Hai accumulato troppi debiti e non riesci più a pagare le rate, le bollette, i prestiti o le cartelle esattoriali? Ti senti bloccato, inseguito dai creditori, e ti stai chiedendo: “Cosa posso fare se non riesco più a pagare?” La buona notizia è che esistono soluzioni legali concrete per affrontare la crisi e uscirne senza rischiare il fallimento personale o aziendale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi da sovraindebitamento, esdebitazione e tutela del patrimonio – ti spiega cosa puoi fare quando non riesci più a pagare i debiti, quali strumenti prevede la legge, e come ripartire legalmente e con dignità.
Non riesci più a pagare i debiti? Non sei solo.
La legge ti dà diritto a una seconda possibilità.
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Introduzione
Trovarsi nell’impossibilità di pagare i propri debiti è una situazione di grave crisi finanziaria, che può colpire sia imprese e professionisti sia persone fisiche privati. In ambito giuridico italiano, questa condizione è spesso descritta come insolvenza o sovraindebitamento (a seconda dei soggetti coinvolti), e comporta conseguenze legali importanti. Per gli imprenditori e le società, l’insolvenza può sfociare in procedure concorsuali (come il fallimento, ora liquidazione giudiziale), mentre per i privati cittadini non imprenditori esistono strumenti specifici di composizione della crisi da sovraindebitamento. In ogni caso, l’ordinamento prevede oggi una serie di soluzioni – sia stragiudiziali (fuori dai tribunali) che giudiziali (dinanzi all’autorità giudiziaria) – per gestire la situazione debitoria, evitare aggressioni disordinate da parte dei creditori e, nei casi previsti, ottenere la cancellazione (esdebitazione) dei debiti residui.
Questa guida, aggiornata a maggio 2025, offre un’analisi approfondita di tutte le opzioni disponibili nel sistema giuridico italiano quando non si riescono a pagare i debiti.
Verranno esaminati tutti i tipi di debiti che più comunemente creano crisi finanziarie:
- Debiti fiscali verso l’erario (Agenzia delle Entrate) e quelli in riscossione esattoriale (Agenzia Entrate – Riscossione), incluse imposte, IVA, cartelle esattoriali, ecc.
- Debiti previdenziali verso enti come l’INPS (contributi non versati).
- Debiti bancari e finanziari, come mutui, finanziamenti, scoperti di conto, leasing.
- Debiti commerciali verso fornitori, affitti, utenze e altri creditori privati.
Discuteremo gli strumenti giuridici disponibili nei diversi ambiti del diritto della crisi:
- Il diritto fallimentare tradizionale, ora evolutosi nella nuova disciplina del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche), entrato pienamente in vigore nel 2022.
- Le procedure di composizione negoziata e preventiva della crisi introdotte di recente (come la composizione negoziata e il concordato semplificato).
- Le soluzioni per il sovraindebitamento destinate a consumatori, professionisti e piccole imprese non fallibili (piani di ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata).
- Gli strumenti stragiudiziali (accordi privati, piani di risanamento attestati, accordi di ristrutturazione dei debiti omologati) per evitare o anticipare le procedure giudiziali.
- L’esdebitazione, ossia la liberazione finale dai debiti residui, nelle sue varie forme (automatica al termine di talune procedure, su istanza nel post-liquidazione, e la nuova esdebitazione del debitore incapiente per chi non ha nulla da offrire ai creditori).
La guida esaminerà separatamente le procedure per le persone fisiche non imprenditori (consumatori) e quelle per imprese e professionisti, evidenziando requisiti, iter e risultati per ciascuna categoria. Verranno presentati casi pratici e simulazioni per illustrare concretamente come applicare le diverse soluzioni (es. un caso di consumatore sovraindebitato, un piccolo imprenditore in crisi, una società insolvente, un debitore completamente privo di beni). Tabelle comparative riassumeranno le caratteristiche delle varie procedure (requisiti di accesso, vantaggi, svantaggi, durata, effetti sui debiti). Una sezione finale risponderà alle domande frequenti (FAQ), chiarendo i dubbi più comuni (ad es. “Posso perdere la casa?”, “Quali debiti non si cancellano?”, “Cosa significa meritevolezza?”, “Rischio sanzioni penali se non pago?” ecc.).
Infine, in nota e in un’appendice, troverete i riferimenti a fonti normative aggiornate al 2025 (nuove leggi, decreti e articoli del Codice della Crisi) e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali (sentenze di Cassazione, pronunce dei tribunali) pertinenti, per offrire basi autorevoli alle affermazioni contenute nella guida.
Nota: Questa guida è riferita esclusivamente al contesto normativo italiano. Le soluzioni descritte si applicano quindi ai debiti di soggetti italiani secondo le leggi italiane vigenti. Nei paragrafi seguenti, forniremo un percorso strutturato per affrontare la crisi debitoria: prima esaminando la natura dei diversi debiti e le loro conseguenze (“Analisi delle Tipologie di Debito”), poi illustrando le possibili strategie stragiudiziali per farvi fronte, quindi le procedure giudiziali suddivise per tipologia di soggetto e, infine, le modalità di esdebitazione e chiusura della vicenda debitoria.
Analisi delle Tipologie di Debito
Non tutti i debiti sono uguali. A seconda della natura del creditore e del tipo di obbligazione, cambiano sia le tutele legali del creditore (ad esempio privilegi, garanzie, poteri di riscossione) sia le strategie che il debitore può adottare. Prima di valutare come affrontare i debiti impagabili, è fondamentale capire che tipi di debiti si hanno, poiché ciascuno presenta peculiari criticità e opportunità. Di seguito analizziamo separatamente le principali categorie di debito.
Debiti Fiscali (Erario e Riscossione esattoriale)
I debiti fiscali comprendono imposte e tributi dovuti allo Stato o ad altri enti pubblici (es. IRPEF, IRES, IVA, IRAP, imposte locali), nonché le relative sanzioni e interessi di mora. In Italia, la riscossione coattiva di gran parte di questi debiti è affidata all’Agenzia delle Entrate – Riscossione (già Equitalia), che agisce in base al D.P.R. 602/1973. Quando un contribuente non paga spontaneamente un’imposta accertata, viene formato un ruolo e notificata una cartella di pagamento (la cosiddetta cartella esattoriale). Se la cartella resta insoluta, l’Agente della Riscossione può attivare procedure esecutive senza necessità di una preventiva sentenza, in virtù del ruolo che costituisce già titolo esecutivo.
Conseguenze e poteri di riscossione: dopo la notifica della cartella, decorso il termine di legge (60 giorni, salvo piani di rateizzazione in corso), l’Agenzia Entrate Riscossione può procedere con varie azioni esecutive e cautelari, tra cui:
- Fermo amministrativo di beni mobili registrati (es. autoveicoli): iscrizione di un vincolo che impedisce l’utilizzo e la vendita del veicolo finché il debito non è saldato.
- Ipoteca esattoriale su beni immobili: può essere iscritta per debiti sopra €20.000, a tutela del credito. L’ipoteca è un gravame che precede eventuali acquirenti dell’immobile.
- Pignoramento immobiliare: può scattare per debiti sopra €120.000, con espropriazione e vendita all’asta dell’immobile del debitore. Va però sottolineato che la legge tutela in parte l’abitazione principale: l’Agente della Riscossione non può pignorare la “prima casa” del debitore se essa è l’unico immobile di proprietà ad uso abitativo e vi risiede anagraficamente (purché non di lusso). In altri termini, se il contribuente possiede solo la casa in cui vive (non classificata catastalmente come immobile di pregio), questa è impignorabile dal Fisco. Ciò non vale se il debitore ha altri immobili (in tal caso l’espropriazione può colpire quelli non adibiti ad abitazione principale, o anche la casa principale se esistono altri immobili su cui soddisfarsi) e ovviamente non impedisce ad altri creditori privati di pignorare la casa (la protezione riguarda solo l’esecuzione esattoriale).
- Pignoramento di stipendi, salari o pensioni: l’Agenzia Entrate Riscossione può pignorare direttamente presso il datore di lavoro o l’ente pensionistico una parte delle somme dovute al debitore. Per legge, nel caso di crediti erariali esistono limiti percentuali specifici: per redditi netti mensili fino a circa €2.500 il pignoramento è al massimo di 1/10, tra €2.500 e €5.000 è di 1/7, oltre €5.000 è di 1/5. Queste soglie (introdotte nel 2013) sono leggermente più favorevoli al debitore rispetto al normale limite di un quinto previsto per la generalità dei crediti (art. 545 c.p.c.), proprio per contemperare l’interesse del Fisco con la necessità di garantire mezzi di sostentamento al contribuente.
- Pignoramento di conti correnti e altri crediti: il Fisco può notificare un atto di pignoramento alla banca del debitore, bloccando le somme fino a concorrenza del debito, nonché a eventuali altri terzi debitori (ad esempio un committente che deve pagare delle fatture al debitore).
Interessi, sanzioni e termini: I debiti fiscali, oltre alla sorte capitale (l’imposta dovuta), maturano interessi di mora e sono gravati da sanzioni amministrative tributarie per l’omesso versamento. Questi oneri accessori possono far lievitare sensibilmente l’importo dovuto. Tuttavia, nelle definizioni agevolate (si veda oltre) spesso le sanzioni e gli interessi di mora vengono ridotti o azzerati, chiedendo al contribuente solo il pagamento dell’imposta base e pochi oneri.
In generale, le cartelle esattoriali per imposte decadono dopo 10 anni (termine di prescrizione ordinario dei tributi erariali) se non vengono compiute azioni interruttive; alcuni tributi locali hanno prescrizioni più brevi (5 anni). È comunque frequente che l’Agente della Riscossione invii solleciti o intimazioni entro i termini, interrompendo la prescrizione e prolungando così la possibilità di riscuotere. Inoltre, presentare un ricorso tributario o una richiesta di rateizzazione può sospendere temporaneamente le azioni esecutive.
Strumenti di tutela e soluzioni specifiche per i debiti fiscali: Per chi non riesce a pagare immediatamente, l’ordinamento prevede alcune misure ad hoc:
- La rateizzazione delle cartelle: il debitore può chiedere all’Agenzia Entrate Riscossione un piano di pagamento dilazionato. Dal 1º gennaio 2025 sono in vigore regole più favorevoli: il numero massimo di rate ottenibile su semplice richiesta (senza dover provare lo stato di difficoltà economica) è stato elevato da 72 a 84 rate mensili per le domande presentate nel 2025-2026, poi 96 rate per quelle nel 2027-2028, e 108 rate (9 anni) dal 2029 in poi. In pratica, nel biennio corrente è possibile ottenere piani fino a 7 anni senza dover presentare documenti finanziari. La soglia di debito per ciascuna istanza che beneficia di questa facilitazione è €120.000: fino a tale importo basta autocertificare una temporanea difficoltà, oltre occorre sempre documentare lo stato di obiettiva difficoltà economico-finanziaria. Per debiti molto elevati (> €120.000) e in presenza di prove di difficoltà, l’Agenzia può concedere fino a 120 rate (10 anni). È importante rispettare con rigore i pagamenti rateali: il mancato pagamento di 5 rate (anche non consecutive) fa decadere il beneficio e riattiva immediatamente la riscossione sull’intero importo residuo, con possibilità di riprendere le azioni esecutive.
- Le “definizioni agevolate” o rottamazioni delle cartelle: si tratta di provvedimenti legislativi straordinari, emanati a più riprese negli ultimi anni (2016, 2017, 2018, 2023), che consentono ai contribuenti di estinguere i carichi affidati all’esattore pagando solo una parte del dovuto. In genere queste misure permettono di evitare le sanzioni e interessi di mora, pagando solo l’imposta (e in alcune versioni anche una quota ridotta di interessi). L’ultima iniziativa di questo tipo, la “rottamazione-quater” prevista dalla Legge di Bilancio 2023, ha consentito la definizione agevolata dei ruoli affidati fino al 30 giugno 2022, con pagamento del solo tributo e interesse legale, in un massimo di 18 rate entro il 2027. Altre misure correlate hanno disposto lo “stralcio” dei mini-debiti fino a €1.000 affidati entro il 2015 (annullati d’ufficio se non già pagati). Al maggio 2025 non risultano nuovi programmi di definizione agevolata in corso, ma è bene monitorare eventuali interventi normativi futuri (spesso legati alle Leggi di Bilancio) che possano offrire opportunità per ridurre il carico fiscale pregresso.
- La transazione fiscale nell’ambito di procedure concorsuali: se il debitore decide di ricorrere a una procedura di concordato preventivo o di ristrutturazione dei debiti (che vedremo più avanti), la legge consente di includere i debiti tributari in un piano di pagamento parziale o dilazionato, previa adesione dell’ente impositore (c.d. transazione fiscale). In sostanza, l’Erario può accettare nel concordato una falcidia (riduzione) o dilazione del proprio credito, purché non inferiore a quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare del debitore. Dal 2020 l’assenza di adesione formale del Fisco non è più un ostacolo insormontabile: il tribunale può omologare il concordato anche in mancanza del voto favorevole dell’Erario se ritiene che la proposta assicuri al Fisco una soddisfazione non inferiore all’alternativa liquidatoria (principio ora inserito nel Codice della Crisi in attuazione della Direttiva UE 2019/1023). Ciò evita che un diniego irragionevole delle Entrate pregiudichi ristrutturazioni vantaggiose per tutti i creditori. Resta comunque esclusa la possibilità di abbattere l’IVA e le ritenute operate e non versate al di sotto del grado di soddisfo che avrebbero in caso di fallimento, per rispettare i vincoli comunitari (questi crediti “qualificati” devono tendenzialmente essere pagati almeno in parte privilegiata). Approfondiremo oltre il meccanismo della transazione fiscale nelle sezioni sul concordato preventivo e sulle procedure da sovraindebitamento.
- Sanzioni penali: va segnalato che, in ambito fiscale, l’inadempimento di alcuni debiti tributari può integrare reato. Non si va mai in carcere per il solo fatto di avere debiti, ma se il contribuente omette il versamento di IVA per un ammontare superiore a una certa soglia (€250.000 annui) o di ritenute fiscali certificate oltre soglia (€150.000), commette reato tributario punibile con la reclusione (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000) – a meno che paghi il dovuto entro la scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dell’anno successivo (causa di non punibilità sopravvenuta). Analogamente, l’omessa presentazione della dichiarazione o l’infedele dichiarazione sono reati a prescindere dal pagamento. Questo significa che una grave crisi di liquidità che impedisca di pagare imposte come l’IVA può avere strascichi penali: il debitore in difficoltà dovrebbe prioritariamente cercare di limitare il debito IVA (ad esempio versando almeno parzialmente, o richiedendo rateazioni per importi sotto soglia) per non incorrere in questo rischio. Attenzione: le soluzioni concorsuali (concordati, ecc.) non estinguono di per sé il reato tributario già consumato, ma il pagamento anche tardivo del tributo prima della dichiarazione di apertura del dibattimento può estinguere taluni reati (c.d. condotte riparatorie introdotte dalla riforma 2019). Inoltre, l’omologazione di un concordato preventivo con pagamento dilazionato di imposte non estingue il reato di omesso versamento, secondo l’orientamento attuale, in assenza di integrale pagamento.
In sintesi, i debiti fiscali vanno gestiti con particolare attenzione: da un lato l’Agenzia Entrate-Riscossione ha poteri incisivi ma anche vincoli procedurali (limiti su prima casa, etc.), dall’altro esistono strumenti di sollievo (rateizzazioni fino a 10 anni, rottamazioni) che possono diluire il peso. Nelle sezioni successive vedremo come questi debiti si inseriscono nelle procedure concorsuali e di sovraindebitamento: ad esempio, un piano del consumatore potrà prevedere di falcidiare un debito fiscale, ma il giudice dovrà valutare che il trattamento proposto non sia deteriore rispetto alla loro posizione privilegiata.
Debiti Previdenziali (INPS e altri enti)
I debiti previdenziali sono quelli verso enti come l’INPS (contributi pensionistici e assistenziali dovuti per i lavoratori dipendenti o per se stessi in caso di artigiani, commercianti, gestione separata, etc.) e altri istituti previdenziali o casse professionali. Anche i contributi obbligatori non versati seguono in gran parte le procedure di recupero coattivo analoghe a quelle tributarie: l’INPS iscrive a ruolo gli importi dovuti (ad esempio a seguito di avvisi di addebito) e le cartelle esattoriali contributive vengono riscosse sempre tramite Agenzia Entrate – Riscossione con le stesse regole (fermi, ipoteche, pignoramenti) viste sopra per i tributi. Le norme su ipoteca e pignoramento immobiliare, compresi i limiti sulla prima casa e la soglia di €120.000, valgono anche per i debiti verso INPS (in quanto equiparati a crediti dello Stato).
Conseguenze specifiche: La peculiarità dei debiti previdenziali sta nel fatto che una parte di essi riguarda contributi dovuti per i dipendenti: quando un datore di lavoro trattiene dalla busta paga la quota a carico del lavoratore ma non la versa all’INPS, si configura un illecito. In particolare, omesso versamento di ritenute previdenziali sopra una soglia (attualmente €10.000 annui) è reato (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983), perseguibile penalmente. Sotto tale soglia è previsto un illecito amministrativo. È tuttavia concessa la possibilità di ravvedimento: il datore di lavoro che versi le ritenute entro il termine di pagamento dei contributi successivi (tipicamente entro pochi mesi) evita la punibilità. Dunque, per un’impresa in difficoltà che non riesce a pagare stipendi e contributi, il consiglio è di non trattenere le quote dipendenti o comunque di versarle tempestivamente, eventualmente non pagando la quota a proprio carico (che non costituisce reato sebbene generi debito civile). Il debito contributivo proprio (quota datoriale) e il debito contributivo altrui (quota dipendenti) si accumulano entrambi come credito dell’INPS, ma il secondo ha implicazioni penali più gravi.
Inoltre, la presenza di debiti INPS può precludere alcuni benefici: ad esempio la mancata regolarità contributiva (assenza di DURC regolare) impedisce di partecipare ad appalti pubblici e di usufruire di alcuni incentivi. Le aziende in crisi spesso si trovano senza DURC e quindi tagliate fuori da opportunità di lavoro: ciò è un ulteriore stimolo a ricercare una soluzione strutturale al debito.
Strumenti e soluzioni per debiti INPS: Analogamente ai debiti fiscali, anche per i contributi valgono:
- La rateizzazione: l’INPS consente piani di dilazione, anche prima dell’iscrizione a ruolo. Se il debito è già in cartella, si segue la stessa procedura con l’Agenzia Riscossione (con gli stessi benefici di cui sopra: ad esempio, con le novità 2025, fino a 84 rate di dilazione semplice, ecc.). Spesso le aziende chiedono piani di rientro INPS per ottenere il DURC temporaneamente regolare: infatti, col pagamento puntuale delle rate e l’adesione al piano, l’INPS può emettere un DURC attestante la regolarità “in corso” nonostante il debito pregresso rateizzato.
- Le definizioni agevolate: nelle varie rottamazioni delle cartelle, anche i debiti contributivi rientrano (essendo carichi affidati all’agente di riscossione). Pertanto, un carico INPS è “rottamabile” alle stesse condizioni (stralcio sanzioni civili e interessi, pagando solo contributi e somme aggiuntive ridotte). Questo è stato confermato anche per la rottamazione 2023.
- Le procedure concorsuali: come per il Fisco, anche l’INPS può essere inserita in un concordato preventivo o in un accordo di ristrutturazione con una proposta di pagamento parziale. La cosiddetta transazione previdenziale segue regole simili a quella fiscale. Non c’è un espresso divieto di falcidia dei contributi (come invece per l’IVA); tuttavia, i contributi previdenziali per i lavoratori godono di un privilegio speciale e generale sul patrimonio del datore di lavoro, e in caso di concordato la proposta non può prescindere dal riconoscere a questi crediti privilegiati almeno il valore di realizzo dei beni su cui insiste il privilegio. In molti concordati, i debiti INPS per contributi lavoratori vengono proposti in pagamento integrale (soprattutto se l’azienda prosegue, per mantenere il DURC), mentre i contributi dovuti per se stessi (nel caso di ditta individuale) o le sanzioni possono essere ridotti. Importante: la giurisprudenza ha chiarito che i debiti INPS sono esdebitabili al pari degli altri, non essendovi esclusioni esplicite in tal senso. In passato si discuteva se i contributi previdenziali fossero “debiti per alimenti” (e quindi non cancellabili), ma la Cassazione ha escluso tale assimilazione. Dunque, anche i debiti contributivi rientrano nel perimetro delle procedure di sovraindebitamento e, se il piano o la liquidazione si chiudono regolarmente, il debitore persona fisica può ottenerne l’esdebitazione. Su questo torneremo parlando di esdebitazione.
In sintesi, i debiti previdenziali condividono molti tratti con quelli fiscali: sono assistiti da forte tutela pubblica, ma allo stesso tempo l’ordinamento consente di diluirli o di falcidiarli in procedure concorsuali, a patto di rispettare certe condizioni (ad es. non penalizzare i crediti contributivi rispetto ai chirografari comuni). Inoltre, data la rilevanza sociale, esistono fondi di garanzia pubblici (ad es. per il TFR e gli ultimi stipendi in caso di insolvenza dell’azienda) che però poi surrogano l’INPS come creditore nel recupero.
Debiti Bancari e Finanziari
I debiti verso banche o intermediari finanziari includono una vasta gamma di esposizioni: mutui ipotecari, finanziamenti chirografari, affidamenti di conto corrente (scoperti o anticipi su fatture), leasing, prestiti personali, carte di credito revolving, ecc. Questi debiti, essendo contratti con soggetti privati regolati dal diritto civile, seguono in caso di insolvenza le normali regole dell’esecuzione forzata privata: la banca, in quanto creditore, dovrà in genere ottenere un titolo esecutivo (come un decreto ingiuntivo) e poi attivare pignoramenti sui beni del debitore. Tuttavia, spesso i contratti bancari contengono clausole (come la ricognizione di debito o la clausola risolutiva espressa) che consentono di abbreviare i tempi: ad esempio, al mancato pagamento di alcune rate di mutuo la banca può ritenere risolto il contratto e agire direttamente per il recupero del credito residuo. Inoltre, molti debiti bancari sono garantiti da diritti reali (ipoteche su immobili, pegni su titoli) o personali (fideiussioni di terzi).
