Cosa Succede Dopo L’Esdebitazione?

Hai ottenuto l’esdebitazione e ti chiedi cosa succede dopo? Hai paura che i creditori possano rifarsi su di te, o non sai se puoi tornare a chiedere un finanziamento, avere un conto corrente o acquistare un immobile?

L’esdebitazione è una delle più importanti tutele previste dalla legge per chi ha attraversato una situazione di sovraindebitamento o fallimento. Ma spesso, dopo averla ottenuta, restano dubbi e paure su ciò che si può o non si può fare.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi, esdebitazione e riabilitazione finanziaria – ti spiega in modo chiaro e pratico cosa succede dopo l’esdebitazione, quali effetti ha sul tuo futuro e come ricostruire la tua posizione economica e creditizia in modo sicuro.

Hai ottenuto l’esdebitazione ma vuoi sapere come ricominciare al meglio, senza errori?

Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a comprendere i tuoi nuovi diritti e limiti, a ricostruire la tua affidabilità finanziaria e a ripartire con consapevolezza, tutelando il tuo patrimonio e il tuo futuro.

Introduzione

L’esdebitazione è l’istituto giuridico che consente a un debitore fallito o sovraindebitato di ottenere la liberazione dai debiti residui non pagati al termine di una procedura concorsuale con liquidazione del patrimonio. In altri termini, dopo la chiusura della procedura, il debitore persona fisica torna “in bonis”, ossia riacquista la capacità patrimoniale libera dal peso dei debiti pregressi. Questo meccanismo, introdotto in Italia con la riforma del 2006 e oggi disciplinato dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019), mira a offrire al debitore onesto una seconda opportunità (il c.d. fresh start) evitando che resti perseguitato a vita dai creditori insoddisfatti.

Dal 15 luglio 2022, con l’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi, l’istituto è stato rafforzato e reso più accessibile rispetto al passato, in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza. La legge attuale prevede infatti che il debitore abbia diritto all’esdebitazione entro tre anni dall’apertura della liquidazione giudiziale o controllata. Inoltre, vengono meno molte delle incapacità personali che colpivano il fallito, consentendo un più rapido reinserimento dell’ex debitore nel tessuto economico-sociale. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, esamina in dettaglio cosa accade dopo l’esdebitazione, con particolare riguardo agli aspetti fiscali, bancari, previdenziali, reputazionali e all’accesso al credito per il debitore liberato dai debiti. Verranno richiamati i riferimenti normativi del Codice della Crisi (D.lgs. 14/2019) e le principali novità giurisprudenziali del 2023-2025, includendo tabelle riepilogative, casi pratici, simulazioni e una sezione FAQ dedicata alle domande frequenti.

Quadro normativo e definizione di esdebitazione

Cos’è l’esdebitazione: L’art. 278 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) definisce l’esdebitazione come la “liberazione dai debiti” che “comporta l’inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti” all’esito di una procedura concorsuale con liquidazione dei beni. In altre parole, il debitore viene sollevato dall’obbligo di pagare la parte di debito che non è stata soddisfatta attraverso la procedura. I creditori concorsuali non possono più avviare o proseguire azioni di recupero nei confronti del debitore per tali crediti residui, che diventano per legge inesigibili. È importante sottolineare che si parla di inesigibilità e non di vera e propria estinzione del debito: il credito in sé non scompare totalmente dall’ordinamento, ma non può più essere fatto valere contro il debitore esdebitato. Ciò conserva, ad esempio, la possibilità per il creditore di agire contro eventuali coobbligati o garanti del debitore, oppure di escutere eventuali garanzie reali (pegno, ipoteca) su beni di terzi che assicuravano il credito. Invece, nei confronti del debitore principale, dopo l’esdebitazione il credito residuo è legalmente “cancellato” (non è più esigibile).

Ambito soggettivo: Tradizionalmente, l’esdebitazione era riservata al fallito persona fisica, ossia all’imprenditore individuale dichiarato fallito secondo la legge fallimentare (R.D. 267/1942). Con la riforma introdotta dal D.lgs. 14/2019, l’accesso all’esdebitazione è stato esteso a tutti i debitori persone fisiche sottoposti a liquidazione giudiziale o controllata, inclusi i soggetti non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti sovraindebitati) nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento. Persino le società e gli altri enti sottoposti a liquidazione giudiziale possono oggi beneficiare dell’esdebitazione (novità assoluta rispetto al passato). Naturalmente, nel caso di società di persone, il beneficio si riflette principalmente sui soci illimitatamente responsabili, liberandoli dai debiti sociali rimasti insoddisfatti. Per le società di capitali, invece, l’esdebitazione ha minore rilevanza pratica: una volta liquidata l’azienda e azzerato il patrimonio, la società viene normalmente cancellata dal registro delle imprese; tuttavia, la nuova normativa ipotizza che, qualora vi sia un valore residuo nell’entità giuridica (ad esempio avviamento, licenze, marchi), la società potrebbe scegliere di proseguire l’attività senza il fardello dei debiti pregressi. In ogni caso, per le società ed enti, il Codice prevede che tutte le condizioni di meritevolezza richieste per l’esdebitazione debbano sussistere anche in capo agli amministratori e agli eventuali soci illimitatamente responsabili, pena l’esclusione del beneficio sia per l’ente sia per tali soci.

Ambito oggettivo: L’esdebitazione opera su tutti i debiti concorsuali, ossia sorti prima dell’apertura della procedura e rimasti in tutto o in parte insoddisfatti dopo la chiusura. Occorre distinguere due situazioni: se un creditore ha partecipato al fallimento (insinuandosi al passivo), grazie all’esdebitazione “null’altro può pretendere dal debitore oltre a quanto ricevuto nella procedura”. Ciò significa che la quota non pagata di quel credito è definitivamente inesigibile verso il debitore. Se invece un creditore non ha presentato domanda di ammissione al passivo, l’esdebitazione opera solo parzialmente nei suoi confronti: essa “copre la sola eccedenza rispetto a quanto il creditore avrebbe avuto diritto di percepire nel concorso”. In pratica, al creditore che è rimasto estraneo alla procedura è preclusa la possibilità di recuperare dal debitore la parte maggioritaria del proprio credito, ma rimane la facoltà di esigerne una quota pari a quella che avrebbe ottenuto se si fosse insinuato. Questa regola (già prevista dall’art. 144 l.f. ed ora dall’art. 278 comma 2 CCII) evita che un creditore possa trarre beneficio dall’aver ignorato la procedura: se non partecipa, non potrà poi richiedere più di quanto avrebbe ottenuto concorrendo. Di fatto, dunque, conviene sempre ai creditori partecipare alla liquidazione, pena la perdita parziale del diritto di credito.

Esempio: se un creditore chirografario avrebbe avuto diritto al 20% in sede fallimentare ma non si è insinuato, potrà ancora chiedere al debitore esdebitato solo quel 20% (massimo) del proprio credito, ma non l’80% residuo, divenuto inesigibile. Se invece avesse partecipato, avrebbe preso il 20% dal riparto e per il restante 80% non potrebbe più agire. In entrambi i casi il creditore non soddisfatto integralmente subisce l’effetto esdebitativo, ma il creditore non insinuato ne subisce uno più temperato (perde solo l’eccedenza del suo credito oltre la percentuale teorica di riparto).

Condizioni e requisiti per ottenere l’esdebitazione

L’esdebitazione non è automatica né incondizionata: la legge richiede una serie di requisiti soggettivi e oggettivi a tutela dei creditori, volti a concedere il beneficio solo al debitore meritevole. I requisiti fondamentali (già previsti dall’art. 142 l. fall. e ora ripresi dagli artt. 279-280 CCII) possono riassumersi così:

  • Cooperazione e trasparenza: il debitore deve aver collaborato attivamente con gli organi della procedura (curatore o liquidatore), fornendo tutte le informazioni e i documenti richiesti, e non deve aver ostacolato o rallentato le operazioni. Ad esempio, è richiesta la consegna al curatore della propria corrispondenza rilevante (come stabilito dall’art. 48 l.f. e ora art. 290 CCII). Inoltre, il debitore deve aver tenuto un comportamento leale durante la procedura: niente occultamento di beni, distrazione di attivo, false dichiarazioni, o altre condotte che abbiano aggravato il dissesto.
  • Assenza di atti dolosi o reati fallimentari: non deve risultare a carico del debitore alcuna condotta fraudolenta ai danni dei creditori (es. aver sottratto o simulato attività, o contratto nuovi debiti sapendo di non poterli adempiere). Inoltre, il debitore non dev’essere stato condannato per reati fallimentari (come la bancarotta fraudolenta) o delitti contro l’economia pubblica, l’industria o il commercio, salvo che sia intervenuta formale riabilitazione penale. Tali preclusioni mirano a escludere dal beneficio i soggetti che abbiano usato in modo abusivo o criminale il credito.
  • Non aver già beneficiato di esdebitazione recente: il debitore non deve aver ottenuto un’altra esdebitazione in passato recente. La norma attuale fissa in dieci anni il periodo minimo tra due esdebitazioni. Ciò significa che chi sia stato già esdebitato, ad esempio nel 2018, non potrebbe ottenere un secondo “perdono” dei debiti prima del 2028. L’intento è impedire che l’istituto venga utilizzato in modo ripetuto e strumentale, incentivando invece il debitore a evitare nuove insolvenze dopo aver avuto una prima riabilitazione.
  • (Per le procedure ante 2019) Parziale soddisfacimento dei creditori: sotto la vecchia legge fallimentare si prevedeva che l’esdebitazione “non spetta se i creditori concorsuali non sono stati pagati neppure in parte”. In altre parole, si riteneva necessario che i creditori avessero ricevuto almeno una soddisfazione minima (anche molto modesta) per poter ammettere la liberazione del fallito. Questa condizione, tuttavia, è stata oggetto di dibattito e di evoluzione giurisprudenziale. La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che nessuna soglia fissa di pagamento è richiesta per legge: l’assenza di pagamento integrale non impedisce l’esdebitazione, purché il difetto di attivo non sia addebitabile a comportamenti dolosi del debitore. Già prima della riforma, la giurisprudenza di legittimità aveva escluso interpretazioni eccessivamente restrittive, sancendo che anche i debiti tributari e contributivi rientrano nell’esdebitazione, non essendo previsti tra le esclusioni. Il Codice della Crisi 2019 ha eliminato ogni riferimento esplicito a un pagamento parziale come condizione, focalizzandosi piuttosto sulla buona fede e sull’impegno del debitore nel tentare di soddisfare i creditori per quanto possibile. Dunque, anche se nessun creditore ha ricevuto pagamento, l’esdebitazione può essere concessa se il debitore ha dimostrato di aver fatto tutto il ragionevole per adempiere (ad esempio liquidando tutti i beni disponibili) e ricorrono gli altri requisiti di meritevolezza. Viceversa, esdebitazioni “facili” non sono ammesse: se emergono comportamenti scorretti, il tribunale nega il beneficio. Ad esempio, in un caso del 2022 relativo al fallimento di una società di persone, la Cassazione ha confermato il diniego dell’esdebitazione atteso che l’attivo realizzato fu irrisorio rispetto al passivo, rivelando di fatto un abuso del credito (situazione in cui l’insolvenza era stata aggravata). In sintesi, la decisione è caso per caso: non conta tanto la percentuale pagata, quanto la valutazione globale della condotta e della situazione economica del debitore. I presupposti indicati dalla legge sono tassativi e non è consentito al giudice introdurre condizioni ulteriori o arbitrari margini di discrezionalità.

In aggiunta a tali requisiti generali, il Codice della Crisi prevede alcune condizioni specifiche per particolari forme di esdebitazione (come quella “di diritto” e quella dell’incapiente che vedremo a breve). Ad esempio, per l’esdebitazione di diritto nella liquidazione controllata (sovraindebitamento) è necessario che il debitore non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né immediata né futura, e che non possa accedere ad altre soluzioni (piano del consumatore o concordato minore). Per l’esdebitazione dell’incapiente (art. 283 CCII) occorre inoltre dimostrare la totale assenza di patrimonio e reddito e la buona fede assoluta del debitore, come verrà descritto nell’apposito approfondimento più avanti.

Procedura per la concessione: Nel fallimento (oggi liquidazione giudiziale), la prassi previgente prevedeva che il debitore dovesse presentare apposita istanza entro un anno dalla chiusura, su cui il tribunale decideva con decreto. Il tribunale, verificati i requisiti e sentito il curatore e il comitato dei creditori, dichiarava inesigibili i debiti residui verso il debitore tornato in bonis. Con il Codice della Crisi, la procedura è stata semplificata e in parte automatizzata: oggi il tribunale può dichiarare l’esdebitazione contestualmente al decreto di chiusura della procedura, su istanza del debitore. Inoltre, se la procedura concorsuale si protrae troppo a lungo, scatta un meccanismo di esdebitazione anticipata: trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione senza che questa sia chiusa, l’esdebitazione opera comunque di diritto a favore del debitore meritevole, senza bisogno di attendere la chiusura. Questa innovazione, introdotta in attuazione dei principi della direttiva europea, assicura che nessun debitore rimanga vincolato ai debiti per più di tre anni, anche se la liquidazione del patrimonio non è ancora terminata. Nel caso di liquidazione controllata (sovraindebitamento), l’art. 282 CCII stabilisce espressamente che “l’esdebitazione opera di diritto a seguito del provvedimento di chiusura o anteriormente, decorsi tre anni dall’apertura della procedura”. Ciò significa che per i debitori non fallibili il beneficio è automatico: allo scadere del triennio dall’apertura, oppure subito alla chiusura se questa interviene prima, i debiti residui sono considerati inesigibili. Il debitore, comunque, può sollecitare il tribunale con un’istanza di esdebitazione anche contestuale alla chiusura, per ottenere il decreto formale di inesigibilità dei crediti rimasti. I creditori sono informati e possono eventualmente proporre opposizione entro 15 giorni se ritengono insussistenti i presupposti (ad es. accusando il debitore di comportamenti fraudolenti). Il decreto che decide sull’istanza è reclamabile in Corte d’Appello da qualunque interessato. In pratica, però, con la nuova disciplina l’esdebitazione tende a essere concessa in maniera quasi contestuale alla fine della procedura, salvo eccezioni per mancanza di merito.

