in forma di ricorso) prima della prima udienza, notificandola al creditore opposto. Di solito, comunque, la richiesta è contenuta nell’atto introduttivo dell’opposizione per non tardare.

Procedura e criteri decisori: Come visto nel capitolo sulla prima udienza, il giudice discute la sospensione alla prima comparizione delle parti. Se però l’udienza ordinaria è lontana (v. i 120 giorni post-riforma), il debitore può attivarsi per ottenere un’udienza anticipata dedicata alla sospensione in via d’urgenza. Taluni giudici ammettono istanze inaudita altera parte se vi è pericolo imminente e evidente (ad es. l’esecuzione sta per portare alla vendita di un immobile all’asta in poche settimane), potendo sospendere provvisoriamente l’esecuzione anche prima di sentire il creditore, salvo conferma inter partes successivamente. In generale però si preferisce fissare ad hoc un’udienza urgente col contraddittorio di entrambe le parti.

Il giudice valuta i gravi motivi in senso lato cautelare: soppesa la plausibilità delle ragioni dell’opponente (fumus boni juris) e il danno che il debitore subirebbe dall’esecuzione (periculum in mora). Alcuni esempi concreti di situazioni che spesso integrano gravi motivi:

  • Contestazione di autenticità del titolo: se il decreto si basa su un assegno o cambiale e l’opponente disconosce la firma o denuncia la falsità del titolo, il giudice tipicamente sospende l’esecuzione, perché se la firma risultasse effettivamente non sua, il pregiudizio sarebbe irreparabile.
  • Eccezioni di nullità radicale del rapporto: ad es. il debitore eccepisce la nullità di un contratto di finanziamento per violazione di norme imperative (tassi usurari, mancanza di pattuizione interessi) supportando l’eccezione con documenti; in tal caso se appare fondato, può emergere grave motivo.
  • Adempimenti parziali trascurati nel monitorio: se l’opponente dimostra di aver già pagato gran parte del dovuto prima dell’ingiunzione (ma il giudice non ne era a conoscenza), e resta solo un saldo piccolo in contestazione, spesso i giudici sospendono, considerando sproporzionato consentire l’esecuzione per l’intera somma ingiunta.
  • Prejudice irreparabile: se l’esecuzione forzata metterebbe l’azienda del debitore in ginocchio (es. pignoramento di tutti i conti e crediti), il giudice valuta questo nella bilancia. Tuttavia, il danno economico in sé non basta: dev’esserci almeno un dubbio serio sul credito perché la legge preferisce tutelare il creditore salvo opposizioni meritevoli.

Ordinanza di sospensione: Se i gravi motivi sono riconosciuti, il giudice con ordinanza (immediatamente esecutiva) sospende la provvisoria esecutorietà del decreto. Come già illustrato, ciò significa che sino alla sentenza il decreto perde efficacia esecutiva. Sul piano pratico:

  • Se era già in corso un processo esecutivo (pignoramento), questo viene sospeso ex art. 623 c.p.c. su istanza di parte (basta presentare l’ordinanza al giudice dell’esecuzione). Non possono tenersi nuove aste o atti dispositivi, e il custode o il debitore pignorato conserva i beni in attesa. L’esecuzione non viene estinta ma solo congelata.
  • Non si possono iniziare nuove esecuzioni sul medesimo titolo (il decreto ingiuntivo) finché vige la sospensione.
  • Gli atti già compiuti restano fermi: ad esempio i pignoramenti già notificati non perdono efficacia, semplicemente non se ne potranno aggiungere altri o proseguirne gli effetti. Se era stato pignorato uno stipendio, il datore di lavoro continuerà a trattenerlo ma dovrà accantonare le somme senza consegnarle al creditore fino a nuovo ordine.

L’ordinanza di sospensione non è impugnabile autonomamente, ma teoricamente il creditore potrebbe proporre reclamo in Corte d’Appello ex art. 624 c.p.c. (norma sul reclamo dei provvedimenti di sospensione dell’esecuzione). Tuttavia vi è dibattito se questa forma di reclamo sia ammessa; molti ritengono di no, in quanto l’ordinanza ex art. 649 c.p.c. è parte del processo di cognizione e non un provvedimento del giudice dell’esecuzione. Di norma, il creditore attende la decisione finale e, se crede, chiederà eventualmente in appello la revoca della sospensiva.

Ordinanza di rigetto della sospensione: Se il giudice ritiene non sussistenti i gravi motivi, rigetta l’istanza (talora indicando sinteticamente che l’opposizione non appare fondata o che non vi è pericolo nel ritardo). Questo provvedimento, anch’esso non impugnabile, preclude la riproposizione della domanda di sospensione. L’opponente non potrà tornare alla carica con la stessa istanza, nemmeno se emergessero successivamente circostanze già valutabili ab origine. Solo un mutamento significativo delle circostanze potrebbe giustificare, in teoria, una nuova istanza (ad es. il creditore in corso di causa produce nuovi documenti che rafforzano l’eccezione del debitore, o insorgono fatti nuovi che aggravano il periculum). Ma la prassi è rigida: una volta negata la sospensione, si attende la sentenza. L’opponente potrà eventualmente cercare altre strade (es. chiedere misure cautelari autonome se ne ricorrono i presupposti, come un sequestro “in senso inverso” a garanzia di restituzione se ha già pagato, oppure invocare l’ombrello dell’art. 283 c.p.c. in appello se perde in primo grado ma ottiene sospensione in secondo – ma stiamo anticipando fasi oltre la prima udienza).

Conclusione del giudizio con opposizione rigettata: Nel caso in cui l’opposizione venga poi rigettata con sentenza (ossia il debitore perda la causa), cessano gli effetti della sospensione e il decreto ingiuntivo riacquista piena efficacia esecutiva. Se c’era un’esecuzione sospesa, il creditore potrà chiederne la riattivazione immediata depositando la sentenza di rigetto (provvisoriamente esecutiva ex art. 282 c.p.c.). Non occorre un provvedimento ad hoc: l’ordinanza di sospensione prevedeva che restasse efficace “sino alla pronuncia della sentenza sull’opposizione”; una volta pronunciata la sentenza di rigetto, la sospensione si scioglie automaticamente e il titolo monitorio torna esecutivo, con possibilità di riprendere gli atti esecutivi dal punto in cui si erano fermati. Al contrario, se l’opposizione viene accolta, il decreto è revocato e gli atti esecutivi già compiuti sono caducati definitivamente.

Caso particolare – Esecuzione provvisoria ex art. 648 e sospensione ex art. 649: È teoricamente possibile una combinazione: decreto non esecutivo all’inizio, ma il creditore chiede ex art. 648 c.p.c. l’esecuzione provvisoria in corso di causa; nel contempo l’opponente chiede di sospendere quell’esecuzione provvisoria ex art. 649. Tuttavia la lettera dell’art. 649 parla di sospensione dell’esecuzione “concessa a norma dell’art. 642”. Ci si chiede se si applichi anche all’esecutorietà sopravvenuta ex art. 648. La giurisprudenza prevalente ritiene di sì: l’opponente può chiedere di sospendere l’efficacia esecutiva anche se questa è stata concessa durante il giudizio. Quindi, scenario: prima udienza, il creditore chiede esecuzione provvisoria (non c’è ancora, perché il decreto era non esecutivo); l’opponente magari non ha gravi motivi iniziali perché il decreto non era esecutivo, ma se il giudice fosse orientato a dare esecuzione, l’opponente potrebbe subito dopo chiedere sospensione di quella ordinanza. In pratica succede raramente nella stessa udienza (sarebbe contraddittorio: il giudice concede e sospende contestualmente). Più frequentemente, l’opponente se vede concessa la provvisoria esecuzione, può in seguito presentare un’istanza di sospensione evidenziando fatti nuovi che giustifichino bloccare l’esecuzione (ad esempio perché il creditore ha avviato un’esecuzione aggressiva e la situazione è cambiata). In ogni caso, il potere cautelare del giudice istruttore rimane, in virtù generale dell’art. 649, per tutelare il debitore contro eccessi se emergono motivi seri.

In sintesi, l’opposizione a un decreto già esecutivo è una corsa contro il tempo: il debitore deve attivarsi prontamente per congelare l’esecuzione, altrimenti rischia di subire pignoramenti e coercizioni che, anche se poi risulteranno ingiuste, nel frattempo possono aver creato danni (si pensi alla reputazione, alla liquidità bloccata, ecc.). Fortunatamente, la legge offre questo strumento (sospensione) e i tribunali tendono a decidere con rapidità tali istanze, spesso anche prima del merito, proprio per evitare pregiudizi irreversibili. Dal lato creditore, ottenere la provvisoria esecutorietà ex art. 642 (o ex art. 648) è un vantaggio perché mette pressione sul debitore; ma c’è il contraltare che se il debitore mostra un’opposizione non pretestuosa, il giudice potrebbe comunque sospendere tutto, ritardando la soddisfazione sperata.

Opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.)

L’opposizione tardiva è un rimedio eccezionale previsto dall’art. 650 c.p.c., che consente al debitore di opporsi anche oltre il normale termine di 40 giorni, solo al ricorrere di specifiche condizioni di tutela. Si applica quando il debitore, per cause indipendenti dalla sua volontà, non ha potuto attivarsi nei termini. In dettaglio, il codice stabilisce che “l’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore”. Inoltre aggiunge: “L’opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione”.

