Hai chiesto un prestito ma la banca o la finanziaria te lo ha rifiutato senza spiegazioni chiare? Ti sei visto negare un finanziamento anche se hai uno stipendio o un reddito stabile? Oppure ti chiedi quando puoi riprovare a fare richiesta senza subire un altro no?
Il rifiuto di un prestito è sempre un segnale da non sottovalutare. Spesso nasconde problemi di segnalazione in CRIF o nella Centrale Rischi, oppure errori nei dati forniti o un eccesso di esposizione debitoria. La buona notizia è che puoi capirne il motivo, correggere la tua posizione e riprovare con più possibilità di successo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in segnalazioni creditizie, contenzioso bancario e diritto del credito – ti spiega cosa fare se ti hanno rifiutato un prestito, quando puoi riprovare e come tutelarti per evitare altri rifiuti ingiustificati.
Ti hanno rifiutato un prestito e vuoi capire perché o riprovarci nel modo giusto?
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Introduzione
Vedersi negare un finanziamento può rappresentare un ostacolo significativo sia per un privato sia per un’impresa. Comprendere le ragioni del rifiuto e sapere come muoversi è fondamentale per migliorare la propria situazione creditizia e pianificare una nuova richiesta con maggiori probabilità di successo. In questa guida approfondita esamineremo tutti gli aspetti rilevanti quando un prestito viene rifiutato, indicando cosa fare nell’immediato e quando sia opportuno presentare una nuova domanda.
La guida copre tutte le tipologie di prestiti (dai prestiti personali e aziendali ai mutui ipotecari, dal credito al consumo alle formule particolari come cessione del quinto, factoring e leasing) e analizza in dettaglio: i motivi tipici di rifiuto per privati e imprese; il quadro giuridico (diritto al credito, obblighi informativi di banche e finanziarie, trasparenza contrattuale e normativa antiriciclaggio); le implicazioni fiscali di un prestito negato; il funzionamento delle banche dati creditizie (CRIF, Centrale dei Rischi Bankitalia, Experian, CTC, Assilea); le pronunce aggiornate di giurisprudenza su concessione e diniego del credito; simulazioni pratiche su come reagire dopo un rifiuto; i tempi e le condizioni per ripresentare una richiesta di prestito; utili tabelle riepilogative e una sezione finale di FAQ avanzate.
Tipi di prestiti rilevanti e loro caratteristiche
Prima di analizzare le cause di rifiuto e le possibili soluzioni, è utile richiamare brevemente i principali tipi di prestito e finanziamento presenti nel mercato creditizio italiano. Ogni tipologia ha caratteristiche proprie, differenti criteri di valutazione e specifiche tutele normative:
- Prestiti personali: finanziamenti concessi a persone fisiche per esigenze di liquidità non vincolate (es. acquisto auto, ristrutturazioni, spese familiari). Sono di norma non finalizzati e chirografari (senza garanzie reali), erogati in base al reddito del richiedente e alla sua affidabilità creditizia. Hanno durata medio-breve (1-5 anni, talora fino a 10) e importi generalmente contenuti (tipicamente fino a 30-50 mila euro). L’istituto valuta il merito creditizio del consumatore (storico creditizio, reddito disponibile, rapporto rata/reddito, eventuali altri debiti) e applica il tasso annuo effettivo globale (TAEG) secondo la normativa sul credito ai consumatori. Essendo non garantiti, richiedono un buon credit score e possono prevedere, se offerti da banche o finanziarie, polizze facoltative a copertura del rischio impiego/vita.
- Prestiti alle imprese (finanziamenti aziendali): comprendono varie forme di credito destinate ad attività economiche (imprese individuali, società, professionisti). Possono essere finanziamenti a breve termine per liquidità (fidi di cassa, anticipo fatture), oppure finanziamenti a medio-lungo termine per investimenti (mutui chirografari o ipotecari, finanziamenti agevolati). Gli importi e le durate variano molto (dal piccolo affidamento per PMI fino a mutui pluriennali per capex significativi). La banca valuta i bilanci aziendali, gli indici patrimoniali e di redditività, il settore di attività, l’eventuale rating interno o esterno, nonché le garanzie offerte (reali sui beni dell’impresa, personali dei soci o confidi, garanzie pubbliche come Fondo PMI). Spesso l’erogazione aiuta la crescita aziendale ma è vincolata a stringenti parametri di rischio e covenant finanziari.
- Mutui ipotecari: prestiti finalizzati tipicamente all’acquisto di immobili (ad uso abitativo per privati, o immobili commerciali/industriali per imprese). Hanno durata lunga (fino a 20-30 anni per i mutui casa) e sono garantiti da ipoteca sull’immobile finanziato. L’importo erogato dipende dal valore del bene (loan-to-value di solito 50-80%) e dal reddito/andamento economico del debitore. Per i privati il mutuo fondiario sulla prima casa gode di tassi agevolati e detrazioni fiscali sugli interessi, ma richiede merito creditizio adeguato e rispetto dei parametri di usura. Per le imprese, i mutui immobiliari sono spesso legati a progetti di investimento e valutati anche in base al flusso di cassa atteso dall’investimento stesso.
- Credito al consumo (finalizzato): forme di prestito al dettaglio collegate all’acquisto di beni/servizi specifici (es. finanziamento auto, arredamento, elettronica, cure mediche). Vengono erogati da banche o società finanziarie convenzionate con il venditore, spesso direttamente nel punto vendita o online. L’oggetto del finanziamento è determinato e il bene acquistato talvolta funge da garanzia. Importi e durate sono medio-bassi (es. 5.000–20.000 € da restituire in 12–60 mesi). La valutazione è simile a quella dei prestiti personali (centrata sul reddito e sulla credit history del consumatore). Ai sensi della normativa consumeristica, devono essere offerte condizioni trasparenti e il SECCI (Informazioni europee di base sul credito ai consumatori) precontrattuale, con particolare attenzione al TAEG e alle clausole di recesso o estinzione anticipata.
- Cessione del quinto: particolare tipologia di prestito personale riservata a dipendenti (pubblici o privati) e pensionati, in cui la rata mensile viene trattenuta direttamente in busta paga o sulla pensione (fino a un quinto dell’importo netto mensile). La cessione del quinto è garantita dal TFR accantonato (per i dipendenti) e da un’assicurazione obbligatoria rischio vita/impiego (legge D.P.R. 180/1950 e ss.). Grazie a queste garanzie forti, è accessibile anche a clienti con precedenti disguidi creditizi: il rischio per il finanziatore è mitigato dal prelievo alla fonte. Durata massima 120 mesi; l’importo dipende dalla quota cedibile. Condizioni normative: tassi soggetti ai limiti anti-usura specifici, commissioni regolamentate e diritto del cliente a essere informato su costi e estinzione anticipata senza penali oltre i limiti di legge. Nonostante la robusta garanzia, la cessione può essere rifiutata se il richiedente ha un contratto di lavoro troppo breve, se ha già raggiunto il limite cedibile (ad esempio ha già in corso una cessione e una delegazione di pagamento), oppure se l’azienda datrice di lavoro presenta rischio elevato o il pensionato supera limiti di età assicurativi.
- Factoring: tecnica di finanziamento aziendale che consiste nella cessione dei crediti commerciali di un’impresa (es. fatture verso clienti) ad un factor (banca o intermediario specializzato) che anticipa immediatamente una percentuale dell’importo. Il factoring può essere pro soluto (il factor assume il rischio insolvenza del debitore ceduto) o pro solvendo (il cedente garantisce il rimborso in caso di mancato pagamento). Si tratta quindi non di un prestito tradizionale ma di un’operazione di cessione del credito con funzione di anticipazione di liquidità. I factor valutano il merito creditizio sia dell’impresa cedente sia soprattutto dei debitrori ceduti: concentrazione del portafoglio, storicità dei pagamenti, eventuali contestazioni. Possono rifiutare operazioni se i debitori ceduti risultano poco affidabili o se le fatture hanno caratteristiche non idonee (importi troppo elevati rispetto al capitale dell’impresa, scadenze molto lunghe, rapporti contrattuali non documentati). Il factoring è regolato dalla legge n. 52/1991 e dalle disposizioni Banca d’Italia per gli intermediari finanziari. Offre vantaggi alle imprese in termini di smobilizzo crediti e outsourcing dell’incasso, ma il costo in commissioni e tassi riflette il rischio assunto dal factor.
- Leasing: contratto attraverso cui un soggetto (locatore finanziario) acquista un bene su scelta del cliente e glielo concede in uso dietro pagamento di canoni periodici, con opzione finale di acquisto a un prezzo prestabilito. Il leasing può riguardare beni mobili strumentali (macchinari, automezzi, apparecchiature), beni immobili (leasing immobiliare su fabbricati) o altri beni (leasing operativo, leasing nautico, etc.). Dal punto di vista finanziario, equivale a un finanziamento dell’intero costo del bene, con garanzia implicita del bene stesso (che rimane di proprietà del locatore fino all’eventuale riscatto). I canoni sono deducibili fiscalmente secondo specifiche regole. Le società di leasing (spesso appartenenti a gruppi bancari) valutano il merito creditizio dell’utilizzatore analogamente a un prestito: analizzeranno bilanci e flussi di cassa dell’impresa locataria (o il reddito del privato in caso di leasing auto privati), considereranno il valore di mercato del bene e sua rivendibilità (fundamental per ridurre il rischio), nonché eventuali garanzie aggiuntive (es. fideiussioni dei soci per leasing aziendali). Un leasing può essere rifiutato se il cliente presenta indicatori finanziari deboli o se il bene richiesto è di natura troppo specialistica/rischiosa (che renderebbe difficile il recupero in caso di insolvenza). Sul mercato italiano il leasing è disciplinato dal Codice Civile (artt. 136 et seq. in forma atipica, ma ricondotto al leasing traslativo/godimento dalla giurisprudenza) e da norme speciali (D.Lgs. 385/1993 TUB per gli intermediari finanziari, disposizioni fiscali per deducibilità dei canoni).
In sintesi, banche e finanziarie offrono una gamma di finanziamenti che vanno dal credito al consumo ai prestiti imprenditoriali complessi. Ogni prodotto ha criteri di concessione peculiari e normative dedicate. Di seguito vedremo perché tali finanziamenti possono essere negati, in base alle caratteristiche del richiedente e al rispetto delle regole di sana gestione bancaria.
Motivi per cui può essere rifiutato un prestito (privati vs imprese)
Le ragioni di un rifiuto nella concessione del credito possono essere molteplici e spesso differiscono tra consumatori privati e aziende. Comprendere il perché la banca o finanziaria ha detto “no” è il primo passo per porvi rimedio. In generale, l’istituto di credito nega la richiesta quando ritiene che il rischio di insolvenza sia troppo alto o che non siano soddisfatte le proprie politiche interne di erogazione. Vediamo i motivi più comuni.
Motivi di rifiuto per i PRIVATI (consumatori e famiglie)
- Reddito insufficiente o rapporto rata/reddito troppo elevato: La banca verifica che il richiedente abbia entrate stabili e adeguate a coprire la rata del prestito. Una regola diffusa è che la rata mensile non superi circa il 30-35% del reddito netto mensile (quota di sovraindebitamento sostenibile). Se il reddito dichiarato (busta paga, pensione o dichiarazione dei redditi per autonomi) risulta troppo basso rispetto all’importo richiesto, il finanziamento verrà negato. Ad esempio, un lavoratore con stipendio netto di 1.200 €/mese difficilmente otterrà una rata da 500 €/mese. Anche la tipologia di reddito conta: contratti di lavoro precari o a tempo determinato, assenza di un contratto a tempo indeterminato (o, per i lavoratori autonomi, mancanza di una storia di redditi consolidati negli ultimi anni) possono portare al diniego poiché aumenta il rischio di future difficoltà di pagamento.
- Situazione lavorativa instabile o anzianità lavorativa breve: Le finanziarie tendono a rifiutare prestiti a chi ha appena iniziato un nuovo lavoro (solitamente richiedono almeno 6 mesi o 1 anno di anzianità lavorativa) o a chi è in prova. Analogamente, per i pensionati, può essere negato un piano di rimborso che si estenda oltre una certa età (di solito 80 anni, a seconda delle polizze). Se la stabilità reddituale nel medio termine non è dimostrabile, il credito viene giudicato troppo rischioso.
- Eccessivo indebitamento pregresso: Un motivo frequente di rifiuto è la presenza di troppi finanziamenti già in corso. La banca analizza il credito complessivo del richiedente (mutui, prestiti, utilizzo di carte revolving, fidi, etc.) tramite le segnalazioni nei Sistemi di Informazione Creditizia. Se risulta che il cliente sta già rimborsando diverse linee di credito e il Debt-To-Income ratio (rapporto tra somma delle rate mensili e reddito) è già alto, un nuovo prestito potrebbe sovraccaricare il bilancio familiare. Ad esempio, avere già un mutuo e due prestiti auto in corso riduce fortemente la capacità di ottenere altro credito. In tali casi l’istituto può richiedere la estinzione o il consolidamento dei debiti esistenti prima di concedere nuova finanza, oppure rifiuta la richiesta per sovraindebitamento potenziale.
- Pregresso creditizio negativo (“cattivo pagatore”): Probabilmente la causa più rilevante di rifiuto è una storia creditizia negativa risultante nelle banche dati (CRIF, Experian, CTC, etc.). Se il richiedente ha avuto ritardi nei pagamenti, rate saltate o altri eventi pregiudizievoli (es. finanziamenti finiti in sofferenza, pignoramenti, decreti ingiuntivi, protesti) verrà segnalato come cattivo pagatore e le nuove richieste di prestito verranno respinte dalla maggior parte degli operatori. Anche piccoli ritardi regolarizzati di recente possono pesare: ad esempio, un paio di rate pagate in ritardo e sanate pochi mesi prima potrebbero indurre la finanziaria a non fidarsi subito (generalmente si richiede un certo periodo di “riabilitazione”, tipicamente almeno 12 mesi di storicità positiva dopo l’ultimo ritardo). In particolare, se esistono segnalazioni in sofferenza o perdite su crediti passati (ad esempio un vecchio prestito non rimborsato integralmente e chiuso a stralcio), il sistema bancario considera il cliente ad alto rischio e difficilmente qualcun altro erogherà nuovi finanziamenti finché quella macchia non sarà rimossa dalle banche dati (vedi sezione su tempi di cancellazione nelle SIC). Anche essere stati garanti per qualcuno che poi è insolvente può generare segnalazioni a proprio nome e comportare rifiuti.
- Errori o incongruenze nei dati forniti (documentazione carente): Un rifiuto talvolta dipende non dal merito di credito, ma da problemi formali nella richiesta. Ad esempio documenti reddituali mancanti, informazioni anagrafiche non coerenti, difformità tra quanto dichiarato e quanto risulta da verifiche (es. residenza, composizione del nucleo familiare, mutui pregressi non dichiarati ma emersi in banca dati). Le banche effettuano controlli incrociati e, se emergono incongruenze o sospetti di dichiarazioni non veritiere, interrompono l’istruttoria. Anche un score interno insufficiente (frutto di algoritmi che pesano vari parametri del richiedente) può portare a diniego automatico. In questi casi è importante capire se si può integrare la domanda con documenti corretti o aggiuntivi.
- Mancanza di garanzie richieste: Sebbene i prestiti personali siano senza garanzia reale, a volte per importi elevati o situazioni borderline la banca potrebbe aver richiesto un garante o coobbligato. Se il cliente non è in grado di fornire una firma di garanzia con adeguato reddito/patrimonio, la pratica può essere respinta. Analogamente, nel caso di un mutuo, la banca pretende che il bene offerto in ipoteca abbia un valore sufficiente e sia libero da vincoli: se dall’perizia risulta che il valore immobiliare è troppo basso rispetto al mutuo richiesto (LTV fuori range) o emergono problemi (ipoteche pregresse, abusi edilizi, incertezza su provenienza), il mutuo verrà negato o richiesto un importo minore. Un altro esempio: per prestiti personali di importo elevato, talune finanziarie propongono polizze assicurative facoltative a tutela del credito; il rifiuto di aderirvi non dovrebbe pregiudicare l’erogazione, ma in pratica può influire sulla valutazione del rischio (anche se il cliente ha diritto di rifiutare prodotti accessori non obbligatori).
- Rifiuto di condizioni accessorie imposte (pratica scorretta): In passato alcune banche hanno condizionato la concessione di mutui o prestiti all’acquisto di prodotti aggiuntivi (es. polizze assicurative non obbligatorie, apertura di un nuovo conto corrente presso la stessa banca). Si tratta di pratiche commerciali aggressive vietate dagli artt. 24-25 Codice del Consumo e dalla normativa di settore. Ad esempio, l’AGCM (Antitrust) ha sanzionato nel 2020 quattro banche che subordinavano l’erogazione del mutuo alla sottoscrizione di polizze vendute dalla banca stessa o all’apertura contestuale di un conto corrente. Il TAR del Lazio nel 2024 ha esaminato tali sanzioni, evidenziando come le banche debbano rispettare i “presìdi di settore” a tutela del consumatore nelle vendite abbinate mutuo/polizza. In sintesi: se la banca rifiuta un prestito unicamente perché il cliente non ha accettato un prodotto accessorio (non obbligatorio per legge), tale motivo è illecito. Il cliente ha facoltà di segnalare la pratica all’AGCM o all’Arbitro Bancario Finanziario. Purtroppo, tali condotte possono talora manifestarsi in modo indiretto; il consumatore deve sapere che non può essergli imposto altro se non i requisiti strettamente legati al merito creditizio.
- Motivi anagrafici o di residenza: Alcune politiche di credito prevedono limitazioni legate all’età del richiedente (oltre un certo limite non si concedono prestiti se la durata porterebbe il cliente oltre, ad es. 75-80 anni per un prestito personale non assicurato). Altri possibili ostacoli: status di non residente in Italia (molte finanziarie richiedono residenza italiana stabile da un certo numero di anni), oppure, per i cittadini extra-UE, la mancanza di un permesso di soggiorno di lunga durata. In tali casi spesso la pratica viene rigettata automaticamente per policy interna.
- Cause legali o pregiudizievoli in corso: Se il richiedente è coinvolto in procedure concorsuali, fallimenti (in caso di ex imprenditore), ha subito protesti recenti su assegni o cambiali, o ha carichi pendenti di natura fiscale importanti, la banca può ritenere il profilo non finanziabile. Ad esempio, la presenza del nominativo nel Registro informatico dei protesti o nella Centrale di Allarme Interbancaria (CAI) per assegni senza fondi è motivo quasi certo di rifiuto fino alla riabilitazione. Anche situazioni di sovraindebitamento non formalizzate (pignoramenti in corso, ecc.) emergono dalle visure e portano a esito negativo.
In generale, per un consumatore privato il rifiuto si riconduce a una valutazione negativa del merito creditizio o a elementi oggettivi che impediscono la concessione in sicurezza. La banca ha l’obbligo (sancito da normativa e autoregolamentazione) di effettuare un’accurata valutazione del merito creditizio prima di erogare credito ai consumatori; se il risultato è dubbio o negativo, deve astenersi dal concedere il prestito (principio del responsible lending, v. infra).
Motivi di rifiuto per le IMPRESE (società e ditte individuali)
- Indicatori di bilancio negativi o insufficienti: La prima causa di diniego per un’impresa è il profilo economico-finanziario giudicato insoddisfacente. Banche e intermediari analizzano attentamente i bilanci degli ultimi esercizi, gli indici di redditività (ROI, ROE), l’EBITDA, il rapporto PFN/EBITDA (indebitamento finanziario netto su margine operativo) e altri indicatori. Se l’azienda ha registrato perdite d’esercizio, margini risicati o un elevato livello di indebitamento già in essere, la probabilità di rimborso viene considerata bassa. Ad esempio, un’impresa con leverage molto alto (debiti finanziari/patrimonio netto oltre soglie prudenziali) o con interest coverage ratio debole difficilmente otterrà nuovo credito senza prima rafforzare il capitale. Una situazione di tensione di liquidità evidente in bilancio (carenza di circolante, cassa negativa, ecc.) è un campanello d’allarme che può portare la banca a rifiutare ulteriore affidamento. In sintesi, se i numeri non supportano la capacità di rimborso (né l’azienda né il gruppo di soci alle spalle), il finanziamento viene negato.
