Qual È Il Compenso Dell’Esperto Per La Composizione Negoziata?

Hai sentito parlare della Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa e ti stai chiedendo quanto costa l’esperto nominato dal sistema camerale? Vuoi sapere come viene determinato il compenso, chi lo paga e se ci sono differenze in base alla dimensione o alla durata della procedura?

Nel quadro delle procedure di allerta e risanamento introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa, il ruolo dell’esperto indipendente è centrale. Tuttavia, uno dei dubbi più frequenti tra imprenditori e professionisti riguarda proprio il compenso dell’esperto, specie nei casi in cui l’azienda si trova già in difficoltà economica.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario e procedure di risanamento aziendale – ti spiega in modo chiaro qual è il compenso previsto per l’esperto nella Composizione Negoziata, da cosa dipende e come può essere gestito anche nei casi di crisi più gravi.

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Introduzione

La composizione negoziata della crisi d’impresa è una procedura introdotta nell’ordinamento italiano nel 2021 per aiutare le imprese in difficoltà a trovare soluzioni concordate con i creditori, con l’ausilio di un esperto indipendente. Dal punto di vista del debitore, uno degli aspetti cruciali da considerare sin dall’inizio è il compenso spettante a questo esperto: quanto costa avvalersi della composizione negoziata e in quali casi tale costo può aumentare o ridursi. La disciplina di riferimento è piuttosto dettagliata ed è stata oggetto di aggiornamenti normativi recenti (2022–2025) per affinare criteri e incentivi. In questa guida, redatta in stile giuridico-divulgativo avanzato, analizzeremo in modo completo e operativo il tema del compenso dell’esperto negoziatore, fornendo tutte le informazioni utili ad avvocati, imprenditori e privati interessati a questo strumento.

Struttura della guida: Dopo una breve panoramica sull’istituto e sul ruolo dell’esperto, esamineremo la normativa vigente (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) relativa al compenso. Approfondiremo la distinzione tra compenso “ordinario” (calcolato in base all’attivo dell’impresa e ad altri parametri) e compenso “variabile” ad esito raggiunto (riconosciuto in caso di successo delle trattative). Verranno illustrati i criteri di determinazione, le percentuali applicabili, i limiti minimo/massimo, nonché le maggiorazioni o riduzioni previste dalla legge in base a fattori come il numero di creditori, l’eventuale continuità aziendale assicurata, ecc. Saranno incluse tabelle riepilogative per una consultazione rapida dei parametri di calcolo, FAQ (domande frequenti) con risposte chiare, e casi pratici tratti da ipotesi reali in diversi settori (edilizia, manifatturiero, commercio) con simulazioni del calcolo del compenso. Infine, una sezione di Fonti elencherà tutte le normative, linee guida, prassi camerali e pronunce giurisprudenziali citate e utilizzate.

Obiettivo: Fornire al lettore uno strumento completo, aggiornato a giugno 2025, per comprendere quanto e come viene remunerato l’esperto nella composizione negoziata. Ci poniamo dal punto di vista del debitore: capire in anticipo i costi e le regole del compenso permette all’imprenditore di valutare l’adesione alla procedura con piena consapevolezza. Al contempo, la guida evidenzia come la normativa cerchi di bilanciare gli interessi in gioco: assicurare un’adeguata remunerazione all’esperto (per incentivarlo a impegnarsi attivamente nel salvataggio dell’azienda) ma anche tutelare il debitore da costi eccessivi, parametrandoli all’effettiva complessità e ai risultati ottenuti.

Ruolo dell’esperto nella composizione negoziata (cenni)

Prima di addentrarci nel calcolo del compenso, è utile inquadrare brevemente chi è e cosa fa l’esperto nella composizione negoziata. L’esperto è un professionista indipendente (spesso un commercialista, avvocato o consulente esperto in ristrutturazioni aziendali) nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio regionale, su richiesta dell’imprenditore in crisi. Il suo compito è facilitare le trattative tra il debitore, i creditori e gli altri soggetti interessati (fornitori, banche, eventuali investitori, ecc.), per individuare una soluzione che consenta il risanamento dell’impresa ed eviti procedure concorsuali. Importante sottolineare che l’esperto non assume la gestione dell’azienda – l’imprenditore resta al timone – né rappresenta le parti; egli opera come mediatore e supervisore del processo negoziale.

In pratica, l’esperto analizza la situazione economico-finanziaria dell’impresa, verifica la ragionevole perseguibilità del risanamento, suggerisce possibili strategie (ristrutturazione del debito, ricerca di nuovi finanziamenti, cessione di rami d’azienda, ecc.) e convoca le parti rilevanti per negoziare accordi. Lavora secondo principi di correttezza, riservatezza e imparzialità, garantendo pari informazioni a tutti i creditori coinvolti. Il suo ruolo è “terzo” e autonomo: non tutela gli interessi di una parte specifica, ma favorisce il dialogo e cerca soluzioni di comune beneficio (ad esempio, una moratoria sui debiti, una ristrutturazione concordata, o la ricerca di un investitore).

Dal punto di vista del debitore, l’esperto è sia un prezioso alleato nel tentativo di salvataggio (fornisce competenze e credibilità alle trattative), sia un costo aggiuntivo da sostenere. A differenza di altre procedure dove il compenso degli organi (curatore, commissario, ecc.) è determinato a posteriori dall’autorità giudiziaria, nella composizione negoziata il compenso dell’esperto è regolato dettagliatamente dalla legge sin dall’inizio, con criteri predeterminati. Ciò offre al debitore una certa prevedibilità sui costi da mettere in conto, ma comporta anche l’obbligo di corrispondere tale compenso a carico dell’imprenditore stesso (non vi sono, al momento, sovvenzioni pubbliche dirette per coprirlo). La legge, tuttavia, prevede alcune tutele: ad esempio il compenso dell’esperto è considerato credito prededucibile, ossia ha priorità di pagamento nell’eventuale successivo fallimento o concordato preventivo dell’azienda. In altre parole, se anche la composizione negoziata non dovesse evitare l’insolvenza, l’importo dovuto all’esperto sarà comunque soddisfatto prima degli altri debiti (nei limiti delle risorse disponibili).

Nei paragrafi seguenti esamineremo in dettaglio come si determina il compenso dell’esperto, distinguendo le componenti fisse (compenso ordinario) e quelle variabili legate all’esito. Vedremo inoltre quando e da chi viene liquidato tale compenso, come può essere eventualmente negoziato o ridotto/aumentato, e quali sono le ultime novità normative e applicative al riguardo.

Quadro normativo di riferimento

La disciplina del compenso dell’esperto negoziatore è contenuta principalmente nell’articolo 25-ter del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), introdotto dal D.Lgs. 14/2019 e modificato successivamente da vari interventi correttivi. In particolare:

  • Origine (2021) – La composizione negoziata è stata istituita con il D.L. 24 agosto 2021 n. 118 (convertito con modifiche dalla L. 21 ottobre 2021 n. 147). Tale decreto, all’art. 16, dettava già un’articolata disciplina del compenso dell’esperto negoziatore. In origine le percentuali di calcolo erano fisse per ciascuno scaglione di attivo (ad es. 5% fino a 100.000 €, 1,25% da 100k a 500k, ecc.), e il compenso per esito positivo scattava automaticamente. Questa disciplina “provvisoria” è entrata in vigore a novembre 2021.
  • Codice della Crisi (2022) – Prima ancora che l’art. 16 DL 118/2021 trovasse piena applicazione, le sue norme sono confluite nel Codice della Crisi. Il D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (emanato in attuazione della direttiva UE 2019/1023 e noto come primo decreto correttivo del CCII) ha inserito la composizione negoziata nel Codice e ha rimodulato la disciplina dei compensi. In particolare, dal 15 luglio 2022 il sistema di calcolo è divenuto più flessibile e negoziabile: le percentuali fisse per scaglione sono state sostituite da forchette percentuali all’interno delle quali le parti (imprenditore ed esperto) devono accordarsi, tenendo conto della complessità, dell’opera prestata e degli altri criteri di legge. Inoltre, si è confermato un importo minimo (4.000 €) e massimo (400.000 €) totale, e si è previsto formalmente che in mancanza di accordo sul compenso provvederà la commissione che ha nominato l’esperto. Queste novità si applicano anche alle procedure avviate prima ma liquidate dopo il 15/7/2022.
  • Correttivo 2023–2024 – Nei due anni successivi, viste le prime applicazioni, il legislatore è nuovamente intervenuto per chiarire alcune zone d’ombra. Il D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 169 (secondo correttivo) non ha toccato direttamente l’art. 25-ter, mentre il più recente D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (terzo correttivo) vi ha introdotto modifiche significative. In vigore dal fine 2024, tali modifiche riguardano: (a) il divieto di accordi sul compenso prima di 120 giorni dall’avvio della procedura, con nullità di eventuali patti anticipati; (b) la precisazione che il raddoppio del compenso per esito positivo spetta solo se il risultato è conseguenza dell’opera effettiva dell’esperto (evitando aumenti “automatici” sganciati dal suo contributo); (c) la rivisitazione del compenso in caso di chiusura anticipata: non più un forfait fisso di 500 €, ma un importo variabile tra 500 € e 5.000 € a discrezione, così da adeguarlo al lavoro svolto anche se le trattative finiscono subito. Queste correzioni puntano a incentivare l’esperto ad impegnarsi attivamente (premiando solo il successo da lui agevolato) e, al contempo, a garantire un minimo compenso decoroso anche nei casi in cui l’esito sia negativo o la procedura abortisca sul nascere.
  • Linee guida e prassi – Oltre alle fonti normative, vanno menzionate le Linee guida operative emanate dal Ministero della Giustizia e da Unioncamere per l’attuazione della composizione negoziata. Un Decreto Dirigenziale del 28 settembre 2021 (aggiornato il 21 marzo 2023) ha adottato un Protocollo di conduzione della composizione negoziata, che fornisce indicazioni pratiche all’esperto sullo svolgimento delle trattative e sulla valutazione del piano di risanamento. Tali linee guida (obbligatorie per gli esperti iscritti) non fissano importi di compenso, ma delineano il comportamento atteso dall’esperto; indirettamente, incidono sul compenso poiché stabiliscono, ad esempio, che l’esperto verifichi con rigore la documentazione iniziale e favorisca la “competizione” tra eventuali offerenti per asset aziendali. Anche le Camere di Commercio hanno sviluppato prassi uniformi: ad esempio, presso ogni Camera capoluogo di regione opera una Commissione di nomina (composta da un magistrato, un rappresentante della Camera di Commercio e uno della Prefettura) che seleziona l’esperto dall’elenco regionale e che, come vedremo, è competente anche a liquidare il compenso se le parti non si accordano. Per le imprese di piccolissime dimensioni (“sotto-soglia”), la nomina e liquidazione spettano invece al Segretario Generale della Camera di Commercio locale. Tali prassi organizzative non alterano i criteri di calcolo del compenso, ma garantiscono un’applicazione omogenea sul territorio. In ambito giurisprudenziale, le pronunce sinora hanno confermato la natura prededucibile del compenso e la necessità di attenersi ai parametri di legge (eventuali patti contrari sono nulli), mentre hanno iniziato a delinearsi orientamenti sull’interpretazione degli “esiti positivi” e sull’interazione con procedure concorsuali successive (ad es. casi in cui il tribunale valuta se l’azienda ha effettivamente perseguito il risanamento durante la composizione negoziata). Approfondiremo questi aspetti nelle sezioni seguenti.