Vediamo gli elementi uno per uno:

  • Presupposti per l’ammissibilità: Devono sussistere circostanze straordinarie che hanno impedito al debitore di conoscere in tempo il decreto ingiuntivo:
    • Irregolarità nella notificazione: ad esempio, notifica nulla o viziata (luogo errato, persona che ha ricevuto non legittimata, mancato invio di raccomandata in caso di irreperibilità relativa, ecc.). Se il decreto non è mai giunto effettivamente a conoscenza del debitore per un vizio notificatorio, questi può chiedere tardivamente di opporsi.
    • Caso fortuito o forza maggiore: eventi eccezionali, imprevedibili e non imputabili al destinatario, che gli hanno impedito di reagire. Un classico esempio è un grave problema di salute: se il debitore, pur avendo ricevuto la notifica, era ricoverato in ospedale in coma o incapace di occuparsi dei propri affari entro i 40 giorni, ciò rientra nella forza maggiore. Oppure una calamità naturale (terremoto, alluvione) che abbia disgregato le comunicazioni o reso impossibile recarsi dall’avvocato. O ancora, l’assenza prolungata per motivi di servizio (un militare in missione all’estero che non ha saputo dell’ingiunzione).
    • In ogni caso, dev’essere provato che la mancata tempestiva opposizione non è dipesa da inerzia o colpa del debitore, ma da fattori esterni a lui non imputabili.
  • Termine per l’opposizione tardiva: La norma impone un ulteriore limite: una volta che il debitore viene a conoscenza del decreto ingiuntivo tramite un atto di esecuzione, non può procrastinare oltre la reazione. In particolare, se è iniziata un’esecuzione forzata basata su quel decreto (es. notifica di un atto di pignoramento, atto di precetto, ecc.), l’opposizione tardiva è ammessa solo entro 10 giorni dal primo atto esecutivo. Questo per evitare che un debitore, pur sapendo dell’ingiunzione a causa di un pignoramento subito, stia poi ulteriori mesi inerte. Dopo 10 giorni dal primo atto esecutivo, anche la tardiva non è più consentita e il decreto rimane definitivo. Se invece il debitore ha avuto conoscenza del decreto senza atti esecutivi (ad es. casualmente scopre un decreto a suo carico guardando i registri o gliene parla il creditore, oppure perché gli viene notificato tardivamente in modo comunque irrituale ma lui lo viene a sapere), la legge non specifica un termine rigido. In giurisprudenza si è affermato che il debitore, una volta avuta conoscenza effettiva del decreto, deve attivarsi entro un termine ragionevole. In assenza di atti esecutivi, alcuni fanno riferimento analogico ai 10 giorni dall’effettiva conoscenza. In pratica conviene opporsi immediatamente appena scoperto il d.i., per evitare eccezioni di tardività.
  • Procedura di opposizione tardiva: L’opposizione tardiva si propone con le stesse forme dell’opposizione ordinaria (atto di citazione ai sensi dell’art. 645 c.p.c.), ma deve contenere in aggiunta l’esplicitazione dei motivi della tardività e la prova delle cause giustificative. In sostanza, l’atto introduttivo deve illustrare perché il debitore non ha potuto opporsi in tempo: esporre i fatti (es. notifica mai ricevuta, o ricevuta a indirizzo sbagliato, o impedimento grave) e offrire prove di ciò (documenti, testimoni). È opportuno anche depositare eventuali ricorsi o istanze fatte al giudice dell’esecuzione: spesso il debitore può aver chiesto al giudice dell’esecuzione una sospensione ex art. 624 c.p.c. in attesa dell’opposizione tardiva, specie se si trova già pignorato. L’opposizione tardiva segue poi l’iter del giudizio di opposizione: sarà assegnata allo stesso ufficio giudiziario che ha emesso il d.i. (tribunale o giudice di pace competente) e il giudice dovrà prima valutare l’ammissibilità della tardività, poi entrare nel merito del credito. Infatti, l’art. 650 c.p.c. dice “in questo caso l’esecutorietà può essere sospesa a norma dell’articolo precedente”, il che implica che, una volta proposta tardiva opposizione, il debitore può chiedere la sospensione dell’esecuzione in corso. Spesso, contestualmente all’atto di citazione in opposizione tardiva, il debitore deposita un’istanza al presidente del tribunale o al giudice affinché sospenda urgentemente l’esecuzione (ad esempio se la casa è all’asta). Il giudice istruttore, una volta designato, può emettere un decreto di sospensione provvisoria se ritiene evidenti le ragioni, oppure fissare un’udienza urgente come per l’opposizione normale.
  • Decisione sull’ammissibilità: Il giudice dell’opposizione tardiva deve accertare in via preliminare se effettivamente ricorrevano i presupposti (notifica irregolare o forza maggiore) e se l’opposizione è stata proposta tempestivamente rispetto all’effettiva conoscenza. Questo accertamento è di norma fatto nella sentenza definitiva, ma può essere anticipato: se ad esempio è lampante che la notifica era regolare e l’opponente non ha scuse valide, il giudice potrebbe dichiarare inammissibile l’opposizione tardiva già senza esaminare il merito (in quanto decreto ormai irrevocabile). In altri casi dubbi, la questione viene trattata insieme al merito. Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 9479/2023, hanno fornito linee guida su alcuni aspetti (ad es. obbligo del giudice del monitorio di verificare l’effettiva conoscenza nei casi di consumatore e clausole vessatorie, il che impatta sul conteggio dei termini per tardiva). È un tema complesso, ma in estrema sintesi se il giudice rileva che la tardività non è giustificata, l’opposizione viene rigettata per motivi di rito.
  • Esempi pratici di opposizione tardiva ammessa:
    • Notifica nulla: Il decreto era stato notificato via posta a un indirizzo errato; l’ufficiale postale ha riportato “destinatario sconosciuto” ma per qualche ragione l’avvocato del creditore ha proceduto con deposito e ottenuto l’esecutorietà. Il debitore scopre l’esistenza del d.i. solo quando riceve un precetto o un pignoramento. In tale caso l’opposizione tardiva è chiaramente ammissibile (notifica irregolare) e il giudice la dichiarerà tale, sospendendo intanto l’esecuzione e poi decidendo sul merito.
    • Notifica a irreperibile e mancata conoscenza: Il decreto viene notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c. (irreperibilità assoluta) con deposito di copia in comune e affissione. Il debitore magari era all’estero e non ne ha saputo nulla. Trascorsi 40 giorni, il decreto diviene esecutivo. Un anno dopo il creditore avvia esecuzione. L’opponente dimostra di non aver mai avuto notizia (ad es. viveva all’estero, iscrizione AIRE ecc.). L’opposizione tardiva sarà verosimilmente ammessa: la notifica art. 143 formalmente è regolare ma la legge consente tardiva se di fatto non c’era conoscenza tempestiva per forza maggiore (essere all’estero e ignaro può rientrare nel caso fortuito, specie se il creditore sapeva l’indirizzo estero e non l’ha usato).
    • Malattia grave: Il decreto è correttamente notificato, ma il destinatario era affetto da grave malattia mentale o fisica che gli ha impedito di comprendere l’atto e rivolgersi a un legale entro il termine. Se ciò è comprovato (cartelle cliniche, perizia), l’opposizione tardiva può essere accolta come ammissibile per forza maggiore. Ad esempio, soggetto in coma per incidente dall’1 gennaio al 1 marzo, d.i. notificato il 15 gennaio: i 40 giorni scadono a fine febbraio, ma lui era incosciente; appena ristabilito, a marzo, propone tardiva. Sarà ammessa.

Esito del giudizio tardivo: Se l’opposizione tardiva è ammessa, il giudizio procede come un normale giudizio di opposizione con cognizione piena sul merito del credito. Il giudice può all’esito:

  • Accogliere l’opposizione (totale o parziale), revocando il decreto ingiuntivo viziato e decidendo sul merito (ad esempio rigettando la domanda di pagamento per infondatezza del credito, oppure riducendone l’importo).
  • Rigettare l’opposizione nel merito, confermando sostanzialmente la validità del credito. In tal caso, però, il decreto ingiuntivo era già esecutivo ex lege trascorsi i 40 giorni, quindi il rigetto comporta solo un accertamento: la pretesa del creditore rimane ferma. La sentenza di rigetto dell’opposizione tardiva (soprattutto se pronunciata dopo che l’esecuzione è andata avanti) serve principalmente a chiudere la disputa; come visto, se l’opposizione è rigettata, il decreto resta titolo esecutivo e la sentenza vale come ulteriore conferma (e titolo per le spese).

In caso di rigetto per motivi di rito (opposizione tardiva inammissibile), il decreto rimane definitivamente valido ed esecutivo, e di norma il giudice condanna l’opponente alle spese per aver introdotto un giudizio infondato.

Rapporti con la procedura esecutiva in corso: Spesso l’opposizione tardiva si presenta contestualmente ad un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. davanti al giudice dell’esecuzione, per bloccare immediatamente l’asta o altro, sostenendo che il titolo non è definitivo. In molti casi, il giudice dell’esecuzione sospende temporaneamente se vede che l’opposizione tardiva è già avviata e non pretestuosa. Una volta che il giudice della cognizione decide sull’opposizione tardiva (ammettendola o meno), l’esecuzione si conformerà: se la tardiva è accolta e il decreto revocato, l’esecuzione si estingue (non c’è più titolo); se la tardiva è rigettata, l’esecuzione proseguirà.

Sezioni Unite 2023 (cenno): La recente sentenza SU n. 9479/2023 si è occupata di opposizione tardiva in materia di contratti del consumatore e di obblighi del giudice. In particolare ha stabilito che il giudice che emette il decreto ingiuntivo su crediti derivanti da contratti con clausole abusive (tipo interessi usurari, spese sproporzionate) deve verificare d’ufficio la nullità di tali clausole anche in assenza di opposizione, perché imposta dal diritto UE. Se ciò non avviene e il decreto diventa definitivo, la Corte di Giustizia UE ha ipotizzato che al consumatore dev’essere consentito un rimedio anche oltre i termini. Questa complessa questione esula in parte dalla nostra guida, ma segnaliamo che le SU hanno cercato di adeguare l’istituto dell’opposizione tardiva a tali principi, affermando che il termine dei 10 giorni dall’atto esecutivo potrebbe decorrere solo da quando il consumatore ha conoscenza effettiva di tutti gli elementi (compresa l’eventuale abusività) e che comunque resta ferma la possibilità di esperire altri rimedi (es. opposizione tardiva oltre i 10 gg se necessario per dare attuazione al diritto comunitario). In pratica, si tratta di casi limite. Nella normalità dei casi, l’art. 650 c.p.c. resta applicato nei termini sopra descritti.

