Come Superare Una Crisi Aziendale

Hai un’impresa in difficoltà e non sai come uscirne? I debiti aumentano, i fornitori cominciano a non fidarsi, le banche chiedono rientri e la tua azienda sembra bloccata? In questi casi, il rischio è quello di aspettare troppo a lungo, finché non restano più alternative.

La buona notizia è che superare una crisi aziendale è possibile, ma serve agire per tempo e con gli strumenti giusti. Il Codice della Crisi d’Impresa oggi offre nuove soluzioni legali per ristrutturare i debiti, evitare il fallimento e salvare ciò che funziona dell’azienda.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi aziendali, diritto societario e risanamento – ti spiega cosa fare quando l’impresa entra in crisi, quali sono i segnali da non ignorare, e come puoi superare la crisi con una strategia concreta, sostenibile e legale.

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Introduzione

Come può una PMI superare una crisi finanziaria o economica? In Italia esistono molteplici strumenti legali che consentono di gestire e risolvere situazioni di difficoltà aziendale, evitando – quando possibile – il fallimento e favorendo il risanamento. Negli ultimi anni, con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) e successive riforme, l’ordinamento italiano ha introdotto procedure innovative e flessibili, aggiornate a maggio 2025, pensate per aiutare imprenditori e professionisti a fronteggiare la crisi. Questa guida offre una panoramica completa di tali strumenti – composizione negoziata della crisi, piano attestato di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo (ordinario e semplificato), liquidazione giudiziale, ecc.

Importante: Ci concentreremo esclusivamente sugli strumenti legali previsti nell’ordinamento italiano per il superamento della crisi nelle piccole e medie imprese (PMI). Non verranno trattati aspetti di diritto del lavoro o gestione del personale, che esulano dall’ambito di questa guida. Il linguaggio utilizzato sarà tecnico-giuridico ma il più possibile chiaro, in modo da risultare comprensibile anche a imprenditori con un livello medio di alfabetizzazione giuridica.

Quadro normativo e definizioni (aggiornato al 2025)

Per affrontare una crisi aziendale è fondamentale conoscere il contesto normativo vigente in Italia. Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che ha sostituito la vecchia legge fallimentare del 1942. Questo Codice – modificato e integrato da successivi decreti correttivi nel 2020, 2022 e 2024 – rappresenta oggi il riferimento principale in materia di procedure concorsuali e strumenti di risanamento. Le riforme hanno recepito la direttiva UE 2019/1023 in tema di ristrutturazioni preventive, introducendo istituti innovativi e ponendo l’accento sulla prevenzione e il tempestivo emersione della crisi.

Crisi vs insolvenza: Il CCII distingue il concetto di “stato di crisi” dallo “stato di insolvenza”. In breve: la crisi è una situazione di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza futura, se non si interviene (è quindi uno stadio pre-insolvenza, un “campanello d’allarme”). L’insolvenza, invece, è lo stato conclamato in cui l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (cessazione dei pagamenti). Questa distinzione è cruciale perché alcuni strumenti possono essere attivati già in fase di crisi iniziale (quando c’è ancora margine di recupero), mentre altri presuppongono un’insolvenza già manifesta.

Obbligo di assetti adeguati: Una novità importante è l’art. 2086 c.c. (come modificato nel 2019), che impone all’imprenditore collettivo di adottare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili funzionali alla rilevazione tempestiva della crisi. In altre parole, le società devono dotarsi di sistemi di controllo interno capaci di far emergere i segnali di difficoltà (indicatori di crisi) per potervi reagire prontamente. Gli organi di controllo (collegio sindacale, revisori) hanno l’obbligo di segnalare immediatamente agli amministratori le criticità rilevate. Questo obbligo rientra nel più generale approccio di allerta precoce promosso dalla riforma: la logica è prevenire l’aggravarsi della crisi intervenendo in tempo, anziché arrivare tardi al punto di non ritorno.

Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza: Il CCII elenca una “cassetta degli attrezzi” di soluzioni – sia negoziali che giudiziali – per gestire la crisi d’impresa. Possiamo raggrupparli in due categorie principali:

  • Strumenti di natura stragiudiziale o semi-stragiudiziale, attivati volontariamente dall’imprenditore, con intervento limitato dell’autorità giudiziaria: ad esempio la composizione negoziata della crisi (procedura nuova, volontaria, con l’ausilio di un esperto) e il piano attestato di risanamento (accordo privato con relazione di un esperto indipendente). Questi strumenti mirano a risanare l’azienda fuori dalle aule di tribunale, mantenendo continuità aziendale quando possibile.
  • Procedure concorsuali giudiziali, ossia procedure aperte davanti al tribunale, con maggior coinvolgimento dei creditori e controllo giudiziario: in questa categoria rientrano gli accordi di ristrutturazione dei debiti (che richiedono omologazione in tribunale), il concordato preventivo (ordinario o semplificato) e, quale extrema ratio in caso di fallimento del risanamento, la liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”). Queste procedure concorsuali prevedono effetti legali più incisivi (come il blocco delle azioni esecutive, vincoli per i creditori dissenzienti, ecc.) ma implicano anche maggiori formalità.

Addio al “fallimento”: proprio così, la riforma ha eliminato dall’ordinamento i termini “fallimento” e “fallito”, ritenuti ormai obsoleti e stigmatizzanti. Si parla oggi di liquidazione giudiziale – che di fatto sostituisce il vecchio fallimento – con gli stessi obiettivi: liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole concorsuali. Similmente, non si parla più di concordato fallimentare ma di concordato nella liquidazione giudiziale, e così via. Questa scelta terminologica riflette anche un cambio di prospettiva culturale: la crisi d’impresa non è più vista (solo) come un fallimento personale dell’imprenditore, ma come un evento fisiologico dell’attività economica, da gestire con strumenti giuridici appropriati per limitare i danni e, se possibile, salvare l’azienda.

Procedibilità soggettiva (PMI e imprese minori): Gli strumenti di regolazione della crisi del CCII si applicano in generale a tutte le imprese commerciali (imprenditori collettivi e individuali esercenti attività commerciale) sopra una certa soglia dimensionale. Le PMI rientrano normalmente in questo ambito e possono accedere a tutte le procedure concorsuali (composizione negoziata, concordato, accordi, ecc.), a meno che non siano “imprese minori” ai sensi della legge. Le cosiddette imprese minori sono quelle di dimensioni talmente ridotte da non raggiungere i parametri per essere assoggettabili alla liquidazione giudiziale (ex art. 2 lett. d CCII, in continuità con l’art. 1 L.Fall.): tipicamente micro-imprese sotto soglie di attivo, ricavi e debiti (per esempio, patrimonio < €300.000, ricavi annui < €200.000, debiti < €500.000 – parametri indicativi). Questi soggetti non fallibili possono comunque usufruire delle procedure di sovraindebitamento previste nel CCII (come il concordato minore e la liquidazione controllata), di cui diremo più avanti. Va notato che il legislatore ha ampliato l’accesso alle procedure negoziali anche ad imprenditori non commerciali, come gli imprenditori agricoli, tradizionalmente esclusi dal fallimento: ad esempio, l’art. 60 CCII sugli accordi “agevolati” precisa che possono accedervi anche imprenditori non commerciali – un segnale di maggiore inclusività degli strumenti di crisi.

Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: un elemento di allerta previsto dal Codice (entrato in vigore a fine 2021) riguarda l’obbligo di segnalazione da parte di alcuni creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, Agente della Riscossione) quando l’impresa accumula debiti fiscali o contributivi oltre certe soglie. Tali enti devono avvisare l’impresa del superamento di indici critici e invitarla a reagire. Inizialmente il CCII prevedeva anche specifiche procedure di allerta interna presso la Camera di Commercio (c.d. OCRI), ma l’emergenza Covid ne ha rinviato e poi sostanzialmente superato l’applicazione. Dal 2021, al posto delle procedure di allerta originarie, è stata introdotta la composizione negoziata per la soluzione della crisi, strumento volontario e confidenziale di cui ci occupiamo nel dettaglio più sotto.

Riassumendo, il quadro normativo attuale incoraggia l’imprenditore a intercettare per tempo la crisi e ad utilizzare gli istituti messi a disposizione dal legislatore per evitare l’aggravarsi della situazione. Nei paragrafi successivi analizzeremo uno ad uno i principali strumenti legali disponibili per superare una crisi aziendale, con particolare attenzione alle PMI, evidenziando per ciascuno finalità, condizioni di accesso, funzionamento, vantaggi e svantaggi pratici.

Strumenti per la gestione e il superamento della crisi nelle PMI

In questa sezione esaminiamo in dettaglio gli strumenti previsti dal diritto italiano per affrontare la crisi d’impresa nelle piccole e medie imprese. Si parte dai più preventivi e negoziali (che mirano a risanare evitando la procedura concorsuale) per arrivare ai più giudiziali e coercitivi (da utilizzare quando il risanamento non è possibile). Vedremo anche strumenti speciali per imprese di minori dimensioni. Ciascun istituto è descritto nel suo funzionamento aggiornato al 2025, con riferimenti normativi chiave e, dove utile, pronunce giurisprudenziali rilevanti.

Composizione negoziata della crisi

Cos’è: La Composizione Negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (CNC) è uno strumento introdotto in via d’urgenza nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021) per aiutare le imprese in difficoltà a risanarsi attraverso trattative assistite da un esperto indipendente, in modo volontario, riservato e stragiudiziale. Si tratta di una procedura nuova e molto flessibile, che ha di fatto sostituito le precedenti (mai decollate) “procedure di allerta e composizione assistita” previste dal Codice ma rinviate. La composizione negoziata è rivolta a tutte le imprese, di qualsiasi dimensione (incluse ditte individuali, PMI e persino imprenditori agricoli), che si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma che possano essere risanate. Anche imprese già insolventi possono accedervi – l’importante è che vi sia una prospettiva di recupero (ad esempio tramite ristrutturazione del debito o riorganizzazione aziendale). È quindi una procedura utilizzabile sia in fase di crisi incipiente sia in fase di dissesto conclamato, purché non sia già intervenuta una sentenza dichiarativa di fallimento (liquidazione giudiziale) o altra procedura concorsuale.

Come si attiva: L’imprenditore presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio) indicando la propria situazione e allegando i documenti richiesti (dati contabili, relazione sulla crisi, ecc.). Un’apposita commissione nomina un esperto indipendente – di norma un professionista iscritto in un elenco nazionale (commercialista, avvocato o consulente di gestione con specifica esperienza) – il quale, entro 2 giorni, accetta l’incarico e avvia l’analisi della situazione. L’esperto conduce poi colloqui riservati con l’imprenditore per valutare le prospettive di risanamento e, se sussistono margini, predispone un piano di azione e avvia le trattative con i creditori. La nomina dell’esperto e l’avvio della procedura sono comunicati solo all’imprenditore richiedente; la procedura è confidenziale (non viene automaticamente data pubblicità, salvo che l’imprenditore richieda misure protettive dal tribunale, v. infra). Questo consente alle aziende di tentare il risanamento senza lo stigma pubblico di una procedura concorsuale aperta.

Durata e fasi: La composizione negoziata ha una durata standard di 180 giorni (circa 6 mesi), prorogabili eccezionalmente di ulteriori 180 giorni su richiesta motivata. Durante questo periodo l’imprenditore, affiancato dall’esperto, tratta con i creditori e gli altri stakeholder (banche, fornitori, Fisco, etc.) per cercare accordi che rimettano in sesto l’impresa. L’esperto agisce da facilitatore imparziale: analizza i dati aziendali, suggerisce soluzioni di ristrutturazione, modera gli incontri con i creditori, e vigila sul rispetto della buona fede nelle trattative. Egli redige inizialmente una relazione iniziale in cui indica se esistono prospettive di risanamento e aggiorna periodicamente sulle trattative in corso. Verso la fine, redige una relazione finale con l’esito: se positivo, descrive l’accordo o la soluzione raggiunta; se negativo, attesta le ragioni del mancato accordo e valuta se l’impresa è comunque risanabile con strumenti diversi o se invece è inevitabile la liquidazione.

Misure protettive e agevolazioni: Durante la composizione negoziata l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda – non c’è spossessamento dei beni – ma può richiedere al Tribunale l’adozione di misure protettive a tutela delle trattative. In pratica, può chiedere la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori (pignoramenti, sequestri) per un periodo iniziale di fino a 120 giorni, prorogabile al massimo a 240 giorni. Il tribunale concede queste misure se ritiene che le trattative in corso non siano pretestuose e che vi sia una possibilità concreta di accordo. Ciò fornisce all’impresa un respiro temporale, un congelamento dello status quo, utile per negoziare senza il fiato sul collo di procedure esecutive. Inoltre, l’imprenditore in composizione negoziata può essere autorizzato dal tribunale a contrarre finanziamenti prededucibili (ossia che saranno rimborsati con priorità in caso di successivo fallimento) o a disporre di beni aziendali non strategici, se funzionali al tentativo di risanamento (ad esempio vendere un cespite inutilizzato per fare cassa).

Il legislatore ha previsto anche una serie di incentivi e tutele (“misure premiali”) per chi utilizza correttamente la composizione negoziata, tra cui:

  • Sgravi su interessi e sanzioni fiscali: durante le trattative gli interessi sui debiti tributari sono ridotti alla misura legale e le eventuali sanzioni fiscali sono ridotte (con possibilità di pagare le imposte dovute in 72 rate). Inoltre, dal settembre 2024 il terzo correttivo ha esplicitamente consentito di proporre alle Agenzie fiscali, in sede di trattativa, accordi di transazione che prevedano anche il pagamento parziale o dilazionato dei tributi dovuti (la cosiddetta “falcidia fiscale”), superando i precedenti limiti che impedivano tagli ai debiti IVA e altre risorse UE.
  • Protezione da reati e responsabilità: l’imprenditore è esente dalle punizioni per alcuni reati fallimentari (in particolare, pagamenti preferenziali e semplici insolvenze, ex artt. 216 co.3 e 217 L. Fall.) per gli atti compiuti durante le trattative. Inoltre, l’apertura della composizione negoziata sospende gli obblighi di ricapitalizzazione della società e le cause di scioglimento per perdita del capitale. Ciò significa che se il patrimonio netto è azzerato o negativo, l’imprenditore non è costretto a ricostituire il capitale o sciogliere la società durante la negoziazione: guadagna tempo per trovare una soluzione senza violare la legge societaria.
  • Esonero dalle azioni revocatorie: gli atti compiuti in coerenza con le trattative e finalizzati al risanamento non potranno essere soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento. Ad esempio, pagamenti fatti a fornitori strategici o nuove garanzie concesse a finanziatori durante la CNC non verranno poi contestati come preferenze illegittime, a condizione che siano conformi al piano di risanamento in discussione.
  • Soluzioni agevolate e “piani light”: se l’esito delle trattative è favorevole, l’imprenditore può formalizzare quanto concordato in diversi modi. Può stipulare direttamente uno o più accordi con i creditori (anche separatamente) che avranno gli stessi effetti di un piano attestato di risanamento ma senza necessità di attestazione formale. In alternativa, può chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti in tribunale (vedi oltre) oppure presentare domanda di concordato preventivo. La procedura negoziata dunque può sfociare, quando il piano c’è, in uno strumento più strutturato (accordo omologato o concordato), ma consente anche di chiudersi con accordi stragiudiziali semplici. In ogni caso, la legge prevede che se l’imprenditore non riesce a risanare, egli possa comunque, entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto, accedere ad una procedura concorsuale semplificata denominata concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (di cui parleremo). Ciò offre all’imprenditore una via d’uscita ordinata anche in caso di fallimento delle trattative, evitando il passaggio brusco e caotico alla liquidazione giudiziale.
  • Rinegoziazione dei contratti in essere: l’imprenditore, con l’autorizzazione del tribunale, può sospendere o sciogliere contratti pendenti che risultino onerosi e pregiudizievoli per la continuità aziendale (es. un contratto di affitto passivo troppo costoso), oppure può chiederne la rinegoziazione al partner contrattuale. Si tratta di una facoltà introdotta per preservare l’operatività dell’impresa: se alcuni contratti sono insostenibili in crisi, si possono rivedere per alleggerire i costi.

In sintesi, la composizione negoziata offre un percorso guidato ma flessibile di risanamento, con il supporto di un esperto terzo e con diversi benefici legali per incoraggiare l’imprenditore ad attivarsi precocemente.

Esito e soluzioni all’esito: Durante o al termine della procedura, possibili esiti sono:

  • Accordo stragiudiziale con (tutti o parte dei) creditori: es. dilazioni di pagamento, riduzione dei tassi, rinuncia parziale a crediti da parte di alcuni creditori chiave, nuova finanza da soci o terzi, ecc. Il tutto formalizzato in scritture private. Se tali atti soddisfano i requisiti di legge (finalità di risanamento, attestazione di un professionista sulla veridicità dei dati), potranno beneficiare dell’esenzione da revocatoria come atti esecutivi di un piano attestato di risanamento (art. 67 co.3 lett. d) L.Fall. e corrispondente art. 56 CCII) senza bisogno di passare dal tribunale.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (omologato): se si preferisce dare maggiore certezza e stabilità all’accordo, l’imprenditore può decidere di depositare l’accordo raggiunto in tribunale per ottenerne l’omologazione (vedi oltre la sezione sugli accordi di ristrutturazione). Questo rende l’accordo efficace erga omnes verso eventuali creditori dissenzienti (nei limiti previsti) e consente di godere di alcune agevolazioni aggiuntive (es. effetti sulle garanzie, moratorie, ecc.).
  • Concordato preventivo: se la situazione lo richiede (ad esempio, troppi creditori non cooperativi o necessità di imporre sacrifici anche ai dissenzienti su larga scala), l’imprenditore può presentare ricorso per concordato preventivo. Spesso la composizione negoziata viene utilizzata per preparare un concordato: durante le trattative si delinea un piano, si sondano le disponibilità dei creditori, dopodiché si formalizza il tutto in una domanda di concordato “prenotativo” con un piano già pronto e magari supportato dai principali creditori.
  • Concordato semplificato per la liquidazione: se il risanamento non è possibile ma l’imprenditore vuole evitare una lunga procedura fallimentare, può – solo in caso di esito negativo della CNC – proporre al tribunale un concordato semplificato, cioè un piano di liquidazione dei beni senza voto dei creditori ma soggetto ad omologa giudiziale (illustrato in sezione apposita).
  • Liquidazione giudiziale: naturalmente, se nessuna soluzione negoziale o concorsuale viene intrapresa, o se la situazione precipita, rimane la possibilità che i creditori (o lo stesso imprenditore) chiedano l’apertura della liquidazione giudiziale. Tuttavia, l’imprenditore che abbia utilizzato in buona fede la composizione negoziata ed eventualmente il concordato semplificato potrà presentarsi alla soglia della liquidazione giudiziale in una luce migliore, avendo dimostrato di aver tentato il possibile (ciò può rilevare ad esempio in sede di valutazione di eventuali responsabilità per aggravamento del dissesto, bancarotta, etc.).

Vantaggi della composizione negoziata: è un percorso riservato e flessibile, che consente all’impresa di tentare il salvataggio senza l’impatto reputazionale negativo di un fallimento o di un concordato pubblico. L’imprenditore rimane al timone e può continuare ad operare (sotto guida dell’esperto), evitando soluzioni traumatiche. Le misure premiali sopra elencate riducono i costi del risanamento (si pensi agli interessi fiscali abbattuti o alle protezioni dalle revocatorie) e incentivano ad agire presto. Inoltre la CNC può concludersi in vari modi, adattandosi al caso concreto (dall’accordo informale al concordato). Per i creditori, partecipare a trattative facilitate da un esperto può portare a soluzioni più soddisfacenti rispetto alla liquidazione, e lo Stato a sua volta è interessato a preservare la continuità aziendale quando possibile (per salvaguardare posti di lavoro, indotto, gettito fiscale futuro).