Entriamo ora nel vivo della materia, esaminando dapprima il calcolo del compenso ordinario dell’esperto e successivamente le variazioni in caso di esito delle trattative, con riferimenti continui alla normativa vigente e alle prassi applicative aggiornate al 2025.

Il compenso ordinario dell’esperto: criterio base e scaglioni percentuali

Come si determina l’onorario “base” dell’esperto? La legge prevede che il compenso sia proporzionato alla dimensione dell’impresa debitrice, misurata in termini di attivo patrimoniale. In particolare, l’art. 25-ter CCII stabilisce che il compenso è determinato “in percentuale sull’ammontare dell’attivo dell’impresa debitrice secondo i seguenti scaglioni”. Ciò significa che l’attivo (tipicamente il totale delle attività di bilancio) funge da base di calcolo, con percentuali decrescenti man mano che l’attivo cresce. Questo sistema a scaglioni, simile a quello delle tariffe notarili o dei compensi dei curatori fallimentari, intende modulare il compenso sull’entità economica dell’azienda: un’azienda più grande pagherà in valore assoluto di più, ma con un’incidenza percentuale minore rispetto a un’azienda piccola.

Le percentuali applicabili per legge (aggiornate al 2025) sono riassunte nella tabella seguente. Esse rappresentano gli intervalli percentuali (“forchette”) entro cui va determinato il compenso, in riferimento a ciascuna porzione di attivo.

Scaglione di attivo (Euro)Aliquota compenso ordinario (range %)
fino a € 100.000dal 4,00% al 6,00%
da € 100.000,01 a € 500.000,00dall’1,00% al 1,50%
da € 500.000,01 a € 1.000.000,00dallo 0,50% allo 0,80%
da € 1.000.000,01 a € 2.500.000,00dallo 0,25% allo 0,43%
da € 2.500.000,01 a € 50.000.000,00dallo 0,05% allo 0,10%
da € 50.000.000,01 a € 400.000.000,00dallo 0,010% allo 0,025%
da € 400.000.000,01 a € 1.300.000.000,00dallo 0,002% allo 0,008%
oltre € 1.300.000.000,00dallo 0,002% allo 0,005%

Tabella 1 – Scaglioni di attivo e aliquote percentuali per il calcolo del compenso dell’esperto negoziatore.

Note tecniche: Le percentuali si applicano sull’attivo medio dell’impresa, calcolato come la media degli attivi risultanti dagli ultimi tre bilanci depositati. Se l’impresa è di recente costituzione (meno di tre esercizi) o se non dispone di tre bilanci, si utilizza l’attivo risultante dall’ultima situazione patrimoniale e finanziaria disponibile (aggiornata a non più di 60 giorni prima della domanda). In assenza totale di bilanci (es. impresa neo-costituita), si farà riferimento a tali dati contabili iniziali. Questo meccanismo evita che eventuali variazioni congiunturali dell’attivo in un singolo anno possano incidere troppo sul calcolo: si effettua una media per maggiore equità.

Le aliquote indicate sono intervalli: ad esempio, per la fascia di attivo fino a 100.000 €, la percentuale da applicare può essere scelta tra un minimo del 4% e un massimo del 6%. Ciò è frutto della modifica introdotta dal D.Lgs. 83/2022, che – come accennato – ha sostituito aliquote fisse con forchette contrattabili. Il significato pratico è che l’importo esatto del compenso base non è predeterminato rigidamente, ma va concordato tenendo conto dei fattori indicati dalla legge: l’opera prestata, la complessità della negoziazione, il contributo concretamente dato dall’esperto e la sollecitudine/rapidità con cui sono condotte le trattative. In altre parole, l’esperto e il debitore (e, eventualmente, altri soggetti che contribuiscono al pagamento) possono collocare il compenso nella parte bassa della forbice se la gestione è stata semplice e poco onerosa, oppure verso l’alto se l’incarico è stato particolarmente impegnativo. Questo aspetto della negoziazione del compenso sarà approfondito più avanti, unitamente al ruolo della Commissione in caso di disaccordo.

Dal punto di vista quantitativo, il calcolo avviene in modo progressivo a scaglioni: ciò significa che le percentuali si applicano per tranche di attivo. Ad esempio, per un’impresa con attivo di € 600.000, il compenso base teorico (al netto di variazioni) si calcola sommando: il 4–6% sulla parte fino a 100k; l’1–1,5% sulla parte da 100k a 500k; lo 0,5–0,8% sulla parte da 500k a 600k. Ne risulterà un importo complessivo nell’intervallo dato dalla somma delle aliquote minime e massime su ciascuna fascia. Questo metodo a scaglioni garantisce progressività ed evita “salti” eccessivi: un piccolo incremento dell’attivo non fa automaticamente rientrare l’intero compenso in una percentuale minore, ma solo la parte eccedente.

Limiti minimo e massimo: Qualunque sia l’esito del calcolo percentuale, la legge impone che il compenso totale dell’esperto non può comunque essere inferiore a € 4.000 né superiore a € 400.000. Tale previsione stabilisce una soglia minima garantita all’esperto (4.000 €) e, specularmente, un tetto massimo a tutela del debitore (400.000 €). Ad esempio, un micro-imprenditore con attivo bassissimo (diciamo € 50.000) avrebbe in teoria un compenso calcolato di circa 2.000–3.000 € (5% di 50k, se si applicasse la vecchia aliquota fissa); tuttavia, per legge l’esperto avrà diritto comunque al minimo di € 4.000. Viceversa, per una grande azienda con attivo di molti miliardi, il calcolo percentuale potrebbe superare 400.000 €, ma l’esperto dovrà accontentarsi di quest’ultima cifra come massimale assoluto. In pratica, il range 4.000–400.000 € definisce la forbice entro cui può oscillare ogni compenso, per quanto eccezionali siano i casi estremi.

Va notato che il decreto correttivo 2024 ha confermato tali soglie e anzi ha chiarito che si applicano anche ai casi di gruppi di imprese in composizione unitaria. Ciò significa che se più società dello stesso gruppo accedono congiuntamente alla composizione negoziata (con un unico esperto nominato per l’intero gruppo), il compenso complessivo dell’esperto, calcolato sommando i vari attivi, non potrà comunque oltrepassare 400.000 € totali, né scendere sotto 4.000 € totali. La regola base in caso di gruppo è che il compenso “è determinato tenendo conto dell’attivo di ciascuna impresa istante”, dunque si calcola come se l’esperto svolgesse più incarichi paralleli (uno per azienda) – ma il correttivo ha rimosso l’avverbio “esclusivamente”, lasciando intendere che si possa considerare anche la sinergia del gruppo nella determinazione finale. In ogni caso, i minimi e massimi di legge valgono sul totale.

Esempio di calcolo base: Supponiamo un’impresa manifatturiera con attivo medio di € 2.000.000. Applicando gli scaglioni:

  • 6% sui primi 100k (€ 6.000) – oppure minimo 4% (€ 4.000);
  • 1,5% sulla fascia 100k–500k (€ 6.000) – oppure minimo 1% (€ 4.000);
  • 0,8% sulla fascia 500k–1M (€ 4.000) – oppure minimo 0,5% (€ 2.500);
  • 0,43% sulla fascia 1M–2,5M (in questo caso fino a 2M, quindi 1M ulteriore) ≈ € 4.300 – oppure min 0,25% (€ 2.500).

Sommiamo: l’importo massimo calcolato sarebbe ~€ 20.300; il minimo ~€ 13.000. Dunque l’intervallo di compenso ordinario, prima di altre voci, è all’incirca 13–20 mila euro. Le parti dovranno negoziare l’importo entro questo range, valutando la mole di lavoro svolta dall’esperto. Notiamo che, essendo l’attivo di 2M non enorme, il minimo di legge (4k) non interviene perché il calcolo lo supera ampiamente; se invece fosse stata un’impresa molto piccola, la soglia di 4.000 € avrebbe “alzato” il compenso al di sopra del mero calcolo percentuale. Viceversa, in questo esempio il tetto di 400k è lontanissimo (il calcolo è di poche decine di migliaia).

Maggiorazioni e riduzioni: compenso e complessità della negoziazione

Oltre che dalla dimensione aziendale, il compenso dell’esperto varia in funzione della complessità effettiva delle trattative. La legge individua alcuni indicatori oggettivi di complessità e prevede corrispondenti aumenti o riduzioni percentuali sul compenso base calcolato come sopra. Tali correttivi servono a rendere il compenso più aderente al lavoro richiesto nei casi concreti: ad esempio, negoziare con decine di creditori sarà presumibilmente più oneroso che trattare con pochi interlocutori; analogamente, se l’esperto deve anche trovare un compratore per l’azienda, il suo impegno aggiuntivo va remunerato. Ecco le principali voci di variazione (art. 25-ter commi 4 e 5 CCII):

  • Numero di creditori/parti interessate coinvolte: se i soggetti che partecipano alle trattative (creditori e altri stakeholder rilevanti) sono più di 20 ma non oltre 50, il compenso base è aumentato del +25%; se sono oltre 50, l’aumento sale al +35%. Viceversa, se i partecipanti alle trattative sono molto pochi (fino a 5), il compenso base viene ridotto del 40%. Queste percentuali vanno applicate una tantum sull’importo determinato a scaglioni. Ad esempio, tornando al caso dell’impresa da 2 milioni di attivo: se essa ha 30 creditori significativi al tavolo negoziale, l’importo base (supponiamo € 15.000 per ipotesi di accordo a metà forchetta) subirebbe un incremento del 25%, diventando € 18.750. Se invece i creditori fossero solo 3–4, quello stesso importo di € 15.000 andrebbe ridotto del 40%, scendendo a € 9.000.
  • (Esclusione dei lavoratori dal conteggio): nel computare il numero dei partecipanti, la norma esclude espressamente i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali. Ciò significa che la presenza del sindacato o di delegati dei dipendenti al tavolo non fa scattare di per sé gli aumenti per “>20” o “>50” parti. La ratio è chiara: evitare di penalizzare l’esperto (o disincentivarlo dal coinvolgere i lavoratori) conteggiandoli come “creditori aggiuntivi” ai fini del compenso. Per compensare comunque l’attività verso i lavoratori, la legge prevede che “all’esperto comunque spetta il compenso di € 100,00 per ogni ora di presenza” nelle riunioni con i lavoratori, risultante dai relativi verbali. Dunque, ad esempio, se l’esperto dedica 5 ore ad incontri con rappresentanze sindacali, avrà diritto ad ulteriori € 500 per tali attività, indipendentemente dal compenso principale calcolato sugli scaglioni. Questa è una voce aggiuntiva finalizzata a remunerare il tempo impiegato con i dipendenti, senza però contare questi ultimi come “parti” per le soglie di cui sopra.
  • Vendita dell’azienda o ricerca di un acquirente: se nell’ambito della composizione negoziata si arriva a vendere il complesso aziendale (o un ramo d’azienda), oppure se l’esperto individua un potenziale acquirente per l’azienda, il compenso è aumentato di un ulteriore +10%. Questa previsione mira a premiare l’esperto che, oltre a facilitare accordi con i creditori, si attiva per trovare soluzioni di continuità alternativa come la cessione dell’impresa (magari a un concorrente o investitore interessato). La vendita dell’azienda infatti può essere una delle strade di risanamento: se è l’esperto a procurare un compratore, ottiene questo bonus del 10%. Tale incremento si cumula con gli altri: ad esempio, se nel nostro caso l’impresa da € 2M, con 30 creditori, viene venduta a un terzo grazie all’azione dell’esperto, il compenso base di € 15.000 verrebbe prima aumentato del 25% (creditori) a € 18.750, e poi di un ulteriore 10% (vendita) arrivando a circa € 20.625.