Conseguenze tipiche dell’inadempimento verso banche:
- In caso di mutuo ipotecario non pagato, la banca dopo un certo numero di rate scadute (di solito 6-8 mensilità, salvo patto commissorio vietato) può iniziare la procedura esecutiva immobiliare: si tratta del classico pignoramento della casa ipotecata e sua vendita all’asta. L’ipoteca attribuisce alla banca un privilegio sul ricavato dell’asta, fino a concorrenza del suo credito (capitale residuo, interessi, spese legali).
- Per scoperti di conto o altri crediti chirografari (finanziamenti non garantiti), la banca spesso chiede un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (ex art. 642 c.p.c., se c’è prova scritta del credito) e poi procede con pignoramenti mobiliari, presso terzi (stipendi, conti) o immobiliari. Se la somma è elevata, può iscrivere ipoteca giudiziale su un immobile del debitore appena ottenuta l’ingiunzione.
- Nel caso di leasing, se l’utilizzatore non paga i canoni, la società di leasing può risolvere il contratto e riprendere possesso del bene (ad esempio un macchinario, un veicolo), chiedendo poi al debitore il pagamento del debito residuo (eventualmente diminuito del valore del bene ripreso).
- Carte di credito e prestiti personali: sono spesso chirografari; inadempimento comporta segnalazione in centrali rischi (come CRIF) e azione giudiziaria per il recupero. La segnalazione negativa incide sul rating creditizio del debitore, precludendogli l’accesso ad altri finanziamenti.
Garanzie personali: Molti debiti bancari di imprenditori vedono le fideiussioni personali dei titolari o di terzi (es. coniuge, genitori) a garanzia. Ciò significa che se l’impresa non paga, la banca può agire anche sul patrimonio personale del garante. Questo spesso moltiplica la crisi: al fallimento dell’azienda segue l’aggressione dei beni personali dell’imprenditore (che magari aveva dato ipoteca sulla casa a garanzia di un mutuo aziendale) e dei fideiussori. È importante sapere che le procedure di gestione della crisi (concordati, piani del consumatore, ecc.) non proteggono i fideiussori: il beneficio della liberazione dai debiti (esdebitazione) opera solo per il debitore che ha utilizzato la procedura, e non si estende ai terzi garanti. Dunque, ad esempio, se una società ottiene un concordato con stralcio dei debiti bancari, il fideiussore può comunque essere chiamato a pagare l’intero residuo. Solo il fideiussore stesso, se insolvente, potrà eventualmente attivare una propria procedura di sovraindebitamento per liberarsi.
Strategie di gestione dei debiti bancari: Le banche, a differenza del Fisco, possono essere più flessibili in alcuni casi, perché mirano a recuperare il proprio credito senza necessariamente attivare lunghe esecuzioni giudiziarie. Possibili approcci:
- Rinegoziazione o moratoria: in caso di difficoltà temporanea, si può chiedere alla banca una rinegoziazione del mutuo (ad esempio allungando la durata per ridurre la rata) o una moratoria (sospensione delle rate per un certo periodo). Dal 2010 in poi varie iniziative normative (es. il Piano Famiglie ABI, Fondo di solidarietà prima casa, ecc.) hanno favorito la concessione di sospensioni delle rate mutuo per eventi specifici (perdita lavoro, crisi economiche).
- Accordo transattivo a saldo e stralcio: se il debitore dispone di una somma inferiore al dovuto (ad es. grazie all’aiuto di un familiare) può proporre alla banca di accettare un pagamento parziale immediato a stralcio del debito. Spesso le banche accettano stralci quando ritengono che in caso di esecuzione recupererebbero meno o attenderebbero troppo: ad es., su crediti chirografari in sofferenza venduti a società di recupero crediti, è comune chiudere con il 20-30% del saldo.
- Consolidamento: cercare di ottenere un nuovo finanziamento (magari garantito da ipoteca su un immobile di famiglia) per pagare i debiti pregressi e avere un’unica rata sostenibile. Questa opzione però richiede che il debitore sia ancora affidabile per il sistema bancario (il che non è scontato se ci sono insoluti e segnalazioni in centrale rischi).
- Procedura concorsuale: se i debiti bancari sono ingenti e non c’è accordo stragiudiziale, l’impresa o la persona sovraindebitata può ricorrere a una procedura giudiziale (concordato, piano del consumatore). In tale sede le banche saranno trattate secondo il piano: ad esempio potrebbero ricevere una percentuale ridotta del credito, o il trasferimento dell’immobile ipotecato e l’esdebitazione per la parte residua. Le banche votano nei concordati (nel concordato preventivo per imprese o nel concordato minore per piccoli imprenditori) e la loro adesione è spesso decisiva; nel piano del consumatore invece la banca subisce le decisioni omologate dal giudice senza potersi opporre direttamente (non c’è voto).
- Garanzie reali: se il debito bancario è coperto da ipoteca su un immobile fondamentale (es. la casa di abitazione), si deve valutare attentamente la strategia. Una liquidazione concorsuale (fallimento o liquidazione controllata) comporterà quasi certamente la vendita di quell’immobile da parte del curatore, perché il creditore ipotecario ha diritto di essere soddisfatto. Invece, un approccio stragiudiziale o un concordato in continuità potrebbero consentire di conservare il bene, ad esempio vendendo altri asset o prevedendo il pagamento graduale del mutuo. È fondamentale quindi, quando possibile, anticipare la crisi e negoziare con la banca prima che scatti l’esecuzione forzata, magari mettendo sul piatto un piano credibile supportato da advisor finanziari. Spesso gli istituti di credito, se vedono collaborazione e trasparenza, preferiscono una ristrutturazione interna del debito (magari trasformando fidi a breve in prestiti a medio termine) piuttosto che spingere l’azienda in fallimento e liquidare le garanzie, con rischio di incassare meno.
In sintesi, i debiti bancari richiedono un approccio calibrato: contrattuale (trattative private) finché si può, e concorsuale quando il peso diventa insostenibile. Nel prosieguo vedremo come, ad esempio, nel concordato preventivo i crediti bancari ipotecari costituiscono classe separata e vanno soddisfatti almeno fino al valore di stima dell’immobile, mentre nel piano del consumatore il giudice può anche modulare il pagamento di un mutuo prima casa tenendo conto dei bisogni familiari (c’è giurisprudenza che consente di allungare il termine di pagamento fino a 30 anni se necessario). L’importante per l’imprenditore è evitare la tentazione di indebitarsi ulteriormente (es. aprire nuovi fidi per coprire i vecchi) senza un piano di rilancio: ciò porterebbe solo ad aggravare la situazione e potrebbe configurare responsabilità per mala gestio.
Debiti Commerciali (Fornitori, Affitti, Utenze, Privati)
I debiti commerciali sono quelli contratti nell’ambito dell’attività di impresa o professionale verso altri operatori economici: fatture verso fornitori di merci e servizi, canoni di locazione di locali, bollette non pagate, debiti verso consulenti, ecc. Per i privati consumatori, debiti commerciali potrebbero essere bollette di casa insolute, canoni d’affitto arretrati, spese condominiali, acquisti a rate. Questa categoria di debiti è generalmente chirografaria (non assistita da garanzie reali o privilegi, salvo eccezioni come il privilegio del locatore per i canoni sugli ultimi mesi su beni mobili nell’immobile). Tuttavia, se il debitore non paga, i creditori commerciali hanno vie relativamente semplici per ottenere un titolo esecutivo: spesso basta una fattura non contestata o un contratto per ottenere un decreto ingiuntivo dal giudice in tempi rapidi (30-60 giorni, anche inaudita altera parte se il credito è provato documentalmente). Decorso inutilmente il termine per pagare (40 giorni dall’ingiunzione, salvo opposizione), il creditore potrà procedere con pignoramenti come già visti (conto corrente, stipendio, beni mobili o immobili).
Conseguenze specifiche: Diversamente dal Fisco, un creditore privato non ha vincoli su quale bene aggredire: ad esempio, può pignorare la prima casa del debitore (non esistendo per i privati una norma di salvaguardia equivalente a quella contro l’esproprio esattoriale) – e infatti banche o padroni di casa procedono talvolta con pignoramento della casa per affitti non pagati, cosa preclusa invece all’Agente pubblico in certe situazioni. Naturalmente la convenienza economica guida l’azione: spesso il fornitore insoddisfatto preferirà pignorare un conto bancario o le merci in magazzino piuttosto che un immobile con ipoteche.
Un effetto significativo dell’inadempimento commerciale è la perdita di fiducia sul mercato: fornitori importanti potrebbero sospendere le forniture (applicando clausole di riserva di proprietà, se presenti, per riprendersi i beni non pagati), i locatori potrebbero attivare la risoluzione dei contratti di affitto e lo sfratto per morosità (liberando i locali dell’azienda), i fornitori di utenze essenziali (luce, gas) possono sospendere il servizio in mancanza di piani di rientro. Inoltre, il buon nome dell’imprenditore viene compromesso, soprattutto se vengono protestati effetti (assegni, cambiali) o se risultano insoluti su piazza: ciò può spingere altri creditori, temendo di restare ultimi, ad agire rapidamente.
Nei casi più gravi, più creditori potrebbero coordinarsi (ad esempio presentando istanze di fallimento): va ricordato che la legge consente a un creditore anche singolo di chiedere il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’imprenditore commerciale insolvente, purché il credito sia certo, liquido ed esigibile e vi siano i presupposti dimensionali (vedi oltre). Spesso i fornitori attivano questa leva per non restare schiacciati dal dissesto dell’azienda debitrice: preferiscono un fallimento che cristallizzi la situazione e magari distribuisca qualcosa anche a loro, piuttosto che vedere l’impresa proseguire accumulando altri debiti. Ad esempio, se un’azienda smette di pagare tutti e alcuni fornitori chiave, questi ultimi possono depositare un’istanza in tribunale per aprire la procedura concorsuale.
Strategie di gestione dei debiti commerciali:
- Negoziazione individuale: il primo passo è quasi sempre cercare un accordo con ciascun fornitore. Se la crisi è temporanea, molti creditori accettano di rinviare le scadenze o diluire i pagamenti (magari dietro promessa di un piccolo interesse di mora, o semplicemente per non perdere il cliente). È fondamentale però essere trasparenti e credibili: presentare un piano di rientro scritto può aiutare. Attenzione a non incorrere in trattamenti preferenziali illeciti: un imprenditore in crisi profonda deve evitare di pagare solo alcuni fornitori lasciando altri a bocca asciutta in prossimità del fallimento, perché quei pagamenti potrebbero essere revocati dal curatore come atti preferenziali (se fatti conoscendo lo stato di insolvenza). Se però si sta perseguendo un percorso di risanamento, pagare alcuni creditori strategici può essere sensato (ad es. il fornitore di materie prime essenziali, senza il quale l’azienda si ferma).
- Accordi plurilaterali (accordi di ristrutturazione stragiudiziali): se i debiti sono diffusi, l’imprenditore può tentare un accordo collettivo con un gruppo di creditori. In ambito puramente stragiudiziale, ciò richiede l’adesione volontaria di tutti; in pratica si può organizzare un incontro con i principali creditori e proporre un piano di ristrutturazione in cui ciascuno accetta magari un pagamento parziale (es. 70%) entro una certa data, con garanzie aggiuntive (cambiali, riconoscimento di debito) a fronte dell’impegno di non agire nel frattempo. Questi accordi sono difficili da raggiungere senza l’ombrello del tribunale, perché basta un dissenziente per far saltare il banco. Tuttavia, se si riesce, consentono di evitare la pubblicità di una procedura concorsuale. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui parleremo più avanti (art. 57 CCII, ex art. 182-bis L.F.) sono la versione omologata dal tribunale di tali intese, con il vantaggio che, se il 60% dei creditori (in valore) aderisce, l’accordo può diventare vincolante anche per gli eventuali dissenzienti (salvo eccezioni come l’Erario, che dev’essere sempre aderente se falcidiato).
- Azioni difensive: un debitore in difficoltà, se teme aggressioni disordinate, può valutare di prendere iniziative come la costituzione di un fondo patrimoniale o di un trust, o intestare beni a terzi di fiducia. Bisogna però porre molta attenzione: atti del genere compiuti quando i debiti sono già presenti rischiano di essere revocati o, peggio, di configurare reati di sottrazione fraudolenta al pagamento dei creditori. Il codice penale (art. 388) punisce chi dispone dei propri beni per frustrare il diritto dei creditori. Inoltre, un fallimento successivo potrebbe revocare atti di disposizione fatti nell’anno o nei 6 mesi precedenti (a seconda che siano a titolo gratuito o oneroso) se pregiudizievoli. Quindi, spossessarsi di beni all’ultimo momento di solito aggrava soltanto la posizione (facendo perdere i beni e incorrere in guai giudiziari). Soluzioni protettive del patrimonio vanno pianificate in tempi non sospetti e con rigore di legge.
- Intervento di terzi o nuovi soci: talvolta l’unica via per pagare i debiti commerciali è far entrare liquidità fresca: un investitore che apporti capitale, un socio che finanzi a lungo termine, o la cessione dell’azienda a un soggetto più solido che si accolli i debiti (o almeno quelli strategici). Queste operazioni rientrano però più nel campo del risanamento aziendale che tratteremo nella composizione negoziata: qui basti notare che se esiste una prospettiva di salvare l’impresa, cercare capitali o partners è preferibile al prolungare l’agonia finanziaria.
Riassumendo, i debiti commerciali sono spesso il primo segnale della crisi (si smette di pagare i fornitori). Essi hanno un impatto diretto sull’operatività del business e vanno affrontati con tempestività. Nella sezione sulle procedure concorsuali, vedremo che in un concordato preventivo o minore i fornitori sono generalmente creditori chirografari cui viene proposto un pagamento parziale (es: “30% in 2 anni”), mentre in un fallimento rischiano di non vedere quasi nulla. Farli partecipare a un piano concordatario con una soddisfazione superiore a zero può quindi convincerli a votare a favore e attendere. In un piano del consumatore (per debiti personali) i creditori commerciali non votano, ma il giudice deve verificare che il piano sia equo e fattibile rispetto a loro. Ad esempio, se un consumatore non paga l’affitto, potrebbe proporre nel piano di saldare gli arretrati in 5 anni: il locatore non vota ma potrebbe opporsi se la dilazione è irragionevole, e il giudice valuterà.
Dopo aver analizzato le tipologie di debiti, appare chiaro che quando “non si possono pagare i debiti” le conseguenze possono essere gravi: pignoramenti, perdita di beni, cause legali, fino alla prospettiva di un fallimento per gli imprenditori. Nel contempo, abbiamo accennato a possibili rimedi specifici (rateizzazioni, transazioni) per guadagnare tempo o ridurre il carico. Tuttavia, se la situazione è di insolvenza conclamata – ossia se il debitore non è in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni – è necessario passare a soluzioni più strutturate. Queste soluzioni rientrano in due macro-categorie: strumenti stragiudiziali (accordi volontari, senza l’intervento formale del tribunale) e procedure giudiziali concorsuali (dove interviene l’autorità giudiziaria, con effetti vincolanti erga omnes). Le due strade non sono mutualmente esclusive: spesso si tenta prima la via stragiudiziale e, se fallisce, si ricorre a quella giudiziale. Nel capitolo seguente esploreremo gli strumenti stragiudiziali, per poi addentrarci nelle procedure concorsuali (distinguendo tra imprese/professionisti e persone fisiche consumatori).
Strumenti Stragiudiziali per Gestire la Crisi Debitoria
Quando i debiti diventano ingovernabili, non sempre è necessario rivolgersi subito al tribunale. L’ordinamento e la prassi commerciale offrono alcuni strumenti per cercare di risanare o regolare la situazione in modo stragiudiziale, ovvero attraverso accordi e piani concordati con i creditori senza l’apertura formale di una procedura concorsuale. Questi strumenti hanno il vantaggio di essere riservati (evitando la pubblicità e lo stigma del fallimento) e spesso più rapidi; di contro, richiedono la volontaria adesione dei creditori coinvolti, non essendo imposti con la forza della legge (tranne alcune eccezioni di omologazione parziale). Vediamo i principali.
Negoziazione e Accordi Privati con i Creditori
Il metodo più semplice, già in parte discusso, consiste nel negoziare direttamente con i creditori una soluzione. Questo può assumere forme diverse:
- Accordi bilaterali di dilazione o riduzione del debito: Si formalizzano spesso con scritture private in cui il creditore si impegna a non agire esecutivamente purché il debitore rispetti un certo piano di pagamento (piano di rientro). Tali piani possono prevedere rate mensili, trimestrali, ecc., oppure un pagamento unico posticipato (es. “ti pago tra 6 mesi il 50% del dovuto e ti esonero il resto”). È essenziale farsi rilasciare quietanze e liberatorie scritte in caso di stralcio parziale.
- Transazioni a saldo e stralcio: Come detto, il debitore offre un importo ridotto e il creditore accetta di considerare il debito estinto. Giuridicamente è una transazione ai sensi dell’art. 1965 c.c., con cui si evita una lite rinunciando entrambi a qualcosa (il creditore rinuncia a una parte del credito, il debitore magari si impegna a pagare subito la parte convenuta). Queste transazioni andrebbero documentate (anche via PEC o scrittura controfirmata) per evitare che, in futuro, il creditore o un eventuale cessionario del credito richieda nuovamente la differenza.
- Moratorie e standstill agreements: Quando ci sono più creditori finanziari (es. un pool di banche), talvolta si stipula un accordo di standstill in cui tutti si impegnano a congelare le azioni legali per un periodo, durante il quale il debitore presenterà un piano di ristrutturazione. Questi accordi, tipici per aziende medio-grandi, servono ad evitare il panico tra creditori e guadagnare tempo.
- Associazioni dei consumatori o organismi di mediazione: Per debitori civili, a volte ci si rivolge a enti di mediazione o conciliazione per facilitare un accordo soprattutto con banche/finanziarie. Ad esempio, esiste la possibilità di attivare una procedura di mediazione civile (ex D.Lgs. 28/2010) su controversie da contratto di finanziamento: in sede di mediazione si può tentare un saldo e stralcio con l’ausilio di un mediatore terzo.
Vantaggi: Gli accordi stragiudiziali evitano i costi e la complessità di una procedura concorsuale, lasciano al debitore il controllo della propria attività (nessun curatore entra in gestione) e possono essere tenuti riservati (nessuna iscrizione nei registri pubblici, tranne eventuali registrazioni di atti come riconoscimenti di debito). Inoltre, sono flessibili: le parti possono concordare liberamente le condizioni (salvo limiti di legge, es. non pattuire interessi usurari, etc.).
Svantaggi e rischi: Il principale limite è che vincolano solo chi aderisce. Un accordo con metà dei creditori non impedisce agli altri di agire aggressivamente. Anche un accordo con tutti i creditori può fallire se anche uno solo successivamente cambia idea e avvia un’azione esecutiva: non essendoci una procedura generale che “congela” i crediti, il rischio di iniziative individuali permane. Inoltre, tali accordi non beneficiano di effetti automatici come la parità di trattamento: nulla vieta che un debitore paghi subito un creditore negoziando uno stralcio e lasci indietro un altro – ma così facendo espone quegli altri a un danno e se poi si fallisce, quei pagamenti potrebbero essere sindacati (pagamenti preferenziali). In pratica, gli accordi privati funzionano bene se tutti i creditori principali sono pochi e sono d’accordo nel dare tempo o ridurre il credito. Se i creditori sono molti e dispersi, è difficile ottenere unanimità senza un quadro normativo.
Piani Attestati di Risanamento (Art. 56 CCII, ex art. 67 L.F.)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento previsto dalla legge (originariamente art. 67, co. 3, lett. d) della vecchia Legge Fallimentare, ora trasfuso nell’art. 56 del Codice della Crisi) che offre un ombrello protettivo limitato agli accordi stragiudiziali di risanamento dell’impresa. In sostanza:
- L’imprenditore in crisi predispone, con l’ausilio di esperti, un piano di risanamento aziendale, cioè un documento che analizza le cause della crisi, le azioni da intraprendere (ristrutturazione del debito, taglio costi, cessione di asset, aumento di capitale, ecc.) e mostra che l’azienda può tornare in equilibrio finanziario.
- Un professionista indipendente (iscritto a registro apposito) esamina il piano e rilascia un’attestazione di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano medesimo.
- Il piano viene sottoscritto dai creditori coinvolti nell’accordo (ad esempio le banche principali che accettano di diluire i loro crediti, i fornitori che concedono sconti, ecc.).
- L’esistenza del piano attestato viene pubblicata nel Registro delle Imprese (deposito del documento e dell’attestazione).
Il beneficio che la legge attribuisce è specifico: gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 56 CCII richiama il vecchio art. 67 L.F.). Cioè, se un piano attestato va male e l’impresa poi fallisce, le transazioni fatte in buona fede secondo quel piano (es. pagamento di taluni creditori, concessione di garanzie a nuovi finanziatori, cessione di rami d’azienda) non potranno essere contestate come preferenziali o distrattive. Ciò serve a incoraggiare i creditori a partecipare: ad esempio, una banca che nel piano concede nuova finanza e prende ipoteca a garanzia, sa che se poi l’azienda fallisce quell’ipoteca non verrà revocata (mentre senza piano sarebbe una garanzia concessa in periodo sospetto e a rischio revoca).
Il piano attestato non comporta una moratoria legale: non c’è sospensione automatica delle azioni esecutive. Tuttavia, di solito i creditori firmatari si impegnano a non agire, quindi è come una tregua pattizia.
Questo strumento è adatto a situazioni di crisi reversibile, in cui l’imprenditore ha la possibilità di risanare (non solo liquidare), e gode ancora della fiducia di banche/fornitori. Si pensi a un’azienda che ha attraversato un calo di fatturato ma ha ordini per il futuro: con un piano attestato convince le banche a non revocare i fidi e magari ad erogare liquidità per la ripresa, assicurando che taglierà certi costi e venderà immobili non strategici per rimborsare parte dei debiti.