Svantaggi e limiti: essendo volontaria, la composizione negoziata richiede la collaborazione attiva dell’imprenditore e la buona fede di tutte le parti. Se l’imprenditore non fornisce informazioni corrette o non è realmente disposto a concordare sacrifici, l’esperto ne prenderà atto e la procedura fallirà. Inoltre, i creditori rimangono liberi di aderire o meno alle proposte: non c’è un meccanismo coercitivo di voto (come nel concordato) per imporre la soluzione ai dissenzienti. Dunque se i creditori chiave non collaborano, la CNC da sola non risolve la crisi. Richiede anche risorse per remunerare l’esperto e per l’assistenza tecnica (sebbene i costi siano in genere contenuti rispetto a un lungo concordato o alle perdite di un fallimento). Infine, la durata (massimo un anno) è relativamente breve: ottimo per evitare trascinamenti, ma potrebbe non bastare a ristrutturare situazioni molto complesse, che magari necessitano di rifinanziamenti importanti o di operazioni straordinarie (nel qual caso, si può comunque passare a un concordato con continuità più lungo).

Concludendo su questo strumento, la composizione negoziata rappresenta una delle novità più importanti del diritto concorsuale italiano recente, potenzialmente “salva aziende” se utilizzata tempestivamente. Come emerge dai dati diffusi da Unioncamere, molte PMI ne hanno fatto uso dal 2021 in poi, con una percentuale non trascurabile di casi in cui si è evitata la crisi irreversibile. Nei prossimi esempi pratici vedremo una simulazione di utilizzo efficace di questo strumento.

Piano attestato di risanamento

Cos’è: Il Piano attestato di risanamento (spesso chiamato semplicemente “piano attestato”) è uno strumento di regolazione della crisi totalmente stragiudiziale, già previsto dalla legge fallimentare (art. 67, 3° co., lett. d) L.F.) e ora disciplinato dal Codice della crisi (artt. 56-57 CCII). Si tratta di un piano di risanamento aziendale redatto dall’imprenditore in crisi (o insolvente) con l’obiettivo di riequilibrare la situazione finanziaria e assicurare la continuità aziendale, il quale viene asseverato (“attestato”) da un professionista indipendente che ne verifica la veridicità dei dati e la fattibilità. In parole semplici, l’imprenditore elabora un programma di ristrutturazione (che può prevedere rinegoziazione di debiti, nuovi apporti di capitale, cessioni di asset non strategici, ecc.) e incarica un esperto di fiducia (attestatore) di esaminare i numeri e attestare che il piano è realistico e idoneo a risanare l’impresa.

Finalità ed effetti legali: Il piano attestato di per sé è un accordo privatistico, non omologato dal tribunale, e non vincola i creditori che non vi partecipano. Tuttavia, la sua importanza deriva da due effetti fondamentali previsti dalla legge:

  • Gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato (pagamenti, concessione di garanzie, vendite di beni, finanziamenti ricevuti, ecc.) sono esenti dall’azione revocatoria fallimentare in caso di successiva dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale). Ciò significa che se l’imprenditore fallisce nonostante il tentativo di risanamento, il curatore non potrà far annullare quei pagamenti o quelle garanzie invocando la revocatoria, purché fossero atti coerenti col piano. Questo scudo protegge ad esempio la banca che ha erogato un nuovo finanziamento o il fornitore strategico che ha continuato a essere pagato: non dovranno restituire le somme incassate, a differenza di ciò che accadrebbe per pagamenti preferenziali ordinari nei 6 mesi prima del fallimento. Attenzione: come chiarito dalla giurisprudenza, tale esenzione opera solo se il piano era effettivamente idoneo a risanare e basato su dati veritieri – il giudice fallimentare può verificare a posteriori queste circostanze. La Cassazione ha infatti statuito che la semplice presenza formale di un piano attestato non basta a blindare tutti gli atti: occorre che il piano avesse concrete chance di successo e che l’attestatore abbia svolto diligentemente il suo compito. In caso contrario, atti compiuti in realtà al solo scopo di ritardare il fallimento potrebbero non godere della protezione.
  • Il piano attestato in sé (corredato dalla relazione dell’esperto) può facilitare la ristrutturazione dei debiti: pur non avendo efficacia erga omnes, esso fornisce ai creditori uno strumento per valutare la bontà del risanamento proposto e per aderirvi consensualmente. Spesso, banche e altri creditori sono più disposti a supportare l’azienda se vedono un piano elaborato con rigore e “bollinato” da un professionista indipendente. In sostanza, l’attestazione è una forma di garanzia di terzietà sulle informazioni e sulle prospettive di ripresa.

Procedimento e contenuti: Non essendo una procedura concorsuale, non c’è un procedimento rigido prestabilito. Tipicamente, l’imprenditore incarica un consulente di predisporre un piano industriale e finanziario pluriennale che dettaglia gli interventi di risanamento: ad esempio, nuove linee di credito, rifinanziamento dei debiti bancari, dilazione dei debiti verso fornitori o Fisco, taglio dei costi e riorganizzazione operativa, eventuale cessione di rami d’azienda non redditizi, apporto di capitale fresco dai soci, ecc. Questo piano deve mostrare che, seguendo tali misure, l’impresa tornerà in equilibrio e potrà pagare i creditori secondo i tempi concordati. Una volta redatto il piano, viene sottoposto ad un professionista attestatore (scelto dall’imprenditore, ma che deve avere i requisiti di indipendenza analoghi a quelli di un curatore o commissario: nessun conflitto di interessi, iscritto a un ordine, ecc.). L’attestatore esamina i bilanci, i dati contabili, verifica la veridicità delle informazioni aziendali e la ragionevolezza delle assunzioni del piano (es. previsioni di vendita, marginalità, realizzo di cespiti). Quindi redige una relazione di attestazione in cui dichiara se i dati del piano sono veritieri e se il piano, nel suo complesso, è attendibile e fattibile ai fini del risanamento dell’esposizione debitoria. Questa relazione di solito accompagna il piano nelle trattative con i creditori.

Dal punto di vista dei creditori, il piano attestato in sé non impone nulla. Sarà compito dell’imprenditore ottenere il consenso dei singoli creditori alle modifiche proposte (es: convincere le banche a ristrutturare i mutui, i fornitori a dilazionare i pagamenti, etc.). Non c’è un meccanismo di omologazione o di voto: chi aderisce, aderisce; chi non vuole aderire resta con i propri diritti inalterati (potrebbe pignorare se il debitore è in default, salvo eventuali accordi standstill). Quindi il piano attestato funziona bene soprattutto quando il numero di creditori è limitato o comunque c’è la possibilità di trovare un consenso diffuso spontaneamente. Spesso viene usato in casi di crisi “moderata”, in cui magari poche banche rappresentano la quota principale del debito e sono disposte a negoziare. Se invece c’è un gran numero di creditori con interessi divergenti, un concordato preventivo potrebbe essere più adatto perché consente una votazione collettiva.

Ruolo e responsabilità dell’attestatore: La figura dell’attestatore è cruciale. La Cassazione (SS.UU. 1521/2013) ha definito l’attestatore “un professionista indipendente che svolge funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice”, pur operando in sede stragiudiziale. Egli infatti garantisce terzietà e accuratezza nell’analisi, fungendo da vigile sul piano. È responsabile sia civilmente che penalmente della veridicità delle proprie attestazioni: in caso di false attestazioni o grossolana negligenza, può incorrere in sanzioni (la legge prevede un reato specifico per l’attestatore infedele) e risponde dei danni verso i creditori tratti in inganno.

Vantaggi: Il piano attestato di risanamento è uno strumento molto snello e rapido, perché non richiede autorizzazioni o interventi del tribunale. Può essere confezionato su misura dell’azienda e negoziato in maniera riservata con i creditori, limitando la pubblicità di una crisi. È ideale quando c’è fiducia tra impresa e creditori: ad esempio, un gruppo di banche finanziatrici può preferire questa via discreta, ricevendo garanzie aggiuntive e un monitoraggio, senza passare da un’aula di giustizia. In caso di esito positivo, l’impresa evita di essere etichettata come “in concordato” e prosegue la sua attività senza l’onta di una procedura concorsuale formale. Il beneficio legale della non assoggettabilità a revocatoria degli atti esecutivi è fondamentale per dare sicurezza ai nuovi finanziatori e partner: sanno che ciò che viene fatto in attuazione del piano – se serio – non verrà spazzato via da un eventuale fallimento successivo. Questo incentivo è stato pensato proprio per favorire l’afflusso di nuova finanza e la prosecuzione dei rapporti durante una ristrutturazione out-of-court.

Svantaggi: Come accennato, il piano attestato non vincola i dissenzienti. Ciò significa che un singolo creditore importante che rifiuta l’accordo può far saltare il risanamento (ad esempio, se una banca non accetta di rinegoziare e aggredisce i beni dell’azienda). Inoltre, la protezione dalle azioni esecutive non è automatica: se serve tempo, l’imprenditore potrebbe dover chiedere ai creditori una moratoria informale (standstill), ma non c’è la forza di un provvedimento giudiziario. Rispetto alla composizione negoziata o al concordato, manca un ombrello protettivo generalizzato. Quindi è uno strumento adatto a quando l’impresa è ancora in grado di tenere a bada i creditori per il tempo necessario a implementare il piano (o quando questi volontariamente attendono). Un altro limite è che l’efficacia dipende molto dalla qualità del piano e dell’attestazione: un piano irrealistico non salverà l’azienda, e un’attestazione di scarsa qualità potrebbe essere inutile o, peggio, esporre a conseguenze legali. La Cassazione ha di recente ammonito che l’esenzione da revocatoria non scatta se il piano non era realmente idoneo: quindi un piano di comodo fatto solo per schermare pagamenti non regge al vaglio. Da ultimo, va considerato che la predisposizione del piano e l’attestazione comportano costi professionali non irrilevanti (consulenti, attestatore), sostenibili per PMI medio-grandi ma che potrebbero scoraggiare microimprese.

In sintesi, il piano attestato di risanamento è un valido strumento di workout privatistico, da utilizzare preferibilmente in crisi precoce o non troppo avanzata, con struttura del debito concentrata e creditori collaborativi. Se eseguito con serietà, può ridare fiato all’impresa e traghettarla fuori dalla zona rossa senza passare per il tribunale. Molti turnaround aziendali di successo in Italia sono avvenuti tramite piani attestati concordati con le banche. Nei casi pratici più avanti illustreremo un esempio concreto di utilizzo di un piano attestato in PMI.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Cosa sono: Gli Accordi di ristrutturazione dei debiti sono accordi negoziali con efficacia legale rafforzata, previsti dagli artt. 57-64 CCII (già art. 182-bis e ss. L.Fall.), attraverso i quali un imprenditore in stato di crisi o insolvenza raggiunge un’intesa con una parte qualificata dei propri creditori su un piano di ristrutturazione, e tale intesa viene poi omologata dal Tribunale, acquistando efficacia vincolante. In sostanza, gli accordi di ristrutturazione rappresentano una via intermedia tra la pura negoziazione privata (piano attestato) e la procedura concorsuale collettiva (concordato preventivo): qui l’accordo è comunque frutto di negoziazione volontaria con i creditori, ma l’intervento del giudice serve a conferirgli ufficialità e talvolta a estenderne gli effetti anche su creditori estranei.

Requisiti generali (“accordo ordinario”): L’accordo di ristrutturazione “base” richiede che il debitore abbia ottenuto l’adesione di almeno il 60% dei crediti (in valore) verso di lui. Questo quorum è calcolato sull’ammontare totale dei crediti vantati dai creditori che partecipano alla ristrutturazione. In pratica, il debitore può selezionare i creditori con cui trattare (non è obbligatorio includerli tutti, ma in genere conviene includere la maggior parte dei chirografari significativi) e se riesce a far firmare accordi individuali a creditori rappresentanti il 60% del debito complessivo, può chiedere al Tribunale di omologare l’accordo. Il tribunale, una volta depositato il ricorso, verifica la regolarità della documentazione, la presenza di una relazione di un esperto indipendente che attesta la fattibilità del piano e il fatto che i creditori non aderenti saranno integralmente soddisfatti nei termini di legge. Questo punto è importante: la legge tutela i creditori dissenzienti o estranei, imponendo che essi non subiscano pregiudizio dall’accordo altrui. In particolare, è vietato che l’accordo preveda per i creditori estranei una moratoria dei pagamenti oltre 120 giorni dall’omologazione (o 90 giorni dalla scadenza se il credito è a termine) senza il loro consenso. Inoltre i creditori estranei devono venir pagati alle scadenze originarie, salvo diverse pattuizioni. Di fatto, dunque, l’accordo di ristrutturazione “ordinario” serve per ristrutturare la posizione di una massa di creditori consenzienti (es: banche, fornitori maggiori), mentre ai creditori che rimangono fuori va assicurato il regolare pagamento. L’omologazione dell’accordo da parte del tribunale gli conferisce efficacia vincolante tra le parti aderenti e consente al debitore di godere di alcune tutele analoghe al concordato: ad esempio, *dalla pubblicazione del ricorso per omologa (che avviene nel Registro delle Imprese) scatta il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore fino all’omologazione (o al rigetto) – un effetto protettivo automatico previsto dal CCII. In più, con l’omologazione, l’accordo produce effetti esdebitatori: vincola i creditori aderenti a quanto concordato (es: stralcio parziale del credito, o dilazione, ecc.), impedendo loro di pretendere oltre.

Procedura in breve: Il debitore avvia privatamente le trattative con i creditori, eventualmente con l’ausilio di consulenti e di un professionista attestatore che redige la relazione di fattibilità del piano (analoga a quella del piano attestato). Quando raggiunge il 60% di consensi, presenta ricorso al tribunale allegando il testo dell’accordo, il piano di ristrutturazione, la documentazione contabile e la relazione attestativa di un esperto indipendente. Può contestualmente chiedere al tribunale di emanare provvedimenti cautelari per sospendere azioni esecutive pendenti (se qualche creditore sta pignorando). Il tribunale prima di decidere sull’omologazione può concedere un termine per eventuali creditori estranei per opporsi (15 giorni dalla pubblicazione). Se non ci sono opposizioni (o se vengono superate) e tutto è regolare, il tribunale omologa l’accordo con decreto. Da quel momento l’accordo omologato è efficace e viene eseguito sotto la responsabilità del debitore (non c’è un commissario, salvo non venga nominato su richiesta per vigilare). Se il debitore non rispetta l’accordo, i creditori potranno reagire (chiedendone la risoluzione in tribunale o direttamente il fallimento, vedi oltre).

Nuove varianti introdotte dal CCII: Il Codice della crisi, anche in attuazione della direttiva UE, ha introdotto due importanti varianti all’accordo di ristrutturazione ordinario, per aumentarne la flessibilità: gli accordi di ristrutturazione agevolati e gli accordi ad efficacia estesa. Vediamoli in sintesi:

  • Accordo di ristrutturazione “agevolato”: previsto dall’art. 60 CCII, consente di abbassare il quorum di adesioni richiesto dal 60% al 30% dei crediti. Ciò permette al debitore di accedere all’omologazione anche se i consensi raccolti sono minoritari (ma almeno un terzo del debito). Tuttavia, questa facilitazione richiede condizioni stringenti a tutela dei non aderenti. In particolare, il debitore deve garantire che i creditori estranei all’accordo vengano pagati integralmente e senza dilazioni oltre i termini legali (non si può imporre loro alcuna moratoria). In pratica, l’accordo agevolato si può usare solo se l’azienda è in grado di non toccare i creditori esterni (o se costoro sono marginali). È pensato per quelle situazioni in cui la maggioranza del debito è in capo a pochi soggetti (ad esempio banche) disposti ad accettare sacrifici, mentre i piccoli creditori verranno comunque soddisfatti normalmente. L’accordo agevolato è spesso combinato con la variante “ad efficacia estesa” (vedi sotto) per includere intere categorie di creditori.
  • Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa: disciplinato dall’art. 61 CCII, consente di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti a determinate categorie omogenee, se all’interno di ciascuna categoria ha aderito una super-maggioranza. In particolare, se esiste una categoria di crediti (ad esempio i creditori finanziari come banche, obbligazionisti, o anche i fornitori di una certa classe merceologica) in cui i titolari di almeno il 75% del credito di quella categoria hanno aderito all’accordo, allora il tribunale – su richiesta del debitore – può estendere l’accordo anche al restante 25% dissenziente. Questo strumento è molto potente perché vincola forzosamente anche i creditori che non hanno firmato, evitandone il comportamento di “holdout” (beneficiare del sacrificio altrui pretendendo il pagamento integrale). In passato, già nel 2015 la legge aveva introdotto una forma di accordo ad efficacia estesa limitata alle banche e finanziarie (art. 182-septies L.F.), ora il CCII generalizza il concetto alle categorie di crediti omogenei. Naturalmente, l’estensione richiede trasparenza: i creditori devono essere stati messi in condizione di partecipare alla trattativa e l’accordo deve offrire a tutti i membri della categoria condizioni non discriminatorie. Ad esempio, se 80% delle banche accetta il 70% del credito in 5 anni, l’ordinamento consente di imporlo anche al 20% di banche dissenzienti, purché abbiano avuto pari opportunità di adesione e pari trattamento. Gli accordi ad efficacia estesa vanno omologati dal tribunale con particolare attenzione: il giudice verifica che tutti i presupposti siano rispettati e che i creditori coinvolti forzosamente non ricevano meno di quanto riceverebbero in un’alternativa liquidatoria (principio del best interest). Da notare che l’art. 61 CCII richiama espressamente le disposizioni sugli accordi agevolati, quindi è possibile combinare le due varianti: ad esempio, formare categorie e calcolare il 75% su quelle, e sfruttare il quorum dimezzato del 30% sul totale purché i non aderenti siano pagati regolarmente.
  • Altre sottovarianti: Il CCII contempla inoltre l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari (ex art. 62, evoluzione dell’art. 182-septies L.F., che prevede l’estensione obbligatoria solo per banche e soggetti finanziari in presenza di adesione del 75% di essi, anche senza necessità di categorie se non erro) e l’accordo di ristrutturazione a efficacia estesa ai creditori fiscali e previdenziali (ex art. 63 CCII, introdotto nel 2023): quest’ultimo consente di “cramdown” anche l’Erario e gli enti previdenziali se non aderiscono ma la proposta di soddisfacimento loro rivolta è conveniente. In particolare, il D.Lgs. 83/2022 e poi il D.Lgs. 136/2024 hanno stabilito che se l’Amministrazione finanziaria o gli enti previdenziali rifiutano irragionevolmente una proposta di accordo migliore rispetto all’alternativa liquidatoria, il tribunale può omologare l’accordo anche senza il loro assenso, valutando la relazione dell’attestatore. Questo è un passaggio fondamentale: in passato un ostacolo frequente agli accordi era la rigidità del fisco (che magari non aderiva e bloccava tutto), oggi invece il giudice può superare il diniego se il piano offre al Fisco almeno quanto esso prenderebbe dal fallimento (principio del minor danno). In pratica, la cosiddetta transazione fiscale è integrata negli accordi: l’imprenditore propone il trattamento dei debiti fiscali/contributivi nell’accordo; se l’ente acconsente, bene, altrimenti il tribunale valuta se omologare comunque. Dal 2024, come accennato, è ammesso anche prevedere un pagamento parziale dei tributi (prima era vietato ridurre il capitale di alcune imposte come l’IVA, ora è possibile a certe condizioni).

