Ristrutturazione Debiti Agricoli: Come Funziona Il Sovraindebitamento Dell’Imprenditore Agricolo

Sei un imprenditore agricolo e ti trovi in difficoltà con debiti verso banche, fornitori, INPS o l’Agenzia delle Entrate? I raccolti sono andati male, i costi sono aumentati e non riesci più a far fronte alle scadenze? Temi il pignoramento dei terreni, dei mezzi o la perdita della tua attività agricola?

Oggi la legge ti offre una via d’uscita concreta: anche per chi lavora in agricoltura, è possibile accedere alle procedure di sovraindebitamento, ristrutturare i debiti e ripartire in modo sostenibile, senza fallire e senza perdere tutto.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto agrario, crisi d’impresa e sovraindebitamento rurale – ti spiega come funziona la ristrutturazione dei debiti per l’imprenditore agricolo, quali strumenti puoi usare e come difendere la tua azienda e il tuo patrimonio legalmente.

Hai un’azienda agricola in difficoltà e cerchi una via d’uscita concreta?

Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme la tua posizione fiscale, i debiti aperti e la possibilità di attivare una procedura di sovraindebitamento agricolo, con l’obiettivo di salvare la tua impresa, proteggere i beni e costruire un futuro più stabile e legalmente tutelato.

Introduzione

La ristrutturazione dei debiti in ambito agricolo è un tema di grande attualità, specie alla luce delle riforme introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, di seguito CCII). Gli imprenditori agricoli tradizionalmente non sono assoggettabili alle procedure fallimentari ordinarie, a differenza degli imprenditori commerciali. Questa peculiarità normativa nasce storicamente dalla volontà del legislatore di tenere conto delle specificità del settore agricolo e dei rischi “naturali” connessi (come le intemperie e l’andamento stagionale), distinti dai rischi di impresa propri delle attività commerciali. Il risultato è che l’imprenditore agricolo non può essere dichiarato fallito (oggi non è soggetto a liquidazione giudiziale secondo il CCII) né accedere al concordato preventivo ordinario.

Con l’entrata in vigore del CCII (luglio 2022) sono state introdotte procedure ad hoc per consentire anche agli imprenditori agricoli sovraindebitati di ristrutturare o cancellare i propri debiti in modo controllato e giudiziale. Queste procedure rientrano nella categoria del sovraindebitamento, un insieme di strumenti pensati per i debitori “non fallibili” (compresi i privati cittadini, i piccoli imprenditori e gli agricoltori). La disciplina è stata ulteriormente affinata con interventi normativi successivi, tra cui il correttivo del 2020 (D.Lgs. 147/2020), il D.L. 118/2021 convertito in L. 147/2021 (che ha introdotto la composizione negoziata della crisi), e il più recente correttivo ter del settembre 2024 (D.Lgs. 136/2024) che ha apportato modifiche mirate alle procedure di sovraindebitamento.

In questa guida avanzata – aggiornata a maggio 2025 – esamineremo in dettaglio tutte le procedure di sovraindebitamento previste dal CCII applicabili all’imprenditore agricolo, evidenziando le ultime novità legislative e i principali orientamenti giurisprudenziali. Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma di taglio divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia agli imprenditori agricoli interessati a capire come gestire una situazione di crisi debitoria.

Cosa troverete in questa guida: un’analisi normativa accurata, il commento di sentenze recenti dei tribunali italiani sul tema del debito agricolo, tabelle comparative tra le diverse procedure (requisiti, effetti, durata, competenza), una sezione di FAQ con domande tecniche e risposte pratiche, nonché alcune simulazioni di casi reali e scenari ipotetici per illustrare l’applicazione concreta degli strumenti di sovraindebitamento nel settore agricolo. In fondo, una sezione elenca tutte le fonti normative e giurisprudenziali utilizzate, comprese Gazzette Ufficiali, siti istituzionali (Ministero della Giustizia, CNDCEC), pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità, e articoli di riviste specializzate.

Quadro normativo aggiornato al 2025

La disciplina del sovraindebitamento in Italia ha avuto origine con la Legge 27 gennaio 2012 n.3 (cosiddetta “legge salva-suicidi”), pensata per offrire una via d’uscita a debitori civili e piccoli imprenditori esclusi dal fallimento. Dal 15 luglio 2022, quella legge è stata abrogata e sostituita dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 in attuazione della delega della L. 155/2017. Il CCII ha riordinato in un testo unico tutta la materia concorsuale (fallimenti, concordati, amministrazioni straordinarie) includendo anche le procedure da sovraindebitamento nel Titolo IV.

Negli anni immediatamente precedenti l’entrata in vigore del Codice, il legislatore è intervenuto più volte per affinare e aggiornare la riforma. In particolare:

  • Il D.Lgs. 147/2020 (cd. correttivo 2020) ha modificato diverse disposizioni del CCII prima che entrasse in vigore, allo scopo di correggere refusi e migliorare la coordinazione con le normative europee e speciali.
  • Il D.L. 118/2021 (convertito con modificazioni dalla L. 147/2021) ha introdotto in via anticipata la Composizione negoziata della crisi d’impresa e ha differito l’entrata in vigore del CCII al 2022. Importante, ai fini agricoli, è che questo decreto ha equiparato – ai soli fini dell’accesso alla composizione negoziata – l’imprenditore agricolo all’imprenditore commerciale, prevedendo la sua ammissibilità agli strumenti di allerta e composizione stragiudiziale della crisi. Inoltre, si è chiarito che l’imprenditore agricolo di grandi dimensioni (“sopra-soglia”) resta comunque escluso dal concordato preventivo ordinario, ma può accedere alle procedure di sovraindebitamento (concordato “minore”) indipendentemente dai limiti dimensionali. Ciò segna una novità rispetto al passato: un’impresa agricola con fatturati e debiti elevati non viene abbandonata a sé stessa, ma può utilizzare gli strumenti riservati ai debitori non fallibili, senza incorrere in inammissibilità per superamento soglie.
  • Il D.Lgs. 83/2022 ha adeguato il CCII alla direttiva UE 2019/1023 in materia di ristrutturazioni preventive e seconda opportunità, anche se molte norme della direttiva riguardavano soprattutto le imprese commerciali. Per i sovraindebitati, l’impatto principale è stato il rafforzamento del principio del fresh start (seconda chance) e alcune garanzie procedurali in più per il debitore onesto ma sfortunato.
  • Infine, il recente D.Lgs. 136/2024 (correttivo ter) ha introdotto ulteriori modifiche puntuali. Tra quelle che interessano direttamente gli imprenditori agricoli segnaliamo: la definizione più restrittiva di “consumatore” (art. 2, co.1, lett. e, CCII) per escludere che un ex imprenditore con debiti d’impresa possa qualificarsi consumatore; l’estensione alle procedure di liquidazione controllata della regola per cui l’istanza dev’essere presentata entro un anno dalla cessazione dell’attività; il mantenimento delle start-up innovative nell’elenco dei debitori sovraindebitati (opzione confermata, ma di carattere volontario); e un generale potenziamento degli OCC (Organismi di Composizione della Crisi), ad esempio con possibilità di accedere più facilmente alle banche dati per raccogliere informazioni sul debitore. Queste modifiche, entrate in vigore dal fine 2024, sono integrate nel presente quadro.

Di pari passo con gli interventi legislativi, anche la giurisprudenza ha avuto un ruolo attivo nel delineare la portata delle procedure da sovraindebitamento applicate al settore agricolo. La Corte di Cassazione, con una pronuncia del 28 novembre 2023 (sent. n. 32977), ha ripercorso in chiave storico-sistematica l’esonero dal fallimento dell’imprenditore agricolo, ribadendo che tale esenzione permane anche nell’era del nuovo Codice. La Suprema Corte, in un’altra decisione del 26 luglio 2023 (sent. n. 22699), ha inoltre chiarito che un imprenditore (anche agricolo) che abbia cessato volontariamente l’attività e sia cancellato dal Registro Imprese da oltre un anno non può accedere a nuove procedure concorsuali, segnatamente non può accedere al concordato semplificato previsto dopo la composizione negoziata. Questa affermazione conferma la continuità con l’orientamento storico secondo cui la cessazione dell’attività da più di un anno preclude l’apertura di procedure concorsuali (già nella legge fallimentare era così per il fallimento, art.10 L.F.). Oggi il CCII, anche grazie al correttivo 2024, estende tale regola al concordato minore e alla liquidazione controllata: in pratica, un imprenditore agricolo che ha chiuso l’azienda oltre 12 mesi prima non potrà accedere né al concordato minore né alla liquidazione controllata, soprattutto se i debiti residui sono legati alla precedente attività d’impresa. In tali casi estremi, l’unica àncora di salvezza può essere l’esdebitazione “a zero” del debitore incapiente (come vedremo a breve).

Riassumendo il quadro generale: l’imprenditore agricolo, pur rimanendo non fallibile, rientra a pieno titolo tra i debitori sovraindebitati considerati dal CCII. L’art. 2, comma 1, lettera c) CCII definisce infatti il sovraindebitamento come lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative e di “ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale”. Dunque la legge considera l’imprenditore agricolo (sia esso individuale o societario) alla stregua di un debitore “non fallibile” che può accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. I presupposti oggettivi sono identici: deve versare in uno stato di crisi o di insolvenza, cioè trovarsi nell’impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (concetto di insolvenza: art. 2, co.1, lett. b).

È importante sottolineare che il settore agricolo comprende non solo l’imprenditore individuale che coltiva la terra, ma anche le società agricole (es. società semplici o SRL agricole) e le cooperative agricole, purché svolgano esclusivamente attività rientranti nell’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento e attività connesse). La forma societaria, di per sé, non fa perdere i benefici dell’esenzione fallimentare: ciò che rileva è la natura agricola dell’attività esercitata. Dunque una società agricola in crisi non potrà essere assoggettata a liquidazione giudiziale, ma potrà utilizzare le medesime procedure di sovraindebitamento previste per l’imprenditore agricolo individuale.

Nei prossimi paragrafi vedremo quali sono nel dettaglio queste procedure, quali condizioni richiedono e come si svolgono. Anticipiamo che il CCII ne prevede essenzialmente quattro, mutuando e innovando gli strumenti della vecchia legge 3/2012:

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “nuovo” piano del consumatore), riservato però alle persone fisiche non imprenditori.
  • Concordato minore, la procedura concordataria dedicata ai debitori non fallibili che esercitano attività d’impresa o professionale (imprenditori agricoli compresi).
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato, equivalente alla liquidazione del patrimonio ex L.3/2012, ossia una procedura di liquidazione giudiziale su piccola scala.
  • Esdebitazione del debitore incapiente, innovativo strumento di fresh start che consente al debitore persona fisica, privo di qualsiasi capacità di rimborso, di ottenere l’esdebitazione senza liquidazione (c.d. “esdebitazione a zero”).

Accanto a queste, come accennato, esiste anche la Composizione negoziata della crisi (strumento stragiudiziale introdotto nel 2021) che è aperta anche alle imprese agricole e può rappresentare un percorso alternativo o complementare (prima di approdare eventualmente a una procedura concorsuale semplificata). Di essa diremo in apposito paragrafo, pur non trattandosi di una procedura di sovraindebitamento in senso stretto, ma di uno strumento di soluzione stragiudiziale.

Procediamo ora ad analizzare soggetti ammessi e requisiti delle procedure di sovraindebitamento, per poi descriverle singolarmente.

Soggetti ammessi e requisiti soggettivi

Come visto, il CCII include fra i possibili beneficiari delle procedure da sovraindebitamento tutti i debitori non assoggettabili alle procedure concorsuali maggiori (liquidazione giudiziale/fallimento, concordato preventivo ordinario, ecc.). In particolare, i soggetti ammessi sono:

  • Consumatori: persone fisiche che hanno contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. È il privato cittadino, o comunque colui che ha debiti di natura “privata”. Esempio: un coltivatore che ha debiti solo per mutuo casa e finanziamenti personali, ma non per la sua attività agricola, potrebbe rientrare come consumatore. Tuttavia, attenzione: la definizione di consumatore esclude i debiti collegati ad attività d’impresa. Come chiarito dalla Cassazione e dal correttivo 2024, un ex imprenditore non può qualificarsi consumatore se i debiti originano in larga parte dalla precedente attività. Dunque, un agricoltore che abbia cessato l’attività e abbia debiti fiscali, bancari, ecc. legati all’azienda non potrà “mascherarsi” da consumatore per fare un piano del consumatore; dovrà ricorrere al concordato minore o alla liquidazione controllata (sempre che agisca entro un anno dalla cessazione, come visto).
  • Imprenditori minori: sono i piccoli imprenditori commerciali che rimangono sotto determinate soglie dimensionali. Il CCII all’art. 2, co.1, lett. d) definisce impresa minore quella che congiuntamente non supera: €300.000 di attivo patrimoniale annuo, €200.000 di ricavi annui e €500.000 di debiti (valori da valutare sugli ultimi 3 esercizi). Queste soglie sono aggiornabili ogni 3 anni. Tali imprese, pur essendo commerciali, non sono soggette a liquidazione giudiziale e quindi accedono alle procedure da sovraindebitamento. L’imprenditore artigiano spesso rientra in questa categoria (se non supera le soglie).
  • Imprenditori agricoli: qualsiasi imprenditore che svolga le attività di cui all’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, allevamento di animali, attività connesse), sia in forma individuale che societaria, senza limiti dimensionali. Tradizionalmente l’imprenditore agricolo era escluso da fallimento a prescindere dalle dimensioni; il CCII conferma questo approccio: un’impresa agricola, anche se con milioni di euro di fatturato, non può essere dichiarata in liquidazione giudiziale (salvo eserciti anche attività commerciale prevalente). Dunque, qualsiasi imprenditore agricolo in crisi potrà accedere alle procedure di sovraindebitamento. Non rileva la forma giuridica: può essere un coltivatore diretto, un’impresa familiare agricola, una società semplice agricola, una SRL agricola, una cooperativa agricola, etc., purché l’attività sia agricola in via esclusiva o prevalente. La giurisprudenza ha chiarito che anche l’imprenditore agricolo costituito in forma societaria gode dell’esenzione dal fallimento, indipendentemente dall’organizzazione, e può quindi utilizzare gli strumenti di sovraindebitamento.
  • Professionisti e lavoratori autonomi: il libero professionista (es. un veterinario, un agronomo, un avvocato, un commercialista, ecc.) e in generale chi esercita un’attività economica non organizzata in forma d’impresa (ad esempio un coltivatore occasionale con solo partita IVA ma non iscritto come impresa) rientra tra i debitori sovraindebitati. Sono equiparati agli imprenditori non fallibili.
  • Start-up innovative: il CCII, riprendendo una previsione già esistente (D.L. 179/2012), include esplicitamente le start-up innovative tra i soggetti sovraindebitati. Le start-up innovative godono infatti per legge di una temporanea esenzione dalle procedure concorsuali ordinarie. Qualora una start-up agricola (es. un’azienda agritech registrata come start-up innovativa) si trovi insolvente, potrà accedere alle procedure da sovraindebitamento. Va notato che la scelta di utilizzare le procedure da sovraindebitamento per una start-up innovativa è volontaria: tale impresa può in alternativa scegliere di accedere alle procedure ordinarie, rinunciando all’esenzione (opzione ammessa dalla normativa di settore).
  • Enti non profit e altri soggetti non fallibili: rientrano infine nell’ambito del sovraindebitamento altri debitori “non fallibili” per previsione di legge speciale. Ad esempio, un’associazione riconosciuta o non riconosciuta, una fondazione, un ente religioso o una ONLUS indebitata può utilizzare la composizione da sovraindebitamento (sempre tramite concordato minore, poiché non sono consumatori). Anche un condomìnio con gravi debiti rientrava nella legge 3/2012 e può rientrare nel CCII, sebbene in pratica sia meno frequente.

Requisiti soggettivi generali: oltre ad appartenere a una delle categorie di cui sopra, il debitore deve naturalmente trovarsi in uno stato di sovraindebitamento. Tale concetto, come visto, equivale allo stato di crisi o insolvenza del soggetto non fallibile. In pratica deve emergere che il debitore agricolo non è in grado di pagare i propri debiti con ragionevole regolarità, né con i flussi di cassa prospettici (se in crisi incipiente) né con il patrimonio disponibile (se in insolvenza conclamata). Documenti come bilanci aziendali con perdite, situazioni economico-patrimoniali aggiornate, piani di tesoreria che evidenziano deficit, compongono il quadro probatorio della crisi.

Sono inoltre previste alcune cause ostative all’accesso, comuni a tutte le procedure di sovraindebitamento, che mirano a evitare abusi:

  • Procedura concorsuale pendente: il debitore non deve essere già soggetto a una procedura concorsuale maggiore. Un imprenditore agricolo, non essendo fallibile, di regola non avrà un fallimento in corso; tuttavia, se ad esempio fosse pendente una liquidazione coatta amministrativa (alcuni enti cooperativi agricoli potrebbero teoricamente esserlo) o un’amministrazione straordinaria, non potrebbe accedere al sovraindebitamento.
  • Esdebitazione recente o procedure precedenti: non si può accedere alle procedure se si è già ottenuta un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. Inoltre, in generale, il debitore che ha già usufruito di una procedura da sovraindebitamento non può ripresentarne un’altra a breve distanza. Il CCII stabilisce anche che non si può ottenere più di due esdebitazioni in totale nella vita (per evitare cicli ripetuti di indebitamento irresponsabile).
  • Sovraindebitamento in frode: è escluso l’accesso a chi ha contratto debiti con dolo o colpa grave o ha determinato la propria insolvenza con frodi ai creditori. Ad esempio, l’imprenditore che abbia dissipato il patrimonio scientemente, o contratto debiti ben sapendo di non poterli pagare, potrà vedersi negare l’ammissione. Questo principio di “meritevolezza” è centrale soprattutto nel piano del consumatore, dove il giudice valuta la condotta del debitore prima di omologare il piano. Nel concordato minore, come vedremo, non esiste un controllo di meritevolezza altrettanto stringente in sede di ammissione – essendo affidato ai creditori il giudizio attraverso il voto – ma comportamenti fraudolenti o mala fede possono comunque emergere ed essere sanzionati (ad es. con revoca della procedura se scoperti dopo).
  • Condanne penali specifiche: il debitore non dev’essere incorso in condanne per particolari reati finanziari (es. bancarotta fraudolenta, riciclaggio, usura, ecc.). Alcuni di questi impedimenti operano soprattutto in sede di esdebitazione: ad esempio, per ottenere la liberazione dai debiti post-liquidazione, il debitore non deve aver riportato condanne per delitti tributari o fallimentari gravi. In fase di accesso alla procedura, eventuali pendenze penali possono incidere sulla valutazione di meritevolezza.
  • Cancellazione dal Registro Imprese: come già menzionato, un imprenditore che ha cessato l’attività e si è cancellato dal Registro delle Imprese da oltre 12 mesi non può accedere alle procedure di concordato minore né proporre un nuovo concordato semplificato. Questa limitazione deriva dall’art. 33 CCII (come modificato) e dalla giurisprudenza di Cassazione citata. In pratica, chi ha chiuso l’azienda da più di un anno è considerato “troppo tardi” per attivare gli strumenti concorsuali di regolazione del pregresso. Se invece la cessazione è recente (entro l’anno) è ancora possibile attivarsi. Ciò spinge gli imprenditori agricoli in crisi a non aspettare troppo dopo la chiusura dell’attività per cercare una soluzione concorsuale.
  • Divieto di abusi e atti in frode: è richiesto che il debitore non abbia compiuto atti in frode ai creditori nei 5 anni precedenti la domanda (ad es. distrazione di beni, vendite simulate per sottrarre attivo alla garanzia dei creditori). Un accertamento in tal senso viene svolto dall’OCC e dal tribunale. Atti in frode gravi possono portare all’inammissibilità o, se scoperti dopo, alla revoca della procedura e dell’eventuale esdebitazione ottenuta.

