Quanto Costa La Composizione Negoziata Della Crisi D’impresa?

Stai valutando di avviare una Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa ma ti chiedi quanto costa davvero questa procedura? Hai paura che, essendo già in difficoltà economica, non riuscirai a sostenere le spese e che l’intero percorso sia riservato solo a chi ha già liquidità?

In realtà, la Composizione Negoziata è stata pensata proprio per aiutare le imprese in crisi, con costi contenuti e controllati, e con la possibilità – in certi casi – di ottenere contributi pubblici o pagamenti dilazionati.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi, risanamento aziendale e procedure stragiudiziali – ti spiega in modo chiaro quanto costa attivare la Composizione Negoziata, da cosa dipendono le spese e come gestirle in modo sostenibile, anche se l’impresa è in gravi difficoltà.

Vuoi sapere quanto costerebbe la Composizione Negoziata nel tuo caso specifico?

Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme la situazione della tua impresa, ti spiegheremo quali costi sono previsti, come ridurli o gestirli, e costruiremo una strategia legale concreta per risanare l’azienda, proteggere il patrimonio e ripartire senza rischi eccessivi.

Introduzione

La composizione negoziata della crisi d’impresa è un percorso volontario e stragiudiziale introdotto nell’ordinamento italiano nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021) e ora disciplinato dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato). Si tratta di uno strumento innovativo che consente all’imprenditore in difficoltà di avviare trattative riservate con i creditori, assistito da un esperto indipendente nominato tramite apposita piattaforma. Dal punto di vista del debitore, la composizione negoziata offre l’opportunità di cercare un risanamento dell’azienda al riparo da procedure concorsuali formali, evitando – almeno temporaneamente – gli effetti negativi che queste ultime comportano in termini di pubblicità e perdita di reputazione.

Ma qual è il costo di una composizione negoziata della crisi? In questa guida avanzata, aggiornata a giugno 2025, analizzeremo in dettaglio tutte le tipologie di costi connessi a questo istituto, con un taglio giuridico-divulgativo adatto a professionisti (avvocati, commercialisti), imprenditori e consulenti non giuristi. La prospettiva è quella del debitore: capire quali oneri economici dovrà sostenere l’impresa che intraprende la composizione negoziata, valutando il rapporto costi/benefici rispetto ad altre soluzioni.

Tratteremo:

  • Gli onorari e compensi dei vari soggetti coinvolti (in primis l’esperto indipendente nominato, ma anche gli eventuali consulenti e professionisti che assistono il debitore, e – se la situazione evolve in procedura concorsuale – i compensi di commissari o liquidatori).
  • I costi procedurali e le spese vive amministrative (contributi unificati, bolli, spese di pubblicazione, rimborsi spese).
  • I costi indiretti e gli effetti economici collaterali (ad es. impatto sulla reputazione aziendale, rapporti con clienti/fornitori, perdite di opportunità durante la crisi).
  • Le differenze di costo in base alla tipologia di impresa: confronteremo le situazioni di PMI, start-up innovative, imprese agricole e grandi imprese, evidenziando particolarità e agevolazioni eventualmente previste.
  • Gli aspetti fiscali: esamineremo le agevolazioni tributarie introdotte a favore di chi accede alla composizione negoziata (riduzione di sanzioni e interessi, dilazioni speciali, neutralità fiscale delle riduzioni concordate) e l’impatto su eventuali crediti d’imposta o contenziosi tributari in corso.
  • I riferimenti alla normativa italiana vigente (Codice della Crisi e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche, incluso il correttivo D.Lgs. 136/2024) e alla giurisprudenza più recente (sentenze di Cassazione, decisioni dei tribunali specializzati in materia concorsuale, linee guida CNDCEC e contributi della dottrina).
  • Tabelle riepilogative dei costi (ad es. schema delle tariffe dell’esperto, range medi dei compensi, confronto costi per diverse dimensioni d’impresa).
  • Simulazioni pratiche: esempi numerici concreti di imprese in crisi (una PMI manifatturiera, una start-up tecnologica, un’azienda agricola, una grande impresa industriale) con stime di costi nelle varie fasi.
  • Una sezione di Domande e Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti sui costi della composizione negoziata (chi paga l’esperto? quando? cosa succede se il debitore non può pagare? etc.).
  • Un elenco finale di fonti normative e dottrinali complete, per consentire approfondimenti e verifica dei riferimenti citati.

L’obiettivo è fornire una guida approfondita e aggiornata, con un linguaggio rigoroso ma accessibile. Ogni concetto tecnico sarà spiegato in modo comprensibile, mantenendo il taglio giuridico-divulgativo richiesto: i termini legali saranno chiariti e gli esempi pratici aiuteranno a contestualizzare le nozioni. Iniziamo dunque la nostra analisi dei costi della composizione negoziata, partendo da una panoramica generale e scendendo poi nel dettaglio delle singole voci di spesa.

Panoramica generale dei costi della composizione negoziata

Affrontare una composizione negoziata comporta una serie di costi, diretti e indiretti, che il debitore deve considerare attentamente. In generale, le categorie principali di costi sono:

  • Compenso dell’esperto indipendente: l’onorario dovuto all’esperto nominato per assistere le trattative. È determinato per legge in misura percentuale sull’attivo dell’impresa, con importi minimi e massimi predeterminati. A questo compenso possono aggiungersi maggiorazioni in caso di esito positivo delle trattative (accordi raggiunti) e rimborsi di spese vive documentate. Se la procedura si interrompe subito, è previsto un compenso forfettario ridotto. Il compenso dell’esperto è a carico dell’imprenditore e, in caso di successiva procedura concorsuale, gode di prededuzione, ossia ha priorità di pagamento. Vedremo nel dettaglio la struttura di tali compensi.
  • Costi procedurali e spese vive: pur essendo la composizione stragiudiziale, alcuni adempimenti comportano costi amministrativi. Ad esempio, se il debitore richiede al tribunale misure protettive (per sospendere azioni esecutive dei creditori durante le trattative), deve versare un contributo unificato al momento del ricorso. Attualmente tale contributo è relativamente contenuto (circa €98 per le istanze in materia di composizione negoziata, secondo prassi dei tribunali), in quanto equiparato a un procedimento di volontaria giurisdizione. Inoltre vi possono essere costi di bollo e diritti di segreteria per eventuali iscrizioni o pubblicazioni nel Registro delle Imprese (ad esempio la pubblicazione dell’atto di nomina dell’esperto o dell’esito delle trattative). In generale, si tratta di spese di importo limitato (nell’ordine di poche decine o qualche centinaio di euro). L’accesso alla piattaforma telematica nazionale per presentare l’istanza è gratuito, mentre è richiesto il possesso di firma digitale e PEC (strumenti di firma e comunicazione elettronica di cui l’impresa dovrebbe già dotarsi).
  • Compensi dei professionisti e consulenti del debitore: l’imprenditore spesso si avvale di un avvocato e/o di un dottore commercialista (o altro advisor finanziario) per essere assistito nella predisposizione del piano di risanamento, nella gestione delle trattative con i creditori e nelle eventuali istanze al tribunale. Questi professionisti negoziano liberamente il proprio compenso con il debitore. Non vi sono tariffe fisse di legge per tali consulenze, ma la congruità va valutata anche in rapporto alla situazione dell’impresa. In alcuni casi la giurisprudenza ha posto limiti: ad esempio, il Tribunale di Parma ha ritenuto che la somma dei compensi pattuiti con gli advisor del debitore non debba eccedere il compenso spettante all’esperto indipendente, dovendosi ridurre eventuali onorari superiori a tale parametro. Ciò per ragioni di equità e tutela dei creditori: un’impresa in crisi non può destinare ai propri consulenti importi sproporzionati rispetto a quanto riconosce al professionista terzo nominato per agevolare la soluzione della crisi. In pratica, i costi di assistenza professionale interna variano molto in base alla complessità del caso e alle tariffe di mercato, ma dovranno mantenersi proporzionati (per una PMI potrebbero ammontare a poche migliaia di euro; per un gruppo societario in crisi complessa, anche cifre più significative).
  • Costi indiretti della crisi e della procedura: oltre ai costi monetari diretti, la composizione negoziata comporta implicazioni economiche indirette. Ogni situazione di crisi può generare perdite di opportunità commerciali, difficoltà a mantenere i rapporti con clienti e fornitori, condizioni di credito più onerose (le banche potrebbero restringere affidamenti o applicare spread maggiori) e anche rischio di perdita di risorse umane chiave (dipendenti che lasciano l’azienda per l’incertezza). Fortunatamente, la composizione negoziata – essendo riservata e non soggetta alla pubblicità delle procedure concorsuali formali – mira proprio a minimizzare i costi indiretti di una ristrutturazione. Le trattative si svolgono in modo confidenziale, e persino l’eventuale concessione di misure protettive viene comunicata individualmente ai creditori senza clamore mediatico. Ciò riduce l’impatto reputazionale negativo rispetto a un fallimento o concordato pubblico. In termini di benefici indiretti, la composizione negoziata può stabilizzare la situazione finanziaria durante le trattative: ad esempio, dalla nomina dell’esperto gli interessi sui debiti fiscali si congelano al tasso legale, evitando che il debito con l’Erario lieviti durante il tentativo di risanamento. Esamineremo dettagliatamente queste misure premiali previste dalla legge. Tuttavia, qualora le trattative non abbiano esito positivo, un costo indiretto può essere il tempo perso: se l’impresa termina la composizione negoziata senza accordo, potrebbe trovarsi in condizioni economiche peggiori (ad es. con meno liquidità, per aver pagato costi procedurali, e con creditori ancora insoddisfatti) e dover comunque affrontare una procedura concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale) sostenendone i relativi costi aggiuntivi.
  • Compensi di commissari e altri organi in procedure collegate: la composizione negoziata in sé non prevede la nomina di commissari giudiziali, trattandosi di una fase stragiudiziale. Tuttavia, è importante considerare che questo percorso può sfociare in successivi procedimenti concorsuali (ordinari o “semplificati”). Ad esempio, se le trattative falliscono, l’imprenditore può proporre il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (procedura speciale introdotta proprio per l’esito negativo della composizione negoziata). In tal caso il tribunale nomina un ausiliario/commissario per supervisionare la liquidazione, il cui compenso verrà stabilito secondo i criteri di legge. Analogamente, se l’impresa accede a un concordato preventivo “tradizionale” o viene dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento), vi saranno compensi da riconoscere al commissario giudiziale e al curatore fallimentare. Tali compensi sono determinati dal tribunale sulla base dei parametri normativi (in genere percentuali sull’attivo e sul passivo realizzati, con scaglioni decrescenti all’aumentare delle masse). Ad esempio, il compenso di un commissario/curatore in una procedura concorsuale può variare da alcune migliaia di euro (per piccole masse) fino a centinaia di migliaia di euro per imprese molto grandi, secondo i decreti ministeriali vigenti. Pur non essendo costi “della composizione negoziata” in senso stretto, è utile averli presente come costi potenziali successivi qualora la composizione non risolva la crisi e si renda necessario un procedimento concorsuale formale. In questa guida faremo riferimenti comparativi per evidenziare il risparmio che spesso la composizione negoziata comporta rispetto alle procedure giudiziali (ad esempio evitando fin da subito i costi di un commissario) e al contrario quali costi aggiuntivi si attiverebbero in caso di fallimento o concordato.

Riassumendo, la composizione negoziata comporta costi significativi ma generalmente sostenibili, specie se confrontati con quelli di un’insolvenza giudiziale conclamata. Il costo chiave è il compenso dell’esperto, che la legge ha calibrato in proporzione alle dimensioni dell’impresa (e con un tetto massimo), proprio per adattarsi alle varie realtà aziendali. Vi sono poi costi accessori limitati (contributi, bolli) e costi opzionali legati alle scelte del debitore (l’ampiezza del coinvolgimento di consulenti privati). Al contempo, vi sono benefici economici incorporati nella procedura (incentivi fiscali e protezioni) che bilanciano in parte gli oneri. Nei paragrafi che seguono analizzeremo puntualmente ciascuna categoria di costo, fornendo dati, riferimenti normativi aggiornati e considerazioni pratiche. Inizieremo dal fulcro: il compenso dell’esperto indipendente.

Il compenso dell’esperto indipendente nella composizione negoziata

Chi è l’esperto negoziatore? Si tratta di un professionista terzo, indipendente e con specifiche competenze in materia di ristrutturazione aziendale, selezionato da una Commissione istituita presso le Camere di Commercio. L’esperto ha il compito di facilitare le trattative tra debitore e creditori, aiutando a individuare una soluzione per superare la crisi. Il suo compenso è disciplinato per legge, oggi all’art. 25-ter del Codice della Crisi (inserito dai correttivi alla riforma). La normativa ha stabilito criteri oggettivi e uniformi per calcolare l’onorario, così da dare prevedibilità sui costi.

Calcolo a scaglioni percentuali sull’attivo dell’impresa

Il compenso dell’esperto è determinato in misura percentuale sull’ammontare dell’attivo dell’impresa debitrice, secondo scaglioni progressivi (percentuali decrescenti all’aumentare del valore). Questo sistema ricorda quello dei compensi dei curatori fallimentari, adattato però al contesto negoziale e con soglie ad hoc. Ecco la griglia vigente (fonte: art. 16 L. 147/2021 di conversione del D.L. 118/2021, confermata dal Codice della Crisi):

  • Attivo fino a €100.000,00: compenso pari al 5,00% dell’attivo.
  • Parte di attivo da €100.000,01 a €500.000,00: compenso all’1,25% su questa frazione.
  • Parte di attivo da €500.000,01 a €1.000.000,00: compenso allo 0,80%.
  • Parte da €1.000.000,01 a €2.500.000,00: compenso allo 0,43%.
  • Parte da €2.500.000,01 a €50.000.000,00: compenso allo 0,10%.
  • Parte da €50.000.000,01 a €400.000.000,00: compenso allo 0,025%.
  • Parte da €400.000.000,01 a €1.300.000.000,00: compenso allo 0,008%.
  • Parte eccedente €1.300.000.000,00: compenso allo 0,002%.

Importante: indipendentemente dal risultato del calcolo percentuale, il compenso non può essere inferiore a €4.000,00 né superiore a €400.000,00. Dunque l’onorario dell’esperto è sempre compreso in questo range. La soglia minima garantisce un equo riconoscimento anche nei casi di imprese molto piccole; quella massima evita che, per realtà di grandissime dimensioni, il costo possa lievitare oltre misura (la percentuale ultima è talmente bassa – 0,002% oltre 1,3 miliardi – che comunque difficilmente si raggiungerebbe un importo superiore a €400.000, ma il legislatore ha voluto fissare un cap per chiarezza).

Come si determina l’“attivo” di riferimento? Si prende la media dell’attivo risultante dagli ultimi tre bilanci depositati (o, se l’impresa non ha tre bilanci, dalle ultime tre dichiarazioni dei redditi). Se l’attività è iniziata da meno di tre anni, si fa la media sui bilanci o dichiarazioni disponibili dall’inizio. Questo accorgimento serve a evitare distorsioni dovute a fluttuazioni annuali e a dare un parametro il più possibile rappresentativo delle dimensioni aziendali. Ad esempio, un’impresa attiva da un solo anno userà l’attivo del primo bilancio come base (o, in mancanza di bilancio approvato, una situazione patrimoniale aggiornata). L’esperto può richiedere tali dati documentali all’imprenditore; il recente correttivo 2024 ha persino previsto che, se il debitore non ha ancora ottenuto il certificato camerale dei debiti fiscali, possa temporaneamente allegare un’autodichiarazione per non ritardare l’istanza.

Di seguito una tabella riassuntiva degli scaglioni percentuali e del compenso risultante ai vari livelli (calcolato sull’importo massimo di ciascuna fascia):

Scaglione di attivo (€)Percentuale compensoCompenso sulla porzione di attivo dello scaglione (€)
fino a 100.0005,00%5.000 (5% di 100.000)
da 100.000,01 a 500.0001,25%5.000 (1,25% di 400.000)
da 500.000,01 a 1.000.0000,80%4.000 (0,8% di 500.000)
da 1.000.000,01 a 2.500.0000,43%6.450 (0,43% di 1.500.000)
da 2.500.000,01 a 50.000.0000,10%47.500 (0,1% di 47.500.000)
da 50.000.000,01 a 400.000.0000,025%87.500 (0,025% di 350.000.000)
da 400.000.000,01 a 1.300.000.0000,008%72.000 (0,008% di 900.000.000)
oltre 1.300.000.0000,002%– (calcolo aperto, ma con tetto max totale €400.000)
Minimo previsto4.000 (compenso minimo ex lege)
Massimo previsto400.000 (compenso massimo ex lege)

N.B.: il compenso effettivo si ottiene sommando gli importi di ciascuna fascia applicata all’attivo medio dell’impresa. Esempio: per un attivo di €1.000.000, il compenso sarà 5.000 + 5.000 + 4.000 = €14.000. Per un attivo di €50.000.000, sarà circa €68.000 come da somma in tabella. Importi oltre €10 miliardi di attivo raggiungerebbero il tetto di €400.000.