Effetti e forza dell’accordo omologato: Un accordo di ristrutturazione omologato produce effetti obbligatori tra le parti aderenti e, in caso di efficacia estesa, anche sui non aderenti delle categorie coinvolte. Non è però paragonabile a un concordato quanto a universalità: ad esempio, non sospende automaticamente tutti i pagamenti (se non quelli specifici pattuiti), e non c’è un commissario o un organo di procedura. L’impresa continua in bonis, semplicemente con nuovi patti coi creditori. Tuttavia, la legge prevede che durante l’accordo omologato il debitore non possa compiere atti che pregiudicano i creditori senza consenso, pena la risoluzione.

Mancato rispetto e risoluzione: Cosa accade se il debitore non esegue fedelmente l’accordo? I creditori aderenti, per agire, devono chiedere al tribunale la risoluzione dell’accordo (analogamente a un contratto). Una volta risolto per inadempimento, essi riacquistano i loro diritti per intero e tipicamente faranno istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) dell’impresa. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che, diversamente dal concordato preventivo, per chiedere il fallimento non è necessario ottenere prima la risoluzione formale dell’accordo: se c’è insolvenza attuale, un creditore aderente può anche chiedere il fallimento senza un separato giudizio di risoluzione, non essendo l’accordo equiparabile a un concordato omologato. Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 4696/2022) hanno confermato che il creditore aderente è legittimato a presentare istanza di fallimento se l’impresa non paga secondo l’accordo, senza dover attendere oltre. Questo pone il debitore sotto forte incentivo a rispettare i patti: un passo falso e si può precipitare subito in liquidazione. Va detto però che il CCII, all’art. 48, ha introdotto una novità per i concordati, non per gli accordi: nel concordato oggi è obbligatorio risolvere prima di fallire (salvo debiti sopravvenuti), mentre per gli accordi questa restrizione non c’è.

Vantaggi: Rispetto al concordato, l’accordo di ristrutturazione è meno invasivo: no commissario, no votazione di massa, nessuna perdita di poteri per l’imprenditore. È più rapido (il tribunale non deve indire adunanza dei creditori o altre formalità, decide sulla base delle adesioni raccolte). Può essere confidenziale almeno fino all’omologazione, e quando viene pubblicato e omologato dà un segnale di fiducia (ha già un consenso qualificato dietro). I costi legali sono inferiori a un concordato complesso. Inoltre, consente di coinvolgere solo alcuni creditori: non è obbligatorio includere tutti, come invece in concordato (dove tutti i chirografari sono vincolati). Ad esempio, se un’azienda ha un grosso debito con banche e pochi debiti con fornitori che può pagare regolarmente, può fare un accordo solo con le banche, senza toccare i fornitori (evitando così di allarmarli). Con le varianti “agevolata” ed “estesa”, l’accordo è diventato più flessibile, permettendo di superare situazioni dove non si avrebbe il 60% o dove c’è una minoranza dissenziente.

Svantaggi: Il fatto che serva un consenso iniziale (30% o 60%) può essere un limite se la compagine dei creditori è molto frammentata: il debitore deve convincere individualmente molti soggetti, il che può essere arduo. Manca il meccanismo del voto a maggioranza come nel concordato che semplifica la raccolta del consenso in sede giudiziale; qui il lavoro è tutto pregresso. Inoltre, i creditori non coinvolti mantengono i loro diritti intatti e possono anche opporsi all’omologazione se pensano di essere pregiudicati. In un certo senso, l’accordo di ristrutturazione funziona bene quando l’impresa è già in grado di offrire ai più un pagamento integrale o quasi integrale (magari dilazionato) – diversamente, se servono tagli pesanti alle posizioni, difficilmente i creditori li accetteranno senza un concorso collettivo. Pur con l’omologazione, l’accordo non offre alcuni benefici del concordato: ad esempio, non consente di sciogliere contratti in essere unilateralmente (il CCII glielo permette con autorizzazione solo se contestualmente propone un concordato in bianco). È quindi meno incisivo su aspetti non finanziari. Altro svantaggio: non c’è moratoria sui debiti fiscali e previdenziali a meno che essi aderiscano o si ottenga il cram-down: per assurdo, se l’Erario è estraneo e il piano prevede di pagarlo fra 2 anni, ciò non è possibile senza il suo consenso (violerebbe il divieto di moratoria per estranei). Quindi spesso bisogna includere anche il Fisco, proponendogli la transazione fiscale. Ma finché non c’era il cram-down fiscale, bastava un no del Fisco per bloccare tutto; ora per fortuna il giudice può bypassarlo se il no è irragionevole.

In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento utile per imprese che hanno consenso da una parte significativa dei creditori e vogliono evitare la complessità del concordato. Tipicamente utilizzato in ristrutturazioni finanziarie (banche), settlements con fornitori strategici, ecc. Con le evoluzioni normative del 2022-2024, ha guadagnato efficacia grazie ai quorum ridotti e al cram-down fiscale. Nei casi pratici più avanti vedremo un esempio di PMI che ricorre con successo a un accordo di ristrutturazione per superare la crisi.

Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

Cos’è: Il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (spesso abbreviato in PRO) è una procedura innovativa introdotta dal Codice della crisi (artt. 64-bis, 64-ter, 64-quater CCII) come ulteriore strumento di regolazione della crisi, in attuazione della direttiva UE sulle ristrutturazioni. Si può descrivere come un “concordato preventivo semplificato” solo con finalità di risanamento e non di liquidazione, oppure come un “accordo di ristrutturazione senza consenso totale”. In realtà, tecnicamente il PRO consente al debitore di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione suddividendo i creditori in classi, con la caratteristica che tale piano può derogare alle norme civilistiche sul concorso dei creditori e sul rispetto delle cause di prelazione, purché venga approvato a maggioranza da tutte le classi di creditori e quindi omologato dal tribunale.

In pratica, nel PRO si applica la logica delle classi e del voto per classi tipica del concordato, ma con la possibilità di trattare i creditori in modo più flessibile quanto a priorità. Il PRO ha infatti la peculiare caratteristica di poter derogare ai principi della parità di trattamento e della graduazione delle cause di prelazione (2740 e 2741 c.c.), se necessario, a differenza del concordato dove queste deroghe hanno limiti più stringenti. È uno strumento concepito principalmente per ristrutturazioni in continuità aziendale, anche se nulla vieta un PRO liquidatorio (ammissibile anche un PRO “liquidatorio” secondo dottrina e prime pronunce).

Come funziona: Il debitore elabora un piano di risanamento e lo suddivide in classi di creditori omogenee (obbligatorio formare classi in un PRO). Ad esempio: classe 1 banche ipotecarie, classe 2 fornitori strategici, classe 3 fornitori chirografari generici, classe 4 Fisco, ecc. Per ciascuna classe viene proposta una certa percentuale di soddisfacimento o modalità (che può anche variare tra classi, ecco la flessibilità). Il piano può prevedere, ad esempio, che creditori privilegiati rinuncino a parte del loro credito e vengano degradati a chirografari per la parte eccedente un certo valore, o che alcuni creditori chirografari ricevano un pagamento parziale mentre altri vengono pagati integralmente (purché giustificato da una causa meritevole, es. se funzionali alla continuità). Tali differenze di trattamento sono possibili grazie alla deroga ai principi di par condicio, ma appunto vanno votate per classi.

Si presenta quindi ricorso al tribunale chiedendo l’omologazione di questo piano. Viene nominato un commissario giudiziale (come nel concordato). Si svolge una votazione: ogni classe vota e il piano è approvato se in ogni classe i voti favorevoli raggiungono la maggioranza dei crediti votanti (e almeno il 50% di tutti i crediti di quella classe). Servono insomma tutte classi favorevoli a maggioranza. Se anche una sola classe vota contro, il CCII (nella formulazione originaria) non consentiva l’omologa – dunque il PRO richiede, paradossalmente, un consenso interclassi unanime a maggioranza di ciascuna. Questo era un aspetto criticato in quanto più rigido di un concordato, dove è sufficiente la maggioranza delle classi e dei crediti complessivi per forzare la classe dissenziente con cram-down. Aggiornamento 2024: il terzo correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha introdotto meccanismi di cram-down interclassi anche per PRO e concordato, semplificando la possibilità di omologare il piano nonostante il dissenso di una o più classi, a certe condizioni (ad es. almeno una classe di grado pari o inferiore ha approvato, e i dissenzienti non ricevono meno del valore di liquidazione). Ciò rende il PRO più fattibile: il tribunale può omologare ugualmente se ritiene soddisfatto il criterio della migliore soddisfazione rispetto alla liquidazione giudiziale e non c’è discriminazione indebita.

Differenze rispetto al concordato preventivo: Pur somigliando a un concordato (c’è un tribunale, un commissario, classi e voti), il PRO se ne differenzia per alcuni aspetti chiave:

  • Niente percentuali minime né contributi obbligatori: se il PRO ha natura liquidatoria, non si applicano le soglie del 20% ai chirografari né l’obbligo del 10% di asset aggiuntivi, richiesti invece nel concordato liquidatorio. Ciò significa che un PRO liquidatorio potrebbe anche pagare i chirografari meno del 20% senza essere inammissibile – il giudice valuterà comunque la convenienza rispetto al fallimento. Questo rende il PRO più flessibile per soluzioni liquidatorie (ma anche meno usato a dire il vero, perché per liquidare c’è il concordato o il semplificato; il PRO è pensato soprattutto per continuità).
  • Deroghe al rispetto dei privilegi: nel concordato preventivo ordinario, i crediti privilegiati devono essere soddisfatti integralmente salvo degradazione per incapienza e i chirografari concorrono sul resto; nel PRO invece si può proporre ai privilegiati di rinunciare a parte del privilegio anche se c’è capienza, per far quadrare il piano (praticamente un haircut volontario del privilegio). Ovviamente serve il voto favorevole di quella classe di creditori privilegiati. Questa flessibilità consente ristrutturazioni del debito con tagli uniformi trasversali che in concordato non sarebbero possibili se non degradando formalmente le cause di prelazione.
  • No liquidazione giudiziale automatica se fallisce: nel concordato, se la proposta viene bocciata dai creditori o non omologata, il tribunale dichiara contestualmente la liquidazione giudiziale (salvo se il debitore rinuncia prima e nessuno insiste). Nel PRO, essendo un qualcosa di proposto volontariamente come strumento di risanamento, probabilmente il mancato raggiungimento delle maggioranze conduce semplicemente alla chiusura della procedura e i creditori tornano liberi di agire o chiedere il fallimento ma non c’è automatismo immediato (questo aspetto dipende dalle norme procedurali, da verificare nel CCII).
  • Esenzione reati fallimentari: curiosamente, il PRO non è incluso tra le procedure concorsuali che generano reati concorsuali (tipo bancarotta), quindi gli atti compiuti durante un PRO non integrano quei reati in caso di dissesto, essendo trattato come strumento negoziale. Ciò può dare maggiore tranquillità agli amministratori nel porlo in essere.

Quando usarlo: Il PRO è pensato per situazioni in cui serve ristrutturare il debito con coinvolgimento di creditori su base di classi e dove l’imprenditore preferisce evitare la rigidità del concordato (ad esempio evitare di dover liquidare il 20% ai chirografari se non è possibile, o di coinvolgere tutte le classi se c’è già accordo con la maggioranza). In pratica, se c’è accordo con tutte le classi a maggioranza, si potrebbe anche fare un concordato tradizionale – la differenza qui è la maggiore libertà nella struttura del piano. Alcuni commentatori lo hanno definito uno “scheme of arrangement” all’italiana, sul modello anglosassone.

Prime applicazioni: Le prime pronunce giurisprudenziali nel 2023 hanno utilizzato il PRO in alcune ristrutturazioni di società medio-grandi, con esito misto. Ad esempio, è stato chiarito che il PRO può essere usato anche in funzione liquidatoria e che per la sua omologazione valgono in parte le regole del concordato (compreso il controllo di fattibilità e corretto trattamento delle classi). Un Tribunale ha omologato un PRO pur in presenza di classi dissenzienti grazie alle nuove norme sul cram-down interclasse. Il PRO non è ancora diffusissimo presso le PMI, anche perché la sua comprensione tecnica non è immediata per imprenditori e creditori: tende ad essere consigliato dai consulenti in casi specifici. Ma è un’opzione in più nel toolkit.

Vantaggi: Consente soluzioni molto creative e flessibili di ristrutturazione, anche in continuità, con la benedizione del tribunale ma senza dover soddisfare tutte le rigidità di un concordato standard. Può ridurre il fenomeno dei creditori “free rider” grazie al vincolo per classi (tutti devono esprimersi). È uno strumento moderno, allineato ai modelli europei, e può includere misure come la ristrutturazione di strumenti finanziari complessi (es. conversione di debiti in capitale per alcuni creditori) nell’ambito di un piano unitario.

Svantaggi: La necessità di ottenere l’approvazione per classe inizialmente lo rendeva molto difficile da attuare (bastava un voto negativo in una classe per bloccare tutto). Con la riforma del 2024 questo si è attenuato, ma rimane il fatto che è procedura abbastanza complessa tecnicamente: richiede di disegnare classi, negoziare con ciascuna, preparare documentazione molto simile a un concordato. I costi e tempi sono comparabili a un concordato preventivo, se non più alti per via delle sofisticazioni. Quindi per una PMI piccola probabilmente non è lo strumento ideale, a meno di situazioni molto particolari. Inoltre, essendo relativamente nuovo, c’è incertezza interpretativa su vari punti, il che può generare contenziosi (ad esempio: in mancanza di voto unanime di tutte le classi, il tribunale può imporre il cram-down? Sì, ma solo a certe condizioni ora codificate; come si trattano i privilegiati degradati? ecc.).

In conclusione, il PRO arricchisce il panorama di opzioni legali e sarà interessante vedere come evolverà la sua applicazione. Per scopi pratici di PMI, è meno probabile che venga adottato rispetto a concordato o accordi, ma per completezza lo abbiamo incluso perché previsto dal Codice.

Concordato preventivo ordinario (liquidatorio e in continuità)

Cos’è: Il Concordato Preventivo è da sempre (dal 1942, rivisto poi) lo strumento principe di risanamento o liquidazione dell’impresa in stato di insolvenza, alternativo al fallimento. È una procedura concorsuale giudiziale, in cui l’imprenditore propone un accordo collettivo ai creditori per la soddisfazione parziale o dilazionata dei loro crediti, in cambio dell’esenzione dal fallimento. Il concordato viene votato dai creditori e, se approvato a maggioranza e omologato dal Tribunale, diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. In sintesi, il concordato è una soluzione concorsuale che consente di gestire l’insolvenza in modo ordinato, evitando la liquidazione giudiziale, a patto di offrire ai creditori una soddisfazione minimamente adeguata e comunque migliore di quella fallimentare.

Il CCII disciplina il concordato negli artt. 84-120 (Titolo IV). Esso distingue principalmente due tipi di concordato: concordato “in continuità aziendale” (art. 84 co.2, dove l’azienda prosegue, sia direttamente che indirettamente) e concordato “liquidatorio” (art. 84 co.3, dove l’attività cessa e si liquidano i beni). Data la diversa natura, le condizioni e regole differiscono in parte.

Procedura in breve: L’imprenditore (o anche i creditori, in certi casi, ma restiamo al caso tipico di domanda del debitore) deposita un ricorso per l’apertura di concordato presso il tribunale competente, allegando il piano concordatario e la proposta ai creditori, oltre ai documenti contabili e alla relazione di un professionista attestatore sulla fattibilità del piano. Il tribunale, se ricorrono le condizioni (documenti completi, piano non manifestamente impossibile o illegale), ammette il debitore alla procedura di concordato e nomina un commissario giudiziale (figura di controllo). Da quel momento e per tutta la procedura, l’azienda opera sotto la gestione dell’imprenditore ma con la supervisione del commissario e del giudice delegato; inoltre, scattano effetti protettivi: divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari, sospensione degli interessi per chirografari, ecc. Segue poi la fase di votazione: i creditori vengono informati del piano (il commissario invia una relazione e convoca l’adunanza), quindi esprimono il proprio voto (in adunanza o per iscritto). Per l’approvazione serve il voto favorevole di tanti creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (esclusi i privilegiati che vengono soddisfatti integralmente, se non votano per degrado, ecc.). Se ci sono classi di creditori, la maggioranza va calcolata in ogni classe e (dopo le riforme UE) basta la maggioranza delle classi favorevoli con almeno una classe “non inferiore” favorevole per poter omologare nonostante il dissenso di altre classi, a condizione che il piano rispetti il trattamento equo e il test di migliore soddisfazione per i dissenzienti (meccanismo di cram-down interclasse). Questo aggiustamento del 2022-2024 permette al giudice di confermare il concordato anche se una o più classi votano contro, purché il voto complessivo e almeno una classe di pari rango siano a favore e i creditori contrari non siano danneggiati rispetto all’alternativa liquidatoria. In ogni caso, se la maggioranza non viene raggiunta, il concordato è respinto e normalmente il tribunale dichiara contestualmente la liquidazione giudiziale (salvo diversa richiesta di rinuncia).

Se i creditori approvano, si passa alla fase di omologazione: il tribunale verifica la regolarità della procedura, l’assenza di cause di nullità o vantaggi indebiti, e soprattutto la fattibilità del piano e il rispetto dei requisiti minimi di legge (ad esempio, soglie di pagamento se liquidatorio, ecc.). In presenza di opposizioni di creditori dissenzienti, il tribunale deve valutarle. Se tutto è in regola, emette decreto di omologazione. Da quel momento, il piano concordatario diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli che hanno votato contro o non votato) e il debitore deve eseguirlo sotto il monitoraggio del commissario (che diventa liquidatore giudiziale se c’è vendita di beni, oppure supervisore se è in continuità). A esecuzione completata, la procedura viene chiusa e l’imprenditore torna libero dai debiti residui secondo l’esdebitazione prevista.

Vediamo ora separatamente le caratteristiche peculiari del concordato liquidatorio e di quello in continuità.

Concordato preventivo liquidatorio (cessione o liquidazione dei beni): in questo tipo di concordato, la proposta ai creditori consiste essenzialmente nel liquidare l’intero patrimonio dell’azienda (o gran parte) per pagarli con il ricavato. Può essere una cessione dei beni ai creditori o la vendita attraverso un liquidatore nominato. Non è previsto il proseguimento dell’attività d’impresa da parte del debitore (anche se a rigore l’azienda potrebbe essere ceduta ad un terzo che la continua, ma ciò sarebbe “indiretto” e comunque il fine primario è liquidatorio). Il CCII ha introdotto alcuni requisiti stringenti per poter proporre un concordato liquidatorio, volti a scoraggiare l’uso di concordati meramente dilatori e poco soddisfacenti:

  • L’art. 84 CCII stabilisce che il piano deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari. Cioè i creditori chirografari (non privilegiati) non possono ricevere meno del 20% del loro credito, altrimenti la proposta non è omologabile. Questa è una soglia minima di soddisfacimento.
  • Inoltre, il debitore deve apportare risorse esterne (denaro o beni nuovi) tali da incrementare almeno del 10% l’attivo disponibile al riparto. In pratica, i soci o terzi devono mettere qualcosa di proprio nella massa attiva (oppure bisogna dimostrare che si recuperano attivi ulteriori rispetto a una liquidazione ordinaria), così che il concordato non sia semplicemente un fallimento mascherato ma offra un quid pluris.

Questi due vincoli (20% ai chirografari + 10% di attivo in più) distinguono nettamente il concordato liquidatorio dalla liquidazione fallimentare, garantendo ai creditori qualcosa in più. Se il debitore non può rispettare tali soglie, l’unica via sarebbe la liquidazione giudiziale vera e propria, oppure – se ricorrono i presupposti – il concordato semplificato (che però ha altre condizioni). Da notare che nel PRO liquidatorio queste soglie non si applicano, mentre qui sì.