Competenza territoriale: le procedure di sovraindebitamento si svolgono innanzi al Tribunale competente per territorio. Per le persone fisiche (consumatori o imprenditori individuali) conta il luogo di residenza o il centro degli interessi principali (COMI); per le società o enti, la sede legale. Ad esempio, un agricoltore residente a Firenze presenterà la domanda al Tribunale di Firenze (sezione fallimentare, che ora tratta anche le crisi da sovraindebitamento). La domanda va depositata con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) territorialmente competente, come spiegheremo a breve, e assegnata a un giudice designato (spesso un giudice delegato alle procedure concorsuali). Nei tribunali di più piccole dimensioni potrebbe non esserci una sezione specializzata, ma la competenza è comunque del giudice civile che si occupa di procedure concorsuali.

Il ruolo degli OCC (Organismi di Composizione della Crisi): Gli OCC sono organismi (istituiti presso Ordini professionali, Camere di commercio, enti pubblici) abilitati a gestire le procedure di sovraindebitamento. L’imprenditore agricolo che intende accedere a una procedura deve rivolgersi a un OCC, il quale nominerà un gestore della crisi (spesso un professionista come un avvocato, commercialista o notaio appositamente formato) che assiste il debitore nella redazione della proposta e nella raccolta dei documenti, redige una relazione particolareggiata e svolge funzioni di ausilio e controllo. Il CCII ha potenziato il ruolo degli OCC, ad esempio consentendo ai gestori di accedere alle banche dati fiscali e patrimoniali per verificare la situazione del debitore. Nelle procedure di concordato minore e di ristrutturazione del consumatore, il gestore (OCC) redige una relazione di attestazione sulla fattibilità del piano e sulla completezza e veridicità dei dati forniti (relazione ex art. 76 CCII). In fase successiva, dopo l’apertura della procedura, il gestore può essere nominato dal Tribunale come Commissario Giudiziale (nel concordato minore) o come Liquidatore (nella liquidazione controllata), oppure mantenere un ruolo di controllo nell’esecuzione del piano del consumatore. Insomma, l’OCC è il perno tecnico attorno a cui ruota la procedura, analogo a quello che è il Curatore nel fallimento o il Commissario nel concordato preventivo, sebbene con funzioni talora più limitate.

Passiamo ora a descrivere nello specifico ciascuna procedura di sovraindebitamento, evidenziando come funziona e come può applicarsi al caso di un imprenditore agricolo.

Procedure di Sovraindebitamento applicabili all’imprenditore agricolo

Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore) – artt. 67-73 CCII

La ristrutturazione dei debiti del consumatore è la procedura destinata esclusivamente al debitore consumatore, ovvero la persona fisica estranea all’attività di impresa o professionale. Questa procedura è l’erede del vecchio “piano del consumatore” introdotto dalla L.3/2012. Poiché l’imprenditore agricolo tipicamente non è un consumatore (i suoi debiti derivano dall’attività imprenditoriale), questa procedura non è direttamente utilizzabile per ristrutturare debiti di natura aziendale agricola. Tuttavia, per completezza, descriviamo brevemente i suoi tratti, anche perché potrebbero interessare l’imprenditore agricolo in quanto persona fisica per debiti estranei all’azienda. Ad esempio, un imprenditore agricolo che abbia contratto debiti personali (non legati all’azienda) – poniamo un mutuo per la casa di abitazione, o finanziamenti al consumo – potrebbe presentare un piano del consumatore per quei debiti, parallelamente (ma separatamente) alle procedure per i debiti d’impresa. La legge però non consente di mescolare in un unico piano debiti personali e debiti d’azienda: il correttivo 2024 ha chiarito che i debiti da attività imprenditoriale restano fuori dall’ambito del piano del consumatore. Quindi, un agricoltore con “debiti misti” dovrà verosimilmente escludere dal piano del consumatore i debiti agricoli, trattandoli con concordato minore o liquidazione.

Caratteristiche salienti della procedura:

  • Soggetto ammesso: solo consumatore (persona fisica non fallibile che ha debiti di natura personale). Non accessibile a imprenditori, neppure se cessati, per i debiti derivanti dall’impresa.
  • Presupposti: stato di sovraindebitamento (crisi/insolvenza) del consumatore. È richiesto per legge che il consumatore sia “meritevole”, cioè che il suo indebitamento non sia dovuto a colpa grave, malafede o frode. Il CCII non usa esattamente il termine “meritevolezza” come faceva la L.3/2012, ma stabilisce che il giudice, nel valutare la proposta di piano, deve verificare che il consumatore non abbia colpe gravi o frodi nel determinare l’indebitamento. Di fatto, la sostanza è analoga: il debitore deve aver tenuto un comportamento onesto e diligente (es. non essersi sovraesposto volontariamente oltre le proprie possibilità, non aver dilapidato patrimonio in spese voluttuarie sproporzionate, ecc.). Ad esempio, se un agricoltore negli anni ha accumulato prestiti al consumo per beni superflui ben sapendo di non poterli ripagare, potrebbe essere giudicato non meritevole. La valutazione è caso per caso. Questo controllo rigoroso sostituisce il voto dei creditori: infatti nel piano del consumatore non è previsto il voto dei creditori.
  • Proponente: il consumatore stesso, tramite ricorso al tribunale con l’ausilio di un OCC. Il piano è un’istanza volontaria.
  • Contenuto della proposta: un piano di rientro dei debiti, che può prevedere dilazioni e/o falcidie (riduzioni parziali) degli importi dovuti. Il piano deve indicare in dettaglio come il consumatore si propone di pagare i creditori nei prossimi anni, utilizzando il suo reddito futuro e/o il realizzo di parte del patrimonio (se c’è). A differenza del concordato minore, il piano del consumatore di solito non comporta la liquidazione completa dei beni: l’idea è che il consumatore possa mantenere i beni essenziali e pagare i debiti in modo sostenibile col proprio reddito. Ad esempio, può prevedere che il debitore versi il suo surplus di stipendio per 4-5 anni in un fondo destinato ai creditori, ottenendo poi lo stralcio della parte restante dei debiti.
  • Limiti e vincoli normativi sul contenuto: il CCII ha introdotto (o comunque si discute di) alcuni possibili limiti percentuali di soddisfacimento che il piano deve rispettare. Nella prassi passata, alcuni tribunali richiedevano che nel piano del consumatore fosse assicurato un pagamento minimo, ad esempio almeno il x% di ogni credito chirografario. Alcune fonti riportano un limite del 60% di ogni debito, ma occorre precisare: al maggio 2025 non risulta introdotta una percentuale fissa obbligatoria in legge (tale previsione era ipotizzata in alcune bozze legislative, ma suscita perplessità). L’unico limite certo è il test di convenienza: ogni creditore, anche se non interamente soddisfatto, deve ricevere almeno quanto riceverebbe in una liquidazione dei beni del debitore. In altri termini, il piano non può pregiudicare i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Questo principio, sancito dalla Cassazione già nel 2021, è ora espressamente previsto dal CCII e vale per tutte le procedure (compreso il piano del consumatore). Inoltre, il piano del consumatore non può prevedere la falcidia dei crediti muniti di privilegio senza il loro consenso, salvo che si dimostri che dalla liquidazione quei creditori privilegiati non ricaverebbero il pagamento integrale. In pratica: i crediti con privilegio generale (es. alcuni crediti erariali, contributivi) o con ipoteca/pegno vanno pagati integralmente almeno fino a concorrenza del valore del bene su cui insistono. È ammessa però la loro parziale soddisfazione se il valore del bene o le risorse disponibili non consentono di pagarli per intero, purché si dia comunque il massimo realizzabile. Ad esempio, se c’è un mutuo con garanzia ipotecaria sulla casa e il debito residuo è 150.000 €, ma la casa vale 100.000 €, il piano potrebbe prevedere di pagare 100.000 € alla banca (eventualmente rifinanziando o vendendo l’immobile) e stralciare il resto, perché tanto in una liquidazione la banca otterrebbe solo 100.000 € vendendo l’immobile. Un tema delicato è quello dei debiti fiscali. Nel concordato preventivo tradizionale, vigeva il divieto di falcidiare l’IVA e le ritenute (tributi “comunitari”) se non con transazione fiscale approvata dall’erario. Nel sovraindebitamento invece la giurisprudenza ha aperto alla possibilità di stralciare parzialmente anche l’IVA, in linea con le pronunce della Corte di Giustizia UE e della Consulta. Già nel 2019 un tribunale aveva interpretato innovativamente la normativa ammettendo il taglio dell’IVA in un piano del consumatore, e il nuovo Codice della crisi ha confermato gli orientamenti giurisprudenziali recenti, stabilendo che anche nel sovraindebitamento è possibile la falcidia dell’IVA. Rimane tuttavia precluso il trattamento favorevole delle ritenute non versate (cioè le somme trattenute a terzi, come le ritenute d’acconto fiscali, che per giurisprudenza consolidata vanno comunque versate integralmente se il patrimonio lo consente). In sostanza, oggi un imprenditore agricolo con debiti IVA può includerli nel piano (o concordato minore) prevedendo di pagarne solo una parte, purché rispetti il test di convenienza e l’Agenzia delle Entrate non subisca un trattamento deteriore rispetto alla liquidazione. Questo è un avanzamento importante rispetto al passato, che rende più fattibili i piani, dato che spesso la completa soddisfazione dell’IVA era proibitiva e rendeva inammissibili molte proposte.
  • Procedimento: il consumatore deposita un ricorso con il piano e tutta la documentazione richiesta (elenchi dei creditori, elenco delle proprietà, dichiarazione dei redditi, attestazione OCC, ecc., art. 67-68 CCII). Non è obbligatorio l’assistenza di un avvocato per il piano del consumatore (mentre lo è per il concordato minore), anche se in pratica è fortemente consigliata data la complessità. Il Tribunale, verificata la completezza della documentazione, fissa un’udienza e può adottare nel frattempo misure protettive su richiesta del debitore (es. sospensione temporanea delle azioni esecutive dei creditori, art. 54 CCII). All’udienza, i creditori possono eventualmente formulare osservazioni o opposizioni. Tuttavia, non vi è votazione: la decisione spetta al giudice. Il Tribunale omologa il piano se ritiene che: 1) il debitore meriti l’accesso (ossia assenza di dolo o colpa grave, condotta leale); 2) il piano sia fattibile e assicuri il pagamento minimo ai creditori preferenziali e il rispetto del miglior soddisfacimento rispetto alla liquidazione; 3) non vi siano motivo di rigetto (es. atti in frode scoperti). L’omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori anteriori.
  • Effetti ed esecuzione: con l’omologa, il piano diviene efficace. I creditori sono obbligati ad attenersi a quanto previsto nel piano e non possono agire esecutivamente contro il debitore (le esecuzioni in corso vengono revocate, i pignoramenti sospesi). Il debitore-consumatore, dal canto suo, deve eseguire puntualmente gli impegni (es. pagare le rate previste). L’esecuzione avviene sotto la vigilanza dell’OCC, che riferisce al giudice eventuali inadempimenti. Se il debitore adempie regolarmente e porta a termine il piano, otterrà la esdebitazione di tutti i debiti residui non soddisfatti (è liberato dalle obbligazioni anteriori all’omologa, restando tenuto solo a quanto stabilito dal piano). In altre parole, il piano funziona come un concordato: dopo aver pagato la parte stabilita, la parte di debito eccedente viene cancellata. Se invece il debitore non rispetta il piano – per colpa o per eventi sopravvenuti – il tribunale, su istanza dei creditori o anche d’ufficio, può revocare l’omologazione. La revoca fa decadere tutti i benefici, e a quel punto i creditori possono agire nuovamente per l’intero credito (salvo quanto eventualmente già ricevuto). In caso di revoca, il giudice può disporre la conversione in liquidazione controllata: ciò significa che, fallito il tentativo di piano, si apre d’ufficio la procedura di liquidazione del patrimonio del consumatore, per soddisfare comunque i creditori con i suoi beni.
  • Vantaggi: il piano del consumatore consente di evitare la liquidazione dei beni e di concordare una soluzione sostenibile dei debiti. Non richiede il consenso dei creditori, per cui è utilizzabile anche quando alcuni creditori siano ostili o non collaborativi (è sufficiente convincere il giudice della bontà del piano). Può permettere al debitore di conservare beni essenziali, ad esempio l’abitazione principale, prevedendo magari di continuarne a pagare il mutuo alle scadenze originarie (il CCII lo consente a certe condizioni: art. 75, co.3). Per un agricoltore, questo strumento sarebbe l’ideale per i debiti familiari o personali, ma come detto non è adatto a risolvere i debiti dell’azienda agricola.
  • Svantaggi e limiti: il filtro della meritevolezza può rappresentare un ostacolo per alcuni debitori – ad esempio chi ha in passato accumulato debiti fiscali non pagando le imposte volontariamente potrebbe essere considerato non meritevole. Inoltre, il piano del consumatore non prevede automaticamente la figura di un commissario per gestire il patrimonio: il debitore rimane in possesso dei suoi beni e deve attuare il piano sotto controllo OCC, ma senza spossessamento formale (contrariamente alla liquidazione). Ciò significa che se il debitore non è disciplinato nel seguire il piano, la procedura può fallire. Infine, i creditori possono presentare opposizione all’omologa (reclamo in Corte d’Appello) se ritengono lesi i loro diritti, rallentando la definizione.

Applicabilità al caso agricolo: un imprenditore agricolo in crisi non potrà utilizzare il piano del consumatore per sistemare i debiti professionali, ma potrebbe valutare questa procedura per i debiti puramente personali e distinti dall’attività. In pratica, però, nella maggior parte dei casi i debiti di un agricoltore riguardano l’azienda (mutui agrari, fornitori, fisco, ecc.), pertanto il focus principale sarà sulle altre procedure (concordato minore o liquidazione). Il piano del consumatore è più rilevante per un coobbligato che sia un familiare non imprenditore (si pensi alla moglie dell’agricoltore che abbia firmato fideiussioni ma di per sé è casalinga: lei potrebbe essere consumatore). Da segnalare comunque che il CCII consente, all’art. 66, procedure familiari congiunte: membri della stessa famiglia sovraindebitati possono presentare un’unica procedura se i debiti hanno origine comune. Nel decreto del Tribunale di Matera 11/3/2025, ad esempio, un imprenditore agricolo e la coniuge hanno presentato congiuntamente ricorso per concordato minore, essendo i debiti in gran parte comuni. Allo stesso modo, un consumatore e un imprenditore della stessa famiglia potrebbero presentare una procedura unica (verosimilmente sarà un concordato minore se vi sono debiti dell’impresa, con trattamento distinto dei crediti personali e aziendali all’interno della proposta).

Passiamo ora alla procedura cardine per gli imprenditori agricoli: il concordato minore.

Concordato minore – artt. 74-83 CCII

Il concordato minore è la nuova procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento dedicata ai debitori non fallibili che svolgono attività d’impresa o professionale. Si tratta della diretta discendente del vecchio “accordo di ristrutturazione” ex L.3/2012, rispetto al quale presenta tuttavia alcune differenze. È definita “minore” non in senso dispregiativo, ma perché rivolta a imprese minori (sotto soglia) o comunque non soggette a concordato preventivo ordinario. Gli imprenditori agricoli rientrano in pieno tra i destinatari: l’art. 74 CCII prevede che possono accedere al concordato minore “i soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) […] ad esclusione dei consumatori”. Dunque possono proporlo: imprenditori minori, professionisti, start-up, enti non profit, e imprenditori agricoli. L’unico escluso è il consumatore, che come visto ha la sua procedura speciale.

Finalità: Il concordato minore mira a consentire al debitore sovraindebitato con attività d’impresa di superare la crisi attraverso un accordo con i creditori, evitando la liquidazione integrale del patrimonio quando possibile. È concepito in particolare per favorire la continuità aziendale: infatti la legge richiede che, di regola, la proposta di concordato minore sia orientata a garantire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale del debitore. Si parla di concordato minore in continuità. Solo in via residuale è ammesso un concordato minore liquidatorio, e comunque a condizioni stringenti (come vedremo, è necessario un apporto di risorse esterne per poter fare un concordato liquidatorio).

Differenze rispetto al concordato preventivo: Il concordato minore è procedura distinta dal concordato preventivo (previsto per le imprese soggette a fallimento). Tra le differenze principali:

  • Nessuna soglia minima di soddisfazione per i chirografari (nel concordato preventivo ordinario vige la regola del 20% minimo ai creditori chirografari in caso di liquidatorio; nel concordato minore non c’è una percentuale minima legale).
  • Necessità di continuità o contributo esterno nel liquidatorio (analoga alla L.3/2012: l’imprenditore non fallibile non può semplicemente “copiare” un fallimento offrendo zero ai creditori – se vuole liquidare tutto deve offrire qualcosa in più rispetto alla liquidazione).
  • Procedura semplificata e costi minori: competenza del tribunale in composizione monocratica (un solo giudice), nomina di un commissario giudiziale (spesso coincide col gestore OCC già nominato) ma non di altri organi come comitato creditori salvo casi particolari. Tempi generalmente più rapidi e formalità ridotte.
  • Effetto esdebitativo analogo ma con alcune differenze: nel concordato minore l’esdebitazione del residuo è subordinata all’esecuzione del piano e all’adempimento dell’accordo raggiunto (non c’è un automatico decreto di esdebitazione come nella liquidazione, perché qui i crediti vengono soddisfatti secondo quanto pattuito e la parte insoddisfatta è di fatto remissibile dall’accordo stesso).
  • Ambito soggettivo differente: come detto, l’imprenditore agricolo non può accedere al concordato preventivo, ma può fare il concordato minore anche se supera le soglie di fallibilità. Questa è una conquista fondamentale: ad esempio, un’azienda vitivinicola con 10 milioni di debito non è fallibile in quanto agricola, ma proprio per questo prima rischiava di non avere alcun strumento se non la vecchia Legge 3/2012; ora può presentare un concordato minore e proporre un accordo ai creditori anche su quella massa debitoria ingente.

