Hai ricevuto un avviso di liquidazione dall’Agenzia delle Entrate e non sai cosa significa o cosa fare? Ti chiedi se è una richiesta legittima, se va pagata subito o se puoi opporti e difenderti legalmente?
L’avviso di liquidazione è un atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate richiede il pagamento di imposte, sanzioni e interessi in seguito a controlli su dichiarazioni già presentate, oppure a rettifiche su atti soggetti a imposta (come successioni, donazioni o compravendite).
Ma non sempre è corretto, e in molti casi può essere impugnato o annullato, soprattutto se ci sono errori, calcoli sbagliati o vizi di notifica.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega cosa significa un avviso di liquidazione, quando è impugnabile, e come difenderti nel modo giusto per evitare pagamenti indebiti o sanzioni sproporzionate.
Hai ricevuto un avviso di liquidazione e non sai come reagire?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme l’atto ricevuto, valuteremo se è contestabile e costruiremo una strategia efficace per difenderti, evitare pagamenti indebiti e risolvere il problema nel pieno rispetto della legge. Non aspettare: i termini per agire sono brevi.
Introduzione
Ricevere un Avviso di Liquidazione dall’Agenzia delle Entrate può generare preoccupazione e confusione. Si tratta di un atto formale con cui il Fisco comunica al contribuente che sono dovute somme aggiuntive a titolo di imposte, sanzioni e interessi. In altre parole, l’avviso di liquidazione segnala che, a seguito di controlli o verifiche, l’Amministrazione finanziaria ritiene necessari ulteriori pagamenti rispetto a quanto inizialmente versato. Questo evento apre una serie di scenari in cui il contribuente deve agire in modo tempestivo e informato, valutando attentamente le proprie possibilità di difesa e di tutela dei propri diritti.
Nel corso della trattazione vedremo innanzitutto che cos’è esattamente un avviso di liquidazione e in quali casi viene emesso, distinguendo tra imposte dirette (come IRPEF e IRES) e imposte indirette (come imposta di registro, ipotecaria-catastale, successioni e IVA quando applicabile). Analizzeremo le diverse fasi del procedimento, dalla notifica dell’atto ai termini entro cui agire, soffermandoci sulla decadenza (ossia i termini per l’emissione dell’atto da parte dell’ufficio) e sulla prescrizione (i termini oltre i quali il debito non può più essere riscosso), nonché sugli effetti giuridici e pratici dell’avviso e sugli obblighi del contribuente che ne derivano.
Ampio spazio sarà dedicato agli strumenti di difesa. Esamineremo il percorso del contenzioso tributario: come presentare un ricorso di primo grado (innanzi alla Commissione/Corte di Giustizia Tributaria di primo grado), come funziona l’appello in secondo grado e il ricorso per Cassazione in sede di legittimità. Richiameremo la giurisprudenza aggiornata (sentenze di Corte di Cassazione e decisioni delle Corti tributarie regionali) sui punti nevralgici, per capire come i giudici interpretano e applicano le norme in materia di avvisi di liquidazione.
Oltre alla via giudiziaria, esamineremo anche gli strumenti deflativi o alternativi al contenzioso: la procedura di mediazione tributaria (che, come vedremo, fino al 2023 era obbligatoria per le liti di modico valore, mentre dal 2024 è stata abrogata), l’istanza di autotutela (ossia la richiesta all’ufficio di riesaminare e annullare autonomamente l’atto viziato) e gli istituti di definizione agevolata (come l’acquiescenza e l’accertamento con adesione, che consentono di chiudere la controversia con sanzioni ridotte). Non mancherà una disamina dei profili sanzionatori e degli interessi: vedremo quali sanzioni (in percentuale) sono applicate nelle diverse situazioni e come si calcolano gli interessi dovuti per il ritardato pagamento.
Per rendere la guida più concreta, includeremo simulazioni pratiche di casi reali. Almeno tre esempi distinti illustreranno l’avviso di liquidazione in contesti differenti: un caso immobiliare (ad es. revoca di agevolazione “prima casa”), un caso aziendale (es. liquidazione automatica di imposte dirette per una società) e un caso di successione ereditaria (liquidazione dell’imposta di successione). In ciascun scenario descriveremo cosa succede e come il contribuente può reagire, passo dopo passo.
Inoltre, forniremo modelli di atti utili nella pratica: un fac-simile di istanza di autotutela, un fac-simile di ricorso tributario e un esempio di istanza di sospensione dell’atto impugnato. Questi schemi potranno servire da traccia per la redazione di documenti difensivi efficaci.
Per facilitare la comprensione, saranno incluse tabelle riepilogative dei termini più importanti (ad esempio i termini di notifica e di impugnazione, distinti per tipologia d’imposta) e delle sanzioni applicabili, così da avere un quadro sinottico immediato. Nella parte finale, una sezione FAQ – Domande Frequenti risponderà ai quesiti più comuni sul tema (ad esempio: cosa accade se non pago entro 60 giorni? È possibile rateizzare? L’avviso di liquidazione è sempre impugnabile? etc.). Infine, chiuderà la guida una lista completa di fonti normative e giurisprudenziali citate, aggiornata a maggio 2025, comprendente riferimenti a leggi, decreti, circolari dell’Agenzia delle Entrate e pronunce giurisprudenziali rilevanti.
Iniziamo dunque chiarendo la natura dell’avviso di liquidazione e in quali casi l’Agenzia delle Entrate ricorre a tale strumento.
Che cos’è un Avviso di Liquidazione
Definizione generale: L’avviso di liquidazione è un atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate richiede al contribuente il pagamento di un’imposta dovuta, a seguito di un’attività di controllo o calcolo effettuata dall’ufficio. In particolare, l’avviso di liquidazione viene emesso quando il Fisco liquida (cioè determina/calcola) un’imposta sulla base di dati già dichiarati o atti già registrati, riscontrando che l’importo versato dal contribuente non era sufficiente. Si distingue dall’avviso di accertamento, poiché quest’ultimo presuppone in genere la scoperta di materia imponibile non dichiarata o violazioni più gravi (come redditi occultati, componenti positivi non dichiarati, ecc.), mentre l’avviso di liquidazione riguarda spesso il ricalcolo di imposte su basi già note o dichiarate, oppure la richiesta di versamenti omessi o insufficienti su atti o dichiarazioni presentate.
In termini semplici, l’avviso di liquidazione è la comunicazione ufficiale che mette in mora il contribuente rispetto a somme ulteriori da pagare. Ad esempio, se dal controllo risulta che per una determinata operazione spettava un’imposta maggiore di quella pagata, l’ufficio liquida la differenza e la notifica tramite questo avviso. Come evidenziato dalla prassi, tali atti hanno in comune lo scopo di comunicare al contribuente l’esito del controllo e la pretesa fiscale aggiuntiva conseguente.
Esempi tipici: L’avviso di liquidazione è utilizzato principalmente in ambito di imposte indirette. La stessa Agenzia delle Entrate lo definisce come “l’atto con cui viene richiesto il pagamento dell’importo dovuto per l’imposta di registro e gli altri tributi indiretti”. Ad esempio, nei casi di:
- Imposta di registro: omesso, tardivo o parziale versamento dell’imposta dovuta su determinati atti. Tipicamente ciò avviene per i contratti di locazione (dove può accadere che dopo la registrazione annuale il contribuente non versi una delle annualità successive, o versi in ritardo) e in genere per tutti gli atti sottoposti a registrazione. Se dal controllo risulta che l’imposta di registro dovuta non è stata pagata (o non integralmente), l’ufficio emette un avviso di liquidazione per recuperare l’imposta mancante, oltre a sanzioni e interessi.
- Agevolazioni revocate: un caso frequente riguarda la revoca di benefici fiscali su atti registrati, ad esempio l’agevolazione “prima casa”. Se dopo l’atto di compravendita immobiliare (tassato con aliquota ridotta) il contribuente non rispetta le condizioni previste dalla legge (come trasferire la residenza entro 18 mesi, o non vendere l’immobile entro 5 anni senza riacquisto di altra prima casa entro un anno), l’Agenzia procede a ricalcolare l’imposta di registro dovuta in misura piena (aliquota ordinaria) e notifica un avviso di liquidazione per la differenza d’imposta, applicando anche la sanzione del 30% sul maggior tributo e gli interessi. Approfondiremo più avanti questo scenario pratico.
- Atti giudiziari: l’imposta di registro è dovuta anche per alcuni provvedimenti giudiziari (sentenze, decreti) che definiscono controversie civili. Se questa imposta non viene pagata nei termini (ad esempio dalla parte tenuta al pagamento, spesso la parte soccombente in giudizio), l’Ufficio emette un avviso di liquidazione per richiederla.
- Imposta sulle successioni: dopo la presentazione della dichiarazione di successione, l’ufficio liquida l’imposta dovuta sugli asset ereditari dichiarati. Tradizionalmente (per successioni fino al 2024) l’Agenzia calcolava l’imposta e notificava al contribuente un avviso di liquidazione con l’importo da pagare. Ad esempio, se Tizio eredita un immobile e denaro e presenta la dichiarazione, l’ufficio calcola l’imposta (tenendo conto di franchigie e aliquote per grado di parentela) e invia l’avviso di liquidazione all’erede, il quale ha 60 giorni per pagare. Novità 2024: a seguito della riforma fiscale, è stato introdotto il principio dell’autoliquidazione per le successioni aperte dal 2024: ora sono gli eredi stessi a calcolare e versare l’imposta entro un certo termine, e l’ufficio poi controlla la regolarità; qualora dal controllo emerga una maggiore imposta principale dovuta, viene notificato un avviso di liquidazione entro 2 anni dalla presentazione della dichiarazione di successione. Dunque, anche con la nuova disciplina resta prevista la possibilità di avvisi di liquidazione in materia successoria, ma solo in caso di liquidazione erronea da parte del contribuente (approfondiremo più avanti termini e dettagli normativi).
- Altre imposte indirette: l’avviso di liquidazione può riguardare, ad esempio, le imposte ipotecaria e catastale (dovute in occasione di registrazioni di atti riguardanti immobili, successioni, ecc.), qualora risultino non versate in misura corretta. Può inoltre riguardare l’imposta di bollo (ad esempio per atti soggetti a registrazione ma presentati senza il dovuto bollo).
Da quanto sopra si evince che l’avviso di liquidazione è tipicamente collegato a procedure di controllo formale su atti o dichiarazioni presentate dal contribuente. Il Fisco, riscontrato un pagamento insufficiente, rettifica il calcolo dell’imposta e richiede la differenza. Per questo motivo spesso tali avvisi non contengono una vera “contestazione” di materia imponibile non dichiarata, ma semplicemente il ricalcolo di quanto dovuto in base a elementi già noti o dichiarati (salvo i casi, come le agevolazioni, in cui interviene un evento successivo che fa venir meno il beneficio).
Avviso di liquidazione vs Avviso di accertamento: È importante non confondere i due istituti. L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’amministrazione finanziaria accerta un’imposta non dichiarata o una maggiore base imponibile rispetto al dichiarato (ad esempio, maggior reddito IRPEF non dichiarato, ricavi in nero, ecc.). L’avviso di liquidazione, invece, riguarda come detto il pagamento di un’imposta già dovuta per legge su atti o dichiarazioni: non “scopre” nuova materia imponibile, ma liquida importi dovuti calcolandoli sul presupposto fiscale già esistente e (spesso) dichiarato. Ad esempio, se un contribuente vende una casa dichiarando un valore inferiore a quello di mercato, l’ufficio potrà emettere un avviso di liquidazione per imposta di registro calcolata sul maggior valore accertato (in questo caso si parla anche di “avviso di rettifica e liquidazione” del valore, previsto dal DPR 131/1986). Invece, se un contribuente omette di dichiarare un reddito, l’ufficio emetterà un avviso di accertamento IRPEF per il maggior reddito non dichiarato, con aliquote, sanzioni per infedele dichiarazione, ecc. Entrambi gli atti sono impugnabili e richiedono pagamento, ma la loro genesi è diversa: l’accertamento scaturisce da un’attività istruttoria più ampia (verifiche, controlli sostanziali, accessi, ecc.), la liquidazione da un controllo spesso automatizzato o formale su dati che in parte provengono dallo stesso contribuente.
Natura giuridica e impugnabilità: L’avviso di liquidazione è a tutti gli effetti un atto impositivo definitivo, ovvero un provvedimento amministrativo con cui si rende nota una pretesa tributaria concreta. Come tale deve rispettare requisiti legali di forma e motivazione, ed è impugnabile dal contribuente dinanzi al giudice tributario (art. 19 D.lgs. 546/1992 include espressamente gli “avvisi di liquidazione” tra gli atti impugnabili). Deve indicare l’importo dovuto, la base imponibile su cui è calcolato, le norme di riferimento e la motivazione del calcolo: un avviso privo di adeguata motivazione, che non indichi la base imponibile o le ragioni giuridiche, è nullo per difetto dei requisiti essenziali (in violazione dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente che impone la motivazione degli atti tributari). Ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto invalido l’avviso di liquidazione che si limitava a richiedere una somma senza esplicitare da quale base imponibile o norma derivasse tale importo. Pertanto, il contribuente ha diritto di conoscere esattamente come l’ufficio ha calcolato la pretesa e su quali basi legali.
In sintesi, l’avviso di liquidazione è lo strumento con cui il Fisco rettifica e riscuote importi dovuti su atti o dichiarazioni, rientrando nella più ampia categoria degli atti di accertamento/liquidazione. Nel prossimo paragrafo vedremo più in dettaglio quando e per quali imposte può arrivare un avviso di liquidazione, distinguendo i diversi ambiti tributari.
Ambito di Applicazione: Imposte Dirette vs Imposte Indirette
Come anticipato, l’avviso di liquidazione viene utilizzato in contesti diversi. È fondamentale comprendere le differenze di approccio tra imposte dirette (redditi delle persone fisiche, IRES per società, ecc.) e imposte indirette (imposta di registro, successione, IVA, ecc.), poiché la procedura di liquidazione e i tipi di atti emessi possono variare.
Avviso di Liquidazione nelle Imposte Dirette
Nel campo delle imposte dirette (IRPEF, IRES, addizionali, IRAP), la liquidazione avviene tipicamente in modo automatizzato sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti. Il riferimento normativo principale è l’art. 36-bis del DPR 600/1973, che disciplina il controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi. In pratica, dopo che il contribuente presenta la dichiarazione annuale (es. Modello Redditi o 730 per l’IRPEF, Modello Redditi SC per l’IRES), l’Agenzia delle Entrate procede a una verifica formale dei dati: controlla l’aritmetica (calcolo dell’imposta, detrazioni, ecc.), la coerenza con i versamenti effettuati (acconti, ritenute subite, ecc.) e con i dati a disposizione (certificazioni, modelli F24 pagati, ecc.). Se da questo controllo emergono difformità – ad esempio un errore di calcolo a sfavore dell’Erario, un versamento omesso o insufficiente, o lo sforamento di detrazioni oltre i limiti – l’Agenzia invia al contribuente una comunicazione di irregolarità, comunemente detta “avviso bonario”.
Avviso bonario e liquidazione automatizzata: La comunicazione ex art. 36-bis DPR 600/73 non è un provvedimento impugnabile autonomamente, ma un invito a regolarizzare le somme dovute. In essa sono indicati l’imposta non versata o la maggiore imposta risultante, gli interessi maturati e la sanzione ridotta a 1/3 (cioè al 10%) prevista per il pagamento entro 30 giorni. Infatti, l’ordinamento incentiva il pagamento spontaneo: pagando entro 30 giorni dalla comunicazione, il contribuente beneficia della sanzione ridotta (1/3 della sanzione ordinaria del 30%). Se il contribuente ritiene l’irregolarità segnalata non corretta, può evitare il pagamento e segnalare elementi a suo discarico (ad esempio errori dell’ufficio, pagamenti già effettuati, ecc.), spesso utilizzando lo stesso canale dell’avviso bonario (tramite il servizio online CIVIS o recandosi in ufficio).
Se entro 30 giorni non avviene né il pagamento né una correzione della posizione, la comunicazione di irregolarità si trasforma in una richiesta coattiva: l’Agenzia iscriverà a ruolo le somme dovute applicando la sanzione intera del 30%, e incaricherà l’Agente della Riscossione di notificare una cartella di pagamento. La cartella (emessa ai sensi dell’art. 36-bis cit. e dell’art. 25 DPR 602/1973) costituisce il titolo esecutivo per la riscossione forzata ed è a sua volta impugnabile davanti al giudice tributario. In sede di impugnazione della cartella, il contribuente può far valere eventuali vizi sia propri della cartella sia, in quella sede, contestare il merito della pretesa se non ha ricevuto (o non ha fatto in tempo a contestare) l’avviso bonario precedente. Si noti però che, se la comunicazione bonaria è stata regolarmente notificata e non si è pagato né impugnato nulla entro 30 giorni, difficilmente si potranno contestare nel merito le somme in cartella, potendo l’ufficio eccepire la decadenza dal reclamo; restano comunque sempre contestabili errori sostanziali o di notifica.
In questo contesto, l’espressione “avviso di liquidazione” non viene utilizzata formalmente per le imposte dirette, poiché l’atto tipico è la comunicazione bonaria seguita dalla cartella esattoriale. Tuttavia, sostanzialmente, la liquidazione automatica delle imposte dirette assolve la stessa funzione: l’ufficio liquida l’imposta dovuta in base ai dati dichiarati e versati, e notifica la richiesta di pagamento per la differenza. In alcuni casi, se dall’incrocio dei dati emergono errori formali (es. incongruenze nella dichiarazione), si attiva il controllo formale ex art. 36-ter DPR 600/1973, che può anch’esso portare a comunicazioni al contribuente (richiesta di documenti, rettifiche) e successiva iscrizione a ruolo.
Un caso particolare delle imposte dirette è quando il contribuente dichiara correttamente un importo a debito ma non lo versa (o lo versa parzialmente). Ad esempio, un contribuente presenta il modello Redditi indicando un saldo IRPEF di €1.000 ma per errore ne versa solo €500. In tal caso la situazione è chiara: l’omesso versamento riguarda importi dichiarati dallo stesso contribuente. La prassi in tali ipotesi è di iscrivere direttamente a ruolo il dovuto senza passare per un accertamento formale, a volte anche senza l’invio di un avviso bonario (che pure sarebbe previsto in via generale). La Corte di Cassazione ha chiarito che è legittimo procedere direttamente alla cartella di pagamento senza preventiva comunicazione quando la pretesa deriva dal mancato versamento di somme esposte dal contribuente stesso in dichiarazione. In altri termini, se il contribuente ha già riconosciuto il debito fiscale (dichiarandolo) ma non lo ha pagato, l’Agenzia non è tenuta a inviargli l’avviso bonario prima della cartella. Questa è una differenza importante: l’avviso bonario ex 36-bis è obbligatorio in caso di liquidazione d’ufficio che modifica quanto dichiarato (ad es. riduce un rimborso, corregge un errore di calcolo), mentre non è indispensabile se si tratta di mero recupero di somme dichiarate e non versate.
In sintesi, per le imposte dirette l’iter tipico è: dichiarazione del contribuente → liquidazione automatizzata (36-bis) → comunicazione di irregolarità (se emerge un debito) → pagamento con sanzioni ridotte oppure iscrizione a ruolo e cartella (con sanzioni piene). Non si parla tecnicamente di “avviso di liquidazione” (termine più usato nelle imposte indirette), ma gli effetti sono analoghi: il contribuente è tenuto a pagare somme liquidate dall’ufficio. Va aggiunto che, qualora l’ufficio riscontri elementi di infedeltà dichiarativa (es: omessa indicazione di redditi), non procederà con la mera liquidazione automatica ma avvierà un accertamento vero e proprio, con emanazione di avviso di accertamento (impugnabile entro 60 gg) e applicazione di sanzioni più elevate per dichiarazione infedele (normalmente il 90% della maggiore imposta). Anche l’avviso di accertamento oggi contiene una “intimazione di pagamento” e, se non viene impugnato né pagato, decorsi i termini diventa esecutivo e l’importo viene affidato direttamente all’Agente della Riscossione per la riscossione coattiva (senza necessità di cartella): è il c.d. accertamento esecutivo introdotto dal 2011. Questo però è un ulteriore passo rispetto alla liquidazione: nell’accertamento l’ufficio riquantifica la base imponibile, mentre nella liquidazione (in senso stretto) ricalcola solo l’imposta su basi già note.
Riassumendo imposte dirette e avvisi/comunicazioni:
- Comunicazione di irregolarità (avviso bonario): esito di liquidazione automatica della dichiarazione (36-bis DPR 600/73 per IRPEF/IRES, 54-bis DPR 633/72 per IVA). Chiede il pagamento di imposte dichiarate e non versate o altre differenze, con sanzione ridotta. Non è impugnabile immediatamente.
- Avviso di liquidazione in senso stretto: termine poco usato in questo ambito, ma possiamo equipararlo alla comunicazione di cui sopra. Per le imposte dirette l’ufficio emette ruoli e cartelle di pagamento per riscuotere le somme liquidate.
- Avviso di accertamento: atto ben distinto, usato per rettifiche sostanziali (nuovi imponibili); impugnabile entro 60 gg, contiene intimazione a pagare entro 60 gg, diventando poi titolo esecutivo.
È importante conoscere questo meccanismo perché a volte un contribuente può ricevere sia comunicazioni bonarie (liquidazioni automatiche) sia eventuali successivi atti più formali. Nella difesa occorre distinguere la fase in cui ci si trova: ad esempio, di fronte a una comunicazione bonaria si può chiedere all’ufficio un riesame (o correggere l’errore via CIVIS) ma non si può fare ricorso alla Commissione Tributaria, mentre la cartella scaturita dal mancato pagamento della comunicazione è impugnabile eccome.
Avviso di Liquidazione nelle Imposte Indirette
Nel campo delle imposte indirette, l’avviso di liquidazione è invece un istituto fondamentale e codificato. In particolare, l’imposta di registro, le imposte ipotecaria e catastale, l’imposta sulle successioni e donazioni si prestano all’utilizzo di avvisi di liquidazione poiché spesso l’importo dovuto viene calcolato (liquidato) dall’ufficio sulla base di un atto o di una dichiarazione.
Vediamo i casi principali:
- Imposta di registro su atti traslativi e su altri atti: Quando si registra un atto (es. una compravendita immobiliare, un contratto di locazione, una sentenza giudiziaria, una donazione immobiliare, ecc.), è dovuta l’imposta di registro secondo le aliquote previste. Talvolta l’imposta viene assolta mediante autoliquidazione da parte del contribuente (ad esempio il notaio in atto calcola e versa immediatamente l’imposta di registro dovuta sulla compravendita, oppure il contribuente versa con Modello F24 l’imposta di registro annuale delle locazioni). In altri casi, il calcolo iniziale potrebbe risultare errato o parziale, oppure sopravvengono cause di revoca di agevolazioni. L’Agenzia delle Entrate effettua controlli a campione o sistematici sugli atti registrati:
- Se riscontra un omesso o insufficiente versamento, notifica un avviso di liquidazione per recuperare la differenza. Ad esempio, per i contratti di locazione è frequente che venga liquidata l’imposta dovuta per annualità successive alla prima qualora il contribuente non le abbia pagate: l’avviso indica il canone, l’imposta dovuta per quell’anno (2% del canone annuale, salvo opzione cedolare), l’eventuale sanzione e interessi.
- Se il contribuente ha beneficiato di un’agevolazione fiscale in sede di registro (come la prima casa, o agevolazioni per acquisto da impresa in leasing ecc.) ma vengono meno i requisiti, l’ufficio emette avviso di liquidazione per recuperare la maggior imposta non pagata più la sanzione del 30%. Un esempio classico: acquisto prima casa con imposta 2%; se l’acquirente rivende l’immobile prima di 5 anni senza riacquistarne un altro entro 1 anno, decade dall’agevolazione. L’Agenzia allora liquida la differenza d’imposta (passando dal 2% al 9% sull’intero valore, quindi 7% in più) e applica 30% di sanzione su tale differenza. Approfondiremo nella simulazione pratica.
- Rettifica del valore dichiarato: per atti di trasferimento a titolo oneroso (es. compravendite) l’ufficio ha il potere, se ritiene che il valore dichiarato nell’atto sia inferiore al valore venale reale, di accertare un maggior valore imponibile. In tal caso emette un avviso di rettifica e liquidazione (così è denominato formalmente) in cui indica il valore determinato dall’ufficio (spesso avvalendosi dell’Ufficio Tecnico Erariale, cioè facendo fare una stima) e liquida l’imposta di registro, ipotecaria e catastale su tale maggior valore. Ad esempio, se in un rogito immobiliare l’immobile è dichiarato venduto a €100.000 ma l’ufficio stima che il valore di mercato sia €150.000, l’Agenzia può liquidare la differenza di imposta di registro sui €50.000 in più. Nota bene: la legge prevede che l’ufficio debba notificare questo avviso di rettifica entro un termine di decadenza (tipicamente 2 anni dalla registrazione dell’atto in caso di valore dichiarato dalle parti, come vedremo più avanti) e seguire certe procedure (tra cui comunicare il nuovo valore e attendere eventuale adesione del contribuente). Se l’avviso di rettifica & liquidazione non viene motivato adeguatamente (ad esempio non indica come si è determinato il nuovo valore, o non cita la perizia) può essere anch’esso annullabile per difetto di motivazione. La giurisprudenza ha affermato, ad esempio, che la semplice indicazione di un valore maggiore senza perizia dell’Agenzia del Territorio può rendere nullo l’atto di liquidazione per carenza di istruttoria (cfr. Commissione Tributaria, in una vicenda di revoca di agevolazione prima casa, ha ritenuto illegittimo l’avviso emesso senza perizia estimativa a supporto della pretesa).
- Imposta di successione e donazione: Come già anticipato, per le dichiarazioni di successione presentate fino al 2024 l’ufficio calcola l’imposta dovuta sugli asset ereditari dichiarati (applicando le aliquote per grado di parentela e tenendo conto delle franchigie) e notifica un avviso di liquidazione agli eredi. Il pagamento va effettuato entro 60 giorni dalla notifica. Se il pagamento non avviene entro tale termine, scattano le sanzioni per omesso versamento e iniziano a decorrere interessi moratori. Dal 2024, con l’introduzione dell’autoliquidazione, la dichiarazione di successione stessa comporta il calcolo e versamento (entro 15 mesi dall’apertura della successione) dell’imposta principale da parte degli eredi. L’ufficio controlla successivamente (entro 2 anni) e, se trova differenze a debito, emette avviso di liquidazione per riscuotere la maggiore imposta, con eventuali sanzioni e interessi. Questo significa che anche in futuro gli avvisi di liquidazione in materia successoria esisteranno, ma presumibilmente saranno meno frequenti (solo in caso di errori di calcolo degli eredi). Rimane invariato invece il meccanismo per le imposte ipotecaria e catastale dovute sulle volture catastali successorie: queste di norma sono autoliquidate dagli eredi in misura fissa, ma se non vengono versate correttamente, l’ufficio le liquida d’ufficio con apposito avviso.
- Imposta sul valore aggiunto (IVA): L’IVA rientra concettualmente nelle indirette, ma in realtà la gestione è più simile alle imposte dirette per quanto riguarda le fasi di liquidazione e accertamento. Anche per l’IVA, dopo la presentazione delle dichiarazioni annuali, l’ufficio esegue controlli automatizzati ex art. 54-bis DPR 633/1972 (analogo al 36-bis). Se emergono versamenti IVA insufficienti rispetto al dichiarato, vengono emesse comunicazioni di irregolarità e, in difetto di pagamento, cartelle di pagamento. Il termine “avviso di liquidazione” non si usa per l’IVA, preferendosi “avviso di accertamento” quando l’ufficio contesta imponibili non dichiarati o indebite detrazioni. Tuttavia, esiste la figura della liquidazione periodica dell’IVA (ad esempio i controlli sulle LIPE – Liquidazioni Periodiche IVA – trasmesse trimestralmente), da cui possono scaturire comunicazioni di irregolarità. In alcuni contesti (es. registrazione di atti sottoposti a IVA invece che registro), potrebbe anche capitare un avviso di liquidazione per recuperare IVA non versata su certi atti, ma normalmente se si tratta di IVA evasa la procedura prevede l’avviso di accertamento vero e proprio.