Costi e gratuito patrocinio: L’accesso all’esdebitazione può comportare spese legali (ad es. il compenso al curatore o all’OCC per la relazione finale). Tuttavia, nelle procedure di sovraindebitamento, la legge consente al debitore non abbiente di usufruire del gratuito patrocinio per le spese della procedura, inclusa l’eventuale esdebitazione dell’incapiente. Questo per garantire che anche i debitori in assoluta difficoltà economica possano accedere alla cancellazione dei debiti senza oneri insostenibili.

Tempi e effetti immediati dell’esdebitazione

Tempistiche chiave: Come anticipato, la durata massima per ottenere l’esdebitazione è di 3 anni dall’apertura della procedura. Se la liquidazione dura meno, l’esdebitazione verrà normalmente pronunciata al momento della chiusura (ad esempio, se un piccolo fallimento si chiude in 18 mesi, il decreto di chiusura può già contenere la dichiarazione di esdebitazione, su richiesta del debitore). Se invece la procedura si protrae oltre 3 anni (caso frequente nei fallimenti complessi), il debitore oggi non è più costretto ad aspettare la fine: decorsi 3 anni, può ottenere un esdebitazione “provvisoria” di diritto, ferma restando la prosecuzione della liquidazione per distribuire ai creditori gli eventuali attivi sopravvenuti. Questa soluzione bilancia l’interesse del debitore a ripartire in tempi ragionevoli con quello dei creditori a veder proseguito il recupero dell’attivo disponibile. In passato, invece, il fallito doveva attendere la conclusione (spesso lunga) del fallimento prima di poter chiedere l’esdebitazione, rimanendo nel frattempo esposto ad eventuali nuove azioni esecutive per i debiti esclusi o non concorsuali. Oggi, trascorso il triennio, il debitore è liberato e può tornare a occuparsi di nuove iniziative senza l’assillo dei vecchi debiti, mentre la gestione dei beni già acquisiti alla procedura continua a beneficio dei creditori.

Effetto liberatorio: Una volta ottenuto il decreto di esdebitazione, l’effetto principale e immediato è la “pulizia” di tutti i debiti antecedenti non soddisfatti. In concreto, tutti i creditori concorsuali insoddisfatti perdono il diritto di perseguire il debitore. Se un creditore, ignorando l’esdebitazione, tentasse comunque un pignoramento o altra azione legale per un vecchio credito, il debitore potrà opporre in giudizio il provvedimento di esdebitazione, ottenendo l’immediato blocco dell’azione. Dalla data del decreto, dunque, il debitore è legalmente “libero” dai debiti pregressi: potrà impegnare il proprio patrimonio futuro solo per nuovi debiti eventualmente contratti, mentre quelli vecchi non sono più esigibili.

È cruciale evidenziare che l’esdebitazione non copre eventuali debiti che siano estranei alla procedura o esclusi per legge (vedi sezione successiva), né i debiti sopravvenuti successivamente. Se durante la procedura il debitore ha contratto nuovi debiti (ad esempio, tasse maturate dopo l’apertura del fallimento, oppure debiti personali ulteriori), tali obbligazioni restano dovute perché non rientrano tra i crediti concorsuali oggetto di esdebitazione. In pratica, l’esdebitazione fa piazza pulita del pregresso fino alla data di apertura della procedura, ma non tocca ciò che viene dopo.

Cessazione del regime concorsuale: Con la chiusura della procedura e la concessione dell’esdebitazione, il debitore torna in bonis, cioè riacquista la pienezza dei propri diritti patrimoniali. Lo spossessamento dei beni cessa e i beni non liquidati gli sono restituiti (salvo che si tratti di beni ancora necessari per completare la liquidazione, ad esempio crediti litigiosi che rimangono in gestione al curatore). Se era stato concordato il versamento di parte del reddito futuro (come avviene talvolta nei piani del consumatore o in certe liquidazioni controllate, dove il debitore si impegna a versare ai creditori somme su base mensile), tali obblighi vengono meno una volta conclusa la procedura e deliberata l’esdebitazione. Allo stesso modo, cessano eventuali pignoramenti o trattenute su stipendio/pensione: se, ad esempio, prima della procedura era in corso un pignoramento di un quinto dello stipendio per un debito bancario, tale pignoramento viene sospeso con l’apertura della procedura concorsuale e non potrà riprendere dopo l’esdebitazione, poiché il credito sottostante è stato dichiarato inesigibile.

Riabilitazione personale e cancellazione delle incapacità: Un effetto spesso poco evidenziato ma di grande importanza è la riabilitazione civile del debitore. Storicamente, la dichiarazione di fallimento comportava una serie di incapacità personali: ad esempio, il fallito non poteva esercitare uffici come quello di amministratore di società (art. 2382 c.c.), né poteva restare iscritto ad alcuni albi professionali, né ricoprire cariche pubbliche o incarichi come tutore, curatore, ecc. Tali incapacità e cause di ineleggibilità scattavano con la sentenza di fallimento e rimanevano finché perduravano gli effetti del fallimento. Con l’esdebitazione, la legge stabilisce espressamente che vengono meno tutte le cause di ineleggibilità e decadenza collegate all’apertura della liquidazione. In pratica, il debitore riacquista la piena capacità di esercitare attività d’impresa e funzioni che prima gli erano precluse. Può quindi, ad esempio, tornare ad essere amministratore di società di capitali (decadenza che in passato era automatica per il fallito ex art. 2382 c.c.). Può altresì iscriversi nuovamente a ordini professionali da cui era stato sospeso o radiato a causa del fallimento (avvocati, commercialisti, farmacisti, ecc.). Può assumere uffici come quello di tutore o curatore, diventare giudice popolare o pubblico ufficiale, partecipare a gare pubbliche, ecc., senza più lo stigma giuridico del fallimento. In passato esisteva un apposito Registro dei falliti a fini pubblicitari e di fedina economica; oggi tale registro è stato abolito e non esiste un elenco pubblico degli esdebitati. Pertanto, sul piano formale, dopo l’esdebitazione nulla distingue più il soggetto dai cittadini che non abbiano mai subito procedure concorsuali. Questa “morte civile” del fallito appartiene al passato: il nuovo ordinamento privilegia il reinserimento, coerentemente con la prospettiva di allinearsi alle economie più dinamiche dove il fallimento, se in buona fede, è considerato un incidente superabile.

Riassumendo, subito dopo l’esdebitazione il debitore beneficia di: (a) liberazione dai debiti residui concorsuali; (b) fine delle esecuzioni e vincoli patrimoniali pendenti; (c) riacquisto della capacità di agire pienamente nel commercio e nelle professioni; (d) estinzione degli effetti personali negativi del fallimento (restrizioni, interdizioni); (e) rimozione dallo stato di insolvenza e recupero dello status di soggetto solvibile (quantomeno in termini legali). Naturalmente, come vedremo, restano possibili alcune difficoltà di fatto (specie nella reputazione creditizia) che richiedono tempo per essere superate, ma giuridicamente il debitore esdebitato torna a una condizione di normalità.

Debiti esclusi dall’esdebitazione e obbligazioni che restano

Non tutti i debiti sono eliminati dall’esdebitazione. La legge prevede alcune eccezioni, in ragione della natura peculiare di certe obbligazioni o di esigenze pubblicistiche di tutela del creditore. Già la legge fallimentare all’art. 142 comma 3 elencava le esclusioni, oggi riprese dall’art. 278 comma 7 CCII. Restano esclusi dalla liberazione:

  • Obblighi di mantenimento e alimentari: sono i debiti derivanti da obblighi di mantenimento, alimenti e altre obbligazioni personali non comprese nel fallimento. In pratica, parliamo delle somme dovute, ad esempio, per assegni di mantenimento al coniuge separato o ai figli, o per alimenti dovuti per legge a familiari. Tali debiti, essendo legati a doveri di solidarietà familiare e ritenuti di natura strettamente personale, non possono essere scaricati: il debitore ne rimane obbligato anche dopo l’esdebitazione. Si tratta però di obbligazioni che in genere non rientrano tra i debiti concorsuali, poiché il mantenimento futuro non è una passività “concorsuale” (mentre eventuali arretrati per assegni non pagati prima della procedura potrebbero costituire crediti concorsuali, ma data la loro natura si ritiene comunque che l’esdebitazione non li estingua). In sostanza, chi abbia accumulato un debito per alimenti verso i figli, ad esempio, non potrà cancellarlo tramite fallimento: dovrà comunque pagarli.
  • Debiti da risarcimento danni per fatto illecito extracontrattuale: anche i debiti risarcitori derivanti da illecito extracontrattuale (cioè da un fatto illecito come un incidente stradale, un danno causato a terzi, ecc.) rimangono esclusi. Se Tizio era debitore di Caio per avergli causato un danno (ad es. lesioni personali in un’aggressione, oppure danni da diffamazione, ecc.), quel debito risarcitorio non viene cancellato dall’esdebitazione. La ratio è che tali debiti nascono da un fatto illecito, spesso doloso o colposo grave, e il legislatore ha ritenuto che non sia equo farne ricadere il costo interamente sulla vittima: il danneggiante non può liberarsi della responsabilità civile verso il danneggiato ricorrendo a una procedura concorsuale. Dunque il creditore da fatto illecito conserva il diritto di esigere il risarcimento anche dopo l’esdebitazione (salvo ovviamente quanto eventualmente già ottenuto nel fallimento). Va detto che, all’atto pratico, se tali crediti risarcitori erano stati insinuati al passivo, il creditore potrà continuare a perseguire il debitore solo per la parte eccedente l’eventuale percentuale ricevuta (applicandosi il meccanismo dei creditori non insinuati già visto). Se invece il creditore non ha partecipato, potrà chiedere l’intero importo del danno (non essendo concorsuale, l’eccezione dell’art. 278 c.2 non si applica qui). Un caso tipico: debiti per multe stradali o sanzioni amministrative per violazioni (che in realtà rientrano nella successiva categoria delle sanzioni pecuniarie).
  • Sanzioni penali o amministrative pecuniarie non accessorie: qualsiasi multa, ammenda o altra sanzione pecuniaria di natura penale, nonché le sanzioni amministrative pecuniarie (come contravvenzioni, sanzioni tributarie, ecc.), non sono esdebitabili se non sono accessorie a debiti estinti nella procedura. Questa formula significa che se la sanzione ha vita autonoma, non connessa a un debito principale concorsuale, allora resta dovuta. Ad esempio, le multe per violazione del Codice della Strada rimangono a carico del debitore; le sanzioni tributarie pure, a meno che non siano considerate “accessorie” a un tributo condonato nella procedura. Su questo punto, la giurisprudenza ha precisato che le sanzioni fiscali (sovrattasse, interessi di mora, etc.) che derivano dal mancato pagamento di imposte possono considerarsi accessorie al debito tributario. Se dunque l’imposta è compresa nell’esdebitazione, i relativi interessi e sanzioni decadono anch’essi, in quanto “accessori a debiti estinti”. Invece, le sanzioni non collegate a debiti concorsuali (come una sanzione amministrativa indipendente) non rientrano e andranno saldate dal debitore anche dopo la procedura. Analogamente, eventuali ammende penali comminate con sentenza (es. in caso di condanna per reato) non sono condonabili col fallimento: restano obbligazioni da onorare.

Riepilogo delle esclusioni: La tabella seguente riassume quali categorie di debito non vengono cancellate dall’esdebitazione e restano dunque esigibili anche dopo:

Tipologia di debitoEsdebitabile?
Obblighi di mantenimento e alimentariNO. Restano dovuti integralmente.
Debiti da risarcimento per illecito extracontrattualeNO. Esclusi dall’esdebitazione.
Sanzioni penali pecuniarie (ammende, multe)NO. Non liberate (debiti verso Stato).
Sanzioni amministrative pecuniarieNO (se autonome; se accessorie a un debito estinto, decadono anch’esse).
Debiti fiscali (imposte, tasse, IVA)SÌ. Inclusi nell’esdebitazione (salvo eventuali sanzioni autonome).
Contributi previdenziali obbligatori (INPS, ecc.)SÌ. Inclusi nell’esdebitazione (salvo sanzioni).
Debiti verso eventuali coobbligati/garanti (di regresso)N/A. L’esdebitazione libera solo il debitore principale; i garanti restano obbligati e il loro eventuale credito di regresso verso l’esdebitato è inesigibile.

Come si nota, le uniche esclusioni riguardano debiti di natura personalissima o derivanti da comportamenti illeciti, nonché le sanzioni pecuniarie punitive. Tutti gli altri debiti rientrano nell’esdebitazione. In particolare, va sottolineato che debiti fiscali e contributivi non sono esclusi dalla legge (vedi approfondimento più avanti): a differenza di altri Paesi europei, l’Italia non si è avvalsa della facoltà di escludere in blocco i crediti tributari o previdenziali dal beneficio. Pertanto, un debitore insolvente può essere liberato anche da un debito con l’Erario o con enti previdenziali, salvo ovviamente che non si tratti di sanzioni per violazioni (che, come detto, seguono la disciplina delle sanzioni). Questo è un aspetto fondamentale, confermato più volte dalla Cassazione e di recente anche dalla Corte di Giustizia UE, che ha riconosciuto agli Stati la facoltà di escludere tributi e contributi solo se ciò è giustificato da ragioni imperative, ma nel nostro ordinamento tale esclusione generalizzata non è stata adottata.