- Cattiva storia creditizia dell’azienda o dei suoi esponenti: Le banche consultano sia la Centrale dei Rischi di Banca d’Italia sia le banche dati private per vedere come l’impresa (e spesso anche i soci/garanti personali legati all’impresa) si sono comportati con i debiti pregressi. Segnalazioni negative come sconfinamenti persistenti oltre i fidi, incagli o sofferenze riportate in Centrale Rischi, oppure protesti a carico dell’azienda o degli amministratori, sono cause tipiche di diniego. Ad esempio, se un’azienda risulta aver ristrutturato un debito con banche (indicatori di “inadempienza probabile” in CR) o avere rate leasing scadute da mesi, un nuovo istituto difficilmente concederà ulteriore credito. Va considerato che la reputazione creditizia dell’impresa è legata anche ai suoi esponenti: se l’amministratore unico ha storicamente fallito altre aziende o figura come cattivo pagatore a livello personale, ciò influirà negativamente. Allo stesso modo, la presenza di ipoteche giudiziali o pignoramenti su beni aziendali segnalano un rischio concreto e portano le banche a rigettare le richieste.
- Mancanza di adeguate garanzie reali o personali: Molti finanziamenti alle imprese richiedono garanzie a supporto. Se l’azienda non dispone di asset da offrire in garanzia reale (es. immobili liberi da vincoli per ipoteche, macchinari su cui iscrivere privilegio) né di garanti terzi (ad esempio i soci disponibili a firmare fideiussioni personali, oppure consorzi di garanzia fidi/Confidi, o garanzie pubbliche come il Fondo Centrale di Garanzia PMI), la banca può non sentirsi tutelata e rifiutare. In particolare per PMI con breve storia, oggi le banche spesso richiedono la copertura del Fondo di Garanzia statale fino all’80%. Un rifiuto può avvenire se l’impresa non possiede i requisiti per ottenere tale garanzia pubblica (es. rating Mediocredito Centrale troppo basso, settore escluso, posizione irregolare). Anche l’assenza di co-obbligazioni dei soci in società a responsabilità limitata viene vista come mancanza di impegno diretto: alcune banche rifiutano affidamenti se i soci non prestano alcuna garanzia personale, soprattutto in presenza di segnali di rischio. In sintesi, un’azienda priva di collaterale e di supporto dei proprietari risulta meno finanziabile.
- Business plan o finalità del finanziamento non convincenti: Nel caso di prestiti per progetti specifici (investimenti in nuovi impianti, apertura di filiale, sviluppo prodotto, ecc.), l’istituto valuta il business plan e i flussi di cassa attesi generati dall’iniziativa. Se il piano presentato appare non realistico, troppo ottimistico nei ricavi o insufficiente nell’analisi dei costi, la banca può rigettare la richiesta per mancanza di fiducia nella riuscita del progetto. Analogamente, se la finalità dichiarata del finanziamento non rientra nelle linee strategiche finanziabili (es. richiesta di liquidità generica da parte di un’azienda già in crisi conclamata, oppure investimento in un settore che la banca considera ad alto rischio specifico), il credito verrà negato. È importante presentare piani credibili e dettagliati; in assenza, l’istruttoria si interrompe per insufficienza di informazioni sulla destinazione dei fondi.
- Settore di attività o dimensione considerati rischiosi: Le banche modulano la propensione al credito anche in base al settore merceologico. Alcuni settori sono ritenuti strutturalmente più rischiosi (ad es. edilizia e costruzioni, start-up innovative senza track record, commercio al dettaglio non alimentare in zone sature, ecc.). Se l’impresa opera in un settore che in un dato momento è percepito come in crisi o con elevata probabilità di default secondo le statistiche, la banca potrebbe rifiutare nuove esposizioni verso quel comparto per policy interna, a meno di garanzie eccezionali. Anche la dimensione aziendale influisce: imprese micro o nate da meno di 1-2 anni sono spesso escluse dal credito bancario tradizionale, se non attraverso canali dedicati (microcredito garantito) o l’intervento di confidi. Un rifiuto motivato dal settore o dalla start-up nature non è formalmente ammesso (la banca in genere adduce ragioni di merito creditizio), ma di fatto avviene nelle scelte di portafoglio del credito.
- Irregolarità fiscali o legali significative: Se dall’analisi documentale emergono gravi inadempienze fiscali (es. cartelle esattoriali non saldate per importi rilevanti, piani di dilazione con il fisco non rispettati) o problematiche legali (cause pendenti che potrebbero impattare sull’attività, come contenziosi con fornitori, cause di lavoro, ecc.), la banca classifica l’azienda come potenzialmente insolvente per cause esogene e può negare la fiducia. Un esempio classico: azienda con carichi pendenti ex Equitalia molto alti e non in regola con i pagamenti delle tasse – difficilmente otterrà un nuovo credito bancario, in quanto le risorse future potrebbero essere drenate dalle pretese erariali. Anche violazioni della normativa antiriciclaggio o reticenze nel fornire informazioni sulla compagine sociale e sui titolari effettivi (beneficial owners) portano l’intermediario a bloccare la relazione (si veda oltre la sezione antiriciclaggio).
- Mancato rispetto di covenant o rating interno peggiorato (per linee di credito esistenti): Nel caso in cui l’impresa abbia già affidamenti in essere, il diniego può manifestarsi come revoca o mancato rinnovo di fidi a scadenza. Ciò avviene se l’azienda ha violato eventuali covenant contrattuali (clausole di mantenimento di certi parametri finanziari) oppure se il rating interno calcolato periodicamente dalla banca è peggiorato a livello “sotto investimento”. Ad esempio, il mancato invio del bilancio annuale alla banca, se previsto dal contratto, o il calo del fatturato oltre una certa soglia, possono innescare la revisione sfavorevole del merito creditizio e la chiusura delle linee. In questi casi l’effetto è analogo a un rifiuto di nuova richiesta: l’impresa si trova senza fido e dovrà risanare gli indicatori prima di poter contrattare nuova finanza.
Riassumendo per il comparto imprese, il rifiuto è spesso dovuto a una combinazione di analisi oggettiva (numeri di bilancio) e valutazione soggettiva del rischio. Le banche devono attenersi ai principi di sana e prudente gestione del credito (art. 5 TUB) anche verso le imprese, evitando di concedere prestiti a chi non dà sufficienti garanzie di rimborso. Una concessione “facile” a un’azienda in cattive acque potrebbe configurare addirittura una concessione abusiva di credito, sanzionata in sede fallimentare. Dunque, se l’istruttoria evidenzia problematiche serie (patrimoniali, finanziarie, legali), l’istituto è quasi tenuto a negare l’affidamento. Nel fare ciò, tuttavia, deve rispettare specifici obblighi informativi e di correttezza, di cui diremo oltre.
Profili giuridici e contrattuali: diritto al credito, obblighi della banca e trasparenza
Una domanda cruciale dal punto di vista giuridico è: la banca può rifiutare discrezionalmente un prestito? Il cliente ha un diritto a ottenere credito?. Inoltre, quali sono gli obblighi della banca nel gestire la fase precontrattuale e comunicare l’eventuale rifiuto? In questa sezione affrontiamo i principi di diritto applicabili, le norme di trasparenza e gli obblighi informativi (compresi quelli derivanti dall’antiriciclaggio).
Esiste un “diritto al credito”? Libertà contrattuale vs obblighi di erogare finanziamenti
In ordinamento italiano non esiste un diritto soggettivo assoluto ad ottenere un prestito da parte di una banca o finanziaria. La concessione di credito è considerata un’attività negoziale privata, rientrante nella libertà contrattuale dell’intermediario, il quale può decidere se concludere o meno il contratto di finanziamento. Questo principio è stato affermato sia dalla dottrina tradizionale che dalla giurisprudenza arbitrale: “non può considerarsi esistente, alla luce dell’attuale disciplina generale, un diritto del cliente alla concessione del credito, data l’indubbia autonomia decisionale da riconoscersi all’intermediario”. In altre parole, la banca non ha un obbligo legale di “fare credito” a chiunque lo richieda, se ciò contrasta con le proprie valutazioni di rischio.
Tuttavia, questa libertà non è arbitraria né senza limiti: l’esercizio dell’attività di credito è un’attività d’impresa “particolare”, su cui gravano vincoli funzionali nell’interesse della collettività a un ordinato accesso al credito. In dottrina è stato osservato che “non esiste un diritto di accesso al credito indiscriminato. Esiste però un diritto al credito – non una mera aspettativa – in presenza di adeguato merito creditizio”. Ciò significa che se un soggetto ha tutte le carte in regola (capacità di rimborso, garanzie, comportamento corretto), l’ingiustificato diniego di credito potrebbe porsi in conflitto con i principi di buona fede e correttezza. Questo concetto, talora definito “diritto al credito” in senso lato, non può mai coercire la banca a erogare (anche perché la normativa UE tutela la libertà contrattuale del finanziatore di non concedere credito pur in presenza di valutazione positiva), ma implica che la sua scelta deve svolgersi entro confini di correttezza e motivazione.
In pratica, se la banca rifiuta senza motivo o con motivo pretestuoso, potrebbe incorrere in responsabilità. Ad esempio, l’Arbitro Bancario Finanziario ha più volte ribadito che gli intermediari, pur liberi di non concedere fidi, sono tenuti a comportarsi secondo buona fede durante le trattative: una violazione grave (ad es. far credere al cliente che il prestito sarà concesso e poi tirarsi indietro senza giustificato motivo) può generare responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.. La Cassazione ha confermato questo orientamento. In un caso emblematico, un istituto aveva assicurato finanziamenti a una società spingendola a compiere determinate operazioni (come acquistare immobili accollandosi mutui in sofferenza) per poi negare il nuovo mutuo promesso: la Suprema Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità precontrattuale della banca per aver interrotto le trattative senza giustificato motivo dopo aver ingenerato un affidamento qualificato nel cliente. (Cass. Civ. Sez. III, 25 settembre 2023, n. 27262). Dunque, nessun “diritto soggettivo” pieno al credito, ma se la banca conduce le negoziazioni in modo scorretto o ritira ingiustificatamente la promessa di finanziamento, può dover risarcire i danni causati.
È utile citare anche un altro limite: l’ordinamento impone alle banche di concedere credito con diligenza professionale qualificata (art. 1176 co.2 c.c.) e secondo principi di sana e prudente gestione. Questi principi, codificati nell’art. 5 TUB, significano che la banca deve valutare con rigore il merito di credito e non erogare in modo imprudente. La Cassazione, ad esempio, con sentenza n. 26248/2024, ha affermato che tali principi valgono anche per finanziamenti interamente garantiti dallo Stato, ricordando che la banca deve sempre osservare la diligenza professionale nel concedere prestiti. Ciò serve a prevenire sia rischi di insolvenza sia l’abuso di credito verso imprese decotte. Di riflesso, è legittimo (anzi doveroso) il rifiuto di credito a un’impresa in crisi conclamata: non esiste un obbligo di “salvataggio” da parte della banca, e anzi in sede fallimentare si potrebbe accusare la banca di concessione abusiva di credito se continuasse a finanziarla aggravandone il dissesto. In definitiva, il “diritto al credito” invocabile dal cliente è più un diritto alla trasparenza e correttezza nel processo decisionale, che non a ottenere materialmente il denaro.
Buona fede precontrattuale e obblighi informativi della banca in fase di istruttoria
Durante la fase precontrattuale (dalla presentazione della domanda di finanziamento fino all’esito), la banca è tenuta ai doveri generali di buona fede e correttezza (artt. 1337 e 1338 c.c.). Ciò comporta diversi obblighi concreti:
- Valutazione seria e tempestiva: L’intermediario deve valutare la richiesta di credito con professionalità, senza ritardi ingiustificati e senza trascurare informazioni rilevanti fornite dal cliente. Una dilazione ostruzionistica o una valutazione sommaria potrebbero, in casi estremi, violare la buona fede. Ad esempio, se la banca richiede documenti integrativi, deve dare un tempo congruo e poi decidere; non può tenere “in sospeso” il cliente per mesi senza riscontro. Inoltre, se emergono impedimenti noti ab origine (es. politica interna che esclude quel tipo di cliente), dovrebbe informare quanto prima il richiedente.
- Nessuna promessa infondata: Se i funzionari bancari prospettano al cliente che “il prestito sarà sicuramente approvato” o inducono ad assumere obblighi confidando nel finanziamento, nasce un affidamento tutelabile. In caso di successivo rifiuto, il cliente potrebbe lamentare un danno. La giurisprudenza (Cass. 27262/2023 citata) ha proprio censurato la banca che aveva fornito “continue rassicurazioni […] in ordine all’erogazione del finanziamento richiesto” per poi negarlo senza motivo. Pertanto le banche dovrebbero essere caute nel garantire esiti positivi prima delle delibere formali.
- Comunicazione dell’esito e motivazioni del rifiuto: Un aspetto centrale è l’obbligo di informare il cliente in caso di diniego. Tradizionalmente, la banca non era tenuta a spiegare perché negava il credito, potendo limitarsi a una formula generica (“pratica non accolta”). Oggi però, sulla scorta di normative di trasparenza e decisioni dell’ABF, il cliente ha diritto a una spiegazione, seppur sommaria, dei motivi del rifiuto. L’Arbitro Bancario Finanziario, in un’importante decisione del Collegio di Coordinamento (ABF, dec. n. 6182/2013), ha statuito che “è indiscutibile il diritto del cliente a ricevere indicazioni, anche di carattere generale ma adeguate alle sue circostanze, circa le ragioni dell’eventuale diniego di credito”. Ciò significa che la banca, quando comunica che la domanda è respinta, deve fornire un minimo di motivazione: ad esempio, può indicare che dalla valutazione del merito creditizio sono emerse informazioni negative in banche dati, oppure che il reddito risulta non sufficiente rispetto all’importo richiesto, ecc. Non è accettabile, per gli standard attuali, una lettera di rifiuto che si limiti a dire “finanziamento negato per criteri interni”. In particolare l’ABF ha censurato formule troppo vaghe come “valutazione del merito creditizio non adeguata in base ai parametri di scoring”, giudicandole insoddisfacenti perché non danno alcuna indicazione utile al cliente. Al contrario, fornire almeno la categoria di motivazioni (es. “presenza di segnalazioni creditizie negative”, “indebitamento complessivo elevato”, “assenza di garanzie aggiuntive richieste”) rientra nei doveri di trasparenza. Questo orientamento ABF è consolidato: “l’intermediario è tenuto a motivare l’eventuale rifiuto alla richiesta di credito” specificando qualcosa di più di un mero automatismo di punteggio. In sintesi: al cliente rifiutato vanno date spiegazioni, quantomeno su richiesta, ed eventualmente indicazioni su cosa ha ostacolato la concessione – ciò nel rispetto della buona fede precontrattuale e delle disposizioni di trasparenza bancaria.
- Comunicazione del rifiuto basato su dati di credito esterni: Un obbligo informativo specifico, derivante dal diritto UE (oggi art. 9(2) Direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori), prevede che “se il rifiuto della domanda di credito si basa sulle informazioni presenti in una banca dati, il finanziatore informa il consumatore immediatamente e gratuitamente del risultato di tale consultazione e degli estremi della banca dati consultata”. Questo è stato recepito nell’ordinamento italiano (D.Lgs. 141/2010) e significa che quando la ragione del rifiuto risiede ad esempio in una segnalazione CRIF negativa o in una valutazione ottenuta da un sistema di credit scoring esterno, la banca deve comunicare al cliente che ha utilizzato quella banca dati e che il responso è stato sfavorevole. Ciò consente al richiedente di esercitare i suoi diritti (richiedere l’accesso al SIC, correggere eventuali errori). Ad esempio, se Tizio si vede rifiutato un prestito perché in CRIF risulta un ritardo di pagamento, la finanziaria deve (nella comunicazione di diniego o separatamente) informarlo di aver consultato CRIF e dell’esito, così Tizio potrà rivolgersi a CRIF per conoscere i dettagli. Questo obbligo si collega anche ai diritti GDPR: il cliente ha diritto a non essere soggetto a decisioni interamente automatizzate senza aver informazioni e possibilità di intervento.
- Obbligo di preavviso prima di segnalazioni negative: Un ulteriore profilo di correttezza (anche questo di matrice para-normativa) è l’obbligo per gli intermediari di avvisare il cliente prima di segnalarlo come cattivo pagatore in una banca dati. Dal 2005, per effetto di un provvedimento del Garante Privacy, è previsto che la prima segnalazione di ritardo nei pagamenti ai SIC privati (es. CRIF) scatti solo se il ritardo supera 2 rate mensili consecutive e che almeno 15 giorni prima la banca debba inviare al cliente una comunicazione di preavviso. In pratica, se un consumatore salta una rata, ha tempo fino alla scadenza successiva per mettersi in regola senza finire nelle liste negative; e comunque riceverà un avvertimento scritto che lo informa del ritardo e del rischio di segnalazione imminente. Questo rientra nei doveri di buona fede: evitare che la cliente scopra solo ex post di essere stato segnalato. Nel contesto del rifiuto di nuovo prestito, ciò è rilevante perché spesso un richiedente scopre di avere un problema creditizio solo dopo un rifiuto: in teoria, se era stato correttamente preavvisato di un precedente ritardo, non dovrebbe rimanerne sorpreso. In ogni caso, la mancanza di preavviso di segnalazione è considerata un illecito e può portare anche a richieste di risarcimento (si veda oltre il caso di illegittima segnalazione senza preavviso). Dunque la banca deve non solo motivare il rifiuto, ma se quel rifiuto deriva da un suo stesso precedente comportamento (segnalazione), è probabile che avesse già avvisato il cliente al momento opportuno.
In conclusione, sul piano precontrattuale le banche camminano su un crinale: da un lato nessuno può obbligarle a erogare un prestito non voluto; dall’altro non possono agire in modo capriccioso o opaco. Devono valutare diligentemente, non alimentare aspettative infondate, e soprattutto comunicare al cliente le ragioni del diniego in modo chiaro e tempestivo. Questo non solo tutela il cliente (che così può porre rimedio e ripresentarsi in futuro in condizioni migliori), ma è anche previsto da disposizioni di rango secondario e decisioni arbitrali che hanno creato uno standard di mercato. Si noti che tali principi valgono sia per i consumatori sia, con gli opportuni adattamenti, per le imprese clienti (ad esempio, anche l’imprenditore ha diritto di sapere perché gli è stato revocato un fido, se per dati di Centrale Rischi o altro, e di essere avvisato in caso di segnalazione negativa).
Norme di trasparenza e tutela del cliente (TUB e regolamenti Banca d’Italia)
Il Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) prevede un articolato sistema di norme sulla trasparenza delle condizioni contrattuali e sui doveri degli intermediari verso la clientela, soprattutto retail. Alcune di queste norme incidono anche sulla fase di offerta e sulle informazioni da fornire in caso di rifiuto:
- Informazioni precontrattuali obbligatorie: Per i contratti di credito ai consumatori, come recepimento della direttiva 2008/48/CE, l’art. 124 TUB e seguenti impongono al finanziatore di fornire al consumatore un prospetto standardizzato (il Modulo IEBCC – Informazioni Europee di Base sul Credito ai Consumatori) prima della conclusione del contratto. Questo modulo riepiloga tutte le condizioni principali (importo, durata, TAN, TAEG, costi, ecc.) e include l’indicazione del diritto del consumatore ad essere informato dell’esito delle banche dati consultate. Ciò significa che già in fase di preventivo il consumatore viene avvisato che se il prestito verrà negato per info in banca dati, ne sarà informato (come visto sopra, art. 9 dir. 2008/48). Nel caso dei mutui immobiliari ai consumatori, analogamente, il cliente riceve il modulo ESIS (European Standardized Information Sheet) secondo D.Lgs. 72/2016, con informazioni sul tasso, eventuali polizze abbinate, etc. Questi obblighi di trasparenza assicurano che il cliente entri nel negoziato con piena cognizione dei parametri, e riducono il rischio di incomprensioni. Se la banca modifica le condizioni in corso di trattativa, deve comunicarlo. In caso di rifiuto, come detto, deve fornire indicazioni generali del motivo, altrimenti violerebbe i canoni generali di cui all’art. 117 TUB (trasparenza delle condizioni contrattuali) e relative disposizioni attuative.