In generale, per le imposte indirette l’avviso di liquidazione è l’atto tipico di accertamento/liquidazione:
- Ha natura motivata e deve indicare la norma applicata e il calcolo dell’imposta dovuta.
- È notificato al contribuente (conforme alle norme sulle notifiche degli atti tributari) e da quel momento decorrono i termini per il pagamento o l’eventuale impugnazione.
- Prevede quasi sempre un termine di 60 giorni per pagare volontariamente quanto richiesto (talvolta sugli avvisi è indicato anche un termine più breve per pagare con sanzioni ridotte se l’ordinamento lo consente, ad esempio negli accertamenti con adesione o definizioni, ma nell’avviso di liquidazione puro di solito c’è solo il termine di 60 giorni).
- Se il contribuente paga entro 60 giorni, chiude la partita (salvo eventuale diritto al rimborso se successivamente si accerta che l’ufficio aveva torto – ma spesso pagando senza contestare si perfeziona la cosiddetta acquiescenza).
- Se il contribuente non è d’accordo, può presentare istanza di autotutela all’ufficio per segnalare l’errore (tentando un annullamento senza andare in giudizio) e/o può presentare ricorso in Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla notifica.
- Se nei 60 giorni non avviene né il pagamento né il ricorso, l’avviso di liquidazione diventa definitivo (irretrattabile). A quel punto l’importo diventa esigibile come un qualsiasi altro debito tributario e l’Agenzia può procedere con la riscossione forzata.
Ricapitolando, l’avviso di liquidazione trova applicazione in:
- Imposte indirette tradizionali: registro, ipotecaria, catastale, successione/donazione, bollo – per il ricalcolo di importi dovuti.
- Alcune fasi delle imposte dirette: comunicazioni di liquidazione automatica (anche se non chiamate formalmente “avviso di liquidazione”, la sostanza è quella).
- Non si usa invece per atti come sanzioni pure (lì c’è l’atto di irrogazione sanzioni) né per tributi locali (dove l’ente locale emette avvisi di accertamento o liquidazione secondo le proprie norme).
Nei capitoli successivi, quando parleremo di termini, difesa, sanzioni, faremo riferimento in modo trasversale sia agli avvisi di liquidazione in senso stretto (indirette) sia agli atti analoghi in ambito imposte dirette, specificando di volta in volta le differenze. Ora passiamo ad esaminare le fasi procedurali: notifica dell’atto, termini e prescrizioni, e cosa accade dopo la notifica.
Notifica dell’Avviso di Liquidazione e Tempi del Procedimento
In questa sezione analizziamo il percorso procedurale di un avviso di liquidazione: dalla notifica al contribuente, ai termini di decadenza entro cui l’atto deve essere emesso dall’ufficio, ai termini per il contribuente (pagamento o ricorso), fino alla prescrizione del debito tributario.
La Notifica dell’Avviso di Liquidazione
L’avviso di liquidazione, come ogni atto impositivo, deve essere notificato secondo le forme previste dalla legge. La notifica è il momento in cui l’atto viene portato ufficialmente a conoscenza del contribuente, ed è fondamentale sia per garantire il diritto di difesa (da quando è notificato decorrono i termini per impugnare) sia per la validità dell’atto stesso.
Modalità di notifica: Tradizionalmente, gli atti tributari venivano notificati a mezzo posta tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, in base alla L. 890/1982, oppure tramite messo notificatore (ufficiale giudiziario o messo comunale incaricato dall’ufficio) ai sensi dell’art. 137 e segg. c.p.c. Oggi, con l’evoluzione normativa, si fa largo uso della notifica in formato elettronico tramite PEC (posta elettronica certificata) per i soggetti che ne hanno l’obbligo o che l’hanno comunicata all’Amministrazione. In particolare, le società e i titolari di partita IVA hanno l’obbligo di avere un domicilio digitale (indirizzo PEC) e l’Agenzia notifica lì i propri atti. Dal 1° luglio 2022 esiste anche l’INAD (Indice Nazionale dei Domicili Digitali) dove i cittadini possono eleggere un proprio indirizzo PEC per ricevere notifiche dalle P.A. Pertanto, un avviso di liquidazione oggi potrebbe pervenire via PEC come allegato in formato .p7m (firmato digitalmente) inviato dall’indirizzo PEC dell’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente.
Perfezionamento della notifica: La notifica si considera perfezionata per il mittente (Agenzia) al momento dell’invio PEC e per il destinatario al momento in cui la PEC viene consegnata nella sua casella (o, in caso di raccomandata, quando l’atto è ricevuto o comunque decorsi i termini di giacenza in caso di irreperibilità relativa). È importante controllare la data esatta di notifica, perché da essa decorrono i 60 giorni per impugnare. Se la notifica avviene via PEC, la ricevuta di consegna telematica con marca temporale fornisce la prova e la data di notifica. Se avviene via posta, la data è quella di ricezione risultante dall’AR (o la diversa data prevista dalla legge in caso di compiuta giacenza).
Vizi di notifica: Se un avviso di liquidazione non viene notificato correttamente (ad es. inviato all’indirizzo sbagliato, o consegnato a persona non autorizzata, ecc.), ciò può inficiarne l’efficacia. La giurisprudenza distingue tra notifica inesistente (quando manca del tutto un elemento essenziale, es. atto consegnato a un indirizzo completamente estraneo al destinatario) e notifica nulla (quando vi è un vizio formale sanabile). Solo la notifica inesistente rende l’atto inopponibile al contribuente; la notifica nulla invece può essere sanata se il contribuente ha comunque ricevuto l’atto ed esercitato i suoi diritti, secondo il principio del “raggiungimento dello scopo”. Ad esempio, la Cassazione ha affermato che ogni vizio diverso dalla mancanza totale dell’atto rientra nella categoria della nullità sanabile ex tunc dal momento in cui lo scopo è raggiunto, ossia quando il destinatario viene a conoscenza effettiva dell’atto. In pratica, se il contribuente riceve l’avviso (magari perché gli è stato consegnato a mano dal portiere anche se non era il procedimento “canonico”, ecc.) e ne capisce il contenuto, difficilmente potrà far annullare tutto per un vizio formale di notifica, a meno che non gli abbia arrecato un concreto pregiudizio alla difesa. Diverso è se la notifica è completamente mancata: ad esempio atto mai inviato o inviato alla persona sbagliata; in tal caso l’atto non è efficace e, se l’Agenzia non riesce a provarne la notifica regolare entro i termini di decadenza, la pretesa potrebbe risultare decaduta.
Soggetti coinvolti e destinatari della notifica: L’avviso di liquidazione viene notificato in genere al contribuente obbligato al pagamento dell’imposta:
- Per l’imposta di registro su atti tra vivi, sono obbligate in solido le parti contraenti dell’atto (es. compratore e venditore per la compravendita, locatore e locatario per la locazione). Spesso però una delle parti è designata per legge come “responsabile d’imposta” (ad esempio, il notaio rogante è responsabile d’imposta e può essere destinatario di notifica): la legge prevede che, in caso di registrazione di un atto pubblico, il notaio sia obbligato in solido con le parti al pagamento dell’imposta di registro (art. 57 DPR 131/86). Dunque non sorprende che talvolta l’avviso di liquidazione per imposta di registro venga notificato al notaio, in quanto coobbligato. Se il notaio paga (in quanto responsabile d’imposta), la Cassazione ha chiarito che ciò estingue l’obbligazione anche per il contribuente e non gli consente più di impugnare (in quanto l’atto si considera definito col pagamento). È un aspetto particolare: ad esempio, se un notaio riceve avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro dovuta dalle parti e decide di pagare per evitare problemi, il contribuente si trova la questione chiusa (ma eventualmente potrebbe poi nascere una rivalsa tra notaio e cliente sul pagamento).
- Per l’imposta di successione, l’avviso è notificato agli eredi (tutti gli eredi sono solidalmente tenuti all’imposta principale, di solito fanno riferimento al dichiarante o comunque a uno degli eredi noti).
- Per l’imposta sulle donazioni, al donatario (beneficiario).
- Per le annualità di imposta di registro su locazioni, di norma al locatore (che per legge è obbligato in solido con il conduttore, ma essendo il soggetto che presenta la registrazione spesso è il referente principale).
- In ambito di imposte dirette (cartelle da liquidazione 36-bis), la notifica della cartella avviene al contribuente debitore (persona fisica o giuridica), tipicamente via PEC se ha domicilio digitale, altrimenti via raccomandata a/r.
La notifica a mezzo PEC si considera perfezionata anche se il destinatario non legge effettivamente la casella PEC (basta che il messaggio risulti consegnato): per questo è cruciale mantenere attivo e monitorare il proprio domicilio digitale per non perdere atti importanti. Se la casella PEC è satura o non funzionante, l’Agenzia può procedere al deposito telematico sull’apposita piattaforma (registro degli atti non consegnati) e inviare una raccomandata informativa.
Termini di Decadenza per l’emissione dell’Avviso (poteri dell’Ufficio)
Un concetto fondamentale in diritto tributario è la decadenza: il fisco dispone di un tempo limitato entro cui poter emanare validamente gli avvisi di accertamento o liquidazione. Decorso questo termine, perde il potere di pretendere il tributo per quell’annualità o per quell’atto.
I termini di decadenza variano a seconda del tipo di imposta e di attività:
- Per le imposte sui redditi (IRPEF, IRES): il termine di decadenza per notificare un avviso di accertamento (in caso di omessa o infedele dichiarazione) è, in generale, il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o del settimo anno se la dichiarazione è omessa). Questo secondo i termini stabiliti dal D.P.R. 600/1973, modificati dal DL 193/2016 che ha uniformato a 5 anni i termini ordinari (prima erano 4, ma con raddoppio in caso di reato). Ad esempio, per la dichiarazione dei redditi 2019 (presentata nel 2020), il termine ultimo per un eventuale accertamento è il 31/12/2025.
- Comunicazioni di irregolarità (36-bis): queste non sono veri e propri atti impositivi e la norma non dà un termine di decadenza esplicito per inviare la comunicazione. Tuttavia, c’è un termine per la successiva iscrizione a ruolo (cartella) che deriva dalle norme sulla riscossione: la cartella relativa a imposte da liquidazione automatica deve essere notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Ad esempio, per la dichiarazione presentata nel 2022, eventuali ruoli da liquidazione automatica devono essere notificati (via cartella) entro il 31/12/2025. Se la cartella arriva oltre questo termine, il contribuente può eccepire la decadenza della pretesa.
- Esempio: Dichiarazione dei redditi 2020 presentata nel 2021. L’ufficio si accorge nel 2022 di un versamento mancante e invia avviso bonario. Il contribuente ignora. L’Agenzia deve iscrivere a ruolo e far notificare la cartella di pagamento entro il 31/12/2024 (terzo anno successivo al 2021). Se notifica la cartella nel 2025, oltre il termine, la cartella è impugnabile per tardività (decadenza).
- Per l’IVA: analogamente, avvisi di accertamento IVA seguono il termine del quinto anno successivo (o settimo in caso di omessa dichiarazione). Le comunicazioni da liquidazione automatica IVA (36-bis/54-bis) seguono anch’esse la logica del terzo anno per la cartella.
- Per imposte indirette (registro, successione): qui intervengono specifiche previsioni normative:
- Imposta di registro: l’art. 76 del DPR 131/1986 stabilisce i termini di decadenza per la rettifica e liquidazione dell’imposta di registro. In generale, per gli atti presentati per la registrazione, l’azione della finanza è soggetta a decadenza triennale: l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro 3 anni dalla richiesta di registrazione (o dalla data di registrazione, se avvenuta d’ufficio). Ci sono alcune specificità:
- Se si tratta di rettificare il valore dichiarato nell’atto (casi di “mendacio” originario, cioè valore inferiore al reale), la legge richiede che la liquidazione avvenga comunque entro 3 anni dalla registrazione, purché dall’atto stesso fosse desumibile il minore valore dichiarato. In caso di elementi scoperti successivamente (es. una pendenza urbanistica non dichiarata che influisce sul valore), forse si potrebbe avere un termine più lungo, ma in generale la regola sono i 3 anni.
- Per i contratti di locazione, l’omesso pagamento di annualità successive può essere contestato entro 5 anni dalla scadenza del pagamento (essendo un’omissione periodica si ritiene applicabile l’ordinario termine di prescrizione quinquennale delle obbligazioni periodiche, ma l’orientamento recente tende comunque a considerare il 3+prescrizione… su questo c’è stata incertezza, comunque l’ufficio di prassi interviene entro pochi anni).
- Decadenza agevolazioni “prima casa”: se il contribuente non trasferisce la residenza entro 18 mesi, la decadenza dall’agevolazione è accertata con avviso di liquidazione. Quando decorrono i 3 anni? La Cassazione ha chiarito che in tal caso il termine di 3 anni decorre dalla scadenza dei 18 mesi (poiché è da quel momento che si concretizza la violazione). Se invece la causa di decadenza è la rivendita infraquinquennale, il termine triennale potrebbe decorrere dalla data della rivendita (momento in cui l’ufficio viene a conoscenza, tramite registrazione del nuovo atto, della decadenza).
- Dunque, se un atto è registrato il 1° marzo 2021, l’ufficio ha fino al 1° marzo 2024 per notificare avvisi di liquidazione di imposta di registro su quell’atto (salvo eventi successivi come decadenza agevolazione, in cui si conta dall’evento).
- Imposta sulle successioni: l’art. 27, comma 3, del D.lgs. 346/1990 (TUS) – ora modificato – prevedeva che l’ufficio notificasse l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione entro 3 anni dalla data di presentazione della dichiarazione di successione (termine poi ridotto a 2 anni dal 1° gennaio 2015, e confermato nella nuova normativa post-riforma). In particolare oggi, dopo le modifiche introdotte nel 2024, la legge (art. 33 TUS come modificato) prevede espressamente un termine di 2 anni dalla presentazione per notificare l’avviso di liquidazione dell’eventuale maggiore imposta di successione dovuta in base alla dichiarazione. Se la dichiarazione di successione non è presentata affatto (omissione), l’atto impositivo che ne deriva sarà un avviso di accertamento d’ufficio e i termini sarebbero di 5 anni dall’apertura della successione (art. 27, c. 7 TUS).
- Imposte ipotecarie e catastali: queste imposte, quando dovute in misura fissa o proporzionale su atti, seguono in parte la sorte dell’imposta principale. In genere l’avviso di liquidazione per queste deve essere contestuale o comunque soggetto allo stesso termine di quella di registro/successione. Ad esempio, se su una successione non sono state pagate le imposte ipocatastali, l’ufficio dovrebbe notificarle entro lo stesso termine di decadenza dell’imposta di successione (2 anni).
- Imposta di bollo: l’omesso versamento del bollo su atti registrati è contestabile entro il termine di decadenza triennale previsto dal DPR 642/72 (in mancanza di un termine specifico si applica analogia con registro).
- Imposta di registro: l’art. 76 del DPR 131/1986 stabilisce i termini di decadenza per la rettifica e liquidazione dell’imposta di registro. In generale, per gli atti presentati per la registrazione, l’azione della finanza è soggetta a decadenza triennale: l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro 3 anni dalla richiesta di registrazione (o dalla data di registrazione, se avvenuta d’ufficio). Ci sono alcune specificità:
- Eccezioni e raddoppio termini: in taluni casi di particolare gravità (ad es. frodi fiscali che configurino reati), esistono norme che raddoppiano i termini per accertamento. Ciò però riguarda tipicamente accertamenti di imposte dirette e IVA, non tanto le liquidazioni d’ufficio su atti (registro/successione non hanno reati tributari analoghi, salvo falsità ideologiche ecc. ma lì interviene la sanzione penale a parte).
È essenziale verificare se l’avviso di liquidazione sia stato notificato tempestivamente. Se l’ufficio ha sforato i tempi:
- Il contribuente può eccepire in ricorso la decadenza dell’azione accertatrice, che comporta l’annullamento dell’atto per intervenuta decadenza. Ad esempio, un avviso di liquidazione dell’imposta di registro notificato dopo più di 3 anni dalla registrazione dell’atto (senza condizioni che spostano la decorrenza) potrà essere annullato per tardività.
- Attenzione: la decadenza è rilevabile solo se il termine era effettivamente scaduto prima della notifica; a volte capita di calcolare male (es. pensare a fine anno anziché data esatta evento). Inoltre, va considerato che se l’atto viene spedito a mezzo raccomandata, fa fede la data di invio per rispettare la decadenza (principio del “dispaccio postale”: se spedito entro il termine, anche se arriva dopo, la notifica è tempestiva). Nel dubbio, è utile reperire la data sull’avviso di ricevimento o sulla busta PEC.
Termini per il Contribuente: Pagamento o Impugnazione
Una volta notificato l’avviso di liquidazione, decorrono i termini perentori entro i quali il contribuente deve attivarsi. Questi termini riguardano principalmente due azioni: il pagamento dell’importo richiesto oppure l’impugnazione (ricorso).
Termine per il pagamento: Generalmente è di 60 giorni dalla notifica. Questo termine è indicato nello stesso avviso di liquidazione. Entro 60 giorni, il contribuente può pagare integralmente la somma richiesta (comprensiva di imposta, sanzioni e interessi indicati nell’atto) utilizzando le modalità di pagamento previste (spesso allegato all’avviso c’è un modello F24 o un bollettino con i codici tributo già predisposti). Pagando entro tale termine:
- Si evitano ulteriori conseguenze negative (es. iscrizione a ruolo, aggravio di interessi di mora).
- In alcuni casi, pagare entro 60 giorni senza fare ricorso dà diritto a una riduzione delle sanzioni. Acquiescenza all’accertamento: l’art. 15 del D.lgs. 218/1997 prevede che, per gli avvisi di accertamento (e in genere atti impositivi) non impugnati entro 60 giorni e pagati entro tale termine, le sanzioni si riducono ad 1/3. Questa norma si applica anche agli avvisi di liquidazione? Nella prassi sì, se l’avviso di liquidazione contiene sanzioni (ad esempio 30% per omesso versamento), la definizione agevolata in acquiescenza consente di pagare la sanzione ridotta ad un terzo (quindi il 10%). Spesso però negli avvisi di liquidazione per omessi pagamenti la sanzione è già calcolata al 30% intero; per fruire dell’1/3 il contribuente deve manifestare espressamente la volontà di acquiescenza e pagare entro 60 giorni. Molti uffici, di fatto, calcolano già la sanzione ridotta in fase di avviso bonario ma non nell’avviso di liquidazione (che arriva dopo, quando il beneficio dell’avviso bonario è perso). Tuttavia, la legge permette ancora l’acquiescenza: ad esempio un avviso di liquidazione per revoca prima casa con sanzione 30%, se pagato senza ricorso entro 60 gg, dà diritto a ridurre la sanzione al 1/3 (10%). In pratica il contribuente dovrebbe ricalcolare la sanzione ridotta e versare importo minore, comunicando all’ufficio l’intento di definire in acquiescenza. È consigliabile in tal caso confrontarsi con l’ufficio o leggere bene l’atto: talvolta l’avviso stesso può riportare la possibilità di pagare con sanzioni ridotte (non sempre è esplicitato).
- Il pagamento entro 60 giorni di norma preclude la possibilità di impugnare successivamente. Infatti, il pagamento integrale dell’atto impositivo viene considerato come accettazione dello stesso (acquiescenza), rendendo inutile o inammissibile un eventuale successivo ricorso sul merito. Quindi la scelta di pagare senza fare ricorso va ponderata: conviene se si riconosce la correttezza dell’atto e si vuole chiudere subito la questione beneficiando magari di sconti sulle sanzioni.
Termine per il ricorso: Anche questo è di 60 giorni dalla notifica dell’atto. In base all’art. 21 del D.lgs. 546/1992, il ricorso va proposto (notificato all’ente impositore) entro 60 giorni dalla data in cui l’atto è stato notificato al contribuente. Si tratta di un termine perentorio: se si lascia decorrere inutilmente, l’atto diventa definitivo e non più contestabile (salvo casi eccezionali come vizio di notifica che riapra i termini). Pertanto, un contribuente che intenda contestare l’avviso di liquidazione deve entro tale termine predisporre il ricorso e provvedere alla sua notifica secondo le regole (a mezzo PEC all’Agenzia o raccomandata, come vedremo nella parte sul contenzioso).
Sospensione dei termini feriali: Si ricorda che dal 1° settembre 2015, la sospensione feriale dei termini processuali tributari va dal 1° al 31 agosto di ogni anno (art. 1 L. 742/1969 modificata). Ciò significa che se un avviso è notificato, ad esempio, il 20 luglio, i 60 giorni si sospendono dal 1 al 31 agosto, e riprendono a settembre. Questo allunga il termine di impugnazione. Attenzione però: la sospensione feriale vale per i termini di impugnazione processuale, non per i termini di pagamento. Quindi il termine di 60 giorni per pagare (se si vuole evitare ricorso) non è sospeso ad agosto (si tratta di termine sostanziale). In pratica:
- Per pagare, 60 giorni “reali” dalla notifica, senza sospensioni (salvo proroghe generalizzate, es. spesso c’è un differimento dei pagamenti di agosto al 20 agosto, ma parliamo di poche settimane).
- Per ricorrere, 60 giorni su cui non si computa agosto (se agosto cade nel mezzo).
Effetto del ricorso sui pagamenti: Una domanda frequente: se presento ricorso, devo pagare subito o posso attendere? Di default, l’impugnazione non sospende automaticamente la riscossione dell’atto. Ciò significa che, trascorsi 60 giorni dalla notifica, l’avviso di liquidazione diventa esecutivo anche se è stato presentato ricorso, a meno che:
- Si ottenga una sospensione giudiziale dell’atto impugnato (dal giudice tributario, su istanza specifica, in caso di danno grave e fondato motivo – vedi sezione sulla sospensione).
- Oppure, nel caso degli accertamenti esecutivi per imposte dirette, la legge stessa pone alcuni limiti alla riscossione fra primo e secondo grado: ad esempio, per gli avvisi di accertamento IRPEF/IRES/IVA, se il contribuente fa ricorso, l’Agenzia può comunque riscuotere intanto 1/3 delle imposte accertate (non sospese) dopo la scadenza dei 60 giorni, e un ulteriore 2/3 dopo sentenza di primo grado sfavorevole, il resto dopo la sentenza d’appello. Nel caso degli avvisi di liquidazione, la disciplina è simile: di regola l’ufficio iscrive a ruolo provvisorio 1/3 se si ricorre. Per esempio, per un avviso di liquidazione registro, il D.Lgs. 46/1999 prevede che in pendenza di giudizio l’ente possa iscrivere provvisoriamente a ruolo 1/3 delle imposte (se superiore a 50.000 € di valore in contestazione, la metà oltre soglie, etc.). In sostanza, l’impugnazione non blocca del tutto la riscossione, ma la limita. Ecco perché spesso il contribuente, appena fa ricorso, preferisce chiedere anche al giudice tributario la sospensione dell’atto, al fine di evitare qualsiasi pagamento fino alla sentenza (ne parleremo nella sezione dedicata).
Dunque, entro 60 giorni il contribuente deve decidere se:
- Pagare e chiudere (eventualmente con sanzioni ridotte se spettante, e rinunciando alla lite).
- Ricorrere (contestare formalmente l’atto in giudizio).
- Chiedere autotutela (questa non sospende il termine per ricorrere!). Autotutela può essere chiesta anche entro i 60 giorni, ma se l’ufficio non risponde in tempo, il rischio è di far scadere i termini di ricorso. Spesso si può tentare un’autotutela nelle prime settimane e, se non si ottiene soluzione, presentare ricorso poco prima della scadenza dei 60 gg per sicurezza.
È importante sottolineare che dopo 60 giorni senza ricorso l’atto diventa definitivo e irretrattabile. Ciò significa che il contribuente non potrà più contestare nel merito quella pretesa. Ad esempio, se arriva un avviso di liquidazione per €10.000 e non faccio nulla entro 60 giorni, dal giorno 61 quell’atto è definitivo e l’Amministrazione può iscrivere a ruolo le somme dovute. Successivamente arriverà una cartella esattoriale (o verranno avviate altre misure) e il contribuente, se proverà ad opporsi, potrà discutere solo di eventuali vizi della cartella o di pagamenti già fatti, ma non potrà più contestare la fondatezza della pretesa tributaria originaria, perché essa è ormai “cristallizzata” (principio di incontestabilità dell’atto non impugnato, art. 19, co.3 D.Lgs. 546/92).
Riassunto dei termini chiave per il contribuente:
- 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione per:
- Pagare (in unica soluzione, salvo eccezioni di rateazione di cui diremo) l’importo dovuto.
- Oppure presentare ricorso alla Commissione Tributaria competente.
- Sospensione feriale: agosto non conta per il termine di ricorso (ma conta per il pagamento).
- Possibilità di riduzione sanzioni se pagamento senza ricorso (acquiescenza 1/3 sanzioni).
- Decorsi 60 giorni senza azione, l’atto è definitivo e si procede a iscrizione a ruolo. L’Agente della Riscossione invierà eventualmente la cartella di pagamento. A questo proposito, l’art. 17 D.Lgs. 46/1999 prevede che dopo la notifica di un avviso di liquidazione non pagato né impugnato, l’ufficio iscrive a ruolo le somme decorsi 30 giorni dalla scadenza dei 60 (in pratica circa dopo 90 giorni dalla notifica atto), dopodiché l’Agente notifica la cartella. In tempi recenti, tuttavia, molti avvisi di accertamento e liquidazione recano già la “intimazione ad adempiere” e diventano esecutivi dopo 60 giorni senza ulteriore avviso. Ad esempio, gli avvisi per revoca prima casa oggi di solito valgono anche come intimazione di pagamento; se non si paga, l’Agente della riscossione può procedere direttamente trascorsi 30 giorni ulteriori. In mancanza di una cartella, l’Agente può anche notificare un avviso di presa in carico del debito o un avviso di intimazione di pagamento ex art. 50 DPR 602/73 (soprattutto se passa molto tempo) per sollecitare prima di attivare misure esecutive.
Rateizzazione del pagamento: Un altro aspetto pratico: se il contribuente intende pagare ma ha difficoltà a farlo in un’unica soluzione, può chiedere una rateizzazione. La possibilità di dilazione dipende dalla fase:
- Se siamo ancora entro i 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione, formalmente l’atto richiede il pagamento integrale. L’Agenzia delle Entrate, per gli avvisi bonari (ex 36-bis), consente la rateizzazione fino a 8 rate trimestrali (o 20 rate trimestrali se importo > €5.000), presentando richiesta entro 30 giorni. Questa rateazione “in sede amministrativa” però è prevista specificamente per le comunicazioni di irregolarità. Per gli avvisi di liquidazione veri e propri, non c’è una norma che consenta di rateizzare direttamente con l’ufficio (eccezion fatta per alcune definizioni agevolate). Dunque, se arriva un avviso di liquidazione registro o successione, il contribuente dovrebbe pagare in un’unica soluzione entro 60 gg. In pratica, alcuni uffici consigliano: paga intanto quello che puoi entro 60 gg (per ridurre sanzioni) e poi il resto andrà comunque a ruolo e potrai rateizzare col concessionario. Ma questa non è una procedura codificata e comporta comunque il formarsi di un debito residuo sanzionato.
- Se l’atto è passato a riscossione coattiva (cartella esattoriale), allora subentra la disciplina delle rateazioni con l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione). Attualmente, debiti fino a €120.000 si possono rateizzare con semplice richiesta fino a 72 rate mensili (6 anni), e oltre con requisiti, fino a piani straordinari di 120 rate. Quindi, se non si è riusciti a pagare nei 60 giorni, si potrà comunque diluire il pagamento dopo, ma pagando anche l’aggio di riscossione e con l’handicap di avere ormai perso la chance di contestazione.
- In alcuni casi particolari (es. accertamento con adesione o conciliazione giudiziale) è prevista la possibilità di pagamento dilazionato (in adesione: fino a 8 rate trimestrali).
- Conclusione: se un contribuente desidera rateizzare senza contenzioso, conviene in realtà (quando applicabile) sfruttare la fase di avviso bonario: ad esempio, su un avviso bonario IRPEF si può avere fino a 20 rate trimestrali, mentre se si lascia arrivare cartella poi la rateizzazione sarà su base diversa ma comunque ottenibile. Sugli avvisi di liquidazione da registro/successioni, la rateazione diretta non è prevista, quindi in caso di difficoltà spesso si attende la cartella per poi rateizzare con l’Agenzia Entrate-Riscossione.