Coobbligati, fideiussori e obbligati di regresso: L’esdebitazione produce effetto solo in favore del debitore che ha affrontato la procedura e ottenuto il decreto di liberazione. I soggetti terzi che erano condebitori o garanti del medesimo debito non beneficiano di tale effetto. Ad esempio, se Tizio e Caio avevano firmato insieme una fideiussione bancaria e Tizio viene esdebitato dai suoi debiti, la banca potrà ancora chiedere a Caio (coobbligato) l’intero importo dovuto. Analogamente, se un parente aveva garantito il debito di Tizio con una fideiussione, rimane obbligato a pagare il creditore garantito. La liberazione di Tizio non si estende al garante. Ovviamente, qualora il garante si trovi poi a pagare, non potrà rivalersi su Tizio esdebitato: il suo diritto di regresso è colpito dall’inesigibilità, poiché deriva pur sempre da quel debito principale ormai “cancellato”. In altre parole, il garante si farà carico definitivo del debito (effetto non insolito: la fideiussione implica proprio che il garante, pagando, non possa recuperare se il debitore principale è insolvente o esdebitato). Similmente, se due soci erano illimitatamente responsabili e solo uno accede a esdebitazione, l’altro socio continua ad essere passibile per l’intero debito sociale. Nel nuovo Codice, tuttavia, è previsto che quando una società di persone ottiene l’esdebitazione in liquidazione giudiziale, l’effetto esdebitativo si estende automaticamente ai soci illimitatamente responsabili. Questo è un caso particolare in cui la legge stessa equipara i soci alla società, per ragioni di coerenza (essendo i debiti sociali anche debiti personali dei soci). Fuori da tale ipotesi, comunque, il principio generale resta: nessun esdebitazione “indiretta” per coobbligati o garanti.

Clausola di salvaguardia (revoca del beneficio): L’ottenimento dell’esdebitazione può essere revocato o negato ex post se emerge che il debitore non possedeva in realtà i requisiti di legge. Ad esempio, se dopo la chiusura del fallimento si scopre che il debitore aveva frodato i creditori (occultando beni, distratti capitali, commesso reati, ecc.), il decreto di esdebitazione può essere impugnato dal creditore o dal P.M. per ottenerne la revoca. L’art. 280 CCII prevede espressamente che il tribunale esclude l’esdebitazione se il debitore ha tenuto comportamenti dolosi o gravemente colposi in pregiudizio dei creditori (in particolare, se ricorre una delle circostanze di cui all’art. 280, comma 1, lett. a: condanna per bancarotta fraudolenta, false comunicazioni, ecc.). Se questi fatti vengono alla luce dopo la concessione, il provvedimento potrà essere annullato attraverso i mezzi di impugnazione previsti (reclamo o opposizione allo stato passivo tardiva, a seconda dei casi). Nel caso specifico dell’esdebitazione dell’incapiente (procedura di sovraindebitamento a cui accede chi non possiede nulla da liquidare), la legge prevede una clausola di vigilanza di 4 anni successivi: se il debitore omette di comunicare o di riversare ai creditori eventuali sopravvenienze attive significative (eredità, vincite) entro 4 anni, l’esdebitazione è revocata ipso iure. Torneremo tra poco su questo importante aspetto. Basti qui evidenziare che l’esdebitazione non è un “condono” a prescindere: è un beneficio revocabile se abusato. Fortunatamente, le vicende di revoca sono rare, perché il controllo avviene soprattutto prima della concessione. Un debitore che abbia mentito o frodato difficilmente otterrà il decreto di liberazione; se lo ottenesse in forza di informazioni false, rischierebbe poi conseguenze penali e la perdita del beneficio.

Aspetti fiscali post-esdebitazione

Debiti fiscali compresi nell’esdebitazione: Come accennato, imposte e tasse rientrano a pieno titolo tra i debiti concorsuali esdebitabili. Né la vecchia legge fallimentare né il nuovo Codice prevedono l’esclusione generalizzata dei debiti tributari (IVA, imposte sui redditi, tributi locali, ecc.) dal beneficio. Ciò significa che, al termine della procedura, il debitore può essere liberato anche dal pagamento di quanto dovuto al Fisco (Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate Riscossione) rimasto insoluto. Questo punto è stato oggetto di passate controversie, in particolare riguardo all’IVA: essendo l’IVA considerata risorsa propria dell’Unione Europea, si discuteva se uno Stato potesse rinunciare a riscuoterla attraverso l’esdebitazione di un fallito. In passato, c’era chi riteneva che i debiti IVA dovessero comunque rimanere fuori (in nome del principio che “l’IVA va sempre pagata”). La giurisprudenza però ha superato questo orientamento. Cassazione Sezioni Unite n. 26988/2016 ha affermato chiaramente che “tutte le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’impresa, inclusi i debiti tributari e relative sanzioni rientrano nell’esdebitazione, non essendo i debiti tributari annoverati tra le esclusioni di legge”*. In seguito, la Corte di Giustizia UE (caso C-198/17, Kohl, 2019) e la Corte Costituzionale italiana (sent. 245/2019) hanno confermato che il diritto UE non vieta di comprendere l’IVA in procedure di liberazione del debitore onesto. Di conseguenza, oggi è pacifico: anche l’IVA non pagata può essere cancellata se il fallito ottiene l’esdebitazione. Naturalmente, questo non avviene in modo indiscriminato: come per ogni altro debito, bisogna che il debitore soddisfi i requisiti di meritevolezza. Se, ad esempio, il debitore ha accumulato ingenti debiti IVA frodando scientemente il Fisco (frode carosello, false fatturazioni), probabilmente non otterrà l’esdebitazione per indegnità. Ma se l’insolvenza tributaria è frutto di reali difficoltà economiche e il contribuente è onesto, il fatto che il debito sia verso l’Erario non gli impedisce la fresh start.

Dal punto di vista normativo, la Direttiva UE 2019/1023 sul ristrutturazioni e insolvenze (art. 23(4)) lasciava gli Stati liberi di escludere talune categorie di debiti dall’esdebitazione, inclusi tributi e contributi, purché in modo giustificato e proporzionato. L’Italia, come detto, non ha escluso a priori né i tributi né i contributi; l’art. 278 CCII non li elenca tra le eccezioni. La Corte di Giustizia, in una recente sentenza dell’8 maggio 2024 (causa C-20/23), ha ribadito che gli Stati possono introdurre eccezioni ulteriori (oltre a quelle tipiche come alimenti e risarcimenti) solo se vi è una motivazione di interesse pubblico e che tale giustificazione può risultare anche dai lavori preparatori e dall’ordinamento interno. Nel caso italiano, la scelta del legislatore – tesa a favorire il reinserimento dell’imprenditore onesto – è stata proprio di non fare eccezioni per le pendenze fiscali, ritenendo evidentemente che l’interesse generale all’economia dinamica e al pagamento futuro di nuove imposte da parte di un imprenditore riabilitato superi l’interesse a inseguire all’infinito vecchi debiti fiscali spesso irrecuperabili.

Cosa significa in concreto per i debiti col Fisco: Se il debitore aveva cartelle esattoriali pendenti (per IVA, IRPEF, contributi previdenziali, multe, ecc.), al termine della procedura quelle relative a imposte e contributi vengono annullate dall’esdebitazione (salvo le eccezioni viste). L’Agenzia Entrate Riscossione – informata dal curatore o dal tribunale del decreto di esdebitazione – dovrà cessare ogni azione esecutiva e classificare quei crediti come non più riscuotibili. È consigliabile per il debitore, una volta ottenuto il provvedimento, trasmetterne una copia all’Agenzia Entrate Riscossione e agli enti interessati, per accelerare l’aggiornamento delle posizioni. Dopo l’esdebitazione, eventuali fermi amministrativi o ipoteche esattoriali iscritti su beni del debitore per crediti ormai inesigibili dovrebbero essere rimossi su istanza del debitore, poiché mancando la pretesa sottostante vengono meno i presupposti della misura cautelare. Attenzione però: se l’ipoteca era stata iscritta su un immobile del debitore ed è rimasta nonostante la procedura (ipotesi rara, di solito l’immobile è venduto all’asta e l’ipoteca si purga), quella garanzia reale potrebbe formalmente persistere anche dopo l’esdebitazione. In teoria, il creditore ipotecario (es. banca o fisco) non potrebbe comunque espropriare il bene perché l’obbligazione personale del debitore è inesigibile; tuttavia, la giurisprudenza tende a ritenere che la garanzia reale su beni del debitore decada con la chiusura del concorso in caso di esdebitazione, essendo accessoria a un credito divenuto giuridicamente non riscuotibile. È un ambito un po’ complesso e in evoluzione: per prudenza, il debitore farebbe bene a richiedere la cancellazione di eventuali ipoteche esattoriali residuanti, presentando il decreto di esdebitazione. In ogni caso, l’ente di riscossione non può iscriverne di nuove, né proseguire le procedure coattive sospese (pignoramenti immobiliari, fermi auto, pignoramenti su conti), poiché il titolo del debito è cessato.

Sanzioni fiscali e debiti per frodi: Come detto, c’è un’importante eccezione: se il debito verso il Fisco include delle sanzioni autonome (ad es. una multa IRPEF per omessa dichiarazione, oppure una sanzione antitrust, ecc.), quelle sanzioni restano fuori dall’esdebitazione. Spesso le cartelle contengono sia il tributo che le sanzioni e interessi. Dopo l’esdebitazione, la parte tributo e interessi di mora non è più dovuta, mentre formalmente la sanzione pecuniaria potrebbe rimanere esigibile (essendo “pena” per un illecito tributario). Tuttavia, c’è da dire che se la sanzione non viene pagata nella liquidazione concorsuale, l’ente riscossore difficilmente perseguirà il debitore esdebitato solo per quella, vista l’irrecuperabilità pratica (il debitore potrà opporre che i suoi beni sono tutti successivi e non aggredibili per debiti pregressi). È più un dettaglio giuridico. Se invece la posizione fiscale del debitore coinvolge profili penali (reati tributari gravi, es. dichiarazione fraudolenta), allora il problema è a monte: una condanna per bancarotta o per reati fiscali di solito impedisce l’esdebitazione. Quindi non ci si troverà nemmeno a discutere se il debito d’imposta è condonabile o meno – il tribunale non concederà affatto il beneficio a chi ha frodato il fisco dolosamente (salvo che sia intervenuta riabilitazione). Pertanto, in generale, i debiti verso l’erario derivanti da mera insolvenza (mancato pagamento per crisi di liquidità, cessazione attività, ecc.) vengono cancellati; i debiti derivanti da evasione fraudolenta no, perché il soggetto non supera il vaglio della meritevolezza.

Trattamento fiscale della cancellazione dei debiti: Un tema peculiare è se la liberazione dai debiti costituisca un evento imponibile per il debitore (ad esempio, un condono che potrebbe essere considerato “reddito” da tassare). Nel contesto italiano, la cancellazione dei debiti conseguente a procedure concorsuali non viene tassata come sopravvenienza attiva nei confronti del debitore persona fisica. Per le società, la questione è teorica perché la società di norma si estingue; per la persona, l’eventuale arricchimento derivante dal non dover più pagare i debiti non configura reddito imponibile IRPEF. Si tratta infatti di un effetto legale collegato all’insolvenza, non di un guadagno. Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi esclude dalle sopravvenienze attive tassabili quelle derivanti da piani di risanamento o procedure concorsuali omologate (art. 88 comma 4-ter TUIR). L’esdebitazione fallimentare non è espressamente menzionata, ma per analogia e per interpretazione sistematica, la liberazione dei debiti del fallito rientra in tale esenzione. Dunque, il debitore esdebitato non deve dichiarare alcunché a titolo di reddito per i debiti cancellati.

In sintesi, dopo l’esdebitazione il rapporto del debitore con il Fisco relativo al periodo pregresso si chiude: l’interessato non dovrà più pagare imposte, IVA, tasse locali ecc. relative a quel passato (eccetto eventuali sanzioni autonome); le attività di riscossione coattiva si estinguono; il cassetto fiscale del contribuente potrebbe ancora mostrare quei debiti come “saldati per legge” o simili, ma non saranno più esigibili. Il debitore, se torna ad avere redditi tassabili e patrimonio, riparte da zero anche verso il Fisco: dovrà naturalmente essere diligente col pagamento delle nuove imposte per non incorrere in future azioni, ma per il passato ha ottenuto una “pulizia”.

Aspetti previdenziali (debiti verso INPS, INAIL, casse)

Debiti contributivi e previdenziali: Analogamente ai tributi, anche i contributi obbligatori dovuti agli enti previdenziali (es. contributi INPS per dipendenti o gestione artigiani/commercianti, contributi alle casse professionali private, premi dovuti a INAIL) sono considerati debiti concorsuali ordinari e non rientrano tra le esclusioni dall’esdebitazione. Già la Cassazione, con sentenze del 2015-2016, aveva chiarito che la dizione “obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’attività d’impresa” (contenuta nel vecchio art. 142 l.f.) non includeva affatto i debiti verso gli enti previdenziali relativi all’attività. Al contrario, i contributi previdenziali dovuti dall’imprenditore in quanto datore di lavoro o assicurato erano da considerarsi inerenti all’esercizio dell’impresa e dunque compresi nell’esdebitazione, non essendo esclusi espressamente. Ad esempio, Cass. 11 marzo 2016 n. 4844 (Sez. VI) ha stabilito che “i contributi obbligatori Inps rientrano nell’esdebitazione”, rigettando il ricorso dell’INPS che pretendeva di escluderli sostenendo fossero estranei all’impresa. Questa giurisprudenza è ora confermata e consolidata: l’art. 278 CCII non esclude i crediti degli enti previdenziali, pertanto anche i debiti verso l’INPS, l’INAIL e simili sono soggetti a esdebitazione. Vale lo stesso ragionamento fatto per le imposte: ciò che conta è la natura concorsuale e pecuniaria del credito e la mancanza di esclusione espressa. Dunque, contributi previdenziali non versati prima della procedura – siano essi dovuti per i propri dipendenti, o contributi personali dell’imprenditore, o contributi a casse professionali – possono essere cancellati al pari di un debito bancario.

Esempio: un artigiano che fallisce con €50.000 di debiti verso fornitori, €10.000 di debiti IVA e €8.000 di contributi INPS arretrati (gestione commercianti) – se ottiene l’esdebitazione, viene liberato non solo dai 50k verso i fornitori e dai 10k di IVA, ma anche dagli 8k di contributi INPS. L’INPS non potrà più pretendere quella somma (che sarà classificata come credito inesigibile).