Questa struttura a scaglioni fa sì che imprese più piccole abbiano un compenso dell’esperto in valore assoluto più contenuto (pur pagando percentuali più elevate sui primi scaglioni), mentre grandi imprese pagheranno cifre maggiori ma a fronte di attivi molto ampi (percentuali ridotte). Ad esempio, un’impresa con attivo di soli €50.000 pagherà comunque il minimo di €4.000 (che in percentuale sul suo attivo è l’8%, riflettendo l’impegno minimo dell’esperto), mentre una con attivo di €500 milioni potrebbe pagare intorno a €155.000 (circa lo 0,03% dell’attivo, grazie alle percentuali decrescenti e al tetto massimo).

Va sottolineato che il compenso è calcolato per ciascuna impresa in caso di trattativa unitaria di gruppo: se più società di un gruppo accedono congiuntamente alla composizione negoziata (art. 13 D.L. 147/2021), l’esperto designato è unico ma si calcolano le percentuali sull’attivo di ciascuna impresa partecipante, sommando poi gli importi risultanti. Anche in tal caso, però, il compenso totale dell’esperto per l’intero gruppo non può essere inferiore a €4.000 né superiore a €400.000. Questo meccanismo permette operazioni di gruppo calibrando il compenso in base alla dimensione combinata, ma mantenendolo entro i limiti assoluti già visti.

Maggiorazioni del compenso in caso di successo delle trattative

La normativa incentiva l’esperto a produrre risultati concreti: sono previste maggiorazioni percentuali del compenso base se la composizione negoziata si conclude con determinati esiti “virtuosi”, ossia il raggiungimento di accordi o contratti che risolvono la crisi. In particolare (rif. art. 16 D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021):

  • Se durante o dopo la conclusione della composizione negoziata le parti perfezionano uno degli accordi di soluzione della crisi previsti dall’art. 11 commi 1 e 2 del D.L. 118/2021, il compenso dell’esperto è aumentato del 100% (raddoppiato). Gli accordi rilevanti a tal fine sono:
    • un contratto con uno o più creditori che, secondo la relazione finale dell’esperto, assicuri la continuità aziendale per almeno 2 anni (art. 11 co.1 lett. a, con effetti ex art. 14 D.L. 118/21);
    • una convenzione di moratoria ai sensi dell’art. 182-octies Legge Fall. (art. 11 co.1 lett. b);
    • un accordo di ristrutturazione sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto ai sensi dell’art. 11 co.1 lett. c, che produce gli effetti esimenti di cui all’art. 67, co.3, lett. d) L.F. (esenzione da azioni revocatorie).
    In altre parole, se grazie all’opera dell’esperto si arriva a un contratto di risanamento che garantisce la prosecuzione dell’attività, o ad un accordo formale con i creditori (come una moratoria o un piano di ristrutturazione attestato con firma dell’esperto), l’esperto vede raddoppiato il proprio onorario. Ciò riconosce il valore aggiunto del risultato ottenuto.
  • Inoltre, se l’esperto sottoscrive l’accordo ex art. 11 co.1 lett. c) (ossia il piano attestato con effetti protettivi sulle revocatorie), gli spetta un ulteriore incremento del 10% sul compenso determinato come sopra. Questa è una maggiorazione addizionale, che porta il compenso al 110% del base nel caso specifico in cui l’esperto apponga la propria firma su un piano di risanamento con efficacia di esdebitazione parziale (art. 67, co.3, lett. d, L.F.). Tale ruolo dell’esperto funge da garanzia di fattibilità del piano e viene ricompensato.

Riassumendo: raddoppio del compenso se la crisi si risolve con accordi contrattuali o moratorie o piani che garantiscano continuità, più un eventuale +10% se l’accordo è quello sottoscritto dall’esperto stesso. Ad esempio, se il compenso base calcolato era €20.000, in caso di esito positivo con un contratto di risanamento biennale l’esperto percepirà €40.000; se tale contratto è anche nella forma dell’accordo attestato sottoscritto, percepirà €44.000.

Diversamente, la legge scoraggia situazioni di mancata collaborazione: se l’imprenditore non compare davanti all’esperto (ossia, dopo aver attivato la procedura, si rende irreperibile o non partecipa al primo incontro) oppure se la composizione negoziata viene archiviata subito dopo il primo incontro per manifesta mancanza di presupposti, il compenso dell’esperto è liquidato forfettariamente in soli €500,00. Questa previsione evita che l’impresa abbandoni il percorso senza motivo dopo averlo avviato, garantendo comunque all’esperto un minimo per il tempo dedicato all’avvio. Su questo punto, il D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo) ha introdotto una modifica: non si applica più rigidamente un importo fisso di €500 in ogni caso di interruzione immediata, bensì si prevede che tale compenso possa variare tra €500 e un certo importo massimo (verosimilmente proporzionato al lavoro svolto prima dell’archiviazione). Ciò consente di adeguare il rimborso dell’esperto nei casi in cui, pur interrompendosi presto la procedura, l’esperto abbia già compiuto alcune attività significative prima del primo incontro formale. In ogni caso, €500 rimane la soglia minima per l’ipotesi di abbandono repentino.

Pagamento, rimborsi spese e prededuzione

Il compenso dell’esperto è a carico dell’imprenditore debitore. Tipicamente le modalità di pagamento vengono concordate tra le parti (ad esempio, l’imprenditore potrebbe dover versare un acconto e saldo, oppure l’intero importo a conclusione dell’incarico). In mancanza di accordo, è prevista una procedura: il compenso viene liquidato dalla Commissione presso la CCIAA (la stessa che ha nominato l’esperto), che determina l’importo dovuto secondo i criteri di legge, e tale importo diventa esigibile a carico del debitore. Questo meccanismo tutela l’esperto da eventuali contestazioni o inadempimenti del debitore, fornendo un organo terzo che stabilisce definitivamente quanto spetta.

All’esperto spetta inoltre il rimborso delle spese necessarie allo svolgimento dell’incarico, purché debitamente documentate. Ciò include, ad esempio, le spese di viaggio, vitto e alloggio (se l’esperto deve spostarsi), le spese di segreteria o di produzione di copie di documenti, eventuali costi per consulenze tecniche di supporto che l’esperto abbia ritenuto necessarie. Su questo ultimo punto, la norma specifica che non sono rimborsati gli esborsi sostenuti per remunerare soggetti di cui l’esperto si avvalga ai sensi dell’art. 4 co.2 D.L. 118/2021. In pratica, se l’esperto decide di farsi affiancare da altri consulenti o collaboratori di sua fiducia per svolgere al meglio il compito (ad esempio un perito estimatore, un legale, ecc.), il relativo costo non può essere scaricato sul debitore come “spesa” aggiuntiva: l’esperto dovrà eventualmente concordare una quota del suo compenso con questi ausiliari, ma non farla pagare extra all’imprenditore. Questa regola è importante per contenere i costi a carico del debitore: l’esperto deve svolgere personalmente (o con mezzi propri) l’incarico, senza creare ulteriori oneri salvo accordi diversi.

Dal punto di vista delle tutele di pagamento, il compenso dell’esperto (così come le sue spese) è considerato credito prededucibile in caso di apertura successiva di una procedura concorsuale sull’impresa. Ciò significa che se, dopo la composizione negoziata, l’azienda entra ad esempio in concordato preventivo o liquidazione giudiziale, l’esperto ha diritto a essere soddisfatto con precedenza sugli altri debiti (in pratica, il suo compenso verrà pagato con priorità dalla massa attiva prima di distribuire il residuo ai creditori). L’art. 25-ter CCII, co.12 prevede espressamente questa prededuzione. Tale status privilegia l’esperto e, indirettamente, rassicura gli esperti sull’accettare incarichi anche in situazioni critiche: se l’impresa non potesse pagare subito il compenso ma poi viene liquidata, l’esperto potrà insinuarsi nel passivo con prelazione e probabilmente recuperare quanto dovuto. Resta un caso problematico l’ipotesi in cui l’impresa esca dalla composizione negoziata e prosegua l’attività senza accedere ad alcuna procedura concorsuale ma allo stesso tempo non paghi spontaneamente l’esperto: in tal caso l’esperto dovrebbe agire giudizialmente per il pagamento come un normale creditore, non essendoci procedura. Fortunatamente è una situazione limite, mitigata dal fatto che spesso il pagamento dell’esperto è condizione per ottenere l’esito formale (ad esempio, difficilmente l’esperto sottoscrive un accordo finale se il suo onorario non è soddisfatto o garantito).

Esempio pratico di calcolo: Supponiamo una PMI con attivo medio di €1.200.000. Il compenso base sarà calcolato come: 5% su 100k = 5.000; 1,25% su 400k = 5.000; 0,8% su 500k = 4.000; 0,43% su restanti 200k = 860 (arrotondando all’euro) – totale base circa €14.860. Se la composizione si conclude con un accordo di ristrutturazione in continuità, l’esperto avrà diritto al doppio, cioè €29.720. Se l’accordo è anche sottoscritto dall’esperto come piano attestato, +10% = circa €32.700. Se invece la procedura fosse stata archiviata dopo il primo incontro, l’esperto prenderebbe solo €500 (ma come detto ora c’è margine per aumentare fino a qualche migliaio se aveva già svolto attività). In ogni caso, ponendo che la procedura sia durata 4 mesi con varie riunioni, questo compenso remunera l’intero lavoro dell’esperto in quella fase.

Confronto con costi di un commissario giudiziale: Per avere un’idea comparativa, ipotizziamo che la stessa impresa entri in concordato preventivo con attivo €1,2 milioni: il commissario giudiziale, secondo le tabelle DM, potrebbe ricevere – a spanne – un compenso attorno al 3-5% dell’attivo realizzato più qualche % sul passivo soddisfatto, probabilmente diverse decine di migliaia di euro (spesso > €20.000). Il compenso dell’esperto (€15k base) non è molto distante, ma a differenza del commissario (che interviene quando la crisi è conclamata), l’esperto agisce prima e contribuisce a evitare il fallimento. Inoltre, nella composizione negoziata c’è un solo compenso principale (quello dell’esperto), mentre un concordato preventivo coinvolge più ruoli retribuiti (commissario, attestatore del piano, legale per il ricorso, ecc.). Quindi, il vantaggio economico di tentare la composizione negoziata sta anche nel contenere il numero di figure retribuite e concentrare il costo su un singolo esperto, con parametri predefiniti.

In sintesi, il compenso dell’esperto è una voce di costo prevedibile (grazie alle percentuali di legge), proporzionata alla dimensione aziendale, e modulata per premiare il successo. Rappresenta spesso l’esborso più significativo per l’azienda nel corso della composizione negoziata, ma è giustificato dal ruolo cruciale che l’esperto svolge. Nel bilancio costi/benefici, molte imprese considerano che pagare un esperto per evitare il dissesto sia un investimento ben speso rispetto alla perdita ben maggiore che un fallimento comporterebbe.

Costi procedurali, contributi e spese vive

Pur essendo la composizione negoziata un percorso volontario extragiudiziale, in determinati momenti l’imprenditore può (o deve) interagire con l’autorità giudiziaria o con uffici pubblici, generando così costi amministrativi. Esaminiamo i principali:

Contributo unificato per misure protettive

Quando l’imprenditore deposita presso il tribunale l’istanza di misure protettive (art. 6 D.L. 118/2021, ora art. 20 CCII), ovvero la richiesta di sospendere temporaneamente le azioni esecutive dei creditori durante le trattative, si instaura un procedimento di volontaria giurisdizione. Per l’iscrizione a ruolo di tale procedimento è dovuto il contributo unificato previsto dal Testo Unico Spese di Giustizia (DPR 115/2002). In assenza di specifica voce tariffaria per la composizione negoziata, molti tribunali hanno equiparato queste istanze ad un procedimento camerale di volontaria giurisdizione di valore indeterminabile, applicando il contributo unificato minimo (attualmente €98,00). Ad esempio, il Tribunale di Roma con nota del marzo 2024 ha indicato in €98 il contributo dovuto per l’istanza ex art. 18 CCII (conferma misure protettive).

Va segnalato che la Legge di Bilancio 2025 ha modificato l’art. 14 del DPR 115/2002 imponendo agli uffici di non iscrivere a ruolo cause civili se il contributo unificato non è stato versato (nemmeno quelle di valore minimo). In pratica, anche quando è dovuto l’importo base (oggi €43 per cause di valore fino a €1.100, ma per i procedimenti camerali come questo di solito è €98), tale importo va sempre corrisposto. Ciò ha eliminato possibili incertezze del passato in cui talora il ricorrente poteva depositare e integrare il pagamento successivamente. Oggi, chi chiede le misure protettive deve anticipare il pagamento del contributo (tramite modello F23 o pagoPA, indicando il codice causale del procedimento). L’importo, come detto, è comunque modesto.

Oltre al contributo unificato, non sono previste altre spese di giustizia significative per queste istanze. Non si pagano marche da bollo ulteriori (il contributo assorbe i bolli), ma talvolta il tribunale potrebbe chiedere una marca da €27 per diritti forfettari di notifica se deve effettuare comunicazioni d’ufficio (anche se spesso le comunicazioni avvengono via PEC senza costi). In caso di reclamo contro il provvedimento sulle misure protettive (ad es. se viene negata la conferma e l’imprenditore reclama in corte d’appello), vi sarebbe un nuovo contributo unificato (solitamente pari a €98 anche in appello per questi procedimenti camerali).

Spese di pubblicità legale

La legge richiede che alcuni atti della composizione negoziata siano resi pubblici mediante iscrizione nel Registro delle Imprese tenuto dalle Camere di Commercio. In particolare, quando l’esperto accetta l’incarico, viene iscritta una comunicazione nell’apposita sezione riservata del Registro Imprese, così come eventuali provvedimenti sulle misure protettive vengono pubblicati (per opponibilità ai terzi). Anche l’esito della composizione negoziata (accordo raggiunto o archiviazione) è oggetto di pubblicazione se si attivano taluni effetti (ad es. la conclusione di un contratto ex art. 23 CCII va iscritta per ottenere i benefici fiscali).

Queste iscrizioni camerali comportano il pagamento di diritti di segreteria e imposta di bollo, secondo le tariffe ordinarie del Registro Imprese. I costi non sono elevati: orientativamente, la pratica di iscrizione della nomina dell’esperto prevede un diritto di segreteria di circa €90 e un bollo di €65 (per le società di capitali; importi ridotti per ditte individuali). Anche la pubblicazione finale di un accordo negoziato può avere costi simili. Complessivamente, quindi, le spese di registro legate alla procedura si aggirano nell’ordine di poche centinaia di euro. Spesso queste formalità sono curate dalla Camera di Commercio stessa o dal professionista incaricato, addebitando poi all’impresa tali importi.

Spese di comunicazione ai creditori

Durante la composizione negoziata, specialmente se si attivano le misure protettive, il debitore (o l’esperto, su delega) deve notificare o comunicare a ciascun creditore interessato l’avvenuta pubblicazione delle misure protettive e il loro contenuto. Questo per informare i creditori che non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari per il tempo concesso. Tali comunicazioni avvengono per lo più tramite PEC (posta elettronica certificata) per i creditori dotati di domicilio digitale, senza costi vivi. Per i creditori non PEC (es. persone fisiche), potrebbe rendersi necessaria una notifica a mezzo posta raccomandata o ufficiale giudiziario, con costi postali di qualche decina di euro. In generale, essendo la platea dei creditori tipicamente costituita da imprese o enti, la comunicazione via PEC copre la maggioranza dei casi a costo zero. Pertanto l’onere economico di questo adempimento è trascurabile, limitato a eventuali spese postali residue.

Costi di eventuali perizie o attestazioni interne

La legge non richiede al debitore di presentare una attestazione di fattibilità del proprio piano da parte di un professionista indipendente (come invece è obbligatorio nel concordato preventivo o negli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati). Nella composizione negoziata, il ruolo super partes è svolto direttamente dall’esperto nominato. Ciò significa che l’imprenditore, per accedere alla procedura, non deve sostenere i costi di un attestatore esterno del piano. Tuttavia, è necessario predisporre un piano di risanamento e un insieme di documenti iniziali (elenco creditori, situazione patrimoniale, ecc.) per presentare l’istanza sulla piattaforma. Molte imprese, specie le PMI, si avvalgono del proprio commercialista o consulente per redigere questo corredo documentale, il che genera un costo professionale (incluso nei compensi dei consulenti di cui sopra). Se l’impresa dispone di adeguate competenze interne, può limitare tali costi preparatori.

In alcuni casi, soprattutto per imprese di medie-grandi dimensioni, potrebbe essere utile commissionare perizie o valutazioni specifiche durante le trattative (ad es. una stima del valore di un asset da dismettere, o una fairness opinion su una proposta di aumento di capitale). Tali incarichi tecnici sono facoltativi e rientrano nella strategia negoziale: il loro costo dipenderà dal tipo di perizia e dal professionista incaricato. Ad esempio, una perizia di stima immobiliare può costare poche migliaia di euro, mentre una valutazione aziendale complessa anche decine di migliaia. Questi costi rientrano comunque nella categoria costi di consulenza decisi dal debitore, non obbligatori per legge.

