Cosa Fare Se Non Riesci A Pagare Le Rate Del Mutuo

Hai un mutuo sulla casa ma non riesci più a pagare le rate con regolarità? I pagamenti in ritardo si accumulano, la banca ti sollecita e temi di perdere l’immobile o di finire segnalato come cattivo pagatore?

Purtroppo, in questi casi la situazione può precipitare rapidamente, ma esistono soluzioni legali per evitare il pignoramento, sospendere momentaneamente le rate, o rinegoziare il debito in modo sostenibile. L’importante è non restare fermi e agire subito.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, mutui e tutela del patrimonio – ti spiega cosa fare se non riesci a pagare le rate del mutuo, quali sono i rischi concreti, e come puoi difenderti e trovare una soluzione legale prima che sia troppo tardi.

Non riesci più a pagare le rate del mutuo e hai paura di perdere l’immobile?

Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme la tua posizione debitoria, valuteremo i margini di azione e costruiremo una strategia legale per sospendere o rinegoziare il mutuo, fermare eventuali azioni esecutive e proteggere la tua casa prima che sia troppo tardi.

Introduzione

L’incapacità di far fronte alle rate del mutuo è una situazione che, specie in un contesto economico difficile, può coinvolgere sia privati (proprietari di prima casa) sia imprese (con mutui su immobili aziendali). Nel 2023-2024 l’aumento dei tassi d’interesse e dell’inflazione ha messo in difficoltà molte famiglie e imprenditori, con un incremento dei casi di ritardo o insolvenza nei pagamenti. Secondo i dati FABI, a marzo 2023 i crediti deteriorati delle famiglie italiane ammontavano a 14,9 miliardi di euro, di cui 6,8 miliardi di mutui non pagati. Questi numeri confermano la rilevanza del problema e la necessità di strumenti efficaci per gestirlo.

La guida seguente offre un’analisi approfondita – aggiornata a maggio 2025 – su cosa fare se non si riesce a pagare le rate del mutuo, distinguendo tra mutui prima casa (ambito consumer) e mutui aziendali (ambito impresa). Verranno esaminate le conseguenze legali del mancato pagamento, le soluzioni stragiudiziali e giudiziali disponibili, gli strumenti di sostegno (pubblici e privati) e le più recenti novità normative e giurisprudenziali. Uno stile divulgativo ma accurato, con terminologia giuridica appropriata, guiderà avvocati, imprenditori e operatori del settore nelle possibili strategie di intervento. Sono incluse simulazioni pratiche, tabelle riepilogative per facilitare la comprensione e una sezione di FAQ (domande frequenti). In chiusura, una bibliografia elenca le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate.

Mutui sulla Prima Casa: ritardi nei pagamenti e soluzioni per i privati

In questa sezione analizziamo il caso del mutuo prima casa, tipicamente contratto da privati per l’acquisto dell’abitazione principale. Affronteremo dapprima le conseguenze del mancato pagamento delle rate (cosa succede in caso di ritardi o inadempimento), quindi le soluzioni stragiudiziali (rinegoziazione, sospensione, accordi con la banca, saldo e stralcio, ecc.) e gli strumenti legali disponibili (dalla sospensione ex lege del mutuo ai procedimenti di sovraindebitamento, fino all’eventuale esecuzione forzata). Verranno evidenziati gli strumenti di tutela specifici per la prima casa (es. Fondo di solidarietà “Gasparrini”) e richiamate le sentenze più recenti in materia consumer.

Conseguenze del mancato pagamento della rata del mutuo

Breve ritardo ed interessi moratori: Se il pagamento viene effettuato con pochi giorni di ritardo (entro 30 giorni dalla scadenza), il debitore è tenuto a versare gli interessi di mora sulla rata tardiva, ma il ritardo contenuto non costituisce ancora un’inadempienza significativa dal punto di vista contrattuale. Gli interessi di mora sono generalmente calcolati ad un tasso maggiorato (tipicamente +2-4% rispetto al tasso contrattuale) e coprono il periodo dal giorno successivo alla scadenza fino al giorno del pagamento. Ad esempio, se una rata di €500 scade il 1° giugno e viene pagata il 15 giugno con tasso di mora annuo del 3%, gli interessi di mora saranno: mora=14giorni×€500×3%/365≈€0,58\text{mora} = 14 \text{giorni} \times €500 \times 3\% / 365 \approx €0,58 (valore indicativo). La banca segnalerà internamente il ritardo ma, se il pagamento avviene entro il mese, non vi sono ulteriori conseguenze contrattuali.

Ritardo superiore a 30 giorni: Un pagamento effettuato oltre il 30° giorno dalla scadenza costituisce ritardato pagamento ai sensi dell’art. 40, comma 2, del Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/93). La rata è formalmente in mora e la banca può contabilizzare l’inadempimento. Un singolo ritardo oltre 30 gg comporta interessi moratori dovuti, ma se il debitore regolarizza quella rata prima che si accumulino altri ritardi, evita nell’immediato sanzioni maggiori. Tuttavia, più ritardi di questo tipo possono sommarsi come descritto di seguito.

Clausola delle “sette rate” (decadenza dal beneficio del termine): La legge prevede che la banca possa dichiarare risolto il contratto di mutuo (decadenza dal beneficio del termine) quando il debitore accumula almeno 7 ritardi nel pagamento delle rate, ciascuno tra 30 e 180 giorni dalla scadenza. In altre parole, sette rate pagate con oltre 30 giorni di ritardo (anche non consecutive) legittimano la banca a invocare la risoluzione del mutuo. È irrilevante che il mutuatario nel frattempo abbia saldato le rate scadute: se ogni volta si verifica un nuovo ritardo (ad es. paga sempre con uno–due mesi di slittamento, rimanendo “indietro” di una rata), la banca conteggerà sette episodi di ritardo anche non consecutivi e potrà dichiarare l’inadempimento definitivo. Molti debitori erroneamente credono di essere al sicuro se non accumulano sette ritardi consecutivi, ma la norma considera il conteggio complessivo. Raggiunto tale limite, il creditore può comunicare la decadenza dal beneficio del termine: ciò significa che l’intero debito residuo diventa esigibile in un’unica soluzione.

Ritardo oltre 180 giorni su una rata: In alternativa (o in aggiunta) alla regola delle sette rate, l’art. 40 TUB consente la risoluzione del mutuo anche quando una singola rata rimane impagata per oltre 180 giorni. Trascorsi 6 mesi dalla scadenza senza pagamento, il finanziatore può considerare il contratto risolto e richiedere il saldo integrale del debito residuo in un’unica soluzione. Questa facoltà esiste per evitare che un debitore trattenga a lungo l’inadempienza su una rata. In pratica, dopo 180 giorni di insoluto, la banca può inviare la comunicazione formale di risoluzione e pretendere immediatamente tutte le somme dovute (capitale residuo + interessi di mora maturati). Spesso le banche, in casi del genere, scelgono però di non agire esattamente al 180° giorno, ma di lasciar maturare ulteriori interessi di mora prima di intervenire. Ciò accade specialmente se il debito residuo è basso rispetto al valore dell’immobile: attendendo, la banca accumula interessi e spese, aumentando l’importo da recuperare. Resta inteso che, fintantoché la banca non dichiara la risoluzione, il mutuatario può sempre sanare la rata scaduta (pagando quota e interessi di mora) e rientrare in bonis, ma i ritardi pregressi resteranno conteggiati.

Segnalazione in Centrale Rischi: Un effetto collaterale importante dei ritardi è la segnalazione nelle banche dati creditizie. Dopo un certo periodo di mancato pagamento (tipicamente 60-90 giorni) la banca provvede a segnalare il cliente al Sistema di Informazioni Creditizie (es. CRIF per privati) e/o alla Centrale Rischi Banca d’Italia (per importi rilevanti). L’iscrizione come cattivo pagatore comporta serie difficoltà ad ottenere nuovi finanziamenti in futuro. Tuttavia la segnalazione non è irreversibile: se il debitore regolarizza gli arretrati, trascorso un tempo tecnico, i dati negativi vengono aggiornati/cancellati secondo le regole privacy (di solito, cancellazione dopo 12/24 mesi dal saldo). Va segnalato che, in caso di moratoria legale o accordata con la banca, la sospensione del pagamento non dovrebbe comportare una segnalazione negativa (ad esempio le moratorie COVID erano esonero da segnalazioni automatiche). È quindi importante comunicare con l’istituto per attivare eventuali tutele prima che scatti la segnalazione automatica.

Risoluzione del contratto e precetto: Quando si verifica una delle condizioni di grave inadempimento (sette ritardi >30gg, oppure una rata >180gg non pagata), la banca può risolvere il contratto ai sensi dell’art. 40 TUB. La risoluzione viene normalmente comunicata con lettera raccomandata o PEC, in cui si dichiara il mutuo decaduto dal beneficio del termine e si intima il pagamento immediato del debito residuo. Se il debitore non paga, la banca procede con l’azione esecutiva: nella pratica si notifica un atto di precetto (ingiunzione a pagare entro 10 giorni) seguito dal pignoramento immobiliare. Il pignoramento colpisce l’immobile dato in garanzia (la casa) e apre la strada all’esecuzione forzata (vendita all’asta).

Pignoramento e vendita all’asta: Il pignoramento dell’immobile ipotecato è l’ultimo stadio: l’ufficiale giudiziario notifica l’atto e il tribunale avvia la procedura esecutiva. La casa pignorata verrà stimata e quindi posta in vendita all’asta giudiziaria. È importante notare che la legge italiana (dopo le riforme degli ultimi anni) tende a tutelare il debitore esecutato con tempi e modalità più garantiste, ma comunque l’asta può portare alla perdita della proprietà. Un recente adeguamento normativo, in recepimento di direttive UE, ha introdotto il cosiddetto “patto marciano”: se previsto dal contratto, la banca può ottenere la proprietà dell’immobile senza asta dopo almeno 18 rate mensili non pagate. Questa clausola (art. 120-quinquiesdecies TUB) consente una via stragiudiziale, ma solo se il debitore vi ha acconsentito in contratto e soltanto dopo 18 mesi di morosità. Altrimenti, nella procedura ordinaria, il creditore deve attendere i termini di legge (almeno 6 mesi o 7 rate) e passare dal tribunale. In ogni caso non esiste un divieto assoluto di pignorare la prima casa per banche e finanziarie – a differenza di quanto avviene per le esecuzioni esattoriali (fiscali) come vedremo – ma l’espropriazione avviene entro regole rigorose: occorre un titolo esecutivo valido (mutuo notarile, decreto ingiuntivo o sentenza) e il rispetto dei termini di decadenza (art. 40 TUB) prima di poter avviare il pignoramento.

Nota sulle tutele della “prima casa”: Spesso si sente dire che “la prima casa è impignorabile”. Attenzione: questa affermazione è vera solo in parte e va contestualizzata. La normativa prevede un divieto di pignoramento dell’unica casa di abitazione soltanto per i crediti fiscali (Erario/Agenzia Entrate Riscossione) e a determinate condizioni. In particolare, l’art. 76 del D.P.R. 602/1973 stabilisce che il Fisco non può espropriare la prima ed unica casa del debitore (non di lusso) se il debito fiscale a ruolo è inferiore a €120.000. La Cassazione con ordinanza n. 32759/2024 ha ribadito che, per procedere col pignoramento esattoriale, occorre un debito sopra €120.000, iscrizione di ipoteca da almeno 6 mesi, e che il contribuente abbia altri immobili di valore. In mancanza di tali condizioni (es. debito fiscale minore o casa unica), l’Agente della Riscossione non può pignorare l’immobile. Questa protezione però non si applica ai creditori privati: una banca o finanziaria con mutuo ipotecario può pignorare la casa indipendentemente dall’importo residuo dovuto. Dunque, la “prima casa” non è immune se oggetto di garanzia ipotecaria volontaria o se aggredita da creditori non fiscali muniti di titolo esecutivo. L’unica eccezione è che, in sede di conversione del pignoramento o di accordi con i creditori, il debitore potrà cercare soluzioni di salvataggio, ma non esiste un divieto legale generale per banche e finanziarie.

Riepilogo delle conseguenze chiave: In sintesi, quando il mutuatario non paga le rate, le conseguenze seguono un iter graduale ma inesorabile: interessi di mora sul ritardato pagamento; eventuali penali contrattuali; segnalazione come cattivo pagatore; dopo determinati limiti (6 mesi di arretrato o 7 ritardi) la risoluzione del contratto; infine, pignoramento e vendita della casa per recuperare il credito. Questo quadro può sembrare drammatico, ma esistono molte soluzioni per intervenire prima che si arrivi all’asta. Le sezioni seguenti illustrano gli strumenti a disposizione del debitore in difficoltà per evitare o gestire queste conseguenze.

Soluzioni stragiudiziali (rinegoziazione, accordi con la banca, saldo e stralcio)

Di fronte alle prime difficoltà nel pagamento del mutuo, è fondamentale attivarsi tempestivamente per trovare soluzioni stragiudiziali, ovvero rimedi negoziati senza coinvolgere subito il tribunale. Le banche, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono interessate a portare il debitore all’insolvenza o all’esecuzione se esistono opzioni per recuperare il credito in modo più efficiente. L’orientamento attuale spinge infatti a favorire accordi e ristrutturazioni del debito piuttosto che l’escussione forzata. Di seguito esaminiamo vari strumenti: la rinegoziazione del mutuo, la sospensione delle rate (moratorie, incluse quelle ex lege), l’accordo a saldo e stralcio o altre forme di composizione bonaria del debito (come la dazione in pagamento dell’immobile, la surroga o portabilità verso altra banca, etc.).

Rinegoziazione del mutuo con l’istituto di credito

La rinegoziazione consiste nel modificare, di comune accordo con la banca, una o più condizioni del mutuo per renderne più sostenibile il pagamento. Si tratta di una soluzione volontaria e stragiudiziale, che può assumere diverse forme:

  • Allungamento del piano di ammortamento: si estende la durata residua del mutuo (ad esempio da 15 a 25 anni), riducendo così l’importo di ogni singola rata. Il debito viene spalmato su più anni; aumenteranno gli interessi totali pagati a fine piano, ma il mutuatario ottiene un sollievo immediato sulla rata mensile.
  • Riduzione temporanea del tasso o passaggio a tasso fisso: la banca può offrire un tasso più basso per un periodo limitato, oppure il mutuatario può chiedere la conversione da tasso variabile a fisso se teme ulteriori rialzi. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 aveva introdotto la possibilità per chi ha un mutuo a tasso variabile (ISEE ≤ €35.000 e importo ≤ €200.000) di chiedere alla propria banca la rinegoziazione a tasso fisso fino a fine 2023. Questa misura, sebbene a termine, indicava la volontà di aiutare i mutuatari a contenere l’esposizione all’aumento dei tassi. Anche nel 2025, pur non essendoci più quell’obbligo normativo, alcune banche offrono soluzioni di “spalma-mutuo” con tassi fissi calmierati o allungamento di periodo.
  • Periodo di grazia (preammortamento): la banca può concedere un periodo durante il quale si pagano solo interessi e non la quota capitale (“interest only”). Ciò riduce drasticamente la rata temporaneamente. Spesso questa opzione viene data per 6-12 mesi in attesa che il debitore migliori la propria situazione finanziaria (ad esempio trovi un nuovo lavoro). Al termine, il piano di ammortamento riprende regolarmente, eventualmente con durata estesa per recuperare le quote non pagate.
  • Ricontrattazione del tasso o spread: se il mutuo fu contratto a condizioni sfavorevoli o il profilo di rischio del cliente è migliorato, si può negoziare una riduzione dello spread applicato o un tasso più vantaggioso. Ad esempio, se il mutuo originario aveva TAEG 3%, la banca potrebbe ridurlo al 2,5% abbassando spread o eliminando alcune spese. Questo abbassa tutte le rate future.