- Obblighi di valutazione del merito creditizio: Una norma cardine introdotta dal D.Lgs. 141/2010 è l’art. 124-bis TUB, che impone al finanziatore di valutare il merito creditizio del consumatore prima di concedere il prestito. Questa valutazione deve basarsi sulle informazioni fornite dal cliente e, se necessario, acquisite da banche dati creditizie. La ratio è impedire pratiche di sovraindebitamento e concessione irresponsabile di prestiti. La mancanza di una adeguata verifica del merito creditizio costituisce una violazione di legge e può comportare sanzioni amministrative per l’intermediario. Non è prevista una nullità automatica del contratto per credito concesso senza merito (dibattuta in dottrina), ma certamente un finanziamento concesso senza valutazione espone la banca a possibili contestazioni (ad esempio in sede di procedura di composizione del sovraindebitamento, il debitore può eccepire l’irresponsabilità del finanziatore per alleggerire la propria posizione). D’altra parte, il rispetto dell’art. 124-bis implica che se la valutazione non è positiva, la banca deve rifiutare il credito. Insomma, la legge obbliga la banca a dire dei “no” quando i conti non tornano: ecco perché parlavamo di un “diritto al credito” solo condizionato dal merito. Una valutazione positiva, comunque, non obbliga la banca a concedere il prestito (il considerando 54 della nuova Direttiva 2021/2161/UE – CCD II – lo ribadisce esplicitamente). In ogni caso, per trasparenza, le disposizioni attuative (art. 125 TUB e Istruzioni di Bankitalia) prevedono che al consumatore sia comunicato l’esito della valutazione del merito di credito e, su richiesta, gli vengano spiegati i criteri generali utilizzati.
- Doveri informativi in caso di variazione/rifiuto di affidamenti: Sul versante delle imprese, il TUB (art. 117 e 118) richiede che eventuali modifiche unilaterali o revoche di affidamenti a revoca siano comunicate per iscritto e con preavviso congruo. Anche se la concessione iniziale è discrezionale, una volta instaurato un rapporto di credito, la banca deve rispettare clausole di recesso e preavviso. La revoca improvvisa di un fido in essere senza preavviso può integrare un inadempimento contrattuale o addirittura un abuso del diritto se causa un danno ingente all’impresa senza motivo valido. Alcune sentenze di merito hanno riconosciuto risarcimenti ad aziende per revoche “brusche” reputate contrarie a buona fede (specie se l’impresa era in difficoltà e la banca non ha dato tempo per alternative). Dunque, anche se tecnicamente diverso dal rifiuto di nuova richiesta, la chiusura di credito già accordato soggiace a obblighi di correttezza analoghi: motivazione (il più delle volte il peggioramento del merito creditizio), e rispetto delle formalità (lettera raccomandata con i termini di rientro). In assenza, la banca può essere chiamata a rispondere dei danni di un’eventuale crisi aziendale aggravata.
- Norme ABF e autoregolamentazione: Va menzionato che l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) – sistema stragiudiziale gestito da Banca d’Italia – pur non essendo fonte normativa, con le sue decisioni ha di fatto creato standard comportamentali. Le banche aderenti sono tenute a rispettare le decisioni ABF o spiegare l’eventuale mancata ottemperanza. Dato che ABF in più casi ha affermato il diritto del cliente a una motivazione del rifiuto e la inesistenza di un obbligo di concedere credito salvo correttezza, come citato sopra, le banche hanno recepito tali principi nelle prassi. Inoltre esiste un Codice Deontologico per i SIC (Sistemi Informazioni Creditizie, Provv. Garante 2004 e succ. aggiornamenti) che regola i tempi di conservazione e gli avvisi all’interessato. Il rispetto di questo codice (es. il preavviso di 15 giorni prima di segnalazione, di cui abbiamo detto) è obbligatorio per gli aderenti ai SIC, quindi di riflesso è norma di comportamento per le banche in tema di gestione delle informazioni creditizie.
Riassumendo, il quadro normativo impone al finanziatore trasparenza e diligenza massime: informare prima, valutare bene durante, spiegare dopo. Il cliente non deve subire decisioni arbitrarie o opache. Se ciò avviene (rifiuti immotivati, segnalazioni errate, mancate comunicazioni), ha strumenti di tutela: reclamo interno, ricorso all’ABF, segnalazione al Garante Privacy o all’Antitrust a seconda dei casi, e in ultima istanza azione giudiziaria per responsabilità precontrattuale o contrattuale. Nella sezione giurisprudenza vedremo alcuni esempi.
Obblighi antiriciclaggio e rifiuto del rapporto per mancata adeguata verifica
Un capitolo a parte riguarda gli obblighi previsti dalla normativa antiriciclaggio (AML) e di contrasto al finanziamento del terrorismo. Tali obblighi (D.Lgs. 231/2007 e successive modifiche, che recepisce le direttive UE AML IV e V) impongono alle banche una serie di controlli sul cliente all’atto di instaurare un rapporto continuativo o eseguire un’operazione significativa, come la concessione di un prestito. In particolare, la banca deve procedere all’adeguata verifica della clientela: identificazione del cliente e dell’eventuale titolare effettivo, verifica dell’identità tramite documenti validi, raccolta di informazioni su scopo e natura del rapporto, nonché sulla provenienza dei fondi, e un’analisi del profilo di rischio.
Se il cliente non fornisce le informazioni necessarie o vi sono sospetti fondati di riciclaggio/terrorismo non chiariti, la banca è obbligata per legge a astenersi dall’instaurare o proseguire il rapporto. L’art. 42 del D.Lgs. 231/2007 sancisce infatti l’obbligo di astensione: “nel caso in cui non sia possibile rispettare le prescrizioni in materia di adeguata verifica, vige l’obbligo di astensione dall’instaurare, eseguire o proseguire qualsivoglia rapporto o operazione”. Tradotto: se il potenziale cliente non collabora (es: non vuole fornire documenti sull’identità o sull’origine dei fondi per l’operazione) oppure emergono segnali di allarme non risolvibili, la banca deve rifiutare di entrare in rapporto. Ciò può essere un motivo di rifiuto “occulto” di un prestito: ad esempio, se un’impresa chiede un finanziamento ingente ma non è chiaro da dove provengano certi flussi di cassa, o se un privato vuole un mutuo apportando contanti di origine non documentata, la banca potrebbe negare il finanziamento perché non soddisfa i requisiti AML. Spesso la comunicazione al cliente in questi casi è molto generica (“non rientra nelle politiche”), perché la banca non può rivelare sospetti specifici (onde non configurare reati di segnalazione illegittima). Tuttavia, dal punto di vista del cliente, è utile sapere che la mancata trasparenza sulle proprie informazioni finanziarie può precludere l’accesso al credito.
Altri esempi: se il richiedente o i titolari effettivi dell’azienda compaiono in liste internazionali di sanzioni o high-risk countries (paesi ad alto rischio) per AML, la banca deve astenersi. Oppure se scopre che il cliente ha fornito documenti falsi, oltre a segnalare alle autorità, rifiuterà senz’altro il rapporto. Queste situazioni esulano dal merito creditizio stretto, ma rientrano nei motivi leciti di rifiuto perché derivanti da obblighi di legge superiori.
In pratica, se vi viene rifiutato un prestito perché “mancano documenti” o “non è possibile completare la verifica”, e siete certi della vostra solidità creditizia, chiedetevi se avete ottemperato a tutte le richieste in materia di Know Your Customer. Forse la banca non è soddisfatta delle spiegazioni fornite sui fondi o sulla struttura societaria. In tali casi la soluzione è collaborare pienamente o cambiare istituto presentando fin dall’inizio tutte le informazioni. Nessun intermediario vorrà rischiare sanzioni milionarie (oltre che implicazioni penali) per aver aperto le porte a possibili riciclatori. Anche questo contesto spiega perché a volte ottimi profili creditizi ricevono comunque un no: la compliance antiriciclaggio è oggi prioritaria.
Aspetti fiscali e di bilancio legati a un prestito rifiutato
Il rifiuto di un finanziamento può avere anche conseguenze fiscali e contabili indirette, specialmente per un’impresa. Analizziamo alcuni punti chiave:
- Impatto sul piano finanziario e sui bilanci aziendali: Se un’impresa includeva nei propri piani l’ottenimento di un certo prestito (ad esempio per finanziare scorte, investimenti o il rimborso di altre passività), il diniego obbliga a rivedere tali piani. In sede di bilancio d’esercizio, ciò può emergere sotto varie forme: possibili difficoltà di liquidità (se il finanziamento rifiutato doveva coprire il fabbisogno circolante, l’azienda potrebbe a fine anno mostrare tensioni di cassa o dover ricorrere ad altre fonti, magari meno efficienti); rinuncia o rinvio di investimenti (che potrebbe ridurre la crescita attesa, da segnalare nella relazione sulla gestione come fatto rilevante); nel caso estremo in cui il finanziamento negato fosse critico per la continuità aziendale, gli amministratori dovrebbero darne informativa in bilancio come elemento che può incidere sul going concern. Pertanto, pur non essendoci una voce “prestito non ottenuto”, gli effetti del rifiuto si riflettono nei numeri: meno debiti finanziari in passivo, ma magari più debiti verso fornitori (se si dilazionano i pagamenti in mancanza di liquidità) o minori immobilizzazioni attivate (per investimenti non fatti).
- Deduzione degli interessi e oneri finanziari: Dal punto di vista fiscale, l’assenza del prestito significa anche assenza di costi di interessi che, se il prestito fosse stato concesso, sarebbero stati deducibili dal reddito d’impresa (nei limiti dell’art. 96 TUIR, che consente la deduzione degli interessi passivi fino a concorrenza del 30% del EBITDA, salvo riporti). In alcuni casi paradossali, il rifiuto di un prestito può aumentare la base imponibile di un’impresa nel breve termine, perché l’azienda dovrà autofinanziarsi (utilizzando mezzi propri o utili accantonati) e non avrà interessi passivi da portare in deduzione. Ad esempio, se una società pianificava di contrarre un mutuo di 1 mln a tasso 4%, avrebbe pagato ~40.000 € annui di interessi deducibili; senza mutuo, userà capitale proprio e pagherà più imposte per quei 40k di reddito in più (al netto dell’eventuale minor utile generato dall’investimento non realizzato). Ovviamente questo è un effetto collaterale e non una perdita in sé, ma incide sulla gestione fiscale.
- Spese e commissioni legate alla richiesta negata: La fase di istruttoria di un finanziamento spesso comporta spese (spese di perizia, istruttoria, costi di intermediazione). Se il prestito non viene concesso, tali costi possono essere comunque addebitati o restare a carico del richiedente. Ad esempio, molte banche prevedono che le spese di perizia immobiliare per un mutuo siano dovute anche se poi il mutuo non si perfeziona. Questi importi, per un privato, rappresentano un costo non recuperabile; per un’azienda, confluiscono nei costi di esercizio (voce di consulenze o spese bancarie) e sono deducibili fiscalmente come costi pluriennali da spesare (se di importo rilevante, si potrebbe valutare se capitalizzarli come costi per aumento di capitale/finanziamento e poi dedurli in più anni, ma di solito sono importi modesti e si spesano subito). In caso di ricorso a garanzie esterne (ad esempio un confidi o assicurazione) con pagamento di una commissione up-front e poi il prestito è rifiutato, spesso tali commissioni non vengono restituite: anche queste diventano costi deducibili per l’impresa, ma con un effetto negativo sulla gestione (costo sostenuto per un beneficio – il prestito – non ottenuto).
- Interessi su capitali propri vs. interessi su debito: Se il rifiuto costringe l’impresa a impiegare mezzi propri (capitale sociale o riserve) per finanziare un progetto, viene a mancare il vantaggio fiscale della deducibilità degli interessi (come detto) ma nello stesso tempo l’impiego di equity al posto del debito potrebbe ridurre i futuri utili distribuibili (poiché quelle risorse potevano essere distribuite come dividendi tassati in capo ai soci in modo diverso dagli interessi che invece riducono l’utile). Da notare: l’ordinamento prevede un incentivo all’equity chiamato “Aiuto alla Crescita Economica (ACE)” – che consente una deduzione figurativa per nuovi apporti di capitale proprio. Dunque, se un’impresa ripiega sull’aumento di capitale dei soci invece del prestito bancario, può ottenere un beneficio ACE che in parte compensa l’assenza di interessi passivi. Questo per dire che il rifiuto di un prestito sposta semplicemente il mix finanziario: più equity, meno debito, con implicazioni fiscali diverse ma non necessariamente peggiori nel medio-lungo termine (meno oneri finanziari significa anche meno rischio di insolvenza).
- Trattamento fiscale di perdite su finanziamenti negati: Se l’azienda aveva sostenuto costi propedeutici al finanziamento (es. spese di consulenza per redigere il business plan da presentare in banca, o penali per aver prenotato un bene in attesa del leasing poi non concesso), tali costi restano deducibili nel periodo in cui sono sostenuti, come costi dell’attività ordinaria. Non vi è una categoria fiscale di “perdita da finanziamento rifiutato”, ma si applicano le regole generali: se ad esempio l’impresa paga una penale al fornitore perché non ha ottenuto il leasing per l’acquisto di un macchinario e quindi annulla l’ordine, quella penale è un costo deducibile perché inerente all’attività (anche se causata dal mancato credito).
- Gestione contabile di piani alternativi: Un aspetto di bilancio è la riclassificazione delle fonti di finanziamento: un prestito bancario sarebbe stato iscritto tra i debiti finanziari (a breve o lungo termine) nell’attivo circolante o passivo consolidato. Se manca, l’azienda potrebbe avere un buco che deve coprire con altre fonti: i bilanci successivi potrebbero mostrare un aumento di debiti verso fornitori (se si dilazionano pagamenti commerciali per supplire alla liquidità mancante), oppure l’incremento di debiti verso soci (qualora i soci effettuino finanziamenti soci fruttiferi in sostituzione del prestito bancario). I finanziamenti dei soci fruttiferi generano interessi passivi anch’essi deducibili (come fossero un debito bancario), ma spesso vengono classificati come postergati in caso di crisi ai sensi art. 2467 c.c. se fatti in certe condizioni. Questo per dire che il rifiuto di credito bancario porta talvolta le imprese a strutturare diversamente il finanziamento (ad esempio, factoring dei crediti commerciali invece di fido di cassa; leasing operativo invece di mutuo; o ingresso di investitori nel capitale). Ciascuna di queste alternative ha un trattamento contabile e fiscale diverso che i consulenti devono valutare.
- Detraibilità interessi per privati: Dal lato dei privati, ricordiamo che gli interessi pagati su mutui prima casa godono di una detrazione IRPEF del 19% (su massimo 4.000 € di interessi annui). Se un mutuo ipotecario viene rifiutato e il cliente ripiega su un prestito personale non ipotecario (che non ha analogo beneficio fiscale) o deve rinunciare all’acquisto, perde di fatto l’opportunità di quella detrazione. Non è un impatto fiscale del rifiuto in sé, ma una conseguenza indiretta su costi/opportunità. Allo stesso modo, la mancata concessione di un prestito per ristrutturazione edilizia può far perdere accesso a bonus fiscali se i lavori non vengono eseguiti. Sono valutazioni da fare quando si cerca un finanziamento: il rifiuto può influire su benefici fiscali collegati all’operazione finanziata.
In conclusione, un prestito negato incide sul mix di fonti finanziarie e può modificare la posizione fiscale dell’attore economico. Non esistono normative specifiche “post-rifiuto”, ma il consulente deve essere pronto a rivedere budget e piani: in particolare, per l’impresa, aggiornare il piano finanziario per l’anno corrente, informare gli organi di controllo (sindaci o revisori) se il diniego potrebbe creare tensioni di cassa, e studiare misure correttive (taglio costi, aumento capitale, dilazione fornitori) che mantengano l’equilibrio finanziario. In ambito fiscale, attenzione a eventuali spese capitalizzate in attesa del finanziamento: se un progetto viene abortito per mancanza di credito, i costi correlati eventualmente iscritti all’attivo devono essere svalutati o spesati a conto economico (ad esempio costi di progettazione di un impianto non più realizzato – vanno portati immediatamente a perdita deducibile). Da un male (prestito negato) può però nascere un bene: imprese troppo indebitate che si vedono negare ulteriore debito potrebbero essere “costrette” a rafforzarsi patrimonialmente, ponendo basi più solide per il futuro.
Banche dati creditizie e segnalazioni: CRIF, Centrale Rischi, Experian, CTC, Assilea
Un elemento chiave nell’analisi creditizia è l’utilizzo delle banche dati creditizie, strumenti attraverso cui banche e finanziarie condividono informazioni sui crediti concessi ai clienti e sul loro andamento. Conoscere come funzionano queste banche dati – e come le informazioni in esse contenute possono influire su un rifiuto di prestito – è fondamentale. Esamineremo sia i Sistemi di Informazione Creditizia (SIC) privati (come CRIF, Experian, CTC, Assilea) sia la Centrale dei Rischi pubblica di Banca d’Italia. Vedremo inoltre i tempi di aggiornamento e cancellazione delle segnalazioni, nonché come accedere a tali dati.
SIC privati (CRIF, Experian, CTC) – database dei “crediti al consumo” e non solo
CRIF (Centrale Rischi d’Intermediazione Finanziaria) è probabilmente il SIC più noto ai consumatori. Si tratta di un sistema privato gestito dall’azienda CRIF S.p.A., a cui aderiscono la maggior parte delle banche e società finanziarie italiane. In CRIF confluiscono dati su finanziamenti di varia natura: prestiti personali, finalizzati, cessioni del quinto, mutui ipotecari, carte di credito revolving, fidi di conto corrente, leasing e in generale qualunque rapporto di credito con clientela retail o PMI segnalato dagli aderenti. CRIF registra sia dati positivi (credito concesso, importo, rate in corso pagate regolarmente) sia negativi (ritardi nei pagamenti, sofferenze, morosità). Quando un cliente fa domanda di finanziamento, l’ente erogatore tipicamente consulta CRIF per vedere la situazione creditizia aggiornata, e spesso invia a CRIF l’informazione della nuova richiesta. Ciò significa che CRIF contiene anche traccia delle richieste di prestito in corso. In effetti, come evidenziato dalla stessa CRIF, i dati vengono trasmessi in due momenti: in fase di richiesta (se l’istituto aderente segnala l’istruttoria in corso) e quando il credito viene accordato, con successivi aggiornamenti mensili sui rimborsi. Se la richiesta viene rifiutata o il cliente vi rinuncia, anche questo esito viene aggiornato.
Altri principali SIC privati in Italia sono Experian e CTC (Consorzio per la Tutela del Credito). Funzionano in modo analogo: sono archivi alimentati direttamente dagli intermediari partecipanti su base volontaria, con aggiornamenti generalmente mensili. Molte banche inviano i dati sia a CRIF sia a Experian e CTC, altre usano principalmente CRIF. Le informazioni scambiate sono regolate dal Codice Deontologico sui SIC (oggi integrato nel Codice Privacy): ad esempio, vi sono regole su quando può essere registrato un ritardo (dopo almeno due rate consecutive non pagate, come detto), sull’obbligo di preavviso al cliente prima di segnalare un’inadempienza, e soprattutto sui tempi massimi di conservazione dei dati.
Le banche dati private non sono accessibili al pubblico liberamente: solo i partecipanti (banche/finanziarie) possono consultarle, per finalità di concessione credito o monitoraggio dei crediti in essere, e ciascun interessato (cliente) ha diritto di accedere ai propri dati. Questo diritto si esercita solitamente facendo richiesta direttamente al gestore (ad es. CRIF ha un portale Consumatori per richiedere una visura dei propri dati, Experian idem). La consultazione da parte degli istituti avviene principalmente su persone fisiche e imprese che hanno richiesto credito o che lo detengono: non c’è un flusso aperto di dati al di fuori di queste finalità.
Assilea merita un discorso a parte: è la Banca Dati Centrale Rischi Leasing, gestita dall’Associazione Italiana Leasing. È anch’essa un SIC privato, ma specializzato esclusivamente in operazioni di leasing (finanziario e operativo) e noleggio a lungo termine. Fondata nel 1989, raccoglie le segnalazioni di praticamente tutti gli operatori leasing italiani e serve per valutare il merito creditizio nel comparto leasing. Assilea registra circa 2 milioni di contratti di leasing (di cui metà attivi) e oltre 900 mila soggetti censiti. La sua particolarità è che, a differenza di CRIF/Experian/CTC che coprono vari tipi di credito, Assilea si concentra sui canoni di leasing e sullo storico dei pagamenti leasing dei clienti. Una banca dati così specialistica consente agli operatori di vedere se, ad esempio, un’azienda ha altri leasing in corso, se ha mai ritardato canoni o riconsegnato beni per inadempimento, ecc. Dal 2018 Assilea ha integrato una partnership con Experian per condividere alcune analisi e scoring. Come per gli altri SIC, anche Assilea consente all’interessato di accedere ai propri dati (la richiesta va fatta tramite PEC, con versamento di un piccolo rimborso spese in caso di dati nulli).
Come influiscono queste banche dati sul rifiuto di un prestito? Enormemente. Quando presentate una domanda, quasi certamente la finanziaria controllerà la vostra posizione in almeno uno di questi SIC. Se emergono segnalazioni negative (ad esempio: Ritardo 3 rate su prestito X, regolarizzato a data…, oppure Sofferenza su carta di credito chiusa insoluta, o ancora Richiesta di prestito Y rifiutata il mese scorso da altra banca), l’istruttoria prenderà una piega sfavorevole. Anche segnalazioni positive ma consistenti (es. molti prestiti in corso) possono indurre cautela e portare al diniego. In pratica, i SIC sono il “curriculum creditizio” di una persona o impresa: più è immacolato e sostenibile, più chances si hanno; se presenta macchie o eccessi, i nuovi creditori si tirano indietro.