Conclusione sulla tardiva: L’opposizione tardiva è un istituto di garanzia che evita ingiustizie macroscopiche nel processo monitorio, bilanciando la speditezza della fase sommaria con la tutela del contraddittorio sostanziale. Non è una “scorciatoia” per chi ha dimenticato le scadenze – se c’è colpa del debitore, non verrà ammessa – ma un’ancora di salvezza se il debitore è stato all’oscuro senza colpa del procedimento a suo carico. In virtù dell’opposizione tardiva, anche a distanza di anni e persino in corso di esecuzione, si può ridiscutere il merito del credito (purché si rispettino le condizioni e i termini stringenti imposti dalla legge).

Ulteriori note: estinzione dell’opposizione e conciliazione, domande riconvenzionali

Per completezza, tocchiamo due scenari ulteriori:

  • Estinzione del giudizio di opposizione: Può accadere che l’opponente decida di rinunciare all’opposizione (ad es. perché trova un accordo col creditore, o perché si rende conto di essere nel torto). La rinuncia agli atti del giudizio di opposizione comporta l’estinzione del processo ex art. 306 c.p.c., dichiarata con ordinanza dal giudice se l’altra parte aderisce (o con sentenza se la controparte non si costituisce affatto). Qual è l’effetto sull’ingiunzione? L’art. 653, comma 1, c.p.c. stabilisce che se il giudizio di opposizione si estingue, il decreto ingiuntivo acquista efficacia esecutiva definitiva. Dunque, la rinuncia/estinzione equivale a non aver mai fatto opposizione: il decreto diventa incontrovertibile. Da notare che, se il decreto non era esecutivo, con l’estinzione occorre che il cancelliere apponga la formula ex art. 647 c.p.c. per permetterne l’esecuzione. Le spese: solitamente l’ordinanza di estinzione pone le spese a carico del rinunciante (debitore opponente) salvo diverso accordo. Attenzione: se le parti raggiungono una conciliazione in udienza, possono chiedere che il giudice ne dia atto a verbale. In tal caso, la conciliazione stessa diviene titolo esecutivo (verbale di conciliazione) e il decreto ingiuntivo viene meno in quanto sostituito dall’accordo. Tipicamente il creditore potrebbe dire: “rinuncio a €X e rateizzo il resto, il debitore paga secondo il piano”, si formalizza e l’opposizione si estingue per cessata materia del contendere.
  • Domande riconvenzionali dell’opponente: Come accennato, l’opponente (debitore) può, insieme all’opposizione, proporre domande riconvenzionali nei confronti del creditore. Ad esempio, potrebbe chiedere un risarcimento danni per fornitura difettosa, o la restituzione di somme indebitamente pagate in eccesso, o la risoluzione di un contratto da cui nasce il credito. Tali domande sono ammesse senza particolari limiti, anche se fondate su titolo diverso (purché connesse quantomeno soggettivamente col rapporto in questione). Se l’opponente formula riconvenzionali, il creditore opposto deve difendersi e non può eccepirne inammissibilità salvo siano del tutto estranee. Il creditore a sua volta non può proporre nuove domande (oltre a quella del decreto) se non nei limiti di reazione alla riconvenzionale (es. chiedendo risoluzione del contratto se l’opponente ha chiesto annullamento, c.d. reconventio reconventionis). In prima udienza il giudice prenderà atto di eventuali riconvenzionali: ciò può influire sul rito (ad esempio una riconvenzionale complessa può far propendere per conversione a rito ordinario se si era in sommario). Sul merito, la presenza di riconvenzionale significa che il giudice nella sentenza deciderà sia sull’opposizione (quindi sul credito monitorio) sia sulla domanda aggiuntiva. Se l’opponente aveva, poniamo, chiesto risarcimento danni superiore all’importo del d.i. e vince, la sentenza potrà condannare il creditore a pagare la differenza. Se la riconvenzionale è rigettata ma l’opposizione accolta, ovviamente il debitore evita di pagare ma non ottiene altro. Le spese terranno conto dell’esito complessivo (un opponente che vince sull’ingiunzione ma perde sulla riconvenzionale potrebbe vedersi compensare le spese). Un caso peculiare: opposizione a decreto per canoni di locazione. In tali cause il conduttore spesso oppone eccependo difetti dell’immobile e chiedendo a sua volta una riduzione del canone o risarcimento. È un esempio di riconvenzionale tipica nell’opposizione, che il giudice deciderà insieme (a volte previo esperimento di mediazione obbligatoria, perché locazioni = materia di mediazione).

Riassumendo la sezione varianti:

  • L’opposizione può essere parziale e in tal caso il decreto è immediatamente esecutivo per la parte non contestata e la sentenza finale sostituirà il decreto per la parte contestata. Ogni pagamento parziale comporta la revoca del decreto e sentenza sul residuo.
  • L’opposizione può essere tardiva se il debitore prova di non aver avuto colpa nel non opporsi tempestivamente (notifica nulla o cause di forza maggiore), purché si muova entro 10 giorni dal primo atto esecutivo. In tal caso il giudice può sospendere l’esecuzione e giudicare nel merito.
  • Se il decreto era provvisoriamente esecutivo, l’opponente deve attivarsi per ottenere la sospensione ex art. 649; diversamente, il creditore potrà eseguire subito. La sospensione blocca la procedura esecutiva sino alla sentenza.
  • Se il giudizio di opposizione si estingue per desistenza dell’opponente, il decreto diviene definitivo (efficacia esecutiva ex art. 653).
  • L’opponente può inserire domande riconvenzionali; il creditore non può ampliarne di nuove salvo reazione a quelle (Cass. 2020 n.16336).

Implicazioni fiscali, spese e conseguenze esecutive in caso di rigetto dell’opposizione

L’epilogo del giudizio di opposizione – soprattutto se vede il debitore soccombente – comporta una serie di effetti economici e fiscali. In questa sezione esamineremo:

  • la tassazione (imposta di registro) dei provvedimenti finali,
  • il contributo unificato e le spese di giustizia,
  • la liquidazione delle spese legali tra le parti (compensi professionali),
  • le conseguenze sul piano esecutivo dell’esito del giudizio (ripresa o fine dell’esecuzione).

Imposta di registro sui provvedimenti (decreto ingiuntivo e sentenza di opposizione)

In generale, gli atti giudiziari che definiscono un giudizio civile sono soggetti a imposta di registro (D.P.R. 131/1986, art. 37). Nel contesto del decreto ingiuntivo:

  • Se non viene proposta opposizione entro i termini, il decreto ingiuntivo (divenuto definitivo) va registrato a cura della cancelleria e sconta l’imposta di registro come ogni provvedimento decisorio.
  • Se viene proposta opposizione, la registrazione dell’ingiunzione di solito è sospesa in attesa dell’esito. Sarà il provvedimento finale (sentenza che decide l’opposizione) a dover essere registrato.

Ci sono stati dubbi in passato sul caso di rigetto dell’opposizione: occorre registrare la sentenza di rigetto, o il decreto ingiuntivo, o entrambi? La prassi è chiarita dall’Agenzia delle Entrate: tutte le sentenze di merito, anche di rigetto, sono soggette a imposta di registro. Questo perché una sentenza di rigetto, pur non condannando ad un pagamento nuovo, decide nel merito una controversia (conferma l’obbligo di pagare) e quindi rientra tra gli atti “che definiscono il giudizio” ai sensi dell’art. 37 TUR.

In particolare, con risposta ad interpello n. 211 del 25/03/2021, l’Agenzia Entrate ha ribadito che:

  • Le sentenze di rigetto, configurando pronunce di merito sulle questioni sostanziali, vanno registrate con imposta proporzionale secondo il valore della causa.
  • Ciò vale anche per il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, che è una sentenza di merito ex art. 653 c.p.c..
  • Eccezione: se il rigetto avviene per motivi di rito (es. opposizione dichiarata inammissibile per tardività o estinzione del processo), allora non c’è decisione di merito; in tali casi l’atto non è soggetto a registrazione a termine fisso. Allo stesso modo, i provvedimenti di estinzione o di incompetenza non scontano imposta fissa perché non definiscono nel merito la controversia.