Il piano attestato resta un accordo privato: se un creditore non aderente decide di aggredire l’azienda, l’azienda dovrà difendersi con i normali mezzi (ad es. pagando quel creditore, o proponendo un concordato preventivo d’urgenza). Spesso, per evitare il problema, l’imprenditore contesta formalmente quei crediti e chiede al tribunale misure cautelari: non c’è però una norma specifica di “automatic stay” come nel concordato.
In sintesi, il piano attestato è uno strumento di soft law: molto utile quando c’è consenso diffuso e concreto sul rilancio dell’azienda, ma inefficace se la situazione è talmente grave che i creditori vogliono scappare col poco che possono prendere.
Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ad efficacia giudiziale, Art. 57-64 CCII)
Un gradino più “ufficiale” rispetto al piano attestato è l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale. Questo istituto, nato come art. 182-bis Legge Fall., è oggi disciplinato dagli artt. 57-64 del Codice della Crisi. Si tratta sempre di un accordo volontario con i creditori, ma con due differenze cruciali:
- Coinvolgimento del tribunale per l’omologazione: Il debitore (imprenditore o anche professionista/imprenditore minore) che raggiunge un accordo con una percentuale qualificata di creditori (almeno il 60% in valore dei crediti) può chiedere al tribunale di omologare tale accordo. L’omologazione lo rende vincolante per tutti i creditori che hanno aderito e, in alcuni casi, può anche estenderne gli effetti ai creditori dissenzienti (lo vediamo dopo).
- Sospensione delle azioni esecutive: Dal momento in cui il debitore deposita in tribunale la domanda di omologazione dell’accordo (corredata dalla documentazione e attestazioni richieste), egli può chiedere delle misure protettive temporanee, ossia il tribunale può vietare o sospendere le azioni esecutive individuali dei creditori sul patrimonio del debitore durante la pendenza della procedura (per un periodo iniziale fino a 4 mesi, prorogabile fino a 12 in casi complessi). Questo automatic stay protegge il debitore mentre perfeziona l’accordo.
Caratteristiche principali: Un accordo di ristrutturazione è molto flessibile nel contenuto: può prevedere dilazioni, stralci, conversione di crediti in capitale, ecc., secondo ciò che è negoziato con i creditori. Serve un professionista attestatore che certifichi la veridicità dei dati aziendali e il fatto che l’accordo consente di pagare integralmente i creditori estranei entro 120 giorni dalle scadenze (o dalla omologazione). Infatti, i creditori che non aderiscono devono essere comunque pagati per intero entro certi termini (non vengono forzosamente falcidiati, a meno che si attivi la variante ad efficacia estesa).
Varianti e novità: Il Codice della Crisi ha introdotto degli accordi speciali, tra cui:
- Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII): se si raggiunge un accordo con la maggioranza dei creditori di una certa categoria (ad es. banche), si può chiedere al tribunale di estenderlo anche ai dissenzienti di quella categoria, purché questi abbiano possibilità di soddisfo non inferiore a quella degli aderenti e vi sia omogeneità di posizione. Questo strumento recepisce la Direttiva UE sull’insolvency, avvicinandosi a un cram-down settoriale (simile ai classici Chapter 11 statunitensi, con classi).
- Accordi agevolati con intermediari finanziari: la legge consente accordi di ristrutturazione semplificati se il debitore ottiene l’adesione di almeno il 75% dei crediti finanziari (banche, leasing), riducendo formalità (art. 60 CCII).
- Transazione fiscale e contributiva: l’accordo può includere la falcidia di tributi e contributi se l’Agenzia delle Entrate e l’INPS aderiscono. Come già detto, oggi il tribunale può omologare anche in caso di diniego del Fisco se l’offerta è conveniente (cd. cram-down fiscale).
- Accordi minori per sovraindebitati: in parallelo esistono gli accordi di ristrutturazione nell’ambito del sovraindebitamento (ex legge 3/2012), di cui parleremo – oggi assorbiti nella figura del concordato minore per soggetti non fallibili.
Quando usare un accordo di ristrutturazione? Spesso quando l’azienda è in crisi ma relativamente sana, con pochi creditori grandi e molti creditori piccoli che verranno comunque pagati integralmente. In questi casi, un concordato preventivo (che richiede il coinvolgimento di tutti i creditori e soglie di voti) sarebbe eccessivo, mentre un accordo con le banche e fornitori principali può risolvere il 60-70% del debito e permettere alla società di continuare, pagando poi i restanti al 100%. Gli accordi di ristrutturazione sono stati molto utilizzati dalle medio-grandi imprese nell’ultimo decennio, specie nel settore industriale e immobiliare.
Esempio: un’azienda immobiliare ha 3 banche esposte per 30 milioni (garantiti da ipoteche su vari cantieri) e 100 piccoli fornitori esposti per 5 milioni totali. L’azienda può proporre un accordo alle banche (che detengono il 85% del debito): le banche allungano le scadenze e rinunciano a 5 milioni di interessi, l’azienda cede alcuni immobili non strategici per pagare i fornitori al 100% e ridurre il debito a 25 milioni, poi riprende a pagare regolarmente. Se tutte (o almeno il 60%) delle banche aderiscono, l’accordo si omologa e diventa vincolante. I fornitori, essendo pagati integralmente a scadenza, non aderiscono ma sono tranquilli. Le banche ottengono alla fine forse di più di quanto avrebbero ricavato da un fallimento e mantengono il cliente.
Limiti: Come tutte le soluzioni concorsuali in continuità, la tenuta del piano di risanamento è la chiave: occorre che il business effettivamente generi le risorse promesse. In un accordo omologato, se il debitore non rispetta gli impegni, i creditori potranno agire immediatamente (non c’è un commissario o liquidatore di default come nel concordato, a meno che l’accordo stesso non preveda clausole risolutive). In caso di inadempimento sostanziale, spesso si finisce per depositare un’istanza di fallimento o un concordato successivo.
Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa
Una grande novità introdotta nel nostro ordinamento nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021) e ora stabilizzata nel Codice della Crisi (artt. 17-25 quinquies CCII) è la composizione negoziata della crisi. Si tratta di uno strumento ibrido: inizia come percorso stragiudiziale, ma con la supervisione di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione (su istanza dell’imprenditore in crisi). L’idea è quella di anticipare la gestione della crisi, aiutando l’imprenditore a trovare una soluzione prima che l’insolvenza diventi irreversibile.
Come funziona la composizione negoziata (CNC):
- L’imprenditore commerciale (di qualsiasi dimensione, anche piccolo o medio) che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, ma ancora reversibili, può fare istanza tramite una piattaforma on-line dedicata, indicando la situazione aziendale e le cause della crisi.
- Viene designato dalla Camera di Commercio un esperto indipendente (di norma un commercialista o avvocato con esperienza in ristrutturazioni) che assiste l’imprenditore nelle trattative con i creditori. L’esperto, dopo aver analizzato l’azienda, convoca i creditori principali e cerca di facilitare un accordo: può prospettare soluzioni come nuove finanze, dilazioni, conversione debiti in capitale, cessione di rami d’azienda, ecc.
- Durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere al tribunale delle misure protettive temporanee: simili a quelle degli accordi di ristrutturazione, quindi sospensione delle azioni esecutive per la durata della composizione (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili).
- L’esperto alla fine redige una relazione conclusiva: se la negoziazione ha successo, si formalizza l’accordo (che può essere un semplice accordo stragiudiziale con taluni creditori, oppure sfociare in uno degli strumenti concorsuali visti: ad es. i creditori possono convenire di fare un accordo ex art. 57 CCII, o un concordato preventivo su cui c’è già il consenso).
- Se la composizione negoziata fallisce (cioè non si trova alcuna intesa), l’imprenditore può decidere di accedere a una procedura concorsuale semplificata: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.
La composizione negoziata è volontaria e confidenziale (all’inizio non viene pubblicizzata, salvo le misure protettive che vanno iscritte al registro imprese). La ratio è creare uno spazio sicuro per trattare, con la garanzia per i creditori che c’è un esperto imparziale che vigila e li informa sulla reale situazione dell’azienda (quindi riduce asimmetrie informative).
Vantaggi: Consente di evitare la procedura concorsuale formale se si trova un accordo. Non comporta di per sé spossessamento: l’imprenditore resta al timone dell’impresa (anche se l’esperto può suggerire di nominare un CRO o adottare misure correttive). Se l’impresa ha chance di sopravvivenza, la CNC può portare ad esiti come nuovi finanziamenti prededucibili (la legge agevola chi finanzia durante la composizione, garantendo prededuzione nel caso di successivo fallimento), accordi con fornitori per continuare le forniture (anche qui con protezione: i fornitori che accordano dilazioni non vedranno quei pagamenti revocati). Insomma, è uno strumento di allerta e di soluzione precoce.
Limiti: È efficace solo se l’imprenditore vi accede tempestivamente, appena emergono segnali di crisi. Se aspetta troppo ed è già insolvente grave, la CNC rischia di essere solo una perdita di tempo prima del fallimento. Inoltre, non c’è alcuna garanzia di successo: i creditori possono comunque rifiutare le proposte. La figura dell’esperto facilita ma non impone. Se alcuni creditori sono ostili o hanno interessi contrapposti, la negoziazione può arenarsi.
Esito fallimentare – Concordato semplificato: Come accennato, la legge prevede una via d’uscita se la composizione negoziata non genera accordi soddisfacenti ma l’imprenditore vuole comunque evitare il fallimento: è il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (artt. 25-sexies e seg. CCII). Questo concordato speciale è riservato ai casi di fallimento della CNC: l’imprenditore, entro 60 giorni dalla chiusura infruttuosa delle trattative, può proporre al tribunale un piano di concordato che prevede la liquidazione dei beni sotto controllo giudiziario e la distribuzione del ricavato ai creditori, senza bisogno di voto dei creditori (proprio perché si presume che la fase negoziale abbia già dimostrato l’impossibilità di raggiungere consenso). È quindi una procedura concorsuale straordinaria e residuale, da usare come extrema ratio. Il tribunale valuta la fattibilità del piano e l’assenza di pregiudizio per i creditori rispetto a un fallimento, e può omologarlo nonostante il dissenso dei creditori. In pratica è un concordato liquidatorio imposto, per chiudere più rapidamente la situazione evitando la procedura di liquidazione giudiziale ordinaria. Come vedremo più avanti, il concordato semplificato conduce comunque all’esdebitazione del debitore persona fisica, analogamente alla liquidazione.
La composizione negoziata e il successivo concordato semplificato sono innovazioni recenti, segno della volontà del legislatore di incentivare la soluzione anticipata delle crisi. Dal dato statistico, nei primi anni di applicazione molte aziende hanno tentato la CNC, con qualche successo in termini di accordi di risanamento, e in altri casi sfociando in concordati semplificati. Ad esempio, si registrano in Italia (dati 2023) centinaia di istanze di CNC, molte delle quali chiuse con esito positivo (accordi stragiudiziali o transazioni fiscali) e alcune decine sfociate in concordati semplificati. Il bilancio è quindi moderatamente positivo, specie per PMI che altrimenti sarebbero fallite senza tentativi di ristrutturazione.
In conclusione su strumenti stragiudiziali: Il debitore in crisi dovrebbe sempre valutare se esiste margine per evitare il tribunale, attivando una di queste opzioni. Se i creditori chiave collaborano e c’è ancora fiducia, spesso la via negoziale è la migliore: consente di salvare valore (le procedure concorsuali sono costose e lunghe) e mantenere relazioni commerciali. Tuttavia, occorre realismo: quando la voragine debitoria è troppo grande o la sfiducia è radicata, insistere in trattative private può solo peggiorare la situazione (ad esempio consumando cassa in pagamenti preferenziali inutili) e far perdere tempo prezioso. In quei casi è preferibile passare per tempo alle procedure concorsuali, che offrono un quadro legale più robusto per gestire l’insolvenza in modo ordinato.
Nel prossimo capitolo, dunque, affronteremo le procedure giudiziali previste dal diritto italiano per chi non può pagare i debiti: distingueremo tra le procedure dedicate alle imprese e professionisti (soggetti fallibili e non fallibili) e quelle per i privati consumatori, esaminando in dettaglio come funzionano il concordato preventivo, il fallimento (liquidazione giudiziale), il concordato minore, il piano del consumatore, la liquidazione controllata, ecc., alla luce del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
Procedure Giudiziali per Imprese e Professionisti
Passiamo ora alle soluzioni concorsuali giudiziali, ovvero quelle procedure disciplinate dalla legge e gestite con l’intervento dell’autorità giudiziaria, volte a risolvere la situazione di insolvenza di imprenditori e società (nonché di professionisti e piccoli imprenditori, con procedure ad hoc). Queste procedure rientrano tradizionalmente nel diritto fallimentare, anche se con il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) si è cercato di superare la terminologia di “fallimento” in favore di espressioni meno stigmatizzanti come liquidazione giudiziale. Per chiarezza espositiva distingueremo:
- Procedure per imprenditori commerciali “maggiori”, soggetti alla liquidazione giudiziale (ossia i “vecchi fallibili”).
- Procedure per imprese minori e professionisti (sovraindebitati non fallibili), che rientrano nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata).
- All’interno di ciascun gruppo, distingueremo le procedure di risanamento (concordati con continuità, ristrutturazioni) da quelle liquidatorie (liquidazione giudiziale o controllata).
- Approfondiremo, dove opportuno, le differenze introdotte dalla nuova disciplina del CCII rispetto alla vecchia legge fallimentare e legge sul sovraindebitamento, sottolineando i requisiti di accesso e i vantaggi di ogni procedura.
Presupposti generali e definizioni (Insolvenza e soglie di fallibilità)
Il presupposto oggettivo per aprire una procedura concorsuale è generalmente lo stato di insolvenza del debitore, definito come l’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Nel Codice della Crisi esiste anche la nozione di stato di crisi, che indica il probabile futuro insolvente (concetto di difficoltà prospettica), ma per l’apertura della maggior parte delle procedure serve la conclamata insolvenza.
Dal punto di vista soggettivo, occorre distinguere chi può essere assoggettato alle procedure maggiori. La vecchia legge fallimentare escludeva dal fallimento gli imprenditori “sotto soglia” (art. 1 L.F.); il nuovo Codice definisce la categoria di impresa minore (art. 2, lett. d, CCII) con requisiti dimensionali precisi: attivo patrimoniale non oltre €300.000, ricavi annui non oltre €200.000 (media ultimi 3 esercizi) e debiti totali non oltre €500.000. Chi rientra congiuntamente in questi limiti è escluso dalla liquidazione giudiziale e accede solo alle procedure da sovraindebitamento (liquidazione controllata, concordato minore). Restano esclusi dal fallimento (come in passato) gli imprenditori agricoli e alcuni enti pubblici. I professionisti (avvocati, medici, ecc.) e gli imprenditori civili non commerciali (es. artisti) non erano fallibili prima e non lo sono ora: se insolventi, accedono alle procedure per sovraindebitati (piano del consumatore o concordato minore a seconda dei casi).
Infine, permane la soglia di indebitamento minimo per poter dichiarare il fallimento (liquidazione giudiziale): un debito scaduto e non pagato di almeno €30.000. Questo per evitare che si attivino procedure concorsuali per crisi di importo irrisorio.
Chiarito ciò, esaminiamo le principali procedure.
Concordato Preventivo (per imprese “maggiori”)
Il concordato preventivo è la procedura di regolazione della crisi rivolta agli imprenditori commerciali non piccoli (quelli soggetti a liquidazione giudiziale), alternativa al fallimento, che consente al debitore di proporre un piano di ristrutturazione ai propri creditori, sotto controllo del tribunale, al fine di evitare la liquidazione aziendale. È disciplinato dal Titolo III del CCII.
Tipologie di concordato: Il CCII distingue due sottotipologie principali di concordato preventivo:
- Concordato in continuità aziendale: quando il piano prevede che l’attività dell’impresa prosegua, sia direttamente ad opera del debitore (continuità diretta) sia tramite la cessione o conferimento dell’azienda a un soggetto terzo che la prosegue (continuità indiretta). Questo tipo di concordato è incentivato dal legislatore perché mira a preservare il valore dell’azienda come funzionante e i posti di lavoro. Nel concordato in continuità è ammesso che i creditori siano soddisfatti in prevalenza con i flussi di cassa generati dall’attività futura.
- Concordato liquidatorio: quando invece il piano si limita a prevedere la liquidazione (vendita) di tutto o parte del patrimonio dell’impresa e la distribuzione del ricavato ai creditori. Tradizionalmente il concordato liquidatorio era disincentivato perché troppo simile a un fallimento; il nuovo Codice lo consente purché assicuri un pagamento minimo del 20% ai creditori chirografari (salvo alcune eccezioni, e salva la possibilità di scendere a 10% nel concordato “semplificato” post negoziazione). Nel concordato liquidatorio classico, l’azienda cessa l’attività e i beni vengono venduti sotto la sorveglianza degli organi della procedura.
Procedimento e organi: La domanda di concordato può essere presentata dal debitore (è una procedura volontaria, preventivo significa “prima” del fallimento) depositando un ricorso al tribunale competente con il piano e la proposta ai creditori, più una serie di documenti (bilanci, elenco creditori, elenco beni, attestazione di un professionista sulla fattibilità e veridicità del piano). Il tribunale, valutati i requisiti, ammette il debitore al concordato e nomina un commissario giudiziale, che vigila sull’impresa durante la procedura. Il debitore rimane in possesso dei beni (non c’è spossessamento come nel fallimento) ma gli atti di gestione straordinaria richiedono autorizzazione.
Una volta ammesso, si apre la fase di votazione: i creditori vengono convocati e possono votare sulla proposta (anche per corrispondenza). Per l’approvazione serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (oltre il 50%). I crediti privilegiati votano solo se vengono alterati nei loro diritti (ad es. se rinunciano a parte del privilegio).
Se i creditori approvano, si passa all’udienza di omologazione: il tribunale verifica la legalità e fattibilità e omologa, rendendo il concordato efficace verso tutti i creditori anteriori. Se i creditori non approvano, la procedura viene dichiarata inammissibile e normalmente si aprirà la liquidazione giudiziale (salvo che il debitore chieda in extremis la conversione in liquidazione controllata, se fosse un soggetto minore).
Effetti sui debiti: Con l’omologazione del concordato, i creditori vengono soddisfatti secondo quanto previsto dal piano (percentuali e tempi) e per la parte eccedente il debito si estingue di fatto: il concordato preventivo produce un effetto esdebitatorio automatico per il debitore una volta eseguito. Ad esempio, se il piano omologato prevede che i chirografari ricevano il 40%, dopo il pagamento di tale percentuale essi non potranno più pretendere il restante 60% (viene cancellato per legge). Ciò avviene senza necessità di ulteriore provvedimento, per effetto della legge concorsuale stessa. Dunque il concordato è uno strumento che consente al debitore meritevole di liberarsi di una parte dei debiti, a patto di rispettare il piano concordato.
Vantaggi e criticità:
- Per il debitore: il vantaggio è evitare la dichiarazione di fallimento, mantenere il controllo (specie nel concordato in continuità) e poter ristrutturare l’azienda. Inoltre, durante il concordato tutte le azioni esecutive individuali sono sospese e non possono iniziarne di nuove (automatic stay). D’altra parte, il debitore si sottopone a una procedura complessa, con costi (commissario, attestatore, spese legali) e perde libertà di gestione straordinaria.
- Per i creditori: in teoria il concordato offre una soddisfazione migliore rispetto alla liquidazione fallimentare (il piano deve assicurare almeno quanto avrebbero in caso di liquidazione). Inoltre consente di proseguire rapporti commerciali (nel concordato in continuità spesso i fornitori ottengono la continuità degli ordini, seppur con taglio del credito pregresso). Il rovescio della medaglia è che i creditori subiscono un sacrificio (accettare meno di quanto spetta e in tempi dilazionati) e devono fidarsi della buona riuscita del piano.
Ruolo del tribunale e controlli: Il tribunale non entra nel merito economico delle scelte (che spettano ai creditori col voto), ma verifica che il piano sia fattibile e che la proposta non sia in frode (es. che il debitore non nasconda attivo). I creditori dissenzienti possono opporsi all’omologazione se il concordato li danneggia in modo maggiore rispetto agli altri o ci sono violazioni di legge. Con il CCII, il concordato in continuità è ulteriormente tutelato: il tribunale valuta con rigore la presenza di finanza esterna (spesso necessaria per avviare l’esecuzione del piano) e può dichiarare inammissibile proposte irrealistiche.
Novità del Codice della Crisi: Alcune novità degne di nota nel concordato preventivo versione 2022:
- Introdotte le figure del concordato semplificato (di cui già detto) e del concordato con riserva (possibilità di presentare una domanda di concordato “in bianco” e depositare il piano entro termini assegnati, per prevenire aggressioni).
- Miglior coordinamento con la composizione negoziata: se durante la CNC appare percorribile un concordato, l’imprenditore può depositare la domanda più facilmente.
- Possibilità di classi di creditori e di cram down intra-classi: il CCII consente la suddivisione dei creditori in classi omogenee e l’approvazione con maggioranze per classi, con eventuale omologazione anche se una classe dissente (purché non pregiudicata). Questo recepisce la direttiva UE ed è molto avanzato rispetto alla vecchia legge.
- Eliminato l’obbligo di pagamento minimo del 20% ai chirografari in continuità (resta solo per i liquidatori), per favorire concordati di ristrutturazione anche drastici se l’alternativa è peggiore.
- Maggior enfasi sulla tutela dei creditori pubblici: il tribunale può superare il loro dissenso se soddisfatti almeno come in liquidazione (cram-down fiscale).