La rinegoziazione in senso stretto non richiede formalità particolari: dal 2007 (Legge n. 40/2007, c.d. “Decreto Bersani”) le modifiche al mutuo non comportano spese notarili e possono essere formalizzate mediante scrittura privata anche non autenticata. È sufficiente l’accordo scritto col nuovo piano. Il cliente ha diritto di chiedere la rinegoziazione in qualsiasi momento, ma la banca non è obbligata ad accettare in assenza di disposizioni di legge che impongano specifiche condizioni. Tuttavia, banche e clienti hanno un interesse reciproco a trovare un compromesso: la banca evita di creare una sofferenza creditizia (NPL) e il cliente evita il default.

Si segnala che alcune normative speciali possono incoraggiare la rinegoziazione: ad esempio, in passato Accordi ABI con le associazioni dei consumatori hanno previsto finestre di rinegoziazione agevolata, oppure la già citata norma per il passaggio a tasso fisso nel 2023. Nel 2024-2025 non vi è una legge specifica generale, ma ABF (Arbitro Bancario) e Banca d’Italia raccomandano approcci flessibili per gestire l’aumento delle rate nei contratti a tasso variabile. Il cliente in difficoltà deve attivarsi per primo, contattando l’ufficio mutui della banca, spiegando la situazione (es. perdita temporanea di reddito) e proponendo soluzioni (es. “potrei pagare €X al mese invece di €Y per un anno”). È utile preparare un piccolo piano finanziario da sottoporre, magari con l’aiuto di un consulente o di un’associazione di consumatori. Un atteggiamento proattivo e di buona fede nel dialogo con la banca migliora notevolmente le chance di accordo. La giurisprudenza recente sottolinea la centralità del principio di buona fede nei rapporti banca-cliente, richiedendo all’intermediario di valutare seriamente le proposte di rinegoziazione e di informare il debitore circa tutte le opzioni possibili. D’altronde, un mutuo rinegoziato e onorato, seppur a condizioni riviste, è preferibile per la banca rispetto a un lungo contenzioso incerto.

Esempio pratico: Mario ha un mutuo prima casa a tasso variabile con rata passata da €600 a €800 al mese per l’aumento EURIBOR. Il suo stipendio non copre più comodamente la rata. Mario contatta la banca e ottiene di allungare di 5 anni la durata residua, mantenendo un tasso variabile ma con spread ridotto di 0,5%. Così la rata scende a €580, sostenibile per il suo reddito. La banca annota l’accordo in un atto di rinegoziazione. Mario mantiene la proprietà ed evita morosità future, la banca evita un credito deteriorato: soluzione win-win.

Sospensione delle rate (moratoria) – Fondo di solidarietà “Gasparrini” e accordi privati

Quando le difficoltà finanziarie sono temporanee, una soluzione efficace è la sospensione delle rate per un certo periodo. Ciò può avvenire tramite strumenti legislativi (ad esempio il Fondo di solidarietà per i mutui prima casa, detto Fondo Gasparrini) oppure attraverso accordi volontari con la banca (moratorie bancarie). La sospensione comporta il congelamento della rata: durante il periodo autorizzato, il mutuatario non paga le rate e non è considerato moroso; al termine, il piano di ammortamento riprende. Vediamo le principali opportunità:

Fondo di Solidarietà per i Mutui Prima Casa (Fondo “Gasparrini”): si tratta di un fondo pubblico, gestito da Consap, che consente ai titolari di mutui prima casa in situazioni di temporanea difficoltà di ottenere la sospensione dell’intera rata fino a 18 mesi. Le caratteristiche aggiornate al 2025 sono:

  • Possono accedervi i mutuatari persone fisiche con mutuo prima casa di importo originario fino a €250.000 (limite tornato a regime dal 2024, dopo l’innalzamento temporaneo a 400k durante l’emergenza).
  • È richiesto un indicatore ISEE ≤ €30.000 (eccetto situazioni di handicap grave o invalidità, per cui l’ISEE non rileva).
  • Il mutuo deve essere in ammortamento da almeno 1 anno. Sono ammessi anche mutui con ritardi di pagamento (purché non più di 90 giorni di ritardo al momento della domanda).
  • Gli eventi che danno diritto alla sospensione includono: perdita del lavoro (cessazione rapporto subordinato a tempo indeterminato o determinato), riduzione dell’orario o cassa integrazione per almeno 30 giorni, sospensione dal lavoro almeno 30 giorni, morte o insorgenza di handicap grave/invalidità ≥80% del mutuatario. Dal 2020 al 2023 erano state temporaneamente incluse anche le partite IVA con calo di fatturato (misura Covid non prorogata dal 2024).
  • La sospensione può essere concessa per un totale massimo di 18 mesi nell’arco di vita del mutuo. La durata concreta dipende dall’evento: es. 6 mesi di sospensione per disoccupazione di 4 mesi, 12 mesi per sospensione lavorativa fino a 10 mesi, 18 mesi per durata oltre 12 mesi.
  • Durante la sospensione, il Fondo paga al posto del mutuatario il 50% degli interessi maturati sul debito residuo. Ciò significa che per il mutuatario gli interessi sono dimezzati (la metà restante potrà essere capitalizzata o rimborsata alla ripresa, a seconda degli accordi con la banca). Ad esempio, se su una rata mensile di €500 (di cui €300 interessi e €200 capitale) si attiva la sospensione, il Fondo verserà €150/mese alla banca coprendo metà interessi, e la quota capitale non pagata verrà posticipata.
  • Il mutuatario deve presentare domanda tramite la propria banca compilando l’apposito modulo Consap, allegando la documentazione che prova la condizione di difficoltà (lettera di licenziamento, certificato di disoccupazione, certificato medico ecc.). La banca inoltra la richiesta a Consap; entro 15 giorni Consap comunica l’esito. Se approvato, la banca attiva la sospensione.
  • Importante: la sospensione blocca integralmente la rata (sia quota capitale che interessi, salvo piccola porzione interessi come sopra) e non comporta penali né segnalazioni negative in Centrale Rischi. È un diritto del debitore se ha i requisiti di legge; la banca non può opporsi. Le rate sospese non vengono conteggiate come arretrate e il piano di ammortamento viene allungato del corrispondente periodo.

Il Fondo Gasparrini, istituito nel 2007, è stato molto utilizzato durante la crisi COVID (2020-2021) poiché i requisiti furono ampliati (inclusi lavoratori autonomi, mutui fino 400k, eliminazione temporanea limite ISEE). Tali misure straordinarie non sono state prorogate dal 2024, per cui oggi si applicano i requisiti ordinari sopra descritti. Restano però una ancora attuale valvola di sfogo per chi perde il lavoro o subisce shock di reddito. Ad esempio, nel 2022-2023 è stato possibile accedere al Fondo anche per l’aumento eccessivo della rata dovuto ai tassi variabili (norma emergenziale per calmierare l’impatto dei tassi): se la rata superava del 20% l’importo medio 2021 si poteva chiedere la sospensione. Questa previsione però è scaduta e non risulta rinnovata al 2025.

Moratorie bancarie volontarie: Oltre al Fondo pubblico, le banche possono direttamente concedere moratorie ai clienti in difficoltà. ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha negli anni promosso vari accordi di sospensione con le associazioni dei consumatori e con il governo, specie in occasione di crisi economiche. Ad esempio: la moratoria famiglie 2009-2010, la moratoria ABI-PMI 2015-2017 (per le piccole imprese), e durante la pandemia COVID un’ampia moratoria ex lege (DL 18/2020) per mutui prima casa e prestiti PMI. Al 2025, terminati gli interventi emergenziali, non c’è una moratoria “di sistema” attiva per le famiglie, ma alcune banche in autonomia offrono la possibilità di sospendere o posticipare rate per alcuni mesi ai clienti che ne fanno richiesta motivata (spesso limitata alla quota capitale, continuando a pagare gli interessi). Ad esempio, Intesa Sanpaolo ha predisposto un canale per richiedere la sospensione rate mutui per esigenze straordinarie post-emergenza.

Per ottenere una moratoria volontaria, bisogna scrivere alla banca (o compilare moduli online se disponibili) spiegando la situazione temporanea (es. spese mediche improvvise, cassa integrazione, ecc.) e proponendo una sospensione di X mesi. La banca valuterà caso per caso. Di solito, se il cliente è in regola fino a quel momento e la difficoltà è documentabile, le banche mostrano apertura: preferiscono concedere una pausa nei pagamenti piuttosto che far deteriorare il credito definitivamente. Durante la sospensione volontaria, salvo diverso accordo, gli interessi maturano comunque e possono essere capitalizzati (cioè aggiunti al debito) o pagati a parte. Bisogna chiarire questi dettagli nell’accordo.

Effetti della sospensione sulle garanzie e segnalazioni: Una sospensione concordata o ex lege, come detto, non è considerata un evento di default. Pertanto il debitore non dovrebbe essere segnalato come inadempiente. Anzi, in passato ABI e Banca d’Italia hanno emesso circolari per chiarire che l’adesione a moratorie COVID non implicava automaticamente “crediti deteriorati” nei bilanci bancari. Chiaramente, se prima della sospensione il cliente aveva già rate scadute, la sospensione non cancella gli arretrati pregressi che vanno comunque sanati o ricompresi in un piano.

Esempio pratico (Fondo Gasparrini): Anna, lavoratrice a tempo determinato, ha un mutuo €180.000 prima casa. Il suo contratto non viene rinnovato e Anna rimane disoccupata a gennaio. Ha diritto a chiedere al Fondo Gasparrini la sospensione del mutuo. Presenta domanda presso la sua banca allegando la lettera di cessazione del rapporto. In 2 settimane la richiesta è accolta. Anna ottiene una sospensione di 12 mesi (disoccupazione oltre 3 mesi). Fino al gennaio successivo non paga rate; il Fondo versa alla banca metà degli interessi nel frattempo. Anna trova un nuovo impiego dopo 8 mesi: potrebbe riprendere a pagare prima del termine, ma preferisce usare tutti i 12 mesi per ricostituire risparmi. A fine sospensione, il suo debito residuo è leggermente aumentato (per la quota del 50% interessi non coperta dal Fondo), ma le rate riprendono regolari e lei riesce a farvi fronte col nuovo stipendio. Il ritardo non ha avuto impatti negativi sul suo merito creditizio grazie all’intervento del Fondo.

Esempio pratico (moratoria privata): La famiglia Rossi ha un mutuo variabile sulla casa, ma uno dei coniugi entra in cassa integrazione per 6 mesi. La rata è diventata onerosa con un solo stipendio. La banca dei Rossi, nell’ambito di una propria iniziativa di sostegno, offre la sospensione della sola quota capitale per 6 mesi: i Rossi pagheranno solo gli interessi (circa metà rata) per quel periodo. Accettano l’offerta: la loro rata passa da €700 a circa €350 per 6 mesi, alleviando la pressione. Dopo 6 mesi, col ripristino dello stipendio pieno, riprendono le normali rate; il piano di ammortamento si allunga di pochi mesi per recuperare le quote capitale sospese. Nessuna segnalazione negativa è avvenuta.

Accordi di saldo e stralcio e altre composizioni stragiudiziali

In situazioni di insolvenza conclamata – ad esempio quando il debitore sa di non poter più sostenere il mutuo e magari preferisce liberarsi del debito – è possibile tentare un accordo transattivo con la banca, noto come saldo e stralcio. Con questo termine si indica l’intesa per cui il debitore paga una somma inferiore al debito totale a titolo di soddisfacimento finale, e la banca accetta tale importo rinunciando a reclamare il resto (stralciando il residuo debito).

Cos’è e come funziona il saldo e stralcio: Si tratta di una procedura negoziale: il debitore (o un terzo per lui) offre un pagamento immediato e definitivo – tipicamente in un’unica soluzione – di importo X, chiedendo in cambio alla banca la liberatoria totale sul mutuo (cancellazione dell’ipoteca e rinuncia a ulteriori pretese). Ad esempio, su un debito residuo di €100.000, si può proporre di pagare subito €70.000 “a saldo e stralcio”. Se la banca accetta, una volta incassati i €70.000, il mutuo si estingue e il debitore non deve più nulla (il 30% viene condonato). Questa soluzione è vantaggiosa per il debitore perché riduce l’esposizione debitoria ed evita l’alea dell’asta (dove potrebbe ricavarsi ancora meno), mentre per la banca è accettabile quando ritiene che l’alternativa – procedura esecutiva – porterebbe tempi lunghi e recuperi incerti o inferiori.

Quando è fattibile: Le banche valutano caso per caso. I fattori che possono favorire un saldo e stralcio sono:

  • Il debitore non possiede altri beni aggredibili oltre l’immobile ipotecato (dunque se la casa non copre tutto, il resto sarebbe inesigibile comunque).
  • Il valore di mercato dell’immobile è calato o comunque, detratte le spese e i ribassi d’asta, la banca prevede di ricavare meno del pagamento proposto. (Es: casa che vale €80k con debito €100k – un’offerta da €70k subito potrebbe essere preferibile ad un’asta dove forse si recupererebbero 60k netti).
  • Il debitore è in grado di reperire rapidamente la somma offerta (spesso tramite aiuti familiari, vendita privata dell’immobile ad un terzo, o nuova finanziaria).
  • Il credito è già catalogato come deteriorato (sofferenza o inadempienza probabile) e magari la banca lo ha ceduto a una società di recupero crediti (che l’ha comprato a sconto e quindi può accettare più facilmente un saldo). Con l’acquisto dei crediti da parte di società specializzate (NPL), i debitori si trovano a trattare con questi nuovi creditori, spesso più propensi a chiudere a saldo con sconti consistenti, perché li hanno acquistati a valori ridotti.

Procedura: Il debitore formula per iscritto una proposta di saldo alla banca (anche tramite raccomandata PEC o per il tramite di un legale/associazione consumatori). Nella proposta si indica l’importo offerto, la fonte (es. “dispongo di tale importo grazie a…”) e si chiede contestualmente la liberatoria a saldo. La banca di solito risponde dopo valutazioni interne e talvolta una perizia sull’immobile. Ci possono essere negoziazioni (la banca potrebbe chiedere un importo leggermente maggiore). Se si raggiunge un accordo, viene formalizzato in un atto scritto in cui la banca si impegna, a fronte del pagamento concordato entro la data X, a rinunciare al credito residuo e a cancellare l’ipoteca. Il pagamento va eseguito puntualmente perché se il debitore non paga nei termini l’accordo decade.

Effetti: Con il saldo e stralcio, il mutuo si estingue definitivamente. L’ipoteca viene cancellata (generalmente con assenso della banca contenuto nell’atto di transazione). Eventuali coobbligati (es. un garante) vengono liberati, salvo diverso accordo. La posizione in centrale rischi del debitore verrà aggiornata come “saldo a stralcio”, il che indica che il debito non è stato pagato integralmente ma estinto per accordo: è comunque preferibile a risultare in sofferenza non pagata, anche se potrebbe influire sul merito creditizio futuro (alcune banche distinguono saldo-stralcio da sofferenza pura, ma la segnalazione di solito rimane per un certo periodo).

Vantaggi e svantaggi: Il vantaggio per il debitore è di chiudere la vicenda debitoria rapidamente e con uno sconto. Lo svantaggio è che serve reperire una somma immediata non banale (il che spesso implica vendere la casa privatamente o avere un supporto esterno). Per la banca, vantaggio è incassare subito ed evitare ulteriori spese legali e rischio invenduto; svantaggio, rinuncia a una parte del credito. Bisogna evidenziare che un accordo di questo tipo non è un diritto del debitore: la banca lo accetta solo se convinta che recupererà di più/meno rischi rispetto all’esecuzione.

