Hai ricevuto una lettera di recupero crediti per un vecchio debito risalente a 5, 10, 15 o addirittura 20 anni fa? Ti chiedi se sei ancora obbligato a pagare, o se dopo tutto questo tempo il credito si è prescritto e puoi difenderti legalmente?
In molti casi, le società di recupero tentano di incassare vecchi debiti ormai prescritti, facendo leva sulla paura e la disinformazione. Ma la legge ti tutela, e se il credito è davvero scaduto, può essere annullato. È fondamentale però agire con consapevolezza e non commettere errori che possono far “rivivere” un debito morto.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in prescrizione dei debiti, opposizione a recupero crediti e tutela del consumatore – ti spiega cosa può succedere dopo tanti anni, quando un debito è prescritto, e come difenderti dalle richieste illegittime.
Hai ricevuto una richiesta di pagamento per un debito vecchio di 5, 10 o più anni?
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Introduzione
Recuperare un credito dopo molti anni dalla sua origine può presentare sfide giuridiche significative. In Italia, il diritto civile stabilisce precisi termini di prescrizione entro i quali un creditore deve far valere i propri diritti, pena l’estinzione del credito stesso. Allo stesso tempo, il debitore può difendersi invocando il decorso del tempo o altri strumenti di tutela. Questa guida, aggiornata a maggio 2025, offre un’analisi approfondita del recupero crediti a distanza di 5, 10, 15 o persino 20 anni, nell’ambito esclusivo del diritto civile italiano e per crediti tra privati o tra imprese (sono escluse quindi materie tributarie o crediti verso la Pubblica Amministrazione).
Verranno citate le principali fonti normative aggiornate, incluse le norme del Codice Civile e del Codice di Procedura Civile, nonché la più recente giurisprudenza (sentenze della Corte di Cassazione e dei tribunali) fino al 2024-2025. Approfondiremo i concetti di prescrizione, decadenza e interruzione, applicandoli alle varie tipologie di crediti (di natura contrattuale, extracontrattuale, titoli di credito come cambiali e assegni, forniture commerciali, canoni di locazione, ecc.).
Vedremo inoltre nel dettaglio le strategie processuali del creditore – dalla lettera di messa in mora al ricorso per decreto ingiuntivo, fino al precetto e all’esecuzione forzata – e le principali difese del debitore, come l’eccezione di prescrizione, l’inesigibilità del credito, la contestazione di nullità o i vizi formali degli atti. La guida include esempi pratici con simulazioni di casi reali risolti e commentati, oltre a tabelle riepilogative dei termini e delle procedure, per facilitare la comprensione. Una sezione finale fornirà risposte concise alle domande frequenti (FAQ) e un elenco di tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate nel testo.
In sintesi: se un creditore si fa vivo dopo 5, 10, 15 o 20 anni per chiedere un pagamento, cosa può fare legalmente? E come può il debitore difendersi? Proseguendo nella lettura, si otterrà una panoramica completa e aggiornata di questo delicato tema, in modo da affrontare con cognizione di causa qualsiasi situazione di recupero crediti “tardivo”.
Prescrizione e decadenza: concetti generali
Nel diritto civile italiano il tempo che passa può avere effetti determinanti sui diritti. Due istituti fondamentali regolano l’incidenza del tempo: la prescrizione e la decadenza. Pur avendo in comune il fatto di collegare alla trascorrere di un certo periodo l’indebolimento o la perdita di un diritto, essi presentano differenze sostanziali che è importante comprendere sin dall’inizio.
La prescrizione: estinzione del diritto per inerzia
La prescrizione è il meccanismo generale in base al quale un diritto si estingue se il titolare non lo esercita entro un determinato tempo stabilito dalla legge. Il Codice Civile dispone infatti che “ogni diritto del quale non si fa uso per il tempo determinato dalla legge si estingue per prescrizione”. In altre parole, la prescrizione punisce l’inerzia del creditore: se costui resta inattivo oltre il termine previsto, perde la possibilità di pretendere quanto gli spetterebbe. Ad esempio, un creditore che non agisce per anni potrebbe vedere il proprio credito prescritto e divenuto non più esigibile in sede giudiziale.
Caratteristiche chiave della prescrizione: la prescrizione si fonda su esigenze di certezza dei rapporti giuridici e di ordine pubblico, pertanto le norme che la regolano sono inderogabili. Ciò significa che le parti non possono convenire di allungare o accorciare i termini prescrizionali previsti dalla legge: ogni patto in tal senso è nullo. Inoltre la prescrizione opera solo su diritti disponibili: alcuni diritti fondamentali (come la proprietà) non si prescrivono mai, e per altri esistono regole particolari.
Importante è ricordare che la prescrizione non opera automaticamente per iniziativa del giudice, ma dev’essere eccepita dalla parte interessata (generalmente il debitore). Il giudice, infatti, non può dichiarare d’ufficio prescritta una pretesa se la parte debitrice non solleva la relativa eccezione nel corso del giudizio. Questo principio deriva dall’art. 2938 c.c., a tutela del contraddittorio tra le parti. In sede civile ordinaria, quindi, un debito prescritto può paradossalmente essere ancora posto a fondamento di una sentenza di condanna se il debitore, per ignoranza o errore, non eccepisce la prescrizione: il silenzio del debitore equivale a rinuncia tacita alla protezione offerta dalla prescrizione.
Quando inizia a decorrere il termine di prescrizione? L’art. 2935 c.c. stabilisce che il tempo comincia a decorrere “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. Ciò significa che occorre individuare il momento in cui il credito è esigibile: ad esempio, per una somma dovuta a termine (pagabile dal 1° gennaio di un certo anno) la prescrizione decorre da quella data; per un risarcimento del danno da fatto illecito decorre dal giorno dell’evento dannoso o da quando il danneggiato ne ha avuto conoscenza effettiva, secondo la giurisprudenza. In alcuni casi particolari, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che la prescrizione dei danni extracontrattuali (es. un danno da prodotto difettoso, o un sinistro) inizia quando il danneggiato ha piena consapevolezza sia dell’entità del danno sia della sua riconducibilità a un fatto o a un soggetto: ciò può differire dal giorno dell’evento se il danno si manifesta o viene scoperto solo dopo (ad es. danni alla salute scoperti anni dopo l’esposizione a una sostanza nociva).
La decadenza: perdita della possibilità di esercitare un diritto
Accanto alla prescrizione, l’ordinamento prevede la decadenza, istituto in parte simile ma distinto. La decadenza consiste nella perdita di un diritto (o più propriamente, della possibilità di esercitarlo) se non lo si esercita entro un termine perentorio, che può essere stabilito dalla legge o dalle parti. A differenza della prescrizione, infatti, la decadenza può derivare anche da un accordo privato: le parti possono fissare contrattualmente un termine entro cui compiere una certa azione o far valere un diritto, decorso il quale si perde la facoltà di agire. Un esempio classico è la clausola contrattuale che impone di denunciare eventuali vizi della merce entro, ad esempio, 30 giorni dalla consegna, pena la decadenza da ogni contestazione.
Differenze chiave rispetto alla prescrizione:
- Fonte e natura del termine: la prescrizione ha sempre fonte legale e risponde a un interesse generale (l’ordine pubblico, la certezza del diritto), mentre la decadenza può essere prevista dalla legge o da un accordo e spesso tutela interessi specifici (ad es. rapidità nelle controversie di lavoro, stabilità delle situazioni negoziali).
- Operatività: la decadenza opera automaticamente una volta trascorso il termine, indipendentemente da eccezioni di parte. In molti casi il giudice può rilevare d’ufficio la decadenza (specie se prevista per legge a tutela di interessi pubblicistici), a differenza della prescrizione che richiede l’eccezione del debitore.
- Interruzione e sospensione: mentre la prescrizione può essere interrotta o sospesa da determinati atti o eventi (come vedremo a breve), la decadenza non è soggetta a interruzione né a sospensione, salvo eccezioni espressamente previste. L’art. 2964 c.c. recita infatti che “le norme relative alla sospensione e all’interruzione della prescrizione non si applicano alle decadenze”, a meno che la legge disponga diversamente per casi particolari. Questo significa che, in caso di decadenza, l’unico modo per evitarla è compiere l’atto richiesto entro il termine stabilito. Ad esempio, se la legge prevede che un’opposizione a decreto ingiuntivo va proposta entro 40 giorni dalla notifica (si tratta di un termine di decadenza processuale), l’opponente che lasci passare quel periodo non potrà più esercitare il diritto di opposizione, senza possibilità di “ripristinare” il termine.
- Effetto sul diritto: la prescrizione incide su un diritto già esistente, provocandone l’estinzione; la decadenza spesso riguarda il mancato acquisto o consolidamento di un diritto (si perde la possibilità di farlo valere in giudizio). In dottrina si suole dire che “nella prescrizione si adegua una situazione di fatto a una situazione di diritto, mentre nella decadenza si impedisce la nascita o l’esercizio di un diritto”. Ad esempio, se un coerede non esercita entro 10 anni il diritto di chiedere la riduzione di una disposizione testamentaria lesiva (termine di decadenza), perde definitivamente quel potere: il diritto non è mai divenuto concreto per lui.
Riassumendo, prescrizione e decadenza sono strumenti diversi: la prima presuppone un diritto inattivo che si estingue dopo un certo tempo (ma che il giudice considera solo su impulso del debitore), la seconda prevede un termine perentorio per l’esercizio di un diritto o di un’azione, scaduto il quale ogni ritardo è fatale e il giudice ne tiene conto anche d’ufficio in molti casi. In ambito di recupero crediti, la prescrizione sarà centrale (pensiamo al tempo per richiedere un pagamento), mentre la decadenza emergerà soprattutto in termini processuali (ad es. termini per notificare un atto o per proporre opposizione). Entrambi gli istituti saranno approfonditi nelle sezioni seguenti.
Interruzione e sospensione della prescrizione
Prima di entrare nel merito dei singoli termini di prescrizione per le varie tipologie di crediti, è fondamentale capire due meccanismi che possono incidere sul decorso del tempo: l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Interruzione: Quando si verifica un atto o fatto interruttivo, il conto del tempo ai fini della prescrizione ricomincia da zero. In base all’art. 2945 c.c., a seguito di un’interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione di durata identica a quella originaria. L’interruzione può avvenire in due modi principali:
- Per iniziativa del creditore: attraverso un atto formale con cui il creditore manifesta la volontà di far valere il proprio diritto. L’art. 2943 c.c. elenca tra gli atti interruttivi “la notificazione di un atto con cui si inizia un giudizio” (es: citazione, ricorso per decreto ingiuntivo) oppure “ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore”. Tipicamente, la lettera di messa in mora (raccomandata AR o PEC) rientra in questa seconda categoria: si tratta di una richiesta formale di adempimento, ai sensi dell’art. 1219 c.c., che oltre a mettere il debitore in mora produce l’effetto di interrompere la prescrizione. Anche l’atto di precetto (ingiunzione di pagamento notificata prima dell’esecuzione) costituisce atto interruttivo. È fondamentale però che questi atti giungano a conoscenza legale del debitore: ciò significa che, se spediti, devono essere correttamente notificati o comunque ricevuti dal debitore (vedremo a breve cosa accade in caso di notifica nulla o inefficace).
- Per effetto del comportamento del debitore: ad esempio tramite un riconoscimento del debito. L’art. 2944 c.c. prevede che “il riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere” interrompe la prescrizione. Un classico caso è il pagamento di una rata o di una somma a conto da parte del debitore: effettuando un pagamento parziale, il debitore implicitamente riconosce l’esistenza del debito residuo, e ciò fa ripartire il termine di prescrizione da capo. Anche un riconoscimento scritto (ad esempio una mail o lettera in cui il debitore ammette il debito o chiede tempo per pagare) ha lo stesso effetto.
L’effetto dell’interruzione è istantaneo e “riportante a zero”: se ad esempio un credito si prescrive in 10 anni e il creditore invia una diffida di pagamento al 9° anno, la prescrizione si interrompe e dal giorno della ricezione della diffida decorre un nuovo termine decennale (dunque il creditore guadagna altri 10 anni). Non è previsto che il residuo termine si sommi o altro: il conteggio riparte per intero. Ecco perché la legge incoraggia i creditori a non restare inerti troppo a lungo e ad intraprendere atti interruttivi tempestivi.
Sospensione: La sospensione è diversa dall’interruzione: in caso di sospensione, il tempo si ferma temporaneamente (per un periodo in cui la legge “congela” il decorso), per poi riprendere a decorrere dal punto in cui era rimasto. Le cause di sospensione sono tassative e di stretta interpretazione: ad esempio, la prescrizione è sospesa tra coniugi durante il matrimonio per i diritti che uno ha verso l’altro, oppure tra genitori e figli finché dura la potestà genitoriale, o ancora per i militari in servizio in tempo di guerra (art. 2941 c.c.). Si tratta di situazioni in cui il legislatore presume che il titolare del diritto sia impedito o riluttante a far valere i propri diritti (per via del vincolo familiare, o di impedimenti oggettivi come la guerra). Durante la sospensione, il “cronometro” del tempo non corre; una volta cessata la causa di sospensione, il tempo riprende da dove si era interrotto. È però bene ribadire: sospensioni e interruzioni non si applicano alle decadenze, salvo eccezioni, quindi queste considerazioni valgono solo per i termini prescrizionali.
Atti nulli o inefficaci: un punto cruciale, evidenziato anche dalla recente giurisprudenza, è che l’effetto interruttivo richiede che l’atto sia validamente portato a conoscenza del debitore. Se ad esempio il creditore inizia una causa ma la notifica dell’atto introduttivo al debitore risulta nulla o inesistente, tale atto non interrompe la prescrizione. La Cassazione ha chiarito che “l’effetto interruttivo della prescrizione esige, per prodursi, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell’atto”. La “conoscenza legale” significa una notifica valida secondo la legge (anche se il debitore non ne ha letto personalmente il contenuto); se la notifica è affetta da nullità e non viene rinnovata correttamente, l’atto non produce interruzione. Su questo punto, data la sua importanza pratica, torneremo quando parleremo di casi di decreti ingiuntivi notificati oltre i termini o in modo viziato.
In sintesi, il creditore ha a disposizione strumenti per interrompere il decorso della prescrizione (e così evitare che il suo credito cada in prescrizione), ma deve usarli correttamente e tempestivamente. Il debitore, dal canto suo, se riceve un atto interruttivo valido (come una diffida, un precetto, una citazione) non può ignorarlo sperando che il tempo passi: da quel momento il conteggio riparte e dovrà attendere un nuovo periodo (ad es. altri 5 o 10 anni) prima di poter eccepire la prescrizione, sempre che nel frattempo il creditore non compia altri atti interruttivi.
Nei prossimi paragrafi analizzeremo i singoli termini di prescrizione previsti per le varie tipologie di credito, nonché i principali termini di decadenza procedurale che interessano il recupero crediti (come i termini per notificare atti o proporre opposizioni).