Riassumiamo queste maggiorazioni/riduzioni in tabella:

Fattore particolare nelle trattativeVariazione compenso ordinario
Creditori/parti ≤ 5–40% (riduzione del 40%)
Creditori/parti tra 21 e 50+25% (aumento del 25%)
Creditori/parti > 50+35% (aumento del 35%)
Vendita del complesso aziendale o individuazione di acquirente+10%
Lavoratori presenti alle trattativeNon conteggiati per soglie di cui sopra; compenso extra di € 100/ora per incontri con loro

Tabella 2 – Variazioni del compenso base in funzione della complessità (commi 4–5 art. 25-ter CCII).

Da notare che le maggiorazioni per numero di creditori non sono cumulative: ad esempio, 30 creditori dà +25%, mentre 60 creditori dà +35% (non +25%+35%). Invece, le maggiorazioni di natura diversa possono cumularsi: ad esempio, un caso con >50 creditori (+35%) e vendita azienda (+10%) comporta entrambe le addizioni sul compenso base. Resta fermo comunque il cap dei 400.000 € totali: se anche la somma di base + aumenti eccedesse quella cifra, si rientrerà nel limite massimo. Allo stesso modo, il floor di 4.000 € è garantito al netto di eventuali riduzioni: la riduzione 40% per creditori ≤5 non può portare il compenso sotto 4.000, perché quella è una soglia assoluta (tranne il caso speciale di chiusura anticipata di cui diremo a breve).

Esempio pratico: Immaginiamo un’impresa edile con attivo di € 800.000 e 4 creditori principali. Il compenso base a scaglioni (ipotizzando aliquote medie) potrebbe aggirarsi sui 7.000 €. Tuttavia, avendo soltanto 4 controparti, la legge prevede una riduzione del 40%. Applicandola, si scenderebbe a € 4.200. A questo punto interviene il limite minimo: l’importo non può essere inferiore a € 4.000, quindi € 4.200 è comunque al di sopra del minimo e sarà dovuto interamente. Se invece quella riduzione avesse portato a € 3.000, l’esperto avrebbe comunque diritto a € 4.000 (floor di legge). Supponiamo ora che nel corso delle trattative l’esperto abbia anche coinvolto i sindacati per discutere la salvaguardia di 20 operai e abbia tenuto 3 ore di riunione con loro: poiché i lavoratori non rientrano nel conteggio dei 4 creditori (già considerati), ma l’esperto ha impiegato tempo con loro, egli maturerà € 300 aggiuntivi (3h × 100 €/h) oltre ai ~4.200 stabiliti. Il totale liquidato potrebbe così essere € 4.500 circa.

Compenso e accordo tra le parti: negoziazione dell’onorario e intervento della Commissione

Una novità cruciale apportata dal correttivo 2022 è la possibilità/necessità di negoziare il compenso tra imprenditore ed esperto, anziché applicare automaticamente una tariffa fissa. Come visto, ogni scaglione offre un intervallo percentuale. La legge richiede che le parti si accordino entro tali margini, valutando l’attività svolta e gli esiti ottenuti. Questo introduce una dinamica contrattuale: in sostanza, il compenso dell’esperto è in parte oggetto di contrattazione tra debitore e professionista.

Dal punto di vista del debitore, ciò significa avere una leva per contenere il costo qualora, ad esempio, la crisi si sia risolta rapidamente o con sforzo contenuto da parte dell’esperto. Dal punto di vista dell’esperto, significa poter giustificare un importo verso l’estremo alto se il caso si è rivelato più complesso del previsto. La legge fornisce i criteri qualitativi per orientare tale accordo: come già citato, “l’opera prestata, la sua complessità, il contributo dato nella negoziazione e la sollecitudine con cui sono state condotte le trattative” sono gli elementi da considerare. Ad esempio, se l’esperto ha dovuto esaminare una documentazione aziendale caotica, interagire con decine di creditori litigiosi e organizzare molti incontri in tempi stretti, sarà ragionevole collocare il compenso verso il tetto delle forchette; se invece la crisi era di facile soluzione e l’accordo si è trovato al primo colpo, ci si aspetterà un importo verso il minimo.

Tempistica dell’accordo: Importante, il D.Lgs. 136/2024 ha stabilito che qualsiasi accordo di remunerazione raggiunto prima che siano trascorsi 120 giorni dall’inizio della procedura è nullo. In altre parole, non è consentito accordarsi sul compenso troppo presto, ad esempio all’atto dell’accettazione dell’incarico. Questa norma mira a evitare che l’esperto e il debitore fissino “a tavolino” la parcella prima ancora di aver affrontato le negoziazioni: ciò potrebbe infatti portare l’esperto a incassare comunque un importo magari elevato senza poi avere incentivo a impegnarsi a fondo (se già garantito) o, viceversa, un imprenditore in posizione debole potrebbe sentirsi costretto a promettere compensi esorbitanti pur di ottenere l’incarico. La nullità dei patti anticipati serve a demandare la definizione del compenso alla fase avanzata del procedimento, quando si ha un quadro chiaro dell’attività effettivamente svolta. Fanno eccezione implicita a questo divieto i casi in cui la composizione negoziata si conclude prima dei 120 giorni: se, ad esempio, entro 4 mesi l’azienda chiude un accordo e termina la procedura, è ovvio che al termine (che cade <120 gg) dovrà comunque essere determinato il compenso finale. In generale, però, fino a circa 4 mesi dall’avvio non si dovrebbe formalizzare alcun accordo definitivo sul compenso; l’esperto può fornire un’idea dei costi sulla base dei parametri, ma la decisione finale su dove collocare la cifra nella forchetta è rimandata.

Intervento della Commissione di nomina: Cosa succede se, giunti al termine della procedura, l’esperto e l’imprenditore non trovano un accordo sull’importo dovuto? La legge è chiara: “in mancanza di accordo tra l’esperto e il debitore (o altre parti interessate), il compenso è liquidato dalla Commissione Regionale […]”. La Commissione cui si fa riferimento è la stessa che aveva nominato l’esperto (istituita ai sensi dell’art. 13, co.6 CCII presso la CCIAA regionale). Essa interviene quindi come organo “arbitro” per determinare il compenso dovuto, con un provvedimento di liquidazione. Tale provvedimento costituisce titolo esecutivo immediatamente utilizzabile dall’esperto per il recupero forzoso del credito, se necessario. Dunque il debitore, anche se non consenziente, si vedrà imporre l’importo stabilito dalla Commissione e dovrà pagarlo. La norma specifica anche che tale provvedimento è idoneo per un’eventuale ingiunzione e per l’esecuzione provvisoria ex art. 642 c.p.c., a tutela dell’esperto.

In pratica, la procedura è la seguente: l’esperto, a conclusione dell’incarico, presenta un rapporto finale e presumibilmente una nota spese con il calcolo del compenso secondo gli scaglioni e le maggiorazioni (oltre all’eventuale richiesta di spese vive). Se l’imprenditore concorda sull’importo, si formalizza l’accordo (che di solito avverrà per iscritto, magari nei verbali finali della piattaforma o con dichiarazione firmata). Se invece l’imprenditore ritiene eccessiva la pretesa dell’esperto (o viceversa l’esperto ritiene inaccettabile l’offerta al ribasso del debitore), si investe la Commissione di questa decisione. La Commissione esaminerà la relazione dell’esperto, i risultati della composizione (se vi sono stati accordi, etc.), e valuterà i criteri di complessità e opera prestata. Sulla base di ciò, emetterà un decreto di liquidazione fissando il compenso entro le forchette di legge e applicando gli eventuali aumenti/riduzioni previsti.

Da sottolineare: la Commissione non è libera di fissare importi al di fuori dei parametri normativi. Essa deve attenersi alle percentuali e limiti dell’art. 25-ter. Ad esempio, non potrebbe liquidare un compenso inferiore a 4.000 € (salvo caso archiviazione immediata, v. infra) né superiore a 400.000 €, né ignorare il +100% in caso di esito positivo. Tuttavia, ha un margine di apprezzamento nel decidere dove collocarsi nei range. Si può presumere, in base alle finalità della norma, che la Commissione adotterà un criterio equidistante e imparziale: se la posizione dell’esperto appare più convincente (ad es. dimostra di aver svolto attività molto complesse e intense), la liquidazione potrebbe avvicinarsi al massimo della forbice; se invece molte attività erano standard o si sono risolte velocemente, potrebbe optare per il minimo. L’obiettivo è remunerare il giusto, evitando sia abusi da parte dell’esperto che indebiti risparmi a danno del professionista.

Dal punto di vista del debitore, conviene cercare un accordo bonario con l’esperto se possibile, magari negoziando un importo intermedio equo, piuttosto che rischiare che la Commissione – per tutela corporativa – liquidi il massimo (ipotesi possibile). Va detto però che la Commissione è organo pubblico e ha al suo interno anche un magistrato, per cui ci si attende equilibrio. Finora (al 2025) non risultano contenziosi particolarmente accesi su questo punto, anche perché il numero di composizioni negoziate completate non è elevatissimo e spesso si cerca di evitare scontri sul compenso, specie in caso di insuccesso. Nel seguito, nei casi pratici, ipotizzeremo alcune situazioni di disaccordo e come potrebbero essere risolte.