Dazione in pagamento dell’immobile: Una variante del saldo e stralcio è la dazione in pagamento: il debitore trasferisce la proprietà della casa alla banca (o ad un soggetto da essa designato) a estinzione del debito. In pratica, consegna l’immobile al creditore concordando che ciò soddisfi il mutuo. Questo meccanismo in Italia richiede l’accordo della banca (non può essere imposto unilateralmente) ed è spesso usato quando il debito residuo è prossimo al valore del bene. Se la casa vale più del debito, la banca dovrebbe corrispondere al debitore l’eccedenza (principio del patto marciano, ora recepito dall’art. 48-bis TUB). Se vale meno, la banca in teoria potrebbe richiedere la differenza, ma nella prassi di solito la dazione avviene a saldo e stralcio totale. Vantaggio: si evita l’asta e i suoi costi, trasferendo il bene in modo concordato (in genere con atto notarile). Molte banche però preferiscono vendere all’asta (specie se valore alto) o in sede di NPL con pacchetti di crediti, quindi la dazione è meno comune; tuttavia, con l’introduzione della clausola di inadempimento ex art. 120-quinquiesdecies TUB (patto marciano) il legislatore ha cercato di favorirla, se prevista in contratto, come soluzione rapida post-18 mesi di insoluto.

Surroga o rifinanziamento presso altra banca: Un’altra strada stragiudiziale per chi fatica a pagare potrebbe essere trovare un’altra banca disposta a rifinanziare il debito in forma più sostenibile. Ad esempio, una banca B potrebbe concedere un nuovo mutuo (magari più lungo o a tasso minore) per estinguere il mutuo A attuale. Questa è la cosiddetta portabilità (surroga) del mutuo: senza spese, si passa il debito ad altra banca, che offre condizioni migliori. Nel contesto di difficoltà però questo strumento è di solito limitato a chi ha comunque mantenuto una buona storia creditizia (se si è già in ritardo, difficilmente un’altra banca subentra). Tuttavia, se i problemi sono dovuti più a un tasso alto che alle proprie finanze, la surroga può abbassare la rata. Nel 2024 ad esempio, con l’inversione di tendenza dei tassi, alcuni mutuatari sono passati a istituti che offrivano tassi fissi competitivi. Tenere aperta la concorrenza tra banche può dunque essere utile.

Consolidamento debiti: Qualora il mutuo non sia l’unica esposizione, ma ci siano anche prestiti personali o scoperti, il debitore può valutare un consolidamento: un’unica nuova finanziaria che estingue tutti i debiti a breve e li rimpiazza con un mutuo ipotecario più lungo. Ciò riduce la rata mensile totale. Anche qui, serve avere ancora merito creditizio sufficiente per ottenere questo nuovo prestito, magari coinvolgendo un garante. Spesso finanziarie specializzate offrono prodotti di consolidamento, ma attenzione ai tassi applicati.

Mediazione civile o bancaria: Prima di intraprendere vie giudiziali, è possibile attivare una mediazione presso organismi specializzati (OBF – Organismo di conciliazione banche, o mediatori civili accreditati). In sede di mediazione, il debitore e la banca, con l’ausilio di un mediatore terzo, possono discutere soluzioni come quelle sopra esposte in modo strutturato. In alcuni casi la mediazione è anche condizione di procedibilità prima di iniziare cause su contratti bancari; dunque potrebbe essere un contesto in cui strappare un accordo (ad es. la banca potrebbe accettare una dilazione o abbattimento parziale pur di evitare un contenzioso lungo).

Attenzione ai profili fiscali: Il saldo e stralcio e la cancellazione di parte del debito potrebbero avere implicazioni fiscali. Per i privati, l’eventuale “sconto” ottenuto non genera reddito imponibile IRPEF (il TUIR non considera reddito la remissione di debiti di natura personale). Se però il debitore è un’impresa individuale o società, la riduzione del debito potrebbe configurarsi come sopravvenienza attiva tassabile, a meno che avvenga in concordato preventivo o accordo di ristrutturazione omologato (in tal caso è esente da tasse, art. 88 c.4-ter TUIR). Per il privato che cede la casa alla banca, la differenza potrebbe considerarsi una perdita non fiscalmente rilevante (la vendita della prima casa non genera capital gain tassato). In sintesi, per il consumatore non vi sono conseguenze fiscali immediate nell’aver uno sconto dal creditore, mentre per le aziende vanno valutate con un commercialista.

Esempio pratico (saldo e stralcio): Carlo ha perso il lavoro e non paga la rata da 8 mesi. Debito residuo €120.000, casa che ne vale forse €100.000 sul mercato. La banca avvia il pignoramento. Carlo però trova un acquirente disposto a comprare la casa a €95.000 privatamente (senza attendere l’asta). Propone quindi alla banca: “Se mi consenti la vendita libera e accetti €95.000 come saldo, potrai chiudere subito senza asta; io rinuncio alla differenza”. La banca valuta che all’asta probabilmente ricaverebbe ancor meno (€70-80k netti) e accetta. Viene stipulato un accordo: la banca si impegna, dopo aver ricevuto €95k dalla vendita, a stralciare il residuo debito e a cancellare l’ipoteca. Carlo vende l’immobile a Tizio per €95k, versa l’intero ricavato alla banca, che rinuncia a ulteriori pretese sui restanti €25k. Carlo evita la procedura esecutiva e i relativi anni di angoscia; la banca incassa in pochi mesi una somma maggiore di quanto atteso dall’asta. Certo, Carlo ha perso la casa ed eventuale equity, ma ha anche chiuso ogni debito senza fallimenti o decreti giudiziali.

Strumenti legali e procedure in caso di insolvenza (sovraindebitamento, piani del consumatore, esecuzione forzata)

Se le soluzioni stragiudiziali non sono praticabili o non bastano a risolvere la situazione di insolvenza, il debitore “consumer” (non fallibile) ha a disposizione alcuni strumenti legali previsti dalla normativa italiana per gestire la crisi debitoria. Queste procedure – note come procedure di sovraindebitamento (oggi integrate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019) – consentono di ristrutturare o esdebitare (cancellare) i debiti sotto il controllo del tribunale, evitando iniziative esecutive disordinate dei creditori. In parallelo, se nessuna soluzione va a buon fine, può avviarsi l’esecuzione forzata immobiliare con la vendita all’asta, di cui abbiamo già detto le linee generali. In questa sezione esamineremo dunque: i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento applicabili alla persona fisica (piano del consumatore, ristrutturazione dei debiti, liquidazione controllata, esdebitazione) e alcuni aspetti della procedura esecutiva immobiliare quando essa diviene inevitabile.

Procedure di sovraindebitamento (Codice della Crisi) per debitori civili

La cosiddetta “Legge Salva Suicidi” (Legge 3/2012) – ora sostituita e assorbita nel nuovo Codice della Crisi – ha introdotto per i debitori civili non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up innovative, enti no profit, etc.) una serie di procedure volte a superare la condizione di sovraindebitamento. Sovraindebitato è definito il debitore che non è più in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (insolvenza del soggetto non fallibile). Nel nostro contesto, un mutuatario che non riesce più a pagare il mutuo e magari ha altri debiti (es. bollette, finanziarie) può accedere a tali procedure per trovare una soluzione globale.

Le procedure principali (aggiornate ai nomi e regole del Codice della Crisi) sono:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore): Riservato ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (cioè consumatori puri). Consente di sottoporre al tribunale un piano di pagamento dei debiti basato sulle proprie reali possibilità, anche senza l’accordo preventivo dei creditori. Il giudice, valutata la meritevolezza del consumatore (ovvero che non abbia colposamente causato il sovraindebitamento con frodi o irresponsabilità gravi) e la fattibilità del piano, può omologarlo rendendolo vincolante per tutti i creditori. Il vantaggio è che il consumatore può proporre di pagare i debiti in misura anche parziale e dilazionata, salvaguardando determinati beni. Ad esempio potrebbe prevedere di continuare a pagare regolarmente il mutuo prima casa per non perdere l’abitazione, mentre offre ai creditori chirografari (banche senza garanzie, carte di credito, agenzia entrate per tasse, ecc.) un pagamento parziale (es. 20%) in 5 anni, sfruttando il reddito disponibile al netto della rata del mutuo. Il tribunale valuta se i creditori riceveranno almeno quanto otterrebbero in una liquidazione e, se il piano è equo, lo omologa anche contro il parere di eventuali creditori dissenzienti. Una recente pronuncia (Cass. civ. Sez. I, 23/12/2024 n.34150) ha chiarito che nel piano del consumatore si possono includere anche i crediti privilegiati (es. ipotecari) prevedendone la dilazione pluriennale, purché ai creditori privilegiati sia assicurato il rispetto del loro grado di soddisfacimento e la possibilità di far valere eventuali contestazioni sulla convenienza. Ciò significa, ad esempio, che il mutuo ipotecario sulla casa può essere ristrutturato nel piano – ad es. allungando il termine di pagamento oltre la scadenza originaria – a condizione che la banca non sia pregiudicata (ossia non riceva meno di quanto avrebbe ottenuto pignorando la casa). Questa sentenza bilancia il second chance del debitore con la tutela dei creditori, e conferma un approccio flessibile del piano del consumatore. Esempio: un consumatore con mutuo e altri debiti propone al giudice: continuerò a pagare €500/mese di mutuo per salvare la casa (il che soddisfa integralmente la banca ipotecaria), mentre verso gli altri creditori (per €50k di debiti vari) pagherò €200/mese per 5 anni ripartiti proporzionalmente (circa 40% di soddisfo). Il giudice verifica che vendendo tutto (inclusa casa) i chirografari avrebbero preso meno del 40%; vede che il consumatore è meritevole e che il piano è sostenibile col suo reddito netto: a questo punto omologa il piano che diventa vincolante. I creditori non potranno agire esecutivamente (il mutuo resta pagato regolare, gli altri attendono le rate del piano). Se il consumatore esegue fedelmente il piano, a fine 5 anni otterrà l’esdebitazione sul residuo non pagato.
  • Accordo di composizione della crisi (ora assimilabile al concordato minore per i soggetti non consumatori): È un accordo volontario tra debitore e creditori, che richiede il consenso di almeno il 60% dei crediti (50% nel Codice per il concordato minore). Si applica a debitori non fallibili che però hanno debiti anche di natura imprenditoriale o professionale (es. piccoli imprenditori sotto soglia fallimento, partite IVA). Il debitore elabora un piano simile al precedente, ma deve cercare l’adesione dei creditori (li convoca tramite un organismo di composizione – OCC). Se la maggioranza approva, il tribunale omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes. Questa procedura è meno usata dal consumatore medio (che preferisce il piano votato solo dal giudice), ma è utile se si vogliono coinvolgere attivamente i creditori (es. banche che potrebbero offrire supporto se c’è accordo).
  • Liquidazione controllata del patrimonio (ex liquidazione del patrimonio): È l’ultima risorsa, analoga ad un “fallimento” del privato. Il debitore mette a disposizione tutti i suoi beni (inclusa la casa) ad un liquidatore nominato dal tribunale, il quale li venderà per pagare i creditori secondo le cause di prelazione. Alla fine della liquidazione, anche se i creditori non sono stati pagati integralmente, il debitore persona fisica può chiedere di essere esdebitato (liberato dai debiti residui). L’esdebitazione post-liquidazione è uno strumento fondamentale introdotto per dare al debitore onesto una “fresh start”. Oggi è concessa anche se il debitore non ha pagato nulla ai chirografari (c.d. esdebitazione del debitore incapiente, possibile una volta ogni 4 anni se ricorrono i requisiti di meritevolezza). Nel nostro caso, se il mutuo non pagato porta all’esecuzione dell’abitazione, il debitore potrebbe utilizzare questa procedura: invece di subire passivamente il pignoramento, egli attiva la liquidazione controllata, fa vendere la casa al liquidatore e poi ottiene l’esdebitazione del debito residuo verso la banca (e di ogni altro debito non soddisfatto). Questo permette di chiudere la vicenda: la casa è persa, ma la persona riparte senza strascichi di debito. È una decisione dolorosa (perdita dell’abitazione), ma talvolta necessaria per chiudere con il passato ed evitare di restare inseguiti per anni dalla banca per il debito residuo post-asta.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: Caso particolare introdotto dal Codice della Crisi (art. 283 CCII): se una persona fisica sovraindebitata non ha alcun patrimonio liquidabile né redditi pignorabili, può chiedere al tribunale di essere ugualmente esdebitata (liberata dai debiti) pur senza offrire nulla ai creditori. Viene concessa solo a debitori meritevoli (che non hanno colpe gravi nel loro indebitamento) e comporta comunque un “periodo di prova” di 4 anni in cui se il debitore acquisisce nuove disponibilità deve destinarle ai creditori. Nel contesto mutuo, questa procedura potrebbe applicarsi a chi, ad esempio, ha già perso la casa (pignorata e venduta) e non possiede altri beni né redditi: dopo la vendita, rimarrebbe un debito residuo verso la banca; il debitore incapiente può chiedere l’esdebitazione immediata di quel residuo. La legge consente così di evitare che “gli rimanga un debito per tutta la vita” quando ormai non ha più nulla.

Vantaggi per il debitore: Queste procedure sospendono/impediscono le azioni esecutive individuali durante la loro pendenza (il tribunale, appena accetta la domanda, di solito dispone il blocco dei pignoramenti in corso, a eccezione di alcune categorie). Inoltre, portano a una soluzione definita: un piano sostenibile o la liberazione dai debiti. Sono spesso chiamate procedure di esdebitazione proprio perché l’obiettivo finale è ridare al debitore solvibile (persona fisica) la possibilità di ripartire senza debiti insostenibili.

Effetti sul mutuo e sulla casa: La sorte della casa dipende dalla procedura scelta e dalla convenienza:

  • Se il debitore vuole mantenere la casa, la strada è il piano del consumatore in cui prevede di continuare a pagare il mutuo o rinegoziarlo (come negli esempi sopra). Deve però essere in grado di mantenere quelle rate nell’ambito del suo bilancio. I creditori chirografari in tal caso non vedono l’immobile liquidato, ma in genere accettano perché comunque otterranno il meglio di ciò che il debitore può dare (se li liquidasse, la banca ipotecaria prenderebbe tutto il ricavato della casa e a loro nulla). La legge, come visto, consente di “tenere fuori” la casa se ciò non danneggia i creditori chirografari. Alcuni tribunali hanno interpretato restrittivamente la norma sostenendo che solo un bene strumentale all’attività d’impresa può essere escluso (nel concordato minore, art. 75.3 CCII) e non la prima casa personale, per non violare la par condicio. Ma altri giudici permettono di non liquidare la prima casa se il piano offre comunque ai creditori una soddisfazione non inferiore all’alternativa liquidatoria. Nel 2025 la giurisprudenza non è univoca, ma tende a bilanciare le esigenze: se la casa è fondamentale per la famiglia e il debitore può sostenere il mutuo, salvarla è possibile all’interno di un piano, a patto che i creditori non ipotecari non ci rimettano.
  • Se il debitore non riesce comunque a pagare il mutuo, la casa inevitabilmente dovrà essere ceduta o liquidata. Ciò può avvenire tramite la liquidazione controllata (il liquidatore vende all’asta o a trattativa privata) oppure, preferibilmente, anche all’interno di un piano con l’accordo che la casa venga venduta e il ricavato distribuito. In un accordo di ristrutturazione si potrebbe vendere l’immobile sul mercato in parallelo. La differenza con un pignoramento è che nella procedura negoziata la vendita può avvenire a valori di mercato (evitando le svalutazioni tipiche delle aste) e con maggiore rapidità. Ad esempio, un concordato minore potrebbe prevedere che la casa ipotecata sia venduta a un certo prezzo concordato con un acquirente, e la banca riceva il suo soddisfo da quella vendita (magari accettando uno stralcio del residuo), mentre il debitore con il ricavato paga il mutuo e altri debiti in percentuale. I creditori votano e una volta omologato, si procede alla vendita senza bisogno di esecuzione forzata. Conclusione: se non si può salvare la casa, è comunque meglio cederla nell’ambito di una procedura concordata (piano/accordo) piuttosto che subire un’asta giudiziaria: il controllo resta in parte al debitore, si possono ottenere prezzi migliori e la liberazione dai debiti residui.

