Hai ricevuto un accertamento fiscale dopo un controllo basato su scambi di informazioni internazionali? Ti è arrivata una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate che riporta dati bancari esteri o redditi non dichiarati provenienti da fuori Italia?
Negli ultimi anni, grazie agli accordi internazionali (CRS, FATCA, DAC), il Fisco italiano riceve in automatico informazioni da decine di Paesi esteri su conti correnti, investimenti, immobili, polizze e redditi detenuti all’estero. Ma non sempre questi dati sono completi o corretti, e l’accertamento può essere impugnato.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e fiscalità internazionale – ti spiega cosa sono gli accertamenti da scambio di informazioni, quali sono i tuoi diritti, e come difenderti legalmente da contestazioni fiscali basate su dati esteri.
Hai ricevuto un accertamento fiscale fondato su dati esteri o movimenti bancari internazionali?
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Introduzione
Negli ultimi anni, le amministrazioni fiscali globali – inclusa l’Agenzia delle Entrate italiana – hanno intensificato i controlli sui patrimoni detenuti all’estero dai propri contribuenti. Strumenti internazionali di trasparenza fiscale come il Common Reporting Standard (CRS) e accordi bilaterali (es. FATCA con gli USA) consentono oggi uno scambio massiccio di informazioni finanziarie tra giurisdizioni. Di conseguenza, migliaia di contribuenti italiani sono stati raggiunti da comunicazioni del Fisco relative a conti bancari esteri, investimenti offshore, partecipazioni in società o trust stranieri non dichiarati. Questo fenomeno, noto come accertamento fiscale da scambio di informazioni, rappresenta una sfida complessa sia per i contribuenti coinvolti sia per i professionisti che li assistono.
Scopo di questa guida è fornire uno strumento completo – aggiornato alle norme vigenti e alla giurisprudenza fino a maggio 2025 – per comprendere come difendersi efficacemente in caso di accertamenti fondati su dati provenienti dallo scambio internazionale di informazioni. Adotteremo un taglio divulgativo ma rigoroso, adatto sia ad avvocati tributaristi sia a imprenditori esperti, con linguaggio tecnico-giuridico approfondito. La guida coprirà:
- Il quadro normativo internazionale: i principali accordi di scambio automatico di informazioni (CRS, direttive DAC, FATCA, ecc.) e le giurisdizioni estere coinvolte.
- I soggetti interessati: persone fisiche, società, enti, trust e ogni tipologia di contribuente potenzialmente oggetto di monitoraggio fiscale internazionale.
- Le fonti informative e gli strumenti investigativi utilizzati dall’Agenzia delle Entrate (dalle banche dati nazionali alle liste estere come la “Lista Falciani”).
- Le fasi del procedimento di accertamento basato su dati esteri: dalle lettere di compliance e questionari, fino all’avviso di accertamento.
- Le strategie difensive in sede amministrativa (risposta al questionario, controdeduzioni al PVC, contraddittorio anticipato, adesione, ecc.) e in sede contenziosa (ricorso in Commissione Tributaria Provinciale, appello, ricorso in Cassazione).
- Simulazioni pratiche di casi reali: ad esempio, la ricezione di dati finanziari dagli Emirati Arabi Uniti via CRS e un accertamento su un trust con sede a Jersey, con analisi delle possibili difese.
- Tabelle riepilogative delle principali norme, strumenti, pronunce giurisprudenziali e scadenze difensive.
- Una sezione Domande & Risposte che chiarisce i dubbi più comuni (es. “Cosa succede se ignoro la lettera?”, “Come posso provare che i fondi esteri erano già tassati?”, ecc.).
L’obiettivo è guidare passo passo il professionista italiano attraverso questa materia, fornendo un quadro completo e aggiornato per affrontare con successo un accertamento fiscale basato sullo scambio internazionale di informazioni. Ricordiamo che la posta in gioco è elevata: oltre alle imposte evase, il contribuente rischia sanzioni amministrative pesanti e, in taluni casi, conseguenze penali. È dunque fondamentale conoscere i propri diritti, gli strumenti a disposizione e le migliori strategie difensive, sia per prevenire gli accertamenti (adempiendo correttamente agli obblighi dichiarativi) sia per gestirli in modo efficace qualora si verifichino.
Nelle sezioni seguenti, dopo un inquadramento normativo, entreremo nel vivo delle tecniche e delle tattiche difensive, fornendo indicazioni pratiche supportate da riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati al 2025.
Lo Scambio Internazionale di Informazioni Fiscali: Quadro Normativo
In risposta all’evasione fiscale transnazionale, è emerso un articolato sistema di accordi internazionali che consente agli Stati di scambiarsi informazioni sui redditi e patrimoni detenuti dai rispettivi residenti all’estero. Di seguito riepiloghiamo le principali iniziative normative in materia, con focus sull’adesione dell’Italia e sul loro funzionamento.
- Common Reporting Standard (CRS): si tratta dello standard globale OCSE per lo scambio automatico di informazioni finanziarie, sviluppato nel 2014 su mandato del G20. Oltre 100 Stati vi aderiscono oggi. In base al CRS, le istituzioni finanziarie (banche, intermediari, assicurazioni, fondi, trust company, ecc.) di ciascun Paese partecipante raccolgono annualmente dati sui conti detenuti da soggetti non residenti (saldo, valori medi, interessi, dividendi, proventi da polizze, ecc.) e li trasmettono all’autorità fiscale locale, che a sua volta li inoltra alle amministrazioni dei Paesi di residenza dei titolari. L’UE ha recepito integralmente il CRS mediante la Direttiva 2014/107/UE (DAC2), obbligando gli Stati membri allo scambio automatico di tali informazioni. L’Italia ha attuato il CRS con la Legge 18 giugno 2015 n.95 (che ha autorizzato ratifica ed esecuzione degli accordi) e con il Decreto MEF 28 dicembre 2015 che ne ha stabilito le modalità applicative. Dal 2017 il Fisco italiano riceve dunque annualmente dati sui conti finanziari esteri dei propri residenti da oltre 100 giurisdizioni. Al maggio 2025, l’elenco degli Stati da cui l’Italia riceve informazioni CRS è salito a 117 (Allegato D del DM 28/12/2015, aggiornato con DM 28/4/2025). Tra questi figurano oramai anche ex “paradisi fiscali” tradizionali: Svizzera, San Marino, Monaco, Liechtenstein, Lussemburgo, Singapore, Hong Kong, Emirati Arabi Uniti, isole del Canale (Jersey, Guernsey), Caraibi (Cayman, BVI, Bermuda), ecc. Ogni anno nuove adesioni ampliano la rete (nel 2025 si sono aggiunti Armenia, Moldavia, Ucraina, Uganda). Il CRS rappresenta dunque la colonna portante del sistema di scambio informazioni, rafforzando la trasparenza fiscale e prevenendo l’occultamento di redditi e patrimoni all’estero.
- FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act): è la normativa statunitense, varata nel 2010, che impone agli intermediari finanziari di tutto il mondo di comunicare all’IRS (il fisco USA) i dati dei conti detenuti da cittadini statunitensi all’estero. L’Italia ha aderito a FATCA siglando un accordo bilaterale con gli Stati Uniti (IGA Model 1) nel 2014, ratificato dalla già citata Legge n.95/2015. In virtù di tale accordo, esiste uno scambio reciproco di informazioni: le banche italiane trasmettono all’Agenzia delle Entrate dati sui conti di soggetti statunitensi, e parallelamente l’IRS fornisce (seppur in modo meno completo) informazioni sui conti finanziari negli USA di residenti italiani. FATCA è stato il precursore del CRS. Sebbene gli USA non aderiscano al CRS globale, l’accordo FATCA garantisce comunque all’Italia un flusso informativo, ad esempio sugli interessi maturati su conti bancari USA intestati a soggetti italiani. Occorre però notare che le informazioni ricevute dagli USA sono meno dettagliate rispetto al CRS (ad es. non sempre includono il saldo di fine anno), rendendo gli Stati Uniti una delle poche giurisdizioni che, di fatto, costituiscono ancora un relativo “rifugio” informativo. Ciononostante, FATCA rimane una fonte preziosa di dati per l’Agenzia delle Entrate.
- Direttiva 2011/16/UE (DAC1): questo provvedimento UE ha gettato le basi della cooperazione amministrativa fiscale in Europa. Oltre a disciplinare lo scambio di informazioni su richiesta e lo scambio spontaneo, DAC1 ha introdotto il primo nucleo di scambio automatico obbligatorio su alcune categorie di redditi (es. redditi da lavoro, pensioni, compensi a dirigenti, redditi immobiliari) tra Stati membri. Tale scambio automatico intra-UE è attivo dal 2015. La direttiva è stata recepita in Italia con D.Lgs. 29/2014. DAC1 ha poi subito molte modifiche ed estensioni (dette DAC2, DAC3, … DAC7) per includere nuovi ambiti, come appunto il CRS.
- Direttiva 2015/2376/UE (DAC3): ha previsto lo scambio automatico delle ruling fiscali e accordi preventivi transfrontalieri. Ciò significa che se, ad esempio, una società italiana ottiene da un altro Paese UE un tax ruling favorevole, quel Paese deve comunicarne l’esistenza all’Italia. L’intento è prevenire pratiche di pianificazione fiscale aggressiva tramite accordi segreti. DAC3 è stata recepita con D.Lgs. 32/2017.
- Direttiva 2016/881/UE (DAC4): ha introdotto lo scambio automatico dei Country-by-Country Report delle multinazionali. Le grandi imprese multinazionali devono fornire annualmente un report paese per paese su ricavi, utili, tasse pagate, dipendenti, ecc. Tali dati sono scambiati tra le amministrazioni finanziarie per identificare profili di rischio di erosione della base imponibile. In Italia DAC4 è in vigore dal 2017 (D.M. 23/2/2017).
- Direttiva 2018/822/UE (DAC6): ha imposto la comunicazione (da parte di intermediari e contribuenti) degli schemi di pianificazione fiscale aggressiva transfrontaliera. Pur non trattandosi di scambio di dati finanziari come CRS, DAC6 comporta che informazioni su determinati meccanismi elusivi potenzialmente utilizzati da contribuenti (anche italiani) siano condivise tra le autorità fiscali. Attuata in Italia con D.Lgs. 100/2020.
- Direttiva 2020/284/UE (DAC7): operativa dal 2023, prevede lo scambio automatico di informazioni su redditi generati da vendite di beni e servizi tramite piattaforme digitali. Ad esempio, piattaforme come Airbnb, eBay, Uber devono raccogliere e comunicare i guadagni percepiti dagli utenti venditori/autisti/locatori, e queste informazioni vengono scambiate tra i Paesi UE. Obiettivo: far emergere redditi dell’economia digitale.
- DAC8 (in fase di finalizzazione): riguarderà lo scambio di informazioni su crypto-asset e valute virtuali (recependo il nuovo standard OCSE CARF – Crypto Asset Reporting Framework). Sebbene non ancora in vigore a maggio 2025, è previsto che dal 2026-2027 anche gli exchange/fornitori di servizi crypto dovranno comunicare alle autorità transazioni e saldi dei clienti, colmando un’attuale lacuna del CRS in materia di criptovalute.
- Accordi bilaterali e Multilateral Competent Authority Agreement (MCAA): Oltre alle direttive UE e a FATCA, l’Italia partecipa alla Convenzione multilaterale OCSE sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale, emendata nel 2010, che fornisce base giuridica allo scambio di informazioni anche con Paesi extra-UE. Mediante il MCAA, l’Italia ha attivato relazioni bilaterali di scambio automatico CRS con decine di Stati (anche non UE). Vi sono poi Tax Information Exchange Agreements (TIEA) bilaterali con alcuni paradisi fiscali “pentiti” (es. Monaco prima di aderire al CRS, Svizzera prima del CRS, Panama, Bahamas, ecc.) che prevedono lo scambio di informazioni su richiesta.
- Normativa interna sul monitoraggio fiscale: Il quadro internazionale si innesta sulla normativa italiana preesistente in tema di monitoraggio delle attività estere. La legge cardine è il D.L. 28 giugno 1990 n.167, convertito in L.227/1990, che ha introdotto l’obbligo per i residenti di indicare in dichiarazione (quadro RW) gli investimenti e trasferimenti finanziari da/per l’estero. Questo decreto ha posto anche importanti presunzioni fiscali (come vedremo) e sanzioni. Esso è stato più volte modificato: ad esempio dal 2013 con l’abolizione del cosiddetto “threshold” di 10.000€ per monitorare anche singole operazioni, e dalla L.97/2013 che ha eliminato il regime dei “Paesi black list” ai fini delle sanzioni (ma non ai fini di altre presunzioni). Attualmente, l’obbligo di dichiarare le attività finanziarie estere permane centrale nel sistema di monitoraggio, integrato appunto dallo scambio di informazioni automatico.
In sintesi, l’Italia dispone oggi di una fitta rete normativa internazionale che alimenta la trasparenza finanziaria: i dati sui conti esteri e altri redditi prodotti oltreconfine arrivano all’Agenzia delle Entrate in virtù di accordi globali ed europei. Per il professionista che assiste un contribuente è fondamentale conoscere queste fonti normative, sia per capire quali dati il Fisco possa ottenere dall’estero, sia per individuare eventuali vizi procedurali (ad esempio errori nel rispetto delle convenzioni, utilizzo di informazioni al di fuori dei limiti d’uso, ecc.) che potrebbero costituire argomenti difensivi. La Tabella 1 in calce riassume le principali norme sullo scambio di informazioni e la relativa attuazione.