Acconto sul compenso: Durante lo svolgimento della composizione negoziata, l’esperto può trovarsi a impiegare diversi mesi di lavoro. La legge prevede che dopo almeno 60 giorni dall’accettazione dell’incarico, l’esperto possa chiedere un acconto fino a un terzo del compenso finale presumibile. Tale acconto può essere disposto tenendo conto dei risultati parziali ottenuti e dell’attività già prestata. In pratica, trascorsi due mesi, se l’esperto ha già condotto varie riunioni o predisposto piani, può domandare all’imprenditore un pagamento intermedio. Anche questo aspetto è generalmente soggetto ad accordo: l’esperto motiverà la richiesta presentando magari un rendiconto delle ore o delle attività svolte, e proporrà un ammontare (comunque ≤ 33% del totale stimato). Il debitore, se concorda, liquiderà tale acconto; in caso contrario, è presumibile che l’esperto possa rivolgersi alla Commissione per farsi autorizzare l’acconto. Il testo normativo non esplicita la procedura, ma essendo la Commissione competente per la liquidazione finale, analogamente potrebbe pronunciarsi sull’acconto su istanza motivata dell’esperto. Un acconto versato verrà poi scomputato dal saldo finale a fine procedura. Ad esempio, se si stima un compenso finale di € 15.000, l’esperto dopo 60 giorni può chiedere fino a € 5.000. Se poi il compenso definitivo risulterà € 18.000 (magari perché la negoziazione si è protratta con più complessità del previsto), l’imprenditore pagherà i restanti € 13.000 a saldo. Se invece la procedura dovesse interrompersi anticipatamente, l’acconto resta acquisito dall’esperto per l’attività svolta (salvo conguaglio se magari si scopre che doveva avere meno, ma è difficile si dia più acconto del dovuto perché il limite 1/3 è prudenziale).

Rimborso spese: Oltre al compenso per l’opera professionale, all’esperto spetta per legge il rimborso delle spese necessarie all’adempimento dell’incarico, purché documentate. Ad esempio, se l’esperto ha dovuto sostenere spese di viaggio per incontrare creditori, costi di spedizione per invio di convocazioni, o altre spese vive inerenti alle trattative, può presentare i relativi giustificativi e ottenere il rimborso integrale dal debitore. Sono invece esclusi dal rimborso gli esborsi sostenuti dall’esperto per remunerare eventuali ausiliari di cui si sia avvalso. L’art. 16 co.2 CCII consente infatti all’esperto di farsi assistere da altri professionisti o periti (previa informativa all’imprenditore), ma i compensi di costoro non sono a carico diretto della procedura. In pratica, se l’esperto reputa di aver bisogno di un consulente del lavoro o di un tecnico per valutare impianti, dovrà accordarsi affinché sia l’impresa stessa eventualmente ad assumere tale consulente, oppure pagarlo di tasca propria; non può presentare il conto di questi ausiliari come spesa rimborsabile. Questa previsione evita duplicazioni e oneri imprevedibili per l’imprenditore. Quindi, in sede di accordo sul compenso, l’esperto chiederà il netto per la sua prestazione (calcolato come sopra) più magari poche voci di spesa (viaggi, vitto, alloggio se necessari), senza aggiungere costi di terzi. Il debitore deve tenere presente che potrà comunque dover pagare i propri consulenti (ad es. l’avvocato o il commercialista che lo assiste nella procedura) separatamente: quei costi non rientrano nel compenso dell’esperto. Dunque, complessivamente, affrontare una composizione negoziata comporta sia il compenso all’esperto indipendente, sia – di solito – le parcelle degli advisor dell’impresa stessa (questi ultimi a libera pattuizione). Ad ogni modo, come nota positiva per il debitore, tali costi sommati risultano in genere inferiori a quelli di una lunga procedura concorsuale (fallimento o concordato), soprattutto se la composizione negoziata riesce in tempi brevi.

Compenso variabile “ad esito”: il premio in caso di successo delle trattative

Fin qui abbiamo discusso del compenso “ordinario” dovuto indipendentemente dall’esito della composizione negoziata, calcolato in base ad attivo, complessità, ecc. La normativa però prevede anche una componente variabile legata al risultato: in caso di esito positivo delle trattative, l’esperto ha diritto a un compenso maggiore, pensato come incentivo al successo. Vediamo in dettaglio.

Quando un esito si considera “positivo”? L’art. 23 CCII elenca i possibili sbocchi della composizione negoziata. In sintesi, possiamo distinguere:

  • Esito favorevole con accordo stragiudiziale: le parti (debitore e uno o più creditori) raggiungono un accordo contrattuale che consente la continuità aziendale per almeno 2 anni, oppure una convenzione di moratoria (accordo di dilazione dei crediti), oppure ancora un accordo di ristrutturazione dei debiti da sottoporre poi ad omologazione giudiziale. Un’ulteriore ipotesi è la conclusione di un accordo stragiudiziale sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dallo stesso esperto (il cosiddetto “accordo con attestazione dell’esperto” previsto dall’art. 23 co.1 lett. c) CCII). Tutte queste situazioni, benché diverse, rappresentano un risultato concreto: l’impresa ha trovato una via per superare la crisi, sia essa privata (contratto, moratoria) o semi-giudiziale (accordo di ristrutturazione omologato).
  • Esito non favorevole (o parzialmente favorevole): le trattative non producono alcun accordo né piano di risanamento. L’esperto dunque, trascorsi i termini, redige una relazione finale negativa e la procedura viene archiviata. In tal caso l’imprenditore resta libero di scegliere altre strade (es. chiedere un concordato preventivo oppure subire altre azioni). Esito non favorevole è anche quello in cui l’impresa decide di ricorrere al concordato semplificato per la liquidazione (procedura speciale introdotta dal DL 118/2021) perché non è stato trovato un accordo con i creditori. In quest’ultimo scenario, l’epilogo è la liquidazione dell’azienda anziché il suo risanamento: non è un successo nel senso del salvataggio, benché sia un utilizzo dell’istituto previsto dalla legge in caso di fallimento delle trattative.

Ebbene, la legge premia l’esperto in caso di esito favorevole di composizione negoziata, includendo anche alcune ipotesi in cui la soluzione viene poi formalizzata in sede giudiziale. In particolare, l’art. 25-ter comma 6 dispone che il compenso dell’esperto è aumentato del 100% (cioè raddoppiato) in “tutti i casi in cui […] si concludono il contratto, la convenzione o gli accordi di cui all’articolo 23, commi 1 e 2, lettera b)”. Tradotto: se la composizione negoziata porta alla firma di un contratto che assicura la continuità aziendale, o di una convenzione di moratoria, o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 23 co.2 lett. b), il compenso base calcolato (comprensivo delle eventuali maggiorazioni viste prima) viene raddoppiato. Allo stesso modo, rientra tra gli esiti meritevoli il caso in cui si formalizza un accordo stragiudiziale sottoscritto anche dall’esperto (art. 23 co.1 lett. c): si tratta di un accordo che, pur restando privato, è “attestato” dall’esperto e beneficia di alcuni effetti protettivi previsti dal Codice. Anche questo è considerato un successo perché implica che tutte le parti sono d’accordo su un piano di risanamento.

In aggiunta, il comma 6 prevede il raddoppio “anche successivamente alla redazione della relazione finale” qualora in seguito si concluda uno degli accordi sopra detti. Ciò copre la situazione in cui, magari, l’esperto chiude formalmente la composizione (relazione finale) ma poco dopo l’imprenditore finalizza comunque un accordo con i creditori (magari perché le trattative erano in stadio avanzato). In tal caso, benché la composizione si sia chiusa tecnicamente, l’esperto ha comunque messo in moto un processo che ha portato a un risultato utile: la legge gli riconosce ugualmente il successo. Ad esempio, se l’esperto riferisce a 6 mesi che non si è trovato un accordo, ma dopo poche settimane l’imprenditore deposita un accordo di ristrutturazione dei debiti in tribunale frutto delle interlocuzioni avviate, ciò rientra nei casi in cui “anche successivamente” si perviene a soluzione e quindi l’esperto avrà diritto al compenso doppio. L’idea di fondo – sottolineata anche dalla Relazione ministeriale al correttivo 2024 – è che la composizione negoziata “non deve essere vista come uno strumento che ha esito positivo solo se porta a una soluzione stragiudiziale”, perché “anche gli eventuali sbocchi giurisdizionali […] sono da considerarsi un risultato utile del percorso”.

Tuttavia, proprio il D.Lgs. 136/2024 ha specificato un aspetto importante: il raddoppio del compenso è dovuto solo se il buon esito è in significativa parte merito dell’esperto. È stato infatti aggiunto che l’aumento del 100% si collega all’“opera effettivamente svolta dall’esperto”, per “evitare un automatico aumento del costo […] non collegato a risultati a lui riconducibili”. In pratica, bisogna che l’esperto abbia contribuito in modo determinante al raggiungimento dell’accordo. Se invece il suo ruolo fosse stato meramente formale o insignificante (ad esempio, l’imprenditore e i creditori trovano da soli un accordo e l’esperto non fa altro che prenderne atto), allora il raddoppio teoricamente non sarebbe “meritato”. Questa clausola lascia un po’ di discrezionalità: nella maggior parte dei casi, la presenza dell’esperto in sé è un contributo, quindi l’aumento sarà riconosciuto. Sarà eventualmente la Commissione, in sede di liquidazione, a valutare situazioni particolari (per esempio, se l’esperto ha abbandonato le trattative e l’imprenditore ha concluso da solo un accordo, si potrebbe negare l’aumento – ma si tratta di ipotesi limite). Finora non risultano controversie applicative su questo punto, ma la norma c’è e va menzionata come ulteriore garanzia di correlazione tra premio e impegno.

Oltre al raddoppio, c’è un bonus aggiuntivo del 10%: il comma 7 dell’art. 25-ter stabilisce che “se l’esperto sottoscrive l’accordo di cui all’articolo 23, comma 1, lettera c), gli spetta un ulteriore incremento del 10% sul compenso determinato ai sensi del comma 6”. In parole semplici, se l’esito positivo è un accordo sottoscritto dall’esperto stesso assieme a debitore e creditori, allora l’esperto prende un +10% sul compenso già raddoppiato. Questo scenario si riferisce all’accordo stragiudiziale “attestato” dall’esperto (non soggetto ad omologazione ma con alcuni effetti protettivi per l’imprenditore ex art. 23 co.1 lett. c). La ragione del bonus è chiara: l’esperto che ci mette la firma su un accordo assume una certa responsabilità (in quanto garantisce sull’idoneità dell’accordo al risanamento ai sensi di legge) e quindi viene ulteriormente premiato. In termini quantitativi, se ad esempio l’esperto aveva maturato un compenso base di € 20.000, raddoppiato a € 40.000 per il successo, avrà diritto ad ulteriori € 4.000 (10% di 40k) se ha anche firmato l’accordo finale, per un totale di € 44.000. Questo 10% aggiuntivo non si applica invece se l’accordo concluso è di tipo diverso (contratto, convenzione, accordo di ristrutturazione omologato) in cui l’esperto normalmente non figura come firmatario; in quei casi ci si ferma al semplice raddoppio.