È importante capire i tempi di aggiornamento e cancellazione di questi dati, perché determinano quanto a lungo un rifiuto o una morosità passata potranno tormentarvi nelle nuove richieste. La seguente tabella sintetizza i tempi di conservazione delle varie informazioni nei SIC privati (CRIF, Experian, CTC e Assilea applicano tutti il medesimo Codice Deontologico):
Tempi di conservazione dei dati nei Sistemi di Informazioni Creditizie privati (CRIF, Experian, CTC, Assilea)
Tipo di informazione | Durata conservazione nei SIC privati |
---|---|
Richieste di finanziamento (presentate dagli clienti agli enti) | 180 giorni dalla data della richiesta, se in istruttoria; oppure 90 giorni dalla data di aggiornamento con esito di rifiuto o rinuncia (in pratica: se la pratica viene respinta o annullata, l’informazione sparisce dopo 3 mesi). |
Ritardi di pagamento ≤ 2 rate (o 2 mesi), poi regolarizzati | 12 mesi dalla data di registrazione della regolarizzazione, a condizione che in tale periodo non si verifichino ulteriori ritardi. (Esempio: due rate di un prestito pagate in ritardo a gennaio e febbraio 2024, poi saldate: la segnalazione di “ritardo due rate” sarà visibile fino a febbraio 2025 se non ci sono altri incidenti nel frattempo). |
Ritardi di pagamento > 2 rate (o > 2 mesi), poi regolarizzati | 24 mesi dalla data di registrazione della regolarizzazione, salvo nuovi ritardi nel frattempo. (Esempio: quattro rate non pagate tra 2023-24 poi tutte saldate: la traccia rimane per 2 anni dal saldo). |
Eventi negativi non sanati: morosità, gravi inadempimenti, sofferenze (posizioni mai regolarizzate) | 36 mesi dalla data di scadenza contrattuale del rapporto oppure dalla data dell’ultimo aggiornamento necessario. In ogni caso, massimo 60 mesi (5 anni) dalla data di cessazione del rapporto. (Esempio: prestito non rimborsato e decaduto nel 2020 con ultima segnalazione in CRIF nel 2021 – rimarrà visibile fino al 2024 o al max 2026 a seconda degli aggiornamenti, dopodiché sarà cancellato). |
Dati positivi (rapporti regolari estinti) | 60 mesi (5 anni) dalla data di estinzione del rapporto o dalla scadenza contrattuale. I dati positivi però possono essere conservati oltre se coesiste almeno un rapporto negativo non sanato dello stesso soggetto. (Questo per dare un quadro completo ai futuri finanziatori: se un soggetto ha 4 prestiti di cui 3 regolari chiusi e 1 in sofferenza aperta, i positivi restano finché c’è il negativo attivo). |
N.B.: I tempi decorrono dall’aggiornamento “risolutivo” (regolarizzazione, chiusura, rifiuto, ecc.). Significa che se oggi sanate un arretrato, partirà il conteggio di 12 o 24 mesi per la sua cancellazione. Durante questi periodi, le altre banche continueranno a vedere quelle note storiche. Non è possibile ottenere la cancellazione anticipata di una segnalazione corretta prima dei termini, nemmeno pagando il dovuto (salvo in caso di errore conclamato).
Queste regole di conservazione fanno capire perché, ad esempio, se ho avuto un ritardo a fine 2024, potrebbe essere prudente attendere almeno fine 2025 prima di ripresentare domanda di prestito: così il ritardo non comparirà più in CRIF (12 mesi dopo regolarizzazione). Oppure, se una richiesta di finanziamento è stata rifiutata oggi, conviene attendere 90 giorni per farla “sparire” dai sistemi e non incorrere nell’effetto domino di più rifiuti in breve tempo.
Va detto che i SIC privati registrano anche dati di soggetti non “affidati” in banca: cioè se una persona che non ha mai avuto crediti chiede per la prima volta un prestito, quell’inquiri viene memorizzata per 6 mesi. Ciò serve alle banche per capire se un soggetto sta cercando troppo attivamente credito (ad esempio, più richieste a varie banche in pochi giorni – comportamento che alza un red flag). Quindi, se venite rifiutati da una banca e il giorno dopo fate domanda altrove, la nuova banca vedrà la segnalazione recente di una richiesta in corso altrove (o rifiutata) e potrebbe valutare negativamente questo elemento. Ecco perché spesso si consiglia: non fare troppe richieste simultaneamente, ma piuttosto affrontare i problemi emersi prima di ritentare.
Gli SIC privati hanno anche procedure per rettificare errori: se un dato è errato (es. un finanziamento a voi sconosciuto, un ritardo segnalato per sbaglio), potete rivolgervi all’ente partecipante (banca segnalante) chiedendo correzione, e parallelamente al gestore SIC che “congelerà” il dato contestato in attesa di verifica. In caso di inerzia, ci si può rivolgere al Garante Privacy o all’ABF.
Centrale dei Rischi di Banca d’Italia (CR) – il sistema pubblico
Accanto ai sistemi privati, esiste la Centrale dei Rischi (CR) gestita dalla Banca d’Italia, una banca dati pubblica (nel senso di istituzionale) in cui confluiscono informazioni sui crediti concessi dal sistema bancario e finanziario sopra una certa soglia. La CR non copre tutti i piccoli crediti: attualmente la soglia di segnalazione generale è 30.000 euro di esposizione per ogni singola banca. Ciò significa che un cliente è segnalato in CR se ha un debito verso una banca ≥ 30.000 € (capitale residuo). Per le posizioni in sofferenza (in sostanza crediti deteriorati), la soglia scende a 250 euro, per garantire che anche piccoli importi non restituiti vengano riportati. Sono inclusi in CR: affidamenti di conto corrente (fidi), scoperti, mutui, anticipi, finanziamenti vari, garanzie rilasciate e ricevute, e qualsiasi altra forma tecnica rilevante. La segnalazione avviene su base mensile: ogni banca comunica a Banca d’Italia, per ciascun cliente affidato, l’esposizione per categoria (operazioni autoliquidanti, a revoca, a scadenza, sofferenze, etc.) nel mese di riferimento.
La Centrale dei Rischi non registra le richieste di credito (non c’è traccia di domande rifiutate o in corso), ma solo i crediti concessi e utilizzati. Tuttavia, come accennato, vi compaiono anche i garanti e coobbligati. Inoltre, quando un soggetto presenta domanda di affidamento presso una banca, quella banca può richiedere una “visura” CR su di lui anche se non è ancora cliente, esclusivamente ai fini di valutare il merito creditizio. Ciò è consentito dalla normativa, che vede la CR come strumento per migliorare la valutazione del merito di credito e favorire l’accesso al credito ai meritevoli. In pratica dunque, se un’azienda chiede un prestito di 100k, la banca andrà in CR per vedere se quell’azienda ha altri fidi con altre banche e di che entità, se ha sofferenze altrove, e il track record degli ultimi mesi (la CR storicizza i dati su base mensile, normalmente la visura standard copre gli ultimi 36 mesi).
Le informazioni di CR differiscono dai SIC privati: qui non si vede se uno ha pagato puntuale le ultime rate, ma si vede l’esposizione totale e la regolarità o meno (una posizione normale appare come “Importo utilizzato = X, accordato = Y, no sofferenze”). Se c’è un arretrato grave, la banca classifica il cliente “in sofferenza” e lo segnala come tale. La definizione di sofferenza in CR presuppone che la banca valuti il cliente insolvente o in gravissima difficoltà (non basta un ritardo temporaneo). Ad esempio, la Cassazione ha ricordato che “l’appostazione a sofferenza implica una valutazione complessiva della situazione finanziaria […] e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo”. Dunque, una banca dovrebbe segnalare sofferenza solo se il cliente è ritenuto realmente incapiente, non per una lite o contestazione isolata. Un abuso di segnalazione (dichiarare sofferenza un credito solo perché il cliente contesta degli interessi, pur essendo solvibile) è fonte di responsabilità della banca. Ad esempio, la Cassazione (ord. n. 3130/2021) ha stabilito che se il debitore rifiuta il pagamento non per mancanza di mezzi ma perché eccepisce l’illegittimità del titolo (interessi usurari, nullità contratto, ecc.), non andrebbe segnalato a sofferenza; e qualora ciò avvenga illegittimamente, il debitore può chiedere i danni.
Per tornare all’impatto sui rifiuti: quando una nuova banca consulta la CR, potrebbe decidere di negare il credito se vede che il cliente:
- Ha già molti affidamenti presso altre banche (es. ha già tot linee per importi rilevanti: questo indica saturazione).
- Ha sconfinamenti o utilizzi oltre il fido: se negli ultimi mesi appare spesso che il cliente ha usato più del concesso (segno di tensione).
- È stato segnalato a sofferenza o inadempienza probabile da qualche altro intermediario: questo è praticamente un veto per nuovi crediti, finché la situazione non è sanata e la segnalazione rettificata.
- Ha chiesto la ristrutturazione del debito tramite piani ex art. 67 LF o 182-bis LF (ora Codice della Crisi): queste informazioni talvolta emergono indirettamente nelle categorie di censimento (crediti oggetto di concessione ecc.).
- Oppure se la CR mostra che di recente una banca ha revocato gli affidamenti (si vedrebbe un calo drastico dell’accordato): ciò può allarmare il nuovo finanziatore.
Un elemento particolare: la CR evidenzia anche se il soggetto è garante di altrui esposizioni. Ciò può causare rifiuti di credito personali: ad esempio, un privato fa da garante al mutuo del figlio per 200k € – quella garanzia appare in CR a suo nome e le banche, nel valutare un prestito a suo favore, la considerano come potenziale indebitamento, riducendone la capacità. Spesso i consumatori non ne sono consapevoli.
La Centrale Rischi è consultabile da ogni cittadino gratuitamente: si può fare richiesta online tramite PEC o portale di Banca d’Italia, e si otterrà lo stato dei propri affidamenti e la storia degli ultimi periodi. Se notate qualcosa di errato (ad es. una segnalazione di sofferenza non dovuta), bisogna agire prontamente chiedendo rettifica alla banca segnalante, e in difetto ricorrere all’ABF o al tribunale (ci sono stati casi di risarcimenti significativi per segnalazioni errate che hanno distrutto la reputazione creditizia di un’azienda). Attenzione: il danno da segnalazione illegittima non è automatico ma va provato (es. mostrando che a causa di essa altri finanziatori vi hanno negato credito). Tribunali e ABF tendono a riconoscere almeno il danno morale o da perdita di chance, se la segnalazione era palesemente scorretta (ad es. banca che non invia il preavviso di sofferenza, cliente scopre di essere segnalato solo chiedendo un prestito e vedendoselo negare – come nel caso Tribunale di Bari 4076/2023, dove un garante non avvisato è stato risarcito per danno d’immagine e perdita di opportunità di credito).
Differenze principali tra SIC privati e Centrale Rischi pubblica: in breve:
- I SIC privati registrano anche piccoli crediti e informazioni puntuali su ritardi di poche rate; la CR pubblica ha soglie di importo e categorie più aggregate.
- I SIC privati includono anche le richieste di prestito e sono usati per lo più nel credito al consumo e alle piccole imprese; la CR è usata soprattutto per affidamenti bancari di medio-grande entità.
- La CR è gestita da Bankitalia e ha finalità di stabilità del sistema (monitorare i rischi bancari), oltre che di trasparenza verso il mercato; i SIC privati hanno finalità commerciale (condivisione info per scoring e marketing del credito).
- L’accesso ai dati CR di un soggetto da parte di banche terze richiede che ci sia un’istruttoria in corso o posizione di garante (non è libera consultazione), mentre nei SIC l’adesione consente consultazioni più flessibili (ma comunque legate a finalità di credito).
- I tempi di conservazione: la CR “dimentica” relativamente presto le posizioni chiuse (dopo 36 mesi non sono più visibili nelle normali visure standard, salvo richieste storiche particolari), i SIC mantengono traccia fino a 5 anni anche dei positivi.
- La CR non contiene info su bollette, utenze, etc., mentre esistono SIC specializzati (es. Experian gestisce anche informazioni da bollettini postali per alcune utilities, etc., seppur non molto diffusi in Italia come negli USA).
Per il nostro tema (prestito rifiutato): spesso il rifiuto è deciso incrociando info di CRIF e di Centrale Rischi. Ad esempio, per un privato si guarderà CRIF per vedere prestiti piccoli, e CR per eventuali esposizioni bancarie più grandi. Per un’impresa, la CR è fondamentale (se quell’azienda non è segnalata in CR significa che non ha mai avuto affidamenti sopra 30k, il che per una banca può essere un segnale di mancanza di track record). Una buona gestione della propria credit reputation comporta dunque attenzione a entrambe: pagare puntualmente tutte le obbligazioni (per non avere macchie nei SIC) e mantenere rapporti equilibrati con le banche (per non incorrere in sofferenze CR).
Assilea, come detto, è un SIC di settore leasing. Se un’impresa vede rifiutarsi un leasing, potrebbe essere che Assilea avesse registrato precedenti contratti con contestazioni o risoluzioni anticipate per insoluto. Ad esempio, un’azienda che in passato ha restituito un macchinario in leasing perché non pagava le rate avrà difficoltà a ottenere nuovi leasing: tali eventi rimangono per 36 mesi (come dati negativi) nella BDCR Assilea. Anche qui, il rimedio è il tempo e ricostruirsi una reputazione.
In caso di rifiuto di prestito, cosa fare con le informazioni creditizie? Due cose: 1) richiedere copia dei propri dati (da CRIF/Experian/CTC e da Centrale Rischi) per capire se vi sono errori o problemi non noti; 2) se individuate errori, attivarvi subito per farli correggere; se individuate elementi negativi corretti (debiti che sapete di aver avuto in ritardo), dovrete pianificare un periodo di “riabilitazione” in cui non cercare altro credito ma migliorare quei parametri. Anche la sola azione di controllare i propri dati e magari farsi assistere da un consulente nel leggerli può fare la differenza: a volte emergono sorprese (es. un debito piccolo dimenticato, venduto a società di recupero, che vi ha messo in cattivi pagatori – pagando quell’importo e facendosi dare liberatoria, la segnalazione andrà poi rimossa al più presto, e avrete risolto un impedimento). Viceversa, se è tutto corretto ma semplicemente avete diversi prestiti, saprete che prima di ottenerne un altro dovrete alleggerire il carico.
Chiudiamo ricordando che c’è differenza tra la CR di Bankitalia (spesso chiamata “Centrale Rischi pubblica”) e i “SIC privati”: la prima è gratuita e consultabile anche attraverso la propria banca, i secondi spesso comportano l’invio di moduli e attendere risposte (CRIF risponde in 30 giorni al massimo). Negli ultimi anni si è visto un upgrade tecnologico: alcune app di credit score per privati (es. Experian offre un servizio “Credit Score” al consumatore) consentono di monitorare parte dei dati. Tuttavia, agli occhi di banche e finanziarie, fanno fede i database ufficiali. Nulla impedisce però, quando chiedete un prestito, di allegare volontariamente una spiegazione su eventuali vecchi problemi risolti (es: “in allegato liberatoria CRIF per posizione sanata il mese scorso”) – potrebbe mostrare proattività e far capire al gestore che siete consapevoli e affidabili.
Giurisprudenza rilevante su concessione e rifiuto del credito (Cassazione, ABF, TAR)
Nel corso degli anni ci sono state numerose pronunce sia di giudici ordinari (Corte di Cassazione in primis) sia di organi come l’Arbitro Bancario Finanziario e i tribunali amministrativi, che hanno delineato principi importanti in materia di concessione e diniego di prestiti. Di seguito sintetizziamo le decisioni più significative aggiornate a maggio 2025, che fungono da guida interpretativa.
Orientamenti della Corte di Cassazione
- Responsabilità precontrattuale della banca per ritiro ingiustificato dalle trattative: La Cassazione ha più volte ribadito che, pur non esistendo un obbligo di concludere il contratto, la banca può incorrere in responsabilità ex art. 1337 c.c. se interrompe le trattative senza giusto motivo violando la buona fede. Un caso chiave è Cass. Civ. Sez. III, 25/09/2023 n. 27262: qui la banca aveva indotto una società ad assumersi oneri (acquisto di immobili accollandosi mutui in sofferenza) promettendo un nuovo finanziamento per sviluppi immobiliari, per poi negare il mutuo senza giustificazione. La Cassazione ha censurato la corte d’appello che aveva negato la trattativa avanzata, affermando invece che “il recesso o la sospensione delle trattative può essere causa di responsabilità precontrattuale quando sia privo di giustificato motivo”. Ha inoltre chiarito che in caso di recesso ingiustificato, l’onere della prova del danno segue le regole del fatto illecito (art. 2043) e grava sul danneggiato provare che il recesso è stato contrario a buona fede. In questa vicenda, la Cassazione ha riconosciuto che la società aveva fatto legittimo affidamento nelle rassicurazioni dei funzionari e che il diniego postumo, a fronte di operazioni già compiute dal cliente confidando sul credito promesso, integrava violazione dei doveri precontrattuali. Morale: se la banca alimenta l’aspettativa di credito e poi si tira indietro arbitrariamente, può dover risarcire spese e perdite subite dal cliente (ad es. costi inutili, occasioni perse).
- Princìpi di sana e prudente gestione – concessione abusiva di credito: Sul fronte opposto (banca “troppo generosa”), la Cassazione ha sviluppato il concetto di concessione abusiva del credito. Una banca che finanzi un’impresa ormai decotta, aggravandone il dissesto a danno di altri creditori, può essere corresponsabile in caso di fallimento dell’impresa stessa (ex art. 2043 c.c.). Ad esempio, Cass. Sez. I, 08/10/2024 n. 26248 (Pres. Terrusi, rel. Vella) ha ribadito che i principi di sana e prudente gestione del credito – sottesi all’art. 5 TUB e alla diligenza qualificata ex art. 1176 c.c. – devono applicarsi anche ai finanziamenti garantiti dallo Stato durante l’emergenza Covid. In quel caso la Cass. ha cassato una decisione di merito che aveva ritenuto la banca colpevole di concorso in bancarotta semplice per aver erogato un prestito senza adeguata valutazione, dichiarando però non automaticamente nullo il mutuo. La Suprema Corte ha affermato il principio, ma evitando la sanzione eccessiva della nullità, segno di un bilanciamento: la banca deve valutare (e se non valuta può subire sanzioni o azioni di responsabilità), ma l’eventuale contratto concluso rimane valido verso il cliente, salvo eccezioni. In sintesi, se da un lato il cliente non può pretendere credito, dall’altro nemmeno la banca può concederlo sconsideratamente: le due facce della medaglia dei doveri di corretta concessione.
- Illegittima segnalazione in Centrale Rischi e danni risarcibili: La Cassazione ha affrontato molti casi di segnalazioni a sofferenza contestate. Ad esempio, Cass. 14/10/2020-09/02/2021 n. 3130 (richiamata da un’opinione del Trib. Trapani 2021) ha stabilito che per segnalare un cliente a sofferenza non basta l’inadempimento, specie se questo deriva da una contestazione del debitore sulla legittimità del contratto, ma occorre che vi sia una situazione di grave difficoltà economica obiettiva. In quel caso, dei clienti avevano smesso di pagare un mutuo lamentando clausole nulle; la Cassazione ha accolto il loro ricorso affermando che andava verificato se il rifiuto di pagare derivava da mala fede (allora segnalabile) o da una controversia seria (allora non segnalabile). Importante anche il principio sulla prova del danno da segnalazione illegittima: “non è in re ipsa”, cioè non è automatico solo perché la segnalazione è illecita; il danneggiato deve provare il pregiudizio concreto (es. altri finanziamenti negati). In altre pronunce (Cass. 17447/2019, Cass. 12878/2015) si è ribadito che la segnalazione erronea crea una presunzione di danno morale da lesione reputazionale, ma comunque servono elementi a supporto per quantificare. In pratica, la Cassazione ha delineato che le banche vanno incontro a responsabilità se segnalano indebitamente: oltre al risarcimento del danno patrimoniale (interessi più alti pagati altrove, perdita di opportunità) può esservi spazio per danni non patrimoniali (immagine, stress). Nel complesso, il filone giurisprudenziale sprona le banche ad essere molto caute e corrette nelle segnalazioni, e in caso di dubbio, a non segnalare sofferenza finché non vi sia certezza di insolvenza.