Termini di prescrizione dei principali crediti in Italia
La legge italiana prevede diversi termini di prescrizione a seconda della natura del diritto di credito. Il termine prescrizionale determina dopo quanti anni un credito non più esercitato si estingue. Di seguito passeremo in rassegna i termini applicabili alle situazioni più comuni in ambito civile e commerciale, distinguendo tra crediti ordinari (di natura contrattuale), crediti particolari (come quelli da fatto illecito, o derivanti da titoli di credito) e crediti soggetti a termini brevi (come quelli periodici). In aggiunta, tratteremo recenti riforme normative – ad esempio in materia di utenze domestiche – che hanno introdotto termini di prescrizione più brevi per specifiche tipologie di crediti.
Per comodità, presentiamo innanzitutto una tabella riepilogativa dei principali termini di prescrizione previsti dal Codice Civile e da leggi speciali, cui seguiranno spiegazioni dettagliate:
Tabella 1 – Termini di prescrizione per tipo di credito (principali casi)
Tipo di credito | Termine di prescrizione | Riferimenti normativi |
---|---|---|
Credito ordinario da contratto (diritti di obbligazione non soggetti a termine speciale) | 10 anni (ordinario) dall’esigibilità del credito. | Art. 2946 c.c. (prescrizione ordinaria decennale) |
Credito da contratto di vendita tra privati o imprese (prezzo di beni o servizi, salvo periodicità) | 10 anni, salvo prova di diverso termine breve se applicabile. | Art. 2946 c.c.; eccezionalmente 1 anno se vendita al dettaglio a privati con presunzione di pagamento (prescrizione presuntiva). |
Credito derivante da illecito extracontrattuale (danno civile) | 5 anni dal giorno del fatto dannoso o dalla scoperta del danno/responsabile, nei casi di danno occulto. Se il fatto costituisce reato e per il reato è prevista prescrizione penale più lunga, si applica quest’ultima. | Art. 2947 c.c. (danni) e giurisprudenza (Cass. n. 27337/2008). |
Crediti per interessi corrispettivi o moratori, canoni di locazione e altri pagamenti periodici (es. bollette, rate, provvigioni periodiche) | 5 anni per ciascuna scadenza parziale. Ogni rata si prescrive autonomamente in cinque anni dal relativo termine di pagamento. | Art. 2948, co.1 n.4 c.c.. |
Canoni di locazione (affitti di immobili) | 5 anni per ciascun canone mensile o altro periodo pattuito. | Art. 2948, co.1 n.3 e n.4 c.c. (pigioni delle case). |
Stipendi, salari e altri crediti retributivi dei lavoratori (privati) | 5 anni per singole retribuzioni maturate. N.B.: in costanza di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la decorrenza può essere sospesa fino alla cessazione se si applica la tutela obbligatoria (questa regola complessa è frutto di interpretazione giurisprudenziale in materia di prescrizione in pendenza di rapporto). | Art. 2948, co.1 n.5 c.c. (indennità di fine lavoro); Art. 2955, n.2 c.c. (prescrizione presuntiva 1 anno per retribuzioni a cadenza < mese); Cass. SS.UU. 63/1966 e succ. |
Compensi di professionisti (avvocati, commercialisti, medici, ecc.) e notai | 3 anni (prescrizione presuntiva) dal termine della prestazione, salvo che il professionista abbia emesso parcella formale (in tal caso vale il termine ordinario 10 anni). | Art. 2956 c.c. (compensi professionali, prescrizione presuntiva triennale); Art. 2957 c.c. (decorrenza da fine prestazione). |
Credito cambiario da cambiale pagherò o tratta accettata (azione diretta)* | 3 anni dalla data di scadenza del titolo. | Regio Decreto 14/12/1933 n. 1669, art. 94 (Legge Cambiaria)**. |
Credito cambiario di regresso (azione contro giranti, traenti non accettanti, avallanti) | 1 anno dalla data del protesto o scadenza titolo; 6 mesi per azioni di regresso tra giranti. | Legge Cambiaria (R.D. 1669/1933), art. 95 e segg.**. |
Credito da assegno bancario – azione contro l’emittente (traente) | 6 mesi dalla scadenza del termine di presentazione (azione cambiaria diretta su assegno). Decorso tale termine, l’assegno non vale più come titolo esecutivo, ma resta l’eventuale azione causale sottostante (es: restituzione prestito). | Regio Decreto 21/12/1933 n. 1736, art. 75*. Cass. civ. n. 14370/2005. |
Assegno circolare – azione del beneficiario contro la banca emittente | 3 anni dalla data di emissione dell’assegno circolare. | R.D. 21/12/1933 n. 1736, art. 84; Cass. civ. n. 11387/2019. |
Credito riconosciuto da sentenza passata in giudicato (o da decreto ingiuntivo non opposto) | 10 anni dal passaggio in giudicato. Si applica il nuovo termine decennale anche se il credito originario aveva prescrizione breve. Ogni atto esecutivo valido interrompe nuovamente per 10 anni. | Art. 2953 c.c. (“actio iudicati”). Cass. ord. n. 25222/2024 (conferma applicabilità art. 2953 c.c. a cartella non opposta). |
Diritti reali su beni (proprietà, usufrutto) – per completezza | Mai, imprescrittibili (salvo usucapione a favore di terzi). | – |
Note: * In materia di cambiali e assegni si applicano leggi speciali (cosiddetta Legge Cambiaria per tratte e pagherò, e Legge Assegni per assegni bancari e circolari). Si tratta di termini di prescrizione sostanziale per le azioni cartolari dirette o di regresso. Decorso il termine cambiario, il titolo non è più azionabile come tale, ma il creditore può ancora agire in via causale (cioè facendo valere il rapporto sottostante, ad es. la vendita o il mutuo originario) se questo non è a sua volta prescritto.
** – ** La tabella non elenca ogni possibile caso speciale, ma solo i principali. Ad esempio, i crediti alimentari e alcuni diritti successori hanno termini propri. Per bollette di utenze domestiche si veda il paragrafo dedicato più avanti.
Come si evince dalla tabella, il termine ordinario per far valere un credito è di 10 anni, salvo che la legge preveda un termine più breve per casi specifici. L’art. 2946 c.c. infatti stabilisce la prescrizione decennale “salvo che la legge disponga diversamente”. Vediamo dunque i casi più rilevanti di termini brevi.
- Prescrizione quinquennale (5 anni): Molti crediti cadono in prescrizione dopo 5 anni. L’art. 2948 c.c. elenca varie categorie: le annualità di rendite perpetue o vitalizie, le pensioni alimentari, le pigioni delle case e i fitti rustici (canoni di locazione di immobili urbani e agricoli), gli interessi e tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, nonché le indennità di fine rapporto dei lavoratori. In pratica, ogni prestazione di carattere periodico (rateale o ricorrente) ha un termine di 5 anni, a tutela del debitore contro pretese che potrebbero sommarsi per troppi anni. Ad esempio, se un inquilino non paga alcune mensilità di affitto, il padrone di casa deve richiederle entro 5 anni da ciascuna scadenza, altrimenti quelle più vecchie si prescrivono; lo stesso vale per gli interessi annuali su un capitale. Anche i danni extracontrattuali si prescrivono in 5 anni (art. 2947 c.c.), a meno che non derivino da reato e la legge penale preveda un termine più lungo: in tal caso, la prescrizione civile è estesa al corrispondente termine penale (ad es., per lesioni colpose gravi da incidente stradale, il termine civile può allungarsi a 6 anni se così disposto in sede penale).
- Prescrizioni ultradecennali (oltre 10 anni): In ambito di crediti in senso stretto, la legge in realtà non prevede termini di 15 o 20 anni per l’esercizio di diritti di credito ordinari. Il riferimento ai “20 anni” attiene tipicamente ad altri istituti: ad esempio l’usucapione dei beni immobili richiede 20 anni di possesso (ma quello è acquisto di un diritto reale, non un credito), oppure la durata dell’ipoteca iscritta su un immobile è di 20 anni se non rinnovata (ma anche qui parliamo di una garanzia reale). Pertanto, un credito tra privati di per sé non ha mai una prescrizione superiore a 10 anni, salvo eccezioni come quelle viste (5 anni o termini minori per alcuni crediti). Ciò non significa però che non possano esistere situazioni di credito protratte da oltre 10-15 anni: se infatti la prescrizione viene interrotta regolarmente, un credito potrebbe restare esigibile anche a distanza di 20 o più anni dalla sua origine. Ad esempio, un creditore di un debito nel 2005 potrebbe aver ottenuto una sentenza nel 2010 (il che sposta la prescrizione al 2020 grazie all’art. 2953 c.c.), poi avere notificato un precetto nel 2018 (interrompendo di nuovo, nuova scadenza 2028), e così via. In mancanza di atti interruttivi, tuttavia, 15 o 20 anni di inerzia portano quasi sempre alla prescrizione estintiva: solo in casi eccezionali (ad es. rapporti di famiglia con sospensione, o crediti di lavoro con decorrenza differita) si può avere un decorso così lungo senza prescrizione.
- Prescrizioni presuntive brevi (1-3 anni): Il Codice Civile contiene anche le cosiddette prescrizioni presuntive, ossia termini brevi (6 mesi, 1 anno, 3 anni) dopo i quali la legge presume che certi debiti siano stati pagati. Questi non estinguono tecnicamente il diritto, ma invertendo l’onere della prova rendono molto difficile il recupero. Ad esempio, i debiti degli albergatori o ristoratori per le spese di vitto e alloggio si prescrivono in 6 mesi, quelli di insegnanti e prestatori di lavoro domestico in 1 anno, così come i crediti dei commercianti per le vendite al dettaglio a privati (art. 2955 c.c.). I compensi di avvocati, medici, notai, ecc., si prescrivono presuntivamente in 3 anni (art. 2956 c.c.). “Presuntivamente” significa che, decorsi questi termini brevi, il debitore può semplicemente dichiarare in giudizio di non ricordare se ha pagato: scatta così una presunzione legale di avvenuto pagamento, superabile solo se il creditore produce una prova scritta di non aver ricevuto il dovuto (ad es. un riconoscimento del debitore successivo al termine). Nella pratica odierna queste prescrizioni presuntive hanno meno impatto (perché pagamenti e ricevute scritte sono comuni), ma sono comunque un’arma difensiva particolare a disposizione del debitore in giudizio. Il loro ambito è limitato a casi specifici elencati negli artt. 2954–2961 c.c.
- Crediti su titoli di credito (cambiali, assegni): Come da tabella, le cambiali (pagherò e tratte accettate) seguono termini brevi stabiliti dalla legge cambiaria: 3 anni per l’azione contro l’obbligato principale (emittente del pagherò o trattario accettante) e 1 anno o 6 mesi per le azioni di regresso tra giranti. L’assegno bancario ha termini ancora più stretti: va presentato entro pochi giorni (8 o 15) e le azioni di regresso si prescrivono in 6 mesi. L’assegno circolare, garantito dalla banca, permette 3 anni di tempo contro la banca emittente. È importante ribadire che il decorso di questi termini non cancella il debito sottostante: se ad esempio una cambiale per il pagamento di una merce scade e il creditore lascia passare 5 anni, l’azione cambiaria diretta è prescritta (non può più utilizzare la cambiale come titolo esecutivo), ma il creditore potrebbe ancora citare in causa il debitore basandosi sul rapporto causale (la vendita non pagata) che ha termine di 10 anni (se non anch’esso prescritto nel frattempo). Naturalmente, perdere la possibilità di utilizzare il titolo di credito complica la posizione del creditore, perché dovrà provare il contratto originario e affrontare un giudizio ordinario.
- Utility e bollette domestiche – prescrizione ridotta a 2 anni: Una novità importante degli ultimi anni riguarda i consumi di energia elettrica, gas e acqua. Tradizionalmente anche questi rientravano tra i pagamenti periodici prescritti in 5 anni (bollette assimilate ai corrispettivi periodici ex art. 2948 c.c.). Tuttavia, a tutela dei consumatori, il legislatore è intervenuto per ridurre la prescrizione a 2 anni su tali crediti. In particolare, la legge di bilancio 2018 (L. 205/2017) e successivi provvedimenti hanno stabilito che: per le bollette della luce il termine è 2 anni (applicato ai consumi fatturati da marzo 2018 in poi); per le bollette gas 2 anni (da gennaio 2019); per le bollette dell’acqua 2 anni (da gennaio 2020). Inoltre, la legge di bilancio 2020 ha chiarito che questa prescrizione biennale opera in ogni caso, anche se il ritardo nella fatturazione fosse dipeso dall’utente (ad es. mancata lettura del contatore per impedimento dell’utente). Oggi, dunque, un utente che riceva nel 2025 una bolletta riferita a consumi del 2020 può eccepire la prescrizione biennale e rifiutare il pagamento delle somme riferite a più di 2 anni prima, e il gestore/venditore non può pretendere il saldo di quei consumi arretrati. Questa è una forma di tutela del consumatore contro maxi-conguagli tardivi. Va notato che si tratta pur sempre di prescrizione in senso tecnico (va eccepita dall’utente, anche se l’ARERA – Autorità di regolazione – impone ai gestori di informare espressamente il consumatore di tale diritto in bolletta).
Abbiamo quindi delineato il quadro dei termini di prescrizione. In sintesi: 10 anni è la regola generale; 5 anni per molte categorie importanti (danni, rate, interessi, affitti, stipendi); termini ancora minori (1-3 anni) in ipotesi particolari o come “presunzione di pagamento”; 2 anni nel caso delle utenze domestiche di luce-gas-acqua; termini cambiari molto brevi per assegni e cambiali.
Di seguito approfondiremo le implicazioni di tali termini in contesti pratici di recupero crediti dopo molti anni, considerando come il creditore può procedere e come il debitore può difendersi. Ma prima di passare alle strategie processuali, è utile chiarire anche alcuni termini di decadenza collegati alle procedure di recupero crediti, perché spesso la domanda è: “il creditore ha fatto il decreto ingiuntivo, ma lo ha notificato in ritardo, è decaduto? Il precetto è scaduto? Posso ancora oppormi?”. Affronteremo questi aspetti specifici più avanti, nelle sezioni sulla procedura e sulle difese del debitore.
Strategie e strumenti del creditore per recuperare un credito “tardivo”
Supponiamo ora di essere dalla parte del creditore che, dopo anni di silenzio, decide di attivarsi per recuperare un credito non pagato. Quali sono i passi da compiere e gli strumenti offerti dall’ordinamento? Esamineremo il percorso tipico: dalla messa in mora fino all’esecuzione forzata, evidenziando le accortezze necessarie soprattutto quando è trascorso molto tempo dalla nascita del credito.
Lettera di messa in mora e solleciti di pagamento
Il primo passo consigliabile (anche se non sempre obbligatorio) è inviare al debitore una lettera di messa in mora. La messa in mora consiste in una richiesta formale di adempimento, generalmente effettuata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o PEC (Posta Elettronica Certificata), in cui il creditore intima il pagamento entro un certo termine (es. 7 o 15 giorni) e dichiara che, in mancanza, agirà per vie legali.