In pratica:

  • Sentenza che rigetta l’opposizione nel merito: l’ufficio registro la vorrà registrare, applicando l’imposta proporzionale sul “valore della condanna confermata”. Nel nostro caso, in una sentenza di rigetto dell’opposizione, il debitore è tenuto a pagare quanto stabilito nel decreto ingiuntivo. L’imposta sarà calcolata su quell’importo (al netto magari di quanto già eventualmente pagato?). L’aliquota è quella prevista per le sentenze di condanna pecuniaria: attualmente il 3% per le somme eccedenti €1.033, se trattasi di somma di denaro non soggetta IVA.
  • Sentenza che accoglie l’opposizione (revoca il d.i.): paradossalmente, anche questa può essere soggetta a registrazione. Se l’accoglimento è totale e nessuna somma è dovuta a nessuno, si potrebbe trattare di sentenza che definisce il giudizio senza condanna: in principio andrebbe registrata con imposta fissa (poiché non vi è trasferimento patrimoniale) oppure potrebbe non essere registrata affatto se considerata liberatoria. Spesso però c’è una condanna alle spese a favore dell’opponente: quella voce di condanna alle spese comporta comunque un’imposta, ma fissa (le sole spese processuali di regola, se liquidate separatamente, rientrano in atti soggetti a imposta fissa).
  • Sentenza che accoglie parzialmente l’opposizione: qui la sentenza conterrà una condanna (per l’importo ridotto) nei confronti dell’opponente. Sarà soggetta a imposta proporzionale su tale importo. Ad esempio, d.i. €100k, opposto, esito: debito ridotto a €60k -> la sentenza di condanna a 60k va registrata su 60k, al 3%. Quanto al decreto originario, essendo revocato in parte, non viene registrato per intero; se per ipotesi fosse stato già registrato, si avrebbe diritto a rimborso del surplus (l’ufficio fa conguaglio).
  • Decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione: menzioniamo che un decreto ingiuntivo non opposto, trascorsi i termini, diventa esso stesso titolo definitivo soggetto a registrazione. L’imposta qui è dovuta “anche se al momento della registrazione l’atto sia stato impugnato o sia ancora impugnabile”. Quindi la regola generale è che entro 30 giorni dal passaggio in giudicato o dalla esecutorietà, la cancelleria iscrive a ruolo l’imposta. In opposizione, si attende la sentenza.

Chi paga l’imposta di registro? L’obbligo principale ricade su entrambe le parti in solido, ma nella prassi paga chi ha interesse a utilizzare il provvedimento. Ad esempio, il creditore vittorioso spesso anticipa l’imposta per poter notificare ed eseguire la sentenza. Se è il debitore ad aver vinto (sentenza di accoglimento opposizione), potrebbe essere costui a dover registrare se vuole far valere la condanna alle spese. Tuttavia, la legge consente alla parte che ha pagato l’imposta di chiedere rivalsa alla controparte se, in base alla statuizione sulle spese, quella imposta doveva gravare in definitiva sull’altra. In pratica, nelle sentenze normalmente si aggiunge: “le spese di registrazione della sentenza, se dovute, seguono il criterio delle spese processuali”. Quindi, se l’opponente perde e viene condannato alle spese, dovrà rimborsare al creditore anche l’importo dell’imposta di registro che il creditore ha eventualmente pagato per registrare la sentenza o il decreto.

Da segnalare: la disciplina fiscale distingue l’ipotesi di rigetto per motivi di rito. Se il giudice rigetta l’opposizione perché tardiva, come visto l’Agenzia Entrate non considera quella una decisione di merito tassabile. In tal caso, però, il decreto ingiuntivo era già esecutivo e quel decreto andrà registrato come atto definitivo (perché la controversia di merito non è mai stata aperta). Dunque il creditore pagherà l’imposta sul decreto.

Contributo unificato e spese di giustizia

Il contributo unificato è la tassa che si paga per introdurre una causa civile. Nel procedimento monitorio, il creditore ricorrente paga un contributo unificato al momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (importo variabile in base al valore della causa, ad es. €259 se valore tra 26.000 e 52.000 euro, €379 tra 52.000 e 260.000 euro, ecc., secondo le fasce vigenti). Se l’opponente propone opposizione, deve a sua volta versare un contributo unificato per il nuovo giudizio di cognizione. L’importo dovuto dall’opponente è identico a quello che sarebbe dovuto per una causa di valore corrispondente al credito ingiunto. In caso di opposizione parziale, di regola il valore della causa è limitato alla parte contestata (ad esempio, decreto €100k, opposizione solo su €20k: il valore per il contributo dovrebbe essere €20k, non 100). Tuttavia su questo punto gli uffici talvolta richiedono prudenzialmente l’intero contributo: la giurisprudenza indica che va parametrato alla somma contestata.

Se l’opposizione si conclude:

  • Con il rigetto dell’opposizione (debitore soccombente): in sentenza il giudice, condannando l’opponente alle spese, può disporre che egli rimborsi al creditore anche il contributo unificato da questi versato per il ricorso monitorio. Infatti, il creditore vittorioso ha pagato due contributi (uno per monitorio, uno eventualmente integrativo se l’opponente ha aumentato il valore o ha proposto riconvenzionali maggiori) e l’opponente ha pagato il suo. Normalmente, il debitore soccombente rifonde al creditore il costo del contributo unificato iniziale, oltre alle spese legali. Il proprio contributo (quello che l’opponente ha pagato all’atto di citazione) resta a suo carico senza rimborso.
  • Con l’accoglimento dell’opposizione (creditore soccombente): il creditore viene condannato alle spese, quindi dovrà rimborsare all’opponente il contributo unificato che questi ha pagato per la citazione in opposizione, nonché eventuali altre spese vive (marche, notifiche). Il contributo pagato dal creditore per il monitorio resta a carico del creditore (non è rimborsabile dall’opponente vincitore, ovviamente).
  • Con accoglimento parziale e compensazione: in caso di esiti intermedi, il giudice può compensare le spese in tutto o in parte. Se la compensazione è totale, ognuno sopporta il proprio contributo unificato. Se è parziale, può ad esempio condannare il creditore a rifondere metà del contributo pagato dall’opponente.

Va ricordato che non esiste nel nostro caso il meccanismo del doppio contributo unificato: quello scatta (ex art. 13 comma 1-quater DPR 115/2002) solo se un impugnante (appellante, ricorrente per cassazione) perde integralmente la causa – allora deve versare un ulteriore contributo unificato uguale a quello già pagato. Ma l’opposizione ex art. 645 c.p.c. non è un’impugnazione in senso tecnico (è un giudizio di primo grado). Quindi la norma sul raddoppio contributo per rigetto di impugnazione non si applica. L’opponente soccombente non paga doppi contributi allo Stato. Diverso sarebbe se facesse appello contro la sentenza di rigetto: in appello, se perde, sì scatterebbe il doppio contributo d’appello.

Altre spese di giustizia possibili includono:

  • Marca da €27 per diritti forfettari (sul monitorio e sull’opposizione).
  • Spese di notifica: l’ufficiale giudiziario, posta, PEC – costi che di solito vengono poi sommati alle spese legali liquidate.
  • C.U. integrativo in caso di valore maggiore: se in opposizione emergesse che il valore della causa era superiore a quanto stimato (es. il debitore propone riconvenzionale che porta il valore su un altro scaglione), potrebbe dover essere integrato il contributo unificato.

In ogni caso, chi vince può chiedere che il giudice ponga a carico della controparte tutte le spese di giustizia anticipate (contributo, marche, notifiche, spese di CTU se fatta, ecc.). Il giudice di regola liquida un importo a tale titolo (es: “oltre €X per esborsi”).

Compensi professionali e liquidazione delle spese legali

Al termine del giudizio di opposizione, il giudice decide sulla ripartizione delle spese processuali ai sensi dell’art. 91 c.p.c. La regola generale è che la parte soccombente paga le spese alla parte vittoriosa, salvo compensazione totale o parziale per giusti motivi (art. 92 c.p.c.).

Quali spese? Tutte le spese necessarie sostenute dalla parte vincente:

  • Spese legali (compenso avvocato): liquidato in base ai parametri ministeriali (D.M. 55/2014 e succ. mod. D.M. 147/2022) per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale del giudizio di opposizione, nonché per la fase monitoria se richiesta.
  • Spese vive (esborsi): contributo unificato, marche, notifiche, spese di CTU (nel caso fosse stata svolta una CTU tecnica, di solito la anticipa chi chiede la CTU; se poi quella parte vince, l’altra rifonde la quota pagata).
  • Spese di registrazione del provvedimento: come detto, eventuale imposta di registro se pagata dal vincitore può essere chiesta al perdente.

Nel nostro caso tipico:

  • Se l’opposizione è rigettata, il creditore opposto vince: il giudice di solito condanna l’opponente a rifondere al creditore le spese sia della fase monitoria sia della fase di opposizione. Infatti, il creditore si è dovuto difendere all’opposizione e aveva già speso per fare il decreto. Tuttavia, vi sono due scuole:
    • Alcuni giudici liquidano un unico importo onnicomprensivo per l’intero giudizio di opposizione, considerando la fase monitoria come fase di studio iniziale. Ad es. “condanna Tizio a pagare €X per compensi, oltre spese” dove X tiene conto di tutto.
    • Altri preferiscono specificare: “spese liquidate come in motivazione” e in motivazione elencano: €… per fase monitoria, €… per fase di cognizione, ecc. oppure semplicemente includono la fase monitoria come una delle fasi nell’applicazione dei parametri (il DM parametri prevede espressamente una specifica tabella per i decreti ingiuntivi non opposti, ma in caso di opposizione poi confluisce).
    • Rilevante la precisazione: le spese liquidate nell’ingiunzione restano ferme. Se il decreto ingiuntivo non era provvisoriamente esecutivo, spesso il giudice del decreto non liquida le spese, rimandando alla sentenza. Ma a volte, se il decreto era esecutivo, ha già liquidato spese. Ebbene, quando l’opposizione è rigettata, quelle spese del decreto restano dovute e la sentenza di rigetto in genere liquida solo le spese del giudizio di opposizione. In effetti, in dispositivo spesso leggiamo: “condanna Tizio a rifondere a Caio €… per spese di questo giudizio, oltre alle spese del procedimento monitorio già liquidate nel decreto ingiuntivo opposto, che restano a carico di Tizio”. Ciò evita duplicazioni.
  • Se l’opposizione è accolta, vince l’opponente: di norma condanna il creditore a pagare le spese del giudizio di opposizione. E le spese del decreto? Poiché il decreto viene revocato, vengono travolte anche le spese ivi eventualmente liquidate. Il giudice potrebbe indicare: “condanna Caio (creditore) a rifondere a Tizio €… per le spese del giudizio di opposizione; revoca la condanna alle spese contenuta nel decreto opposto”. Oppure tacere: in tal caso, quelle spese decadono perché il decreto è revocato. In sostanza, il creditore oltre a perdere il credito paga pure l’avvocato dell’altro. Rientra nella soccombenza.
  • Se accoglimento parziale: come detto, il giudice può adottare criteri equitativi e compensare in tutto o in parte. Spesso in accoglimenti parziali, specie se metà e metà, c’è compensazione integrale (ciascuno paga il proprio avvocato). Se invece l’opponente vince su un punto secondario, può condannarlo in gran parte. E viceversa. È a discrezione motivata del giudice (ad esempio la presenza di reciproca soccombenza giustifica la compensazione).