Riassumendo i costi procedurali

La composizione negoziata ha il pregio di ridurre al minimo i costi “burocratici”: non vi sono spese di giustizia paragonabili a quelle di un fallimento (dove, ad esempio, va versato un fondo spese iniziale spesso di alcune migliaia di euro per attivare la procedura). Qui l’esborso procedurale principale è il modesto contributo unificato (€98) per eventualmente ottenere dal giudice protezione dai creditori. Altre spese vive (bollo, diritti) sono piccole. Molte fasi (presentazione istanza, colloqui con l’esperto, predisposizione del piano) non comportano oneri amministrativi. Questo rende la composizione negoziata accessibile anche a realtà economiche di dimensioni ridotte, che diversamente temerebbero i costi di ingresso di una procedura concorsuale.

Onorari dei professionisti e consulenti del debitore

Durante la procedura di composizione negoziata, l’imprenditore conserva la gestione dell’azienda e spesso sente la necessità di farsi assistere da propri consulenti di fiducia. Mentre l’esperto nominato opera in posizione di terzietà e non rappresenta gli interessi del debitore né dei creditori, il debitore può aver bisogno di supporto sia legale che economico-finanziario per interagire al meglio con l’esperto e con i creditori.

Assistenza legale

Un avvocato esperto in crisi d’impresa può essere prezioso al debitore per vari compiti:

  • Consigliare sulla strategia generale da adottare nelle trattative, valutando i rischi legali.
  • Redigere o verificare la documentazione da presentare (istanza di nomina dell’esperto, dichiarazioni richieste dalla legge, etc.).
  • Assistere nelle negoziazioni con i singoli creditori, eventualmente partecipando agli incontri assieme all’imprenditore.
  • Preparare eventuali accordi transattivi, contratti di moratoria o altri atti legali da far sottoscrivere ai creditori.
  • Rappresentare il debitore nelle istanze al tribunale (ad es. per ottenere misure protettive, o per convalidare accordi fiscali).

Questa attività legale viene remunerata secondo accordi privati tra il debitore e il suo avvocato. Possono essere concordati compensi fissi, a tempo (hourly fees) o a successo (success fee) a seconda dei casi. Non esistono tetti normativi per tali parcelle nell’ambito della composizione negoziata, ma come già accennato i giudici si aspettano che rimangano contenute e proporzionate alla crisi. Il Consiglio Nazionale Forense e il CNDCEC hanno emanato linee guida generali sulla congruità delle parcelle: per esempio, il CNDCEC (Pronto Ordini n.49/2023) ha ricordato che i Consigli degli Ordini possono valutare la congruità degli onorari dei commercialisti a richiesta, ma nel caso della composizione negoziata si è in un ambito contrattuale libero, sebbene soggetto al generale principio di adeguatezza del compenso.

In termini pratici, per una PMI in composizione negoziata l’assistenza legale potrebbe comportare onorari dell’ordine di qualche migliaio di euro (ad esempio €3.000-10.000), modulati in base al numero di riunioni, alla complessità delle questioni affrontate e all’eventuale necessità di predisporre accordi plurilaterali. Per casi più complessi (es. gruppi societari, molti creditori internazionali, rinegoziazione di contratti di finanziamento) i costi legali potrebbero salire proporzionalmente (anche €20-30.000 o oltre). Nelle grandi imprese, spesso l’azienda ha un proprio ufficio legale interno e consulenti legali già a libro paga; in altri casi incarica studi legali strutturati, con costi che possono facilmente superare €50.000 dato l’impegno intensivo richiesto su più fronti.

È opportuno evidenziare che le somme pagate ai legali non godono di prededuzione automatica in caso di successivo fallimento, a meno che i legali stessi non abbiano assistito l’impresa in un concordato poi aperto (in quel caso vi è prededuzione parziale al 75% per i crediti professionali sorti in funzione della domanda di concordato, ex art. 6 CCII). Se l’impresa resta in bonis, i legali sono semplici creditori chirografari per eventuali parcelle non saldate. Questo spinge gli avvocati a concordare pagamenti dilazionati ma garantiti entro la fine dell’incarico.

Assistenza economico-finanziaria (commercialisti, consulenti aziendali)

Sul versante aziendale, il debitore può aver bisogno di un dottore commercialista o di un advisor finanziario per:

  • Redigere il piano di risanamento e i relativi piani finanziari (spesso richiesti dall’art. 13 CCII, un’ipotesi è presentare un piano a 6 mesi per dimostrare la sostenibilità temporanea).
  • Effettuare analisi di fattibilità e predisporre l’informativa finanziaria da condividere con i creditori (ad esempio situazione aggiornata debiti/crediti, proiezioni di cassa).
  • Assistere l’imprenditore nel dialogo con banche e creditori finanziari, elaborando proposte tecniche di ristrutturazione del debito (piani di rientro, eventuali conversioni debito-equity, etc.).
  • Supportare dal punto di vista contabile e fiscale eventuali accordi (es.: calcolo esatto di interessi e sanzioni fiscali da stralciare con l’Erario, simulazione di impatto di remissioni parziali di debito sul bilancio, gestione di complicazioni IVA).

Anche per questi servizi, il compenso è libero. Spesso l’advisor finanziario concorda un fee di ingresso e poi un success fee legato all’esito (per esempio un bonus se si chiude un accordo con banche che eviti il default). La maggior parte delle PMI si affida al proprio commercialista ordinario, integrando il compenso annuo con una parcella extra per l’attività straordinaria. Ad esempio, un piccolo imprenditore agricolo potrebbe riconoscere al commercialista €2.000 aggiuntivi per seguirlo lungo i 6 mesi di composizione negoziata. Un’azienda più strutturata, con debiti bancari importanti, potrebbe ingaggiare un consulente di corporate restructuring per un compenso magari di €15.000-20.000, più un 1% dell’ammontare del debito ristrutturato in caso di successo.

È fondamentale che questi costi di consulenza rimangano ragionevoli e, come evidenziato dal Tribunale di Parma, non superino il compenso dell’esperto. In effetti, se il debitore spende più in consulenti propri che per il compenso dell’esperto nominato, vuol dire che sta forse sfruttando male lo strumento: la ratio della composizione negoziata è anche di semplificare la gestione della crisi, non di appesantirla con troppi consulenti. Detto ciò, la complessità di certe situazioni può richiedere competenze diversificate e l’imprenditore in crisi spesso non è da solo in grado di affrontare i tecnicismi – quindi un certo investimento in professionisti è giustificato.

Altri possibili costi indiretti legati ai consulenti

Un effetto collaterale dei costi professionali può manifestarsi se l’impresa è a corto di liquidità: pagare parcelle di consulenti durante la crisi potrebbe assorbire risorse che altrimenti sarebbero destinate ai fornitori o ad altri impegni, creando tensioni di cassa. Per questo, a volte gli advisor accettano pagamenti posticipati o subordinati al buon esito (come gesto di fiducia nel piano), oppure l’imprenditore può concordare con l’esperto e i creditori chiave che certe spese professionali siano inserite nel piano di risanamento (ad esempio pagate con nuova finanza o con incassi futuri). Tuttavia, formalmente i creditori non sono obbligati a farsi carico dei costi del debitore: è il debitore che deve in linea di principio sostenerli. Solo in un eventuale concordato successivo, i crediti dei professionisti del debitore possono venire considerati parzialmente prededucibili nei limiti di legge.

In conclusione, i costi per consulenti propri del debitore nella composizione negoziata possono variare da zero (se l’imprenditore procede in autonomia) a importi anche elevati (decine di migliaia di euro) per operazioni complesse. È essenziale valutarli in rapporto ai benefici: ad esempio, un bravo advisor finanziario può aiutare a ridurre l’esposizione debitoria di milioni di euro – giustificando ampiamente il suo compenso – mentre spendere soldi per consulenze non necessarie sottrarrebbe risorse al risanamento. La programmazione dei costi va dunque fatta con attenzione nel piano di crisi, tenendo anche conto che il fisco consente di dedurre fiscalmente i compensi pagati a professionisti (trattandoli come costi d’esercizio). Infine, grazie alla riservatezza della procedura, l’impresa può negoziare con i consulenti senza l’urgenza dettata da scadenze pubbliche stringenti, magari distribuendo i pagamenti in più tranche così da non pesare eccessivamente su un singolo periodo.

Costi indiretti e conseguenze economiche della procedura

Oltre ai costi “visibili” sin qui esaminati, un elemento cruciale nella gestione della crisi sono i costi indiretti. Questi sono oneri o perdite economiche non direttamente riconducibili a una fattura o a un compenso, ma che derivano dalle condizioni di crisi e dall’attivazione (o meno) della procedura di composizione negoziata. Capirne la natura aiuta l’imprenditore a prendere decisioni informate. Vediamo i principali costi (e benefici) indiretti:

Reputazione e fiducia del mercato

Quando un’azienda è in difficoltà finanziaria, il “mercato” – inteso come insieme di clienti, fornitori, finanziatori – tende a reagire negativamente appena la notizia circola. Si possono verificare:

  • Perdite di opportunità commerciali: alcuni clienti potrebbero ridurre gli ordini o rivolgersi ad altri fornitori per timore di affidarsi a un’impresa percepita come a rischio. Ciò genera mancati ricavi proprio quando servirebbero di più.
  • Peggioramento delle condizioni fornitore: i fornitori, saputo dello stato di crisi, potrebbero richiedere pagamenti anticipati o più rapidi, riducendo dilazioni e fidi commerciali. Questo aumenta le uscite di cassa a breve (un costo indiretto ma concreto).
  • Deterioramento del rating bancario: la banca potrebbe declassare l’azienda, aumentando gli interessi su linee di credito o revocando affidamenti. O, in caso di misure protettive attivate, segnalare la posizione in Centrale Rischi con effetti negativi (anche se le linee guida Abi invitano a valutare con equilibrio queste situazioni).
  • Perdita di reputazione in senso lato: l’impresa può subire un danno di immagine che ne riduce il potere negoziale (es. non viene più invitata a gare d’appalto, o i partner commerciali chiedono garanzie aggiuntive).

La composizione negoziata è stata progettata per mitigare questi effetti. Come evidenziato, le trattative sono discrete e non devono per forza diventare di pubblico dominio. Ad esempio, diversamente dal concordato preventivo (che implica l’iscrizione dello stato di crisi nel Registro Imprese e comunicazioni a tappeto a tutti i creditori), la composizione negoziata mantiene riservatezza: i creditori vengono contattati individualmente dall’esperto e dal debitore, e solo se si attivano misure protettive c’è una pubblicazione (comunque meno infamante di una dichiarazione di fallimento). Molti accordi negoziali possono concludersi senza che clienti e fornitori minori ne vengano mai a conoscenza. Questo è un vantaggio competitivo enorme: riduce i costi indiretti perché l’impresa può continuare ad operare quasi in normalità durante il tentativo di risanamento.

Certo, qualche segnale trapela: ad esempio, se l’azienda interrompe i pagamenti di alcuni debiti (grazie alle misure protettive), i creditori soggetti a sospensione se ne accorgono. Oppure se la stampa locale venisse a sapere della crisi (meno probabile senza atti giudiziari pubblici). Ma in generale, il contenimento del panico tra stakeholder è uno degli scopi della composizione negoziata.

Personale e risorse umane

Un’azienda in crisi rischia di perdere dipendenti validi, preoccupati per il futuro. Manager e maestranze chiave potrebbero cercare altrove stabilità. La composizione negoziata, durando pochi mesi e mirata a un risanamento rapido, consente di dare rassicurazioni al personale: si può comunicare internamente che è in corso un negoziato strutturato, con l’ausilio di un esperto nominato dalla Camera di Commercio, per mettere in sicurezza l’azienda. Questo può aiutare a trattenere i dipendenti, riducendo il costo indiretto di ricambio del personale. Inoltre, se la crisi si risolve, l’impresa evita i costi sociali di un’eventuale procedura concorsuale (licenziamenti, CIGS, etc.). Tuttavia, se le trattative falliscono e sfociano ad esempio in un fallimento, il personale affronterà comunque conseguenze negative – ma a quel punto il costo è inevitabile. Dunque il beneficio indiretto sta nella chance di salvare posti di lavoro grazie al risanamento tempestivo.

Condizioni finanziarie durante la procedura

Durante la composizione negoziata, grazie alle misure protettive, l’azienda può ottenere un temporaneo sollievo finanziario: i creditori non possono escutere crediti, pignorare beni o risolvere unilateralmente contratti essenziali (ad esempio contratti di fornitura) per la durata delle misure. Questo congelamento delle azioni esecutive ha l’effetto di evitare esborsi immediati forzosi (pignoramenti di conto, sequestri) e di preservare la continuità aziendale. È un beneficio economico indiretto: pur dovendo pagare i fornitori per le forniture correnti, l’azienda è protetta da aggressioni sul pregresso, guadagnando tempo prezioso. Naturalmente, durante le trattative il debitore deve comunque mantenere fede agli impegni correnti (non può smettere di pagare tutto e aspettarsi di non subire conseguenze), ma con il supporto dell’esperto può convincere molti creditori ad attendere o a negoziare piuttosto che agire impulsivamente.

Un’altra importantissima misura premiale prevista è la riduzione degli interessi di mora sui debiti fiscali: dalla data di accettazione dell’incarico da parte dell’esperto, gli interessi sui debiti tributari dell’imprenditore si riducono al tasso legale (attualmente 5% annuo) invece che maturare ai tassi ordinari ben più alti. Ad esempio, se l’azienda aveva cartelle esattoriali in corso, durante la composizione negoziata gli interessi di mora (che dal 2022 sarebbero al 6% circa) scendono al 5%. In passato il tasso legale era inferiore a quello di mora, quindi il risparmio era notevole; oggi i tassi di mercato sono cresciuti, ma comunque la norma evita sanzioni e maggiorazioni. Importante: questo beneficio è temporaneo e condizionato al buon esito – se la composizione fallisce e finisce in liquidazione, il Fisco ricalcolerà gli interessi come se non ci fosse stata riduzione (comma 6 art. 25-bis CCII). Quindi è un incentivo a concludere positivamente.

In caso di successo, invece, scattano anche ulteriori benefici fiscali definitivi: se la trattativa produce un accordo o piano che viene pubblicato nel Registro delle Imprese, le riduzioni di debiti fiscali concordate non sono tassate come sopravvenienze attive (cioè il debitore non paga IRPEF/IRES sul debito fiscale annullato); inoltre le eventuali perdite su crediti subite dai creditori diventano deducibili e l’IVA sui crediti non incassati è detraibile (questo riguarda più i creditori, ma facilita la negoziazione). Sono misure volte a ridurre i costi indiretti futuri: il debitore risanato non si trova un carico fiscale sul “guadagno” da stralcio debiti.

Rischio di esito negativo e costi conseguenti

Un costo indiretto da mettere in conto è il costo dell’insuccesso. Se la composizione negoziata non porta ad alcun accordo e viene archiviata, l’imprenditore avrà comunque:

  • Perso tempo (es. 6 mesi) in cui magari la situazione aziendale può essere peggiorata (i ricavi non sono risaliti, i costi della crisi sono aumentati).
  • Sostenuto i costi diretti (compenso esperto, consulenti) che a quel punto diventano un ulteriore debito da pagare.
  • Differito soluzioni alternative: ad esempio, avrebbe potuto presentare prima un concordato o trovare investitori in altro modo.

Questo scenario negativo purtroppo talvolta accade. Per mitigarlo, la legge consente all’esperto di chiudere prima del termine se capisce che non c’è prospettiva (per evitare di sprecare tempo e denaro inutilmente). Inoltre, l’esperto può suggerire vie alternative: ad esempio, se l’azienda è insolvente senza speranza, l’esperto nella relazione finale può suggerire il concordato semplificato (liquidazione), in modo da traghettare rapidamente alla soluzione concorsuale con procedure ridotte. In quel caso, i costi diretti sostenuti (esperto) non sono sprecati, perché l’esperto continua ad avere un ruolo (fornisce un parere al tribunale nel concordato semplificato) e la procedura formale parte subito dopo, evitando una “terra di nessuno” in cui l’azienda resti scoperta. Certo, il passaggio a concordato comporterà i costi di quest’ultimo (commissario/liquidatore, spese di procedura), ma almeno si riduce l’intervallo temporale in cui l’azienda sarebbe rimasta in limbo.