In pratica, il concordato preventivo resta il principale strumento concorsuale per le imprese insolventi che vogliono evitare la fine ingloriosa della liquidazione giudiziale. Caso tipico: un’azienda manifatturiera che accumula 5 milioni di debiti, di cui 1 con banche, 1 con Fisco, 3 con fornitori; possiede ancora un avviamento e potrebbe funzionare se alleggerita. Con un concordato in continuità propone: i fornitori chirografari prendono il 30% in 4 anni, le banche con ipoteca 100% (ma dilazionato), il Fisco 100% della parte privilegiata e 50% di quella chirografa mediante transazione fiscale, l’attività continua e produce utili per pagare queste percentuali. I creditori votano perché temono che fallendo prenderebbero il 10% forse. Omologato il concordato, l’azienda continua, il debitore dopo 4 anni sarà esdebitato dal restante 70% dei debiti chirografari e potrà proseguire l’attività su basi più solide.
Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento)
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che prende il posto del “fallimento” nella nuova terminologia. Viene aperta quando un imprenditore commerciale insolvente non accede (o non può accedere) ad altre soluzioni concordate. In pratica, è il processo di spossessamento e vendita di tutti i beni del debitore, con riparto del ricavato ai creditori secondo l’ordine dei privilegi, sotto la direzione di un Tribunale. Il fine è soddisfare i creditori in modo ordinato e, accessoriamente, liberare il debitore persona fisica dai debiti residui (tramite esdebitazione).
Apertura della procedura: La liquidazione giudiziale può essere richiesta dai creditori, dal Pubblico Ministero (in casi previsti, es. fuga del debitore, denunce), o dallo stesso debitore (autofallimento). Il tribunale accerta l’insolvenza e la qualifica soggettiva (deve non essere impresa minore). Se ci sono tutti i presupposti, dichiara con sentenza la liquidazione giudiziale. Da quel momento:
- Il debitore imprenditore è spossessato dei beni: il patrimonio diventa oggetto della procedura e il curatore (ora chiamato “gestore della liquidazione” nel CCII) lo amministra. Il curatore è nominato dal tribunale e ha il compito di gestire e liquidare l’attivo.
- I creditori non possono più agire individualmente: tutti i crediti chirografari anteriori si considerano “cristallizzati” alla data di apertura e dovranno essere soddisfatti nella procedura secondo le regole concorsuali.
- Si apre il conciso (stato passivo): i creditori presentano domanda di ammissione e il giudice delegato forma lo stato passivo, riconoscendo i crediti e l’eventuale privilegio.
- Vengono eventualmente revocati pagamenti o atti anomali fatti prima (azione revocatoria fallimentare, con termine 6 mesi-1 anno-2 anni a seconda dei casi per recuperare somme uscite).
Liquidazione dell’attivo: Il curatore procede a vendere tutti i beni: immobili (all’asta, salvo vendite dirette autorizzate), beni mobili, crediti (anche mediante cessione in blocco), eventuale azienda (se c’è ancora come complesso). Nel CCII vi è più flessibilità nella vendita: si può predisporre programmi di cessione rapida, con riduzione di formalità d’asta, anche trattativa privata previo stima. L’obiettivo è massimizzare il ricavato nel minor tempo possibile, evitando il più possibile il deprezzamento.
Distribuzione e chiusura: Il ricavato va a pagare i creditori secondo l’ordine: prima le spese di procedura, poi i creditori con cause di prelazione (ipotecari, pignoratizi, privilegiati – es. dipendenti, fisco per il privilegiato, ecc.), infine i chirografari se avanza qualcosa. Spesso i chirografari nel fallimento classico recuperano poco o nulla (dipende dalla percentuale di attivo, spesso <10%). Esaurito l’attivo (o definito un riparto finale), il curatore presenta il rendiconto e il tribunale dichiara chiusa la procedura.
Conseguenze per il debitore: Se il debitore è una società, la società viene dissolta (cancellata dal registro imprese a fine procedura). Se è una persona fisica, rimane privo dei suoi beni ma può aspirare, come vedremo, all’esdebitazione: il Codice prevede che trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione giudiziale, o anche prima alla chiusura, il tribunale decida sul rilascio della liberazione dai debiti residui. La novità infatti è l’esdebitazione di diritto: dopo la riforma, il giudice può concederla anche d’ufficio a fine procedura (o dopo 3 anni) se ne ricorrono i presupposti, senza necessità di istanza del debitore. I presupposti sono simili alla vecchia legge: il fallito deve aver collaborato, non aver commesso atti di frode o gravi scorrettezze, non aver già ottenuto altra esdebitazione recente, ecc. Se tutto ok, l’ex fallito viene liberato dai debiti insoddisfatti (tranne eventuali eccezioni per debiti di natura personale come alimenti, risarcimenti da fatto illecito doloso e sanzioni penali, che non sono esdebitabili per ragioni di ordine pubblico).
Differenze rispetto al passato: La liquidazione giudiziale è sostanzialmente il “vecchio fallimento”, con alcuni aggiornamenti:
- Terminologia: non si parla più di fallito ma di debitore assoggettato a liquidazione giudiziale; eliminate alcune conseguenze personali disonorevoli (ad es. il divieto automatico di assumere cariche societarie per 5 anni, ora c’è una valutazione caso per caso).
- Tempistiche: il CCII mira a procedure più rapide e digitalizzate. Ad esempio, lo stato passivo è formato in tempi stretti e preferibilmente con modalità telematiche.
- Continuità d’impresa: anche in liquidazione giudiziale, se c’è convenienza, il curatore può esercire temporaneamente l’azienda o rami di essa per venderli meglio (evitando lo spezzatino che svaluta).
- Classe dei creditori: non c’è votazione come nel concordato, ma i creditori possono riunirsi in comitati e dare indicazioni non vincolanti.
- Iniziative del PM: il pubblico ministero oggi ha un ruolo più definito, specialmente quando la crisi coinvolge profili di interesse pubblico (frode, abbandono azienda ecc.).
La liquidazione giudiziale è ovviamente l’esito meno desiderabile, perché implica la fine dell’attività. Tuttavia, in molti casi è inevitabile e necessaria: pensiamo a situazioni di dissesto conclamato, magari con condotte distrattive dell’imprenditore, in cui l’intervento di un curatore è indispensabile per gestire quel poco di attivo rimasto e salvaguardare i creditori. Spesso il fallimento avviene perché non sono stati attivati per tempo gli strumenti di allerta o concordatari: ad esempio l’imprenditore ha nascosto la testa sotto la sabbia, i creditori alla fine perdono la pazienza e presentano istanza di fallimento.
Impresa minore e professionisti: come detto, questi soggetti non possono essere dichiarati in liquidazione giudiziale. Per loro, la procedura liquidatoria equivalente è la liquidazione controllata, di cui parleremo tra poco nel contesto del sovraindebitamento. Ma anticipiamo che la logica è simile: un liquidatore nominato dal giudice vende i beni e distribuisce ai creditori. Con l’ulteriore differenza che, per i sovraindebitati, la legge permette in alcuni casi di evitare la liquidazione se non c’è nulla da liquidare e ottenere comunque l’esdebitazione (il famoso debitore incapiente, trattato a parte più avanti).
Procedure da Sovraindebitamento per Persone Fisiche e Imprese Minori
Passiamo ora alle procedure dedicate ai soggetti non fallibili, cioè a persone fisiche che non siano imprenditori commerciali assoggettabili a fallimento e a imprese minori, professionisti, start-up innovative e altri soggetti “non fallibili”. Queste procedure discendono dalla Legge 3/2012 sul sovraindebitamento, confluite e ampliate nel Codice della Crisi (Titolo IV, Capo II, artt. 65-91 CCII). L’obiettivo è fornire anche a questi debitori una via d’uscita ordinata dalla spirale debitoria, analoga a quelle concorsuali, pur adattata alle loro caratteristiche.
Le principali procedure oggi sono:
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “piano del consumatore” nella vecchia terminologia) – riservato ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale (tipicamente famiglie, privati).
- Concordato minore – per i debitori non fallibili che non siano consumatori (dunque piccoli imprenditori, imprenditori cessati, professionisti, socio illimitatamente responsabile di società, etc.). È analogo a un concordato preventivo, ma semplificato e su misura di queste realtà.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato – la procedura liquidatoria per chiunque non possa essere liquidato giudizialmente (è l’equivalente del fallimento per questi soggetti).
- Esdebitazione del debitore incapiente – caso speciale in cui un debitore persona fisica meritevole senza alcun patrimonio né reddito può ottenere la cancellazione dei debiti senza attivare una liquidazione (lo tratteremo a parte, come culmine del sovraindebitamento).
Tutte queste procedure prevedono il coinvolgimento di un apposito organismo o professionista: l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Si tratta di enti istituiti presso camere di commercio, ordini professionali o enti pubblici, composti da gestori esperti, che assistono il debitore nella predisposizione del piano e svolgono funzioni di controllo analoghe a quelle di un commissario/curatore. Il debitore sovraindebitato deve rivolgersi a un OCC (se esiste nel circondario) o a un professionista nominato dal giudice con funzioni analoghe. L’OCC aiuta a redigere la proposta, verifica documentazione e soprattutto scrive una relazione particolareggiata da presentare al giudice, in cui attesta la veridicità delle informazioni, le cause dell’indebitamento e valuta la fattibilità del piano proposto.
Vediamo le singole procedure:
Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore (Piano del Consumatore)
Chi può accedere: esclusivamente il consumatore, definito come la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Quindi se Tizio è un dipendente o pensionato indebitato con banche, fornitori, fisco per ragioni personali (mutuo, finanziamenti al consumo, bollette), è un consumatore. Se Caio è un artigiano o ha comunque debiti relativi alla sua attività, non può usare il piano del consumatore (dovrà, se sotto soglia, usare il concordato minore). La qualifica di consumatore è valutata dal giudice caso per caso, considerando l’origine dei debiti.
Cos’è: È una procedura in cui il consumatore propone al tribunale un piano di ristrutturazione dei propri debiti, indicando come intende pagarli (in che percentuale e con quali tempi), sulla base delle sue realistiche capacità economiche. Un elemento cardine è che non serve il voto dei creditori: il piano del consumatore viene valutato ed eventualmente omologato dal tribunale stesso, indipendentemente dal consenso dei creditori. Questo è un aspetto peculiare (che già era presente nella L.3/2012): si è voluto proteggere il consumatore meritevole, permettendogli di uscire dai debiti anche contro la volontà di creditori, se il piano è equo e fattibile.
Procedura: Il consumatore deposita il ricorso in tribunale, allegando la proposta di piano e la relazione dell’OCC. Il tribunale verifica i requisiti e concede eventualmente misure protettive (sospensione delle esecuzioni in corso). La differenza con il concordato: non c’è assemblea dei creditori né voto. Si tiene un’udienza in cui i creditori possono comparire ed eventualmente contestare (ma non votare). Il tribunale può omologare il piano se ritiene che:
- il consumatore sia meritevole (concetto chiave: vedi sotto);
- il piano assicuri ai creditori un trattamento non inferiore a quello ottenibile in liquidazione controllata (cioè i creditori non vengano lesi oltre il dovuto: è il criterio del “miglior interesse” del creditore);
- il piano è fattibile, cioè le entrate future o il patrimonio destinato a pagare sono ragionevolmente sufficienti secondo l’attestazione OCC.
Se omologato, il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Il consumatore dovrà eseguire i pagamenti come previsto (spesso tramite l’OCC che fa da gestore). Una volta eseguito, otterrà l’esdebitazione del residuo.
Durata e contenuto del piano: Non c’è un limite fisso di durata, ma tipicamente i piani del consumatore prevedono pagamenti in un arco tra 3 e 7 anni (poiché protrarre troppo sarebbe ritenuto poco fattibile). Il piano può prevedere il mantenimento di alcune spese essenziali per la famiglia e destinare il surplus di reddito al pagamento dei debiti. Ad esempio, un consumatore con stipendio €1.500 e famiglia a carico potrà destinare €300 al mese ai creditori (il resto serve per vivere). In 5 anni quei €300 al mese fanno €18.000; se il suo debito totale era €50.000, significa che propone di pagare circa il 36% del debito. Eventualmente il piano può includere la vendita di qualche bene (es. un’auto secondaria, o la liquidazione del TFR, etc.) per incrementare la massa da distribuire. Oppure può prevedere un intervento di terzi (un parente che offre una somma subito per pagare una percentuale ai creditori).
Meritevolezza: Il concetto di meritevolezza è cruciale. La legge (art. 69 CCII, ex art. 12-bis L.3/2012) richiede che il consumatore non abbia colpa grave o malafede nella genesi del sovraindebitamento. In passato il requisito era molto stringente: bastava aver fatto il passo più lungo della gamba (aver contratto debiti oltre le proprie capacità) per considerare non meritevole. La riforma ha attenuato la severità: ora si guarda se il debitore ha provocato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave o frode. Ad esempio, non è meritevole chi ha accumulato debiti consapevolmente senza ragionevole prospettiva di pagarli (es. continuando a chiedere prestiti benché già sommerso), chi ha ottenuto credito con informazioni false, o chi ha dilapidato il patrimonio in gioco d’azzardo senza necessità. È invece considerato meritevole chi è caduto in misfortune per cause esterne (perdita lavoro, malattia, crisi economica) e magari ha cercato di onorare i debiti finché ha potuto. La Cassazione nel 2023 ha chiarito che la valutazione va fatta in concreto e in modo globale, non applicando più i rigidi criteri pre-2020 (che erano troppo punitivi). Oggi quindi c’è più spazio per riconoscere meritevole un consumatore che, pur avendo contratto debiti ingenti, l’ha fatto senza intenti fraudolenti e con un certo grado di inconsapevolezza sull’evoluzione negativa delle sue finanze.
Se il giudice dichiara inammissibile la procedura per difetto di meritevolezza, il consumatore può comunque ripiegare sulla liquidazione controllata (dove la meritevolezza non è richiesta per l’apertura, ma rileverà poi per l’esdebitazione).
Effetti dell’omologazione: Una volta omologato, il piano impone anche ai creditori dissenzienti il rispetto della dilazione/riduzione pattuita. Le azioni esecutive restano sospese. Il debitore è tenuto a eseguire fedelmente il piano; se non lo fa, su istanza dei creditori il tribunale può revocare l’omologazione e allora i creditori riacquistano piena libertà di azione, salvo eventualmente aprire una liquidazione controllata. Durante l’esecuzione del piano, l’OCC spesso svolge funzioni di supervisione (controlla che il debitore versi le somme dovute e le ripartisce ai creditori secondo il piano).
Esempio pratico: Maria, impiegata, debiti: €30.000 con finanziarie, €5.000 bollette arretrate, €10.000 con il fisco per vecchie cartelle. Stipendio €1.400, paga un affitto. Non riesce più a sostenere le rate. Si rivolge a un OCC: redigono un piano in cui Maria potrà pagare €300 al mese per 5 anni, distribuiti proporzionalmente ai creditori (per semplificazione, tutti chirografari). In 5 anni versa €18.000, che corrisponde a circa il 40% dell’esposizione totale (€45.000). L’OCC assevera che è il massimo sforzo possibile per Maria, considerato il necessario sostentamento. Il giudice valuta che Maria è meritevole (si è indebitata per cure mediche dei genitori, non per colpa grave). Omologa il piano nonostante le finanziarie fossero contrarie. Maria esegue i pagamenti mensili; al termine dei 5 anni ottiene l’esdebitazione del residuo 60%: quei debiti vengono cancellati. Maria può così ricominciare senza più rate, pur avendo perso in quei 5 anni tutta la sua capacità di risparmio.
Concordato Minore
Chi può accedere: Il concordato minore è rivolto a tutti i debitori non fallibili che non siano consumatori. Rientrano qui: imprenditori commerciali sotto soglia (impresa minore), imprenditori agricoli, start-up innovative, ex imprenditori che hanno chiuso l’attività (purché trascorso l’anno in cui potevano essere soggetti a fallimento), professionisti (con debiti da studio professionale, es. un avvocato con debiti verso fornitori, fisco, etc.), soci illimitatamente responsabili di società (es. socio di SNC che ha debiti sociali su di sé). In pratica è molto esteso: tutti i soggetti “sovraindebitati” diversi dal consumatore.
Cos’è: È una procedura concorsuale volontaria, basata su un accordo con i creditori, analoga al concordato preventivo ma tarata su scala minore. Il debitore propone un piano con cui soddisfare i creditori, e questo piano viene sottoposto al voto dei creditori e all’omologazione del tribunale. Importante: il concordato minore esclude il consumatore, il quale come detto ha la sua procedura speciale senza voto. In compenso, un piccolo imprenditore può scegliere tra concordato minore e liquidazione controllata: se ha speranza di proseguire l’attività sceglierà il concordato minore.
Procedura: Molto simile a quella del concordato preventivo:
- Ricorso del debitore con piano, attestazione OCC, ecc. Se la proposta soddisfa i requisiti di legge (ad esempio garantisce che i creditori otterranno almeno quanto in liquidazione controllata), il tribunale ammette la procedura e nomina un commissario (spesso coincide con il gestore OCC già attivo).
- Convocazione dei creditori per esprimere il voto sulla proposta. Serve la maggioranza dei crediti votanti (50%+1) per approvare. Anche qui si possono prevedere classi di creditori se opportuno.
- Se i creditori approvano, il tribunale procede all’omologazione, valutando meramente regolarità e requisiti. Se i creditori respingono, il giudice dichiara inammissibile e in genere può contestualmente aprire la liquidazione controllata (specie se l’insolvenza persiste).
Durante la procedura, il debitore conserva l’amministrazione dei beni ma sotto vigilanza; le esecuzioni individuali sono sospese; può essere autorizzato a compiere atti urgenti (ad es. vendere beni deperibili) come nel concordato preventivo.
Contenuto della proposta: Può prevedere continuità aziendale (concordato minore in continuità) oppure la liquidazione di tutto o parte del patrimonio con cessazione dell’attività (concordato minore liquidatorio). Il CCII incoraggia la continuità anche qui, per salvare la piccola impresa: ad esempio, se un artigiano falegname è sovraindebitato ma l’attività è sana, potrebbe proporre un concordato minore in continuità: continua a lavorare, e destina ai creditori una percentuale dei ricavi futuri per tot anni. Se invece non c’è prospettiva di proseguire, si può cedere l’attività o liquidare i beni con concordato.
Come nel concordato preventivo, i creditori privilegiati non possono essere alterati senza il loro consenso (devono essere pagati per intero salvo che rinuncino in parte, oppure soddisfatti almeno con il valore di mercato del bene su cui hanno prelazione). I creditori chirografari possono essere falcidiati purché non meno di quanto otterrebbero in liquidazione.
Differenze dal concordato preventivo: Il concordato minore è pensato per situazioni meno complesse, quindi:
- Coinvolgimento OCC: il piano è sempre predisposto con l’ausilio di un OCC che lo assevera, mentre nel concordato grande l’attestatore può essere anche un professionista scelto ad hoc.
- Nessuna percentuale minima di legge ai chirografari: (nel nuovo ordinamento neanche il concordato preventivo in continuità ce l’ha; il liquidatorio ha il 20% come soglia salvo deroghe). Nel concordato minore, di base, basta rispettare il criterio migliorativo rispetto alla liquidazione controllata: se l’attivo è esiguo, si può anche offrire il 5%.
- Struttura semplificata: spese più contenute, iter più snello. Ad esempio, l’adunanza dei creditori spesso è sostituita da voto scritto.
- Effetti esdebitatori: uguali al concordato preventivo – a omologazione e successivo adempimento, il debitore è liberato dai debiti residui.
- Conversione in liquidazione controllata: se il concordato minore non viene omologato (per voto negativo o revoca), il tribunale può aprire d’ufficio la liquidazione controllata per evitare che i creditori restino senza tutela.
Esempio pratico: Un piccolo imprenditore edile (ditta individuale) ha debiti totali per €200.000 (fornitori, INPS, banca per scoperto). Ha un cantiere in corso e commesse future, ma senza respiro finanziario. Potrebbe presentare un concordato minore: propone di pagare il 40% ai chirografari in 4 anni usando gli utili futuri dei cantieri, e di pagare interamente i privilegiati (INPS) grazie alla dilazione contributiva massima. I creditori votano: se la maggioranza accetta (magari perché credono nella serietà dell’impresa e sanno che in liquidazione prenderebbero forse il 20%), il piano viene omologato. L’imprenditore esegue: continua a lavorare, sotto la vigilanza OCC che ogni tanto relaziona al giudice, e versa secondo il piano. A termine, è salvo e riparte con solo il 60% dei vecchi debiti cancellati.
Liquidazione Controllata del Sovraindebitato
Questa è la procedura di liquidazione concorsuale riservata ai debitori sovraindebitati (consumatori, imprese minori, ex imprenditori, etc.). Ha sostituito la vecchia liquidazione del patrimonio della L.3/2012. La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) può essere vista come il “fallimento del sovraindebitato”, con alcune differenze:
- Chi la avvia: Può essere richiesta dal debitore stesso (che deposita ricorso perché riconosce di non riuscire a pagare e vuole liquidare tutto), oppure dai creditori (i creditori di un sovraindebitato possono rivolgersi al tribunale per chiederne la liquidazione controllata, cosa nuova rispetto alla L.3/2012 che consentiva solo al debitore di attivarla). Anche qui il Pubblico Ministero può chiederla in casi eccezionali (es. frodi).
- Apertura: Il tribunale, constatati i presupposti (sovraindebitamento conclamato, assenza di alternative percorribili, presenza di un minimo di attivo da liquidare, ecc.), dichiara aperta la liquidazione controllata. Nomina un liquidatore (figura paragonabile al curatore) e un giudice delegato. Da quel momento il debitore è spossessato dei suoi beni (salvo quelli impignorabili per legge, es. stipendio minimo vitale, beni di uso quotidiano, etc.), che costituiscono massa attiva.
- Effetti: Tutti i creditori anteriori non possono agire individualmente e devono partecipare al concorso presentando le domande di ammissione (che confluiranno nello stato passivo da formare, analogamente al fallimento).
- Svolgimento: Il liquidatore, sentito l’OCC se presente, predispone un programma di liquidazione e procede a vendere i beni, riscuotere crediti, etc. Il ricavato viene poi distribuito ai creditori secondo cause di prelazione, in riparti parziali e finali. Terminata la liquidazione, c’è un rendiconto e si chiude la procedura.