Vediamo ora i dettagli operativi del concordato minore:

  • Soggetti ammessi: tutti i debitori in sovraindebitamento tranne i consumatori. In pratica: imprenditore agricolo, imprenditore minore commerciale, professionista, start-up innovativa, ente non commerciale. Deve trattarsi di soggetto non fallibile, ossia non assoggettabile a liquidazione giudiziale. L’imprenditore agricolo, come già chiarito, rientra in questa categoria a prescindere dalle dimensioni. Un caso peculiare: l’imprenditore cessato da oltre un anno non è più imprenditore “in attività” – diversi tribunali e la Corte d’Appello di Torino 2024 hanno escluso che l’imprenditore individuale cancellato possa accedere al concordato minore per debiti residui d’impresa. Quindi se un agricoltore ha chiuso l’azienda e aspetta troppo, rischia di non poter presentare concordato minore. La logica è: quell’istituto serve a ristrutturare l’azienda in continuità o a liquidarla entro breve, non ad “archiviare” debiti di un’attività lontana nel tempo.
  • Presupposto oggettivo: stato di sovraindebitamento (crisi o insolvenza) del debitore. Identico a quanto già visto.
  • Chi propone e quando: il debitore stesso propone la procedura con ricorso al tribunale competente, tramite un OCC. Diversamente dal concordato preventivo (dove anche i creditori possono chiedere il fallimento e provocare un concordato fallimentare), qui l’iniziativa è solo del debitore. È volontaria.
  • Assistenza legale: a differenza del consumatore, qui è obbligatoria l’assistenza di un avvocato difensore fin dal deposito della domanda. Questo perché si tratta di una procedura più complessa, con possibili contenziosi tra creditori, votazioni, ecc. Il debitore agricolo dunque dovrà farsi rappresentare da un legale, oltre che coadiuvare dall’OCC.
  • Documentazione necessaria: all’istanza vanno allegati i documenti elencati nell’art. 75 CCII, tra cui: l’elenco di tutti i creditori con indicazione dei crediti (distinguendo garantiti, privilegiati, chirografari), l’elenco dei beni del debitore, gli ultimi tre bilanci o le dichiarazioni fiscali, uno stato particolareggiato ed estimativo delle attività, l’elenco delle spese correnti necessarie al mantenimento della famiglia e dell’azienda durante la procedura, l’elenco di eventuali atti di disposizione degli ultimi anni, e la relazione particolareggiata dell’OCC (art. 76 CCII). Quest’ultima è molto importante: il gestore OCC deve attestare la veridicità dei dati, valutare la fattibilità del piano e segnalare eventuali atti in frode o condotte di malafede del debitore. La relazione dell’OCC, pur non essendoci il requisito di “meritevolezza” espresso per il concordato minore, darà contezza se il debitore ha tenuto comportamenti scorretti (ad es. se ha pagato alcuni creditori preferenzialmente poco prima della procedura, se ha sottratto beni, ecc.). Il giudice terrà conto di tutto ciò in fase di ammissione.
  • Struttura della proposta: la proposta di concordato minore è libera nel contenuto, nel senso che il debitore può proporre le soluzioni più varie per soddisfare in qualche misura i creditori. Può essere prevista la continuazione dell’attività aziendale con utilizzo dei flussi futuri per pagare i creditori (concordato in continuità diretta), oppure la cessione dell’azienda a terzi che la proseguano (continuità indiretta), oppure la liquidazione dei beni. Importante: se la proposta prevede la continuazione dell’attività (come auspicabile per molte aziende agricole), il debitore dovrà indicare un credibile piano industriale/agricolo su come intende risanare l’azienda e generare liquidità per pagare i creditori in percentuale. Se invece propone un concordato meramente liquidatorio (cioè vendere tutti i beni e poi chiudere l’attività), la legge impone che ciò sia ammesso solo se è previsto un apporto di risorse esterne che aumenti in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. In altre parole: l’imprenditore agricolo non può limitarsi a dire “vendo il trattore, i terreni e pago i creditori quel che viene fuori” – perché per quello c’è già la liquidazione controllata; può però proporre ad esempio di far entrare un familiare o un investitore con nuovi fondi, oppure mettere a disposizione risorse proprie aggiuntive (non derivanti dal patrimonio già dei creditori) in modo da far ottenere ai creditori più di quanto otterrebbero dalla pura liquidazione. Questa clausola scoraggia l’uso del concordato minore come strumento puramente liquidatorio: o c’è continuità aziendale o, se liquidazione dev’essere, il debitore deve metterci qualcosa di “tasca propria” o terzi apportare capitali freschi. Non c’è un minimo percentuale definito (“misura apprezzabile” è volutamente generico), ma per prassi almeno qualche punto percentuale in più rispetto all’alternativa liquidatoria è atteso. Come per il piano del consumatore, anche nel concordato minore la proposta deve garantire ai creditori privilegiati, pegno, ipoteca una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile da una liquidazione. Quindi non si possono abbattere i crediti privilegiati oltre il limite di legge (che è il valore del bene su cui insiste la prelazione). Un’eccezione può essere se il creditore accetta espressamente un trattamento deteriore (ma in pratica raramente accade al di fuori di accordi di ristrutturazione con l’erario). Ad esempio, un agricoltore con debito ipotecario verso la banca sulla stalla: se vuole tenerla e continuare l’attività, potrebbe proporre di rinegoziare il mutuo o pagare la banca secondo scadenze originarie, ma non di tagliare l’importo oltre il valore della stalla senza il consenso della banca. Possono essere previste classi di creditori? Il CCII per il concordato minore non disciplina espressamente la formazione di classi, a differenza del concordato preventivo. In linea teorica, nulla vieta di suddividere i creditori in categorie con trattamenti differenziati, ma essendo necessari il voto favorevole di una maggioranza in termini di crediti (e non per classi), l’utilità delle classi è relativa. In pratica spesso si presentano piani con classi per facilitare la comprensione: ad esempio, classe dei chirografari chiede il 30%, classe dei creditori muniti di pegno su macchinari chiede tot, ecc., ma per l’approvazione si guarda al totale. Un elemento importante della proposta è l’indicazione dell’apporto di risorse esterne (se presente), e l’indicazione se il debitore intende continuare a pagare alcuni creditori strategici per la continuità (es. fornitori essenziali, dipendenti) durante la procedura: il tribunale può autorizzarlo se funzionale alla miglior soddisfazione di tutti (cosiddetti pagamenti di cruciale importanza, art. 100 CCII, richiamato anche nel sovraindebitamento).
  • Apertura della procedura: presentato il ricorso, il tribunale verifica documenti e può emettere un decreto di apertura del concordato minore se ritiene sussistenti i presupposti. In tale decreto: dichiara aperta la procedura, nomina un giudice delegato e un commissario giudiziale (solitamente viene nominato come commissario lo stesso gestore OCC che ha seguito la fase preparatoria, per continuità), fissa termini e modalità per il voto dei creditori e l’udienza di omologazione. Contemporaneamente, dispone le misure protettive: dalla data di apertura è sospesa ogni azione esecutiva individuale dei creditori per crediti anteriori, e nessun creditore può acquisire diritti di prelazione (ipoteche giudiziali, pignoramenti) sul patrimonio del debitore. Di fatto, il patrimonio è congelato e destinato al soddisfo collettivo secondo la proposta. Va rilevato che il tribunale dichiara inammissibile il ricorso se emergono cause di esclusione (es: debiti che eccedono i limiti? Il CCII prevedeva inizialmente che se il debitore presentava requisiti oltre soglia di fallibilità, la domanda di concordato minore fosse inammissibile – art. 77 CCII). Tuttavia, come chiarito dal Tribunale di Matera 2025, questa inammissibilità per superamento soglie non si applica all’imprenditore agricolo: i limiti di art. 2, co.1, lett. d) (300k attivo, ecc.) riguardano solo le imprese commerciali; l’agricoltore pur sopra soglia può accedere. Infatti Matera ha ammesso un’azienda agricola con ricavi ~300k, superando il dettato letterale di art. 77 grazie all’interpretazione sistematica con art. 74. Questa interpretazione è ormai condivisa e resa esplicita dalla giurisprudenza di merito (Trib. Messina 19.2.2022 citato e altre pronunce analoghe).
  • Adunanza e voto dei creditori: diversamente dal piano del consumatore, qui i creditori hanno voce in capitolo. Il commissario comunica a tutti i creditori la proposta e li invita ad esprimere il proprio voto (che può essere reso per iscritto entro il termine fissato, oppure in un’eventuale adunanza). Si applicano regole analoghe all’accordo ex L.3/2012: per l’approvazione è necessario il voto favorevole dei creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti chirografari e privilegiati degradati (ossia quelli non interamente soddisfatti dal piano). I crediti privilegiati che vengono soddisfatti integralmente non votano (perché non incisi). I creditori possono anche tacere: il silenzio equivale, di solito, a voto negativo (salvo eccezioni in cui il giudice può valutare diversamente se un creditore non si esprime ma la sua mancata risposta non incide in concreto – il CCII all’art. 80 co.3 consente di considerare non computati certi crediti contestati o di modesta entità ai fini del quorum, secondo quanto attestato dall’OCC). Il commissario giudiziale redige una relazione conclusiva sul raggiungimento o meno della maggioranza richiesta.
  • Omologazione: se la maggioranza dei crediti approva la proposta, il tribunale passa alla fase di omologazione. Anche senza adesione unanime, la proposta può essere omologata se ha raggiunto il 60%. I creditori dissenzienti o rimasti estranei possono presentare opposizione (reclamo) lamentando eventuali violazioni di legge o il fatto di ricevere meno che in una liquidazione. Il giudice valuta queste opposizioni e la regolarità della procedura. Se tutto è in ordine e i creditori favorevoli sono sufficienti, emette decreto di omologa del concordato minore, che lo rende efficace verso tutti i creditori anteriori. Da notare: non esiste nel concordato minore un cram-down giudiziale su classi dissenzienti come nel concordato preventivo, perché tipicamente non ci sono classi. Quindi senza il quorum del 60%, la proposta non può essere omologata (a meno che il tribunale non rilevi qualche conteggio di quorum errato e consideri approvato comunque). In caso di mancata approvazione, la procedura si chiude con esito negativo; il debitore potrà a quel punto ripiegare su una liquidazione controllata (il tribunale, contestualmente al decreto di mancata omologa, può aprire la liquidazione se richiesta in via subordinata).
  • Effetti della omologazione: il concordato minore omologato è vincolante per tutti i creditori anteriori all’apertura. Ha effetti analoghi a un concordato preventivo: i creditori perdono la facoltà di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, possono solo attendere quanto previsto dal piano. Se il piano prevede la continuazione dell’attività agricola, il debitore rimane nella gestione, però sotto la vigilanza del commissario/gestore. Dovrà periodicamente riferire sull’andamento e depositare somme via via per i creditori secondo il piano. Se il piano prevede cessione di beni (es. vendita di un terreno agricolo non strategico), il commissario o un liquidatore nominato si occuperà delle vendite secondo le modalità approvate. Formalmente, nel concordato minore il debitore non è spossessato come in un fallimento: conserva l’amministrazione dei beni sotto osservazione, salvo atti specifici demandati al commissario. I contratti pendenti (ad esempio un contratto di affitto di fondo rustico) possono proseguire se funzionali alla continuità, oppure il debitore può chiedere di scioglierli se onerosi, con autorizzazione del GD (applicazione analogica di norme del concordato preventivo).
  • Adempimento e chiusura: quando il debitore ha eseguito integralmente la proposta (ad esempio ha pagato tutte le percentuali offerte ai vari creditori, o ha trasferito beni secondo il piano), il commissario relaziona al giudice. Il tribunale dichiarerà chiuso il concordato minore per avvenuto adempimento. A quel punto il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione del residuo automaticamente, in virtù dell’accordo stesso omologato: i creditori parzialmente soddisfatti, per legge, non possono più pretendere la parte residua dei loro crediti (sono considerati chirografari per la parte residua, ormai inesigibile). Questo effetto di liberazione è già implicito nell’omologa: di fatto, l’omologa ha efficacia novativa sui debiti. Possiamo dire che, se il piano viene completato, l’imprenditore agricolo è definitivamente liberato dai debiti precedenti e può proseguire l’attività (se in continuità) risanato.
  • Inadempimento: se invece il debitore non rispetta gli obblighi del concordato minore, il tribunale su istanza di commissario o creditori può dichiarare la risoluzione del concordato. La risoluzione fa rivivere i debiti originari al netto di quanto eventualmente già pagato. Anche qui, come per il piano del consumatore, è prevista la possibile conversione in liquidazione controllata: quindi i creditori non tornano semplicemente al far west, ma si aprirà una liquidazione giudiziale minore per distribuire equamente ciò che resta del patrimonio. Da notare: non basta un lieve ritardo, ma un inadempimento rilevante (ad es. salto di pagamenti significativi o impossibilità sopravvenuta di eseguire il piano).
  • Vantaggi: il concordato minore offre all’imprenditore agricolo la chance di ristrutturare i debiti mantenendo in vita l’azienda. È uno strumento flessibile: si può negoziare con i creditori una soluzione di compromesso. Si evitano gli effetti dirompenti di una liquidazione fallimentare (ad esempio niente perdita totale della gestione, niente vendita coattiva immediata di tutti i beni se c’è continuità). Il fatto che siano i creditori a votare può essere un vantaggio se il debitore sa presentare una proposta convincente: la “meritevolezza” morale passa in secondo piano (anche un debitore imprudente può tentare il concordato minore, se i creditori ritengono di aver convenienza ad accettare la proposta). La presenza di un eventuale coobbligato (es. la moglie fideiubente) può essere gestita includendo anche lei nella procedura se è sovraindebitata, oppure negoziando stralci con liberazione per entrambi. Inoltre, l’omologazione del concordato minore consente anche di accedere ai benefici fiscali tipici dei concordati: ad esempio, l’eventuale plusvalenza da stralcio dei debiti non è tassata come reddito, i debiti abbuonati non producono imponibile IRPEF/IRES (art. 88 TUIR equipara i concordati fallimentari e minori).
  • Svantaggi e difficoltà: convincere i creditori a votare sì non è semplice, specie se sono molti o poco organizzati (si pensi a decine di fornitori agricoli). Per l’imprenditore agricolo potrebbe essere arduo raggiungere il 60% di consenso se tra i creditori vi è, ad esempio, l’erario con un peso rilevante che normalmente assume atteggiamento rigoroso. Tuttavia, notiamo che l’erario oggi può votare nei concordati minori e potrebbe accettare stralci (ha direttive interne che lo consentono, analoghe alla transazione fiscale). La prassi mostrerà col tempo come enti pubblici e banche si comporteranno. Un altro elemento: i costi, pur inferiori a un fallimento, non sono trascurabili – occorre pagare l’OCC/commissario e il legale, anche se spesso parte dei compensi dell’OCC vengono considerati prededucibili e possono essere dilazionati. Il debitore deve quindi avere almeno un po’ di risorse liquide per avviare il tutto (ad esempio, per anticipare le spese di giustizia e un fondo spese iniziale per il commissario).

Concordato minore e imprenditore agricolo sopra soglia: Vale la pena ribadire questo punto con un caso concreto fornito dalla giurisprudenza recente: il Tribunale di Matera, decreto 11 marzo 2025, ha ammesso al concordato minore un imprenditore agricolo individuale i cui ricavi superavano i limiti dimensionali di cui all’art. 2 lett. d (ricavi annui ~€300.000, quindi sopra la soglia di 200k). Il Tribunale ha statuito che l’art. 77 CCII (causa di inammissibilità per superamento soglie) non si applica agli imprenditori agricoli, poiché la ratio della norma è evitare che imprese commerciali medio-grandi aggirino il fallimento; l’agricoltore, invece, è per definizione escluso dal fallimento e dunque può accedere al concordato minore indipendentemente dai requisiti dimensionali. Questa decisione conferma quanto già affermato dal Tribunale di Messina nel febbraio 2022 e sgombra il campo da possibili dubbi: anche le grandi aziende agricole devono usare il concordato “minore” (perché non hanno accesso al concordato “maggiore”), senza incorrere in inammissibilità. Il nome “minore” quindi non tragga in inganno: è la procedura di default per tutte le imprese agricole, piccole e grandi.

Un ultimo cenno: il concordato minore, come il concordato preventivo, può essere presentato anche successivamente a una composizione negoziata fallita o in caso di urgenza per bloccare azioni esecutive. Se l’agricoltore ha avviato la composizione negoziata della crisi (vedi infra) e non ha raggiunto un accordo stragiudiziale, può comunque ripiegare sul concordato minore (o sul concordato semplificato se ricorrono i presupposti). Inoltre, in caso di gravità della situazione, la domanda di concordato minore può essere accompagnata da una richiesta di misure protettive immediate ex art. 54 CCII per sospendere le esecuzioni durante il periodo di raccolta voti.

Liquidazione controllata del sovraindebitato – artt. 268-277 CCII

La liquidazione controllata (artt. 268 e ss. CCII) è la procedura concorsuale liquidatoria prevista per i debitori sovraindebitati. Essa corrisponde, in sostanza, alla vecchia liquidazione del patrimonio della L.3/2012. È uno strumento fondamentale nel caso in cui non sia possibile o conveniente raggiungere un accordo con i creditori (concordato minore) o presentare un piano di rientro (piano del consumatore). In altre parole, quando l’imprenditore agricolo sovraindebitato non riesce a sostenere un piano di ristrutturazione – magari perché la situazione è compromessa, i debiti troppo alti e l’attività non più in grado di generare reddito sufficiente – si può optare per la liquidazione controllata: il patrimonio del debitore viene liquidato sotto il controllo del Tribunale e il ricavato ripartito tra i creditori, dopodiché il debitore persona fisica può ottenere la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione).