- Pratiche commerciali scorrette su prodotti abbinati al credito: Un ambito tangente al rifiuto è quello delle condotte illegittime di condizionamento. Le decisioni in materia sono spesso dell’AGCM (Antitrust) e poi oggetto di ricorsi ai tribunali amministrativi (vedi più avanti), ma anche la Cassazione si è pronunciata sulla nullità di clausole che impongono spese o acquisti non dovuti. Ad esempio, Cass. 13846/2019 ha ritenuto nulla (per contrasto con norme imperative) una clausola che addebitava al cliente commissioni occulte legate a polizze obbligatorie. Riguardo al bundling mutui-polizze, la legge n. 124/2017 e prima ancora il “decreto Cresci Italia” (L. 27/2012) vietano di vincolare l’erogazione del mutuo alla stipula di una polizza venduta dalla banca stessa, senza dare al cliente la possibilità di procurarsela altrove. Su queste basi normative, l’AGCM ha sanzionato e i giudici amministrativi (TAR Lazio) in parte confermato (2024) come visto, le condotte di banche che di fatto rifiutavano il mutuo se il cliente non accettava il pacchetto. La Cassazione, pur non avendo ancora pronunce dirette su tali vicende (arrivate solo a fine 2023 in TAR), ha in passato riconosciuto la tutela risarcitoria ai clienti che hanno sostenuto costi extra imposti in maniera scorretta.
Decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF)
L’ABF, pur non essendo “giurisprudenza” in senso tecnico, rappresenta un termometro fondamentale delle controversie banca-cliente. Inoltre le sue decisioni, seppur non vincolanti come legge, fanno giurisprudenza nel settore bancario perché la maggior parte delle banche vi si conforma per evitare pubblicità negativa.
Abbiamo già citato la Decisione ABF Coordinamento n. 6182/2013, che ha riconosciuto il diritto del cliente a ricevere indicazioni sulle ragioni del diniego. Questa pronuncia è uno spartiacque: prima di allora, alcune banche sostenevano di non poter rivelare i criteri interni, ma l’ABF ha affermato che dare indicazioni generali (parametri di merito creditizio applicati al caso concreto) non viola alcun segreto industriale e anzi è dovuto per trasparenza.
Il Collegio di Roma ABF, dec. n. 12815 del 16/10/2017, ha ribadito che limitarsi a dire “scoring non sufficiente” non è una motivazione adeguata. In quel caso ABF ha ordinato alla banca di fornire una motivazione più concreta al ricorrente.
Il Collegio di Milano ABF, dec. n. 27098 del 20/12/2018, ha sottolineato come “un obbligo generale di far credito è certamente estraneo allo statuto delle imprese bancarie”, confermando la libertà negoziale di concedere o meno finanziamenti. Nello stesso tempo però, l’ABF Milano ha richiamato i principi di correttezza: l’autonomia decisionale dell’intermediario si svolge entro i limiti di correttezza e buona fede, ed è sindacabile in questi profili. Questo è esattamente l’equilibrio di cui si è detto: nessun giudizio di merito sul “perché non hai prestato i soldi”, ma controllo sul come è stato condotto il processo (se con trasparenza e buona fede).
Una serie di decisioni ABF riguardano anche la mancata concessione di mutuo dopo pre-delibera o revoca improvvisa di affidamenti. Ad esempio, ABF Napoli 2019 ha condannato una banca che aveva revocato un fido di cassa all’improvviso senza nemmeno rispettare i 15 giorni contrattuali di preavviso, imponendo la restituzione immediata e causando gravi danni all’impresa: l’ABF ha ritenuto violati i doveri di buona fede e disposto un indennizzo. In un altro caso, ABF Roma 2020, un cliente aveva speso soldi per perizie e pratiche confidando in un mutuo promesso informalmente dal direttore, poi non deliberato: l’ABF, pur non potendo imporre il mutuo, ha ordinato la rifusione delle spese inutilmente sostenute dal cliente, riconoscendo un affidamento qualificato indotto dalla banca.
Un tema ricorrente in ABF è quello delle segnalazioni in Centrale Rischi e CRIF: decine di ricorsi riguardano clienti che scoprono segnalazioni negative e lamentano di non essere stati avvisati o di aver pagato e di vedere ancora la macchia. L’ABF ha creato una giurisprudenza costante: il preavviso di segnalazione è obbligatorio, la banca che omette di preavvisare deve cancellare subito la segnalazione e risarcire eventuali danni (solitamente ABF riconosce poche centinaia di euro per danno da mancato preavviso in sé, riservando poi al giudice ordinario il risarcimento di danni maggiori se provati). Un caso emblematico recente è stato affrontato dal Tribunale di Bari (segnalazione garante senza preavviso, 2023) che abbiamo visto: l’ABF su situazioni analoghe aveva già anticipato questa linea, affermando che il garante va avvisato analogamente al debitore principale e che la mancanza di avviso integra inadempimento contrattuale (violazione del dovere accessorio di protezione del cliente).
Riassumendo il messaggio ABF:
- La banca non può essere costretta a darvi i soldi, ma deve trattarvi con rispetto e trasparenza durante tutto l’iter;
- Se viola tali obblighi (non motiva, segnala di nascosto, cambia idea tardivamente senza ragione), l’ABF le imporrà rimedi (correzione della condotta, eventuali compensazioni economiche).
- Ciò sta alzando lo standard del settore – oggi le banche sanno che un cliente informato può far valere i propri diritti in ABF in tempi rapidi (90-180 gg) e con costi minimi, quindi è loro interesse prevenire il contenzioso comportandosi correttamente.
Interventi dei tribunali amministrativi (TAR) e Autorità
I TAR entrano in gioco in materia di credito principalmente quando si contestano provvedimenti di Autorità come Banca d’Italia, Garante Privacy o AGCM:
- Garante Privacy e tempi di conservazione SIC: Alcuni ricorsi (TAR Lazio 2019) hanno riguardato la richiesta di cancellazione anticipata di dati dai SIC per diritto all’oblio. Finora i ricorrenti non hanno avuto successo: i TAR hanno confermato la validità del Codice Deontologico SIC che prevede quei tempi (es. TAR Lazio n. 12551/2019 ha rigettato la pretesa di cancellare una sofferenza prima dei 36 mesi, ritenendo bilanciato il tempo fisso di conservazione). Dunque, su questo fronte l’individuo non può trovare sponda nel giudice amministrativo contro CRIF & co., a meno di errori di legge clamorosi.
- Antitrust vs banche per pratiche scorrette: Come già trattato, l’AGCM nel 2020 ha multato alcune banche per vendite abbinate obbligatorie di polizze con mutui. I ricorsi di queste banche al TAR Lazio hanno portato alle sentenze pubblicate il 5 gennaio 2024: in 3 casi su 4 il TAR ha dato parzialmente ragione alle banche, riconoscendo che esse avevano adottato misure di conformità (offrivano opzioni, seguivano regolamenti IVASS) e che l’AGCM non le aveva valutate adeguatamente. In un caso il ricorso è stato respinto confermando la scorrettezza (forse la banca era stata meno diligente). Il segnale è che se la banca rispetta la normativa settoriale specifica (es. far scegliere tra due polizze di due compagnie diverse, come da IVASS, o accettare polizze portate dal cliente) non può poi l’Antitrust considerarla aggressiva. Ciò non toglie che imporre l’apertura di un conto corrente come condizione per un mutuo è considerato pratica scorretta (su questo punto infatti c’erano condanne). Queste pronunce rafforzano il concetto: il cliente deve essere libero di scegliere prodotti accessori, e il rifiuto del prestito solo perché non ha acquistato un certo prodotto è sanzionabile. Dunque se vi trovate in situazioni del tipo “o fai questa assicurazione con noi o niente mutuo”, sappiate che è illegittimo: segnalando all’AGCM potete contribuire ad azioni correttive (oltre che cercare un altro istituto più corretto).
- Sospensione delle garanzie pubbliche e diniego di credito: Durante la pandemia, il governo aveva introdotto garanzie statali al 100% su prestiti fino a 30mila € (DL Liquidità 2020). Alcuni casi segnalati: banche che nonostante la garanzia integrale rifiutavano comunque il prestito a PMI, spesso perché la PMI era messa male. Di fronte a segnalazioni, Mediocredito Centrale (gestore del Fondo) ha chiarito che la banca mantiene comunque la discrezionalità valutativa: la garanzia pubblica non elimina l’obbligo di sana gestione (come confermato poi dalla Cassazione nel 2024). Non risultano contenziosi su questo, perché la legge non imponeva di concedere comunque. Piuttosto, i ricorsi sono nati quando il Fondo di Garanzia PMI ha negato la garanzia a certe imprese: qui i TAR hanno spesso respinto i ricorsi delle aziende, riconoscendo la discrezionalità tecnica del Fondo (es. TAR Lazio sent. 2021 su rigetto garanzia per rating cattivo). Insomma, non c’è scappatoia giuridica che trasformi un “no” meritato in un “sì” obbligato.
In sintesi, il panorama giurisprudenziale aggiornato ci dice:
- Principio generale: la banca è libera di concedere o negare, ma la sua condotta deve essere ispirata a correttezza, trasparenza e rispetto delle normative di settore.
- Cassazione: punisce gli eccessi (promesse mancate = responsabilità precontrattuale; segnalazioni abusive = risarcimenti).
- ABF: invita alla trasparenza (motivare i dinieghi, preavvisare le segnalazioni) e tutela i clienti su base equitativa rapida.
- TAR/AGCM/Garante: vigilano sulle prassi scorrette e sui diritti dei dati personali, avallando retention standard ma condannando vendite forzate.
Per avvocati e consulenti, queste pronunce sono armi importanti: ad esempio, se assistete un cliente a cui è stato negato un prestito, potete far leva sulla decisione ABF 2013 per chiedere formalmente alla banca le ragioni dettagliate (cosa che la banca a quel punto spesso fornirà per evitare un ricorso ABF quasi certamente perdente). Oppure, se una banca ha segnalato a sofferenza il vostro cliente mentre c’era una causa in corso, potete citare Cass. 3130/2021 per argomentare l’illegittimità di quella segnalazione.
Casi pratici: come comportarsi dopo un rifiuto (simulazioni)
Passiamo ora ad alcuni casi tipo, che illustrano situazioni frequenti di prestiti negati e il comportamento consigliabile sia per soggetti privati sia per imprese. Le simulazioni pratiche aiutano a calare nel concreto i concetti esposti finora.
Caso 1: Prestito personale negato a un privato per segnalazioni creditizie negative
Scenario: Mario, dipendente a tempo indeterminato, stipendio netto 1.400 €/mese, chiede un prestito personale di 15.000 € in 5 anni per ristrutturare casa. Non ha altri finanziamenti in corso. La banca però respinge la richiesta, indicando genericamente “esito negativo da sistemi di informazione creditizia”. Mario è sorpreso, si considera un pagatore puntuale.
Analisi del caso: Mario richiede spiegazioni più dettagliate e apprende che nel database CRIF risulta un ritardo di pagamento su un vecchio prestito auto chiuso due anni fa. In effetti, Mario ricorda di aver saltato due rate nel 2023 a causa di un disguido postale, poi saldate dopo 1 mese. Quelle informazioni (due rate pagate in ritardo, poi regolarizzate) restano visibili in CRIF per 12 mesi dalla regolarizzazione, dunque fino a metà 2024. Ora siamo a inizio 2025: teoricamente dovrebbero essere sparite, ma è possibile che per un disallineamento di aggiornamenti appaiano ancora (o su altro SIC). Inoltre Mario scopre che figura una richiesta di carta di credito fatta pochi mesi fa e rifiutata dall’emittente (lui aveva fatto domanda di carta revolving nel supermercato, poi non finalizzata). Quell’informazione potrebbe essere ancora presente (le richieste rifiutate restano 90 giorni).
La somma di questi elementi ha abbassato il credit score di Mario, inducendo la banca a rifiutare per politica interna (preferiscono clienti senza alcun incidente negli ultimi 2 anni).
Cosa fare: Mario segue questi passi:
- Accesso ai dati creditizi: richiede una visura CRIF e una visura Experian (gratis via email certificata) per vedere esattamente cosa risulta a suo nome. Dalle visure conferma le due voci: il ritardo 2023 già cancellato su CRIF ma ancora presente su Experian (che lo cancellerà entro breve) e la richiesta carta rifiutata, visibile ancora per poche settimane.
- Attendere e ripresentare domanda informata: Poiché la situazione creditizia di Mario è buona a parte quei dettagli, è opportuno attendere 1-2 mesi affinché tutte le tracce negative si puliscano (passino i 90 giorni dal rifiuto della carta). Nel frattempo Mario potrebbe:
- Considerare di rivolgersi alla stessa banca che ha rifiutato, mostrando di aver appurato i motivi e chiedendo se, trascorso un breve periodo e attestata la propria affidabilità (magari presentando buste paga recenti e certificato di assenza di altri debiti), la pratica possa essere rivalutata.
- Oppure rivolgersi ad un’altra finanziaria, ma non subito: se facesse molte richieste a ruota, rischierebbe ulteriori rifiuti e di riempire i database di “richieste in corso”, peggiorando la situazione.
- Pagare attenzione ai piccoli obblighi: Mario si rende conto che per non incorrere più in tali problemi deve essere scrupoloso. Attiva magari la domiciliazione bancaria per le utenze e rate, così da evitare disguidi postali. E decide che in futuro, prima di fare una richiesta di credito, controllerà i suoi dati (magari iscrivendosi a un servizio di alert creditizio).
- Opzione alternativa – cessione del quinto: Considerando il suo stipendio fisso, Mario valuta anche l’alternativa della cessione del quinto dello stipendio. Questo prodotto potrebbe essere concesso anche a chi ha avuto piccoli ritardi in passato, perché la garanzia è forte (la rata viene trattenuta dal datore di lavoro). Mario chiede un preventivo: con stipendio 1.400 €, può cedere al massimo 280 €/mese; per 5 anni, ciò copre comodamente 15.000 € di capitale. Infatti, una finanziaria specializzata gli approva la cessione del quinto, a un tasso un po’ più alto ma sostenibile. Mario però confronta: preferirebbe un prestito personale standard al tasso minore. Quindi, forte della delibera di cessione (che testimonia comunque una valutazione positiva del suo rischio), torna dalla prima banca e la informa (senza ostentare, ma facendolo capire) che ha un’alternativa. A volte, sapere che il cliente ha opzioni può spingere la banca a essere più flessibile, rivedendo la decisione specie se la causa era temporanea.
Epílogo: Dopo 3 mesi dal rifiuto iniziale, Mario ripresenta domanda alla banca A, allegando anche una lettera di “liberatoria” della finanziaria auto (che conferma che il suo vecchio prestito è stato regolarizzato e chiuso positivamente) e copia dell’ultima visura CRIF che ora non riporta dati negativi. La banca, verificato che il credit score nel frattempo è risalito, approva il prestito di 15.000 €. Mario ottiene i fondi per la ristrutturazione. Ha imparato l’importanza di monitorare la propria reputazione creditizia e di comunicare proattivamente con la banca: fornire prove e spiegazioni sui precedenti intoppi ha facilitato la fiducia. In alternativa, se la banca A fosse rimasta ferma nel no, Mario avrebbe optato per la cessione del quinto già pre-deliberata, risolvendo comunque il suo problema (a costo di qualche interesse in più).
Strategie emerse: verificare i dati creditizi, attendere la “pulizia” naturale delle segnalazioni, fornire liberatorie e documenti integrativi alla banca, usare alternative come la cessione del quinto se si è dipendenti, non moltiplicare le richieste contemporanee.
Caso 2: Mutuo casa rifiutato per reddito insufficiente – come riprovarci
Scenario: Alice e Marco, giovani conviventi, chiedono un mutuo prima casa di €180.000 per acquistare un appartamento che costa €200.000 (LTV 90%). Hanno entrambi contratti di lavoro a tempo indeterminato ma redditi medio-bassi (1.200 € netti ciascuno). La banca rifiuta il mutuo, motivando che la rata risultante (~€800/mese su 25 anni) è troppo elevata rispetto al reddito combinato (2.400 €) e oltre il 33% consigliato. Inoltre, l’assenza di garante e l’LTV alto rendono l’operazione borderline.
Analisi del caso: La banca ha applicato criteri prudenziali: con €2.400 di entrate, loro vorrebbero destinare circa il 33% alle rate. Alcune banche sarebbero disposte, altre no. Il rifiuto indica una valutazione di sostenibilità negativa. Inoltre, essendo entrambi giovani (28 anni) e prima casa, potrebbero usufruire di garanzie statali (Fondo Garanzia Prima Casa), ma la banca non ne ha fatto menzione.
Cosa fare: Alice e Marco discutono soluzioni:
- Attivare il Fondo di Garanzia Prima Casa: Questo fondo pubblico (gestito da Consap) copre fino all’80% della quota capitale per mutui prima casa a giovani under 36 o con ISEE < 40k. Nel loro caso, potrebbero rientrare nei requisiti. Decidono quindi di rivolgersi a un’altra banca che aderisce al Fondo. La nuova banca, grazie alla garanzia statale sull’80% (circa 144.000 € garantiti su 180.000), può spingersi ad approvare l’LTV 90%. Resta però il tema reddito: seppure garantito, servono €800/mese. Qui entra in gioco un altro elemento.
- Aggiungere un garante familiare: Coinvolgono il padre di Marco, pensionato con pensione di €1.500 mese, che si offre come fideiussore. La presenza di un garante solido spesso non abbassa la rata ma abbassa il rischio percepito: la banca sa che, malauguratamente, se i due giovani avessero problemi, c’è un terzo soggetto su cui rivalersi con entrate fisse. Questo può far pendere la delibera verso il sì. Difatti, la banca B, valutando il tutto (garanzia Consap + garante pensionato + buon merito creditizio dei richiedenti) decide di erogare il mutuo richiesto.
- Piano B – ridurre importo o durata: Parallelamente, Alice e Marco avevano considerato: se nessuna banca avesse concesso 180k, erano pronti a:
- ridurre la richiesta a €160.000 (portando loro più contanti, magari con aiuto dei genitori), così l’LTV scende a 80% e la rata a ~€700, più gestibile;
- oppure allungare la durata a 30 anni, riducendo la rata sotto €700 (ma questo è vincolato dall’età: a 30 anni di durata, loro arriverebbero a 58 anni, fattibile; se avessero avuto 40 anni non sempre possibile spingersi a oltre 70).
Queste leve (importo e durata) sono tipiche per far rientrare i parametri.
Epílogo: Grazie alla combinazione garanzia pubblica + garante familiare, e presentando un nuovo business plan familiare (nel colloquio con la banca B hanno evidenziato come loro spese mensili siano limitate, niente altri debiti, ecc.), il mutuo viene approvato. Imparano l’importanza di:
- sfruttare gli strumenti di supporto esistenti per i giovani (molti non sanno di poter chiedere al direttore di attivare la garanzia statale – a volte va richiesto esplicitamente).
- non aver timore di chiedere aiuto a un genitore come garante: ciò non significa dipendere, ma strategia per qualche anno finché il reddito non cresce.
- se la prima banca dice no, non perdersi d’animo e consultare più istituti (ogni banca ha politiche di rischio diverse; alcuni mutui oltre 80% LTV li fanno solo con garanzia Consap; altri non li fanno affatto; alcuni accettano rapporto rata/reddito 40%, altri rigidi al 30% – trovare quello adatto al proprio profilo è fondamentale, magari affidandosi a un mediatore creditizio che conosce le differenze).
- valutare compromessi: casa leggermente meno cara, più capitale iniziale, ecc. Nel loro caso, per fortuna, il puzzle è andato a posto senza ridimensionare il sogno.
Caso 3: Finanziamento aziendale negato a una PMI in difficoltà – strategie di risanamento
Scenario: La XYZ S.r.l., ditta manifatturiera con 10 dipendenti, richiede un finanziamento bancario di €100.000 per coprire esigenze di liquidità e ristrutturare alcuni macchinari obsoleti. L’azienda però viene da due anni di bilanci in perdita (2023 e 2024: perdite totali €50k, patrimonio netto dimezzato). È anche segnalata in Centrale Rischi con utilizzi costanti oltre il fido di cassa (sconfinamenti mensili di qualche migliaio di euro). La banca che gestisce il conto (con cui l’azienda lavora da anni) respinge la richiesta, e anzi riduce il fido disponibile, invitando la società a rientrare entro pochi mesi.