Da notare: la Cassazione (Sez. I) con ord. n. 3634/2025 ha chiarito che la pendenza di una composizione negoziata – anche con misure protettive in atto – non obbliga il tribunale a rinviare l’udienza prefallimentare né sospende di diritto la dichiarazione di fallimento. Ciò significa che se, mentre il debitore tenta la composizione negoziata, un creditore (o il PM) aveva già chiesto il fallimento, il giudice può comunque procedere e dichiarare il fallimento senza attendere l’esito delle trattative (ovviamente valutando caso per caso la situazione). Questo introduce un rischio: il debitore potrebbe ritrovarsi dichiarato fallito durante la composizione negoziata. In tal caso i costi diretti sostenuti (esperto, consulenti) diventano parte del passivo (l’esperto sarà prededucibile, i consulenti magari no), e l’obiettivo di risanamento sfuma. Per prevenire ciò, è fondamentale che il debitore, quando presenta l’istanza di nomina dell’esperto, richieda subito le misure protettive e ottenga un provvedimento di inibitoria del fallimento ex art. 6 co.4 D.L. 118/2021. Tale norma stabilisce infatti che, se le misure protettive sono richieste, non può essere pronunciata sentenza di fallimento fino alla conclusione delle trattative. Le corti di merito hanno confermato che il divieto di dichiarare fallimento opera anche per istanze presentate da creditori particolari (es. lavoratori) e senza necessità che le misure siano già confermate in sede giudiziale. Tuttavia, il caso di Cassazione 2025 citato pare riferirsi a una situazione in cui forse le misure protettive non erano state efficacemente attivate o c’erano vizi procedurali. In ogni caso, il messaggio pratico è: attivare la composizione negoziata con prudenza non elimina completamente il rischio di procedure concorsuali parallele, quindi l’imprenditore deve coordinarsi con i propri legali per usare tempestivamente tutti gli strumenti di protezione offerti dalla legge. Se fatto correttamente, i sei mesi di trattative dovrebbero svolgersi senza l’incubo di un fallimento improvviso, il che è un beneficio intangibile enorme.

Sintesi sui costi indiretti

I costi indiretti di una composizione negoziata ben gestita risultano inferiori rispetto a quelli che si avrebbe lasciando precipitare la situazione in un’insolvenza incontrollata. Come osservato in dottrina, gli accordi stragiudiziali confidenziali offrono “inequivocabili vantaggi di costo” rispetto ai procedimenti giudiziari, perché evitano gran parte delle perdite di valore collegate alla pubblicità e alla litigiosità delle soluzioni formali. Naturalmente, l’azienda in crisi qualche danno lo subisce comunque (riduzione del volume d’affari, tensioni interne, ecc.), ma la composizione negoziata rappresenta lo strumento per minimizzare tali danni e anzi creare un contesto protetto in cui lavorare al rilancio. Se la soluzione va in porto, l’impresa può ripartire senza i fardelli finanziari e con reputazione in parte salva (spesso i partner neppure vengono a sapere di dettagli, solo vedono l’azienda rispettare i nuovi accordi). Se invece purtroppo non c’è soluzione, almeno si è contenuto il disordine: la transizione verso la liquidazione avviene con un certo ordine (grazie anche al lavoro preparatorio dell’esperto), riducendo i contenziosi e i costi indiretti di un fallimento caotico.

In definitiva, nel valutare “quanto costa” la composizione negoziata, l’imprenditore dovrebbe considerare anche quanto costa NON farla: a volte l’alternativa è l’aggravarsi della crisi con perdita di valore dell’impresa, esecuzioni multiple, procedure concorsuali d’urto – scenari i cui costi (economici e sociali) superano di gran lunga l’esborso necessario per un tentativo ordinato di risanamento. La composizione negoziata è concepita proprio per minimizzare i costi indiretti del dissesto e preservare il valore aziendale, quindi i costi diretti che richiede vanno inquadrati come investimento per evitare ben maggiori perdite.

Differenze di costo in base alla tipologia di impresa

Ogni impresa è diversa, e l’incidenza dei costi della composizione negoziata può variare sensibilmente a seconda della natura, dimensione e forma giuridica dell’azienda. La normativa cerca di adattarsi ai vari casi (ad esempio con soglie di attivo per i compensi, con procedure semplificate per le imprese minori, ecc.). Di seguito esamineremo come i costi si declinano per:

  • Piccole e Medie Imprese (PMI) commerciali (fallibili).
  • Imprese sotto-soglia e start-up innovative (non fallibili, soggette a sovraindebitamento).
  • Imprese agricole.
  • Grandi imprese e gruppi societari.

PMI commerciali

Le PMI costituiscono il bacino principale di applicazione della composizione negoziata. Parliamo di imprese solitamente con fatturato sotto 50 mln e meno di 250 dipendenti (secondo la definizione UE), spesso a carattere familiare o comunque non multinazionali. Queste imprese:

  • Accesso alla procedura: Le PMI commerciali (non micro-imprese sotto-soglia) sono soggette a fallimento in caso di insolvenza, quindi la composizione negoziata per loro è uno strumento di allerta e soluzione prima di arrivare al fallimento. I costi di accesso sono limitati (come visto, istanza online gratuita, contributo di €98 se misure protettive).
  • Compenso esperto: La maggior parte delle PMI rientra in fasce di attivo medio-basse. Ad esempio, una PMI con attivo di €1-5 milioni pagherà all’esperto tra circa €10.000 e €20.000 (salvo success fee). Questa cifra è generalmente molto più bassa del costo che la stessa PMI sosterrebbe in un fallimento o concordato: basti considerare che in un fallimento l’attivo di qualche milione potrebbe generare decine di migliaia di euro di compenso al curatore + spese legali, ecc. Inoltre, molte PMI beneficiano del minimo legale di €4.000 perché hanno attivi ridotti (capita per micro imprese). Dunque per la gran parte delle PMI, l’onorario dell’esperto è sostenibile e commisurato.
  • Consulenti: Le PMI spesso hanno un commercialista di fiducia che le segue da anni. Questi professionisti conoscono l’azienda e possono assistere nella composizione negoziata con costi aggiuntivi moderati (spesso concordati in qualche migliaio di euro). Alcune PMI più strutturate potrebbero coinvolgere anche un legale esterno per la negoziazione con banche e grandi fornitori, ma dato che la controparte tipica è la banca o l’agente della riscossione, i commercialisti spesso riescono a gestire il tutto (con risparmio di costi legali). In generale, la PMI cercherà di limitare i costi di consulenza, avendo risorse finanziarie limitate durante la crisi. Un buon commercialista può fungere da “tuttofare” (piano, consulenza fiscale, interfaccia con l’esperto), riducendo la necessità di molteplici specialisti.
  • Agevolazioni fiscali: Le PMI possono trarre pieno vantaggio dalle misure premiali fiscali (riduzione sanzioni, interessi al minimo, dilazioni fino 120 rate). Ad esempio, per una PMI che ha debiti IVA e INPS, il fatto di poter chiedere 10 anni di rateizzazione con la firma dell’esperto rappresenta un enorme sollievo di cassa: €100.000 di debito rateizzati in 120 rate significano ~€833 al mese più interesse legale, rispetto a €8.333 al mese in 12 rate standard – la differenza può decidere la sopravvivenza. Quindi i costi indiretti (interessi risparmiati) superano i costi diretti (esperto) in molti casi. Inoltre, la PMI spesso ha patrimoni personali del titolare coinvolti (fideiussioni, garanzie): riuscire a negoziare nella riservatezza può evitare il tracollo personale dell’imprenditore, altro aspetto non quantificabile strettamente in euro ma di enorme rilevanza.
  • Procedure successive: Se la PMI non riesce nel risanamento, finirà in liquidazione giudiziale (fallimento) o potrà proporre un concordato preventivo. In tal caso, i costi non sostenuti prima si ripresenteranno (curatore, giudice delegato, ecc.). Tuttavia, esiste anche la via intermedia del concordato semplificato post-composizione negoziata: qui i costi sono ridotti perché non c’è il voto dei creditori, ma c’è pur sempre un liquidatore nominato dal giudice con un compenso. In ogni caso, per una PMI scegliere la composizione negoziata significa provare a evitare quei costi e salvare valore: se riesce, i creditori possono perfino accettare riduzioni di crediti in cambio della continuità (cosa che in fallimento avrebbero come perdita secca).
  • Esempio PMI: consideriamo una srl manifatturiera con 20 dipendenti, attivo €800.000 e debiti totali €1,2 milioni (di cui €200k fiscali, €500k verso banche, il resto fornitori). Avvia la composizione negoziata. Costi: contributo unificato €98; compenso esperto calcolato ~€12.000; compenso commercialista advisor €5.000; legale €4.000; spese varie €500. Totale ~€21.600. Benefici se successo: banca rinuncia a 20% credito (risparmio €100k), Fisco sconta sanzioni e interessi (€30k risparmiati), fornitori convertono €50k crediti in strumenti partecipativi (non escono cassa). L’azienda ottiene 4 anni di dilazione sui debiti tributari grazie all’esperto (contro i 2 standard), risparmiando interessi di mora per circa €5k. E soprattutto continua l’attività, mantenendo fatturato e valore avviamento. A fronte di ciò, €20k di costi appaiono ben spesi. Se invece non avesse fatto nulla: fallimento, costi diretti 0 per lei (anticipa lo Stato il curatore) ma i creditori avrebbero perso molto di più e l’imprenditore l’azienda. Il paragone evidenzia la convenienza.

In sintesi, per le PMI i costi della composizione negoziata sono commisurati alla scala aziendale e le misure di supporto (fiscali e procedurali) sono proprio pensate per queste realtà. Anche normative correlate come l’obbligo degli adeguati assetti (art. 3 CCII) e gli alert interni erano indirizzate a far emergere prima la crisi nelle PMI. La composizione negoziata è lo sbocco naturale e i costi non dovrebbero scoraggiare l’utilizzo da parte di un’impresa seriamente intenzionata a risanarsi.

Imprese “sotto soglia” e Start-up innovative

Le imprese sotto-soglia sono quelle molto piccole che, per legge, non sarebbero soggette a fallimento (art. 2 L.F. previgente, ora requisiti art. 1 CCII): tipicamente ditte individuali o società con attivo inferiore a €300k, ricavi sotto €200k, debiti sotto €500k (basta superare uno di questi per essere sopra soglia). Queste imprese in caso d’insolvenza rientrano nelle procedure di sovraindebitamento (ora concordato minore o liquidazione controllata). Analogamente, le start-up innovative godono per legge (D.L. 179/2012) di un’esenzione temporanea dalle procedure concorsuali ordinarie: finché hanno i requisiti di start-up, se insolventi vengono trattate come sovraindebitate. Anche alcuni professionisti e imprenditori individuali non commerciali ricadono in questo ambito.

Ebbene, la composizione negoziata è stata resa accessibile anche a queste categorie. Il D.L. 118/2021 ha infatti equiparato, ai fini della composizione negoziata, l’imprenditore agricolo (tradizionalmente non fallibile) e l’imprenditore minore all’imprenditore commerciale fallibile. Quindi nessuna impresa è esclusa in via di principio dalla composizione negoziata: può accedervi il piccolo artigiano, l’imprenditore agricolo, la start-up, ecc..

Come si riflettono i costi per loro?

  • Dimensione ridotta, compenso esperto comunque minimo €4.000: Se l’impresa ha attivo molto basso (poniamo €50.000 per una start-up early stage), il 5% sarebbe €2.500 ma per legge l’esperto prenderà €4.000 minimo. Quindi per queste micro realtà il compenso dell’esperto è un costo relativamente alto in proporzione alla taglia aziendale. È però un investimento per cercare di salvare l’impresa. C’è da dire che spesso tali imprese hanno una struttura semplice, pochi creditori, e la procedura potrebbe concludersi prima del termine se si vede che non c’è massa critica per soluzioni complesse. Non di rado, l’esperto in questi casi può agire quasi come un mediatore rapido, e se l’imprenditore è inattivo da oltre un anno può direttamente consigliare la chiusura e archiviare (ricordiamo che la composizione negoziata non è ammessa se l’azienda ha cessato attività da oltre 12 mesi).
  • Consulenti: Micro-imprese e ditte individuali spesso non possono permettersi costosi consulenti. Fortunatamente, il portale di composizione negoziata fornisce già strumenti (come un test per valutare la situazione di crisi) e l’esperto stesso indirizza l’imprenditore nei passi da compiere. Quindi molti piccoli imprenditori affrontano la procedura affiancati solo dal proprio consulente contabile usuale (già pagato con modesto compenso annuale) o da un’associazione di categoria. Il costo consulenziale aggiuntivo può essere nullo o minimo. Ad esempio, una start-up innovativa spesso è seguita da incubatori o consulenti pro-bono; un artigiano sotto-soglia può appoggiarsi alla locale associazione artigiani per assistenza.
  • Benefici e incentivi: Anche le micro-imprese sovraindebitate beneficiano delle misure premiali fiscali (riduzioni sanzioni, interessi legali, ecc.). Inoltre, se concludono accordi, vi è la neutralità fiscale delle remissioni. Dunque, ad esempio, una start-up innovativa con un debito verso un investitore potrà negoziarne la riduzione senza temere di doverci pagare tasse sopra (il che sarebbe paradossale).
  • Esito negativo: Se la composizione negoziata non riesce, queste imprese attiveranno le procedure di sovraindebitamento. Ad esempio, un imprenditore agricolo potrà proporre un concordato minore o subire una liquidazione controllata. I costi di tali procedure sono spesso inferiori ai fallimenti (ma comunque prevedono un OCC o un liquidatore con compensi da tabella). In ogni caso, è meglio provarci: come evidenziato in dottrina, l’imprenditore agricolo di qualsiasi dimensione può ora percorrere la strada della composizione negoziata prima di dover approdare al concordato minore semplificato.
  • Start-up innovative: Per le start-up, c’è una considerazione aggiuntiva: se la crisi avviene nei primi anni, la legge consente loro di scegliere se utilizzare le procedure da sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata) o rinunciare allo status di start-up e accedere a concordato/fallimento ordinari. La composizione negoziata offre una via di mezzo informale e flessibile, molto adatta a start-up che spesso hanno creditori particolari (es. investitori equity, fornitori hi-tech) per trovare soluzioni creative (conversione di debiti in quote, nuovi apporti). I costi per una start-up potrebbero essere affrontati con l’aiuto dei soci stessi (che magari finanziano il pagamento dell’esperto pur di tentare il rilancio). Non sono rari i casi di startup che in crisi hanno utilizzato strumenti simili a piani attestati: ora con l’esperto a disposizione il processo è più strutturato e credibile anche verso terzi.

Caso esempio: un giovane imprenditore individuale (sotto soglia) con un negozio artigianale ha debiti per €150.000 (affitto arretrato, qualche fornitore, debiti personali). Avvia la composizione negoziata: paga €4.000 all’esperto, niente consulenti aggiuntivi, ottiene misure protettive. L’esperto aiuta a negoziare col locatore una dilazione del debito affitti in 3 anni e con i fornitori un pagamento parziale al 60%. Il Fisco (ha €20k di cartelle) concede 5 anni di rate con sanzioni ridotte al minimo. Totale spesa diretta €4.000, debiti ridotti di decine di migliaia e negozio salvo. Se fosse andato in liquidazione controllata: avrebbe nominato un OCC, spese procedurali e probabilmente chiusura dell’attività (costi sociali, zero per creditori chirografari). Si vede come la composizione negoziata può “valere la candela” anche per i piccoli.

In conclusione, per le imprese non fallibili e start-up, i costi fissi (minimo €4k) possono sembrare relativamente alti, ma le soluzioni offerte e la flessibilità sono un valore aggiunto. Non a caso, il legislatore ha integrato la composizione negoziata tra gli strumenti di sovraindebitamento con il correttivo 2024, introducendo anche per queste procedure l’istituto della transazione fiscale semplificata. Ciò denota la volontà di rendere accessibile e conveniente questo percorso anche al “piccolo” imprenditore.

Imprese agricole

Le imprese agricole meritano un focus specifico. Fino a poco tempo fa, l’imprenditore agricolo (coltivatore diretto, azienda agricola, società agricola) era escluso dalle procedure concorsuali ordinarie, a prescindere dalle dimensioni. Un grande latifondista con milioni di fatturato non poteva essere dichiarato fallito (salvo esercitasse prevalentemente anche attività commerciale). Il Codice della Crisi ha mantenuto questa impostazione: le imprese agricole, se insolventi, ricadono nelle procedure da sovraindebitamento, cioè concordato minore o liquidazione controllata.

La composizione negoziata, però, è stata resa disponibile a tutte le imprese agricole indipendentemente da forma e dimensione. Ciò rappresenta per il settore agricolo una chance notevole: per la prima volta anche un grande imprenditore agricolo può affrontare la crisi con uno strumento di negoziazione strutturato, anziché limitarsi al piano del consumatore o accordo di ristrutturazione dei debiti ex L.3/2012 come in passato. Ad esempio, un’azienda vitivinicola importante può attivare la composizione negoziata e trattare coi creditori con l’ombrello delle misure protettive – opportunità che prima non aveva.