Questa lettera ha diversi scopi importanti:
- Interrompere la prescrizione: come già detto, la lettera di messa in mora, se debitamente ricevuta dal debitore, interrompe il decorso della prescrizione. Ciò è cruciale soprattutto se sono trascorsi molti anni: ad esempio, se il credito stava per compiere 10 anni ed estinguersi, la diffida tempestiva prima della scadenza salva il diritto (facendo ripartire il termine da capo). Attenzione: è fondamentale poter provare la ricezione della lettera da parte del debitore. Per questo si usa la raccomandata AR (la cartolina di ritorno firmata è la prova) oppure la PEC (la ricevuta di consegna fornisce prova della consegna nella casella del destinatario). Un semplice sollecito via email ordinaria o telefono non ha valore interruttivo, perché non certificato.
- Costituire il debitore in mora ai fini degli interessi legali e risarcimento danni: L’art. 1219 c.c. dispone che dal momento della mora il debitore è tenuto agli interessi moratori (se dovuti) e al risarcimento di eventuali maggior danni. Se il credito non era già fruttifero di interessi di per sé, la costituzione in mora fa sì che da quel momento maturino gli interessi legali di mora. Questo può essere un incentivo al pagamento.
- Tentare una soluzione stragiudiziale: Spesso, specie per crediti “dimenticati” da anni, il debitore potrebbe essere incline a trovare un accordo (ad esempio una transazione a saldo e stralcio, pagando magari una parte del dovuto) una volta ricevuta la diffida, pur di evitare azioni legali. Nella lettera il creditore può manifestare apertura a discutere un piano di rientro o una riduzione dell’importo per chiudere bonariamente la vicenda.
La lettera di messa in mora dovrebbe essere redatta in modo chiaro e completo, indicando: l’ammontare del credito (principale, eventuali interessi maturati, spese sostenute), la causale (ad es. “fattura n. X del [data] per fornitura Y non pagata”), il termine ultimo concesso per pagare, le modalità di pagamento (IBAN, assegno, ecc.) e l’avvertimento che in difetto si procederà legalmente. È opportuno inviarla sempre a un indirizzo aggiornato del debitore; se il debitore è irreperibile, meglio procedere direttamente in via giudiziaria con notifica tramite pubblici registri.
Caso particolare – Debitore irreperibile: Se il debitore ha cambiato residenza e il creditore non ne è a conoscenza, la raccomandata AR tornerà indietro non consegnata. In tal caso, l’interruzione della prescrizione potrebbe non perfezionarsi (poiché manca la “conoscenza legale” dell’atto da parte del debitore). La Cassazione ha affermato che la lettera raccomandata che torna al mittente per irreperibilità del destinatario non interrompe la prescrizione, a meno che il creditore provi che il mancato recapito sia dovuto a un comportamento doloso del debitore (es: cambio di domicilio fittizio). Pertanto, se non si hanno notizie del debitore, spesso conviene agire direttamente con un procedimento giudiziario, dove la notifica potrà essere effettuata ai sensi di legge (anche per pubblici proclami se necessario, garantendo comunque efficacia legale).
Riassumendo, la messa in mora è un passaggio semplice ma fondamentale: interrompe i termini, informa il debitore e apre la porta a eventuali accordi. Dopo averla inviata (o contestualmente, se si preferisce non aspettare oltre) il creditore può passare allo strumento giudiziario più adatto per ottenere un titolo esecutivo.
Il ricorso per decreto ingiuntivo (procedura monitoria)
Per ottenere in tempi relativamente rapidi un titolo esecutivo (ossia un provvedimento del giudice che accerta il diritto di credito e consente l’esecuzione forzata) il mezzo privilegiato è il decreto ingiuntivo. Il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso dal giudice su ricorso del creditore, in assenza di contraddittorio immediato con il debitore, che ingiunge al debitore di pagare entro 40 giorni (o fare opposizione entro lo stesso termine). Vediamo i punti essenziali di questa procedura, con particolare attenzione al caso di crediti vetusti:
- Requisiti per ottenere un decreto ingiuntivo: Serve un credito certo, liquido ed esigibile (cioè non condizionato o futuribile, e determinato nel suo ammontare) e un principio di prova scritta del credito (es. contratto firmato, fattura accettata, cambiale, estratto autentico delle scritture contabili, ecc.), salvo alcuni casi particolari. Se il creditore possiede documenti che attestano il credito (un contratto, delle fatture firmate, una ricognizione di debito, etc.), il ricorso monitorio è lo strumento più veloce. In caso di crediti molto vecchi, è importante allegare anche eventuali documenti relativi alle interruzioni della prescrizione intervenute (ad es. copia di raccomandate, di email PEC, o citazioni pregresse) per dimostrare che il credito non è prescritto. Nota: Il giudice, in sede monitoria, di solito non valuta d’ufficio la prescrizione; tuttavia, se dagli atti risulta palesemente che il credito è molto risalente e non vi sono prove di atti interruttivi, qualche giudice potrebbe richiedere chiarimenti. In ogni caso, se il decreto viene emesso, il fatto che il credito fosse eventualmente prescritto può essere fatto valere solo dal debitore con opposizione (il giudice non lo rileva da solo).
- Emissione del decreto e notifica: Ottenuto il decreto ingiuntivo (spesso entro poche settimane dal deposito del ricorso, se la documentazione è sufficiente), il creditore deve notificarlo al debitore entro precisi termini di decadenza. Ai sensi dell’art. 644 c.p.c., il decreto ingiuntivo deve essere notificato al debitore entro 60 giorni dalla pronuncia (90 giorni se va notificato all’estero), altrimenti perde efficacia. Questo è un termine di decadenza per il creditore: se ci si attarda e non si notifica in tempo, il decreto diventa inefficace (come se non fosse mai stato emesso) e occorrerà ricominciare da capo. Dunque, anche per decreti ottenuti su crediti vecchi, massima attenzione a notificarli prontamente e correttamente. La notifica va fatta secondo le regole ordinarie del Codice di procedura: se il debitore risulta irreperibile o trasferito, si dovrà procedere con notifica nella forma degli irreperibili (deposito in comune e affissione, o ora anche mediante pubblicazione sull’albo online, a seconda dei casi).
- Opposizione del debitore: Una volta notificato, il decreto ingiuntivo concede al debitore 40 giorni per pagare o fare opposizione (termine perentorio ex art. 641 c.p.c.). In mancanza di opposizione entro 40 giorni, il decreto diviene definitivo e “esecutivo” (il creditore può munirlo della formula esecutiva e procedere al pignoramento). L’opposizione si propone con atto di citazione davanti al tribunale che ha emesso il decreto, e instaura un normale giudizio di merito in cui il creditore diventa attore sostanziale. Se un credito è molto vecchio, è altamente probabile che il debitore proponga opposizione eccependo la prescrizione (sempre che la ritenga effettivamente maturata). In tal caso il giudizio verterà soprattutto su questo: il giudice dovrà verificare se al momento della notifica del decreto il credito fosse prescritto oppure no (valutando eventuali atti interruttivi). Il creditore opposto dovrà quindi provare i fatti che hanno interrotto o sospeso la prescrizione; ad esempio, esibendo le ricevute delle raccomandate inviate, o dimostrando che c’è stato un riconoscimento del debito.
- Provvisoria esecutività: In alcuni casi il decreto ingiuntivo può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo dallo stesso giudice fin dall’emissione, se il credito ha determinati requisiti (credito fondato su cambiale o assegno, su atto ricevuto da notaio, oppure se c’è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, etc.). Ciò consente al creditore di procedere subito ad esecuzione senza attendere 40 giorni. Tuttavia, quando il credito è molto datato, spesso questa facoltà non si applica a meno di avere titoli cambiari. Ad esempio, un decreto ingiuntivo basato su una cambiale impagata: la cambiale stessa, se non prescritta, è titolo di per sé esecutivo e dà diritto a ingiunzione provvisoriamente esecutiva ex lege. Ma attenzione: se la cambiale è scaduta da oltre 3 anni, l’azione cambiaria è prescritta e il giudice non potrà emettere decreto esecutivo sulla base della cambiale; il creditore dovrà allora agire “in via causale” e il procedimento sarà senza provvisoria esecutività (a meno di particolari ragioni d’urgenza da motivare). In sintesi, per crediti vecchi è più frequente dover attendere l’eventuale opposizione e l’esito del giudizio.
- Spese legali e interessi: Nel decreto ingiuntivo si possono includere gli interessi maturati (di solito moratori o legali, se dovuti) e le spese legali (contributo unificato, compenso avvocato, costi di notifica). Il creditore deve però fare attenzione: se sta chiedendo interessi su molti anni, deve ricordare che anche gli interessi si prescrivono in 5 anni ciascuno. Quindi non può pretendere, ad esempio, interessi dal 2005 al 2025 tutti insieme se il capitale era liquidabile nel 2005 ma non sono mai stati richiesti: quelli anteriori a 5 anni dalla domanda sono prescritti. Il giudice non li concederà se il debitore eccepisce la prescrizione degli interessi (è un’eccezione distinta da quella sul capitale). Il creditore prudente potrebbe limitare la pretesa agli interessi quinquennali recenti, per evitare contestazioni.
Importante: il decreto ingiuntivo, pur essendo ottenuto senza contraddittorio iniziale, non aggira le eccezioni di prescrizione: semplicemente le rinvia all’eventuale fase di opposizione. Se il debitore non si oppone, tuttavia, il decreto diventa inoppugnabile anche se il credito era prescritto! Significa che il debitore, avendo lasciato decorrere i 40 giorni, non potrà più far valere la prescrizione in nessuna sede, perché il decreto ingiuntivo non opposto fa stato su quanto vi era dedotto (credito e fatti costitutivi). La Corte di Cassazione ha infatti ribadito che un decreto ingiuntivo definitivo ha efficacia di giudicato non solo sull’esistenza del credito, ma anche sul rapporto fondamentale da cui il credito deriva. Dunque un debitore che riceva un decreto ingiuntivo relativo, poniamo, a una fattura del 2010 notificato nel 2021 non può restare inerte: se ritiene che il credito sia prescritto deve fare opposizione nei termini, altrimenti perderà per sempre quella difesa. (Approfondiremo di più questo scenario dal punto di vista del debitore nella sezione sulle difese).
Riassumendo la strategia del creditore: con il decreto ingiuntivo si ottiene velocemente un titolo; occorre notificare entro 60 giorni; se il debitore non reagisce, il titolo diventa definitivo; se reagisce con opposizione, si discuterà nel merito. Per crediti di lunga data, è fondamentale prepararsi: allegare le prove di interruzione per contrastare eccezioni di prescrizione, e rispettare alla lettera i termini di procedura (un errore di notifica o un ritardo possono far perdere tempo prezioso o l’efficacia del decreto stesso).
Dalla ingiunzione all’esecuzione forzata: precetto e pignoramento
Una volta ottenuto un titolo esecutivo valido (che sia una sentenza, un decreto ingiuntivo definitivo, un verbale di accordo omologato, o una cambiale/assegno non protestati), il creditore può passare alla fase di esecuzione forzata per soddisfarsi sui beni del debitore, se questi ancora non paga volontariamente.
I passi principali in questa fase sono:
- Notifica del titolo in forma esecutiva e atto di precetto: Il precetto è l’atto con cui il creditore intima al debitore di adempiere entro un termine non minore di 10 giorni, avvertendo che in difetto si procederà a esecuzione forzata (pignoramento). Il precetto viene redatto dall’avvocato del creditore e notificato al debitore assieme (o dopo) la notifica del titolo esecutivo munito di formula. Attenzione: il precetto deve contenere una serie di indicazioni obbligatorie (dettagli del titolo su cui si fonda, parti, somme dovute con dettaglio di eventuali interessi e spese) e se manca di qualche elemento essenziale può essere dichiarato nullo su opposizione del debitore. Inoltre, ha un termine di efficacia limitato: 90 giorni dalla notifica (art. 481 c.p.c.). Ciò significa che il creditore deve attivare un pignoramento entro 90 giorni da quando ha notificato il precetto, altrimenti quel precetto “scade” e occorre notificarne uno nuovo. Questo è un termine di decadenza interna alla fase esecutiva. Nel contesto di crediti prescritti o quasi: la notifica del precetto è essa stessa un atto interruttivo della prescrizione (costituisce una intimazione formale). Quindi se anche, per ipotesi, il titolo risale a molti anni prima (es. sentenza del 2012), la notifica del precetto nel 2022 interrompe e sposta in avanti di altri 10 anni l’eventuale termine di prescrizione dell’azione esecutiva. Il creditore però deve stare attento a non far passare 10 anni dal titolo senza atti: ad esempio, se ha una sentenza del 2012 ma notifica il primo precetto nel 2023, rischia che nel frattempo (2012-2023) l’azione di esecuzione si sia prescritta perché sono passati oltre 10 anni senza alcuna intimazione. Su questo punto la Cassazione è chiara: la prescrizione dell’actio iudicati (decennale ex art. 2953 c.c.) decorre dal passaggio in giudicato e va interrotta con atti esecutivi o riconoscimenti entro i 10 anni, altrimenti anche il titolo giudiziale non è più utile. Quindi mai dormire sul titolo: va “mantenuto vivo” con precetti o altri atti almeno ogni 9-10 anni.
- Scelta del tipo di pignoramento: Trascorsi i 10 giorni (o il termine dato) senza pagamento, il creditore può procedere al pignoramento dei beni del debitore. A seconda delle informazioni disponibili sul debitore, il creditore sceglierà se pignorare beni mobili (es. autoveicoli, beni nell’abitazione), beni immobili (una casa, un terreno di proprietà del debitore) oppure crediti che il debitore vanta verso terzi (tipicamente lo stipendio presso il datore di lavoro, o il conto corrente in banca: in questi casi si parla di pignoramento presso terzi). Nel recupero di crediti datati, spesso il debitore potrebbe aver alienato o intestato altrove eventuali beni immobili; più efficaci risultano i pignoramenti di crediti (ad es. se il debitore lavora, si può pignorare una quota dello stipendio, se ha un conto bancario attivo, si possono congelare le somme depositate). Dal 2015 esiste poi la possibilità per il creditore munito di titolo di accedere a banche dati pubbliche (es. tramite ufficiale giudiziario) per rintracciare i beni del debitore: è il cosiddetto “pignoramento telematico” che consente di individuare conti correnti, stipendi, pensioni, proprietà immobiliari etc., semplificando la ricerca di risorse aggredibili.
- Esecuzione e realizzo: A seconda del tipo di bene, la procedura esecutiva avrà iter e tempistiche diverse. Per i mobili registrati (auto, moto) e per i conti correnti si agisce abbastanza rapidamente (il giudice autorizza e l’ufficiale esegue il pignoramento presso il PRA o la banca); per gli immobili la procedura è più lunga (si avvia un’esecuzione immobiliare con vendita all’asta, che può richiedere mesi o anni, specialmente se il bene non trova subito acquirenti). In ogni caso, una volta pignorato il bene, il debitore ha ancora un’ultima chance: può evitare la vendita pagando tutto (principal, interessi, spese) finché la vendita non sia avvenuta. Se invece non paga, si arriverà alla liquidazione forzata del bene pignorato e il ricavato sarà distribuito al creditore (o ripartito tra più creditori se ve ne sono).