Nota: Il ricorso a queste procedure va ponderato con un professionista (OCC o avvocato specializzato). Sono percorsi complessi, ma costituiscono un’ancora di salvezza legale per chi è soffocato dai debiti. La legge riconosce che anche il piccolo debitore meritevole abbia diritto a una soluzione e non a essere perseguitato a vita dai creditori. Proprio per questo, l’accesso è precluso a chi ha avuto comportamenti fraudolenti, distratto beni, omesso di dichiarare situazioni rilevanti, ecc.: in tal caso il giudice può non omologare il piano o negare l’esdebitazione.

Esecuzione immobiliare: aste giudiziarie e tempi

Se non si adottano o non riescono soluzioni alternative, l’iter giunge all’espropriazione immobiliare vera e propria. Ne abbiamo anticipato i passi: risoluzione del mutuo, precetto, pignoramento. Qui forniamo qualche dettaglio in più su come si svolge la procedura esecutiva e quali sono i diritti residui del debitore in quella fase.

  • Procedura davanti al Tribunale: Dopo il pignoramento, il tribunale nomina un Giudice dell’Esecuzione (GE) e un Professionista Delegato (spesso un avvocato o commercialista) che seguirà le operazioni di vendita. Viene stimato il valore dell’immobile da un perito nominato dal giudice; sulla base di quella stima il GE fissa un prezzo base d’asta iniziale. Il debitore ha diritto di partecipare all’udienza di comparizione iniziale e può presentare osservazioni sulla perizia o proporre un proprio acquirente (vendita privata entro certi termini, spesso però non più ammessa dopo il pignoramento se non con accordo di tutti i creditori).
  • Tempi: I tempi delle esecuzioni immobiliari in Italia variano da tribunale a tribunale, ma mediamente una procedura dura 2-4 anni dal pignoramento alla chiusura (grazie a riforme recenti i tempi si sono accorciati rispetto al passato in cui potevano superare i 5 anni). Il debitore di regola può continuare ad abitare l’immobile fino alla vendita (l’ordine di liberazione anticipata viene dato solo se c’è impedimento all’accesso degli interessati alle visite, oppure subito dopo l’aggiudicazione). Questo significa che, anche se pignorato, il debitore mantiene il possesso per un certo periodo. Solo dopo il decreto di trasferimento al nuovo acquirente, e l’eventuale concessione di termini di legge (spesso 60-90 gg per liberare), dovrà lasciare l’immobile.
  • Prezzo d’asta e ribassi: Spesso l’immobile non viene venduto al primo incanto. Se l’asta va deserta, il giudice può disporre un ribasso (tipicamente del 25%) e indire un nuovo tentativo. Così via finché non si trova un’offerta o non si ritira la procedura (cosa rara). Questo meccanismo porta spesso a vendere la casa a valori molto inferiori a quelli di mercato (a beneficio dell’aggiudicatario, ma a discapito del debitore e dei creditori). Esempio: casa valutata €200k, base asta €160k (80%), nessuna offerta; ribasso a €120k, viene venduta a €120k. Ecco perché, se possibile, è preferibile vendere l’immobile prima dell’asta tramite accordi (come visto nel saldo e stralcio).
  • Assegnazione del ricavato: Una volta venduto, il ricavato viene distribuito: prima si pagano le spese di procedura (perito, delegato, tribunale), poi i creditori secondo il loro grado. Il credito ipotecario della banca ha privilegio fino a capienza sul prezzo, in base al grado di ipoteca. Se la banca è primo grado e l’aggiudicazione copre l’intero debito, bene; se non copre, la banca rimane creditore chirografario per la differenza. Esempio: debito €150k, casa aggiudicata €100k: i €100k (meno costi) vanno tutti alla banca, restano €50k di debito insoddisfatto verso il debitore. Al contrario, se il prezzo supera il debito (es. debito €150k, casa venduta €180k), dopo aver pagato integralmente la banca, l’eccedenza spetta al debitore. Quest’ultimo caso è raro perché di solito se esiste equity il debitore vende prima spontaneamente; comunque è un diritto: il tribunale, chiusa la procedura, liquida l’eventuale surplus al debitore esecutato.
  • Residuo debito post-asta: Come già accennato, se il ricavato non basta a soddisfare tutto il debito, la parte rimanente resta dovuta. La banca potrebbe teoricamente agire per il recupero su altri beni o redditi del debitore (se ce ne sono) o cederla a società di recupero. In pratica, dopo aver perso la casa, molti debitori non hanno altri patrimoni: quella differenza rimane come sofferenza ma spesso viene poi condonata de facto o transata. È qui che risulta utile la procedura di esdebitazione: il debitore può far cancellare legalmente il residuo (come spiegato sopra) in modo da non avere più azioni pendenti.
  • Opposizioni e contestazioni: Il debitore può fare opposizione all’esecuzione se ritiene che il pignoramento sia illegittimo (ad esempio, il mutuo non era scaduto, oppure la notifica era nulla, o vi è stata usura nei tassi, ecc.). Oppure può opporsi agli atti esecutivi (vizi procedurali). Queste opposizioni vanno fatte entro termini stretti e con assistenza legale, e sospendono l’esecuzione solo se il giudice concede sospensione (inibitoria). Ad esempio, se si contesta che il contratto di mutuo sia nullo per un tasso d’interesse indeterminato, si può chiedere al giudice dell’esecuzione di sospendere la vendita in attesa che il tribunale decida sulla validità del titolo. La Corte di Giustizia UE (caso Ibercaja Banco, 2022) e la Cassazione (SU 9479/2023) hanno affermato che il giudice dell’esecuzione deve verificare d’ufficio l’eventuale abusività di clausole contrattuali nei mutui con consumatori, anche fasi avanzate dell’esecuzione, a tutela del debitore. Tuttavia, ciò non significa che ogni esecuzione si blocca: solo se emergono clausole nulle (es. interessi usurari, anatocismo illecito, clausole irregolari) il giudice può adottare provvedimenti (ridurre l’importo dovuto, annullare atti). Le Sezioni Unite 2023 hanno chiarito che questo controllo va bilanciato con il principio che in sede esecutiva non si possono introdurre nuove contestazioni di merito non sollevate prima. Insomma, le opposizioni possono guadagnare tempo o portare riduzioni, ma difficilmente eliminano l’obbligo di pagare se il debito è certo.
  • Conversione del pignoramento: Il debitore, una volta pignorato l’immobile, ha una possibilità di bloccare la vendita pagando i debiti: può chiedere la conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c., ovvero offrire ai creditori pignoranti una somma pari al dovuto (più spese) da depositare in tribunale. Se paga tutto, l’esecuzione si chiude. Se non può pagare integralmente, questa strada è impraticabile. Non esistono nel nostro ordinamento meccanismi di redeem parziale come negli USA (dove il debitor può riacquistare l’immobile pagando l’arretrato): da noi o saldi tutto o l’esecuzione va avanti.
  • Riassetto del debito in corso di esecuzione: Anche a pignoramento iniziato si può sempre trovare un accordo transattivo con la banca e gli altri creditori intervenuti. Se, ad esempio, la famiglia riesce a reperire fondi o un parente disponibile, può proporre di estinguere la procedura pagando un certo importo a saldo. Questo va formalizzato in un accordo e poi il creditore procedente chiederà l’estinzione dell’esecuzione per rinuncia. I giudici incoraggiano le soluzioni concordate anche in extremis, perché sgravano il ruolo delle aste e soddisfano i creditori senza attendere. Dunque, mai perdere la speranza: fino a che l’immobile non è aggiudicato, c’è spazio per negoziare con la banca.

Costo emotivo e assistenza: L’esecuzione immobiliare è un percorso angosciante e complesso per il debitore, che vede messa all’asta la propria casa. È importante farsi assistere da un legale di fiducia durante tutto il procedimento, sia per esplorare possibili opposizioni o soluzioni, sia per vigilare sul rispetto delle norme procedurali (valutazione corretta dell’immobile, regolarità delle notifiche, ecc.). Inoltre, va preparata per tempo la ricollocazione abitativa: se non si è riusciti a salvare la casa, occorre cercare un alloggio alternativo (in locazione o da parenti) per quando avverrà il rilascio. In alcuni casi i servizi sociali comunali offrono aiuto per famiglie sfrattate per pignoramento (non sempre, ma tentare).

Riassumendo: La procedura esecutiva, una volta avviata, ha un esito prevedibile (vendita forzata) e non perdona gli errori del passato. Tuttavia, il debitore ha ancora diritti e possibilità: può vendere privatamente fino a un certo punto, può opporsi per ragioni fondate, può pagare e chiudere, o può accordarsi a saldo. Anche se la casa viene venduta, il debitore persona fisica può liberarsi dei debiti residui attraverso l’esdebitazione. In tal modo, pur perdendo il proprio immobile, ottiene la chance di ripartire senza zavorre.


Tabella riepilogativa – Mutuo prima casa: conseguenze e soluzioni (situazione maggio 2025):

Scenario/StrumentoDescrizioneRiferimenti
Ritardo breve (≤30 gg)Pagamento in pochi giorni di ritardo. Dovuti solo interessi di mora. Non comporta risoluzione né segnalazioni.Art. 40 TUB, comma 2; interessi ex art. 1224 c.c.
Ritardi ripetuti (>30 gg, fino 180 gg)Se avviene ≥7 volte (anche non consecutive), banca può risolvere il contratto (decadenza termine).Art. 40 TUB, comma 2 (sette rate)
Ritardo grave (>180 gg)Una rata scaduta e non pagata per oltre 180 giorni. Facoltà di risoluzione immediata per inadempimento.Art. 40 TUB, comma 2 (180 giorni)
Interessi di moraTasso extra (2-4%) su importi e giorni di ritardo. Accumulo di interessi limitato a 3 anni se ipoteca.Art. 1224 c.c.; Art. 2855 c.c. (interessi ipotecari)
Segnalazione creditizia (CRIF)Dopo ~2 rate non pagate, segnalazione come cattivo pagatore. Cancella dopo regolarizzazione (tempi di legge).Codice Privacy, Provv. CRIF.
Risoluzione del mutuoDopo 6 mesi insoluti o 7 ritardi, la banca dichiara risolto il contratto. Intero debito diventa esigibile.Art. 40 TUB; Clausole contratto mutuo.
Pignoramento immobiliareAvvio esecuzione forzata sulla casa. Casa all’asta salvo soluzione bonaria.Art. 2910 c.c. e ss.; art. 474 c.p.c. (titolo esec.).
Sospensione (Fondo Gasparrini)Sospensione rate fino 18 mesi per eventi gravi (disoccupazione, disabilità, CIG). Copertura 50% interessi da Stato.Art. 2 co.475 L.244/2007; art. 54 DL 18/2020 (est.).
Moratoria bancaria volontariaSospensione concordata con banca (es. solo capitale per 6-12 mesi). Estensione piano di ammortamento di pari periodo.Accordi ABI (es. 2009, 2015); iniziative banche (2023+).
Rinegoziazione mutuoModifica condizioni: allungamento durata, tasso diverso, rata ridotta. Banca e cliente accordano nuovo piano senza costi notarili.Art. 120 TUB (portabilità/rinegoziazione); L. 40/2007 (Bersani).
Surroga/consolidamentoTrasferimento mutuo ad altra banca con condizioni migliori; oppure nuovo prestito per estinguere mutuo e altri debiti.Art. 120-quater TUB (surroga).
Saldo e stralcioAccordo transattivo: pagamento parziale “una tantum” e chiusura definitiva debito. Banca accetta un importo inferiore a capitale residuo.Artt. 1236-1241 c.c. (remissione/accordo).
Dazione in pagamento immobileTrasferimento proprietà casa alla banca a soddisfo del debito (patto marciano: attesa 18 mesi di mora). Banca rinuncia a residuo.Art. 120-quinquiesdecies TUB (clausola inadempimento); art. 1977 c.c.
Sovraindebitamento – Piano consumatoreProcedura giudiziale: piano rientro sostenibile omologato da tribunale anche senza consenso creditori. Consente di ristrutturare mutuo (dilazione) e ridurre altri debiti. Mantiene la casa se sostenibile.Art. 67 CCII (piano consumatore); Cass. 34150/2024.
Accordo di ristrutturazione (concordato minore)Accordo con il 60% dei creditori (omologato dal giudice). Prevede pagamento parziale/dilazionato a tutti. Debitore non necessariamente consumatore puro.Artt. 57-64 CCII (accordi); quorum 60% crediti.
Liquidazione controllata ed esdebitazioneLiquidazione di tutti i beni (inclusa casa) da parte di un liquidatore nominato. Distribuzione ai creditori secondo prelazioni. Al termine, cancellazione dei debiti residui (esdebitazione) se persona fisica meritevole.Artt. 268-277 CCII (liq. patrim.); art. 282-283 CCII (esdebitazione).
Asta giudiziariaVendita forzata dell’immobile pignorato sotto controllo del tribunale. Prezzo base d’asta da perizia, possibili ribassi. Debitore perde la proprietà.Artt. 555 c.p.c. e ss. (esec. imm.).
Distribuzione e residuo debitoRicavato asta paga spese e creditori in ordine di grado. Ipoteca ha prelazione illimitata su capitale e fino a 3 anni interessi. Debito non soddisfatto rimane a carico del debitore (salvo esdebitazione).Art. 2855 c.c. (interessi ipotecari); art. 41 TUB (credito fondiario).
Impignorabilità prima casa (Fisco)Agenzia Entrate Riscossione non può pignorare unica casa non di lusso se debito < €120k. Non si applica ai mutui bancari.Art. 76 DPR 602/1973; Cass. 32759/2024.

(Legenda: TUB = Testo Unico Bancario D.Lgs. 385/93; CCII = Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza D.Lgs. 14/2019)

Domande e risposte frequenti (FAQ) – Mutuo e difficoltà di pagamento

D: Ho pagato in ritardo di 20 giorni la rata: avrò problemi gravi con la banca?
R: Un ritardo entro 30 giorni non comporta risoluzione del mutuo né segnalazioni, ma pagherai gli interessi di mora per i giorni di ritardo. È importante però non far diventare l’abitudine: più ritardi anche brevi possono sommarsi. Se è un episodio isolato e comunichi con la banca, di solito non ci sono altre conseguenze oltre alla mora.

D: Quante rate posso saltare prima che la banca mi faccia decadere dal beneficio del termine?
R: La legge (art. 40 TUB) prevede due soglie: 7 rate pagate in ritardo (oltre 30gg) anche non consecutive, oppure 6 mesi di ritardo su una rata. Se superi una di queste soglie, la banca può dichiarare la risoluzione del mutuo. In pratica, la maggior parte dei contratti prevede già la decadenza dopo 6-7 rate non pagate. Alcune banche attendono anche meno (3-4 rate) per sollecitare fortemente, ma formalmente per accelerare il debito devono attenersi a quei limiti di legge.

D: La banca può pignorare la mia prima casa se è l’unico immobile in cui vivo?
R: Sì, se il creditore è la banca per un mutuo ipotecario, può pignorarla in caso di insolvenza, indipendentemente dal fatto che sia prima e unica casa. La protezione dell’impignorabilità della prima casa vale solo per il Fisco (Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione) sotto certi limiti. Dunque per i creditori privati non c’è un divieto legale di pignoramento. Nel caso di mutuo, la casa è data in garanzia ipotecaria, ciò significa che la banca ha diritto di esproprio in caso di inadempimento. L’unica attenuante è che deve seguire la procedura giudiziaria e rispettare i termini (non può portartela via dall’oggi al domani, ma tramite tribunale). Ci sono tuttavia strumenti per evitare l’asta (rinegoziazioni, accordi) da usare prima.

D: Ho perso il lavoro, posso bloccare temporaneamente le rate del mutuo?
R: Sì, puoi chiedere la sospensione delle rate tramite il Fondo di solidarietà prima casa (cd. Fondo Gasparrini), se possiedi i requisiti (mutuo ≤ €250k, ISEE ≤ €30k, non più di 2 rate scadute nei 90gg, cessazione rapporto di lavoro o altro evento previsto). Otterrai fino a 18 mesi di sospensione completa del pagamento. Durante la sospensione non sarai considerato inadempiente e il Fondo pagherà metà degli interessi al posto tuo. La domanda va fatta in banca compilando il modulo e allegando ad es. la lettera di licenziamento. In alternativa, molte banche offrono moratorie volontarie (tipicamente sospensione quota capitale) anche per autonomi in difficoltà; bisogna chiederle e motivare la richiesta. Non avere timore a chiedere: è meglio attivare una sospensione concordata che accumulare ritardi e segnalazioni.