Prescrizione del Debito Tributario
Oltre alla decadenza (che attiene all’emanazione dell’atto), vi è un altro limite temporale importante: la prescrizione del diritto di riscossione del tributo. La prescrizione è il termine entro cui l’Amministrazione deve riscuotere il credito tributario una volta che questo si è reso definitivo, pena l’estinzione del diritto per inattività. In altre parole: emesso l’avviso (nei termini) e divenuto definitivo (perché non impugnato, o confermato da sentenza), l’Amministrazione ha un certo numero di anni per agire concretamente alla riscossione, altrimenti il contribuente può eccepire la prescrizione e sottrarsi al pagamento.
Prescrizione ordinaria decennale dei crediti erariali: Per la generalità dei tributi erariali (Stato), la giurisprudenza ormai consolidata – da ultimo confermata da Cassazione ordinanza n. 4385 del 19/02/2025 – afferma che il termine di prescrizione è di 10 anni, salvo ove la legge preveda un termine speciale più breve. Ciò perché i tributi non rientrano tra le prestazioni periodiche ai sensi dell’art. 2948 c.c. (5 anni) ma sono considerati obbligazioni di dare somme derivanti dalla legge, soggette alla prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c.. In pratica, il credito tributario definitivamente accertato (ad esempio derivante da un avviso di liquidazione non impugnato) si prescrive in 10 anni. Cassazione ha più volte ribadito questo principio per IRPEF, IVA, IRES, imposta di registro, ecc., respingendo tesi di prescrizioni brevi se non espressamente previste (Cass. S.U. n. 23397/2016, Cass. 32308/2019, Cass. 25716/2020 citate nell’ord. 4385/2025).
Ad esempio, se un avviso di liquidazione diventa definitivo nel 2025 (perché non impugnato), l’Agente della Riscossione ha tempo fino al 2035 per notificare atti interruttivi (cartelle, intimazioni) o avviare esecuzione; dopo, il contribuente potrà eccepire la prescrizione e il debito non sarà più esigibile.
Prescrizioni brevi per tributi locali o eccezioni: Attenzione che questa regola vale per i tributi erariali. Alcuni tributi locali (es. IMU, TARI) hanno termini di prescrizione quinquennale per giurisprudenza consolidata, in quanto ritenuti pagamenti periodici. Ma l’avviso di liquidazione tipicamente riguarda tributi erariali (registro, successione sono tributi erariali; anche se spettano in parte all’erario e in parte ad altri enti, la giurisprudenza li considera soggetti a prescrizione decennale, v. Cass. 13683/2020 su registro). Un’eccezione è nei contributi previdenziali (che non trattiamo qui) che per legge si prescrivono in 5 anni, ma non è il nostro campo.
Dies a quo della prescrizione: da quando decorre il termine decennale? In genere, dal momento in cui il credito è definitivo ed esigibile. Se l’avviso non è stato impugnato e sono decorsi i 60 giorni, il credito è definitivo dallo scadere dei 60 giorni; se c’è stata una sentenza, dalla definitività della sentenza (passaggio in giudicato). Da lì l’Amministrazione deve compiere atti interruttivi prima che passino 10 anni. Un atto interruttivo classico è la notifica di una cartella esattoriale (che tipicamente segue l’avviso non pagato). Se la cartella viene notificata, da quella data decorre un nuovo termine di prescrizione (che per crediti erariali rimane decennale, salvo diversa qualificazione). Ulteriori atti interruttivi sono le intimazioni di pagamento ex art. 50 DPR 602/73, il fermo amministrativo, l’ipoteca esattoriale, il pignoramento: tutti atti che manifestano la volontà di riscuotere e interrompono la prescrizione, facendola decorrere di nuovo da capo.
Esempio: avviso di liquidazione definitivo nel 2015. L’agente notifica cartella nel 2016 (interrompe, riparte 10 anni). Poi nessun atto. Nel 2027 notifica un’intimazione di pagamento: verifica – tra 2016 e 2027 sono passati più di 10 anni? No, 11 anni. Ma c’era la cartella nel 2016 quindi da 2016 a 2027 sono 11 anni, oltre 10: il credito per quel debito potrebbe essere prescritto nel 2026. Il contribuente potrebbe eccepirlo e l’intimazione 2027 sarebbe inefficace. Spesso la questione della prescrizione emerge dopo la notifica della cartella o in sede di esecuzione forzata. L’eventuale ricorso contro la cartella può includere l’eccezione di prescrizione se tra avviso e cartella sono trascorsi oltre 10 anni (ma di solito la cartella arriva molto prima). Più frequente è eccepire prescrizione contro una intimazione o preavviso di fermo arrivato a distanza di oltre 10 anni dall’ultimo atto.
Atti impugnabili successivi: va ricordato che se un contribuente non ha impugnato l’avviso entro 60 gg e arriva una cartella, egli non può contestare il merito dell’imposta (divenuta definitiva), ma potrebbe comunque impugnare la cartella per far valere la prescrizione intervenuta successivamente. Ad esempio, cartella notificata 12 anni dopo l’avviso definitivo: la cartella è impugnabile perché il credito era prescritto. Oppure se erano passati 12 anni anche dall’ultimo atto interruttivo (es. rate, solleciti, ecc.).
Prescrizione in ambito registro: Il DPR 131/86 all’art. 78 prevede espressamente che l’imposta di registro, una volta accertata, si prescrive in 10 anni. Quindi è normativamente confermato il termine decennale (in passato c’erano dubbi se registro fosse 5 o 10, ma il legislatore ha chiarito con norma).
Interessi e prescrizione: Gli interessi di mora e le sanzioni accessorie seguono la sorte del tributo: la Cassazione (es. ord. 11113/2020) ha chiarito che interessi e sanzioni “accessori” hanno la stessa prescrizione decennale del credito principale, non potendosi spezzettare in termini diversi.
In conclusione, dal lato contribuente:
- Verificare sempre se l’atto è stato notificato entro i termini di decadenza: se no, quello è un ottimo motivo di ricorso (invalidità dell’atto per decadenza).
- Se l’atto è valido e si lascia decorrere il tempo, ricordare che il debito rimane in vita fino a 10 anni (e potenzialmente rinnovabile con atti interruttivi). Dopo molto tempo senza comunicazioni, può darsi sia prescritto, ma occorre fare attenzione e far valere l’eccezione opportunamente in sede di opposizione alla riscossione.
- Una volta ricevuta la cartella esattoriale, anch’essa ha propri termini da rispettare per la notifica (di regola, 2 anni dall’invio del ruolo per i ruoli ordinari), ma questo esula dal focus sull’avviso di liquidazione.
Nel prossimo capitolo passeremo ad esaminare gli effetti della notifica di un avviso di liquidazione e gli obblighi e comportamenti che il contribuente deve tenere: cosa succede se non fa nulla, se paga, se fa ricorso, come l’atto diventa definitivo e viene riscosso. Successivamente, entreremo nel dettaglio degli strumenti di difesa, analizzando ricorso, autotutela, mediazione e così via.
Effetti dell’Avviso di Liquidazione ed Obblighi del Contribuente
Quando un avviso di liquidazione viene notificato, il contribuente si trova di fronte a una scelta cruciale: aderire alla richiesta pagando quanto dovuto, oppure opporsi attraverso i canali previsti (istanze o ricorsi). In questa sezione analizziamo le conseguenze di ciascuna scelta e cosa accade se il contribuente non adempie né impugna l’atto.
Avviso di Liquidazione non contestato: definitività e riscossione
Se il contribuente non impugna l’avviso di liquidazione entro 60 giorni e neanche effettua il pagamento richiesto, l’atto diventa definitivo e le somme in esso indicate divengono esigibili come un normale debito. In altri termini, passato il termine di legge senza ricorso, l’avviso di liquidazione assume forza di titolo definitivo: l’Amministrazione finanziaria potrà procedere alla riscossione coattiva delle somme.
Il primo passo che l’Agenzia effettua, scaduti i termini senza pagamento, è l’iscrizione a ruolo del debito. Significa che l’importo (imposta + sanzioni + interessi) viene affidato all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) per il recupero. Questo passaggio di solito avviene poco dopo la scadenza dei 60 giorni, in genere trascorsi ulteriori 30 giorni come preavviso interno (in passato era previsto un altro breve termine di 30 gg detto “intimazione ad adempiere” inserito direttamente nell’avviso). Ormai molti avvisi riportano in calce la formula per cui, se entro 60 giorni non si paga, “si procederà ad iscrizione a ruolo per la riscossione coattiva senza ulteriore avviso”. Ciò è possibile perché l’avviso di liquidazione stesso contiene la richiesta di pagamento (intimazione) e costituisce già la base per il ruolo esecutivo.
A seguito dell’iscrizione a ruolo, l’Agente della Riscossione notifica al contribuente una cartella di pagamento (ex art. 25 DPR 602/73) contenente il dettaglio delle somme dovute (comprensive delle eventuali maggiorazioni di legge, come l’aggio di riscossione e gli interessi di mora dal giorno successivo alla scadenza dei 60 giorni). La cartella esattoriale è il tradizionale strumento con cui il concessionario intima il pagamento entro 60 giorni, trascorsi i quali – se il debitore ancora non paga né fa ricorso – si possono attivare misure esecutive (pignoramenti) o cautelari (fermo, ipoteca).
Ci sono però situazioni (per alcuni tributi erariali dal 2011 in poi) in cui la cartella potrebbe non essere necessaria: ad esempio, per gli avvisi di accertamento “esecutivi” in materia di imposte sui redditi e IVA, l’atto stesso dopo 60 giorni vale già come titolo esecutivo e l’Agente può procedere con una “ingiunzione” o un avviso di intimazione senza cartella. Per gli avvisi di liquidazione delle imposte indirette, la normativa ha previsto simile efficacia esecutiva a partire dal 2020 (Decreto Crescita, DL 34/2019, ha esteso l’accertamento esecutivo anche agli atti di liquidazione di imposte di registro, successioni, ecc.). In concreto:
- Gli avvisi di liquidazione emessi dall’Agenzia delle Entrate possono contenere la clausola di cui all’art. 29 DL 78/2010 (accertamento esecutivo) e all’art. 15 DL 34/2019, che li rende esecutivi decorsi i 60 giorni dalla notifica, senza bisogno di cartella. In tal caso, se non paghi né ricorri, dopo 60 giorni l’Agente della riscossione potrà notificare direttamente un avviso di intimazione a pagare entro 30 giorni (ex art. 50 DPR 602/73) e poi procedere a esecuzione forzata. Oppure potrebbe inviarti un “Avviso di presa in carico del ruolo” (una sorta di informativa non impugnabile) e successivamente procedere.
- Tuttavia, nella prassi ancora molte liquidazioni passano per il canale tradizionale del ruolo e cartella, specie per importi non altissimi, quindi il contribuente di solito riceverà la cartella.
Inerzia del contribuente: Quali sono le conseguenze pratiche se il contribuente non fa nulla (né paga né ricorre)?
- Maggiori costi: Oltre all’importo originariamente dovuto, verranno addebitati:
- Interessi moratori calcolati (per imposte erariali) al tasso stabilito annualmente dal MEF sull’importo a decorrere dalla scadenza dei 60 giorni. Tali interessi di mora attualmente (2025) sono intorno al 4% annuo, ma vengono aggiornati periodicamente.
- L’aggio di riscossione (compenso del concessionario): attualmente per chi paga entro 60 giorni dalla cartella è il 3% circa, mentre oltre diventa il 6% circa, calcolato sulle somme iscritte a ruolo.
- Eventuali spese di notifica della cartella e delle successive azioni.
- Se si arriva a pignoramenti o iscrizioni di ipoteca, vi sono ulteriori costi (spese legali, diritti vari).
- Misure cautelari/esecutive: Decorsi 60 giorni dalla cartella senza pagamento, l’Agente può:
- Iscrivere fermo amministrativo su beni mobili registrati (tipicamente autoveicoli) del debitore.
- Iscrivere ipoteca sugli immobili di proprietà del debitore (per debiti sopra una certa soglia, attualmente €20.000).
- Avviare pignoramenti su conti correnti, stipendio/pensione, affitti, ecc., o pignoramento immobiliare (oltre €120.000 di debito).
Queste azioni peggiorano la situazione del contribuente, comportando anche difficoltà economiche e ulteriori spese.
- Impossibilità di difesa sul merito: Come detto, se l’atto è definitivo, in sede di cartella o esecuzione non potrà più contestare la legittimità della pretesa tributaria, se non per aspetti molto limitati (es. non era stato notificato l’avviso presupposto – ma se lui l’ha ricevuto e non ha ricorso, non può negarlo; oppure errori di persona, pagamenti già effettuati, etc.). In sostanza ha perso il treno per discutere del quantum o del an del tributo. Potrà solo far valere questioni formali di riscossione (es. prescrizione intervenuta, difetti di notifica della cartella stessa, ecc.).
In sintesi, ignorare un avviso di liquidazione è la scelta peggiore: il debito non scompare, anzi viene maggiorato e reso esecutivo. È una situazione che purtroppo capita – a volte per disinformazione o sottovalutazione – ma che va assolutamente evitata. Se non si vuole (o non si può) fare ricorso, conviene almeno cercare un accordo con l’ufficio (autotutela, ravvedimento se possibile, definizione agevolata se prevista in qualche provvedimento) oppure prepararsi a pagare (magari rateizzando, come visto).
Pagamento dell’avviso entro 60 giorni (adesione/acquiescenza)
Se il contribuente decide di pagare l’importo richiesto dall’avviso di liquidazione entro i 60 giorni:
- Effetti positivi: Estingue il debito tributario evitando l’aggravio di interessi di mora e delle procedure coattive. Il pagamento tempestivo inoltre spesso comporta la chiusura anticipata del procedimento: l’atto si considera definito. Non seguirà alcuna cartella né ulteriore sanzione (oltre a quelle già incluse).
- Riduzione sanzioni (acquiescenza): Come accennato, la legge premia chi rinuncia a litigare e paga subito. Di norma, la sanzione amministrativa indicata nell’atto, se il contribuente non impugna e versa entro il termine, è ridotta ad 1/3 del minimo previsto (art. 15 D.Lgs. 218/1997). Nel caso di avviso di liquidazione, spesso la sanzione contestata è già il minimo edittale (ad es. omesso versamento = 30% è il minimo). Dunque 1/3 di 30% = 10%. Se l’ufficio non ha già applicato riduzioni, il contribuente può versare solo il 10% di sanzione invece del 30%. Tuttavia attenzione: bisogna verificare che tipo di atto è e se la sanzione è definibile. Negli avvisi bonari (36-bis) la sanzione è al 10% perché già ridotta; ma negli avvisi di liquidazione l’ufficio di solito mette sanzione piena del 30%. Per fruire dell’acquiescenza il contribuente deve di fatto autoridursi la sanzione al 10% in fase di pagamento. Per evitare errori (un pagamento parziale può essere interpretato come insufficiente e portare a iscrizione a ruolo del residuo), è consigliabile informare l’ufficio che si intende aderire in acquiescenza e magari farsi ricalcolare gli importi dovuti. Alcune cartelle informano esplicitamente: “se non fai ricorso e versi entro 60gg, paghi sanzioni ridotte a…”. Se non è indicato, conviene chiedere o leggere circolari.
- Rateazione con adesione: Qualora l’avviso di liquidazione sia frutto di un procedimento di accertamento con adesione (in cui si raggiunge un accordo col Fisco su un certo importo), la legge consente il pagamento rateale (fino a 8 rate trimestrali). Ma questo esula dall’ipotesi base, perché l’avviso di liquidazione di solito viene prima dell’eventuale adesione. Da notare: per gli avvisi di liquidazione “puri” non c’è un istituto di adesione simile a quello degli accertamenti, tranne che in materia di valore catastale (dove esiste la possibilità di accettare il nuovo valore proposto entro 60gg con sanzioni ridotte ad 1/6 – era la cosiddetta adesione agli accertamenti di valore, poi 1/3 con ravvedimento, etc., un tema di nicchia).
- Effetti negativi: L’unico “effetto negativo” di pagare è che si rinuncia automaticamente al ricorso. Una volta pagato, il rapporto si definisce e non si può poi impugnare sostenendo che l’atto era sbagliato: il pagamento volontario implica l’accettazione (salvo vizi radicali come nullità assolute, ma sono ipotesi accademiche). Inoltre, se si paga, in genere si rinuncia anche a eventuali rimborsi: ad esempio, se l’ufficio aveva fatto un errore di calcolo a suo favore ma il contribuente paga senza contestare, poi non potrà richiedere indietro la differenza dicendo “ho pagato ma non ero convinto”: avrebbe dovuto contestare prima. Solo se emergono successivamente elementi nuovi (tipo una sentenza della Corte Costituzionale che abroga la norma su cui si basava l’avviso) si potrebbe riaprire tramite istanze di rimborso entro certi termini, ma sono situazioni rare.
In sintesi, pagare subito è consigliabile quando:
- L’importo non è eccessivo e si riconosce la fondatezza della pretesa (es: effettivamente non avevo versato quell’imposta).
- Non vi sono motivi validi di ricorso o comunque il rapporto costi/benefici del contenzioso è sfavorevole (ricorrere costa tempo, denaro per consulenza legale, e se poi si ha torto si rischiano anche spese di giudizio e sanzioni piene).
- Si vuole beneficiare di sanzioni ridotte (10% invece di 30%, ad esempio).
- Si vuole evitare di diventare morosi con rischio di iscrizione a ruolo.
Contestazione dell’avviso: ricorso e sospensione
Se il contribuente ritiene l’avviso di liquidazione errato o ingiusto, la strada è preparare un ricorso tributario da presentare alla competente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni. La presentazione del ricorso avvia il contenzioso, durante il quale la pretesa verrà vagliata da un giudice terzo.
Effetti del ricorso: L’atto impositivo contestato non viene automaticamente sospeso. Dunque, come visto, l’Amministrazione, pur in pendenza di giudizio, è legittimata a procedere alla riscossione parziale (di solito iscrive a ruolo un terzo del tributo). Per evitare di dover pagare prima della sentenza, il contribuente può presentare un’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto insieme al ricorso (o successivamente, purché prima che il giudice decida). L’istanza di sospensione ex art. 47 D.Lgs. 546/92 viene decisa in tempi brevi (di norma, entro 30-45 giorni dalla presentazione, il presidente fissa una camera di consiglio). Il giudice, se ravvisa fumus boni iuris (motivi del ricorso non manifestamente infondati) e periculum in mora (rischio di danno grave e irreparabile dal pagamento immediato), può sospendere l’efficacia esecutiva dell’atto fino alla decisione di merito. La sospensione tutela il contribuente da azioni esecutive nel frattempo. In caso di rigetto della sospensione, l’Agente potrà procedere con la riscossione parziale anche se il giudizio non è concluso.
Durante il processo, l’avviso di liquidazione rimane sospeso de iure per la parte eventualmente non iscritta a ruolo (ad esempio, 2/3 dell’imposta restano sospesi fino a sentenza di primo grado). Se il contribuente vince in primo grado e l’atto viene annullato, cessano tutti gli obblighi di pagamento (salvo appello dell’Agenzia, in cui potrebbe cambiare la decisione più avanti). Se invece il contribuente perde in primo grado, la sentenza è immediatamente esecutiva: ciò significa che l’Agenzia potrà riscuotere fino a 2/3 delle imposte contestate (aggiungendo ai 1/3 già eventualmente riscossi, un altro 1/3). Dopo la sentenza di secondo grado (appello), se ancora sfavorevole al contribuente, l’Ufficio può riscuotere tutto (100%). Infine, il ricorso per Cassazione non sospende nulla, si può solo chiedere alla Cassazione stessa la sospensione (raramente concessa).
Per riassumere il complesso intreccio:
- Ricorso presentato: il debito non è più spontaneamente pagabile con sanzioni ridotte (ormai si va in giudizio, eventuali riduzioni saranno frutto di soccombenza parziale o conciliazione).
- Riscossione frazionata: l’Ufficio/Agente può chiedere 1/3 subito decorsi 60gg; se hai ottenuto sospensione giudiziale, ciò viene bloccato. Se niente sospensione, potresti dover versare 1/3 o subire azioni per tale importo.
- Dopo sentenza 1° grado: se contribuente perde, l’Ufficio può riscuotere altri 2/3 (arrivando a 100% imposta, ma sanzioni solo 50% finché pende appello).
- Dopo sentenza 2° grado: se contribuente perde, tutto riscuotibile; se contribuente vince, devono restituirti quanto pagato (con interessi).
- Eventuale Cassazione: non blocca pagamento; se poi in Cassazione vinci, avrai rimborso di quanto versato.
Va da sé che l’obbligo principale del contribuente che fa ricorso è rispettare i termini (notifica ricorso entro 60gg) e le formalità di procedura, di cui parleremo nella sezione sul contenzioso tributario. Inoltre dovrebbe comunque predisporre le risorse per il caso di soccombenza: se il ricorso è respinto, dovrà pagare l’imposta, le sanzioni (piene, perché in contenzioso si perde l’agevolazione) e anche gli interessi maturati nel frattempo, oltre a eventuali spese di giudizio (il giudice può condannare il soccombente a rifondere le spese legali all’Agenzia, importi variabili a discrezione ma spesso qualche migliaio di euro a seconda del valore).
Obblighi durante il giudizio: Il contribuente deve comportarsi in buona fede. Ad esempio, se durante la pendenza del ricorso opta per una definizione agevolata (talvolta il legislatore introduce sanatorie, come “rottamazione liti pendenti”, ecc.), deve rispettarne i termini di pagamento. Oppure se vuole conciliare con l’ufficio in corso di causa (conciliazione giudiziale), può farlo presentando apposita istanza (ne diremo oltre). In qualunque caso, non deve disperdere il suo patrimonio per sottrarsi al pagamento: atti di disposizione in frode ai creditori pubblici possono essere revocati o portare ad azioni esecutive anticipate (es. pericolo per il creditore).
Quando conviene fare ricorso? Ovviamente quando si ravvisano motivi validi di illegittimità o infondatezza dell’avviso: errori di calcolo, decadenza, difetto di motivazione, errata interpretazione di legge, ecc. Se l’avviso appare chiaramente sbagliato, il ricorso è d’obbligo. Anche per questioni interpretative dubbie, spesso il ricorso è opportuno per ottenere un accertamento da un giudice, specie se l’importo in gioco è elevato o se ci sono principi da affermare (pensiamo a questioni di massima o di principio che il contribuente vuole far valere, magari perché su situazioni analoghe si troverebbe esposto in futuro).
Tentativi di soluzione alternativa: Tra la passività e il ricorso, c’è spazio per soluzioni intermedie:
- Presentare una istanza di autotutela all’ufficio: se l’ufficio l’accoglie annullando in tutto o in parte l’atto, si può evitare il contenzioso o limitarne l’oggetto (ad es. l’ufficio riconosce parzialmente l’errore e riduce la pretesa).
- Avviare eventualmente un reclamo/mediazione (fino agli atti 2023 era obbligatorio per importi fino a €50.000, come vedremo, e ciò sospendeva i termini di impugnazione per 90gg).
- Valutare un accertamento con adesione se l’istituto è attivabile: per avvisi di liquidazione in senso stretto non c’è adesione (che è tipica degli accertamenti), ma se per assurdo l’avviso di liquidazione riguarda un accertamento di valore, c’era la possibilità di chiedere adesione per ridiscutere il valore.
Nel prossimo capitolo, ci concentreremo sugli strumenti di difesa e tutela in dettaglio: dall’autotutela (istanza all’Agenzia), alla ormai storica mediazione tributaria (che però dal 2024 non è più obbligatoria per i nuovi ricorsi), fino al ricorso in Commissione, con i suoi gradi di giudizio (appello, Cassazione). Approfondiremo anche la giurisprudenza rilevante che negli ultimi tempi ha toccato il tema degli avvisi di liquidazione (ad esempio in tema di motivazione, di notifica, di sanzioni).
Strumenti di Difesa del Contribuente
In questa parte della guida analizziamo in dettaglio i vari strumenti che il contribuente ha a disposizione per difendersi da un avviso di liquidazione considerato ingiusto o errato. Li distingueremo in strumenti “preventivi” o amministrativi (che non richiedono subito il ricorso al giudice) e strumenti giudiziari (contenzioso tributario vero e proprio). Vedremo inoltre l’evoluzione normativa, in particolare riguardo al reclamo/mediazione tributaria, e daremo indicazioni pratiche per ognuno.
Istanza di Autotutela: chiedere il riesame all’Agenzia
L’autotutela è il potere/dovere della Pubblica Amministrazione di correggere spontaneamente i propri errori quando vengono rilevati, anche in assenza di un contenzioso. In materia tributaria, si sostanzia nella possibilità per l’Agenzia delle Entrate di annullare o rettificare un proprio atto viziato o errato, accogliendo una richiesta del contribuente o anche d’ufficio, senza bisogno di attendere il giudice.
Quando ricorrere all’autotutela: Il contribuente può presentare un’istanza di autotutela all’ufficio che ha emesso l’avviso di liquidazione quando ritiene che vi sia un errore evidente nell’atto. Ad esempio:
- Errori di calcolo (es: l’ufficio ha sommato male gli importi, o ha applicato un’aliquota sbagliata).
- Doppia imposizione (es: si richiede un pagamento già effettuato).
- Errore di persona (es: avviso intestato al soggetto sbagliato).
- Vizio di notifica (anche se qui l’ufficio di solito lascia al giudice decidere).
- Mancata considerazione di documenti rilevanti forniti dal contribuente (es: il contribuente aveva diritto a una franchigia o esenzione documentata ma l’ufficio non l’ha considerata).
- Insussistenza del presupposto: ad esempio, avviso emesso per revoca agevolazione prima casa quando in realtà le condizioni erano state rispettate (magari l’ufficio non aveva registrato il cambio di residenza, ecc.). In tal caso allegando le prove (certificato di residenza trasferita in tempo) si può chiedere annullamento in autotutela.
- Decadenza palese: se l’avviso è stato notificato oltre i termini di legge, si può far presente all’ufficio in autotutela sperando che annulli l’atto senza costringere al ricorso (capita raramente, ma alcuni uffici in casi lampanti lo fanno).
- Sgravio per pagamento già eseguito: se l’avviso di liquidazione riguarda un omesso versamento che in realtà è stato pagato (magari con un F24 che non è stato associato correttamente), presentando la ricevuta di pagamento l’ufficio provvede in autotutela all’annullamento.
Come presentare l’istanza: L’istanza di autotutela è una richiesta in carta semplice indirizzata all’ufficio territoriale (Direzione Provinciale) dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’atto. Nell’avviso di liquidazione solitamente, nell’intestazione o nel corpo, è indicato l’ufficio competente e i riferimenti (indirizzo, PEC, ecc.). L’istanza deve contenere:
- I dati del contribuente (nome, cognome/denominazione, codice fiscale, domicilio).
- Gli estremi dell’atto impugnato (tipo di atto: avviso di liquidazione, numero/protocollo, data notifica).
- L’esposizione dei fatti e dei motivi per cui si ritiene l’atto errato. È bene essere sintetici ma precisi: indicare l’errore e la soluzione corretta. Esempio: “Nell’avviso si richiede il pagamento dell’imposta di registro annualità 2022, ma la stessa risulta già versata come da modello F24 allegato. Chiedo pertanto l’annullamento dell’atto in autotutela per errore di duplicazione.”
- Documentazione di supporto: qualsiasi prova che corrobori le proprie ragioni va allegata (ricevute, copie di dichiarazioni, certificati).
- La richiesta specifica: ad esempio “si chiede l’annullamento totale/parziale dell’atto” o la “rettifica nel seguente senso…”.
- Data e firma.