Contribuenti e Attività nel Mirino: Chi e Cosa viene Segnalato
Chi sono i soggetti coinvolti dallo scambio di informazioni e dagli obblighi dichiarativi? In linea generale, tutti i contribuenti fiscalmente residenti in Italia possono esserne interessati, indipendentemente dalla forma giuridica. Tuttavia, esistono differenze importanti in base alla tipologia di contribuente e al tipo di attività detenuta all’estero:
- Persone fisiche (privati): sono i principali destinatari delle comunicazioni derivanti dal CRS e dal monitoraggio fiscale. Ogni cittadino residente in Italia che possieda conti correnti, depositi bancari, investimenti finanziari, partecipazioni, immobili o altre attività all’estero è tenuto a dichiararli nel quadro RW (salvo alcune soglie di esenzione per i conti di modesto importo, come vedremo). Il CRS fa emergere in particolare conti bancari e depositi all’estero dei privati: per ciascun codice fiscale italiano, l’Agenzia delle Entrate riceve informazioni quali saldo di fine anno, saldo massimo, interessi attivi, dividendi, proventi assicurativi, intestatari e persino il nome dell’istituzione finanziaria estera. Le persone fisiche sono anche soggette alle imposte patrimoniali estere (IVIE/IVAFE) e dunque l’omessa indicazione di un conto o immobile estero comporta spesso anche omesso versamento di queste imposte. In pratica: il classico caso è l’individuo che aveva un conto in Svizzera, San Marino o Montecarlo non dichiarato; ora la banca estera, tramite CRS, ha segnalato che il Sig. Rossi residente in Italia aveva ad es. 256.000 € su quel conto al 31/12 e 1.500 € di interessi annui. L’Agenzia confronta e scopre che Rossi non ha compilato RW né dichiarato quegli interessi: scatta quindi la comunicazione o l’accertamento.
- Società di capitali (es. Srl, Spa): le imprese residenti non compilano un quadro RW (che riguarda solo persone fisiche, enti non commerciali e società semplici), ma devono comunque dichiarare in bilancio e nel quadro RS eventuali partecipazioni estere di controllo (disciplina CFC) e, ovviamente, includere in dichiarazione i redditi prodotti all’estero (utili, interessi, royalties) salvo esenzioni o crediti d’imposta. Le società possono essere coinvolte dallo scambio di informazioni in vari modi:
- Tramite il CRS, se detengono conti esteri. Ad esempio, un conto intestato a una Srl italiana presso una banca estera verrà segnalato (la banca estera lo comunicherà come conto appartenente a un’entità con codice fiscale italiano). L’Agenzia potrà incrociare se gli attivi finanziari e i redditi di quel conto figurano nel bilancio aziendale. In caso contrario, potrebbe inviare richieste di chiarimenti alla società. A differenza delle persone fisiche, però, raramente vengono inviate “lettere di compliance” automatiche a società di capitali; è più probabile un approccio investigativo mirato (es. una verifica fiscale o una richiesta formale di documenti). Ciò perché l’omissione di redditi esteri da parte di società spesso configura condotte più complesse (es. stabile organizzazione occulta, transfer pricing, esterovestizione societaria) che richiedono un accertamento approfondito.
- Tramite scambio di rulings (DAC3): se una società italiana controlla una consociata in un altro Stato UE che ha beneficiato di un ruling fiscale (tipicamente in Lussemburgo, Olanda, Irlanda, ecc.), l’Agenzia delle Entrate riceverà copia/riassunto di quel ruling. Questo potrebbe far emergere pratiche di pianificazione fiscale aggressiva (es. prezzi di trasferimento particolari) e indurre controlli.
- Tramite Country-by-Country Report (DAC4): le società madri multinazionali comunicano i dati delle consociate estere; l’Agenzia può notare che un gruppo italiano dichiara ingenti utili in filiali localizzate in paradisi fiscali a bassa fiscalità e approfondire se si tratti di esterovestizione di utili.
- Società estere controllate da italiani (CFC): anche se non sono contribuenti italiani, se controllate da residenti possono generare obblighi in capo al controllante. Ad esempio, un imprenditore italiano che possiede il 100% di una Ltd a Malta o di una LLC in Delaware: il CRS farà arrivare dati sui conti bancari intestati a tali entità, segnalando come “controlling person” l’imprenditore stesso. L’Agenzia delle Entrate potrà allora contestare al contribuente italiano la mancata applicazione della normativa CFC (che impone di tassare per trasparenza in Italia gli utili della controllata estera se a bassa fiscalità) o addirittura sostenere che la società estera sia fittizia e interposta, attribuendo tutti i redditi e patrimoni al soggetto italiano. Esempio: se emerge via CRS che la società offshore X, con conto in Svizzera, ha come beneficiario effettivo il sig. Bianchi, residente in Italia, e che Bianchi non ha mai dichiarato né la partecipazione né eventuali utili di X, il Fisco potrebbe attivarsi per tassare quegli utili come redditi di Bianchi (o quantomeno per sanzionarlo per monitoraggio omesso). La difesa in questi casi verte spesso sulla dimostrazione della reale attività estera della società (substance) oppure sull’applicazione di esimenti CFC (es. tassazione effettiva sufficiente all’estero o esclusione per società industriali genuine).
- Enti non commerciali e società di persone (società semplici, associazioni): questi soggetti, pur non essendo “persone fisiche”, sono comunque tenuti al monitoraggio fiscale come soggetti passivi diversi dalle società di capitali. Ad esempio, un trust opaco residente, un’associazione, una società semplice utilizzata come “cassaforte di famiglia” con investimenti esteri devono compilare il quadro RW. In effetti, la normativa considera obbligati al RW: persone fisiche residenti, enti non commerciali residenti e società semplici ed equiparate. Non sono invece obbligate le società commerciali (Snc, Srl, etc.) in quanto tali, come detto. Ciò comporta che alcune entità giuridiche particolari – pur non essendo individui – ricevano comunque lettere di compliance se risultano titolari di conti esteri. Caso tipico: società semplici o trust residenti usati per detenzione patrimoniale all’estero. Ad esempio, un trust estero con trustee professionale ma dove il disponente è italiano residente potrebbe essere assimilato a un soggetto obbligato al RW in capo al disponente o beneficiario a certe condizioni. La selezione delle lettere di compliance dell’Agenzia, per quanto noto, si focalizza soprattutto su persone fisiche; tuttavia possono essere stati contattati anche trust o società semplici residenti, se dotati di codice fiscale, quando risultano conti a loro intestati. In tal caso la difesa può essere più complessa, perché entra in gioco la qualificazione fiscale dell’ente (ad esempio se il trust è opaco od interposto).
- Trust e istituti similari (estero vestiti): un capitolo a parte meritano i trust esteri collegati a soggetti italiani. Il CRS richiede alle istituzioni finanziarie estere di individuare e segnalare come “controlling persons” i soggetti che, pur non essendo formalmente intestatari, esercitano controllo su entità come trust e fondazioni. Così, se un trust domiciliato a Jersey ha un conto bancario, la banca jerseyana deve comunicare all’Italia i dati del conto indicando il disponente e/o beneficiari italiani come controlling persons. In questo modo l’Agenzia delle Entrate viene a sapere che, ad esempio, il Sig. Verdi risulta essere beneficiario di un trust estero con determinati asset. Il trattamento fiscale dei trust è complesso: se il trust è considerato “interposto” (fittizio) il Fisco tende a imputare redditi e patrimoni direttamente al disponente/beneficiario, come se il trust non esistesse. Se invece il trust è riconosciuto come autonomo soggetto (trust “opaco” non interposto), il solo fatto di esserne beneficiario potenziale potrebbe non generare imposta immediata, ma in teoria non c’è obbligo di RW per un beneficiario discrezionale che non controlla il trust. Tuttavia, l’Agenzia spesso contesta la mancata dichiarazione sostenendo che il disponente mantenga di fatto il controllo (soprattutto nei trust familiari dove il disponente è anche beneficiario e può aver riservato facoltà). Pertanto, nel caso di trust esteri, le informazioni scambiate possono portare ad accertamenti per:
- Omesso monitoraggio: l’Ufficio può ritenere che il contribuente avrebbe dovuto indicare nel quadro RW i beni conferiti nel trust o di cui era beneficiario effettivo (se considera il trust trasparente o comunque l’individuo tenuto al monitoraggio pro-quota).
- Redditi di capitale non dichiarati: se il trust ha distribuito utili/rendite al beneficiario italiano e questi non li ha dichiarati.
- Imposta sulle successioni/donazioni (in caso di trasferimento patrimoniale al trust o ai beneficiari): questo aspetto esula dal reddito ma va tenuto presente come possibile ulteriore contestazione.
Quali sono le attività oggetto di comunicazione internazionale? Principalmente: conti finanziari (conti correnti, depositi titoli, conti di deposito, polizze assicurative a contenuto finanziario, fondi d’investimento) con relativo saldo e movimenti; proventi finanziari (interessi bancari, dividendi, altri redditi di capitale pagati sul conto); alcune informazioni su soggetti controllanti (nome, indirizzo, codice fiscale). Il CRS non copre ancora immobili, crypto-asset (fino all’introduzione del CARF), operazioni commerciali specifiche, né stipendi o pensioni (che però possono essere scambiati in ambito UE tramite DAC1). Tuttavia, l’Italia può ricevere dati su immobili esteri attraverso altre vie: ad es. convenzioni bilaterali prevedono lo scambio di informazioni catastali, e l’IVIE dovuta sugli immobili esteri non dichiarati può emergere in indagini successive.
In sintesi, qualsiasi contribuente italiano con legami finanziari con l’estero è potenzialmente nel mirino. La mole di dati raccolti dal Fisco è enorme: secondo l’OCSE, lo scambio automatico ha già fatto emergere decine di milioni di conti per un valore di migliaia di miliardi di euro globalmente. Per il professionista è fondamentale sapere che:
- Le persone fisiche e gli enti non commerciali sono obbligati al monitoraggio (RW) e dunque soggetti tipici delle comunicazioni di anomalia.
- Le società di capitali non compilano RW ma possono comunque essere oggetto di indagini se emergono conti/entità estere correlate non dichiarate.
- I trust e strumenti similari richiedono un’analisi accurata caso per caso, essendo terreno di frequenti dispute interpretative.
Strumenti di Indagine e Fonti Informative dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate, spesso in sinergia con la Guardia di Finanza, dispone oggi di un arsenale informativo senza precedenti per scovare patrimoni e redditi nascosti all’estero. Oltre ai flussi di dati automatici già descritti (CRS, FATCA, etc.), esistono numerosi strumenti investigativi e banche dati a cui l’amministrazione attinge. Elenchiamo i principali:
- Archivio dei Rapporti Finanziari (Anagrafe dei conti): è la banca dati nazionale, gestita da Banca d’Italia/Sogei, in cui confluiscono le informazioni su tutti i conti correnti e depositi detenuti in Italia, nonché sulle operazioni extraconto (es. acquisti di oro, movimenti di capitale, utilizzo di carte di credito oltre soglie). Le banche, Poste, Sim, fiduciari, società finanziarie comunicano periodicamente l’elenco dei rapporti intestati a ciascun cliente e i saldi/movimenti aggregati annui. Questa Anagrafe, attiva dal 2012 e potenziata nel 2016, permette all’Agenzia di individuare anomalie tra disponibilità finanziarie e redditi dichiarati, nonché di rintracciare trasferimenti da/verso l’estero. Ad esempio, se un soggetto ha ricevuto bonifici in Italia provenienti da un proprio conto estero, tali accrediti compaiono nell’Archivio e possono far scattare verifiche. L’archivio è interrogabile direttamente dagli 007 del Fisco per preparare analisi del rischio e selezionare contribuenti da controllare.
- Scambio automatico di informazioni finanziarie (CRS/DAC2): come già trattato, l’Agenzia riceve annualmente un flusso massivo di file contenenti i dati dei conti esteri dei residenti. Questi dati alimentano la cosiddetta “reportistica integrata” all’interno dell’Anagrafe tributaria. In pratica, per ogni codice fiscale è possibile per l’analista del Fisco visualizzare anche l’elenco dei conti esteri (con Paese, banca, saldo, importi) comunicati via CRS. L’Agenzia ha sviluppato software di data matching che incrociano tali informazioni con le dichiarazioni dei redditi e il quadro RW. Quando il software rileva un CF che ha un conto estero segnalato e al contempo vede che quel CF non ha dichiarato nulla (né RW né redditi da estero), genera una “lista anomala”. È proprio da queste liste che partono le lettere di compliance inviate in modo quasi automatico, o le segnalazioni ai Reparti di verifica per approfondimenti. Ad esempio, incrociando i dati 2019, il sistema individua 5000 soggetti con conti in Svizzera non dichiarati: a tutti viene predisposta una bozza di lettera. Questo uso sistematico dei big data consente di coprire un ampio raggio di situazioni, laddove un tempo i controlli manuali erano limitati.
- Scambio di informazioni su richiesta: oltre all’automatico, l’Agenzia può attivare richieste specifiche ad altri Stati. Tramite le Convenzioni contro le doppie imposizioni (articoli sullo scambio di informazioni, in genere art.26 del Modello OCSE) e tramite la direttiva 2011/16/UE, è possibile inviare un’istanza mirata chiedendo ad esempio: “Forniteci l’estratto conto dettagliato del conto n. XYZ intestato al Sig. Rossi presso la vostra banca nel periodo 2015-2018”. Lo Stato estero, se la richiesta è giustificata e conforme agli accordi, raccoglierà i dati e li trasmetterà. Questo strumento è utilizzato nei casi più complessi o importanti, ad esempio quando serve provare con precisione movimenti finanziari o identificare il titolare effettivo di una struttura societaria. Un caso frequente è: dopo aver ricevuto via CRS il saldo di un conto, l’Agenzia su richiesta ottiene il dettaglio dei movimenti per ricostruire gli accrediti (entrate potenzialmente tassabili). Va notato che il contribuente non ha diritto di essere informato mentre avviene lo scambio tra Stati né di partecipare: la Corte di Giustizia UE (caso Sabou, 2013) ha chiarito che il diritto al contraddittorio non impone di coinvolgere il privato nella fase di cooperazione fra autorità straniere. Dunque l’Agenzia può raccogliere informazioni all’estero in modo quasi segreto, per poi utilizzarle nell’accertamento.