  • Nel concordato liquidatorio, di regola, i creditori privilegiati vanno soddisfatti integralmente per il valore di garanzia (salvo rinuncia del privilegio da parte loro, ma non si può imporre un pagamento parziale di un privilegio se c’è capienza: la parte incapiente diventa chirografa e soggetta alla % come gli altri). I creditori con pegno/ipoteca spesso acconsentono a vendere i beni e ricevere il ricavato fino a concorrenza del credito, e se avanza qualcosa va ai chirografari.

Un concordato liquidatorio, se ben congegnato, consente di evitare la procedura fallimentare pur procedendo alla liquidazione: può essere utile quando c’è già un acquirente per l’azienda o i suoi cespiti e si vuole massimizzare il valore, o quando i soci vogliono mantenere un certo controllo sul processo liquidatorio (nel concordato spesso il liquidatore può essere persona di fiducia del debitore, se i creditori non si oppongono). Anche i tempi possono essere minori di un fallimento, specie se il piano prevede vendite già opzionate. Dal lato creditori, un concordato liquidatorio offre tipicamente una percentuale concordata, che è spesso modesta (appena sopra il 20% magari), ma ha il vantaggio di evitare le lungaggini di un fallimento e i suoi costi. Inoltre, creditori privilegiati e finanziari a volte preferiscono un concordato se c’è trasparenza su come si realizzerà l’attivo.

Concordato preventivo in continuità aziendale: qui l’obiettivo è mantenere in vita l’impresa, risanandola attraverso la procedura. Il piano può prevedere la continuità diretta (lo stesso debitore prosegue l’esercizio dell’azienda durante e dopo il concordato) oppure la continuità indiretta (l’azienda viene trasferita ad un soggetto terzo – es. venduta o conferita – che la porterà avanti, assicurando per i creditori una certa utilità). In entrambi i casi, l’attenzione è sulla prosecuzione dell’attività e la tutela dei valori produttivi (avviamento, posti di lavoro, rete commerciale, etc.), ritenuti come interessi meritevoli assieme alla soddisfazione dei creditori.

Nel concordato in continuità non valgono le soglie del 20% e 10%: il legislatore lo incentiva, quindi non impone percentuali minime di pagamento. Può darsi che i creditori chirografari prendano anche meno del 20%, se ciò è il massimo possibile compatibilmente con la prosecuzione aziendale. Tuttavia, il piano deve assicurare che i creditori ricevano una soddisfazione non inferiore a quella realizzabile in una liquidazione fallimentare (principio del “best interest of creditors”). Inoltre, la continuità deve essere concreta e funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori: tradotto, non si può sostenere di continuare l’attività solo per evitare di liquidare, se continuare produce perdite e danneggia i creditori. La fattibilità in continuità viene vagliata attentamente dal tribunale e dal commissario. Spesso è richiesta la presenza di un finanziatore o investitore che, credendo nel rilancio, apporti nuova finanza o garantisca risorse per il piano.

Il CCII ha introdotto alcune norme a tutela specifica in caso di continuità: ad esempio, i creditori strategici (fornitori essenziali, utilities) possono essere pagati in prededuzione per non interrompere forniture; i contratti pendenti possono essere mantenuti (anche qui art. 94 CCII consente di sciogliersi da contratti che impediscono la continuità, con autorizzazione del giudice, o di sospenderli fino a 60 giorni). I creditori possono essere suddivisi in classi in base all’interesse alla continuità vs liquidazione. Particolare riguardo va ai lavoratori: il piano in continuità deve indicare l’impatto sui livelli occupazionali e, se sono previsti esuberi, bisogna seguire le procedure di legge (anche se l’approvazione del concordato esenta dalla responsabilità per licenziamenti ex art. 189 CCII).

Dal punto di vista dei pagamenti, il concordato in continuità può prevedere che i creditori vengano soddisfatti in tempi successivi, con la generazione di risorse dall’attività corrente. Ad esempio, pagamenti semestrali sul cash flow per 5 anni. Questo è accettabile (non c’è limite dei 120 giorni come per accordi), perché i creditori approvando il piano accettano anche tempi più lunghi. La Cassazione ha comunque ritenuto che la dilazione nel concordato debba essere di durata ragionevole e comunque valutata in funzione della convenienza (c’era stata una pronuncia che considerava eccessiva una dilazione decennale per i chirografari in un piano di continuità, salvo adeguate garanzie).

Vantaggi del concordato preventivo: È lo strumento più completo e garantito per risolvere la crisi in via giudiziale. Una volta ammesso alla procedura, l’imprenditore gode della protezione massima (stay delle azioni individuali) e di tempo (in genere alcuni mesi) per perfezionare il piano e portarlo al voto. La presenza di un commissario e il controllo giudiziario danno fiducia ai creditori, che sono più disposti a accettare sacrifici sapendo di essere trattati in modo equo e sotto vigilanza. Il concordato consente di imporre la ristrutturazione anche ai creditori dissenzienti, grazie al meccanismo del voto a maggioranza: quindi supera il problema del singolo creditore che blocca, tipico delle trattative puramente volontarie. Permette inoltre di attuare operazioni non possibili altrimenti, come il taglio del personale con procedure più snelle (non è un ambito del nostro focus, ma la legge prevede agevolazioni sui contratti di lavoro in concordato, ad esempio la possibilità di cedere l’azienda senza articolo 2112 c.c. in certi casi), la cessione di beni liberi da gravami (il tribunale può autorizzare vendite libere da ipoteche con trasferimento dei vincoli sul prezzo). Insomma, il concordato fornisce una cornice legale robusta per ristrutturare l’impresa a 360 gradi. È poi uno strumento relativamente flessibile, perché il piano può essere disegnato in tanti modi (pagamento integrale o parziale, conversione di crediti in partecipazioni, attribuzione di asset ai creditori, trust liquidatori, etc.), e con la recente riforma è ancora più calibrabile con classi e cram-down.

Dal punto di vista morale e reputazionale, ottenere un concordato omologato significa che l’imprenditore non viene dichiarato fallito, potrà continuare eventualmente l’attività, e i creditori ottengono soddisfazione concordata senza dover subire una lunga procedura fallimentare. L’imprenditore conserva l’amministrazione ordinaria (anche se ogni atto straordinario dev’essere autorizzato dal giudice), dunque rimane coinvolto e attivo.

Svantaggi del concordato: È una procedura onerosa e complessa. Richiede tempi più lunghi e costi elevati (spese di giustizia, compenso del commissario, del professionista attestatore, eventuale liquidatore, consulenti vari). Per PMI di piccole dimensioni, spesso i costi di un concordato possono divorare buona parte delle risorse disponibili. Inoltre, comporta una pubblicità della crisi: l’ammissione e l’omologa sono pubbliche (Registro Imprese), i fornitori e clienti lo vengono a sapere, con possibili impatti negativi sul business. La disciplina è formalistica: un errore o vizio procedurale può far precipitare tutto (ad esempio, omessa indicazione di un credito, valutazione sbagliata delle garanzie, ecc. possono portare a contestazioni e magari al fallimento in caso di annullamento). Il concordato inoltre implica spesso sacrifici pesanti per i creditori: raramente ottengono più di una frazione dei loro crediti (soprattutto i chirografari). Anche se hanno approvato, può esserci scontento e opposizioni. Se poi il concordato fallisce nella fase esecutiva (il debitore non paga le somme promesse nei tempi), si andrà comunque in fallimento e i creditori potrebbero aver perso tempo prezioso e risorse.

Da menzionare anche il rischio di abusi: storicamente alcuni imprenditori hanno usato il concordato in modo opportunistico per congelare debiti e poi non addivenire a soluzioni reali. Il legislatore ha cercato di arginarlo (ad es. ora se un concordato viene risolto per inadempimento entro un anno dall’omologa, l’imprenditore non può più proporre concordati per 5 anni, e i creditori possono chiedere fallimento anche senza risoluzione formale dopo quell’anno).

In conclusione, il concordato preventivo resta un pilastro per la gestione della crisi nelle PMI e grandi imprese. In scenario PMI, è indicato specialmente quando c’è bisogno di una ristrutturazione ordinata e collettiva, impossibile da ottenere con accordi parziali, e quando l’azienda ha ancora un potenziale da preservare (continuità) o un patrimonio sufficiente a garantire almeno la soglia minima di legge (liquidatorio). Un esempio pratico di concordato in continuità andrà a dimostrare come un’azienda può ristrutturare i debiti e salvarsi.

Concordato preventivo semplificato per la liquidazione del patrimonio

Cos’è: Il Concordato Semplificato per la liquidazione del patrimonio è una procedura concorsuale speciale, introdotta nel 2021 (dall’art. 25-sexies CCII) come valvola di sicurezza al termine della composizione negoziata. È riservato infatti ai casi in cui l’imprenditore abbia esperito la composizione negoziata senza riuscire a trovare un accordo con i creditori. In tale scenario, per evitare il fallimento immediato, la legge consente all’imprenditore – entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale negativa dell’esperto CNC – di presentare al tribunale una proposta di concordato semplificato consistente nella liquidazione di tutto il patrimonio ai creditori, alle seguenti condizioni peculiari:

  • Nessun voto dei creditori: a differenza del concordato ordinario, qui i creditori non votano la proposta. È “semplificato” proprio perché elimina la fase dell’adunanza e del voto. I creditori potranno al più presentare osservazioni o opposizioni all’omologa, ma non c’è un quorum da raggiungere.
  • Controllo del tribunale in sede di omologa: il tribunale valuta la fattibilità e la convenienza della proposta rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. Se ritiene che il piano di liquidazione offra ai creditori almeno quanto avrebbero in un fallimento e che sia realizzabile, può omologarlo nonostante l’eventuale dissenso di alcuni creditori. In pratica, il giudice fa da garante dell’interesse dei creditori invece del voto.
  • Obbligo di dare un’utilità a tutti i creditori: il piano semplificato deve assicurare che ogni creditore riceva qualcosa, anche minimo, monetario o in altra forma. Non è ammesso quindi escludere integralmente un creditore (a differenza del concordato ordinario dove in teorica si potrebbe classificare un chirografario in classe soddisfatta 0 se comunque prende più che in fallimento, qui no, tutti devono avere un’utilità). Questo per evitare piani abusivi che lascino fuori qualcuno.
  • Liquidatore nominato dal tribunale: se il concordato semplificato viene omologato, il tribunale nomina un liquidatore che provvederà a vendere i beni e distribuire il ricavato ai creditori (funzione analoga a un curatore, ma esegue il piano concordatario). L’imprenditore dunque, a differenza del concordato ordinario, non gestisce lui la liquidazione – i beni “escono” dalla sua disponibilità per essere liquidati a favore dei creditori.

Il fine del concordato semplificato è dunque realizzare una liquidazione concorsuale rapida e semplificata, evitando il carico burocratico del fallimento e lasciando al debitore l’iniziativa di proporre come liquidare. È un istituto concepito con spirito emergenziale (post-pandemia) per gestire situazioni compromesse, dando però un piccolo incentivo a non abbandonare il percorso concordatario: l’imprenditore che ha tentato la CNC e non ce l’ha fatta, può almeno proporre lui stesso come vendere i propri beni.

Iter e caratteristiche: Dopo l’esito negativo della composizione negoziata, l’imprenditore deve predisporre comunque un piano con la descrizione dei beni da liquidare e delle modalità (aste, eventuali accordi di vendita già trovati, ecc.), e una proposta di riparto ai creditori. Anche qui serve la relazione di un attestatore che asseveri il valore di liquidazione e la capienza per i creditori privilegiati. Si deposita il ricorso in tribunale, che attiva la procedura. Il tribunale può concedere misure protettive nel frattempo (simili a quelle del concordato ordinario). Non si nomina un commissario giudiziale necessariamente, ma spesso il tribunale può nominare un esperto per valutare il piano. Alla udienza di omologazione, i creditori possono essere sentiti: se alcuni ritengono che il piano sia pregiudizievole, possono fare opposizione. Il giudice tuttavia decide in base al confronto con la liquidazione giudiziale: se ritiene che il piano concordatario dia almeno uguale soddisfazione ai creditori rispetto a un fallimento e non riscontra condotte scorrette, lo omologa.

Esempio: l’imprenditore Alfa ha immobili stimati €1 milione, debiti privilegiati per €500k e chirografari per €1M. Propone un concordato semplificato dove l’immobile verrà venduto a almeno €1M (magari c’è già un’offerta scritta per quella cifra). Col ricavato, paga integralmente i €500k dei privilegiati e il resto (€500k) va ai chirografari, che quindi prendono il 50%. Nel fallimento forse avrebbero preso meno per via di spese e tempi. Il tribunale vede che tutti avranno il pagamento in pochi mesi e in percentuale dignitosa: è probabile omologhi anche se qualche chirografario volesse di più, perché 50% subito vs magari 40% tra anni in fallimento è conveniente.

Vantaggi: Il concordato semplificato offre una via d’uscita rapida e sotto controllo dell’imprenditore, perfino quando non c’è consenso dei creditori. Evita i costi (umani e monetari) di un fallimento lungo: la liquidazione la conduce un liquidatore concordatario, tendenzialmente in tempi più brevi e con meno formalità. I creditori, pur non chiamati al voto, beneficiano di una procedura più snella dove, se il piano è serio, incassano prima. Anche per il sistema giudiziario è un vantaggio: smaltisce casi di insolvenza con una mini-procedura invece di aprire complicati fallimenti di PMI spesso asset-poor. Per l’imprenditore, il vantaggio è di evitare la dichiarazione di fallimento e le relative conseguenze (stigma, possibili interdizioni, ecc.). Se il piano è omologato e poi eseguito, l’imprenditore verrà liberato dai debiti residui (esdebitazione).

Svantaggi e cautele: Poiché non c’è voto dei creditori, alcuni potrebbero percepire il concordato semplificato come penalizzante (gli viene imposto un piano senza chiedere il loro parere). Per questo il giudice deve stare attento alla “meritevolezza” e “buona fede” del debitore. Se il debitore tenta di approfittare per far passare un piano squilibrato (es: stima i beni bassi per pagare meno i creditori e magari riprenderseli con qualche stratagemma), il tribunale può negare l’omologazione. Ci sono stati casi (es. Tribunale di Lecce 2025) in cui l’omologazione è stata rigettata perché il piano presentava troppe incertezze sui valori e mancata chiarezza sulle passività. Ciò dimostra che il semplificato non è un “liberi tutti”: richiede rigore, altrimenti viene bocciato e a quel punto il fallimento è dietro l’angolo. Altro svantaggio: ambito limitato – può accedervi solo chi ha esperito la CNC. Quindi non è disponibile per chi direttamente volesse farlo senza passare dalla composizione negoziata. Infine, per definizione il concordato semplificato porta alla cessazione dell’attività (liquidazione di tutto): se invece si volesse salvare l’azienda, non è lo strumento adatto (serviva un concordato in continuità, ma se quell’opzione è saltata durante la CNC, il semplificato è l’ultima spiaggia liquidatoria).

Esperienza pratica: Nei primi due anni, il concordato semplificato è stato attivato in poche decine di casi in Italia, con alterni successi. Spesso i tribunali hanno esercitato un controllo rigoroso, chiedendo integrazioni di informazioni e talora negando l’omologa quando percepivano rischi di abuso (ad esempio, dubbi su stime di attivo troppo ottimistiche, oppure dubbi sulla trasparenza del proponente). D’altro canto, ci sono esempi virtuosi in cui una PMI ha chiuso così la propria crisi vendendo rapidamente i beni e pagando in pochi mesi i creditori in percentuale maggiore del presumibile in fallimento – un risultato tutto sommato positivo per i creditori stessi.

In conclusione, il concordato semplificato è uno strumento molto mirato: non risolve il problema dell’insolvenza tramite risanamento, ma consente almeno di liquidare in modo controllato evitando il fallimento. È un’opzione importante da conoscere, perché se la composizione negoziata fallisce, entro quei 60 giorni il destino dell’azienda si decide: o trova questa exit strategy concordataria, oppure sarà con alta probabilità liquidazione giudiziale.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

Cos’è: La Liquidazione Giudiziale è la procedura concorsuale di carattere liquidatorio che ha preso il posto del “fallimento” tradizionale. Rappresenta, di fatto, l’ultima istanza per la gestione della crisi, quando ogni tentativo di risanamento è fallito o non percorribile. Lo scopo è liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole del concorso (par condicio, rispetto dei privilegi, ecc.). A differenza degli strumenti fin qui visti, la liquidazione giudiziale è generalmente involontaria per l’imprenditore (viene dichiarata su istanza di creditori o d’ufficio dal tribunale, salvo i casi di “autofallimento” richiesto dallo stesso debitore) e comporta la spoliazione dell’impresa: l’imprenditore perde l’amministrazione dei beni, che passa a un curatore nominato dal tribunale, e l’attività d’impresa solitamente cessa (a meno che il curatore decida di esercitarla provvisoriamente per migliorare la liquidazione, con autorizzazione).

Quando interviene: Si apre la liquidazione giudiziale quando l’imprenditore si trova in stato di insolvenza attuale e non è stato proposto/ottenuto alcun concordato o altra procedura idonea. Possono richiederla: uno o più creditori, il Pubblico Ministero (in casi tassativi) o lo stesso debitore. Ad esempio, se un creditore ha un credito scaduto e non pagato, cita il debitore in tribunale; se il giudice accerta che l’impresa è insolvente (incapace di pagare i debiti regolarmente), dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale con sentenza. Questa sentenza è resa pubblica e segna la cristallizzazione della massa dei creditori (dividere crediti anteriori e posteriori).

Effetti principali: La sentenza di liquidazione spossessa l’imprenditore dei suoi beni esistenti al momento (essi entrano nella “massa attiva” affidata al curatore) e apre una procedura collettiva. Viene nominato un curatore, sotto la vigilanza di un giudice delegato e di un comitato di creditori. Tutti i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo per veder riconosciuto il proprio credito nella procedura. Le azioni individuali restanti (pignoramenti, cause) vengono sospese e sostituite dall’accertamento del passivo in sede concorsuale. Inizia poi la fase di realizzo dell’attivo: il curatore, seguendo le norme (molte analoghe al vecchio fallimento), procede a vendere i beni mobili, immobili, recuperare crediti, eventualmente cedere l’azienda o rami di essa, ecc. Il ricavato viene distribuito ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (prima i privilegiati fino a capienza, poi con ciò che resta i chirografari, in proporzione). Al termine delle operazioni, il tribunale approva il piano di riparto finale e dichiara chiusa la procedura. Se il ricavato non copre tutti i debiti (situazione quasi sempre), i creditori chirografari rimangono insoddisfatti per la parte residua, ma il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (vedi oltre).

Durata e aspetti procedurali aggiornati: Il CCII ha cercato di rendere la liquidazione giudiziale più efficiente e rapida rispetto al vecchio fallimento, introducendo termini per la chiusura (dovrebbe auspicabilmente concludersi entro 3 anni, ma non perentori), maggiore digitalizzazione (depositi telematici, vendite telematiche), e strumenti di continuità indiretta: ad es. il curatore può vendere l’azienda in esercizio, se ciò massimizza il valore, invece di spezzettarla. È prevista anche la possibilità di proposte concordatarie in sede di liquidazione giudiziale (simili al vecchio concordato fallimentare): ossia, durante il fallimento, un terzo o lo stesso debitore possono proporre un concordato ai creditori per chiudere anticipatamente la procedura con modalità alternative (ad es. un finanziatore esterno offre tot per pagare tutti i creditori una percentuale e rilevare l’azienda). Queste proposte, se approvate dai creditori, portano alla chiusura anticipata del fallimento e possono essere convenienti (i creditori prendono subito X invece di attendere anni incerti). Spesso è un modo per salvare l’impresa tramite un investitore in extremis.