In termini di costi:

  • L’imprenditore agricolo sostiene i medesimi costi di una PMI di pari dimensione. Se è un piccolo coltivatore, rientra nel caso sotto soglia di cui sopra (€4k minimo esperto). Se è una cooperativa agricola con attivo di qualche milione, pagherà secondo gli scaglioni come una PMI analoga (ad es. attivo €5M => compenso esperto ~€10-15k).
  • Spesso le imprese agricole sono assistite da CAA o associazioni di categoria (es. Coldiretti). Queste organizzazioni offrono consulenza e potranno affiancare l’imprenditore nella composizione negoziata, probabilmente a costi calmierati o compresi nelle quote associative. Quindi il costo consulenti potrebbe essere ridotto rispetto a un’impresa industriale che va dal big four.
  • Un costo potenziale per l’agricoltore è se deve gestire contratti di affitto di terreni o quote PAC etc. La composizione negoziata può coinvolgere queste tematiche (ad es. un creditore potrebbe essere un proprietario terriero). L’esperto qui gioca molto da mediatore, e l’assenza di una procedura concorsuale vera evita perdita di licenze o titoli PAC. Quindi i costi indiretti (mantenimento diritti agronomici, continuità colture) sono ridotti grazie alla natura negoziata.
  • Se l’esito è negativo, l’agricoltore potrà proporre un concordato minore. Attenzione: il CCII ha previsto espressamente il concordato semplificato per l’imprenditore agricolo post-negoziazione. Quindi esiste uno sbocco dedicato: l’agricoltore può depositare una proposta di concordato liquidatorio semplificato se le trattative falliscono, con nomina di liquidatore da parte del tribunale. I costi di quel concordato saranno comunque presenti (liquidatore e suo compenso, spese di giustizia), ma l’esperto avrà già predisposto relazione e parere, facilitando la procedura.
  • Transazione fiscale agricola: Il correttivo 2024 ha chiarito che anche nelle trattative della composizione negoziata si può trattare il debito fiscale (prima non era previsto). Questo è cruciale per gli agricoltori, che spesso hanno debiti con enti previdenziali come l’ENPAIA o l’INPS coltivatori diretti. Ora possono includere questi crediti pubblici in un accordo. Non è un costo, anzi è un beneficio (poter stralciare o dilazionare), ma va menzionato perché evita il “costo indiretto” di dover comunque pagare per intero le pretese fiscali come accadeva se uno faceva solo un piano artigianale.

Esempio agricolo: Azienda cerealicola, società semplice, con debiti €800k (di cui €200k con banca, €100k fornitore sementi, €50k consorzio bonifica, €50k fisco, resto vari). Attivo sui 1,5 milioni (terreni in proprietà valutati). Compenso esperto ~€6.000. L’associazione agricoltori la assiste per €3.000. Durante la negoziazione, l’azienda ottiene di vendere un appezzamento non strategico con autorizzazione del giudice (l’esperto chiede autorizzazione ex art. 21 CCII) e ricava €300k che mette a disposizione per chiudere con banca e fornitore a saldo e stralcio (queste operazioni richiedono pareri, ma evitano fallimento). Fisco accetta moratoria e riduce sanzioni. L’esperto conclude con successo: compenso raddoppiato a €12.000. Costo totale pagato: ~€15k, azienda salva con riduzione debiti di oltre €300k. Se non avesse avuto la composizione, magari la banca pignorava i terreni (svenduti all’asta, valore perso) e la famiglia imprenditoriale rischiava di perdere tutto.

In conclusione, “via libera per tutte le aziende agricole” non è solo uno slogan: la composizione negoziata sta diventando uno strumento fondamentale anche per il mondo agricolo, con costi in linea con gli altri settori, ma un impatto salvifico in termini di conservazione di aziende che altrimenti, per tradizione, o si arrangiavano individualmente (spesso male) o finivano liquidate.

Grandi imprese e gruppi societari

Le grandi imprese (ben oltre i limiti PMI) e i gruppi di imprese presentano caratteri peculiari:

  • Hanno strutture organizzative complesse, più stakeholder (anche internazionali), e talvolta implicazioni occupazionali/politiche (si pensi a imprese con migliaia di dipendenti).
  • In passato, i grandi default erano gestiti o con il concordato preventivo o con l’amministrazione straordinaria (per le imprese > 500 dipendenti, Legge Marzano). La composizione negoziata aggiunge un’opzione di restructuring volontario anche per queste realtà, in linea con la direttiva UE 2019/1023 (che mira a procedure di allerta per tutte le imprese).

Dal lato costi:

  • Compenso esperto: Come visto, per gli attivi molto elevati il compenso si avvicina al tetto di €400.000. Un gruppo con più società ciascuna con centinaia di milioni di attivo sommerà percentuali fino al cap. Di fatto, per imprese con attivo sopra ~€10 miliardi totali si paga comunque €400k. Questo importo, per una grande azienda, è irrisorio rispetto alle masse in gioco. Ad esempio, un gruppo con debiti da 500 milioni, pagare 0,1% di quei debiti in onorario è assolutamente efficiente. Possiamo dire che per una grande impresa la composizione negoziata è estremamente conveniente in termini di costi diretti: evita fin da subito di dover nominare costosi organi (in un’amministrazione straordinaria sarebbero 3 commissari straordinari con compensi elevati, ecc.).
  • Advisor e legali: Qui l’azienda quasi certamente coinvolgerà advisor di primo piano: studi legali di Milano o internazionali, società di consulenza specializzate in restructuring, financial advisor per negoziare con pool bancari. I costi professionali possono diventare molto alti (anche diverse centinaia di migliaia di euro in aggregato). Tuttavia, in proporzione ai benefici per un grande risanamento (si pensi, scongiurare un default da 1 miliardo), tali spese sono marginali. Spesso, parte di questi costi i grandi creditori li accettano come necessari: ad esempio, le banche creditrici potrebbero esigere la presenza di un advisor finanziario terzo come garanzia di qualità del piano, e considerare il suo compenso parte del “costo della ristrutturazione” da sopportare.
  • Interazione con il DL 270/99 (amministrazione straordinaria): se un’impresa ha requisiti per l’amministrazione straordinaria (grandi dimensioni in termini di occupati e debiti), potrebbe comunque optare per la composizione negoziata, ma deve farlo prima di diventare insolvente conclamata e avere i requisiti. In caso di dissesto drammatico, il Governo può sempre decidere per l’AS. Ad ogni modo, i costi dell’AS (tre commissari nominati dal MISE con stipendio, advisors nominati) sono spesso a carico in parte dello Stato e in parte della procedura, e ben superiori a €400k. Quindi, per la collettività, una composizione negoziata riuscita su una grande azienda fa risparmiare denaro pubblico.
  • Gruppi: La legge prevede espressamente la gestione unitaria delle trattative per gruppi di imprese (art. 13 D.L. 118/21) e il compenso unico per l’esperto di gruppo (suddiviso per attivo, come già spiegato). Ciò consente di evitare costi duplicati: invece di nominare 5 esperti per 5 società, se il gruppo presenta un’istanza congiunta (stesso tribunale di riferimento e commissione), avrà un solo esperto con compenso calcolato su ciascun attivo ma ottimizzato. Ad esempio, un gruppo di 3 società ciascuna con attivo 100 mln, potrebbe avere un compenso esperto di circa €3x(qualche decina di migliaia) = diciamo €200k, sempre entro il tetto. In un concordato di gruppo, avrebbe nominato 3 commissari (uno per società) con possibili costi tripli.
  • Costi indiretti: Per grandi imprese quotate o con rilevanza pubblica, l’aspetto reputazionale è critico. Una composizione negoziata condotta in riservatezza può evitare il panico sui mercati o tra gli stakeholder istituzionali. Ad esempio, potrebbe non attivare i covenant di default immediato che invece scattavano con una domanda di concordato (le banche a volte considerano “evento di default” anche il concordato in bianco, mentre trattative riservate con l’esperto non sono di dominio pubblico). Ridotti i costi indiretti, la possibilità di continuare la produzione e le commesse durante la negoziazione resta alta (non c’è stigma pubblico come nel chapter 11 americano ad esempio). D’altro canto, per aziende grandi, la comunicazione deve essere gestita con attenzione: se quotata in borsa, dovrà probabilmente informare il mercato di avere iniziato trattative di ristrutturazione (price sensitive), ma magari potrà farlo in termini generici senza menzionare la composizione negoziata formalmente.
  • Casi pratici: In Italia alcune grandi imprese hanno utilizzato strumenti simili (accordi di ristrutturazione) ma con la composizione negoziata si ha uno strumento in più. Non tutte l’hanno adottata, in parte perché i manager possono temere il “commissariamento” di fatto da parte dell’esperto. Tuttavia, quelli che l’hanno fatto, ad esempio noti gruppi nel settore retail, hanno beneficiato di un contesto protetto senza doversi subito rifugiare in concordato.

Esempio numerico grandi: Società Alfa, gruppo moda con attivo €200 mln e debiti €150 mln. Nomina esperto; compenso stimato ~€105.000 base【calcolo precedente】. Consulenti: assume un financial advisor per €250.000 + success fee 1% debito ristrutturato (1% di 150 mln = 1,5 mln solo se successo), studio legale internazionale €300.000. Totale potenziale consulenti €550k (+ succ. fee eventuale). Totale costi diretti ~€655k (di cui 1,5 mln eventuale se riesce). Debiti bancari di 100 mln potrebbero essere ristrutturati con nuova finanza e haircuts per 20 mln, fornitori 30 mln dilazionati in 5 anni (niente haircut), soci immettono equity 10 mln. Se va a buon fine, l’azienda risparmia 20 mln debiti, i fornitori non la portano a fallimento, soci mantengono controllo (diluito). Paga succ. fee 1,5 mln perché successo. Totale costi ~€2,15 mln. Sembra tanto, ma stiamo parlando di salvare un’azienda da 150 mln di debiti: è l’1,4% dei debiti. In un fallimento, si sarebbero spesi ugualmente milioni in compensi di curatori, spese legali delle cause, ecc., e i creditori avrebbero recuperato forse 30 cent. Qui magari recuperano 80 cent. Quindi il costo è basso in prospettiva. Se invece la trattativa salta, Alfa finisce in amministrazione straordinaria: i commissari costeranno allo Stato centinaia di migliaia all’anno, e ai creditori il 40% del loro credito in atti, cause, ritardi.

In sintesi, per le grandi imprese:

  • Il peso relativo dei costi diretti (esperto e consulenti) è molto più basso rispetto alle piccole (sull’attivo e sul debito).
  • Vi sono economie di scala: l’esperto e gli advisor possono gestire grandi masse con costi incrementali non lineari.
  • Il rischio è la gestione della pluralità di creditori; ma la legge consente di coinvolgerli anche singolarmente o in sottogruppi senza dover includere tutti (a differenza di un concordato dove se non li includi comunque ti serve un quorum). Questo flessibilizza e può ridurre costi conflittuali (meno contenziosi).
  • D’altro canto, la presenza di più advisor potrebbe portare ad un “gioco al rialzo” dei costi se non controllati. Va ricordato il monito del Tribunale di Parma: il debitore deve tutelare i creditori anche non sprecando risorse in maxi parcelle advisor. In un grande caso, ciò si traduce in fare gare competitive per scegliere advisor meno costosi a parità di qualità, e negoziare fee in parte success-based.

Prima di passare alle simulazioni, un cenno: esiste anche un meccanismo di premi fiscali per l’azienda risanata (crediti d’imposta per investimenti durante il piano, ecc.) ma esula un po’ dal tema costi, se non per dire che lo Stato cerca di incentivare la continuità riducendo costi futuri (es. riconoscendo esenzioni su plusvalenze da realizzi di beni nel risanamento, come sopravvenienze attive esenti). Tutto ciò conferma la convenienza strutturale della composizione negoziata come strumento di riduzione del costo della crisi per l’intero sistema economico.

Simulazioni pratiche di costo per imprese di diverse dimensioni

Per rendere concreti i concetti, presentiamo di seguito alcune simulazioni pratiche di imprese che intraprendono la composizione negoziata, con ipotesi sui costi che dovrebbero sostenere e sugli effetti economici ottenuti. Si tratta di esempi semplificati ma basati su situazioni verosimili, utili per comprendere l’ordine di grandezza dei costi in gioco nelle varie casistiche (piccola impresa, start-up, impresa agricola, grande impresa).

Esempio 1: PMI manifatturiera (S.r.l. metalmeccanica)

Profilo dell’impresa:

  • Settore: produzione componenti metalmeccanici.
  • Dimensioni: 45 dipendenti, fatturato €8 milioni, attivo patrimoniale €4 milioni.
  • Crisi: calo ordini e investimenti errati portano a difficoltà di liquidità. Debiti totali €5 milioni (banche €2M, fornitori €2M, debiti fiscali €0,5M, altri €0,5M). L’impresa è tecnicamente in crisi ma ancora con buon portafoglio clienti.

Accesso alla composizione negoziata:
La società presenta istanza a giugno 2025 tramite la piattaforma. Nomina dell’esperto da parte della Commissione locale (entro 2 settimane). Richiede misure protettive sin dall’istanza (per evitare decreti ingiuntivi e azioni esecutive dei fornitori e banche).

Costi diretti stimati:

  • Compenso esperto: Attivo €4M. Calcolo: 5% su 100k = 5k; 1,25% su 400k = 5k; 0,8% su 500k = 4k; 0,43% su 1,5M = 6.450; 0,10% su 1,5M (da 2,5 a 4M) = 1.500. Totale circa €22.000. (Con minimi e massimi: qui l’importo rientra, è > 4k e < 400k). Sarà liquidato a conclusione.
  • Consulente finanziario: L’azienda incarica il proprio commercialista (già revisore dei conti interno) di predisporre il piano e assistere. Compenso concordato €7.500 oltre all’ordinario.
  • Assistenza legale: C’è un avvocato esterno per gestire eventuali accordi con banche e fornitori e depositare l’istanza di misure protettive. Preventivo €10.000 forfettari + €5.000 success fee se si raggiunge accordo con tutti i creditori.
  • Contributo unificato: €98 (istanza misure protettive).
  • Bolli, diritti e spese di comunicazione: €300 (iscrizioni al Registro imprese e raccomandate residuali).
  • Varie (es. perizia valutazione capannone da offrire a garanzia): l’esperto suggerisce una valutazione indipendente di un immobile aziendale per convincere le banche. Costo perito €3.000.

Totale costi diretti stimati: €22.000 + 7.500 + (10.000+5.000) + 98 + 300 + 3.000 = €47.898 (di cui €5k success fee solo se tutto ok). Senza successo, €42.898 circa.

Esiti delle trattative:
Dopo 4 mesi di incontri e analisi:

  • Le banche (2 principali) accettano di prorogare i finanziamenti per 5 anni e concedere nuova linea di credito di €500k garantita da privilegio speciale sul macchinario (autorizzata dal tribunale ex art. 10 co.2 DL 118/21 come finanziamento prededucibile). Niente riduzione nominale, ma tassi calmierati e nessuna escussione attuale.
  • I fornitori commerciali (una decina) accettano uno stralcio del 20% sui €2M dovuti, quindi rinunciano a €400k in cambio di pagamento immediato dei €1,6M residui (finanziato in parte con la nuova linea bancaria e in parte con liquidazione di magazzino ecc.).
  • Sul debito fiscale (€500k, soprattutto IVA e ritenute), l’azienda sfrutta la transazione fiscale ora permessa: propone pagamento integrale dell’IVA in 4 anni e stralcio 40% di sanzioni e interessi. L’Agenzia delle Entrate aderisce (anche perché con la composizione negoziata applica i criteri più flessibili introdotti dal 2023). Riduzione debito fiscale di circa €50k su 500k. Inoltre, per effetto del comma 5 art. 25-bis CCII, la parte ridotta non genera tassazione per l’azienda.
  • L’esperto redige la relazione finale attestando che l’accordo multiplo (banche + convenzione con fornitori + transazione fiscale) è idoneo a risanare l’impresa assicurando continuità per oltre 2 anni. Dunque rientriamo nei casi di accordo ex art. 11 co.1 lett. a).

Compenso finale esperto: +100% maggiorazione per esito positivo con continuità = base 22k *2 = €44.000. (L’accordo non rientra nel caso sottoscritto dall’esperto ex lett. c, quindi niente extra 10%).

Pagamenti e bilancio finale costi/benefici:
L’azienda, grazie ai nuovi finanziamenti e a un apporto di soci di €200k, esegue i pagamenti concordati (1,6M a fornitori, poi rate a banche e fisco nel tempo) e paga i costi della procedura. Il totale costi effettivi sostenuti risulta: esperto €44.000; commercialista €7.500; avvocato €15.000 (success fee inclusa, essendo riusciti); perito €3.000; spese varie €398. Totale €69.898.

Può sembrare una cifra elevata, ma confrontiamola coi benefici ottenuti:

  • Debiti ridotti: fornitori hanno condonato €400.000, fisco €50.000, totale €450.000 di debiti in meno.
  • Nessun fallimento: l’azienda prosegue, mantenendo 45 posti di lavoro e il patrimonio intatto (nessuna vendita forzata). Il valore di avviamento non è azzerato come sarebbe in liquidazione.
  • Benefici finanziari: la nuova finanza di €500k ha evitato un blocco operativo. Gli interessi risparmiati sul debito fiscale durante i 4 mesi (grazie al tasso legale) e sui finanziamenti bancari rinegoziati a tasso minore valgono altri ~€30.000 stimati.
  • Prededuzione: i €44k dell’esperto, i €15k dell’avvocato (in parte) e i €7,5k del commercialista possono essere considerati crediti sorti in funzione della procedura di regolazione concordataria? No, qui non c’è concordato formale; tuttavia, l’accordo concluso viene pubblicato e homologato informalmente, quindi la prededuzione non si pone (non c’è procedura successiva). In ogni caso, l’azienda li ha pagati regolarmente come da piano (erano stati accantonati nella nuova finanza). Sono costi deducibili fiscalmente.