- Scambio spontaneo: alcune informazioni viaggiano senza richiesta né periodicità fissa, quando un’amministrazione estera le reputa utili a quella italiana. Ad esempio: la Svizzera trasmette i nomi di cittadini italiani fermati alla dogana con valuta non dichiarata; oppure San Marino comunica l’elenco di immobili posseduti da italiani sul suo territorio; o ancora uno Stato UE segnala all’Italia che un certo soggetto ha percepito una vincita cospicua a una lotteria locale. Anche i risultati di inchieste celebri (es. Panama Papers, Paradise Papers) sono stati in parte condivisi via canali ufficiali: ad esempio la Germania, che acquisì i Panama Papers, ha messo a disposizione delle altre nazioni i dati rilevanti dei propri residenti. L’Agenzia delle Entrate riceve e smista queste notizie spontanee verso gli uffici competenti.
- Lista Falciani, SwissLeaks e dati da “whistleblowers”: Una menzione meritano i famosi elenchi di correntisti esteri trafugati da dipendenti infedeli o hacker (caso HSBC-Falciani, UBS, Liechtenstein-LGT, Panama Papers, etc.). Inizialmente, vi erano dubbi sull’utilizzabilità di tali prove acquisite illecitamente. La Cassazione ha però adottato un orientamento favorevole al Fisco: con due ordinanze gemelle del 2015 (nn. 8605 e 8606) ha ritenuto utilizzabile la Lista Falciani in quanto l’Italia l’aveva ricevuta legittimamente via autorità francesi. La provenienza illecita originaria non inficia la prova se lo Stato la ottiene nell’ambito di collaborazione ufficiale. Recentemente, Cass. n.35629/2023 ha ribadito la legittimità dell’accertamento basato su liste estere rubate, purché corroborato da riscontri. Dunque l’Agenzia delle Entrate, appena ha avuto accesso a tali elenchi (spesso tramite la Guardia di Finanza o Procure che li hanno ottenuti da omologhi esteri), li ha caricati nelle proprie basi dati. Molte posizioni sono state risolte con la voluntary disclosure del 2015-2017, ma chi non ha aderito può essere comunque oggetto di accertamento. Da notare che in alcuni casi la presenza del nominativo su una lista ha portato all’avvio di indagini finanziarie mirate per raccogliere prove integrative, così da non basarsi solo sul dato rubato. Comunque, la giurisprudenza attuale considera quei dati complessivamente attendibili e sufficiente indizio di evasione.
- Unità di Informazione Finanziaria (UIF) e segnalazioni antiriciclaggio: il circuito antiriciclaggio genera un flusso di segnalazioni di operazioni sospette (SOS) che spesso contengono indicazioni di trasferimenti da/per l’estero. Ad esempio, se un cliente effettua frequenti bonifici verso un paese off-shore, la banca può segnalarlo alla UIF. Tali segnalazioni, una volta lavorate dalla UIF di Bankitalia, possono essere trasmesse alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Entrate per gli approfondimenti fiscali. Il vantaggio per il Fisco è di venire a conoscenza in tempi rapidi di movimenti anomali, anche in Paesi non cooperativi, che possano indicare evasione o frode. L’accesso dell’Agenzia alle informazioni antiriciclaggio è stato formalizzato con il DAC5 (Direttiva 2016/2258/UE), recepito dal 2018, che consente alle autorità fiscali di accedere alle banche dati sui titolari effettivi (es. Registro titolari effettivi, informazioni KYC delle banche). Così, se un italiano ha schermato la propria identità dietro una società di comodo, l’Agenzia può comunque risalire a lui tramite il Registro Beneficiari (ove disponibile).
- Indagini finanziarie interne: rimane sempre utilizzabile il potere dell’Amministrazione di svolgere indagini finanziarie su conti esteri attraverso la collaborazione domestica. In pratica, se durante un controllo si ha evidenza che il contribuente ha un conto presso una banca estera con filiale in Italia, l’Agenzia può, con autorizzazione, richiedere dati alla succursale italiana o acquisire documenti via il contribuente. Inoltre, la Guardia di Finanza, tramite i propri Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria e gli ufficiali di collegamento all’estero, può attivare canali investigativi supplementari (in alcuni paesi vi sono ufficiali GdF distaccati che facilitano lo scambio info). Tutte le risultanze vengono poi riversate nell’accertamento.
- Piattaforme informatiche e algoritmi di selezione: SOGEI, partner tecnologico del Fisco, ha sviluppato sistemi di analisi incrociata (“Serpico” è il più noto) in grado di correlare centinaia di banche dati: movimenti dell’Archivio finanziario, registri immobiliari, PRA (auto di lusso), anagrafe tributaria, spese sanitarie, registri nautici, bollo auto, ecc. Questi algoritmi segnalano scostamenti e anomalie che possono indicare redditi nascosti all’estero. Ad esempio, se un soggetto dichiara 20.000€ annui ma risultano spese o incrementi patrimoniali molto superiori (specie se legati a invii di denaro all’estero o acquisti di asset oltreconfine), scatta un alert (il cosiddetto “redditometro” integrato con dati esteri). Anche strumenti come il “risparmiometro” (analisi delle giacenze su conti italiani vs reddito) e il controllo dei trasferimenti per contanti in frontiera (dichiarazioni doganali per esportazione di denaro contante sopra 10.000€) fanno parte del mosaico informativo.
- Fonti aperte e social network: Infine, non va trascurato l’uso di informazioni reperibili online. Spesso nell’ambito di verifiche su individui sospettati di aver trasferito residenza fittiziamente all’estero (cd. esterovestizione della persona fisica), l’Agenzia setaccia social media, registri esteri, siti immobiliari per raccogliere prove che il centro degli interessi è rimasto in Italia. Pur non essendo “scambio di informazioni” in senso tecnico, queste attività integrano le prove. Un esempio: un contribuente risulta formalmente residente a Dubai (Emirati) ma l’Agenzia, attraverso Instagram e registri pubblici, scopre che la famiglia e gli affari sono ancora in Italia; ciò combinato con la ricezione via CRS dei conti esteri porta a contestare l’effettiva residenza.
Come si vede, il ventaglio di strumenti è ampio e integrato. Spesso l’Agenzia li usa in combinazione: ad esempio, una lista CRS genera una lettera di compliance; se ignorata, si passa a un’indagine finanziaria più invasiva; se emergono ulteriori elementi (transitati su conti italiani), si arricchisce il quadro probatorio; infine si emette l’accertamento avendo consolidato le evidenze. Dal lato difensivo, conoscere le fonti utilizzate è utile per:
- Verificare se la procedura di ottenimento dei dati esteri è stata corretta (ad es. in un accertamento da richiesta estera, controllare se la richiesta rispettava i termini convenzionali, se è allegata copia dell’informazione scambiata, ecc.).
- Contestare eventuali vizi di forma (es. dati ottenuti fuori tempo, o usati per annualità non consentite).
- Sapere che il Fisco spesso ne sa più di quanto riveli subito: se arriva una semplice lettera, è probabile che abbia anche altre info (es. movimenti) e voglia spingere al ravvedimento spontaneo. Non va sottovalutata la portata delle sue conoscenze.
Nella Tabella 2 a fine guida elenchiamo sinteticamente le principali fonti informative e strumenti istruttori con i riferimenti normativi.
Iter dell’Accertamento Basato su Dati Esteri
Analizziamo ora come si sviluppa in pratica un accertamento fiscale fondato su informazioni provenienti dallo scambio internazionale. È importante riconoscerne le fasi per modulare al meglio gli interventi difensivi in ciascuna di esse.
1. Segnalazione e selezione automatica – Tutto inizia tipicamente con l’arrivo dei dati esteri all’Agenzia (ad es. flussi CRS annuali). Questi dati vengono confrontati con le dichiarazioni dei redditi presentate. I sistemi informatici generano liste di casi “a rischio” in cui risultano attività estere non riscontrate nelle dichiarazioni del contribuente. È una fase interna, non visibile al contribuente. Ad esempio, a seguito delle comunicazioni 2020, il software individua 10 nominativi con conti in Emirati Arabi Uniti non dichiarati e li segnala all’Ufficio grandi evasori.
2. Lettera di compliance (invito alla regolarizzazione) – In molti casi (soprattutto per persone fisiche e importi non colossali) l’Agenzia adotta un approccio “soft” iniziale: invia una comunicazione di compliance, ossia una lettera in cui segnala al contribuente l’anomalia riscontrata e lo invita a verificare la propria posizione. Queste lettere non sono atti impositivi, ma avvisi bonari. Spesso vengono recapitate via PEC o rese disponibili nel cassetto fiscale elettronico, sotto la voce “L’Agenzia scrive”. Contenuto tipico: la lettera indica l’anno d’imposta, la tipologia di anomalia (“attività finanziarie all’estero non dichiarate”) e invita a fornire chiarimenti o a regolarizzare tramite ravvedimento operoso. Può allegare un prospetto riassuntivo dei dati esteri per come risultano al Fisco (paese, banca, saldo, redditi). Inoltre, spesso allega un fac-simile di risposta e chiarisce che la comunicazione non è un avviso di accertamento ma un’occasione per evitare sanzioni più gravose. La finalità dichiarata è di incentivare l’adempimento spontaneo e risolvere la questione senza aprire un formale contenzioso. Per il contribuente questa è una fase delicata: ignorare la lettera è fortemente sconsigliato. Come evidenziato in una guida recente, non bisogna restare inerti: se non si risponde, l’Agenzia “passerà a un livello successivo” – ovvero manderà controlli più formali o un accertamento – e verranno meno i benefici del ravvedimento operoso. Invece, agendo subito, si possono ridurre drasticamente le sanzioni e magari chiudere la pendenza senza contenzioso.
3. Richiesta di informazioni (questionario) o invito al contraddittorio – Se il contribuente non reagisce alla compliance, oppure se l’anomalia è di importo rilevante o riguarda soggetti più complessi (es. società, trust), l’Ufficio passa a strumenti più incisivi. Uno è l’invio di un questionario ex art. 32 DPR 600/1973: è una lettera raccomandata (o PEC) formale, con cui l’Agenzia chiede al contribuente di fornire entro un termine specifico (di solito 15 o 30 giorni) una serie di informazioni e documenti. Nel contesto estero, il questionario può domandare ad esempio: “Elencare i conti correnti detenuti all’estero negli anni X-Y indicando intestatari, saldi e fornire estratti conto”; “Spiegare la provenienza dei fondi detenuti sul conto n. … presso …”; “Indicare se il contribuente riveste la qualità di beneficiario effettivo di trust o società estere e fornire relativa documentazione”, ecc. Rispondere in modo completo e veritiero è fondamentale: la mancata risposta, o la risposta parziale/non veritiera, espone a una sanzione amministrativa (da €2.000 fino a €32.000 ai sensi dell’art.11 D.Lgs.471/97) e soprattutto consente all’Agenzia di effettuare accertamento induttivo presuntivo (cioè stimando sulla base delle info a disposizione) inversione dell’onere della prova. Dunque, ignorare il questionario peggiora drasticamente la posizione. Talora, invece del questionario generico, viene notificato un vero e proprio “invito a comparire per il contraddittorio” ex art.5-ter D.Lgs. 218/97 o ex art. 4 DL 192/2014 (a seconda dei casi). L’invito indica le violazioni rilevate e invita il contribuente a presentarsi in ufficio in una certa data per fornire chiarimenti ed eventualmente definire la situazione prima dell’emissione dell’atto. È un passaggio più strutturato, previsto ad esempio per accertamenti parziali o per ambiti in cui il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio (in materia di tributi armonizzati come IVA, la Cassazione e lo Statuto del Contribuente spesso richiedono un contraddittorio anticipato pena nullità). In materia di redditi esteri, la necessità di contraddittorio anticipato non è sempre stata riconosciuta come obbligatoria, ma per prassi l’Agenzia tende a offrirlo (anche per rafforzare la tenuta dell’atto). Durante il contraddittorio il contribuente può produrre documenti (es. prove che i soldi esteri derivano da redditi già tassati) e memorie difensive. Tutto ciò verrà verbalizzato e dovrà essere valutato dall’Ufficio prima di decidere se emettere accertamento. Tempistiche: dalla lettera di compliance al questionario possono passare alcuni mesi; il questionario di solito concede 15-30 giorni prorogabili; l’invito a contraddittorio fissa una data di incontro (spesso almeno 15 giorni dopo). È buona norma chiedere per iscritto eventuali proroghe motivate (es. in attesa di recuperare documenti dall’estero).
4. PVC della Guardia di Finanza (nei casi di verifiche sul campo) – In situazioni complesse o di maggiore importo evaso, l’Agenzia può attivare la Guardia di Finanza per svolgere una verifica fiscale approfondita. Ad esempio, se dai dati esteri risulta un patrimonio ingente non dichiarato, potrebbero disporre un accertamento con accesso presso il contribuente o la sua azienda. La GdF redigerà a fine lavori un Processo Verbale di Constatazione (PVC) dettagliato. Il PVC conterrà i rilievi (es: “il contribuente ha detenuto il conto XYZ alle Bahamas non dichiarato, alimentato da bonifici non giustificati, presumibilmente frutto di evasione”). Una volta rilasciato il PVC, il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni e memorie difensive all’Agenzia delle Entrate (art.12 c.7 L.212/2000, Statuto del contribuente) – salvo casi di urgenza che permettono all’Ufficio di saltare tale attesa. Durante questi 60 giorni è possibile confutare le risultanze del PVC, portare prove contrarie o elementi attenuanti. Ad esempio si potrebbe documentare che alcune somme contestate erano state già tassate o che un investimento appartiene a terzi. L’Ufficio deve esaminare tali memorie prima di emettere l’atto definitivo.