Eccezioni: Anche per i contributi vale la regola generale sulle sanzioni. Se nel credito dell’ente previdenziale erano comprese sanzioni civili per omesso versamento (le “penalità” che l’INPS applica sui ritardi, simili a interessi di mora) o multe amministrative (ad esempio sanzioni per lavoro nero comminate dall’Ispettorato del lavoro), bisogna distinguere: le sanzioni civili da ritardato pagamento contributi sono in realtà considerate accessorie al debito contributivo, e come tali dovrebbero seguire la sorte del principale (quindi essere cancellate se il contributo non è pagato). Viceversa, eventuali sanzioni amministrative vere e proprie (non accessorie) restano dovute. Pensiamo a un caso: il datore di lavoro viene multato con una sanzione amministrativa dall’INPS per aver omesso di inviare i flussi Uniemens; quella sanzione (che ha natura afflittiva) non è strettamente un credito contributivo, e non rientra nell’esdebitazione (come da elenco generale). Mentre i contributi omessi che hanno generato la sanzione sì.

Effetti sul debitore previdenziale: Dopo l’esdebitazione, gli enti come INPS o INAIL cessano le azioni di recupero dei contributi non pagati dal debitore. Ciò comporta, ad esempio, che l’INPS non potrà più iscrivere a ruolo (o dovrà annullare) le somme dovute fino alla data di apertura della procedura. Se vi erano pignoramenti presso terzi in corso (es. su crediti verso clienti, per contributi non pagati), decadono anch’essi analogamente ai pignoramenti fiscali. Tuttavia, è importante notare un effetto: se i contributi non sono stati versati, ciò può avere ripercussioni sui diritti pensionistici. Infatti, la cancellazione del debito contributivo non “regala” comunque l’accredito contributivo: semplicemente, quei periodi rimangono scoperti da contribuzione ai fini pensionistici. Ad esempio, se un artigiano non ha versato contributi per 2 anni, quei 2 anni non andranno a incrementare l’anzianità pensionistica, a meno che non li riscatti volontariamente. L’INPS consente di riscattare i periodi di omissione contributiva prescritti pagando un onere, ma in caso di esdebitazione la prescrizione spesso non è tecnicamente maturata (si tratta di debiti cancellati per legge, non prescritti). In pratica, il debitore esdebitato risparmia i contributi non versati, ma dovrà accettare che la sua pensione futura potrà risultare più bassa a causa di quei “buchi”. Lo stesso vale per eventuali dipendenti: se il datore non ha versato contributi e la procedura non ha coperto quel buco, i dipendenti potrebbero vedersi mancare dei contributi. Di norma interviene il Fondo di Garanzia INPS che anticipa TFR e contributi previdenziali dovuti ai lavoratori in caso di insolvenza del datore, surrogandosi poi come creditore nel fallimento. Se però dalla liquidazione non si ricava nulla per pagare l’INPS surrogato, l’esdebitazione cancella il credito dell’INPS. I lavoratori in genere non perdono la copertura contributiva, perché l’INPS accredita comunque loro i contributi (il Fondo di Garanzia serve a questo); ma il costo rimane a carico della collettività.

Contributi a casse professionali: Un cenno per i professionisti (avvocati, commercialisti, ingegneri, etc.): anch’essi possono indebitarsi verso la propria Cassa previdenziale (es. la Cassa Forense) per contributi non pagati. Ebbene, tali crediti, se rientrano in una procedura di sovraindebitamento o fallimento personale del professionista, possono essere falcidiati ed eventualmente rientrare in un’esdebitazione. Ad esempio, un avvocato con €20.000 di contributi previdenziali forensi arretrati, se ricorre alla liquidazione controllata ex L.3/2012 e poi all’esdebitazione, potrà azzerare quel debito (salvo sanzioni autonome). Questo consente ai professionisti sovraindebitati di riprendere l’attività senza l’incubo di dover restituire anni di contributi arretrati – anche se resta poi il problema che quei contributi non versati non conteranno per la pensione futura, a meno di successivi accordi con la Cassa (alcune Casse permettono il riscatto contributivo in certe circostanze).

Sintesi: i debiti previdenziali, al pari di quelli fiscali, sono trattati come normali debiti nella procedura concorsuale. Se rimangono insoddisfatti, l’esdebitazione li rende inesigibili. Entri come l’INPS o le Casse professionali non potranno più pretenderne il pagamento dal debitore esdebitato (a meno che non rientrino nelle categorie escluse di legge, cosa che come visto non avviene salvo la componente sanzionatoria). L’ex debitore dovrà però essere consapevole che nessuno gli accrediterà i contributi non pagati: liberazione dai debiti non significa ottenere benefici previdenziali non guadagnati. Se vorrà, potrà volontariamente contribuire per colmare i buchi (ad esempio pagando il minimale di quei anni per avere la copertura ai fini pensionistici), ma sarà una sua scelta extra-procedurale.

Effetti sui rapporti bancari e finanziari

Una delle conseguenze più tangibili di una procedura d’insolvenza riguarda la posizione del debitore presso banche e intermediari finanziari. Prima dell’esdebitazione, il soggetto in procedura è considerato un cattivo pagatore e spesso le sue relazioni bancarie subiscono restrizioni: chi è dichiarato fallito perde la disponibilità dei conti correnti (gestiti dal curatore) e l’accesso al credito viene azzerato; inoltre viene segnalato nelle varie banche dati creditizie. Dopo la chiusura della procedura e l’esdebitazione, il debitore può tornare a operare liberamente, ma le tracce del passato fallimento permangono negli archivi bancari per qualche tempo, condizionando i rapporti con gli istituti.

Centrale Rischi e SIC (banche dati credito): In Italia esistono sistemi di informazione creditizia sia pubblici che privati. La Centrale dei Rischi della Banca d’Italia registra le esposizioni debitorie verso banche > €30k e i loro stati (incagli, sofferenze). Quando un debitore viene dichiarato insolvente, tipicamente le sue posizioni vengono classificate come “sofferenze” dagli intermediari e segnalate alla Centrale Rischi. Tali segnalazioni rimangono storicamente visibili per molti anni. Secondo il Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi creditizi (Provv. Garante Privacy 2004, aggiornato 2015), le informazioni da fonti pubbliche come fallimenti possono essere conservate fino a 10 anni dalla loro registrazione. In particolare, le notizie di procedure concorsuali (fallimenti, concordati, liquidazioni) possono essere mantenute nei SIC per un massimo di 10 anni dall’inizio della procedura. Nel concreto: se Tizio è fallito nel 2018, la notizia del fallimento potrà comparire nei sistemi creditizi fino al 2028. Trascorso quel decennio, i dati devono essere rimossi. Questa durata è notevole e supera quella di altre segnalazioni (ad es. ritardi di poche rate restano 12 mesi, morosità gravi 36 mesi dalla regolarizzazione). Ciò significa che, anche dopo l’esdebitazione, per alcuni anni le banche potranno vedere che quel cliente ha avuto un fallimento o una liquidazione. Oltre alle banche dati ufficiali, ogni banca internamente conserva memoria delle proprie perdite: se un istituto ha subito un’insolvenza dal cliente, lo ricorderà a lungo nelle sue valutazioni interne.

Rapporti bancari di base: Dopo l’esdebitazione, nulla vieta al debitore di riaprire un conto corrente, detenere carte di debito, strumenti di pagamento e in generale fruire dei servizi bancari al dettaglio. Durante il fallimento, il conto personale di norma viene chiuso o congelato e il fallito perde la capacità di movimentare denaro autonomamente (tutto deve transitare per il curatore). Ma con la chiusura della procedura, questa restrizione cessa: l’ex fallito può aprire nuovi conti ed è anzi interesse suo ricominciare ad avere una posizione finanziaria regolare. Le banche tuttavia potrebbero applicare un criterio di cautela: ad esempio, potrebbero concedere solo conti base (senza affidamenti) o chiedere che sia mantenuto sempre un saldo attivo. Dal punto di vista legale, comunque, il soggetto non è più fallito, dunque nessuna preclusione formale esiste ad aprire conti o depositi.

Carte di credito e servizi finanziari: Un discorso analogo vale per strumenti come le carte di credito o concessioni di fidi: la banca effettua una valutazione del merito creditizio. Se dalle informazioni creditizie risulta il recente coinvolgimento in un fallimento, difficilmente concederà subito una carta di credito (specie revolving). Potrebbe proporre soluzioni garantite (es. carta prepagata o carta con deposito cauzionale). Col passare degli anni e l’eventuale miglioramento del credit score, questi servizi potranno essere nuovamente accessibili.

Prestiti e mutui pregressi: Un aspetto da chiarire è cosa accade a eventuali rapporti di credito in essere prima del fallimento. Se il debitore aveva un mutuo ipotecario e l’immobile è stato venduto nella procedura, il mutuo viene estinto con l’incasso e l’ipoteca si chiude. Se però l’immobile non è stato venduto (ipotesi rara, ad esempio perché la procedura si è chiusa per mancanza di realizzo e il bene era impignorabile o di scarso interesse), il mutuo potrebbe ancora formalmente esistere. In tal caso l’esdebitazione renderebbe inesigibile la quota di debito residua verso la banca, ma l’ipoteca sul bene di proprietà del debitore probabilmente permarrebbe (la banca non la cancella finché il mutuo non è estinto). Questa è una situazione atipica: di solito, se l’immobile ha un valore, il curatore lo liquiderebbe; se non lo liquida, può accadere che l’ipoteca resti come vincolo. Il debitore esdebitato, per liberare l’immobile, dovrebbe negoziare con la banca la cancellazione dell’ipoteca (che però la banca può rifiutare se formalmente il credito esiste ancora, ancorché inesigibile). Nel tempo, comunque, la banca dovrà svalutare il credito e potrebbe aderire a un accordo. Questo esempio serve a dire che non sempre tecnicamente tutti i vincoli si risolvono subito con l’esdebitazione, ma nella maggior parte dei casi sì.

Rientro nei sistemi di pagamento: Se il debitore era stato protestato (ad esempio per assegni a vuoto) o segnalato come cattivo pagatore per rate impagate, dovrà attendere i tempi di riabilitazione relativi: un protesto per assegno, anche se il debito è poi estinto o cancellato, rimane iscritto nel Registro Informatico dei Protesti per 5 anni, salvo riabilitazione anticipata ottenibile pagando il dovuto (art. 17 L. 108/1996). L’esdebitazione purtroppo non estingue il protesto: se Mario ha emesso assegni scoperti e poi è fallito, il protesto resta registrato. Solo pagando i beneficiari di quegli assegni (cosa che in fallimento di solito non avviene se non c’è attivo) potrebbe ottenere la cancellazione entro l’ordinario. Quindi Mario probabilmente dovrà convivere col protesto per i 5 anni dall’ultimo evento protestato. Tuttavia, trascorsi i 5 anni, la Camera di Commercio cancella la segnalazione in automatico. Dopo l’esdebitazione, dunque, il soggetto può chiedere ex novo strumenti come il libretto di assegni? In linea di principio sì, ma le banche difficilmente rilasciano carnet assegni a chi abbia una storia di protesti o insolvenze recenti.

Rapporti con finanziarie e leasing: Similmente alle banche, anche le società finanziarie e di leasing consultano le banche dati. Un debitore esdebitato che voglia, ad esempio, prendere un’auto in leasing o ottenere un finanziamento per beni di consumo, potrebbe incontrare inizialmente rifiuti o richieste di garanzie aggiuntive. Alcune finanziarie specializzate offrono prestiti a chi ha segnalazioni pregresse, ma spesso a tassi più alti o con garanzie (es. cessione del quinto dello stipendio, se il soggetto ha riottenuto un lavoro). Legalmente comunque il debitore non è soggetto ad alcun divieto: può contrarre nuovi finanziamenti da subito; la difficoltà è pratica, legata al merito di credito.

In sintesi: sotto il profilo bancario, dopo l’esdebitazione il soggetto può tornare a utilizzare i servizi finanziari di base, ma le segnalazioni negative permangono per qualche anno, rendendo inizialmente complicato il rapporto con il credito. Non essendovi però più vincoli legali, tutto dipende dalle politiche degli intermediari. Con il trascorrere del tempo e la dimostrazione di affidabilità (es: il debitore trova un lavoro, accredita stipendio sul conto regolarmente, magari riesce a ottenere una carta di credito garantita e la usa correttamente), la sua reputazione creditizia migliorerà. Quando i dati di fallimento verranno cancellati dai sistemi (tipicamente entro 5-10 anni) e se nel frattempo non sorgono altre insolvenze, il soggetto tornerà ad avere un profilo finanziario quasi “normale”. È importante mantenere un comportamento finanziario prudente in questo periodo: evitare nuovi insoluti, pagare puntualmente eventuali piccole linee di credito (es. un finanziamento per acquisto a rate, se concesso) così da ricostruire uno storico positivo.

Accesso al credito dopo l’esdebitazione

È possibile ottenere nuovi finanziamenti dopo l’esdebitazione? Sì, formalmente nulla osta a che un debitore liberato dai debiti richieda prestiti, mutui o altre forme di credito. Giuridicamente, l’esdebitato non è interdetto dall’accesso al credito: a differenza del vecchio fallito, che subiva l’incapacità ad esercitare impresa e doveva essere riabilitato, il nuovo sistema non prevede preclusioni personali di questo tipo. Ciò significa che, anche durante una procedura di sovraindebitamento e subito dopo, il debitore potrebbe avviare una nuova attività e contrarre mutui o finanziamenti. In teoria, dunque, il giorno dopo l’esdebitazione si potrebbe provare a chiedere un prestito. In pratica, però, gli operatori creditizi saranno molto cauti nel prestare soldi “subito” a chi ha appena cancellato i debiti pregressi.