D: Posso chiedere di rinegoziare il mutuo? La banca è obbligata a farlo?
R: Puoi sempre chiedere una rinegoziazione (modifica delle condizioni) e anzi è consigliabile farlo ai primi segnali di difficoltà. La banca non è obbligata per legge ad accettare (salvo specifici casi normati, come fu nel 2023 per passaggio a tasso fisso, scaduto), ma spesso accetta se la proposta è ragionevole. Rinegoziare non ha costi (nessuna penale né notaio) e può significare allungare la durata, abbassare il tasso o concedere un periodo di sola quota interessi. Presenta un piano alla banca su come potresti pagare più facilmente (ad esempio: “riduciamo la rata del 30% allungando il mutuo di 5 anni”). La banca preferisce adattare il contratto piuttosto che averti insolvente. Quindi, no obbligo, ma convenienza reciproca a trovare un nuovo accordo.

D: Ho ricevuto l’atto di precetto dalla banca: cosa significa e cosa posso fare?
R: Il precetto è l’intimazione formale di pagare il dovuto (capitale residuo + interessi, spese) entro 10 giorni, altrimenti inizierà l’esecuzione forzata. Se hai ricevuto un precetto, vuol dire che la banca ha già risolto il mutuo e ottenuto un titolo (spesso il mutuo stesso se è atto pubblico, o un decreto ingiuntivo). Sei a un passo dal pignoramento. Cosa fare: se riesci a trovare i fondi, questo è il momento per pagare e bloccare tutto (conversione del pignoramento, art. 495 c.p.c.). Se non puoi pagare tutto, puoi: 1) tentare un accordo last-minute con la banca (saldo e stralcio, magari presentando un acquirente per la casa); 2) verificare col tuo avvocato se ci sono motivi di opposizione (ad es. irregolarità nel contratto o nel calcolo del dovuto) per guadagnare tempo o ridurre l’importo; 3) prepararti all’esecuzione puntando eventualmente a vendere la casa prima dell’asta (la vendita è possibile finché il giudice non assegna). In ogni caso, agisci subito con un legale di fiducia: i 10 giorni del precetto sono l’ultimo campanello prima del pignoramento.

D: La banca può rifiutare un pagamento parziale durante la procedura?
R: Sì, dopo la risoluzione del mutuo la banca non è tenuta ad accettare pagamenti parziali a meno che rientrino in un accordo specifico. Se sei in esecuzione e offri di pagare, la banca solitamente vuole l’intero o un accordo di saldo e stralcio formalizzato. Piccoli pagamenti sporadici non impediscono il prosieguo dell’esecuzione (possono ridurre il debito residuo, ma se non fermano tutto la procedura continua fino a liquidare il bene). Quindi non basta pagare una rata arretrata a quel punto: bisogna o saldare tutto o concordare la chiusura formale. Altrimenti, ogni versamento verrà imputato a interessi e spese senza bloccare l’asta.

D: Ho un garante sul mutuo (fideiussore): cosa succede a lui se non pago?
R: Il fideiussore (garante) è obbligato in solido con te verso la banca. Ciò significa che se tu non paghi le rate, la banca può escutere (richiedere il pagamento a) lui per le somme dovute. Tipicamente la banca, in caso di tua morosità, solleciterà anche il garante e potrebbe chiedergli di coprire le rate mancanti o addirittura l’intero debito dopo la decadenza dal termine. Se si arriva al pignoramento della casa e questa non copre tutto il debito, la banca può aggredire i beni del garante (pignorare il suo stipendio, la sua casa se non è primaria e ipotecarla, ecc.) per il residuo. Da notare: molte fideiussioni omnibus standard bancarie sono state giudicate nulle perché contrarie alla normativa antitrust (schema ABI vietato) – Cass. SS.UU. 41994/2021 ha confermato la nullità parziale di quelle clausole. Ciò potrebbe offrire al garante una linea di difesa se la fideiussione ricalca quello schema: in tal caso potrebbe non essere tenuto a pagare (ma la banca punterebbe tutto su di te e l’ipoteca). In generale, il garante dovrebbe essere coinvolto nelle trattative di rinegoziazione o saldo e stralcio: spesso è interessato a contribuire, ad esempio pagando una parte a stralcio, per evitare guai peggiori al proprio patrimonio.

D: Se la casa viene venduta all’asta e non copre il debito, dovrò pagare la differenza per sempre?
R: In linea teorica la banca potrebbe continuare a chiederti la differenza (con decreti ingiuntivi per l’importo residuo). Nella pratica, dopo l’asta, specialmente se sei nullatenente, è probabile che il residuo diventi una sofferenza che la banca svaluta o cede a società di recupero. Queste potrebbero più avanti proporsi per chiudere a saldo e stralcio anche con sconti alti (perché hanno comprato il credito a poco). In ogni caso, hai la possibilità legale di azzerare quel debito residuo tramite esdebitazione. Se hai fatto la liquidazione del patrimonio o concordato un piano, l’esdebitazione è automatica a fine procedura. Se invece subisci solo l’esecuzione, puoi comunque, dopo la vendita, presentare istanza di esdebitazione come “debitore incapiente” se non hai altri beni. Il tribunale, verificato che sei meritevole (non hai frodato), ti libererà del debito rimanente verso la banca. Questo ti permette di non portarti dietro all’infinito uno “zombie-debito”. I tempi: puoi chiederlo subito dopo la chiusura dell’esecuzione o, meglio, attivare tu una liquidazione controllata così da accedere formalmente all’esdebitazione.

D: Ho altri debiti oltre al mutuo (carte, finanziamenti): c’è un modo unico per sistemare tutto?
R: Sì, le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (piano del consumatore o concordato minore) ti consentono di affrontare tutti i debiti insieme in un unico piano. Per esempio, nel piano del consumatore includi il mutuo e gli altri debiti, e stabilisci chi paghi integralmente (es. il mutuo ipotecario) e chi parzialmente (es. i prestiti personali). Il giudice omologa un piano unitario e da quel momento tutti i creditori sono vincolati a quel piano e non possono agire al di fuori. Questo evita di rincorrere singolarmente ogni posizione. Inoltre c’è il beneficio dell’esdebitazione finale per i debiti non soddisfatti appieno. Ovviamente serve la consulenza di un OCC/avvocato per elaborare un piano credibile e sostenibile.

D: Sono un lavoratore autonomo, ho un mutuo casa e debiti fiscali: posso fare il piano del consumatore?
R: Se la maggior parte dei tuoi debiti sono personali (non legati all’attività) allora potresti qualificare come “consumatore” e fare il piano del consumatore. Ma se i debiti fiscali o verso fornitori sono prevalenti e inerenti all’attività, dovresti usare il concordato minore (accordo di ristrutturazione) perché sei considerato un piccolo imprenditore/professionista. Il concordato minore richiede il voto dei creditori (maggioranza del 50% +1, abbassata rispetto ai 2/3 del concordato ordinario). Nel tuo caso, se vuoi salvare la casa, c’è il tema che la legge non include espressamente l’abitazione tra i beni esclusi dalla liquidazione nel concordato minore (prevede solo beni strumentali). Alcuni giudici però l’hanno permesso se il piano non danneggia i creditori. Ti servirà un bravo professionista per strutturare la proposta in modo che i creditori accettino e il giudice la ritenga equa.

D: Ho sentito parlare di “composizione negoziata” per le imprese – vale anche per privati con mutuo?
R: La composizione negoziata (introdotta nel 2021) è uno strumento rivolto alle imprese in crisi (imprenditori commerciali, società) e non ai privati consumatori. Consiste in un percorso volontario assistito da un esperto per trovare accordi con i creditori ed evitare l’insolvenza. Nel tuo caso, se sei un privato con mutuo casa, la composizione negoziata non si applica: dovresti seguire le vie del sovraindebitamento spiegate sopra. La composizione negoziata è trattata nella prossima sezione dedicata ai mutui aziendali.

D: Posso detrarre comunque gli interessi del mutuo se ho fatto una rinegoziazione o se sono in ritardo?
R: Gli interessi passivi del mutuo ipotecario prima casa sono detraibili al 19% dall’IRPEF entro il tetto di €4.000 di interessi annui, purché il mutuo sia destinato all’acquisto o ristrutturazione dell’abitazione principale e tu stia ancora adoperandola come tale. Il diritto alla detrazione non viene meno per aver rinegoziato il mutuo o per aver usufruito di una sospensione (gli interessi “pagati” dal Fondo o comunque maturati potrebbero essere detraibili se effettivamente a tuo carico). Se però nell’anno non hai pagato interessi (perché magari eri in moratoria totale), non avrai nulla da detrarre per quell’anno. Importante: se perdi il beneficio prima casa (es. ti trasferisci altrove e affitti l’immobile) la detrazione cessa. Ma il solo ritardo nel pagamento non incide sul diritto alla detrazione, che riguarda la destinazione d’uso dell’immobile e l’uso del mutuo. Consulta il tuo CAF/commercialista per i dettagli.

D: Se la banca ha venduto il mio mutuo a una società (cessione NPL), cambia qualcosa per me?
R: Potenzialmente sì. Quando un mutuo deteriorato viene ceduto a una società di recupero crediti o un fondo (SPV), questo nuovo creditore subentra con gli stessi diritti della banca (ipoteca inclusa). Spesso però queste società hanno acquistato il credito a un prezzo scontato e possono essere più disponibili a trattative di saldo e stralcio vantaggiose per te. Ad esempio, la banca originaria magari rifiutava meno del 80% del dovuto, mentre il nuovo creditore – avendolo comprato al 50% del valore – potrebbe accettare anche il 60%. Inoltre le società di recupero tendono a chiudere le posizioni in tempi più brevi, perché il loro business è incassare e smobilizzare. Quindi, se vieni contattato da un nuovo soggetto perché hanno acquistato il tuo mutuo, non spaventarti: valuta di riaprire il dialogo, magari con l’aiuto di un legale, per rinegoziare o stralciare. Ovviamente, attento: alcune società sono aggressive nelle azioni legali, quindi non trascurare eventuali atti giudiziari. Ma l’esperienza insegna che molti debitori trovano accordi proprio dopo la cessione a terzi.

D: Che differenza c’è tra pignoramento per mutuo e pignoramento fiscale?
R: Il pignoramento per mutuo segue il Codice di procedura civile e, come detto, non ha limiti se non quelli di procedura (7 rate o 6 mesi per far scattare, poi base d’asta ecc.). Il pignoramento fiscale (Agenzia Entrate Riscossione) segue il DPR 602/1973 ed è più restrittivo a favore del debitore: se è prima casa e unico immobile, non possono procedere; se debito < €120.000, non possono; inoltre devono attendere 30 giorni dall’iscrizione di ipoteca e solo dopo possono espropriare. In compenso, l’Agente della Riscossione non ha bisogno di decreto ingiuntivo: ha già la cartella esattoriale come titolo. Quindi: con la banca hai più tutele procedurali in partenza (non ti pignora senza titolo e giudice), ma meno protezioni sull’unicità della casa; con il fisco hai protezione sull’abitazione principale ma meno passaggi per arrivare al pignoramento se hai altri immobili o grossi debiti. In sintesi, la tua casa con mutuo può essere pignorata dalla banca secondo le regole ordinarie; il fisco invece se è proprio la prima casa e il debito non enorme, non può toccarla.

D: Sono in ritardo di 3 rate ma ora ho i soldi per mettermi in pari: la banca deve riattivare il mutuo?
R: Se non ha ancora risolto il contratto, assolutamente sì: paga gli arretrati (meglio se previo accordo sul calcolo esatto con interessi di mora e spese) e torni in bonis. La banca aggiornerà la tua posizione e, dopo qualche tempo, sarai anche cancellato dai sistemi di informazione creditizia negativi (di solito l’aggiornamento a “regolarizzato” e poi cancellazione dopo 12 mesi dalla regolarizzazione). Se invece la banca ha già comunicato la decadenza dal beneficio del termine (risoluzione), tecnicamente non è tenuta a ripristinare il piano alle vecchie condizioni. In qualche caso, se paghi tutto l’arretrato prima che inizino il pignoramento, la banca può – a sua discrezione – accettare di revocare la decadenza e riattivare il mutuo (magari facendoti firmare un atto di “ricognizione” o transazione). Ma non è un obbligo: una volta risolto, avrebbero diritto a pretendere tutto il residuo. Quindi, se hai accumulato 3 rate e hai ora liquidità, contatta subito la banca, chiedi se il contratto è ancora in essere e paga ciò che devi chiedendo espressamente di continuare il mutuo. Di solito, se non sei andato oltre i 6 mesi, accettano il rientro. Tieni traccia scritta di tutto per sicurezza.

Mutui aziendali: gestione delle rate non pagate nelle imprese

Passiamo ora all’analisi dei mutui in ambito aziendale, ossia mutui contratti da imprese (società o ditte individuali) per l’acquisto di immobili strumentali, capannoni, uffici, o anche per liquidità garantita da ipoteca su beni aziendali. Anche gli imprenditori possono trovarsi in difficoltà a servire il debito, specialmente in periodi di crisi economica o di calo del fatturato. Le dinamiche presentano analogie con quelle dei mutui privati (interessi di mora, eventuale risoluzione e pignoramento del bene ipotecato), ma vi sono anche strumenti specifici per le imprese: procedure concorsuali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione) e misure come la composizione negoziata. Questa sezione esaminerà:

  • Le conseguenze del mancato pagamento per mutui aziendali e come le banche gestiscono i crediti deteriorati di imprese (ad esempio, differenze tra mutuo fondiario e mutuo ordinario).
  • Le soluzioni stragiudiziali disponibili: rinegoziazione, moratorie per PMI, piani di risanamento certificati, accordi banche-imprese.
  • Gli strumenti concorsuali in caso di crisi d’impresa: accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo (anche in continuità aziendale), ecc., e l’impatto sui mutui ipotecari.
  • L’eventuale fase di esecuzione forzata sui beni ipotecati e il coordinamento con le procedure fallimentari (liquidazione giudiziale).
  • Simulazioni ed esempi pratici di gestione di mutui aziendali in difficoltà.