Differenze dal fallimento/liquidazione giudiziale:
- Non c’è una soglia minima di debito (teoricamente anche un piccolo debito potrebbe portare a liquidazione controllata, ma se è troppo piccolo e l’attivo insignificante, il giudice potrebbe dichiarare improcedibile per mancanza di utilità).
- Il debitore persona fisica conserva in ogni caso una parte dei suoi redditi futuri per vivere: ad es. stipendio e pensione sono pignorabili solo per la parte eccedente il minimo vitale stabilito (simile ai limiti generali).
- Il debitore non fallibile non subisce le pene accessorie di un fallito (tipo interdizioni personali generiche); tuttavia, se ha tenuto comportamenti frodatori o in malafede, ciò può influire sulla concessione della esdebitazione successiva.
- È prevista la chiusura anticipata se si scopre che mancano completamente asset liquidabili (una sorta di improcedibilità postuma).
- I costi di procedura (compenso liquidatore, OCC) dovrebbero essere contenuti e proporzionati, e per i casi estremi di incapienza esiste un fondo statale (istituito di recente) che può coprire i costi procedurali per permettere anche ai nullatenenti di accedere alla procedura.
Esdebitazione: Nella liquidazione controllata, come in quella giudiziale, il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione dei debiti residui a fine procedura (o dopo 3 anni dall’apertura). Il meccanismo è analogo: passato il triennio, il giudice su istanza (o d’ufficio) valuta se concedere l’esdebitazione, verificando che il debitore abbia cooperato, non abbia nascosto beni, non abbia già beneficiato di esdebitazione recente, e non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o reati simili. Se tutto ok, emette decreto che rende inesigibili i debiti pregressi rimasti insoddisfatti. Da notare che nel CCII c’è la presunzione di meritevolezza a favore del debitore in liquidazione controllata: diversamente dalla vecchia legge in cui l’esdebitazione era su richiesta espressa, ora è di diritto salvo opposizione di creditori o rilevazione di irregolarità.
Rapporto con le altre procedure: Un debitore sovraindebitato può accedere direttamente alla liquidazione controllata, oppure può finirci se fallisce un piano del consumatore o concordato minore (c’è conversione). Inoltre, il debitore può transare con i creditori anche durante la liquidazione (c’è l’istituto dell’accordo nell’ambito della liquidazione, dove se entro un certo tempo il debitore propone ai creditori di chiudere pagando magari una somma forfettaria ottenuta da terzi, e tutti i creditori aderiscono, il giudice può chiudere anticipatamente la procedura – ma serve unanimità).
Esempio pratico: Luigi, artigiano, cessata l’attività, ha debiti per €150.000 e nessuna prospettiva di pagarli. Possiede solo un vecchio furgone e qualche attrezzatura. Nessun reddito fisso (vive di lavoretti occasionali). Presenta istanza di liquidazione controllata. Il tribunale la apre, nomina liquidatore. Si vendono il furgone (€5.000) e attrezzi (€3.000). Si raccolgono €8.000, che vengono usati per pagare in parte il privilegio (mettiamo che aveva €10.000 di debiti contributivi privilegiati, coperti in parte, il resto nulla ai chirografari). Luigi ha collaborato pienamente. Dopo 3 anni, Luigi chiede l’esdebitazione e il tribunale la concede: quei €150.000 meno €8.000 ripartiti = €142.000 restanti sono cancellati, Luigi non è più perseguibile per essi. Ha praticamente “pagato il possibile”. Se Luigi trovasse un lavoro tra 2 anni, non dovrà destinare nulla ai vecchi creditori perché la procedura è chiusa (salvo il discorso del debitore incapiente di seguito, dove c’è l’obbligo di segnalare sopravvenienze per 4 anni in quel caso specifico).
Esdebitazione del Debitore Incapiente (fresh start)
Questa è una procedura straordinaria introdotta dal Codice della Crisi (art. 283 CCII) nel 2022 e perfezionata con correttivi 2023-2024, che merita un particolare approfondimento per la sua novità. Si tratta della possibilità per un debitore persona fisica di ottenere la cancellazione di tutti i propri debiti anche senza aver fornito alcuna soddisfazione ai creditori, qualora versi in una situazione di assoluta mancanza di risorse. In parole semplici, è un meccanismo di “fresh start a costo zero” per il debitore onesto ma sfortunato. Questo istituto è stato spesso definito, anche dalla dottrina, esdebitazione dell’incapiente o esdebitazione a zero.
Condizioni per l’accesso: Non tutti i debitori nullatenenti possono accedervi: la legge pone dei requisiti stringenti:
- Deve trattarsi di una persona fisica (no società o enti).
- Il debitore non deve essere soggetto a liquidazione giudiziale: quindi no imprenditori fallibili (se sei fallibile devi fare il fallimento e poi chiedere esdebitazione ordinaria). Restano dentro invece i consumatori, i professionisti, gli imprenditori minori e i soci illimitatamente responsabili di società.
- Assenza di patrimonio liquidabile: il debitore non deve avere beni significativi da liquidare. Può avere magari beni di valore trascurabile o legalmente impignorabili (vestiti, mobili di modico valore). Se avesse beni vendibili, dovrebbe fare la liquidazione controllata ordinaria. L’art. 283 parla di “non in grado di offrire ai creditori alcuna utilità diretta o indiretta nemmeno in futuro”.
- Assenza di reddito oltre il minimo vitale: analogamente, il debitore non deve disporre di redditi o capacità di produrre reddito eccedenti le necessità di sostentamento. Se ha un reddito in parte aggredibile, di solito converrà impostare un piano del consumatore, salvo il caso in cui quel reddito sia talmente basso da rendere vano un piano.
- Meritevolezza elevata: requisito fondamentale. Il debitore deve aver mantenuto un comportamento onesto e corretto nella formazione dell’indebitamento. In pratica, chi chiede l’esdebitazione incapiente viene passato al setaccio: non deve aver truffato i creditori, non deve aver colpe gravi, e la sua situazione di indigenza dev’essere dovuta a cause indipendenti dalla sua volontà (malattie, perdita lavoro, garantito per altri, ecc., non certo aver sperperato volontariamente). È un concetto di meritevolezza anche più stretto di quello generico del consumatore, perché qui stiamo regalando la totale cancellazione del debito senza pagare nulla. La legge e i tribunali sono dunque severi: chi ha anche un’ombra di frode o abuso sarà escluso.
Procedura pratica:
- Il debitore presenta una istanza al tribunale competente, obbligatoriamente con l’ausilio di un OCC. Nella domanda dichiara di voler accedere all’esdebitazione incapiente e allega tutta la documentazione su redditi, patrimonio, cause dell’insolvenza, etc.
- L’OCC svolge un ruolo cruciale: esamina i documenti, raccoglie informazioni (può sentire i creditori, consultare l’Anagrafe Tributaria, controllare che il debitore non abbia nascosto nulla) e redige una relazione dettagliata da depositare in tribunale. In questa relazione l’OCC attesta che il debitore soddisfa i requisiti: nessun bene liquidabile, nessuna prospettiva di miglioramento a breve, indebitamento causato da sfortune o leggerezza scusabile, nessun atto in frode.
- Il tribunale (normalmente in Camera di Consiglio, senza formalità eccessive) esamina l’istanza e la relazione. Se ritiene tutto in regola, emette un decreto che dichiara inesigibili tutti i debiti del debitore. Significa che da quel momento i creditori non possono più pretendere il pagamento. Tecnicamente non è un’annullamento del debito in senso civile (non si estingue l’obbligazione, ma diviene “inesigibile”), tuttavia per il debitore pratico è come se fossero cancellati. Se invece il giudice riscontra problemi (ad es. un creditore contesta affermando che il debitore ha nascosto un bene, o che ha reddito in nero), potrà rigettare l’istanza.
- Non essendoci beni, non c’è voto dei creditori (non c’è un piano da votare, perché non c’è nulla da spartire). I creditori però vengono informati e possono presentare osservazioni/opposizioni se hanno elementi da far valere (es: il creditore Tizio dice “il debitore aveva un’auto intestata a suo fratello che usa quotidianamente, secondo me è simulazione” – in tal caso probabilmente il giudice negherà l’esdebitazione rimandando a liquidazione quell’auto occultata).
Effetti e obblighi post-decreto: L’esdebitazione incapiente libera subito il debitore dall’incubo dei debiti: costui riparte da zero, ma con alcuni vincoli:
- Per i tre anni successivi, il debitore ha l’obbligo di comunicare tempestivamente al tribunale (o al liquidatore nominato, se viene designato uno per vigilare) ogni eventuale sopravvenienza di reddito o patrimonio oltre la soglia del minimo vitale. Ad esempio, se entro 3 anni riceve un’eredità, vince alla lotteria, o trova un lavoro ben pagato, dovrà informare.
- Di queste sopravvenienze, il debitore dovrà versarne una quota ai creditori secondo quanto stabilito dal tribunale nel decreto di esdebitazione. In pratica, l’esdebitazione a zero non è definitiva e incondizionata per 3 anni: se sopraggiunge un’utilità consistente, è giusto che i creditori ne approfittino almeno in parte. Se invece restano nullatenenti e senza entrate, passati i 3 anni (dalla data del decreto di esdebitazione) eventuali successive fortune saranno tutte sue.
- Se il debitore viola l’obbligo (non comunica l’eredità, ad es.), o se entro i 3 anni si scopre che aveva mentito (nascondendo deliberatamente beni/redditi al momento della domanda), il tribunale può revocare il beneficio e i debiti risorgono.
- Ci sono inoltre limitazioni: non può ottenere una seconda esdebitazione incapiente se ne ha già avuta una nei 10 anni precedenti (coerente con l’idea che dev’essere un evento eccezionale nella vita). Inoltre, se in futuro torna a indebitarsi, i creditori nuovi sapranno del precedente (il decreto è pubblicato nei registri) e saranno presumibilmente più cauti nel concedergli credito.
Importante: L’esdebitazione incapiente non si applica ad alcuni debiti particolari – ancorché la norma non li elenchi espressamente, la dottrina e analogie suggeriscono che restino fuori obblighi come alimenti, mantenimenti familiari, e debiti da risarcimento di certi illeciti (specie se penali) per ragioni di ordine pubblico. Ad esempio, se il debitore aveva un debito per una multa penale o per il risarcimento di un danno da reato doloso, è dubbio che glielo si cancelli; molti tribunali escluderebbero questi crediti dal beneficio, analogamente a quanto la L.3/2012 faceva per l’esdebitazione del sovraindebitato (che escludeva obblighi di mantenimento e debiti da dolo). Su questo, comunque, potrà esserci evoluzione giurisprudenziale.
Significato e portata innovativa: L’esdebitazione incapiente rappresenta la piena attuazione del principio della seconda chance voluto dall’Europa: dare un nuovo inizio a chi è completamente schiacciato dai debiti senza colpa. Prima, un nullatenente aveva sì la possibilità di fare una liquidazione del patrimonio, ma se non c’era nulla da liquidare quella procedura era inutile (e spesso neanche ammissibile per mancanza di beni). Ora invece può bypassare la liquidazione e chiedere direttamente la liberazione. Questo evita che queste persone restino per sempre ai margini dell’economia (in “trappola della povertà” come scrivono i lavori preparatori). Naturalmente la contropartita è la rigorosa selezione sui meriti.
Esempio pratico: Paolo, ex piccolo imprenditore, ha chiuso l’attività ed è disoccupato, debiti totali €100.000 (banche, fornitori, fisco). Vive in affitto, non ha auto, nessun bene di valore. Sta campando con aiuto di amici. La sua insolvenza è dovuta al fallimento della sua attività per un cliente insolvente a catena, non ha commesso irregolarità. Invece di aprire una liquidazione controllata (che comporterebbe costi e nessuna utilità per creditori, perché non c’è niente), Paolo si rivolge all’OCC e presenta istanza di esdebitazione incapiente. L’OCC nella relazione conferma: “nessun attivo, cause sfortunate, debitore meritevole”. Il tribunale omologa l’inesigibilità dei debiti. In uno-due mesi, Paolo è libero. Se entro 3 anni trova un lavoro e guadagna, poniamo, €1.500 al mese, il tribunale aveva stabilito che sopra €1.200 (minimo per lui) dovrà versare metà del surplus ai creditori: quindi verserà €150 al mese per il periodo rimanente dei 3 anni. Dopo i 3 anni, finisce anche questo obbligo eventuale. Se invece rimane disoccupato o precario sotto soglia, nulla è dovuto.
Con questa panoramica, abbiamo coperto tutte le principali procedure concorsuali per far fronte alla situazione di insolvenza, tanto per le imprese e professionisti (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale, concordato minore, liquidazione controllata) quanto per le persone fisiche consumatori (piano del consumatore, liquidazione controllata) e i casi di indigenza totale (esdebitazione incapiente). Nella prossima sezione, illustreremo concretamente alcuni casi di studio per vedere l’applicazione pratica di queste procedure in situazioni tipiche. Seguiranno poi tabelle comparative per riassumere le caratteristiche dei vari strumenti e una sezione FAQ con le risposte ai dubbi più ricorrenti.
Simulazioni Pratiche (Casi di Studio)
In questa sezione presentiamo alcune simulazioni pratiche, ovvero esempi ipotetici ma realistici di soggetti in difficoltà economica, mostrando quale percorso giuridico possono intraprendere per uscire dalla crisi debitoria. I casi toccano sia situazioni di privati consumatori sia di imprenditori, in modo da coprire gli scenari più frequenti.
Caso 1: Consumatrice Sovraindebitata (Piano del Consumatore)
Situazione: Anna è una dipendente di 45 anni. Qualche anno fa, a seguito di una separazione e di spese mediche impreviste, ha accumulato vari debiti: €20.000 su due carte di credito, €15.000 di prestiti personali con finanziarie, €5.000 di bollette arretrate e spese condominiali, e inoltre €8.000 con l’Agenzia Entrate Riscossione per vecchie cartelle (multe stradali e conguaglio IRPEF). In totale circa €48.000. Il suo stipendio mensile è di €1.500 netti, paga un affitto di €600 e mantenimento di €300 per un figlio. Ha un’auto utilitaria. Non riesce più a sostenere tutte le rate: ha già saltato pagamenti delle carte e ricevuto decreti ingiuntivi dalle finanziarie. I creditori la pressano e teme pignoramenti (lo stipendio è già pignorabile per un quinto).
Soluzione: Anna si rivolge a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) della sua città. Dopo aver analizzato la sua situazione, l’OCC conferma che Anna è un consumatore (i debiti sono personali, non ha attività imprenditoriali) e che è insolvente (le uscite superano stabilmente le entrate). Propongono di attivare la procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore):
- Vengono raccolti i dati reddituali: con €1.500 mensili, detratti affitto (€600) e mantenimento figlio (€300), restano €600 al mese per tutte le altre esigenze (bollette, cibo, trasporti). L’OCC stima che Anna possa destinare al massimo €200 al mese ai creditori, senza scendere sotto un livello dignitoso di vita.
- Si struttura un piano di pagamento di durata 5 anni (60 mesi). €200/mese per 60 mesi = €12.000 in totale da ripartire ai creditori. Ciò significa offrire circa il 25% del debito complessivo (€12.000 su €48.000).
- L’OCC valuta la fattibilità: Anna ha un contratto di lavoro stabile, €200 al mese è sostenibile. Non si prevede di vendere l’auto perché vale poco (€2.000) ed è necessaria per andare al lavoro.
- Si redige la proposta: ai creditori chirografari (finanziarie, carte, condominio) andrà circa il 25% in proporzione ai crediti; all’Agenzia Entrate pure (i debiti erariali qui non hanno privilegio essendo multe e IRPEF chirografo, dunque parificati agli altri). Il pagamento avverrà in rate semestrali distribuite dall’OCC a ciascuno.
- Meritevolezza: Dalla relazione OCC risulta che Anna non ha colpa grave: i debiti sono nati da spese forzate e dalla necessità di mantenere due case dopo la separazione, non da acquisti voluttuari oltre misura. Non ha mai assunto obbligazioni sapendo di non poterle onorare all’epoca.
- L’OCC assevera il piano e scrive la relazione di meritevolezza ed equità (notando che in un’alternativa liquidazione dell’unico bene – l’auto – i creditori avrebbero preso zero di fatto, quindi quel 25% in 5 anni è vantaggioso rispetto alla liquidazione).
- Procedura in tribunale: Il giudice concede la sospensione dei pignoramenti in corso. I creditori (banche, finanziarie, Agenzia Entrate, ecc.) vengono convocati, ma non votano: possono solo eventualmente far presente qualcosa. Una finanziaria contesta dicendo che 25% è poco, ma il giudice verifica che in una liquidazione prenderebbero ancor meno (l’auto di Anna non coprirebbe neanche le spese) e che il piano sfrutta tutte le risorse disponibili di Anna.
- Il tribunale omologa il piano del consumatore di Anna.
Esito: Tutte le azioni esecutive cessano. Anna inizia a versare €200 al mese all’OCC, il quale ogni semestre li distribuisce pro-quota ai creditori secondo il piano. Anna vive con i rimanenti €1.300 tenendo un tenore di vita sobrio. Dopo 5 anni di sforzi, ha pagato i €12.000 previsti – poniamo che finanziarie abbiano ricevuto il 25%, il Fisco uguale, ecc. A questo punto, il tribunale emette il decreto di esdebitazione: il residuo 75% dei debiti (€36.000 circa) viene definitivamente cancellato. Anna esce così dal tunnel: i creditori insoddisfatti non possono più pretendere nulla da lei. Avendo rispettato il piano, Anna ha diritto a ricominciare senza pendenze.
Questo caso illustra come un consumatore onesto possa utilizzare lo strumento del piano per risolvere una situazione altrimenti senza via d’uscita (ricordiamo che con €48.000 di debiti, se i creditori avessero agito, le avrebbero pignorato lo stipendio per anni, incidendo comunque per circa €300/mese, quindi in pratica avrebbe pagato una cifra simile ma in modo scoordinato e forse con più aggravi di interessi e spese legali, senza liberarsi mai completamente). Con la procedura, invece, c’è un termine preciso e una “luce in fondo al tunnel”.
Caso 2: Artigiano Imprenditore Minore (Concordato Minore)
Situazione: Marco gestisce una piccola azienda individuale di impianti elettrici (ditta individuale, 3 dipendenti). Negli ultimi anni ha subito perdite per insolvenze di clienti e per un investimento sbagliato. Ha debiti per €80.000 con fornitori di materiale, €20.000 con la banca (scoperto di conto garantito da pegno su titoli), €30.000 di debiti fiscali e IVA, €15.000 di contributi INPS (compresi quelli dei dipendenti). Totale circa €145.000. Marco però ha ancora un buon portafoglio ordini e l’azienda, se ripulita dai debiti, sarebbe redditizia. L’attivo: possiede un capannone piccolo (del valore €100.000 ma ipotecato dalla banca per il suo credito), attrezzature per €20.000. Il fatturato annuo è €200.000 con margine 15%. Marco è sotto le soglie di fallibilità (ricavi sotto €200k, debiti totali sotto €500k, etc.), quindi impresa minore.
I creditori stanno iniziando ad agire: l’INPS ha negato il DURC e minaccia ingiunzione, i fornitori principali sono insoddisfatti (alcuni hanno già ottenuto decreti ingiuntivi), la banca è disponibile a trovare un accordo ma vuole ridurre l’esposizione. Marco teme che uno di loro possa istigare una liquidazione controllata o, peggio, portarlo al fallimento (in realtà non sarebbe fallibile, ma i creditori potrebbero non sapere e provarci lo stesso in tribunale).
Soluzione: Marco, tramite un avvocato, si rivolge anch’egli all’OCC locale. L’analisi suggerisce che la sua situazione potrebbe risolversi con un concordato minore in continuità: salvare l’azienda, far lavorare Marco e dipendenti e pagare i creditori parzialmente col ricavato futuro, evitando la chiusura.
- Piano proposto: Stimando un margine annuo di €30.000 (15% di 200k di fatturato), Marco può destinare magari €20.000 all’anno ai creditori se si “alleggerisce” (i restanti 10k servono per reinvestimenti minimi e imprevisti).
- Si progetta di pagare i debiti privilegiati (INPS e una parte di Fisco) per intero, ma dilazionati su 4 anni (con accordi di rateazione). I fornitori chirografari riceverebbero il, poniamo, 40% del loro credito in 4 anni (quindi €32.000 su €80.000 totale chirografo). L’IVA che è privilegiata va proposta anch’essa integrale o quasi (mettiamo che dei 30k fiscali, 10k sia IVA privilegiata – sarà pagata al 100%, il resto 20k di imposte e sanzioni chirografe al 40% come gli altri).
- Il capannone ipotecato dalla banca: la banca ha pegno su titoli o ipoteca? Diciamo ipoteca sul capannone per 20k (il suo credito). In tal caso il piano prevede di pagare la banca integralmente (20k) magari vendendo il capannone a terzi (se non serve all’attività) o con mutuo sostitutivo. Oppure, se il capannone è essenziale e la banca è d’accordo, rifinanziare il debito residuo su più anni (essendo garantito, la banca potrebbe accettare).
- Fondamentale: Marco trova un investitore o parente disposto ad immettere €20.000 subito a titolo di finanziamento all’azienda per pagare un acconto ai creditori e far partire bene il piano.
- L’OCC attesta che il piano è fattibile: il mercato di Marco è solido (clienti condomini, piccole imprese locali affidabili), €20k all’anno di utili destinati al piano è plausibile. L’OCC redige la relazione.
- Procedura concordataria: Si deposita il ricorso di concordato minore presso il tribunale. Subito vengono sospese le azioni esecutive (stop ai decreti ingiuntivi e pignoramenti in corso).