Cosa può complicare l’esecuzione? Diversi fattori. Se il credito è molto vecchio, il debitore potrebbe essere divenuto insolvente o fallito nel frattempo (se è un’impresa, può esserci stata una procedura concorsuale); in tal caso, l’azione esecutiva individuale non è più praticabile e bisogna inserirsi nel concorso fallimentare, ove possibile. Il debitore potrebbe aver dilapidato o occultato i beni (intestati a terzi, trasferiti fuori confine): il creditore può reagire con azioni revocatorie se vi sono stati atti di disposizione in frode, ma i tempi si allungano. Oppure il debitore potrebbe opporsi all’esecuzione contestando la validità formale degli atti (precetto, pignoramento) o sostenendo di aver già pagato (magari sostiene di aver pagato anni prima in assenza di ricevute) o ancora eccependo che il titolo esecutivo è inefficace perché prescrittosi nel frattempo. Ad esempio, se un creditore attende 12 anni dopo il giudicato per iniziare l’esecuzione, il debitore con opposizione all’esecuzione potrà far dichiarare estinto il diritto a procedere coercitivamente (prescrizione decennale del titolo). Ecco perché è buona norma, per un creditore, non attendere mai troppo nemmeno dopo aver ottenuto un titolo: il titolo non è “per sempre” ma anch’esso soggetto a prescrizione.
Precetto scaduto e rinnovazione: Abbiamo detto che se il pignoramento non segue entro 90 giorni, il precetto perde efficacia. Ciò non pregiudica definitivamente l’esecuzione: il creditore potrà notificare un nuovo precetto (eventualmente aggiornando gli interessi maturati nel frattempo) e ritentare nei 90 giorni successivi. Non vi sono limiti di legge al numero di precetti rinnovabili, salva la possibile eccezione di abuso se se ne notificano troppi in tempi ravvicinati senza mai procedere (il giudice potrebbe ritenere vessatorio il comportamento verso il debitore). Ogni precetto, come detto, interrompe comunque la prescrizione, quindi rinnovare precetti tiene vivo il diritto.
Sintesi operativa lato creditore: Per recuperare un credito dopo molti anni, il creditore deve agire con determinazione e precisione: prima inviare una messa in mora (interruttiva, ed eventualmente avviare un dialogo per soluzione bonaria), poi ottenere un decreto ingiuntivo o altro titolo esecutivo, quindi notificare tempestivamente il titolo e il precetto, ed infine scegliere la forma di pignoramento più efficace. Il tutto tenendo a mente le scadenze processuali (60 giorni per notifica ingiunzione, 90 giorni efficacia precetto, 40 giorni termine opposizione, ecc.) e la necessità di preservare il diritto dalla prescrizione (interrompendola quando necessario). Un creditore diligente che segue questi passi può far valere i suoi diritti anche a distanza di 10-15 anni, purché il diritto non fosse già irrimediabilmente prescritto prima di muoversi.
Nei prossimi paragrafi passeremo al punto di vista del debitore, analizzando le possibili difese e opposizioni a disposizione, specialmente quando un creditore “riemerge” dopo molto tempo. Successivamente, proporremo alcuni casi pratici per vedere queste regole all’opera in situazioni reali.
Difese del debitore contro pretese di crediti datati
Dal lato del debitore, ricevere una richiesta di pagamento per un vecchio debito (magari ritenuto dimenticato) può destare preoccupazione, ma l’ordinamento mette a disposizione diverse difese. La prima e più ovvia è verificare se il credito sia prescritto e in tal caso eccepirlo. Ma non è l’unica: il debitore può contestare la fondatezza del credito nel merito, oppure opporsi per motivi procedurali (vizi di forma, decadenze, nullità del titolo). Di seguito esamineremo le principali eccezioni e azioni oppositive che il debitore può attivare, a seconda della fase in cui si trova (fase stragiudiziale, fase monitoria, fase esecutiva).
Eccezione di prescrizione
Come già sottolineato, la prescrizione non opera automaticamente ma va eccepita dal debitore nel primo momento utile del giudizio. Questa è la difesa per eccellenza contro un credito vecchio: se il termine previsto è decorso interamente senza validi atti interruttivi, il diritto del creditore si è estinto e il debitore, sollevando la questione, fa valere tale estinzione.
Dove e come eccepirla:
- Se il debitore riceve una lettera di diffida o di sollecito da un creditore dopo molti anni, può rispondere (meglio per iscritto, tramite raccomandata o PEC) comunicando di ritenere il credito prescritto e negando pertanto qualsiasi pagamento. Questa non è una vera “eccezione” in senso processuale (perché siamo fuori dal giudizio) ma può dissuadere il creditore dal procedere o preparare il terreno per una eventuale causa. Attenzione però: semplicemente ignorare la lettera non è consigliabile, meglio comunicare la propria posizione; e soprattutto, la lettera di diffida ha già interrotto la prescrizione, quindi se anche il debito era prescritto fino a quel giorno, dal giorno dopo la diffida eventualmente decorre un nuovo termine. In sostanza, fuori dal processo la prescrizione funge da scudo “morale” per dire al creditore che non c’è più obbligo, ma non ha un effetto legale vincolante finché non viene accertata in giudizio.
- Se il debitore viene citato in una causa ordinaria (ad es. citazione per pagamento) o propone opposizione a decreto ingiuntivo, dovrà sollevare l’eccezione di prescrizione nella comparsa di risposta o nell’atto di opposizione immediatamente. Si tratta di una eccezione in senso stretto: deve essere allegata dalla parte debitrice e preferibilmente documentata (esibendo, se noti, elementi per datare l’ultimo atto interruttivo o la scadenza del credito). Una volta eccepita, spetterà al creditore l’onere di provare che la prescrizione non è maturata (dimostrando eventualmente atti interruttivi). Se il debitore non eccepisce nulla a riguardo, il giudice non potrà dichiarare d’ufficio la prescrizione e, anche se il termine fosse effettivamente trascorso, il debitore perderebbe la possibilità di farla valere successivamente, restando soccombente.
- Se il debitore riceve un decreto ingiuntivo e ritiene il credito prescritto, deve proporre opposizione entro 40 giorni e in quella sede eccepire la prescrizione. Come detto, se non lo fa entro quel termine, il decreto diventa definitivo e il giudicato copre anche la prescrizione (ossia, non potrà più opporla). C’è solo un caso residuale in cui anche dopo 40 giorni si può intervenire: l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., ammessa se il debitore prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del decreto per irregolarità della notifica o forza maggiore. In tal caso, ottenuta la rimessione in termini, potrà eccepire la prescrizione nel ricorso in opposizione tardiva. Ma questa è una situazione eccezionale (es. notifica mai avvenuta al giusto indirizzo).
- Se il debitore viene coinvolto direttamente nella fase esecutiva (ad es. riceve un atto di pignoramento senza aver mai ricevuto atti precedenti, magari perché un decreto ingiuntivo è stato notificato male ed è passato in giudicato), può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. sostenendo che il credito è estinto per prescrizione sopravvenuta al titolo o addirittura mancanza di titolo (se riesce a far valere un vizio della notifica tale per cui il titolo non si è formato regolarmente). Attenzione: se il titolo è giudiziale e la prescrizione non fu eccepita allora, non si può riaprire la questione; però può darsi che il titolo stesso si sia prescritto dopo (es: decreto ingiuntivo definitivo del 2010, nessun atto fino al 2021, il debitore subisce pignoramento nel 2022 -> può opporsi perché il diritto di procedere esecutivamente è prescritto essendo trascorsi oltre 10 anni dal 2010 senza atti). L’opposizione all’esecuzione va proposta davanti al giudice dell’esecuzione, di solito prima che l’esecuzione sia conclusa; se è basata su fatti sopravvenuti (prescrizione del titolo dopo giudicato), può essere proposta anche a esecuzione iniziata, entro il termine per le opposizioni agli atti esecutivi (di regola 20 giorni dal primo atto di esecuzione).
In tutti questi casi, l’onere di provare la prescrizione è ripartito così: il debitore che eccepisce deve indicare il fatto costitutivo (decorso del tempo e inattività), il creditore deve dimostrare eventuali cause di sospensione o atti interruttivi. Ad esempio, se un debitore eccepisce che sono passati 10 anni dalla scadenza del credito, il creditore può replicare esibendo una raccomandata inviata a 5 anni che ha interrotto; spetterà poi al debitore eventualmente contestare la validità di quell’interruzione (es. sostiene che la notifica era nulla, ecc.).
Da tenere presente: Eccepire la prescrizione equivale in sostanza a dire “il diritto del creditore non esiste più per legge”. È un’eccezione perentoria che, se accolta, chiude la partita a favore del debitore (il giudice respingerà la domanda del creditore per intervenuta prescrizione). Viceversa, se il debitore si dimentica di eccepirla, paga lo scotto di veder riconosciuto un debito che forse giuridicamente non c’era più. Dunque è la prima cosa da valutare con l’avvocato appena si riceve un atto di citazione o un decreto ingiuntivo relativo a vicende remote.
Un aspetto particolare: anche la prescrizione degli interessi e di altre componenti accessorie va eccepita. Ad esempio, il debitore può ammettere il debito principale ma eccepire che interessi e more anteriori a un certo periodo sono prescritti (5 anni). Il giudice può accogliere parzialmente tali eccezioni, riducendo il dovuto.
Contestazione della validità ed esigibilità del credito (inesigibilità, nullità, adempimento)
Non sempre la miglior difesa è la prescrizione: potrebbe darsi che il credito vantato sia infondato nel merito o comunque non esigibile per varie ragioni, indipendentemente dal tempo trascorso. Il debitore ha diritto di far valere tutte queste ragioni in aggiunta o in alternativa alla prescrizione. Vediamo le principali:
- Inesigibilità o non liquidità del credito: Per poter ottenere un decreto ingiuntivo o una condanna, il credito deve essere “certo, liquido ed esigibile”. Il debitore può contestare che tali requisiti manchino. Ad esempio, potrebbe sostenere che il credito è subordinato a una condizione non avverata, o che il termine di pagamento non è ancora scaduto (caso raro se il creditore agisce dopo anni). Oppure può contestare il quantum: se l’importo non è determinato o determinabile, non è liquido. Un caso tipico: fatture non chiare, calcoli di interessi errati, applicazione di penali non dovute. Se il giudice ritiene il credito non liquido, potrebbe rigettare il decreto ingiuntivo (costringendo il creditore a un’ordinaria di cognizione) o comunque non accogliere la domanda finché l’importo non venga provato rigorosamente. Un’altra situazione di “inesigibilità” è la mancata prova del credito: se il creditore non ha documenti validi (es. lavora solo su testimoni per un contratto orale di 15 anni fa), il debitore può semplicemente contestare i fatti e il creditore faticherà a dimostrare l’esistenza del credito dopo tanto tempo.
- Nullità o invalidità del contratto originario: Il debitore può eccepire che il contratto o il titolo su cui si basa il credito è nullo (perché contrario a norme imperative, illecito, fittizio, ecc.) o annullabile (stipulato con vizi della volontà) o inefficace. Ad esempio, un creditore chiede il pagamento di un prezzo per un accordo che in realtà era oralmente concordato ma per legge richiedeva la forma scritta (come una vendita immobiliare senza atto scritto, che è nulla): il debitore in causa può far valere la nullità del contratto, e dunque l’inesistenza giuridica dell’obbligo di pagare. Oppure il debitore potrebbe dire: “Sì ho firmato quella promessa di pagamento, ma l’ho fatto perché vittima di dolo/coazione” (ipotesi di annullabilità). Chiaramente queste eccezioni vanno provate dal debitore (soprattutto la nullità può emergere dagli stessi documenti del creditore, l’annullabilità richiede prova dei vizi). Se riconosciute, portano al rigetto della pretesa. Da notare che la nullità è imprescrittibile e rilevabile anche d’ufficio, quindi è una difesa potentissima: anche se il debitore non la eccepisce espressamente, il giudice può tenerne conto qualora risulti evidente (es: il contratto prodotto è manifestamente nullo). Questo è uno dei pochi casi in cui il giudice può bloccare una pretesa senza eccezione di parte. Esempio pratico: Il creditore produce una cambiale firmata dal debitore come prova del credito, ma la cambiale è priva del bollo (marca da bollo obbligatoria) e dunque per legge non ha efficacia di titolo esecutivo. Il debitore può eccepire la nullità formale della cambiale (che non vale come prova scritta valida per decreto ingiuntivo); il giudice non potrebbe emettere ingiunzione basata su quella cambiale, costringendo il creditore a un iter diverso. Anche se fosse già stato emesso un decreto, in opposizione il debitore può far valere questo vizio, che rende illegittimo l’uso del titolo cambiario. Il credito sottostante (il debito causale) potrebbe anche sussistere, ma il creditore perderebbe il vantaggio della via cambiaria.
- Pagamento o adempimento già avvenuto: Sembra banale, ma se il debitore ha già pagato (in tutto o in parte) il debito in passato, ovviamente non deve pagarlo due volte. Deve però provarlo, perché il creditore se agisce probabilmente lo nega. Il debitore esibirà ricevute, quietanze, estratti conto, o farà valere presunzioni (ad es. per le prescrizioni presuntive: “sono passati 3 anni e il professionista non ha chiesto nulla, quindi si presume pagato”). Se riesce a dimostrare il pagamento, il giudice rigetterà la domanda del creditore (o la limiterà al non pagato residuo). Questa eccezione è diversa dalla prescrizione: la prescrizione dice “anche se non ho pagato, il diritto non esiste più”; qui invece si dice “il diritto è esistito ma l’ho soddisfatto”. È una tipica eccezione di merito estintiva. Bisogna stare attenti: se il debitore ha fatto un pagamento parziale anni prima senza specificare imputazione, in giudizio potrebbe addurre che quel pagamento andava imputato al capitale o agli interessi in un certo modo. L’art. 1193 c.c. regola l’imputazione dei pagamenti: prima interessi, poi capitale, salvo patto diverso. Spesso il debitore crede di aver estinto il debito con un pagamento ma, legalmente imputato, potrebbe aver estinto solo interessi morosi e resti ancora capitale. Quindi serve precisione nella ricostruzione contabile.
- Compensazione: Se debitore e creditore hanno crediti reciproci, il debitore può eccepire in compensazione quanto gli dovuto. Ad esempio, Caio chiede 100 a Tizio per una fattura del 2015, ma Tizio vanta un credito di 80 verso Caio per una diversa causa del 2014: Tizio in opposizione può chiedere la compensazione delle due somme. Se i crediti sono entrambi liquidi ed esigibili e anteriori alla causa, il giudice compenserà fino a concorrenza (in questo esempio Tizio pagherebbe solo 20 saldo). La compensazione richiede che il controcredito non sia prescritto a sua volta e provato in giudizio.
In sintesi, il debitore ha a disposizione tutte le obiezioni di merito che avrebbe avuto se fosse stato convenuto subito, più eventualmente può sfruttare il decorso del tempo (prescrizione) o lacune probatorie del creditore acuite dal tempo (es. il creditore non ha più documenti originali, etc.). L’importante è non restare inerti: se arriva un decreto ingiuntivo o un atto di citazione, bisogna attivarsi prontamente e articolare le difese nel rispetto dei termini processuali.
Opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione all’esecuzione: cenni procedurali
Abbiamo già toccato questi aspetti, ma giova riassumerli dal punto di vista pratico per il debitore:
- Opposizione a decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.): Va proposta entro 40 giorni dalla notifica del D.I. (termine perentorio di decadenza). Si propone con atto di citazione da notificare al creditore nelle forme ordinarie. L’opponente può chiedere la sospensione della provvisoria esecutività del decreto (se questo è già esecutivo o in corso di esecuzione) motivando l’istanza con gravi ragioni (ad esempio dimostrando fumus boni iuris nelle sue difese, o un pericolo). Nel giudizio di opposizione, il debitore-opponente diventa attore in senso formale, ma sostanzialmente il creditore mantiene l’onere di provare il credito. È fondamentale dedurre subito tutte le eccezioni (prescrizione, incompetenza territoriale del giudice se c’è, invalidità notifiche, ecc.) e tutte le difese nel merito. Se l’opposizione è accolta, il decreto è revocato (totalmente o parzialmente); se è rigettata, il decreto diviene titolo definitivo. Da notare: se il debitore omette di opporsi nei 40 giorni, come detto, perde il diritto di farlo; resta solo, in caso di notifica inesistente o vizi gravissimi, la possibilità di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., da proporre entro 10 giorni dalla conoscenza effettiva del decreto, provando che la mancata opposizione tempestiva non è dipesa da colpa. Ad esempio, se un decreto fu notificato a mani di persona sbagliata e il debitore lo scopre dopo essere stato pignorato, potrà fare opposizione tardiva per far valere nel merito le sue ragioni.
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): È il rimedio generale contro l’esecuzione forzata, quando il debitore contesta il diritto del creditore di procedere ad esecuzione. Può riguardare fatti estintivi o invalidanti sopravvenuti al titolo (es: prescrizione del titolo, pagamento effettuato dopo il titolo, transazione intervenuta) oppure la inesistenza originaria del diritto (es: titolo già nullo, persona sbagliata). Se l’opposizione è proposta prima che inizi l’esecuzione (ad es. dopo precetto ma prima di pignoramento) si fa con atto di citazione davanti al tribunale competente per l’esecuzione. Se è proposta dopo l’inizio (cioè dopo notifica del pignoramento), va introdotta con ricorso al giudice dell’esecuzione (procedura più snella, ma termini stringenti). Per esempio, se un debitore riceve un precetto relativo a una sentenza di 12 anni fa, può opporsi prima del pignoramento sostenendo che la sentenza non è più azionabile perché prescritta; oppure se riceve un pignoramento e ha elementi per dire che il debito è già pagato, può fare opposizione all’esecuzione in corso. L’opposizione all’esecuzione può portare alla sospensione immediata dell’esecuzione (se ci sono gravi motivi), e alla fine, se accolta, farà dichiarare improcedibile l’esecuzione per insussistenza del diritto di procedervi.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): Diversa dalla precedente, serve a contestare vizi formali degli atti della procedura (precetto, pignoramento, avvisi, ecc.) senza mettere in dubbio il diritto sostanziale. Ad esempio: il precetto non conteneva l’indicazione della data di notifica del decreto ingiuntivo come richiesto dall’art. 480 c.p.c., oppure il pignoramento è stato eseguito senza rispettare forme di legge. In questi casi, il debitore (o il terzo interessato) deve proporre opposizione entro 20 giorni dalla notifica o conoscenza dell’atto viziato. L’opposizione può portare all’annullamento o correzione dell’atto, ma il creditore può spesso rimediare rifacendo l’atto correttamente (salvo decadenze nel frattempo). Ad esempio, se un precetto viene annullato per vizio formale, il creditore potrà notificarne uno nuovo (la procedura subirà un ritardo, ma il credito rimane). Tuttavia, ci sono casi in cui un vizio può far perdere al creditore un termine: ad esempio, la notifica nulla del decreto ingiuntivo se non rinnovata entro 60 giorni dalla pronuncia comporta inefficacia del decreto; se il debitore eccepisce ciò (magari con opposizione tardiva combinata a opposizione atti), il creditore potrebbe trovarsi con il titolo decaduto e dover ricominciare.
In generale, il debitore che si vede arrivare atti esecutivi deve attivarsi subito: i termini di 20 giorni nelle opposizioni esecutive sono stringenti. Trascurarli significa subire pignoramenti e vendite difficili poi da ribaltare. L’assistenza di un avvocato esperto è fondamentale per individuare subito le possibili irregolarità da far valere.
Vizi formali degli atti di precetto e pignoramento
Approfondiamo brevemente alcuni vizi formali tipici che il debitore può sfruttare se presenti:
- Precetto: Deve contenere, a pena di nullità, la data e gli estremi della notificazione del titolo esecutivo (se il titolo non è contestuale), l’intimazione ad adempiere entro almeno 10 giorni, l’indicazione espressa dei diritti di cui all’art. 480 c.p.c. (facoltà del debitore di evitare esecuzione pagando spontaneamente). Inoltre, se sono trascorsi oltre 90 giorni dalla formazione del titolo giudiziale, va inserita la formula di conformità (per notifiche di copie). Un precetto privo, ad esempio, della data di notifica del decreto ingiuntivo, o che intima un pagamento immediato senza 10 giorni, è viziato. La giurisprudenza tuttavia tende a sanzionare solo i vizi che ledono concretamente il diritto di difesa del debitore. Ad esempio, dimenticare di menzionare il tribunale che ha emesso la sentenza può creare nullità se rende incerto il titolo; ma se il titolo è allegato in copia, la finalità informativa è soddisfatta. In ogni caso, l’opposizione tempestiva consente di far valere tali difetti e ottenere l’annullamento del precetto, costringendo il creditore a ripeterlo. Questo compra tempo e, se il credito era al limite della prescrizione, può addirittura far maturare la prescrizione nel frattempo (anche se di solito l’opposizione interrompe anch’essa la prescrizione per il suo corso).
- Notifiche e termine del D.I.: Come già detto, la notifica tardiva del decreto ingiuntivo oltre 60 giorni rende inefficace il decreto. Il debitore deve però sollevare la questione: la Corte di Cassazione ha chiarito che tale inefficacia non è rilevabile d’ufficio in sede esecutiva, ma va eccepita con opposizione agli atti esecutivi entro 20 giorni dalla notifica del precetto basato su quel D.I.. Dunque, se un creditore notifica un D.I. dopo un anno, e poi notifica precetto, il debitore in opposizione potrà far dichiarare nullo il precetto perché il titolo allegato (D.I.) è inefficace per tardività. Ciò chiude quella procedura; il creditore può riproporre ricorso? Sì, può far emettere un nuovo decreto (il che nel frattempo forse è impedito da prescrizione se il diritto era borderline). Insomma è un’altra arma difensiva.
- Pignoramento: I vizi del pignoramento (eseguito dall’ufficiale giudiziario su istanza del creditore) possono riguardare la mancata osservanza delle forme (es: un pignoramento mobiliare eseguito in giorno e ora non consentiti, come di notte senza autorizzazione, o un pignoramento presso terzi che non contiene l’ingiunzione al terzo) oppure errori nell’atto di pignoramento (non indica bene i beni o le somme, o notifica irregolare). Questi vizi di solito portano all’inefficacia del singolo atto esecutivo, che può essere rinnovato. Ad esempio, se un pignoramento presso terzi è nullo, il creditore può rifare l’atto presso terzi (sempreché il precetto sia ancora valido o ne notifichi uno nuovo). Per il debitore, far annullare un pignoramento può servire se nel frattempo intende alleggerire la propria posizione (es: mettere in sicurezza somme, trovare accordo col creditore). Va detto che la rinnovabilità degli atti esecutivi è alta, quindi puntare solo sui vizi formali spesso comporta un allungamento ma non risolve definitivamente se non si affronta il merito (prescrizione, inesistenza credito, ecc.).
Altre difese e situazioni particolari
Un debitore può trovarsi in situazioni speciali che offrono ulteriori tutele:
- Sovraindebitamento e procedure concorsuali: Se il debitore è una persona non fallibile (privato o piccolo imprenditore) gravata da debiti insostenibili, può valutare l’accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (Legge n. 3/2012, ora ricomprese nel Codice della Crisi d’Impresa D.Lgs. 14/2019). Presentare un piano del consumatore o un accordo di ristrutturazione blocca le azioni esecutive individuali temporaneamente (stay) e, se omologato, consente di chiudere i debiti spesso pagando parzialmente. Questa non è una “difesa” in senso stretto contro un singolo credito, ma un rimedio generale in caso di troppi crediti da affrontare.
- Contestazione del titolo stragiudiziale: A volte i creditori agiscono non con decreto ingiuntivo ma direttamente con un titolo esecutivo stragiudiziale (es: una cambiale, un lodo arbitrale non impugnato, un atto notarile di mutuo). Il debitore in quei casi non ha la fase monitoria per opporsi, può solo agire con opposizione all’esecuzione contestando l’eventuale nullità o inesistenza del titolo. Ad esempio, se viene notificato un precetto basato su cambiale: il debitore può opporsi sostenendo che la cambiale è prescritta (se sono passati più di 3 anni dal suo protesto o scadenza), oppure che la firma è falsa (in tal caso chiederà la sospensione per querela di falso), o che il titolo è materialmente alterato. È un’opposizione all’esecuzione che precede o segue il pignoramento a seconda di quando il debitore viene a sapere.
- Dilazione o accordi transattivi in extremis: Anche dopo iniziata l’esecuzione, il debitore può sempre trattare col creditore per trovare un accordo (ad esempio ottenendo la sospensione delle aste se propone un pagamento rateale garantito). Legalmente, se le parti trovano un accordo, si può sospendere o estinguere l’esecuzione per intervenuto soddisfacimento o conciliazione. È bene farsi formalizzare l’accordo per iscritto e ottenere la sospensione dal giudice se c’è un calendario di pagamento, per evitare sorprese.
In conclusione per il debitore: il tempo trascorso è spesso un alleato (prescrizione, difficoltà probatorie del creditore), ma bisogna saperlo usare attivamente. Ignorare le procedure non è mai saggio, perché anche un credito prescritto può diventare definitivo se non si eccepisce in tempo utile. Le difese vanno orchestrate in modo coerente, possibilmente sollevando tutti i motivi utili (ad es. eccepire prescrizione e contestare nel merito, in via subordinata; eccepire nullità contrattuale e in subordine chiedere riduzione dell’importo, ecc.).
Di seguito, per dare un’idea concreta, presentiamo alcuni casi pratici simulati di recupero crediti tardivo, con l’indicazione di come sono stati risolti e quali considerazioni giuridiche sono emerse in ciascuno.
Esempi pratici di crediti recuperati (o respinti) dopo molti anni
Di seguito proponiamo alcune simulazioni basate su casi reali che illustrano l’applicazione dei principi fin qui esposti. Ogni esempio presenta una situazione tipo, il suo sviluppo e l’esito, con un breve commento giuridico che evidenzia gli aspetti salienti (prescrizione, prove, difese attuate, decisione del giudice). I nomi sono di fantasia.
Esempio 1: Fatture commerciali non pagate da 7 anni
Scenario: La Alfa S.r.l. fornitrice di materiali elettrici vanta due fatture non pagate dalla Beta S.r.l. emesse nell’anno 2018 (importo totale €50.000). Nel 2025 (dopo 7 anni) Alfa decide di agire. Invia una lettera di diffida alla Beta (presso la sede risultante dalla Camera di Commercio) intimando il pagamento entro 10 giorni. Beta non risponde. Alfa allora, tramite il suo legale, deposita nel luglio 2025 un ricorso per decreto ingiuntivo presso il Tribunale competente, allegando copie delle fatture, DDT firmati e sollecito di pagamento del 2019 inviato via PEC. Il giudice emette il decreto ingiuntivo a settembre 2025, che viene notificato alla Beta subito dopo. Beta propone opposizione sostenendo due motivi: (a) le forniture erano difettose e Beta aveva contestato informalmente all’epoca (non risultano contestazioni scritte); (b) il credito sarebbe almeno in parte prescritto, essendo trascorsi oltre 5 anni dal 2018 al 2025.
Svolgimento: In sede di causa di opposizione, Alfa evidenzia che la prescrizione applicabile è quella ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di forniture tra imprese (non vi è un termine breve specifico, e la natura commerciale non fa scattare le presuntive di 1 anno che riguardano vendite al dettaglio a privati). Inoltre, Alfa produce la copia della PEC inviata a Beta nel 2019 come atto interruttivo: quindi anche volendo considerare una prescrizione quinquennale (impropriamente), il termine sarebbe stato interrotto nel 2019 e ricominciato, rendendo comunque l’azione nel 2025 tempestiva. Riguardo ai vizi della merce, Beta non esibisce alcuna prova di aver contestato i difetti nei termini dovuti (che sarebbero 8 giorni per denuncia vizi in compravendita, art. 1495 c.c., termine ampiamente decaduto) e non porta perizia o testimoni a supporto della propria doglianza generica.
Esito: Il Tribunale rigetta l’opposizione di Beta. In motivazione chiarisce che: (a) il credito è soggetto a prescrizione ordinaria decennale ai sensi dell’art. 2946 c.c., trattandosi di credito commerciale derivante da contratto di fornitura senza termini speciali; (b) in ogni caso, la PEC del 2019 costituisce valido atto interruttivo ai sensi dell’art. 2943 c.c., sicché al 2025 il nuovo termine (decennale) non era ancora decorso; (c) Beta è decaduta dal far valere eventuali vizi delle merci fornite non avendo provato di averli denunciati nei termini di legge, pertanto il debito per le forniture resta dovuto integralmente. Beta viene condannata a pagare ad Alfa €50.000 più interessi legali dal 2018 e le spese legali.
Commento: In questo esempio vediamo confermata la prescrizione ordinaria decennale per crediti contrattuali tra imprese (nessun termine quinquennale specifico si applicava perché non era un pagamento periodico né altro credito “breve”). L’eccezione di prescrizione sollevata dal debitore è stata respinta perché il termine non era decorso (7 anni < 10) e comunque c’era stata un’interruzione documentata nel corso del tempo. Questo sottolinea due aspetti: il creditore prudente che avesse inviato un sollecito entro 5 anni ha protetto il suo diritto; il debitore che intendeva invocare difetti di merce ha invece perso per decadenza la possibilità di farlo (non avendo formalizzato la contestazione). Quindi nessuna “via di fuga” per Beta: pagherà il dovuto. Da notare infine che se anche fossero trascorsi più di 10 anni, Alfa aveva elementi (PEC 2019) per sostenere l’interruzione.