Le difficoltà concrete nell’accesso al credito derivano principalmente da due fattori:

  1. le già menzionate segnalazioni nelle banche dati (CRIF, Experian, Cerved, Centrale Rischi) che indicano recenti insolvenze;
  2. l’eventuale mancanza di garanzie e reddito del debitore all’indomani della procedura (molti esdebitati escono dalla procedura senza beni e magari senza un lavoro stabile, il che li rende candidati rischiosi per nuovi prestiti).

Detto questo, esistono alcune possibilità e strategie per riottenere credito:

  • Microcredito e prestiti tra privati: Il debitore riabilitato ma con basso merito creditizio potrebbe rivolgersi a istituti di microfinanza o a iniziative pubbliche di supporto (ad es. fondi per la nuova imprenditoria). Alcuni enti offrono micro-prestiti a chi ha avuto problemi passati, valutando più il progetto presente che lo storico creditizio.
  • Garanzie reali o personali: Se il debitore può offrire garanzie forti (per esempio un immobile libero da ipoteche o un garante terzo con ottima affidabilità), le banche potrebbero essere disposte a concedere credito anche poco dopo l’esdebitazione. La presenza di un fideiussore solido spesso compensa la diffidenza verso lo storico del debitore.
  • Cessione del quinto: Per chi ha riottenuto un lavoro dipendente o una pensione, una delle prime forme di credito accessibili è la cessione del quinto dello stipendio/pensione. Questa tipologia di prestito viene erogata facendo leva sul reddito futuro (trattenuto alla fonte dal datore di lavoro), e solitamente è concessa anche a soggetti con precedenti negativi, poiché la banca si tutela con il meccanismo della trattenuta mensile e con un’assicurazione rischio impiego. Dunque, un debitore uscito dal fallimento che trovi impiego potrebbe ottenere una cessione del quinto relativamente presto.
  • Prestiti su pegno o garantiti da beni: Alcune forme di credito (come i prestiti su pegno) non guardano al merito creditizio personale, ma all’oggetto dato in garanzia. Ovviamente sono di importo limitato e costoso, ma costituiscono un accesso al credito immediato per liquidità urgente.
  • Trascorrere il tempo necessario: Come già spiegato, una volta trascorsi alcuni anni (variabili a seconda della gravità delle segnalazioni, ma spesso intorno a 2-5 anni) dall’esdebitazione, i dati negativi iniziano a “invecchiare” e perdono importanza oppure vengono proprio cancellati. Ad esempio, i dati CRIF su sofferenze bancarie vengono rimossi 36 mesi dopo l’avvenuta estinzione o chiusura della posizione debitoria. Se la chiusura coincide con il fallimento e l’esdebitazione, teoricamente dopo 3 anni da quest’ultima il nominativo potrebbe non figurare più nelle principali banche dati private come cattivo pagatore (restano però le informazioni di fallimento nei registri pubblici fino a 10 anni). Diciamo che dopo 5 anni dalla chiusura, molte tracce negative saranno scomparse o attenuate, e se in quel frattempo non si sono avuti ulteriori intoppi, il soggetto può presentarsi più credibilmente agli occhi di un finanziatore.

Caso particolare – Mutuo per acquisto prima casa dopo esdebitazione: Molti ex debitori si chiedono se potranno mai ottenere un mutuo casa in futuro. Non c’è una regola fissa: alcune banche si rifiutano categoricamente di finanziare ex falliti finché la segnalazione di fallimento è visibile; altre possono valutare positivamente se l’esdebitazione è avvenuta da molti anni e il soggetto ha un buon reddito corrente. Una strategia a volte usata è quella di intestare il mutuo (e l’immobile) a un familiare affidabile, coinvolgendo l’ex fallito magari solo come convivente pagatore di fatto, finché egli stesso non recuperi punteggio. Oppure accumulare un acconto molto sostanzioso (es. il 30-40% del prezzo casa): vedere che il richiedente investe capitali propri importanti può convincere la banca. In ogni caso, è consigliabile rivolgersi a banche più piccole o cooperative locali, che adottano criteri meno automatizzati e potrebbero dare peso alla storia personale di riscatto del debitore (ad esempio se ha avviato con successo una nuova attività).

Rapporto con i fornitori e nuovo credito commerciale: Per un imprenditore che riparte dopo l’esdebitazione, l’accesso al credito commerciale (es. dilazioni di pagamento dai fornitori) è altrettanto cruciale. Anche qui la reputazione conta: i fornitori potrebbero essere inizialmente diffidenti nel concedere pagamenti differiti a chi è noto per un precedente fallimento. L’imprenditore dovrà ricostruire fiducia magari pagando anticipatamente le prime forniture, offrendo garanzie (cambiali, fideiussioni assicurative), oppure associandosi con un socio finanziariamente solido che faccia da “volto” affidabile. Col tempo, dimostrando correttezza nei pagamenti, potrà ottenere condizioni normali.

In conclusione su credito e finanziamenti: formalmente, l’esdebitazione rimuove ogni divieto di ottenere credito. Realisticamente, l’accesso al credito bancario torna possibile gradualmente, man mano che l’ombra del passato si allontana e solo se il debitore dimostra con i fatti la propria affidabilità. Il merito creditizio è un parametro dinamico: l’esdebitato parte da punteggi bassi, ma può risalire. Le normative sul credito responsabile impongono alle banche di valutare attentamente il cliente, ma non di escluderlo a priori: se l’esdebitato ha oggi un buon reddito e poca esposizione, potrebbe paradossalmente risultare un cliente interessante (avendo azzerato i vecchi debiti, la sua capacità di indebitamento è libera). Un segnale positivo è dato anche dal mercato anglosassone, in cui addirittura esistono finanziarie specializzate in “fresh start loans” per chi esce dalla bancarotta: qualcosa di simile potrebbe svilupparsi anche in Italia. Ad ogni modo, il consiglio per un esdebitato è di procedere per gradi: prima mettere in sesto le proprie finanze, poi ricominciare con piccoli crediti (ripagati puntualmente) e solo successivamente ambire a finanziamenti più impegnativi.

Conseguenze reputazionali e “fedina economica” del debitore

Reputazione personale e professionale: In Italia, il fallimento ha tradizionalmente portato con sé un pesante stigma sociale. L’imprenditore fallito era visto come inaffidabile, spesso veniva escluso da nuove iniziative e guardato con sospetto. Con l’introduzione dell’esdebitazione e l’evoluzione normativa, c’è stato un tentativo di cambiare questa mentalità, distinguendo il fallimento onesto dall’atto disonesto. Oggi la legge cancella formalmente le conseguenze negative sul piano dei diritti civili e professionali (come abbiamo visto: rimozione cause di ineleggibilità, possibilità di tornare amministratore, ecc.). Tuttavia, la reputazione agli occhi della comunità economica dipende anche da fattori extra-giuridici. Un imprenditore che sia passato attraverso un fallimento potrebbe incontrare diffidenze in partner commerciali, investitori e clienti, soprattutto se l’evento è recente e conosciuto. Queste diffidenze però possono essere superate col tempo e con comportamenti virtuosi.

Pubblicità del fallimento: Un elemento cruciale della reputazione è la visibilità pubblica dell’insolvenza. Fino a qualche anno fa, l’esistenza di un fallimento restava pubblicamente consultabile ad esempio attraverso il Registro Informatico dei Protesti e dei Fallimenti, nonché tramite le visure camerali (per i fallimenti di imprese) e le pubblicazioni su quotidiani/locali e Gazzetta Ufficiale. Attualmente, le notizie di procedure concorsuali sono reperibili sul Portale dei fallimenti (registro procedure di ogni tribunale) e su basi dati come Cerved o Cribis. Ma, come detto, il Registro dei Falliti in senso stretto è stato abolito, e inoltre esiste il diritto all’oblio decorsi i termini di legge. Questo significa che nel lungo periodo (dopo 5-10 anni) l’insolvenza passata del debitore tende a diventare meno immediatamente accessibile. Un estratto del casellario giudiziale del debitore, ad esempio, non conterrà alcuna menzione del fallimento (perché il fallimento non è un reato né una condanna). Solo le banche dati economiche lo riportano per un certo tempo. Dunque, sul piano strettamente reputazionale, l’esdebitato può confidare che dopo alcuni anni il suo passato creditizio non sia più di pubblico dominio, a meno che si tratti di un fallimento particolarmente noto.

Riabilitazione nel contesto imprenditoriale: La capacità di risollevarsi in termini di immagine dipende molto anche dal contesto. Nel mondo imprenditoriale moderno c’è una maggiore accettazione del fallimento come esperienza da cui imparare. Specialmente in settori innovativi (startup) si considera quasi un bagaglio di esperienza aver affrontato insuccessi. Viceversa, in ambienti più tradizionali (artigianato locale, piccola provincia) il marchio di un fallimento può ancora pesare nelle relazioni. Il debitore esdebitato che voglia tornare in affari dovrà lavorare per ricostruire la fiducia: onorare puntualmente i nuovi impegni, essere trasparente sul passato se interrogato, evidenziare magari che i debiti precedenti sono stati cancellati perché frutto di sventura e non di malafede.

Credibilità e rating personalizzato: Alcune società di rating private attribuiscono un rating reputazionale alle imprese e ai loro amministratori. Se un soggetto ha un fallimento recente, il suo rating sarà basso. Con il passare del tempo, se quell’individuo dimostra di saper gestire correttamente un nuovo business, il rating migliorerà. Ad esempio, se costituisce una nuova società e questa paga regolarmente fornitori e banche per qualche anno, i report di solvibilità cominceranno a segnalarlo. Molto dipende anche dalle cause del precedente fallimento: se era dovuto a cause esterne (crisi di settore, insolvenza di un grosso cliente, ecc.), chi conosce la storia potrebbe essere più indulgente rispetto a un fallimento da cattiva gestione. In certi casi il debitore stesso può prendere l’iniziativa di spiegare pubblicamente (es. in sede di nuove trattative commerciali) come è avvenuto il suo risanamento e quali lezioni ha imparato, per rassicurare i partner.

Benefici reputazionali dell’esdebitazione: Paradossalmente, ottenere l’esdebitazione può avere un risvolto positivo sulla reputazione: significa che un tribunale ha riconosciuto il debitore meritevole di fiducia (non un truffatore) e che egli ha affrontato la situazione in modo istituzionale, liquidando tutto il possibile. Questo può distinguerlo da chi, ad esempio, non paga i debiti senza mai dichiarare fallimento restando in un limbo. Un imprenditore potrebbe dire: “Sì, ho avuto un fallimento, ma ho seguito la legge, ho collaborato e sono stato riabilitato, segno che non avevo colpe gravi”. In alcuni ambienti questa riabilitazione legale viene apprezzata come indice di integrità.

Casi di restrizioni residue: Bisogna segnalare che, sebbene l’esdebitazione cancelli incapacità come quelle ex art. 2382 c.c., in certi ordinamenti settoriali potrebbero ancora esserci barriere: ad esempio, per partecipare a gare di appalto pubbliche, di regola il concorrente deve dichiarare di non essere in stato di fallimento né in procedure concorsuali. Dopo l’esdebitazione, quella dichiarazione è veritiera (non è più in procedura). Però a volte vengono chiesti gli antecedenti: alcune stazioni appaltanti chiedono se l’amministratore dell’impresa partecipante “abbia in passato subito procedure concorsuali”. Non è vietato chiederlo. In tal caso, l’esdebitato dovrà dichiarare il pregresso. Ciò non dovrebbe automaticamente escludere, ma potrebbe influire nella valutazione discrezionale. Per esempio, se ci sono due candidati equivalenti e uno ha alle spalle un fallimento, la PA potrebbe preferire l’altro per prudenza. Col tempo, comunque, questo genere di situazione è destinato a attenuarsi, specie se l’esdebitazione risulta lontana negli anni.

Impatto psicologico e sociale: Infine, va considerato anche l’aspetto personale: il fallimento e la successiva esdebitazione spesso lasciano un segno nell’autostima e nelle relazioni del debitore. C’è chi prova vergogna a rientrare sul mercato, teme il giudizio altrui. Qui il quadro normativo aiuta: sapere di avere la “fedina economica” pulita per legge dà coraggio. Molti ex falliti testimoniano che l’esdebitazione è vissuta come una vera rinascita, un taglio col passato che consente di presentarsi di nuovo a testa alta. Naturalmente la società italiana è eterogenea: c’è chi rimane prevenuto (“quello ha fatto fallire un’azienda!”) ma c’è anche chi riconosce il valore di chi ricomincia (“è tornato in pista, bravo!”). Il debitore dovrà lavorare su sé stesso per non farsi condizionare dai pochi giudizi negativi residui, forte del fatto che legalmente ha saldato i conti con la propria storia debitoria.

Riassumendo: l’esdebitazione comporta una riabilitazione legale completa, che però deve tradursi nel tempo anche in una riabilitazione reputazionale. La seconda non avviene automaticamente per decreto, ma passa attraverso la condotta del debitore e il trascorrere di un ragionevole periodo senza incidenti. In ogni caso, la normativa italiana – in linea con quella europea – sta spingendo verso una destigmatizzazione del fallimento onesto: l’idea di fondo è che chi fallisce senza colpa e si rimette in gioco debba essere sostenuto e non ostracizzato, nell’interesse stesso del sistema economico che può beneficiare di nuovi progetti imprenditoriali.

Casi pratici e simulazioni (esempi italiani)

Di seguito si presentano alcuni casi pratici e simulazioni riferiti al contesto italiano, per illustrare cosa accade concretamente dopo un’esdebitazione in diverse situazioni tipiche.

Caso 1: Imprenditore fallito e ripartenza dopo l’esdebitazione

Scenario: Mario è titolare di una piccola impresa edile (ditta individuale). Nel 2020, a causa di mancati pagamenti di clienti e di una crisi del settore, accumula €300.000 di debiti (banche, fornitori, Equitalia per imposte). Viene dichiarato fallito nel 2021. Durante il fallimento, il curatore liquida tutti i beni di Mario: vende l’appartamento di proprietà e alcune attrezzature, ricavando €150.000 netti con cui paga parzialmente i creditori (circa il 50% ai chirografari). Nel 2023 il fallimento si chiude e il tribunale, riconosciuto che Mario ha cooperato pienamente e non ha colpe, concede l’esdebitazione per i €150.000 di debiti rimasti insoddisfatti.