5. Emissione dell’Avviso di Accertamento – Se il contribuente non si avvale o non riesce a chiudere con gli strumenti deflattivi precedenti, l’Agenzia emetterà un formale avviso di accertamento (o atto di contestazione per sole sanzioni RW). L’avviso è un atto impositivo motivato, che dettaglia:
- Gli elementi raccolti (ad es. “dall’esame delle informazioni pervenute dallo Stato X ai sensi della Direttiva 2014/107/UE risulta che il contribuente ha detenuto presso ABC Bank il conto n…, con saldo di €… e interessi €… non dichiarati”).
- Le norme violate: ad es. omessa indicazione quadro RW (art.4 D.L.167/90) e omessa dichiarazione di redditi di capitale (art.4 c.1 D.Lgs.74/2000 in ipotesi penale, e sanzioni amministrative art.1 c.2 D.Lgs.471/97).
- Il ricalcolo delle imposte dovute: tipicamente l’imposta sul reddito evasa (aliquota del periodo sul capitale dichiarato come reddito o sul rendimento presunto) e le imposte patrimoniali non pagate (IVAFE 0,2% annuo sul saldo, IVIE 0,76% su immobili esteri).
- Le sanzioni applicate: ad esempio, sanzione per RW omesso (attualmente 3% del valore non dichiarato per anno, raddoppiata al 6% se attività in paese black list), sanzione per infedele dichiarazione su redditi (dal 90% al 180% dell’imposta evasa, elevabile al 270% se attività estera non dichiarata in black list, stando al regime ante 2017). In genere l’Agenzia tende ad applicare il minimo edittale raddoppiato per black list quando applicabile.
- L’eventuale segnalazione penale: se configura reato (es. imposta evasa > €100.000), verrà indicato che è stata trasmessa notizia di reato alla Procura (ma questo esula dall’atto amministrativo in sé).
- Le modalità e termini per impugnare (60 giorni per ricorso in CTP, possibilità di adesione entro 30 giorni, ecc.).
È possibile che prima dell’avviso vero e proprio l’Ufficio notifichi un “accertamento parziale” (art.41-bis DPR 600/73) se l’intento è chiudere in fretta per un anno singolo lasciando aperti gli altri, ma in materia di estero di solito preferiscono fare un unico atto per tutti gli anni contestati, data la complessità.
6. Termini di decadenza – Un aspetto fondamentale è fino a quale anno pregresso possono spingersi questi accertamenti. La regola generale (dopo le modifiche del 2016) è:
- Termine ordinario: 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (per i redditi 2019 dichiarati nel 2020, scadenza 31/12/2025).
- Se dichiarazione omessa: 31 dicembre del settimo anno successivo (redditi 2019 con dichiarazione omessa, termine 31/12/2026).
A questo si aggiunge la norma speciale del raddoppio dei termini per attività estere non dichiarate in Paesi black list (art.12 commi 2-bis e 2-ter DL 78/2009). Tale norma (in vigore per violazioni fino al 2016) prevedeva che se le attività finanziarie non dichiarate si trovavano in Stati a fiscalità privilegiata (quelli privi di accordo di scambio info con l’Italia all’epoca), i termini di accertamento e di contestazione sanzioni raddoppiavano. Così il termine di 5 anni diventava 10, e 7 diventava 14. Questa disposizione aveva natura procedurale secondo la Cassazione, quindi applicabile retroattivamente alle annualità aperte. Tuttavia, attenzione: dal 2017 la black list ai fini RW è superata (ormai quasi tutti scambiano info) e il raddoppio dei termini è stato di fatto abrogato (non operando più per le annualità dal 2017 in avanti, grazie all’adeguamento internazionale). Rimane però applicabile per gli anni passati in cui vi era occultamento in paesi all’epoca black list (es. Panama fino al 2015). E la Cassazione – seppur con qualche voce critica – ha confermato l’applicabilità del raddoppio, in chiave sfavorevole ai contribuenti. Ad esempio Cass. n.18894/2021 ha ritenuto pienamente valida la notifica di un accertamento nel 2020 per redditi 2009 derivanti da conti in Black List, proprio in virtù del termine raddoppiato. Invece su altro fronte, Cass. n.2662/2018 ha escluso l’effetto retroattivo della presunzione di evasione per anni ante 2009, questione diversa (presunzione vs termini, come approfondiremo). In pratica: oggi l’Agenzia può controllare tranquillamente fino ai redditi del 2015 compreso (termine 2022 raddoppiato 2029, quindi ancora aperto), se trattasi di attività occultate in paesi non collaborativi all’epoca. Per i redditi 2016 e seguenti il raddoppio formale non c’è più, ma si arriva a 5 o 7 anni (quindi al 2023 sono controllabili fino a redditi 2017 con termine 2024, e così via). Inoltre, attenzione: alcune condotte possono configurare dichiarazione omessa (se non è stato compilato il quadro RW potenzialmente è omessa una parte di dichiarazione, ma la giurisprudenza prevalente considera l’omesso RW un’infedeltà parziale, non “omessa dichiarazione” completa; dunque il termine resta di 5+5 e non 7+7). In Tabella 4 riepilogheremo questi termini.
7. Definizione bonaria post-avviso – Prima di passare al contenzioso, l’ordinamento prevede comunque possibilità di deflazione anche dopo l’emissione dell’avviso:
- Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97): entro 30 giorni dalla notifica dell’accertamento, il contribuente può presentare istanza di adesione, ottenendo la sospensione dei termini di ricorso e avviando un dialogo con l’ufficio per cercare un accordo. Nell’adesione l’ufficio può ridurre imposte e sanzioni a fronte della rinuncia al ricorso. Se si raggiunge intesa, si formalizza un atto di adesione con pagamento (anche rateale) delle somme concordate (sanzioni ridotte a 1/3 del minimo). L’adesione spesso è utile quando ci sono margini di trattativa (es: contestazioni su imponibili non facilmente dimostrabili, dove il contribuente può spuntare uno sconto).
- Acquiescenza (art.15 D.Lgs. 218/97): se il contribuente accetta integralmente l’accertamento e paga entro 60 giorni dalla notifica, ha diritto a una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (in aggiunta ad eventuali riduzioni già applicate). In caso di atti con sanzioni elevate, può convenire evitare il contenzioso e sfruttare questa riduzione.
- Autotutela: in qualsiasi momento, se l’Ufficio si rende conto di un errore materiale o di valutazione evidente nell’atto, potrebbe annullarlo in via di autotutela (art.2-quater D.L. 564/94). Il contribuente può presentare un’istanza di autotutela segnalando l’errore (ad esempio: “mi avete attribuito il conto X ma è di un omonimo, ecco i documenti”). L’autotutela è discrezionale e non sospende i termini di ricorso; va usata solo per casi lampanti, ma talvolta evita cause lunghe per errori grossolani. Dal 2023, l’Agenzia ha anche indicazioni sul “ravvedimento operoso attivo” e sull’auto-annullamento degli atti palesemente errati (c.d. autotutela doverosa in base all’art. 10-quater Statuto contrib., introdotto nel 2022).
Dopo aver esaminato l’iter, appare chiaro come il contribuente diligente abbia varie opportunità per sistemare la propria posizione prima di arrivare davanti al giudice: dalla compliance alla risposta al contraddittorio, fino all’adesione. Dal punto di vista difensivo, è fondamentale:
- Non lasciarsi sfuggire le occasioni di chiarire e regolarizzare in fase pre-contenziosa (specie la lettera iniziale, che consente ravvedimento con sanzioni minime).
- Durante questionari e contraddittorio, fornire per iscritto le spiegazioni e prove a favore (questo materiale, se ignorato dall’ufficio, potrà essere arma in ricorso per eccepire difetto di motivazione o istruttoria).
- Prestare attenzione ai termini (presentare memorie entro 60 gg dal PVC, istanza adesione entro 30 gg dall’atto, ricorso entro 60 gg, ecc.).
- Valutare se l’ufficio ha rispettato tutti gli step obbligatori (es: se omette un contraddittorio obbligatorio in un caso in cui la legge o la prassi lo prevedeva, ciò può portare all’annullamento dell’atto in giudizio).
Nel prossimo capitolo entreremo proprio nelle strategie difensive concrete, distinguendo la fase amministrativa (prima dell’atto e fino all’adesione) e la fase contenziosa (ricorso in Commissione Tributaria). Successivamente, tradurremo questi concetti in esempi pratici con delle simulazioni di casi reali.
Strategie Difensive in Fase Amministrativa
La fase amministrativa è quella che precede l’instaurazione di un contenzioso: comprende tutte le interazioni con l’Agenzia delle Entrate (o Guardia di Finanza) fino all’eventuale notifica di un avviso di accertamento e, volendo, fino alla definizione per adesione. Agire efficacemente in questa fase può spesso evitare il contenzioso o mettere il contribuente in posizione di vantaggio qualora si arrivi in giudizio. Ecco le principali strategie e suggerimenti difensivi.
Quando arriva una lettera di compliance…
1. Non ignorare la comunicazione: come già sottolineato, la prima regola è rispondere tempestivamente. Ignorare la lettera è l’errore peggiore, perché fa scattare automaticamente la fase successiva con perdita dei benefici sanzionatori. Anche se si ritiene che la segnalazione sia errata, è doveroso attivarsi per chiarire. In questa fase il tempo gioca a favore del contribuente: finché si è in regime di compliance “bonaria”, è ancora consentito il ravvedimento operoso con sanzioni ridotte. Una volta notificato un accertamento formale, il ravvedimento non è più ammesso. Quindi, non indugiare: appena ricevuta la lettera, pianificare le azioni da compiere, idealmente entro 30-60 giorni.
2. Reperire i dettagli dell’anomalia (dal cassetto fiscale): spesso la lettera di compliance contiene solo un riassunto generico (“attività estera non dichiarata per l’anno X”). È però possibile – e consigliato – accedere al proprio cassetto fiscale online per scaricare il file dettagliato allegato alla comunicazione. Seguendo le istruzioni:
- Entrare nell’area riservata (Fisconline) con SPID/CIE o tramite il proprio intermediario.
- Navigare alla sezione “L’Agenzia scrive” o “Compliance” dove è presente la comunicazione.
- Scaricare il PDF allegato che elenca in tabella le attività finanziarie segnalate.
Questo allegato solitamente indica per ogni conto/rapporto:
- Il Paese estero di provenienza della segnalazione.
- Il tipo di rapporto (conto corrente, deposito titoli, polizza, fondo…).
- L’identificativo del rapporto (numero di conto mascherato parzialmente).
- Il saldo al 31/12 dell’anno di riferimento.
- L’eventuale valore massimo raggiunto nell’anno (non sempre presente).
- L’ammontare totale dei redditi generati su quel rapporto nell’anno (es. interessi totali, dividendi, ecc.).
- Eventuali ritenute fiscali estere indicate (ad esempio imposta alla fonte su interessi).
- Il codice fiscale del titolare (il nostro).
- L’ente segnalante (es. “HSBC Bank – Singapore” o “UBS AG – Switzerland”).
Con questi dati si ha una chiara fotografia di ciò che sa già l’Agenzia. Talvolta emergono sorprese: conti dimenticati, importi diversi da quelli immaginati, ecc. Ad esempio, il dettaglio potrebbe mostrare: “Country: Svizzera – Institution: Credit Suisse – Account ending balance: €256.000 – Interest paid: €1.500”. Questo rivela esattamente cosa si contesta: un conto con 256 mila euro a fine anno e 1.500 euro di interessi non dichiarati (quindi andava indicato in RW per 256k e andavano dichiarati 1.5k di interessi in Redditi). Il contribuente deve confrontare questi dati con la propria dichiarazione di quell’anno per verificare se effettivamente manca qualcosa.
3. Analizzare la propria posizione dichiarativa: ottenuti i dati, occorre fare un’auto-diagnosi puntuale per l’anno (o anni) interessato:
- Vi è effettivamente stata un’omissione? Esempio: ho proprio dimenticato di indicare quel conto nel quadro RW? Oppure l’ho indicato ma con qualche errore? Ho omesso di dichiarare gli interessi maturati?
- Oppure avevo dichiarato tutto correttamente? Potrebbe accadere che l’anomalia sia frutto di un disallineamento formale: il conto era indicato in RW e i redditi dichiarati, ma magari con codici errati o differenze di cambio, per cui il sistema ha rilevato difformità per errore.
- Ero effettivamente tenuto a quegli adempimenti? Ad esempio: nell’anno segnalato ero residente fiscale all’estero (quindi non soggetto al monitoraggio); oppure il conto estero era intestato a una società estera e non a me personalmente; oppure rientravo in un caso di esonero (es. frontaliero per conti in Svizzera sotto certe condizioni).
In pratica, per ciascuna voce segnalata si possono avere vari scenari:
- Caso A – Omissione reale: se effettivamente il conto/provento non fu dichiarato e avrebbe dovuto esserlo, occorre prenderne atto. Negare l’evidenza non serve; meglio concentrare le energie nel regolarizzare l’errore nel modo meno oneroso possibile.
- Caso B – Posizione regolare o quasi: se dall’esame risulta che invece tutto era stato dichiarato, oppure c’è solo un piccolo errore formale (es. indicato il conto ma con codice paese sbagliato, o indicato il reddito ma in un quadro diverso), allora bisogna preparare una risposta che illustri la situazione e magari predisporre un’eventuale dichiarazione integrativa a zero imposte per correggere i dettagli. In questi casi non ci sono imposte da versare, ma conviene comunque fornire spiegazioni e sanare gli errori formali per evitare strascichi.