- Il tribunale ammette la procedura e nomina un commissario (spesso lo stesso OCC manager). Si indice la votazione dei creditori:
- Classe 1: creditori privilegiati (INPS, Agenzia Entrate) – questi non votano se li paghi al 100%, altrimenti se chiedi loro rinuncia su parte interessi devono votare. Nel nostro esempio li paghi integrali diluiti, dovrebbero essere favorevoli perché preferiscono incassare in 4 anni piuttosto che nulla se l’azienda chiude.
- Classe 2: banca ipotecaria – se la paghi integralmente non vota perché non alteri il suo credito.
- Classe 3: chirografari (fornitori, sanzioni, etc.) – votano sulla proposta di 40%.
- Esito del voto: i creditori chirografari rappresentano €100.000 (80k fornitori + 20k fisco chirografo). Per maggioranza servono >50k di consensi. Dato che Marco ha coinvolto i fornitori principali fin dall’inizio, molti hanno convenienza: se l’azienda continua, potranno vendergli ancora materiali; se fallisce, temono di recuperare magari 5-10%. Così, fornitori per €60.000 votano sì. Il Fisco chirografo formalmente è contrario (non ama i tagli) ma il voto pubblico conta poco perché i privati hanno già superato il 50%. Dunque la maggioranza approva.
- Omologazione: Un creditore dissenziente lamenta che 40% è basso, ma il giudice vede che in una liquidazione i macchinari e capannone avrebbero pagato la banca e poco altro, quindi i chirografi avrebbero forse preso il 5%. Qui ne prendono 40% e l’azienda resta viva, con salvaguardia di 3 posti di lavoro. Il concordato minore viene omologato.
Esito: Marco prosegue la sua attività durante e dopo la procedura. Il piano parte: grazie ai €20k messi dal parente, paga subito una tranche ai fornitori (dando fiducia e permettendogli di ottenere forniture nuove a pagamento corrente). Ogni sei mesi, il commissario verifica gli incassi di Marco e destina i €10k semestrali ai creditori secondo il piano. Marco nel frattempo ha il DURC regolare (perché ha piani di rateazione in corso) e può partecipare ad appalti. Dopo 4 anni, i creditori chirografari hanno ricevuto il 40% concordato; i privilegiati sono stati pagati (grazie ai piani di dilazione completati). Il tribunale dichiara eseguito il concordato e Marco ottiene l’esdebitazione legale: ogni residuo debito pre-concordatario è inesigibile. L’azienda di Marco ha retto, lui ha ripagato quanto possibile, ed è di nuovo sul mercato senza zavorre. In più, i fornitori hanno mantenuto un cliente (che ora paga cash) e hanno evitato di vederlo sparire.
Questo caso mostra come una piccola impresa possa utilizzare la procedura di concordato minore per ristrutturarsi, evitando la chiusura. Senza tale procedura, Marco forse avrebbe cercato di negoziare privatamente con i fornitori, ma ne bastava uno aggressivo per pignorargli il conto o attrezzature, minando la continuità. Con il concordato minore, ha ottenuto protezione immediata e un quadro vincolante per tutti.
Caso 3: Società in Crisi (Concordato Preventivo vs Liquidazione)
Situazione: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera (settore tessile) con 50 dipendenti. A causa di un calo di ordini e investimenti errati, accumula debiti per 2 milioni di euro: 500k con banche (prestiti e leasing, in parte garantiti da ipoteche su capannone aziendale), 300k con Erario (IVA e imposte, privilegiati in buona parte), 100k INPS (contributi dipendenti), 1.1M fornitori vari. Il patrimonio: un capannone del valore stimato 800k (ipotecato per 400k a garanzia dei debiti bancari), macchinari valutabili 300k, crediti commerciali 200k (ma incerti). L’azienda è quindi insolvente (passivo eccede largamente attivo liquidabile) e rischia il fallimento. I fornitori alcuni hanno smesso consegne e minacciano azioni legali; la banca è disponibile a ridefinire i prestiti ma solo nell’ambito di un piano credibile.
Opzioni possibili:
- Concordato Preventivo in continuità: I soci di Alfa credono che l’azienda possa risollevarsi se alleggerita dai debiti: c’è ancora un buon portafoglio clienti. Si studia un concordato dove Alfa continua la produzione. Il piano potrebbe prevedere: mantenere i 50 dipendenti (quindi preferire continuità diretta), vendere però il capannone e fare lease-back per fare cassa, cercare un investitore che apporti nuova finanza di 300k (in prededuzione, con promessa di rimborso se il piano va bene). Con queste risorse, pagare integralmente le banche ipotecarie (grazie alla vendita capannone) e almeno 30% ai chirografari in 5 anni con i flussi di cassa futuri. I privilegiati Erario/INPS vengono pagati in percentuale secondo transazione fiscale (diciamo 50% se Erario accetta o tramite cram-down se offre meglio dei liquidatorio).
- Si presenta il concordato in tribunale (“con riserva” magari, per prendere tempo ed evitare istanze dei creditori).
- Con l’aiuto di un attestatore, si formalizza la proposta. I creditori votano: banche e ipotecari favorevoli (prendono 100% subito dalla vendita capannone), fornitori accettano 30% perché temono il fallimento con forse 10%. Lo Stato magari no, ma il tribunale può forzare se il piano dà loro il valore di liquidazione del capannone comunque.
- Omologa: concordato approvato.
- Esecuzione: l’azienda prosegue, l’investitore mette 300k, il capannone venduto ne genera 800k di cui 400 alla banca, 400 restanti liquidità per pagare debiti iniziali (es. parziale ai fornitori, e costi procedura). Rimanenza debiti chirografari pagata su 5 anni con utili (monitorati da commissario fino a chiusura).
- Esito finale: creditori soddisfatti in parte, azienda salva, dopo 5 anni Alfa S.r.l. è senza debiti pregressi e continua la sua attività (i soci però diluiti forse dall’ingresso investitore).
- 50 posti di lavoro salvati.
- Debitore (la società) non ha questione di esdebitazione personale (essendo persona giuridica, semplicemente si libera dei debiti).
- Liquidazione Giudiziale (Fallimento): Se invece non si fosse perseguito il concordato o se fosse fallito il tentativo (ad es. investitore non trovato, creditori non fiduciosi), l’esito quasi certo sarebbe il fallimento.
- Il tribunale su istanza creditori o ex officio dichiara la liquidazione giudiziale di Alfa S.r.l.
- Il curatore subentra, ferma l’attività (o la prosegue giusto per completare ordini pagati se c’è convenienza, oppure vende l’azienda in blocco se trova acquirente).
- Liquida il capannone (forse venduto a prezzo d’asta 600k perché vendite forzate spesso deprimono valore), i macchinari (250k), incassa forse 100k di crediti.
- Distribuisce: banca ipotecaria prende prima 400k (ipoteca) sul capannone, l’Erario prende dal residuo di capannone e da vendite macchinari pro quota (privilegi sul mobiliare, ecc.) – magari incassa 200k su 400 dovuti, INPS privilegio pure parziale, i dipendenti di solito privilegio su TFR e ultime mensilità (non citati prima, ma supponiamo quelli eventuali li paga fondo di garanzia).
- I fornitori chirografari su 1.1M ottengono briciole (dopo costi procedura, e privilegi, forse un 5%).
- L’azienda chiude, i dipendenti perdono il lavoro salvo che il curatore sia riuscito a vendere l’intera azienda come ramo funzionante (ma in tessile è difficile).
- Soci perdono il capitale investito.
- Esito finale: creditori insoddisfatti in gran parte (fornitori al 5%), enorme dispersione di valore (macchinari venduti a poco, azienda disgregata). Soci eventualmente soggetti a azioni di responsabilità se emerse malversazioni.
Commento: Il concordato, se credibile, è preferibile per tutti: ecco perché il legislatore ha spinto per soluzioni concordate. Tuttavia, se l’azienda fosse decotta senza rimedio (es. prodotto obsoleto, nessun investitore, i flussi promessi irrealistici), allora il fallimento è la soluzione onesta per chiudere.
Caso 4: Debitore Persona Fisica Nullatenente (Esdebitazione Incapiente)
Situazione: Luigi ha 35 anni, un tempo era un giovane imprenditore (negozio di elettronica) ma la sua attività è fallita 5 anni fa. Dal fallimento (chiuso senza attivo) sono rimasti debiti personali per circa €60.000 (fideiussioni verso banca, debiti residui verso fornitori non coperti dal fallimento, cartelle esattoriali per sanzioni). Luigi dopo la chiusura dell’impresa ha cercato lavoro ma vive di espedienti, qualche lavoretto saltuario pagato in nero e aiuto di amici. Non possiede nulla: abita in una stanza da un conoscente, non ha auto né beni intestati, nessun risparmio. Ogni tanto viene contattato da recuperatori crediti, ma è totalmente incapiente: anche pignorargli conto o stipendio non porta risultati perché non li ha. Questa situazione potrebbe trascinarsi per decenni, con Luigi nell’economia sommersa per paura di eventuali prelievi su un suo reddito ufficiale.
Soluzione: Con le nuove norme, Luigi può tentare l’esdebitazione del debitore incapiente:
- Si rivolge all’OCC spiegando la sua storia. L’OCC verifica: effettivamente Luigi non ha nulla di aggredibile, e la sua prospettiva futura non è rosea (ha solo licenza media, difficoltà a trovare lavoro stabile).
- L’OCC però analizza anche le cause: il fallimento dell’impresa fu sfortunato (colpa di una grossa truffa subita da un fornitore), Luigi non ha commesso atti di frode (collaborò col curatore all’epoca). Dopo il fallimento, non ha fatto spese pazze: la sua incapacità di pagare non è dovuta a vizio o dolo.
- Viene presentato al Tribunale un ricorso ex art. 283 CCII per ottenere l’esdebitazione. L’OCC allega una relazione giurata che attesta: “Luigi non ha patrimonio, vive ospite, non ha redditi né capacità lavorativa significativa al momento; negli ultimi anni ha cercato lavori ma a causa del carico debitorio (ad esempio non poteva farsi assumere per timore pignoramenti) è rimasto ai margini; l’indebitamento è nato dalla sfortunata vicenda imprenditoriale, nessun indizio di frode o colpa grave; non risultano atti in frode (abbiamo controllato l’auto risulta venduta prima della crisi a valore di mercato regolare, etc.); se aprissimo liquidazione controllata non ci sarebbe attivo e sarebbe solo un costo inutile”.
- I creditori vengono informati dell’udienza; alcuni inviano note di opposizione esprimendo perplessità (“non è giusto cancellare, magari in futuro potrebbe guadagnare, perché regalarli il beneficio ora?”). Ma non portano elementi concreti di malafede.
- Il tribunale valuta i requisiti: Luigi appare meritevole e sfortunato. D’altronde non c’è prospettiva che i creditori ottengano qualcosa: la procedura fallimentare precedente era già finita senza asset. Considera anche l’interesse pubblico a togliere Luigi dalla trappola del debito e permettergli di ricominciare.
- Decisione: il giudice emette decreto di esdebitazione incapiente. Tutti i €60.000 di debiti di Luigi diventano inesigibili. Ai creditori viene comunicato che d’ora in poi Luigi è libero dalle loro pretese.
Esito: Luigi finalmente può cercare un lavoro regolare senza il terrore di vedersi pignorato lo stipendio: comunque, per i prossimi 3 anni dovrà comunicare al tribunale se trova impiego e, in caso, dovrà versare ai creditori una parte delle entrate eccedenti il suo minimo vitale. Ad esempio, supponiamo trovi un lavoro a €1.200 al mese, e il giudice avesse fissato in €1.000 il “minimo vitale” per lui: Luigi dovrà dare ai creditori una percentuale (diciamo il 50%) di quei €200 eccedenti, cioè €100 al mese, per i rimanenti anni del triennio. Se invece rimane disoccupato o con lavoretti a 500€/mese, non versa nulla. Passati i 3 anni, nessun obbligo residuo. I debiti restano cancellati per sempre.
Questo caso esemplifica il fresh start totale: Luigi passa da uno stato di morte civile (impossibilitato a risollevarsi, spinto nel lavoro nero) a poter reinserirsi nell’economia legale. I creditori, è vero, perdono la possibilità di recupero, ma realisticamente non l’avrebbero mai avuta: per loro non cambia molto, mentre per Luigi sì (e anche per la società, che recupera un individuo attivo). È una situazione win-win sul piano macroeconomico e sociale.
Naturalmente, questa è riservata a casi estremi e meritevoli come quello di Luigi: se invece emergerà che Luigi aveva nascosto qualcosa, o vince alla lotteria entro 3 anni, l’effetto liberatorio verrà riconsiderato (in quest’ultimo caso i creditori almeno incasserebbero parte della vincita, come da obbligo di segnalazione).
Questi casi di studio dimostrano in concreto la gamma di strumenti a disposizione e i possibili percorsi:
- Per debiti contenuti di privati: piano del consumatore;
- Per piccoli imprenditori in attività: concordato minore se c’è continuità possibile;
- Per aziende più grandi: concordato preventivo se risanabile, altrimenti fallimento come ultima ratio;
- Per debitori disperati senza nulla: esdebitazione a zero.
Ogni situazione richiede un’analisi accurata e un approccio spesso multidisciplinare (legale, economico, fiscale). Nella sezione successiva presentiamo tabelle comparative per riassumere le differenze chiave tra questi strumenti, e poi affronteremo le domande frequenti che sorgono su questi temi.
Tabelle Riassuntive Comparative
Di seguito due tabelle comparative che riassumono le principali procedure concorsuali e di sovraindebitamento trattate, evidenziando per ciascuna: soggetti destinatari/requisiti, come funziona in sintesi, vantaggi, svantaggi/limitazioni e esito (in termini di esdebitazione). La prima tabella riguarda le procedure per imprese/professionisti, la seconda quelle per persone fisiche non imprenditori.
Tabella 1: Procedure Concorsuali per Imprese e Professionisti
Procedura | Soggetti e Requisiti | Funzionamento | Vantaggi | Svantaggi / Note | Esito & Esdebitazione |
---|---|---|---|---|---|
Concordato Preventivo (continuativo o liquidatorio) | – Imprese commerciali sopra soglia (fallibili). – Stato di crisi o insolvenza. | Debitore propone un piano ai creditori. Ammesso dal Tribunale, creditori votano (≥50%); se approvato e omologato, si esegue il piano sotto controllo del commissario. | – Debitore rimane in possesso (continuità). – Sospende azioni esecutive. – Possibilità di falcidiare debiti (chirografari, parte di privilegiati) con accordo creditori. – Salvaguarda attività e valore avviamento se in continuità. | – Procedura complessa e costosa (attestatore, commissario, legali). – Serve consenso creditori (rischio voto negativo). – Richiede piano fattibile e finanza adeguata. – Per piani liquidatori: pagamento min. 20% chirografi (salvo eccezioni). | Se eseguito correttamente: esdebitazione automatica per la società (i debiti residui sono inesigibili). Soci di Srl non responsabili personalmente. Imprenditore individuale ottiene esdebitazione persona fisica a fine procedura (con verifica art. 282 CCII). |
Accordo di Ristrutturazione (182-bis / art.57 CCII) | – Imprese (anche sopra soglia). – Stato di crisi/insolvenza, accordo con ≥60% creditori. | Accordo negoziato con i creditori (almeno 60%). Omologato dal Tribunale (eventuale cram-down su minoranza dissenziente). Creditori estranei vanno pagati per intero nei termini. | – Meno formale del concordato, coinvolge solo principali creditori. – Meno pubblicità (anche se ora pubblicato Registro Imprese). – Tempi più rapidi. – Azioni revocatorie sospese sui pagamenti eseguiti secondo accordo. | – Richiede negoziazione forte pregressa. – Non vincola i creditori non aderenti (salvo efficacia estesa in certi casi). – Nessun commissario di norma (vantaggio ma anche rischio). | Debitore persona giuridica: debiti regolati secondo accordo, residuo resta dovuto se accordo non prevede esdebitazione esplicita. In pratica, accordo comporta remissione parziale convenuta e vincolante per aderenti (dissenzienti devono esser pagati al 100%). Persona fisica: può ottenere esdebitazione del residuo se previsto e se completa l’accordo, simile ad un concordato. |
Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento) | – Imprese commerciali fallibili (sopra soglia). – Insolvenza conclamata. | Tribunale dichiara apertura liquidazione. Curatore nominato, spossessa debitore, liquida beni, verifica crediti (stato passivo), distribuisce attivo secondo prelazioni. Procedura sotto vigilanza giudice delegato. | – Procedura autoritativa: tutela uguale tutti i creditori (par condicio). – Curatore professionista gestisce vendite (evita favoritismi, indaga su eventuali atti di frode). – Possibile azione revocatoria e responsabilità per recuperare risorse aggiuntive. | – Impresa cessa attività (salvo esercizio provvisorio breve per vendere going concern). – Tempi lunghi e soddisfazione creditori spesso bassa (costi procedura elevati). – Stigma e conseguenze per debitore (anche se attenuate nel CCII rispetto al vecchio fallimento). | Persona giuridica: a fine liquidazione la società si estingue, i debiti insoddisfatti non esigibili (nessuno può più pretenderli da soggetto estinto). Imprenditore individuale o socio illimitato: può ottenere esdebitazione dei debiti residui su istanza o d’ufficio dopo chiusura (previa verifica condotta meritevole). Se non meritevole, resta obbligato. |
Concordato Minore (sovraindebitamento) | – Debitori non fallibili non consumatori (imprenditori minori, professionisti, imprend. agricoli, start-up, enti non commerciali, soci illimitati). – Sovraindebitamento (crisi/insolvenza). | Procedura analoga al concordato preventivo: proposta di piano con soddisfacimento crediti non inferiore a liquidazione. Creditori votano (maggioranza >50% crediti); omologazione dal Tribunale. Gestita da OCC/commissario nominato. | – Accessibile a piccole realtà prima escluse da fallimento. – Flessibile: norme concordato preventivo applicate in quanto compatibili (classi, moratoria, ecc.). – Consente continuità aziendale anche per piccole imprese, evitando liquidazione immediata. | – Richiede meritevolezza base (no frodi). – Voto creditori necessario (rischio insuccesso se frammentati o poco informati). – Coinvolge OCC ⇒ qualche costo aggiuntivo (ma minore di commissario fallimentare). | Simile al concordato prev.: omologazione e esecuzione integrale del piano portano alla esdebitazione dei debiti residui. Se il debitore è persona fisica, l’omologa e adempimento comportano liberazione residui; se è impresa individuale idem; se è socio illimitato, risponde con patrimonio ma poi può essere esdebitato. |
Tabella 2: Procedure per Persone Fisiche (Consumatori e Sovraindebitati) e Liquidazione del Patrimonio
Procedura | Destinatari / Requisiti | Descrizione | Vantaggi | Svantaggi / Limitazioni | Effetti finali |
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Piano del Consumatore (Ristrutturazione debiti del consumatore) | – Persona fisica consumatore (debiti non derivanti da attività imprenditoriale/prof.). – Sovraindebitamento (incapacità di pagare regolarmente). – Meritevolezza richiesta (no colpa grave o frode nella causa dell’indebitamento). | Il debitore propone un piano di pagamento sostenibile secondo le sue possibilità (es: rate mensili in X anni, eventuale liquidazione di beni). Tribunale omologa senza voto creditori se verifica equità, fattibilità e meritevolezza. Esecuzione sotto monitoraggio OCC. | – Non serve consenso dei creditori (protezione del consumatore meritevole). – Si adatta alla reale capacità del debitore (paghi quanto puoi). – Sospende azioni esecutive durante la procedura. – Debitore conserva i beni non previsti nel piano (non c’è spossessamento generale). | – Durata piano limitata da sostenibilità (di solito max 5-6 anni). – Richiede reddito minimo o supporto terzi: se zero risorse non applicabile (in tal caso serve liquidazione o esdebitazione incapiente). – Meritevolezza sotto scrutinio: comportamenti anche imprudenti possono complicare omologa (anche se la riforma 2020 ha ampliato l’accesso alleviando il criterio). | Se il piano viene integralmente adempiuto, il debitore ottiene l’esdebitazione automatica: i debiti residui inesigibili. (Eccetto eventuali debiti esclusi ex lege: es. obblighi alimentari, risarcimenti malafede – se applicabili). In caso di inadempimento rilevante, il piano può essere revocato e si può aprire liquidazione controllata. |
Liquidazione Controllata (del sovraindebitato) | – Qualunque debitore sovraindebitato non fallibile: consumatore, imprenditore minore, professionista, ecc. – Insolvenza attuale. – Può accedere anche se non meritevole (meritevolezza non è requisito di ammissione, rileva poi per esdebitazione). | Procedura liquidatoria giudiziale: tribunale apre la liquidazione, nomina un liquidatore (spossessa il debitore dei beni eccedenti il minimo vitale). Liquidatore, coadiuvato da OCC, vende beni e ripartisce il ricavato ai creditori secondo prelazioni. Simile al fallimento ma su scala ridotta e con maggiori tutele personali per il debitore. | – Offre soluzione quando non è possibile un piano (debiti troppo alti rispetto a risorse). – Anche debitore non meritevole può accedere (al contrario del piano). – Dopo 3 anni al max, il debitore persona fisica può chiudere i conti e ripartire (esdebitazione). – Costi procedura in parte copribili dal neo Fondo di solidarietà (per casi di totale incapienza). | – Il patrimonio viene liquidato integralmente (perde i beni, salvo quelli impignorabili). – Se ha reddito, per 4 anni deve versare la parte eccedente il necessario per mantenimento (periodo di “cessione del residuo” post chiusura, analogo a L.3 previgente – ridotto a 3 anni nel CCII per contestuale esdebitazione di diritto). – Procedura pubblica e concorsuale: stigma minore del fallimento ma comunque registrata. | Al termine (chiusura procedura o decorsi 3 anni dall’apertura) il debitore persona fisica ottiene Esdebitazione di diritto: tribunale dichiara inesigibili i debiti residui salvo eccezioni. Condizioni: il debitore ha cooperato e non ha commesso atti in frode; non ha già beneficiato di esdebitazione nei 5 (ora 10) anni precedenti, etc. Se condizioni mancano, il giudice può negare esdebitazione (casi rari, es. frode conclamata). NB: Esdebitazione non copre debiti per obblighi di mantenimento, alimentari, e risarcimenti danni da fatto illecito extra-concorsuali (come da principi generali). |
Esdebitazione del debitore incapiente (fresh start senza attivo) | – Persona fisica sovraindebitata non soggetta a liquidazione giudiziale (consumatore, impr. minore, professionista, ecc.). – Priva di beni e redditi: non in grado di offrire alcuna utilità ai creditori nemmeno in futuro. – Meritevole: insolvenza derivante da cause indipendenti dalla sua volontà; no frodi o malafede grave. – Non ha già ottenuto esdebitazione nei precedenti 10 anni, né beneficiato di altre procedure concorsuali “liberatorie” recentemente. | Procedura speciale: il debitore, con l’assistenza di OCC, chiede al Tribunale di essere esdebitato senza pagamento ai creditori, attestando la propria totale incapienza. Il Tribunale valuta la sussistenza rigorosa dei requisiti. Se approva, emette decreto che rende inesigibili tutti i debiti esistenti (liberazione immediata). La procedura non comporta liquidazione (non ci sono beni da liquidare). | – Innovativo “fresh start” totale per i casi umanamente più drammatici. – Permette al debitore onesto di uscire dalla trappola dei debiti anche se non ha nulla da offrire. – Evita i costi di una liquidazione inutile. – Rapida: tempi molto più brevi di un piano o liquidazione (si può ottenere decreto in pochi mesi). | – Accesso molto selettivo: riservato a nullatenenti veri in buona fede. – Obbligo per 3 anni post-decreto di segnalare e destinare ai creditori eventuali sopravvenienze patrimoniali oltre la soglia di sopravvivenza. Es., se riceve eredità o aumenta reddito in 3 anni, una parte va comunque ai creditori. – Esclusi enti collettivi e soggetti fallibili (imprese maggiori). – Non estingue debiti derivanti da obblighi di mantenimento, alimenti e multe penali (analogamente alle altre esdebitazioni). | Cancellazione dei debiti immediata con il decreto di omologa. Debitore liberato da tutti i debiti pregressi (chirografari e residui privilegiati). I creditori per 3 anni hanno diritto a essere soddisfatti con eventuali sopravvenienze (> minimo vitale), dopodiché anche quelle pretese cessano. Se emerge che il debitore ha dolosamente nascosto beni/redditi, o non adempie all’obbligo di segnalare sopravvenienze, il beneficio può essere revocato dal tribunale e i debiti “resuscitati”. |
(Le percentuali di soddisfo indicate sono esemplificative. OCC = Organismo di Composizione della Crisi.)