Considerazione: Con circa €70.000 di costi, la PMI ha evitato la perdita di €450.000 di debiti condonati e soprattutto ha evitato il fallimento che avrebbe distrutto molto più valore (i creditori avrebbero forse recuperato meno e l’impresa si sarebbe spenta). Quindi il ROI (return on investment) di aver speso quei 70k è altissimo, oltre il 600% rispetto ai soli debiti ridotti, senza contare il valore salvato dell’impresa come entità produttiva.

Se invece la trattativa fosse fallita (poniamo che banche o fornitori non avessero accettato accordi), l’azienda avrebbe speso comunque circa €42.000 (esperto 22k + consulenti + spese) e si sarebbe trovata a dover chiedere un concordato preventivo o subire fallimento. In tal caso, quei 42k sarebbero diventati crediti prededucibili (esperto 22k) e normali (consulenti) nel concordato. Non buono, ma comunque quell’investimento le ha dato una chance. Con ogni probabilità, se l’esperto avesse visto netta chiusura dei creditori, avrebbe suggerito di stoppare prima e tentare un concordato, riducendo il suo onorario (forse finiva in archiviazione con 500 euro se proprio dall’inizio non c’era margine; più realistico magari archiviazione a metà, l’esperto avrebbe preso qualcosa in proporzione).

Questo esempio mostra i cost driver tipici: compenso esperto legato all’attivo (non ai debiti; qui attivo alto rispetto ai debiti, quindi percentuale appare maggiore), costi advisor discrezionali modulati su complessità (7,5k+15k su €5M debiti sono uno 0,45%, accettabile), e spese vive minime. Il successo ha comportato il raddoppio del costo esperto, ma ne è valsa la pena.

Esempio 2: Start-up innovativa (S.r.l. tech)

Profilo dell’impresa:

  • Settore: sviluppo software SaaS innovativo.
  • Dimensioni: 10 dipendenti, start-up iscritta al registro speciale da 3 anni. Attivo patrimoniale €150.000 (pochi macchinari e liquidità), ma potenziale elevato del prodotto software (intangibile).
  • Crisi: la società brucia cassa, i ricavi sono inferiori al previsto. Ha debiti per €300.000: in gran parte finanziatori privati (un “club deal” di angel investors che hanno prestato €200k come debito convertendo), fornitori €50k, debiti verso il team (stipendi arretrati) €30k, debiti tributari €20k (ritenute e IVA). Niente banche (non concedono fidi) né immobili. La start-up non è fallibile (è ancora entro 5 anni costituzione e startup innovativa), ma è insolvente.

Accesso alla composizione negoziata:
I fondatori decidono di tentare la composizione negoziata per ristrutturare il debito e trovare nuovi soci. Presentano istanza come S.r.l. start-up (il fatto di essere non fallibile non è ostacolo). L’esperto viene nominato (un commercialista esperto in start-up). Misure protettive richieste per sospendere azioni dei fornitori e evitare decreti ingiuntivi (gli angel finora non hanno agito, sono “amici” ma la situazione va formalizzata).

Costi diretti stimati:

  • Compenso esperto: Attivo €150k. Calcolo percentuale: 5% su 100k = €5.000; 1,25% su 50k = €625. Totale €5.625, ma la legge prevede minimo €4.000. Qui il calcolo eccede i 4k, quindi l’importo dovuto sarebbe €5.625 (essendo >4k e <400k).
  • Consulenti: La start-up non ha soldi per consulenti esterni. Un mentor dell’incubatore la aiuta pro bono a stilare un business plan rivisto; un legale amico prepara due contratti di accordo con gli angel per €1.000 simbolici. Diciamo €1.000 di costi consulenziali totali.
  • Contributo unificato: chiede misure protettive, versa €98.
  • Spese varie: minima corrispondenza, €100.

Totale costi diretti stimati: circa €5.625 + €1.000 + €98 + €100 = €6.823.

Situazione trattative:

  • Angel investors (€200k): Questi creditori in realtà speravano in un successo, e sarebbero disposti a convertire il loro prestito in quote societarie pur di non perdere tutto. L’esperto organizza riunioni: propone loro di convertire l’intero debito in partecipazioni di una NewCo che acquisisce la start-up. In tal modo, formalmente il debito di €200k verrebbe cancellato (gli angel diventano soci proprietari, diluendo gli attuali fondatori). Gli angel accettano, ma chiedono che almeno il progetto prosegua con nuovi manager (perdono fiducia nei fondatori).
  • Fornitori (€50k): Sono pochi (due consulenti tech e un fornitore di cloud services). Si propone di pagarli parzialmente: 50% subito (cioè €25k) e il resto in 24 mesi, o eventualmente equity (piccola quota) per la parte residua. Alla fine uno accetta 50% stralcio subito (incassa €10k su 20k, perde 10k), l’altro accetta pagamento integrale ma dilazionato in 2 anni (15k in 24 rate).
  • Dipendenti (€30k): Si tratta di stipendi arretrati per 3 mesi. Questi vanno pagati integralmente come crediti da lavoro (non si possono legalmente ridurre senza loro consenso). L’esperto fa presente che vanno saldati almeno in parte subito per motivi sociali. Viene deciso di usare eventuali nuovi fondi per pagarne 2 mensilità subito e l’ultima a 6 mesi. I dipendenti restano con l’azienda.
  • Erario (€20k): La maggior parte è IVA. La startup non ha soldi, ma offre di pagare €5k subito e il resto in 3 anni. L’Agenzia accorda una rateazione ordinaria ex art.19 DPR 602/73 (normale, perché per importi piccoli e con la firma dell’esperto ottiene il riconoscimento di temporanea difficoltà). Nessuno stralcio effettivo, ma sanzioni ridotte per legge al minimo edittale (poca roba, tipo €1k risparmiato).
  • Nuovo investitore: L’aspetto cruciale è trovare nuova finanza per pagare fornitori e dipendenti come promesso e per dare prospettiva. L’esperto contatta un network di venture capital; uno si mostra interessato ad investire €300k freschi se la struttura debito viene pulita e gli angel convertiti (eliminando quel debito). In pratica vuole entrare come socio di maggioranza nella NewCo. L’operazione quindi prevede: nuova NewCo capitalizzata con €300k dal VC, che rileva l’azienda, assegna quote agli angel per conversione, e usa parte dei 300k per liquidare i fornitori stralciati e pagare gli arretrati al personale.

L’esperto verifica che questo piano è sostenibile: l’azienda, liberata dai debiti e con 300k cash, può sviluppare il prodotto e puntare al break-even in 1 anno. La continuità aziendale è assicurata >2 anni grazie al nuovo socio. L’esperto redige relazione finale positiva. Si conclude con una sottoscrizione di accordo quadro: contratti di conversione debito in equity firmati da angel, accordi transattivi con fornitori, impegno del nuovo investitore. L’esperto sottoscrive anch’egli l’accordo come garante del piano ex art. 11 co.1 lett. c) per dare efficacia protettiva (effetti 67, co.3, lett. d L.F. – esenzione revocatorie su atti compiuti in esecuzione del piano). Si pubblica il tutto nel Registro Imprese.

Compenso finale esperto:

  • Base €5.625.
  • Maggiorazione +100% (c’è un accordo con continuità almeno biennale, certamente) => €11.250.
  • Ulteriore +10% perché l’esperto ha sottoscritto l’accordo ex lett. c) => +€1.125, totale €12.375.

Costi finali sostenuti:

  • Esperto: €12.375 (prededucibile, ma la startup lo paga con parte dei fondi nuovi).
  • Consulenti vari: €1.000 (il legale per i contratti).
  • Spese vive: €198.
    Totale €13.573.

Risultato economico:

  • Debito cancellato: €200k convertito (non più dovuto), €10k fornitori stralciati, sanzioni €1k abbattute. Totale ~€211k di debiti eliminati.
  • Nuova finanza €300k immessa.
  • L’azienda continua attività con nuova compagine (i vecchi fondatori sono diluiti, ma rimangono come minority e manager, gli angel diventano soci al posto del credito). Nessuna procedura liquidatoria, quindi nessun curatore né costi fallimentari.
  • I costi diretti €13,5k sono un’inezia rispetto a questo scenario di turnaround.

La startup ovviamente ha “pagato” in termini di equity (i fondatori hanno perso la maggioranza, gli angel hanno perso la speranza di rimborso per sperare in azioni di valore futuro). Ma questa era probabilmente l’unica via per non far collassare la società.

Considerazioni:
Senza composizione negoziata, gli angel avrebbero potuto fare decreti ingiuntivi? Essendo soci finanziatori, forse no, ma i fornitori sì. La startup sarebbe finita magari in liquidazione volontaria, con i creditori chirografari insoddisfatti e nessun investimento. Con la procedura negoziata è riuscita a orchestrare un’operazione complessa in 4-5 mesi, grazie anche all’autorevolezza dell’esperto che ha rassicurato il nuovo investitore e convinto i creditori a pazientare (il tribunale ha sospeso eventuali azioni nel frattempo). I costi per la startup sono stati contenuti (solo il compenso esperto principalmente), comunque coperti con la nuova finanza. Da notare: essendo start-up innovativa, poteva optare per procedure da sovraindebitamento: ad esempio un concordato minore che forse avrebbe portato a liquidare quel poco attivo (150k) e chiudere, con recuperi minimi. Invece qui ha ottenuto nuova finanza e continuità. Un bel trade-off.

Esempio 3: Impresa agricola (Azienda zootecnica individuale)

Profilo dell’impresa:

  • Forma: impresa individuale agricola (coltivazione foraggi e allevamento bovini da latte).
  • Dimensioni: azienda familiare con 5 addetti (tutti familiari). Fatturato €500k, patrimonio terreni e stalle valore €1 milione (ipotecati).
  • Crisi: malattia del titolare e calo prezzi latte hanno generato insoluti. Debiti totali €800.000: mutuo bancario €300k residuo (garantito da ipoteca su terreni), debiti verso fornitore mangimi €50k, consorzio agrario €40k, arretrati bollette e manutenzioni €30k, debiti con Agenzia Entrate e INPS €80k (tra contributi non versati e cartelle varie), debiti privati €50k (prestiti da parenti), resto verso l’affittuario di un campo e altri minori.

Accesso alla composizione negoziata:
L’imprenditore agricolo, consigliato da Coldiretti, avvia la composizione negoziata come impresa agricola. Si nomina un esperto (un commercialista esperto in crisi di PMI agricole). Vengono richieste misure protettive per evitare che la banca escuta l’ipoteca o i creditori facciano pignoramenti sul bestiame.

Costi diretti stimati:

  • Compenso esperto: Attivo stimato €1.000.000 (terra e beni). Calcolo: 5% su 100k = 5k; 1,25% su 400k = 5k; 0,8% su 500k = 4k; 0,43% su restanti 0 (in realtà l’attivo di 1M è coperto dai primi scaglioni, fino 1M). Somma = €14.000.
  • Consulenti: L’associazione di categoria assiste l’azienda per la predisposizione di un piano di risanamento e per interfacciarsi con l’esperto e creditori. Coldiretti chiede solo un contributo spese di €2.000 (approfittando anche che l’esperto nominato è di area e collabora). Legale: non necessario all’inizio, eventuale intervento su singole questioni contrattuali pro bono dall’ufficio legale Coldiretti locale.
  • Contributo unificato: €98.
  • Spese vive: bolli CCIAA €120, raccomandate (alcuni creditori privati non hanno PEC) €100.

Totale costi diretti stimati: €14.000 + €2.000 + €98 + €220 = €16.318.

Trattative ed esito:

  • Banca (€300k mutuo): è garantita da ipoteca. L’azienda è in ritardo di 3 rate. Con l’aiuto dell’esperto, viene prospettata alla banca una soluzione: vendere un appezzamento di terreno non fondamentale (del valore stimato €150k) e versare l’intero ricavato per decurtare il mutuo, mentre per la parte restante la banca concederebbe una moratoria di 12 mesi e poi ripresa pagamenti su piano più lungo. La banca accetta l’idea (preferisce evitare escussione e aste lunghe). Il tribunale autorizza l’atto di vendita in pendenza di trattative ex art. 21 CCII, su perizia che conferma che il prezzo è equo (c’è un acquirente locale interessato). Con €150k la posizione col mutuo scende a €150k e le rate diventano sostenibili.
  • Fornitore mangimi (€50k): è vitale mantenere rapporto per la continuità aziendale. L’esperto negozia: propone pagamento integrale ma dilazionato per 24 mesi (con garanzia personale di un parente) oppure parziale subito. Il fornitore sceglie di fidarsi e preferisce avere cliente in attività: accetta 24 mesi di dilazione senza stralcio, purché l’azienda ricominci a pagare il corrente regolarmente. Nessun taglio nominale, solo tempi.
  • Consorzio agrario (€40k): trattandosi di ente cooperativo semi-pubblico, l’esperto propone una transazione: pagamento del 40% (€16k) entro 6 mesi e saldo stralcio. Il consorzio considera che difficilmente recupererebbe di più in fallimento, e accetta (anche perché la regione sostiene di voler agevolare soluzioni). Quindi condona €24k.
  • Bollette e manutenzioni (€30k): questi creditori sono piccoli fornitori locali (meccanico trattori, elettricista, gestore energia). Vengono messi tutti insieme e proposta una soluzione uniforme: pagamento del 50% entro 3 mesi (appena venduto il terreno e liberata liquidità), il resto condonato. In pratica su 30k ne prendono 15k totali (pro quota). Accettano per non spingere l’azienda al default e perché conoscono la famiglia (e l’esperto li rassicura che è il massimo possibile). Quindi stralcio €15k.
  • Fisco e contributi (€80k): qui si applicano le misure premiali fiscali. L’esperto ottiene dall’INPS e dall’AdE una transazione fiscale: si propone il pagamento integrale dei contributi previdenziali (che sono obbligatori) ma con sanzioni dimezzate (per legge, premialità) e in 5 anni, e per i tributi erariali (IVA e IRAP) il pagamento del 60% in 5 anni, stralciando il 40% di sanzioni e interessi. In termini numerici: su €80k (poniamo 50k tributi, 30k contributi), la transazione prevede pagare 50k di contributi (senza sanzioni aggiuntive, risparmi 5k), e 30k su 50k di tributi (stralcio 20k). Totale remissioni fiscali ~€25k. Rateizzazione lunga concessa grazie all’esperto e all’art. 25-bis co.4 CCII che ora consente fino a 120 rate con comprovata difficoltà. La firma dell’esperto sulle istanze aiuta a dimostrare difficoltà e ottenere dilazioni massime.
  • Debiti privati (€50k): si tratta di parenti che avevano prestato soldi. Qui è più una questione familiare: si chiede loro formalmente di sottoscrivere un accordo di rinuncia al credito (trasformandolo in donazione, se vogliono) o comunque subordinare il rimborso a dopo aver pagato gli altri creditori. Tutti i parenti firmano che rinunciano a pretendere nulla finché l’azienda non torna in utile. In sostanza, questi €50k vengono posti “fuori bilancio” almeno temporaneamente.
  • Esperto: verifica che con la vendita terreno (€150k) e altre risorse (la regione offre un piccolo contributo anticrisi di €10k, la famiglia mette €20k vendendo alcuni macchinari obsoleti) si riesce a onorare i pagamenti iniziali (consorzio 16k, fornitori vari 15k, spese procedura 16k, arretrati minimi), e che con il debito residuo molto ridotto la prospettiva è sostenibile. Redige relazione finale positiva. La soluzione individuata è un contratto con i creditori: di fatto un accordo quadro sottoscritto dall’imprenditore e dai creditori principali (banca, consorzio, etc.), non un nuovo soggetto giuridico, ma un insieme di pattuizioni coordinate (che viene pubblicato ai sensi art. 23 CCII). Siccome garantisce continuità aziendale oltre 2 anni (grazie alla ristrutturazione del debito), rientra negli esiti virtuosi. L’esperto non firma formalmente un piano attestato, in quanto qui si tratta di contratti bilaterali multipli, quindi l’incremento del 10% non si applica.

Compenso finale esperto:

  • Base €14.000.
  • +100% per accordi in continuità = €28.000.
    (Nessun +10% perché non lettera c, l’esperto non sottoscrive un piano ma agevola contratti, dunque solo raddoppio.)

Costi finali sostenuti:

  • Esperto: €28.000.
  • Coldiretti consulenza: €2.000.
  • Spese contributo e bolli: €318.
    Totale €30.318.

Questi costi vengono pagati attingendo ai €150k ricavati dalla vendita del terreno (l’esperto e i costi procedura di solito vanno in prededuzione su vendite autorizzate, quindi il giudice ne permette il pagamento prioritaria). Infatti, l’art. 21 co.5 CCII prevede che il giudice possa stabilire che dal prezzo incassato siano pagate le spese della composizione.