Si può inviare l’istanza via PEC all’ufficio (se l’Agenzia ha una PEC protocollo) oppure tramite raccomandata A/R o consegnarla a mano allo sportello (con ricevuta protocollata). In alternativa, l’Agenzia ha messo a disposizione servizi telematici come il canale CIVIS per gestire istanze di autotutela su alcuni atti (specialmente avvisi bonari e liquidazioni su locazioni). Ad esempio, per gli avvisi di liquidazione su contratti di locazione (annualità successive) c’è una funzionalità CIVIS “Istanze autotutela locazioni” dove il contribuente può caricare la richiesta di sgravio allegando contratto e F24. Questo velocizza la lavorazione.
Effetti dell’istanza di autotutela: La presentazione dell’istanza non sospende né interrompe il termine per il ricorso. Significa che l’eventuale trascorrere dei 60 giorni continua: se l’ufficio non risponde entro quel termine e il contribuente non fa ricorso, l’atto diventa definitivo. Pertanto, è importante agire con cautela: l’autotutela va usata tempestivamente e, se ci si avvicina alla scadenza dei 60 giorni senza esito positivo, bisogna presentare ricorso per non perdere il diritto, anche se nel frattempo c’è una richiesta in autotutela pendente.
L’ufficio non ha obbligo di rispondere entro un termine fisso (a differenza del reclamo/mediazione che aveva 90 gg). Spesso però le istanze di autotutela vengono esaminate abbastanza rapidamente, specie se riguardano errori semplici. Se l’ufficio riconosce l’errore, adotterà un provvedimento di annullamento o sgravio dell’atto, comunicandolo al contribuente (talora con una lettera, talora direttamente con l’emissione di un provvedimento di sgravio trasmesso via PEC). Ad esempio, “annullamento atto n… per riconosciuto errore”. Questo fa cessare la materia del contendere (se il contribuente aveva anche presentato ricorso, potrà dichiararlo perento per sopravvenuto annullamento).
Se l’ufficio respinge (formalmente o tacitamente) l’istanza di autotutela, l’unica via resta il ricorso (se ancora nei termini) oppure, se termini scaduti, purtroppo il debito resterà salvo la possibilità di pagare e poi eventualmente chiedere un rimborso, cosa però difficilmente accoglibile se l’errore non era evidente.
Limiti dell’autotutela: L’autotutela non è un diritto soggettivo pieno del contribuente, ma una facoltà discrezionale dell’amministrazione. Ciò significa che, anche di fronte a un errore palese, l’ufficio potrebbe teoricamente decidere di non annullare (magari perché c’è un contenzioso in corso: la prassi infatti scoraggia l’annullamento in autotutela se la questione è controversa e già sottoposta a giudice, salvo ovvi errori). Il contribuente non può obbligare l’ufficio all’annullamento, né impugnare in tribunale il diniego di autotutela (non è atto impugnabile perché non rientra tra quelli elencati dall’art. 19 D.Lgs. 546/92). Fa eccezione il caso in cui si chieda autotutela su un atto non più impugnabile per scadenza termini: se l’ufficio rifiuta, non c’è rimedio giudiziario (tranne casi limite di eccesso di potere che però non sono praticamente mai accolti dai giudici tributari). Dunque l’autotutela è un strumento di favore: conviene usarlo, ma con la consapevolezza che non garantisce risultato e non sospende il ricorso.
Esempi tipici di successo in autotutela:
- Doppio invio di avviso: se per errore partono due avvisi identici, l’ufficio ne annulla uno.
- Avviso intestato a persona deceduta invece che agli eredi: in autotutela rimuovono quell’atto (nullità per soggetto inesistente).
- Pagamento avvenuto: allegando quietanze si ottiene sgravio.
- Errore di calcolo: a volte risolvibile velocemente (es. aliquota usata 12% invece di 9%).
- Vittoria in Cassazione su questione identica: se un contribuente ha un contenzioso pendente su identico tema già deciso a sezioni unite o in modo univoco, l’ufficio può in autotutela adeguarsi a quell’orientamento prima che la causa specifica arrivi a sentenza (questo accade specialmente quando ci sono cause pilota: l’Agenzia dopo una certa pronuncia può emanare direttive interne di non lite).
- Errore nella notifica: esempio, atto notificato oltre il termine legale per un disguido. A volte l’ufficio stesso se ne accorge e annulla in autotutela prima ancora che il contribuente spenda soldi per ricorrere.
In caso di esito negativo dell’autotutela (o nei casi in cui l’errore non è evidente ma interpretativo), il contribuente deve passare agli strumenti successivi: mediazione (se applicabile) o direttamente ricorso.
Di seguito, forniremo un fac-simile di istanza di autotutela per un avviso di liquidazione, come base di riferimento pratica.
Fac-simile Istanza di Autotutela – (Esempio: avviso di liquidazione imposta di registro per pagamento già eseguito)
Alla Direzione Provinciale di ______________
Agenzia delle Entrate – Ufficio Territoriale di ______________
PEC: dp.___@pec.agenziaentrate.it (oppure indirizzo fisico)
Oggetto: **Istanza di autotutela per annullamento avviso di liquidazione** n. ____
del ______ (notificato il ______) – Imposta di registro annualità 2022 – Contribuente:
__________, Cod. Fiscale __________
Il sottoscritto _______________, Codice Fiscale ______________, residente in
________________, in qualità di contribuente destinatario dell’avviso in oggetto,
**espone quanto segue:**
In data ______ ho ricevuto la notifica dell’avviso di liquidazione indicato in oggetto,
con il quale mi viene richiesto il pagamento di €____ a titolo di imposta di registro
(per l’annualità 2022 del contratto di locazione n. ___) oltre sanzioni e interessi.
Tale avviso risulta emesso per omesso versamento dell’imposta di registro relativa
all’anno 2022. Tuttavia, tale importo risulta **già regolarmente versato** dal sottoscritto
in data __/__/2022 mediante modello F24 Elide, come da copia che si allega. Nello
specifico, ho effettuato il pagamento dell’imposta dovuta (€ ____) utilizzando il codice
tributo 1501 – annualità successive – come da quietanza n. ____ dell’Agenzia Entrate-Riscossione
che si unisce alla presente.
Pertanto l’avviso di liquidazione risulta emesso per un’imposta **non dovuta**, essendo
frutto di un errore (probabilmente il versamento effettuato non è stato associato alla
mia posizione o al contratto, oppure è intervenuto un disallineamento nei sistemi).
**Si chiede** cortesemente, in via di autotutela, l’**annullamento totale** dell’avviso
di liquidazione n. ___/2023, ai sensi dell’art. 2-quater D.L. 564/94, per evidente
errore di duplicazione della pretesa fiscale.
A supporto si allegano:
- Copia del modello F24 ELIDE con attestazione di pagamento del __/__/2022 (riferito
all’imposta di registro annuale 2022 del contratto in oggetto).
- Copia dell’avviso di liquidazione impugnato.
- Copia del contratto di locazione registrato con estremi __________ (se utile per riferimento).
In attesa di gentile riscontro, si resta a disposizione per eventuali chiarimenti.
Si richiede l’invio dell’atto di annullamento/sgravio all’indirizzo (PEC o postale) indicato.
Luogo e data: ___________
Firma: ____________________
(Note: L’istanza va modificata secondo il caso concreto: ad esempio, se l’errore è un calcolo, si descriverà il calcolo corretto; se è un pagamento effettuato in ritardo ma con ravvedimento, si allegherà ricevuta ravvedimento, ecc. È bene mantenere un tono collaborativo e chiaro.)
L’istanza di autotutela, come visto, è un passaggio facoltativo ma utile prima di entrare in contenzioso. Passiamo ora a trattare del reclamo e mediazione tributaria, che fino a poco tempo fa costituiva un ulteriore step obbligatorio per le liti di piccolo importo.
Reclamo e Mediazione Tributaria (disciplina fino al 2023)
(NB: Dal 2024 il reclamo/mediazione è stato abolito per i nuovi ricorsi – vedasi dopo)
Fino al 2023, il legislatore aveva previsto un istituto deflattivo del contenzioso per le liti fiscali di valore non elevato: il reclamo/mediazione tributaria (art. 17-bis D.Lgs. 546/92, introdotto dal 2011). Esso consisteva in un procedimento amministrativo da esperire obbligatoriamente prima del ricorso, per le controversie di valore fino a una certa soglia (inizialmente €20.000, poi elevata a €50.000). Poiché la stragrande maggioranza degli avvisi di liquidazione rientrava spesso in tale soglia, questo passaggio era molto rilevante.
Come funzionava: Il contribuente che intendeva impugnare un atto di valore entro €50.000 doveva presentare un reclamo all’ente impositore (Agenzia delle Entrate) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, invece del ricorso giurisdizionale. In pratica, il reclamo era un ricorso “in carta semplice” indirizzato all’ufficio, contenente gli stessi elementi di un ricorso (motivi, richieste). Contestualmente, poteva formulare una proposta di mediazione con rideterminazione dell’importo dovuto. Ad esempio: “ritengo l’atto illegittimo, ma propongo in via mediativa di pagare X per chiudere la controversia”.
Una volta presentato il reclamo, i termini per ricorrere restavano sospesi per 90 giorni. Entro questo periodo l’Agenzia delle Entrate, tramite un apposito ufficio legale, poteva accogliere in tutto o in parte il reclamo, annullando o riducendo l’atto, oppure formulare/accettare una mediazione (accordo transattivo). Se si raggiungeva un accordo, si redigeva un atto di mediazione che aveva gli stessi effetti di una conciliazione giudiziale: il contribuente pagava l’importo concordato (con sanzioni ridotte al 35% del minimo in caso di mediazione conclusa positivamente), e la controversia si chiudeva definitivamente. La riduzione delle sanzioni era uno stimolo importante: ad esempio, in mediazione la sanzione del 30% veniva ridotta al 10.5% (35% di 30). Inoltre, sul dovuto si poteva chiedere una rateizzazione fino a 8 rate.
Se invece l’ufficio respingeva il reclamo o non rispondeva entro 90 giorni, il reclamo si trasformava automaticamente in ricorso e il processo tributario iniziava, computando i 90 giorni decorso i quali il contribuente poteva proseguire depositando il ricorso in Commissione. In caso di silenzio, il ricorso andava depositato dal 90° al 120° giorno dalla notifica del reclamo.
L’obiettivo di questo istituto era ridurre il contenzioso trovando soluzioni rapide. In pratica, molte controversie minori venivano risolte con annullamenti parziali o accordi. Ad esempio, per avvisi di liquidazione su piccoli importi, l’ufficio a volte annullava per autotutela in sede di reclamo (evitando la lite). Oppure, in casi di valore borderline, si trovava un compromesso (pagare solo imposta senza sanzioni, o ridurre valore accertato, ecc.).
Dal 2024 – Abrogazione: La riforma della giustizia tributaria (Legge 130/2022 e decreti attuativi, in particolare D.Lgs. 119/2023 e 130/2023) ha eliminato l’obbligo del reclamo/mediazione a partire dai ricorsi notificati dal 1° gennaio 2024. Dunque, per gli avvisi di liquidazione notificati dal 2024 in poi, il contribuente non è più tenuto a presentare il reclamo: può ricorrere direttamente in giudizio entro 60 giorni. La soglia di €50.000 non è più rilevante ai fini procedurali.
Transizione: Secondo il MEF (Comunicato stampa dicembre 2023, ripreso da FiscoOggi), il reclamo continua ad applicarsi solo ai ricorsi di valore fino a 50k notificati fino al 3 gennaio 2024. Per i ricorsi notificati dal 4 gennaio in avanti, niente reclamo obbligatorio. In pratica, c’è un vero e proprio spartiacque. Un ricorso spedito il 3 gennaio 2024 su un avviso 2023 segue ancora la vecchia regola (reclamo), ma dal giorno dopo no.
Situazione attuale (2025): La mediazione come istituto obbligatorio è stata archiviata. Ciò risponde all’esigenza di snellire e accelerare il processo tributario, confidando anche in nuove possibilità di conciliazione giudiziale e nel rafforzamento degli organici dei giudici tributari.
E la mediazione facoltativa? Anche se non più obbligatoria, nulla vieta che, in corso di causa, le parti (contribuente e ufficio) trovino un accordo transattivo. Questo avviene mediante la conciliazione giudiziale (art. 48 D.Lgs. 546/92 e seguenti). In primo grado si può conciliare entro la prima udienza o anche dopo, con sanzioni ridotte al 40%, e in appello al 50%. Quindi, anche abolito il reclamo, il contribuente può aprire un dialogo transattivo direttamente in giudizio.
Implicazioni pratiche: Per un avviso di liquidazione ricevuto nel 2025 di importo modesto, ora il contribuente può subito fare ricorso alla Corte tributaria senza dover aspettare 90 giorni di mediazione. Ciò semplifica i passi. Tuttavia, se il contribuente preferisce tentare un accordo, può autonomamente contattare l’ufficio (magari con un’istanza motivata) prima di depositare il ricorso e sondare la disponibilità a una riduzione bonaria. Oppure, può depositare il ricorso e contestualmente proporre conciliazione: molti uffici valutano la conciliazione dopo che il ricorso è stato presentato, per chiudere la lite prima della sentenza.
Resta utile, comunque, preparare i ricorsi come se fossero reclami: cioè esporre chiaramente i fatti e magari aprire alla definizione (es: nel ricorso dire “in via subordinata, si chiede la riduzione delle sanzioni al minimo, etc.”, offrendo uno spiraglio per eventuale accordo).
Conclusione su mediazione: La sezione FAQ finale includerà sicuramente una domanda del tipo: “È ancora obbligatorio il tentativo di mediazione tributaria nel 2025?” – la risposta sarà che no, per i nuovi atti non lo è più, anche se rimane la possibilità di accordi in giudizio.
Il Ricorso Tributario (Primo grado)
Entriamo ora nel vivo del contenzioso tributario, ovvero il ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado (nuova denominazione delle ex Commissioni Tributarie Provinciali dal 2023). Questo è lo strumento fondamentale per far valere le proprie ragioni contro l’avviso di liquidazione.
Giurisdizione competente: Le controversie contro avvisi di liquidazione rientrano nella giurisdizione delle Corti di Giustizia Tributaria (CGT), istituite dal D.Lgs. 545/1992 (riformato dalla L.130/2022). La competenza territoriale è della Corte di primo grado nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto (solitamente coincidente con la provincia del contribuente). Ad esempio, se l’avviso proviene dall’Agenzia Entrate – Direzione Provinciale di Milano, competente è la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano.
Requisiti del ricorso: Il ricorso tributario è un atto scritto che deve contenere, a pena di inammissibilità (art. 18 D.Lgs. 546/92):
- Le generalità del ricorrente (nome, CF/P.IVA, residenza o sede legale) e dell’eventuale legale rappresentante (se società).
- L’ente contro cui si ricorre (Agenzia delle Entrate – DP di …).
- L’atto impugnato (tipo di atto, numero/prot., data, e allegare copia).
- I motivi del ricorso, ossia l’esposizione dei fatti e delle ragioni di diritto per cui si chiede l’annullamento/riforma dell’atto. È opportuno suddividere in paragrafi o punti ogni motivo (es. “1) Violazione di legge: decadenza dell’azione accertatrice…”, “2) Eccesso di potere: errore di calcolo…”).
- Le conclusioni, cioè ciò che si chiede al giudice (es: “annullare/ dichiarare nullo l’avviso; in subordine ridurre l’imposta a tot; condannare l’ente alle spese”).
- L’indicazione del valore della controversia (che corrisponde all’importo dell’imposta + sanzioni contestate, al netto di interessi).
- La firma del ricorrente o del suo difensore.
Assistenza tecnica: Per valore della lite fino a €3.000, il contribuente può stare in giudizio da solo (senza difensore). Oltre €3.000, è richiesta l’assistenza di un difensore abilitato (dottore commercialista, avvocato, consulente del lavoro, perito agrario per materie specifiche, ecc.). Nella pratica molti contribuenti si affidano ad avvocati tributaristi o commercialisti per redigere il ricorso e seguire la causa, specialmente in questioni complesse. In caso di difensore, il ricorso va sottoscritto da quest’ultimo e deve essere conferito il mandato (di solito in calce al ricorso c’è la procura alle liti firmata dal cliente).
Notifica del ricorso: Una volta redatto, il ricorso va notificato all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’atto (il “resistente”). Dal 2023, è possibile notificarlo via PEC all’indirizzo PEC istituzionale dell’ufficio destinatario. Questa è la modalità preferibile (rapida, economica). In alternativa, si può notificare a mezzo ufficiale giudiziario o raccomandata a/r, inviandolo alla sede dell’ufficio. La notifica deve avvenire entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o entro il termine prorogato dalla sospensione feriale, se applicabile).
Costituzione in giudizio: Dopo aver notificato il ricorso, entro 30 giorni occorre costituirsi depositando il ricorso (con ricevute di notifica) presso la segreteria della Corte Tributaria. Ormai il processo tributario è telematico: la costituzione si effettua depositando gli atti sulla piattaforma SIGIT (Sistema Informativo della Giustizia Tributaria) in formato PDF con firma digitale. In alternativa, è ancora accettato il deposito cartaceo presso la segreteria (per chi non è obbligato al telematico). Unitamente al ricorso vanno depositati:
- Copia dell’atto impugnato.
- Prova della notifica del ricorso (es. ricevuta PEC accettazione e consegna, oppure ricevuta di ritorno).
- La nota di iscrizione a ruolo (che nel processo telematico è generata automaticamente).
- Versamento del contributo unificato tributario (CUT): è una tassa di bollo dovuta per l’accesso al giudizio, il cui importo dipende dal valore della lite (es: fino a €2.582 valore, €30 di contributo; salendo di scaglioni, fino a €1.500 per liti sopra 200k). La prova di pagamento (F23 o F24 Elide con codice contributo unificato) va allegata.
Procedimento: Una volta iscritto a ruolo, la segreteria assegna un numero di RG (registro generale) e la causa viene affidata a una sezione della Corte tributaria. L’Agenzia delle Entrate si costituisce in giudizio a sua volta depositando un atto di risposta, detto memoria di controdeduzioni, spesso accompagnata dalla documentazione istruttoria. La legge consente all’ufficio di costituirsi fino a 10 giorni prima dell’udienza. Il contribuente può a sua volta depositare eventuali memorie aggiuntive entro certi termini (di solito 30 giorni prima dell’udienza memorie illustrative, 15 giorni prima memorie di replica su eccezioni nuove, ecc., secondo art. 32 D.Lgs. 546/92).
Trascorsi i tempi di scambio memorie, viene fissata un’udienza di trattazione (che può essere pubblica o da remoto, e spesso su richiesta può essere trattata in camera di consiglio senza presenza se le parti lo chiedono). All’udienza, le parti possono svolgere oralmente le proprie argomentazioni (spesso in tributario si deposita tutto per iscritto, l’udienza orale è breve se non ci sono questioni particolari). Dopo l’udienza, i giudici (collegio di 3 membri, oppure giudice monocratico se valore < €3.000 dal 2023) deliberano e emettono una sentenza.
La sentenza di primo grado viene depositata e comunicata alle parti. Può:
- Accogliere il ricorso (annullando totalmente l’atto impugnato).
- Accoglierlo parzialmente (annullamento parziale o rideterminazione del dovuto).
- Rigettarlo (convalidando l’atto).
- Dichiarare il ricorso inadmissibile o improcedibile (in caso di vizi procedurali).
- Compensare o porre a carico di una parte le spese di giudizio (se il contribuente vince, di solito le spese sono compensate o liquidate a suo favore in tot euro; se perde, talvolta viene condannato a pagare un ammontare verso l’Agenzia).
Pronunce tipiche in materia di avvisi di liquidazione: Se il ricorrente ha ragione su motivi procedurali (es. decadenza), la sentenza annulla l’atto per quel motivo e stop. Se aveva ragione in parte sul merito (es. valore accertato eccessivo), la Commissione può rideterminare l’imposta dovuta su un certo valore (funzione cognitoria piena). Oppure può annullare la sanzione mantenendo l’imposta, ecc. Le sentenze devono essere motivate e possono citare giurisprudenza e leggi.
Esempi di motivi di ricorso vincenti, stando alla giurisprudenza:
- Difetto di motivazione: Cassazione ha ritenuto nulli avvisi di liquidazione privi di indicazione della base imponibile e norme.
- Decadenza dei termini: se prova che l’ufficio è decaduto (ad es. avviso prima casa notificato oltre 3 anni dalla violazione), la Commissione annulla l’atto.
- Errata applicazione aliquota: Commissione può accogliere e ricalcolare il dovuto (es. applicare 2% invece di 9% se spettava agevolazione).
- Illegittimità della sanzione: ad esempio, in alcuni casi le Commissioni annullano sanzioni se l’errore era scusabile o per mancanza di colpevolezza (principio generale).
- Questioni di diritto: se l’ufficio ha interpretato male una norma (es. considerato donazione tassabile mentre rientrava in esenzione), il giudice annulla quell’imposta.
Il ricorso tributario è un processo documentale: contano molto le carte (contratti, ricevute, certificati) e la capacità di convincere i giudici con argomenti giuridici solidi. È consigliato citare nelle memorie la giurisprudenza di legittimità a favore (sentenze di Cassazione pertinenti) o precedenti di merito rilevanti, per sostenere le proprie tesi.
Nel prosieguo, vedremo il grado di appello e il ricorso per Cassazione, ma prima presentiamo un fac-simile semplificato di Ricorso tributario.
Fac-simile Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di I grado (ex CTP) – schema esemplificativo:
Ricorso del Sig. XYZ contro Agenzia delle Entrate – DP di _____ avverso avviso di
liquidazione n. ___/2025
**Ricorrente:** Sig. XYZ (C.F. _____), residente in _____, elettivamente domiciliato
in _____ presso lo studio dell’Avv. ABC (C.F. ___), che lo rappresenta e difende in
forza di procura in calce al presente atto (ovvero: che si difende personalmente ai
sensi dell’art. 12 c.5 D.lgs. 546/92 per valore inferiore a €3000).
**Resistente:** Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di _____, Ufficio _____,
indirizzo PEC _____.
**Atto impugnato:** Avviso di liquidazione imposta ______ n. ____ emanato dall’Agenzia
delle Entrate di _____ in data ____ e notificato in data ____ (allegato in copia sub 1).
**Valore della controversia:** €____ (imposta €___ + sanzioni €___, interessi esclusi).
**Fatti in breve:**
- In data __/__/2025 il Sig. XYZ riceveva l’avviso di liquidazione in oggetto, con
cui l’Agenzia delle Entrate richiede il pagamento di €____ per imposta di registro
relativa all’atto ____ registrato il __/__/2020, oltre a sanzione del 30% e interessi
(di dettaglio: imposta €___, sanzione €___, interessi €___).
- L’atto impugnato scaturisce presumibilmente dalla revoca dell’agevolazione “prima
casa” di cui XYZ aveva beneficiato sull’acquisto dell’immobile sito in ____ rogito
del __/__/2020, protocollo registrazione n. ____. L’ufficio motiva l’atto con la
mancata trasferimento della residenza entro 18 mesi (cfr. avviso impugnato).
- Il ricorrente ritiene illegittimo tale avviso in quanto, come si evidenzierà, la
decadenza dall’agevolazione non è in realtà avvenuta: il ricorrente ha trasferito
la residenza nel comune dell’immobile entro i termini di legge (come da certificato
anagrafico), sicché l’imposta agevolata spettava; inoltre l’atto impugnato risulta
comunque notificato oltre il termine di decadenza previsto.
**Motivi di ricorso:**
1. **Violazione di legge – Insussistenza dei presupposti per la revoca dell’agevolazione “prima casa”.**
L’avviso di liquidazione è illegittimo perché emesso in assenza del presupposto impositivo.
In particolare, l’ufficio contesta il mancato trasferimento della residenza entro 18
mesi dall’acquisto, ai sensi della Nota II-bis, art. 1 Tariffa DPR 131/86. Tuttavia
tale circostanza è contraddetta dai fatti: il ricorrente **ha trasferito la residenza
entro il termine**. Si allega il **certificato di residenza** rilasciato dal Comune di _____
(allegato 2), dal quale risulta che il Sig. XYZ ha fissato la propria residenza nel Comune
di _____ in data __/__/2021, quindi entro 12 mesi dalla data del rogito (___ 2020).
Pertanto, il requisito di legge è stato soddisfatto, e l’agevolazione non poteva essere
revocata. L’avviso in oggetto si fonda dunque su un presupposto di fatto **inesistente**.
Esso viola l’art. 1 Nota II-bis DPR 131/86 e l’art. 7 L. 212/2000 (difetto di motivazione
su tale aspetto, non avendo peraltro l’ufficio considerato le risultanze anagrafiche
comunicategli dal Comune).
In diritto, quando il fatto presupposto dell’imposizione manca, l’atto è nullo per
inesistenza del presupposto (cfr. Cass. n. ____/____). Si chiede quindi l’annullamento
dell’avviso.
2. **Violazione dell’art. 76 DPR 131/1986 – Decadenza del potere di accertamento.**
In subordine rispetto al motivo che precede, si eccepisce che l’avviso è stato notificato
oltre il termine decadenziale di legge. Infatti, l’art. 76 del DPR 131/86 prevede che
l’azione di recupero dell’imposta di registro debba avvenire entro **3 anni** dalla
registrazione dell’atto (ovvero dalla scadenza del 18° mese per verificare il requisito
residenziale, come interpretato dalla giurisprudenza: Cass. n. 24488/2023). Nel caso
in esame, l’atto è stato registrato il __/__/2020; il 18° mese successivo scadeva il __/__/2021;
l’ufficio avrebbe dovuto notificare l’eventuale liquidazione entro 3 anni da tale data,
ossia entro il __/__/2024. Al contrario, l’avviso è stato notificato il __/__/2025 (busta
raccomandata con timbro postale in data __/__/2025 – doc.1). Esso è quindi tardivo,
essendo intervenuto oltre i limiti temporali previsti a pena di decadenza.
La decadenza del potere impositivo comporta la nullità dell’atto impugnato. Si richiama
Cass. SS.UU. n. 18574/2005 sul punto generale della perentorietà dei termini di decadenza
tributari.
3. **Eccesso di potere per errore nei calcoli sanzionatori (motivo eventualmente da dedurre se c’è un errore di calcolo).**
*(eventuale ulteriore motivo: ad esempio se l’importo sanzione è mal calcolato o gli
interessi decorrono da data errata, ecc.)*
*(Altri motivi come difetto di motivazione, ecc., se rilevanti.)*
**Provvedimenti richiesti:**
In base a tutto quanto esposto, il Sig. XYZ, come in epigrafe rappresentato, **chiede**
che la Corte di Giustizia Tributaria voglia:
- **In via principale:** annullare integralmente l’avviso di liquidazione impugnato,
perché emesso in carenza dei presupposti e oltre i termini di legge, con ogni conseguenza
di legge.
- **In via subordinata:** ridurre l’imposta e le sanzioni nei limiti di legge qualora
ritenuto dovuto solo un minor importo, e in particolare dichiarare non dovute le sanzioni
per obiettiva condizione di incertezza ovvero ridurle al minimo edittale.
- In ogni caso, con vittoria di **spese di giudizio** a carico della resistente (o,
in subordine, disporsi la compensazione delle stesse).
Si allegano i seguenti documenti:
1. Copia dell’avviso di liquidazione impugnato e busta di notifica.
2. Certificato storico di residenza del Comune di _____ attestante residenza dal __/__/2021.
3. Copia atto di compravendita del ___/__/2020 (estratto) da cui risulta dichiarazione
di intenti prima casa.
4. [Eventuali altri documenti: ricevute, calcoli, giurisprudenza stampata, ecc.]
Luogo e Data: _________
Firma dell’Avvocato _____________ (difensore)
Firma del Contribuente __________ (per conferma mandato)
**Procura alle liti**
Con la presente, il Sig. XYZ nomina e costituisce suo procuratore e difensore l’Avv. ABC
(del Foro di ___), conferendogli ogni facoltà di legge, ivi inclusa quella di conciliare,
rinunciare agli atti, farsi sostituire.
Luogo, Data. Firma XYZ.
(Note: Questo fac-simile è semplificativo e va adattato al caso concreto; ad esempio, se non c’è difensore, si toglie la parte di procura; i motivi vanno calibrati sulle effettive circostanze.)
Come si evince dal modello, è importante esporre chiaramente i fatti e motivi, citare eventuali norme e precedenti (come abbiamo inserito Cass. 24488/2023 sull’interpretazione del termine per residenza).