Principali caratteristiche:

  • Soggetti che possono accedere: tutti i soggetti in stato di sovraindebitamento (consumatori, imprenditori minori, imprenditori agricoli, professionisti, ecc.), senza esclusioni. La liquidazione controllata è l’unica procedura universale in tal senso: anche il consumatore può chiederla, nonostante abbia il suo piano; e naturalmente l’imprenditore agricolo può accedervi sia se l’azienda è ancora attiva sia se ha cessato (purché entro l’anno, come vedremo). In aggiunta, i creditori stessi o il Pubblico Ministero possono richiedere l’apertura di una liquidazione controllata contro il debitore sovraindebitato (cosa che non era permessa per piano o concordato, che sono volontari). Ad esempio, se un grosso creditore vede che l’agricoltore non onora i debiti e non propone alcun concordato, potrebbe rivolgersi al Tribunale chiedendo di aprire una liquidazione controllata del suo patrimonio, similmente a come chiederebbe il fallimento se fosse fallibile. Ciò offre tutela ai creditori in caso di inerzia del debitore.
  • Iniziativa: dunque la domanda di liquidazione controllata può provenire: dal debitore stesso (istanza volontaria), da uno o più creditori (istanza di parte), o dal PM se emergono situazioni di insolvenza rilevanti (tipicamente il PM interviene per soggetti non fallibili magari segnalati dall’autorità, es. in caso di crisi con rilevanza pubblica).
  • Competenza e procedimento di apertura: competente è il Tribunale del luogo del centro degli interessi principali del debitore (COMI). Se la domanda è del debitore, va presentata tramite OCC (con allegati simili a quelli visti per il concordato). Se invece è presentata dai creditori o dal PM, l’OCC non è necessario all’atto della domanda: sarà il Tribunale, una volta ricevuta l’istanza, a nominare eventualmente un gestore OCC per relazionare sulla situazione. Il Tribunale, verificati i presupposti (stato di insolvenza conclamata o sovraindebitamento, e assenza di cause ostative gravi tipo atti in frode evidenti), dichiara aperta la procedura di liquidazione controllata con apposito decreto. Con il medesimo decreto nomina un giudice delegato e un liquidatore (figura analoga al curatore fallimentare), che può essere un professionista scelto dall’elenco o lo stesso gestore OCC già attivo. Inoltre, il decreto di apertura produce automaticamente gli effetti protettivi: tutte le azioni esecutive e cautelari individuali rimangono bloccate, i beni del debitore non possono essere aggrediti se non secondo le regole concorsuali. Un punto cruciale: coerentemente col principio già citato, il CCII come modificato nel 2024 prevede che se il debitore è un imprenditore (anche agricolo) cessato da oltre un anno, non si può aprire la liquidazione controllata su istanza dei creditori. Ciò per analogia con l’art. 33 L.F. che limitava il fallimento. Quindi, un agricoltore che ha chiuso l’azienda da due anni e non ha nulla, non potrà essere “forzato” in liquidazione dai creditori (i quali dovranno accontentarsi delle vie esecutive ordinarie se c’è qualche bene). Dal lato del debitore, egli stesso se chiuso da oltre un anno potrebbe comunque presentare istanza? La norma letterale parla di apertura entro un anno dalla cessazione attività: se quell’anno è trascorso, sembrerebbe precluso anche al debitore richiederla, per coerenza (diversi giudici hanno sostenuto che un ex imprenditore dopo un anno può al più tentare il piano del consumatore se i debiti fossero per lo più personali, ma se sono debiti d’impresa residui e non è ammissibile come consumatore, resta senza procedura se tardivo).
  • Patrimonio liquidabile: con l’apertura, si forma automaticamente un patrimonio destinato alla liquidazione, comprendente tutti i beni del debitore esistenti al momento e quelli che dovessero sopravvenire entro una certa data. Il CCII stabilisce che la procedura di liquidazione deve concludersi normalmente entro 3 anni dall’apertura. Inoltre, i beni che il debitore acquisisce nei 2 anni successivi all’apertura (a titolo di successione, donazione o vincita) entrano anch’essi nella massa attiva. Questo per evitare che il debitore ottenga vantaggi a breve distanza mentre i creditori subiscono perdite. Sono esclusi comunque i redditi da lavoro che servono al mantenimento (vedi sotto) e ciò che viene acquisito per effetto di merito successivo (es. stipendio, pensione, che invece segue altre regole). In linea generale, tutti i beni del debitore concorrono nella liquidazione, salvo:
    • I beni e diritti impignorabili per legge (es. utensili indispensabili all’attività dell’imprenditore entro certi limiti, beni di affetto, animali da compagnia, ecc., art. 268 CCII richiama l’impignorabilità ex CPC).
    • Il necessario sostentamento: il debitore persona fisica ha diritto di mantenere una parte dei propri redditi per le esigenze sue e della famiglia. In concreto, una porzione dello stipendio/reddito non verrà toccata. Se l’imprenditore agricolo ha reddito da lavoro (es. se nel frattempo è diventato dipendente o ha partita IVA), il giudice fisserà la quota mensile che può tenere per vivere.
    • Beni fiduciari o altrui: se il debitore ha beni in trust o beni che amministra per altri (non propri), non rientrano.
    • Eventuale prima casa? A differenza di alcune proposte legislative, il CCII non prevede un’esenzione automatica della casa di abitazione del debitore dalla liquidazione (era stata ventilata una tutela maggiore per la prima casa, ma non è stata introdotta). Quindi, purtroppo, se un imprenditore agricolo possiede un immobile ad uso abitativo di sua proprietà e i creditori non sono soddisfatti altrimenti, anche quella potrebbe essere liquidata – a meno che il piano non contempli modi per evitarlo (es. far subentrare un parente compratore).
    Una particolarità per l’imprenditore agricolo: se possiede terreni gravati da uso civico o altri vincoli, la liquidazione dovrà tenerne conto (ci sono normative specifiche per la liquidazione di terreni a uso civico, con eventuale prelazione a enti territoriali).
  • Svolgimento della liquidazione: il liquidatore nominato redige un inventario dei beni e una relazione iniziale sullo stato economico del debitore. I creditori vengono invitati a presentare domanda di partecipazione (insinuazione) entro un termine. Il liquidatore esamina le domande e predispone lo stato passivo, cioè l’elenco dei crediti ammessi con l’importo e il grado (privilegiato, chirografo, ecc.). Questo stato passivo viene poi reso esecutivo dal giudice (in caso di contestazioni, il GD decide con ordinanza). La formazione del passivo è simile a quella di un fallimento, con possibilità di opposizioni dei creditori esclusi. Parallelamente, il liquidatore predispone un programma di realizzazione dell’attivo: vendere i beni immobili e mobili, riscuotere crediti, sciogliere contratti in corso se opportuno, eventualmente proseguire l’esercizio dell’azienda se ciò giova (in teoria il liquidatore potrebbe continuare temporaneamente l’impresa agricola se una vendita in blocco come azienda risultasse più vantaggiosa che vendere spezzettando, ma ciò è raro e dovrebbe avere autorizzazione del giudice). Molto più spesso, il liquidatore procederà a vendere i beni principali tramite procedure competitive (asta, ecc.). Ad esempio, se c’è un fondo agricolo di proprietà, verrà stimato e messo all’asta; se ci sono macchinari, venduti; il bestiame e i raccolti magari ceduti; i crediti verso terzi (es. crediti per contributi AGEA) riscossi. Il tutto sotto la supervisione del giudice delegato. Durante la liquidazione, il debitore è spossessato dei suoi beni: non può disporne, ci pensa il liquidatore. Il debitore però ha obblighi di collaborazione (deve fornire documentazione, spiegazioni, etc.) e doveri di correttezza (non può sottrarsi). Ci sono sanzioni penali per chi nasconde beni o documenti (reati di bancarotta impropria applicabili anche qui, art. 344 CCII).
  • Durata: la norma auspica che la liquidazione si chiuda in 3 anni. Questo significa che il liquidatore dovrebbe completare vendite e riparti entro quel termine. Non è un termine perentorio, ma ha valore di principio (la vecchia L.3/2012 fissava addirittura 4 anni di durata massima, ridotti a 3 dal CCII). In casi complessi il tribunale può prorogare.
  • Riparto ai creditori: man mano che si incassa, il liquidatore effettua riparti distribuendo le somme: prima ai creditori con prelazione (secondo l’ordine delle cause di prelazione: pegni, ipoteche, privilegi speciali sul ricavato dei beni corrispondenti, poi privilegi generali su mobili etc.), e infine ai chirografari in proporzione se resta qualcosa. Il tutto secondo lo stato passivo. A chiusura, il liquidatore fa un conto finale e un riparto finale.
  • Chiusa la liquidazione: se si è ricavato abbastanza da pagare tutti al 100% (caso raro ma possibile), la procedura si chiude con totale soddisfo e ovviamente il debitore non ha più debiti. Se, come più spesso, i creditori sono soddisfatti solo parzialmente, il debitore persona fisica può accedere all’esdebitazione per cancellare i debiti residui. Il CCII ha reso l’esdebitazione più snella: non occorre una specifica domanda se il debitore è stato cooperativo, il giudice la concede con decreto di chiusura, a meno che non vi siano opposizioni fondate. In pratica, l’effetto fresh start è parte integrante della procedura: il debitore meritevole esce libero dai debiti insoddisfatti. Approfondiamo l’esdebitazione più avanti e le sue condizioni (artt. 279-282 CCII). Se il debitore è una società agricola, chiaramente non si pone esdebitazione: la società verrà estinta una volta ripartito l’attivo. I soci accomandatari o illimitatamente responsabili potrebbero tuttavia essere coinvolti per debiti societari residui se non c’è esdebitazione personale.
  • Effetti sui coobbligati e garanti: attenzione, la procedura di liquidazione (come anche il concordato) non libera i coobbligati. Cioè se un terzo ha garantito un debito (es. un parente fideiussore per il mutuo agrario), la sua obbligazione rimane. Il creditore però non può agire contro il debitore principale oltre la quota ottenuta in procedura, ma potrà agire contro il fideiussore per il resto. Questo vale salvo che anche il coobbligato entri in procedura (in tal caso conviene fare una procedura unica familiare se possibile). Comunque, dopo l’esdebitazione del debitore principale, il coobbligato rimane obbligato per intero: è un aspetto da considerare in famiglia.
  • Vantaggi: la liquidazione controllata garantisce una parità di trattamento tra i creditori e un ordine di soddisfazione equo secondo le prelazioni, evitando azioni esecutive disordinate. Dal punto di vista dell’imprenditore agricolo, pur significando spesso la perdita del patrimonio, questa procedura offre la possibilità di ripartire da zero: una volta liquidato il possibile, i debiti vengono cancellati (col decreto di esdebitazione) e il debitore può ricominciare una nuova attività o vita senza il fardello dei debiti passati. Inoltre, durante la liquidazione, il debitore è protetto da aggressioni e può contare su regole di “umanizzazione” (lasciargli il necessario per vivere, ecc.).
  • Svantaggi: ovviamente il principale svantaggio per l’imprenditore è che perde il controllo sui suoi beni e verosimilmente perde l’azienda: l’attività agricola viene di solito interrotta e i beni venduti. Questo può avere conseguenze drammatiche in ambito rurale (es. perdita della terra di famiglia). Ecco perché il concordato minore in continuità spesso è preferibile se fattibile. Inoltre, la liquidazione non permette di tenere fuori eventuali beni affettivi o la casa (se serve a pagare creditori, verranno venduti comunque, a differenza di un piano dove magari si poteva trovare compromesso). Dal lato dei creditori, la liquidazione per loro è simile a un fallimento: può significare recuperare solo una percentuale modesta. Per questo, se intravedono chance migliori, potrebbero essere incentivati a negoziare un concordato anziché spingere per la liquidazione.

Caso esemplificativo: un imprenditore agricolo monocoltura indebitato per €500.000 decide che non può sostenere un piano (l’azienda è ormai ferma, macchinari obsoleti, lui magari prossimo alla pensione). Presenta istanza di liquidazione: il tribunale la apre, nomina un liquidatore. Si scopre che ha: un piccolo terreno, un trattore e attrezzature, e la casa colonica in cui vive con la famiglia. Il liquidatore vende terreno e attrezzature, e anche la casa (non essendoci alternative – magari se c’è un familiare disposto a ricomprarla, potrebbe farlo all’asta). Incassa, poniamo, €200.000 totali. Previa deduzione delle spese di procedura, distribuisce ai creditori: in primis, la banca ipotecaria prende il ricavato della casa fino a copertura parziale del suo credito; i restanti creditori (fornitori, Agenzia Entrate, ecc.) si spartiscono il resto in proporzione, ottenendo un 20% dei loro crediti. La procedura si chiude in due anni. L’agricoltore, rimasto senza beni (ma gli è stato lasciato un minimo del ricavato per prendere un alloggio modesto altrove), chiede l’esdebitazione: il giudice gliela concede, constatato che ha cooperato lealmente e non ha nascosto nulla. Da quel momento, quei €400.000 di debiti non pagati si cancellano: i creditori non possono più pretendere nulla da lui. L’uomo potrà cercare un nuovo lavoro o vivere con l’aiuto dei figli, libero almeno dai creditori.

Esdebitazione del debitore incapiente – art. 283 CCII

L’esdebitazione del debitore incapiente è una novità assoluta introdotta dal Codice della crisi (recependo uno spirito di clemenza voluto dalla direttiva europea). Essa consente, in casi estremi, al debitore persona fisica sovraindebitato, privo di beni e di reddito, di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover pagare nulla, ovvero una “esdebitazione a zero”. Viene spesso definita come il fresh start per il debitore onesto ma sfortunato che “non ha nulla da dare ai creditori”.

Per un imprenditore agricolo, questa procedura potrebbe essere rilevante se, ad esempio, dopo annate disastrose e pignoramenti ha perso tutto: non ha più terre, né attrezzature, né reddito significativo, e quindi non può offrire utilità in un concordato né in una liquidazione (una liquidazione sarebbe deserta, non avendo beni). In tali situazioni, il CCII evita di lasciare il soggetto a vita schiacciato da debiti impagabili, prevedendo questo rimedio straordinario.

Condizioni per l’accesso (art. 283 CCII):

  • Il debitore deve essere una persona fisica (l’esdebitazione incapiente non è disponibile per società o enti, i quali semplicemente falliscono o si liquidano senza alcuna “grazie” sui debiti).
  • Il debitore dev’essere meritevole in senso ampio: ossia non deve aver commesso atti di frode, non deve aver colpe gravi nell’aver contratto i debiti. Deve trovarsi in questa condizione di insolvenza totale per ragioni sfortunate e indipendenti dalla sua volontà (es. un crollo dei prezzi agricoli, calamità, malattia, ecc., piuttosto che per mala gestione dolosa).
  • Deve trovarsi nell’assoluta incapacità di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in futuro prossimo. Il CCII specifica che il debitore per essere definito “incapiente” non deve possedere alcun bene liquidabile né avere redditi aggredibili oltre il minimo vitale, al netto delle spese di mantenimento e di altre eventuali priorità. Cioè, dopo aver tolto il necessario per vivere dignitosamente, non rimane nulla che si possa destinare ai creditori.
  • Non deve aver già ottenuto un’esdebitazione di questo tipo nei 5 anni precedenti, né più di due volte in totale (in realtà, sarebbe già notevole ottenerla una volta).
  • Non deve avere procedure in corso di tipo concordatario o liquidatorio salvo rinuncia: in pratica, se è in corso un piano o concordato, non si può chiedere contestualmente l’esdebitazione incapiente (che è alternativa). Tuttavia può succedere, ad esempio, che una liquidazione controllata sia stata chiusa senza attivo: in tal caso, il debitore incapiente può attivare questa procedura per i debiti residui.
  • Non deve aver dolosamente o con colpa grave aggravato la propria insolvenza (questo rientra nel concetto di meritevolezza). E ovviamente non deve aver compiuto azioni come distruzione di documenti, falso, ecc., per ingannare i creditori – queste condotte sarebbero sanzionate penalmente e farebbero perdere il beneficio.

Procedura: il debitore presenta una domanda di esdebitazione incapiente al tribunale, allegando la documentazione che provi la sua situazione (ad esempio: stato di famiglia, eventuali redditi minimi, proprietà zero, elenco creditori, cause dell’indebitamento, attestazioni di non possidenza di beni, ecc.). È opportuno passare attraverso un OCC anche per questa istanza, sebbene non sempre sia obbligatorio. Il tribunale convoca i creditori e verifica la sussistenza dei requisiti. Se accerta che davvero non c’è nulla da liquidare e che il debitore è meritevole, emette decreto di esdebitazione ex art. 283 CCII.

Con tale provvedimento, tutti i debiti antecedenti sono cancellati immediatamente (salvo quelli esclusi per legge dall’esdebitazione, ad esempio alcuni debiti alimentari o risarcitori per danni, come già in altre procedure). È una sorta di “condono giudiziale” dei debiti.

Attenzione però: la legge pone una condizione risolutiva. Se entro 4 anni dal decreto sopravviene una migliorìa nella situazione economica del debitore, questi ha un obbligo: pagare ai creditori, in misura non oltre l’ammontare originario dei debiti, le somme che diventassero disponibili grazie a sopravvenienze patrimoniali rilevanti. In pratica: l’esdebitazione è concessa subito, ma con la clausola che se entro 4 anni il debitore incapiente riceve utilità rilevanti (eredità, donazioni, vincite, o anche incremento di reddito oltre il necessario), deve farne partecipi i vecchi creditori. Non significa che torna efficace il debito per intero, ma l’obbligo è di pagare fino a concorrenza di quelle utilità sopravvenute. Ad esempio, un agricoltore incapiente esdebitato nel 2025 con €200.000 di debiti residui; nel 2027 vince alla lotteria €50.000: egli dovrà destinare tale somma (al netto magari di tasse e di quanto serve per necessità urgenti) ai vecchi creditori, fino ad esaurimento dei €50.000, riducendo il debito “riemerso” – ma se vincisse €300.000, teoricamente dovrebbe pagare i creditori fino a €200.000 (capitale originario del debito) e terrebbe il resto. Questa clausola è espressamente prevista per evitare che chi è graziato e poi fa fortuna tenga tutto per sé: c’è un periodo di “controllo” di quattro anni.

Trascorsi i 4 anni, qualunque miglioramento non rileva più: l’esdebitazione diventa definitiva al 100%.

Se il debitore dovesse mentire o occultare qualcosa per ottenere l’esdebitazione incapiente (es. nasconde di avere un bene o falsifica documenti per farsi passare nullatenente), incorrerebbe in gravi sanzioni: il CCII prevede specifiche sanzioni penali per chi produce documenti falsi o occulta informazioni in questa procedura. Inoltre, il beneficio verrebbe revocato appena scoperto l’inganno.

Effetti: i creditori non potranno più agire per i debiti antecedenti (salvo il discorso delle sopravvenienze nei 4 anni). I coobbligati, però, non sono esdebitati: se un debito era garantito da terzi, i creditori potranno ancora rivolgersi a quei terzi. L’esdebitazione è solo personale del debitore che la ottiene.