Cosa succede dopo: Mario ora è libero dai debiti residui. Non dovrà più nulla né alle banche (per i fidi scoperti), né ai fornitori né al fisco per i debiti ante-2021. Mario però è rimasto quasi senza beni: vive in affitto (la casa è stata venduta) e non ha veicoli (anche quelli venduti). Decide comunque di ricominciare l’attività come lavoratore autonomo: apre nel 2024 una nuova impresa edile in forma di SRLS (società a responsabilità limitata semplificata) dove figura come amministratore unico e socio al 100%. Legalmente, può farlo: l’art. 2382 c.c. non lo impedisce più perché l’esdebitazione ha rimosso la causa di decadenza. Dal punto di vista bancario, inizialmente Mario ha difficoltà: la banca che aveva perso soldi nel fallimento non vuole aprirgli conto nella nuova società. Mario allora cambia istituto, presentandosi in una banca diversa. Qui comunica trasparentemente la sua situazione: la nuova società è pulita, lui come persona non ha pendenze (esibisce il decreto di esdebitazione). La banca gli apre un conto aziendale ma senza fido. Dopo 6 mesi di buone operazioni (entrate costanti da lavori svolti e niente scoperti), Mario chiede una linea di credito per anticipare le fatture: allega contratti di appalto come garanzia. La banca ancora tentenna, ma grazie anche all’intervento di un confidi (consorzio fidi artigiani che garantisce il 50%), ottiene un piccolo fido di €20.000. Mario lo utilizza con prudenza e lo ripaga sempre puntualmente.

Sul fronte fornitori, all’inizio deve pagare tutti “pronta cassa” perché la voce del suo fallimento gira nell’ambiente locale. Ma col passare dei mesi, alcuni rivenditori di materiali vedono che Mario paga regolarmente e cominciano a concedergli pagamenti a 60 giorni. Nel giro di due anni, la nuova impresa di Mario ha costruito una reputazione sufficiente che quasi nessuno dei nuovi partner considera più rilevante il vecchio fallimento, soprattutto perché sanno che ha pagato il prezzo (ha perso la casa, si è messo in gioco di nuovo). Addirittura, nel 2025 Mario partecipa a una gara pubblica per ristrutturare una scuola: deve dichiarare nella domanda di aver avuto una procedura concorsuale, cosa che fa, allegando il certificato di esdebitazione. Vince la gara offrendo il miglior prezzo. L’ente pubblico non lo ha discriminato per il fallimento passato, giudicando l’offerta sul merito tecnico-economico.

Simulazione numerica: Mario aveva €300k di debiti; attraverso la procedura i creditori hanno recuperato il 50% (150k) e il restante 50% (€150k) è stato cancellato. Per un creditore chirografario che vantava €50.000, ciò significa che ha ricevuto ca. €25.000 dal fallimento e gli altri €25.000 non potrà più pretenderli (perché Mario è esdebitato). Un fornitore che avesse ignorato la procedura (non insinuandosi) e vantava anch’egli €50.000 teorici, dopo l’esdebitazione potrebbe legalmente reclamare solo la percentuale che avrebbe avuto: il 50%. Quindi avrebbe potuto ancora chiedere €25.000 a Mario. Nel caso di Mario, però, tutti i creditori significativi si erano insinuati (il curatore li aveva avvisati), quindi non esistono creditori “esterni” che lo cercheranno dopo. Mario può dedicare tutte le sue risorse alla nuova attività, anziché dover pagare debiti vecchi.

Chiave del successo: Mario ha potuto risollevarsi perché: (a) era onestamente meritevole (nessuna macchia penale); (b) ha accettato di ripartire con umiltà, vendendo la vecchia casa e ridimensionandosi; (c) ha sfruttato appieno la fresh start legale dell’esdebitazione e, con sacrificio, ha ricostruito passo passo la fiducia. Oggi (2025) la sua impresa, pur piccola, è di nuovo attiva e in regola – un esempio dello scopo pro-economico della normativa: dare un nuovo inizio all’imprenditore fallito.

Caso 2: Consumatore sovraindebitato “incapiente” – esdebitazione totale senza pagare nulla

Scenario: Carla, 52 anni, ex commerciante, ora disoccupata, vive in affitto. Ha accumulato €38.000 di debiti: €20.000 con banche (prestiti personali), €15.000 con Agenzia Entrate Riscossione (principalmente cartelle per IRPEF non pagata) e €3.000 di bollette arretrate. Carla non possiede alcun immobile, né auto, né risparmi; percepisce solo un piccolo stipendio part-time di €600/mese (sotto il minimo vitale). La sua situazione è di insolvenza conclamata e non ha nulla da offrire ai creditori.

Procedura di sovraindebitamento: Nel 2024 Carla si rivolge a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e, con l’assistenza di un avvocato, presenta al tribunale un’istanza di liquidazione controllata. Dalla relazione OCC risulta che il patrimonio di Carla è zero e il suo reddito è appena sufficiente per vivere, quindi non è in grado di pagare nulla ai creditori. In base alla nuova normativa, Carla chiede contestualmente l’esdebitazione dell’incapiente ex art. 283 CCII, essendo un caso da “zero attivo”. Il Tribunale, verificati i requisiti (Carla è stata sfortunata ma non ha compiuto atti di frode, ha sempre cercato lavoro, ecc.), omologa la procedura nel 2024 e concede subito l’esdebitazione di tutti i debiti di Carla, pur in assenza di qualunque pagamento ai creditori. In sostanza, Carla ottiene la cancellazione di €38.000 di debiti senza dover liquidare beni né versare somme (perché davvero non ne ha).

Cosa succede dopo: Con il decreto, Carla è ora libera dai debiti. Banche e Agenzia delle Entrate Riscossione non potranno più pretenderle nulla. Dato che Carla non ha beni né stipendio capiente, i creditori in realtà anche prima erano di fatto incapaci di recuperare qualcosa (erano debiti non collettabili, uncollectible). La differenza è che adesso sono formalmente inesigibili, dunque Carla non vive più nell’angoscia di possibili decreti ingiuntivi o pignoramenti futuri (che comunque sarebbero stati infruttuosi, ma era uno stress). Carla può cercare lavoro, magari sperando in un impiego migliore, senza temere che se la sua busta paga aumenterà i vecchi creditori gliela pignoreranno: con l’esdebitazione, questi creditori non possono farlo.

Clausola di 4 anni: Tuttavia, essendo un’esdebitazione concessa senza alcun ritorno per i creditori, la legge impone a Carla un obbligo di vigilanza per i prossimi 4 anni. Nello specifico: se entro 4 anni dalla data del decreto Carla dovesse ricevere qualche entrata straordinaria rilevante – ad esempio un’eredità, una vincita alla lotteria, o una donazione cospicua – dovrà immediatamente comunicarlo ai creditori e al tribunale. In tal caso, Carla sarebbe tenuta a versare ai creditori fino al 10% dei debiti originari. Nel suo caso, il 10% di €38.000 è €3.800: dunque, se Carla vincesse ad esempio €20.000 al gioco, dovrebbe destinare al massimo €3.800 ai vecchi creditori (proporzionalmente fra loro). Questa clausola mira a temperare la sorte: i creditori hanno perso tutto, ma se Carla ha un colpo di fortuna entro un periodo ragionevole, ne devono beneficiare in parte. Nel caso in cui Carla omettesse di segnalare una sopravvenienza e venisse scoperta, l’esdebitazione potrebbe essere revocata e tutti i suoi debiti risorgerebbero. Fortunatamente, Carla è una persona onesta: è consapevole di questa regola e la rispetterà. È anche conscia che dopo 4 anni decadrà ogni obbligo e qualsiasi evento successivo (es. una grossa eredità nel 2030) sarà interamente suo, senza dover niente ai creditori passati.

Simulazione sopravvenienza: Ipotizziamo che nel 2025 Carla riceva la notizia di essere beneficiaria di un lascito di una lontana zia di importo €50.000. Poiché €50k sono ben oltre il 10% (3.8k) del debito originario, Carla deve segnalarlo al giudice. I creditori potrebbero chiedere di ottenere la loro quota. Carla dovrà versare fino a €3.800 complessivi (non di più) divisi tra tutti i creditori in proporzione ai rispettivi crediti. Ciò non intaccherà l’esdebitazione (che rimane valida per il resto oltre quella percentuale). Carla potrà trattenere la parte eccedente dell’eredità (circa €46.200). Se invece l’eredità fosse modesta, diciamo €2.000, allora non raggiunge la soglia del 10%: probabilmente Carla non sarebbe tenuta a versare nulla (perché la legge parla di somme che consentano di soddisfare almeno il 10% dei debiti cancellati). Anche in tal caso dovrebbe comunque comunicare l’entrata, ma con l’indicazione che essa copre meno del 10% e quindi non scatta obbligo di rimborso.

Situazione finanziaria e creditizia di Carla post-esdebitazione: Carla esce “pulita” dai debiti, ma il suo merito creditizio resta basso. Era già segnalata come cattiva pagatrice prima (non pagava prestiti e bollette) e lo sarà ancora per qualche anno nelle banche dati. Se provasse a chiedere un prestito adesso, con ogni probabilità verrebbe rifiutata. Il lato positivo è che Carla, senza più debiti addosso, può ripartire da capo: il suo primo obiettivo è trovare un lavoro a tempo pieno. Così nel 2025 frequenta un corso OSS (operatore sociosanitario) e nel 2026 trova impiego presso una RSA con stipendio €1.200/mese. Con questa busta paga, in futuro (magari 2027-2028) potrà pensare di ottenere un piccolo prestito per comprarsi un’auto usata, oppure una carta di credito, se nel frattempo le segnalazioni negative saranno calate. Per ora, però, Carla è contenta di poter depositare il suo stipendio sul conto senza paura che venga prelevato per i vecchi creditori, e di poter risparmiare qualcosa ogni mese senza che le arrivino ingiunzioni.

In sintesi: Carla è un caso di successo della nuova normativa: senza l’art. 283 CCII, sarebbe rimasta per tutta la vita tecnicamente debitrice insolvente di €38.000, senza speranza né per i creditori (che comunque non avrebbero mai incassato) né per lei stessa (condannata a restare ai margini dell’economia regolare). Con l’esdebitazione dell’incapiente, invece, Carla ha avuto la possibilità di azzerare il passato e oggi può cercare di migliorare la propria condizione economica senza il fardello dei debiti. I creditori, dal canto loro, non hanno perso nulla di più di quanto già non avrebbero ottenuto, ed hanno una chance (10%) di recupero se Carla avrà fortuna entro pochi anni. Questo dimostra l’equilibrio perseguito dalla legge.

Caso 3: Debitore esdebitato con garante – effetti sul garante

Scenario: Luigi aveva un debito di €100.000 con la banca, garantito da una fideiussione di suo fratello Giovanni. Luigi è fallito e nel 2022 ha ottenuto l’esdebitazione, liberandosi dal debito verso la banca. Giovanni, in quanto garante, è però stato escusso: la banca, non potendo più nulla su Luigi, ha richiesto a Giovanni di onorare la fideiussione. Giovanni nel 2023 ha pagato alla banca €60.000 (accordo a saldo e stralcio) e la banca ha rinunciato al resto.

Dopo l’esdebitazione: Luigi è libero e torna a fare l’imprenditore. Giovanni, avendo pagato, avrebbe il diritto di regresso verso Luigi per quei €60.000 sborsati al suo posto. Tuttavia, poiché il debito originario di Luigi è stato oggetto di esdebitazione, Giovanni non può rivalersi su Luigi. Il credito di regresso di Giovanni infatti è “derivato” dal debito principale, e quest’ultimo è inesigibile. Dunque, Giovanni finisce col sopportare il costo di €60.000. Comprensibilmente, i rapporti famigliari tra i due fratelli si incrinano: Giovanni si sente danneggiato perché la liberazione di Luigi gli ha scaricato addosso il debito (anche se almeno è riuscito a transare a 60k e non 100k). Questo esempio illustra perché i garanti di solito non vedono di buon occhio l’esdebitazione del debitore principale.

Cosa avrebbe potuto fare Giovanni? Se fosse esistita la possibilità, Giovanni avrebbe potuto cercare di partecipare alla procedura di Luigi come creditore potenziale. Ma quando Luigi era fallito, Giovanni non aveva ancora pagato la banca, quindi formalmente non era creditore e non poteva insinuarsi. Solo dopo aver pagato nel 2023 è divenuto creditore di regresso, ma il fallimento di Luigi era già chiuso. Anche se Giovanni provasse a fare causa a Luigi oggi, Luigi può opporre l’esdebitazione come difesa. Non c’è scampo giuridico: Luigi è sollevato, e il prezzo lo paga il suo garante.

Morale: La legge, salvando il debitore principale, sacrifica i diritti dei garanti (fideiussori, coobbligati in solido). Questo non è un bug, è un feature: altrimenti l’esdebitazione perderebbe efficacia, perché un fratello esdebitato resterebbe comunque inseguito dal fratello garante in una sorta di “azione di regresso infinita”. Invece la norma dice chiaramente: la liberazione copre anche il diritto di regresso di eventuali coobbligati che hanno pagato. Giovanni non può far altro che farsene una ragione. E infatti, d’ora in poi, Giovanni sarà molto più cauto nel firmare garanzie per chicchessia.

Nota: Se invece di un garante ci fosse stato un coobbligato solidale (ad es. due soci che insieme hanno firmato una cambiale), la situazione sarebbe simile: il creditore potrebbe rifarsi interamente sull’altro obbligato (che resta obbligato al 100% del debito) e quest’ultimo non può poi chiedere la quota a quello esdebitato. Dunque, attenzione: l’esdebitazione non è contagiosa, protegge solo chi ha fatto la procedura, e può di riflesso aggravare la posizione degli eventuali coobbligati.