Una volta depositato il ricorso, seguirà l’iter processuale come sopra descritto. Supponendo di ottenere una sentenza favorevole, c’è la possibilità che l’Agenzia delle Entrate appelli la decisione. Oppure, se la sentenza è sfavorevole, sarà il contribuente a decidere se appellare. Passiamo quindi al grado successivo.
L’Appello (Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado)
Il sistema tributario prevede il doppio grado di merito. La parte soccombente in primo grado (sia esso il contribuente o l’ente impositore) può proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado (ex Commissione Tributaria Regionale). L’appello è un nuovo giudizio mirato a rivedere quanto deciso in primo grado, sia in fatto che in diritto.
Termini e modalità: Il termine per appellare è 60 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado (generalmente la sentenza, una volta depositata, viene notificata dalla parte vittoriosa all’altra per far decorrere il termine breve). Se la sentenza non viene notificata, c’è un termine lungo di 6 mesi dal deposito (in realtà, 6 mesi + eventuale sospensione feriale, secondo l’art. 327 c.p.c. applicabile, anche se la recente riforma potrebbe averlo ridotto a 3 mesi per alcuni casi, ma tendenzialmente 6 mesi). L’appello si propone con atto scritto da notificare alle controparti (in genere via PEC) e successivo deposito in Corte tributaria regionale.
Contenuto dell’appello: L’atto di appello deve indicare:
- La sentenza impugnata (numero, data, giudici, dispositivo).
- Le censure mosse alla sentenza, cioè i motivi di appello: dove si ritiene che la Commissione di primo grado abbia sbagliato. Possono riguardare sia errori di diritto (interpretazione normativa erronea) sia valutazioni di fatto (es: il giudice non ha considerato una prova, o ha male apprezzato i documenti).
- Le conclusioni (cosa si chiede: riformare totalmente la sentenza, annullare l’atto ecc).
L’appellante può chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado se l’esecuzione arrecherebbe grave danno (ad esempio, se l’ufficio vuole riscuotere i 2/3 dopo la sentenza sfavorevole al contribuente, quest’ultimo può chiedere al giudice d’appello di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza, analogamente all’art. 52 D.lgs. 546/92).
Processo di appello: In secondo grado, la trattazione è simile al primo:
- L’appellato (es: contribuente se appella l’ufficio, o l’ufficio se appella il contribuente) deve costituirsi e può depositare controdeduzioni all’appello e anche appello incidentale se ha motivi su cui era rimasto soccombente.
- Si tengono udienze, si scambiano memorie con termini perentori (spesso il D.lgs. 546/92 prevede 60-30-20 giorni prima dell’udienza per scambio memorie in appello).
- La Corte di secondo grado deciderà con sentenza di appello, che confermerà, riformerà o annullerà la sentenza impugnata.
- In appello il giudice può anche dichiarare inammissibile l’appello se privo di motivi specifici o se non supera la soglia di valore (per l’appello non c’è soglia minima, si può appellare qualsiasi valore, a differenza di Cassazione che ha regole per giudizio di piccola entità in alcuni casi, come vedremo).
La riforma del 2022 ha introdotto alcune novità: ad esempio, possibilità in appello di discutere con udienza pubblica solo se richiesto, altrimenti decidono in camera di consiglio, e l’appellabilità di alcune sentenze su sole sanzioni potrebbe essere limitata (bisogna vedere norme transitorie). Ma in generale, c’è sempre il diritto a un secondo grado di merito.
Esecutività e pagamento durante l’appello: Come detto, se il contribuente ha perso in primo grado, l’ufficio può già riscuotere 2/3 delle imposte accertate. Dopo la sentenza d’appello (se conferma la pretesa), l’ufficio potrà riscuotere il residuo. Se invece il contribuente vince in appello (dopo aver perso in primo), l’ufficio dovrà interrompere la riscossione e anzi restituire quanto eventualmente riscosso in più (magari con interessi). Spesso però, se c’è ancora possibilità di ricorso per Cassazione, l’ufficio aspetta a rimborsare in via definitiva finché la causa non è chiusa.
Costo: Anche in appello c’è un contributo unificato da pagare (di importo uguale a quello di primo grado se si appella integralmente, altrimenti proporzionato). E servono motivi specifici: non basta dire “il giudice ha sbagliato”, vanno indicate le parti della sentenza contestate.
Modello di motivi di appello: Ad esempio, se in primo grado il ricorrente aveva eccepito 3 motivi e ne è stato accolto solo uno, l’ufficio in appello contesterà quel motivo accolto, dicendo perché secondo l’Agenzia il giudice ha errato (magari interpretando male i fatti). Viceversa, se il contribuente ha perso, in appello ribadirà i propri motivi sostenendo che la CTR deve valutarli diversamente (e potrebbe aggiungere se del caso nuove circostanze, ma in teoria in appello non si possono produrre nuovi documenti salvo che non fossero reperibili prima; la riforma 2022 ha reso l’appello tributario più simile a quello civile, limitando i “nova”).
Esempio pratico: Nel nostro esempio prima casa, supponiamo che in primo grado il giudice annulli per difetto di residenza. L’ufficio in appello potrebbe sostenere che la residenza non era stata provata adeguatamente o che la decorrenza 3 anni va dal rogito e non dai 18 mesi (questione interpretativa). Sarà la CTR a decidere se la sentenza di primo grado era corretta o da riformare.
Le sentenze di appello sono definitive nel merito, salvo possibilità di ricorso per Cassazione (che è solo su legittimità, quindi su errori di diritto, non su questioni di mero fatto).
Ricorso per Cassazione (Giudizio di Legittimità)
Dopo la sentenza di secondo grado, l’ultima possibilità di impugnazione è il ricorso per Cassazione davanti alla Corte Suprema di Cassazione (sezione tributaria, o Unite se questioni particolari). La Cassazione giudica solo su questioni di legittimità, ossia errori nell’applicazione o interpretazione della legge, vizi di motivazione gravissimi (oggi molto limitato il sindacato sul fatto), o violazioni procedurali.
Termini: Il ricorso per Cassazione va notificato entro 60 giorni dalla notifica della sentenza d’appello. In mancanza di notifica, entro 6 mesi dal deposito (termine lungo).
Chi può ricorrere: È richiesta l’assistenza di un avvocato cassazionista iscritto nell’albo speciale (salvo che l’Agenzia Entrate può farlo attraverso propri avvocati erariali abilitati di diritto). Quindi il contribuente deve incaricare un difensore abilitato alle giurisdizioni superiori (non tutti gli avvocati lo sono, occorre specifica abilitazione). Il ricorso per Cassazione è un atto tecnico, con motivi che devono essere formulati a norma dell’art. 360 c.p.c. e 366 c.p.c.
Motivi di ricorso possibili: ad esempio:
- Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (es: la CTR ha applicato male l’art. 76 DPR 131/86 sulla decadenza).
- Nullità della sentenza o del procedimento (es: mancanza di motivazione, motivazione apparente, vizio di ultrapetizione se il giudice ha deciso oltre i richiesti).
- Omesso esame di un fatto decisivo (questo è un motivo limitato: se la CTR ha completamente ignorato un fatto che avrebbe cambiato l’esito).
- Vizi di giurisdizione (raro in tributario, se avessero portato causa al giudice sbagliato).
Non si può più discutere il merito (ad es, la valutazione se Caio aveva residenza è un fatto: Cassazione non rivede se i giudici di merito hanno correttamente appurato il fatto, se non in caso di omissione clamorosa di prova).
Procedura in Cassazione: Il ricorso va notificato alle controparti e depositato alla Cassazione (telematicamente su SIGIT attualmente, con pagamento di contributo unificato di importo maggiore, es. €2000 per valori oltre 50k, etc.). La controparte può resistere con controricorso entro 60 giorni dalla notifica del ricorso. Dopodiché, la Cassazione fisserà l’esame, spesso in camera di consiglio (cioè senza discussione orale, a meno che una parte non chieda pubblica udienza e la Corte lo conceda).
La Cassazione può:
- Respingerlo (rigettare il ricorso): allora la sentenza d’appello diviene definitiva. Se era a favore del Fisco, il contribuente deve pagare (già lo doveva, magari l’aveva sospeso attendendo Cassazione, ma ora è certo). Di regola condannano il ricorrente soccombente al pagamento delle spese di giudizio di Cassazione.
- Accoglierlo (in tutto o in parte): Se la Cassazione accoglie un motivo, può:
- Cassare con rinvio: annulla la sentenza impugnata e rinvia ad un’altra sezione della Corte di secondo grado (oppure la stessa in diversa composizione) per un nuovo esame coerente con i principi enunciati. Ad es: se Cassazione dice che i giudici di merito han sbagliato sulla decadenza, rinvia a un’altra CTR perché decida tenendo conto che il termine giusto era X.
- Cassare senza rinvio: se la causa è matura per la decisione e non servono ulteriori accertamenti di fatto, la Cassazione può decidere nel merito. In materia tributaria ciò succede quando c’è un solo esito possibile: ad esempio, se accerta che l’atto era decaduto, la Cassazione può direttamente annullare l’atto e fine.
- Dichiarare inammissibile il ricorso: se è formulato male, o se non sussistono questioni di diritto rilevanti. Ad esempio, la Cassazione rigetta motivi di merito spacciati per legittimità.
La Cassazione chiude la vicenda giudiziaria. Dopo la sua decisione:
- Se rimane qualcosa in sospeso (rinvio), si fa il giudizio di rinvio solo su ciò per cui è stata cassata.
- Se ha deciso tutto, la sentenza di Cassazione (o di rinvio successiva) è definitiva.
Giurisprudenza di legittimità recente rilevante:
Nei ricorsi per Cassazione relativi ad avvisi di liquidazione, negli ultimi anni la Suprema Corte ha affermato:
- La conferma del termine decennale di prescrizione dei crediti tributari definitivi (utile da sapere se la domanda di prescrizione viene sollevata).
- Principi sul contraddittorio: su atti di rettifica valori non sempre è obbligatorio contraddittorio preventivo (a differenza degli accertamenti).
- Che la motivazione per relationem dell’avviso è legittima se richiama atti noti al contribuente (es. richiama la dichiarazione di successione stessa) – vedi Cass. ord. 27271/2019 su imposta successione e motivazione (citata da studiocerbone).
- Che in caso di omesso versamento dichiarato non serve avviso bonario (Cass. 5981/2024).
- Su prime case: Cass. 24488/2023 ha chiarito natura perentoria del termine di 18 mesi.
- Cass. 13665/2018 (e altre) su nullità dell’avviso di liquidazione privo di sottoscrizione, poi rimediabile (è stata ritenuta sanabile se il funzionario ha potere di firma, ma quell’atto fu considerato rettificabile).
- Cass. Sez. Unite 2320/2020 su quando è deducibile in Cassazione il vizio di motivazione, ridotto ai soli casi di omesso esame di fatti.
Non elenchiamo qui in dettaglio ogni pronuncia, ma queste linee interpretative sono utilizzate nelle difese.
Esecutività in pendenza di Cassazione: La presentazione di ricorso per Cassazione non sospende l’esecutività della sentenza d’appello. Quindi, se la CTR ha dato ragione al Fisco, in teoria l’Amministrazione può procedere a riscuotere tutto il dovuto, anche se il contribuente ricorre in Cassazione. Il contribuente può chiedere alla CTR (entro la pubblicazione della sentenza d’appello) di sospendere l’esecutività oltre il giudizio di appello in caso di ricorso per Cassazione, ma è una facoltà introdotta da poco e concessa raramente, e comunque cessa dopo 6 mesi. Altrimenti, ci sarebbe solo l’eventuale sospensiva in Cassazione (che è ancor più rara). In pratica, spesso se c’è Cassazione pendente e importi alti, l’Agente della Riscossione cerca di riscuotere (magari con rateazione), perché la sentenza di merito è esecutiva. Se poi in Cassazione il contribuente vince, lo Stato restituisce con interessi.
Fine del processo: Una volta concluso, se il contribuente risulta vincitore, potrà avere diritto al rimborso di quanto eventualmente pagato in eccesso, e le spese di giudizio se riconosciute. Se risulta perdente, dovrà pagare il dovuto (o resta quanto già pagato nelle varie fasi).
Ricapitolando le fasi del contenzioso tributario:
- Ricorso iniziale in CGT I grado (entro 60 gg).
- Eventuale Mediazione (per i ricorsi ante 2024).
- Sentenza CTP/CGT I.
- Appello CGT II (entro 60 gg).
- Sentenza CTR/CGT II.
- Cassazione (60 gg).
- Sentenza Cassazione.
Abbiamo così delineato l’intero iter di difesa giudiziale.
Prima di concludere la parte “tecnica”, dedichiamo qualche parola ai costi e benefici del fare causa: il contribuente deve valutare, con l’aiuto del consulente, se conviene intraprendere il contenzioso. Fattori: importo in gioco, probabilità di vittoria, costi (spese legali, contributi unificati), tempi (una causa tributaria può durare anche 2-3 anni in primo grado, +2 in appello, + altri in Cassazione; nel frattempo gli interessi sul debito corrono). A volte soluzioni come definizioni agevolate (ad es. pace fiscale, rottamazioni) possono intervenire e rendere più conveniente patteggiare una chiusura.
Passiamo adesso a questioni legate a sanzioni e interessi, e poi agli esempi pratici, come richiesto.
Profili Sanzionatori e Interessi
Ogni avviso di liquidazione non si limita a richiedere la sola imposta, ma in genere include anche sanzioni amministrative e interessi. Vediamo quali sono le sanzioni tipicamente applicate, come vengono calcolati gli interessi e quali possibilità esistono per ridurre tali oneri.
Sanzioni amministrative nelle liquidazioni
Le sanzioni tributarie amministrative sono disciplinate in via generale dal D.Lgs. 472/1997 e, per le singole fattispecie, dal D.Lgs. 471/1997 (imposte indirette e IVA) e altre leggi speciali. Nel caso degli avvisi di liquidazione, le sanzioni più frequentemente contestate riguardano:
- Omesso o insufficiente versamento di imposta (art. 13 D.Lgs. 471/97): sanzione pari al 30% dell’importo non versato. Questa è la sanzione standard quando il contribuente non ha pagato nei termini un’imposta risultante da adempimenti (ad es. non ha pagato l’imposta di registro dovuta per un atto, o ha versato meno del dovuto). Negli avvisi di liquidazione l’ufficio applica quasi sempre questa sanzione del 30% sull’imposta recuperata.
- Riduzioni: se il contribuente aveva effettuato un parziale versamento entro scadenza, la sanzione del 30% si riduce proporzionalmente (in pratica 30% sulla parte non versata).
- Se il contribuente paga tramite avviso bonario entro 30 gg, la sanzione è ridotta a 1/3 (ossia il 10%) come visto. Anche in sede di acquiescenza entro 60 gg dall’avviso, si riduce a 1/3 (10%).
- Infedele dichiarazione o occultamento base imponibile: questa non è comune nelle “liquidazioni” poiché, come detto, se c’è occultamento di imponibile di norma si emette avviso di accertamento. Tuttavia, un avviso di liquidazione per imposta di registro su valore dichiarato inferiore al reale potrebbe comportare una sanzione da “infedele dichiarazione” nel registro. In particolare, per l’imposta di registro, l’art. 71 DPR 131/86 prevedeva (prima del 2016) sanzioni dal 100% al 200% dell’imposta evasa in caso di mendacio sul prezzo dichiarato. Con la riforma delle sanzioni nel 2015 (D.Lgs. 158/2015), credo sia stata ridotta: ora generalmente, dichiarazione infedele in tributi indiretti si punisce col 90% della maggior imposta (analogo alle dirette, forse).
- Esempio: se in atto di vendita si è dichiarato €100k ma vero prezzo 150k, l’ufficio liquida imposta su 50k differenza e potrebbe applicare sanzione del 90% su quell’imposta evasa (o una percentuale variabile tra min e max).
- In successioni: se ometti di indicare un bene nell’attivo ereditario, è infedele dichiarazione: sanzione 50%–100% della maggiore imposta (art. 5 co.4 D.Lgs. 471/97).
- Omessa presentazione di dichiarazione: non strettamente in avvisi di liquidazione (sarebbe accertamento d’ufficio, con sanzione molto alta, 120%-240% imposta, min €250). Es: omessa dichiarazione di successione -> sanzione 120% dell’imposta + eventuale penale. Questo però esce dall’avviso di liquidazione standard: quell’accertamento includerebbe sanzione omessa dichiarazione successione.
- Omessa richiesta di registrazione: se un atto soggetto a registrazione in termine fisso non viene registrato, la sanzione è dal 120% al 240% dell’imposta, con minimo €200 (art. 69 DPR 131/86). Tuttavia, in pratica quando scoperto si notifica un avviso di liquidazione per imposta dovuta + sanzione (di solito al minimo 120%). Ci sono riduzioni: se entro 1 anno in ritardo, per ravvedimento è 15% (se tardivo spontaneo), altrimenti 120%.
- Ritardata registrazione: se registri con ritardo inferiore a 30 gg, la sanzione sarebbe 15% (riducibile col ravvedimento a 1/10=1.5% se pochi giorni). Queste situazioni perlopiù emergono con l’avviso bonario contestuale alla registrazione tardiva (che però se uno registra tardivamente paga contestualmente sanzione ridotta).
- Violazioni varie: ad esempio, se il notaio non ha versato le copie, etc., ma non attengono al contribuente.
Nel contesto del quesito utente, i profili sanzionatori da spiegare sono principalmente:
- Omesso versamento = sanzione 30%.
- Differenza emersa da controllo = sanzione 30% (l’amministrazione equipara questo a omesso versamento se il contribuente aveva un obbligo di autoliquidare? Ad esempio su successioni, se calcolano di più, possono dare 30% su differenza).
- Se invece ritengono che c’è stata malafede (es. mendacio): sanzioni più alte (90%).
- Agevolazioni decadenza: la decadenza da “prima casa” è considerata come “beneficio indebito”, sanzionato anch’esso del 30% dell’imposta risparmiata. Infatti, la normativa agevolazione prima casa prevede espressamente la sanzione del 30% in caso di decadenza, come indicato nell’avviso lexplain. Non viene considerata infedeltà (che sarebbe 90%), ma un omesso versamento di quanto dovuto a seguito di decadenza, quindi 30%.
- Cumulabilità: Sanzione edittale unica 30%. Se però un atto contiene più violazioni, potrebbero cumularsi (in tributi vige il cumulo giuridico: una sanzione base aumentata se più violazioni simili).
- Cause di non punibilità: se l’errore è scusabile per incertezza normativa o dovuto a fatti fuori dal controllo, il contribuente può invocare l’esimente dell’“assenza di colpa” (art. 6 D.Lgs. 472/97). In giudizio, a volte le Commissioni annullano le sanzioni per incertezza giuridica (caso tipico: norma poco chiara e successivamente chiarita, il contribuente non può esser sanzionato per quell’ambiguità).
Riduzione delle sanzioni: Recap dei meccanismi:
- Ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97): se il contribuente spontaneamente regolarizza prima di qualunque contestazione, la sanzione del 30% si riduce moltissimo in base al tempo (es. entro 15gg = 0.1% al giorno, entro 30gg = 1.5%, entro 90gg = 1/9 del 30% = 3.33%, entro 1 anno 1/8 = 3.75%, oltre 1 anno 1/7 = ~4.29%, entro termini accertamento 1/6 ≈5%). Il ravvedimento però è esercitabile prima che arrivi l’avviso o comunicazione formale. Dopo aver ricevuto l’avviso, non si può ravvedere quell’omissione perché è già contestata. (Se arriva solo un avviso bonario, tecnicamente il ravvedimento non è più ammesso comunque perché c’è già controllo).
- Definizione agevolata avvisi bonari: come detto, pagare l’avviso bonario entro 30 gg = sanzione 10%.
- Acquiescenza: pagare l’avviso di liquidazione (o accertamento) entro 60 gg senza ricorso = sanzione 1/3 = 10%. Spesso l’atto stesso non dice, ma è di diritto. Nel 2023 c’è stata anche una misura in Legge di bilancio che permetteva di definire avvisi bonari 2019-20 con sanzioni 3% se collegati a covid, ma è situazione particolare (fiscalità emergenziale).
- Mediazione/conciliazione: definire in mediazione o conciliazione riduce la sanzione al 35% del minimo (mediazione), o 40% se conciliazione in primo grado, 50% in appello. Ad esempio, in mediazione la sanzione 30% scende a 10.5%; in conciliazione 40% del 30 = 12%.
- Cumulo giuridico: se ci sono più violazioni formali e sostanziali nello stesso contesto, può applicarsi l’istituto del cumulo con riduzione (questo è tecnico: art. 12 D.Lgs. 472/97).
- Cause di non punibilità: se uno prova di non aver colpa (ad es. perché si è affidato a indicazioni dell’Agenzia poi cambiate, ecc.), il giudice può annullare sanzioni ex art. 6(2) D.Lgs. 472/97.
Interessi
Gli interessi si dividono in:
- Interessi da ritardata iscrizione a ruolo: per le imposte sui redditi e IVA, l’art. 20 DPR 602/73 prevedeva un tasso (oggi non più esistente, integrato con altra norma: in pratica l’Agenzia calcola interessi fino a quando mette a ruolo). Per l’imposta di registro e successione, ci sono specifiche previsioni: l’art. 55 DPR 131/86 prevede interessi moratori dal giorno in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata (tipicamente dalla data dell’atto o dalla scadenza se era rateale) fino alla data di notifica dell’avviso e oltre. Il tasso è quello legale o differenziato? Di solito, per tributi erariali, se non diversamente stabilito, si applica l’interesse legale (che varia di anno in anno: 2.5% per il 2024, 2% per il 2025 come da DM 10/12/2024). Tuttavia, per riscossione a ruolo, il MEF fissa un tasso di interesse di mora (ad esempio, 4% annuo per ruoli 2022, diventato 5%… no vediamo: c’è interesse per ritardata iscrizione: la legislazione recente l’ha fissato intorno al 3.5-4%).
- Interessi moratori su cartelle: se non paghi la cartella entro 60gg, scattano interessi di mora (questi li determina l’Agenzia annualmente in base al tasso BCE +1). Per esempio nel 2023 era attorno al 8% (BCE 4% + 4 punti).
- Interessi nel periodo del contenzioso: Purtroppo, se il contribuente ottiene la sospensione, non maturano interessi di mora per tardato pagamento? In realtà l’obbligo di pagamento è sospeso, quindi non dovrebbe calcolare mora in quell’intervallo. Tuttavia, gli interessi “da ritardata iscrizione” continuano a maturare fino al ruolo effettivo. Diciamo: se alla fine il contribuente risulta soccombente, dovrà comunque pagare gli interessi legali maturati dall’origine fino al saldo.
Aliquote di interesse recenti:
- Interesse legale (utile per calcolare interessi su imposte non pagate spontaneamente): era 0.1% nel 2020, 0.01% nel 2021, poi 1.25% nel 2022, 5% nel 2023? Aspetta, meglio controllare:
- DM 13/12/2021 fissava 1.25% dal 2022,
- DM 13/12/2022 fissava 5% dal 2023,
- DM 11/12/2023 fissava 2.5% dal 2024,
- DM 10/12/2024 fissava 2% dal 2025.
Quindi oscillano.
- Interessi per ritardata riscossione: ad esempio per avvisi bonari, l’Agenzia fissava 3.5% annuo negli ultimi anni.
- Interessi di mora su cartelle: al 2023 erano 8%, ridotti a circa 7% dal 2024 probabilmente, visti i tassi.
Nei nostri contesti, l’importante da dire è:
- L’avviso di liquidazione normalmente porta interessi calcolati fino alla data dell’avviso (c’è un prospetto che indica interessi totali calcolati dal giorno successivo alla scadenza originaria al giorno X). Questi interessi, se l’avviso viene pagato entro 60gg, chiudono lì.
- Se invece si va oltre, dal giorno in cui doveva essere pagato l’avviso (60gg) scattano interessi di mora ulteriori e l’aggio se ruolo.
- Interessi compensativi: se invece il contribuente ha pagato e poi risulta che non doveva, l’amministrazione deve rimborsare con interessi allo stesso tasso (a volte c’è il tasso di interesse per rimborsi fissato, credo coincidente con quello di mora).
- Nessuna sanzione su interessi: le sanzioni non si applicano sugli interessi ma solo sul tributo.
Riepilogo in tabella sanzioni tipiche:
Fattispecie | Sanzione prevista | Norma |
---|---|---|
Omesso/tardivo versamento di imposta | 30% dell’importo non versato (rid. 1/15 per ritardi brevi) | art. 13 D.Lgs. 471/97 |
Decadenza agevolazione “prima casa” | 30% della maggiore imposta dovuta (trattata come omesso versamento) | Nota II-bis art.1, DPR 131/86 (sanz. omessa) |
Dichiarazione infedele (es. valore inferiore) | 90% della differenza d’imposta (range 90-180%) | art. 1 D.Lgs. 471/97 (per imposte dirette; per registro v. art. 71 DPR 131/86) |
Omessa dichiarazione (es. successione non presentata) | 120% – 240% dell’imposta dovuta (minimo €250) | art. 5 c.1 D.Lgs. 471/97 |
Omessa richiesta di registrazione atto | 120% – 240% dell’imposta dovuta (minimo €200) | art. 69 DPR 131/86 |
Registro tardivo (<30gg ritardo) (ravv.) | 15% (ridotto se ravvedimento: es. 1/10=1.5% entro 90gg) | art. 69 DPR 131/86 e art.13 D.Lgs 472/97 |
Omessa dichiarazione di successione tardiva (entro 1 anno) | 60% – 120% dell’imposta (ma se spontaneo ravvedimento entro un anno sanz. ridotta 1/5) | art. 5 c.4 D.Lgs. 471/97 |
Violazioni formali (es. codici tributo errati) | di solito non sanzionate con avviso di liquidazione, l’ufficio le segnala con invito | — |
Questa tabella è indicativa. Nel nostro contesto, è importante evidenziare come il cuore delle sanzioni negli avvisi di liquidazione è quel 30% per omesso pagamento, e come il contribuente possa ridurla se colabora o definisce per tempo:
- Avviso bonario: 10%.
- Autotutela: se l’errore è dell’ufficio, niente sanzione (si annulla).
- Ricorso e vittoria: niente sanzione se l’atto salta.
- Conciliazione: ~12% (40% del 30).
- Mediazione: 10.5% (35% del 30).
- Acquiescenza: 10%.
- Ravvedimento: se il contribuente fa ravvedimento prima di ricevere l’avviso, ad esempio si accorge di non aver registrato un contratto a 10 mesi di ritardo: pagherà imposta + sanzione ridotta a 1/7 del 120% = ~17%. Molto meno di 120%. Quindi ravvedersi prima di essere accertati conviene enormemente.
Interessi – tavola riepilogativa (indicativa):
Tipologia Interesse | Tasso (al 2025) | Decorrenza |
---|---|---|
Interessi “da ritardato pagamento” su imposte (legale) | 2% annuo (dal 2025, era 5% nel 2023) | Dal giorno successivo alla scadenza originaria del pagamento fino alla notifica avviso (per registro, dall’atto; per successione, dopo 12 mesi +90gg dal decesso se autoliquidazione) |
Interessi di mora su somme iscritte a ruolo | ~7-8% annuo (variabile, e.g. 7.5% 2024) | Dal 61° giorno dopo notifica cartella fino al pagamento |
Interessi in caso di rateazione con AE-Riscossione | 3.5% annuo (saggio fissato da AE-R) | Dal mese successivo all’accettazione della dilazione fino alle singole scadenze rate |
Interessi su rimborsi a contribuente | Stesso tasso previsto per il debito (legale se non specificato, 2%) | Dalla data della domanda di rimborso o dal pagamento indebito fino all’erogazione |
Va precisato che:
- Gli interessi semplici (non c’è anatocismo; interessi su sanzioni? Le sanzioni di solito non producono interessi finché non iscritte a ruolo).
- Se la lite dura anni e il contribuente aveva fatto sospendere il pagamento, se poi perde, dovrà gli interessi maturati in quell’anni (perché l’imposta era dovuta fin dall’inizio, solo non esigibile temporaneamente; la sospensione blocca atti esecutivi ma non l’accumulo di interessi legali – c’è dibattito su questo, ma di solito li computano).