Peculiarità dei mutui aziendali e conseguenze del default

Un mutuo aziendale viene spesso erogato in forma di mutuo fondiario (in Italia, credito fondiario ex art. 38 TUB) per l’acquisto di immobili d’impresa o come liquidità garantita da ipoteca. I mutui fondiari alle imprese hanno alcuni vantaggi normativi per la banca (procedura esecutiva semplificata, limiti di importo in rapporto al valore del bene) ma anche vincoli. Ecco alcune peculiarità:

  • Rapporto mutuo/valore (LTV): Il credito fondiario può finanziare fino all’80% del valore del bene ipotecato (elevabile al 100% con garanzie aggiuntive). Se si supera tale soglia, il mutuo perde le agevolazioni di legge ma non è nullo, diventando di fatto un mutuo ipotecario ordinario. (Cass. SS.UU. 26672/2013 ha chiarito che il superamento del limite LTV non comporta nullità del contratto, ma solo sanzioni per la banca e perdita del regime fondiario).
  • Facoltà di proseguire l’esecuzione dopo fallimento (privilegio fondiario): La normativa (art. 41 TUB) storicamente consentiva al creditore fondiario di agire o proseguire nell’esecuzione sull’immobile ipotecato anche se l’impresa debitrice falliva, senza bisogno di attendere la procedura concorsuale. Questo privilegio processuale serviva per accelerare il recupero. Nel Codice della Crisi d’Impresa (CCII) la questione è stata rinnovata: c’è dibattito se il creditore fondiario possa ancora avvalersi dell’esecuzione individuale in costanza di liquidazione giudiziale (fallimento). Alcune pronunce di merito recenti (Trib. Mantova 2024) propendono per la sopravvivenza di tale facoltà anche nel nuovo codice, mentre altre sono più restrittive. In pratica, la banca con mutuo fondiario a volte può ottenere di vendere il bene ipotecato separatamente, poi far insinuare al passivo il residuo in fallimento. È un tecnicismo rilevante per i legali: per l’imprenditore significa che il bene verrà verosimilmente liquidato comunque, ma la modalità può differire (asta concorsuale vs asta individuale).
  • Limite triennale sugli interessi ipotecari: Come già accennato, per i crediti ipotecari (fondiari) ammessi al passivo fallimentare, il privilegio ipotecario copre gli interessi fino a un massimo di tre anni oltre la dichiarazione di fallimento. Questo per evitare che la banca lasci accumulare troppi interessi a scapito di altri creditori. Significa che in caso di insolvenza prolungata, la banca non potrà pretendere come privilegiati interessi ultratriennali, limitando parzialmente la crescita del debito per interessi.
  • Segnalazione centrale rischi Banca d’Italia: Le imprese hanno l’obbligo di essere segnalate alla Centrale dei Rischi B.I. per esposizioni > €30.000. Un mutuo non pagato che diventa “incaglio” o “sofferenza” comparirà in CR come tale e tutte le banche lo vedranno. Questo spesso innesca un effetto a catena: altre banche possono ridurre affidamenti all’impresa appena vedono la segnalazione negativa. Dunque l’impresa in difficoltà su un mutuo rischia di veder restringersi anche il credito operativo. Ciò rende cruciale muoversi per tempo su rinegoziazioni prima che scatti la segnalazione di “inadempienza probabile” o “sofferenza”.
  • Responsabilità personali: Se il mutuo aziendale è acceso da una società di capitali, i soci non rispondono personalmente (salvo abbiano dato fideiussioni personali). Se invece è contratto da un’impresa individuale o società di persone, il patrimonio dell’imprenditore o dei soci illimitatamente responsabili è escutibile. Quindi il default del mutuo può travolgere sia l’immobile ipotecato sia altri beni personali se la forma giuridica non separa le responsabilità.

Conseguenze del mancato pagamento (mutuo impresa): In generale, la scaletta è simile al caso privato: interessi di mora, eventuale risoluzione del contratto, pignoramento dell’immobile ipotecato. Ma spesso, nel caso di impresa, il mancato pagamento del mutuo è sintomo di una crisi più ampia. La banca oltre a procedere col pignoramento potrà:

  • revocare affidamenti e fidi all’impresa, peggiorandone la liquidità;
  • segnalare l’azienda in centrale rischi come “sofferente”, il che spesso porta altri creditori (fornitori, banche) a irrigidire le condizioni;
  • attivare garanzie collaterali: ad es. se c’è una fideiussione di società madre o un Confidi, chiamerà anche quei garanti;
  • prepararsi a insinuarsi in un eventuale fallimento se la situazione precipita.

Esempio tipico: S.r.l. Alfa ha un mutuo ipotecario per il capannone industriale, ma a causa di calo ordini non paga le rate da 6 mesi. La banca invia la lettera di decadenza dal termine (dopo 180 giorni di insoluto) e notifica precetto. Nel frattempo segnala Alfa come “sofferenza” in CR per €500k. Le altre banche che vedevano Alfa come cliente affidato reagiscono: revocano fidi di cassa, chiedono rientri, bloccano nuovi crediti. I fornitori sentono odore di crisi e passano a pagamenti anticipati. Alfa subisce quindi un effetto domino che può condurla all’insolvenza totale. La banca intanto pignora il capannone: se Alfa non trova soluzione, l’asta del capannone può paralizzarne l’attività (perdendo i locali di produzione). Quindi, il mutuo insoluto innesca un circolo vizioso.

Per questi motivi, per l’impresa è ancora più essenziale attivare subito strumenti di gestione della crisi, come vedremo, per evitare di arrivare al punto di non ritorno.

Soluzioni stragiudiziali per imprese in difficoltà col mutuo

Le imprese dispongono di alcune leve analoghe a quelle dei privati (rinegoziazione con la banca, moratorie), ma spesso in forma strutturata tramite accordi di categoria o con supporto di consorzi di garanzia. Inoltre, esistono strumenti specifici come i piani attestati e gli accordi di ristrutturazione che, pur essendo procedure semi-giudiziali, si basano su un accordo volontario coi creditori e possono prevenire il default.

Vediamo le principali opzioni stragiudiziali:

Rinegoziazione del mutuo e moratorie per PMI

Rinegoziazione bilaterale: L’impresa può chiedere alla propria banca mutuataria di rivedere i termini del mutuo. Anche qui, ciò può significare:

  • Prolungamento della durata residua, per abbassare le rate.
  • Periodo di preammortamento (es. 6-12 mesi pagando solo interessi).
  • Conversione temporanea a rate “bullet” (pagamento periodico solo interessi e rinvio del capitale a una data futura).
  • Riduzione dello spread o rifinanziamento a tasso più vantaggioso (se i tassi di mercato scendono o se l’impresa ha nuove garanzie da offrire).

La differenza è che la banca, nel valutare una rinegoziazione ad un’impresa, guarderà con attenzione il business plan e le prospettive di ripresa dell’azienda. Spesso chiederà documentazione: ultimi bilanci, piani di ristrutturazione interni, ordini in portafoglio. Se intravede concrete possibilità di recupero, la banca preferirà ristrutturare il debito piuttosto che mandare l’impresa al fallimento (dove recupererebbe forse meno e dopo anni). In questi frangenti è utile avviare un dialogo anche tramite il gestore corporate della banca, presentando un piano di risanamento.

Accordi ABI – moratoria imprese: Dal 2009 in poi, ABI ha siglato con le associazioni imprenditoriali diversi Accordi per il Credito che mettono a disposizione delle PMI misure di sospensione o allungamento dei finanziamenti. Ad esempio, l’Accordo ABI 2019 “Imprese in ripresa 2.0” (tuttora riferimento per molte banche) prevedeva la possibilità per le PMI di chiedere:

  • la sospensione fino a 12 mesi della quota capitale delle rate dei mutui (continuando a pagare gli interessi);
  • la sospensione fino a 12 mesi dei canoni leasing (solo quota capitale per leasing immobiliari, 6 mesi per leasing mobiliari);
  • l’allungamento della durata dei mutui fino a un 100% della residua (es. 5 anni residui → allungabile altri 5) e l’allungamento fino a 270 giorni delle anticipazioni su crediti (fidi).

Tali misure erano accessibili alle PMI “in bonis” ma con temporanea tensione finanziaria, previa richiesta entro date stabilite e con eventuale approvazione della banca. Durante la pandemia COVID, l’Accordo 2019 è stato esteso (Addendum 2020) ai prestiti fino a gennaio 2020, allineandosi alle moratorie ex lege emergenziali. Anche nel 2022-2023, in scia all’emergenza energetica, sono state emanate normative (DL Aiuti) che invitavano le banche a valutare moratorie volontarie per le imprese colpite da caro-energia, in combinazione con garanzie pubbliche. Ad esempio, il Fondo di Garanzia PMI (MCC) ha previsto una sezione per coprire l’allungamento dei finanziamenti esistenti di imprese con calo di fatturato ≥20% nel 2023.

In sintesi, se l’impresa è una PMI (definizione UE: <250 dipendenti, fatturato < €50M), può ancora oggi rivolgersi alla propria banca chiedendo l’applicazione delle misure dell’Accordo ABI vigente: molte banche su base individuale concedono sospensioni capitale per 6-12 mesi alle PMI in difficoltà, specialmente se supportate da Garanzia MCC (lo Stato garantisce in parte il debito residuo durante la moratoria). Ad esempio, nel 2025 Invitalia/MCC hanno aperto finestre per richiedere garanzie su moratorie di mutui PMI (per poche settimane a giugno 2025, con risorse limitate).

Come procedere: L’azienda deve contattare la banca (spesso c’è un modulo standard ABI da compilare) indicando di voler aderire alla moratoria per PMI, specificando se chiede sospensione o allungamento. Deve dichiarare di rientrare nei parametri di PMI e che il mutuo non abbia già fruito di sospensioni nei 24 mesi precedenti (c’è di solito una limitazione su ripetere la moratoria). La banca valuta e normalmente concede se l’istanza rientra nelle condizioni ABI. La sospensione accordata allunga il piano di ammortamento di un periodo pari alla pausa concessa.

Effetti: Durante la sospensione, l’impresa continua a pagare solo interessi (se concordato) e le rate capitale sono posticipate. Non scatta default né segnalazione negativa (la posizione può essere segnalata come “in moratoria” ma non come incaglio). Gli interessi sul capitale sospeso sono pagati normalmente (spesso trimestralmente) quindi l’onere finanziario non sparisce, ma riducendo l’uscita di cassa di ogni rata della quota capitale, l’azienda può respirare.

Esempio: Impresa Beta ha mutuo con rata €10k/mese (di cui €7k capitale, €3k interessi). Chiede moratoria capitale 12 mesi. Per un anno paga solo €3k/mese; risparmia €7k cash mensili, ossigeno che usa per pagare fornitori e dipendenti. Al 13° mese riprende a pagare €10k/mese e il mutuo è esteso di +12 mesi oltre il termine originario. Nel frattempo il mercato è migliorato e Beta è ancora in piedi.

Attenzione: se l’impresa è già gravemente insolvente e vicina al fallimento, difficilmente la banca concederà moratorie volontarie. Queste funzionano per aziende in temporanea difficoltà ma ancora affidabili. Se l’impresa ha già rate scadute da molto o bilanci disastrosi, la banca potrebbe temere che la sospensione sia solo un rinvio di un default inevitabile, e preferire avviare le vie legali per tutelarsi o chiedere intervento di garanzie. In tali casi più estremi, bisogna passare a strumenti concorsuali (vedi oltre) dove l’accordo coinvolge tutti i creditori.

Piani attestati di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 LF)

Il piano attestato di risanamento è un accordo strettamente stragiudiziale, ma merita menzione perché spesso utilizzato dalle imprese per rinegoziare il debito bancario in chiave più ampia. Consiste in un piano di risanamento aziendale, redatto dall’impresa magari con advisor finanziario, che prevede interventi (es. nuova finanza, cessione asset, ristrutturazione debiti) tali da assicurare il riequilibrio. Questo piano viene attestato da un esperto indipendente circa la sua veridicità e fattibilità. Se il piano è poi effettivamente eseguito, i pagamenti e le garanzie concesse in attuazione di esso sono esenti da revocatoria fallimentare ex art. 67 LF (ora art. 56 CCII).

Perché è rilevante nel mutuo? Perché spesso i piani attestati includono accordi con le banche come:

  • proroga dei mutui,
  • conversione dei crediti a breve (scoperti) in mutui a medio termine,
  • rinuncia da parte delle banche a azioni esecutive in cambio di nuovo collateral o piano di rimborso.

Con un piano attestato, l’impresa cerca di ottenere dalle banche (spesso c’è più di una) un consenso informale a ristrutturare i crediti. Non serve l’adesione formale di tutte come negli accordi ex 182-bis, ma serve che il piano funzioni comunque anche senza formalità (se poi una banca va per conto suo, il piano può saltare). In pratica, è un accordo privatistico rafforzato dall’attestazione.

Pro: è riservato (non si deposita in tribunale), evita pubblicità negativa, è flessibile. Contro: non vincola i dissenzienti e se l’impresa finisce comunque in insolvenza, i creditori non aderenti possono agire.

Molte ristrutturazioni di mutui aziendali avvengono in questo alveo: l’impresa presenta alle banche un piano di rilancio con attestazione, e le banche in pool deliberano l’ok a rinegoziare i mutui e concedere nuova finanza garantita (spesso prededucibile in caso di successivo fallimento, grazie all’art. 100 CCII, ex 182-quater).

In poche parole: se la tua impresa ha vari debiti e vuoi evitare il tribunale, un piano attestato può convincere la banca del mutuo a non escutere l’ipoteca immediatamente e aspettare l’esecuzione del piano, magari rifinanziando le rate finali del mutuo o capitalizzando gli arretrati.

Composizione negoziata della crisi (DL 118/2021 conv. L.147/2021)

Novità di recente introduzione (fine 2021), la composizione negoziata è un percorso volontario in cui l’imprenditore in crisi (anche potenziale) chiede la nomina di un esperto indipendente che lo aiuti nelle trattative con i creditori. È uno strumento molto flessibile e stragiudiziale (anche se la nomina avviene tramite commissione apposita e c’è supervisione del tribunale solo se richiesto per misure protettive).

Come può aiutare sul mutuo? Ad esempio, l’imprenditore attiva la composizione negoziata e informa la banca del mutuo. Sotto la guida dell’esperto, possono concordare una moratoria o una ristrutturazione del mutuo nel contesto di un accordo più ampio con tutti i creditori. L’esperto redige delle proposte e agevola la comunicazione. Se necessario, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive che bloccano le azioni esecutive dei creditori per la durata dei negoziati (tipicamente fino a 4 mesi prorogabili di 1, max 6). Ciò significa che se la banca aveva avviato il pignoramento, può essere sospeso su decreto del giudice durante la composizione negoziata.

Esito: se le trattative riescono, si può formalizzare:

  • un contratto di ristrutturazione privato con la banca (es. nuovo piano di ammortamento) e magari con altri creditori (tipo allungamento scadenze fornitori);
  • oppure l’imprenditore può optare per una procedura concorsuale semplificata se falliscono le trattative (concordato semplificato per cessione beni, introdotto dal DL 118/2021).

La composizione negoziata è una novità e nel 2023-2024 ha visto alcune adesioni di imprese medio-piccole. È utile quando l’impresa è ancora in going concern (vuole proseguire attività) e cerca un accordo senza lo stigma del tribunale. Per la banca, partecipare ai tavoli negoziati con l’esperto significa avere una visibilità su come l’impresa intende risanarsi e magari ottenere garanzie aggiuntive (lo Stato ha creato un Fondo ad hoc per incentivare finanziamenti in composizione negoziata, con garanzia pubblica 64% – DL 118/21).

In pratica: se la tua azienda è in crisi e la banca sta perdendo fiducia, attivare la composizione negoziata può far scattare uno stop temporaneo alle azioni (moratoria protetta) e convincere la banca a sedersi al tavolo con l’esperto. Da lì potrebbe nascere un accordo scritto di rimodulazione del mutuo, magari condizionato al rispetto di un piano industriale trimestrale monitorato. È uno scenario avanzato, richiede consulenza di commercialisti/legali esperti in crisi d’impresa.

Accordi di ristrutturazione ex art. 57 CCII (ex art. 182-bis LF)

Se la crisi è più grave o diffusa tra vari creditori, l’impresa può ricorrere agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Sono accordi giudizialmente omologati tra debitore e una parte dei creditori (almeno il 60% in valore dei crediti). Richiedono quindi di negoziare con banche e altri creditori principali, ottenere la loro adesione scritta all’accordo, e poi depositare tutto in tribunale per l’omologazione. I creditori che aderiscono rappresentando ≥60% vincolano anche gli eventuali non aderenti (questi ultimi verranno pagati integralmente ma alle scadenze contrattuali, oppure soddisfatti secondo la disciplina specifica – es. se l’accordo prevede stralcio per i chirografari, serve pagarli per intero fuori accordo o includerli se consenzienti in percentuale).

Nel contesto di un mutuo:

  • L’accordo può prevedere che la banca del mutuo riceva un certo trattamento (es. continui a essere pagata regolarmente o con scadenze allungate) e in cambio sospenda le azioni esecutive.
  • Se la banca aderisce all’accordo, esso all’omologa la vincola come un contratto modificativo: il mutuo viene ristrutturato secondo i nuovi termini e la banca rinuncia a far valere eventi di default precedenti. Se c’erano altre banche, si possono fare accordi interbancari di subordination o di cessione di crediti tra loro per facilitare la ristrutturazione (questo dipende dai casi).