Effetti sull’imprenditore: La liquidazione giudiziale comporta per l’imprenditore (se persona fisica) o per gli amministratori (se società) conseguenze afflittive come l’interdizione temporanea da attività commerciali, la perdita di capacità di stare in giudizio per questioni patrimoniali, ecc. Nel caso di società, di norma con la dichiarazione la società stessa è avviata allo scioglimento e alla cancellazione finale. Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere di eventuali danni per mala gestio (azioni di responsabilità promosse dal curatore). Inoltre, scatta la possibile azione penale: molte condotte precedenti possono integrare reati fallimentari (bancarotta semplice o fraudolenta, a seconda di come sono stati gestiti i beni e i libri contabili). Insomma, il fallimento rimane un evento molto spiacevole per l’imprenditore, benché la riforma abbia tolto il termine “fallito”, rimangono queste implicazioni.

Esdebitazione: Una luce in fondo al tunnel è l’esdebitazione. Il CCII ha reso l’esdebitazione del debitore persona fisica quasi automatica (“di diritto”) trascorso l’iter: se il fallito ha collaborato e non ha commesso irregolarità gravi, al termine della liquidazione giudiziale viene liberato dai debiti residui senza bisogno di un’apposita istanza (o comunque con iter semplificato). Questa è una novità per favorire il fresh start: in passato l’esdebitazione doveva essere chiesta e concessa con prudenza; ora è la regola salvo eccezioni (frodi, comportamento doloso, etc.). Ciò significa che l’imprenditore onesto ma sfortunato, dopo aver subito la liquidazione, può ripartire senza la zavorra dei debiti pregressi non soddisfatti.

Vantaggi della liquidazione giudiziale: Dal punto di vista dei creditori, è la procedura che garantisce la parità di trattamento e la legalità: un curatore terzo si occupa di tutto, evitando favoritismi. Se l’impresa non è salvabile, la liquidazione giudiziale consente di chiudere i giochi e recuperare il possibile in modo ordinato. Vi sono poteri di recupero che altre procedure non hanno, ad esempio il curatore può esercitare azioni revocatorie su pagamenti o atti pregiudizievoli compiuti prima dell’insolvenza per recuperare attivo (es. può far revocare pagamenti preferenziali fatti 6 mesi prima, salvo quelli protetti da piani attestati o accordi omologati). Questo tutela i creditori perché aumenta la massa ripartibile. Inoltre, la liquidazione giudiziale consente di accertare eventuali responsabilità di terzi (amministratori, sindaci, etc.) con azioni collaterali.

Svantaggi: Per i creditori, il fallimento è spesso sinonimo di tempi lunghi e soddisfazione bassa. Non di rado servono anni per vedere qualcosa, e i costi procedurali riducono l’attivo. La media percentuale di recupero in fallimento per i chirografari in Italia è storicamente molto bassa (spesso sotto il 10%). In più, i creditori perdono la possibilità di interagire individualmente: devono attendere passivamente il lavoro del curatore. Per l’economia, ogni fallimento è un’azienda che scompare, con impatto su dipendenti e indotto. Per l’imprenditore, come detto, è molto penalizzante in termini di reputazione e conseguenze legali. Per questo la legge e l’orientamento generale è di considerare la liquidazione giudiziale come ultima risorsa, cui ricorrere solo se nessun’altra soluzione prospettata è stata possibile.

Le PMI nella liquidazione giudiziale: Anche le PMI (che superano i limiti di fallibilità) possono finire in liquidazione giudiziale. Spesso per PMI medio-piccole la procedura è semplificata e rapida se ci sono pochi asset; a volte però, specie per PMI con immobili o molte cause legali, si trascina. Vale la pena ricordare che per le imprese minori (sotto soglia fallimentare) non si applica la liquidazione giudiziale ma la liquidazione controllata (vedi dopo), che è concettualmente simile ma calibrata su soggetti piccoli e persone fisiche (ad esempio, costi minori, gestione tramite OCC).

In sintesi, la liquidazione giudiziale è la procedura che nessuno vorrebbe raggiungere, ma che è indispensabile esista per garantire ai creditori di avere giustizia quando il debitore non è più in grado di pagarli. Come dice il gergo, è il “cimitero delle imprese” – doloroso ma a volte necessario per consentire che le risorse produttive vengano riallocate in attività più sane.

Strumenti per le imprese minori e sovraindebitate

Le imprese di piccolissime dimensioni e gli imprenditori non commerciali (es. agricoltori, professionisti) possono non essere soggetti alle procedure sopra descritte (accordi, concordati, fallimento) se rientrano nei parametri di “imprenditore minore” stabiliti dalla legge. Per costoro, il CCII (in continuità con la legge 3/2012 sul sovraindebitamento) prevede procedure ad hoc, semplificate e gestite con l’ausilio degli Organismi di Composizione della Crisi (OCC). Le PMI di tipo micro (ad es. ditte individuali sotto soglie) potrebbero quindi accedere a questi istituti invece che al concordato classico. Vediamoli brevemente:

  • Concordato minore: è l’equivalente del concordato preventivo per i soggetti sovraindebitati non fallibili. Si chiama “minore” non perché di minore importanza, ma perché destinato a chi non supera le soglie di fallibilità. La finalità è la medesima del concordato: proporre ai creditori un soddisfacimento parziale dei loro crediti, secondo un piano, ed evitare la liquidazione totale. La procedura è semplificata: la domanda si presenta al tribunale ma tramite l’assistenza dell’OCC; non c’è commissario giudiziale bensì il referente è l’OCC stesso che svolge funzioni ausiliarie. La maggioranza per l’approvazione è calcolata come per il concordato (maggioranza crediti). Anche il concordato minore può essere in continuità o liquidatorio. Con il correttivo 2024, sono state apportate alcune modifiche per allinearlo alle regole del concordato preventivo, pur restando differenze. Ad esempio, nel concordato minore non è richiesto l’apporto esterno del 10% nel caso liquidatorio (capire per un piccolo debitore sarebbe insensato chiedere risorse esterne), però è stato ribadito l’obbligo che ogni creditore abbia un’utilità (simile al concordato semplificato, anche qui). In generale, il concordato minore è uno strumento pensato per piccole attività individuali o familiari sommerse dai debiti, per evitare la liquidazione personale dando qualcosa ai creditori.
  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore e dell’imprenditore minore: questa è un’altra procedura del sovraindebitamento (ex piano del consumatore), destinata in primis ai privati non fallibili o ex imprenditori. Se l’imprenditore è un consumatore (non svolge più attività d’impresa) può proporre un piano di rientro ai creditori senza neanche votazione, basato sul merito creditizio (che il giudice omologa se equo). Per un piccolo imprenditore in attività, invece, il confine con il concordato minore è sottile: tipicamente ricorrerà a quest’ultimo.
  • Accordo di composizione della crisi (per sovraindebitati): è analogo all’accordo di ristrutturazione ma in miniatura. Richiede il 60% di adesioni dei creditori (o percentuale diversa se agevolato), e l’omologazione in tribunale. Questa via può essere seguita da piccole imprese sovraindebitate che vogliono evitare la liquidazione e trovano un accordo con la maggioranza dei creditori. Anche qui l’OCC ha un ruolo di attestazione e facilitatore.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la versione “small” della liquidazione giudiziale, per chi non può essere dichiarato fallito. Viene gestita con l’ausilio di un liquidatore nominato dal giudice (spesso lo stesso referente OCC). Il patrimonio del debitore viene liquidato e i creditori soddisfatti in ordine. Il vantaggio per il debitore persona è che può chiedere l’esdebitazione pressoché automatica subito dopo, anche se nulla è stato pagato (soprattutto per i debitori meramente incapienti senza beni: una norma consente la esdebitazione del debitore incapiente una volta nella vita, per dare sollievo anche a chi non ha nulla da offrire, purché la sua insolvenza non dipenda da colpa grave o frode).

In concreto, le PMI micro spesso possono scegliere se utilizzare gli strumenti “maggiori” (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione) – se formalmente rientrano nel campo di applicazione – oppure quelli “minori” se stanno sotto soglia. Non c’è piena libertà però: se un imprenditore non fallibile presentasse un concordato preventivo ordinario, il tribunale dovrebbe dichiararlo inammissibile per difetto di presupposti soggettivi. Dovrebbe allora indirizzarsi al concordato minore.

Va detto che la differenza pratica tra concordato minore e concordato preventivo per alcune PMI può essere minore (il minore forse ha iter leggermente più snello, ma entrambe in tribunale vanno). In ogni caso è importante sapere che anche la piccola impresa sotto soglia non è abbandonata a sé stessa: la legge le offre opportunità di accordo e alleggerimento debiti, con l’assistenza degli OCC che suppliscono alla mancanza di organi di controllo interni.

Conclusione su sovraindebitamento: Per gli imprenditori individuali, piccoli commercianti, start-up sotto soglia, etc., gli istituti di sovraindebitamento fungono da “paracadute” per risolvere la crisi con dignità. Il CCII ha integrato queste procedure in un quadro unitario, segno che il superamento della crisi è un obiettivo per tutte le imprese, anche le più piccole, e per le persone fisiche schiacciate dai debiti (v. la figura del debitore civile).

Nei riferimenti normativi in fondo includeremo i richiami a queste parti di disciplina (artt. 65-83 CCII circa).


Abbiamo ora passato in rassegna l’intero arsenale di strumenti legali in Italia per superare la crisi d’impresa nelle PMI: dagli approcci negoziali volontari fino alla liquidazione finale. Nella prossima sezione, proponiamo tabelle comparative per riassumere e confrontare le principali caratteristiche di questi strumenti, in termini di requisiti, tempi, vantaggi e svantaggi.

Confronto tra i diversi strumenti di regolazione della crisi

Di seguito presentiamo alcune tabelle riepilogative che mettono a confronto i vari strumenti descritti, evidenziandone procedibilità, tempistiche, vantaggi e svantaggi principali. Queste tabelle hanno lo scopo di fornire un colpo d’occhio rapido e comparativo per professionisti e imprenditori.

Tabella 1: Procedibilità e caratteristiche essenziali

StrumentoQuando si applica (presupposti)Iniziativa e consensoEsito per l’impresaFigura di supporto
Composizione negoziataCrisi o insolvenza reversibile; volontaria; qualsiasi impresaDa imprenditore; creditori aderiscono volontariamente (nessun quorum fisso)Risanamento fuori dal tribunale; se fallisce può portare a concordato semplificatoEsperto indipendente nominato da commissione (ausilia le trattative)
Piano attestato di risanamentoCrisi o insolvenza gestibile privatamente; aziende con pochi creditori principaliDa imprenditore; accordo privato con creditori chiave (nessun omologa)Risanamento extragiudiziale; creditori non aderenti restano estraneiProfessionista attestatore (assevera piano)
Accordo di ristrutturazione (ord.)Crisi o insolvenza; impresa fallibile; debiti ristrutturabili col 60% consensiDa imprenditore; serve ≥ 60% crediti aderenti; omologato dal tribunale (creditori estranei pagati per intero)Risanamento con omologa giudiziale; vincola aderenti e tutela estranei (pagati)Attestatore (relazione di fattibilità); Tribunale per omologa; eventuale commissario non previsto salvo nomina facoltativa
Accordo “agevolato”Come sopra, ma consensi solo ≥ 30%; condizione: estranei pagati senza dilazioni≥ 30% crediti aderenti; omologa tribunale; (possibile combinare con effic. estesa)Idem accordo, con platea consensi ridotta ma obbligo soddisfare interamente chi sta fuoriAttestatore; Tribunale (controllo più rigoroso su pagamento estranei)
Accordo ad efficacia estesaCome sopra; tipicamente per banche/obbligazionisti; super-maggioranza in categoriaAdesione ≥ 75% in una categoria omogenea -> vincola 100% di quella categoria (anche dissenzienti)Risanamento con alcune categorie interamente coinvolte; creditori non aderenti in categoria trattati come aderentiAttestatore; Tribunale (verifica correttezza categorie e trattamento uniforme)
PRO (Piano ristrutt. omologato)Crisi o insolvenza; impresa fallibile; utile quando necessario classi e deroghe prelazioniDa imprenditore; votazione per classi: maggioranza in ciascuna classe (possibile cram-down se condizioni); omologato dal TribunaleRisanamento (o liquidazione) con piano flessibile; vincolante erga omnes come un concordato omologatoCommissario giudiziale (nom. dal Tribunale); Attestatore; Tribunale supervisiona iter e omologa
Concordato preventivo in continuitàInsolvenza o crisi irreversibile senza accordi privati possibili, ma azienda salvabileDa imprenditore (o creditori in rari casi); votazione creditori: maggioranza >50% crediti (con classi se opp.); omologazione Tribunale (cram-down poss. se best interest)Risanamento con prosecuzione azienda (diretta o indiretta); debiti stralciati secondo piano; esdebitazione a fine esecuzioneCommissario giudiziale (nom. Tribunale); Giudice delegato; Attestatore; (Liquidatore solo se prevista cessione beni)
Concordato preventivo liquidatorioInsolvenza; azienda non proseguibile o non conveniente da proseguireDa imprenditore; voto creditori >50%; vincoli: ≥20% ai chirografari, ≥10% attivo da risorse esterne; omologa TribunaleLiquidazione ordinata beni azienda tramite commissario/liquidatore; azienda cessata; debiti in parte soddisfatti, resto stralciato post esdebitazioneCommissario giudiziale; Liquidatore (nominato per vendite beni); Giudice delegato; Attestatore
Concordato semplificato (liq.)Insolvenza conclamata; fallita composizione negoziata (obbligatorio tentativo CNC)Da imprenditore entro 60 gg da esito CNC negativo; no voto creditori; decide il Tribunale in omologa (creditori possono fare osservazioni)Liquidazione beni sotto controllo giudice ma più rapida del fallimento; azienda cessata; creditori soddisfatti parzialmente secondo pianoLiquidatore (nominato dal Tribunale a omologa per eseguire la liquidazione); Tribunale valuta convenienza e omologa; (Attestatore per stime valori)
Liquidazione giudizialeInsolvenza conclamata; nessun piano o concordato efficace avviato (o procedure precedenti revocate/annullate)Da creditori, PM o debitore; dichiarata dal Tribunale con sentenza; collettiva coattiva (creditori non scelgono, subiscono)Liquidazione coattiva patrimonio da parte di curatore; cessazione attività (salvo esercizio provvisorio); società estinta a fine, persona fisica esdebitata (se onesta)Curatore fallimentare; Giudice delegato; Comitato creditori; (OCC se impresa minore)
Procedure sovraindebitamento (conc. minore, accordo minore, liquidaz. controllata)Insolvenza di debitore non fallibile (micro-impresa, consumatore, etc.)Da debitore (o OCC); concordato minore simile a concordato (voto creditori >50%); accordo minore ≥60% consensi; liquidazione controllata decisa da Tribunale su richiestaConcordato minore: può prevedere continuità o liquidazione parziale, con esdebitazione finale; Liquidazione controllata: liquidazione totale beni, esdebitazione a fine (anche senza soddisfo)OCC (Organismo Composizione Crisi): ruolo chiave di ausilio e attestazione; Liquidatore (in liquidaz. controllata); Tribunale omologa o dichiara apertura