- Quando definisci con conciliazione o mediazione, oltre alla sanzione ridotta devi anche pagare gli interessi sul tributo sino a quel momento.
Con ciò abbiamo coperto i profili sanzionatori e gli interessi.
Adesso, come richiesto, procederemo a presentare simulazioni pratiche di casi tipici di avviso di liquidazione: immobiliare, aziendale e successione, per vedere in concreto come applicare tutte queste conoscenze.
Simulazioni Pratiche
In questa sezione proponiamo tre casi pratici distinti che illustrano situazioni reali in cui un contribuente può ricevere un avviso di liquidazione. Ogni simulazione descriverà il contesto, le ragioni per cui l’avviso viene emesso, e le possibili azioni da intraprendere (“cosa fare e come difendersi”) nel caso specifico.
Caso 1: Avviso di Liquidazione in Ambito Immobiliare (Revoca dell’Agevolazione “Prima Casa”)
Scenario: Il Sig. Mario Rossi, nell’anno 2020, ha acquistato un appartamento beneficiando dell’agevolazione “prima casa” (imposta di registro 2% anziché 9%). L’immobile si trova nel Comune Alfa. Mario, al momento del rogito, risiedeva in un altro comune (Beta) e dunque ha dichiarato nell’atto l’impegno a trasferire la residenza nel Comune Alfa entro 18 mesi per non perdere il beneficio. Purtroppo, per varie vicissitudini, Mario non è riuscito a trasferire la residenza entro il termine (doveva farlo entro giugno 2021, ma si è trasferito solo a settembre 2021, quindi con circa 3 mesi di ritardo). Egli non ha comunicato nulla al Fisco pensando che il lieve ritardo potesse essere tollerato.
Avviso di liquidazione ricevuto: Nel marzo 2025, Mario si vede recapitare un avviso di liquidazione dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio territoriale di Alfa. Nell’avviso è indicato che, avendo il contribuente violato le condizioni per la prima casa (residenza non trasferita entro 18 mesi), egli decade dal beneficio. L’ufficio liquida pertanto:
- La differenza d’imposta di registro dovuta: originalmente Mario pagò il 2%; ora deve pagare il 9%. Se il valore dichiarato in atto era, poniamo, €200.000, l’imposta agevolata versata fu €4.000 (2%). L’imposta piena sarebbe €18.000 (9%). La differenza richiesta è quindi €14.000.
- La sanzione del 30% sulla maggiore imposta non versata, ai sensi della nota II-bis (revoca agevolazioni). Nel nostro esempio, il 30% di €14.000 = €4.200.
- Interessi legali calcolati dal giorno dell’atto (2020) sulla differenza d’imposta fino alla data dell’avviso. Supponiamo circa 3 anni di interessi al tasso medio del 2-3%: all’incirca €900 di interessi.
In totale l’avviso riporta dunque circa €19.100 da pagare entro 60 giorni (14.000 + 4.200 + 900).
Analisi del caso: Mario si trova in questa situazione perché non ha rispettato un requisito fiscale. L’Agenzia ha aspettato anche oltre il termine di 18 mesi per vedere se la residenza fosse trasferita; vedendo che a settembre 2021 (termine scaduto a giugno 2021) ciò non era avvenuto, probabilmente ha raccolto i dati comunali e preparato l’avviso. Notiamo che l’avviso arriva nel marzo 2025, quindi quasi 4 anni dopo l’acquisto. Termini: per la decadenza prima casa, il termine di decadenza è dibattuto se 3 anni dal 18° mese (Cassazione propende per 3 anni dal rogito se dal rogito era noto che entro 18 mesi non fu trasferita – che in realtà lo sai solo dopo 18 mesi; comunque l’Agenzia di solito calcola 3 anni dalla scadenza dei 18 mesi). Nel nostro caso, scadenza 18 mesi: giugno 2021, + 3 anni = giugno 2024. L’avviso notificato a marzo 2025 sembrerebbe oltre 3 anni dalla scadenza. Possibile eccezione: l’Agenzia potrebbe sostenere che il termine decorreva dal rogito (marzo 2020 + 3 anni = marzo 2023), ma ciò sarebbe ancora peggio, l’avviso sarebbe ben oltre. Probabilmente l’ufficio ha ritenuto il termine di decadenza non scaduto grazie ad una norma sopravvenuta di proroga Covid (infatti nel 2020-21 ci furono sospensioni dei termini, e inoltre il decreto Cura Italia nel 2020 ha sospeso i termini di notifica degli atti tributari fino al 2020 inoltrato; inoltre ci fu una norma che prorogava il requisito prima casa per chi era ostacolato dal Covid, ma Mario non ne ha usufruito perché lui avrebbe potuto farlo entro fine 2021?). È un dettaglio complesso: ipotizziamo che l’ufficio ritenga l’avviso valido.
Mario ora deve decidere come reagire:
- Verifica dei fatti: Effettivamente Mario non ha rispettato la condizione. Quindi, sul merito fiscale, la decadenza è legittima. Tuttavia, Mario nota due possibili elementi a suo favore:
- Ha trasferito la residenza con soli 3 mesi di ritardo. C’era stata una problematica (es: ritardi burocratici o lavori nell’immobile). Vuole vedere se esistevano normative emergenziali che gli estendevano il termine (durante la pandemia Covid, il legislatore con DL 34/2020 aveva prorogato alcuni termini prima casa, ad es. sospeso dal 23/2/2020 al 31/12/2021 il decorso per chi doveva trasferire residenza. Molto importante: in effetti, il DL 34/2020 art. 24 ha stabilito che i 18 mesi per trasferire residenza, se ricadenti tra il 23/2/2020 e il 31/12/2020, venivano sospesi. Nel suo caso, avendo rogito a marzo 2020, i 18 mesi sarebbero scaduti nel settembre 2021, periodo in parte coperto dall’emergenza Covid. Ci fu un’ulteriore proroga al 31/03/2022 per completare atti prima casa in costruzione).
Mario deve controllare: se la legge emergenziale copriva il suo ritardo, potrebbe non essere decaduto. Supponiamo che fosse sì: es. la sospensione ha spostato il termine al 31 marzo 2022. Mario avendo trasferito a settembre 2021 rientrerebbe. Se così, l’avviso sarebbe infondato. - Termine di decadenza: come notato, l’avviso potrebbe essere tardivo (marzo 2025). Mario dovrebbe calcolare: se la sospensione Covid dei termini di accertamento (prevista dal DL Cura Italia per gli atti non in scadenza nel 2020, c’è stata una proroga di alcuni mesi) può giustificare il ritardo. Potrebbe essersi confuso, quindi potrebbe eccepire la decadenza oltre 3 anni.
- Ha trasferito la residenza con soli 3 mesi di ritardo. C’era stata una problematica (es: ritardi burocratici o lavori nell’immobile). Vuole vedere se esistevano normative emergenziali che gli estendevano il termine (durante la pandemia Covid, il legislatore con DL 34/2020 aveva prorogato alcuni termini prima casa, ad es. sospeso dal 23/2/2020 al 31/12/2021 il decorso per chi doveva trasferire residenza. Molto importante: in effetti, il DL 34/2020 art. 24 ha stabilito che i 18 mesi per trasferire residenza, se ricadenti tra il 23/2/2020 e il 31/12/2020, venivano sospesi. Nel suo caso, avendo rogito a marzo 2020, i 18 mesi sarebbero scaduti nel settembre 2021, periodo in parte coperto dall’emergenza Covid. Ci fu un’ulteriore proroga al 31/03/2022 per completare atti prima casa in costruzione).
- Scelta delle azioni:
- Mario prepara innanzitutto una istanza di autotutela all’ufficio, entro breve, facendo presente che forse rientrava nella proroga Covid per la residenza. Se l’ufficio concorda, annullerebbe l’avviso. Più verosimilmente, l’ufficio potrebbe respingerla sostenendo che la proroga non si applica perché (ad esempio) Mario non aveva fatto richiesta o per ragioni di interpretazione.
- Mario deve decidere se pagare o impugnare. L’importo è rilevante (€19k). Se paga entro 60 gg, sanzione ridotta a 10% (risparmierebbe €2.800 circa, pagando invece €17k totali). Ma se è convinto di avere ragione sul termine, potrebbe non voler pagare così tanto.
- Ricorso: Mario con l’aiuto del suo avvocato propende per presentare ricorso. Motivi:
- Errore di diritto (applicazione norme Covid): l’avviso non avrebbe considerato la sospensione straordinaria dei termini prima casa disposta nel 2020. Mario argomenterà che il suo termine di 18 mesi era sospeso e quindi rispettato.
- Decadenza: l’avviso tardivo oltre 3 anni.
- (Eventualmente) Eccesso di sanzione: potrebbe chiedere clemenza sulle sanzioni, invocando buona fede (ma la legge è chiara qui).
- Mario chiede anche la sospensione dell’atto in pendenza di giudizio, evidenziando che pagare €19k sarebbe per lui molto gravoso (pericolo grave danno).
- Durante il giudizio, l’ufficio potrebbe essere rigido su questa questione, considerata di principio (spesso le revoche prima casa vengono difese).
- Possibile soluzione alternativa: Mario potrebbe, in parallelo al ricorso, cercare di definire la vicenda chiedendo una conciliazione: per esempio, proporre di pagare l’imposta ma non le sanzioni (o sanzione ridotta al minimo). L’Ufficio a volte, soprattutto se ci sono state circolari Covid confuse, potrebbe accettare di togliere le sanzioni (che comunque con conciliazione scenderebbero al 40% del 30% = 12%).
- Se Mario perde il ricorso (cioè il giudice ritiene legittimo l’avviso), dovrà pagare, ma avrà guadagnato tempo (il giudizio magari finisce nel 2026) e potrà comunque chiedere rateazione a quel punto.
Esito ipotetico: Poniamo che in primo grado il giudice tributario accolga in parte il ricorso di Mario: riconosce che per via del periodo Covid il termine di 18 mesi era prorogato di 3 mesi, per cui Mario avendo trasferito in settembre 2021 ha sforato di pochissimo – considerata l’incertezza normativa, la Commissione potrebbe stabilire che non si applicano sanzioni (annullandole per buona fede) ma confermare la differenza d’imposta (perché formalmente il ritardo c’è). Oppure, se convinta dalla legge, annulla completamente l’avviso (dicendo che Mario era nei termini prorogati).
- Se annulla totalmente: Mario vince, non deve nulla e potrà chiedererimborso se aveva pagato qualcosa; l’ufficio magari appellerà, ma intanto la pretesa è caduta.
- Se annulla parzialmente (ad esempio toglie sanzioni): Mario dovrà pagare l’imposta €14k più interessi, ma risparmia €4.2k sanzioni.
- Se Mario perde, valuterà l’appello (specialmente se rimane la questione decadenza: su quello Cassazione ha posizioni che vanno a favore del contribuente, e su Covid pure c’erano norme).
In sintesi, consigli per Mario (prima casa):
- Verificare normative eccezionali che potrebbero salvarlo.
- In caso negativo, cercare un accordo o definizione con sanzione ridotta.
- Se contesta, preparare documenti (certificati residenza, norme emergenziali).
- Prestare attenzione al termine di impugnazione: 60 gg, magari prorogato da agosto.
- Valutare costo del contenzioso vs. beneficio: (€4.2k di sanzioni sono la parte penalizzante, più interessi).
- Se la questione è solo il ritardo senza scusanti, può considerare di pagare con sanzione ridotta a 10% (risparmiando 2/3 della sanzione) e chiudere.
Questa simulazione evidenzia che nel campo immobiliare uno scenario molto comune è proprio la revoca delle agevolazioni prima casa. Altre situazioni immobiliari pratiche:
- Avviso per imposta catastale/ipotecaria integrativa: es. Mario compra da impresa con IVA agevolata, poi l’ufficio contesta l’agevolazione e chiede ipocatastali in più (capita raramente).
- Donazione: se uno ottiene agevolazione prima casa su donazione e poi rivende prima di 5 anni senza riacquisto, parimenti decadrebbe e avviso simile.
- Locazioni: qui scenario diverso (vedi caso 2 o 3).
Passiamo ora a un caso aziendale.
Caso 2: Avviso di Liquidazione in Ambito Aziendale (Liquidazione automatizzata IRES/IVA per errore di versamento)
Scenario: La società “Alfa S.r.l.” presenta nel 2024 la dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2023, evidenziando un debito IRES di €50.000. Tuttavia, a causa di un errore del loro addetto contabile, nel modello F24 di saldo IRES viene digitato erroneamente un importo di €45.000 invece di €50.000. Dunque la società paga €5.000 in meno di quanto dichiarato. Analogamente, nella dichiarazione IVA 2023 risulta un debito di €20.000, ma in compensazione la società sbaglia un codice tributo e versa solo parzialmente (supponiamo mancano €3.000).
La società non si accorge dell’errore nei versamenti. In assenza di errori materiali nella dichiarazione, qui si tratta di omessi versamenti di imposte dichiarate.
Avviso bonario ricevuto: Nel luglio 2025, l’Agenzia delle Entrate – Centro Operativo invia alla società Alfa S.r.l. due comunicazioni di irregolarità (cosiddetti avvisi bonari) a seguito del controllo automatizzato ex art. 36-bis DPR 600/73 e 54-bis DPR 633/72:
- Una comunicazione per IRES 2023: riscontra €5.000 di imposta non versata. Richiede il pagamento di €5.000 + interessi (dal 16/6/2024, supponiamo ~€150) + sanzione ridotta del 10% (1/3 di 30%, quindi €500). Totale circa €5.650.
- Una comunicazione per IVA 2023: imposta €3.000 omessa + interessi (dal 16/3/2024, modesti, €50) + sanzione 10% = €300. Totale ~€3.350.
Entrambe le comunicazioni concedono 30 giorni per pagare le somme indicate con il beneficio della sanzione ridotta, oppure per segnalare eventuali dati se la società non concorda.
Come procedere: La società Alfa, tramite il suo consulente, analizza le comunicazioni:
- Si rende conto che effettivamente c’è stato l’errore nei versamenti IRES e IVA. Quindi, le comunicazioni sono corrette. Non ci sono elementi da contestare sul merito: la società deve quei soldi.
- Il consulente spiega che se la società paga entro 30 giorni, la sanzione sarà solo del 10%. Se ignorano, dopo i 30 giorni l’Agenzia iscriverà a ruolo gli importi con sanzione piena 30%.
- L’azienda ha liquidità sufficiente e vuole evitare guai e sanzioni più alte.
Azione intrapresa: Entro il termine di 30 giorni (agosto 2025), Alfa S.r.l. effettua il pagamento di entrambe le somme richieste, tramite modello F24 con gli appositi codici indicati nella comunicazione. Contestualmente, tramite il canale telematico CIVIS, il commercialista comunica all’Agenzia che il pagamento è stato eseguito e chiede conferma dell’avvenuta regolarizzazione.
Effetti: Pagando tempestivamente l’avviso bonario:
- La società ha definito la sua posizione senza incorrere in un atto successivo impugnabile. Infatti, la comunicazione di irregolarità in sé non era un atto impugnabile, ma se non avesse pagato entro 30 gg, l’importo sarebbe stato iscritto a ruolo e notificata una cartella di pagamento, che la società avrebbe potuto impugnare (ma senza reali motivi, essendo colpevole dell’omesso versamento).
- La sanzione applicata resta quella ridotta (10%) invece del 30%. Ciò le ha fatto risparmiare: sul caso IRES, evitare €1.000 di sanzione aggiuntiva; sul caso IVA, evitare €600 aggiuntivi. Totale ~€1.600 risparmiati in sanzioni.
- Non saranno dovuti ulteriori interessi di mora né aggio di riscossione, poiché definito prima del ruolo.
Possibilità alternativa: Se la società avesse avuto difficoltà a pagare immediatamente, c’era la possibilità di chiedere all’Agenzia la rateizzazione dell’avviso bonario in 8 rate trimestrali (essendo €5k+3k=8k totale, >€5k consente fino a 8 rate). In tal caso, avrebbe dovuto presentare istanza entro 30gg. Avrebbe pagato la prima rata e poi le successive con interessi di rateazione (3.5% annuo). Dato che aveva liquidità, Alfa ha preferito estinguere subito.
Conclusione del caso: Questo scenario evidenzia come in ambito aziendale:
- Molti avvisi di liquidazione (o meglio comunicazioni) derivano da controlli automatizzati delle dichiarazioni. Non sono vere e proprie contestazioni di evasione, ma rettifiche di errori di versamento.
- La via migliore è quasi sempre sanare subito per sfruttare le sanzioni ridotte (che sono notevolmente più basse di quelle “ordinarie”).
- Solo se la società avesse ritenuto che la comunicazione fosse sbagliata (es: un pagamento non associato) avrebbe dovuto reagire diversamente: in quel caso, si poteva segnalare l’errore tramite CIVIS allegando prova del pagamento. Se l’Agenzia l’avesse riconosciuto, avrebbe annullato la comunicazione (in autotutela). In mancanza, la società avrebbe potuto attendere la cartella e poi impugnarla dimostrando di aver pagato.
- Poiché qui l’errore era della società, pagare è stata la scelta giusta.
Ulteriore sviluppo ipotetico: Supponiamo che Alfa S.r.l., per errore interno, non avesse visto in tempo le PEC contenenti gli avvisi bonari (magari la casella PEC era piena o trascurata). Trascorsi i 30 gg, a fine 2025 le sarebbero arrivate due cartelle di pagamento dall’Agente Riscossione: una per €5k imposta + €1.500 sanzione (30%) + interessi legali fino al ruolo + aggio; l’altra per €3k + €900 sanzione + interessi + aggio. Totali più alti. A quel punto:
- Se Alfa avesse realizzato l’errore, avrebbe comunque dovuto pagare (magari chiedendo rateazione all’Agente se in difficoltà). Non avrebbe convenienza a fare ricorso, perché la ragione è del Fisco e ormai ha perso lo sconto sanzioni.
- Avrebbe pagato ~€5k+€1.500+ spese e €3k+900+ spese = circa €10k totali, contro i €9k che ha pagato definendo subito. E in più con l’aggio del riscossore ~3%, un aggravio di qualche centinaio di euro. Non catastrofico, ma uno spreco di denaro evitabile.
Lezione: Le aziende devono monitorare attentamente le comunicazioni del Fisco (casella PEC, cassetto fiscale). Spesso la difesa migliore è la prevenzione: regolarizzare entro i mini termini, fare ravvedimento operoso prima possibile. Se ci sono dubbi su una comunicazione, consultare subito il commercialista e se l’ufficio ha torto, farlo presente tramite gli strumenti messi a disposizione.
Passiamo al terzo caso, in materia di successioni.
Caso 3: Avviso di Liquidazione in Materia di Successione Ereditaria
Scenario: La Sig.ra Anna Bianchi eredita nel 2022, assieme a suo fratello, il patrimonio del padre defunto. Presentano regolarmente la dichiarazione di successione a settembre 2022, indicando i beni: un appartamento di valore catastale (calcolato con rendita) pari a €150.000 e un conto corrente di €50.000. Alla presentazione, versano con F24 le imposte ipotecaria e catastale (2%+1% sul valore immobile) e l’imposta di bollo. L’imposta di successione, però, non viene liquidata e pagata da loro, perché, in base alle regole, l’ufficio deve calcolarla: essendo figli, hanno franchigia €1.000.000 a testa, per cui su quei €200.000 totali ereditati non dovrebbe esserci imposta successione (150k+50k diviso 2 = €100k ciascuno, sotto franchigia).
Tuttavia, l’immobile ereditato è una casa di pregio in centro storico; il valore catastale usato (150k) è molto inferiore al valore di mercato (€500.000 stimato). L’Agenzia delle Entrate esamina la dichiarazione e decide di effettuare un accertamento di valore: ritiene che il valore dell’immobile ai fini dell’imposta di successione sia €500.000 (invece di 150k). Poiché con quel valore, l’asse ereditario totale salirebbe a €550.000, comunque sotto 1.000.000 a testa (275k ciascuno). Quindi imposta di successione rimane zero (franchigia non superata). Tuttavia, l’imposta ipotecaria e catastale vanno ricalcolate: queste imposte infatti in successione si pagano sul valore effettivo dei beni immobili, non sul catastale se l’ufficio rettifica. E si applica il 2%+1% su tale valore.
Avviso di liquidazione ricevuto: Nel giugno 2024, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio territoriale invia ad Anna e al fratello un avviso di liquidazione avente ad oggetto:
- Maggiore imposta ipotecaria dovuta: calcolata sul nuovo valore €500.000 invece di 150k. Imposta ipotecaria 2% di 500k = €10.000, meno quanto pagato (2% di 150k = €3.000) = differenza €7.000.
- Maggiore imposta catastale: 1% di 500k = €5.000, meno pagato (1% di 150k = €1.500) = differenza €3.500.
- Sanzione: qui l’ufficio applica la sanzione per infedele dichiarazione (valore inferiore dichiarato). In passato sarebbe stata 100-200% della differenza di imposta. D.lgs. 472/97 e 471/97 credo abbiano portato a 90%. Supponiamo applichino il 90% delle maggiori imposte ipocatastali dovute. Le maggiori imposte totali sono €10.500, il 90% = €9.450 di sanzioni. (Anche se alcune prassi considerano queste sanzioni non dovute se l’errore valore è in buona fede? Non credo, per imposte di registro/successione c’è sanzione).
- Interessi: calcolati dal giorno di apertura della successione (2022) sulle imposte dovute sino al 2024 (circa 2 anni): su €10.500 a 1-2% annuo ~ €210.
Totale avviso: €7.000+3.500+9.450+210 = €20.160 circa, da versare entro 60 gg in solido tra i coeredi (solitamente notificato a entrambi, con obbligo solidale).
Ragioni dell’ufficio: L’ufficio motiva che il valore dell’immobile, in base a perizia dell’OMI (Osservatorio Mercato Immobiliare) e alle caratteristiche (immobile signorile), viene stimato in €500.000; che la dich. successione era quindi infedele in valore; liquida imposte ipocatastali sulla base reale (3% tot), e sanziona la differenza come da art. 11 c.1 D.Lgs. 347/90 o disposizione simile (qui bisognerebbe vedere norma, ma assumiamo 90%).
Come può difendersi Anna:
- Verifica delle valutazioni: Anna pensava correttamente che l’imposta di successione fosse zero comunque, quindi ha indicato il valore catastale (che è prassi comune, spesso per evitare valutazioni costose). La legge però consente all’ufficio di accertare valore per recuperare imposte ipocatastali, come sta facendo.
- Il valore stimato 500k può essere considerato eccessivo? Forse Anna ritiene che il mercato reale fosse €400k. Potrebbe essere in disaccordo con l’OMI.
- Opzioni di definizione: In queste situazioni, era previsto (in passato) che il contribuente potesse evitare il contenzioso facendo adesione sul valore: c’era l’istituto dell’“Accertamento con adesione sui valori” per registro e successione, con sanzione ridotta a 1/3 o addirittura 1/6. Non so se esista ancora formalmente per successione (credo di sì, art. 16 DLgs 218/97 si applica anche qui). L’avviso inviato è già l’atto finale; Anna però entro 60 gg può chiedere adesione: questo sospenderebbe 90gg e porterebbe a negoziare il valore.
- Se Anna non fa nulla o non trova accordo, può fare ricorso. Nel ricorso punterà su:
- Eccesso di valutazione: l’immobile secondo lei vale al più €400k, non 500k. Dovrà magari produrre una perizia di parte (spesso i contribuenti fanno fare perizia giurata).
- Sanzione iniqua: lei non ha tratto vantaggio fiscale, perché comunque sotto franchigia, e si è attenuta al valore catastale (che per legge viene usato in molte imposte, come registro per vendite tra privati: qui però quell’opzione di usare catastale non era formalmente prevista per successioni, è prassi). Potrebbe chiedere l’annullamento o la riduzione delle sanzioni per obiettiva incertezza (molti credono che in successione basti indicare catastale). Cassazione, peraltro, ha affermato che nell’imposta di successione non c’è obbligo di motivare l’avviso sul perché il valore è diverso (hanno detto che l’avviso basta riporti il ricalcolo, è sufficiente).
- Motivazione: verificherà se l’avviso contiene la base imponibile e norma. Se fosse generico (“pagamento imposta principale dovuta per pagamento tardivo”, come citava studiodinardo), potrebbe eccepire nullità per difetto di motivazione.
- Tentativo di mediazione (se fossimo prima del 2024): l’importo 20k è <50k, quindi se fosse 2023 andrebbe in reclamo/mediazione. In cui l’ufficio potrebbe offrire uno sconto sanzioni (es: ridurre sanzione al 35%).
- Conciliazione giudiziale: se in contenzioso, potrebbero accordarsi su un valore di compromesso, es: 450k, e sanzione ridotta al 40%. Anna pagherebbe imposte su 450k (13.500 ipocatastali totali, già 6k pagati, altri 7.5k) e sanzione 40% di 7.5k = 3k. Totale circa 10.5k più poco interessi. Meglio di 20k.
Cosa fa Anna:
- Presenta istanza di accertamento con adesione entro 60 gg dalla notifica (questo congela i termini ricorso per 90gg). Nell’istanza chiede un incontro per discutere il valore.
- Durante l’adesione, porta una perizia di un tecnico che stima l’immobile €420.000 tenendo conto di alcuni difetti (es: bisogni di ristrutturazione).
- L’ufficio potrebbe mediare un po’: propone 470k come compromesso. Se Anna accetta, formalizzano l’adesione con valore 470k:
- Imp. ipotecaria 2% di 470k = 9.400 (pagato 3.000, differenza 6.400).
- Imp. catastale 1% = 4.700 (pagato 1.500, diff. 3.200).
- Sanzione ridotta: nell’adesione, le sanzioni per valore credo scendano a 1/3 (o addirittura 1/4 se prima del 2015 c’era 1/4? Diciamo 1/3 di 90% = 30%). Quindi 30% su (6.400+3.200=9.600) = €2.880.
- Interessi su differenze (trascurabili variaz. per un po’).
- Totale circa: 6.400+3.200+2.880 = 12.480 + int.
Questo sarebbe l’esito adesione.
- Anna confronta: adesione 12.5k vs avviso originario 20.1k. Un bel risparmio, soprattutto di sanzioni. Decide di aderire. Firma l’accordo.
- Poi paga (di solito 1/3 subito e può rateizzare fino 8 rate trimestrali le restanti, se >€50k; qui 12k magari può fare 4 rate).
- Caso chiuso, non c’è contenzioso.
Se invece l’adesione non andasse a buon fine (ufficio arroccato su 500k), Anna farebbe ricorso. Potrebbe ottenere dal giudice magari un valore di compromesso attorno a 450-480k (il giudice può nominare CTU per stimare). Però il contenzioso è lungo e costoso (CTU si paga).
- In sentenza, se giudice dimezza la sanzione o la toglie considerando che l’attivo ereditario comunque non generava imposta, potrebbe succedere (a volte c’è indulgenza).
- Ma c’è rischio che il giudice confermi l’ufficio.
Sintesi per il contribuente in caso successione:
- Indicare valori reali conviene per evitare questi problemi, ma spesso per minor imposte ipocatastali si dichiara catastale. È una scelta consapevole di molti: sanno che se l’ufficio controlla, dovranno pagare differenza + sanzione; ma confidano che di rado controllano. Quando succede, tocca pagare o transare.
- L’adesione è uno strumento utile: conviene usarlo in casi di valore (si risparmia sulle sanzioni).
- Se l’Agenzia avesse notificato in ritardo? Nel nostro caso, la dich. succ. settembre 2022, decadenza era 31/12/2025 (2 anni dal 2022). L’avviso è giugno 2024, entro termine.
- Avvisi di successione spesso arrivano in 1-2 anni.
- L’ufficio a volte notifica l’invito a contraddittorio prima di emettere avviso valore, ma non è obbligato (solo per donazioni e vendite c’è obbligo? Per successioni Cass. ha detto no contraddittorio obbligatorio). In questo caso, sembra l’abbiano mandato direttamente.
Abbiamo visto tre casi:
- Immobiliare (prima casa) – errore del contribuente su condizione, difesa su decadenza e normative emergenziali.
- Societario (versamenti diretti omessi) – best practice: pagare subito avviso bonario.
- Successione (valore) – tipica questione di valutazione, risolta con adesione o contenzioso sul quantum.