Riepilogando l’effetto del “success fee”:

  • Nessun esito di risanamento (trattative fallite, impresa avviata a liquidazione): l’esperto prende solo il compenso base (eventualmente ridotto se la chiusura è stata immediata, v. oltre).
  • Esito positivo (accordo/contratto di risanamento raggiunto, continuità aziendale assicurata): l’esperto prende il doppio del compenso base.
  • Esito positivo con accordo attestato dall’esperto: compenso doppio +10%.

Si consideri inoltre che le altre maggiorazioni viste (numero creditori, vendita azienda) si applicano comunque sul compenso base prima di calcolare il raddoppio. Quindi il meccanismo completo è: si calcola il compenso base a scaglioni, si applicano +25/35% o –40% e +10% vendita a seconda dei casi, si somma l’eventuale compenso orario per lavoratori; si ottiene un totale base X. Se c’è esito positivo, quel X diventa 2X (o 2,2X se accordo con firma esperto). Naturalmente sempre rispettando il cap finale di 400.000 €: anche col raddoppio non si può superare tale soglia. In effetti, 400k diventerebbero 800k col raddoppio; ma la norma implica che, essendo 400k il massimo per il compenso “complessivo”, quello resta il tetto assoluto anche includendo il raddoppio. Ciò significa che per imprese grandissime l’esperto di fatto non ottiene un vero “doppio” perché è bloccato al massimale: è un limite di sistema accettato dal legislatore.

Caso particolare – esito negativo ma passaggio a procedura di accordo: Come anticipato, rientra nel “successo” anche il caso in cui la composizione negoziata non produca da sé un accordo, ma l’imprenditore ricorra subito dopo a un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ossia uno strumento giudiziale previsto dal Codice). In tal scenario, benché formalmente il percorso extragiudiziale sia fallito, la legge considera quell’accordo in tribunale come sbocco della composizione negoziata, se c’è continuità di sostanza. Dunque l’esperto prende il raddoppio come se fosse un esito positivo. Al contrario, se l’imprenditore ripiega su un concordato preventivo tradizionale o su un concordato semplificato liquidatorio (riservato post-composizione negoziata), la normativa non menziona espressamente un raddoppio del compenso in quei casi. Si deve dedurre che, se l’unico sbocco è la liquidazione del patrimonio (anche in forma semplificata ex DL 118/2021), ciò non costituisce un “risanamento” e quindi all’esperto non spetta il successo. Egli percepirà dunque solo il compenso base. Questa interpretazione è coerente con la finalità incentivante: il premio c’è se l’azienda viene risanata o comunque i debiti ristrutturati, mentre non c’è se l’epilogo è la cessazione dell’attività (pur ordinata via concordato). Ad esempio, il Tribunale di Lecce in una vicenda del febbraio 2025 ha rigettato un concordato semplificato proposto dopo una composizione negoziata fallita, segnalando come la soluzione non fosse stata adeguatamente preparata. In casi simili l’esperto non potrà vantare il raddoppio, avendo di fatto chiuso senza accordi di risanamento.

Compenso nei casi di chiusura anticipata (archiviazione iniziale): Prima di passare agli esempi concreti, va trattata una situazione peculiare: quando la composizione negoziata termina subito, dopo il primo incontro, perché l’imprenditore non si presenta o perché l’esperto rileva immediatamente l’assenza di condizioni per proseguire. In tali casi, previsti dal comma 8 dell’art. 25-ter, la legge fa una deroga ai minimi: il compenso dell’esperto è forfettizzato in misura ridotta. Nella versione originale (DL 118/2021 e CCII fino al 2024) si stabiliva un importo fisso di € 500 in queste ipotesi. Ci si era però accorti che tale cifra poteva essere troppo esigua a fronte magari di una notevole mole di documenti che l’esperto comunque deve esaminare prima di dichiarare la non perseguibilità del risanamento. Con il D.Lgs. 136/2024, il comma 8 è stato modificato: oggi prevede che “quando l’imprenditore non compare davanti all’esperto oppure [l’esperto] non procede [oltre il primo incontro], il compenso è liquidato in misura compresa tra € 500,00 e € 5.000,00, tenuto conto delle dimensioni dell’impresa e della complessità della documentazione esaminata”. Dunque il minimo 500 € rimane come base, ma la Commissione (o le parti, se concordano) può elevarlo fino a 5.000 € in casi giustificati, considerando quanto lavoro preparatorio l’esperto ha comunque svolto (dimensione impresa e difficoltà delle carte esaminate). Ad esempio, se un imprenditore di medie dimensioni presenta istanza ma poi sparisce, l’esperto magari ha studiato bilanci corposi prima di arrendersi: potrebbe meritare 3.000 o 4.000 € invece che soli 500. Questa flessibilità evita prassi distorsive che si erano iniziate a vedere, ossia esperti tentati di riconvocare un secondo incontro inutile solo per non rientrare nella casistica del “primo incontro” a 500 €. Ora l’esperto può chiudere subito, sapendo che non sarà limitato a 500 € in ogni caso, ma potrà chiedere una cifra proporzionata entro il tetto di 5.000 €. Rimane comunque un compenso ridotto rispetto al minimo ordinario di 4.000 € (che varrebbe dopo due incontri): ciò a evidenziare che queste sono situazioni in cui la composizione negoziata praticamente non è decollata.

Riassumendo:

  • Se la composizione negoziata finisce subito (imprenditore assente o archiviazione immediata dopo il primo incontro), l’esperto prende 500–5.000 € secondo valutazione.
  • Se la composizione va avanti ma non produce accordi di risanamento, l’esperto prende il compenso base (minimo 4.000 €) eventualmente con aumenti per complessità ma senza raddoppio.
  • Se la composizione ha successo (accordo contrattuale, piano di ristrutturazione, ecc.), l’esperto prende il doppio del compenso (e il +10% se ha firmato l’accordo).

Da debitore, è importante comprendere che il costo dell’esperto raddoppia solo quando anche l’azienda “sopravvive” grazie alla procedura. In tal caso, il pagamento di un compenso maggiore all’esperto sarà sostenibile, in teoria, proprio perché l’azienda continua a operare (e anzi avrà beneficiato del suo lavoro). Se invece l’azienda è destinata comunque al fallimento/liquidazione, il debitore non verrà gravato da un “premio” ulteriore oltre al compenso base. Questa impostazione rende il compenso dell’esperto una sorta di success fee, analoga a quella spesso prevista nei mandati professionali: una parte fissa e una parte variabile subordinata al raggiungimento di determinati risultati.

Casi pratici di calcolo del compenso per settore

Passiamo ora ad alcuni casi esemplificativi, ispirati a scenari reali di aziende in crisi in diversi settori economici, per vedere in pratica come si determina il compenso dell’esperto e quali costi il debitore si troverebbe ad affrontare. Ogni caso mette in luce differenti combinazioni di fattori (dimensione azienda, numero creditori, esito) e dunque diverse quantificazioni dell’onorario. Ricordiamo che si tratta di simulazioni a fini illustrativi: i valori percentuali e gli esiti applicati sono quelli di legge, ma i numeri assoluti sono approssimati per semplicità.

Caso 1: Impresa Edile Alfa S.r.l. – Esito positivo con accordo di continuità

Scenario: Alfa S.r.l. è una società di costruzioni con circa 20 dipendenti, attiva nel settore edilizio. A causa di ritardi nei pagamenti di alcuni appalti pubblici e dell’aumento dei costi delle materie prime, Alfa entra in crisi di liquidità. L’attivo medio risultante dagli ultimi bilanci è di € 2.200.000. I debiti complessivi ammontano a € 1,8 milioni, distribuiti su 25 creditori (banche, fornitori di materiali, subappaltatori, ecc.). L’imprenditore richiede la composizione negoziata e viene nominato un esperto dal profilo tecnico-commerciale. Dopo 4 mesi di trattative intense, grazie anche all’esperto la società riesce a ottenere un accordo con i creditori: le banche concedono una moratoria sui mutui, alcuni fornitori accettano un pagamento dilazionato con lieve stralcio, e un investitore locale apporta nuova finanza per completare i cantieri in corso. L’accordo è formalizzato in un contratto sottoscritto da Alfa e dai principali creditori, che garantisce la continuità aziendale per i prossimi anni. L’esperto ha partecipato attivamente a tutti i negoziati e controfirma l’accordo finale insieme alle parti per attestare che è idoneo al risanamento.

Calcolo del compenso:

  1. Compenso base a scaglioni: Per € 2,2 milioni di attivo, l’esperto calcola: 6% sui primi 100k (€ 6.000); 1,5% su 400k (€ 6.000); 0,8% su 500k (€ 4.000); 0,43% su 1,5M (€ 6.450); 0,10% sui restanti 100k (fino a 2,2M, € 100k eccedenti i 2,1M già considerati, = € 100). Totale base lordo ≈ € 22.550. Questo sarebbe il massimo teorico; ipotizziamo però che, data una certa efficienza dell’esperto nel suo operato, le parti concordino un valore lievemente inferiore al massimo in alcuni scaglioni. Si potrebbe arrivare a circa € 20.000 come compenso base concordato (nell’intervallo 16k–22,5k che risulta dai calcoli min/max). Per semplicità, assumiamo base concordato = € 20.000. (Nessun minimo legale interviene perché il calcolo supera 4k abbondantemente e il tetto 400k è lontano.)
  2. Maggiorazione per numero di creditori: I creditori coinvolti sono 25, ricadendo nella fascia 21–50. Ciò comporta un +25% sul compenso base. Il base concordato (€ 20.000) diventa € 25.000.
  3. Bonus vendita/acquirente: In questo caso non c’è stata cessione d’azienda ma ingresso di un investitore. L’esperto non ha formalmente “trovato un acquirente per l’azienda”, ha però facilitato l’investimento di un nuovo socio; tuttavia, ai fini dell’art. 25-ter, il +10% si applica solo se c’è vendita del complesso aziendale o individuazione di un acquirente per l’azienda. L’apporto di capitale di terzi non rientra testualmente, quindi niente +10% (il contributo dell’investitore semmai ha inciso sulle trattative ma non è considerato vendita di azienda).
  4. Raddoppio per esito positivo: L’accordo raggiunto è un contratto di risanamento che garantisce continuità aziendale, quindi rientra a pieno titolo tra gli esiti positivi che danno diritto al raddoppio del compenso. Inoltre l’esperto ha sottoscritto anch’egli l’accordo (era facoltativo ma le parti hanno voluto la sua firma attestatrice), e ciò attiva il bonus aggiuntivo del +10% sul compenso raddoppiato. Dunque, a partire dai € 25.000 determinati sopra, si calcola: compenso raddoppiato = 25.000 × 2 = € 50.000. Poi si aggiunge il 10%: € 50.000 × 10% = € 5.000. Totale compenso = € 55.000.
  5. Rimborso spese: L’esperto documenta spese di viaggio per € 300 (sopralluoghi nei cantieri e incontri coi creditori fuori sede) e costi di segreteria/spedizioni per € 100. Inoltre ha tenuto un paio di riunioni con i rappresentanti dei lavoratori (diciamo 2 ore in tutto): questo gli spetta come extra € 200 (2 × 100). Tali importi si sommano. L’esperto non si è avvalso di ausiliari a pagamento (ha chiesto all’azienda di far redigere una perizia tecnica da un ingegnere, pagata a parte dall’impresa), quindi non ha altre spese non rimborsabili.