Quantificazione dei compensi: I parametri forensi stabiliscono scaglioni in base al valore della causa e alle fasi. Nel caso di opposizione a d.i., il valore è il credito ingiunto (salvo parziale). Esempio: valore €50.000, una causa di media complessità; per quattro fasi (studio, introduttiva, istruttoria, decisione) un compenso medio può aggirarsi sui €7.000-9.000 più accessori (iva, cpa). Se la causa è semplice e senza istruttoria, il giudice potrebbe liquidare meno (anche solo 2-3 fasi). Se c’è stata CTU e udienze, liquidare di più. Inoltre c’è la fase monitoria: i parametri per il ricorso monitorio di valore €50.000 prevedono un compenso aggiuntivo (per la fase monitoria non seguita da opposizione sarebbe ~€1.710 medio). Se però c’è opposizione, alcuni tribunali includono quel compenso oppure considerano il monitorio come fase di studio del contenzioso. Dipende.

In ogni caso, la parte vittoriosa può richiedere al giudice il rimborso integrale delle spese. Le voci da includere:

  • Contributo unificato (che abbiamo trattato – rimborsabile).
  • Marca da €27, eventuali bolli.
  • Spese di notifica effettuate (di solito forfettizzate, es. €20-30 per atto).
  • Compenso avvocato calcolato a vacazione secondo parametri DM.

Il giudice poi liquida secondo la propria equità e, di recente, spesso al minimo tariffario o poco più, salvo cause particolarmente impegnative.

Onorari dell’avvocato per assistiti: Dal punto di vista dell’imprenditore che affronta l’opposizione:

  • Se vince, recupera (in teoria) buona parte di quanto speso in avvocati, ma non sempre tutto. Spesso il giudice liquida meno di quanto effettivamente pattuito col proprio legale (se aveva un accordo a forfait più elevato). La differenza resta a carico vincitore.
  • Se perde, oltre a pagare il proprio avvocato dovrà pagare anche il legale della controparte, secondo la liquidazione del giudice. Ciò può raddoppiare il costo. Esempio: in causa da €50k, il suo avvocato chiede €5k, il giudice lo condanna a pagare €6k all’avvocato del creditore: totale €11k di spese legali, più capitale, interessi, ecc. Quindi l’impresa deve valutare bene costi/benefici dell’opposizione.

Infine, notiamo che se l’opposizione era strumentale e manifestamente infondata, il giudice su istanza potrebbe condannare l’opponente anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per lite temeraria (danni processuali). Ciò però accade raramente: dovrebbe emergere malafede o colpa grave. Ad esempio, debitore che oppone sapendo di non aver ragione solo per prendere tempo. In casi estremi, la giurisprudenza ha accordato risarcimenti (interessi ulteriori, spese extra) al creditore. Ma in genere, la condanna alle spese integrali è ritenuta sufficiente deterrente.

Conseguenze esecutive dell’esito del giudizio

Se l’opposizione è rigettata: Il decreto ingiuntivo diviene definitivamente efficace. L’art. 653 c.p.c. dispone che, in caso di rigetto (anche parziale) con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva, il decreto ingiuntivo acquista esecutorietà (se già non l’aveva) in via definitiva. In concreto:

  • Se l’esecuzione era stata sospesa, si può riprendere. Il creditore potrà notiziare il giudice dell’esecuzione e riattivare i procedimenti.
  • Se l’opponente aveva ottenuto eventualmente un termine di grazia per pagare (non nel monitorio, ma magari un accordo), ora deve adempiere.
  • Titolo esecutivo utilizzabile: come spiegato, nel rigetto integrale dell’opposizione il titolo esecutivo per il credito principale rimane il decreto ingiuntivo. La sentenza di rigetto non ripete la condanna al capitale (spesso si limita a respingere l’opposizione) e funge da “giudicato di accertamento” che conferma il decreto. Quindi il creditore normalmente continuerà (o inizierà) l’esecuzione forzata usando il decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva come titolo, e allegherà la sentenza di rigetto per attestare che è passato in giudicato e che quell’ingiunzione è definitiva. Non è necessario notificare di nuovo il decreto se era già stato notificato all’epoca; occorre però notificare la sentenza se si vuole procedere con essa per le spese.
  • La sentenza di rigetto costituisce invece titolo esecutivo per le spese legali liquidate a favore del creditore. Ad esempio, se in sentenza l’opponente è condannato a €5.000 di spese, il creditore può notificare il solo dispositivo della sentenza per riscuotere quelle (ma tanto varrebbe notificare l’intera sentenza).
  • Riassumendo il punto chiave: il decreto ingiuntivo, combinato con la sentenza di rigetto, forma il titolo esecutivo definitivo. La Cassazione ha precisato che non serve notificare nuovamente il decreto con formula dopo la sentenza, basta che nel precetto si menzioni che c’è stata la sentenza e la formula è stata apposta. Ma prudenza vuole di notificare quantomeno la sentenza.

Se l’opposizione è accolta: Il decreto ingiuntivo viene revocato e perde efficacia. Eventuali esecuzioni intraprese su di esso divengono improcedibili. In particolare:

  • Se c’è un’esecuzione in corso (pignoramento non ancora concluso), la sentenza di accoglimento, pur se non passata in giudicato, impone la caducazione immediata degli atti esecutivi già compiuti. Ciò in virtù dell’art. 653 co. 2 c.p.c., che afferma che la sentenza che accoglie l’opposizione provoca la cessazione dell’efficacia esecutiva del d.i. indipendentemente dal passaggio in giudicato. Quindi, appena emessa la sentenza (ed essendo essa provvisoriamente esecutiva ex lege per la parte di rigetto del credito del creditore, art. 282 c.p.c.), il debitore può presentarla al GE per far dichiarare l’estinzione del processo esecutivo e la liberazione dei beni pignorati.
  • Se il creditore aveva già riscosso somme (ad esempio ottenuto l’assegnazione di denaro pignorato), deve restituirle. L’opponente vittorioso potrà agire in restituzione. In pratica la sentenza dovrebbe contenere una condanna espressa alla restituzione di quanto eventualmente percepito in virtù del decreto poi revocato (talvolta i difensori si dimenticano di chiederlo, ma è implicito). Se non è specificata, si può agire con processo esecutivo autonomo in base alla revoca. Spesso la sentenza dice: “condanna il creditore a restituire all’opponente quanto ricevuto in esecuzione del decreto, oltre interessi”.
  • Il debitore quindi ottiene la fine delle azioni esecutive e se del caso la cancellazione di ipoteche iscritte (la sentenza è titolo per ottenere la cancellazione dell’ipoteca giudiziale iscritta sul decreto, salvo che c’era un’ipoteca provvisoria e la sentenza parziale l’ha mantenuta in parte – come visto in caso di accoglimento parziale, l’ipoteca rimane per la parte residua dovuta).
  • In breve, l’esecuzione basata su un titolo poi caducato deve essere annullata. L’opponente può usare la sentenza di accoglimento come titolo per eventuali opposizioni all’esecuzione pendenti (art. 615) o opposizioni agli atti esecutivi per far annullare atti già compiuti (ad es. se il bene è stato venduto all’asta, la questione si complica perché i diritti dei terzi aggiudicatari possono essere protetti; comunque al debitore spetterebbe il ricavato, ma sono casi peculiari).

Se l’opposizione è accolta solo in parte: Come già dettagliato, il decreto ingiuntivo viene revocato e sostituito dalla sentenza per la parte accertata come dovuta. Ciò implica:

  • Il creditore può eseguire solo per la somma determinata in sentenza. Il titolo esecutivo, in tal caso, è esclusivamente la sentenza parziale di condanna, che va notificata al debitore prima di procedere ex art. 479 c.p.c. (poiché il decreto originario non è più utilizzabile).
  • Gli atti esecutivi già compiuti conservano efficacia nei limiti della somma rimasta dovuta. Ad esempio, se era stato pignorato un immobile per €100k e la sentenza dice €60k, il pignoramento può proseguire per soddisfare €60k; l’ipoteca giudiziale resta per €60k.
  • Se però il creditore aveva già riscosso più del dovuto, deve restituire l’eccedenza. Se aveva riscosso meno, può proseguire per la differenza rimanente con la sentenza.
  • Il debitore non può opporsi ulteriormente a quella sentenza (se passata in giudicato) per quanto riguarda la parte di condanna; può però vigilare che il creditore aggiorni l’esecuzione ai nuovi importi (magari attraverso un’istanza al GE per ridurre il pignoramento in corso in proporzione).