Gli accordi di ristrutturazione hanno avuto successo quando un’azienda ha poche banche coinvolte e interessi allineati. Spesso vengono usati da medie imprese con molte esposizioni bancarie: piuttosto che fare un concordato con classi, preferiscono un accordo con le banche (che hanno 70-80% del debito) e magari stralciare i chirografari pagando loro una quota pre-accordo o includendo se necessario.

Vantaggi per la banca: procedure più snelle che in un concordato, minor pubblicità, e il fatto che se l’accordo fallisce possono sempre agire (ma durante l’accordo c’è protezione concorsuale post-omologa verso i non aderenti, e possibili misure protettive pre-omologa su richiesta). Inoltre, i creditori finanziari ottengono spesso che l’accordo preveda la continuità aziendale (cioè l’impresa prosegue, generando valore anche per loro: meglio di farla fallire).

Esempio: Ditta Gamma ha 3 banche finanziatrici (2 mutui ipotecari e vari fidi). Propone un accordo: le banche allungano i mutui di 5 anni e riducono tassi, convertono i fidi scoperti in un nuovo mutuo ipotecario secondario, in cambio i soci immettono capitale fresco e Gamma dismette un immobile non strategico per rimborsare subito il 10% del debito. Due banche su tre (rappresentanti 75% del debito) aderiscono. La terza è minoritaria e non aderisce, ma con l’omologa dovrà subire l’accordo: in pratica Gamma la paga integralmente fuori accordo secondo i piani originari (o garantisce il suo pagamento integrale). L’accordo viene omologato dal tribunale: da quel momento è vincolante. Gamma esegue il piano: paga la quota immediata con la vendita, ottiene l’allungamento su tutti i mutui, e riesce a tornare in bonis. Le ipoteche restano ma con scadenze più lontane, nessuna asta avviata.

Concordato preventivo (codice della crisi)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale vera e propria, alternativa al fallimento, in cui l’impresa propone ai creditori un piano con classi e percentuali di soddisfo, soggetto a voto e omologazione giudiziale. È spesso l’ultima spiaggia prima della liquidazione.

Nel contesto di mutui aziendali:

  • Se l’impresa opta per un concordato liquidatorio, significa che probabilmente venderà tutti i beni (inclusi gli immobili ipotecati) all’interno della procedura e distribuirà il ricavato ai creditori. La banca ipotecaria in tal caso viene soddisfatta preferenzialmente con il ricavato del bene su cui ha ipoteca (al netto di contributo spese procedura). Il concordato ha il vantaggio di evitare le aste frammentarie: si può vendere il complesso aziendale anche in blocco o con procedure competitive più snelle. L’ipotecario è in una classe separata e riceve il suo valore. Se rimane credito residuo oltre il valore ricavato, nel concordato liquidatorio di solito viene falcidiato (tagliato) salvo volerlo trattare diversamente. Si può infatti “falcidiare” il credito ipotecario limitatamente alla parte in eccedenza rispetto al valore del bene (art. 84 CCII): la banca cioè accetta di essere soddisfatta solo fino al 100% del valore realizzabile dell’immobile, rinunciando al resto. Ad esempio, se debito €1M e immobile stimato €700k, il concordato può prevedere che la banca ipotecaria prenda €700k (100% del valore stimato, quindi falcidia 30% del suo credito). La banca vota su questo piano (di solito gli ipotecari votano se non prendono il 100% legale). Se la maggioranza concorda, il piano passa e anche la banca ipotecaria è vincolata a quel trattamento.
  • Se l’impresa propone un concordato in continuità aziendale, allora si ipotizza che l’azienda resti operativa. In tale ipotesi, potrebbe prevedere di continuare a pagare il mutuo alle scadenze originarie (o rinegoziate) come parte del piano. La legge consente nel concordato in continuità di mantenere in essere i contratti essenziali all’attività. Un mutuo ipotecario su capannone può ritenersi essenziale se l’azienda intende continuare ad operare in quel capannone. Allora la proposta di concordato dirà: “Classe creditori ipotecari: pagheremo il loro credito per intero nei termini contrattuali (piano di ammortamento invariato), così da poter trattenere l’immobile necessario alla produzione”. Gli altri creditori (es. fornitori) magari avranno una percentuale X su Y anni. Per fattibilità, si deve però ottenere che la banca ipotecaria sia d’accordo e non abbia già risolto il mutuo. Purtroppo, come visto dalla pronuncia App. Bari 2025, se il mutuo è stato risolto (o comunque se si vuole escludere l’ipoteca dal concorso creditori mantenendo il bene) vi sono posizioni contrastanti. Alcuni tribunali dicono: nel concordato minore non puoi escludere la casa non strumentale, figuriamoci nel concordato preventivo per società (dove la norma prevede solo beni aziendali strumentali come escludibili). Quindi, se la banca non è d’accordo, il rischio è che chieda la risoluzione del contratto prima e pretenda la liquidazione del bene nel concordato. Tuttavia, la soluzione a volte usata è: includere comunque la banca in una classe e prevedere di pagarla integralmente ma dilazionato (quindi di fatto continuare il mutuo sotto la supervisione del concordato). Se la banca vota favorevole, tutto ok; se vota contro, il concordato può essere omologato lo stesso solo se quel trattamento è migliorativo rispetto alla liquidazione del bene (per ipotesi, se l’azienda in continuità genererà flussi per pagare 100% del debito ipotecario, la banca non può lamentarsi che vendendo subito avrebbe preso 100% uguale – anzi preferisce forse continuare a incassare con l’azienda viva).
  • Nel concordato, il grande vantaggio immediato per l’impresa è la protezione dagli atti esecutivi: dal momento del deposito della domanda (con riserva o meno) scatta il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (art. 54 CCII, ex art. 168 LF). Quindi se la banca aveva pignorato l’immobile, il procedimento esecutivo viene sospeso e poi chiuso all’omologa del concordato (il bene passa sotto l’ombrello concorsuale). La banca dovrà far valere le sue ragioni all’interno del concordato, e non più autonomamente in tribunale civile. Questo dà respiro all’azienda e parità di trattamento tra creditori.
  • In sede di concordato, se il bene ipotecato è funzionale alla continuazione e si mantiene, come cenno prima, alcuni tribunali permettono di lasciar fuori quell’immobile solo se i creditori non subiscono pregiudizio e se c’è accordo specifico (es. la banca ipotecaria ha un accordo stragiudiziale parallelo con l’azienda, come menzionato in Tribunale di Pistoia 2022/2023). Ciò avviene a volte in concordati gruppi o con intervento di sponsor terzi.

In sintesi, il concordato è un potentissimo strumento per ristrutturare l’impresa e i suoi debiti, ma comporta formalità e tempi (oltre che costi per professionisti, atti, ecc.). Viene scelto quando la situazione è compromessa al punto che serve l’autorità del tribunale per bloccare i creditori e imporre un sacrificio a tutti (o liquidare ordinatamente). Le banche di solito preferiscono accordi stragiudiziali o 182-bis, perché il concordato può imporre tagli e porta rischi di esito incerto. Ma se l’impresa non lascia alternative, spesso le banche poi partecipano e votano pro se il piano è più vantaggioso del fallimento.

Simulazioni pratiche – Gestione mutui aziendali in crisi

Caso 1: Piccola impresa individuale in difficoltà temporanea – Un artigiano (impresa individuale) ha un mutuo ipotecario di €200.000 su un laboratorio. A causa di un calo di commesse per alcuni mesi fatica a pagare le rate di €3.000/mese. Ha però nuovi ordini in arrivo tra 6 mesi. Soluzione: aderisce alla moratoria ABI PMI chiedendo 6 mesi di sospensione della quota capitale. La banca, visto che era regolare finora, concede: per 6 mesi l’artigiano paga solo €800 di interessi, invece di €3.000. Ciò gli consente di ridurre le uscite durante la fase di magra. Al settimo mese, con i nuovi incassi, riprende le rate piene e rientra in carreggiata. Nessuna segnalazione negativa è avvenuta e il rapporto con la banca resta buono.

Caso 2: PMI con calo strutturale – Piano attestato – La Beta S.r.l., 50 dipendenti, ha due mutui ipotecari (banca X e Y) e vari debiti di fornitura. Il suo mercato è cambiato e deve riorganizzarsi; prevede due anni difficili. Già comincia a pagare qualche fornitore in ritardo e teme di non rispettare alcuni covenant bancari. Soluzione: Beta incarica un advisor e predispone un piano di risanamento a 3 anni: chiusura di un ramo d’azienda improduttivo, vendita di un magazzino, riduzione costi del personale con contratto di solidarietà. Nel piano propone alle banche: “sospendete per 12 mesi i pagamenti di capitale dei mutui e allungateci i piani di 3 anni; in cambio destiniamo la vendita del magazzino (€500k) a rimborsare anticipatamente il 20% del debito e miglioriamo gli indici di bilancio”. Il tutto è asseverato da un esperto che attesta che il piano è fattibile e l’azienda tornerà redditizia dal terzo anno. Le banche, vedendo l’impegno dei soci (che ci mettono anche €100k di mezzi propri) e la perizia dell’esperto, accettano l’accordo. Firmano un documento di ristrutturazione privatistica. Beta esegue: vende il magazzino e dà €500k alle banche (che li suddividono), per un anno paga solo interessi sulle rate, riorganizza l’azienda. Le banche mantengono le esposizioni in bonis (magari le declassano a “ristrutturate” in CR ma non a sofferenza). Dopo 1 anno Beta torna a generare utili, riprende a pagare le rate complete e completa il piano di risanamento. Il mutuo viene alla fine pagato con 2 anni di ritardo ma integralmente, e Beta evita la crisi irreversibile.

Caso 3: Crisi grave – Concordato preventivo in continuità – La Gamma S.p.A., 100 dipendenti, subisce un tracollo di mercato. Ha 3 mutui ipotecari per immobili industriali (totale debito €5 mln) e €2 mln tra debiti verso fornitori ed Erario. Non riesce più a sostenere le rate e inizia a saltarle; due banche minacciano di pignorare. Gamma tenta una composizione negoziata ma i fornitori chiave non vogliono attendere, quindi la direzione opta per il concordato preventivo in continuità. Presenta domanda di concordato “in bianco” al tribunale: da quel momento nessun creditore può aggredire i beni (bloccati i pignoramenti delle banche). Prepara in 4 mesi un piano di concordato: prevede di cedere un ramo d’azienda non core a un investitore per €3 mln; con quei fondi propone di pagare in classe privilegiati le banche ipotecarie al 70% del loro credito (stima che vendendo all’asta gli immobili frutterebbero il 50%, quindi 70% è conveniente per loro) – il restante 30% verrebbe falcidiato; propone anche di pagare i debiti verso dipendenti e Erario in prededuzione/privilegio al 100% (dilazionati) e di pagare i fornitori chirografari al 20%. Il concordato prevede la continuità: l’azienda resta attiva con 50 dipendenti (gli altri in esubero liquidati col TFR). Le banche ipotecarie votano a favore perché preferiscono incassare 70% subito dalla vendita ramo + ipoteche, che attendere la liquidazione immobiliare; i fornitori anche (20% è meglio di zero in fallimento visti i privilegi altrui). Il tribunale omologa il concordato. Gamma esegue: vende il ramo, incassa €3 mln, paga subito 70% alle banche che svincolano ipoteche su quei beni (o riducono ipoteche); la continuità permette a Gamma di generare nei 2 anni seguenti altri utili con cui paga le percentuali promesse. Gamma sopravvive, pur ridimensionata, e le banche incassano più di quanto speravano (e concessero forse nuovo credito prededucibile per far girare la continuità, poi rimborsato).

Caso 4: Insolvenza inevitabile – Liquidazione giudiziale (fallimento) – La Delta S.r.l. è ormai insolvente, i macchinari fermi, 3 aste in corso sui suoi immobili ipotecati promosse da banche diverse, debiti fiscali e del personale. Nessun piano regge. I creditori o l’azienda stessa avviano la liquidazione giudiziale (ex fallimento). In questo scenario, il tribunale nomina un curatore che subentra. I pignoramenti in corso sono sospesi e confluiscono nel fallimento: sarà il curatore a vendere gli immobili (magari uno era già aggiudicato in asta, in tal caso farà l’atto di vendita e incasserà il prezzo). Le banche insinuano i loro crediti: ammissione al passivo in privilegio ipotecario per capitale + interessi ultimi 3 anni. Vengono venduti tutti i beni; le banche come creditori ipotecari di primo grado ricevono dal curatore i ricavi dei rispettivi immobili, soddisfacendosi preferenzialmente. Se avanza qualcosa, si passa ai creditori chirografari; se rimangono residui non pagati, la società viene cancellata e quei crediti insoddisfatti sono scaricati (la società di capitali “muore” senza pagare tutto, ai creditori non resta nulla se non eventuali azioni di responsabilità sugli amministratori). Nel frattempo i garanti personali (es. soci fideiussori) potrebbero essere escussi dalle banche per i residui non coperti, a meno che anch’essi non facciano procedure personali di esdebitazione.

Questo caso è chiaramente il peggiore ma, se la situazione è compromessa, a volte è l’unico sbocco. La lezione è: meglio agire nelle fasi 1-2-3 per evitare la fase 4. Tuttavia, il fallimento, per quanto drammatico, consente di chiudere i conti: i creditori prendono il possibile e l’attività cessa. Se i soci hanno garanti, potrebbero anche loro poi ricorrere a sovraindebitamento personale.

FAQ – Mutui aziendali in crisi (domande frequenti)

D: La banca può revocare il mutuo ad un’impresa prima della scadenza?
R: In genere il mutuo viene risolto (accelerato) per le stesse cause viste per i privati: mancato pagamento rate (oltre i limiti di legge). Però nei contratti aziendali spesso ci sono covenant finanziari o clausole risolutive espresse (es. deterioramento indicatori di bilancio, superamento soglie di indebitamento, perdita di controllo aziendale) che possono dare facoltà alla banca di chiedere il rientro anticipato. Il cosiddetto “covenant breach” può portare alla risoluzione se previsto dal contratto. Se l’impresa viola questi parametri (ad es. patrimonio netto sceso sotto X, rapporto debito/EBITDA salito oltre Y), la banca tecnicamente può invocare risoluzione e pretendere il rimborso immediato anche se le rate erano pagate. Nella prassi, molte banche negoziano una waiver (rinuncia temporanea) al covenant invece di revocare subito, se credono nel recupero. Ma in condizioni di grave crisi potrebbero revocare, sì. In sintesi: al di là del mancato pagamento, l’impresa deve fare attenzione anche al rispetto di tutte le clausole di contratto, perché la banca può avere “armi” contrattuali per pretendere il rimborso anticipato in caso di peggioramento della solvibilità.

D: Ho una PMI; la banca mi ha proposto di consolidare i debiti a breve in un mutuo ipotecario più lungo, conviene?
R: Spesso sì, è una strategia di ristrutturazione: se hai molti fidi scoperti e debiti di conto, convertirli in un mutuo a medio/lungo termine con un piano di ammortamento può darti respiro (paghi rate in anni invece che dover rientrare subito). Ovviamente significa mettere magari un’ipoteca su un bene aziendale (o personale del titolare) per garantire il nuovo mutuo. Devi valutare se credi nel risanamento dell’azienda: stai “spalmando” il debito e vincolando un asset, quindi devi essere fiducioso di poter generare abbastanza cassa in futuro per pagare quelle rate. La banca probabilmente ti chiede anche il piano attestato di risanamento o comunque documentazione. Se pensi di riuscirci, consolidare può evitare la tensione di dover rincorrere i fidi a breve. Attenzione anche al tasso: di solito il mutuo ipotecario ha tassi inferiori agli scoperti di conto, quindi risparmi interessi. Direi che conviene quando la crisi è temporanea e c’è un piano per rilanciare; se invece l’azienda è destinata a ridimensionarsi molto, potresti finire con un mutuo che non riesci comunque a pagare e aver ipotecato magari la casa del titolare – valuta bene il rischio.