Conclusione: L’impresa Alfa dovrà pagare all’esperto € 55.000 di compenso + circa € 600 di spese, totale € 55.600 (più IVA e Cassa previdenza, se applicabili, sul compenso). Questo importo, pur significativo, va visto in relazione al risultato: l’azienda continua l’attività e ha risanato € 1,8 milioni di debiti evitando il fallimento. Inoltre, va considerato che se Alfa fosse fallita, i costi di procedura (curatore, periti, ecc.) avrebbero probabilmente superato tale cifra e per di più l’impresa sarebbe stata liquidata. Il compenso dell’esperto, in questo caso, rappresenta circa il 3% dell’indebitamento risanato, un costo sostenibile per ottenere la salvezza dell’azienda.

Caso 2: Industria Manifatturiera Beta S.p.A. – Esito negativo, archiviazione finale

Scenario: Beta S.p.A. è un’azienda manifatturiera nel settore tessile, con attivo di € 12.000.000 e debiti per oltre € 8 milioni. Ha circa 15 fornitori principali e due banche finanziatrici, per un totale di 17 creditori rilevanti. La crisi deriva dal calo degli ordinativi e da investimenti sbagliati. Beta avvia la composizione negoziata sperando di ristrutturare il debito. L’esperto nominato conduce diverse riunioni e tenta di far convergere i creditori su un piano di risanamento, ma dopo 6 mesi non si riesce a trovare un accordo: le banche non accettano dilazioni significative e alcuni fornitori hanno già avviato cause legali. L’esperto, constatata l’impossibilità di conciliare le parti, redige una relazione finale negativa. Beta a quel punto opta per chiedere un concordato preventivo liquidatorio in tribunale (non un accordo di ristrutturazione). La composizione negoziata si chiude quindi senza un accordo di risanamento.

Calcolo del compenso:

  1. Compenso base a scaglioni: Con attivo € 12 milioni, procediamo per tranche. – fino a 100k: 4–6% = € 4.000–6.000; – 100k–500k: 1–1,5% su 400k = € 4.000–6.000; – 500k–1M: 0,5–0,8% su 500k = € 2.500–4.000; – 1M–2,5M: 0,25–0,43% su 1,5M = € 3.750–6.450; – 2,5M–50M: 0,05–0,10% su 9,5M (da 2,5 a 12) = € 4.750–9.500. Sommando i minimi: ~€ 19.000; i massimi: ~€ 31.950. Quindi l’intervallo di compenso base plausibile è tra circa 19k e 32k. Supponiamo che, vista la mole di lavoro dell’esperto (ha comunque seguito 6 mesi di trattative, analizzato piani industriali, ecc.), egli sostenga di meritare vicino al massimo, mentre l’imprenditore (già in dissidio coi creditori) propende per il minimo. Non trovando un accordo spontaneo, la questione viene rimessa alla Commissione regionale. La Commissione valuta che l’esperto ha svolto un compito discretamente complesso ma non straordinario (17 creditori non troppi, 6 mesi di durata ordinaria, documentazione aziendale chiara). Potrebbe quindi liquidare un compenso base intermedio, ad esempio sui € 25.000. (Si noti: il tetto minimo 4k e massimo 400k non intervengono perché siamo comunque tra 19k e 32k, tutti >4k e <400k.)
  2. Maggiorazioni per complessità: I creditori sono 17, quindi ≤ 20: nessuna maggiorazione (né riduzione, perché >5) si applica in questo range. Se fossero stati 5 o meno, ci sarebbe stato –40%, ma qui sono 17; se fossero stati 21, ci sarebbe stato +25%, ma non è il caso. Dunque il compenso resta € 25.000.
  3. Esito negativo (no raddoppio): Poiché Beta non ha raggiunto un accordo di risanamento né un accordo omologato (ha intrapreso un concordato liquidatorio, che non rientra tra quelli premianti), non scatta il raddoppio. L’esperto ha comunque portato a termine il suo mandato, quindi ha diritto al compenso base integrale, ma senza success fee. Possiamo considerare che la Commissione abbia già determinato quei 25k tenendo conto dell’opera prestata (se l’esperto avesse lavorato meno, magari avrebbe liquidato 20k).
  4. Altre voci: L’esperto chiede rimborso di spese per € 500 (viaggi e consulenze tecniche minori) e presenta il conteggio di 1 ora di incontro avuta con la rappresentanza sindacale (€ 100 extra). Non ha venduto l’azienda (non applicabile +10%). Non c’è accordo firmato da lui (no +10%). Quindi il compenso finale rimane € 25.000 + € 600 spese = € 25.600 circa.

Conclusione: Beta S.p.A., pur non avendo salvato l’azienda tramite la composizione negoziata, dovrà corrispondere all’esperto un onorario di circa 25–26 mila euro. Questo importo graverà sulla massa attiva poi destinata al concordato/fallimento, ma avendo natura prededucibile verrà soddisfatto prima degli altri debiti. Dal punto di vista dell’imprenditore, è un costo aggiuntivo che peggiora la situazione? Potenzialmente sì, anche se in una procedura liquidatoria di 8 milioni di debiti, 25k rappresentano un onere tutto sommato limitato e giustificato dall’attività svolta nel tentativo (fallito) di salvataggio. Si noti come la scelta di Beta di non perseguire un accordo di ristrutturazione ma un concordato liquidatorio ha influito: se avesse concluso un accordo ex art. 182-bis LF (accordo di ristrutturazione) magari all’ultimo, l’esperto avrebbe avuto diritto a € 50.000. Invece, con esito negativo, l’azienda tecnicamente ha risparmiato quei 25k extra. Ovviamente, ciò è un magro conforto, perché Beta comunque andrà verso la liquidazione. Questo esempio evidenzia come il compenso dell’esperto incide in misura relativamente modesta rispetto ai debiti dell’impresa e ai costi complessivi di un’insolvenza, ma al contempo non è trascurabile: specie se la procedura non sortisce benefici, quel denaro esce dalle casse (già scarse) senza un ritorno per l’impresa. È un rischio che l’imprenditore deve valutare: tuttavia, la possibilità di evitare il dissesto vale ben più di 25k, quindi tentare la composizione negoziata rimane razionale.

Caso 3: Negozio Gamma di Tizio (Ditta individuale, settore commercio) – Archiviazione immediata

Scenario: Tizio è un piccolo commerciante (negozio di abbigliamento) gestito come ditta individuale, con un attivo di appena € 150.000 tra magazzino e attrezzature. A causa di un crollo delle vendite, Tizio accumula debiti per ~€ 100.000 con fornitori e € 50.000 con la banca. Decide di provare la composizione negoziata, temendo di non poter pagare le scorte. Presenta istanza sulla piattaforma, ma al primo incontro con l’esperto emergono subito elementi molto negativi: il mercato locale è saturo, il negozio non è più profittevole e non si intravedono investitori; l’imprenditore peraltro non ha presentato un piano credibile di ristrutturazione. L’esperto conclude che non vi sono concrete prospettive di risanamento. Dopo questo incontro iniziale, consiglia l’archiviazione immediata della procedura. Tizio, preso atto, non si oppone e la composizione negoziata viene chiusa lì, dopo neanche un mese, senza aver coinvolto formalmente alcun creditore (non c’erano basi per trattare).

Calcolo del compenso:
Siamo nella fattispecie del comma 8 art. 25-ter, ovvero chiusura dopo il primo incontro. Pertanto, si prescinde dagli scaglioni usuali e il compenso verrà determinato in una forbice € 500 – € 5.000. L’esperto comunque ha dedicato tempo ad analizzare la situazione di Gamma: ha esaminato i conti del negozio e le prospettive di mercato (documentazione, per quanto semplice), e ha redatto una relazione per giustificare l’archiviazione immediata. Pur trattandosi di una micro-impresa, c’è stata un po’ di attività. Pertanto, la Commissione di nomina, su proposta dell’esperto, potrebbe liquidare ad esempio € 2.000 di compenso. Questa cifra tiene conto del piccolo attivo (150k) e della scarsa complessità (pochi creditori, situazione limpida), ma riconosce all’esperto un gettone superiore al minimo 500 € in virtù del lavoro svolto (magari 2-3 giornate per valutare e scrivere la relazione). Non vi sono creditori convocati (quindi le soglie >20, >50 non si pongono; se considerassimo i fornitori e la banca sarebbero 5-6 creditori in totale, comunque ≤5? In teoria sarebbero 6, ma non avendo neanche avviato tavoli negoziali formali, si è chiusa prima). Comunque per numeri ≤5 sarebbe –40%, ma quell’algoritmo non si applica nel comma 8: lì c’è la fascia 500-5000 €. Quindi ipotizziamo € 2.000 tondi.

L’esperto non chiede rimborso spese rilevanti (ha svolto tutto online o in sede locale). Non ci sono state riunioni con sindacati (il negozio ha solo 1 dipendente, eventualmente neanche coinvolto). Dunque € 2.000 finale, niente raddoppio (ovviamente, esito negativo).

Conclusione: Tizio dovrà pagare circa € 2.000 all’esperto per questa breve parentesi di composizione negoziata. L’importo è relativamente contenuto – va notato che senza il correttivo 2024 sarebbe stato fisso € 500, ma in casi del genere 500 euro sarebbero stati davvero pochi per il lavoro di esame svolto dall’esperto. Con € 2.000 l’esperto viene ricompensato dignitosamente e il negoziante non viene eccessivamente aggravato (è pur sempre l’1% dei suoi debiti, un costo accessorio accettabile). Tizio probabilmente procederà con una liquidazione volontaria o verrà dichiarato fallito se supera le soglie di fallibilità, ma l’esperto negoziatore esce di scena avendo percepito questo compenso ridotto.

Confronto tra i casi: Nei tre esempi vediamo compensi molto diversi – ~€ 55.000 con successo per l’impresa edile, ~€ 25.000 senza accordo per l’industria tessile, ~€ 2.000 per l’archiviazione lampo del negozio. Ciò riflette fedelmente la logica della legge: più grande l’impresa e maggiore lo sforzo/successo, più alto il compenso; minore la complessità o mancato il risultato, più basso l’onorario. Va anche evidenziato come in nessun caso il compenso abbia raggiunto il tetto di 400k (servirebbero imprese con attivi enormi, miliardi di euro, e successo pieno). La maggior parte delle composizioni negoziate riguarderà PMI, per le quali tipicamente il costo dell’esperto si aggirerà nell’ordine delle migliaia o poche decine di migliaia di euro.