Appellabilità e ulteriori impugnazioni: La sentenza che decide l’opposizione è pronuncia di primo grado. Quindi:

  • L’opponente soccombente può proporre appello entro 30 giorni dalla notifica della sentenza o 6 mesi dalla pubblicazione. L’appello non sospende automaticamente l’esecutività se la sentenza di primo grado era di condanna (art. 282 c.p.c.), quindi il creditore può procedere esecutivamente basandosi sul titolo formato da decreto+sentenza (o sentenza sola se parziale). L’appellante debitore può chiedere alla Corte d’Appello la sospensione ex art. 283 c.p.c. dimostrando gravità e probabilità di errore, ma non sempre ottenibile.
  • Il creditore opposto, se per caso la sentenza ha accolto l’opposizione, può appellarla per tentare di far valere il decreto. Anche in tal caso, l’appello non ridà efficacia al decreto revocato, a meno che la Corte d’Appello sospenda l’efficacia della sentenza impugnata (cosa che in teoria può accadere su istanza, ridando efficacia al d.i. in attesa di appello).
  • Durante l’eventuale appello, gli assetti esecutivi decisi dal primo grado restano in essere salvo provvedimenti contrari: quindi se in primo grado opposizione accolta (stop esecuzione), il creditore per eseguire dovrebbe ottenere sospensione dell’efficacia della sentenza (ossia far rivivere il d.i.). Viceversa se in primo grado opposizione rigettata (via libera a esecuzione), il debitore dovrà ottenere sospensione in appello per bloccare.

Esecuzione provvisoria della sentenza ex art. 282 c.p.c.: Ricordiamo che la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva per le condanne di somme. Quindi la sentenza stessa (specialmente se condanna il debitore a pagare un importo diverso da zero, come in caso di accoglimento parziale con condanna residua, o rigetto con spese) è titolo esecutivo immediato per quelle parti. Nel rigetto integrale, come detto la condanna è solo alle spese, quindi la sentenza è titolo per le spese; il capitale è esigibile col decreto reso definitivo dal giudicato. Nella parziale, la sentenza è titolo per il nuovo importo.

Caso di conciliazione o accordo dopo la sentenza: Se le parti trovano un accordo nel corso dell’esecuzione post-sentenza (tipo: il debitore preferisce pagare spontaneamente una somma inferiore e il creditore accetta di rinunciare al resto), formalmente possono transigere e cessare l’esecuzione. Ciò esula dallo schema processuale, ma va segnalato che spesso, per evitare ulteriori spese, dopo la sentenza le parti possono accordarsi (ad esempio su modalità di pagamento).

Tabelle riepilogative finali

Tabella – Effetti del giudizio sull’efficacia del decreto ingiuntivo

Esito opposizioneDecreto ingiuntivoSentenza di opposizioneEsecutività e titolo per esecuzione
Opposizione rigettata (totale)Confermato (resta valido)Rigetta opposizione; di solito non ripete condanna (solo spese).Il titolo esecutivo per capitale, interessi e spese monitorie è il decreto ingiuntivo definitivo. La sentenza è titolo solo per le spese del giudizio di opposizione. Decr. esecutivo ex art. 653 co.1 c.p.c. (se prima non lo era).
Opposizione accolta (totale)Revocato (annullato)Accoglie opposizione, revoca il d.i. (e decide nel merito: es. rigetto domanda cred.)Il decreto perde efficacia esecutiva immediatamente. Se era in corso esecuzione, si estingue. Nessun titolo esecutivo per il credito originario (domanda cred. respinta). La sentenza può contenere condanne inverse (es. spese, restituzioni) che fanno titolo per il debitore.
Opposizione accolta in parteRevocato (in toto)Accoglie parzialmente: determina l’importo dovuto e condanna l’opponente a quel pagamento.Titolo esecutivo = Sentenza di condanna parziale. Il d.i. non è più azionabile. Atti esecutivi già compiuti restano efficaci entro i limiti del nuovo importo. Ipoteca e pignoramenti conservati pro-quota.
Opposizione estinta (rinuncia)Non opposto di fatto (diventa definitivo)– (ordinanza/sentenza di estinzione)Decreto acquista efficacia esecutiva ex art. 653 co.1 c.p.c.. Titolo: decreto ingiuntivo (con formula).
Opposizione dichiarata inammissibile (es. tardiva non ammessa)Confermato (era già definitivo trascorsi termini)Sentenza di rito (no merito)Decreto era già esecutivo ex art. 647 c.p.c.; sentenza non comporta registrazione. Titolo: decreto ingiuntivo.

Tabella – Riparto di spese e registrazione (scenario base)

EsitoChi paga spese legaliImposta di registro
Rigetto opposizione (creditore vince)Debitore opponente soccombente: paga le spese di opposizione al creditore; le spese liquidate nel d.i. restano a suo carico.Sentenza di rigetto è pronuncia di merito da registrare (3% del valore). Se rigetto solo per rito: niente imposta per sentenza, ma d.i. già registrabile. La spesa d’imposta grava in definitiva sull’opponente (condannato alle spese).
Accoglimento opposizione (debitore vince)Creditore opposto soccombente: paga spese del giudizio di opposizione all’opponente. Spese del d.i. revocate (se già pagate dal debitore, gli vanno restituite).Nessuna condanna di merito a suo carico -> se sentenza totalmente liberatoria, imposta fissa o nulla. In pratica sentenza di accoglimento va registrata (definisce giudizio) ma trattandosi di rigetto domanda cred. si applica imposta fissa (salvo spese legali).
Accoglimento parziale (es: riduzione importo)Dipende proporzione: spesso spese compensate o suddivise. Se una parte prevale nettamente, il giudice può darle una parte di spese. Esempio: ridotto 20% importo, opponente soccombente per 80% -> può pagare 80% spese e 20% compensate.Sentenza parziale di condanna va registrata su importo condannato (3%). L’imposta sarà a carico proporzionale delle parti secondo soccombenza. Se spese compensate, ciascuno paga metà imposta.
Estinzione (rinuncia opponente)Spese di solito a carico dell’opponente rinunciante (salvo accordi).Decreto diventa definitivo -> da registrare (3%) come titolo esecutivo. Imposta a carico del debitore (che ha perso).

(Gli importi percentuali sono riferiti a imposta di registro attuale su provvedimenti giudiziari di condanna non soggetti IVA; aliquote particolari possono applicarsi in altri casi, ma qui si presume credito di natura civile generica).


FAQ – Domande frequenti sulla prima udienza di opposizione a decreto ingiuntivo

D: Entro quanti giorni devo fare opposizione a un decreto ingiuntivo?
R: Il termine ordinario è 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo. Se risiedi all’estero, il termine è esteso (generalmente 60 giorni). Esistono casi particolari di opposizione tardiva oltre i 40 giorni, ma solo se non hai potuto attivarti in tempo per cause non dipendenti da te (vedi oltre).

D: Come si propone l’opposizione e cosa succede dopo?
R: L’opposizione si propone con atto di citazione notificato al creditore che ha ottenuto il decreto. Una volta notificata la citazione, si instaura un giudizio civile davanti allo stesso ufficio che ha emesso il decreto. Il fascicolo monitorio viene trasformato in fascicolo di causa ordinaria e viene fissata la prima udienza di comparizione delle parti (nel rito ordinario, a non oltre 30 giorni dal termine minimo a comparire, che oggi equivale a circa 160 giorni dalla notifica; nel rito semplificato, spesso più presto). Alla prima udienza il giudice verifica le condizioni della causa e può assumere provvedimenti sull’esecuzione (sospenderla o confermarla), poi la causa prosegue con eventuali memorie, istruttoria e infine sentenza.

D: L’opposizione blocca automaticamente il pagamento ingiunto?
R: Non sempre. Se il decreto ingiuntivo non era provvisoriamente esecutivo, presentare opposizione impedisce al creditore di eseguirlo finché la causa è pendente (di fatto il titolo rimane sospeso). Invece, se il decreto era provvisoriamente esecutivo, l’opposizione non ferma l’esecuzione: il creditore può procedere comunque a pignoramenti e altre misure. In tal caso devi chiedere al giudice una sospensione ex art. 649 c.p.c., motivando con gravi ragioni, per ottenere un’ordinanza che blocchi l’efficacia esecutiva del decreto durante la causa. In assenza di una sospensione concessa dal giudice, il creditore può continuare a pretendere il pagamento immediato.

D: Cosa posso fare se il decreto è provvisoriamente esecutivo e rischio pignoramenti immediati?
R: Nel tuo atto di opposizione inserisci subito un’istanza di sospensione dell’esecutività (art. 649 c.p.c.), spiegando perché l’esecuzione immediata ti danneggerebbe e perché ritieni di aver buone ragioni di opposizione. Il giudice esaminerà questa richiesta, in genere alla prima udienza (o anche prima in caso di urgenza, eventualmente fissando un’udienza anticipata). Se il giudice trova “gravi motivi”, emetterà un’ordinanza di sospensione che blocca i procedimenti esecutivi in corso (sospende i pignoramenti già partiti e impedisce nuovi atti). Tieni presente che dovrai fornire elementi convincenti (ad esempio: il credito è basato su un documento apparentemente falso, oppure hai quasi finito di pagare il debito, ecc., e subire un’esecuzione ti creerebbe un pregiudizio irreparabile).

D: Che differenza c’è tra il rito ordinario e il rito semplificato (sommario) nell’opposizione?
R: Il rito ordinario è la procedura civile standard: inizi con citazione, prima udienza dopo circa 4-6 mesi, poi memorie scritte, eventuali prove, e sentenza finale. Il rito semplificato (introdotto dalla riforma 2022) permette di avviare l’opposizione con ricorso anziché citazione, ottenendo un’udienza più rapida (anche in 1-3 mesi). Il giudice, alla prima udienza, decide se la causa può essere decisa in forma semplificata (cioè con meno formalità). In tal caso potrebbe assumere subito qualche prova e magari decidere in tempi brevi. Se invece la controversia è complessa, il giudice converte il procedimento in rito ordinario. In sintesi, il rito semplificato potenzialmente accelera la definizione dell’opposizione, ma è applicabile quando i fatti sono chiari e la questione non richiede lunga istruttoria. Per te, come imprenditore, significa che potresti risolvere la disputa in pochi mesi invece che anni, ma dipende dalla specifica materia e dalla scelta del tuo legale su come introdurre la causa.