Tabella 2: Vantaggi e svantaggi in sintesi

StrumentoVantaggi principaliSvantaggi / limiti principali
Composizione negoziata+ Confidenziale (non pubblica inizialmente) + Flessibile e volontaria, con misure protettive attivabili + Mantiene continuità aziendale e management + Misure premiali (stop interessi, niente revocatorie atti coerenti, esenzioni reati) + Possibilità di sbocco in accordo o concordato (o semplificato se fallisce)– Nessun potere coercitivo sui creditori dissenzienti (dipende da collaborazione) – Può fallire se creditori chiave rifiutano – Durata limitata (6+6 mesi) potrebbe non bastare per crisi complesse – Costo dell’esperto e impegno gestionale significativo – Se esito negativo, comunque si arriva a procedure concorsuali (anche se semplificate)
Piano attestato+ Totalmente extragiudiziale (niente tribunale, quindi rapido e riservato) + Protegge atti esecutivi (pagamenti, garanzie) da revocatoria + Favorisce accordi bancari e nuova finanza (attestazione come comfort) + Gestione totalmente in mano all’impresa (nessun commissario)– Richiede consenso di tutti i principali creditori (nessun meccanismo per imporre ai dissenzienti) – Nessuna sospensione legale delle azioni: un creditore può comunque agire – Costo della attestazione e necessità di dati credibili – Rischio legale: se piano non era realmente idoneo, atti potrebbero essere contestati ex post – Non adatto a crisi con molti creditori eterogenei
Accordo ristrutturazione (ord.)+ Evita procedura concorsuale lunga; omologa più veloce + Richiede consenso “pesato” (60%) e vincola solo aderenti – quindi più facile di unanimità + Automatic stay dalle azioni esecutive dopo pubblicazione (tutela durante omologa) + Possibilità di transazione fiscale: taglio debiti erariali con omologa + Meno stigmatizzante di un concordato, spesso visto come segnale di accordo con banche– Non vincola creditori estranei, che vanno pagati per contratto (può richiedere liquidità immediata per estranei) – 60% può essere difficile da raggiungere in compagini frammentate – Procedura comunque pubblica (registro imprese) e soggetta a controllo giudiziale, seppur limitato – Se debitore inadempie accordo, si può precipitare subito in fallimento (mancanza di struttura di concordato) – Creditori privilegiati dissenzienti non cram-downabili salvo specifici casi (banche con efficacia estesa, Fisco col nuovo cram-down)
Accordi “agevolato”+ Quorum molto ridotto (30%) – utile con tanti piccoli creditori + Può essere preludio a accordo esteso + Meno adesioni richieste = più velocemente raggiungibile– Deve pagare per intero i creditori non aderenti (nessuna dilazione), quindi adatto solo se pochi estranei o se liquidità sufficiente per loro – Per definizione esclude ogni sacrificio ai dissenzienti, limite intrinseco – Rischio che per rispettare la condizione si debba sacrificare cassa e non resti beneficio per aderenti
Accordo efficacia estesa+ Permette di forzare anche minoranza dissenziente in categorie cruciali (es. una banca riluttante, pochi obbligazionisti) + Evita comportamento opportunistico di free-rider + Mantiene approccio negoziale ma con “colpi di maggioranza” + Può combinarsi con quorum agevolato: molto potente insieme (bind dell’intera categoria con solo 30% generale se ben strutturato)– Applicabile solo a categorie “omogenee” di creditori (serve definire bene le classi) – Richiede 75% in quella categoria: soglia comunque alta da coordinare – I creditori coinvolti forzosamente possono opporsi, giudice deve valutare equità (tempi e incertezza in più) – Possibile malcontento di chi subisce imposizione (rischio contenziosi post-omologa)
PRO (Piano ristrutt. omologato)+ Grandissima flessibilità nel trattamento dei crediti (deroghe a par condicio) + Possibilità di soluzioni creative di risanamento (debt-equity swap, classi con trattamenti ad hoc) + Procedura formalizzata con tutela giudiziale ma senza requisiti minimi di % ai creditori (salvo best interest) + Adeguato a ristrutturazioni complesse che richiedono accordi differenziati tra creditori + Non prevede automatismi sanzionatori (es. non cita reati di bancarotta)– Molto complesso da strutturare; costi paragonabili a un concordato, se non superiori – (In versione originaria) necessitava consenso di tutte le classi -> rigidità elevata; (ora attenuata da correttivo, ma comunque serve ampia condivisione) – Poco sperimentato: incertezza applicativa, possibili dubbi interpretativi in omologa – In pratica rischia di sovrapporsi al concordato senza offrire vantaggi decisivi nelle PMI, se non in casi particolari – Creditori hanno voce (devono votare) ma schema nuovo potrebbe generare resistenze per scarsa comprensione
Concordato in continuità+ Salva l’azienda e i posti di lavoro, massimizzando valore a lungo termine + Consente ristrutturazione profonda (taglio debiti, riorganizzazione attività sotto protezione tribunale) + Creditori partecipano tramite voto, ma non possono bloccare se maggioranza approva (dissenzienti vincolati) + Strumenti vari: facoltà di sciogliere o sospendere contratti sfavorevoli, ottenere finanziamenti prededucibili, ecc. + Niente soglie minime di pagamento (se piano è migliore del fallimento) + Pianificabile su orizzonte medio termine (pagamenti dilazionati)– Procedura complessa, lunga (spesso 1-2 anni per omologa, e piano magari 5 anni) – Costi elevati (commissario, periti, legali, attestatore) – per PMI piccole può essere proibitivo – Pubblicità negativa: clientela e fornitori possono perdere fiducia, rischio calo attività proprio mentre si cerca rilancio – Necessita di finanza esterna o utili futuri: se i flussi non si materializzano, il concordato può fallire e si va comunque in liquidazione – Monitoraggio rigoroso: qualsiasi scostamento può indurre risoluzione (es. mancato pagamento di una rata ai creditori porta a risoluzione concordato e a fallimento, se entro 1 anno dall’ultimo termine utile) – Diluisce notevolmente i tempi di soddisfazione creditori (possono dover attendere anni per incassare percentuali)
Concordato liquidatorio+ Permette di evitare il fallimento formalmente: liquidazione fatta in ambito concordatario è più governabile (spesso debitore può proporre liquidatore, scegliere modalità vendite) + Creditori chirografari hanno garanzia di almeno 20% (legale), spesso superiore a stime da fallimento + Tempi di pagamento ai creditori potenzialmente più brevi che in fallimento (specie se ci sono acquirenti già individuati) + Possibilità di vendere beni liberi da vincoli se autorizzato, incrementando valore rispetto a vendite forzate + Soci/debitore possono contribuire per soddisfare soglia del 10%, mostrando impegno e ottenendo magari maggior benevolenza (o mantenendo asset nella propria orbita post-concordato se creditori accettano offerte di soci)– Richiede risorse aggiuntive (10% attivo): non sempre disponibili per PMI – Impone almeno 20% ai chirografari: se patrimonio non basta, concordato liquidatorio non ammissibile (si è costretti al fallimento in quei casi) – Azienda comunque viene ceduta o chiusa: non preserva l’attività (eccetto possibili cessioni in blocco) – Se non eseguito alla lettera (ad es. non si realizza prezzo atteso per un bene e non si riesce a pagare 20%), va in risoluzione e dunque fallimento, con aggravio inutile di costi – Creditori privilegiati possono a volte opporsi se non totalmente soddisfatti e bloccare (perdendo la possibilità di degradare il loro credito e votare se cappello non c’è capienza)
Concordato semplificato+ Rapidissimo: evita tutta la fase di voto, si va direttamente a omologa in tempi brevi (qualche mese) + Permette di evitare fallimento anche senza consenso creditori, se giudice valuta vantaggioso + Costi procedurali ridotti rispetto a concordato ordinario (niente commissario, solo liquidatore post-omologa; iter snello) + Creditori ricevono distribuzione più equa e potenzialmente più celere che nel fallimento + Debitore evita dichiarazione di fallimento, mantenendo onore in parte (ha almeno proposto soluzione) e limitando conseguenze negative personali– Applicabile solo dopo composizione negoziata fallita (quindi non sempre disponibile) – Non salva l’impresa: comporta liquidazione integrale dei beni e cessazione attività – Creditori privati del diritto di voto: possibile senso di ingiustizia e opposizioni all’omologa (che possono complicare e rallentare in tribunale) – Il tribunale può rigettare l’omologa se anche un dettaglio non convince (ad es. dubbio su stima attivo, scorrettezza debitore), lasciando di fatto solo il fallimento – Per il debitore, l’effetto è comunque la perdita di tutto il patrimonio, come nel fallimento, e nomina di un liquidatore che gestirà vendite (perde controllo)
Liquidazione giudiziale+ Garantisce parità di trattamento formale di tutti i creditori secondo legge + Curatore professionale che amministra nell’interesse dei creditori + Potenti strumenti legali: revocatorie per recuperare pagamenti preferenziali, azioni di responsabilità verso amministratori, etc., aumentando attivo da distribuire + Chiusura definitiva della vicenda d’impresa, con liberazione del debitore onesto dai debiti residui (fresh start) + Nei casi con asset significativi, curatore può valorizzare vendendo azienda in esercizio o trovando compratori, evitando dispersione + Creditori non devono attivarsi singolarmente in mille cause: un’unica procedura centralizzata– Procedura lunga e costosa (molte fasi burocratiche: verifica crediti, vendite, riparti) – i creditori aspettano spesso anni – Percentuali di recupero per chirografari spesso basse (dopo privilegi e costi procedura) – L’impresa viene spazzata via: perdita di valore intangibile, brand, posti di lavoro (a meno di vendite in blocco, ma non garantite) – Per l’imprenditore: stigma sociale, restrizioni personali, possibili conseguenze penali (bancarotta) – Costi a carico massa: curatore, spese legali, periti, etc. possono erodere attivo – Sovraccarico giudiziario: il tribunale deve gestire, tramite giudice delegato, tutta la procedura, e ciò può subire lentezze se risorse scarse

(Legenda: “prededuzione” = crediti che vengono soddisfatti con precedenza in caso di fallimento; “stay” = sospensione delle azioni esecutive individuali)

Le tabelle sopra evidenziano come non esista uno strumento migliore in assoluto, ma la scelta dipende dallo scenario concreto: natura e gravità della crisi, struttura del debito, disponibilità di consenso tra i creditori, necessità o meno di salvare l’attività aziendale. Ad esempio, una PMI con prospettive di rilancio e supporto delle banche sceglierà probabilmente un concordato in continuità o un accordo di ristrutturazione; una micro-impresa familiare potrebbe optare per un concordato minore; un’impresa ormai decotta, senza accordo possibile, finirà in liquidazione giudiziale o (se tentata la CNC) in un concordato semplificato per chiudere dignitosamente.

Nota: In letteratura e giurisprudenza si sottolinea l’importanza della tempestività nel decidere quale strada intraprendere: prima si affronta la crisi con lo strumento adatto, maggiori sono le chance di evitare la soluzione più drastica. Gli amministratori devono attivarsi “senza indugio” ai primi segnali di insolvenza incipiente, pena incorrere in responsabilità (anche la nuova disciplina sulla responsabilità da tardivo accesso accentua questo profilo).

Dopo questa panoramica comparativa, passiamo a una sezione di Domande frequenti, che affronta alcuni dubbi pratici ricorrenti tra imprenditori e professionisti in tema di crisi d’impresa.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito rispondiamo ad alcune domande frequenti che gli imprenditori e i loro consulenti si pongono quando si trovano ad affrontare una crisi aziendale. Le risposte cercano di essere pratiche e basate sul quadro normativo vigente a maggio 2025.

  • D: Quando devo iniziare a preoccuparmi di utilizzare questi strumenti?
    R: Il prima possibile, ai primi segnali di crisi. La legge impone agli amministratori di attivarsi tempestivamente: se noti squilibri nei flussi di cassa, perdite rilevanti, difficoltà a pagare fornitori o rate di mutuo, è il momento di consultare un esperto di crisi. Strumenti come la composizione negoziata possono essere attivati già nella fase di “allerta interna” prima che si arrivi all’insolvenza conclamata. Agire precocemente amplia le opzioni (ad esempio, è più facile negoziare con i creditori quando ancora intravedono chance di recupero che non quando l’insolvenza è palese). In sintesi: non aspettare di non poter più pagare stipendi o fornitori; se c’è tensione finanziaria prolungata, è tempo di valutare un piano di risanamento.
  • D: La mia azienda è insolvente ma vorrei salvarla: meglio un accordo di ristrutturazione o un concordato in continuità?
    R: Dipende dal grado di consenso che riesci a ottenere dai creditori e dalla complessità della situazione. Un accordo di ristrutturazione è ottimo se hai già l’appoggio delle banche e di altri creditori principali pari ad almeno il 60% dei debiti, e se puoi pagare regolarmente quelli che non aderiscono. Ha meno formalità rispetto al concordato e ti permette di negoziare i termini in modo flessibile. Tuttavia, se prevedi che molti creditori non saranno d’accordo o se hai bisogno di tagliare il debito anche di chi non è consenziente, allora serve il concordato in continuità: lì potrai imporre il piano a tutti con il voto della maggioranza. Il concordato offre anche strumenti come la moratoria dei pagamenti e la possibilità di scioglierti da contratti sfavorevoli, utili per rilanciare l’azienda. Il rovescio della medaglia è che il concordato è più lungo e costoso. Quindi, valuta: se hai già un’intesa con la maggior parte dei creditori chiave, tenta l’accordo (magari in composizione negoziata prima, per sicurezza); se regna disaccordo e serve l’intervento del tribunale per mettere tutti in riga, opta per il concordato.
  • D: Posso accedere alla composizione negoziata anche se sono già in grave dissesto?
    R: Sì, la composizione negoziata è accessibile anche in caso di insolvenza conclamata, purché non sia ancora stata aperta una procedura concorsuale (fallimento o concordato). L’importante è che esista una possibilità di risanamento. Se l’azienda è in dissesto “irreversibile” – ad esempio, non ha più alcuna prospettiva di continuare ed è priva di qualsiasi risorsa per offrire un piano – allora l’esperto della composizione negoziata probabilmente concluderà che non c’è margine. Ma formalmente puoi presentare istanza anche se sei insolvente. In pratica, molti imprenditori hanno usato la CNC in condizioni molto compromesse, a volte riuscendo a evitare il fallimento (magari trovando un investitore last-minute durante le trattative). C’è da dire che se la situazione è disperata, il percorso negoziale potrebbe solo ritardare l’inevitabile; in tal caso è meglio valutare direttamente un concordato semplificato per liquidare, così da chiudere più rapidamente la vicenda.
  • D: Durante la composizione negoziata, i creditori possono comunque portarmi via i beni?
    R: Se non chiedi misure protettive, i creditori conservano il diritto di agire (decreto ingiuntivo, pignoramento ecc.). Però, appena presenti istanza di composizione negoziata, puoi contestualmente chiedere al tribunale le misure protettive (il cosiddetto “ombrello protettivo”). Se concesse, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari per il periodo stabilito (in genere 4 mesi rinnovabili). Quindi, , hai uno scudo legale, ma devi attivarlo tu tramite il tribunale. Tieni presente che il giudice concede questo scudo solo se dai elementi che stai seriamente trattando e che la misura aiuta il buon esito delle negoziazioni. Un altro aspetto: anche con lo scudo, devi pagare i debiti che scadono durante la negoziazione se sono essenziali per l’attività (es. forniture correnti) a meno che i fornitori accettino di attendere.
  • D: Che differenza c’è tra il piano attestato di risanamento e il piano richiesto per un concordato preventivo?
    R: Sono due documenti diversi anche se entrambi vengono preparati dall’azienda e asseverati da un professionista. Il piano attestato di risanamento è un piano privato, non soggetto a requisiti di legge se non l’obiettivo di risanare l’esposizione debitoria. Viene attestato da un esperto per dare credibilità, ma resta un accordo informale con i creditori. Invece, il piano di concordato preventivo è un piano che deve rispettare puntualmente le disposizioni di legge concorsuale: distinguere classi di creditori (se opportuno), indicare percentuali di soddisfacimento, assicurare eventuali soglie (20% se liquidatorio), prevedere come gestire i privilegi, ecc. Inoltre, nel concordato il piano verrà scrutinato dal commissario e dal giudice, e sottoposto al voto dei creditori. In pratica, il piano attestato può essere più generico e flessibile (purché convinca i partner privati), mentre il piano di concordato deve essere costruito “a prova di tribunale”, rispettando ogni formalismo. Un’altra differenza: il piano attestato non verrà divulgato pubblicamente, il piano di concordato sì (ai creditori e poi spesso anche a terzi, essendo nei registri). Va detto però che spesso un piano attestato di risanamento ben fatto può costituire la base qualora poi si decida di convertire la soluzione in un concordato: lo si adatta ai requisiti legali e lo si presenta in tribunale con gli opportuni aggiustamenti.
  • D: Cosa succede ai debiti fiscali e contributivi (Erario, INPS) in queste procedure?
    R: I debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali possono essere trattati all’interno delle procedure di ristrutturazione, ma con alcune regole speciali. Nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione, puoi proporre una transazione fiscale: in sostanza, includi nel piano un trattamento per questi debiti (ad esempio, pagamento parziale dell’IVA, stralcio di sanzioni, rateazione del dovuto). L’Agenzia delle Entrate e gli enti coinvolti parteciperanno come creditori e potranno accettare o rifiutare. Se accettano, bene; se rifiutano, la legge (aggiornata) consente al tribunale di omologare comunque la proposta se ritiene che il rifiuto sia ingiustificato e che la proposta di pagamento è almeno pari a quanto il Fisco otterrebbe in caso di fallimento. Questo meccanismo, detto cram-down fiscale, è oggi possibile sia nel concordato che negli accordi, ed evita al Fisco di avere potere di veto assoluto. Nel piano attestato o composizione negoziata, invece, il Fisco non “omologa” nulla: dovrai negoziare direttamente con l’ente (anche grazie all’intercessione dell’esperto CNC, dal 2024 è possibile presentare proposta in trattativa). Se non ottieni accordo, quei debiti restano dovuti integralmente nei termini di legge – non puoi “forzarli” fuori da una procedura concorsuale. Quindi, ricapitolando: dentro un concordato o accordo omologato, i debiti fiscali possono essere falcidiati (ridotti) o dilazionati; fuori, solo se l’ente è d’accordo. Nota: alcuni tributi come l’IVA e le ritenute non versate un tempo non erano falcidiabili nemmeno in concordato, ora invece lo sono (grazie al recepimento della direttiva UE).
  • D: Gli amministratori di una società in crisi rischiano responsabilità personali?
    R: Sì, esistono diversi profili di responsabilità. In particolare, se gli amministratori ritardano indebitamente il ricorso a strumenti di emersione della crisi, causando un aggravamento del dissesto, possono essere chiamati a rispondere dei danni verso i creditori (azione di responsabilità per “wrongful trading” o gestione non conservativa). Il CCII evidenzia il dovere di conservare il patrimonio sociale in vista della soddisfazione dei creditori una volta che la crisi emerge. Dunque, far finta di nulla e accumulare ulteriori debiti potrebbe portare a responsabilità. Anche in ambito penale, continuare ad assumere obbligazioni quando si è consapevoli dell’insolvenza può configurare reati (ad es. bancarotta semplice per aggravamento del dissesto). Detto questo, utilizzare tempestivamente gli strumenti di regolazione può esonerare o attenuare alcune responsabilità. Ad esempio, l’art. 2086 c.c. adempiuto (assetti adeguati, tempestiva adozione di soluzioni) mette al riparo l’organo amministrativo da censure. Inoltre, durante la composizione negoziata, come visto, alcuni reati (pagamenti preferenziali) non sono punibili. In sintesi: un amministratore diligente dovrebbe attivare uno strumento (CNC, accordo, concordato) appena capisce che la società non regge, in questo modo tutela al meglio creditori e riduce il rischio di dover rispondere personalmente. Se invece persevera in una gestione imprudente, spendendo risorse residue sapendo di non poter pagare tutti, il rischio di dover poi rifondere di tasca propria parte dei danni è concreto.
  • D: Quanto costa una procedura di concordato preventivo?
    R: I costi variano molto in base alla dimensione aziendale e alla complessità, ma sicuramente non sono trascurabili. Ci sono diverse voci: il compenso del commissario giudiziale e dell’eventuale liquidatore (stabiliti dal tribunale a fine procedura, in percentuale sull’attivo e passivo, spesso qualche punto percentuale dell’attivo realizzato), le spese di giustizia (contributo unificato e diritti, per un concordato vanno da qualche migliaio di euro in su), il compenso del professionista attestatore che redige la relazione (anche qui diverse migliaia di euro, dipende da chi incarichi e dal lavoro necessario), e i costi dei tuoi consulenti legali e finanziari per predisporre il piano e seguire la procedura (onorari che possono essere significativi). In un piccolo concordato di una micro-impresa, i costi totali potrebbero stare nell’ordine di decine di migliaia di euro; in una media impresa, facilmente saliamo a centinaia di migliaia di euro. Va detto che molti di questi costi (commissario, attestatore) hanno carattere prededucibile, cioè verranno pagati con precedenza rispetto ai creditori chirografari all’interno del piano stesso. Ma ciò significa meno soldi che restano per pagare i creditori poi. Questo spesso è un elemento da considerare: se la “coperta” è troppo corta, il concordato rischia di diventare antieconomico (es. se l’attivo è 100 e i costi procedura 50, ai creditori resta poco). Strumenti come l’accordo di ristrutturazione o la composizione negoziata, quando fattibili, costano sensibilmente meno in termini di organi coinvolti (ad esempio, negli accordi non c’è commissario né contributo unificato da concordato). In ogni caso, prima di avviare qualunque procedura, va fatto un budget dei costi con l’aiuto dei consulenti, per assicurarsi che la scelta sia sostenibile.
  • D: La mia è una piccola ditta individuale, posso usare queste procedure o sono solo per grandi società?
    R: Puoi usarle anche tu, ma in forma adattata. Se la tua ditta individuale non è fallibile (cioè rientri nei parametri di “imprenditore minore”), hai a disposizione le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Ad esempio, puoi proporre un concordato minore, che è molto simile al concordato preventivo ma calibrato per piccole realtà, con l’assistenza di un OCC invece che di un commissario e meno rigidità. Oppure, se i creditori sono pochi, potresti fare un accordo del debitore (accordo di composizione) con il 60% di adesioni omologato dal giudice. Se invece la tua ditta supera anche di poco i limiti dimensionali (ad esempio hai debiti per oltre 500k), allora sei fallibile e formalmente dovresti passare dai procedimenti standard (concordato preventivo, ecc.). Tuttavia, va detto che la composizione negoziata è aperta a tutte le imprese, piccole o grandi, quindi quello è uno strumento che sicuramente potresti attivare subito: diverse micro-imprese hanno risolto grazie alla CNC, magari trovando un accordo con banche e fisco dilazionando i pagamenti con l’aiuto dell’esperto. In generale, lo spirito della legge attuale è includere anche le piccole imprese nel perimetro delle soluzioni. Tieni presente che potresti dover rivolgerti a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) della tua zona, spesso istituito presso l’Ordine dei commercialisti o gli enti pubblici, il quale fornirà un professionista per aiutarti a predisporre piano o accordo.
  • D: Che differenza c’è tra fallimento e liquidazione controllata?
    R: Il “fallimento” tradizionale era la procedura per tutti gli imprenditori commerciali insolventi sopra soglia; oggi lo chiamiamo liquidazione giudiziale ed è la procedura per i soggetti fallibili. La liquidazione controllata è invece la procedura liquidatoria per i soggetti non fallibili (sovraindebitati). La sostanza è simile: in entrambi i casi un liquidatore vende i beni e distribuisce i soldi ai creditori. Le differenze: nella liquidazione controllata interviene un OCC e l’iter è più semplificato e tarato su masse attive e passive piccole. Inoltre, nella liquidazione controllata non ci sono le stesse implicazioni stigmatizzanti (non si parla di “fallito”, e non ci sono le stesse interdizioni automatiche). In entrambi i casi, comunque, al termine se hai agito correttamente puoi essere esdebitato (liberato dai debiti residui). Quindi, se sei un piccolo imprenditore che non può essere soggetto a liquidazione giudiziale, il corrispettivo è la liquidazione controllata – che viene aperta con un provvedimento simile a una sentenza, ma con meno fanfara, e gestita spesso in maniera più informale. Per il creditore chirografario non fallibile, tecnicamente è meglio trovarsi in una liquidazione giudiziale (perché c’è possibilità di revocatorie etc.) o in una controllata? Difficile dire; in genere però se il debitore è così piccolo, anche un fallimento classico avrebbe poco da spremere. Quindi la legge ha preferito un meccanismo meno costoso per tutti (liquidatore OCC e via).
  • D: Se ho già avviato un concordato preventivo ma non riesco a rispettarlo (ad esempio non riesco a pagare una rata ai creditori), cosa succede?
    R: Se un concordato omologato non viene eseguito correttamente, la prima conseguenza è che i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato al tribunale. Il giudice verificherà l’inadempimento e dichiarerà risolto il concordato (con decreto). A quel punto, salvo che tu proponga immediatamente un altro concordato (ipotesi remota) o un accordo, i creditori insoluti potranno chiedere la liquidazione giudiziale. Anzi, la legge oggi dice che se l’insolvenza permane dopo un anno dall’omologa e deriva da debiti non pagati del concordato, si può dichiarare direttamente la liquidazione giudiziale senza dover neppure risolvere formalmente (l’art. 119 co.7 CCII lo consente per evitare perdite di tempo). Quindi in pratica, un concordato non rispettato porta quasi inevitabilmente al fallimento dell’azienda. Nota bene: i creditori in caso di risoluzione tornano a poter vantare l’intero credito originario decurtato di quanto eventualmente incassato durante il concordato. C’è però un caso in cui un concordato può “saltare” senza colpa: se sopravviene un evento che impedisce l’esecuzione (forza maggiore). In tal caso, si può chiedere la cessazione degli effetti del concordato invece che la risoluzione per inadempimento. Ma agli effetti pratici per i creditori cambia poco: rinascono i debiti e possono fallire l’impresa. In sintesi: è cruciale redigere piani che siano realistici, perché una risoluzione di concordato è disastrosa (creditori perdono fiducia, e spesso nel frattempo l’attivo residuo si è ulteriormente ridotto, peggiorando il loro recupero in fallimento).
  • D: Dopo il fallimento (liquidazione giudiziale) potrò ancora aprire un’altra attività?
    R: Sì, in generale sì. Durante la procedura, se sei un imprenditore individuale fallito, subisci alcune incapacità (non puoi fare l’imprenditore per la durata, né ricoprire cariche societarie, ecc.). Ma una volta chiusa la liquidazione giudiziale e ottenuta l’esdebitazione, sei libero di ricominciare. Anzi, la riforma incoraggia il fresh start: superati i debiti vecchi, puoi ripartire senza essere perseguitato dai creditori passati. Naturalmente, se l’insuccesso è dipeso da comportamenti fraudolenti, potresti avere conseguenze (ad es. condanne penali che ti inibiscono dall’esercizio d’impresa per un periodo). Ma se sei stato onesto e semplicemente sfortunato, la legge non ti vieta una nuova chance. Diverso è l’accesso al credito: le banche potrebbero essere più caute a finanziare un ex-fallito finché non ricostruisce uno storico affidabile. Ma formalmente non c’è più la famigerata qualifica di “fallito” a vita. Per le società, se la tua SRL fallisce, tu come persona fisica amministratore potrai in futuro amministrare altre società, salvo ti vengano imputate condotte distrattive (in tal caso potresti subire inibizioni temporanee). Insomma, l’ordinamento odierno sposa l’idea che la bancarotta non deve essere una condanna perpetua, in linea con la cultura anglosassone: si impara dagli errori e si può tornare a fare impresa.