Rapporti con altre procedure: spesso il debitore incapiente chiederà l’esdebitazione dopo aver già fatto una liquidazione controllata infruttuosa. Il CCII consente infatti che, se in una liquidazione non si ricava nulla (o quasi) e il debitore rimane con debiti, egli possa poi chiedere questa esdebitazione speciale. In alternativa, può chiederla direttamente se proprio non ha beni per cui non conviene aprire neppure la liquidazione (evitando i costi inutili di un procedimento che non darebbe attivo). I tribunali valuteranno caso per caso: a volte viene comunque aperta una liquidazione, se non altro per accertare formalmente l’assenza di attivo; altre volte si potrà andare direttamente con l’art. 283.

Importanza per l’imprenditore agricolo: immaginiamo un piccolo allevatore che, colpito da morìa del bestiame e debiti, abbia subito il pignoramento di tutto e ora faccia il bracciante precario. Ha ancora addosso magari debiti con banche e consorzi agrari per decine di migliaia di euro, che mai potrà pagare. Con l’esdebitazione incapiente, se dimostra di essere in queste condizioni non per frode ma per sfortuna, può liberarsi e tornare a una vita “normale” senza debiti. È davvero l’ultima spiaggia e la seconda opportunità: un istituto di clemenza economica.

Sintesi: il sovraindebitamento dell’imprenditore agricolo vede dunque una gamma di procedure:

  • Composizione negoziata (strumento stragiudiziale per tentare un accordo volontario con l’assistenza di un esperto, di cui parliamo a parte).
  • Ristrutturazione del consumatore (se ha debiti privati – non per debiti d’azienda).
  • Concordato minore (strumento principe per ristrutturare i debiti d’azienda con accordo a maggioranza e magari proseguire l’attività).
  • Liquidazione controllata (quando occorre liquidare il patrimonio e ripartire da zero).
  • Esdebitazione dell’incapiente (quando non c’è proprio nulla da liquidare e serve comunque chiudere con il passato).

Nel prossimo paragrafo forniremo uno schema comparativo tra queste procedure, per mettere in evidenza differenze di requisiti, effetti, durata e competenza. Successivamente, dedicheremo una sezione alla composizione negoziata e al particolare concordato semplificato post-negoziazione, poiché un agricoltore potrebbe prima percorrere quella strada extragiudiziale e poi, in caso di esito negativo, approdare a una soluzione concorsuale semplificata.

Comparazione delle procedure di sovraindebitamento (schemi riepilogativi)

Di seguito presentiamo alcune tabelle comparative che confrontano le procedure applicabili all’imprenditore agricolo sovraindebitato sotto i principali profili: i soggetti che possono accedervi, i presupposti richiesti, gli effetti prodotti, la durata indicativa e la competenza.

Tabella 1 – Tipologie di procedure e caratteristiche principali

ProceduraChi può accederePresupposti e requisitiDecisione dei creditoriAutorità competente
Ristrutturazione del consumatore (Piano del consumatore)– Solo consumatore (persona fisica, debiti estranei all’impresa)– Imprenditore agricolo escluso per debiti d’impresa (può solo per debiti personali)– Sovraindebitamento del consumatore– Meritevolezza richiesta: assenza dolo/colpa grave nel causare i debiti– Debiti totali preferibilmente entro limiti ragionevoli (es. prassi €500.000)Nessun voto dei creditori. Approvazione giudiziale se piano fattibile e debitore onesto (creditori possono fare osservazioni e reclamo).Tribunale sede debitore (sez. fallimentare), giudice monocratico.
Concordato minore (Accordo di ristrutturazione per soggetti non fallibili)Imprenditori agricoli (sia sotto che sopra soglia)– Imprenditori minori commerciali– Professionisti, start-up, enti non fallibili– Consumatori esclusi (hanno altra proc.)– Sovraindebitamento (crisi/insolvenza) del debitore non fallibile– Nessun controllo di meritevolezza ex ante (anche debitore colposo ammesso), salvo negare accesso se frode conclamata– Se impr. cessato da >1 anno, procedura inammissibile– Se proposta liquidatoria, obbligo di risorse esterne aggiuntiveVoto dei creditori richiesto: serve ≥ 60% dei crediti ammessi al voto favorevoli. Se quorum raggiunto, omologa giudiziale (possibili opposizioni dei dissenzienti valutate dal giudice).Tribunale competente (luogo sede impresa), giudice monocratico. Nomina di Commissario giudiziale (spesso OCC).
Liquidazione controllata (Procedura liquidatoria concorsuale)Qualunque debitore sovraindebitato (consumatore o imprenditore agricolo/minore, ecc.)– Anche su istanza di creditori o PM– Impr. cessato da >1 anno: istanza oltre il termine non ammessa (post correttivo 2024)– Insolvenza conclamata o sovraindebitamento senza prospettiva di risanamento– Documentazione completa (elenco creditori, beni, ecc.)– Cooperazione del debitore richiesta; se atti in frode evidenti, tribunale può rigettare apertura– Non serve meritevolezza per aprire, ma servirà per esdebitazione finale– Patrimonio liquidabile > zero (se zero, meglio esdebitazione diretta)Nessun voto richiesto. Procedura disposta d’ufficio dal giudice con decreto di apertura. I creditori partecipano tramite insinuazione al passivo; decidono solo eventuali comitati consultivi.Tribunale competente (luogo COMI debitore). Nomina di Liquidatore e Giudice Delegato. Procedura concorsuale pubblica.
Esdebitazione del debitore incapiente (Fresh start a zero)Solo persona fisica sovraindebitata– Inclusi imprenditori agricoli/personali una volta cessata attività– Non per società (che si estinguono con debiti)– Debitore privo di beni e redditi al di là del minimo vitale– Meritevolezza elevata: no frodi, no colpe gravi– Non aver già beneficiato di esdebitazione negli ultimi 5 anni– Presenza di debiti esdebitabili (esclusi quelli di cui all’art. 282, es. alimenti, risarcimenti da dolo, ecc.)Nessun voto creditori. Creditori possono essere sentiti ma la decisione è del Tribunale, che valuta le condizioni.Tribunale (luogo debitore). Procedimento camerale. Nessun organo nominato (può essere sentito OCC per relazione).

Tabella 2 – Effetti, durata e outcome delle procedure

ProceduraEffetti su patrimonio e azioniDurata indicativaEsdebitazione finaleNote
Ristrutturazione del consumatore– Il debitore mantiene beni e gestione sotto controllo OCC.– Sospensione procedure esecutive su richiesta dal deposito fino omologa (misure protettive).– Con l’omologa: creditori vincolati dal piano, pagamenti secondo piano, stop interessi su chirografari.– Se previsto, debitore continua a pagare mutuo casa alle scadenze originarie (salvaguardia abitazione).Procedura: 4-6 mesi circa per omologazione (dipende da eventuali reclami).Esecuzione piano: di solito 3-5 anni di pagamenti rateali (termine variabile stabilito nel piano).Sì, al 100%: ad esecuzione completata, debitore liberato dai debiti residui.– Se il piano è omologato, l’esdebitazione è implicita per la parte non pagata, soggetta a revoca solo se inadempimento o dolo.– In caso di revoca del piano, possibilità di esdebitazione dopo liquidazione eventuale.Revoca/Conversione: se il debitore non paga secondo piano, il giudice revoca e può aprire liquidazione controllata.Coobbligati: restano obbligati (non liberati dal piano del consumatore).
Concordato minore– Dal decreto di apertura: divieto di azioni esecutive individuali e sequestri (tutela patrimoniale concorsuale).– Il debitore solitamente continua gestione dell’azienda (se in continuità) sotto vigilanza del Commissario.– Atti eccedenti l’ordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione GD.– Se concordato liquidatorio: beni immobilizzati e vendite curate dal Commissario secondo piano.– Pagamenti pregressi sospesi, contratti pendenti: possibilità di scioglimento se autorizzato (simile a concordato prev.).Fase preparatoria: 1-3 mesi per ammissione (dipende da completezza documenti).Votazione creditori: circa 30-60 giorni per raccogliere voti (termini fissati dal GD).Omologazione: udienza entro 30 giorni da scadenza voti, decreto se no opposizioni o dopo decisione su opposizioni (1-2 mesi).Esecuzione del piano: variabile. Se continuità, può durare anche diversi anni di pagamento. Se liquidatorio, vendite in 1-2 anni max.Durata tipica complessiva: 6-12 mesi per ottenere omologa; 1-5 anni per esecuzione completa a seconda del piano.Sì, condizionata all’adempimento: i creditori parzialmente soddisfatti sono liberati per il residuo una volta eseguito il concordato. L’omologa ha effetto novativo delle obbligazioni e la parte falcidiata non è più esigibile.– Se il debitore adempie integralmente la proposta omologata, il tribunale dichiara chiusa la procedura e l’esdebitazione del residuo è definitiva.– Se il concordato si risolve per inadempimento, niente esdebitazione automatica: si può aprire liquidazione e poi richiederla in quel contesto.Vantaggio: possibile mantenere attivo azienda e risanare reputazione commerciale se accordo riuscito.Cessio bonorum: debitore può inserire clausola che, una volta pagato quanto promesso, i garanti sono liberati; ma efficace solo se creditori accettano.Fisco e debiti privilegiati: falcidia possibile purché ≥ valore liquidazione; IVA falcidiabile secondo orientamenti recepiti.
Liquidazione controllataSpossessamento: dal decreto apertura, tutti i beni del debitore (salvo quelli non pignorabili) entrano nella massa in gestione al Liquidatore.– Sospensione/estinzione delle azioni esecutive individuali in corso; i pignoramenti concorrono nel concorso.– Il Liquidatore può esercitare o sciogliere i contratti pendenti in base all’interesse della procedura (simile poteri del curatore).– Il debitore persona fisica conserva beni di uso personale e stipendio/pensione nei limiti necessari a vita dignitosa (quota decisa dal GD).– Creditori devono insinuarsi e seguiranno pagamento secondo ordine privilegi.– Apertura entro 1 anno da cessazione attività per imprenditori: oltre, non attivabile su istanza (post 2024).Fase iniziale: 1-2 mesi per apertura se domanda del debitore; 2-4 mesi se istanza creditori (accertamenti, nomina OCC).Liquidazione attivo: dipende dal patrimonio. Obiettivo normativo: chiudere entro 3 anni. Procedure semplici (pochi beni mobili) possono chiudere < 1 anno; con immobili complessi o contenziosi possono durare anche 2-3 anni.Chiusura: quando tutto venduto e ripartito, il GD emette decreto di chiusura.Sì, ma non automatica: il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti residui a fine procedura, su richiesta (o d’ufficio, visti requisiti). Condizioni: cooperazione, nessuna frode, non aver già avuto esdebitazione in 5 anni, ecc. (art. 280 CCII). Il tribunale verifica e con decreto finale libera il debitore da ogni debito non soddisfatto.– Se esdebitazione negata (per indegnità del debitore), i creditori possono riprendere le azioni per la parte non pagata (rimangono però poco soddisfacibili se nulla è rimasto).– Società/enti: niente esdebitazione, la chiusura della liquida comporta estinzione del soggetto e debiti insoddisfatti inesigibili (salvo garanzie personali dei soci).Possibilità fresh start: se al termine della liquidazione non si ottiene esdebitazione (es. per condotta fraudolenta), il debitore resta responsabile dei debiti residui, ma i creditori per agire di nuovo non troveranno beni (di solito).Costi: spese legali, compenso liquidatore, ecc., prelevati dall’attivo (prededuzione).Garanti: obbligazioni dei coobbligati non toccate dalla procedura (creditore potrà escutere fideiussori durante o dopo).Crediti tributari: nessuna “transazione”, si ripartisce come da legge (privilegi per tributi assicurano un certo realizzo, il resto stralciato con esdebitazione).
Esdebitazione incapiente– Nessun effetto sul patrimonio perché il debitore non ha beni da liquidare. Se ha anche pochi beni, di solito gli verrà chiesto prima di liquidarli o considerare liquidazione.– Sospensione e annullamento di eventuali procedure esecutive: col decreto di esdebitazione, i pignoramenti pendenti vengono chiusi (tanto non c’è niente da prendere), i fermi amministrativi su veicoli vanno rimossi, ecc.– Il debitore resta titolare dei suoi eventuali modesti averi (es. mobilia, modesto conto corrente).Iter rapido: circa 2-3 mesi. Trattandosi di valutare una condizione, il tribunale acquisisce la documentazione, magari sente l’OCC, e decide.Periodo di “osservazione” post-decreto: 4 anni per possibili sopravvenienze (vedi colonna esdebitazione).Sì, immediata: il decreto del tribunale cancella tutti i debiti in capo al debitore, salvo obblighi di legge (alimentari, ecc.). Tuttavia è sottoposta a condizione risolutiva fino a 4 anni:– Se entro 4 anni dal decreto l’esdebitato ottiene utilità rilevanti (eredità, vincite, doni) che gli permettono di soddisfare i creditori, egli è obbligato a pagarli fino a concorrenza del debito originario. Deve cioè “versare” ai vecchi creditori quanto ottenuto, fino all’importo dei debiti annullati.– Trascorsi i 4 anni senza eventi, l’esdebitazione diventa definitiva e i creditori non possono più pretendere nulla neanche se il debitore in futuro diverrà ricco.– In caso di dolo o colpa grave del debitore (es. nasconde beni, falsifica documenti), il beneficio può essere revocato e i debiti ripristinati, oltre a sanzioni penali.Una tantum: l’esdebitazione incapiente è pensata come misura eccezionale. Se il debitore tornerà ad indebitarsi in futuro, difficilmente gliene sarà concessa un’altra (max 1 volta ogni 5 anni, e max 2 volte in vita).Dignità personale: consente a chi è totalmente travolto dai debiti di non rimanere marchiato a vita, favorendo il reinserimento nell’economia legale (evita lavoro nero ecc. per sfuggire ai creditori).

Legenda: OCC = Organismo di Composizione della Crisi; GD = Giudice Delegato; PM = Pubblico Ministero.

La composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato per l’imprenditore agricolo

Prima di passare alle FAQ e ai casi pratici, è utile spendere alcune parole sulla Composizione negoziata della crisi, uno strumento introdotto dal D.L. 118/2021 (e ora disciplinato nel CCII artt. da 17 a 25-octies) che può essere utilizzato anche dall’imprenditore agricolo in difficoltà. Pur non essendo tecnicamente una procedura concorsuale né una procedura di sovraindebitamento, la composizione negoziata si inserisce nel percorso di gestione della crisi precedendo eventualmente le soluzioni concorsuali.

Cos’è la composizione negoziata? – È un procedimento volontario, stragiudiziale, attivabile da qualsiasi imprenditore (commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione) che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza (quindi anche prima della vera insolvenza). L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (cd. portale della crisi) e viene nominato un Esperto indipendente (di norma un commercialista o altro professionista esperto in risanamenti) che aiuterà a negoziare con i creditori. L’obiettivo è trovare accordi di ristrutturazione stragiudiziali o preparare operazioni di risanamento (ad esempio vendere l’azienda in bonis, trovare nuovi investitori, ristrutturare il debito bancario con nuove garanzie, ecc.), evitando di ricorrere a procedure concorsuali.

Importante per il nostro contesto: il legislatore ha esteso esplicitamente la composizione negoziata agli imprenditori agricoli. Ciò supera il vecchio limite per cui gli agricoltori erano esclusi dagli strumenti di allerta e composizione stragiudiziale. Oggi, nessuna impresa è esclusa in via di principio dalla composizione negoziata: anche l’imprenditore agricolo, o l’imprenditore individuale “sotto soglia”, può richiedere la nomina di un esperto e tentare la via negoziale.

Come funziona in breve:

  • L’imprenditore agricolo carica sul portale un piano dettagliato sulla propria situazione (bilanci, debiti, cause della crisi, prospettive di recupero) e indica quali trattative vorrebbe condurre (es. con banche, fornitori strategici, fisco).
  • Un’apposita commissione nomina un Esperto terzo, che esaminerà la pratica.
  • Si instaura una fase riservata di negoziazione (incontro con creditori, esame di possibili soluzioni). L’esperto conduce le trattative in modo imparziale e cerca di facilitare un accordo.
  • Durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere misure protettive temporanee al tribunale (fino a 180 giorni prorogabili) per sospendere eventuali azioni esecutive dei creditori, così da avere respiro per negoziare.
  • Possibili esiti:
    • Risanamento privato: l’imprenditore e creditori raggiungono accordi (es. dilazione bilaterale, accordo di moratoria, convenzioni di moratoria con banche, aumento di capitale con ingresso di socio, ecc.). La negoziazione si chiude con successo e l’azienda prosegue fuori dal tribunale.
    • Contratto o piano “agevolato”: se si raggiunge un accordo con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei debiti, lo si può far omologare al tribunale come accordo di ristrutturazione agevolato; oppure si può predisporre un piano attestato e utilizzarlo. Tuttavia, per l’imprenditore agricolo, questi istituti (accordi ex art. 57 CCII, piani attestati) sono concetti più tipici delle imprese commerciali. L’importante è che se c’è intesa, la composizione negoziata evita l’insolvenza conclamata.
    • Accesso a procedure concorsuali semplificate: se la negoziazione non ha successo o solo parziale, l’imprenditore ha comunque raccolto informazioni e documentazione utili per eventualmente accedere subito a un concordato minore o a una liquidazione. Anzi, il legislatore ha previsto uno strumento ad hoc: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII). Questo è un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, utilizzabile solo dall’imprenditore che ha esperito la composizione negoziata senza trovare altra soluzione. In pratica, l’imprenditore può proporre al tribunale un piano di liquidazione dei suoi beni, con riparto del ricavato secondo le priorità di legge, chiedendone l’omologa senza passare per il voto dei creditori. È uno strumento “semplificato” proprio perché bypassa il voto, ritenendo che l’esperimento della negoziazione abbia già dimostrato l’impossibilità di un accordo consensuale. Il tribunale valuta se il piano liquidatorio proposto assicurerebbe ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello della liquidazione fallimentare e, se sì, può omologarlo nonostante il dissenso dei creditori. Questo concordato semplificato è molto utile quando alcuni creditori (ad es. enti pubblici) non accettano un accordo ma la soluzione liquidatoria proposta dal debitore darebbe comunque il massimo possibile.
    Un esempio: un imprenditore agricolo tenta la negoziazione ma le banche e fornitori non vogliono saperne di un piano di rientro. Allora propone al tribunale: “Vendo i miei terreni e trattori sotto supervisione e distribuisco il ricavato ai creditori, che prenderanno così il 30% dei loro crediti, ovvero tanto quanto otterrebbero in un fallimento, ma risparmiando tempo e costi”. Il tribunale può omologare questo concordato semplificato. I creditori non votano, ma possono fare opposizione se contestano la convenienza. Si tratta di un procedimento veloce e nato per concludere dignitosamente un tentativo di negoziazione fallito. NB: Come visto nella giurisprudenza, però, la Cassazione ha chiarito che se l’imprenditore era già cessato e cancellato da oltre un anno, non può accedere nemmeno al concordato semplificato. Quindi il semplificato è riservato a chi è ancora formalmente imprenditore (attivo o cessato da poco). Per il resto, esso è applicabile anche all’imprenditore agricolo, a chiusura di una composizione negoziata.