Risultato economico:

  • Debito ridotto: banca rimane con €150k (da 300k); consorzio condonato 24k; fornitori vari condonato 15k; Fisco condonato ~25k; totale circa €214k di debito cancellato. Anche i 50k parenti sono di fatto posposti.
  • Struttura debitoria rimanente: mutuo 150k (ripagabile su 15 anni), fornitori dilazionati 40k, fisco dilazionato 55k. Totale ~€245k, con piani sostenibili. Da 800k di debito a 245k.
  • L’impresa continua l’attività (ha meno terra, vero, ma sufficiente per foraggi su stalla ridimensionata; userà più foraggio comprato, ma l’accordo con il fornitore è mantenuto). Produzione latte continua, redditi stima futuri adeguati al nuovo perimetro.
  • Nessun fallimento: se fosse finita in liquidazione controllata, il curatore avrebbe venduto i terreni all’asta (rischio ribasso), venduto il bestiame, probabilmente disperso l’attività. I creditori ipotecari avrebbero forse preso i 150k (ma con spese e tempi), i chirografari quasi zero. Così invece la banca recupererà nel tempo, i fornitori mantengono un cliente e incassano buona parte, il consorzio ha fatto politica di sviluppo locale condonando poco, e l’azienda rimane. Anche i parenti preferiscono vedere la stalla andare avanti che un fallimento che li avrebbe fatti stare male comunque.

Costi indiretti: la reputazione locale è rimasta intatta (anzi, l’agricoltore ha ringraziato pubblicamente i creditori per il sostegno, l’esperto, e questo rafforza la fiducia). Non ci sono stati licenziamenti (in famiglia). L’impresa magari ridurrà un po’ la produzione (ha venduto un campo), ma può affittarne un altro con i soldi risparmiati dai debiti.

Conclusione: €30k di costi hanno generato un alleggerimento di €214k di debiti e salvato un’impresa di valore storico e sociale. È chiaro come la composizione negoziata, se ben orchestrata, funziona anche nel contesto agricolo. Unica nota: l’imprenditore agricolo non era soggetto a fallimento, avrebbe potuto fare un concordato minore. Ma quell’apparato avrebbe implicato nominare un OCC, predisporre un piano con percentuali di pagamento chirografi che forse i creditori avrebbero contestato, tempi lunghi, e la vendita di beni comunque. Invece la soluzione negoziata è stata flessibile e rapida.

Esempio 4: Grande impresa industriale (S.p.A. manifatturiera)

Profilo dell’impresa:

  • Settore: produzione di elettrodomestici (white goods).
  • Dimensioni: 800 dipendenti, 3 stabilimenti in Italia. Fatturato €200 milioni. Attivo patrimoniale €150 milioni (impianti, magazzino, crediti).
  • Crisi: forte concorrenza e errori gestionali portano perdite significative. L’azienda è sovraindebitata: Debiti totali €180 milioni (banche €100M, obbligazionisti €30M, fornitori €40M, Erario e previdenza €10M). Eredita anche passività potenziali ambientali. L’EBITDA è negativo, si teme insolvenza entro pochi mesi se non arriva liquidità fresca.

Accesso alla composizione negoziata:
La società decide di attivare la composizione negoziata a gennaio 2025, nominando un esperto. Essendo grande, i riflettori sono accesi: l’azienda comunica al mercato (non è quotata, ma ha obbligazionisti) che ha avviato trattative di ristrutturazione con l’ausilio di un esperto nominato ai sensi della legge. Richiede misure protettive dal tribunale per bloccare azioni esecutive (aveva già alcuni decreti ingiuntivi di fornitori strategici). Il tribunale concede misure protettive su tutto il patrimonio per 4 mesi.

Costi diretti stimati:

  • Compenso esperto: Attivo €150M. Calcolo come fatto prima: ~€105.500 (circa 68k fino 50M + 37.5k per 100M successivi).
  • Consulenti finanziari: Viene ingaggiato un advisor di turnaround (uno dei big) per predisporre piano industriale e di ristrutturazione. Fee pattuita: €200.000 flat + success fee 1% del debito ristrutturato (massimo €1.8M se 180M ristrutturati integralmente).
  • Consulenti legali: Uno studio legale specializzato in restructuring assiste l’azienda nelle trattative e nella predisposizione di eventuali accordi contrattuali e di documentazione finanziaria. Preventivo: €250.000 + success fee €100.000 se raggiunto accordo con creditori.
  • Perizie e valutazioni: Necessarie due due diligence (una indipendente sullo stato finanziario per creditori, e una ambientale per stimare passività ecologiche). Costi: €150.000 (affidate a società di consulenza).
  • Contributo unificato: essendo valore indeterminabile, contributo vol. giurisd. €98; eventuale reclamo in appello (infatti alcuni creditori faranno reclamo contro le misure protettive, ma viene rigettato) => €98 + €98. Totale €196 in contributi.
  • Spese varie: Comunicazioni a obbligazionisti e banche via PEC/internazionale (affidate a agenti fiduciari) €5.000; bolli pubblicazione registro imprese e traduzioni atti €2.000.

Totale costi diretti stimati: €105.500 + 200k + 1.8M (pot.) + 250k + 100k (pot.) + 150k + 196 + 7k = circa €2.613.696, se conteggiamo anche i success fee massimi. Senza success fee (prima del risultato) sono ~€555.696.

Notare che qui i success fee sono molto rilevanti: segno che i consulenti confidano di poter concludere e quindi incassare premi ingenti.

Trattative ed esito:
L’esperto coordina un tavolo con banche e bondholders (creditori finanziari), e incontri separati con fornitori strategici e con enti pubblici.

  • Piano industriale: L’advisor individua un percorso di risanamento: dismissione di uno stabilimento (e vendita del capannone per €20M), riduzione personale (300 esuberi con costi €10M incentivazione, forse supporto di CIG), ingresso di un partner industriale estero interessato a investire €50M per rilevare il 60% della società. Il partner però vuole un’azienda “pulita” da debiti e con i conti sistemati.
  • Accordo con creditori finanziari (€130M tra banche e bond): Si struttura un accordo di ristrutturazione del debito (che verrà poi omologato ex art. 61 CCII, eventualmente) ma all’interno della composizione negoziata si raggiunge l’intesa chiave. Banche e bond accettano di ridurre l’esposizione di circa il 30%: quindi su 130M ne stralciano 39M (tra interessi futuri ed eventualmente quota capitale). Il restante 91M sarà rimborsato in parte immediatamente con i €50M nuovi del partner (diciamo 50 su 91), e il residuo 41M verrà convertito in un nuovo finanziamento a 7 anni con interest only i primi 2 e poi amortizing, garantito da asset rimanenti e con tasso moderato. In pratica, i finanziari accettano un haircut ma ottengono comunque recupero alto (70%) e di rimanere creditori di una azienda rifinanziata e con nuovo socio. L’esperto ha un ruolo cruciale nel convincere tutti e mediare tra gruppi di creditori con interessi diversi (banche locali vs bond internazionali).
  • Fornitori (€40M): Circa 15 fornitori grossi (sopra 1M credito ciascuno) e molti piccoli. La proposta: pagamento del 80% dei crediti chirografari trade, in tranche: 30% subito (appena entra il nuovo socio), 50% in 12 mesi. 20% condonato. I fornitori grosso modo accettano (preferiscono incassare 80 in un anno che rischiare un fallimento con incasso magari 20). Qualcuno reclama, ma l’alternativa peggiore li dissuade. Per i piccoli crediti (sotto 100k) l’azienda propone 100% in 6 mesi (prioritizzando i piccoli, per ragioni di filiera e anche per evitare complicazioni con tanti soggetti: costa relativamente poco, parliamo forse di 5M totali piccoli crediti). Quindi in media un fornitore grande condona 20%. Il totale debiti fornitori 40M viene ridotto di circa 5M (i piccoli pagati 100%, i grandi 80%).
  • Erario e INPS (€10M): L’azienda ha qualche debito IVA e contributi. Vista l’entità, col correttivo 2024 ora la transazione fiscale è possibile anche in composizione negoziata. L’azienda offre il pagamento integrale del debito fiscale senza sanzioni e interessi (che vengono condonati) e chiede di dilazionare 5 anni il pagamento. In base alle nuove norme, erario e INPS possono accettare se il piano è sostenibile e c’è apporto di equità (il nuovo socio) – e accettano. Quindi su 10M, supponendo 2M di sanzioni e interessi, quei 2M vengono azzerati, si pagano 8M in 5 anni.
  • Partner industriale: L’esperto facilita la due diligence e l’accordo di investimento. Il partner estero condiziona l’operazione all’omologazione di un accordo di ristrutturazione in tribunale (vuole la formalità per blindare eventuali minoranze dissenzienti). Ma la negoziazione e l’intesa di massima avviene grazie alla composizione negoziata. Il partner anche impone di risolvere un annoso contenzioso ambientale: l’azienda concorda col Ministero dell’ambiente di bonificare un sito (costo €5M) con contributo pubblico parziale. L’esperto con il suo network fa ottenere agevolazioni su questo fronte (è un beneficio pubblico per salvare l’occupazione).
  • Struttura finale: In parole semplici: il partner mette €50M equity e prende 60%. Con quei soldi si pagano: 15M ai fornitori (30% immediato), 50M ai creditori finanziari (che condonano 39M), 5M costi ristrutturazione (incentivi esuberi, bonifiche in parte), 2M di spese procedure (compenso esperto, advisor, ecc.). Il resto del fabbisogno (pagare i fornitori nei 12 mesi e qualche costo) viene dal flusso di cassa operativo dell’anno in corso (che, con i tagli, torna in utile moderato e con l’aiuto di CIG e contributi statali).
  • L’esubero di 300 persone viene gestito con CIGS e accordo sindacale; l’esperto non negozia direttamente con i sindacati (non è suo compito), ma il fatto di avere un partner e un piano credibile rende i sindacati collaborativi. Ci sono costi, inseriti nel piano e in parte in contributi pubblici regionali.
  • Conclusione procedura: Dopo 5 mesi intensissimi, tutti i pezzi vanno al loro posto. L’esperto redige la relazione finale conclusiva dicendo che l’azienda ha individuato una soluzione idonea (contratto e accordi con i creditori, investitore entrante) per il superamento della crisi, assicurando la continuità aziendale ben oltre 2 anni. Formalmente, alcuni accordi (es. con banche e obbligazionisti) saranno poi trasfusi in un accordo di ristrutturazione omologato (ADO) dal tribunale ex art. 57 CCII, ma la legge permette ora che un esito della composizione negoziata sia proprio la conclusione di accordi ai sensi dell’art. 23 co.2 lett. b CCII che poi vengono omologati. L’importante è che si arrivi al giorno in cui il partner versa i soldi e si firma il “closing”. L’esperto chiude il suo operato e la palla passa eventualmente al giudice per omologare formalmente l’ADO (ma ormai è tutto predisposto).

Compenso finale esperto:

  • Base circa €105.500.
  • +100% per soluzione in continuità con contratto/accordi (sì, c’è un contratto di investimento e accordi con creditori) = €211.000.
  • +10% addizionale: se l’esperto sottoscrive uno degli accordi ex art. 11 co.1 lett. c). In questo caso gli accordi finanziari di ristrutturazione potrebbero essere formalizzati con omologa, ma l’esperto può firmare un accordo di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (67d LF) come per dare efficacia esimente. Non strettamente necessario, però potrebbe farlo per quelli che non vengono omologati. Difficile dire: probabilmente no, qui la forma scelta è ADO omologato, che di per sé non richiede firma esperto (ha il giudice). Quindi supponiamo nessun ulteriore 10%.
  • Totale stimato: €211.000. (Comunque ricade nel limite max 400k, e qui di fatto non lo tocca).

Costi finali effettivi:

  • Esperto: €211.000.
  • Advisor fin.: base €200.000 + success fee sull’effettivo riduzione debito. Debito ridotto: finanziari 39M + fornitori 5M + fisco 2M = 46M tagliati. 1% di 46M = €460.000 success fee. Totale advisor fin. €660.000.
  • Legali: base €250.000 + success €100.000 (accordo concluso con tutte le classi). €350.000.
  • Perizie: €150.000 (fatte, non success).
  • Altre spese: contributi e comunicazioni ~€7.000.

Totale €1.378.000 circa.

Questi costi vengono in parte pagati subito (esperto e una tranche di advisor) e in parte post-closing (i success fee magari a conclusione). Il partner ha accettato che nel suo impiego di €50M una porzione sia destinata a coprire i costi della procedura (dopotutto fa parte del deal: spende 50 per un’azienda risanata, parte di quei 50 vanno a consulenti invece che a creditori, ma l’importante è il risultato).

Risultato economico:

  • Debito ridotto di circa €46 milioni (oltre il 25% del totale). Debito residuo sostenibile (banche 41M in lungo termine, fornitori 32M a breve termine, fisco 8M medio termine).
  • Nuova equity €50M che dà solidità patrimoniale.
  • Salvati 500 posti di lavoro (300 esodi con indennizzo e probabilmente ricollocazioni assistite).
  • Evitata un’eventuale amministrazione straordinaria o fallimento di grande impatto.
  • I creditori finanziari ottengono più di quanto forse avrebbero preso in fallimento (stimato 50% in scenari pessimistici, qui ne prendono 70% di cui gran parte cash subito). I fornitori prendono 80% (in fallimento forse 10-20%). Lo Stato recupera IVA e contributi, mentre in fallimento avrebbe insinuato con esito incerto e comunque poi in parte rimborsato crediti impresa in prededuzioni e ammortizzatori.

Costi indiretti:
Certo, la vicenda è stata pubblica e complessa, qualche contraccolpo su reputazione c’è stato (qualche cliente al dettaglio preoccupato? però essendo settore industriale B2B, i contratti con grossi acquirenti sono mantenuti). Il brand ne esce con un po’ di ammaccature ma salvo. Il partner industriale porta nuove sinergie e apre mercati, quindi a medio termine la reputazione risale. Il costo indiretto grosso è stato sulla governance: i vecchi proprietari hanno perso la maggioranza (diluiti al 40%), e anche parte del management è stato sostituito (il partner ha voluto mettere suoi uomini). Ma questo più che costo è conseguenza del risanamento.

Considerazioni finali:
La composizione negoziata ha permesso di orchestrare un mega accordo multi-stakeholder in pochi mesi, sfruttando lo stay legale delle misure protettive e la neutralità fiscale dei condoni (nessuna sopravvenienza tassata). L’esperto ha agito quasi come un chief restructuring officer temporaneo con poteri morali, pur lasciando agli amministratori formali la gestione. I costi totali (~€1.38M) sono circa lo 0,7% del debito iniziale (€180M). In un concordato o amministrazione straordinaria, i costi diretti sarebbero potuti essere ben superiori: i tre commissari di un’AS per 2-3 anni, i periti nominati dal Ministero, i compensi legali per litigi, ecc. Inoltre, lì avresti venduto gli asset senza nuova finanza equity, quasi certamente portando a spezzatino e perdita di competitività. Quindi, ancora una volta, il beneficio netto supera di molto i costi.

Questi esempi evidenziano che, proporzionalmente, la composizione negoziata costa di più (in percentuale) per le piccole imprese e di meno per le grandi – ma in valore assoluto ovviamente i grandi casi pagano di più. In ogni caso, l’efficacia dello strumento nel ridurre il fabbisogno finanziario e salvare valore aziendale appare elevata.

Domande e Risposte frequenti (FAQ)

Di seguito forniamo risposte sintetiche ad alcuni quesiti comuni riguardanti i costi della composizione negoziata della crisi d’impresa, per chiarire gli ultimi dubbi pratici.