Esempi pratici di gestione della crisi in PMI

Di seguito proponiamo alcune simulazioni pratiche, ispirate a casi reali (con dati di fantasia), per illustrare concretamente come i diversi istituti possono essere applicati a piccole e medie imprese italiane in crisi. Gli esempi mostrano i ragionamenti, i passi e gli esiti possibili in ciascun scenario.

Caso pratico 1: Composizione negoziata riuscita in una PMI manifatturiera

Situazione: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera di componenti meccanici, 50 dipendenti, fatturato 10 mln €. A causa di un calo di ordini e investimenti errati, nel 2024 accumula perdite e tensioni di liquidità. Al 31/12/2024 presenta uno squilibrio finanziario importante: debiti verso banche per €2 mln (mutui e scoperti), debiti verso fornitori per €1,5 mln (di cui €0,5 mln scaduti da oltre 90 gg), debiti fiscali per €0,8 mln (IVA e ritenute non versate negli ultimi 6 mesi). Cassa quasi esaurita, magazzino pieno ma in parte obsoleto. Tuttavia, ha un portafoglio ordini potenziale per il 2025 in ripresa e un know-how riconosciuto.

Problema: Alfa è vicina all’insolvenza: fatica a pagare stipendi e fornitori. I fornitori minacciano sospensione consegne, la banca ha revocato gli affidamenti. L’amministratore vede il rischio di dover fermare la produzione per mancanza di materie prime. Non vuole però gettare la spugna perché nuovi ordini significherebbero flussi per rilanciarsi.

Azione intrapresa: A febbraio 2025 Alfa S.r.l. si rivolge a un advisor finanziario e decide di attivare la Composizione Negoziata della Crisi. Tramite la piattaforma online, invia istanza e ottiene la nomina di un esperto indipendente (un commercialista esperto di ristrutturazioni). L’esperto, dopo aver esaminato i dati, conferma che esiste una ragionevole possibilità di risanamento: la stima degli ordini futuri indica che con un taglio dei costi e una ristrutturazione dei debiti, l’azienda potrebbe tornare redditizia.

Svolgimento della CNC: Viene subito richiesta dal legale di Alfa una misura protettiva al tribunale: la società ottiene un decreto che blocca temporaneamente le azioni esecutive dei creditori (in particolare, ferma un pignoramento iniziato da un fornitore e sospende le azioni di Equitalia per i debiti fiscali). L’esperto convoca i principali creditori: 2 banche, 5 fornitori strategici e l’Agenzia delle Entrate. Incontri separati e poi congiunti vengono tenuti presso la CCIAA.

  • Con le banche: Alfa propone di consolidare l’esposizione di €2 mln trasformando gli affidamenti a breve in un mutuo a medio termine. Una banca è disponibile in linea di massima, l’altra è più restia. L’esperto aiuta a convincerle mostrando proiezioni di flussi: se concedono 5 anni di tempo, Alfa può rimborsare tutto il capitale. Viene chiesto anche un nuovo finanziamento di €200k per capitale circolante, garantito dal Fondo PMI statale (l’esperto suggerisce di attivare questa leva). Le banche si dicono disposte, a patto che i fornitori rinuncino a parte dei loro crediti.
  • Con i fornitori strategici: Alfa ha 3 fornitori senza i quali non può produrre. Il debito verso ciascuno è sui €200k. Si propone loro di ripianare il 50% dei debiti pregressi, con pagamento dilazionato in 24 mesi, e di continuare le forniture applicando uno sconto del 10% sui prezzi per 1 anno (come contributo al rilancio). In cambio, Alfa garantisce il mantenimento del rapporto e il pagamento regolare delle forniture correnti (grazie anche al supporto bancario). I fornitori, timorosi di perdere Alfa come cliente, accettano di buon grado una decurtazione del 50% purché gli sia data una qualche garanzia. L’esperto suggerisce: Alfa potrà offrire cambiali agrarie (in quanto l’azienda possiede un immobile libero da ipoteche, su cui i fornitori prendono ipoteca di secondo grado a garanzia delle cambiali).
  • Con il Fisco: il debito di €0,8 mln comprende IVA e ritenute. L’Agenzia, su invito dell’esperto e in virtù della nuova normativa, accetta di valutare una transazione: Alfa propone di pagare integralmente l’IVA e i contributi dovuti, ma abbattendo sanzioni e interessi (circa il 20% del totale) e rateizzando in 5 anni il dovuto. Inoltre, come segno di buona fede, si impegna a versare immediatamente €50k (che ottiene come acconto dai nuovi ordini). L’Agenzia delle Entrate, visto che i fornitori e banche partecipano allo sforzo, dà un via libera di massima (sapendo che se poi Alfa presentasse un concordato, il giudice potrebbe comunque imporglielo, preferisce negoziare ora).

Misure interne: Intanto Alfa, su consiglio dell’esperto, adotta misure di risanamento: riduce il personale di 5 unità (trovando un accordo con i dipendenti in esubero con incentivo all’esodo, evitando vertenze), vende un macchinario inutilizzato ricavando €100k liquidi, e riduce spese di consulenza non essenziali. Queste mosse migliorano un po’ la cassa e la redditività prospettica.

Accordo finale: Dopo 3 mesi di trattative serrate, si giunge a un accordo quadro:

  • Le banche consolidano i €2 mln in un nuovo mutuo quinquennale a tasso ridotto (variabile 2%, con garanzia MCC per 80%). Inoltre, ciascuna banca eroga €100k di nuova finanza in conto corrente, garantiti anch’essi dallo Stato, con privilegio di prededuzione ex art. 10 DL 118/21 (giudice autorizza).
  • I fornitori strategici sottoscrivono un accordo dove rinunciano formalmente al 50% dei loro crediti (stralcio €300k su €600k totali) e accettano piani di rientro per il resto in 24 rate. In cambio ottengono ipoteca di II grado su capannone Alfa per garantire il pagamento delle rate. Continuano a fornire, a prezzi leggermente scontati, evitando ad Alfa costi eccessivi.
  • Gli altri fornitori minori (altri €900k di debiti): per evitare discriminazioni, Alfa propone loro un pagamento integrale ma spalmato su 36 mesi. Molti di questi sono piccole imprese: alcune accettano, altre no. Per quelle che non accettano, Alfa userà parte del nuovo fido bancario per pagarle e toglierle di mezzo subito.
  • Il Fisco accetta un piano di rateazione: €0,8 mln in 60 rate, con stralcio di €100k tra sanzioni e interessi (quindi €0,7 mln effettivi da spalmare). Alfa versa subito €50k come segno tangibile. Questo accordo viene formalizzato attraverso l’istituto della transazione fiscale, su cui l’esperto redige una relazione di convenienza che viene inviata all’AdE per il via libera ministeriale (nuove norme consentono all’AdE di aderire durante CNC).
  • I soci di Alfa, per convincere tutti della fattibilità, apportano €100k di capitale fresco, destinato a finanziare il circolante (pagamento materie prime) e le prime rate dovute ai creditori.

Ruolo dell’esperto: L’esperto redige una relazione finale in cui dà atto di questi accordi e certifica che, grazie ad essi, Alfa S.r.l. risulta risanabile. Evidenzia come il piano concordato preveda che entro 5 anni tutti i crediti verso banche, Erario e fornitori (ad eccezione dello stralcio concordato) saranno pagati. L’esperto verifica anche che Alfa, con i nuovi ordini e la struttura di costi ridotta, genererà un margine operativo sufficiente a sostenere le rate.

Uscita dalla procedura: La composizione negoziata si chiude con successo: l’esperto comunica formalmente al Segretario Generale CCIAA l’esito positivo. Alfa S.r.l. e i creditori firmano i vari accordi bilaterali e plurilaterali (questi accordi vengono richiamati nel piano attestato di risanamento che Alfa decide di far redigere al suo attestatore di fiducia, per blindare gli atti da revocatoria futura). In pratica, Alfa ha eseguito una ristrutturazione “privata” ma guidata dalla CNC.

Epílogo: Nei mesi successivi, Alfa riprende la produzione regolarmente grazie al flusso di materie prime garantito e al capitale circolante ottenuto. I creditori rispettano gli accordi: le banche mantengono le linee, i fornitori consegnano. Alfa onora puntualmente le prime scadenze (anche perché l’aver ridotto il debito e i costi le dà respiro). Nel 2026, Alfa è ancora in attività, con bilanci in utile. I creditori banche e fornitori strategici nel frattempo hanno recuperato gran parte di quanto concordato e sono soddisfatti di aver preservato un cliente/affidato. Il Fisco incassa regolarmente le sue rate (grazie alla dilazione lunga). In definitiva, Alfa S.r.l. ha superato la crisi utilizzando la composizione negoziata come trampolino per un accordo di ristrutturazione su misura, evitando così sia il fallimento che il concordato.

Chiave del successo: tempestività (attivata CNC prima di subire istanze di fallimento), disponibilità al sacrificio di tutti (banche, fornitori, Fisco, soci hanno ciascuno rinunciato a qualcosa), presenza di prospettive industriali concrete (ordini) e figura terza dell’esperto che ha costruito la fiducia tra le parti.

Caso pratico 2: Concordato preventivo in continuità per ristrutturare debiti finanziari

Situazione: Beta S.p.A. è un’impresa commerciale (catena di negozi di abbigliamento), 15 punti vendita in Italia, 120 dipendenti. Cresciuta molto fino al 2019, poi colpita duramente dal Covid, accumula perdite e debiti. Nel 2023 chiude vari negozi ma rimane con un indebitamento pesante: €5 mln verso banche (prestiti e affidi), €2 mln verso fornitori, €1 mln debiti tributari. Il calo di fatturato la rende insolvente a fine 2024 (non riesce a pagare puntualmente fornitori e rate). La proprietà cerca investitori ma non ne trova in tempi brevi.

Tentativi iniziali: Beta S.p.A. prova a negoziare privatamente con banche e fornitori una ristrutturazione, ma data la molteplicità di soggetti (oltre 50 fornitori) e due banche che non collaborano, il tentativo fallisce. Decide così di procedere con un concordato preventivo in continuità diretto.

Domanda “prenotativa”: A gennaio 2025 Beta deposita al Tribunale una domanda di concordato “con riserva” (concordato in bianco), per beneficiare subito della protezione dalle azioni dei creditori mentre finalizza il piano. Il tribunale concede 60 giorni per presentare il piano completo (prorogati di altri 60). In questo periodo Beta, assistita dal suo advisor, definisce il piano e trova anche un potenziale investitore interessato a rilevare parte delle attività.

Elaborazione del piano: Beta intende chiudere 5 punti vendita non redditizi e proseguire con i restanti 10. Il piano di concordato prevede continuità diretta sull’attività residua: Beta stima che mantenendo 10 negozi potrà generare un fatturato sufficiente a pagare i debiti ristrutturati. Punti chiave del piano:

  • I creditori privilegiati (banche con ipoteche su magazzino, dipendenti per TFR, Fisco per IVA) saranno pagati integralmente, ma con dilazione fino a 4 anni per alcuni (per l’IVA chiede dilazione per legge).
  • I creditori chirografari (fornitori senza garanzie, banche per la parte scoperta) riceveranno il 30% del loro credito, in 3 rate annuali dopo un periodo di moratoria di 1 anno. Quindi pagamenti nel 2026, 2027 e 2028. Il 30% è ritenuto superiore a quanto otterrebbero in caso di fallimento (stimato 10-15%).
  • Per sostenere questi pagamenti, Beta conta su: flussi di cassa operativi futuri (dopo riduzione costi), e l’ingresso di un socio investitore (una società concorrente interessata a entrare) che apporterà €1,5 mln in equity fresco se il concordato viene omologato.
  • Previsto anche un modesto finanziamento interinale: Beta chiede al giudice di autorizzare un finanziamento prededucibile di €300k da un fondo per pagare la merce primavera/estate e tenere aperti i negozi durante la procedura (essenziale per continuare l’attività). Il giudice autorizza con parere favorevole del commissario.

Classi e trattamenti: Beta suddivide i creditori in classi nel piano:

  • Classe 1: Dipendenti (privilegiati per TFR e mensilità, ~€0,3 mln) – pagati 100% entro 12 mesi.
  • Classe 2: Fisco privilegiato (IVA, ritenute, ~€0,5 mln) – 100% in 4 anni senza interessi (è transazione fiscale nel piano).
  • Classe 3: Banche ipotecarie (privilegio su magazzino e marchio, ~€2 mln) – concordano di essere pagate 100% ma in 4 anni con interessi ridotti, mantenendo garanzie.
  • Classe 4: Chirografari fornitori (~€2 mln) – prendono 30% in 3 anni (10% annuo dal 2026 in poi).
  • Classe 5: Banche chirografarie (la parte non coperta da garanzie, ~€1 mln) – anch’esse 30% come fornitori, stessa tempistica (unite in classe 5).
  • [Classe separata per eventuali azionisti o parti correlate con crediti subordinati – in questo caso non ce ne sono.]

Relazione attestatore: Un professionista indipendente valuta il piano e attesta che:

  • la continuità ridotta (10 negozi) è sostenibile (Beta ha già individuato i 5 da chiudere e ha accordi per risolvere anticipatamente i contratti di affitto con pagamento di penali dai fondi portati dall’investitore),
  • i flussi di cassa previsti, insieme all’apporto di €1,5 mln del nuovo socio, copriranno il pagamento di quelle percentuali ai creditori,
  • il trattamento 30% ai chirografari è superiore rispetto al 10% stimato in caso di liquidazione fallimentare (best interest test superato),
  • in particolare, se Beta venisse liquidata ora, i 10 negozi rimasti hanno valore solo se venduti come ramo funzionante, ma il valore stimato è basso e non ci sarebbe chi copre i costi di chiusura, quindi meglio tenerli in esercizio.

Ammissione e voto: Il tribunale ammette Beta al concordato preventivo e nomina un Commissario Giudiziale (un commercialista). Beta prosegue l’attività durante la procedura, vendendo merce, pagando la merce fresca autorizzata. I dipendenti, inizialmente timorosi, vedono che c’è un investitore pronto e che la maggior parte di loro conserverà il posto (solo quelli dei 5 negozi chiusi – circa 20 persone – verranno licenziati ma Beta include nel piano il pagamento integrale dei loro TFR e delle indennità, coperte dall’investitore). Arriva il momento del voto:

  • Classe 1 (dipendenti): legalmente non votano perché hanno garanzia di pagamento al 100% entro un anno.
  • Classe 2 (Fisco): vota tramite Agenzia Entrate, la quale esprime parere favorevole (il piano offre pagamento integrale seppur dilazionato; grazie alle nuove norme, l’AdE tende ad approvare se c’è almeno integrale).
  • Classe 3 (Banche privilegiate): 2 banche, entrambe votano sì perché preferiscono recuperare il 100% in 4 anni piuttosto che incerto e parziale in fallimento, e perché col concordato mantengono ipoteche.
  • Classe 4 (Fornitori): su 50 fornitori, 30 votano (gli altri si astengono). Di questi, creditori per il 25% dei crediti votano sì e 5% no (tra i votanti). Poiché serve la maggioranza del valore dei crediti votanti, la classe 4 risulta favorevole (es. favorevoli 80% del valore votato).
  • Classe 5 (Banche chirog.): qui 2 banche su 3 votano sì (rappresentando 90% del valore di classe), quindi approvata a larghissima maggioranza.

Risultato: tutte le classi hanno approvato con le richieste maggioranze. Anche in assenza di unanimità, sarebbe bastato così.

Omologazione: Alcuni piccoli fornitori dissenzienti presentano opposizione all’omologa lamentando che 30% è poco e magari Beta potrebbe vendere più negozi per pagarli di più. Il tribunale però, valutato che:

  • la maggioranza delle classi ha detto sì,
  • i fornitori dissenzienti comunque prendono più del fallimento (dove avrebbero forse 10%),
  • il piano è fattibile grazie all’investitore,
    respinge le opposizioni e omologa il concordato. Viene dato atto che i creditori chirografari hanno accettato il sacrificio e che il piano tutela la continuità aziendale salvando 100 posti di lavoro. Con decreto a settembre 2025 il concordato diviene definitivo.