Esempio 2: Prestito personale di 15 anni fa
Scenario: Tizio, nel 2010, presta €20.000 all’amico Caio, con accordo verbale che Caio restituirà “quando possibile”. Non viene redatta una scrittura privata né fissata una data precisa. Per molti anni Tizio sollecita a voce Caio, ma senza esito. Nel 2015 Caio firma una breve dichiarazione “riconosco di dovere a Tizio la somma di €20.000 per l’aiuto avuto, cercherò di restituire al più presto” (riconoscimento di debito scritto). Tuttavia non paga nulla. Arrivati al 2025, Caio evita Tizio e non versa ancora nulla. Tizio decide di agire legalmente: tramite un avvocato notifica a Caio a maggio 2025 un atto di citazione (non un decreto ingiuntivo, perché non ha una prova scritta della pattuizione originaria di prestito, ma possiede il riconoscimento 2015). Tizio chiede al Tribunale di accertare il prestito e condannare Caio a restituire €20.000 oltre interessi legali dal 2010. Caio si costituisce e si difende eccependo: (a) prescrizione del presunto credito, essendo trascorsi 15 anni dal 2010 e oltre 10 anni anche dal riconoscimento 2015; (b) in subordine, che andrebbe detratto quanto Caio ha fatto a titolo di cortesia per Tizio in questi anni (Caio asserisce di aver svolto lavori in casa di Tizio per un valore di €5.000, senza però documentazione).
Svolgimento: In giudizio viene appurato che il prestito non aveva termine fissato, quindi era un credito esigibile “a vista” dal momento in cui fu fatto (2010). La prescrizione applicabile è decennale ex art. 2946 c.c. e avrebbe portato ad estinzione nel 2020. Tuttavia, il riconoscimento di debito del 2015 sottoscritto da Caio è un atto che interrompe la prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c. (riconoscimento del diritto). La nuova prescrizione decennale decorre dal 2015. Pertanto, al momento della citazione nel 2025, erano trascorsi 10 anni dal riconoscimento? In realtà esattamente 10 anni scadevano nel 2025 (il riconoscimento è del 1° aprile 2015, la citazione notificata il 30 marzo 2025, quindi ancora dentro il termine). Quindi il credito non è prescritto. Il giudice respinge l’eccezione di Caio sul punto.
Nel merito, Caio non prova di aver mai restituito nulla in denaro e il suo argomento dei “favori” come compensazione non regge poiché non c’è alcun accordo in tal senso e i lavori fatti (peraltro non provati con fatture) appaiono elargiti a titolo di amicizia. Il riconoscimento scritto 2015, per contro, fa piena prova dell’esistenza e consistenza del debito (riconosciuto da Caio stesso).
Esito: Il Tribunale condanna Caio a pagare €20.000 a Tizio, con interessi legali però non dal 2010 (perché il prestito era senza termine, gli interessi di mora decorrono dalla domanda giudiziale o da precedente costituzione in mora, e Tizio non aveva messo in mora formalmente Caio prima). Le spese legali seguono la soccombenza.
Commento: Questo caso mostra come un riconoscimento di debito da parte del debitore interrompa la prescrizione e anzi costituisca una nuova fonte del rapporto. Ai sensi dell’art. 2944 c.c., l’ammissione del debito fa sì che il conteggio riparta da quel momento. Addirittura alcuni orientamenti considerano che il riconoscimento scritto possa configurare un nuovo negozio di obbligazione (una promessa di pagamento ex art. 1988 c.c.), ma comunque la sostanza è che Caio avendo ammesso il debito nel 2015 non poteva poi pretendere la prescrizione fino al 2025. Senza quel riconoscimento, il credito di Tizio sarebbe stato probabilmente prescritto già nel 2020 e la citazione del 2025 sarebbe stata rigettata. La lezione è duplice: per il creditore, ottenere un riconoscimento scritto o un pagamento parziale è prezioso per allungare i tempi di esigibilità; per il debitore, riconoscere un debito (magari per gentilezza o procrastinare) può equivalere a rinunciare alla prescrizione maturata o far ripartire il termine, quindi va fatto con cautela.
Esempio 3: Assegno bancario non incassato e prescrizione dell’azione
Scenario: Il sig. Rossi riceve nel giugno 2023 un assegno bancario post-datato (in realtà un assegno con data 30/06/2023) dal sig. Verdi a saldo di un vecchio debito. Rossi però dimentica di presentare tempestivamente l’assegno in banca. Lo presenta solo a gennaio 2024, ben oltre i termini di presentazione (che sarebbero stati 8 giorni essendo piazza stessa). La banca naturalmente rifiuta il pagamento perché l’assegno è scaduto e inoltre il conto di Verdi risulta chiuso a dicembre 2023. Rossi prova a contattare Verdi, ma invano. Arriviamo a novembre 2024: Rossi vorrebbe recuperare quei soldi (5.000 €) e si rivolge a un avvocato. L’assegno in sé ormai è inutilizzabile come titolo esecutivo, perché l’azione cambiaria diretta contro il traente si è prescritta dopo 6 mesi dalla scadenza del termine di presentazione (termine scaduto a luglio 2023, quindi prescrizione dell’azione cambiaria a febbraio 2024) secondo il R.D. 1736/1933. L’avvocato di Rossi decide allora di agire in via ordinaria, facendo valere l’obbligazione sottostante: emerge infatti che l’assegno era stato dato a fronte di un prestito di 5.000 € erogato da Rossi a Verdi nel 2019. L’assegno era solo un mezzo di pagamento. Si opta per un decreto ingiuntivo basato sulla prova scritta del debito: Rossi possiede una scrittura privata firmata da Verdi nel 2019 dove questi riconosce di aver ricevuto €5.000 a prestito da restituire entro fine 2020. Il decreto ingiuntivo viene emesso e notificato a Verdi, che propone opposizione eccependo: (a) che l’azione cambiaria è prescritta e quindi “l’assegno non vale più nulla”; (b) che anche il prestito del 2019 è prescritto perché Rossi ha atteso il 2024; (c) nel merito, Verdi sostiene di aver pagato in contanti parte del debito a metà 2020 (non documentato).
Svolgimento: In giudizio è chiarito che: l’azione promossa da Rossi non è di natura cambiaria (non sta usando l’assegno come titolo esecutivo, infatti non ha fatto precetto su assegno, ma ha chiesto un decreto ingiuntivo sul rapporto causale); dunque la prescrizione semestrale dell’assegno è irrilevante per questa causa. L’assegno viene considerato solo come elemento di fatto (dimostra che Verdi gli consegnò un titolo nel 2023 a saldo del debito, poi non andato a buon fine). Il credito azionato è il prestito del 2019: quello aveva scadenza fine 2020 (come da scrittura). Da fine 2020 decorre il termine di prescrizione ordinaria decennale, quindi fino a fine 2030 è azionabile. La domanda del 2024 è quindi tempestiva. La difesa di Verdi sulla prescrizione viene respinta perché confondeva la prescrizione dell’assegno (effettivamente avvenuta) con quella del debito sottostante (non avvenuta). Quanto al merito del pagamento parziale in contanti 2020, Verdi non ne dà prova (nessuna ricevuta, Rossi nega di aver ricevuto tali somme). Manca qualsiasi riscontro (nessun bonifico, né testimoni). Pertanto il giudice ritiene non provato l’adempimento invocato.
Esito: L’opposizione di Verdi viene rigettata; il decreto ingiuntivo è confermato per €5.000 oltre interessi moratori dal 2021 (perché essendo fissata la restituzione a fine 2020, dal giorno successivo Verdi era in mora). Verdi è condannato alle spese.
Commento: Questo caso illustra la distinzione tra azioni cambiarie (sul titolo di credito) e azioni causali (sul rapporto sottostante). L’assegno bancario ha termini brevissimi: dopo 6 mesi non si può più agire contro il traente con l’assegno, ma ciò non estingue il debito che l’assegno intendeva assolvere. Rossi ha giustamente cambiato strategia, sfruttando il documento del 2019 per chiedere ingiunzione sul prestito. Se non avesse avuto quella scrittura privata, avrebbe dovuto provare il prestito magari per testimoni, con più difficoltà. Ecco perché, anche tra conoscenti, mettere per iscritto i prestiti è importante. Verdi ha cercato di “mescolare le acque” con la storia dell’assegno prescritto, ma il giudice ha fatto chiarezza: la prescrizione breve ha colpito solo il titolo cambiario, non la sostanza del debito. Analogamente, se fosse stata una cambiale scaduta, il creditore potrebbe ancora fare causa sul rapporto causale entro 10 anni, ma non usare la cambiale come titolo. L’errore di Verdi, dal suo lato, è stato non pagare affatto: se avesse quantomeno pagato una parte e ottenuto quietanza, avrebbe potuto opporre un adempimento parziale. Inventarsi un pagamento senza prove non ha convinto il giudice.
Una nota: se il titolo di credito fosse stato un assegno circolare (emesso dalla banca), la situazione sarebbe diversa perché l’assegno circolare ha la banca come debitrice principale ma prescrive anch’esso in 3 anni; tuttavia il richiedente poi può chiedere rimborso alla banca entro 10 anni dal decorso dei 3 (come da Cass. 2018 citata sopra). Nel nostro esempio era un assegno bancario ordinario, quindi la responsabilità era di Verdi.
Esempio 4: Decreto ingiuntivo non opposto e inattività decennale
Scenario: La società Gamma S.p.A. ottiene nel 2012 un decreto ingiuntivo definitivo (non opposto) contro Delta S.r.l. per €100.000 (corrispettivo di una fornitura non pagata). Delta, pur non avendo fatto opposizione, non paga spontaneamente. Gamma però, per ragioni interne, non procede subito con l’esecuzione. Passano gli anni, Gamma cambia management, e solo nel 2023 si rendono conto di quel credito. Nel maggio 2023 l’avvocato di Gamma notifica a Delta un atto di precetto di €100.000 + interessi e spese, basato sul D.I. del 2012 (allegato in copia). Delta riceve il precetto e non risponde. Gamma quindi a luglio 2023 notifica un pignoramento presso terzi (conto corrente di Delta). A questo punto Delta reagisce: propone un’opposizione all’esecuzione deducendo che il diritto di Gamma di eseguire coattivamente si è prescritto, essendo trascorsi oltre 10 anni dal 2012 senza atti interruttivi. In effetti Gamma non aveva compiuto alcun atto dal 2012 fino al precetto del 2023 (11 anni di silenzio). Gamma si costituisce sostenendo che il precetto del 2023 stesso ha interrotto la prescrizione e che comunque Delta non può più contestare il merito del credito (già coperto da giudicato). Delta replica che qui si parla di prescrizione sopravvenuta del titolo esecutivo, non del merito (vero, il merito è giudicato ma il titolo come base per esecuzione si prescrive in 10 anni ex art. 2953 c.c.).
Svolgimento: Il giudice dell’esecuzione esamina i tempi: decreto ingiuntivo divenuto definitivo nel luglio 2012; nessun atto fino al precetto notificato nel maggio 2023, dunque 10 anni e 10 mesi di totale inerzia. L’art. 2953 c.c. stabilisce che i diritti riconosciuti da sentenza passata in giudicato si prescrivono in 10 anni. Gamma avrebbe dovuto quanto meno notificare un precetto entro luglio 2022 per interrompere entro il decennio. Non avendolo fatto, la prescrizione decennale è maturata. Il precetto del 2023 è tardivo e non “resuscita” il diritto già estinto. Il giudice rigetta la tesi di Gamma secondo cui l’atto interruttivo tardivo avrebbe effetto: un atto interruttivo dopo scadenza del termine non vale, perché il diritto era già estinto (interrompere serve solo prima della scadenza). Poiché la prescrizione dell’azione esecutiva non è rilevabile d’ufficio ma è stata eccepita tempestivamente da Delta, essa dispiega i suoi effetti. Il giudice quindi dichiara improcedibile l’esecuzione perché il credito, ancorché consacrato in titolo giudiziale, non può più essere fatto valere in via esecutiva essendo decorso il termine decennale.
Esito: L’opposizione all’esecuzione di Delta viene accolta. Il pignoramento viene dichiarato estinto e Gamma condannata a pagare le spese legali. Gamma perde la possibilità di recuperare forzosamente quei €100.000: il decreto ingiuntivo, pur formalmente ancora esistente, non ha più efficacia esecutiva.
Commento: Questo esempio evidenzia un punto cruciale: avere un titolo esecutivo non significa poter aspettare indefinitamente. Anche i titoli giudiziari hanno una “data di scadenza” pratica, che è appunto il termine di prescrizione dell’azione di esecuzione (10 anni dal giudicato, rinnovabile con atti interruttivi se compiuti in tempo). Gamma ha dormito oltre il lecito e ha perso tutto. Delta ha giustamente eccepito la prescrizione sopravvenuta del titolo (da notare: non poteva più discutere nel merito, ma poteva affermare “il titolo è troppo vecchio per essere eseguito”). La Cassazione in casi simili ha costantemente ritenuto applicabile l’art. 2953 c.c. ai decreti ingiuntivi non opposti, equiparandoli al giudicato. Il precetto deve avvenire entro 10 anni dalla definitività e così via per eventuali interruzioni successive. Un solo caveat: se Gamma avesse compiuto un atto qualsiasi entro i 10 anni (ad esempio una intimazione di pagamento nel 2018), quell’atto avrebbe interrotto la prescrizione e i 10 anni sarebbero decorso da capo. Ma non l’ha fatto. Questo caso è una lezione anche per i creditori: non adagiarsi solo perché si ha una sentenza, occorre farla valere entro tempi ragionevoli.
Vale la pena notare che Delta non aveva opposto il decreto e dunque il “merito” era incontrovertibile, ma ciò non impedisce di far valere cause estintive sopravvenute (come appunto la prescrizione del titolo o l’adempimento, se fosse avvenuto nel frattempo).
Esempio 5: Credito di lavoro e decorrenza della prescrizione
Scenario: Il sig. Bianchi, lavoratore dipendente, lascia l’azienda Zeta S.p.A. nel 2022. Nel 2025 Bianchi agisce contro Zeta chiedendo differenze retributive riferite al periodo 2010-2020 (rivendica di essere stato di fatto un quadro anziché impiegato e quindi spettanti qualifiche e paghe superiori). Zeta eccepisce che tutte le pretese anteriori al 2020 sono prescritte in 5 anni (trattandosi di crediti retributivi) perché Bianchi avrebbe dovuto reclamarle entro 5 anni da ciascuna mensilità. Bianchi replica che dal 2010 al 2022 lui era in costanza di rapporto a tempo indeterminato e l’azienda era un grande impianto industriale con tutela reale (art. 18 St. lav.), pertanto la prescrizione decorreva durante il rapporto di lavoro? Nel passato la giurisprudenza diceva di sì (per i rapporti non precari), ma in seguito a interventi normativi sul regime di stabilità (Legge Fornero 2012) la tutela reale piena non esiste più per assunti dopo 2012. Bianchi era assunto dal 2008, quindi tutela reale originariamente applicabile; tuttavia nel 2018 l’azienda è scesa sotto i 15 dipendenti per cessione di ramo, per cui dal 2018 in poi non c’era più tutela reale.