Problemi individuati: L’impresa ha un merito di credito deteriorato: perdite che erodono il patrimonio, e tensioni di cassa evidenti (fido spesso sforato). Dal punto di vista bancario, appare come un soggetto in crisi. Inoltre, dalla Centrale Rischi risulta un debito già segnalato come “inadempienza probabile” presso un’altra banca (per un leasing non pagato regolarmente). La banca attuale, fiutando il rischio, non solo nega il nuovo prestito ma si tutela riducendo l’esposizione.
Cosa fare – piano di azione dell’impresa:
- Comunicare con franchezza con la banca: I soci di XYZ fissano un incontro con i gestori bancari. Spiegano che le perdite sono dovute a investimenti in corso e a un calo congiunturale, ma che hanno ordini in ripresa. Presentano un mini-piano industriale per il 2025 che prevede il ritorno all’utile. Nello stesso tempo, riconoscono la necessità di apporti di capitale: annunciano che i soci sono disposti a effettuare un aumento di capitale di €50.000 e a versarlo immediatamente (in realtà convertono finanziamenti soci già erogati in capitale). Questa mossa migliora subito il patrimonio netto e segnala alla banca che i proprietari ci mettono i propri soldi (skin in the game).
- Richiesta di garanzia pubblica (Fondo PMI): La società ripresenta la richiesta di finanziamento di €100k però proponendo che sia garantito all’80% dal Fondo di Garanzia per le PMI. Per accedervi, allegano la documentazione necessaria (ultimo bilancio, centrale rischi, modulo rating). Il loro score MCC risulta borderline (causa perdite), ma confidano che con la nuova patrimonializzazione e ordini in portafoglio possano ottenere l’ammissione. La banca, vedendo l’impegno dei soci e la potenziale garanzia statale, è più ben disposta ad istruire di nuovo la pratica.
- Valutare alternative di credito speciali: Nel frattempo, XYZ valuta anche strade parallele:
- Factoring delle fatture: per alleviare la cassa, contatta una società di factoring per anticipare i crediti verso alcuni clienti buoni. Una parte (20k su 100k) potrebbe ottenerla così. Il factor inizialmente esita perché nota la tensione finanziaria di XYZ, ma accetta in pro solvendo (quindi con rischio che resta sui soci) a tassi un po’ alti. Ciò comunque dà immediata liquidità.
- Leasing per i macchinari: invece di un finanziamento generico di 100k, valutano di scorporare 50k destinati ai macchinari in un contratto di leasing: il bene stesso farà da garanzia, e in genere le società di leasing sono più propense a finanziare l’acquisto di un bene strumentale (che possono riprendersi) rispetto a dare liquidità pura a chi ha bilanci brutti. Contattano la società di leasing partner della loro banca, che però a causa dei ritardi passati li ha in blacklist. Ne trovano allora un’altra (attraverso un broker) disposta, con un anticipo 10% cash e canoni su 5 anni. Questo coprirebbe l’investimento in macchinari, togliendolo dal fabbisogno.
- Garanzie personali dei soci: i soci (due fratelli) offrono anche fideiussioni personali integrali sul nuovo finanziamento da 50k (quello residuo per liquidità dopo factoring e leasing). Mettono sul piatto un immobile di proprietà come garanzia ipotecaria secondaria. Questo ovviamente li espone, ma è segnale forte di volontà.
- Migliorare il rating gradualmente: Sanno che finché la Centrale Rischi li segnala con sconfinamenti e incagli, qualsiasi richiesta è dura. Dunque si impegnano, grazie ai factoring e ai versamenti soci, a rientrare dagli scoperti e riportare il conto entro i limiti affidati. Chiedono alla banca magari una conversione temporanea del fido a scadenza (che rimanga come prestito fino a fine anno) per avere respiro e chiudere quell’incaglio. La banca apprezza la trasparenza e concede di mantenere l’affidamento (anziché revocarlo subito) a patto di un piano di rientro in 6 mesi.
Epílogo: Combinando gli strumenti, XYZ riduce la richiesta alla banca da 100k a 50k, avendo ottenuto 20k via factoring e spostato 30k su leasing. La banca, con la garanzia pubblica su 80% di quei 50k (quindi rischio effettivo banca 10k) e i soci come garanti reali, alla fine approva il finanziamento. La condizione è che venga usato per ripianare parte dei debiti urgenti (fornitori in arretrato, etc.) e che i soci completino l’aumento capitale. L’azienda tira un sospiro di sollievo e, nei mesi successivi, segue diligentemente il piano: paga puntuale le rate, migliora i bilanci (grazie anche ai nuovi macchinari più efficienti), e la Centrale Rischi nei report di fine anno torna pulita (niente sconfinamenti, segnalazioni incaglio risolte). Nel 2026, con un bilancio in utile, potranno forse negoziare credito su basi più tranquille.
Strategie emerse: per un’impresa rifiutata la parola d’ordine è ristrutturare: capitali freschi dai soci, diversificazione delle fonti (garanzie pubbliche, factoring, leasing, ecc.), dialogo aperto con le banche esistenti per evitare rotture traumatiche. Se si dimostra di affrontare i problemi e non nasconderli, spesso le banche collaborano per trovare soluzioni invece di abbandonare la barca.
Queste simulazioni evidenziano un aspetto chiave: dopo un rifiuto, occorre capire la causa principale e agire specificamente su di essa. Che sia ripulire la CRIF nel caso del privato, ottenere garanzie nel caso del mutuo, o rafforzare il capitale nel caso dell’azienda, la cura deve essere mirata. E non sempre la soluzione è aspettare: a volte bisogna muoversi attivamente, altre volte saper temporeggiare. Nel prossimo paragrafo sistematizzeremo i tempi da attendere prima di ripresentare una richiesta di prestito e le condizioni da soddisfare.
Tempi di attesa e condizioni per ripresentare una richiesta dopo un rifiuto
Quanto conviene aspettare dopo un rifiuto prima di chiedere nuovamente un prestito (alla stessa banca o ad altre)? E cosa bisogna cambiare in quel lasso di tempo per aumentare le chance di successo? Questa sezione fornisce indicazioni generali, tenendo conto di normative e prassi.
- Attendere la “scomparsa” delle tracce nelle banche dati: Come visto, se la domanda è stata rifiutata ed è stata segnalata nel SIC, conviene attendere almeno 90-180 giorni. Entro 90 giorni la notizia del rifiuto/rinuncia viene rimossa; entro 180 giorni vengono rimosse eventuali richieste pendenti. Questo per non dare l’idea ad altri istituti di essere “disperati” alla ricerca di credito. Ad esempio, se in CRIF appare “richiesta di prestito X del 10 marzo” e oggi è 20 aprile, meglio attendere inizio estate prima di rifare domanda altrove, così quella riga non ci sarà più. Nel frattempo, potete lavorare sui motivi strutturali del rifiuto (es. ridurre indebitamento, correggere errori).
- Correggere eventuali errori / aggiornare i dati: Prima di ripresentare istanza, assicuratevi che tutti i dati negativi scorretti siano stati rettificati. Se ad esempio vi era un ritardo segnalato ma in realtà avete una ricevuta di pagamento puntuale, fate correggere al creditore la segnalazione e verificate che nei sistemi risulti pulito. Oppure, se c’era un prestito già estinto ancora segnalato come in corso, fate aggiornare lo status (a volte gli istituti segnalano con ritardo le chiusure). Un altro aspetto: far aggiornare i vostri dati anagrafici o reddituali. Ad esempio, se nel frattempo avete ottenuto un aumento di stipendio o un contratto a tempo indeterminato (prima eravate determinati), questi miglioramenti vanno comunicati e “documentati” alla nuova banca. Potete munirvi di attestazione del datore di lavoro, nuove buste paga, etc.
- Migliorare il proprio profilo finanziario: Dopo un rifiuto, fate un check-up onesto del vostro bilancio familiare o aziendale:
- Per i privati: riducete i debiti esistenti, se possibile. Estinguere anticipatamente un piccolo prestito o abbassare il saldo della carta di credito aiuta il rapporto debiti/reddito. Evitate di fare nuovi acquisti rateali se pianificate di chiedere un prestito grosso (es. non aprite un finanziamento per la TV a 10 mesi se a breve volete chiedere un mutuo: accumulate solo segnali negativi). Create uno storico di qualche mese di risparmi accantonati sul conto – così potete mostrare di saper gestire la rata futura. Se il reddito è l’ostacolo, valutate di incrementarlo (es. un secondo lavoro se possibile, o far risultare nel nucleo anche il reddito del coniuge per un prestito cointestato).
- Per le imprese: risanate gli indicatori chiave. Dopo un rifiuto per ragioni di bilancio, bisogna lavorare su: abbassare il leverage (riducendo costi e debiti, o aumentando equity), migliorare la liquidità (recupero crediti, smaltimento magazzino), aumentare l’EBITDA (taglio spese inutili, aumenti di prezzo se fattibile). Anche dimostrare di aver affrontato i nodi organizzativi (es. riduzione personale se c’erano esuberi) può convincere le banche che l’azienda è su un percorso virtuoso. Spesso occorre almeno un nuovo bilancio annuale migliore per far cambiare idea alle banche: se avevate due anni di perdite, presentare un bilancio in utile (magari assieme a un piano previsionale asseverato) può richiedere 6-12 mesi, ma è determinante.
- Cambiare o aggiungere garanzie: Se la prima richiesta è stata respinta perché la banca la riteneva poco garantita, non attendete passivamente: cercate un garante affidabile e disponibile (un parente, un socio più solido) e predisponete con lui l’impegno a firmare. Oppure predisponete garanzie reali: ad esempio, se avete un immobile libero da ipoteche, considerate di offrirlo in garanzia ipotecaria per il nuovo prestito (attenzione a non ipotecare la prima casa per debiti di consumo – ma per operazioni di impresa può valere). Se il problema era la mancanza di un’assicurazione (per mutui over 80% LTV spesso chiedono polizza fideiussoria), valutate di acquistarne una così da fornire quell’extra comfort. Anche cambiare il tipo di credito può servire: se un mutuo chirografario è negato, provate con un mutuo ipotecario sulla sede aziendale; se un prestito auto è rifiutato, provate un leasing auto, ecc. Adattare la richiesta allo strumento più garantito aumenta le chance.
- Presentarsi con importo e condizioni aggiustate: Raramente ha senso ripresentare la stessa identica richiesta poco dopo: è preferibile modificarla. Ad esempio, ridurre l’importo chiesto (anche solo del 10-20%) per mostrare che vi accontentate di meno e metterete del vostro. Oppure offrire un piano di rimborso più breve per far vedere che volete finire prima (questo però aumenta la rata – occhio al rapporto reddito). O al contrario, se il problema era la rata alta, allungare la durata per abbassarla. Dovete far sì che la nuova domanda abbia almeno un parametro chiave migliorativo rispetto alla vecchia (importo, durata, tasso se variato il mercato, garanzie allegate, coobbligati, ecc.). Così chi la valuta percepisce un cambiamento concreto.
- Considerare di cambiare istituto (ma con parsimonia): Se la prima banca ha detto no, un’altra potrebbe dire sì – ma come detto non bisogna fare shopping aggressivo. Meglio una banca per volta, mirata. Informatevi (anche tramite un mediatore creditizio se il caso) su quali istituti sono più flessibili su quel prodotto. Ad esempio, per mutui ad alto LTV sappiamo che alcune banche fanno convenzioni Consap, altre no. Per prestiti a protestati, c’è magari solo la via di finanziarie specializzate. Quindi focalizzate la prossima domanda verso un soggetto che abbia politiche compatibili col vostro profilo, e preparate la pratica al meglio (come se fosse un colloquio di lavoro dopo un fallimento precedente: serve un CV aggiornato e lettera motivazionale!). Non riferite male del precedente istituto (“la banca X non mi ha capito”), ma concentratevi sui vostri punti di forza attuali.
- Tempi tipici di “riabilitazione”:
- Dopo un rifiuto per segnalazione CRIF di ritardo pagato, aspettare almeno il decorso di 12 mesi dalla regolarizzazione se possibile, così la segnalazione sparisce. Se non si può attendere tanto, almeno finché risulta “pagato” e non “non pagato”.
- Dopo un rifiuto per troppi debiti in corso, potete riprovare non appena ne estinguete uno e ciò risulta nei sistemi (di solito un mese dopo l’estinzione, appare update “chiuso”). Quindi anche 2-3 mesi dopo, allegando la prova di aver ridotto i debiti.
- Dopo un rifiuto per motivi di reddito insufficiente, qui il tempo dipende da quando il reddito può cambiare: a volte mai nel breve, quindi l’alternativa è aggiungere un coobbligato con reddito (che è un cambiamento immediato) invece di attendere aumenti di stipendio che richiedono anni.
- Dopo un rifiuto per motivi formali/documentali, come ad esempio documenti mancanti o dubbi sull’identità: questo si risolve appena forniti i documenti corretti. Non c’è da attendere, bensì da integrare e ripresentare subito. Ad esempio, se la banca ha rifiutato perché ha scoperto residenza non aggiornata, basta aggiornare la carta d’identità e riprovare subito.
- Dopo un rifiuto per assetti societari poco chiari (nel caso di imprese): se il problema era che c’era un socio occulto o non veniva identificato il titolare effettivo, basta regolarizzare quell’aspetto (comunicare i dati completi, o modificare la compagine per eliminare figure problematiche) e ridomandare appena fatto. Attenzione: se il rifiuto era perché il socio aveva precedenti penali/antiriciclaggio, la banca difficilmente cambierà idea se quel socio rimane – in tal caso l’unica opzione è attendere la sua uscita dalla società o ottenere un nulla osta particolare (difficile). A volte aziende cambiano addirittura denominazione e struttura per “ripulirsi” ai fini creditizi, ma è estrema ratio.
- Dialogo post-rifiuto: Non esitate a chiedere alla banca il da farsi: “Cosa dovrei fare perché la mia richiesta possa essere accolta in futuro?”. Spesso otterrete indicazioni utili. Ad esempio, vi potrebbero dire: “Servirebbe abbassare la richiesta a 10k e avere un garante” oppure “Se portasse l’ISEE sotto 40k potremmo applicare la garanzia prima casa” ecc. Sono indizi preziosi su cui lavorare. Inoltre, mostra umiltà e volontà di migliorare, atteggiamento che aiuta nel rapporto.
In sintesi, il tempismo dipende dalla natura del problema: se è di segnalazioni, è il calendario dei SIC a dettare i tempi; se è di bilancio, il ritmo annuale di chiusura conti e risultati; se è di garanzie, anche subito trovandole; se è di reddito, a volte mai (qui servono strategie alternative come coobbligati, importi minori, etc.).
Una regola generale di buonsenso è: non ripresentare la stessa richiesta nelle stesse condizioni sperando in esito diverso. Qualcosa deve cambiare – se non potete cambiare voi (più soldi, più reddito), cambiate la richiesta (meno importo, più garanzie, tempi diversi) o cambiate l’interlocutore (altra banca con criteri differenti).
Di seguito, nelle tabelle riepilogative, riassumeremo alcuni di questi concetti, fornendo una panoramica schematica dei criteri bancari di valutazione, dei tempi di permanenza dei dati nelle centrali rischi e degli obblighi informativi in capo agli intermediari.
Tabelle riepilogative
Per facilitare la consultazione, presentiamo alcune tabelle di sintesi riguardanti:
- i principali criteri di valutazione del merito creditizio adottati da banche/finanziarie per privati e imprese;
- i tempi di aggiornamento e cancellazione delle informazioni negative nelle banche dati creditizie (già dettagliati sopra, qui riassunti per categorie chiave);
- gli obblighi informativi e di trasparenza più rilevanti previsti dalla normativa a tutela del richiedente credito.