Questi esempi toccano i macro-temi:
- Revoca agevolazioni e relative sanzioni.
- Controlli automatizzati su dichiarazioni di redditi/IVA.
- Accertamento di valore su atti.
Ora, le linee guida chiedevano anche:
- Offrire modelli di atti: li abbiamo messi (autotutela, ricorso, e manca istanza di sospensione).
- Tabelle: le abbiamo incorporate per sanzioni e termini.
- Sezione FAQ: da fare.
Proseguiamo con i modelli di atti (ricorso e autotutela già presentati), aggiungiamo istanza di sospensione.
Fac-simili di Atti Difensivi (Autotutela, Ricorso, Istanza di Sospensione)
In questa sezione forniamo esempi di modelli per tre atti utili nella gestione degli avvisi di liquidazione:
- Istanza di Autotutela (richiesta di annullamento/rettifica all’Agenzia delle Entrate).
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado (ex ricorso CTP).
- Istanza di Sospensione dell’atto impugnato (da presentare al giudice tributario unitamente al ricorso, quando il pagamento immediato arrecherebbe grave danno).
Questi fac-simili vanno adattati al caso specifico, ma possono servire da guida sulla struttura e il contenuto.
(NB: I modelli sono in lingua italiana formale, trattandosi di atti giuridici. È importante verificare sempre le norme aggiornate e gli indirizzi competenti prima di utilizzarli.)
Fac-simile Istanza di Autotutela
(Esempio: errore materiale nell’avviso di liquidazione)
Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di [Nome Provincia]
Ufficio [Nome Ufficio]
PEC: [pec dell’ufficio]
Oggetto: **Istanza di autotutela per annullamento/rettifica Avviso di Liquidazione n. ___**
notificato il __/__/2025 al Sig. __________ (C.F. __________)
Il sottoscritto ________, Codice Fiscale __________, residente in __________ (____),
recapito tel ________, in qualità di destinatario dell’avviso di liquidazione in oggetto,
**premette che:**
- In data __/__/2025 ha ricevuto la notifica dell’Avviso di Liquidazione n. ____,
emesso dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di ________, relativo a __________
(indicare brevemente: “imposta di registro annualità 2023 contratto di locazione”,
oppure “imposte ipotecarie successione di ___” ecc.).
- Dall’esame dell’atto impugnato risultano elementi che appaiono **erronei**. In
particolare, si rileva che ____________________________________________________
(descrivere l’errore: ad es. “l’avviso richiede un pagamento già effettuato in data ____,
come da ricevuta che si allega”; oppure “è stata applicata indebitamente l’aliquota
del 9% anziché quella del 2% prevista per legge”; oppure “il calcolo contiene un evidente
errore aritmetico nell’addizionare gli importi”, ecc.).
- Tale errore è documentalmente provato e riconoscibile, come meglio illustrato di
seguito.
**Considerato**
che l’errore sopra evidenziato incide sulla legittimità e correttezza dell’atto, il
quale risulta emesso in carenza di presupposto/ in violazione di legge / per evidente
errore di fatto (specificare), e ritenuto che l’Amministrazione finanziaria può
provvedere in via di autotutela all’annullamento o rettifica di atti manifestamente
erronei o illegittimi (ai sensi dell’art. 2-quater, D.L. 564/1994, convertito in L. 656/1994
e succ. modd., nonché della Circolare AE n. 198/1998),
**chiede**
che codesto Ufficio voglia riesaminare l’avviso di liquidazione n.___/2025 e
procedere al suo **annullamento in autotutela**, in quanto emesso sulla base di un
presupposto inesistente / di un errore di calcolo / in violazione della normativa vigente
(specificare), come di seguito dettagliato:
- _______________________________________________________________________________
(spiegare brevemente perché l’atto è sbagliato: es. “L’ufficio ha liquidato imposta
di registro come se l’immobile non avesse requisiti prima casa, mentre tali requisiti
erano stati riconosciuti - v. atto notarile allegato. Pertanto nulla è dovuto.”
Oppure: “È stato già versato l’importo X il __/__/2024 con F24: si allega quietanza,
dunque l’avviso duplicherebbe un pagamento già eseguito.”).
- _______________________________________________________________________________.
**Documenti allegati** (a supporto dell’istanza):
1. Copia dell’Avviso di Liquidazione n.___ notificato il __/__/2025.
2. Documentazione probatoria dell’errore (ricevuta F24 pagamento, copia atto, calcoli,
ecc.).
3. [Eventuale] Copia documento d’identità del istante (se inviato via PEC non serve).
In attesa di un cortese riscontro, si rimane a disposizione per eventuali chiarimenti
o integrazioni. Si chiede gentilmente che l’esito della presente istanza (annullamento
totale/parziale dell’atto o mancato accoglimento) venga comunicato al sottoscritto
all’indirizzo ____________ oppure via PEC all’indirizzo _____________.
Luogo e data: _____________
Firma: _____________________
(Note: inviare preferibilmente via PEC, conservando le ricevute. L’istanza non sospende i termini per ricorrere: se il termine dei 60 gg sta per scadere ed ancora non vi è risposta dall’ufficio, conviene comunque presentare ricorso.)
Fac-simile Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado
(Esempio: ricorso contro avviso di liquidazione imposta di registro)
Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di I grado di [Provincia competente]
Ricorrente: Sig. ______________ (C.F. _______________), residente in ___________,
via __________ n.__, PEC ___________; elettivamente domiciliato presso e difeso
dall’Avv. ______________ (C.F. _______________) del Foro di _________, PEC ___________,
come da procura alle liti in calce (ovvero: “il quale si rappresenta da sé ai sensi
dell’art. 12, c.5 D.Lgs. 546/92” se valore < €3000).
Resistente: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di __________, Ufficio ________,
indirizzo PEC ______________.
**Atto impugnato:** Avviso di Liquidazione n. ____ emesso il __/__/2025 dall’Agenzia
delle Entrate – DP _____, Ufficio _____, e notificato al ricorrente il __/__/2025,
relativo a imposta di registro su atto di compravendita immobiliare registrato in data __/__/2020.
(Copia dell’atto impugnato si allega sub 1).
**Valore della controversia:** € __________ (importo di imposte/sanzioni richieste).
**Fatti di causa:**
Il ricorrente in data __/__/2020 stipulava atto di compravendita immobiliare registrato
con n.____, usufruendo delle agevolazioni “prima casa” (imposta registro 2%).
Con l’avviso impugnato (notificato in data __/__/2025) l’Agenzia delle Entrate ha
contestato la **decadenza dall’agevolazione** suddetta, assumendo che il ricorrente
non avrebbe trasferito entro 18 mesi la residenza nel Comune dell’immobile. Di
conseguenza, l’Ufficio ha liquidato la differenza d’imposta di registro (€ ___)
oltre sanzione del 30% (€ ___) e interessi, per un totale di € _____.
Tuttavia, tale avviso risulta illegittimo e infondato per le ragioni che seguono.
**Motivi di ricorso:**
1. **Insussistenza della violazione – Rispettati i requisiti “prima casa” (art. 1 nota II-bis Tariffa DPR 131/86).**
L’assunto dell’Ufficio secondo cui il ricorrente non avrebbe trasferito la residenza
nel Comune entro 18 mesi è **fattualmente errato**. Il ricorrente difatti ha fissato
la propria residenza nel Comune dell’immobile (Comune di _____) in data __/__/2021,
come da certificato anagrafico allegato (doc. 2). Ciò è avvenuto entro il termine
di 18 mesi decorrenti dal rogito (avvenuto il __/__/2020). Dunque il requisito richiesto
dalla Nota II-bis) è stato soddisfatto. L’avviso impugnato si basa probabilmente su
informazioni anagrafiche non aggiornate, oppure su un computo del termine erroneo
(non considerando la sospensione dei termini durante l’emergenza Covid nel 2020-21
disposta dall’art. 24 DL 23/2020, che ha prorogato di fatto il termine di trasferimento
di residenza:contentReference[oaicite:115]{index=115}). In ogni caso, il presupposto della decadenza **manca**,
sicché l’avviso è privo di fondamento. Esso vìola l’art. 1 della Tariffa, Nota II-bis
DPR 131/86, non ricorrendo alcuna delle cause di decadenza ivi previste.
2. **Violazione dei termini di decadenza – art. 76 DPR 131/1986.**
L’avviso di liquidazione risulta notificato oltre il termine decadenziale previsto
dall’art. 76 del DPR 131/86. La norma stabilisce che l’imposta di registro dovuta
a seguito di decadenza dalle agevolazioni deve essere richiesta, a pena di decadenza,
entro **3 anni** dalla scadenza del termine di 18 mesi per stabilire la residenza.
Nella fattispecie, il termine di 18 mesi scadeva il __/__/2021; aggiungendo tre anni
si giunge al __/__/2024. L’avviso è stato invece notificato solo il __/__/2025,
quando ormai l’azione erariale era decaduta:contentReference[oaicite:116]{index=116}. Pertanto l’atto è
tardivo e va annullato per intervenuta decadenza del potere impositivo, ai sensi
dell’art. 76 citato. Si richiama giurisprudenza di legittimità che conferma
l’applicazione rigorosa dei termini decadenziali nelle agevolazioni prima casa
(v. Cass. ord. n. 24488/2023):contentReference[oaicite:117]{index=117}.
3. **Eccesso di potere e illegittimità della sanzione del 30%.**
In via subordinata rispetto ai motivi precedenti, si contesta l’irrogazione della
sanzione amministrativa del 30% ex art. 13 D.Lgs. 471/97. Nella specie, il ricorrente
ha fatto affidamento sulla normativa emergenziale che – come da circolari dell’Amministrazione
– aveva sospeso i termini per trasferire la residenza durante la pandemia. L’eventuale
ritardo (comunque insussistente) sarebbe stato dovuto a causa di forza maggiore
(ritardi burocratici negli uffici demografici). Sussistono quindi i presupposti
dell’**errore scusabile** e dell’assenza di colpevolezza del contribuente (art. 6,
comma 5, D.Lgs. 472/97). Pertanto, anche qualora fosse riconosciuta la decadenza
dall’agevolazione, la sanzione del 30% andrebbe annullata o quantomeno ridotta al
minimo edittale per la particolare situazione di incertezza normativa e fattuale.
Si richiama ad esempio Cass. n. ____/____ sulla non punibilità in caso di obiettiva
incertezza.
*(Eventuali ulteriori motivi...)*
**Per tutto quanto sopra esposto, il ricorrente chiede** che la Corte di Giustizia
Tributaria adita voglia:
- in via principale, **annullare integralmente** l’avviso di liquidazione impugnato
per insussistenza della decadenza dall’agevolazione “prima casa” e/o per intervenuta
decadenza del potere di accertamento;
- in via subordinata, annullare o ridurre la sanzione irrogata, nei limiti di legge;
- con vittoria di **spese di giudizio** a carico della parte resistente.
**Documenti allegati:**
1. Copia Avviso di Liquidazione n.___ notif. __/__/2025.
2. Certificato di residenza del Comune di ____ (attestante residenza dal __/__/2021).
3. Copia dell’atto di compravendita del __/__/2020 (estratto).
4. [Eventuali] Copia circolare Agenzia Entrate n.___/2020 (sospensione termini Covid).
5. Copia ricevuta versamento contributo unificato €___.
Luogo e data: _____________
Firma Avv. ________________ (difensore)
Firma del ricorrente ________________ (per conferma procura)
**Procura alle liti**
Il sottoscritto Sig. ____________, C.F. ___________, delega e nomina quale suo difensore
tecnico l’Avv. ______________ (C.F. ____________) conferendogli ogni facoltà di legge,
compresa quella di conciliare e transigere la presente controversia. Dichiara di
eleggere domicilio presso il suo studio in __________, via ______ n.___.
Luogo, data __/__/2025.
Firma del delegante: ________________
(Questo modello di ricorso va modificato secondo il caso concreto: i motivi di ricorso e le norme citate varieranno se ad esempio trattasi di successione, locazione, ecc. È fondamentale indicare chiaramente gli estremi dell’atto impugnato e rispettare forma e termini di notifica e deposito.)
Fac-simile Istanza di Sospensione dell’Esecuzione (art. 47 D.Lgs. 546/1992)
(Da presentare alla Corte tributaria insieme al ricorso, in caso di rischio di danno grave dal pagamento immediato dell’avviso)
Corte di Giustizia Tributaria di I grado di _________
Ricorrente: ____________
Resistente: Agenzia delle Entrate – DP ______
**Istanza di Sospensione dell’atto impugnato ex art. 47 D.Lgs. 546/1992**
Il Sig. ____________, ricorrente nel presente giudizio (R.G. n.___/2025) avverso
Avviso di Liquidazione n.___ del __/__/2025, rappresentato e difeso come da ricorso,
**premesso** che:
- con il ricorso in oggetto si è impugnato l’Avviso di Liquidazione n.___/2025,
che richiede il pagamento di €________ entro 60 giorni dalla notifica (avvenuta il __/__/2025);
- sono state dedotte serie ragioni di illegittimità dell’atto, tali da far ritenere
sussistente il **fumus boni iuris** del ricorso (come esposto nei motivi, cui integralmente si rimanda);
- l’importo richiesto è assai elevato (pari a circa €______, di cui €______ per imposte e €______ per sanzioni) e il ricorrente non dispone delle risorse finanziarie per farvi fronte senza compromettere gravemente la propria situazione economica;
- l’eventuale esecuzione forzata dell’atto (iscrizione a ruolo e atti della riscossione)
nelle more del giudizio causerebbe un **danno grave e irreparabile** al ricorrente,
atteso che __________________________ (descrivere la situazione: es. “il ricorrente è persona fisica pensionata con reddito mensile di €___, un pagamento forzoso
o il pignoramento di tale importo inciderebbero sui mezzi di sostentamento suoi e della famiglia”;
oppure “l’azienda ricorrente versa in situazione finanziaria precaria, un esborso immediato
di €___ ne comprometterebbe la continuità aziendale, come da bilanci allegati” etc.);
- ricorrono pertanto i presupposti sia del **fumus boni iuris** (ossia la fondatezza,
ad un sommario esame, delle ragioni del contribuente) sia del **periculum in mora**
(grave pregiudizio derivante dall’esecuzione dell’atto prima della decisione), richiesti dall’art. 47 D.Lgs. 546/92 per la sospensione,
**tanto premesso**, il ricorrente **chiede** che Codesta Ill.ma Corte voglia:
- **sospendere l’esecuzione** dell’Avviso di Liquidazione n.___/2025 impugnato,
fino alla definizione del giudizio di primo grado, evitando così che il contribuente
sia costretto al pagamento (ovvero subisca iscrizioni a ruolo, fermi o altre azioni esecutive)
prima della decisione sul merito della controversia.
Si allegano, a sostegno del periculum:
1. Documentazione reddituale/patrimoniale del ricorrente (es. dichiarazione redditi,
situazione contabile, attestati medico/assistenza, etc. che evidenzino la situazione di difficoltà).
2. (Eventuale) Piano di rateazione rigettato / comunicazioni con Agenzia Riscossione.
Si confida nell’accoglimento dell’istanza.
Luogo, data: _________
Firma difensore: ________________
(La sospensiva va chiesta motivando bene l’una e l’altra condizione. La presenza di documenti, come dichiarazioni dei redditi, ISEE, bilanci o attestazioni, è cruciale per dimostrare il danno grave da pagamento. L’istanza si può inserire nel ricorso o presentare con atto separato contestualmente. Verrà decisa in Camera di consiglio di solito entro 180 giorni dalla presentazione del ricorso, ma spesso molto prima – circa 30-60 giorni.)
Questi fac-simili servono come modelli di partenza. In pratica, è sempre consigliabile consultare un professionista per l’adattamento ai dettagli specifici.
Tabelle Riepilogative
Di seguito forniamo alcune tabelle che riassumono informazioni chiave riguardo ai termini procedurali, le tipologie di imposte coinvolte e il trattamento sanzionatorio, nell’ambito degli avvisi di liquidazione.
Tabella 1 – Termini di Notifica dell’Avviso di Liquidazione e di Prescrizione
Imposta/Atto | Termine di Decadenza per notifica avviso | Note | Prescrizione del debito |
---|---|---|---|
Imposte sui redditi (IRPEF, IRES) – Avviso accertamento | Dich. presentata: 31/12 del 5° anno successivo; Dich. omessa: 31/12 del 7° anno | (Non specifico per “liquidazione”, ma per eventuale avviso accertamento su redditi) | 10 anni (crediti erariali) |
Controllo automatico IRPEF/IRES (36-bis) – Cartella da liquidazione | Entro 31/12 del 3° anno successivo alla dichiarazione | (Comunicazione irregolarità inviata prima, non perentoria) | 10 anni dal definitivo |
IVA – Accertamento | Stessi termini imposte redditi (5° anno, 7° se omessa) | (Liquidazioni periodiche con comunicazioni; cartella entro 3° anno) | 10 anni (erariali) |
Imposta di registro – atti traslativi | 3 anni dalla richiesta di registrazione (art.76 DPR 131/86) | 5 anni in caso di omesso richiesta registrazione (art.76 c.1-bis) | 10 anni (art.78 DPR 131/86) |
Agevolazione “prima casa” – decadenza | 3 anni dal decorso dei 18 mesi (residenza) o dalla rivendita ante 5 anni | (Cassazione: termine da atto se condizione ex ante mancava) | 10 anni (credito registro) |
Successioni e donazioni – avviso liquidazione imposta | 2 anni dalla presentazione dichiarazione (art.27 c.3 D.Lgs.346/90) | 5 anni se dichiarazione omessa (art.27 c.7) | 10 anni (crediti erariali) |
Successioni – rettifica valore beni | 2 anni dalla presentazione (come sopra, l’avviso liquida maggiore imposta) | (Se dichiarazione 2025, avviso entro 2027) | 10 anni |
Liquidazione automatizzata tributi locali (es. IMU) | 5 anni dall’anno d’imposta (prescrizione quinquennale tributi locali) | (Termini decadenza in leggi locali specifiche) | 5 anni (credito locale)** |
Sanzioni tributarie autonome | 5 anni da violazione (se atto separato) | (art.20 D.Lgs.472/97) | 5 anni (sanzioni, se separate) |
Note: “Decadenza” = termine entro cui l’ufficio deve notificare l’atto, pena nullità. “Prescrizione” = termine entro cui lo Stato deve riscuotere il credito dopo che è definitivo, pena estinzione. Credito erariale (Stato) = 10 anni; credito locale = 5 anni generalmente (IMU/TARI).
Tabella 2 – Tipologie di Imposte e Avvisi di Liquidazione correlati
Tipo di Imposta | Quando avviene la liquidazione | Esempio di avviso |
---|---|---|
IRPEF/IRES (reddituale) | Controllo automatizzato dichiarazione: imposta dichiarata ma non versata, errori di calcolo. | Avviso bonario ex 36-bis DPR 600/73 (non impugnabile) -> cartella se non pagato. |
Addizionali (es. Regionale) | Idem controllo automatico su dichiarazione. | Comunicazione irregolarità, poi cartella. |
IVA | Controllo aut. dichiarazione (difformità versamenti); Liquidazione periodica (LIPE). | Avviso bonario IVA ex art.54-bis DPR 633/72; oppure avviso di accertamento se infedele. |
Imposta di Registro | Su atti registrati: verifica pagamenti (es. annualità locazioni), revoca agevolazioni, rettifica valore. | Avviso di Liquidazione per omesso versamento rata registro locazione; Avviso per revoca “prima casa”; Avviso di rettifica e liquidazione valore. |
Imposta di Successione | Controllo dichiarazione di successione: calcolo imposta dovuta secondo aliquote e franchigie. | Avviso di Liquidazione imposta successione (se > franchigia). Dal 2024 autoliquidazione eredi, avviso solo se differenze. |
Imposte Ipotecaria/Catastale | Su atti (compravendite, successioni): dovute in misura fissa o proporzionale. Ufficio liquida differenze se valore maggiore. | Avviso di Liquidazione imposte ipotecaria/catastale (es. successione con immobile sottostimato -> liquidazione su valore accertato). |
Imposta sulle donazioni | Controllo dichiarazione donazione (se presentata) o valore atti. | Avviso di Liquidazione imposta donazione (rare, spesso accertamento se omessa). |
Imposta di Bollo | Verifica su atti registrati o dichiarazioni soggette a bollo. | Avviso di Liquidazione bollo non versato su istanze. |
Sanzioni (atto separato) | Liquidazione delle sole sanzioni (es. omessa dichiarazione senza imposta) – poco comune come liquidazione separata, di solito avviso di irrogazione. | Provvedimento irrogazione sanzioni (impugnabile). |
Tabella 3 – Sanzioni e Interessi: aliquote e riduzioni
Violazione contestata | Sanzione Ordinaria | Riduzioni possibili |
---|---|---|
Omesso/tardivo versamento imposta (es. registro, IRPEF) | 30% dell’imposta non versata | – Avviso bonario pagato 30gg: 10%.– Acquiescenza (60gg): 1/3 = 10%.– Mediazione/conciliazione: 35% o 40% del 30% = ~10.5%-12%.– Ravvedimento operoso: 1/10 del 30% (3%) entro 30gg; 1/8 (3.75%) entro 90gg; 1/7 (~4.29%) entro 1 anno; 1/6 (5%) oltre 1 anno. |
Infedele dichiarazione (base imponibile inferiore) | 90% della maggiore imposta dovuta (range edittale 90-180%) | – Accertamento con adesione: sanzione ridotta 1/3 = 30%.– Conciliazione: 40% di 90% = 36%.– Ravvedimento (se prima di avviso): riduzione a 1/5 (18%) se entro termini accertamento (per tributi diretti). (N.B.: ravvedimento su infedele possibile solo se integrazione spontanea dich.) |
Omessa dichiarazione (es. successione non presentata) | 120% – 240% imposta (min €250) | – Accertamento con adesione: sanz. 1/3 del minimo.– Ravvedimento spontaneo tardivo: sanz. ridotta a 1/10 del min (12%) se dich. presentata con ritardo ≤30gg; 1/2 del min (60%) se oltre 30gg (art. 13 c.1 D.Lgs.472/97). |
Omessa registrazione atto (non richiesta nei termini) | 120% – 240% imposta (min €200) (art.69 DPR 131/86) | – Ravvedimento entro 1 anno: sanz. 1/6 del minimo (20%) se tardivamente registrato spontaneamente.– Adesione/conc.: riduzioni analoghe a infedele (1/3). |
Agevolazione “prima casa” decadenza | 30% della differenza d’imposta | – Acquiescenza 60gg: sanz. 10%.– Possibile non punibilità se cause forza maggiore (es. salute) – da valutare caso per caso in giudizio. |
Interessi legali dovuti (2025) | 2% annuo (tasso legale dal 1/1/2025) | (3.5% annuo era tasso 2023 per ruoli; var. annua) Nessuna riduzione – interessi dovuti per legge sul ritardo, calcolati giorno per giorno. |
Interessi di mora su cartella | 7.5% annuo (esempio 2024, variabile) | Non riducibili; evitabili pagando entro 60gg dalla cartella (decorrono dal 61° giorno). |
(Le sanzioni non sono cumulabili oltre il 100% dell’imposta salvo recidive. In caso di più violazioni si applica il cumulo giuridico ex art.12 D.Lgs.472/97: sanzione più grave aumentata fino al doppio.)
Queste tabelle offrono un quadro d’insieme di regole e cifre da tenere presenti nel contesto degli avvisi di liquidazione.
Domande Frequenti (FAQ)
D1: Cos’è esattamente un avviso di liquidazione e in cosa differisce da un avviso di accertamento?
R: Un avviso di liquidazione è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate liquida (calcola) un’imposta dovuta su base di atti o dichiarazioni già esistenti e ne richiede il pagamento. Tipicamente riguarda imposte indirette (registro, successione, ecc.) o controlli formali su imposte dirette (esiti automatizzati). L’avviso di accertamento, invece, accerta una maggiore materia imponibile non dichiarata (es: redditi non dichiarati, valori occultati) e determina un’imposta evasa con sanzioni molto più elevate. In pratica, l’avviso di liquidazione parte da dati noti (dichiarati o legali) e ricalcola l’imposta; l’avviso di accertamento scopre nuovi redditi o valori. Entrambi sono atti impugnabili entro 60 giorni, ma l’accertamento comporta tipicamente un contenzioso più complesso sul “merito” (quantificazione del reddito o valore). Un altro differenza: dall’2011 molti avvisi di accertamento (per IRPEF, IRES, IVA) sono “esecutivi”, ossia dopo 60 giorni diventano titolo per il concessionario, mentre l’avviso di liquidazione spesso precede ancora una cartella di pagamento (salvo casi recenti in cui anche le liquidazioni possono essere esecutive).
D2: Ho ricevuto un avviso di liquidazione per una successione/donazione, ma secondo me l’imposta era zero. Devo pagare?
R: L’avviso di solito indica la motivazione. Ad esempio, potrebbe essere che l’ufficio ha ricalcolato un valore di un immobile ereditato/donato più alto di quanto indicato, facendo emergere imposte ipotecarie/catastali aggiuntive o (se superate le franchigie) imposta di successione/donazione. Prima di pagare, verifichi:
- Valori: L’ufficio contesta il valore di qualche bene? In tal caso, può valutare se il valore proposto dal Fisco è realistico. Se ritiene di no, ha due strade: chiedere un accertamento con adesione (per trovare un accordo sul valore) o fare ricorso presentando perizia di parte. Se invece il valore ufficio è plausibile, pagare entro 60 giorni permette di ridurre eventuali sanzioni ad 1/3 (tramite acquiescenza).
- Franchigia: Se anche col nuovo valore l’attivo ereditario rimane sotto la franchigia (es. successione tra genitori e figli < €1.000.000 ciascuno), conferma che l’imposta principale rimane zero. In tal caso l’avviso riguarda probabilmente imposte ipotecarie e catastali (che non hanno franchigie). Quindi l’importo richiesto è dovuto per queste imposte e relative sanzioni. Non pagare porterebbe a cartella con sanzioni piene (o ipoteche sui beni ereditati).
- Errori formali: Se pensa che l’ufficio abbia sbagliato (es: ignorato una franchigia spettante, o un debito verso lo Stato che riduce l’attivo ereditario), può presentare un’istanza di autotutela o ricorso con tali motivi.
In generale, se l’avviso è solo per imposte ipocatastali e la somma non è esorbitante, conviene spesso pagare subito (magari chiedendo rateazione se >€5.000). Se invece c’è di mezzo imposta di successione/donazione sostanziale e si è in disaccordo sul calcolo, vale la pena consultare un esperto e valutare il reclamo o ricorso.
D3: L’avviso di liquidazione va pagato immediatamente? Il ricorso sospende il pagamento?
R: Di per sé, la notifica dell’avviso obbliga il contribuente a pagare entro 60 giorni dalla ricezione. Se non si paga né si ricorre entro quel termine, l’atto diventa definitivo e l’importo sarà iscritto a ruolo per la riscossione forzata. La presentazione del ricorso NON sospende automaticamente l’obbligo di pagamento: l’ufficio può comunque attivare la riscossione (nei limiti di 1/3 dell’imposta in pendenza di primo grado, come da norme sugli accertamenti esecutivi). Per evitare di pagare durante il processo, il contribuente deve chiedere al giudice tributario una sospensione dell’atto dimostrando un danno grave e la fondatezza del ricorso. Il giudice può sospendere il pagamento fino alla sentenza. Se non si ottiene la sospensione, l’Agenzia può legittimamente procedere a riscuotere (di solito dopo 60 giorni dall’avviso, invia la cartella o iscrive ruolo) anche se c’è un ricorso pendente. In pratica, spesso l’Agente della Riscossione aspetta almeno l’esito dell’istanza di sospensione o i 60gg. Ma attenzione: se non paghi senza aver ottenuto sospensione, potresti ricevere una cartella e dover pagare una parte del debito (ad es. 1/3) anche mentre la causa è in corso. Dunque:
- se presenti ricorso, valuta subito di presentare anche istanza di sospensiva al tribunale;
- in alternativa, potresti versare intanto l’importo delle sole imposte (senza sanzioni) per ridurre rischi, e contestare in giudizio la parte sanzionatoria o altro (è una strategia a volte considerata).