Caso 4: Impatto sulla pensione – contributi non versati e pensione ridotta

Scenario: Roberto era un piccolo imprenditore edile che, prima di fallire, non aveva versato per 3 anni i contributi alla sua gestione INPS (circa €15.000 di contributi). Nel 2022 Roberto si esdebità, cancellando anche quel debito INPS. Nel 2025 Roberto compie 67 anni e va in pensione di vecchiaia.

Effetto dei contributi non versati: L’INPS calcola la pensione di Roberto e riscontra che mancano 3 anni di contributi (non versati né recuperati, in quanto esdebitati). Roberto ottiene comunque la pensione, perché ha contributi sufficienti negli altri anni per maturare il diritto, ma l’importo è più basso di quanto sarebbe stato se avesse avuto anche quei 3 anni coperti. Roberto valuta se può fare qualcosa: purtroppo, la contribuzione non è accreditata d’ufficio. Avrebbe potuto, entro 5 anni dalla prescrizione, chiedere il riscatto dei periodi omessi (pagando di tasca propria), ma non l’ha fatto perché non aveva soldi e confidava in una regolarizzazione. Ormai in pensione, non può più riscattare quei periodi (il riscatto va richiesto prima del pensionamento e il costo sarebbe stato comunque elevato). Quindi Roberto deve accontentarsi di una pensione più bassa: l’esdebitazione l’ha salvato dai debiti ma i contributi persi hanno ridotto la sua anzianità contributiva.

Considerazioni: Questo caso evidenzia che l’esdebitazione non cancella gli effetti reali dei debiti in termini di diritti correlati. Roberto non deve pagare i contributi arretrati, ma neanche ne beneficia sotto forma di prestazione pensionistica. D’altronde, se li avesse pagati, avrebbe avuto una pensione più alta ma si sarebbe indebitato di nuovo. Per lui probabilmente l’esdebitazione è stata comunque la scelta migliore (ha vissuto 3 anni senza dover pagare contributi che non aveva, e la pensione che ottiene è sufficiente).

Variante: se Roberto avesse dipendenti, l’INPS (Fondo Garanzia) avrebbe pagato i loro contributi e questi sarebbero andati in carico al fallimento. L’esdebitazione di Roberto avrebbe cancellato il credito di regresso dell’INPS, ma i lavoratori non avrebbero perso la copertura. In definitiva a rimetterci, ancora, è l’ente previdenziale (cioè la collettività), che si fa carico di quei contributi non recuperati.

Questi casi pratici mostrano concretamente alcuni trade-off dell’esdebitazione: da un lato la salvezza finanziaria del debitore e la sua reimmissione nel circuito economico, dall’altro alcuni sacrifici (per i creditori, per eventuali garanti, per il sistema previdenziale) che il legislatore ha considerato sostenibili in nome di un beneficio più ampio (maggior dinamismo economico, evitare costi sociali dell’indebitamento perpetuo, ecc.). In tutti gli esempi, l’ordinamento cerca di bilanciare equamente gli interessi in gioco.

FAQ – Domande frequenti dopo l’esdebitazione

Di seguito, una raccolta di domande comuni (FAQ) sugli effetti successivi all’esdebitazione, con risposte concise basate sulla normativa vigente (aggiornata al 2025) e sulla prassi.

  • Domanda: Chi può ottenere l’esdebitazione e con quali tempi?
    Risposta: Possono accedere all’esdebitazione tutti i debitori persone fisiche sottoposti a una procedura di liquidazione giudiziale (ex fallimento) o liquidazione controllata (sovraindebitamento), inclusi imprenditori individuali, consumatori, professionisti e soci illimitatamente responsabili. Le società ed enti possono ottenere l’esdebitazione per i propri debiti, con effetto principalmente sui soci illimitatamente responsabili. Il nuovo Codice della Crisi prevede che il debitore abbia diritto all’esdebitazione entro 3 anni dall’apertura della procedura. Se la procedura chiude prima, l’esdebitazione opera alla chiusura (ad esempio dopo 1 o 2 anni); se invece dopo 3 anni non è ancora chiusa, l’esdebitazione scatta comunque automaticamente decorsi i 3 anni. In passato bisognava attendere la fine del fallimento e presentare istanza entro 1 anno, ma ora il meccanismo è più veloce e spesso automatico.
  • Domanda: L’esdebitazione cancella tutti i debiti? Ci sono eccezioni?
    Risposta: Quasi tutti i debiti anteriori alla procedura vengono cancellati (resi inesigibili) dall’esdebitazione. Le uniche eccezioni previste dalla legge riguardano: (a) obblighi alimentari e di mantenimento (es. assegni familiari) che restano dovuti; (b) debiti da risarcimento danni per fatto illecito extracontrattuale (es. danni da reato, da incidente stradale) che non sono esdebitabili; (c) sanzioni penali o amministrative pecuniarie autonome (multe, ammende) che restano a carico del debitore. Ogni altro debito – bancario, commerciale, finanziario, fiscale, contributivo – è coperto dall’esdebitazione, salvo appunto la componente di eventuali sanzioni autonome. Inoltre, i creditori garantiti da pegno o ipoteca conservano la facoltà di escutere le garanzie sui beni dati in pegno/ipoteca se appartengono a terzi (ad es. escutere il bene del terzo datore di ipoteca), ma non possono aggredire ulteriormente il patrimonio del debitore liberato.
  • Domanda: Che succede ai debiti con il Fisco (Erario) e con Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione?
    Risposta: I debiti fiscali (imposte statali come IRPEF, IVA, IRES, addizionali, nonché tasse locali come IMU, TARI, ecc.) non sono esclusi dall’esdebitazione. Ciò significa che, se rientrano tra i debiti concorsuali (cioè sorti prima dell’apertura della procedura), anch’essi vengono resi inesigibili dopo l’esdebitazione. In concreto, le cartelle esattoriali non pagate vengono annullate: l’Agenzia delle Entrate Riscossione non potrà più riscuoterle e dovrà interrompere pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche relativi a quei crediti. Anche l’IVA, che in passato era controversa, oggi è chiaramente esdebitabile (Cass. SS.UU. 26988/2016 e giurisprudenza successiva confermano che i debiti IVA rientrano nell’esdebitazione). Fanno eccezione solo eventuali sanzioni amministrative pecuniarie presenti nelle cartelle (multe stradali, sanzioni tributarie autonome): quelle rimangono formalmente dovute, sebbene in pratica spesso non vengano inseguite. Dunque, un ex fallito o sovraindebitato esdebitato risulterà con debiti fiscali azzerati e potrà ripartire col fisco pulito. Ovviamente dovrà però pagare regolarmente le imposte future, altrimenti incorrerà in nuove cartelle (ma quelle nuove non c’entrano con l’esdebitazione passata).
  • Domanda: I debiti verso l’INPS e altri enti previdenziali si cancellano?
    Risposta: Sì, anche i debiti contributivi verso l’INPS, l’INAIL o le Casse professionali sono soggetti a esdebitazione, poiché la legge non li esclude. Se il debitore non ha versato contributi previdenziali fino alla data del fallimento/sovraindebitamento, la parte rimasta insoluta dopo la liquidazione del patrimonio viene inesegibile post-esdebitazione. Ad esempio, contributi INPS non pagati per dipendenti o come gestione commercianti vanno insinuati al passivo e, se non recuperati, sono liberati assieme agli altri debiti. Ciò è confermato dalla Cassazione (es. Cass. 4844/2016). Attenzione però: l’esdebitazione cancella l’obbligo di pagamento ma non restituisce i benefici previdenziali correlati. In pratica, i contributi non versati non compariranno sul conto assicurativo del lavoratore, a meno che non vi provveda un Fondo di Garanzia. I dipendenti di un fallito di solito non perdono la copertura contributiva perché interviene il Fondo INPS, ma il fallito stesso se non ha versato i propri contributi avrà meno anzianità pensionistica. In sostanza: niente debito verso l’INPS, ma neanche la pensione per quei periodi scoperti.
  • Domanda: Posso aprire un conto corrente e svolgere attività d’impresa dopo l’esdebitazione?
    Risposta: Sì. Dopo l’esdebitazione, il soggetto torna pienamente “in bonis” e riacquista la capacità di esercitare attività d’impresa e dirigenziali. Può aprire conti correnti personali e aziendali, iscriversi al Registro delle Imprese come amministratore di società (non è più interdetto dall’art. 2382 c.c.), iscriversi ad albi professionali, ecc. Non esiste alcun divieto legale di intraprendere nuove iniziative economiche. Ovviamente, dal lato pratico, dovrà trovare partner e banche disposti a sostenerlo. Ma giuridicamente è come un qualsiasi altro cittadino. Anche durante la procedura di sovraindebitamento il debitore non fallibile non subisce incapacità personali (la legge 3/2012 e il Codice della Crisi non prevedono decadenze come invece avveniva nel fallimento). Quindi, ad esempio, un consumatore sovraindebitato può continuare a lavorare e se vuole può aprire partita IVA. In sintesi, dopo l’esdebitazione non ci sono preclusioni: potrai costituire una società, fare l’amministratore, avviare un’impresa individuale, liberamente.
  • Domanda: L’esdebitazione si estende anche ai miei garanti o coobbligati?
    Risposta: No. L’esdebitazione riguarda solo il debitore che ha affrontato la procedura. Chi ha garantito i suoi debiti (fideiussori, avalli, obbligati in solido) resta obbligato verso i creditori per intero. Ad esempio, se avevi un prestito garantito da un familiare, la banca – non potendo più agire contro di te dopo l’esdebitazione – potrà ancora esigere il pagamento dal tuo garante. Quindi attenzione: i tuoi coobbligati non vengono “perdonati” dal tuo esdebitamento. Inoltre, se un garante paga al posto tuo, non potrà rivalersi su di te dopo, perché il tuo debito principale è inesigibile. Quindi il garante che paga rimane con il classico “cerino in mano”. Questa regola è espressamente prevista: “sono salvi i diritti dei creditori verso i coobbligati, fideiussori e regredienti”, mentre il debitore principale non è tenuto a rimborsarli (il diritto di regresso si estingue). In sintesi: il tuo esdebitamento non libera i tuoi garanti, anzi di solito li espone a dover pagare (se in grado). È bene informare eventuali garanti delle conseguenze e, se possibile, coordinarvisi (ad esempio, talvolta il garante a sua volta avvia una procedura di sovraindebitamento se viene escusso per importi ingenti, per ottenere anche lui un esdebitamento).
  • Domanda: Quante volte posso ottenere l’esdebitazione?
    Risposta: La legge lo concepisce come un beneficio straordinario da concedere non più di una volta in un certo arco di tempo. In particolare, non puoi ottenere una seconda esdebitazione se ne hai già beneficiato nei 10 anni precedenti. Questo vale sia che la prima fosse un esdebitazione fallimentare, sia da sovraindebitamento. Quindi se sei già stato esdebitato, in caso di nuova crisi dovrai aspettare almeno 10 anni dalla precedente per poter avere di nuovo il beneficio. Inoltre, se hai già fatto una procedura da sovraindebitamento, la legge richiede un intervallo di 4 anni per poterne fare un’altra (a prescindere dall’esdebitazione). In generale, dunque, l’esdebitazione è un “colpo in canna” unico nel medio termine: è pensato per dare una seconda chance, ma non una terza, quarta, ecc. Eccezionalmente potresti ottenerla di nuovo dopo molti anni, ma l’obiettivo è che non ce ne sia bisogno (ci si aspetta che tu non torni ad un livello di sovraindebitamento così grave).
  • Domanda: Se dopo l’esdebitazione eredito dei soldi o vinco alla lotteria, devo darli ai vecchi creditori?
    Risposta: Dipende dal tipo di procedura. Se la tua esdebitazione è avvenuta in un fallimento o liquidazione giudiziale ordinaria, no, non hai obblighi particolari post-procedura: i tuoi eventuali guadagni o eredità future sono completamente tuoi. I creditori pregressi, essendo stati soddisfatti (o non soddisfatti) in sede concorsuale e poi esdebitati, non possono avanzare pretese su nuove entrate tue. Diverso è se hai ottenuto un’esdebitazione come “incapiente” nel sovraindebitamento (ossia senza dare nulla ai creditori): in tal caso la legge prevede una clausola di vigilanza di 4 anni. Significa che per i 4 anni successivi al decreto, se ricevi entrate straordinarie significative (un’eredità, una vincita, una donazione cospicua), devi notificarlo e potresti doverne versare fino al 10% del valore iniziale dei debiti cancellati ai creditori. Solo il 10%, non tutto. Se trascorsi 4 anni non hai ricevuto nulla, il controllo cessa definitivamente e ciò che eventualmente ti arriverà in seguito resterà tutto tuo. Questa eccezione serve ad evitare che un debitore “fortunato” subito dopo aver avuto la pulizia totale dei debiti tenga l’intera fortuna per sé: si è ritenuto equo restituire almeno una piccola quota ai creditori entro un periodo ragionevole. Esempio: debitore incapiente esdebitato da €100.000, entro 4 anni vince €50.000 al Superenalotto => deve dare max €10.000 (10%) ai creditori, il resto 40.000 rimane suo; se vince 5.000 € (5%, sotto soglia) invece nulla è dovuto. Attenzione: se soggetto all’obbligo, devi rispettarlo: la mancata comunicazione o il mancato pagamento di quella quota può portare a revoca dell’esdebitazione e resurrezione di tutti i debiti! Quindi è una condizione da prendere sul serio. Per i fallimenti normali invece, ripetiamo, nessuna condizione postuma: se 2 anni dopo l’esdebitazione scopri di avere diritto a un’eredità, è solo una lieta notizia per te e i vecchi creditori non possono avanzare pretese (hanno ormai chiuso i conti con te).
  • Domanda: Cosa succede se il giudice nega l’esdebitazione? Posso fare ricorso?
    Risposta: Sì, il provvedimento di diniego dell’esdebitazione è impugnabile. Nelle procedure fallimentari, il decreto del tribunale che nega l’esdebitazione può essere reclamato in Corte d’Appello da parte del debitore entro 30 giorni (art. 283 CCII richiama le forme del reclamo ex art. 124 l.fall.). Nelle procedure di sovraindebitamento, se il giudice non concede l’esdebitazione dell’incapiente, si può proporre reclamo analogamente. In generale, la prassi è che il diniego motivato avviene raramente e solo in caso di gravi inadempimenti del debitore; molto più spesso sono i creditori a reclamare in Appello contro la concessione dell’esdebitazione se la ritengono ingiusta. Ad esempio, un creditore potrebbe opporsi sostenendo che il debitore in realtà ha agito con malafede (in tal caso cerca di far revocare il beneficio). L’Appello decide in camera di consiglio se confermare o ribaltare la decisione. Va detto che le Corti hanno un orientamento generalmente favorevole a concedere l’esdebitazione se il debitore rientra nei requisiti di legge: la Cassazione ha più volte affermato la natura tassativa dei motivi di esclusione, invitando i giudici a non negarla arbitrariamente. Quindi i reclami dei creditori raramente ottengono successo, a meno di evidenti comportamenti scorretti del debitore.
  • Domanda: La procedura di esdebitazione influisce sul mio casellario giudiziale o sui miei precedenti?
    Risposta: No. L’esdebitazione è un provvedimento civile, non è una condanna penale né un’iscrizione nel casellario. Dunque il tuo certificato penale rimane “pulito” (a meno che tu avessi reati commessi, ma quelli sono un’altra storia). In passato esistevano registri pubblici dei fallimenti, ma ora non più. Solo banche dati economiche conservano per un certo tempo l’informazione. Quindi, ad esempio, per concorrere in un concorso pubblico, non dovrai dichiarare nulla sul fallimento (salvo che il bando lo chieda espressamente, cosa inconsueta). L’essere stato fallito ed esdebitato non comporta precedenti giudiziari in senso criminale.
  • Domanda: Dopo l’esdebitazione, posso ottenere un prestito o un mutuo?
    Risposta: In linea di principio sì, ma nella pratica immediata può risultare difficile. Non ci sono divieti legali a finanziarti (non sei segnalato come protestato irreversibile o simili), però le banche e finanziarie guardano il tuo credit score. Se hai appena ottenuto l’esdebitazione, significa che fino a poco prima avevi insoluti gravi e probabilmente sei segnalato nelle banche dati come cattivo pagatore. Questo incide negativamente sulla concessione di nuovo credito. Dovrai quindi lavorare per ricostruire la fiducia. Ci sono istituti che erogano piccoli prestiti anche a chi ha segnalazioni, specie se garantiti (es. cessione del quinto, come detto). Ma per un mutuo casa, ad esempio, potresti dover attendere alcuni anni dalla fine della procedura. Secondo le norme privacy, le info creditizie negative permangono fino a 5 anni (10 anni per i fallimenti). In pratica, però, dopo 2-3 anni di condotta regolare e senza nuovi intoppi, è possibile che alcune banche siano già disposte a valutare positivamente la tua richiesta, specie se hai reddito e garanzie. Ogni caso è a sé: c’è chi riferisce di aver ottenuto un piccolo prestito 12-18 mesi dopo l’esdebitazione (magari dietro pegno o con un garante) e chi ha dovuto aspettare 5-6 anni per un mutuo significativo. Ricorda: non esiste una blacklist legale a vita, è solo una questione di affidabilità da dimostrare nuovamente. Il consiglio è iniziare con passi piccoli: ad esempio, farsi concedere una carta di credito con plafond basso o una carta prepagata evoluta, utilizzarla correttamente e pagarne il saldo regolarmente – in modo da generare un nuovo storico positivo. Poi passare a un prestito di modesta entità, e così via. Via via migliorerai il rating. In conclusione, sì puoi ottenere credito, ma devi ricostruirti una reputazione creditizia, il che richiede tempo e comportamenti finanziari virtuosi.
  • Domanda: Cosa succede se dopo l’esdebitazione commetto nuovi errori e mi indebito di nuovo fortemente?
    Risposta: Purtroppo, l’esdebitazione non offre uno scudo per il futuro. I nuovi debiti che contrarrai, se non li pagherai, saranno ordinariamente esigibili dai creditori. Se ti trovi di nuovo insolvente, potrai cercare soluzioni negoziali o, come ultima ratio, attivare un’altra procedura concorsuale (fallimento o sovraindebitamento). Però, come detto, non potrai ottenere un’altra esdebitazione se sono passati meno di 10 anni dalla precedente. Quindi rischieresti di sottoporti a fallimento senza poter poi uscirne pulito stavolta. In altre parole: la legge ti dà il beneficio una tantum e si aspetta che tu lo utilizzi per ripartire su basi solide. Se proprio le cose vanno male di nuovo dopo più di 10 anni, potrai eventualmente chiedere un secondo esdebitamento (non c’è un divieto perpetuo, solo decennale). Ma chiaramente è uno scenario da evitare accuratamente. Dopo aver ottenuto l’esdebitazione, impara dagli errori passati (o dalle sventure passate) e gestisci con prudenza le tue finanze per non ritrovarti in un circolo vizioso di debiti.
  • Domanda: Quali sono i documenti che attestano la mia esdebitazione?
    Risposta: Il documento principale è il decreto del Tribunale che dichiara l’inesigibilità dei debiti (per il fallimento, ex art. 281 CCII; per sovraindebitamento incapiente, art. 283 CCII). Dovresti averne copia autentica. Inoltre, nel decreto di chiusura della procedura (fallimento o liquidazione controllata) spesso è inserita contestualmente la pronuncia di esdebitazione. Quindi quella è un’altra carta chiave. Per attestare a terzi la tua “riabilitazione”, puoi utilizzare questi provvedimenti. Ad esempio, se una banca ti chiede perché risulti un fallimento a tuo nome, tu esibirai il decreto di chiusura con esdebitazione concessa. Non esiste un certificato unico dell’esdebitazione rilasciato altrove; è il provvedimento del tribunale che fa testo. Nel caso di sovraindebitamento con procedura presso il tribunale, potresti dover richiedere copia conforme del decreto al cancelliere. Tienilo sempre agli atti: è la tua patente di fresh start.
  • Domanda: L’esdebitazione ha effetto sui debiti futuri? Ad esempio, posso dedurre le perdite?
    Risposta: L’esdebitazione non ha effetti diretti su questioni fiscali future come l’utilizzo di perdite pregresse o deduzioni: attiene ai debiti passati. Non modifica nulla riguardo alla tua posizione fiscale futura tranne il fatto di farti ripartire senza debiti. Un dettaglio: se sei un imprenditore individuale soggetto IRPEF e hai dichiarato in passato delle perdite fiscali (riportabili), il fallimento di solito segna la chiusura dell’attività e quelle perdite si considerano spesso perse (non sempre è chiaro, ma in generale non le recuperi). Ma questo è un tecnicismo fiscale. Ai fini operativi, l’esdebitazione non incide sui nuovi rapporti giuridici: se dopo apri una società, quella società è soggetto diverso e parte da zero, senza alcun collegamento fiscale col tuo passato personale.