Esecuzione del piano: L’investitore entra nel capitale Beta immediatamente dopo l’omologa (sottoscrive un aumento di capitale di €1,5 mln). Con quei fondi e i flussi operativi, Beta paga:

  • entro fine 2025: il TFR e i crediti privilegiati scaduti (dipendenti, ecc.),
  • nel 2026: prima rata 10% ai chirografari,
  • e così via.

Il commissario giudiziale diventa commissario vigilante e segue l’esecuzione per conto del tribunale. Beta, ora con assetti ridimensionati e socio nuovo, torna gradualmente in utile. Rispetta le scadenze del piano. Nel 2028 versa l’ultima rata 10% ai fornitori. A quel punto ha onorato tutto quanto promesso (banche e Fisco già saldati prima del 2028 per intero, fornitori 30% tot). Il tribunale dichiara eseguito il concordato e Beta esce dalla procedura.

Epílogo: Beta S.p.A. continua l’attività con i 10 negozi redditizi, senza più lo zaino dei debiti pregressi (sono stati in gran parte stralciati o diluiti). Molti fornitori, pur avendo perso il 70% di credito vecchio, hanno mantenuto un cliente vivo che nel frattempo è tornato a ordinare – quindi anche per loro è un vantaggio indiretto. Le banche hanno evitato di svalutare interamente i crediti e mantengono rapporti. I dipendenti hanno ancora un lavoro (salvo i 20 che però hanno ricevuto TFR e NASpI). Questo caso mostra come un concordato in continuità può realizzare un risanamento con sacrifici distribuiti e come la chiave del successo sia stata l’ingresso di un investitore: ciò spesso fa la differenza, infatti i creditori hanno votato sì sapendo che c’era cash fresco a supporto.

Caso pratico 3: Concordato semplificato dopo composizione negoziata fallita

Situazione: Gamma S.r.l. è una piccola azienda edile (10 dipendenti) che nel 2024 si trova sovraindebitata: vari lavori non incassati, debiti verso fornitori e banca. Tentano la composizione negoziata dal novembre 2024, ma l’esperto a febbraio 2025 conclude che i creditori non trovano accordo (Gamma è di fatto insolvente e senza prospettive di risanamento: pochi cantieri in corso, troppi debiti). Nessun accordo viene raggiunto: fornitori vogliono essere pagati integralmente, la banca è scoperta per €200k e non accetta stralci. Il patrimonio di Gamma consiste solo in qualche attrezzatura e mezzi del valore stimato €150k e in crediti verso clienti per €100k (incerti). Totale debiti €600k. L’esperto scrive relazione finale negativa, suggerendo che l’unica via è una liquidazione dell’azienda.

Azione: L’amministratore di Gamma S.r.l., per evitare il fallimento, entro 60 giorni presenta al tribunale una proposta di concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII.

Contenuto della proposta: Gamma propone di liquidare tutti i beni (attrezzature, mezzi, crediti da incassare, ecc.) sotto il controllo del tribunale, e di distribuire il ricavato ai creditori, in modo da garantire a ciascuno qualcosa. In particolare:

  • Stima di ricavato: €150k vendendo macchinari e automezzi (c’è già un paio di offerenti interessati, a seguito di indagine di mercato condotta dal consulente di Gamma) e circa €50k recuperabili dei €100k di crediti (alcuni clienti stanno mostrando disponibilità a pagare almeno metà del dovuto se Gamma completa alcuni dettagli di lavori).
  • Totale attivo stimato liquidabile: €200k.
  • Privilegi: pochi, solo dipendenti (TFR e ultime mensilità) per €50k e un credito privilegiato di un fornitore con riserva di proprietà su un macchinario €20k.
  • Quindi rimarrebbero €130k per i chirografari su €530k di crediti chirografari – cioè il 24% circa potenziale.
  • Gamma in proposta dichiara che ogni creditore (anche chirografo) riceverà un’utilità: presumibilmente in denaro, stima attorno al 20-25%. Specifica che se dalla liquidazione verrà meno, verrà distribuito proporzionalmente.
  • Indica un nome per il liquidatore disponibile (un commercialista locale già informato).
  • Chiede anche di essere autorizzata intanto a finire i cantieri in corso (due piccoli lavori) incassando quei crediti, come esercizio provvisorio limitato, per aumentare l’attivo.

Procedimento: Il tribunale apre il procedimento di omologa del concordato semplificato e nomina un ausiliario per verificare le stime (di fatto un futuro liquidatore ad interim). Non c’è voto dei creditori. Il tribunale invia ai creditori la proposta e fissa udienza di comparizione.

Alcuni creditori reagiscono negativamente: uno dei fornitori principali (credito €100k) è furioso, dichiara che 20% è troppo poco e accenna che preferirebbe fallimento per indagare su eventuali irregolarità. Un’altra impresa fornitrice però ha credito minore (€30k) e riconosce che Gamma non può pagare tutto, dunque qualsiasi percentuale sia recuperabile conviene. I dipendenti, grazie al privilegio, stanno per avere buona parte del TFR (il liquidatore spiega loro che in ogni caso se fallisse, l’INPS Fondo di Garanzia pagherebbe, ma i tempi sarebbero lunghi – preferiscono quindi la soluzione concordataria se rapida).

Udienza di omologa: Il Tribunale esamina la relazione finale CNC (che allega l’esperto, evidenziando che nessun risanamento era possibile) e considera:

  • Gamma ha attivi limitati, la proposta appare sinceramente l’unica possibile.
  • In caso di fallimento, con attivo €200k, i costi procedurali (curatore, ecc.) e il tempo avrebbero forse ridotto il realizzo (ad esempio, i clienti debitori potrebbero diventare inadempienti).
  • Mentre con il concordato semplificato, il liquidatore potrà immediatamente vendere i beni (ci sono offerte).
  • I creditori chirografari avranno comunque poco, ma non di meno del fallimento: anzi, un 20% contro verosimile 15% in fallimento (stima).
  • Non emergono ipotesi di mala fede clamorosa del debitore: è insolvente per crisi di settore e incassi mancati, non perché ha nascosto beni. L’attivo è trasparente.
  • La percentuale proposta (20-25%) da distribuire è bassa ma equamente ripartita. Ognuno ha “utilità” >0, come richiesto.

Il grande fornitore oppone che il liquidatore nominato proposto da Gamma potrebbe essere di parte. Il Tribunale allora accoglie in parte la preoccupazione e nomina come liquidatore definitivo un professionista diverso (scelto dall’elenco, terzo rispetto al proposto da Gamma). Questo per garantire neutralità.

Dopo aver ponderato, il Tribunale omologa il concordato semplificato ritenendo che “non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa liquidatoria e anzi ne migliora la soddisfazione, garantendo al contempo tempi più rapidi e minori costi”. Nel decreto di omologa:

  • Viene nominato ufficialmente il Liquidatore Giudiziale (diverso dal proposto).
  • Si autorizza Gamma a proseguire per 2 mesi i cantieri per incassare quei crediti (sotto supervisione del liquidatore).
  • Si ordina che il liquidatore venda all’asta o trattativa i macchinari come da stime.

Esecuzione: In 6 mesi, il liquidatore:

  • Incassa €60k dai clienti completando i lavori.
  • Vende all’asta 3 automezzi e 5 macchinari, ricavando €140k (c’era concorrenza tra due offerenti, il prezzo è stato buono).
  • Recupera anche €5k rivendendo materiali di cantiere e arredi.
  • Totale attivo realizzato: €205k.

Distribuisce secondo legge:

  • Ai dipendenti €50k (TFR) e privilegiati vari (€20k fornitore con riserva) = €70k (dopo autorizzazione).
  • Rimangono €135k per chirografari su €530k crediti → 25,5% circa.
  • Il liquidatore redige piano di riparto: ogni chirografario riceve il 25,5% del suo credito. Il fornitore grande quindi ottiene circa €25k su €100k (forse arriccia il naso ma incassa).
  • Il tribunale approva il riparto e chiude la procedura di concordato semplificato.

Epílogo: Gamma S.r.l. viene di fatto liquidata e cessata. I soci l’hanno persa (zero rimasto per loro), i dipendenti hanno perso il lavoro (ma ricevuto TFR e sussidi). Tuttavia, grazie a questa procedura:

  • I creditori hanno avuto un pagamento parziale in pochi mesi (in autunno 2025) invece di aspettare anni di fallimento.
  • La percentuale ricevuta (25%) risulta superiore a quanto il curatore ipotizza avrebbero preso in un fallimento (stimava sotto 20% per via di spese).
  • Il costo procedurale è stato contenuto: il liquidatore ha preso un compenso ridotto approvato dal giudice (essendo il lavoro poco e in breve), nessun curatore, nessuna lunga verifica del passivo (non c’è stato bisogno di disaminare ogni credito, bastava l’elenco predisposto da Gamma e non contestato sostanzialmente).
  • L’imprenditore (persona) evita la dichiarazione di fallimento e relative interdizioni, e potrà più facilmente magari iniziare come lavoratore autonomo altrove, senza quell’ombra.

Questo esempio mostra come il concordato semplificato funzioni come strumento di chiusura ordinata di una crisi irrisolvibile, evitando il fallimento classico. Chiaramente, l’esito è comunque la liquidazione dell’impresa, ma i vantaggi procedurali per creditori e debitore lo rendono preferibile quando si può percorrere.


Questi casi pratici evidenziano nella realtà:

  • Nel Caso 1, la composizione negoziata ha consentito un risanamento evitando procedura concorsuale.
  • Nel Caso 2, un concordato in continuità ha permesso di ristrutturare l’impresa con l’ingresso di un investitore e la soddisfazione parziale dei creditori.
  • Nel Caso 3, un concordato semplificato ha offerto una via rapida e più efficiente per liquidare un’impresa insolvente rispetto al fallimento.

Naturalmente, ogni vicenda ha le sue peculiarità: gli strumenti vanno cuciti addosso al caso concreto, e spesso occorre la combinazione di più istituti (come CNC + concordato semplificato). Il denominatore comune del successo è stata la professionalità con cui sono state gestite le procedure (esperto CNC, attestatori, commissari competenti) e la collaborazione genuina tra le parti in uno spirito di trovare una soluzione (quando possibile).

Conclusioni

Affrontare una crisi d’impresa è un processo complesso e spesso doloroso, ma l’ordinamento italiano offre oggi una gamma completa di strumenti giuridici per gestirlo in modo ordinato e, ove possibile, costruttivo. “Superare” una crisi aziendale non significa sempre salvare l’azienda a tutti i costi – a volte può voler dire liquidarla nel modo meno distruttivo – ma l’obiettivo di fondo è tutelare il valore economico e sociale generato dall’impresa, che si tratti di continuare l’attività o di massimizzare il recupero per i creditori.

Dal 2022 in poi, con il Codice della crisi e le sue riforme:

  • È enfatizzata la prevenzione: individuare presto la crisi (adeguati assetti) e intervenire volontariamente (composizione negoziata) può fare la differenza tra risanamento e fallimento.
  • Sono disponibili procedure di ristrutturazione preventiva (piani attestati, accordi, PRO, concordati in continuità) che, se ben utilizzate, consentono a molte PMI di rimanere in piedi, magari ridimensionate ma vive.
  • In caso di insolvenza irreversibile, esistono percorsi di liquidazione guidata (concordati liquidatori, semplificati, liquidazioni controllate) che, pur segnando la fine dell’impresa, ne gestiscono la chiusura riducendo i danni per creditori e stakeholder.
  • Il sistema prevede anche l’esdebitazione dell’imprenditore onesto: il fallimento non è più una “pena perpetua”, ma un evento da cui ci si può risollevare, in linea con la filosofia della seconda opportunità.

Per gli avvocati e consulenti d’impresa, diventa cruciale saper orientare gli imprenditori nella scelta dello strumento adeguato e nel momento adeguato. Come abbiamo visto, ogni soluzione ha pregi e difetti, e spesso la riuscita dipende dall’atteggiamento collaborativo di tutti: l’imprenditore deve essere trasparente e disposto a sacrifici, i creditori pragmatici e lungimiranti (accontentarsi di meno subito anziché niente mai), e i professionisti capaci di tessere la fiducia reciproca e mettere a punto piani solidi e credibili.

In conclusione, “superare” la crisi significa intraprendere un percorso legale ben definito, con l’assistenza di esperti, sfruttando gli strumenti predisposti dal legislatore. Non esiste un rimedio magico universale, ma con la giusta strategia una PMI può:

  • evitare il tracollo disordinato (il peggiore scenario),
  • trovare un accordo sostenibile con i creditori,
  • oppure, se ciò non è fattibile, chiudere in modo dignitoso.

La guida ha mostrato l’ampiezza delle possibilità: dal tavolo negoziale più informale fino all’intervento del giudice. Il messaggio chiave per gli imprenditori è: non siete soli di fronte alla crisi – l’ordinamento vi mette a disposizione degli attrezzi, ma sta a voi (con i vostri consulenti) usarli prontamente e correttamente. Con consapevolezza e tempestività, anche le crisi più difficili possono essere gestite e, nei casi migliori, superate, consentendo all’impresa di tornare a creare valore.

Riferimenti normativi, dottrinali e giurisprudenziali

Normativa:

  • D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022, come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (attuazione direttiva UE 2019/1023) e dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (terzo correttivo). Articoli chiave: artt. 2 (definizioni di crisi e insolvenza), 12-25 (misure di allerta e composizione negoziata – introdotta dal D.L. 118/2021, conv. L.147/2021), artt. 56-64 (strumenti di regolazione extragiudiziale e accordi di ristrutturazione), artt. 64-bis – 64-quater (Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione – PRO), artt. 84-120 (concordato preventivo, in continuità e liquidatorio, incl. requisiti 20%-10% per concordato liquidatorio), art. 25-sexies e segg. (concordato semplificato per liquidazione), artt. 65-83 (soluzioni per sovraindebitati: accordo di ristrutturazione minore, concordato minore, ecc.), artt. 268-277 (disposizioni transitorie dall’entrata in vigore del Codice).
  • Legge 21 ottobre 2021, n. 147, di conversione del D.L. 24 agosto 2021, n. 118 – Introduzione della Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Ha differito l’entrata in vigore del CCII e abrogato le procedure di allerta originarie, istituendo la CNC a decorrere dal 15 novembre 2021. Riferimenti: art. 2 DL 118/2021 (istituzione CNC e piattaforma telematica), artt. 5-11 DL 118/2021 (nomina esperto, svolgimento, misure protettive, autorizzazioni tribunale), art. 12 DL 118/2021 (concordato semplificato post-CNC).
  • Regolamento UE 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019 – Direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva e insolvenza. Recepita in Italia col D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024: ha introdotto novità come il PRO, le classi obbligatorie, il cram-down fiscale, la protezione dei nuovi finanziamenti, ecc.
  • Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 – Vecchia Legge Fallimentare, ora abrogata. Rimane come riferimento storico per concetti come art. 67 L.F. (revocatorie e piani attestati: art. 67 co.3 lett. d) L.F. – esenzione revocatoria), art. 160-186 L.F. (disciplina concordato preventivo previgente), art. 182-bis e ss. L.F. (accordi di ristrutturazione previgenti).

Giurisprudenza:

  • Cass., Sez. Unite civ., 23 gennaio 2013, n. 1521 – Definisce la figura del professionista attestatore come indipendente, con funzioni assimilate all’ausiliario del giudice, pur operando nell’interesse dei creditori e del tribunale (principio poi recepito nel CCII). Fissa standard di indipendenza e diligenza dell’attestatore.
  • Cass., Sez. I, 25 marzo 2022, n. 9743Revocatoria e piano attestato: conferma che gli atti esecutivi di un piano attestato ex art. 67 co.3 lett. d L.F. sono esenti da revocatoria solo se il giudice fallimentare verifica l’idoneità effettiva del piano al risanamento. Non basta l’attestazione formale; il piano dev’essere concreto e veritiero, altrimenti pagamenti e garanzie possono essere revocati. (Caso: riqualifica credito bancario da privilegiato a chirografo in fallimento perché il piano era inefficace).
  • Cass., Sez. Unite, 15 aprile 2022, n. 4696Risoluzione concordato e fallimento: ha statuito (sotto vecchia legge, ora principio trasposto) che il creditore può chiedere il fallimento del debitore inadempiente a un accordo di ristrutturazione senza necessità di preventiva risoluzione giudiziale dell’accordo. Analogamente, per concordato preventivo nella vigenza L.F., SS.UU. 4696/22 affermarono che occorreva risoluzione, differenziando i due istituti. Il CCII ha poi previsto espressamente che per dichiarare liquidazione giudiziale dopo concordato omologato serve risoluzione (salvo insolvenza per debiti post domanda).
  • Cass., Sez. I, 21 febbraio 2024, n. 4622Dilazione di pagamento nel piano del consumatore: ha ritenuto ammissibile un piano del consumatore ex L.3/2012 con pagamento dilazionato dei creditori oltre l’anno dall’omologazione, purché il piano sia fattibile e conveniente. Principio estensibile ai concordati minori/piani sovraindebitamento nel CCII.
  • Cass., Sez. I, 17 dicembre 2024, n. 32996Effetti del fallimento successivo ad accordo di ristrutturazione omologato: ha stabilito che in caso di fallimento apertosi dopo un accordo omologato, i creditori possono insinuarsi per la parte residua non soddisfatta secondo l’accordo, ma non possono rimettere in discussione la parte stralciata definitivamente dall’accordo. In altri termini, l’accordo omologato produce un effetto novativo parziale: se fallimento interviene post, il credito ammesso è solo quanto non già pagato in forza dell’accordo omologato. (Conferma orientamento su natura sostitutiva parziale dell’accordo).
  • Tribunale di Milano, Sez. fall., 04 aprile 2024 – (in IlCaso.it, 31581) – Risoluzione accordo ristrutturazione: applica i principi di Cass. SU 4696/2022 in concreto, affermando la legittimazione del creditore aderente a chiedere il fallimento se il debitore non adempie l’accordo, senza bisogno di risoluzione preventiva. Conferma anche che il regime di risoluzione concordato (termine annuale) non si applica agli accordi.
  • Tribunale di Bologna, 30 gennaio 2024 – Omologa di un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa con assegnazione di azioni speciali ai creditori obbligazionisti (caso cit. da Dirittobancario). Mostra l’uso creativo dell’accordo: debiti obbligazionari ristrutturati convertendoli in partecipazioni societarie con diritti particolari, e accordo esteso anche ai bondholder non aderenti (essendo superato 75%). Giudice omologa, evidenziando nessuna lesione ai dissenzienti.
  • Tribunale di Lecce, Sez. III, 18 febbraio 2025Diniego di omologa concordato semplificato (caso Sansonetti, Diritto del risparmio). Ha rigettato un concordato semplificato per carenze del piano: attivo incerto (fondato su crediti fiscali dubbi), garanzie insufficienti e passivo non chiaro. Il tribunale ha ritenuto non soddisfatte le condizioni di fattibilità e convenienza vs fallimento. Ciò è uno dei primi esempi di approccio rigoroso all’omologa semplificato.
  • Tribunale di Firenze, 31 agosto 2022 – (richiamato in Ristr. Aziendali 2022) – Ha negato omologa a un concordato semplificato per mancanza del requisito di buona fede del debitore e presenza di alternative meno pregiudizievoli per i creditori (valutando forse che il debitore poteva proporre un concordato ordinario). Evidenzia che il giudice valuta anche l’eventuale abuso dello strumento semplificato.
  • Tribunale di Milano, 8 marzo 2022Primo concordato semplificato omologato: caso notorio in cui fu omologato un concordato semplificato con liquidazione rapida di una società di ristorazione, rilevando convenienza rispetto al fallimento e pagamento di una piccola utilità a chirografari (sulla base del DG 118/21). Rilevante per aver inaugurato l’istituto.

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