Criteri bancari di valutazione del merito creditizio (privati vs imprese)
Criterio | Per clientela privata (consumatori) | Per clientela business (imprese) |
---|---|---|
Reddito e capacità di rimborso | Reddito netto mensile e stabilità lavorativa. Si valuta il Debt-to-Income: spesso la rata massima sostenibile ≈ 30-35% del reddito netto familiare. Si considerano anche entrate aggiuntive (es. affitti). Contratti di lavoro stabili (tempo indeterminato, pensione) danno punteggio migliore rispetto a contratti a termine o autonomi con redditi variabili. | Fatturato e flussi di cassa disponibili. Si analizzano margini (EBITDA) e indici di copertura del debito (DSCR – Debt Service Coverage Ratio). Utile operativo sufficiente a coprire gli oneri finanziari? Si verifica se l’impresa genera cash flow adeguato al servizio del nuovo debito richiesto (stress test su piani finanziari). |
Indebitamento pregresso | Numero e ammontare di altri finanziamenti in corso (mutui, prestiti, carte revolving). Un elevato indebitamento relativo al reddito riduce la capacità di sostenere nuove rate. Si calcola il credit score anche in base alla “utilizzazione del credito” (es. se ha molte linee disponibili già sfruttate). | Posizione finanziaria netta (PFN) dell’azienda e leverage (rapporto debiti finanziari/patrimonio netto). Banche calcolano l’esposizione complessiva verso sistema (dati Centrale Rischi) e indicatori come PFN/EBITDA. Un leverage troppo elevato o poco capitale proprio rispetto ai debiti è visto negativamente (under-capitalization). Anche impegni fuori bilancio (es. garanzie prestate) possono contare. |
Storico creditizio | Presenza di negative records nei SIC: ritardi nei pagamenti, sofferenze passate, eventuali pignoramenti/protesti. Una storia pulita aumenta il merito, una storia con problemi recenti lo riduce drasticamente. Anche l’anzianità creditizia conta: chi non ha mai avuto prestiti può avere punteggio neutro o leggermente inferiore a chi ha avuto e rimborsato bene (perché manca evidenza di comportamento). | Track record dell’impresa e dei suoi esponenti. Si esaminano segnalazioni in Centrale Rischi (sconfinamenti, ristrutturazioni, sofferenze). Un’azienda “incagliata” o con ritardi verso fornitori/erario subisce penalizzazioni. Importante la reputazione dei key managers: se amministratori o soci hanno storici fallimenti o insolvenze personali, incide negativamente (spesso emerge da banche dati protesti, pregiudizievoli). Viceversa, un’azienda con anni di relazioni bancarie corrette gode di fiducia. |
Garanzie offerte | Per prestiti personali normalmente non vi sono garanzie reali, ma può essere richiesto un garante persona fisica con buon reddito/patrimonio (es. un genitore che firma). Per mutui ipotecari, l’immobile offerto in ipoteca è cruciale: si valuta il Loan-to-Value (rapporto importo mutuo/valore immobile); LTV bassi (≤ 80%) sono preferiti. Richieste di mutuo con LTV >80-90% richiedono garanzie aggiuntive (Fondo statale, fideiussioni). Anche polizze assicurative (vita, scoppio) sono talora obbligatorie e fungono da garanzia indiretta. | Garanzie reali: ipoteche su immobili aziendali o pegno su macchinari, merci, crediti (es. mandato all’incasso su crediti ceduti). Garanzie personali: fideiussioni dei soci o di terzi, lettere di patronage del gruppo di appartenenza. Garanzie pubbliche: presenza di Confidi o garanzia MCC (Mediocredito Centrale) all’80%. Più la proposta di finanziamento è garantita, più facile l’approvazione, specie se il merito di credito “stand-alone” dell’azienda è debole. |
Settore e contesto | – (Il settore economico incide tipicamente sulle imprese. Per i privati, al più si considera se il datore di lavoro è pubblico vs privato – i dipendenti pubblici sono ritenuti più sicuri – o se l’attività lavorativa è in un settore in crisi, ma è un impatto indiretto.) | Settore di attività: banche hanno liste interne di settori a rischio (es. edilizia, ristorazione) vs settori stabili (farmaceutico, utility). Un’impresa in un settore volatile potrebbe ricevere rating peggiori. Concorrenza e posizione di mercato: a volte valutata per grandi fidi (ad es. se l’azienda è leader di mercato o un piccolo player). Andamento macro: crisi generali (es. pandemia, guerra) possono far restringere il credito soprattutto a certi comparti (turismo, export verso certe aree). |
Documentazione e trasparenza | Completezza e veridicità dei documenti forniti: buste paga autentiche, CUD/730, certificati (stato di famiglia, residenza). Qualsiasi discostamento o sospetto (es. dichiarazione dei redditi incoerente con stile di vita) può portare a rifiuto. Importante la collaborazione: fornire prontamente tutto ciò che viene richiesto in fase istruttoria. | Bilanci depositati chiari e veritieri (occhio a bilanci con indicatori distorti artificiosamente, le banche li analizzano nel dettaglio e possono chiedere situazione contabile aggiornata). Informazioni sul business: business plan per nuovi progetti, elenco clienti/fornitori principali se pertinente. Trasparenza verso la banca: comunicare situazioni di difficoltà apertamente è preferibile a farle scoprire (es. segnalare volontariamente contenziosi in corso, piuttosto che farli emergere dalla Centrale Rischi a sorpresa). |
Altri fattori di scoring | Stabilità abitativa: da quanto tempo risiede allo stesso indirizzo (lunghi periodi positivi). Composizione familiare: avere carichi familiari (figli a carico) incide sul reddito disponibile e a volte nei modelli di scoring riduce il punteggio, mentre vivere con i genitori o casa di proprietà può aumentarlo leggermente. Età: troppo giovani (< 18 non finanziabili; 18-25 punteggi cautelativi per inesperienza creditizia) o troppo anziani (oltre 75 al termine del piano, problemi assicurativi). | Dimensione aziendale: imprese più grandi e strutturate ottengono più facilmente credito (più dati disponibili, più resilienza); microimprese e ditte individuali sono valutate quasi come privati (spesso si guarda anche al merito creditizio dell’imprenditore stesso). Governance: aziende con governance caotica (continui cambi amministratori, soci di dubbia provenienza) preoccupano il creditore. ESG: emergente, ma alcune banche valutano positivamente aziende con rating ESG buoni o settori “verdi” per politiche interne di investimento sostenibile. |
Tempi di persistenza delle segnalazioni negative nelle banche dati creditizie
(Estratto principale dal Codice Deontologico SIC e disposizioni Banca d’Italia; per dettagli vedere sezione dedicata)
Tipo di segnalazione negativa | Durata nei SIC privati (CRIF, Experian, etc.) | Durata nei registri pubblici (Centrale Rischi Bankit) |
---|---|---|
Richiesta di finanziamento rifiutata | ~3 mesi (90 giorni) dalla data di aggiornamento con esito di rifiuto. | Non registrata in Centrale Rischi (CR riporta solo crediti concessi ≥ soglia). |
Ritardo pagamento 1-2 rate poi sanato | 12 mesi dalla data della regolarizzazione (se nel frattempo nessun altro ritardo). | Non c’è segnalazione specifica in CR per 1-2 rate scadute. Tuttavia, se il rapporto è classificato “scaduto” oltre soglia (in CR soglie di €250 per crediti scaduti da ≥90 giorni), apparirà come “Crediti scaduti” finché non regolarizzato. Una volta regolarizzato, scompare dalle segnalazioni correnti, resta solo nella storia 36 mesi. |
Ritardo pagamento ≥3 rate poi sanato | 24 mesi dalla regolarizzazione (se nel frattempo nessun altro ritardo). | Simile al caso sopra: CR evidenzia crediti “scaduti e/o sconfinanti” se superano soglie (in genere 90 giorni di mora). Dopo pagamento, la posizione torna regolare, i dati storici rimangono consultabili fino a 36 mesi. |
Sofferenza (o grave inadempimento) non sanata | 36 mesi dall’ultimo aggiornamento o dalla data di scadenza contratto, massimo 60 mesi dalla chiusura del rapporto. (Quindi ~3 anni se mai sanata; max 5 anni) | Rimane registrata in Centrale Rischi finché la banca segnala sofferenza (anche per molti anni). Dopo eventuale chiusura a perdita o cessione credito, la segnalazione può cessare. La CR conserva comunque i dati storici: una sofferenza poi chiusa rimarrà visibile negli ultimi 36 mesi storici dei report standard. Per rimuovere prima, unica via: banca revoca segnalazione perché errore o rimborso integrale (passando a “regolarizzato”). |
Protesto di assegno o cambiale | – (I SIC creditizi privati solitamente non includono protesti; questi sono in registri camerali pubblici per 5 anni, salvo riabilitazione). | Registro informatico protesti: 5 anni salvo cancellazione/riabilitazione (Tribunale). Banche consultano spesso tali registri: protesto recente è causa di rifiuto. Dopo riabilitazione (dopo 1 anno pagando tutto) il protesto viene cancellato e non dovrebbe più essere considerato. |
Precedente fallimento/insolvenza del soggetto | – (dati su procedure concorsuali non sono nei SIC tipo CRIF, ma in banche dati pubbliche es. Cerved, Camera di Commercio). | CR pubblica non registra “fallimento” ma se un soggetto fallisce, i crediti verso di lui passano a sofferenza e appaiono tali. Informazioni su fallimenti restano nei registri imprese per sempre (storico) ma l’effetto reputazionale diminuisce col tempo (>5-10 anni). Alcune banche interne mantengono “memory” di clienti falliti anche dopo molti anni e li escludono a priori. |
Dati positivi (credito rimborsato regolarmente) | 36 mesi (3 anni) dalla chiusura per info positive nei SIC (alcuni li conservano fino a 5 anni). | Centrale Rischi: dati di rapporti regolari restano nelle segnalazioni mensili finché attivi; una volta cessati, compaiono nel storico fino a 36 mesi. (Ad es., mutuo estinto appare con importo utilizzato =0 per 36 mesi poi non più). |
Nota: Le tempistiche indicate per i SIC privati sono riferite al Codice di condotta attuale. Eventuali futuri regolamenti (es. regolamento UE in discussione) potrebbero uniformare o cambiare tali durate. Ad oggi (2025) quelle sopra sono le prassi vigenti. La Centrale Rischi di Bankitalia non ha un “tempo di conservazione fisso” per negatività: una sofferenza può essere segnalata anche a distanza di molti anni finché non si chiude la posizione. Dal lato del cliente, dopo 36 mesi dalla chiusura di una sofferenza, si può sperare che nelle visure standard CR quella non compaia più (anche se rimane negli archivi storici).
Obblighi informativi e di trasparenza nei confronti del cliente richiedente credito
Obbligo/Norma | Descrizione e riferimento |
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Valutazione del merito creditizio (art. 124-bis TUB) | Prima di concedere un credito ai consumatori, il finanziatore deve valutare la solvibilità del richiedente, sulla base delle info fornite da quest’ultimo e consultando, se necessario, banche dati. Divieto di concessione irresponsabile: il creditore non dovrebbe concedere se risulta che il consumatore probabilmente non potrà adempiere. (Norma di recepimento Dir. 2008/48/CE, art. 8). Per i mutui immobiliari ai consumatori, analogo obbligo (art. 120-quinquies TUB da Dir. 2014/17/UE). Conseguenza: contratto comunque valido, ma sanzioni e possibili responsabilità se violato. |
Informazioni precontrattuali chiare (art. 115 TUB e segg.; Trasparenza Bancaria) | L’intermediario deve fornire al cliente, prima della conclusione, un set di informazioni su condizioni economiche, costi, tassi, ecc. Per i consumatori: Modulo IEBCC per credito al consumo; Prospetto ESIS per mutui casa. Deve altresì fornire copia completa del contratto prima della firma. Obiettivo: il cliente deve poter comparare offerte e comprendere l’impegno. Violazioni: sanzioni amministrative da Banca d’Italia e nullità/inefficacia di clausole non trasparenti (es. costi non comunicati). |
Obbligo di motivare il rifiuto (derivato da ABF, norme trasparenza) | Non esiste un articolo di legge che dica testualmente “banca motiva il diniego”, ma l’orientamento consolidato (ABF dec. coord. 6182/2013, Provv. Bankitalia Trasparenza 2009) impone di fornire al cliente su richiesta “informazioni circa le principali ragioni” del mancato accoglimento. Inoltre, se il rifiuto è basato su dati di un SIC, vige l’obbligo UE di informarne il cliente immediatamente. In pratica: la comunicazione di rifiuto deve contenere o essere seguita da un’indicazione generale del motivo (es. “merito creditizio insufficiente: reddito limitato e altri finanziamenti in corso” oppure “informazioni negative in banca dati XXX”). Se il cliente non riceve nulla, può esigere spiegazioni invocando queste regole. |
Consultazione banche dati e obbligo di avviso (art. 125 comma 3 TUB, art. 9 Dir. 2008/48/CE) | Se la decisione di rifiuto si basa su una banca dati (credit bureau), il finanziatore deve informare il consumatore del risultato di tale consultazione e degli estremi della banca dati consultata. Ciò tipicamente avviene nella lettera di rifiuto: “La informiamo di aver consultato il SIC di CRIF dal quale sono emerse segnalazioni negative alla data del …”. È un diritto gratuito del consumatore, legato anche al GDPR (trattamento dati). |
Preavviso prima di segnalazione negativa (Provv. Garante Privacy 16/11/2004 e Codice SIC) | Almeno 15 giorni prima di segnalare un primo ritardo serio nei pagamenti a un SIC privato, l’ente deve avvisare il cliente (preavviso scritto). Questo consente al cliente di evitare la segnalazione pagando subito o contestando se errore. Se l’intermediario omette il preavviso, la segnalazione è considerata illegittima e va rimossa; il cliente può chiedere danni (ABF e Cass. confermano). Nella Centrale Rischi pubblica, per la segnalazione a sofferenza è previsto che la banca valuti e spesso invii comunicazione (non c’è norma ad hoc, ma buona prassi e alcune sentenze la richiedono come corollario di buona fede). |
Forma scritta e consegna contratto (art. 117 TUB) | I contratti di finanziamento devono essere redatti per iscritto e una copia deve essere consegnata al cliente. Clausole costi e tassi devono essere specificate. La mancata forma scritta (salvo contratti di credito al consumo <€200) comporta nullità relativa (solo il cliente può farla valere) e conversione del contratto in gratuito (art. 117 co. 7 TUB). Questo obbligo indirettamente tutela nella fase conclusiva: se la banca inizialmente diceva sì ma poi non stipula nulla di scritto, il cliente non può pretenderlo, ma se firma qualcosa, quel qualcosa deve rispettare trasparenza o è impugnabile. |
Obblighi antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007, art. 41-42) | Il cliente deve fornire tutte le informazioni e documenti necessari per l’Adeguata Verifica (identità, titolare effettivo, scopo operazione, provenienza fondi). Se non lo fa o se i dati risultano inattendibili, la banca deve astenersi dall’instaurare il rapporto. Inoltre, se emergono sospetti di riciclaggio, la banca può rifiutare l’operazione e deve valutare una Segnalazione di Operazione Sospetta (art.35). Quindi il cliente è tenuto a collaborare pena il legittimo rifiuto. La banca deve informare il cliente di tale obbligo legale (es. modulistica antiriciclaggio in apertura rapporto). |
Diritto di recesso/estinzione anticipata (art. 125-sexies TUB, art. 120-ter TUB) | Il cliente ha diritto, nei contratti di credito, di rimborsare anticipatamente il debito, ottenendo la riduzione di interessi e costi per la durata residua. Nei prestiti ai consumatori non possono essere imposte penali oltre l’1%. L’intermediario deve comunicare chiaramente questa facoltà. Inoltre, per i contratti a tempo indeterminato (fidi, carte), il cliente può recedere senza spese in qualunque momento. Questo non riguarda direttamente il rifiuto, ma fa parte delle tutele: se un cliente ottiene un prestito e poi trova condizioni migliori altrove (magari dopo un rifiuto iniziale migliorandosi), può trasferirsi (surroga mutuo senza costi, ad esempio). |
Le tabelle sopra offrono un compendio rapido. In pratica, chi richiede credito dovrebbe provare a “pensare come una banca” riguardo ai criteri, e le banche dovrebbero rigorosamente rispettare le regole di informazione e correttezza. Con queste conoscenze, affrontiamo ora le domande frequenti (FAQ) che riassumono e chiariscono ulteriormente i dubbi più comuni su prestiti rifiutati e nuove richieste.
FAQ – Domande e risposte sul prestito negato e nuove richieste
Domanda: Perché la banca mi ha rifiutato un prestito nonostante io abbia un reddito stabile?
Risposta: Un reddito stabile è un punto a favore, ma la banca guarda anche quanto è elevato quel reddito rispetto alla rata richiesta e che impegni finanziari hai già. Potresti avere un reddito considerato insufficiente per l’importo di prestito richiesto (es. chiedevi una rata troppo alta in rapporto al tuo stipendio) oppure potresti avere altri debiti in corso che, sommati, saturano la tua capacità di rimborso. Inoltre valutano la storia creditizia: se in passato hai avuto ritardi o problemi nei pagamenti, ciò pesa negativamente anche se attualmente guadagni bene. In sintesi, il reddito stabile è necessario ma potrebbe non essere sufficiente: la banca rifiuta se il profilo complessivo di rischio (reddito, indebitamento totale, storico, garanzie) non rientra nelle sue soglie interne.
Domanda: Posso sapere esattamente il motivo per cui la mia richiesta di prestito è stata respinta? La banca è obbligata a dirmelo?
Risposta: Sì, hai diritto a delle spiegazioni generali. Per legge (art. 125 TUB e normativa UE) se il diniego è basato su informazioni di una banca dati, devono comunicartelo (es: “Abbiamo rifiutato perché risultano segnalazioni negative in CRIF”). Inoltre, per principio di trasparenza, l’intermediario deve indicare le principali ragioni del rifiuto. Non è tenuto a fornirti tutti i dettagli del suo algoritmo di scoring, ma una motivazione di massima sì. Ad esempio, può citare “merito creditizio insufficiente per reddito basso” oppure “incompatibilità con nostra politica per numero di finanziamenti attivi”. Se non ti hanno detto nulla, inviagli una richiesta scritta di chiarimenti (richiamando la normativa sulla trasparenza e le decisioni ABF): spesso a seguito di ciò rispondono in modo utile.
Domanda: Un rifiuto di prestito viene registrato da qualche parte e le altre banche possono vederlo?
Risposta: Sì, nei sistemi di informazione creditizia privati (es. CRIF) rimane traccia per alcuni mesi del fatto che hai presentato una richiesta di finanziamento e che questa non si è conclusa positivamente. Le altre banche, consultando il SIC, possono vedere ad esempio “Richiesta di prestito del 10/04/2025 – ESITO: rifiutato” (o a volte solo che c’è stata la richiesta, senza esito). Questo può influire sulle loro decisioni, perché molte richieste o recenti rifiuti possono farle insospettire. La traccia però non è permanente: come detto, entro 90 giorni dall’aggiornamento a “rifiutato” quella segnalazione viene rimossa. Quindi, a distanza di qualche mese, le nuove banche non vedranno più il rifiuto precedente. Importante: la Centrale Rischi pubblica di Banca d’Italia non registra le richieste rifiutate, quindi il “no” resta confinato ai SIC privati per breve periodo.
Domanda: Ho scoperto che il rifiuto è dovuto a un errore (risultavo cattivo pagatore per un debito già pagato). Cosa posso fare?
Risposta: In questo caso dovresti attivarti su due fronti: correggere l’errore e far rivalutare la tua pratica. Per correggere: contatta immediatamente la banca/finanziaria che ha segnalato erroneamente il tuo stato e chiedi una rettifica (fornisci prove del pagamento effettuato). In parallelo, informa il gestore della banca che ti ha rifiutato che c’è un errore in corso di correzione, magari mostrando le ricevute di pagamento o la lettera di liberatoria. Una volta che l’errore è corretto nei sistemi (CRIF & co. hanno procedure d’urgenza per rettificare dati inesatti, di solito entro 15 giorni dalla segnalazione dell’errore), chiedi formalmente alla banca di rivalutare la tua richiesta alla luce dei dati aggiornati. Se nel frattempo è passato del tempo, valutano volentieri senza l’ombra negativa. Se fanno resistenza, puoi considerare un ricorso all’Arbitro Bancario (per il danno da rifiuto basato su informazione scorretta non per colpa tua), ma spesso basta dialogo e il nuovo “semaforo verde” nella banca dati per farli decidere positivamente.
Domanda: Quanto tempo devo aspettare prima di chiedere di nuovo un prestito dopo che me l’hanno rifiutato?
Risposta: Non c’è un obbligo fisso, ma conviene aspettare almeno qualche mese (in genere 3-6 mesi) prima di riprovarci, a meno che tu abbia risolto immediatamente il motivo del rifiuto. Dando un intervallo di almeno 3 mesi permetti alle eventuali segnalazioni di richiesta rifiutata di sparire dai database e puoi nel frattempo migliorare il tuo profilo (es. pagare qualche debito, risparmiare un po’ di soldi, correggere errori nella documentazione). Se il rifiuto era legato a un problema di storico creditizio (es. un ritardo recente), meglio attendere almeno il decorso dell’anno di “riabilitazione” (i piccoli ritardi si dissolvono dopo 12 mesi). Se era per reddito insufficiente, aspettare da solo non cambia niente finché il reddito non aumenta o togli impegni. Quindi quell’attesa va usata per apportare modifiche: ad esempio riduci l’importo richiesto o trova un garante. Ci sono casi in cui potresti riprovare subito: esempio, prestito rifiutato perché mancava un documento di reddito – fornisci il documento mancante e la finanziaria può rivalutarlo anche il giorno dopo. In situazioni normali però, un cooling-off period di almeno 90 giorni è consigliato per ripresentarsi con condizioni migliorative tangibili.
Domanda: È vero che dopo un rifiuto devo aspettare 6 mesi perché “la segnalazione da cattivo pagatore dura 6 mesi”?
Risposta: Dipende da che segnalazione parliamo. Se ti riferisci al fatto stesso di aver chiesto ed essere stato rifiutato, come detto quell’informazione è conservata 90 giorni (3 mesi), non 6, nei SIC. Se invece il rifiuto derivava da una segnalazione di morosità (tipo un ritardo nei pagamenti), la durata della segnalazione dipende dalla gravità: un paio di rate pagate in ritardo restano 12 mesi, ritardi più lunghi 24, sofferenze 36 o più. Spesso nel gergo comune si dice “sei un cattivo pagatore per 24 mesi” etc. Comunque 6 mesi non è una regola fissa, è una semplificazione che a volte usano le banche (es: “torni fra 6 mesi e riprovi”), giusto per dare tempo alle cose di cambiare un po’. Quindi, non prendere “6 mesi” come una legge – valuta il tuo caso specifico. Se dopo 3-4 mesi hai già sistemato gli aspetti negativi e il contesto non è mutato in peggio, puoi riprovare, magari in un altro istituto.
Domanda: Mi hanno proposto di aggiungere un garante o coobbligato. Questo farà approvare il prestito?
Risposta: Aggiungere un garante (es. un genitore, il coniuge, un amico fidato) spesso migliora in modo determinante la fattibilità, ma non è automatico al 100%. Dipende anche dal profilo del garante: deve avere un reddito/patrimonio solido e un buon storico creditizio. Se il garante è a sua volta indebitato o ha segnalazioni negative, non aiuta molto. Invece un garante con ottimo merito di credito può far sì che la banca – che prima era incerta su di te – dia l’ok perché ha un secondo nome su cui rivalersi. Importante: il garante diventa responsabile del tuo debito se tu non paghi, quindi è un impegno serio. Alcune banche, pur col garante, vogliono che comunque il richiedente principale abbia un minimo di capacità. Ma in tante situazioni reali l’intervento di un garante è ciò che sblocca la delibera (specialmente per mutui giovani coppie, prestiti a chi ha contratto da poco, ecc.). Quindi se la banca te lo suggerisce, è segno che con quella aggiunta sarebbero propensi a concedere. Assicurati solo di scegliere un garante valido e informalo bene dei rischi.
Domanda: La banca mi ha detto “provi a chiedere meno soldi”. Un importo più basso può cambiare l’esito?
Risposta: Sì, ridurre l’importo richiesto può migliorare le probabilità. Ciò comporta una rata più bassa (se la durata resta uguale), quindi magari il tuo reddito diventa sufficiente a coprirla secondo i parametri. Oppure diminuisce il Loan-to-Value (nel caso di mutuo) rendendo l’operazione meno rischiosa. Certo, l’importo deve comunque servirti allo scopo necessario; ma a volte si chiede un po’ “di più per star larghi” e questo innesca il no, mentre limando l’eccesso può diventare un sì. Esempio: avevi chiesto 30k ma con 25k potresti farcela comunque – quei 5k in meno riducono la rata di ~50€ e magari ti portano sotto la soglia di indebitamento. Le banche apprezzano il segnale che riconosci il tuo limite e ti adegui. Quindi se ti suggeriscono un taglio, considera seriamente di ridurre l’importo o, nel caso di mutuo, aggiungere più anticipo di tasca tua.
Domanda: Mi hanno rifiutato un mutuo perché lavoro a tempo determinato. Posso fare qualcosa o devo rinunciare finché non ho il tempo indeterminato?