Conclusione delle FAQ: L’esdebitazione è un istituto complesso ma estremamente potente: condensa in sé la possibilità di lasciarsi alle spalle situazioni debitorie insostenibili e di guardare avanti. Le domande frequenti sopra analizzate toccano i punti nevralgici che interessano chi ha appena ottenuto (o sta valutando) un esdebitamento: quali debiti rimangono, cosa posso fare e non fare, come mi vedranno banche e fornitori, quali sono i pericoli residui. In definitiva, se il debitore agisce con prudenza e buona fede, l’esdebitazione gli offre un autentico “restart” economico, come affermato anche dalla Corte di Cassazione: “il beneficio dell’esdebitazione segna un nuovo inizio per il debitore onesto e sfortunato, non essendo richiesto ai fini del beneficio un pagamento minimo ai creditori” (Cass. 19964/2024). Con le dovute accortezze e imparando dai propri errori, l’ex indebitato può tornare a contribuire attivamente all’economia, riabilitato e finalmente senza ombre sul futuro.

Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – Articoli 278-283 (Disciplina dell’esdebitazione). Entrato in vigore il 15/07/2022, ha innovato la precedente Legge Fallimentare del 1942 in materia di esdebitazione, introducendo tra l’altro l’esdebitazione di diritto dopo 3 anni e l’esdebitazione dell’incapiente.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio (20 giugno 2019) – in particolare art. 20-23 sul “fresh start” per gli imprenditori onesti. I considerandi 76-78 incoraggiano l’esdebitazione entro 3 anni e ammettono possibili esclusioni per debiti di interesse pubblico (recepita dal CCII).
  • Corte di Giustizia UE, sez. II, 8 maggio 2024 (causa C‑20/23) – Pronuncia sull’art. 23(4) della Direttiva 2019/1023: ha chiarito che gli Stati membri possono escludere dall’esdebitazione categorie ulteriori di debiti (come tributari e previdenziali) solo se debitamente giustificato. Ribadito che l’elenco di eccezioni della direttiva non è esaustivo ma nemmeno vincolante: l’Italia infatti non ha escluso tali debiti nel CCII.
  • Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (vecchia Legge Fallimentare) – Articoli 142-144 L.F. introdotti dalla riforma D.Lgs. 5/2006 e 169/2007. Costituivano la disciplina previgente dell’esdebitazione: requisiti (cooperazione, assenza di frodi, pagamento almeno parziale dei creditori etc.) ed esclusioni (alimentari, illeciti, sanzioni). Ora sostituiti dagli artt. 278-281 CCII, ma rilevanti per interpretazione storica.
  • Cassazione Civile, Sezioni Unite, 27 dicembre 2016, n. 26988 – Sentenza storica in tema di esdebitazione fallimentare. Ha risolto contrasti affermando che nessun debito tributario è escluso ex lege dall’esdebitazione (nemmeno l’IVA), e che non è richiesto un pagamento minimo ai creditori per concedere il beneficio (smentita l’idea di una soglia implicita). Importante perché ha anticipato orientamenti poi recepiti nel Codice della Crisi.
  • Cassazione Civile, sez. VI-1, 11 marzo 2016, n. 4844 – Ha stabilito che i contributi previdenziali obbligatori INPS rientrano nell’esdebitazione, escludendo che siano “estranei all’attività d’impresa”. Ha rigettato le pretese dell’INPS di considerarsi fuori dal beneficio. Fissa un principio esteso poi a tutti i debiti contributivi.
  • Cassazione Civile, sez. I, 10 settembre 2021, n. 24509 – Pronuncia sui presupposti di ammissione all’esdebitazione per il fallito persona fisica. Ribadisce la necessità di valutare il comportamento del debitore e la presenza delle condizioni soggettive/oggettive previste, senza aggiungere ulteriori condizioni. (Nota: presente in rivista Diritto Bancario, 2022).
  • Cassazione Civile, sez. I, 10 marzo 2022, n. 7775 – Caso di fallimento di società di persone con soci illimitatamente responsabili: ha confermato il diniego dell’esdebitazione considerando l’esiguità del realizzo rispetto all’indebitamento, indice di abuso del credito. Sottolinea che la valutazione del giudice di merito può tener conto proporzionalmente del comportamento (qui negativo) del fallito. (In Dottrina: Addamo, Diritto Bancario, 22/6/2022).
  • Cassazione Civile, sez. I, 19 luglio 2024, n. 19964 – Ha affrontato le condizioni di accesso all’esdebitazione sotto la vecchia legge fallimentare, in particolare se vada negata qualora i creditori siano stati soddisfatti in misura molto bassa. Ha ribadito che “l’esdebitazione non è legata solo a una percentuale di pagamento” e che conta la condotta del debitore (“tra tutte le risultanze della procedura da valutare rientra non solo la percentuale di soddisfo, ma anche le cause del dissesto e l’assenza di abuso” – cfr. Cass. 25946/2024 cit.). In sostanza, si conferma orientamento favorevole alla concessione salvo casi di frode o abuso.
  • Cassazione Civile, sez. I, 6 novembre 2024, n. 28505 – (Massimata in riviste nel 2025) – Ha ulteriormente chiarito il requisito oggettivo dell’esdebitazione, affermando che il giudice deve compiere una valutazione comparativa tra l’entità del debito e l’attivo realizzato, in relazione alle cause dell’insolvenza, senza rigidi automatismi. È stata richiamata per sottolineare che un’insolvenza colposa e sproporzionata può giustificare il diniego. Tuttavia resta confermato il principio che i motivi di diniego sono solo quelli espressi dalla legge (malafede, frodi, ecc.).
  • Tribunale di Milano, sez. Fallimentare – decreto 28 dicembre 2022 (Giudice relatore R. Fontana) – Esempio di applicazione immediata del nuovo Codice: ha aperto una liquidazione controllata contestualmente concedendo l’esdebitazione di diritto ex art. 282 CCII a un debitore sovraindebitato, evidenziando che decorsi 3 anni sarebbe comunque operativa. Utile come riferimento pratico dell’esdebitazione di diritto nelle procedure minori.

Vuoi Ottenere Un’Esdebitazione? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai accumulato troppi debiti e non riesci più a sostenere le rate?
Temi pignoramenti o segnalazioni ma non vuoi fallire né scappare?

⚠️ Se i tuoi debiti sono superiori alle tue possibilità, puoi accedere all’esdebitazione, lo strumento legale per cancellare i debiti residui e ripartire da zero.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza i tuoi debiti, redditi e situazione familiare
📑 Prepara l’istanza per accedere alla procedura più adatta
⚖️ Ti rappresenta davanti al Tribunale e lavora con l’OCC
🔁 Dialoga con i creditori e blocca ogni aggressione in corso
🧩 Ti guida fino alla sentenza di esdebitazione definitiva

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in sovraindebitamento e diritto tributario
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di lavoratori, famiglie, autonomi e piccoli imprenditori
✔️ Consulente in tutela patrimoniale e riabilitazione finanziaria

Conclusione

Se non riesci più a pagare, l’esdebitazione è il tuo diritto.
Con la guida giusta puoi azzerare i debiti legalmente e ripartire con dignità.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo:

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!