Svolgimento: La Corte d’Appello in cui pende la causa (per competenza del lavoro) considera che: fino a tutto il 2017 il sig. Bianchi ha goduto di stabilità reale forte, quindi la prescrizione dei crediti retributivi era sospesa durante il rapporto, in base al vecchio orientamento (metus del lavoratore). Dal 2018 in poi però la sua azienda era dimensionata sotto soglia e i crediti da allora hanno iniziato a prescriversi in costanza di rapporto. Bianchi ha agito nel 2025, quindi: le differenze maturate 2010-2017 non sono prescritte (perché il termine ha iniziato a correre solo dal cessazione nel 2022 per quelle, entro 5 anni cioè 2027); le differenze 2018-2020 invece sono prescritte perché il termine ha corso dal 2018/2019/2020 +5 anni (quindi quelle del 2018 prescritte nel 2023, 2019 nel 2024, 2020 nel 2025 – e la causa è di fine 2025, tardiva per quelle). Ne deriva un calcolo complesso ma il risultato è che Bianchi ottiene alcune differenze (2010-2017) mentre perde quelle successive.
Esito: Parziale accoglimento: Zeta condannata a pagare differenze riferite a 8 anni, mentre per gli ultimi 3 anni la domanda è rigettata per intervenuta prescrizione quinquennale. Nessuna compensazione perché il risultato è misto, spese compensate.
Commento: Questo caso lavoristico fa capire che i crediti di lavoro hanno regole particolari: la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c. è applicata tenendo conto della stabilità del rapporto. Oggi, dopo le riforme, il quadro è cambiato e la Cassazione ha dovuto adeguare i principi. Ma ai fini di questa guida, l’insegnamento generale è: un debitore-lavoratore talvolta può attendere la fine del rapporto per reclamare crediti arretrati senza incorrere in prescrizione (se c’era tutela reale), mentre un lavoratore precario o senza tutela deve muoversi prima. Questo esula un po’ dal recupero crediti “tra privati e imprese” in senso classico, ma l’abbiamo incluso per completezza data la frequenza di dispute sui tempi in ambito di lavoro.
Da tutti gli esempi risulta evidente come ogni situazione di recupero crediti “tardivo” faccia storia a sé: occorre mappare con precisione le date chiave (decorrenza del credito, atti eventualmente interruttivi, eventuali sospensioni) e applicare la norma corretta di prescrizione o decadenza. Il creditore dovrà poi scegliere lo strumento processuale idoneo (non sempre il decreto ingiuntivo è possibile o conviene, come nel caso dell’assegno, dove è servito l’ordinario). Il debitore, dal canto suo, dovrà sollevare per tempo ogni eccezione utile (prescrizione in primis, ma anche altre) e può trovare appigli anche in vizi procedurali del creditore.
Nei paragrafi finali che seguono, forniremo una sezione di domande e risposte comuni che riepiloga in forma sintetica i concetti chiave, e un elenco delle fonti normative e giurisprudenziali consultabili per approfondire.
Domande frequenti (FAQ) su prescrizione e recupero crediti
D: Dopo quanti anni un credito si prescrive?
R: Dipende dal tipo di credito. Il termine generale è 10 anni (prescrizione ordinaria), ma molti crediti hanno termini più brevi: ad esempio 5 anni per danni, rate di affitto, bollette, interessi, stipendi; oppure termini speciali brevissimi (6 mesi, 1 anno, 3 anni) per alcune categorie come assegni, cambiali o crediti professionali. In pratica, per un prestito o una fattura non pagata di norma dopo 10 anni di inerzia il credito si prescrive, mentre per una bolletta luce ora bastano 2 anni. Nella nostra tabella riepilogativa sopra trovi i principali termini per tipo di credito.
D: Come faccio a sapere se il mio debito è già prescritto?
R: Devi verificare quando è sorto il credito (data di scadenza o di esigibilità) e controllare se da allora fino a oggi sono trascorsi più anni del termine di prescrizione applicabile, senza che tu abbia mai ricevuto atti interruttivi. Ad esempio, se hai un debito da una fattura scaduta il 10 marzo 2015, il termine ordinario 10 anni scade il 10 marzo 2025. Se entro quella data il creditore non ti ha mai inviato lettere raccomandate, né citato in giudizio, ecc., dopo il 10 marzo 2025 il debito è prescritto e potrai rifiutare il pagamento per legge. Se però c’è stato qualche atto (es: lettera di sollecito nel 2018), la prescrizione è ripartita e devi conteggiare da capo da quella data. Va fatto un calcolo caso per caso. Per essere sicuro, consulta un legale che esaminando i documenti ti confermerà se puoi invocare la prescrizione.
D: Ho ricevuto dal nulla una lettera da un vecchio creditore dopo 15 anni: cosa devo fare?
R: Innanzitutto, non ignorarla. Valuta subito, magari con l’aiuto di un avvocato, se il credito è presumibilmente prescritto. Se sì, conviene rispondere per iscritto (raccomandata/PEC) contestando la prescrizione e negando il dovuto. Ciò potrebbe dissuadere il creditore dal proseguire. Attenzione però: la lettera che hai ricevuto è essa stessa probabilmente un atto interruttivo, quindi se anche fino a ieri il credito era prescritto, da oggi il termine sarebbe ripartito (ma tu lo contesti comunque, perché la prescrizione va calcolata fino al giorno prima della diffida). Se il credito non è prescritto, valuta se contestare nel merito o trovare un accordo. In ogni caso, non firmare riconoscimenti di debito e non fare pagamenti parziali senza aver chiarito la situazione, perché così facendo interromperesti o rinunceresti alla prescrizione già maturata. Se la pretesa continua (es: arriva un decreto ingiuntivo), dovrai eccepire formalmente la prescrizione in sede giudiziale.
D: Il giudice può rilevare da solo che il credito è prescritto?
R: No, in sede civile la prescrizione è un’eccezione di parte. Il giudice non la applica d’ufficio (art. 2938 c.c.). Ciò significa che se sei il debitore e vieni citato in giudizio, devi espressamente dichiarare che il diritto dell’attore è estinto per prescrizione e chiedere al giudice di rigettare la domanda per tale motivo. Se non lo fai (o lo fai tardi, oltre i termini processuali per le eccezioni), il giudice non considererà la prescrizione e potresti essere condannato nonostante il lungo tempo trascorso. Fanno eccezione solo alcune materie speciali (in ambito consumatori o tributario talvolta la legge consente rilievi d’ufficio, ma in generale no). Quindi l’onere è tuo: devi eccepirla alla prima difesa utile.
D: Un creditore può agire dopo 20 anni per un vecchio debito?
R: Può provarci, ma in linea di massima dopo 20 anni è altamente probabile che il debito sia prescritto (salvo rarissimi casi di diritti imprescrittibili o se il creditore ha interrotto ripetutamente). Se in 20 anni il creditore è stato del tutto silente, praticamente qualunque credito sarà caduto in prescrizione (le prescrizioni più lunghe – ordinaria 10 anni, usucapione 20 anni per proprietà – sarebbero comunque spirate). A volte i creditori cedono a società di recupero crediti partite di debiti molto vecchi sperando che i debitori, ignorando la prescrizione, paghino comunque. Ricorda: i debiti non spariscono automaticamente, devi tu opporre la prescrizione. Ma dopo 20 anni di inerzia del creditore, la legge ti dà un forte scudo. Dunque sì, il creditore può inviarti solleciti o anche un atto di citazione, ma tu hai un’ottima difesa temporale. Viceversa, se in quei 20 anni il creditore ha regolarmente interrotto (es: ti ha notificato un precetto ogni 10 anni, oppure hai riconosciuto il debito a metà strada), allora i 20 anni da soli non bastano: il debito può essere ancora vivo perché “mantenuto in vita” dagli atti interruttivi.
D: Ho perso il termine di 40 giorni per oppormi a un decreto ingiuntivo perché ero via e l’ho saputo tardi. Posso fare qualcosa?
R: Se il decreto ingiuntivo ti è stato validamente notificato (anche per posta, magari a familiari, o in azienda, ecc.), purtroppo dopo 40 giorni quello diventa definitivo e non è più impugnabile. L’unico rimedio possibile è l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., ma è ammessa solo se provi che: a) non hai avuto conoscenza tempestiva del decreto per irregolarità nella notifica o per caso fortuito/forza maggiore; b) hai presentato l’opposizione subito appena ne hai avuto conoscenza effettiva, entro max 10 giorni da allora. Esempio: il decreto è stato notificato per errore ad un vecchio indirizzo e tu l’hai scoperto solo quando ti hanno pignorato il conto – questa è una situazione che giustifica l’opposizione tardiva. Ma se semplicemente hai ignorato la raccomandata o eri in vacanza e l’hai ritirata tardi, ciò in genere non costituisce caso fortuito. Quindi valuta con un legale se la notifica presentava vizi (mancata ricerca, indirizzo sbagliato, relata nulla, ecc.). Se sì, l’opposizione tardiva può riaprire i termini e potrai contestare anche la prescrizione o il merito in quella sede. Se no, il decreto purtroppo è esecutivo e devi concentrarti eventualmente su un piano di pagamento o accordo col creditore, perché il merito ormai è chiuso.
D: Ho ricevuto un atto di precetto per un debito di 12 anni fa di cui non sapevo nulla. Posso bloccarlo?
R: Il precetto indica che esiste già un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo, ecc.) in base al quale ti intimano il pagamento. Se tu non ne eri a conoscenza, può darsi che il titolo sia stato formato in contumacia o notificato male. Per bloccare l’esecuzione, due strade: 1) verificare se il titolo è regolare: ad esempio, un decreto ingiuntivo notificato anni fa a un indirizzo errato potrebbe essere inesistente nei tuoi confronti; potresti allora fare opposizione tardiva al decreto e chiedere sospensione; 2) in ogni caso, puoi fare opposizione all’esecuzione eccependo che il credito è prescritto (se in effetti sono passati più di 10 anni dal titolo), oppure che tu avevi pagato, o che il titolo non ti è mai stato notificato regolarmente. Questa opposizione va proposta subito, appena ricevuto il precetto o al più tardi entro l’inizio del pignoramento. Il giudice sospenderà l’esecuzione se trovi elementi validi (ad es. una notifica nulla, o apparente prescrizione del titolo). In sintesi, non lasciare decorrere i 20 giorni del precetto senza agire: consulta un legale, valuta se fare opposizione e chiedere al giudice di fermare il creditore. Se perdi quei termini, poi potresti sottoporti a pignoramento e dover agire d’urgenza con meno efficacia.
D: Ho fatto un piccolo pagamento come acconto su un vecchio debito, questo riconosce il debito?
R: Sì, qualsiasi pagamento parziale eseguito spontaneamente dal debitore implica il riconoscimento dell’intero debito ai fini dell’art. 2944 c.c.. La conseguenza è che la prescrizione si interrompe e ricomincia da capo. Inoltre, se il debito era già prescritto, pagandone una parte rinunci tacitamente alla prescrizione (non potrai chiedere indietro quella somma sostenendo che non dovevi nulla). Dunque, prima di fare acconti su un debito vetusto conviene chiarire bene se vuoi contestare la prescrizione o no. Se intendi difenderti con la prescrizione, non pagare nulla e non firmare nulla relativo a quel debito. Se invece vuoi trovare un accordo, una soluzione è formalizzare col creditore una transazione: ad esempio “pago 30% a saldo e stralcio, senza riconoscere il residuo”. In tal caso l’interruzione c’è comunque (paghi, quindi riconosci almeno il 30), ma contestualmente il creditore rinuncia al restante, risolvendo definitivamente.
D: Ho un titolo esecutivo (sentenza o decreto ingiuntivo) contro un debitore: per quanti anni posso tentare il pignoramento?
R: Anche qui, per 10 anni dalla data in cui il titolo è divenuto definitivo (passaggio in giudicato o mancata opposizione). Ogni atto esecutivo che notifichi (precetto, pignoramento) interrompe e ti dà altri 10 anni da lì. Quindi in teoria puoi “rinnovare” all’infinito, purché non lasci passare più di 10 anni tra un’azione e l’altra. Se invece lasci trascorrere 10 anni di totale inattività, il tuo titolo diventa inutilizzabile: il debitore potrà far dichiarare prescritta l’azione esecutiva e tu non potrai più procedere. Dunque è buona prassi, se il debitore risulta insolvibile al momento, almeno notificare un precetto ogni 9-10 anni per mantenere vivo il diritto. Ad esempio, se hai una sentenza del 2015 e il debitore ora è nullatenente, ma forse in futuro avrà beni: mandagli comunque un precetto entro il 2025, così estendi la possibilità fino al 2035, e così via.
D: La prescrizione può essere sospesa o non decorrere in alcune circostanze?
R: Sì, ci sono alcune cause di sospensione previste dalla legge (art. 2941 c.c. e seguenti). Le più comuni: rapporti tra coniugi, tra genitore e figlio minore, tra persona sotto tutela e tutore – durante questi rapporti la prescrizione non corre, per evitare conflitti di interesse. Oppure mentre una condizione sospensiva non si è avverata il diritto non può esercitarsi e quindi la prescrizione non inizia (art. 2935 c.c.). Anche la cosiddetta “moratoria Covid” nel 2020 ha sospeso per alcuni mesi i termini processuali e sostanziali, tra cui la prescrizione (da marzo a giugno 2020, per l’esattezza). Ma al di fuori di ipotesi specifiche, normalmente il tempo decorre senza sospensioni. Ricorda però la differenza col concetto di “inizio decorrenza”: se il tuo credito non era esigibile subito, la prescrizione parte solo da quando lo è. Esempio: hai consegnato merce con pagamento a 90 giorni, i 90 giorni devono passare prima che inizi la prescrizione.
D: Se un creditore ha un’ipoteca sulla mia casa, il debito non si prescrive?
R: Il credito garantito da ipoteca segue le stesse regole di prescrizione del credito in sé. L’ipoteca è un diritto accessorio sul bene che dura 20 anni dall’iscrizione (rinnovabile). Ma se il credito sottostante si prescrive (ad es. mutuo non pagato, trascorsi 10 anni senza atti), anche l’ipoteca diventa inefficace: non può essere fatta valere perché non c’è più il credito. Attenzione: spesso le banche, avendo l’ipoteca, intraprendono comunque atti (es: precetti o solleciti) entro i termini, quindi è raro che lascino prescrivere tutto. In sintesi, l’ipoteca non rende eterno il credito; lo rende solo più sicuro entro il periodo di vita sia del credito che dell’ipoteca stessa (che ripeto va rinnovata ogni 20 anni, altrimenti scade pure quella). Se hai un’ipoteca e sono passati moltissimi anni senza escussione, verifica con un legale sia la prescrizione del credito che la scadenza ventennale dell’ipoteca: potresti scoprire che l’immobile è liberabile da vincoli.
D: Posso accordarmi con il creditore per allungare o abbreviare la prescrizione?