In sintesi, l’imprenditore agricolo in crisi ha oggi un ventaglio completo di opzioni:

  • Approccio preventivo e stragiudiziale: composizione negoziata, per provare a evitare l’insolvenza con un accordo assistito dall’esperto.
  • Se ciò non basta, può percorrere la via giudiziale minore: concordato minore per ristrutturare con l’accordo a maggioranza, oppure concordato semplificato (liquidatorio senza voto) se ha fatto la negoziazione.
  • In caso di fallimento di queste soluzioni, rimane la liquidazione controllata come ultima misura ordinata per liquidare.
  • E come rete di salvataggio finale, se proprio non c’è patrimonio, c’è l’esdebitazione incapiente per chiudere la vicenda debitoria.

Nei prossimi paragrafi risponderemo ad alcune domande frequenti (FAQ) per chiarire dubbi pratici, e proporremo delle simulazioni di casi reali riguardanti imprenditori agricoli sovraindebitati, per comprendere come le procedure descritte si applicano concretamente.

Domande frequenti (FAQ)

D: Un imprenditore agricolo può essere dichiarato fallito o soggetto a liquidazione giudiziale come un imprenditore commerciale?
R: No, l’imprenditore agricolo è legalmente esonerato dal fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”). L’art. 1 della vecchia legge fallimentare e ora l’art. 33 CCII prevedono che solo gli imprenditori che esercitano attività commerciale sono assoggettabili al fallimento. L’imprenditore agricolo (anche se in forma societaria) non può quindi subire un fallimento. Le sue crisi si gestiscono con gli strumenti di sovraindebitamento o, in via preventiva, con la composizione negoziata. Anche il concordato preventivo ordinario non è accessibile agli agricoltori, essendo riservato ai commercianti. In compenso, l’agricoltore può usare il concordato minore indipendentemente dalle dimensioni. Unica eccezione: se un soggetto svolge contemporaneamente attività agricola e commerciale prevalente, potrebbe essere considerato commerciante (ma è un caso limite, di solito la natura agricola viene riconosciuta). In conclusione, nessun “fallimento” per il contadino: al suo posto ci sono concordato minore e liquidazione controllata.

D: Quali procedure concorsuali può utilizzare in concreto un imprenditore agricolo sovraindebitato?
R: Può utilizzare tutte le procedure di sovraindebitamento previste dal Codice, in particolare:

  • Concordato minore – per proporre un accordo ai creditori e possibilmente continuare l’attività.
  • Liquidazione controllata – per liquidare il patrimonio sotto controllo giudiziario e poi ottenere l’esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente – se non ha proprio nulla da offrire ai creditori, per cancellare i debiti (previa verifica dei requisiti).
  • (Piano del consumatore) – solo se ha debiti personali non legati all’azienda agricola, trattabili separatamente.
    Inoltre, fuori dal tribunale, può attivare la composizione negoziata della crisi per tentare un risanamento stragiudiziale con l’assistenza di un esperto indipendente. In caso di esito negativo, dalla negoziazione potrà eventualmente passare a un concordato semplificato (liquidatorio).

D: Un imprenditore agricolo con debiti misti (personali e aziendali) può fare un piano del consumatore per tutti i debiti?
R: No, il piano del consumatore è riservato ai debiti di natura personale (estranei all’attività d’impresa). Se un soggetto ha sia debiti privati che debiti derivanti dalla propria azienda agricola, non può includerli insieme in un piano del consumatore. Anzi, la legge (dopo il correttivo 2024) esclude espressamente che i debiti derivanti dall’attività d’impresa possano essere regolati con la procedura riservata al consumatore. Quindi:

  • Per i debiti personali (es. debito per acquisto auto familiare, prestito personale, carta di credito, ecc.) potrebbe utilizzare il piano del consumatore, dimostrando di essere meritevole e presentando un piano di pagamento.
  • Per i debiti aziendali (es. debiti verso fornitori agricoli, mutui agrari, debiti fiscali dell’azienda) dovrà usare concordato minore o liquidazione controllata.
    È possibile però presentare le due procedure in modo coordinato (magari al medesimo tribunale, che le tratterà separatamente ma connesse). Ad esempio, l’imprenditore agricolo Mario presenta un concordato minore per i debiti della sua azienda e contestualmente la moglie (che magari è garante o coobbligata solo su debiti familiari) presenta un piano del consumatore per i debiti familiari: il tribunale potrebbe nominarlo stesso gestore OCC e affrontare insieme le omologhe. In alternativa, se la moglie è anche contitolare dell’azienda, entrambi faranno un concordato minore congiunto (procedura familiare) per tutti i debiti.

D: È vero che il debitore nel piano del consumatore deve pagare almeno il 60% di ogni debito?
R: Non esattamente. Non c’è una norma definitiva che imponga “60% di ogni debito” nel piano del consumatore – questa percentuale è stata menzionata in alcune prassi e fonti come indicativa, ma non è scritta nella legge. Il principio cardine è che il piano deve garantire a ciascun creditore una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile dalla liquidazione. Se dalla liquidazione dei beni del consumatore un certo creditore avrebbe preso il 10%, il piano può anche dare il 10% a quel creditore (o di più, se possibile), non serve arrivare al 60%. Ovviamente, se il debitore ha entrate sufficienti, è bene offrire quanto più possibile per ottenere l’omologa facilmente. Alcuni tribunali possono preferire percentuali elevate per considerare il piano fattibile, ma non c’è un minimo legale universale. Il 60% forse deriva da proposte di modifica mai approvate. Dunque, l’imprenditore agricolo consumatore (ipotesi rara) non deve scoraggiarsi pensando di dover pagare il 60%: deve piuttosto mostrare di pagare il massimo possibile compatibilmente con le sue risorse, assicurando comunque il superamento del test di convenienza rispetto alla liquidazione.

D: Nel concordato minore i creditori possono essere costretti ad accettare la proposta?
R: Il concordato minore richiede il consenso della maggioranza dei creditori (per importo del credito). Quindi, se non si raggiunge il 60% di crediti favorevoli, la proposta non può essere omologata. Non è previsto un “cram down” giudiziale come in certi concordati preventivi (dove il giudice può imporre l’accordo a classi dissenzienti a certe condizioni). Nel concordato minore, i creditori hanno sostanzialmente potere di veto se la maggioranza non si raggiunge. Tuttavia, una volta che la maggioranza (60%) è favorevole, la minoranza dissenziente viene comunque vincolata dall’omologazione. Dunque in parte sì: i creditori di minoranza vengono “obbligati” a subire l’accordo deciso dalla maggioranza, purché il giudice verifichi che comunque riceveranno almeno quanto otterrebbero da una liquidazione. Per esempio, se il 70% dei creditori (per valore) approva un concordato dove prendono il 30%, il restante 30% di creditori contrari dovrà accettare il 30% e rinunciare al resto, purché non dimostri che in una liquidazione avrebbe preso di più. Quindi, il potere dei creditori è nel quorum di approvazione: sotto il 60% niente concordato, sopra il 60% vale per tutti.

D: Cosa succede se i creditori non approvano il concordato minore?
R: Se all’esito della votazione non si raggiunge la maggioranza richiesta, il concordato minore non è approvato. Il tribunale di solito dichiarerà improcedibile la domanda di concordato. A quel punto, se il debitore aveva contestualmente richiesto in subordine l’apertura della liquidazione controllata (cosa possibile e consigliabile), il tribunale aprirà la liquidazione controllata del patrimonio automaticamente. In mancanza, i creditori tornerebbero liberi di agire esecutivamente, quindi al debitore conviene comunque ripiegare sulla liquidazione per avere un quadro ordinato e la successiva esdebitazione. In sintesi: mancata approvazione = concordato fallito, e unica via resta liquidare i beni (volontariamente o su istanza dei creditori). Da notare: il debitore potrebbe anche ritirare la proposta di concordato prima del voto se vede opposizione e presentare direttamente domanda di liquidazione per risparmiare tempo.

D: Quali debiti non si cancellano nemmeno con queste procedure (c’è qualcosa di “non esdebitabile”)?
R: Sì, ci sono alcune categorie di debiti che per legge non possono essere cancellati neanche dopo l’esdebitazione. L’art. 282 CCII (richiamato anche per l’esdebitazione incapiente) elenca:

  • le obbligazioni alimentari (es. assegni di mantenimento dovuti a coniuge o figli, arretrati) – questi restano dovuti;
  • le obbligazioni da risarcimento danni da fatto illecito commesso con dolo o colpa grave (es. danni per un reato intenzionale) – il danneggiante non se ne libera;
  • le multe, sanzioni penali o amministrative non pagate – lo Stato non rinuncia a quelle (anche se talvolta, in realtà, per sanzioni amministrative pecuniarie la giurisprudenza ha opinato che possano rientrare nella falcidia; comunque formalmente sono escluse dall’esdebitazione);
  • i debiti fiscali derivanti da condotte fraudolente (tipo IVA non versata con frode, se accertata come reato tributario) – di solito però in tal caso il debitore perderebbe anche la meritevolezza.
    Detto ciò, la maggior parte dei debiti finanziari, commerciali e fiscali sono esdebitabili. Ad esempio, i debiti verso fornitori, banche, fisco per imposte ordinarie, contributi previdenziali, ecc., vengono cancellati con l’esdebitazione (salvo la quota eventualmente non falcidiabile per vincoli di privilegio soddisfatto).

D: In una liquidazione controllata, l’imprenditore agricolo può conservare l’abitazione o qualche terreno?
R: Purtroppo, nella liquidazione controllata non c’è una protezione automatica per l’abitazione principale o per beni specifici. A differenza di alcune legislazioni estere e di ipotesi fatte in Italia, attualmente se la casa di proprietà ha un valore e i creditori non sono soddisfatti interamente, la casa viene liquidata dal liquidatore (salvo trovare un accordo coi creditori fuori procedura per tenerla, ad esempio facendo intervenire un familiare a rilevarla). Quello che la legge garantisce è solo che il debitore può trattenere una parte dei redditi per affitto e mantenimento. Quindi è un punto dolente: l’agricoltore rischia di perdere anche la casa di abitazione se questa ha un valore vendibile.
Tuttavia, durante la procedura, se ad esempio la casa è gravata da mutuo e non conviene venderla perché magari il valore è basso rispetto al debito residuo, il liquidatore potrebbe valutare, d’intesa con la banca, soluzioni alternative (es. attribuire la casa alla banca a saldo del mutuo, se banca e debitore concordano). Ma in linea di massima, la liquidazione implica spossessamento completo, casa compresa.
Se mantenere la casa è prioritario per il debitore, l’unica speranza è il concordato minore: lì può proporre di continuare a pagare il mutuo e non liquidare la casa, e convincere i creditori chirografari a soddisfarsi con altre risorse. Oppure se la casa è modesta e i creditori non ne ricaverebbero molto, può far parte di quell’accordo. Nei fatti, salvare la casa è uno dei motivi per cui spesso si tenta un piano del consumatore o un concordato piuttosto che andare in liquidazione.

D: Quali sono i costi da affrontare per attivare queste procedure?
R: I costi includono:

  • Compenso dell’OCC/gestore: stabilito secondo parametri ministeriali (D.M. 202/2014 e linee guida CNDCEC 2023). Dipende dall’attivo e dal passivo del debitore e dal tipo di procedura. Ad esempio, per un debito sui €500.000 potrebbe essere qualche migliaio di euro. Spesso una parte del compenso è proporzionale a quanto effettivamente distribuito ai creditori, incentivando il gestore a riuscire. Nelle linee guida sui compensi 2023 si è cercato di uniformare criteri.
  • Spese vive: bolli, contributo unificato (attualmente modesto, €98 per sovraindebitamento), spese di pubblicazione nel registro delle imprese se serve, ecc.
  • Compenso del legale: se ci si avvale di un avvocato (nel concordato minore è obbligatorio), anche qui di solito c’è un costo. Talora l’avvocato può accettare pagamento dilazionato, magari parte come prededuzione nel piano.
  • Compenso del Liquidatore o Commissario: in caso di apertura procedura, il commissario/giudice/liquidatore hanno diritto a un compenso dalla procedura, anche questo regolato da parametri (simili a curatore fallimentare, ma ridotti per dimensione). Viene pagato prima dei creditori (prededuzione) col ricavato dei beni.
  • Eventuale perito stimatore: se c’è un immobile, potrebbero nominare un perito per la stima, pagato dalla procedura.
    In generale, queste procedure essendo “concorsuali” comportano costi, ma calibrati alla dimensione dell’attività. Uno sforzo iniziale per anticipo spese è richiesto al debitore (es. pagare il contributo unificato e un fondo spese OCC di qualche centinaio di euro). I costi maggiori (compensi commissario, liquidatore) vengono prelevati dall’attivo realizzato. Se la procedura non ha attivo (incapiente), l’OCC spesso lavora quasi gratis salvo un piccolo contributo statale (fondo OCC).
    In sintesi: non è gratis, ma i costi sono molto inferiori a quelli di un fallimento tradizionale e comunque in parte proporzionali ai soldi effettivamente movimentati nella procedura.

D: Se un imprenditore agricolo ha già fatto ricorso a sovraindebitamento anni fa, può farlo di nuovo?
R: Non nell’immediato. La legge impone un intervallo di almeno 5 anni tra una esdebitazione e l’altra. Inoltre non si può ottenere il beneficio più di due volte in totale. Dunque, se un agricoltore ha presentato un concordato minore nel 2022 e ha avuto l’esdebitazione nel 2023, non potrà accedere a nuove procedure se ricadesse in sovraindebitamento almeno fino al 2028. Queste restrizioni servono a evitare comportamenti opportunistici (indebitarsi e fare concordati a ripetizione). Fanno eccezione situazioni particolari: ad es. se la prima procedura è stata chiusa senza esdebitazione per qualche motivo, oppure se un nuovo sovraindebitamento deriva da cause straordinarie indipendenti dalla volontà. Ma in linea di massima c’è la regola dei 5 anni.

D: L’imprenditore agricolo può accedere alla composizione negoziata anche se è “sotto soglia” o piccolo?
R: Sì. La composizione negoziata non ha limiti dimensionali. Un elemento innovativo del D.L. 118/2021 è proprio l’aver reso disponibile l’esperto negoziatore a tutte le imprese, grandi o piccole, agricole o commerciali. Non ci sono soglie di fatturato per richiederla. Certo, per micro-imprese la reale utilità dipende dal caso: se un agricoltore individuale con 3 fornitori può semplicemente accordarsi da solo, forse non ha bisogno di un esperto. Ma se serve coordinare più creditori o c’è di mezzo una banca, la figura dell’esperto può aiutare anche una piccola azienda. Per questo non c’è preclusione.
Va detto che per imprese molto piccole sono previsti percorsi semplificati nel portale e i costi sono ridotti (l’esperto è pagato in parte dalla Camera di Commercio, e in caso di esito negativo c’è un fondo che copre il suo compenso in parte). Quindi un imprenditore agricolo sotto soglia può tranquillamente provare la negoziazione, magari confidando che un esperto convinca la banca a rinegoziare il mutuo piuttosto che andare a incassare i buoi dal recinto…

D: Che differenza c’è tra concordato minore e concordato preventivo, in pratica?
R: Riassumiamo le differenze principali:

  • Soggetti: concordato minore è per non fallibili (agricoli, minori, professionisti); concordato preventivo per imprese soggette a fallimento.
  • Tribunale: il minore davanti a giudice monocratico, il preventivo spesso collegiale nelle fasi cruciali.
  • Percentuali minime: il preventivo liquidatorio impone 20% ai chirografari, il minore no soglie fisse ma risorse esterne se liquidatorio.
  • Meritevolezza: nel preventivo non è rilevante (si guarda solo fattibilità e convenienza), nel minore pure non c’è meritevolezza soggettiva (tranne che i creditori decidono col voto). Nel piano del consumatore invece sì.
  • Classi: nel preventivo puoi/must fare classi di creditori omogenee e puoi ottenere omologa anche con classi dissenzienti se certe condizioni (cram down), nel minore non c’è questa struttura, di solito un’unica classi di chirografari e votano tutti assieme.
  • Organi: nel preventivo c’è sempre il Commissario Giudiziale nominato in apertura e un eventuale Comitato dei creditori, nel minore c’è il Commissario (spesso l’OCC stesso) ma di solito non c’è comitato creditori (non previsto).
  • Controllo giudice: nel preventivo in omologa deve vigilare su trattamenti equi, legittimità, ecc., nel minore fa lo stesso controllo (conviene ai creditori almeno quanto liquidazione, parità trattamento se creditori dello stesso grado).
  • Fallimento in caso di esito negativo: nel preventivo se non omologhi, l’impresa rischia fallimento (spesso è dichiarato contestualmente), nel minore se non omologhi, non c’è “fallimento” ma può aprirsi la liquidazione controllata.
  • Accesso dell’agricoltore: come detto, l’agricoltore non può fare il preventivo, quindi la sua unica opzione concordataria è il minore. Viceversa, un commerciante sopra soglia non può fare minore, deve fare preventivo.

In sostanza, per l’utente agricolo, il concordato minore è l’equivalente funzionale del concordato preventivo per un’impresa commerciale: entrambi sono procedure per evitare la liquidazione, offrendo un concordato ai creditori.

D: Se il debitore agricolo non riesce a pagare neppure i debiti sopravvenuti (come ad esempio nuove cartelle fiscali per annualità correnti), questo incide sulle procedure?
R: Bisogna distinguere. Le procedure di sovraindebitamento riguardano i debiti accumulati fino alla data del ricorso. I debiti successivi restano esclusi. Ad esempio, se presento concordato minore oggi, le nuove tasse dell’anno prossimo dovrò pagarle regolarmente, altrimenti vado incontro ad inadempimento sul nuovo. Se il debitore durante la procedura accumula nuovi debiti (es. non paga le imposte correnti o l’affitto dei terreni correnti), potrebbe dare un segnale di difficoltà a mantenere la continuità e ciò può complicare l’omologazione (il giudice vuole che uno stia in regola col corrente). Inoltre, nuove cartelle per tributi non pagati dopo l’omologa non saranno coperte dall’esdebitazione: restano a carico.
In sintesi: l’imprenditore in procedura deve cercare di essere diligente sui debiti correnti, sia per motivi di meritevolezza sia perché altrimenti all’uscita avrà di nuovo problemi. Le procedure servono a sistemare il pregresso. Se emergono nuovi debiti durante il piano (ad esempio un’annualità IVA non pagata post omologa), quelli non saranno toccati dal piano e i creditori potranno chiederli. Nel concordato minore, spesso il piano stesso prevede come gestire i debiti futuri strategici (es. “mi impegno a pagare regolarmente contributi e imposte correnti per poter proseguire l’attività”). Un’inosservanza potrebbe portare persino alla risoluzione del concordato se compromette l’equilibrio.