- Caso C – Non obbligato all’adempimento: se verifico che quell’anno non ero residente in Italia, o che quell’attività non era giuridicamente riferibile a me (es. conto intestato a mia moglie non fiscalmente a carico, oppure trust estero di cui sono beneficiario futuro ma non controllante), allora posso ritenere di aver rispettato la legge. In tal caso non occorre alcuna dichiarazione integrativa (perché non c’era obbligo), però è essenziale rispondere all’Agenzia spiegando la situazione e fornendo le prove (es. iscrizione all’AIRE per quell’anno, documenti che attestano l’intestazione del conto a terzi, clausole del trust che evidenziano la discrezionalità, etc.) e chiedendo l’archiviazione della posizione.
In questa analisi va considerato se l’anomalia concerne:
- Solo il monitoraggio RW (ad esempio la lettera menziona un conto ma indica “redditi segnalati: 0”, quindi contesta solo l’omessa indicazione in RW).
- Solo i redditi esteri (capita se uno ha indicato il conto in RW ma ha omesso di dichiarare i proventi, ad esempio ha messo il conto ma non i dividendi percepiti).
- Entrambi (il caso più frequente: né RW né redditi dichiarati).
Questa distinzione è importante perché determina quali sezioni della dichiarazione integrativa andranno compilate e quali sanzioni si applicheranno (solo sanzione RW, solo sanzione imposta, o entrambe).
4. (Se necessario) Consultare un esperto: se la situazione è complessa o gli importi elevati, è prudente coinvolgere fin da subito un professionista (commercialista o avvocato tributarista esperto in fiscalità internazionale). Lo stesso Fisco suggerisce di farsi assistere da un professionista di fiducia in questi frangenti. Un esperto che abbia già trattato voluntary disclosure o casi analoghi potrà:
- Confermare la diagnosi e individuare eventuali problematiche nascoste.
- Calcolare con precisione imposte, interessi e sanzioni dovuti in caso di regolarizzazione.
- Predisporre le dichiarazioni integrative in modo corretto, evitando errori formali (che potrebbero inficiare il ravvedimento).
- Gestire la comunicazione con l’Agenzia con linguaggio tecnico adeguato (spesso una risposta ben formulata da un professionista viene presa più in considerazione).
- Prevenire passi falsi (ad esempio scegliere la riduzione sanzione 1/8 vs 1/6 a seconda dell’anno di ritardo, o compilare esattamente i quadri RW retroattivi, ecc.).
Chiaramente, se si tratta di una dimenticanza minima (es. €10.000 su un conto PayPal con nessun reddito) ci si può arrangiare, ma nella maggior parte dei casi la materia è abbastanza insidiosa da giustificare l’assistenza professionale. Si consideri che la lettera di compliance di solito non impone un termine perentorio breve (non è un atto legalmente perentorio), ma è bene comunque procedere entro pochi mesi al massimo. Questo consente di prendersi qualche settimana per coinvolgere il consulente, reperire tutti i documenti e studiare un piano d’azione senza superare i tempi fisiologici (diciamo entro 90 giorni dall’arrivo della lettera sarebbe opportuno aver concluso la regolarizzazione o quantomeno aver avvisato l’ufficio che si sta procedendo).
5. Regolarizzare tramite dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso: Se dall’analisi risulta effettivamente un’omissione di monitoraggio o di redditi (Scenario A sopra), la via più consigliabile – e auspicata dalla stessa Agenzia – è procedere con il ravvedimento operoso, cioè sanare spontaneamente le violazioni presentando le dichiarazioni integrative e pagando il dovuto con sanzioni ridotte. Il ravvedimento operoso (art.13 D.Lgs.472/97) permette infatti di regolarizzare omissioni fiscali beneficiando di sconti sulle sanzioni proporzionati alla tempestività. Nel nostro contesto ciò significa:
- Presentare una dichiarazione integrativa per ciascun anno interessato, includendo quanto omesso (attività in RW, redditi esteri non dichiarati, IVIE/IVAFE dovute).
- Pagare le maggiori imposte dovute, gli interessi legali maturati e le sanzioni in misura ridotta in base al tempo trascorso.
Vediamo in pratica come fare:
- Preparazione delle dichiarazioni integrative: occorre utilizzare i modelli Redditi dell’anno di riferimento, barrando la casella “Dichiarazione integrativa” (tipo di integrativa “per correggere errori/omissioni”). Per un anno remoto, potrebbe non essere disponibile il software sul sito AE: in tal caso ci si può rivolgere a un intermediario (CAF/commercialista) che abbia i pacchetti storici, oppure scaricare dall’area riservata il PDF editabile dell’anno in questione. Nella integrativa si compilerà:
- Il quadro RW aggiungendo l’attività estera omessa (indicando valore a fine anno e quota di possesso, eventualmente periodo di detenzione se non tutto l’anno).
- L’eventuale quadro RM o RL per includere i redditi finanziari esteri non dichiarati (dividendi, interessi, capital gain): solitamente gli interessi/dividendi da attività finanziarie estere vanno dichiarati in RW (monitoraggio) e in RT/RM (imposta sostitutiva del 26%) oppure in RL (se da tassare come reddito imponibile IRPEF ordinaria, ma di norma sono imposte sostitutive al 26%). Molti non li dichiarano per ignoranza, ma vanno inseriti.
- Il quadro FC per calcolare IVIE/IVAFE se dovute: IVAFE 0,2% sui saldi di conti e valori mobiliari esteri al 31/12; IVIE 0,76% sul valore catastale o di mercato degli immobili esteri.
- Ricalcolare il rigo RN (imposta netta) tenendo conto dei nuovi redditi/imposte patrimoniali dovute.
- Non dimenticare di compilare il quadro sanzioni/ interessi se il software lo richiede (o comunque predisporre il calcolo a parte da versare).
- Calcolo di sanzioni e interessi per ravvedimento:
- Sanzione omessa indicazione RW: edittale 3% annuo (o 6% se black list) del valore non dichiarato. Col ravvedimento, se si paga entro i 90 giorni dalla scadenza originaria era 0,5% (1/6 di 3%) per quell’anno, ma qui siamo ben oltre. Per ravvedimenti tardivi la riduzione dipende dall’anno: ad esempio oltre 2 anni dall’omissione si applica 1/6 del minimo. In pratica per anni vecchi la sanzione RW si riduce al 0,5% annuo (1/6 di 3%) se paese white list, o 1% annuo (1/6 di 6%) se black list. Se invece l’anno è recente (ravvedimento entro l’anno successivo o entro due), potrebbero applicarsi riduzioni 1/8 o 1/7 a seconda dei casi – il professionista valuta esattamente la frazione.
- Sanzione omessa dichiarazione redditi esteri: edittale 90% dell’imposta evasa (se < €50k imposta) oppure 120% (se superata soglia penale) – poi entrata la riforma 2015 che ha portato range 90-180%. Consideriamo il minimo 90%. Per ravvedimento oltre 2 anni, riduzione 1/6 → sanzione 15% dell’imposta evasa per quell’anno. Se ravvedimento entro un anno, 1/8 → 11,25%. Sono percentuali molto più favorevoli dei 90%/180% che si rischierebbero a posteriori.
- Sanzione omesso versamento IVIE/IVAFE: edittale 30% del tributo non versato, riducibile (di solito a 1/6 se tardivo di anni).
- Interessi legali: vanno calcolati giorno per giorno dal giorno in cui il tributo doveva essere versato (16 giugno o 30 giugno dell’anno successivo al reddito, a seconda) fino al pagamento. I tassi legali sono variati (ad es. 0,5%, 0,05%, 1%, 1,3%… fino al 5% nel 2023). Il software di controllo o il consulente li calcolerà.
- Predisposizione degli F24: occorre compilare i modelli F24 con i codici tributo:
- Imposte (IRPEF o IVAFE/IVIE) dovute per ciascun anno.
- Codici tributo sanzioni per ravvedimento (ad es. 8924 per sanzioni RW, 8911 per sanzioni imposte, ecc.).
- Codici tributo interessi ravvedimento (ata).
- Rateazione = “RAV” per far capire che è ravvedimento.
- Se le imposte sono modeste, meglio pagare in un’unica soluzione; se elevate, si può valutare il ravvedimento frazionato (le norme non lo disciplinano chiaramente, ma l’Agenzia accetta che si ravveda anno per anno in tempi diversi, purché prima di formalizzazione di accertamento).
- Invio delle integrative: vanno trasmesse telematicamente (il contribuente può farlo via Fisconline se abilitato, oppure tramite il commercialista). Dopo l’invio, si ottiene una ricevuta di presentazione con protocollo.
L’effetto del ravvedimento operoso completato è che la violazione si considera “sanata” con il pagamento delle sanzioni ridotte. Ad esempio, se Mario nel 2023 regolarizza un conto dal 2017 pagando 0,5% annuo di sanzione RW + 15% su eventuali rendimenti, l’Agenzia non dovrebbe più procedere con atti impositivi per quegli anni su quegli importi, poiché il debito d’imposta e sanzionatorio è stato estinto.
6. Inviare riscontro all’Agenzia comunicando le azioni intraprese: Una volta presentate le integrative e versato il dovuto, è buona prassi dare comunicazione all’Ufficio locale, come sollecitato dalla lettera. Questo non è obbligatorio ma è fortemente consigliato per chiudere il cerchio. La risposta può essere inviata via PEC (così resta traccia protocollata) e deve:
- Citare gli estremi della comunicazione di compliance ricevuta (protocollo, anno).
- Dichiarare che a seguito di essa si è provveduto a sanare l’anomalia mediante ravvedimento operoso.
- Elencare sinteticamente le azioni fatte: ad es. “Presentata dichiarazione integrativa 2019 in data XX/YY/2023, prot. n…, con cui è stato indicato il conto estero ABC e dichiarati €… di interessi; eseguito versamento F24 in data… di €… per imposte, €… interessi e €… sanzioni ridotte (copia ricevute allegate)”.
- Allegare copia delle ricevute di invio delle integrative e degli F24 pagati.
- Eventualmente, sottolineare che si confida che la regolarizzazione venga presa in carico e non venga emesso avviso di accertamento in quanto il ravvedimento è perfezionato. Questo non è strettamente necessario (se hai pagato tutto dovrebbero non procedere comunque), ma repetita iuvant.
- Adottare un tono collaborativo e cortese, ringraziando per l’attenzione.
Di solito l’Agenzia non risponde a queste PEC, ma le annota a sistema. Ciò evita che, per un disguido, il nominativo resti tra quelli “in attesa di controlli” e magari scatti un avviso automatico se entro tot tempo non risultano risposte. In pratica con la PEC ti assicuri che l’ufficio locale spunti la tua posizione come “ok, contribuente compliance”. Se non mandassi nulla, potrebbe succedere che per inerzia burocratica parta comunque un’accertamento standard, che poi dovresti annullare mostrando che avevi già fatto tutto (con spreco di tempo ed energie).
7. Se non c’è nulla da regolarizzare ma la segnalazione è errata (o illecita): In questo caso, la difesa consiste nel rispondere comunque all’Agenzia fornendo chiarimenti e documenti per far archiviare l’anomalia. Ad esempio:
- Se i dati esteri risultano già dichiarati, allegare copia della dichiarazione dei redditi di quell’anno evidenziando il quadro RW e il rigo dove i redditi erano tassati, spiegando la possibile causa del disallineamento (es: “il conto era cointestato, io ho dichiarato solo la mia quota 50%, la banca ha comunicato l’intero importo – allego documentazione cointestazione”).
- Se il contribuente non era residente, allegare certificato di iscrizione AIRE o certificazione di residenza estera per quell’anno, spiegando che non vi era obbligo dichiarativo.
- Se il patrimonio estero proveniva da redditi già tassati o esenti, spiegarlo e magari documentare (es: “il conto era alimentato da risparmi di stipendi UK già tassati alla fonte – allego tax return UK”).
- Se addirittura il contribuente contesta la titolarità (capita raramente: ad es. scambio di codice fiscale, o omonimia), dichiararlo espressamente: “Non ho mai detenuto il conto n… presso la banca X, ritengo vi sia un errore di identificazione. Chiedo opportuna verifica tramite l’Autorità estera”.
In questa risposta, oltre ai documenti, è utile chiedere esplicitamente l’annullamento/archiviazione della segnalazione e la conferma che nulla è dovuto. Anche se l’Agenzia non invierà un “annullamento” formale, queste spiegazioni documentate andranno agli atti e, in assenza di elementi contrari, normalmente l’ufficio non procederà oltre. È possibile che chiedano ulteriore documentazione se qualcosa non è chiaro.
8. Monitorare gli esiti: dopo aver risposto o ravveduto, generalmente il silenzio dell’amministrazione entro qualche mese lo si può interpretare come accoglimento (nessuna nuova, buona nuova). A volte però arrivano comunicazioni di riscontro: ad esempio, se si è regolarizzato tutto, può giungere una breve PEC: “Abbiamo preso atto della sua comunicazione e archiviato la posizione”. Oppure, se si è fornita una spiegazione, l’ufficio potrebbe replicare chiedendo un dettaglio aggiuntivo. Finché non vi è certezza, è bene tenere d’occhio il cassetto fiscale e la PEC per eventuali messaggi.
Con queste mosse, molte situazioni si risolvono senza passare alla fase contenziosa. Dal punto di vista pratico, l’esperienza insegna che l’Agenzia apprezza – e quasi si attende – che il contribuente a fronte di evidenti omissioni corra ai ripari spontaneamente. Le statistiche mostrano che le lettere di compliance portano milioni di euro di incassi grazie ai ravvedimenti, evitando lo sforzo di accertamenti e liti. Pertanto, per chi ha realmente dimenticato di dichiarare attività estere, cogliere questa chance è la strategia di gran lunga migliore.