R: No, per legge non si può pattuire né una durata diversa né la rinuncia anticipata alla prescrizione (art. 2936 c.c. “È nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione”). Puoi certamente pagare un debito prescritto, ma non puoi validamente promettere oggi “rinuncio al futuro termine di prescrizione”. L’unica cosa che puoi fare è, a prescrizione già maturata, rinunciare (in modo espresso o tacito) al suo effetto, riattivando il debito. Anche qui, però, la legge tutela il debitore: la rinuncia a prescrizione già compiuta deve risultare da un comportamento univoco (pagare, dichiarare che pagherai, ecc.). Ad esempio, se un debitore dice formalmente al creditore “sì lo so che il credito era prescritto ma io te lo pago lo stesso”, sta rinunciando alla prescrizione. In assenza di ciò, il creditore non può costringerti a sottoscrivere niente che neghi la prescrizione. In pratica questi accordi sono nulli e quindi inutili. Occhio invece a eventuali riconoscrimenti di debito che a volte vengono fatti firmare in sede di trattativa: se firmi “mi impegno a pagare tot entro tale data, il debito tale…” stai di fatto azzerando la prescrizione trascorsa, come spiegato prima.
D: Un decreto ingiuntivo non opposto ha valore di cosa giudicata?
R: Sì, un decreto ingiuntivo divenuto definitivo (cioè non opposto nei termini) acquista l’efficacia di un giudicato sostanziale, al pari di una sentenza passata in giudicato. Ciò significa che copre il “dedotto e il deducibile”, ovvero fa stato non solo sull’esistenza del credito ingiunto ma anche su tutte le questioni che il debitore avrebbe potuto sollevare in opposizione. Ad esempio, se il debitore non ha opposto eccependo la nullità del contratto o la prescrizione, non potrà più farlo in un secondo momento: il giudicato implicito copre quelle eccezioni non sollevate. L’unico limite è che restano sempre opponibili fatti estintivi successivi (ad es. prescrizione del titolo maturata dopo, pagamento effettuato dopo il decreto, ecc.). Ma non potrai mai riaprire discussioni su ciò che riguarda la fase anteriore al decreto. Quindi è come una sentenza a tutti gli effetti. La Cassazione lo ha ribadito più volte, di recente ad es. con ord. n. 8937/2024. Il consiglio per i debitori: non ignorare un decreto ingiuntivo pensando di poterti difendere poi, perché dopo non ci sarà più spazio, salvo rarissime eccezioni.
D: Quali sono i termini principali di decadenza da ricordare nel recupero crediti?
R: Alcuni li abbiamo citati: – 60 giorni dalla pronuncia per notificare un decreto ingiuntivo (pena inefficacia); – 40 giorni dalla notifica di un D.I. per fare opposizione (pena decadenza dal diritto di opporsi); – 90 giorni dalla notifica del precetto per iniziare il pignoramento (pena decadenza del precetto, da rinnovare). Ci sono poi i termini per le opposizioni esecutive: 20 giorni dalla notifica o conoscenza dell’atto esecutivo viziato per opposizione agli atti (art. 617 c.p.c.); per l’opposizione all’esecuzione invece se si basa su fatti precedenti al pignoramento va proposta prima dell’inizio, se su fatti successivi può essere proposta anche dopo ma preferibilmente entro l’udienza di comparizione. In generale, nei procedimenti monitori ed esecutivi i termini sono perentori e stretti, quindi è importante attivarsi velocemente. Per esempio, se il tuo bene va all’asta e vedi un vizio nell’avviso, non puoi aspettare mesi a contestarlo: quei 20 giorni corrono subito.
D: Cosa succede se il creditore interrompe la prescrizione con una raccomandata e il debitore non la ritira?
R: Se la raccomandata AR viene inviata all’indirizzo giusto ma il debitore non la ritira (avviso lasciato, poi “compiuta giacenza”), secondo la legge sulle notifiche postali comunque si considera consegnata (il 10° giorno di giacenza). Quindi l’interruzione si ritiene efficace perché la comunicazione è giunta nella tua “sfera di conoscibilità”. Diverso sarebbe se la lettera torna indietro per indirizzo sbagliato o destinatario sconosciuto: in tal caso non c’è stato affatto avviso al debitore, e la prescrizione non è interrotta. Quindi, se cambi indirizzo e non comunichi, il creditore che spedisce all’indirizzo vecchio non ti raggiunge e quell’atto non vale. Ma se arriva e tu semplicemente non vai in posta a ritirarla, la legge considera ciò un tuo onere: dopo la giacenza, la lettera si dà per ricevuta. In sintesi: non ritirare apposta la posta importante non serve ad evitare gli effetti legali (vale anche per multe, atti giudiziari, ecc.). La Cassazione ha più volte spiegato che conta la “conoscenza legale” dell’atto da parte del debitore, anche senza lettura effettiva. Resta il fatto che, se la lettera viene recapitata a un indirizzo dove non risiedi più, potrai contestare che non c’è stata conoscenza legale (perché avrebbero dovuto cercarti al nuovo domicilio, ad esempio).
D: Una volta che un credito è prescritto, posso eliminarlo?
R: Giuridicamente è come se fosse inesistente (non esigibile). Ma non esiste un “certificato di prescrizione” automatico. Se è un credito risultante da un contratto o documento, quel documento resta tale, solo che tu hai il diritto di opporre la prescrizione. Se, ad esempio, è iscritta un’ipoteca per un mutuo vecchio, per cancellarla dovrai o ottenere dal creditore un’assenso (cosa difficile se litigiosa) o far dichiarare dal giudice che il credito è prescritto ed estinto, così da cancellare anche l’ipoteca giudizialmente. Spesso i debiti prescritti permangono nei sistemi interni delle banche dati creditizie private per qualche anno con la dicitura “saldo a perdita” o simili, ma non hanno efficacia esecutiva. Se vuoi proprio eliminare tracce, a volte conviene trovare un accordo simbolico col creditore per chiudere la posizione (ma attento: anche una transazione minima è riconoscimento!). Insomma, la prescrizione è una difesa, non un atto che cancella il debito: tecnicamente il debito rimane come “obbligazione naturale” (dovere morale, non giuridico). Sta al debitore farla valere se il creditore pretende. Se il creditore è inerte, nulla accade. Quindi conserva sempre documenti che possano provare l’epoca delle cose, nel caso qualcuno rispunti anni dopo.
Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali
Di seguito elenchiamo le principali fonti citate o richiamate in questa guida, suddivise per categorie, per chi volesse approfondire direttamente i testi di legge o le decisioni menzionate.
Fonti normative (Codici e leggi)
- Codice Civile (R.D. 16/03/1942 n. 262): articoli sulla prescrizione e decadenza:
- Art. 2934 c.c.: Nozione generale di prescrizione (estinzione del diritto per inattività).
- Art. 2935 c.c.: Decorrenza della prescrizione (dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere).
- Art. 2936 c.c.: Inderogabilità delle norme sulla prescrizione (nullità di patti modificativi).
- Art. 2937 c.c.: (non citato sopra, disciplina la rinuncia alla prescrizione dopo che è compiuta).
- Art. 2938 c.c.: Prescrizione non rilevabile d’ufficio dal giudice.
- Art. 2941 c.c.: Sospensione della prescrizione in taluni rapporti (coniugi, genitori/figli, soci, etc.).
- Art. 2943 c.c.: Interruzione della prescrizione (atti equiparati alla costituzione in mora e atti giudiziari).
- Art. 2944 c.c.: Interruzione per riconoscimento del diritto da parte del debitore.
- Art. 2945 c.c.: Effetti dell’interruzione (nuovo periodo decennale, etc.).
- Art. 2946 c.c.: Prescrizione ordinaria decennale (per diritti non altrove indicati).
- Art. 2947 c.c.: Prescrizione breve quinquennale per il risarcimento del danno extracontrattuale; raccordo con prescrizione penale (commi 1-3).
- Art. 2948 c.c.: Prescrizione quinquennale per particolari crediti (rendite, annualità, pigioni, interessi, retribuzioni).
- Art. 2953 c.c.: Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi – trasformazione in prescrizione decennale dei diritti accertati con sentenza passata in giudicato o D.I. non opposto.
- Artt. 2954–2956 c.c.: Prescrizioni presuntive di 6 mesi, 1 anno, 3 anni (crediti di ospitalità, insegnanti, salari, commercianti, professionisti).
- Art. 2964 c.c.: Inapplicabilità di sospensione/interruzione alle decadenze.
- Art. 2966 c.c.: Rinunciabilità e non rilevabilità d’ufficio delle decadenze salvo patto contrario (norma tecnica).
- Codice di Procedura Civile: disposizioni rilevanti per procedure monitorie/esecutive:
- Art. 641 c.p.c.: Termine per l’opposizione a decreto ingiuntivo (40 giorni, termine perentorio).
- Art. 644 c.p.c.: Inefficacia del decreto ingiuntivo non notificato entro 60 giorni.
- Art. 647 c.p.c.: Esecutorietà del D.I. non opposto (diviene titolo esecutivo passato il termine).
- Art. 650 c.p.c.: Opposizione tardiva a D.I. per caso fortuito/forza maggiore (entro 10 gg dalla conoscenza).
- Art. 480 c.p.c.: Contenuto dell’atto di precetto (intimazione, indicazioni essenziali).
- Art. 481 c.p.c.: Termine di efficacia del precetto (90 giorni dalla notifica).
- Art. 615 c.p.c.: Opposizione all’esecuzione (prima o dopo inizio esecuzione, per contestare il diritto a eseguire).
- Art. 617 c.p.c.: Opposizione agli atti esecutivi (entro 20 gg per vizi formali degli atti).
- Art. 1193 c.c.: (sull’imputazione dei pagamenti, citato en passant).
- Art. 1495 c.c.: Decadenza dalla garanzia per vizi nella compravendita (8 giorni per denunciare, 1 anno per agire).
- Legge 742/1970 e succ. mod.: Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (spiega perché il termine di opposizione a D.I. notificato in agosto si sposta a settembre, ecc., ma non l’abbiamo trattato esplicitamente).
- Leggi speciali su titoli di credito:
- R.D. 14/12/1933 n. 1669 (Legge Cambiaria): Articoli 41 e segg. (termini di presentazione e protesto), art. 45 (azione cambiaria diretta 3 anni), art. 46 (azione di regresso 1 anno, recresso tra giranti 6 mesi).
- R.D. 21/12/1933 n. 1736 (Legge Assegni): Art. 32 (presentazione assegno bancario 8 gg stessa piazza, 15 gg fuori piazza); Art. 35 (possibilità di revoca pagamento dopo termine); Art. 65-66 (azioni di regresso assegno bancario, termini 6 mesi); Art. 84 (assegno circolare, prescrizione 3 anni).
- D.Lgs. 231/2002 (ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali): prevede interessi automatici di mora, non trattato diffusamente qui ma rileva se citato.
- Leggi di bilancio 2018 e 2020:
- L. 205/2017, commi 4-10 (prescrizione 2 anni per elettricità da 2018 e gas da 2019)
- L. 160/2019, art. 1 comma 295 e segg. (estensione prescrizione biennale acqua da 2020 e eliminazione eccezione utente moroso).
- Delibere ARERA (su obbligo avviso prescrizione in bolletta): es. Delib. 97/2018, Delib. 603/2021 (non citate direttamente, ma ARERA comunicato stampa 27/5/2020 che spiega la novità).
- Legge 3/2012 (sovraindebitamento) e D.Lgs. 14/2019 Codice della crisi (non citati in dettaglio ma menzionati).
- Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) art. 18 (tutela reintegrazione, per discorso sospensione prescrizione in costanza rapporto).
- Legge Fornero (L. 92/2012) e D.Lgs. 23/2015 (contratto a tutele crescenti) che hanno modificato scenario licenziamenti – citati indirettamente per questione decorrenza crediti di lavoro.
Principali pronunce giurisprudenziali citate:
- Cass., Sez. VI-3, ord. 30/04/2019 n. 11387: Ha escluso l’analogia dei termini assegno bancario per assegno circolare; conferma prescrizione triennale assegno circolare (art. 84).
- Cass., Sez. I, sent. 12/03/2018 n. 5889: Su assegno circolare non riscosso: triennio beneficiario vs banca e decorrenza decennale per richiedente dopo 3 anni.
- Cass., Sez. II, sent. 05/11/2013 n. 24759: (Massima in Brocardi) su prescrizione presuntiva credito commerciante per vendite al minuto.
- Cass., Sez. Un., sent. 15/06/2015 n. 12310: (Non citata direttamente, ma storica su 2953 c.c. applicabilità solo a atti autoritativi non opposti – questione tributi).
- Cass., Sez. III, sent. 01/08/2017 n. 19143: (citata in search [31]) su inefficacia notifica verbale sanzione per interruzione – principio simile in materia amministrativa.
- Cass., Sez. III, ord. 04/01/2024 n. 279: enuncia il principio: “l’effetto interruttivo della prescrizione esige la conoscenza legale dell’atto da parte del debitore”.
- Cass., Sez. III, ord. 17/04/2024 n. 8937: “decreto ingiuntivo non opposto fa giudicato anche sul titolo” e richiama principi su giudicato implicito (copre dedotto e deducibile).
- Cass., Sez. Lavoro, sent. 16/05/2012 n. 7640: (Massima citata) – crediti lavoro, onere prova stabilità reale e decorrenza prescrizione in costanza rapporto.
- Cass., Sez. Lav., sent. 10/03/2010 n. 5809: (Massima citata) – su rivendicazione qualifica dirigente e sospensione prescrizione finché vige tutela reintegra.
- Cass., Sez. Lav., sent. 05/05/2009 n. 19864: (Massima citata) – prescrizioni presuntive nel lavoro pubblico, obbligo busta paga non esclude presuntiva.
- Cass., Sez. Unite, sent. 11/07/2002 n. 10050: (non citata ma sul giudicato del D.I. non opposto equiparato a sentenza per 2953 c.c.).
- Cass., Sez. III, sent. 29/07/2011 n. 16658: (non citata ma afferma che notifica nulla interrompe se rinnovata entro termini ragionevoli, sennò no).
- Cass., Sez. III, sent. 18/11/2011 n. 24344: (non citata, su raccomandata non ritirata che interrompe perché giacenza).
- Cass., Sez. Trib., ord. 02/07/2024 n. 18152: (commentata da Studio Bianucci) su possibilità eccepire prescrizione cartelle in opp. esecuzione senza limiti temporali salvo interesse.
- Cass., Sez. V, sent. 19/09/2024 n. 25222: (massima in avvocato.it art. 2953) – tributi, se c’è giudicato su accertamento, niente decadenza breve ma prescrizione 10 anni actio iudicati.
- Cass., Sez. II, sent. 15/07/2021 n. 20262: (cita su StudioCerbone) – chiarisce ambito applicazione art. 2953 c.c., probabilmente su D.I. non opposto in materia sanzioni.
- Tribunale di Ascoli Piceno, sent. 25/10/2018 (Giud. Ionta): (citato in search [29]) – afferma che deposito ricorso monitorio oltre termine convenzionale (36 mesi in quell’esempio) non interrompe? Non chiarissimo.
- Corte Cost. sent. 63/1966: (non citata ma cardine: prescrizione crediti lavoro decorre in costanza rapporto se tutela reale; orientamento poi superato in parte da Cass. SU 2016 n. 10955).
- Cass. SU 22/05/2018 n. 12568: (non citata qui, su prescrizione crediti lavoro e mutamenti leg. Fornero, discorsi complessi).
- Giurisprudenza di merito varia: (Es. Trib. Castrovillari 05/12/2024 citato in [44], utile per frase su conoscenza legale).
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Conclusione
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