D: Dopo quanto tempo l’imprenditore agricolo può “uscire” pulito dai debiti e ricominciare?
R: Dipende dalla procedura scelta e dalla situazione:

  • Con un concordato minore in continuità: potenzialmente, una volta eseguito il piano (es. completati i pagamenti in 3-5 anni), l’imprenditore è libero dai debiti residui e l’azienda è risanata. Quindi in quel caso la “rinascita” avviene gradualmente con l’esecuzione del piano, e formalmente al termine (3-5 anni).
  • Con una liquidazione controllata: il procedimento dura magari 2 anni, dopodiché se ottiene esdebitazione, dal decreto di esdebitazione è libero. Quindi diremmo 2-3 anni per completare tutto e avere la liberazione (salvo qualche strascico se c’è opposizione all’esdebitazione, ma di solito no).
  • Con esdebitazione incapiente diretta: molto rapida, in pochi mesi ottiene la liberazione dei debiti (con la condizione dei 4 anni di monitoraggio, ma di fatto è libero subito; deve solo guardarsi dal fare il furbo in quei 4 anni in caso di arricchimenti imprevisti).
    In generale, entro 3-5 anni al massimo, la maggior parte degli imprenditori agricoli sovraindebitati può aspirare a essere fuori dal tunnel (questo è in linea con la direttiva UE che auspica la completa liberazione entro 3 anni per le procedure liquidatorie). Ovviamente più debiti uno vuole pagare, più tempo ci vorrà (piani più lunghi). Più è disperata la situazione, più tende a risolversi con la liquidazione e quindi tempi più brevi di procedura ma perdita dell’azienda.

D: Un imprenditore agricolo cancellato dal Registro Imprese da due anni, con soli debiti residui, può chiedere l’esdebitazione?
R: Sì, in teoria questo è il candidato perfetto per l’esdebitazione del debitore incapiente. Avendo cessato l’attività da oltre un anno, non può accedere a concordato minore o liquidazione (precluso dai termini). Non potendo usare la ristrutturazione, l’unica via è chiedere l’esdebitazione diretta di quei debiti residui. Dovrà convincere il giudice di non avere beni né capacità di pagamento. Cassazione e varie corti hanno ormai chiarito che un imprenditore cessato con debiti d’impresa non può usare la procedura del consumatore neanche, se i debiti sono legati all’impresa. Quindi, se proprio non c’è patrimonio, si va con l’istanza ex art. 283 CCII. Se invece l’ex imprenditore possiede qualche bene residuo, paradossalmente i creditori potrebbero chiedere comunque la liquidazione entro l’anno dalla cessazione; ma se quell’anno è passato, nessuno può più toccare legalmente i suoi beni tramite concorso. Attenzione: se i creditori stanno facendo esecuzioni individuali (pignoramenti), l’esdebitazione incapiente, una volta ottenuta, li bloccherà. Però durante il procedimento di esdebitazione, di solito si può chiedere una sospensione in via d’urgenza.

D: I debiti IVA e contributivi possono essere falcidiati (ridotti) in un concordato minore di un imprenditore agricolo?
R: Sì, oggi è possibile includere i debiti IVA e contributivi in un concordato minore prevedendo il loro pagamento parziale, a patto di rispettare il vincolo di soddisfarli almeno quanto il valore di liquidazione dei beni su cui hanno prelazione. L’IVA, in particolare, nel passato era ritenuta “infalcidiabile” in concordato per vincoli europei. Ma la Corte di Giustizia UE (sent. 2016) e la Cassazione (Sez. Unite 26988/2016) hanno cambiato approccio, e il legislatore con la L. 232/2016 e poi il CCII ha sancito il principio che anche il debito IVA può essere trattato con soddisfacimento non integrale nelle procedure di crisi. La condizione è che lo Stato recuperi almeno quel che recupererebbe liquidando i beni del debitore. Quindi, in un concordato minore, l’Agenzia delle Entrate parteciperà come creditore privilegiato: se l’IVA è garantita da ipoteca su un bene, si deve pagare quell’importo fino a concorrenza del valore del bene; se è solo privilegiata generale, bisogna offrire almeno il realizzo sui beni mobili.
Esempio: agricoltore con €50.000 di IVA non versata e nessun bene mobile di valore: se fa concordato e offre 20% a chirografi, l’IVA (che ha privilegio generale su mobili) potrebbe essere soddisfatta, poniamo, al 10% in ragione di quel poco di attivo mobiliare stimato; il concordato può prevedere di pagare quell’IVA al 10% appunto. Questo è ormai ammesso.
Resta un punto: i debiti per ritenute non versate (trattenute fatte ai dipendenti o sostituto d’imposta) – quelli la Cassazione ha detto essere ancora esclusi da falcidia per ragioni di ordine pubblico tributario. Il CCII non ne parla espressamente, ma c’è prudenza: meglio prevederne il pagamento integrale se possibile, oppure accordarsi con l’ente (o sperare nell’adesione se ben trattati).
In sintesi, l’imprenditore agricolo può ridurre i debiti fiscali e contributivi nel suo piano/concordato, mentre prima con la legge 3/2012 c’erano più incertezze. La giurisprudenza recente e il Codice hanno allineato il sovraindebitamento ai concordati maggiori in termini di trattamento di IVA e altre imposte.

D: L’imprenditore agricolo può continuare a operare durante la procedura?
R: Dipende dalla procedura:

  • Composizione negoziata: certamente sì, l’attività continua e l’esperto aiuta anche a garantire che continui (ad esempio può segnalare di chiedere misure protettive per evitare che un creditore pignori il trattore indispensabile).
  • Concordato minore in continuità: sì, l’azienda agricola continua a operare sotto la gestione del debitore ma con vigilanza. Si può coltivare, vendere i prodotti, pagare la manodopera corrente. Il debitore però deve rispettare il piano di ristrutturazione allegato (non può fare investimenti pazzi, deve attenersi a quanto programmato). Spesso nominano il commissario proprio per sorvegliare che il debitore non devii. Ma l’idea è di evitare l’interruzione dell’attività, perché così si massimizza anche la soddisfazione dei creditori (l’azienda produce reddito per pagarli).
  • Concordato minore liquidatorio: se l’azienda cessa l’attività, no, si procederà a venderne i beni. Formalmente l’impresa come soggetto giuridico esiste fino a chiusura procedura, ma non opera.
  • Liquidazione controllata: qui l’attività normalmente cessa o è affidata al liquidatore. In qualche caso, come detto, il liquidatore potrebbe proseguirla se vendere l’azienda in blocco conviene. Immaginiamo un’azienda agricola con raccolto in corso: il liquidatore potrebbe decidere di completare il raccolto e vendere il prodotto invece che liquidare subito campi e alberi, perché così ricava di più. Oppure può affittare temporaneamente l’azienda a terzi mentre prepara la vendita, per preservarne il valore. Queste scelte dipendono dalle circostanze. Comunque, l’imprenditore originario perde la gestione: non è più lui a operare, ma il liquidatore. In pratica l’azienda agricola spesso viene chiusa e i dipendenti licenziati come in un fallimento, a meno di una cessione immediata.
  • Durante l’esecuzione del piano del consumatore: il debitore può continuare la sua vita normale, se ha un lavoro lo mantiene. Se avesse ancora un’attività agricola piccola, può portarla avanti (non c’è spossessamento). Deve però destinare ai creditori le risorse promesse, quindi se l’attività produce reddito extra, in teoria andrebbe ai creditori come da piano.
    In conclusione, solo nel concordato minore in continuità si può dire che l’imprenditore agricolo resti alla guida della sua azienda durante la procedura. In tutte le altre, o perde la gestione o la procedura segna proprio la fine dell’attività (liquidazione).

D: Chi nomina l’OCC e come trovarlo?
R: Gli Organismi di Composizione della Crisi sono iscritti in un apposito registro ministeriale. Molti Ordini dei Dottori Commercialisti e degli Avvocati ne hanno istituito uno, così come alcune Camere di Commercio. Per attivare la procedura, il debitore deve presentare istanza a un OCC nel circondario di competenza (spesso coincide col tribunale competente). Ad esempio, a Firenze esiste l’OCC dell’Ordine dei Commercialisti e quello dell’Ordine degli Avvocati: è sufficiente contattare la segreteria OCC e presentare una domanda di nomina gestore, con i propri dati e una prima descrizione della situazione. L’OCC assegnerà un gestore (spesso scelto da un elenco interno a rotazione). Questo gestore aiuterà a predisporre il ricorso e poi seguirà la procedura.
Quando il ricorso viene depositato in tribunale, il giudice nomina formalmente lo stesso OCC/gestore come commissario o liquidatore a seconda del caso (nella quasi totalità dei casi, la persona che segue il debitore rimane poi a gestire anche dopo l’ammissione).
In mancanza di OCC in zona, il tribunale può nominare un professionista di sua fiducia come gestore.
Quanto al costo OCC: come detto è regolato da linee guida. Il debitore e l’OCC sottoscrivono un contratto all’inizio con indicazione dei compensi. Spesso è previsto un acconto iniziale di qualche centinaio di euro e poi il saldo a fine procedura, prelevato preferibilmente dall’attivo (prededuzione). Se la procedura non produce attivo (caso incapiente), c’è un fondo statale per rifondere parzialmente gli OCC, quindi il debitore incapiente può essere esentato dal pagare.
Tutto sommato, la porta di ingresso è proprio rivolgersi all’OCC: sul sito del Ministero della Giustizia c’è l’elenco degli OCC autorizzati per ogni provincia. Si può anche chiedere consiglio a un professionista (avvocato o commercialista) che spesso saprà indirizzare al giusto OCC di riferimento.

D: Cosa significa che l’imprenditore agricolo esdebitato non può ottenerlo di nuovo per 5 anni?
R: Significa che, dopo aver completato una procedura da sovraindebitamento con successo (piano eseguito ed esdebitazione, o liquidazione chiusa con esdebitazione), per i successivi 5 anni non potrà accedere ad un’altra procedura e chiedere di nuovo la cancellazione dei debiti. È una sorta di “periodo di osservazione”: se in quei 5 anni contrae nuovi debiti e non li paga, i creditori potranno agire normalmente contro di lui, senza che egli possa rifugiarsi subito in un altro concordato o in un’altra esdebitazione. Dopo 5 anni, eventualmente, potrebbe essere ammesso un nuovo procedimento se la situazione lo richiede (e comunque, come detto, non più di due volte in totale).
L’idea è che l’esdebitazione è una misura eccezionale da concedere con parsimonia: il debitore ne benefici e sia responsabilizzato a non ricadere presto negli stessi errori. Se malauguratamente dopo 6-7 anni succede di nuovo una crisi (es. un nuovo evento calamitoso manda in crisi la nuova azienda), allora potrà ridomandare aiuto alla legge.

Casi pratici e simulazioni

Per comprendere meglio l’applicazione delle norme esposte, presentiamo di seguito alcune simulazioni basate su casi reali o realistici riguardanti imprenditori agricoli sovraindebitati. Ogni caso illustra uno scenario diverso (ristrutturazione in continuità, liquidazione, esdebitazione incapiente, composizione negoziata ecc.) con numeri semplificati per mostrare gli effetti delle procedure.

Caso 1: Azienda agricola familiare in continuità con concordato minore

Scenario: L’Azienda Agricola Rossi (ditta individuale), che coltiva ortaggi su 10 ettari in affitto, è gestita da Mario Rossi con l’aiuto della moglie. Negli ultimi anni ha accumulato debiti per:

  • €120.000 con la banca Alfa (mutuo agrario garantito da ipoteca su un piccolo terreno di proprietà del debitore, valore del terreno stimato €80.000).
  • €50.000 con fornitori di sementi e mangimi (chirografari).
  • €30.000 di debiti verso dipendenti (stipendi arretrati) e agenzia delle entrate Riscossione (contributi e IVA arretrata), tutti debiti che hanno privilegio generale.
  • Totale debiti ≈ €200.000.

Attivo:

  • Terreno di 2 ettari di proprietà (valore €80.000, ipotecato).
  • Attrezzature e trattore del valore usato di circa €20.000 (su cui i privilegi generali insistono).
  • Il resto dell’attivo è costituito dai prodotti in magazzino (scorte modeste).
  • Non ci sono liquidità significative (cassa quasi zero).
  • L’azienda però è potenzialmente redditiva: fatturato annuo €150.000, ma calato a €100.000 per via di un’alluvione l’anno scorso. Ora, con investimenti minimi, potrebbe risalire.

Problema: Senza intervento, la banca minaccia di agire sull’ipoteca e i fornitori non consegnano più nulla a credito, paralizzando l’attività. Mario vuole continuare l’azienda, ma non può pagare tutti subito.

Soluzione: Mario si rivolge all’OCC e prepara un concordato minore in continuità:

  • Propone di continuare a condurre i campi; prevede che in 5 anni, con i ricavi, potrà pagare una parte dei debiti.
  • Offre ai creditori un pagamento dilazionato quinquennale utilizzando i futuri utili dell’azienda e un piccolo apporto esterno: suo suocero si è detto disposto a investire €30.000 nell’azienda per aiutarlo.
  • In dettaglio, la proposta potrebbe essere:
    • Vendere il terreno ipotecato (2 ettari) e ricavare circa €80.000 da destinare interamente alla Banca Alfa che ha ipoteca. Così il debito con banca (120k) sarebbe ridotto (non del tutto, ma la banca poi prenderà anche parte dei pagamenti futuri).
    • Continuare a pagare i dipendenti correnti regolarmente e rimborsare gli arretrati in modo privilegiato per intero (i crediti dei lavoratori per salari hanno priorità assoluta).
    • Impiegare l’apporto del suocero (€30.000) per pagare in partenza i debiti fiscali e contributivi privilegiati, ad esempio versare l’IVA e i contributi arretrati per intero (€30k coprono grosso modo quelli).
    • Ai fornitori chirografari, Mario propone di pagare il 40% del loro credito (cioè €20.000 su 50k) in 5 anni, in rate annuali, utilizzando parte del reddito dell’azienda. Questo 40% potrà essere pagato anche grazie al fatto che, liberandosi di banca e Fisco, l’azienda ha minor pressione finanziaria. Mario stima che può destinare ~€4.000 l’anno ai fornitori, per 5 anni.
    • La Banca Alfa, dopo la vendita del terreno, rimarrebbe con un credito residuo di €40.000 (120-80). Mario propone di soddisfarla ulteriormente con i flussi: ad esempio dandole altri €20.000 dilazionati (oltre ai fornitori). Quindi la banca recupererebbe in totale €100k su 120 (80 + 20 rateizzati), pari all’≈83% del suo credito, il resto stralciato.
  • Esito per i creditori:
    • Banca Alfa: recupera 83%, stralcia 17%.
    • Dipendenti e debiti contributivi: recuperano 100% (tra subito e rate brevi con i €30k).
    • Fornitori chirografari: recuperano 40%, stralcio del 60%.
  • Fattibilità e convenienza: OCC attesta che il piano è fattibile – i flussi di cassa attesi dall’attività (considerando costi e ricavi) permettono di pagare quelle rate, grazie anche al contributo esterno e al taglio del debito. Inoltre l’OCC verifica che, se si liquidasse tutto subito, i chirografari avrebbero preso quasi nulla: attivo 100k (80 terreno + 20 macchinari) sarebbe andato tutto a banca e privilegiati, lasciando i fornitori praticamente a zero. Invece col concordato prendono 40%. Dunque ogni classe di creditori sta meglio che in liquidazione. Meritevolezza: Mario appare in buona fede (ha subito un’alluvione, non ha sperperato).
  • Votazione:
    • Banca Alfa e fornitori votano (i dipendenti e il Fisco con privilegio integrale non votano perché vengono soddisfatti integralmente).
    • Totale crediti votanti: 50k fornitori + 40k residuo banca = €90.000.
    • Mario ha sondato prima: Banca Alfa è d’accordo (preferisce 100k a fronte di 120 dovuti che pignorare terreni e magari ricavarne meno). Alcuni fornitori (che credono nell’azienda e vogliono mantenere il cliente) accettano 40% dilazionato. Diciamo che fornitore1 (20k credito) e fornitore2 (15k credito) votano sì, fornitore3 (15k credito) vota no.
    • Voti favorevoli: banca (40k) + forn1(20k) + forn2(15k) = 75k su 90k = 83% di crediti favorevoli. Maggioranza raggiunta (>60%). Piano approvato.
  • Omologa: il tribunale omologa. Fornitore3 (dissenziente) prova a fare opposizione dicendo che 40% è poco. Il giudice respinge: in liquidazione quel fornitore avrebbe preso zero, quindi 40% è di gran lunga più conveniente. Inoltre rileva che Mario ha agito correttamente (nessuna frode).
  • Esecuzione:
    • Terreno venduto entro il 1° anno e banca incassa 80k.
    • Suocero versa 30k, immediatamente usati per pagare contributi, IVA e dipendenti arretrati.
    • Azienda continua: ogni anno per 5 anni versa €8.000 al commissario, il quale ripartisce €4.000 ai fornitori (fino a dare loro 20k = 40%) e €4.000 alla banca (20k totali, circa altri 17% del suo residuo).
    • Mario paga regolarmente anche le imposte correnti e spese d’affitto, monitorato dal commissario.
    • Dopo 5 anni, tutto secondo i patti: fornitori hanno incassato 40%, banca tot 100k (83%), privilegiati 100%.
    • Il tribunale dichiara eseguito il concordato minore e chiude la procedura. Mario è libero dal restante 60% di debiti fornitori e dal residuo 17% con banca, che vengono cancellati. L’azienda ha retto e ora può proseguire la sua attività senza più arretrati strangolanti.

Considerazioni: questo caso mostra un concordato minore in continuità riuscito. L’agricoltore ha dovuto sacrificare un cespite (un terreno) e far entrare risorse fresche (il familiare investitore), ma ha salvato l’azienda e la fonte di reddito. I creditori hanno accettato una decurtazione perché era la soluzione più vantaggiosa rispetto al fallimento. Tutti escono relativamente soddisfatti: la banca recupera la maggior parte, i fornitori almeno una parte e mantengono il cliente, i lavoratori sono tutelati. Mario e la moglie hanno mantenuto il lavoro e, se necessario, potranno anche valutare di ricomprare un terreno in futuro ora che sono più solvibili.