Domande Frequenti (FAQ)
D1: Non riuscire a pagare i debiti è un reato? Posso andare in carcere per questo?
R: In generale no, l’insolvenza civile non è reato. In Italia vige il principio che nessuno può essere privato della libertà personale per debiti (salvo casi eccezionali come le obbligazioni alimentari). Quindi, se lei non paga prestiti, fornitori o cartelle esattoriali, subisce conseguenze civili (pignoramenti, procedure concorsuali) ma non il carcere. Attenzione però: alcuni comportamenti connessi ai debiti possono costituire reato. Ad esempio, se lei occulta o distrugge beni per non farli trovare ai creditori (reato di sottrazione fraudolenta, art. 388 c.p.), oppure, per gli imprenditori, se compie atti di frode prima/durante il fallimento (bancarotta fraudolenta). Anche in ambito fiscale esistono reati di omesso versamento IVA o ritenute sopra soglia, o emissione di assegni senza copertura. Ma il puro e semplice fatto di non riuscire a pagare debiti contratti non comporta alcuna pena detentiva.
D2: Cosa si intende esattamente per esdebitazione?
R: Esdebitazione significa liberazione del debitore dai debiti residui non pagati al termine di una procedura concorsuale. In pratica, il debitore ottiene un “fresh start” – i creditori non possono più esigere legalmente quanto eventualmente non è stato soddisfatto nella procedura. Ad esempio, se un soggetto aveva €100.000 di debiti e nella liquidazione fallimentare i creditori hanno ricevuto il 20%, con l’esdebitazione il restante 80% non potrà più essere richiesto. L’esdebitazione può avvenire in due modi: (a) automaticamente per effetto dell’omologazione ed esecuzione di un piano concordatario (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, piano del consumatore), dove la parte falcidiata dei crediti è immediatamente cancellata per legge; (b) mediante provvedimento del tribunale a fine liquidazione (fallimento/liquidazione controllata) su istanza del debitore, previa verifica di requisiti. La nuova normativa prevede un’approvazione quasi d’ufficio dopo 3 anni. L’esdebitazione è un beneficio riservato ai debitori meritevoli (che hanno cooperato e non frodato). Non copre eventuali debiti per obblighi di mantenimento, alimenti, o risarcimenti per il dolo (questi restano).
D3: Quali debiti non si cancellano neanche con le procedure?
R: In linea generale, tutti i debiti concorsuali (anche fiscali e contributivi) possono essere falcidiati o cancellati nelle procedure descritte, tranne alcune eccezioni. Ad esempio, in concordato preventivo e accordi, per legge IVA e ritenute non versate non possono essere ridotte al di sotto del realizzo in liquidazione (quindi vanno pagate integralmente come crediti privilegiati, salvo che l’Erario stesso accetti una transazione) – ma se l’impresa fallisce anche quelle restano insoddisfatte, quindi indirettamente vengono “cancellate” dall’esdebitazione finale. In piani del consumatore e procedure da sovraindebitamento, la legge escludeva espressamente solo i debiti alimentari e da illecito (risarcimenti per danni causati con dolo o colpa grave) e le multe penali. Il CCII non ripete dettagliatamente l’elenco, ma è implicito che obblighi di mantenimento, alimenti, assegni divorzili non sono soggetti a esdebitazione (sono debiti della persona verso famiglia che mantengono tutela speciale). Anche le sanzioni penali (ammende, multe) e le somme dovute per risarcimento di reati dolosi probabilmente restano escluse: ovvero, se non pagate, persisteranno anche dopo la procedura. Per il resto, debiti verso il Fisco e verso l’INPS sono generalmente esdebitabili – un tempo c’era incertezza sui contributi, ma la giurisprudenza ha confermato che si cancellano come gli altri (non essendo “alimentari” in senso tecnico). Dunque, facendo un concordato o liquidazione, anche le cartelle esattoriali di Agenzia Entrate Riscossione vengono chiuse e l’eventuale residuo abbuonato.
D4: Ho molti debiti con il Fisco: meglio tentare un saldo e stralcio con Agenzia Entrate Riscossione o una procedura concorsuale?
R: Dipende dalla situazione. Se i debiti fiscali (es. cartelle) sono l’unica o principale esposizione, può valere la pena verificare con Agenzia Entrate-Riscossione possibilità di rateizzazione o definizione agevolata. Ad esempio, con le nuove norme 2025 può ottenere un piano fino a 7-10 anni per pagare a rate, evitando procedure concorsuali. Se l’importo è troppo elevato da pagare integralmente, si può attendere se esce una rottamazione (che abbuoni sanzioni e interessi). Tuttavia, se l’importo è talmente alto che neppure in 10 anni può pagarlo, o se oltre al Fisco ci sono altri debiti significativi, allora un concordato preventivo (per l’azienda) o un piano del consumatore (per il privato) può essere la soluzione: lì si potrà proporre di pagare solo una parte del debito fiscale (tramite transazione fiscale o cram-down) e ottenere l’esdebitazione sul resto. Spesso la via concorsuale è l’unica se serve un taglio consistente del debito fiscale (il Fisco in via amministrativa non può ridurti il capitale dovuto, mentre in concordato sì, seppur con condizioni). In sintesi: se può pagare tutto (magari col tempo), meglio accordarsi con il Fisco; se non può pagare tutto, valutare procedure che prevedano stralcio. Un professionista può stimare quanto otterrebbe il Fisco in caso di fallimento: se è molto poco, quell’informazione può convincere l’ADER ad accettare anche stralci in concordato o accordo.
D5: Qual è la differenza tra imprenditore minore e consumatore ai fini delle procedure?
R: La differenza sta nel tipo di debiti e attività svolta. Un consumatore è una persona fisica che ha contratto debiti per scopi personali, familiari, non attinenti a un’attività di impresa o professionale. L’imprenditore minore è invece un soggetto che svolgeva un’attività d’impresa commerciale ma di piccola dimensione (sotto certe soglie: attivo < €300k, ricavi < €200k, debiti < €500k), oppure un imprenditore agricolo o un professionista con debiti professionali. Ai fini pratici: il consumatore ha accesso esclusivo al piano del consumatore, procedura senza voto creditori. L’imprenditore minore o professionista, pur non fallibile, non è consumatore perché i suoi debiti attengono all’attività, dunque non può fare il piano del consumatore ma deve usare le procedure “imprenditoriali minori” – ossia il concordato minore o la liquidazione controllata. Un esempio: un elettricista con debiti di forniture e INPS è imprenditore minore; un insegnante con debiti da carte di credito è consumatore. Anche una persona fisica ex imprenditore fallito, se i debiti residui sono dell’attività, non è considerato consumatore agli effetti (lo era prima di aprire impresa, ma quei debiti hanno natura d’impresa). Quindi la scelta del percorso dipende dalla qualificazione: ciò viene valutato in base alla origine prevalente dei debiti.
D6: In un piano del consumatore o concordato minore, i creditori possono opporsi o fare reclamo contro l’omologazione?
R: Sì, i creditori che dissentono hanno qualche strumento di opposizione, sebbene limitato. Nel piano del consumatore, i creditori non votano, ma possono presentare contestazioni al giudice all’udienza di omologa – ad esempio sostenere che il debitore non è meritevole o che il piano li tratta peggio di altri creditori (violazione par condicio). Il tribunale valuta queste opposizioni prima di decidere. Se il piano viene omologato, un creditore può proporre reclamo alla Corte d’Appello entro 30 giorni per motivi di legittimità (es. mancata valutazione di un fatto rilevante, errore manifesta valutazione meritevolezza, ecc.). Nel concordato minore, i creditori esprimono il voto: se raggiunge la maggioranza, i dissenzienti possono opporsi all’omologa sostenendo questioni di legge (es. il piano viola disposizioni imperative o è fraudolento). Anche qui, dopo decreto di omologa, è ammesso reclamo in Appello da parte di creditori pregiudicati. In sintesi i creditori hanno vie di ricorso simili a quelle del concordato preventivo: l’opposizione pre-omologa e il reclamo post-omologa. Tuttavia, i giudici tendono a respingere opposizioni pretestuose: se il piano rispetta i requisiti di legge e il debitore è meritevole, la volontà della maggioranza (nel concordato) o la convenienza generale (nel piano consumatore) prevalgono.
D7: Durante una procedura concorsuale (concordato preventivo, minore, ecc.), la mia azienda può continuare a operare normalmente?
R: In linea di massima sì, ma con qualche limitazione. Se ha presentato un concordato preventivo “in continuità”, la legge anzi favorisce la prosecuzione dell’attività: può continuare a vendere, fare contratti, pagare la merce corrente in prededuzione. Tuttavia, durante la procedura lei agirà sotto la vigilanza del commissario giudiziale, e per gli atti di straordinaria amministrazione deve chiedere autorizzazione al tribunale (es: vendere un immobile, cedere un ramo d’azienda, contrarre finanziamenti superiori a soglia). I fornitori abituali, se la procedura è pubblica, sapranno del concordato: molti continueranno a fornire dietro pagamento alla consegna (perché i nuovi crediti hanno privilegio di massa, quindi sicuri). Nel concordato minore ugualmente può proseguire l’attività: c’è minor formalità ma, prudenzialmente, anche lì per atti straordinari occorre ok del giudice. L’apertura di una procedura sospende le azioni esecutive dei creditori anteriori e impedisce di pagarli (salvo casi autorizzati come fornitori strategici); ma le obbligazioni successive all’apertura vanno onorate regolarmente (sono debiti prededucibili). Dunque l’azienda continua, pagando stipendi correnti e forniture correnti. In un fallimento (liquidazione giudiziale) invece l’attività cessa salvo esercizio provvisorio autorizzato: in quel caso il curatore gestisce a termine. In composizione negoziata, l’attività continua integralmente sotto la direzione imprenditore, con solo obbligo di consultarsi con l’esperto per certe decisioni. Quindi, scegliendo procedure concordatarie, l’idea è proprio di evitare l’interruzione del ciclo operativo: ad esempio, se un’azienda di servizi entra in concordato, i contratti con clienti continuano (salvo clausole contrattuali che permettano recesso per concordato, ma la legge le limita).
D8: La procedura di composizione negoziata è pubblica? I miei partner commerciali sapranno che l’ho attivata?
R: La composizione negoziata (CNC) nasce come procedura riservata. L’istanza iniziale all’organismo viene fatta su piattaforma online confidenziale. La nomina dell’esperto non è pubblicata in registri pubblici accessibili a tutti. Quindi all’inizio solo lei, l’esperto e chi eventualmente consulta (es. consulenti interni, qualche creditore chiave) ne sono a conoscenza. Tuttavia, se lei richiede al tribunale le misure protettive (cioè il blocco delle azioni esecutive), il relativo decreto viene pubblicato nel registro delle imprese e comunicato ai creditori – a quel punto i terzi potranno venirne a conoscenza. Anche l’eventuale nomina di ausiliari o proroghe vengono iscritte. In pratica: fase iniziale riservata, ma se vuole la protezione legale dovrà accettare un po’ di pubblicità. Ci sono poi dei segnali indiretti: i creditori convocati dall’esperto capiranno che è in corso una trattativa e potrebbero diffonderlo informalmente. In ogni caso, la CNC è meno pubblica di un concordato preventivo, e se si risolve con un accordo stragiudiziale, può concludersi senza clamore. Se invece sfocia in un concordato semplificato o simili, quelle procedure finali sono pubbliche. Quindi, la riservatezza è relativamente tutelata nella prima fase.
D9: Se ottengo l’esdebitazione, questo comparirà da qualche parte? Le banche lo sapranno?
R: L’esdebitazione con sentenza/decreto del tribunale viene pubblicata nel registro delle imprese (se riguardava un imprenditore) e comunicata ai creditori interessati. Inoltre è annotata a margine del fallimento o procedura da cui discende. Non esiste tuttavia un “registro pubblico degli esdebitati” facilmente consultabile dal pubblico se non attraverso quelle fonti. Le centrali rischi finanziarie (CRIF, Experian) registrano i default creditizi e protesti, ma non specificamente l’esdebitazione. Nel suo merito creditizio comunque risulterà che quei debiti sono stati chiusi non onorandoli integralmente. È probabile che, almeno per alcuni anni, banche e finanziarie esitando a concederle nuovi prestiti, soprattutto se sanno (da circolari interne o da notizie societarie) che lei ha fatto un concordato o è stato fallito. Va detto però che la ratio dell’esdebitazione è proprio dare una seconda opportunità senza stigma: per legge, l’esdebitato non è considerato protestato o delinquente; anzi, non può essergli opposto dai creditori pregressi nulla di più. Dopo l’esdebitazione, i creditori originari devono cancellare le iscrizioni pregiudizievoli (ipoteche giudiziali, ecc.). Se lei vorrà accendere un nuovo mutuo, la banca valuterà il suo reddito attuale e potrà vedere che in passato c’è stato un “default” che però è risolto. Con il tempo e ricostruendosi una storia positiva (es. pagando regolarmente qualche nuova utenza o finanziamento piccolo), il suo credit score potrà migliorare. Inoltre, decorsi determinati anni (tipicamente 36 mesi) i dati negativi sui sistemi privati vengono cancellati. Quindi l’esdebitazione viene registrata in atti pubblici giuridici, ma non in liste di cattivi pagatori indefinite.
D10: Quanto costa avviare queste procedure? Devo anticipare molto denaro a OCC, avvocati, ecc.?
R: I costi variano in base alla procedura e alla complessità, ma tendenzialmente per il debitore in difficoltà sono stati previsti meccanismi agevolativi. Nelle procedure da sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, ecc.), il compenso dell’OCC e dell’eventuale attestatore è stabilito dal giudice secondo tariffe ministeriali, spesso in percentuale sul passivo o sull’attivo gestito. In molti casi l’OCC e i professionisti concordano un pagamento dilazionato o subordinato all’omologazione. Per esempio: in un piano del consumatore, l’OCC può prevedere di essere pagato con le prime rate versate dal debitore nel piano. Se la procedura non si omologa, spesso nulla è dovuto oltre un minimo per spese vive. Inoltre, dal 2021 esiste un Fondo di solidarietà statale per coprire i costi delle procedure di sovraindebitamento dei debitori incapienti. Quindi, se lei è nullatenente, può chiedere al giudice di attingere a quel Fondo per pagare l’OCC, evitando esborsi. Ovviamente ci sarà da pagare il suo avvocato o consulente: molti avvocati applicano tariffe forfettarie e spesso rateizzate. Ad esempio, per un piano del consumatore semplice il costo legale può andare da 2.000 a 5.000 euro a seconda. Per un concordato preventivo aziendale, i costi salgono (ci sono spese di tribunale, compenso commissario, attestatore, che possono anche superare il 5-10% dell’attivo). In un fallimento/liquidazione giudiziale, il curatore viene pagato dall’attivo recuperato, il debitore fallito non anticipa nulla (ma neanche controlla quei costi). In sintesi: qualche migliaio di euro di spese professionali vanno messi in conto, ma modulati sulle sue capacità e spesso ricompresi nel piano. È importante discuterne apertamente con i professionisti, che possono proporre soluzioni (ad es. pagamento a fine procedura, o istanza al Fondo). Diffidi invece di servizi che chiedono grosse somme in anticipo promettendo miracoli: rivolgersi agli OCC istituiti presso ordini professionali o enti pubblici le garantisce trasparenza sulle tariffe.
D11: La mia azienda è in crisi ma ha buone prospettive di mercato: come scegliere tra composizione negoziata e concordato preventivo?
R: La composizione negoziata è uno strumento volontario e flessibile, utile come prima mossa per tentare un risanamento senza entrare subito in procedura concorsuale. Se la sua azienda ha un problema di squilibrio ma è ancora solvibile o appena insolvente, e pensa che con l’aiuto di un esperto possa convincere banche/creditori a ristrutturare, provi la CNC: è confidenziale, relativamente rapida (l’esperto deve chiudere entro 180 giorni salvo proroghe), e le dà la possibilità di accedere a misure protettive ad hoc mantenendo il timone dell’azienda. Se però il quadro è già molto compromesso (creditori sul piede di guerra, bisogno di blocco immediato delle azioni e di una soluzione imposta perché i creditori sono tanti e disparati), allora potrebbe essere meglio presentare un concordato preventivo (anche “in bianco” per fermare i creditori e poi presentare il piano). Spesso le due cose non si escludono: può iniziare con la CNC; se vede che entro pochi mesi non si raggiunge accordo, può virare su un concordato preventivo tradizionale (magari utilizzando le informazioni raccolte e la relazione finale dell’esperto). La CNC essendo relativamente nuova ha già avuto successi in diverse situazioni di turnaround aziendale senza fallimento. Indici di scelta:
- Numero e tipo di creditori: pochi e istituzionali (banche) → CNC può bastare; tanti piccoli fornitori → forse concordato per vincolarli tutti.
- Urgenza di protezione: se c’è già istanza di fallimento depositata da creditori, forse conviene concordato subito (che la blocca); se ancora non c’è, può tentare CNC.
- Necessità di finanza esterna o tagli forzosi: se il piano richiede imporre perdite ai creditori e magari nuovi investitori con esdebitazione di parte di debiti, il concordato offre strumenti coercitivi (cram-down) e pulizia; la CNC invece richiede consenso – se prevedete che alcuni non saranno mai d’accordo, il concordato è preferibile.
In sintesi, la CNC è “morbidamente preventiva” e si può convertire in concordato semplificato (liquidatorio) se fallisce; il concordato preventivo è più rigido ma risolutivo se approvato.
D12: Sono un ex socio di SNC fallita: posso liberarmi dei debiti sociali rimasti?
R: Nelle società di persone (S.n.c., S.a.s.), i soci hanno responsabilità illimitata: se la società fallisce, automaticamente falliscono anche i soci illimitatamente responsabili (art. 147 L.F.). Quindi, se la sua SNC è stata dichiarata fallita, anche lei come socio è nel suo fallimento personale. Alla chiusura di quel fallimento, lei come persona fisica potrà chiedere l’esdebitazione per liberarsi dai debiti residui sociali e personali. Se per qualche ragione non è fallito insieme alla società (caso raro, magari non era più socio al momento, o il fallimento è stato chiuso insufficienza attivo prima di estenderlo ai soci), lei rimane debitore verso i creditori sociali. In tal caso, può ricorrere alle procedure da sovraindebitamento: essendo un ex imprenditore commerciale illimitatamente responsabile, ma non più soggetto a fallimento (società sciolta e procedure finite), probabilmente rientra nei debitori non fallibili – potrebbe quindi proporre un concordato minore o richiedere la liquidazione controllata per la sua persona. L’orientamento è includerlo tra i soggetti ammissibili (l’art. 65 CCII include “socio illimitatamente responsabile” meritevole). Dovrà comunque soddisfare requisiti di meritevolezza e offrire ai creditori almeno quanto otterrebbero da eventuali sue azioni (es. se possiede beni personali). In definitiva, sì: un ex socio di società di persone può liberarsi dei debiti residui mediante esdebitazione fallimentare classica se è stato coinvolto, oppure con le procedure di sovraindebitamento se non lo è stato, a condizione di chiudere in modo trasparente la propria situazione patrimoniale.
D13: Che succede se durante un concordato non rispetto qualche scadenza di pagamento del piano?