D: Ho garantito come persona fisica il mutuo della mia SRL: la banca può rifarsi su di me?
R: Sì, se hai firmato una fideiussione personale o hai dato un bene in garanzia (es. ipoteca sulla tua casa come terzo datore di ipoteca), la banca in caso di insolvenza della società può escutere direttamente te, senza dover aspettare eventuale fallimento. Molto spesso i mutui PMI sono garantiti dai soci con fideiussioni omnibus. Quindi la banca inizia parallelemente: notifica risoluzione alla società e lettera di escussione al fideiussore. Tu come garante hai pochi margini di difesa se il debito è certo; puoi provare a eccepire nullità della fideiussione se rientra nel modello ABI censurato (valuta col legale: se la fideiussione ha quelle 3 clausole standard, potrebbe essere nulla ai sensi antitrust, Cass. 29810/2017 e SS.UU. 41994/2021). Se è nulla, potresti evitare il pagamento. Altrimenti, se valida, la banca ti può chiedere l’intero importo dovuto e se non paghi procedere contro i tuoi beni (stipendio, immobili). In caso di procedura concorsuale della società, tu rimani obbligato per l’intero – occhio: l’esdebitazione della società (che nel fallimento lascia i crediti insoddisfatti estinti verso la società) non estingue la garanzia del fideiussore, che resta tenuto. Quindi il creditore potrebbe perseguire te per differenza non pagata dal fallimento. Come persona fisica, se ti trovi esposto e non ce la fai, puoi ricorrere anche tu a una procedura di sovraindebitamento per liberarti.

D: La procedura di composizione negoziata è pubblica? I miei clienti sapranno se la attivo?
R: La composizione negoziata di per sé è riservata: la nomina dell’esperto viene comunicata solo a te e ai creditori coinvolti. Non c’è una pubblicazione ufficiale fino a che non chiedi misure protettive o altre approvazioni giudiziali. Se chiedi la sospensione delle azioni esecutive, allora il decreto viene pubblicato nel registro delle imprese e sul registro delle procedure (quindi i fornitori potrebbero vederlo). Ma la semplice apertura della fase negoziata no, non è pubblicizzata. L’esperto è tenuto alla riservatezza. Quindi in teoria i tuoi clienti/concorrenti non dovrebbero saperlo, a meno che qualche creditore coinvolto non lo divulghi. Questo strumento fu pensato proprio per permettere alle imprese di trattare “sotto traccia” la ristrutturazione, per evitare allarmismi sul mercato. Ovviamente, se hai decine di creditori, è difficile mantenere il segreto assoluto, ma formalmente non appare un timbro di “azienda in crisi” finché stai nella composizione negoziata. Se poi sfocia in un concordato semplificato o altro, allora sì, diventerebbe pubblico.

D: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale) dell’impresa, perdo automaticamente anche l’immobile ipotecato?
R: Sì, se l’immobile è di proprietà dell’impresa fallita, entra nella massa attiva da liquidare. Il curatore lo venderà e pagherà la banca con il ricavato. Non c’è modo di “tenere” quell’immobile, a meno che un terzo (socio, parente) lo compri dal curatore partecipando all’asta o trattativa. Se l’immobile era invece di un terzo che lo aveva dato in pegno/ipoteca, allora il fallimento dell’impresa non coinvolge direttamente la proprietà di quel terzo (es: se tua moglie ha dato ipoteca sulla sua casa per il mutuo dell’azienda tua fallita, la casa è sua, fuori dal fallimento, ma la banca potrà comunque pignorarla in sede esecutiva separata). L’immobile strumentale dell’impresa in fallimento sarà venduto; l’impresa essendo un soggetto giuridico distinto cessa e tu come imprenditore non ne hai più diritti (se ditta individuale, di fatto i beni sono tuoi ma confluiscono anch’essi). Quindi, il fallimento segna quasi certamente la perdita dell’immobile ipotecato. Ci sono casi di esercizio provvisorio in fallimento in cui l’attività continua per un po’ se conviene, ma alla fine o si fa un affitto d’azienda o si liquida. Rassegnati che quell’immobile verrà usato per pagare i creditori.

D: La banca ha un’ipoteca su un mio capannone; se vendo il capannone prima che ci siano problemi, libero l’azienda dal mutuo?
R: Solo se fai una vendita concordata con accollo o estinzione del mutuo. Mi spiego: non puoi vendere “liberamente” un bene ipotecato senza soddisfare il creditore ipotecario, perché l’ipoteca segue il bene. Nessuno compratore sano acquista un immobile con ipoteca, se non pagando un prezzo decurtato e lasciando una parte a estinzione del mutuo. Tipicamente, se trovi un acquirente per il capannone, si farà così: la banca fornisce la cifra di saldo del mutuo; l’acquirente paga quel importo direttamente alla banca per cancellare l’ipoteca, e l’eventuale eccedenza a te venditore. Quindi il mutuo viene estinto contestualmente alla vendita. Se il prezzo di vendita non copre il debito residuo, la banca difficilmente acconsente a cancellare ipoteca (perderebbe la garanzia per la differenza): in tal caso devi negoziare un saldo e stralcio. Ad esempio, debito €500k, vendi a €400k; chiedi alla banca di accettare €400k a saldo e liberare ipoteca. Se la banca accetta, bene (forse perché valuta che 400 in mano ora meglio che aspettare fallimento). Tu incassi zero in quel caso, vai tutto alla banca. In sintesi: vendere prima dell’asta è una buona mossa ma va fatta in accordo con la banca. Non libera automaticamente l’azienda dal debito residuo se il ricavato non basta. Se invece il ricavato copre tutto, certo, estingui il mutuo e l’azienda rimane senza quell’immobile ma anche senza debito correlato.

D: Ho più mutui con diverse banche su immobili diversi, ma l’azienda non va: devo fare tanti accordi separati?
R: Puoi, ma conviene una strategia unitaria. Se l’azienda è in crisi su larga scala, meglio predisporre un piano unitario e presentarlo a tutte le banche (magari convocando un tavolo comune). Se provi a fare accordi separati, rischi che una banca si muova in anticipo pignorando e facendo saltare l’accordo con altre. Gli accordi di ristrutturazione del debito (182-bis) o la composizione negoziata servono proprio a coordinare tutti i creditori. Quindi evita il fai-da-te frammentato: prendi un advisor e affronta la ristrutturazione in modo centralizzato, includendo tutti i mutui e fidi. Così potrai prevedere, ad esempio, la vendita di un immobile per pagare due mutui, l’allungamento di un terzo, ecc., in un puzzle coerente. Ogni banca sarà più disponibile a fare la sua parte se vede che anche le altre lo fanno e che c’è un progetto complessivo sostenibile. Se invece una banca fiuta che un’altra potrebbe aggredire e prendersi tutto, vorrà partire per prima per non rimanere col cerino in mano.

D: Dopo un concordato o accordo, la mia azienda potrà chiedere nuovi finanziamenti?
R: Non subito, e non facilmente. Un’azienda uscita da un concordato rimane “macchiata” in centrale rischi e bilancio per un po’. Dovrà ristabilirsi e dimostrare affidabilità. In generale, banche e fornitori saranno prudenti: magari lavoreranno con pagamenti anticipati o garanzie. Ci sono però incentivi: la legge permette nuova finanza prededucibile durante concordato (che viene rimborsata con priorità) – alcune banche la forniscono perché garantita che se la procedura va male, rientrano prima loro. Inoltre, se l’azienda ha eseguito un piano attestato con successo, può segnalare quel track record. Diciamo che per 1-2 anni dovrai contare sulle tue forze o su canali agevolati (fondi pubblici, MCC garanzie) per ottenere credito. Ma se la ripresa è reale, pian piano la fiducia torna. Importante anche gestire la comunicazione: in concordato, ad esempio, dopo l’omologa dovresti far sapere al mercato che l’azienda è risanata, magari con articoli stampa, per ridurre lo stigma. Alcuni clienti però potrebbero chiedere assicurazioni (fideiussioni assicurative sulle commesse, ecc.). È un percorso, ma molte imprese phoenix sono risorte e tornate bancabili dopo un lustro circa. Nel frattempo, strumenti come factoring pro soluto (che si basa sulla qualità dei crediti, non sull’azienda) o leasing operativi possono tamponare la mancanza di fiducia bancaria.

Bibliografia

Normativa (Italia):

  • Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993): art. 40 comma 2 (Decadenza dal termine nei mutui: 7 ritardi >30gg o 180gg insoluto); art. 120-quinquiesdecies (Clausola pattizia di inadempimento patto marciano – 18 rate); art. 120-quater (Surroga nei mutui); art. 41 (Privilegio esecutivo credito fondiario).
  • Codice Civile: artt. 1218-1224 c.c. (inadempimento e interessi moratori); art. 1186 c.c. (decadenza termine per insolvenza conclamata); art. 1346 c.c. (determinabilità oggetto contratto, vedi Cass. SU 15130/2024); artt. 2740-2741 c.c. (responsabilità patrimoniale e par condicio); artt. 2787, 2855 c.c. (interessi ipotecari limitati a due annate più corrente, elevato a tre per fondiario); art. 2910 c.c. e ss. (esecuzione forzata sui beni del debitore).
  • Codice di Procedura Civile: artt. 474 e 479 c.p.c. (titolo esecutivo e precetto); art. 495 c.p.c. (conversione del pignoramento); art. 555 c.p.c. e ss. (pignoramento immobiliare e vendita).
  • D.P.R. 29/09/1973 n.602: art. 76 (Limiti espropriazione immobiliare da parte del Fisco: impignorabilità prima casa e soglie €120.000).
  • Legge 244/2007 (Finanziaria 2008): art. 2 commi 475-480 (Istituzione Fondo di solidarietà mutui prima casa “Gasparrini” e requisiti).
  • D.L. 17/03/2020 n.18 (“Cura Italia”) art. 54 (Estensione straordinaria Fondo mutui prima casa durante Covid: include partite IVA, mutui fino €400k, sospensione senza ISEE); art. 56 (Moratoria straordinaria PMI Covid).
  • Legge 3/2012 (Salva Suicidi) e Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019): artt. 67-73 CCII (Piani di ristrutturazione del consumatore, ex piano consumatore); art. 75 CCII (concordato minore e esclusione beni strumentali); art. 84 CCII (falcidiabilità dei crediti prelatizi nei concordati);artt. 56-64 CCII (Accordi di ristrutturazione dei debiti, quorum 60%); art. 54 CCII (divieto azioni esecutive durante concordato);artt. 268-277 CCII (Liquidazione controllata patrimonio sovraindebitati);artt. 282-283 CCII (Esdebitazione debitori civili, incluso incapienti).
  • D.L. 24/08/2021 n.118 conv. L.147/2021: istituzione Composizione Negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (procedura volontaria assistita da esperto); art. 6 (possibilità misure protettive).
  • T.U. Imposte sui Redditi (DPR 917/1986): art. 15, c.1, lett. b-bis (Detrazione IRPEF 19% interessi mutui prima casa, max €4.000 interessi); art. 88 c.4-f (Sopravvenienze attive esenti per riduzione debiti in concordato o accordo omologato).

Giurisprudenza:

  • Cass. civ. Sez. I, 27/07/2023 n. 22749: Mutuo fondiario – fallimento società mutuataria – ammissione al passivo: la banca va ammessa per le rate scadute fino alla risoluzione o fallimento e per il capitale residuo, mentre gli interessi hanno privilegio nei limiti di tre annualità (massima ufficiale: evitare accumulo illimitato interessi a danno altri creditori).
  • Cass. civ. Sez. I, 23/12/2024 n. 34150: Sovraindebitamento – piano del consumatore – dilazione dei crediti privilegiati: ammessa la previsione di pagamento dilazionato oltre l’anno di crediti con prelazione (tributi, stipendi, ipoteche), purché ai creditori privilegiati sia data facoltà di valutare la convenienza (opposizione ex art. 12-bis L.3/2012) e ricevano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione. Estende quindi la possibilità di ristrutturare anche i mutui ipotecari nel piano, in equilibrio con i diritti dei creditori.
  • Cass. civ. Sez. III, ord. 16/12/2024 n. 32759: Esecuzione esattoriale – impignorabilità prima casa: conferma che Agenzia Entrate Riscossione non può pignorare l’unico immobile di residenza del debitore (non di lusso) se il debito a ruolo < €120.000. Stabilisce i requisiti: iscrizione ipoteca da 6+ mesi, debito >120k e debitore con altri immobili di valore, altrimenti pignoramento nullo. (Ribadisce principi art.76 DPR 602/73).
  • Cass. Sez. Un. 11/05/2023 n. 9479: Clausole abusive nei mutui – rilievo d’ufficio: le SS.UU. affrontano l’impatto delle sentenze Corte UE (Ibercaja Banco) sulle esecuzioni: il giudice deve valutare d’ufficio l’eventuale abusività di clausole consumer (es. interessi di mora eccessivi, decadenza dal termine dopo 1 rata) anche dopo l’ordinanza di vendita, ma chiariscono che ciò non introduce un nuovo motivo di opposizione oltre i limiti processuali (no nuove allegazioni fuori termine). In sostanza, equilibrio tra tutela del consumatore e preclusioni: il G.E. può rilevare nullità manifeste e rideterminare il credito o sospendere la vendita, ma il debitore deve comunque attivarsi tempestivamente per eccepire.
  • Cass. Sez. Un. 16/11/2021 n. 41994: Fideiussioni omnibus conformi schema ABI 2003: confermata la nullità (parziale) per violazione antitrust delle clausole standard di reviviscenza, rinuncia termini ex art.1957 c.c. e pagamento a prima richiesta se inserite tutte e tre in fideiussione conforme al modello censurato da Banca d’Italia nel 2005. Il garante può opporre tale nullità alla banca.
  • Cass. Sez. Un. 04/07/2023 n. 15130: Mutuo “alla francese” – ammortamento composto – trasparenza contrattuale: le SS.UU. escludono che la mancata menzione espressa del regime di capitalizzazione composta (tipico del piano “francese”) determini nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto. Non è necessario indicare il “maggior costo” derivante dal calcolo composto rispetto al semplice, se il mutuo riporta numero rate, importo e tassi pattuiti: il cliente può ricavare agevolmente il costo totale sommando le rate. La questione attiene semmai alla trasparenza (art.117 TUB) ma non incide sulla validità se TAEG/TAN sono correttamente indicati. (Chiude quindi il contenzioso su asserita usura/anatocismo nel piano francese).
  • App. Bari, 29/01/2025: Concordato minore in continuità – pagamento di mutuo ipotecario su abitazione non strumentale: ha ritenuto inammissibile la proposta che prevedeva di continuare a pagare il mutuo sulla casa del debitore fuori dal piano, in violazione dell’art.75 co.3 CCII che consente esclusione solo per beni strumentali. Interpretazione rigorosa: tutti i beni (inclusa abitazione) devono essere ricompresi nella garanzia patrimoniale, salvo eccezione espressa di legge. Richiamate pronunce di merito conformi (Trib. Ravenna, Trieste, Ferrara, Bologna 2023) e citata opposta di Trib. La Spezia 21/09/2023 che invece ammetteva la prosecuzione mutuo su abitazione anche se non strumentale. (Questione aperta, come commentato).
  • Trib. Mantova, 09/10/2024: Liquidazione giudiziale – credito fondiario – art.41 TUB: conferma possibilità per il creditore fondiario di avvalersi del privilegio processuale di cui all’art. 41 co.2 TUB nelle procedure di liquidazione giudiziale, cioè può proseguire o iniziare esecuzione individuale sul bene ipotecato nonostante il fallimento, fermo restando il coordinamento con il concorso (distribuzione in sede concorsuale). (In attesa di uniformità).
  • Corte Giust. UE, sent. 17/05/2022 (C-600/19, Ibercaja Banco): importante per la tutela dei consumatori in esecuzioni immobiliari: impone ai giudici nazionali di esaminare d’ufficio l’eventuale abusività di clausole (es. decadenza dal termine dopo una rata, interessi moratori troppo alti) e consente di sospendere l’esecuzione se tali clausole sono in questione. Influenza recepita da Cassazione 2023 (sopra).

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