Nella fase di verifica o pre-accertamento formale…
Se il caso è già oltre la semplice lettera – ad esempio è arrivato un PVC della Guardia di Finanza, o un invito a contraddittorio – le strategie difensive diventano più mirate alla contestazione del merito e alla creazione di un record documentale utile per un eventuale ricorso. Alcuni consigli chiave:
- Partecipare attivamente al contraddittorio: presentarsi all’incontro (eventualmente delegando un professionista) ben preparati. Portare con sé tutti i documenti utili e magari una memoria difensiva scritta da consegnare. Nel contraddittorio, far mettere a verbale le proprie dichiarazioni e obiezioni. Ad esempio: “si contesta l’assunto che il trust estero sia interposto, allegando statuto che dimostra l’irrevocabilità”; oppure “si fa presente che l’origine dei fondi esteri (1 milione €) risale alla vendita di un immobile già tassata nell’anno… (documentazione allegata)”. È essenziale che queste informazioni risultino agli atti prima che l’ufficio emetta l’eventuale avviso, così che la mancata considerazione delle stesse possa costituire vizio di motivazione impugnabile.
- Memoria post-PVC (osservazioni): se c’è stato un PVC, utilizzare il termine di 60 giorni per presentare osservazioni scritte. Anche qui, allegare prove, confutare analiticamente le constatazioni errate. Ad esempio, se il PVC presume un rendimento del 5% sul capitale estero per tutti gli anni, si può replicare mostrando i veri estratti conto con rendimento inferiore, sostenendo che la presunzione di fruttuosità è vinta (vedi oltre). Oppure, se la GdF assume che il contribuente fosse residente anche in anni contestati, portare evidenze di residenza estera.
- Verificare la corretta applicazione delle norme: spesso in materia estera ci sono particolarità. Ad esempio:
- La presunzione di redditività (art.6 D.L.167/90) sancisce che le somme su conti esteri si presumono fruttare interessi al tasso ufficiale medio. Se il PVC o l’accertamento la applicano (talora il Fisco addiziona per ogni anno un 1% o 2% sul capitale detenuto come “interessi presunti”), si può eccepire l’inesistenza di redditi se ad esempio il conto era infruttifero (conto deposito a zero interessi) o produrre prova contraria. La Cassazione ha confermato che è presunzione relativa, superabile da prova contraria. Quindi vanno portati documenti per dimostrare l’assenza di interessi o la loro misura reale.
- La presunzione di evasione sull’origine (art.12 DL 78/09) afferma che i patrimoni in Paesi black list non dichiarati si presumono costituiti con redditi evasi. Questa è un’altra presunzione iuris tantum: può essere vinta mostrando l’origine lecita (es. risparmi già tassati). Il contribuente deve invertire l’onere e provare che quei soldi erano già noti al Fisco. Se riesce, l’Ufficio non può pretendere di tassarli come nuovo reddito. Ad esempio: se 500k € in Svizzera provengono da una vendita di azienda già tassata anni prima, va provato con atto di vendita e dichiarazioni dei redditi pregresse. Cassazione ha ritenuto che in assenza di prove, la presunzione regge; ma con prove convincenti l’accertamento va ridotto.
- Raddoppio dei termini: se l’avviso esce sfruttando il raddoppio, verificare che l’attività fosse effettivamente in paese black list nel periodo considerato. Perché se per caso quel Paese nel frattempo aveva firmato accordi o tolto il segreto (diventando white list prima dell’anno in oggetto), il raddoppio potrebbe non spettare. Ad esempio, la Cassazione ha detto che il raddoppio si applica se il paese era black list nel periodo d’imposta di riferimento e al momento di scadenza ordinaria. Quindi controllare le liste di riferimento per l’anno.
- Sanzioni: controllare che l’Ufficio applichi le percentuali corrette: dal 2017 per RW si è uniformato al 3-15% (non più doppio per black list salvo casi di mancata collaborazione al 2015) – se ad esempio sbagliassero applicando il 6% su paese nel frattempo collaborativo, si potrebbe eccepire.
- Cumulo giuridico sanzioni: se vengono contestate più annualità di omessa dichiarazione redditi, potrebbe applicarsi la continuazione (art.12 D.Lgs.472/97) con un aumento limitato invece di sommare 5 sanzioni piene. Spesso l’Agenzia non lo applica in sede di accertamento (lo fa solo in conciliazione), ma l’avvocato in ricorso può chiedere al giudice il cumulo giuridico se ne ricorrono i presupposti (violazioni della stessa indole commesse in periodi diversi).
- Errori procedurali: verificare se, nel caso specifico, c’erano obblighi di contraddittorio violati (in materia di tributi armonizzati come IVAFE che è simile all’imposta di bollo, la giurisprudenza non è chiara se sia armonizzata o no, ma in dubio si può lamentare la mancanza di contraddittorio). Oppure controllare se l’atto è firmato da funzionario competente, se è stato notificato entro i termini, se contiene la motivazione sufficiente (deve riportare gli elementi informativi avuti dall’estero, pena nullità per difetto di motivazione).
- Valutare l’adesione in sede di contraddittorio: in alcuni casi l’ufficio potrebbe proporre, già prima di emettere l’atto, una definizione concordata. Ad esempio, se il contribuente ammette gli errori ma contesta l’entità, si può trovare un accordo: dichiarare X euro di imponibile aggiuntivo invece di Y, con sanzioni ridotte. Ciò può formalizzarsi come accertamento con adesione “interna” (cioè concluso prima della notifica dell’avviso). È una sorta di patteggiamento fiscale: i vantaggi sono simili all’adesione post-avviso (sanzioni 1/3 del minimo), però si evita proprio l’emissione dell’atto e la relativa iscrizione a ruolo provvisoria. Se l’ufficio è ben disposto, conviene coglierlo: ad esempio per differenze sottili sull’ammontare dell’evasione, a volte preferiscono chiudere lì piuttosto che rischiare un contenzioso su un 20% in più o in meno.
- Attenzione alle implicazioni penali: se le cifre di imposta evasa superano le soglie di punibilità (100.000 € annui per imposte sui redditi, oppure 50.000 € per IVAFE/IVIE sommabili come imposta sui redditi se configurabili come dichiarazione infedele), l’accertamento fiscale probabilmente genererà un procedimento penale per dichiarazione infedele. Inoltre, indipendentemente dalle soglie, nascondere patrimoni può portare all’autoriciclaggio (art.648-ter1 c.p.) se si compiono operazioni volte a ostacolare la provenienza dei proventi evasi. Cassazione penale ha comunque stabilito che l’omessa compilazione di RW di per sé non configura reato tributario, e per il riciclaggio serve dimostrare il reato fiscale presupposto e il superamento delle soglie. Però, nella difesa amministrativa conviene tenere conto anche del penale: ad esempio, regolarizzando si abbassa l’imposta evasa sotto soglia (se in tempo) e si può ottenere causa di non punibilità per “pagamento del debito” (prevista per alcuni reati tributari se si paga tutto il dovuto). Il coordinamento col difensore penale può essere necessario nei casi più gravi.
Riassumendo le difese amministrative: cooperazione tempestiva quando si è in difetto; fermezza e documentazione quando si ha ragione. Con queste mosse, o si evita l’accertamento, o se non evitabile si gettano le basi per una posizione difensiva solida in giudizio.
Strategie Difensive in Fase Contenziosa
Quando si arriva al contenzioso tributario, ovvero il contribuente ha ricevuto un avviso di accertamento (o un provvedimento sanzionatorio) e intende impugnarlo davanti alle Commissioni Tributarie, le strategie difensive devono tradursi in motivi di ricorso giuridicamente fondati e in prove convincenti a discarico. Di seguito analizziamo le principali linee difensive in giudizio, dalla Commissione Provinciale fino alla Corte di Cassazione.
Ricorso in Commissione Tributaria Provinciale (CTP)
Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, salvo proroghe per adesione (in tal caso 90 giorni + 60). Nella redazione del ricorso, per un accertamento basato su dati esteri, è opportuno articolare i motivi su più piani:
- Vizi formali e procedurali: verificare subito se l’atto presenta irregolarità tali da inficiarlo. Ad esempio:
- Mancata indicazione delle informazioni alla base dell’atto: l’avviso deve riportare la provenienza dei dati esteri e permettere al contribuente di identificarli (art.7 L.212/2000). Se il provvedimento fosse generico (“accertiamo redditi esteri non dichiarati” senza dettagli), si può eccepire nullità per difetto di motivazione. In genere però l’Agenzia ora dettaglia (spesso allega prospetti).
- Violazione del contraddittorio: se la normativa o la prassi lo prevedeva obbligatoriamente e non è stato attuato, si può sollevare il vizio. Ad esempio, la Corte di Giustizia UE ha affermato la necessità del contraddittorio prima di un accertamento standardizzato (caso Ispas in ambito IVA), e la Cassazione italiana ha, per alcuni tributi, sancito la nullità dell’accertamento “a tavolino” senza contraddittorio (specie in ambito accertamenti bancari). Nel caso di redditi esteri, la giurisprudenza nazionale è oscillante: per IRPEF non c’è obbligo generalizzato di contraddittorio anticipato (Cass. SSUU 24823/2015), tuttavia alcuni CTR hanno annullato avvisi su redditi esteri in assenza di invito al contraddittorio, ritenendo violato lo Statuto del Contribuente art.12 c.7 analogicamente. Vale la pena proporre questo motivo, soprattutto se l’ufficio non ha inviato né questionario né invito prima dell’atto.
- Emissione anticipata dell’avviso prima dei 60 giorni dal PVC: se c’è stato un PVC GdF e l’accertamento è stato notificato prima di 60 giorni senza urgenza motivata, viola l’art.12 c.7 Statuto e può essere annullato.
- Incompetenza o difetto di sottoscrizione: accertamenti firmati da funzionario non delegato o oltre soglia possono essere nulli (motivo sempre da verificare).
- Prescrizione/decadenza: se l’atto è stato notificato oltre i termini (5,7 o raddoppiati 10 anni), eccepire la decadenza del potere impositivo. Ad esempio, se contestano redditi 2014 e notificano dopo il 31/12/2019 senza raddoppio applicabile, è tardivo. Oppure se contestano redditi 2008 con atto del 2016 senza raddoppio giustificato, idem (ricordando però che per ante 2009 art.12 DL78/09 non applicabile retroattivamente secondo Cass. 2662/2018).
- Difetto di prova sufficiente: in alcuni casi il motivo può essere formulato come vizio di motivazione perché l’ufficio si è basato solo su presunzioni senza riscontri. Ad esempio: se l’unica base è la presunzione di redditività senza avere effettivamente individuato redditi, si può sostenere che l’accertamento è meramente presuntivo e carente di prova, e la presunzione standard non può da sola sorreggere la pretesa (tuttavia la giurisprudenza tende a considerarla legittima, specie se non controbattuta dal contribuente).
- Violazione del ne bis in idem sanzionatorio: questione avanzata di diritto UE: combinare sanzioni tributarie (amministrative) e penali per la stessa omissione RW potrebbe porre problemi di bis in idem (doppia punizione). La Corte EDU ha in passato condannato l’Italia per doppio binario in alcuni casi fiscali. Si può segnalare nel ricorso, magari per tenere aperta la questione in prospettiva CEDU, ma intanto poche CTP accolgono sul punto.
- Questioni di merito (imposte):
- Residencia fiscale: se il contribuente contesta di essere residente in Italia nell’anno accertato (magari trasferito all’estero), questo è un motivo fondamentale. Si argomenterà che difettano i presupposti soggettivi dell’imposta in Italia. Servono prove concrete: iscrizione AIRE, contratto di lavoro estero, famiglia all’estero, ecc. Va affrontato con cautela però: se l’esterovestizione persona è fittizia, in giudizio l’onere è suo di dimostrare la cessazione della residenza, altrimenti l’Agenzia vince facilmente mostrando che aveva famiglia/casa in Italia. Ma è un tema da porre se genuino.
- Origine delle somme e presunzione di evasione: qui il ricorso deve puntare su eventuali prove contrarie raccolte. Ad esempio: “L’ufficio ha presunto che i €500.000 sul conto estero siano redditi sottratti a imposizione. In realtà detti fondi provengono dalla vendita dell’immobile sito in …, avvenuta nell’anno …, i cui proventi furono regolarmente tassati (si allegano atto notarile e dichiarazione dei redditi …). Pertanto la presunzione ex art.12 c.2 DL 78/09 risulta vinta da prova documentale, e nessun ulteriore reddito poteva essere accertato”. Se questa prova è solida, il giudice dovrebbe riconoscerla e annullare la relativa imposta accertata. Da citare anche giurisprudenza se favorevole: Cass. 7557/2013 ad esempio affermò la non applicabilità retroattiva di tale presunzione a periodi pre-2009; Cass. 2662/2018 già citata conferma non retroattività – utile se il Fisco l’avesse applicata erroneamente a un 2007 ad esempio.
- Redditi presunti vs redditi effettivi: contestare le quantificazioni fatte dall’ufficio. Se hanno tassato un rendimento fittizio del 5% sul capitale, mentre in realtà il conto era infruttifero, portare gli estratti e chiedere di limitare l’imposizione agli interessi effettivi (eventualmente già tassati all’estero con credito d’imposta?). Se hanno considerato imponibile l’intero importo trasferito su un trust estero come reddito, sostenere l’errore: il trasferimento di capitale non è reddito tassabile IRPEF (casomai c’è il tema donazione).
- Applicazione dei trattati contro doppia imposizione: se i redditi esteri in questione erano già stati tassati all’estero, verificare la convenzione: può darsi che quell’interesse/dividendo fosse soggetto a ritenuta estera definita a titolo di imposta, o che spettasse un credito. L’ufficio a volte se ne “dimentica” e tassa al lordo. Nel ricorso chiedere l’applicazione del credito per imposte estere (art.165 TUIR) se spettante, o l’esenzione se prevista (es. alcuni interessi da titoli di Stato esteri convenzionati sono esenti). Va però rivendicato e provato (documenti delle imposte pagate fuori).