Risposta: Non devi per forza rinunciare del tutto. Alcune strade possibili: 1) Aggiungere un cointestatario o garante che abbia contratto a tempo indeterminato (es. il tuo partner se ce l’ha, o un genitore). La banca valuterà il reddito combinato e la stabilità del garante. 2) Usare garanzie statali: se sei under 36, il Fondo Prima Casa può aiutare (anche i lavoratori atipici ne beneficiano). 3) Dimostrare continuità: se sei determinato ma da più anni rinnovi sempre con lo stesso datore, porta prove (contratti precedenti, lettera del datore su prospettive di rinnovo) per dare comfort. 4) Aumentare anticipo/ridurre importo così la banca rischia meno. Va detto, molte banche per i mutui richiedono almeno uno degli intestatari a tempo indeterminato, quindi se nella tua famiglia nessuno ha quel requisito, può essere dura con i canali tradizionali. In tal caso, si può valutare un finanziamento con la cessione del quinto (se sei dipendente pubblico con TD potresti ottenere un quinto limitato alla durata del contratto) o rivolgerti a banche che abbiano convenzioni con il tuo tipo di contratto (ad es. alcuni istituti finanziavano a tempo determinato se l’azienda è primaria e c’è garanzia Fondo). Spesso però la via più pratica è trovare un co-mutuatario stabile.
Domanda: La banca può cambiare idea dopo aver rifiutato, se miglioro certe cose? O i loro sistemi mi bloccano per sempre?
Risposta: La banca può certamente rivalutare una posizione se cambiano le condizioni. Non esiste una blacklist “per sempre” per un rifiuto (a meno di casi estremi tipo frodi tentate). Quindi se ad esempio 6 mesi fa ti ha detto no, ma ora ti presenti con uno scenario diverso (meno debiti, più stipendio, garante, ecc.), la pratica viene trattata come nuova e può avere esito diverso. Nella stessa banca, ovviamente, registrano lo storico, ma non è che se hai avuto un no allora non vedono l’ora di rifilarti un altro no – anzi, spesso i gestori vendite sono contenti se riesci a colmare le lacune e possono farti cliente. Un consiglio: magari parla con la persona che seguì la pratica precedente e chiedi onestamente cosa migliorare. Così, quando ripresenti domanda, puoi far notare in cover letter: “Da scorso tentativo ho seguito i suggerimenti: chiuso il finanziamento X, ho messo garante, ecc.”. Dimostra attenzione e determinazione. Quindi, sì la banca può cambiare esito; inoltre, puoi sempre provare con banche diverse come detto. Ogni istituto ha logiche proprie, il rifiuto di uno non implica rifiuto universale.
Domanda: Se la mia richiesta viene rifiutata dall’ABF (Arbitro Bancario) o dal giudice, la banca sarà costretta a concedermi il prestito?
Risposta: No, fai attenzione: né l’ABF né un giudice possono obbligare una banca a erogare un prestito. Quello che possono fare è sanzionare comportamenti scorretti attorno al rifiuto. Ad esempio, l’ABF può ordinare alla banca di rimborsarti le spese di istruttoria se non ti hanno motivato il diniego, o di correggere una segnalazione errata, o risarcirti un danno se hai perso opportunità per colpa loro. Ma non possono dire “erogate quel finanziamento al cliente”. Allo stesso modo, il giudice in tribunale, se fai causa, può condannare la banca a risarcirti per responsabilità precontrattuale (se dimostri che ti avevano illuso), ma non può concludere il contratto forzatamente. Il credito infatti è libero esercizio contrattuale. Quindi i ricorsi servono per ottenere giustizia su eventuali violazioni di diritti (trasparenza, privacy, ecc.) o risarcimenti, ma non per farti avere il prestito negato. Piuttosto, un esito positivo in ABF (es. ABF dichiara che la banca ha sbagliato a segnalarti) può spingere la banca, per buon senso commerciale, a riconsiderare la concessione sapendo di aver fatto torto. Ma non è garantito.
Domanda: Come incide un prestito rifiutato sul mio “credit score”?
Risposta: Un prestito rifiutato in sé non ha un punteggio, ma lascia come detto una traccia temporanea nelle banche dati. Avere molte richieste rifiutate in un periodo breve può peggiorare il tuo credit score perché vieni visto come potenzialmente in difficoltà o respinto altrove. I sistemi di scoring tengono conto di quante richieste di credito hai fatto di recente: troppe richieste = profilo affamato di credito = rischio più alto. Quindi indirettamente un rifiuto (che implica una richiesta in più registrata) può abbassare il punteggio nel breve termine. D’altra parte, col tempo l’impatto svanisce. I punteggi fai-da-te (tipo quelli di Experian per consumatori) possono scendere qualche punto dopo un rifiuto, ma poi risalire. La cosa peggiore per il tuo score sarebbe accumulare segnalazioni negative reali (ritardi, insoluti); un rifiuto è un’inezia al confronto, ha effetti circoscritti e temporanei. Quindi non preoccuparti troppo del “credit score” dopo un singolo no – preoccupati di non collezionare più no uno dietro l’altro e di mantenere pulita la tua condotta creditizia.
Domanda: Meglio chiedere a più banche contemporaneamente per aumentare chance, o una alla volta?
Risposta: Dal punto di vista del cliente, uno potrebbe pensare “se chiedo a 3 banche, magari una dice sì”. Ma dal punto di vista del sistema creditizio, come dicevamo, troppe richieste insieme ti danneggiano. L’ideale è fare una sorta di “shopping sequenziale consapevole”: inizia dalla banca dove hai più relazione (stipendio o conto) perché ti conoscono; se rifiuta e capisci il perché, aggiusta il tiro e prova altrove, ma non in troppi posti tutti insieme. Chiedere contemporaneamente a tanti espone al rischio che tutti vedano che stai chiedendo ovunque e interpretino che c’è qualcosa che non va (o che ti stai indebitando oltre misura). Eccezione: per i mutui casa, è prassi comune farsi fare 2-3 preventivi in parallelo per spuntare condizioni – però qui parliamo di fase di preventivo (che non comporta segnalazione finché non formalizzi la richiesta di delibera). Se invece presenti proprio domanda formale di credito a più banche lo stesso giorno, tutte segnaleranno la richiesta e fra di loro lo vedranno (in CRIF). Quindi meglio evitare. Una alla volta, o se proprio due in parallelo ma coordinate, e comunque poche. Spesso conviene affidarsi a un broker creditizio qualificato: lui farà un’analisi e dirà “presentiamo qui che è più probabile”, evitando di sparare nel mucchio.
Domanda: La cessione del quinto può essere rifiutata? Pensavo fosse garantita al 100%.
Risposta: La cessione del quinto è certamente più facile da ottenere per chi ha uno stipendio/pensione fissa, anche con precedenti creditizi non immacolati, perché la garanzia è alta (trattenuta diretta + assicurazione). Tuttavia può comunque essere rifiutata in alcuni casi: ad esempio se il tuo datore di lavoro non è convenzionato o è considerato rischioso (aziende piccolissime o in settori instabili – perché se fallisce il datore, cessano le trattenute), oppure se hai già in corso una cessione del quinto e una delegazione (hai già ceduto il massimo, non puoi cedere altro finché non estingui o rinnovi a certe condizioni temporali). Anche limiti d’età: oltre una certa età le assicurazioni non coprono e quindi niente cessione (di solito per pensionati >85 anni a fine piano, per dipendenti > 65 se polizza impiego). O ancora, se il TFR accantonato è molto basso rispetto all’importo chiesto (in caso di licenziamento, il TFR dovrebbe coprire il residuo). Quindi sì, può essere negata se non rispetti questi parametri. In genere, se lavori nel pubblico o hai un’azienda stabile e capienza del quinto libera, è quasi certo ottenerla (salvo tu sia prossimo a pensione e chiedi piano lungo – lì fanno calcoli precisi). Diciamo che è lo strumento con tasso di accettazione più alto, ma non è un diritto automatico.
Domanda: Dopo un rifiuto, conviene rivolgersi a un mediatore creditizio o fare da soli?
Risposta: Dipende dalla situazione. Un mediatore creditizio (tipo un agente in attività finanziaria, un broker mutui) ha esperienza su quali banche sono più adatte ai vari profili e potrebbe far risparmiare tentativi a vuoto. Inoltre, può presentare la tua pratica “arricchita” delle giuste note per farla approvare. Di contro, ha un costo (a volte incluso nel TAEG del finanziamento se erogato, a volte fee a parte). Se il tuo caso di rifiuto è complesso (es. azienda con bilancio brutto ma garanzie alternative, mutuo con situazioni particolari di reddito, etc.), un mediatore bravo può fare la differenza trovando l’istituto giusto e preparando bene il dossier. Se invece il rifiuto era per qualcosa di banale che hai risolto (es: documento mancante, errore segnalazione), potresti riprovare da solo. Va detto che i broker hanno accesso a più banche e sanno leggere i loro criteri: quindi riducono la probabilità di un secondo rifiuto perché presentano direttamente dove c’è margine. Quindi se puoi permettertelo o se comunque il finanziamento è grande (mutuo casa) e vuoi certezza, coinvolgerli può convenire. Attento solo a scegliere operatori seri e iscritti OAM, perché purtroppo ci sono anche intermediari improvvisati o, peggio, truffaldini (diffida da chi promette “sicuro prestito anche protestati in 24h” e chiede soldi anticipati – potrebbe essere una truffa).
Domanda: Sono socio di una società a cui hanno negato credito. Questo può influire sul mio credito personale?
Risposta: Sì, potenzialmente. Se la società ha avuto problemi di pagamento, i soci amministratori spesso finiscono segnalati in CRIF come garanti impliciti o in altre banche dati. Ad esempio, se la tua S.r.l. è andata in sofferenza, il tuo nominativo come amministratore può apparire in liste interne di banche come soggetto collegato a un’impresa insolvente. Oppure se hai firmato fideiussioni personali per i debiti sociali (cosa comune), allora quella segnalazione negativa a nome tuo è proprio diretta e ti rende “cattivo pagatore” agli occhi del sistema. Anche senza fideiussione, molte banche in fase di istruttoria personale chiedono: “Ha partecipazioni o cariche in società? Indicare quali.” Se la società risulta in cattive acque, può influire sul giudizio (temono che dovrai impegnare risorse personali per tappare i buchi, o che hai capacità gestionale discutibile). Quindi se sei socio di maggioranza o amministratore, purtroppo c’è un rischio di contaminazione. Viceversa, se sei solo socio minoritario non gestionale, di solito l’impatto è minore salvo tu abbia esborsi per le perdite. In generale, banche e finanziarie guardano il “gruppo economico” di appartenenza. Il consiglio: se la tua azienda ha problemi e tu hai bisogno di credito personale (mutuo, prestito), anticipa tu la spiegazione alla banca: es. “Sì la mia società ha avuto un calo, ma le mie finanze personali sono separate, ecco i miei redditi e il piano di rilancio…”. Mostrati consapevole, così magari eviti che la cosa emerga come sorpresa negativa in istruttoria.
Domanda: Ho risolto i problemi che avevo (es. pagato arretrati), la mia centrale rischi ora è pulita. Come posso dimostrarlo alla banca al prossimo tentativo?
Risposta: Puoi farlo in due modi: allegare tu stesso una visura aggiornata delle banche dati oppure indicare nella domanda di finanziamento che autorizzi e inviti la banca a ricontrollare la Centrale Rischi/CRIF alla data odierna perché la situazione è migliorata. Ad esempio, se era un mutuo, nella nuova domanda puoi scrivere una letterina: “Gentile banca, la mia precedente segnalazione di sofferenza è stata cancellata in data XX come da comunicazione allegata, allego anche estratto CRIF che mostra posizione regolarizzata. Chiedo pertanto la rivalutazione…”. Le banche comunque faranno le loro visure, ma presentar loro in anteprima i documenti (liberatoria creditori, ricevuta aggiornamento CRIF ecc.) accelera la fiducia. Nel dubbio, fai un passaggio in filiale spiegando a voce e portando documenti: avere un dialogo umano spesso aiuta più di un click su un algoritmo. In breve, documenta per iscritto tutto ciò che hai sistemato: quietanze, atti di assenso a cancellazioni ipoteche, ecc., e inseriscili nel fascicolo della nuova istruttoria.
Con le FAQ abbiamo coperto i dubbi pratici principali. Per concludere, di seguito trovi un elenco puntuale delle fonti normative e giurisprudenziali citate e utilizzate in questa guida, utile per approfondire singoli aspetti o verificare i riferimenti di legge menzionati.
Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate
- D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario – TUB) – in particolare artt. 5 (sana e prudente gestione bancaria), 115-120 (Trasparenza delle condizioni contrattuali), 117 (forma dei contratti e nullità costi non pattuiti), 124-128 (credito ai consumatori, come modificati dal D.Lgs. 141/2010), art. 124-bis TUB (Obbligo di verifica del merito creditizio introdotto dal 2010), art. 125 (informazioni al consumatore in caso di rifiuto basato su banche dati), art. 120-quinquies e segg. (credito immobiliare ai consumatori, D.Lgs. 72/2016).
- D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 – Attuazione Dir. 2008/48/CE (credito ai consumatori) e modifiche al TUB in tema di mediatori creditizi. Ha introdotto 124-bis TUB e altre norme (es. art. 125 TUB comma su rifiuto in base a dati di SIC, art. 127 TUB su sanzioni). (G.U. n.207 del 04-09-2010).
- Dir. 2008/48/CE (Credito ai consumatori) – Art. 8 (valutazione merito creditizio) e art. 9(2) (obbligo di informare il consumatore se rifiuto basato su banca dati): “Se il rifiuto della domanda di credito si basa su info di una banca dati, il creditore informa il consumatore immediatamente e gratuitamente del risultato della consultazione e degli estremi della banca dati”.
- Dir. 2014/17/UE (Credito immobiliare residenziale) – Principi di valutazione merito creditizio analoghi (recepita in Italia con D.Lgs. 72/2016, che ha introdotto art. 120-undecies TUB e segg.). Prevede obblighi simili per mutui casa e diritto a essere informato di esito consulta banche dati (art. 21 Dir. 2014/17, v. documento camera).
- Codice Civile – art. 1337 (trattative e responsabilità precontrattuale), 1338 (conoscenza cause di invalidità), 1176(2) (diligenza professionale qualificata), 1375 (esecuzione di buona fede), 2043 (responsabilità aquiliana generale). Applicati per: responsabilità precontrattuale banche (Cass. 27262/2023), concessione abusiva credito (diligenza e art. 2043).
- D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 e D.P.R. 28 luglio 1950 n. 895 – Normativa su Cessione del quinto (limiti 1/5 stipendio, assicurazione obbligatoria).
- Provvedimento Banca d’Italia 29 luglio 2009 “Trasparenza delle operazioni e servizi bancari e finanziari” (e successive modifiche) – impone obblighi informativi precontrattuali, ad esempio consegna modulo IEBCC, obbligo di fornire risposte motivate ai reclami entro 30 gg, ecc. Menzionato in ABF coord. 2013.
- Provvedimento UIC (antesignano B.I.) 22 ottobre 2007 – introduce maggior tutela esigenze informative cliente in valutazione merito creditizio (cit. in ABF coord. dec. 6182/13).
- Codice deontologico sui Sistemi di Informazione Creditizia (SIC) – Allegato al Provv. Garante Privacy n. 8/2004 e succ. aggiornamenti. Stabilisce i tempi di conservazione dei dati nei SIC (richieste 6 mesi/90gg, ritardi 12-24 mesi, sofferenze 36/60 mesi, ecc.) e l’obbligo di preavviso 15 giorni prima di segnalare in ritardo. (In vigore fino all’entrata del Reg. UE Credit Data in futuro).
- Regolamento UE 2016/679 (GDPR) – Rilevante per diritto di accesso ai dati nelle centrali rischi private e principi di decisioni automatizzate. Art. 22 GDPR: diritto a non essere sottoposto a decisione automatizzata senza umana supervisione (ma nel credito al consumo c’è deroga se con tutele). Combinato con art. 15: diritto di accesso ai dati personali (usato per ottenere visura CRIF etc.). Anche base giuridica trattamento dati creditizi: legittimo interesse (infatti non serve consenso).
- D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 – Decreto Antiriciclaggio. Art. 42 (Obbligo di astensione): “quando non è possibile rispettare obblighi di adeguata verifica, l’ente deve astenersi dall’instaurare o proseguire rapporto”. Art. 41 (astensione per sospetti). In ambito credito: se cliente non fornisce documenti o ci sono red flag, banca deve rifiutare il rapporto.
- Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) – art. 24-25: pratiche commerciali aggressive (es. vendite abbinate forzate di polizze). AGCM le ha applicate a bundling polizze/mutui (caso Telepass citato sullo sfondo, TAR Lazio 603/2023 su sanzioni AGCM – non direttamente usato, solo risultati). Decreto “Cresci Italia” (D.L. 1/2012 conv. L. 27/2012) – art. 28 comma 1-bis TUB introdotto: divieto di bundling obbligato polizze sui mutui, cliente può presentarne di proprie (banche sanzionate nel 2020 in casi citati).
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 8 ottobre 2024 n. 26248 – Principio: obbligo di sana e prudente gestione anche su finanziamenti garantiti al 100% dallo Stato. Connesso a “concessione abusiva di credito”: cassata decisione che legava mancata valutazione automaticamente a nullità mutuo. (Pres. Terrusi, est. Vella).
- Sentenza Cass. Civ. Sez. III, 25 settembre 2023 n. 27262 – Caso di responsabilità precontrattuale banca: trattative avanzate per mutuo, rassicurazioni fornite, cliente compie operazioni affidandosi, banca poi nega senza motivo. Cassazione: banca responsabile ex art. 1337. (Nota di Diritto del Risparmio 8/10/2023 di Loi).
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 14 ottobre 2020 (dep. 9 feb 2021) n. 3130 – Segnalazione a sofferenza illegittima se il mancato pagamento è dovuto a contestazione del debitore sulla validità del contratto e non a incapacità economica. Necessaria valutazione concreta prima di segnalare. (Caso Banca Intesa vs debitori di Trento; rel. Rossetti) – Riconosce anche che danno da segnalazione illegittima non è automatico, va provato.
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 30 maggio 2018 n. 13818 (non citata sopra, ma nota) – Danno da illegittima segnalazione Centrale Rischi: non in re ipsa, ma presunzione di danno non patrimoniale se lesione reputazione, comunque serve allegazione (coerente con principi poi ribaditi).
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 5 giugno 2019 n. 15442 – Concessione abusiva credito: banca responsabile verso terzi (creditori concorsuali) se finanzia impresa decotta aggravandone dissesto con colpa grave. (Non citata nel testo, contesto generale).
- Decisione ABF (Collegio di Coordinamento) n. 6182/2013 – Stabilisce diritto del cliente a indicazioni generali sui motivi del diniego e nega esistenza diritto soggettivo a credito ma obbligo buona fede e correttezza nelle scelte.
- Decisione ABF Roma n. 12815/2017 (16.10.2017) – Ribadisce obbligo motivazione concreta, insufficienza formula “scoring non adeguato”.
- Decisione ABF Milano n. 27098/2018 (20.12.2018) – Conferma libertà negoziale banca (no obbligo far credito) evidenziando però che un obbligo generale di far credito è estraneo all’impresa bancaria, che l’eventuale obbligo esiste solo in presenza di norme ad hoc. Rileva anche necessità di non violare libertà contrattuale dell’intermediario.
- Decisione ABF Napoli n. 14252/2019 (ipotetica, su revoca fido senza preavviso, citata come esempio; fonte ipotetica non citata testualmente).
- Sentenze TAR Lazio del 5 gennaio 2024 – (NN. 35, 36, 37, 38 del 2024 presumibilmente) su ricorsi banche contro sanzioni AGCM 2020 per pratiche commerciali scorrette nel credito (vendita polizze abbinate mutui, conto obbligatorio). TAR accoglie in parte (3 su 4) riconoscendo considerazioni settore-specifiche non valutate da AGCM. Fonte: InsuranceTrade 02/02/2024 (Maura).
- Tribunale di Trento, sentenza 24 gennaio 2017 n. 24 – (richiamata in Cass. 3130/2021) rigettava domande danni segnalazione; Cass. ha poi annullato come da ordinanza 3130/21.
- Tribunale di Bari, sez. IV, 13 ottobre 2023 n. 4076 – Garante di finanziamento mai avvisato di rate non pagate, segnalato a CR – Tribunale riconosce illegittimità segnalazione per mancato preavviso e condanna banca a risarcire danno d’immagine, reputazione e perdita di chance.
- Cass. Civ. Sez. I, 16 luglio 2001 n. 9645 (Sez. Unite) – antico ma importante: afferma dovere buona fede anche in revoca affidamenti e introdusse concetto abuso posizione banca in fase precontrattuale
- Legge 108/1996 art. 8 – (Sostegno vittime usura) – prevede diritto a mutui fondo antiusura se rifiuti credito per tassi ecc., non direttamente rilevante qui se non per contesto.
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