FAQ – Domande frequenti sul compenso dell’esperto negoziatore

D1: Chi paga il compenso dell’esperto e quando va pagato?
R: Il compenso dell’esperto è a carico dell’imprenditore debitore. Dunque è l’impresa (o il titolare, se ditta individuale) che deve materialmente corrispondere l’onorario. Non è previsto alcun pagamento diretto da parte dei creditori né dallo Stato/CCIAA. Il momento del pagamento coincide di regola con la fine della procedura: l’importo viene liquidato (da accordo tra le parti o da decreto della Commissione) al termine delle trattative, e a quel punto diviene dovuto. L’esperto emetterà fattura per l’importo concordato o liquidato e il debitore dovrà pagarla nei tempi previsti (spesso immediatamente o entro pochi giorni dalla liquidazione ufficiale). Come visto, l’esperto può chiedere un acconto dopo 60 giorni dall’inizio: se concesso, quella parte verrà pagata in corso di procedura. Il saldo finale terrà conto di quanto eventualmente già versato in acconto. In sintesi: niente è dovuto all’esperto all’atto della nomina, mentre potrebbe essere dovuto un acconto a metà percorso e sicuramente il saldo alla fine. Se l’imprenditore non paga spontaneamente, l’esperto ha in mano il provvedimento di liquidazione della Commissione che costituisce titolo esecutivo per procedere legalmente al recupero.

D2: E se l’impresa è in grave crisi di liquidità? Cosa succede se non riesce a pagare il compenso?
R: È una situazione delicata ma da considerare: spesso l’azienda che ricorre alla composizione negoziata ha casse esigue. Tuttavia, il pagamento dell’esperto è obbligatorio. Se l’impresa non paga volontariamente, l’esperto può agire giudizialmente (con decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, grazie al titolo rilasciato dalla Commissione). Il rischio per il debitore è di subire pignoramenti sui conti o sui beni residui. Se poi l’impresa dovesse fallire o andare in concordato, il credito dell’esperto, essendo prededucibile, verrà soddisfatto in via prioritaria sulle risorse dell’attivo. Ciò significa che il costo dell’esperto verrà comunque prelevato dalle risorse aziendali prima di pagare gli altri creditori. In pratica, il mancato pagamento non solleva l’imprenditore dall’obbligo: al contrario, potrebbe aggravare la situazione (accollandogli spese legali di recupero). Pertanto, è fondamentale prevedere nel piano finanziario anche la voce di spesa per il compenso dell’esperto. In alcune composizioni negoziate, l’azienda ottiene nuova finanza (ad esempio un finanziamento ponte autorizzato dal tribunale) e può destinare una parte di essa a pagare i costi della procedura, incluso l’esperto. Tali importi, se autorizzati, godono anch’essi di prededuzione. In assenza di liquidità, l’imprenditore deve valutare se impegnare risorse personali o procurarsi fondi, perché l’obbligo di pagamento resta.

D3: Il compenso dell’esperto può essere concordato liberamente tra imprenditore ed esperto?
R: No, non liberamente. Esistono parametri legali vincolanti (scaglioni percentuali e limiti) entro cui si deve rimanere. Imprenditore ed esperto possono accordarsi su un importo specifico, ma solo all’interno delle forchette previste per legge e seguendo i criteri indicati (opera prestata, complessità, etc.). Ad esempio, non potrebbero accordarsi per un importo inferiore al 4% dell’attivo se la legge prevede minimo 4% (o sotto 4.000 € totali se quello è il floor). Né potrebbero pattuirne uno superiore ai massimi di legge. Inoltre, come detto, è nullo qualsiasi accordo raggiunto prima di 120 giorni dall’avvio, salvo che la procedura termini prima. Ciò significa che l’imprenditore non può all’atto della nomina promettere all’esperto un forfait arbitrario “a nero” o fuori parametri: ogni intesa deve maturare nei confini normativi e temporali stabiliti. In definitiva, c’è margine di contrattazione, ma entro paletti precisi. Se non si trova l’accordo, decide la Commissione in base ai criteri di legge. Non è consentito nemmeno dire “ti pagherò di meno ma ti darò un premio extra fuori da qui”: patti del genere sarebbero nulli. La trasparenza e l’aderenza ai parametri sono obbligatorie.

D4: Su quali basi la Commissione di nomina fissa il compenso se non c’è accordo?
R: La Commissione (composta, ricordiamo, da figure terze: di solito un magistrato, un dirigente camerale, un rappresentante del Prefetto) deciderà avendo riguardo agli stessi criteri previsti per la negoziazione: cioè entità dell’attivo, complessità del caso, durata e sollecitudine dell’esperto, contributo dato, numero di soggetti coinvolti e risultati raggiunti (se positivi, il raddoppio è obbligato). In pratica esaminerà la relazione finale dell’esperto e gli atti della procedura per farsi un’idea di quanto è stato impegnativo il tutto. Ad esempio, se l’esperto ha svolto un lavoro minimale o si è limitato a qualche formalità, la Commissione tenderà a liquidare sul minimo della forbice; se invece l’esperto ha prodotto analisi approfondite, convocato molte riunioni e magari sfiorato un accordo complesso, potrà propendere per il massimo della forbice. Le Commissioni delle varie regioni si sono date criteri relativamente uniformi, spesso ispirandosi anche alle tariffe dei curatori fallimentari per analogia. Va detto che la Commissione non può discostarsi dai parametri: dunque il suo ruolo è di arbitro “entro i limiti”. Se il debitore ritiene che la liquidazione sia eccessiva, può teoricamente fare opposizione davanti al tribunale (essendo un provvedimento di natura amministrativa ma dal contenuto sostanziale, si potrebbe immaginare una contestazione, ad esempio, per violazione di legge se superasse i limiti o per eccesso di potere). Ad oggi non risultano casi del genere pubblicamente noti: l’istituto è nuovo e probabilmente le Commissioni operano con prudenza. In ogni caso, al debitore conviene fornire eventualmente alla Commissione la propria versione (es. segnalare se l’esperto è stato poco presente, o se il caso era semplice) per aiutare una determinazione equa.

D5: L’esperto viene pagato anche se non risolve nulla?
R: Sì, l’esperto ha diritto al compenso anche se la composizione negoziata non porta a soluzioni. Il suo mandato è infatti di impegnarsi al meglio delle possibilità, ma non garantisce il successo. Quindi il debitore deve riconoscere il lavoro svolto indipendentemente dall’esito finale. Ci sono però delle attenuanti previste: se l’esito è negativo, l’esperto non ottiene il raddoppio (gli viene corrisposto solo il compenso base). E se addirittura la procedura finisce subito (dopo il primo incontro), l’esperto prende un importo ridotto (500–5.000 €). In altre parole, la legge bilancia il principio “pay for effort, not for result” (paga l’impegno, non il risultato) con l’idea di contenere il costo in assenza di benefici. Un debitore potrebbe chiedersi: “Ma allora l’esperto non ha interesse a trovare la soluzione, tanto viene pagato lo stesso?” In realtà l’interesse ce l’ha, perché il doppio compenso è un forte incentivo economico al successo. Un esperto che “non risolve nulla” prende la metà di ciò che prenderebbe se risolvesse. Inoltre, un esperto che colleziona fallimenti potrebbe non essere più incaricato in futuro dalla Commissione (c’è una valutazione anche qualitativa del suo operato). Dunque, pur essendo garantito di un compenso base, l’esperto è motivato a impegnarsi. Dal lato dell’imprenditore, questo significa che anche provando senza successo, dovrà sostenere un costo – ma la prospettiva di evitare il dissesto giustifica tentare.

D6: Quanto può incidere il compenso dell’esperto sul bilancio dell’impresa?
R: Dipende dalle dimensioni dell’impresa. Per una grande azienda, il compenso dell’esperto (massimo 400k) è una frazione minuscola del bilancio e dei debiti, quindi incide poco. Per una PMI, può essere un costo significativo ma raramente proibitivo: ad esempio un’azienda con 5 milioni di debiti potrebbe pagare un esperto magari 30–40 mila euro (lo 0,6–0,8% dei debiti) – un peso gestibile nel contesto di un risanamento. Per microimprese, il minimo 4.000 € può sembrare alto se hanno poche decine di migliaia di euro di attivo. Tuttavia, ricordiamo il caso Gamma: se proprio è insostenibile, l’esperto chiuderà subito e allora può scendere fino a 500 € (o qualche migliaio). Dunque il sistema ha dei “gradini” di salvaguardia. In generale, il compenso dell’esperto è inferiore al costo che l’impresa sosterrebbe in una procedura concorsuale tradizionale (si pensi alle spese di un fallimento: compenso del curatore, del giudice delegato, degli avvocati, ecc., spesso decine di migliaia di euro anche per piccole masse). La composizione negoziata mira a risanare rapidamente, e uno dei vantaggi è proprio il contenimento dei costi della crisi. Inoltre, molte volte l’alternativa per l’imprenditore sarebbe liquidare l’azienda perdendo tutto: investire qualche punto percentuale in un tentativo di salvataggio con l’aiuto di un esperto è considerabile un costo-beneficio favorevole. Se la procedura riesce, l’azienda riparte e quel costo si ammortizza. Se non riesce, come visto, il costo per fortuna è calmierato (no raddoppio, possibilità di chiudere presto).

D7: L’esperto può chiedere pagamenti extra o aggiustamenti fuori dalle regole?
R: No. L’esperto è tenuto a rispettare la cornice normativa. Non può stipulare accordi privati con l’imprenditore per compensi diversi da quelli di legge – qualsiasi patto in tal senso sarebbe nullo e contrario a obblighi deontologici. Non può ad esempio dire “Ti faccio pagare meno ma mi dai una percentuale dell’azienda” o altre forme non previste: il suo compenso deve risultare dagli atti ufficiali e rientrare nei parametri. Inoltre, non può nemmeno addebitare all’impresa spese o parcelle di terzi di propria iniziativa: come spiegato, se l’esperto coinvolge consulenti esterni, i loro costi non possono essere scaricati sull’impresa a meno che l’impresa stessa li abbia direttamente incaricati. Quindi l’esperto riceverà solo quanto stabilito all’art. 25-ter, senza sorprese ulteriori. In pratica, l’imprenditore non dovrà pagare all’esperto nulla di più di quanto risulti dal decreto di liquidazione (o accordo) – nessun “fuori busta”. Ovviamente, l’imprenditore resta libero di pagare i propri consulenti (avvocato, commercialista) con cui avrà patti indipendenti, ma ciò non riguarda l’esperto. Talvolta le imprese temono che l’esperto, essendo nominato esternamente, possa presentare note salate non preventivate: ciò non è possibile, perché ogni cifra deve derivare dall’applicazione di formule di legge.