In sintesi, il ricorso di per sé non blocca il countdown del pagamento; serve provvedimento ad hoc del giudice per congelare la riscossione.
D4: Posso ottenere una rateizzazione dell’importo di un avviso di liquidazione?
R: Dipende dalla fase in cui ti trovi e dal tipo di importo:
- Prima della scadenza dei 60 giorni (fase amministrativa): L’avviso di liquidazione in quanto tale generalmente non prevede la possibilità di rateazione diretta con l’ufficio, a differenza delle comunicazioni bonarie. Un’eccezione: le somme da controllo automatizzato (avvisi bonari) sì, sono rateizzabili fino a 8-20 rate trimestrali. Ma se parliamo di un vero avviso di liquidazione (atto impositivo), la normativa non contempla rateazioni con l’ufficio. In pratica, l’opzione è: paga interamente entro 60gg (anche avvalendosi di risorse proprie, prestiti, ecc.) oppure, se non riesci, potrebbe convenire lasciar decadere i 60gg e poi rateizzare in fase di riscossione. Non c’è un modulo ufficiale per chiedere rate a Agenzia Entrate su un avviso (fa eccezione l’accertamento con adesione: quell’importo può essere rateizzato in 8 rate).
- Dopo la scadenza o per importi iscritti a ruolo: Una volta che la somma viene affidata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), si può chiedere la rateizzazione al concessionario. Attualmente, debiti fino a €120.000 si ottengono a semplice richiesta piani fino a 72 rate mensili (6 anni); oltre tale soglia servono requisiti ma si può arrivare fino a 120 rate. Quindi, se non hai pagato l’avviso e ti arriva la cartella, puoi presentare domanda di dilazione all’Agenzia Entrate-Riscossione. Ricorda però che a quel punto la sanzione sarà intera (niente riduzione 1/3) e ci sarà l’aggio di riscossione.
- Se sei in contenzioso: Il giudice può subordinare la sospensione ad una cauzione o pagamento parziale, ma non concede rateazioni. Tuttavia, è possibile proporre conciliazione durante il ricorso e, se si trova un accordo con l’ufficio, la legge consente il pagamento dell’importo conciliato in 20 rate trimestrali (5 anni) se supera €50.000.
In sintesi: per un avviso di liquidazione “classico”, se hai necessità di diluire il pagamento, spesso conviene attendere la cartella esattoriale e poi rateizzare con l’Agente della Riscossione. Se invece l’avviso era derivante da controllo automatizzato (comunicazione bonaria), puoi rateizzare subito fino a 8 o 20 trimestri presentando domanda entro 30 giorni. Valuta i costi: la rateizzazione comporta interessi di dilazione (circa 3-4% annuo). Meglio comunque pagare con qualche sacrificio subito, se possibile, per evitare anche le maggiorazioni future.
D5: Ho fatto ricorso contro un avviso di liquidazione. Cosa succede se perdo la causa?
R: Se il tuo ricorso viene respinto in primo grado (Commissione/Corte tributaria provinciale), l’avviso di liquidazione viene confermato. A quel punto:
- L’atto impositivo diviene definitivo, salvo tu decida di fare appello. Tuttavia, attenzione: la sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva. Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate può riprendere la riscossione dell’importo. In pratica, l’Ufficio può iscrivere a ruolo un importo pari ad esempio ai 2/3 delle imposte contestate (se non già riscosso). Se avevi ottenuto una sospensione, questa decade con la sentenza e l’Amministrazione può pretendere il pagamento. Spesso, dopo sentenza sfavorevole, l’Agente della Riscossione notifica una cartella di pagamento per i 2/3 delle imposte + interessi.
- Puoi presentare appello entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Nel frattempo però, come detto, l’importo potrebbe dover essere pagato parzialmente. In appello puoi chiedere un’altra sospensione (sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado), ma i criteri sono simili (fumus e periculum) e i giudici d’appello la concedono raramente. Quindi, potresti dover versare intanto una porzione significativa del debito.
- Se alla fine (dopo appello, e eventuale Cassazione) perdi definitivamente, dovrai pagare tutte le somme dovute, comprensive di: imposta, sanzioni (che a quel punto sono normalmente intere, salvo riduzioni per pagamento spontaneo fatte in precedenza), interessi maturati sino al saldo, e aggi eventuali del riscossore. Se durante il contenzioso hai pagato una parte (ad es. il terzo riscossibile dopo il primo grado, o rate spontanee), quell’importo versato viene detratto dal dovuto finale.
- Potresti anche essere condannato alle spese di giudizio (il giudice può imporre che tu rimborsi all’Agenzia una somma forfettaria per le spese legali – spesso poche centinaia di euro in primo grado, qualcosa di più in appello, di norma).
In sostanza, perdere la causa significa che l’avviso diventa definitivo ed esecutivo: se non paghi spontaneamente, l’Agenzia Entrate-Riscossione procederà con le misure coattive (cartella, intimazioni, fino a pignoramenti, ipoteche, fermi). È importante quindi valutare bene fin dall’inizio la fondatezza del ricorso: se i motivi erano deboli e la probabilità di perdere alta, a volte è preferibile sfruttare le definizioni agevolate prima (adesione, acquiescenza con sanzioni ridotte) piuttosto che incorrere in più costi dopo. Viceversa, se perdi ma ritieni che la Commissione abbia sbagliato in diritto, puoi proseguire la battaglia in appello e magari Cassazione (col supporto di un legale esperto), tenendo a mente che nel frattempo potresti dover sborsare comunque buona parte del tributo.
D6: L’ufficio può emettere un avviso di liquidazione dopo tanti anni dall’atto? C’è un limite?
R: Sì, ci sono limiti di tempo ben precisi chiamati termini di decadenza. Trascorsi questi termini, l’avviso notificato è nullo. Ad esempio:
- Per l’imposta di registro, l’atto dev’essere normalmente liquidato entro 3 anni dalla registrazione (o dall’evento che causa il maggior dovuto, es: revoca prima casa entro 3 anni dalla violazione). Se l’avviso arriva dopo, è tardivo. (Eccezione: atti non registrati affatto – decadenza 5 anni dall’evento).
- Per le successioni, l’avviso di liquidazione va notificato entro 2 anni dalla dichiarazione di successione (3 anni era prima del 2014, ora 2). Se non c’è dichiarazione, l’accertamento d’ufficio entro 5 anni dall’apertura successione.
- Per le imposte su redditi e IVA, il concetto di avviso di liquidazione puro non c’è, ma gli accertamenti vanno fatti entro il 5° anno successivo (o 7° se omessa dichiarazione). I controlli automatizzati invece generano ruoli entro il 3° anno successivo.
- Spesso, se c’è stata sospensione di termini (es. emergenza Covid nel 2020), quei periodi si aggiungono. Ad esempio nel 2020 c’è stata la sospensione dei termini di notifica atti dall’8 marzo al 31 maggio 2020 (poi proroghe); oppure per le agevolazioni casa c’è stata proroga come detto.
In pratica, se ricevi un avviso “molto tardivo”, vale la pena far controllare da un esperto se non sia decaduto. Ad esempio, un avviso prima casa notificato 4-5 anni dopo il rogito potrebbe essere fuori termine e dunque annullabile.
Attenzione però: a volte intervengono norme che prorogano i termini (es. la Legge di Bilancio 2023 ha prorogato al 31/12/2023 taluni termini decadenziali 2022 per il Fisco). Quindi, “tanti anni” è relativo alle regole del caso. Se l’ufficio decade, il debito non è più dovuto (anche se magari l’imposta in sé sarebbe stata dovuta, ma lo Stato ha perso il potere per decorso del tempo). La prescrizione invece attiene a dopo: se l’avviso è stato regolarmente notificato e definitivo, lo Stato ha in genere 10 anni per riscuotere. Decorso tale periodo senza atti interruttivi, il debito si estingue per prescrizione (es: una cartella non riscossa per 10 anni si prescrive).
In sintesi: l’ufficio non può “tenere nel cassetto” all’infinito i controlli – oltre certi anni l’atto è nullo. Quindi, se ti arriva molto oltre i tempi normali, l’eccezione di decadenza va inserita nel ricorso.
D7: Come faccio a sapere se l’Agenzia delle Entrate ha ragione o se vale la pena fare ricorso contro un avviso di liquidazione?
R: È opportuno procedere con metodo:
- Leggi con attenzione l’avviso: contiene la motivazione (perché ti chiedono soldi) e il dettaglio (imposta tot, sanzioni, interessi). Capire la ragione è il primo passo: errore di pagamento? revoca agevolazione? controllo documenti? motivazione generica (difetto di motivazione stesso motivo di ricorso)?
- Verifica normativa: Confronta la situazione col testo di legge. Ad esempio, se è prima casa: eri davvero fuori requisito? Se no, hanno torto. Se sì, l’atto è formalmente corretto (poi puoi valutare scuse o sanatorie). Se è successione: franchigie superate? Valori giusti? Se l’ufficio ha applicato normative correttamente, fare ricorso sul merito può essere inutile.
- Importo e sanzioni: Se l’importo è piccolo o la pretesa è chiaramente dovuta (magari hai dimenticato un pagamento), conviene pagare subito (magari con ravvedimento o avviso bonario) e chiudere lì. Il ricorso ha costi e tempi che vanno ponderati. Viceversa, se l’importo è grande e ritieni ci sia un errore dell’ufficio (non ha considerato un pagamento tuo, oppure ha calcolato male interessi, o è decaduto), allora c’è convenienza a reagire.
- Consulenza professionale: Rivolgiti a un commercialista o avvocato tributarista con tutti i documenti (avviso, dichiarazioni, ricevute di pagamento). Un esperto saprà dirti se ci sono precedenti (giurisprudenza) che danno ragione a casi simili al tuo. Ad esempio, Cassazione ha annullato avvisi privi di motivazione adeguata, oppure ha chiarito questioni dubbie (come i termini prima casa, l’obbligo o meno di preavviso bonario, etc.).
- Strumenti deflattivi: Valuta se è possibile una soluzione prima del ricorso: autotutela (se errore evidente), accertamento con adesione (se è questione di valutazione, offrendo un compromesso e riducendo sanzioni), oppure se rientri in qualche “definizione agevolata” vigente (condono, pace fiscale – nel 2023-24 ce ne sono stati alcuni per liti pendenti, avvisi bonari, ecc.).
- Probabilità di successo vs. costo: Se il caso è incerto (50/50) e la somma modesta, spesso il consiglio è di trovare un accordo o pagare con sconti (acquiescenza, conciliazione), per evitare spese processuali. Se invece la somma è ingente e hai solide basi normative, allora il ricorso è d’obbligo.
In pratica: l’Agenzia “ha ragione” quando applica correttamente la legge ai fatti. Se nel tuo caso specifico c’è una particolarità (es: non hai potuto rispettare un termine per cause di forza maggiore, oppure c’è un dubbio interpretativo su cui diversi giudici la pensano diversamente), vale la pena ricorrere. Spesso i professionisti verificano le banche dati giurisprudenziali per vedere come sono andati casi analoghi e stimare le chance.
Ricorda anche che puoi optare per il reclamo/mediazione (per ricorsi fino a €50.000, se il tuo ricorso è prima del 2024): in quella sede magari l’ufficio stesso riduce la pretesa. Dal 2024, dovrai eventualmente proporre conciliazione in giudizio.
In conclusione, nessun ricorso va fatto alla leggera “tanto per provarci”: conviene farlo solo con argomenti validi. Se, ad esempio, hai davvero dimenticato di versare €X, non c’è cavillo che tenga: in tribunale perderesti e pagheresti anche spese. Se invece l’avviso è sproporzionato o viziato (ad es. notificato oltre termine, o motivato con “per maggiori imposte” senza spiegazione), allora hai buone possibilità di farlo annullare.
D8: In caso di avviso di liquidazione per “omesso versamento”, è utile fare ricorso solo per chiedere la sanzione ridotta?
R: Generalmente no. Se la sostanza del debito (imposta) è dovuta e non ci sono contestazioni sulla legittimità dell’avviso, fare ricorso al solo scopo di ridurre la sanzione ordinaria del 30% difficilmente conviene. Questo perché:
- Il giudice tributario può sì ridurre o annullare le sanzioni in alcuni casi (quando riconosce una non colpevolezza del contribuente, o una lieve inezia), ma non lo fa automaticamente. Bisogna dimostrare situazioni eccezionali. Ad esempio, se il versamento è stato mancato per un errore scusabile o per causa di forza maggiore, il giudice potrebbe annullare la sanzione (art. 6 D.Lgs. 472/97) – ma serve prova convincente. Se semplicemente “mi sono dimenticato di pagare”, la sanzione resta.
- Inoltre, esistono strumenti “amministrativi” per ridurre le sanzioni senza andare in giudizio: l’avviso bonario già offre la sanzione al 10%; l’acquiescenza in 60gg dà 10%. Se hai perso queste finestre e sei a sanzione 30%, in mediazione/conciliazione potresti spuntare 15% o simili (es. in mediazione la sanzione scende al 35% del minimo, cioè 35% di 30% = 10.5% – praticamente uguale all’avviso bonario). Ma avviare un contenzioso solo per avere lo stesso sconto che avresti avuto pagando subito non è efficiente.
- Considera anche i costi del ricorso: contributo unificato (min €30, poi 120, 250 a salire), eventuale compenso al professionista, tempo impiegato, e il rischio di dover pagare le spese all’ente se perdi. Per “vincere” sul solo punto sanzioni devi convincere il giudice di una condizione soggettiva (la tua buona fede o impossibilità). Se il giudice non ti crede, perdi e oltre a pagare il 30% pagherai interessi di mora accumulati durante la causa e spese.
In sintesi, se l’imposta non pagata è giusta, la strategia migliore è di limitare i danni subito: ad esempio, pagare appena possibile col 10% (anche se fuori dai 30gg bonario, c’è la chance 60gg acquiescenza 1/3=10%). Fare ricorso solo sulla sanzione può avere senso solo se c’è veramente un motivo forte per l’annullamento di essa (es: errore dell’Agenzia che ti ha indotto in errore, circolare contraddittoria, caso fortuito). Altrimenti il ricorso è sconsigliabile. Un eccezione può essere: se l’importo di imposta è piccolo ma la sanzione in % è grossa per effetto di cumulo (es. tardiva registrazione di un atto: imposta fissa 200€, sanzione minima 200€ – in tal caso la sanzione = 100% dell’imposta, e magari hai scusanti), potresti tentare di farla ridurre al minimo in giudizio. Ma valuta sempre costi-benefici. Molti contribuenti preferiscono definire e chiudere, per non prolungare l’incertezza e concentrare risorse su situazioni più rilevanti.
D9: L’avviso di liquidazione deve essere motivato? Quanta motivazione è sufficiente?
R: Sì, ogni avviso di liquidazione, in quanto atto impositivo, deve riportare una motivazione adeguata (art. 7 della L. 212/2000, Statuto del contribuente). Deve cioè spiegare al contribuente le ragioni per cui è richiesto l’importo:
- Deve indicare la base imponibile di calcolo, le aliquote applicate, l’eventuale norma violata o la circostanza (es: “mancato pagamento dell’imposta di registro annualità X”; oppure “revoca dell’agevolazione per mancato trasferimento residenza nei termini”; oppure “ricalcolo dell’imposta di successione su valore accertato di €… ai sensi dell’art. …”).
- Una motivazione per relationem (cioè rimandando a un altro atto) è ammessa se quell’altro atto è conosciuto dal contribuente. Ad esempio, l’avviso di liquidazione può richiamare la dichiarazione di successione presentata e i valori ivi indicati, senza riscriverli per esteso – questo è ok. Oppure può allegare un prospetto di calcolo.
- Se l’avviso di liquidazione è privo di indicazione di come si arriva alla cifra o della norma base, può essere considerato nullo per difetto di motivazione. C’è giurisprudenza ad esempio su avvisi che dicevano solo “per imposta principale: €X, interessi: €Y, sanzioni: €Z” senza spiegare la base: tali atti sono stati annullati dai giudici perché il contribuente non poteva capire cosa contestare.
- La Cassazione ha chiarito che per gli avvisi da controllo automatizzato la motivazione può essere “semplificata” ma deve comunque contenere i dati essenziali (quale dichiarazione e quali importi non tornano). Per imposte su atti, se c’è un ricalcolo di valore, si deve almeno far riferimento al criterio (ad es. valori OMI, o allegare la perizia UTE).
In pratica, se ricevi un avviso e non capisci da dove vengano fuori le cifre, è già un segnale che potrebbe essere mal motivato. Puoi chiedere accesso agli atti all’ufficio per vedere il dettaglio. Ma se davvero manca base e norma, è un valido motivo di ricorso (violazione art.7 Statuto). Spesso l’Agenzia, per evitare questo vizio, allega all’avviso un prospetto di calcolo o cita i riferimenti. Esempio: “Imposta dovuta calcolata su valore catastale €…, imposta già pagata €…, differenza… ai sensi dell’art. ___”. - Nella fase di ricorso, se la motivazione è carente, il giudice annulla l’atto senza nemmeno entrare nel merito (nullità in via preliminare).
Quindi sì: la motivazione dev’essere chiara e precisa. Se non lo è, fallo valere (è un diritto del contribuente sapere “perché devo pagare questa somma”). Naturalmente, se la motivazione c’è ed evidenzia inconfutabilmente l’errore del contribuente, quello è un altro discorso – ma almeno saprai su cosa eventualmente costruire la difesa.
D10: Dopo aver pagato l’avviso di liquidazione, posso comunque impugnarlo o chiedere rimborso se scopro che era sbagliato?
R: Una volta che paghi integralmente un avviso senza riserve, di fatto accetti la pretesa (si parla di “acquiescenza”). In generale, pagando entro 60 giorni l’intero importo, si perfeziona la definizione agevolata (con sanzioni ridotte a 1/3) e contestualmente rinunci al ricorso. La legge (art.15 D.Lgs.218/97) stabilisce proprio che il pagamento con sanzioni ridotte comporta inammissibilità del ricorso. Quindi:
- Non puoi pagare e poi, magari dopo 90 giorni, fare ricorso: sarebbe tardivo e comunque l’atto è definito.
- Se però paghi per errore qualcosa non dovuto (ad es. l’ufficio ti aveva chiesto 100 in più per un duplicato di imposta), potresti presentare un’istanza di rimborso all’Agenzia entro 2 anni dal pagamento indebiti (art.21 D.Lgs.546/92) o fare ricorso contro il silenzio-rifiuto su tale rimborso. Ma devi avere fondamento chiaro. Esempio: paghi perché non ti eri accorto che l’avviso era decaduto. Hai due anni dal pagamento per chiederne la restituzione, ma l’ufficio di sicuro non ammetterà facilmente il proprio errore tardivo, quindi dovresti fare causa per rimborso. È un percorso tortuoso. Conviene piuttosto accorgersi prima e non pagare se non è dovuto.
- C’è un caso particolare: se paghi a seguito di una cartella (post-avviso) e non avevi mai ricevuto l’avviso perché magari non notificato regolarmente, tu puoi impugnare la cartella eccependo la nullità del’avviso presupposto non notificato. In quel caso il pagamento non preclude la contestazione, soprattutto se magari hai pagato per evitare fermi o ipoteche e contemporaneamente fai ricorso. Ma è una situazione differente (qui non si contesta l’an ma un vizio).
- In sintesi: se paghi spontaneamente l’avviso di liquidazione con lo sconto, il capitolo è chiuso “con accordo tacito”. Ti conviene farlo solo se sei convinto che l’atto sia corretto. Se hai dubbi, valuta prima il ricorso o un’istanza all’ufficio.
Il rimborso post-pagamento è possibile solo in casi di errore palese di calcolo o di duplicazione (ad es: avviso su imposta già pagata; lo paghi per errore, scopri il duplicato, allora sì chiedi rimborso con prove). Per errori di valutazione o decadenza, l’ufficio difficilmente rimborsa spontaneamente – dovresti appunto intraprendere tu un giudizio di rimborso, che è quasi come un ricorso originario, ma con la difficoltà aggiuntiva che hai già ammesso il debito pagando.
In conclusione, pagare equivale ad accettare l’addebito (tranne rare eccezioni). Dunque è consigliabile chiarire ogni dubbio prima di pagare un avviso di liquidazione, usando semmai i 60 giorni per consultare un esperto e decidere se pagare o opporsi.
Fonti Normative e Giurisprudenziali (agg. maggio 2025)
Di seguito elenchiamo le principali fonti legislative, di prassi amministrativa e giurisprudenziali citate o rilevanti per gli argomenti trattati, con riferimento allo stato normativo a maggio 2025:
Normativa primaria (leggi e decreti):
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: artt. 36-bis e 36-ter (controlli automatizzati e formali sulle dichiarazioni dei redditi).
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633: art. 54-bis (controllo automatizzato dichiarazioni IVA).
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: artt. 19 (atti impugnabili, include avvisi di liquidazione), 17-bis (reclamo-mediazione, abrogato dal 2024), 47 (sospensione dell’atto impugnato), 48 (conciliazione giudiziale), 68 (esecutorietà sentenze tributarie).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471: art. 13 (sanzione omesso versamento 30%), art. 1 (sanzioni dichiarazione infedele 90%, omessa dichiarazione 120-240%).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472: artt. 6 (causa di non punibilità se errore scusabile/forza maggiore), 7 (concorso violazioni), 12 (cumulo giuridico sanzioni), 13 (ravvedimento operoso riduzione sanzioni).
- D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo Unico Successioni e Donazioni): art. 27 (termine notifica avviso liquidazione imposta successione: 2 anni da dichiarazione); art. 33 (come mod. da D.lgs.139/2024 – autoliquidazione imposta successione e controllo); art. 36 (franchigie successione); art. 53 (sanzioni successione infedele 50-100%, omessa 100-200% – modificate da D.Lgs. 471/97 art.5).
- D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico Registro): art. 52 (rettifica valore atti entro 2 anni se dichiarato valore, 5 anni se occultazione); art. 76 (termini di decadenza accertamento registro: 3 anni, e 5 anni in casi particolari); art. 78 (prescrizione decennale crediti registro); Tariffa parte I art.1 Nota II-bis (agevolazione prima casa, requisiti e decadenza con sanzione 30%).
- D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: artt. 2-3 (accertamento con adesione, definizione sanzioni 1/3); art. 6 (definizione agevolata avvisi bonari con sanzione ridotta 1/3); art. 15 (acquiescenza: sanzioni 1/3 in caso di pagamento entro 60 gg senza ricorso).
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente): art. 7 (obbligo di motivazione degli atti tributari, indicazione norme e fatti); art. 8 (divieto di doppia sanzione).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: art. 25 (notifica cartelle entro termini decadenza ruoli); art. 30 (interessi di mora su ruoli); art. 50 (intimazione di pagamento); art. 68 (sospensione ruoli in pendenza giudizio – ora abrogato, disciplina spostata su L.130/2022).
- Codice Civile: art. 2946 (prescrizione ordinaria 10 anni); art. 2948 (prescrizione 5 anni per obblighi periodici).
Normativa secondaria e prassi:
- Provvedimento AE 28 marzo 2018 n. 669173: (accertamento esecutivo imposte indirette) – ha esteso esecutorietà immediata anche ad avvisi liquidazione imposta registro dall’1/7/2019.
- Circolare Agenzia Entrate n. 48/E del 24/10/2011: (Chiusura liti minori) – par. 4.4 e 4.9 chiariva non definibili avvisi di liquidazione e ruoli in quanto atti meri liquidatori.
- Circolare Agenzia Entrate n. 30/E del 22/12/2020: (proroga termini agevolazioni prima casa per Covid) – interpretazione DL 23/2020 art.24: sospensione periodo 23/2/2020-31/12/2020 non computato nei 18 mesi.
- Comunicato Stampa MEF 4/1/2024: (Attuazione riforma giustizia tributaria) – ha chiarito operatività abrogazione reclamo/mediazione dal 2024.
- Circolare AE n.198/E del 1998: (Autotutela) – indica che l’amministrazione può annullare d’ufficio atti illegittimi o errati, pur senza obbligo per richieste contribuente (discrezionalità autotutela).
- Circolare AE n.69/E del 14/08/2002: (decadenza agevolazione prima casa in caso di mancato completamento immobile entro 3 anni) – ribadisce decadenza 3 anni da atto per case in costruzione non ultimate.
- Risoluzione AE n. 35/E del 20/03/2012: (mediazione tributaria) – chiariva aspetti operativi del reclamo prima casa soglia 20k e poi 50k.
Giurisprudenza (Corte di Cassazione):
- Cass., Sez. V, ord. n. 5981 del 6/3/2024: legittimità notifica cartella senza avviso bonario se somme dichiarate e non versate.
- Cass., Sez. V, ord. n. 24488 del 10/08/2023: termine per trasferire residenza ai fini prima casa è perentorio; decadenza agevolazione se oltre 18 mesi.
- Cass., Sez. V, ord. n. 4385 del 19/02/2025: conferma prescrizione decennale per crediti erariali definitivi.
- Cass., Sez. V, ord. n. 27271 del 24/10/2019: in tema di imposta di successione ha ritenuto sufficiente motivazione per relationem con rinvio alla dichiarazione e ricalcolo (motivazione avviso liquidazione).
- Cass., Sez. V, sent. n. 4823 del 28/02/2014: afferma nullità avviso di liquidazione privo di sottoscrizione, ma sanabile tramite successiva integrazione (riferita in StudioCataldi).
- Cass., Sez. Unite, sent. n. 23397 del 17/11/2016: ha escluso applicabilità art.2953 c.c. a cartelle non impugnate, confermando prescrizione decennale ordinaria dei crediti tributari.
- Cass., Sez. Unite, sent. n. 18574/2005: (principio generale su decadenza: atti impositivi notificati oltre termine sono nulli in assoluto).
- Cass., Sez. V, sent. n. 13665/2018: (imposta successione – obbligo motivazione avviso liquidazione: non richiesto di dettagliare algoritmo di calcolo se basato su dichiarazione stessa).
- Cass., Sez. V, sent. n. 9906/2018: ribadisce prescrizione decennale per crediti IRPEF e IVA.
- Cass., Sez. V, ord. n. 13683 del 3/7/2020: su tributi locali, prescrizione quinquennale (per contrasto periodicità).
- Cass., Sez. V, sent. n. 16232/2020: (prescrizione decennale crediti erariali, cita che non sono prestazioni periodiche).
- Cass., Sez. V, ord. n. 18078 del 1/7/2024: (richiama principio su cartella senza avviso bonario non necessario se omesso versamento dichiarato – in linea con n.5981/2024).
- Cass., Sez. V, sent. n. 10549 del 15/04/2019: conferma prescrizione decennale crediti tributari (cfr. inexecutivis.it).
- Cass., Sez. V, sent. n. 24322 del 30/09/2014: (prescrizione decennale IRPEF/IVA, citata in ord.4385/2025).
- Cass., Sez. V, ord. n. 25716 del 27/10/2020: (idem, prescrizione decennale, citata in ord.4385/2025).
- Cass., Sez. V, sent. n. 4801/2018: (motivazione avviso: basta indicare calcolo differenze e riferimenti dichiarazione per avvisi 36-bis).
- Cass., Sez. V, sent. n. 18059/2013: (nullità avviso se manca indicazione norme base imponibile – coerente con statuto contribuente).
- Cass., Sez. V, sent. n. 26037/2015: (SSUU su impugnabilità estratti di ruolo – non attinente qui).
- Cass., Sez. V, ord. n. 11113 del 27/04/2020: conferma che sanzioni e interessi seguono stessa prescrizione decennale dei tributi (cita in Studiocerbone).
Commissioni Tributarie (Corti Giust. Trib.) – merito:
- CTR Lombardia, sent. n. 3343/2022: (es.) su decadenza agevolazione prima casa e responsabilità solidale venditore – evidenzia interpretazioni (v. fiscoetasse).
- CTP Avellino, sent. n. 267/2017: (citata su soluzionialdebito) – su prescrizione e decadenza ruoli successivi ad avviso definitivo.
- CTR Toscana, sent. n. 910/2021: (es.) ha annullato avviso liquidazione successione per difetto di motivazione (se privo dettagli calcolo).
- CTR Lazio, sent. n. 1082/2019: su nullità avviso revoca prima casa senza perizia UTE.
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Conclusione
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