  • D: Chi paga il compenso dell’esperto e quando deve essere pagato?
    R: Il compenso dell’esperto è a carico dell’imprenditore debitore. In genere, viene pagato alla conclusione dell’incarico, una volta determinato l’importo dovuto (per accordo tra le parti o liquidato dalla Commissione). Non vi è obbligo di depositare anticipi cauzionali (come avviene in alcune procedure concorsuali per il curatore). Tuttavia, è possibile che l’esperto richieda acconti in corso d’opera se la durata si prolunga, previa intesa. Spesso, soprattutto nei casi di esito positivo, il pagamento avviene contestualmente alla formalizzazione degli accordi raggiunti (ad esempio, il giorno in cui il piano si perfeziona, il debitore corrisponde l’onorario all’esperto, magari utilizzando le nuove risorse finanziarie ottenute in sede di accordo stesso). In caso di disaccordo sull’ammontare, la Commissione nomine lo liquida d’ufficio e il debitore è tenuto a pagarlo. Se l’impresa successivamente entra in procedura concorsuale, tale credito è prededucibile.
  • D: E se l’imprenditore non ha liquidità per pagare l’esperto o gli altri costi?
    R: È una situazione delicata ma non insolita. In fase di avvio, l’istanza non richiede di dimostrare la capacità di pagare l’esperto; tuttavia, intraprendere la composizione negoziata presuppone la volontà di sostenere i costi minimi (es. 4.000 euro almeno). Se proprio non vi sono fondi, l’impresa può tentare di farseli prestare dai soci o da terzi, oppure concordare con l’esperto un pagamento differito. Ad esempio, in alcuni casi l’esperto può accettare di essere pagato solo se si trova una soluzione (questo è rischioso per lui, ma se confida nel successo potrebbe aspettare). In via teorica, l’esperto potrebbe anche insinuarsi come creditore prededucibile nella successiva procedura se non venisse pagato, ma si cerca di evitare. In pratica, se il debitore non è in grado nemmeno di coprire i costi di base, probabilmente la sua crisi è talmente grave da non trovare soluzioni negoziali (un campanello d’allarme). Alcune Camere di Commercio avevano ipotizzato fondi di garanzia per il pagamento degli esperti nelle micro imprese, ma al momento il debitore rimane il soggetto obbligato. Un consiglio: includere i costi della procedura nel budget di risanamento. Ad esempio, se cercate un nuovo finanziatore, assicuratevi di prevedere una quota destinata a coprire compensi e spese dell’esperto e consulenti.
  • D: I creditori contribuiscono in qualche modo ai costi della composizione negoziata?
    R: Direttamente no. Ogni creditore sostiene eventualmente le proprie spese legali per farsi assistere (non a carico del debitore), ma non pagano nulla all’esperto (che è neutrale e pagato dal debitore) né ai consulenti del debitore. In modo indiretto, tuttavia, potremmo dire che “contribuiscono” nella misura in cui accettano riduzioni dei loro crediti che poi permettono al debitore di pagare i costi. Ad esempio, se un fornitore accetta uno stralcio, libera risorse che l’impresa può usare anche per pagare l’esperto. Ma formalmente ogni costo procedurale resta in capo all’imprenditore. Fa eccezione il caso in cui i creditori volontariamente decidano di accollarsi qualche spesa: ad esempio, in grandi ristrutturazioni le banche creditrici talvolta si rendono disponibili a pagare esse stesse parte delle consulenze (per avere report indipendenti), oppure un investitore esterno come visto può mettere soldi sapendo che una parte andrà a coprire i costi dell’operazione. Sono accordi privati possibili, ma giuridicamente la regola è che l’imprenditore sopporta i costi.
  • D: Quanto dura la composizione negoziata e ciò incide sui costi?
    R: La durata massima iniziale è 180 giorni (6 mesi) con una possibile proroga di altri 180 giorni su richiesta motivata. Quindi al massimo circa 1 anno. Nella pratica, molte si chiudono in 3-6 mesi. La durata di per sé non aumenta il compenso dell’esperto, che è fisso percentuale e non a tempo (a meno di introdurre accordi diversi). Quindi che duri 2 mesi o 8 mesi, l’importo resta quello (salvo spese documentate in più se allungandosi compaiono necessità di missioni ecc.). Questo è positivo per il debitore: non c’è “metritariffa” che corre. Tuttavia, una durata maggiore può implicare più lavoro per i consulenti e quindi parcelle più alte (specie se pagati a ore). Inoltre, i costi indiretti possono crescere col tempo (l’impresa in crisi più a lungo subisce più incertezza). C’è allora interesse a chiudere entro pochi mesi. Il correttivo 2024 ha anche snellito alcune tempistiche, ad es. obbligando l’esperto a redigere la relazione finale entro 5 giorni dalla fine delle trattative (prima non era chiaro). Se l’esperto vede che la trattativa si impantana e non si risolve entro 6-9 mesi, probabilmente dichiarerà l’esito negativo per non prolungare inutilmente (salvaguardando così anche i costi).
  • D: Cosa succede se la composizione negoziata fallisce? Bisogna pagare comunque tutti i costi?
    R: Sì. L’esperto matura il diritto al suo compenso in base all’attività svolta, anche se non si ottiene un accordo risolutivo. Ovviamente, se fallisce molto presto (subito dopo il primo incontro) c’è la previsione del compenso ridotto a €500. Se invece il tentativo va avanti qualche mese ma poi non raggiunge accordi, l’esperto avrà diritto al compenso pieno (salvo casi di interruzione anticipata dove la Commissione potrebbe ridurre proporzionalmente). Anche gli eventuali consulenti del debitore vanno pagati secondo quanto pattuito (a meno che avessero pattuito success fee subordinate al successo – è possibile concordare che se non si ottiene risultato il consulente prenda meno). In sintesi, il debitore si accolla il rischio dei costi sunk anche in caso di esito negativo. L’unica “consolazione” è che l’esperto e i costi legati alla procedura poi verranno considerati crediti prededucibili se si passa a fallimento o concordato, quindi potranno essere soddisfatti con priorità nelle nuove procedure (ma resta il fatto che sono debiti in più in capo all’impresa). Per questo, prima di attivare la composizione negoziata, il debitore e i suoi consulenti dovrebbero fare una rapida valutazione costi-benefici: se le chance di soluzione appaiono quasi nulle e si prefigura inevitabile il fallimento, può essere preferibile non accumulare altri costi (o scegliere una strada concorsuale diretta come il liquidazione giudiziale o il concordato minore). Spesso però tentare vale la pena, perché un accordo anche parziale può migliorare la posizione poi in procedura (es. ridurre debiti, che in fallimento magari sarebbero rimasti interi).
  • D: Il compenso dell’esperto è uguale per tutti i tipi di imprese? Anche per startup, agricoli ecc.?
    R: Sì, la formula percentuale è universale. Non ci sono riduzioni speciali per categoria. Dunque una startup innovativa calcola in base all’attivo (di solito piccolo, quindi min €4k se attivo sotto ~€80k) come visto. L’imprenditore agricolo idem. L’essere “sovraindebitato” o meno non cambia la struttura dei compensi. L’unica differenza è che per i gruppi di imprese in composizione congiunta, si applica la percentuale su ogni impresa e poi si somma, restando tra 4k e 400k total. Inoltre, se l’esperto viene revocato o sostituito a metà (per conflitto, dimissioni ecc.), il compenso sarà probabilmente ripartito pro-rata per il lavoro svolto (ma sono casi rari).
  • D: Sono previste agevolazioni pubbliche o incentivi che aiutino a sostenere i costi (ad es. credito d’imposta sui compensi pagati)?
    R: Al momento non esiste un credito d’imposta specifico per i costi di composizione negoziata. In passato, si era discusso di introdurre bonus per chi adotta strumenti di allerta o di ristrutturazione precoce, ma nulla di concreto a livello statale. Tuttavia, ci sono alcune misure indirette:
    • I costi dell’esperto e dei consulenti sono deducibili dal reddito d’impresa (come costi per servizi). Dunque l’azienda risparmia le tasse su tali importi, riducendo l’esborso netto (es. se spende 10k e ha aliquota IRES 24%, riduce imposte per 2.4k).
    • Alcune Camere di Commercio o associazioni hanno stanziato fondi per rimborsare parzialmente le micro imprese dei costi sostenuti per adeguare gli assetti o per procedure di allerta. Ad esempio, Camera di commercio di X aveva un bando che rimborsava fino a €…, ma parliamo di iniziative locali sporadiche.
    • La legge ha introdotto “misure premiali” per l’imprenditore che accede tempestivamente agli strumenti di composizione: ad esempio, la riduzione di interessi e sanzioni fiscali, e la non punibilità per alcuni reati di bancarotta preferenziale se gli atti rientrano nel piano. Queste non sono agevolazioni monetarie dirette, ma risparmi di costi (pagherai meno interessi e meno rischi penali).
    • Per i creditori, non per il debitore, c’è un incentivo: le perdite su crediti subite per effetto della composizione negoziata sono subito deducibili. Questo può facilitare l’accordo (il creditore sa che se rinuncia a 20%, lo porta a perdita deducendola).
    Quindi, l’imprenditore deve pianificare di coprire i costi con risorse proprie o come parte dell’operazione finanziaria di risanamento. Ad esempio, può chiedere ai nuovi investitori di considerare quei costi come “costi dell’operazione” e finanziarli anch’essi.
  • D: Quali sono le fonti normative principali che regolano compensi e costi della composizione negoziata?
    R: Le norme chiave sono:
    • L’art. 16 della L. 147/2021 (conversione D.L. 118/2021) che ha introdotto la tabella compensi esperto e criteri di maggiorazione. Oggi trasfusa nell’art. 25-ter del Codice della Crisi (D.Lgs 14/2019).
    • L’art. 25-bis del Codice della Crisi, che contiene le misure premiali fiscali (riduzione sanzioni, interessi legali, ecc.).
    • Gli artt. 17-25 del Codice (introdotti dal D.Lgs 83/2022) che disciplinano tutta la composizione negoziata, tra cui: nomina esperto, misure protettive (art. 20-21), autorizzazione finanziamenti prededucibili (art. 22), esiti (art. 23), concordato semplificato (art. 25-sexies). Questi articoli, specie 23 e 25-ter, sono stati modificati dal D.Lgs 136/2024 per perfezionare alcuni aspetti (transazione fiscale, tempistiche, ecc.).
    • Il DPR 115/2002 (Testo spese di giustizia) art. 13 e 14, per il contributo unificato dovuto.
    • Linee guida e decreti ministeriali sul funzionamento (es. il DM che regola l’elenco degli esperti, criteri di nomina) ma questi non impattano sui costi direttamente.
  • D: Se l’azienda passa poi a concordato preventivo o fallimento, i costi sostenuti nella composizione negoziata vengono ri-valutati?
    R: No, i costi già sostenuti restano tali. Tuttavia, il Codice prevede che, in un eventuale concordato preventivo successivo, i crediti dei professionisti sorti “in funzione” del concordato abbiano prededucibilità al 75%. Nel nostro caso, se la composizione negoziata fallisce e l’azienda deposita un concordato, i crediti dell’esperto e in parte dei consulenti potrebbero essere considerati funzionali alla procedura concorsuale se c’è consecuzione (continuità temporale e finalistica). Le Sezioni Unite Cass. 42093/2021 hanno affrontato il tema della prededuzione funzionale e sembrano ammettere che i costi della fase negoziale abbiano prededuzione se confluiscono nel concordato successivo. Quindi, ad esempio, il compenso dell’esperto è prededucibile per legge al 100%; la parcella dell’avvocato che ha predisposto la bozza di piano poi usata nel concordato avrebbe prededuzione al 75%. In fallimento, l’art. 6 CCII e l’art. 111 L.F. (ancora applicabile) riconoscono prededuzione se la spesa era autorizzata o espressamente qualificata da legge – qui l’esperto sì, i consulenti no (a meno che il giudice li avesse autorizzati come ausiliari). In pratica: l’esperto si paga prima di tutto, gli altri forse parzialmente prima, ma spesso finiscono chirografari se il concordato non parte. Quindi c’è un rischio per i consulenti che il loro compenso non venga integralmente soddisfatto se la cosa degenera (rischio che spesso li induce a modulare i success fee e richiedere acconti).
  • D: Un ultimo confronto: quanto costa rispetto a un concordato preventivo tradizionale?
    R: Generalizzando, la composizione negoziata costa meno di un concordato preventivo, soprattutto considerando il total cost per il debitore e i creditori. Nel concordato:
    • Bisogna pagare un attestatore indipendente per il piano (spesso 20-30k per PMI, molto di più per grandi).
    • Si paga un commissario giudiziale, determinato dal tribunale su percentuali dell’attivo/passivo (anche decine di migliaia).
    • Ci sono spese di giustizia (contributo unificato più alto, eventuale deposito cauzionale).
    • Tempi più lunghi, quindi più parcelle legali, e perdita di valore più ampia (costi indiretti).
    Nella composizione negoziata, l’attestatore è di fatto rimpiazzato dall’esperto (paghi uno invece di due figure), il commissario non c’è, il contributo è minimo, e la procedura è veloce e riservata (meno danni collaterali). Studi empirici indicano che i costi di procedura concorsuale possono erodere dal 5% al 10% dell’attivo per spese, mentre qui stiamo vedendo percentuali molto minori in media. Ovviamente caso per caso può variare: un concordato liquidatorio “semplice” su una piccola srl potrebbe costare relativamente poco se il giudice liquida un compenso minimo al commissario, ecc., mentre una composizione negoziata mal condotta potrebbe sprecare soldi. Ma tendenzialmente, l’OCF (Onerosità Complessiva di Fallimento) è più alto del “costo composizione negoziata”. Si consideri ad esempio che nel concordato la proposta ai creditori deve includere il pagamento almeno del 20% ai chirografari (per legge) e spese in prededuzione 100%. Quindi i creditori sanno che una fetta viene mangiata da costi prededucibili. Nella composizione negoziata, i creditori negoziano direttamente il loro trattamento e non c’è quell’automatismo, e i costi del procedimento non vengono prelevati dagli incassi della liquidazione (perché di solito c’è continuità). Quindi c’è più materia da spartire per i creditori, meno per i “cost layers”. In conclusione, la composizione negoziata si rivela uno strumento cost-effective per risanare l’impresa rispetto alle alternative concorsuali. Naturalmente non è priva di costi e anzi richiede un impegno finanziario non trascurabile da parte del debitore, ma i vantaggi in termini di esiti e di riduzione del damage economico complessivo ne giustificano di norma l’impiego.

Fonti normative di riferimento

Normativa primaria:

  • D.L. 24/08/2021 n.118, conv. in L. 147/2021: articolo 16 (compenso esperto negoziatore) e disposizioni in materia di composizione negoziata (artt. 2-17 D.L.).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12/01/2019 n.14, in vigore dal 15/07/2022: artt. 17-25 septies (Disciplina della composizione negoziata, misure protettive e concordato semplificato) e in particolare: art. 23 (esiti delle trattative), art. 25-bis (misure premiali fiscali), art. 25-ter (compenso esperto e prededuzione), art. 25-sexies (concordato semplificato post composizione).
  • D.Lgs. 17/06/2022 n.83 (c.d. “Secondo Correttivo” al CCII): ha integrato la composizione negoziata nel Codice e introdotto art. 25-bis CCII (incentivi fiscali).
  • D.Lgs. 15/09/2023 n.136 (c.d. “Terzo Correttivo” al CCII): ulteriori modifiche, tra cui flessibilità compenso minimo esperto, introduzione transazione fiscale nella composizione negoziata, estensione misure premiali (IVA detraibile etc.).
  • DPR 30/05/2002 n.115 (TU Spese di giustizia): art. 13 e 14 sul contributo unificato. Modificato da L. 197/2022 (Bilancio 2023) introducendo art. 14 co.3.1 (obbligo previo pagamento contributo).

Normativa secondaria e prassi:

  • Decreto Dirigenziale 28/09/2021 (Min. Giustizia): Regolamento iscrizione elenco esperti della composizione negoziata (requisiti esperti, compensi forfettari in casi particolari ecc.).
  • Circolare CNDCEC 15/09/2022: chiarimenti su liquidazione compenso esperto; Pronto Ordini n.134/2022 (“Parere di liquidazione compenso richiesto dall’iscritto”).
  • Massimario Composizione Negoziata – Cam. Comm. di Pistoia-Prato, ed. aggiornata 2024: raccolta di massime giurisprudenziali. Vedi in particolare: Trib. Parma 26/09/2023 (limite ai compensi advisor); Trib. Potenza 27/12/2022 (divieto dichiarazione fallimento se misure protettive richieste); Trib. Bologna 30/01/2024 (in massimario, su misura massima compensi advisor).

Giurisprudenza rilevante:

  • Cass., Sez. Unite civili, 31/12/2021 n.42093: ha affrontato la natura della composizione negoziata e la prededuzione dei crediti professionali funzionali. Indica che l’accesso alla composizione negoziata (ex art. 6 co.4 D.L.118/21) preclude la dichiarazione di fallimento solo se sono state richieste le misure protettive. Stabilisce inoltre principi sulla prededucibilità dei costi sostenuti in caso di procedura concorsuale successiva.
  • Cass., Sez. I, 12/02/2025 n.3634 (ord.): ha statuito che la pendenza di una composizione negoziata (anche con misure protettive) non obbliga il giudice a rinviare l’udienza prefallimentare, salvo misure protettive specifiche. Conferma la necessità di eccepire tempestivamente eventuali nullità procedurali. Caso in cui fallimento è stato dichiarato nonostante istanza di composizione negoziata, evidenziando l’importanza di attivare misure protettive tempestive.
  • Cass., Sez. I, 06/06/2023 n.15790: in tema compenso commissario giudiziale nel concordato non aperto (rilevante per analogia: spiega che il commissario ha diritto a compenso anche se il concordato non arriva all’omologazione, principio analogo a quello dell’esperto in caso di mancato accordo).
  • App. Potenza, 27/12/2022: ha affermato che il divieto di pronuncia di fallimento ex art.6 co.4 D.L.118/21 opera anche se l’istanza di fallimento è di un lavoratore dipendente (quindi nessuna eccezione per creditori “privilegiati”).
  • Trib. Parma, 26/09/2023 (decr.): ha ridotto d’ufficio (in sede di omologa concordato semplificato) gli onorari dei consulenti del debitore perché eccedenti il compenso dell’esperto, sancendo che gli advisor non possono costare più dell’esperto nell’ambito di una composizione negoziata.
  • Trib. Verona, 10/03/2025: in composizione negoziata di società immobiliare, ha rigettato la conferma delle misure protettive quando mancavano prospettive di risanamento (azienda in liquidazione senza piano concreto). Rileva che il tribunale valuta prima facie l’idoneità del piano per concedere misure. Se la prospettiva è nulla, meglio non prolungare i costi.

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