D8: Cosa succede se l’imprenditore abbandona la procedura o revoca la domanda?
R: Se l’imprenditore ritira l’istanza o comunque fa cessare la procedura prima della sua naturale conclusione, si configura comunque una chiusura anticipata. A seconda di quando avviene:

  • Se prima o al primo incontro: si ricade nella casistica del compenso € 500–5.000 decisa dalla Commissione. L’imprenditore non può evitare di pagare qualcosa, anche se è lui stesso a chiedere di chiudere.
  • Se dopo più tempo (ad es. dopo 3 mesi l’imprenditore rinuncia perché vede che non funziona), l’esperto redigerà una relazione come di consueto e probabilmente indicherà l’archiviazione per volontà del debitore. In tal caso, la procedura si chiude senza esito positivo, quindi l’esperto avrà diritto al compenso base (non dimezzato, a meno che si interpreti come archiviazione “subito dopo il primo incontro” – ma se sono passati mesi e vari incontri, no). Di fatto l’imprenditore che abbandona a metà deve comunque pagare l’esperto proporzionalmente a ciò che è stato fatto fino a lì. Potrebbe cercare di accordarsi per un importo ridotto, ma l’esperto ha titolo per chiedere quanto maturato. Non esiste la facoltà unilaterale del debitore di revocare senza costi l’incarico dell’esperto. Il decreto dirigenziale 2023 evidenzia che l’esperto può interrompere se il debitore non collabora; analogamente, se è il debitore a non voler più proseguire, ciò semplicemente porta a conclusione anticipata la procedura, e il compenso verrà liquidato per l’attività prestata fino ad allora. In breve, uscire dalla composizione negoziata non è gratis: il debitore paga pro quota il lavoro dell’esperto fino a quel punto.

D9: L’esperto può rifiutare l’incarico se dubita che verrà pagato?
R: In teoria l’esperto, una volta designato, deve accettare se non ha conflitti di interesse. Non può chiedere garanzie di pagamento (non è previsto, e sarebbe contrario allo spirito dell’istituto). La sua tutela è data dalla prededuzione e dal titolo esecutivo. Certo, se l’impresa è palesemente insolvente e senza un euro in cassa, l’esperto sa che rischia di essere pagato solo a valle di un fallimento e in percentuale (se l’attivo fallimentare è scarso). In pratica, comunque, molti esperti accettano sapendo che una percentuale del loro credito potrebbe non essere soddisfatta se tutto va male (è un rischio professionale, compensato dal fatto che se invece salvano l’azienda prendono doppio). L’esperto non ha strumenti per esigere un deposito cauzionale o simili dall’imprenditore – se li chiedesse violerebbe la procedura. Dunque, salvo casi estremi (dove l’esperto potrebbe segnalare subito che non c’è prospettiva e chiudere in un incontro, limitando il suo stesso rischio), di norma accetta l’incarico confidando nei meccanismi di tutela predisposti (prededuzione, titolo esecutivo).

D10: Il compenso dell’esperto è soggetto a IVA o altri oneri?
R: Sì, va considerato che il compenso è imponibile come prestazione di servizio professionale. Dunque, all’importo liquidato andrà aggiunta l’IVA (22% attualmente) se dovuta – l’esperto emetterà fattura con IVA salvo che operi in regime esente/forfettario – e la rivalsa Cassa previdenziale (4% se commercialista, 4% se avvocato, ecc., a seconda dell’ordine professionale). Questi oneri seguono le regole fiscali ordinarie. Nella nostra guida abbiamo parlato di importi al netto per semplicità. Il debitore dovrà comunque accollarsi IVA e contributi nella misura prevista, come per qualunque parcella professionale. Nota: se l’azienda poi fallisce, l’IVA sul compenso prededucibile dell’esperto rientra tra le spese prededucibili anch’essa (essendo parte integrante del credito dell’esperto). Questo è un dettaglio tecnico-fiscale, ma importante per capire che es. 4.000 € di compenso diventano in fattura circa 5.000 € totali da pagare.

D11: In caso di gruppo di imprese, ciascuna paga una quota o il compenso è unico?
R: Quando più imprese del medesimo gruppo aderiscono in modo unitario alla composizione negoziata (nomina di un unico esperto per le trattative congiunte), la legge specifica che il compenso si determina considerando l’attivo di ciascuna. In pratica, si calcola separatamente il compenso dovuto per ciascuna impresa come se avesse fatto da sé, e poi si sommano questi importi. Tuttavia – come chiarito dal correttivo – il totale così ottenuto soggiace comunque al limite generale di 400.000 €. Inoltre, di solito, la Commissione può ripartire pro-quota il pagamento tra le varie società in base al beneficio ricevuto: ad esempio, se due società A e B del gruppo ottengono un accordo di gruppo, l’esperto potrebbe fatturare metà compenso a A e metà a B, oppure in proporzione ai rispettivi attivi. Formalmente, l’art. 25-ter dice che il compenso dell’esperto designato per il gruppo è determinato tenendo conto dell’attivo di ciascuna impresa. Ciò lascia intendere che ogni impresa istante sia responsabile del compenso calcolato sul suo attivo. Quindi ogni società paga la sua quota. Se una di esse non pagasse, l’esperto potrebbe agire verso quella specifica, ma in solido presumibilmente risponderebbero un po’ tutte (questo aspetto non è esplicitato, ma essendo un unico incarico, potenzialmente l’esperto ha un credito verso il “gruppo” e potrebbe rifarsi dove c’è capienza, fermo restando la suddivisione interna). In ogni caso, per il debitore appartenente a un gruppo, l’onere del compenso è proporzionato alla dimensione della sua impresa, non rischia di dover pagare per altri membri del gruppo che abbiano attivi molto maggiori.

Queste domande coprono i dubbi più frequenti. Ovviamente ogni situazione concreta può presentare sfumature, ma il quadro fornito dalla normativa e dalla prassi dovrebbe consentire a imprenditori e professionisti di orientarsi sul “quanto costerà l’esperto” prima, durante e dopo la composizione negoziata.

Conclusioni

Il compenso dell’esperto nella composizione negoziata rappresenta un elemento chiave da tenere in considerazione quando si valuta questo strumento di risanamento. La disciplina vigente, aggiornata a giugno 2025, delinea un sistema ibrido tra tariffa e successo, in cui una parte della remunerazione è predeterminata da parametri oggettivi (attivo, scaglioni, creditori) e una parte dipende dal raggiungimento di un accordo positivo. Questa architettura risponde alla necessità di incentivare gli esperti – cruciali per le sorti dell’impresa in crisi – a prodigarsi efficacemente, allineando in parte il loro interesse a quello del debitore (salvare l’azienda conviene anche a loro, perché raddoppiano il compenso). Al contempo, si è voluto evitare che il costo dell’esperto potesse lievitare senza controllo: da qui le forchette negoziabili (che impongono ragionevolezza nella richiesta), i limiti assoluti (minimo 4.000, massimo 400.000) e i correttivi introdotti (divieto di patti anticipati, compenso ridotto se tutto finisce subito, ecc.).

Per il debitore, questa guida evidenzia come il compenso dell’esperto sia sì un costo aggiuntivo, ma normalmente sostenibile e giustificato dal valore che l’esperto può portare. Conoscere in anticipo i criteri di calcolo permette di stimare quel costo e magari accantonare le risorse necessarie. È consigliabile, ad esempio, predisporre un budget per la gestione della crisi che includa il compenso dell’esperto e degli altri professionisti. In diversi casi, come abbiamo visto, il costo dell’esperto rimane ben inferiore ai vantaggi ottenuti (riduzione debiti, continuità dell’impresa). In altri, se la procedura fallisce, il costo è calmierato per non aggravare oltremodo la situazione.

Dal punto di vista pratico-operativo, un consiglio al debitore è di collaborare strettamente con l’esperto e tenere traccia delle attività svolte: ciò faciliterà anche un eventuale accordo sul compenso in fase finale, evitando contestazioni. Essere trasparenti e fornire all’esperto tutte le informazioni velocemente può aiutare a contenere i tempi (e quindi anche i costi, indirettamente, visto che un lavoro più “snello” giustifica percentuali minori). Se l’esperto propone un acconto dopo 60 giorni, valutarne la congruità e, se possibile, corrisponderlo per mantenere un buon rapporto di fiducia. Ricordiamo che l’esperto, pur essendo indipendente, è un alleato nel tentativo di salvataggio: investire nel rapporto con lui può far la differenza tra successo e insuccesso.

In conclusione, il compenso dell’esperto nella composizione negoziata è un istituto ben regolato e relativamente prevedibile, frutto di un equilibrio normativo raggiunto attraverso vari interventi correttivi. Questa guida, con le sue analisi dettagliate, tabelle e simulazioni, speriamo possa servire da vademecum completo per affrontare la procedura con cognizione di causa, sapendo “quanto costa l’esperto” e “per cosa si paga”. In un contesto di crisi d’impresa, disporre di uno strumento come la composizione negoziata – e sapere come remunerarne il regista, l’esperto – può significare la differenza tra la fine di un’attività e la sua rinascita.

Fonti utilizzate:

  1. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – Articolo 25-ter “Compenso dell’esperto” e commi correlati, come da testo aggiornato dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024.
  2. Decreto-Legge 24 agosto 2021 n. 118, convertito in L. 147/2021 – Articolo 16 “Compenso dell’esperto”, disciplina originaria (percentuali fisse).
  3. D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (primo correttivo CCII) – Introduzione delle forchette percentuali e margini di trattativa sul compenso. Art. 25-ter CCII come modificato: range percentuali per scaglioni, ruolo della Commissione. Art. 23 CCII (esiti composizione negoziata).
  4. D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 169 (secondo correttivo CCII) – Nessuna modifica diretta su compenso esperto. (Norma citata per completezza evolutiva).
  5. D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (terzo correttivo CCII) – Modifiche a art. 25-ter CCII: nullità accordi sul compenso prima di 120 giorni, compenso 500–5000 € per chiusura al primo incontro, collegamento raddoppio all’opera svolta. Relazione illustrativa: incentivi e chiarimenti sugli esiti.
  6. Protocollo di conduzione della composizione negoziataDecreto Dirigenziale Min. Giustizia 28/09/2021 (aggiornato al 21/03/2023). Linee guida operative per l’esperto (check-list, principi), cenni all’obbligo di verifica perseguibilità risanamento e alle best practice nella conduzione.
  7. Sito Camere di Commercio – Composizione Negoziata (es. Camera Maremma-Tirreno) – Informazioni pratiche su nomina esperti e compensi: riepilogo scaglioni, esempi di esito positivo (continuità ≥2 anni, convenzione moratoria, accordo sottoscritto) con raddoppio +100%, bonus +10% firma esperto; indicazione competenza Commissione regionale/Segretario Generale per liquidazione compenso; soglie “sottosoglia” imprese minori.
  8. Normativa fallimentare di raffronto: art. 6 CCII (prededuzione), art. 13 CCII (commissioni elenco esperti). Massimario della Composizione Negoziata (Unioncamere) – riferimenti a eventuali prassi giurisprudenziali emergenti. Ad esempio, Tribunale di Lecce 18/02/2025 sul concordato semplificato post-composizione (indirettamente rilevante per tema esito/compenso).

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✔️ Esperto in trattative con Agenzia Entrate, banche e creditori strategici

Conclusione

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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