R: Dipende dalla fase. Se il concordato è in fase di esecuzione dopo l’omologa, il mancato rispetto degli obblighi previsti dal piano può portare a una risoluzione del concordato per inadempimento. Ad esempio, se doveva pagare X% ai creditori entro una certa data e non lo fa, ogni creditore insoddisfatto può chiedere al tribunale di dichiarare risolto il concordato. La risoluzione fa rivivere i debiti originari (detratto quanto eventualmente già incassato) e di solito porta all’apertura di una liquidazione giudiziale (fallimento) immediata. Quindi è fondamentale rispettare le scadenze o, se si prevedono problemi, chiedere al giudice una modifica del piano prima che scada (non sempre consentita). Se invece il pagamento mancato avviene prima dell’omologa (es. durante il periodo di concordato con continuità dove lei deve comunque pagare forniture post domanda ma non paga un debito post-petizione), i creditori possono segnalare l’evento e il tribunale può revocare l’ammissione e farla decadere dalla procedura, aprendo il fallimento. C’è un margine di tolleranza per piccoli ritardi o adempimenti marginali, ma per rate concordatarie importanti no. Nelle procedure di sovraindebitamento, analogamente, l’inadempimento del piano del consumatore o concordato minore comporta la revoca dei benefici e potenziale apertura di liquidazione controllata. Quindi l’impegno preso va mantenuto rigorosamente, magari prevedendo piani prudenziali. Se succede per cause di forza maggiore (es. nuova crisi economica), può provare a rinegoziare coi creditori un nuovo concordato (ma giuridicamente serve aprire una nuova procedura, non modificare in corsa se omologato a meno di clausole). Riassumendo: l’inadempimento post-omologa fa perdere l’esdebitazione e i creditori tornano alla carica, spesso con un fallimento.
D14: Se faccio una liquidazione controllata, posso tenere la mia casa?
R: Dipende. Nella liquidazione controllata (come nel fallimento) tutti i beni del debitore diventano liquidabili, inclusa l’eventuale casa di proprietà. Non c’è un’esenzione generale per la prima casa analoga a quella che tutela dal pignoramento fiscale. Ciò significa che se possiede un immobile, il liquidatore dovrà valutarne la vendita per soddisfare i creditori, anche se è la sua abitazione principale. Ci sono comunque alcune tutele: ad esempio, il liquidatore deve rispettare le norme procedurali (bandire un’asta, evitare svendite) e se lei abita lì, spesso la liberazione dell’immobile avviene solo quando la vendita è conclusa, dandole tempo. In più, se l’immobile è cointestato con il coniuge, si possono vendere solo le quote. Nelle procedure, a differenza del pignoramento esattoriale, la legge non fa distinzione tra prima casa o seconda casa. L’unica speranza per “conservare” la casa è trovare un accordo con i creditori fuori dalla liquidazione (ad es., un familiare la rileva dal liquidatore a prezzo di mercato e le consente di continuare ad abitarci). Oppure, valutare il concordato minore anziché liquidazione: in un concordato, potenzialmente può proporre ai creditori un piano in cui tiene la casa e paga loro l’equivalente del valore in rate (se reddito consente), e se accettano, conserva l’immobile. Ma se si va in liquidazione, la casa diventa parte dell’attivo da liquidare. Va anche detto: se la casa ha un’ipoteca (mutuo) e il suo valore è interamente coperto dal mutuo residuo, il liquidatore potrebbe abbandonare la vendita perché non porterebbe utilità ai creditori chirografari (realizzerebbe solo la banca ipotecaria). In quel caso, teoricamente, potrebbe mantenere la casa continuando a pagare il mutuo – ma questo scenario richiede che la procedura valuti conveniente lasciare fuori l’immobile, cosa rara ma possibile.
D15: Sono coobbligato o garante di un debitore insolvente: la sua esdebitazione libera anche me?
R: No. L’esdebitazione, così come il concordato o il piano, non si estende ai coobbligati o fideiussori (art. 284 CCII lo ribadisce in continuità col passato). Ciò significa che se Tizio ottiene la cancellazione dei debiti suoi, un terzo che aveva garantito quei debiti resta obbligato per intero. Esempio: marito e moglie firmatari congiunti di un prestito – se il marito fa un piano del consumatore e paga il 30%, liberandosi dal restante 70%, la moglie coobbligata può essere ancora chiamata a pagare quel 70%. Idem per il garante di un mutuo: se il debitore principale fallisce, la banca può rivalersi sul garante per l’intero importo residuo (anche durante e dopo l’esdebitazione del principale). Dunque, ogni obbligazione è vista in capo a ciascun debitore separatamente. L’unico modo per liberare anche i garanti è che anch’essi aderiscano o siano ricompresi in una procedura. In pratica, spesso in ambito familiare conviene fare procedure coordinate. Ad esempio, se un piccolo imprenditore fa concordato minore per la ditta e il coniuge aveva garantito, sarebbe opportuno che anche il coniuge magari acceda a un piano del consumatore per essere liberato (o includere entrambi in un unico piano famigliare, cosa ora possibile se hanno debiti comuni). La normativa infatti consente procedure di gruppo familiare sovraindebitato. Ma se il garante non fa nulla, rimane obbligato. Nota: Se un creditore ha recuperato parzialmente dal debitore principale in concordato (es. 30%), potrà chiedere al garante solo il restante 70% (perché il suo credito si riduce di quanto incassato). Ma resta il diritto sul garante per la parte insoddisfatta.
D16: Quali sono le differenze principali tra la vecchia legge sul sovraindebitamento (L.3/2012) e il nuovo Codice della Crisi 2019-2022?
R: Le differenze sono molte, sintetizziamo le più rilevanti:
- Unificazione e semplificazione: Prima c’erano tre procedure separate (accordo con creditori, piano consumatore, liquidazione patrimonio). Ora c’è un quadro più coerente: “concordato minore” unifica accordo e piano per non consumatori; “piano del consumatore” rimane per consumatori; “liquidazione controllata” è unica per tutti i casi liquidatori.
- Soglie di fallibilità aggiornate: Il CCII definisce chiaramente chi è fallibile e chi no (imprese minori parametri €300-200-500k), togliendo dubbi (es. prima gli imprenditori sotto soglia accedevano a L.3 ma c’erano incertezze interpretative).
- Meritevolezza: è stata in parte allentata per l’accesso. In L.3 il piano consumatore richiedeva il test severo del “meritevole” e l’accordo chiedeva assenza di atti in frode. Ora: piano consumatore richiede di non aver causato il debito con dolo o colpa grave (concetto più favorevole, perché prima bastava imprudenza per essere esclusi); concordato minore non parla di meritevolezza espressamente (quindi più aperto, salvo valutazione abuso); liquidazione controllata non la richiede affatto (quindi anche non meritevole può liquidare, anche se poi per esdebitazione valuteranno condotta).
- Esdebitazione automatica e incapiente: Nel vecchio impianto dovevi fare apposita istanza di esdebitazione a fine liquidazione entro 1 anno; ora è (quasi) automatica dopo 3 anni. Inoltre introdotto l’esdebitazione incapiente ex novo, che prima non esisteva affatto: prima un nullatenente rimaneva a vita con debiti (salvo procedure che comunque non davano nulla ai creditori ma costavano al debitore).
- Concordato semplificato e composizione negoziata: Innovazioni del 2021 recepite dal CCII: prima non c’era alcuna procedura concorsuale senza voto. Ora, fallita la negoziazione assistita, l’imprenditore può chiedere un concordato senza voto creditori. Questo chiude un buco: prima se negoziazione falliva, restava il fallimento; ora c’è una via liquidatoria semplificata (comunque concorsuale).
- Partecipazione creditori pubblici: nel CCII si consente l’omologa forzata sul dissenso del Fisco/INPS se il piano offre loro ≥ rispetto a scenario liquidatorio (recependo norma già introdotta nel 2017 e 2020) – prima non era chiaro, ora è normato.
- Procedure familiari e di gruppo: il CCII consente a più membri di una famiglia sovraindebitata di presentare un unico piano o procedure coordinate se legate (utile per marito e moglie con debiti comuni). Anche per gruppi d’imprese possibilità di concordato di gruppo.
- Allerta e OCRI: il CCII (ancora in parte sospeso sino 2022) prevedeva meccanismi di allerte (segnalazioni automatiche di INPS, Agenzia Entrate se ritardi) e l’OCRI. Molto di questo è stato sostituito dalla composizione negoziata volontaria. Oggi le “allerte” pubbliche sono attive in parte (dal 2024 gli enti segnalano) ma la gestione passa dall’invito a fare CNC.
- Terminologia e procedure: il termine “fallimento” è abrogato e sostituito da “liquidazione giudiziale”, per ridurre lo stigma. Concordato preventivo rimane ma con regole nuove su classi e percentuali.
In sintesi, la riforma 2019-2022 ha reso le procedure più accessibili, anticipatorie e orientate al risanamento, recependo la direttiva UE 2019/1023.
D17: Dopo quanto tempo dai primi segnali di insolvenza dovrei attivarmi?
R: Subito. Uno dei principi del Codice della Crisi è la precoce emersione della crisi. Aspettare peggiora sempre la situazione: gli interessi maturano, i creditori perdono fiducia, si possono compiere (in buona fede) atti che poi vengono revocati. Gli amministratori di società per legge (art. 2086 c.c.) hanno il dovere di attivarsi per superare la crisi appena la rilevano (con adeguati assetti organizzativi per intercettarla). In concreto: se lei vede che non riesce a pagare puntualmente fornitori e rate fiscali da qualche mese, e non è un problema transitorio risolvibile con risorse a breve, è il momento di consultare un esperto. Si può iniziare con una consulenza presso un OCC o un professionista per valutare opzioni (spesso le Camere di Commercio offrono sportelli). Prima di arrivare a insolvenza conclamata (p.es. esposizioni scadute rilevanti, come 90+ giorni su debiti verso dipendenti o Fisco, che sono anche indicatori di allerta), conviene predisporre un piano. Molte procedure – specie la composizione negoziata – funzionano se attivate in stato di crisi incipiente, non quando la cassa è zero assoluto e i fornitori bloccano tutto. Quindi la risposta: appena capisce che, facendo proiezioni realistiche, non riuscirà a onorare regolarmente i suoi debiti entro un orizzonte di 6-12 mesi, deve muoversi. Ciò non vuol dire dichiarare fallimento subito, ma iniziare magari approcci informali, e se quelli non bastano, avviare la procedura formale idonea (CNC, concordato, ecc.). Il tempismo può fare la differenza tra salvare l’attività (con un concordato in continuità) o doverla liquidare.
D18: Dopo la chiusura di una procedura di esdebitazione, posso aprire una nuova attività o contrarre nuovi debiti?
R: Sì, in linea di massima non ci sono preclusioni permanenti. Ad esempio, se lei era un imprenditore fallito ed è stato esdebitato, può tornare a fare impresa (non esistono più le vecchie pene accessorie del fallimento che impedivano attività commerciale se non per 5 anni, quelle sono state eliminate). Naturalmente dovrà riguadagnarsi la fiducia sul mercato. Alcuni registri o licenze potrebbero richiedere dichiarazione di precedenti procedure concorsuali, ma non gliele vietano (salvo settori particolari, es. bancario). Lo scopo dell’esdebitazione è proprio reinserire il soggetto nell’economia formale. Quindi può aprire una nuova ditta, società, chiedere credito (sarà la banca a decidere se darglielo, come detto il track record passato può incidere, ma col tempo diminuisce). Limitazioni esistono se il soggetto ha abusato delle procedure: es., chi ha già avuto esdebitazione non può chiederne un’altra prima di 10 anni. Quindi non potrebbe fare un secondo concordato o piano per nuovi debiti contratti poco dopo (verrebbe dichiarato inammissibile se i debiti nuovi sono maliziosamente accumulati). Inoltre, se emergesse frode, l’esdebitazione può essere revocata. Ma assumendo che tutto si sia svolto regolarmente, lei è libero di agire come qualsiasi cittadino economicamente riabilitato. Un consiglio: imparare dalla lezione. Se deve contrarre nuovi debiti, lo faccia con prudenza e tenendo presente gli errori del passato perché, se finisse di nuovo insolvente troppo presto, il giudice potrebbe non concedere un’altra esdebitazione considerandolo comportamento abusivo.
D19: I creditori possono ancora perseguirmi dopo la procedura per atti di frode che scoprono tardivamente?
R: Dipende dal tipo di scoperta. Se dopo la chiusura della procedura (fallimento, concordato, ecc.) emergono atti di frode del debitore (es. aveva nascosto un bene, falsificato documenti), i creditori potrebbero:
- In sede civile, chiedere la revoca dell’esdebitazione se concessa, dimostrando che è stata ottenuta con dolo (ad esempio art. 281 co.4 CCII permette revoca se si scoprono asset occultati). Questo riaprirebbe la possibilità di perseguire i debiti.
- In sede penale, denunciare il fatto: se integra reati (bancarotta fraudolenta, ad es.), il debitore può essere processato e condannato, e la sentenza penale può eventualmente disporre risarcimento danni a creditori costituiti parti civili. Tale obbligo di risarcimento derivante da reato non è esdebitato (debito da illecito doloso).
- Se l’atto di frode consisteva nel sottrarre beni ai creditori e ora si riesce a recuperarli (es. un immobile intestato a terzi simulatamente), i creditori possono far valere l’inefficacia di quell’atto (revocatoria fallimentare o ordinaria) e aggredire il bene anche post-procedura, se legalmente possibile. In fallimento il curatore avrebbe dovuto farlo, ma se emerge dopo, in teoria l’azione spetta ancora ai creditori singoli (revocatoria ordinaria entro 5 anni dall’atto).
- Nell’ambito concordatario, se dopo l’omologa emergono frodi gravi antecedenti, i creditori potrebbero chiedere l’annullamento del concordato per dolo del debitore (art. 137 L.F. prev. applicabile, ora similmente in CCII) entro 6 mesi dall’omologa. Annullato il concordato, si riapre la possibilità di farlo fallire.
In sintesi, l’esdebitazione non protegge da conseguenze se ha fraudolentemente sottratto beni o occultato informazioni: in quei casi la protezione salta. Quindi è fondamentale comportarsi onestamente durante la procedura. Se invece non c’è frode ma i creditori “scoprono” tardivamente (per loro disattenzione) la procedura quando ormai i termini di opposizione/reclamo sono scaduti, allora no, non possono più agire. Esempio: un creditore che si era distratto non può risvegliarsi dopo un anno dall’omologa pretendendo pagamenti: sarebbe tardi, il debito è esdebitato.
D20: In concreto, a maggio 2025, c’è già giurisprudenza su questi nuovi istituti (concordato semplificato, esdebitazione incapiente, ecc.)?
R: Sì, iniziano ad esserci. Ad esempio, ci sono state alcune omologhe di concordati semplificati (post-composizione negoziata) e anche qualche diniego; i tribunali stanno stabilendo prassi (p.es. Tribunale di Milano ha omologato un concordato semplificato liquidatorio nel 2023, mentre altri tribunali valutano stringentemente la fattibilità, es. niente concordato semplificato in continuità – deve essere solo liquidatorio). Sull’esdebitazione dell’incapiente, i primi casi del 2023-2024 mostrano che i giudici la concedono ma con interpretazione rigorosa: ad esempio, il Tribunale di Ferrara (marzo 2025) ha chiarito che va valutato attentamente cosa costituisce reddito eccedente – non basta un criterio aritmetico, occorre giudizio caso per caso per evitare che uno con piccole eccedenze venga considerato incapiente se in realtà può dare qualcosa. Ci sono stati decreti di esdebitazione a nullatenenti già nel 2023 (Tribunale di Torino, di Rimini, ecc.). Anche la Cassazione si è espressa su aspetti della meritevolezza nel nuovo contesto: ad esempio, Cass. n. 22890/2023 ha stabilito che la meritevolezza del consumatore va valutata globalmente col nuovo criterio, senza applicare pedissequamente il vecchio parametro della “prospettiva ragionevole”. Quindi sì, la giurisprudenza si sta formando e direi prevalentemente in senso favorevole all’applicazione delle novità (ad esempio, meno rigore sulla colpa del consumatore, apertura verso il fresh start dell’incapiente, etc.). Nelle note finali della guida troverà alcuni riferimenti specifici a sentenze e provvedimenti di questi anni.
Fonti Normative e Giurisprudenziali (Agg. maggio 2025)
Di seguito un elenco non esaustivo di riferimenti normativi e pronunce utili menzionate o sottese nella guida:
Normativa primaria (Italia):
- R.D. 16 marzo 1942 n. 267 – Vecchia Legge Fallimentare (abrogata, ma rilevante per concetti storici di fallimento, concordato preventivo, ecc.).
- Legge 27 gennaio 2012 n. 3 – Procedimenti da sovraindebitamento (abrogata dal CCII, introdusse piano consumatore, accordo, liquidazione patrimonio).
- Legge Delega 19 ottobre 2017 n. 155 – Delega al Governo per la riforma organica delle crisi d’impresa e dell’insolvenza.
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022, come modificato dai successivi decreti correttivi. (Articoli chiave: art. 2 definizioni – impresa minore, sovraindebitamento; art. 65-91 procedure sovraindebitamento – piano consumatore, concordato minore; art. 268-277 liquidazione controllata; art. 278-283 esdebitazione e incapiente; art. 25-sexies e seg. concordato semplificato; art. 48/56 accordi e piani attestati; art. 94-118 concordato preventivo; art. 121 esclusione impresa minore da fallimento; art. 284 coobbligati).
- D.L. 24 agosto 2021 n. 118 conv. L.147/2021 – Ha introdotto la Composizione Negoziata e il Concordato semplificato (quest’ultimo ora trasfuso nel CCII artt. 25-sexies e segg.).
- D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 – Primo correttivo al CCII, di attuazione parziale direttiva UE 2019/1023 (ha anticipato l’entrata in vigore al luglio 2022 e modificato transazione fiscale, classi di voto, etc.).
- D.Lgs. 15 settembre 2022 n. 147 – Secondo correttivo al CCII (cd. correttivo bis).
- D.Lgs. 13 ottobre 2023 n. 149 – Terzo correttivo (cd. correttivo ter) al CCII, con ulteriori modifiche puntuali efficaci dal dicembre 2023 (ha perfezionato alcuni aspetti di concordato semplificato, esdebitazione, e coordinato normative). Citato nel testo come D.Lgs.136/2024 in alcune fonti.
- Codice Civile, art. 2086 comma 2 – Dovere imprenditore di adottare assetti adeguati per rilevare crisi e attivarsi (introdotto dal D.Lgs.14/2019, rilevante per prevenzione insolvenza).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n.602, art. 19 – Rateazione delle cartelle esattoriali (modificato dal D.Lgs.110/2024).
- Legge 30 dicembre 2022 n.197 (Legge di Bilancio 2023), commi su definizione agevolata “Rottamazione-quater” e stralcio mini-debiti fiscali.
Normativa UE:
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Sui quadri di ristrutturazione preventiva e remissione dei debiti. (Ha ispirato molte novità del CCII, come composizione negoziata, cram-down su creditori pubblici, esdebitazione imprenditore onesto entro 3 anni).
Pronunce giurisprudenziali e prassi (selezione):
- Cass., Sez. I, 27/07/2023 n. 22890 – Sovraindebitamento: criteri di meritevolezza del consumatore alla luce del nuovo art. 69 CCII. Sottolinea abbandono del vecchio “test di ragionevole prospettiva” e necessità di valutazione complessiva del comportamento.
- Cass., Sez. I, 14/02/2023 n. 4613 – In tema di accordo ex L.3/2012, conferma che l’omologazione del piano del consumatore prescinde dal voto dei creditori e chiarisce aspetti procedurali (meritevolezza va valutata d’ufficio, etc.).
- Cass., Sez. Un., 15/11/2021 n. 36376 – Sul trattamento dell’IVA nei concordati: recepisce la possibilità di falcidia dell’IVA nel concordato in certi limiti (coordinamento col diritto UE, preludio al cram-down fiscale normativo).
- Tribunale di Milano – diverse pronunce 2022-23: ha omologato alcuni concordati semplificati post composizione negoziata, dettando linee guida (es. necessario che trattative siano realmente tentate; esclusa fattibilità di concordato semplificato “in continuità” – dev’essere liquidatorio puro, v. Trib. Milano 28/04/2022).
- Tribunale di Roma, 13/10/2022 – Prima applicazione di esdebitazione incapiente: ha concesso esdebitazione a debitore senza redditi né beni, ritenuto meritevole (confermando che l’assenza di utilità ai creditori era totale).
- Tribunale di Rimini, 06/02/2025 – (citato in IlCaso.it) Esdebitazione incapiente: interpreta l’art. 283 comma 2 CCII sulla soglia di reddito per utilità ai creditori. Indica che va valutata caso per caso la eccedenza rispetto al minimo vitale destinabile.
- Tribunale di Ferrara, 10/03/2025 – Conferma approccio di Rimini: no letteralismo nel criterio incapienza, evitare esdebitazione a chi potrebbe dare qualcosa (anche poca) ai creditori, pena snaturare l’istituto.
- Tribunale di Napoli, 15/07/2022 – Omologa uno dei primi concordati minori, delineando differenze col concordato maggiore (soglia dei debiti, ruolo OCC, etc.).
- Corte d’Appello di Venezia, decreto 26/05/2023 – In sede di reclamo, conferma omologa di un piano del consumatore, evidenziando la corretta applicazione del nuovo parametro di meritevolezza e rigettando l’opposizione dei creditori che invocavano i vecchi criteri.
- Tribunale di Torino, 01/12/2022 – Decreto di omologa di un piano del consumatore con falcidia parziale di debiti erariali, applicando d’ufficio il cram-down fiscale ex art. 12-ter L.3/2012 (norma transitoria poi integrata nel CCII).
- Tribunale di Forlì, 10/01/2023 – Primo utilizzo in Italia del Fondo di garanzia per procedure sovraindebitamento: autorizza l’esonero del debitore incapiente dal pagamento delle spese di procedura, attingendo ai €6.000 necessari dall’apposito Fondo statale (prassi destinata a diffondersi).
- Tribunale di Firenze, 21/09/2023 – Concordato preventivo in continuità: sentenza che richiama l’obbligo di trattare il Fisco non deteriore rispetto a scenario liquidatorio, omologando il concordato nonostante voto contrario Agenzia Entrate (applicazione concreta art. 48 CCII come modificato).
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