- Trust: imputazione dei redditi: se l’avviso tassa al beneficiario redditi di un trust estero non distribuiti, sostenere che è illegittimo perché i redditi di un trust opaco estero non possono essere imputati per trasparenza ai beneficiari (a meno di considerare il trust interposto, ma lì l’onere è dell’ufficio provare l’interposizione). Citare magari circolari dell’AdE (es. circ.61/2010) che distinguono trust opachi vs trasparenti. Anche Cassazione ha varie sentenze su trust (es. Cass. 25478/2015: trust opaco, beneficiario non tassabile finché non riceve).
- Quota parte e cointestazioni: se i conti erano cointestati con terzi non residenti o estranei, evidenziare che va imputato solo pro quota. Il Fisco talvolta tassa il 100% al soggetto in accertamento, ma se si dimostra che metà appartiene a un parente residente all’estero, andava dimezzato. Questo vale anche per società fiduciarie: se i soldi erano su fiduciaria, proprietario effettivo era il contribuente (quindi nulla cambia, è suo), ma se c’erano più contitolari, va calibrato.
- Prescrizione imposte estere: se contestano redditi di molti anni fa recuperandoli con raddoppio, obiettare eventualmente che il tributo evaso era prescritto (questo vale solo in poche situazioni: es redditi 2009 recuperati nel 2020, se non c’era reato è tardivo se no raddoppio. Se invece c’era reato, i 7 anni diventano 11 con sospensioni ecc – più complicato).
- Non punibilità per oblio e mancanza di dolo (per sanzioni): nel merito delle sanzioni amministrative, si può invocare l’art.6 comma 5-bis D.Lgs.472/97 (abolito nel 2015 per il futuro, ma applicabile ancora al passato?) che esime da sanzioni RW se l’omissione non ha prodotto imposte evase e il contribuente regolarizza prima di contestazione formale. Oppure invocare l’obiettiva incertezza normativa (art.6 comma 2 D.Lgs.472/97) ad esempio per questioni molto dubbie (tipo obbligo RW su trust discrezionali, su crypto prima di chiarimenti). Se il giudice riconosce che la norma non era chiara, può annullare le sanzioni pur confermando i tributi.
- Doppia punizione amministrativa: se lo stesso importo viene sanzionato due volte (magari sanzione RW + sanzione infedele sulla stessa base), si potrebbe sostenere un principio di assorbimento. In realtà sono sanzioni diverse (una violazione monitoraggio, l’altra dichiarativa imposte) e attualmente cumulate. La Cassazione le considera cumulabili, salvo riduzione per continuazione. Però si può provare a chiedere al giudice un trattamento di favore, come già detto col cumulo giuridico.
In sostanza, in CTP è importante sminare la base della pretesa fiscale con fatti e documenti: se il contribuente riesce a convincere i giudici che i soldi erano noti/tassati o che comunque l’ufficio ha esagerato (presunto redditi inesistenti, ecc.), c’è buona probabilità di successo almeno parziale (annullamento parziale).
Prove in giudizio: la difesa può presentare in Commissione ogni documento utile, anche se non consegnato in fase pre-contenziosa (benché sia meglio averlo dato prima, non vi è preclusione rigida salvo che arrivi a Cassazione). Testimoni orali sono rarissimi in tributi (spesso non ammessi), dunque contano i documenti e le presunzioni a favore. Ad esempio, per provare che Tizio aveva disponibilità pregresse, si possono esibire le dichiarazioni IRPEF di vari anni con redditi alti e risparmi coerenti. Oppure se contesta la residenza, portare bollette e ricevute vita all’estero. È bene allegare tutto già al ricorso introduttivo, o comunque prima dell’udienza, per dare modo all’Ufficio di replicare ed evitare eccezioni di inammissibilità di prove tardive.
Esito in CTP: la Commissione può annullare in toto l’atto, oppure ridurlo, oppure confermarlo. Ad esempio, potrebbe accogliere il motivo sulla provenienza lecita e togliere le imposte su capitale, ma confermare la sanzione RW per omessa dichiarazione. Oppure annullare tutto per vizio procedurale (ma l’Agenzia poi rifarà forse l’atto sanando il vizio, se il termine non è scaduto). Se l’esito è negativo o parziale, si valuta l’appello.
Ricorso in Commissione Tributaria Regionale (CTR)
L’appello alla CTR va proposto entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Qui la strategia difensiva è modulata in base a cosa è successo in CTP:
- Se il contribuente ha perso totalmente, occorre riproporre in appello i motivi rigettati, cercando di confutare le argomentazioni del giudice di primo grado. Ad esempio, se la CTP non ha ritenuto sufficienti le prove sull’origine dei fondi, evidenziare l’errore di valutazione probatoria e magari integrare con ulteriori elementi (teoricamente in appello sarebbero ammissibili nuove prove se giustificate, poiché il processo tributario è tendenzialmente di merito).
- Se si è vinto parzialmente, valutare se accettare il risultato o appellare la parte sfavorevole. Anche l’Agenzia ovviamente può appellare le parti per lei sfavorevoli. Nei casi di parziale, spesso entrambe le parti impugnano. Esempio: CTP annulla imposta ma mantiene sanzioni – contribuente appellerà per togliere sanzioni, l’Agenzia per ripristinare l’imposta.
- In appello si possono formulare motivi aggiuntivi di doglianza contro la sentenza (vizi di motivazione della sentenza stessa, errori di diritto commessi dai primi giudici). Ad esempio: “la CTP ha omesso di valutare il documento X, incorrendo in vizio di omissione di motivazione”.
Le difese di merito già viste per la CTP valgono anche in CTR, con l’accortezza che se non erano state sollevate in primo grado, non si possono introdurre motivi del tutto nuovi (il thema decidendum è cristallizzato dai motivi originari, salvo quelli che derivano dalla sentenza stessa). Quindi non si può in appello inventare una nuova eccezione non fatta prima (es: se non si è eccepito contraddittorio in CTP, di norma è precluso farlo in CTR). Fa eccezione la possibilità di sollevare questioni di ordine pubblico rilevabili d’ufficio, ma qui entriamo nel tecnico giuridico.
Prova testimoniale: non ammessa neanche in appello, se non lo era prima. Quindi l’appello è ancora un giudizio “sul fatto” ma sempre documentale per lo più.
Durata: va ricordato che dal 2023 la Giustizia Tributaria è stata riformata, e i giudici tributari sono professionali. Questo potrebbe incidere sull’approccio: in CTR (ora Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado, CJT2) potremmo trovare giudici più preparati su temi internazionali, magari più attenti a diritto UE. È bene quindi evidenziare eventuali profili di incompatibilità delle norme interne con principi europei (es. bis in idem, proporzionalità sanzioni).
Mediazione e Conciliazione: fino al primo grado si può cercare conciliazione giudiziale. Dal 2023 anche in appello è possibile conciliazione fuori udienza. Se le parti trovano un accordo, la controversia si chiude (il contribuente paga di solito il 90% delle imposte e 100% delle sanzioni ridotte a 1/3). Nel merito di accertamenti esteri, la conciliazione potrebbe essere attraente se ad es. in appello l’Agenzia propone: togliamo le sanzioni RW e riduciamo del 50% quelle sull’imposta se il contribuente accetta di pagare il capitale tassato. Dipende dalle posizioni. Il difensore deve valutare il rischio di proseguire vs il certo alleggerimento offerto.
Ricorso per Cassazione
Se anche in appello la causa non si definisce in modo soddisfacente, resta il ricorso per Cassazione (ora Corte di Giustizia Tributaria di Terzo Grado). La Cassazione però giudica solo su questioni di legittimità, non rivede i fatti nel merito. Significa che si possono impugnare errori di diritto commessi dal giudice di appello: ad esempio, “violazione dell’art.2697 c.c. invertendo l’onere probatorio a carico del contribuente oltre i limiti di legge”; oppure “omesso esame di un fatto decisivo: la CTR ha omesso di considerare la prova documentale dell’avvenuta doppia imposizione”. Non si può chiedere alla Cassazione una nuova valutazione delle prove (“secondo me le prove erano convincenti e i giudici le han sottovalutate”) se non incasellando la doglianza in vizio motivazionale grave (oggi molto ristretto).
In tema di accertamenti da estero, alcune questioni di diritto potrebbero meritare ricorso per Cassazione:
- Interpretazione del raddoppio dei termini (anche se ormai Cass. a SSUU n.5292/2021 ha stabilito che in materia di reati tributari il raddoppio è procedurale e sempre applicabile, e per i black list Cass. 18894/2021 ha confermato retroattività – ma un contribuente potrebbe voler insistere su orientamenti diversi).
- Questione della retroattività della presunzione art.12: Cass.2662/2018 l’ha esclusa ante 2009, quindi se CTR avesse detto il contrario, è errore di diritto.
- Violazione di norme UE/CEDU: es. bis in idem sanzioni amministrative e penali – su questo la Cassazione potrebbe essere sensibile se portato come motivo ben argomentato (magari citando sentenze Corte EDU, es. Grande Stevens c. Italia 2014).
- Errore di diritto nel considerare il trust trasparente vs opaco: se CTR ha sbagliato qualifica, Cassazione può correggere (ci sono molte pronunce di Cass. su trust, es. Cass. 13142/2021 su tassazione distribuzioni trust estero).
- Omesso contraddittorio: la Suprema Corte potrebbe essere più propensa ad affermare un principio generale (anche se finora su IRPEF non ha imposto contraddittorio salvo casi specifici).
Dal punto di vista pratico, si arriva in Cassazione solo se in ballo cifre o principi notevoli, dato che i tempi sono lunghi e i costi (contributo unificato) non trascurabili. Inoltre, in pendenza di Cassazione va pagato tutto il dovuto (dopo sentenza di appello esecutiva, l’ente può riscuotere, salvo sospensioni).
Esecuzione provvisoria e riscossione: a proposito, ricordiamo un aspetto difensivo importante a livello contenzioso: dopo la sentenza di primo grado, se sfavorevole, l’Agenzia può riscuotere 50% degli importi; dopo la sentenza di appello, può riscuotere il restante, pur se si ricorre in Cassazione. Quindi conviene chiedere al giudice di appello la sospensione dell’esecutività se si fa ricorso per Cass (nuova facoltà data dalla riforma 2022). Così si evita che Equitalia proceda subito.
Cassazione – esiti: se il ricorso viene accolto, la Corte di solito non definisce nel merito (salvo questioni pregiudiziali risolutive), ma rinvia ad un nuovo giudizio (Corte di giustizia tributaria in diversa composizione) che rifarà la valutazione uniformandosi ai principi stabiliti dalla Corte. Ad esempio: Cassazione può stabilire “la CTR ha errato nel non riconoscere la prova contraria offerta, quindi cassa e rinvia affinchè riesamini tenendo conto che …”. Dopodiché, può ancora finire con un miglioramento per il contribuente o un nuovo contenzioso.
In definitiva, la difesa in giudizio deve coniugare aspetti tecnico-giuridici (eccezioni formali, interpretazioni normative) con aspetti fattuali-probatori (documenti, perizie se necessarie). Nei casi di patrimoni esteri, la chiave spesso è riuscire a dimostrare la propria versione: la Cassazione ha affermato ad esempio che “chi detiene soldi in Svizzera senza indicazione nel RW è ipso iure evasore”, un’affermazione dura ma mitigata dal “salvo prova contraria”. Quindi tutto sta nel fornire quella prova contraria. Se c’è (e se il giudice è sereno e indipendente), la giustizia tributaria può riconoscere le ragioni del contribuente, come avvenuto in vari casi di contribuenti che avevano capitali leciti non dichiarati per ignoranza.
Suggerimenti finali
Per completare, ecco alcuni suggerimenti pratici che valgono in tutta la difesa (amministrativa e giudiziale):
- Trasparenza e coerenza: mentire o nascondere ulteriormente non paga. Se i dati esteri ci sono, è inutile negarli (l’Agenzia li ha nero su bianco). Meglio ammettere l’errore e negoziare sul quantum o sulle sanzioni che farsi scoprire in ulteriori false dichiarazioni.
- Documentare tutto: ogni affermazione difensiva va provata o almeno supportata. Senza documenti, difficilmente si ha la meglio su presunzioni di legge.
- Conoscere la controparte: l’ufficio spesso conosce bene questi schemi (hanno visto decine di casi analoghi). Argomentazioni fantasiose raramente li convincono. Bisogna essere solidi sui punti ragionevoli (ad es. “non ero residente” se vero, oppure “capitale già tassato” se vero) e mollare quelli indifendibili (tipo “mi sono dimenticato ma non devo pagare lo stesso” – impossibile).
- Valutare soluzioni transattive: se il contribuente tiene molto a evitare il penale e chiudere presto, pagare qualcosa può convenire. Ci sono stati casi risolti con adesioni anche dopo avvisi già impugnati (in appello si può trovare accordo, come detto). Il consulente deve prospettare al cliente i pro e contro di continuare la battaglia: se c’è un vizio macroscopico, si combatta; se è lotta su interpretazioni dove la Cassazione è sfavorevole, magari meglio patteggiare una sanzione ridotta ora che rischiare tutto fra 5 anni.
- Attenzione alla voluntary disclosure “tardiva”: Oggi non c’è un programma aperto, ma se dovesse essercene uno nuovo (mai escluso), parteciparvi potrebbe chiudere definitivamente posizioni pendenti con sanzioni ulteriormente ridotte e scudo penale. Tenere d’occhio evoluzioni legislative. Fino al 2020 si vociferava di una “VD3” ma non è partita. Nel 2023 ha preso piede una sanatoria cripto (per chi aveva cripto non dichiarate). Insomma, il panorama è in evoluzione.