Caso 2: Liquidazione controllata di un’impresa vinicola e esdebitazione del titolare

Scenario: L’Azienda Vinicola Bianchi (ditta individuale) produce vino ma ha subito 3 anni di cattive vendemmie e la perdita di mercati esteri. Ora è insolvente con:

  • Debiti bancari: €300.000 (mutui e scoperti di cantina) garantiti in parte da ipoteche su vigneti.
  • Debiti verso fornitori di bottiglie, tappi, ecc.: €100.000.
  • Debiti verso Erario: €50.000 (IVA, accise vino, contributi dipendenti).
  • Debiti verso dipendenti e viticoltori terzisti: €40.000.
  • Totale ≈ €490.000.

Attivo:

  • 5 ettari di vigneto di proprietà, valutati €200.000 (ipoteca banca su questi).
  • Cantina e macchinari: valutati €80.000.
  • Giacenze di vino: modeste, annata scarsa, forse €20.000.
  • Cassa quasi zero.
  • L’attività al momento è ferma, i dipendenti licenziati o dimessi, il titolare ha 60 anni e poca voglia/energie per rilanciare.

Problema: L’impresa è di fatto decotta, non c’è piano di continuità credibile. Nessuno investirebbe per il rilancio. I creditori (banca e alcuni fornitori) hanno già avviato decreti ingiuntivi. Il titolare teme pignoramenti sui vigneti e aste disordinate.

Soluzione: Il titolare presenta istanza per aprire la liquidazione controllata del proprio patrimonio:

  • Con l’assistenza OCC, deposita documenti. Stato di insolvenza chiaro.
  • Il tribunale apre la liquidazione. Nomina un liquidatore.
  • Effetti: tutte le esecuzioni in corso (banca stava pignorando i vigneti) si fermano e confluiscono nella procedura.
  • Il liquidatore stima i vigneti: effettua una vendita tramite procedura competitiva. Realizza, poniamo, €180.000 netti (non sempre si ottiene il valore pieno).
  • La banca ha ipoteca, quindi prende quell’incasso di 180k (detratte le spese). Rimane con €120k di credito insoddisfatto.
  • Cantina e macchinari vengono venduti a un’altra azienda vitivinicola locale per €50.000.
  • Le giacenze di vino vendute all’asta per €15.000.
  • Quindi attivo totale realizzato ≈ €245.000.
  • Ordine di distribuzione:
    • Il liquidatore innanzitutto mette da parte spese procedura e suo compenso, ipotizziamo €20.000 (prededuzione).
    • Debiti verso dipendenti (€40k) e eventualmente viticoltori con privilegio agricolo: vengono pagati per primi sul ricavato mobili e in parte immobili. Diciamo pagati 100% (€40k dal totale).
    • Debiti fiscali privilegiati (€50k) hanno prelazione sul mobiliare: con €50k di attivo mobiliare (50k cantina+15k vino = 65k, dopo spese 45k restanti), riescono forse a prendere circa 45k (cioè il 90%).
    • La banca ha preso i €180k da ipoteca su immobili.
    • I fornitori chirografari (€100k) ricevono solo ciò che avanza: dall’attivo residuo mobili dopo privilegi restavano zero; dagli immobili dopo ipoteca banca anche niente. Quindi prendono 0%.
  • Chiusa la liquidazione in ~18 mesi (tra vendite e riparti).
  • Il titolare, persona fisica, rimane formalmente con ancora debiti (banca 120k residuo, Fisco 5k residuo, fornitori 100k).
  • Chiede l’esdebitazione (art. 280 CCII): il tribunale verifica che:
    • ha cooperato (ha consegnato chiavi cantina, documenti, etc. senza nascondere nulla),
    • non ha atti in frode (non risultano vendite sospette pre-procedura, se ce ne fossero state sarebbero state revocate eventualmente),
    • non ha subito condanne per reati gravi,
    • non ha già avuta esdebitazione negli ultimi 5 anni.
  • Il tribunale approva l’esdebitazione. Quindi Bianchi è liberato dai circa €125.000 rimasti di debiti verso banca e Fisco e dai €100.000 verso fornitori.
  • I creditori chirografari e la banca per la parte ipotecaria scoperta non possono più nulla contro Bianchi (la banca eventualmente potrà dedurre fiscalmente la perdita).
  • Bianchi perde ovviamente la proprietà dei vigneti e della cantina (che sono stati venduti), ma magari è rimasto con la casa di abitazione se era personale e non ipotecata (la casa di abitazione potrebbe essere stata venduta se stava sul terreno ipotecato; in tal caso avrà affittato altrove).
  • Tempi totali: in circa 2 anni dal ricorso Bianchi è senza beni ma anche senza debiti, con la possibilità di ricominciare da zero se vuole (magari come consulente enologo, o in pensione).

Considerazioni: Questo caso evidenzia la liquidazione come via obbligata quando la continuità non è un’opzione. I creditori privilegiati (banca, lavoratori, fisco) ottengono qualcosa (non tutto), i chirografari zero – che probabilmente sarebbe stato lo stesso in un fallimento. Il vantaggio per Bianchi è l’esdebitazione che il vecchio fallimento non garantiva automaticamente (bisognava fare istanza di esdebitazione dopo 3 anni dalla chiusura, con esito incerto). Ora invece è parte integrante. L’effetto positivo sociale è che Bianchi non resta indebitato a vita: potrà, ad esempio, lavorare come dipendente in un’altra azienda agricola senza che il suo stipendio sia pignorato da questi vecchi creditori. Il “prezzo” è aver dovuto liquidare tutto, ma in situazione disperata era inevitabile comunque.

Caso 3: Piccolo agricoltore incapiente e debitore incolpevole

Scenario: Luigi è un coltivatore diretto di 55 anni. Coltivava due ettari in affitto, ma a causa di una grave malattia non ha potuto lavorare per anni e ha dovuto chiudere l’attività. Ora vive con una modesta pensione di invalidità e un lavoretto part-time, reddito totale €800 al mese. Durante la malattia, i debiti si sono accumulati:

  • €15.000 di affitti arretrati dovuti al proprietario del terreno (che ha risolto il contratto).
  • €10.000 di debiti verso fornitori di concimi e attrezzi.
  • €8.000 di contributi previdenziali non pagati (Gestione agricola INPS).
  • €5.000 di prestito personale con una finanziaria.
  • Totale ≈ €38.000.

Attivo:

  • Praticamente nulla: nessun immobile, vive in casa in affitto con la sorella.
  • Qualche attrezzatura arrugginita del valore di poche centinaia di euro.
  • Nessun risparmio.
  • Nessun veicolo (aveva un vecchio trattore venduto per pagare cure).
  • Insomma, Luigi è nullatenente.

I creditori lo stanno inseguendo (INPS per contributi, finanziaria con decreto ingiuntivo, il proprietario minaccia azione legale). Ma Luigi oggettivamente non ha nulla da dare. Tutto il suo reddito serve a malapena a vivere (paga metà bollette con la sorella, ecc.).

Soluzione: Luigi, informato da un CAF, ricorre alla esdebitazione del debitore incapiente:

  • Presenta al Tribunale un’istanza ex art. 283 CCII. In allegato porta: certificato di residenza (per competenza), ISEE che attesta reddito bassissimo, documentazione medica sulla malattia, elenco dei debiti con i relativi creditori, una dichiarazione di non possedere beni (magari si fa aiutare da un OCC per dare maggior peso all’istanza).
  • Il tribunale nomina un OCC per verificare: l’OCC conferma che Luigi non ha immobili (visure catastali nulle), non ha auto (PRA nulla), conto in banca quasi vuoto, e che la sua malattia ha causato l’insolvenza.
  • Si tiene un’udienza: i creditori vengono avvisati. L’INPS partecipa e, constatato che non potrà comunque riscuotere, non si oppone. La finanziaria neppure (hanno già classificato a perdita quel prestito forse).
  • Il giudice rileva che Luigi è meritevole: si è indebitato per circostanze sfortunate, non per colpa grave, e non ha nascosto nulla (ha venduto il trattore ma per curarsi, non per frodare). Non ci sono atti in frode o spese voluttuarie.
  • Emana quindi un decreto che cancella tutti i suoi debiti ai sensi dell’art. 283.
  • Luigi diventa libero dai €38.000 di debiti.
  • Condizione: il giudice inserisce la clausola di legge che se Luigi entro 4 anni “dovesse acquisire risorse rilevanti” deve informare e pagare i creditori fino concorrenza. Luigi realisticamente non prevede eredità o altro, ma se ad esempio tra due anni vincesse un risarcimento per malpractice medica di €10.000, dovrebbe destinarlo ai vecchi creditori (proporzionalmente).
  • Trascorsi 4 anni senza novità, l’esdebitazione diverrà definitiva.

Considerazioni: Luigi con questa procedura evita anche di dover subire magari un’ingiunzione e pignoramento presso terzi sulla pensione (avrebbe potuto accadere). Vive con serenità quel poco che ha. I creditori ovviamente non recuperano nulla – ma tale sarebbe stata la situazione comunque (non c’è nulla). Lo Stato rinuncia a contributi? Erano inesigibili comunque. Questa procedura semplicemente formalizza l’inesigibilità e dà pace legale a Luigi. Il beneficio sociale è evitare l’esclusione: Luigi potrà cercare di migliorare la sua condizione senza avere paura che qualunque entrata gli venga portata via.

Caso 4: Composizione negoziata e concordato semplificato

Scenario: La Società Agricola “VerdeCampo” S.r.l. (società di persone giuridica, coltivazione ortaggi IV gamma) è in difficoltà finanziaria, ma i soci vogliono salvarla. Ha debiti per €800.000, attivo buono (terreni di proprietà e capannone). Potrebbe interessare a un investitore del settore. Decidono di attivare la composizione negoziata:

  • Viene nominato un esperto, che valuta il piano di risanamento. Si individuano possibili acquirenti o partner.
  • Si scopre però che il passivo era sottostimato: spunta un grosso debito fiscale non dilazionabile. Le banche non vogliono allungare i fidi.
  • Dopo 3 mesi di trattative, non si è trovato accordo. Nessun investitore vuole prendersi i troppi debiti, al più sarebbe interessato ad acquistare gli immobili a prezzo di saldo.
  • L’esperto conclude che la sola via è liquidare l’azienda, però sarebbe utile farlo in modo ordinato con la protezione concorsuale per evitare aggressioni singole.

A questo punto, la società (imprenditore agricolo sopra soglia, ma non fallibile per natura agricola) non può chiedere il concordato preventivo, e con i tempi stretti preferisce evitare il concordato minore ordinario (che richiederebbe voto creditori etc.). Approfitta della norma speciale post-negoziazione:

  • Propone un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII).
  • Il piano: vendere tutti i terreni e i cespiti a mercato, incassare e distribuire secondo legge ai creditori. Dal piano risulta che i creditori avrebbero un soddisfo stimato del 40% ciascuno (meglio di quanto otterrebbero se i terreni fossero venduti in un’esecuzione forzata singola).
  • Non c’è voto dei creditori, viene presentato il ricorso direttamente al tribunale.
  • Alcuni creditori fanno opposizione (uno fornitori contesta che potrebbe prendere di più se vendesse lui i beni, ma non prova concretamente un valore maggiore).
  • Il tribunale, esaminate le relazioni dell’esperto (che certifica che l’offerta in piano è il massimo ottenibile) e valutate le opposizioni, omologa il concordato semplificato.
  • Segue la fase di liquidazione: un liquidatore nominato dal tribunale vende i beni come da piano, raccoglie le somme e paga i creditori secondo le priorità.
  • La società VerdeCampo al termine verrà cancellata. I soci (che non hanno garanzie personali) non dovranno nulla.
  • Tutto questo in tempi più rapidi di un concordato minore: niente assemblee, solo un’udienza di omologa.

Questo esempio dimostra un uso efficiente degli strumenti nuovi: prima provare a ristrutturare con negoziazione, se non va, allora atterraggio morbido in un concordato semplificato (che è concorsuale ma rapido). I creditori vedono protetti i loro interessi (controllo del giudice che prendano almeno il valore di liquidazione). Si evita magari il rischio di una liquidazione controllata frammentaria su iniziativa tardiva.

Va precisato: essendo VerdeCampo una S.r.l. agricola, non fallibile, avrebbe potuto anche optare direttamente per liquidazione controllata. Ma il concordato semplificato le consente di gestire la vendita con un proprio piano e mantenerne un po’ il controllo (ad esempio scegliere a chi vendere l’azienda se c’è un acquirente preferenziale), oltre che avere un immediato esito concorsuale derivato dalla negoziazione.


Questi casi evidenziano le varie sfaccettature:

  • Il caso 1 rispecchia situazioni come quelle risolte ad esempio nel Tribunale di Matera 2025, dove un’azienda agricola coniugale ha proseguito grazie al concordato minore.
  • Il caso 2 è simile a tante liquidazioni agrarie (pensiamo anche a cooperative agricole dissestate che finiscono per liquidare e i soci chiedono esdebitazione).
  • Il caso 3 riflette lo spirito della norma sull’incapiente: in passato persone come Luigi rimanevano eternamente oppresse dai debiti o costrette al lavoro nero; ora possono emergere alla legalità con un colpo di spugna sui debiti, come riconosciuto anche dalla dottrina come un vero “fresh start”.
  • Il caso 4 mostra la sinergia tra negoziazione e procedure concorsuali, come voluto dal legislatore per offrire una gamma completa di strumenti.

Fonti normative e giurisprudenziali

Di seguito elenchiamo le principali fonti utilizzate e di riferimento per l’argomento trattato, con indicazione di atti normativi, siti ufficiali e pronunce giurisprudenziali rilevanti:

Normativa primaria:

  1. D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), pubblicato in GU n.38 del 14/02/2019. In particolare, Parte Prima Titolo IV Capo II (Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento), come modificato dai successivi correttivi.
  2. D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147Correttivo al CCII 2020, che ha integrato e modificato varie disposizioni del codice.
  3. D.L. 24 agosto 2021, n. 118, conv. in L. 21 ottobre 2021, n. 147 – Introduzione della Composizione negoziata della crisi, con misure riguardanti anche l’imprenditore agricolo (art. 17 D.L. 118/2021 equiparazione imprese sotto soglia e agricole).
  4. D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Adeguamento del CCII alla direttiva UE 2019/1023 (Insolvency), con novità su transazione fiscale, esdebitazione, allerta.
  5. D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136Correttivo ter 2024, in vigore da fine 2024, che ha inciso su definizioni (art. 2 CCII, nozione di consumatore), estensione regola anno cessazione alle liquidazioni, procedure familiari e ruolo OCC.

Normativa previgente di riferimento storico:
6. Legge 27 gennaio 2012, n. 3Legge sul sovraindebitamento (salva suicidi), ora abrogata ma utile per interpretazione storica di concetti (meritevolezza, struttura accordi).
7. Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267Legge Fallimentare (art. 1 esenzione imprenditore agricolo), abrogata dal CCII il 15/07/2022.
8. Codice Civile, art. 2135 – definizione di imprenditore agricolo (coltivazione, silvicoltura, allevamento e attività connesse).
9. Decreto Ministeriale 24 settembre 2014, n. 202 – Regolamento requisiti di iscrizione OCC, con criteri su nomine e compensi (applicabile per parametri su compensi OCC).
10. Legge 19 ottobre 2017, n. 155 – Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi e dell’insolvenza (legge delega base del CCII).

Giurisprudenza di legittimità:
11. Cass., Sez. Un., 22 marzo 2018, n. 6827 – (precedente importante su esonero imprenditore agricolo, antecedente CCII).
12. Cass., Sez. I, 28 novembre 2023, n. 32977 – Storico-sistematica su non fallibilità imprenditore agricolo e evoluzione normativa.
13. Cass., Sez. I, 26 luglio 2023, n. 22699 – Principio su imprenditore (anche agricolo) cessato da oltre un anno: inaccessibilità concordato semplificato e procedure concorsuali, conferma orientamento storico.
14. Cass., Sez. I, 18 febbraio 2021, n. 4270 – Sovraindebitamento L.3/2012: falcidia dei crediti privilegiati generali ammessa purché soddisfazione ≥ scenario liquidatorio (orientamento poi recepito dal CCII).
15. Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 26988 – Principio generale sulla falcidiabilità dell’IVA nelle procedure concorsuali, in linea con CGUE 2016 (ha superato il precedente divieto assoluto).
16. Corte Costituzionale 13 dicembre 2019, n. 245 – Pronuncia sulla falcidiabilità IVA nel sovraindebitamento (dichiarò inammissibile la questione grazie al sopravvenuto mutamento normativo e giurisprudenziale).
17. Cass., Sez. VI-1, 7 febbraio 2023, n. 3606 – (Sezione VI, ha trattato forse temi procedurali OCC, da citare se rilevante).
(altre pronunce di legittimità rilevanti citate nei testi: Cass. 1869/2016 su società agricole; Cass. 9087/2018 su atti in frode e meritevolezza; Cass. 17191/2021 su esdebitazione e condotte)*

Giurisprudenza di merito:
18. Tribunale di Matera, 11 marzo 2025 – Decreto di ammissione concordato minore a imprenditore agricolo sopra soglia (coniuge co-debitore), con affermazione art.74 CCII consente agricolo indipendentemente da limiti dimensionali.
19. Tribunale di Messina, 19 febbraio 2022 – (precedente richiamato da Matera, stesso principio per agricoli sopra soglia).
20. Tribunale di Bari, 15 febbraio 2024 – Ha negato l’accesso alla ristrutturazione ex art.67 CCII a imprenditore cessato con debiti d’impresa (segue Cass. 22699/23).
21. Corte d’Appello di Torino, 12 marzo 2024 – Conferma impossibilità concordato minore o piano consumatore per imprenditore individuale cancellato con debiti d’impresa (in linea con Cass. 22699).
22. Tribunale di La Spezia, 5 giugno 2024 – (Caso citato: ammise imprenditore individuale cessato al piano del consumatore con debiti in parte d’impresa – orientamento minoritario).
23. Corte d’Appello de L’Aquila, 11 ottobre 2023 – Ammise ristrutturazione ex art.67 CCII per debiti misti (contrasto con Cass. poi superato).
24. Tribunale di Genova, 29 settembre 2023 – (menzionato nel decreto Matera per aver osservato che nel concordato minore non serve meritevolezza in quanto supplisce il voto creditori – rif. in motivazione Matera).
25. Tribunale di Verona, 10 febbraio 2021 – Ordinanza di rimessione a Corte Costituzionale su falcidiabilità IVA nelle procedure da sovraindebitamento (che portò a Corte Cost. 245/2019).
26. Tribunale di Mantova, 11 ottobre 2023 – (menzionato in IlCaso art. 2146: adesione a Cass. 22699, no accesso piano consumatore per ex imprenditore).
(ulteriori: Trib. Milano 20.10.2023, Trib. Forlì 5.2.2024 anch’essi allineati sul punto consumatore)*

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