D: Cosa succede alla prima udienza di opposizione? Devo comparire di persona?
R: Alla prima udienza compariranno i tuoi avvocati (la presenza personale delle parti non è obbligatoria, salvo il giudice la chieda per tentare una conciliazione). Il giudice controllerà che la notifica e la costituzione in giudizio siano regolari, verificherà se è stata fatta la mediazione obbligatoria (se la tua causa la prevede, ad es. contratti bancari, assicurativi, locazioni). Se non è stata fatta, potrà rinviare l’udienza e ordinare di farla. Poi esaminerà eventuali questioni preliminari (competenza, ecc.), quindi affronterà le richieste di sospensione o esecuzione provvisoria: ad esempio, deciderà se sospendere l’efficacia esecutiva del decreto (se tu l’hai chiesto) o, viceversa, se concedere al creditore l’esecuzione provvisoria del decreto (se il decreto in origine non era esecutivo e il creditore lo chiede). Queste decisioni avvengono tramite ordinanze immediatamente efficaci. Infine, stabilito ciò, se la causa prosegue, nel rito ordinario il giudice fisserà i termini per le memorie scritte (in cui i legali dettaglieranno meglio domande ed eccezioni, e formuleranno richieste di prova) e rinvierà a una successiva udienza. Nel rito semplificato, potrebbe invece discutere già il merito o fissare direttamente un’udienza per la decisione ravvicinata. In pratica, per te la prima udienza è soprattutto tecnica: è importante perché lì si decide se il decreto rimane esecutivo o no nel frattempo, e si impostano i passi successivi.

D: È obbligatoria la mediazione per l’opposizione a decreto ingiuntivo?
R: Dipende dal tipo di credito. La mediazione civile è obbligatoria in materie come contratti bancari, finanziamenti, assicurazioni, locazione, leasing, condominio, ecc. (elencate nell’art. 5 D.lgs. 28/2010). Quando hai un decreto ingiuntivo in una di queste materie, la legge rinvia la mediazione dopo l’opposizione: in altri termini, puoi ottenere subito il decreto senza mediare, ma se il debitore fa opposizione, allora si deve attivare la mediazione. È il creditore opposto che deve avviarla entro un termine dato dal giudice. Se non lo fa, il giudice dichiarerà improcedibile la domanda monitoria e quindi revocherà il decreto, chiudendo la causa a favore del debitore. Quindi per il creditore è fondamentale non dimenticare questo passaggio; per il debitore è importante verificarne il rispetto. In pratica, alla prima udienza il giudice chiede: “È stata fatta la mediazione?”. Se no, ordina di farla. Se poi il creditore non la avvia, perderà la causa per improcedibilità.

D: Posso oppormi solo a una parte del decreto ingiuntivo (riconoscendo il resto)?
R: Sì, è la cosiddetta opposizione parziale. Ad esempio, potresti dire: “Riconosco di dovere €50.000 di capitale, ma non €20.000 di interessi e penali.” In tal caso, conviene essere molto chiari nell’atto di opposizione su cosa contesti e cosa no. La conseguenza: la parte non contestata del decreto diviene definitiva. Il creditore potrà esigere immediatamente quella somma. Infatti, il giudice concederà l’esecuzione provvisoria parziale per l’importo non contestato (se non era già esecutivo il decreto, gliela dà; se il decreto era già esecutivo comunque poteva già agire su tutta la somma). Quindi, se non l’hai già fatto, è prudente pagare spontaneamente la parte riconosciuta, così da limitare la lite e anche prevenire pignoramenti per quella parte. La causa proseguirà solo sulla differenza contestata. Alla fine, due scenari:

  • Se vinci sulla parte contestata, il decreto viene revocato in toto e magari dovrai solo il riconosciuto (che avrai già pagato) – in genere il giudice emette una sentenza che prende atto del tuo pagamento e non condanna oltre.
  • Se perdi sulla parte contestata, uscirà una sentenza che comunque revoca il vecchio decreto ma ti condanna a pagare la cifra (magari un po’ inferiore se qualcosa te l’avevano già detratto). In ogni caso, in presenza di pagamento parziale durante la causa, il decreto ingiuntivo dev’essere revocato e sostituito da sentenza per questioni di chiarezza.
    Dunque, sì, puoi limitare l’opposizione a ciò che ritieni ingiusto. Nota però che il termine di 40 giorni copre tutta la somma: se per ipotesi contesti solo gli interessi e lasci passare il termine per il capitale, ci sono complicazioni giuridiche (in teoria, il decreto diventerebbe esecutivo per il capitale, anche se hai fatto opposizione per accessori). Meglio formulare come opposizione parziale che implicitamente ammette il resto.

D: Ho saltato il termine di 40 giorni, posso ancora oppormi (opposizione tardiva)?
R: Solo in casi eccezionali. L’opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.) è ammessa se dimostri che non hai fatto opposizione in tempo per cause a te non imputabili: ad esempio, non hai proprio ricevuto la notifica del decreto (vizi di notifica), oppure eventi di forza maggiore ti hanno impedito di reagire (es: grave malattia, incidente, calamità, eri all’estero ignaro). Devi presentare al giudice una citazione in opposizione tardiva spiegando queste cause e, appena vieni a conoscenza del decreto, attivarti entro 10 giorni dal primo atto di esecuzione eventualmente subìto. Se non c’è ancora un atto esecutivo ma l’hai scoperto tardivamente per conto tuo, muoviti immediatamente (comunque i giudici pretendono tempestività rispetto alla “scoperta”). Se il giudice ritiene valida la giustificazione, ammetterà l’opposizione tardiva e potrai discutere il merito come in un’opposizione normale, nel frattempo sospendendo l’esecuzione in corso. Se invece non ti crede (ad es. la notifica era regolare o hai ignorato per negligenza), dichiarerà inammissibile l’opposizione tardiva e il decreto resterà definitivo. In pratica, l’opposizione tardiva è un ultimo rimedio per chi davvero non ha avuto la possibilità di difendersi prima, non per chi ha dimenticato la scadenza.

D: Cosa succede se il creditore (opposto) non si presenta o non si costituisce in giudizio?
R: Se il creditore, formalmente convenuto, non si costituisce entro i termini (20 giorni prima dell’udienza) e non compare, verrà dichiarato contumace. Ciò non ferma la causa: il giudice esaminerà comunque l’opposizione in base a quello che hai esposto tu. In molti casi, l’assenza del creditore favorisce l’opponente: il creditore non produce documenti né contesta le tue affermazioni, quindi se la tua opposizione ha un minimo di fondamento, il giudice potrebbe accoglierla. Ad esempio, se tu opponente dichiari “ho già pagato quel debito” e il creditore contumace non smentisce né fornisce prova contraria, è probabile che il decreto venga revocato. Attenzione però: il giudice ha comunque facoltà di valutare le carte del fascicolo monitorio. Se dal fascicolo risulta già una prova netta a favore del creditore (che magari aveva prodotto un contratto, delle fatture e tu non hai contestato la fornitura), il giudice, pur in contumacia del creditore, può rigettare l’opposizione ritenendo provato il credito. In genere però la contumacia del creditore in un’opposizione gioca a favore del debitore. Proceduralmente, dopo la prima udienza il giudice potrebbe fissare una nuova udienza per la discussione finale, data l’assenza di attività della controparte.

D: Cosa succede se io opponente non mi presento in udienza o voglio rinunciare?
R: Se non ti presenti ma il tuo avvocato è presente, la causa va avanti lo stesso (la parte può anche non presenziare personalmente). Se né tu né il tuo avvocato comparite, si può configurare un’assenza dell’attore: il giudice può dichiarare la tua contumacia se risulti comunque costituito, oppure, se non ti sei costituito per nulla (caso raro perché hai promosso tu la causa, dovresti esserti costituito), può dichiarare improcedibile l’opposizione. Più tipicamente può succedere che tu decida di rinunciare all’opposizione (ad esempio perché hai trovato un accordo col creditore o hai pagato). In tal caso, il tuo avvocato può dichiarare in udienza la rinuncia agli atti del giudizio di opposizione. Se il creditore opposto accetta (di solito sì se avete un accordo, magari con spese a carico tuo), il giudice emette un’ordinanza di estinzione. L’effetto: il decreto ingiuntivo torna valido come se non fosse mai stato opposto, e acquista definitività ed esecutività. Quindi attenzione: rinunciando, praticamente perdi la causa e il decreto resta da pagare integralmente (salvo diverso accordo transattivo). La rinuncia unilaterale senza accordo comporta che probabilmente dovrai anche pagare le spese legali del creditore per la parte di attività svolta.

D: Posso trovare una soluzione durante la causa di opposizione (ad esempio rateizzare il debito)?
R: Certamente, le parti possono transigere in qualsiasi momento. Spesso nei rapporti commerciali, l’opposizione apre una finestra di dialogo: ad esempio, potresti riconoscere il debito ma chiedere una dilazione; il creditore può essere disponibile a un piano di rientro in cambio del ritiro dell’opposizione. Se raggiungete un accordo, potete:

  • formalizzarlo in un verbale di conciliazione in tribunale (se siete alla prima udienza o altra udienza, il giudice può dare atto dell’accordo e chiudere la causa su quelle basi – il verbale ha efficacia di titolo esecutivo per le somme concordate);
  • oppure sottoscrivere una scrittura privata transattiva e poi presentare rinuncia all’opposizione (con o senza accollo delle spese, secondo accordi).
    Transigere può farvi risparmiare tempo e costi ulteriori. Ad esempio, un imprenditore debitore può evitare una condanna alle spese trovando un accordo prima della sentenza. Attenzione però: se conciliate fuori udienza senza formalizzarlo al giudice, assicuratevi che la controparte adempia (magari condizionate la rinuncia all’effettivo pagamento rateale, e tenete viva l’opposizione finché non siete sicuri). Spesso la causa viene “congelata” con rinvii se c’è trattativa in corso.

D: Quanto dura un’opposizione a decreto ingiuntivo?
R: La durata può variare moltissimo. In passato, col rito ordinario puro, un’opposizione poteva durare anche 2-3 anni in primo grado (specie se c’erano prove da assumere, CTU, ecc.). Oggi, con le riforme, l’obiettivo è stringere i tempi:

  • Se la causa è semplice, con il rito semplificato potresti avere una decisione nel giro di 6-8 mesi dalla citazione (udienza in 2-3 mesi, eventuale ordinanza finale poco dopo).
  • Con il rito ordinario, i 120 giorni di termine a comparire allungano la partenza, ma dopo la prima udienza il giudice potrebbe chiudere in poche udienze se la questione è pronta. Diciamo che un’opposizione non complessa (solo questioni di diritto, nessuna testimonianza) potrebbe chiudersi anche in un anno circa. Se invece ci sono istruttorie corpose (testimoni, CTU contabili per ricostruire saldi, ecc.), la durata tende ad aumentare (18-24 mesi non sono rari).
  • Va aggiunto l’eventuale appello: in caso di appello, aggiungi altri 1-2 anni per il secondo grado. E se Cassazione, altri 1-2 anni. Quindi la definizione definitiva può arrivare anche dopo molti anni, ma in corso d’opera il decreto può essere esecutivo e il creditore può aver già soddisfatto il credito (salvo poi restituire se la sentenza finale gli è sfavorevole).
    In sintesi, prima di opporsi conviene valutare costi/benefici: se punti solo a prendere tempo, sappi che il giudice potrebbe comunque dare esecuzione provvisoria e allora il tempo guadagnato è poco. Se invece hai buone ragioni, l’opposizione è doverosa per farle valere, e sperabilmente sarà il creditore a voler trovare un accordo più vantaggioso per te pur di evitare i rischi del giudizio.

D: Se perdo l’opposizione, posso appellare la decisione?
R: Sì, la sentenza che decide sull’opposizione a decreto ingiuntivo è una sentenza di primo grado. Puoi proporre appello alla Corte d’Appello competente entro 30 giorni dalla notifica della sentenza (o 6 mesi se non viene notificata). L’appello riesaminerà il merito della controversia. Tieni a mente però due cose:

  1. Durante l’appello, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva (salvo tu ottenga sospensione in appello). Ciò significa che, se hai perso, di solito devi pagare, altrimenti il creditore può proseguire l’esecuzione. Puoi chiedere alla corte d’appello di sospendere l’esecuzione se emergono seri motivi (art. 283 c.p.c.), ma non è scontato ottenerla.
  2. L’appello comporta ulteriori costi (contributo unificato doppio rispetto al primo grado e spese legali) e, se lo perdi, dovrai probabilmente pagare un contributo unificato aggiuntivo (sanzione per appello respinto) pari a quello già versato. Quindi valuta con l’avvocato le chance di successo. Se il primo grado ha accertato chiaramente i fatti contro di te, l’appello potrebbe solo aggravare la tua posizione economica.

D: Se vinco l’opposizione, il creditore può rifare causa?
R: No, se vinci nel merito (cioè ottieni una sentenza che revoca il decreto ingiuntivo e magari rigetta la pretesa del creditore), quella decisione ha autorità di cosa giudicata tra voi sul credito in questione. Il creditore non può notificarti un nuovo decreto ingiuntivo per lo stesso credito né iniziare un’altra causa ordinaria pretendendo la stessa somma: sarebbe bloccato dal giudicato (tu opporresti l’exceptio rei iudicatae). Può solo appellare la sentenza se è entro i termini. Se ha perso in appello pure, la partita è chiusa. Fa eccezione il caso di rigetto per motivi processuali (ad es. opposizione accolta perché il decreto era nullo per vizio formale senza discutere il merito del credito): in teoria il creditore potrebbe riprovare a chiedere il pagamento in altra forma, sanando il vizio (però sono situazioni particolari; in generale, la maggior parte delle decisioni sulle opposizioni definisce anche il merito del rapporto e impedisce nuove pretese sullo stesso titolo).

Riferimenti normativi e giurisprudenziali (Bibliografia)

Codice di Procedura Civile:
Procedimento di ingiunzione: artt. 633–642 c.p.c. (condizioni ed emissione del d.i.).
Opposizione: art. 645 c.p.c. (forma dell’opposizione, citazione davanti allo stesso giudice).
Termini di comparizione: art. 163-bis c.p.c. (oggi 120 giorni in Italia; dimezzamento abrogato dal 2011).
Prima udienza e trattazione: art. 183 c.p.c. (udienza di comparizione, attività del giudice, termini per memorie).
Rito semplificato: artt. 281-decies – 281-duodecies c.p.c. (condizioni per rito semplificato, passaggio a rito ordinario).
Provvisoria esecutorietà: art. 648 c.p.c. (esecuzione provvisoria in pendenza di opposizione: discrezionale se opposizione priva di prova scritta; obbligatoria per somme non contestate).
Sospensione ex art. 649 c.p.c.: (sospensione dell’esecuzione provvisoria per gravi motivi).
Opposizione tardiva: art. 650 c.p.c. (ammissibile se difetto di conoscenza per notifica irregolare o forza maggiore; limite di 10 giorni dal primo atto esecutivo).
Eventuale cauzione: art. 648, co.2 c.p.c. (possibilità di esecuzione provv. con cauzione; v. Corte Cost. 137/1984 in nota).
Mediazione e decreto ingiuntivo: art. 5, co.4 D.lgs. 28/2010 (mediazione demandata dopo opposizione a d.i. in materie obbligatorie).
Giudice di Pace: art. 320 c.p.c. (tentativo di conciliazione obbligatorio in udienza).
Terzo chiamato in opposizione: art. 106 c.p.c. e art. 167, co.3 c.p.c. (necessaria autorizzazione del giudice per chiamata del terzo da parte dell’opponente).
Effetti sentenza di opposizione: art. 653 c.p.c. (rigetto o accoglimento parziale: d.i. acquista efficacia esecutiva; atti esecutivi compiuti conservano effetto nei limiti in caso di accoglimento parziale).
Estinzione del giudizio: art. 306 c.p.c. (rinuncia agli atti) e art. 653, co.1 c.p.c. (estinzione opposizione => d.i. esecutivo).
Impugnazioni: artt. 339, 342 c.p.c. (appello in generale); art. 283 c.p.c. (sospensione esecutorietà in appello).

Altre norme:
Contributo unificato: D.P.R. 115/2002 (Testo Unico spese di giustizia), art. 13 (importi per scaglioni di valore; raddoppio in appello in caso di rigetto integrale).
Imposta di registro: D.P.R. 131/1986 (Testo Unico Registro), art. 37 (atti dell’autorità giudiziaria che definiscono il giudizio soggetti a registrazione); Tariffa art. 8 (misura 3% per condanne pecuniarie).
Mediazione obbligatoria: D.lgs. 28/2010, art. 5 (materie soggette a condizione di procedibilità; opposizione a d.i.: l’esperimento della mediazione va effettuato successivamente, su ordine del giudice, a pena di improcedibilità).
Riforma processo civile 2022: D.lgs. 149/2022 (ha modificato, tra l’altro, l’art. 645 c.p.c. eliminando termini dimezzati e introducendo il rito semplificato agli artt. 281-decies ss. c.p.c.); D.lgs. 164/2024 (decreto correttivo con decorrenza 2023).

Giurisprudenza di legittimità:
Ruolo attore/convenuto in opposizione: Cass. civ. Sez. III, 30/07/2020, n. 16336 (l’opponente che intende chiamare un terzo deve chiederne autorizzazione; il creditore opposto, attore sostanziale, non può proporre nuove domande se non in reazione a riconvenzionale).
Opposizione parziale – titolo esecutivo: Cass. civ. Sez. III, 02/09/2013, n. 20052 (in caso di accoglimento parziale dell’opposizione con condanna a somma minore, il titolo esecutivo è esclusivamente la sentenza di condanna, da notificare ex art. 479 c.p.c., essendo inapplicabile l’art. 654 c.p.c. sul precetto basato sul decreto iniziale).
Natura della sentenza che rigetta opposizione: Cass. civ. Sez. VI-3, ord. 19/12/2023, n. 36537 (sentenza che rigetta opposizione a d.i. non esecutivo non costituisce titolo esecutivo per le somme già ingiunte, ma solo per le spese; il titolo per il credito resta il decreto ingiuntivo che, grazie alla sentenza di rigetto, diviene definitivo ed esecutivo).
Atti esecutivi dopo sentenza parziale: Cass. civ. Sez. I, 19/03/2013, n. 6514 (conferma: se opposizione accolta in parte con riduzione somma, il d.i. è revocato e il titolo esecutivo è la sentenza; gli atti esecutivi compiuti restano efficaci nei limiti della somma dovuta; l’ipoteca iscritta in base al d.i. conserva efficacia limitatamente a tale importo).
Opposizione tardiva e tutela del consumatore: Cass. Sez. Unite, 06/04/2023, n. 9479 (ha affrontato l’interferenza tra opposizione tardiva e doveri d’ufficio del giudice in presenza di clausole abusive; riconosce che il giudice del d.i. deve esaminare d’ufficio nullità consumeristiche e che il consumatore può opporsi tardivamente anche oltre i limiti, se necessario a salvaguardare i diritti UE – pronuncia complessa, per specialisti).
Spese legali monitorio/opposizione: Cass. civ. 04/02/2005, n. 2276 (le spese della fase monitoria, se il decreto è confermato, restano a carico dell’opponente soccombente; se d.i. revocato, le spese monitorie cadono); principi poi recepiti dall’art. 91 c.p.c. riformato.

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