Chiudiamo questa sezione ribadendo che, per difendersi con successo in questi casi, occorre giocare d’anticipo, conoscere bene le normative (spesso stratificate e non intuitive) e saper dialogare con l’Amministrazione presentandosi preparati. Nel capitolo successivo presenteremo alcune simulazioni pratiche che illustrano l’applicazione concreta di queste strategie a casi ipotetici ma realistici.
Simulazioni Pratiche
In questa sezione applichiamo i concetti esposti a scenari concreti, per mostrare come procedere operativamente e quali strategie difensive adottare. Si tratta di esempi ipotetici basati su casistiche frequenti riscontrate nella prassi.
Caso 1: Conto bancario negli Emirati Arabi Uniti segnalato via CRS
Scenario: Nel settembre 2025 il sig. Alessandro Rossi riceve una PEC dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano, oggetto “Compliance attività estere – Anno d’imposta 2020”. Nella comunicazione, l’Agenzia informa che dai dati trasmessi dagli Emirati Arabi Uniti (paese aderente al CRS dal 2018) risulta che Rossi, residente in Italia, deteneva nel 2020 un conto corrente presso Dubai Bank con saldo a fine anno di €300.000 e interessi attivi per €2.500. Nella dichiarazione dei redditi 2021 (anno d’imposta 2020), tuttavia, Rossi non ha compilato il quadro RW né dichiarato redditi esteri. Si invita il contribuente a verificare e regolarizzare entro 90 giorni.
Alessandro Rossi, imprenditore, effettivamente aveva aperto un conto a Dubai nel 2019, convogliandovi parte di utili societari dopo aver venduto un ramo d’azienda. Pensava che, essendo gli EAU un paradiso fiscale senza imposte e fuori UE, il conto non sarebbe mai emerso. Non ha dichiarato nulla in Italia né il trasferimento di capitale né gli interessi maturati. Ora si trova di fronte alla lettera.
Azioni da intraprendere:
- Accesso ai dettagli: Alessandro accede al portale Fisconline e scarica l’allegato della comunicazione. Constatata la segnalazione: Country: UAE; Bank: Dubai Bank; Account ID: XXXX123; Balance 31/12/2020: €300.000; Interest 2020: €2.500; Taxpayer: CF RSSMRA…. Nessun dubbio: è proprio il suo conto.
- Analisi: Rossi riconosce di non aver dichiarato quel conto. Sa che i 300k derivavano dalla vendita dell’azienda, su cui aveva pagato le imposte sulla plusvalenza in Italia nel 2019 (in quell’anno dichiarò il capital gain). Dunque l’origine dei 300k era fiscalmente lecita e tassata. Gli interessi €2.500 del 2020 invece sono reddito di capitale mai dichiarato.
- Strategia: Decide, consigliato dal commercialista, di aderire subito alla compliance regolarizzando il 2020 e anche il 2019, poiché aveva il conto pure nel 2019 (anche se la lettera menziona il 2020, spesso il Fisco controlla un anno per volta). Nel 2019 il conto fu aperto a metà anno con bonifico iniziale €300k e interessi 2019 trascurabili (€100).
- Ravvedimento operoso:
- Predispone Redditi PF 2020 integrativo (anno imposta 2019): quadro RW per il conto (valore al 31/12/2019 circa €301k, includendo gli interessi capitalizzati), IVAFE dovuta su €301k (0,2% = €602), interessi attivi €100 da dichiarare in RT (26% = €26 di imposta).
- Redditi PF 2021 integrativo (anno 2020): quadro RW con €300k, IVAFE 0,2% = €600, interessi €2.500 in RT (imposta €650).
- Calcola sanzioni: per RW 2019 e 2020 (UAE era paese cooperante nel 2019? Gli EAU hanno scambiato dal 2018, quindi nel 2019 erano white list ai fini RW, sanzione base 3%). Ed essendo 2025, ravvedimento oltre 2 anni: sanzione ridotta a 1/6. Quindi €301k * 3% = €9.030, ridotto a €1.505 per 2019; per 2020 €300k *3% = €9.000 ridotto a €1.500. Totale sanzioni RW ~ €3.005.
- Sanzioni imposta: imposta evasa 2019 €26, sanzione base 90% = €23, ridotta 1/6 = €4; imposta evasa 2020 €650, sanzione base 90% = €585, ridotta 1/6 = €97. (Importi piccoli perché gli interessi erano modesti).
- Interessi legali su imposte e su IVAFE (calcolati dal 2020 e 2021).
- Compila gli F24 e paga circa: imposte €26+€650+€602+€600 = €1.878; sanzioni totali circa €3.106; interessi ~ €150. Totale intorno a €5.100.
- Comunicazione all’Agenzia: invia una PEC all’ufficio allegando ricevute F24 e protocolli di invio delle integrative, dichiarando di aver regolarizzato per entrambi gli anni e chiedendo conferma di archiviazione.
- Follow-up: Dopo 2 mesi, nessun avviso ulteriore. Nel cassetto fiscale risulta tutto quieto. Alessandro ha evitato possibili accertamenti che potevano costargli: sanzione RW piena (9% annuo se contestavano anche black list se EAU pre-accordo, ma nel 2020 erano collaborativi), sanzione infedele 180%, e soprattutto il rischio di contestazione dell’intero capitale come reddito evaso (che però, essendo dimostrabilmente da vendita tassata, avrebbe potuto difendere).
Difesa se fosse andato in contenzioso: Ipotizziamo Rossi avesse ignorato la lettera. L’Agenzia emette accertamento per 2019 e 2020 presumendo i 300k come redditi evasi (o comunque sanzionando RW e tassando gli interessi). In sede contenziosa, la difesa avrebbe puntato su: prova della vendita dell’azienda nel 2019 già tassata => quei 300k non erano nuovo reddito; illegittimità di tassare il capitale; al massimo dovevano sanzionare RW e tassare gli interessi 2.600€, che peraltro aveva diritto a credito di imposta se gli EAU avessero applicato ritenute (ma negli EAU no imposta sugli interessi). Avrebbe vinto sul non tassare i 300k (perché prove solide di reddito già tassato), ma avrebbe comunque pagato sanzioni piene RW (3%*2 anni=6% di 300k = 18k) e sanzioni su €676 di imposta evasa (90%=€608). E spese di giudizio. Chiaramente meglio il ravvedimento da €5k totali.
Considerazioni: Questo caso mostra che su conti esteri “non produttivi di redditi significativi” la partita si gioca molto sulle sanzioni monitoraggio. Valeva la pena ravvedersi appena colti, sfruttando riduzioni (pagando ~0,5% annuo contro un possibile 3% annuo). Inoltre, avendo trasferito fondi regolarmente tassati, Alessandro aveva una difesa forte sul merito (no tassazione capitale) ma avrebbe dovuto dimostrarlo. Trovandosi in torto chiaro su RW, la compliance immediata era la scelta ottimale.
Caso 2: Accertamento su trust con sede a Jersey con beneficiario residente in Italia
Scenario: Maria Bianchi è beneficiaria (discrezionale) di un trust istituito dal defunto padre a Jersey molti anni fa. Il trust “Bianchi Family Trust” è irrevocabile, discretionary, amministrato da un trustee professionale a Jersey. Maria non ha mai dichiarato nulla in RW, ritenendo – su consiglio di un consulente – che non fosse obbligata poiché non controlla il trust né percepisce al momento redditi da esso (il trust reinveste i patrimoni e accumula). Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate riceve dal Regno Unito (che copre Jersey come dipendenza) informazioni CRS relative al trust: in particolare, la banca di Jersey ha comunicato che il trust ha un conto con saldo €2 milioni al 31/12/2023, e ha indicato Maria Bianchi (residente a Firenze) come controlling person – beneficiary. L’Agenzia apre un controllo formale. Non invia una semplice lettera di compliance (trattandosi di trust, ritiene la vicenda complessa e potenzialmente evasiva), bensì, nel marzo 2025, notifica a Maria un Questionario dove chiede:
- di indicare se è titolare, beneficiaria o disponente di trust esteri e relativi dati;
- di fornire copia dell’atto istitutivo del Bianchi Trust e ogni informazione sui redditi erogati dal trust;
- di chiarire se ha mai dichiarato attività/redditi relativi al trust.
Maria è preoccupata. Il trust non le ha mai distribuito nulla, ma teme che il Fisco voglia tassarla per i redditi maturati nel trust (interessi, dividendi) e forse applicarle sanzioni per monitoraggio omesso. Si rivolge a un avvocato tributarista.
Difesa predisposta:
- Raccolta documenti: L’avvocato richiede a Maria l’atto istitutivo del trust e il regolamento. Da essi risulta: trust istituito nel 2010 dal padre (settlor, deceduto 2012); trustee Bank of Jersey Trust Co.; beneficiari discrezionali: Maria e il fratello (non residente). Nessun potere di controllo a Maria, nessuna clausola di revoca in mano ai beneficiari. Il trust accumula redditi e li distribuirà ai beneficiari solo al raggiungimento di certi eventi (es. compimento 50 anni).
- Analisi normativa: Fino al 2020, l’Agenzia Entrate (circ. 38/E 2013) riteneva che beneficiari discrezionali non dovessero dichiarare nulla in RW finché non percepivano. Ma nel 2021, con risposta a interpello, l’AdE ha cambiato impostazione sostenendo che i beneficiari di trust opachi esteri vanno indicati in RW pro-quota dei patrimoni (tesi discutibile). Maria, però, al momento dei fatti (2018-2023) poteva fare affidamento sulle vecchie istruzioni (no obbligo). Ciò può configurare “obiettiva incertezza” normativa.
- Risposta al questionario: Viene inviata entro i 30gg una risposta dettagliata:
- Maria ammette di essere beneficiaria discrezionale del Bianchi Trust in Jersey, istituito dal padre (all. Atto di trust, per evidenziare i termini).
- Spiega che non ha poteri dispositivi né quote definite sul patrimonio: la distribuzione è a discrezione del trustee.
- Dichiara di non aver mai ricevuto alcuna distribuzione o beneficio economico dal trust fino ad oggi.
- Sottolinea che, secondo la normativa italiana vigente all’epoca, non era obbligata al monitoraggio fiscale di una mera aspettativa. Cita la Circolare 38/E/2013 dell’Agenzia stessa che escludeva i beneficiari discrezionali dall’obbligo RW.
- In ogni caso, afferma la totale disponibilità a fornire informazioni: allega estratto conto del trust (fornito dal trustee) che mostra gli asset (2 milioni investiti in titoli), e un prospetto dei redditi del trust (es. nel 2023 interesse €50k e dividendi €30k, tutti reinvestiti).
- Sottolinea che quei redditi sono rimasti nel trust e, in base all’art.44 TUIR, i redditi di un trust opaco non residente non sono imputabili ai beneficiari fino a distribuzione.
- Chiede quindi all’Agenzia di confermare che non vi siano violazioni dichiarative. In via subordinata, se l’Agenzia ritiene diversamente, manifesta la volontà di regolarizzare per spirito collaborativo (es. presentare quadro RW integrativo) invocando però l’esimente di buona fede (nessuna sanzione per incertezza normativa).
- Valutazione possibili sviluppi:
- L’Agenzia potrebbe insistere sostenendo che Maria avrebbe dovuto dichiarare il trust (specie alla luce della loro nuova posizione 2021). In tal caso, l’avvocato è pronto a contrapporre la non retroattività di interpretazioni più restrittive, e a evidenziare che comunque l’omessa indicazione RW non ha comportato imposte evase (i redditi del trust sarebbero tassabili solo al momento dell’eventuale erogazione a Maria). E citerebbe Cass. 19849/2021 che conferma che omesso RW da solo non è reato.
- Se l’Agenzia volesse tassare i redditi maturati nel trust come redditi di Maria, la difesa contesterebbe la base giuridica: trust estero opaco è soggetto fiscalmente separato; i beneficiari non hanno diritto certo ai redditi finché non distribuiti, quindi Maria non può essere tassata su €80k di redditi 2023 non ricevuti. Si citerebbero pronunce analoghe (Cass. su trust: es. Cass. 3886/2019 – i beneficiari di trust opaco non hanno redditi imponibili finché non c’è attribuzione).
- Esito probabile: L’Agenzia, di fronte a un trust ben documentato e alla mancanza di evidenze di abuso (non è un trust interposto a Maria, fu creato dal padre e amministrato da terzi), potrebbe limitarsi a contestare l’omessa dichiarazione RW “per scrupolo”. Potrebbe quindi emettere un avviso di irrogazione sanzioni per omessa indicazione di attività estere, chiedendo il 3% annuo su 2 milioni (~€60k per anno di sanzione, potendo raddoppiare se considerano Jersey black list almeno fino al 2018). Sarebbe una batosta sanzionatoria.
- La difesa in tal caso impugnerebbe l’atto sostenendo l’errata interpretazione (beneficiario discrezionale non soggetto a RW ex normativa vigente in quegli anni) e l’inapplicabilità delle sanzioni per incertezza obiettiva delle norme (art.6 co.2 D.Lgs.472/97). Probabilmente la Commissione potrebbe riconoscere l’incertezza e annullare le sanzioni.
- Non è escluso che l’Agenzia decida di non procedere affatto: se recepisce le spiegazioni, può archiviare il caso considerando che finché il trust non eroga, non c’è materia imponibile.
- E se il trust fosse stato un paravento? Cioè se Maria fosse stata anche disponente (ad es. trust auto-dichiarato), allora la difesa sarebbe molto più debole: l’Agenzia lo tratterebbe come interposizione e imputerebbe a Maria tutti i redditi annuali e sanzioni RW. In quel caso l’avvocato potrebbe solo cercare di dimostrare che formalmente il trust era valido e sperare in una riduzione sanzioni, ma sarebbe dura. Nell’esempio invece Maria è “pulita”, il trust genuino: in situazioni simili spesso l’esito è l’archiviazione o, al più, un compromesso (il contribuente magari presenta un RW integrativo per il futuro e l’Agenzia chiude un occhio sul passato, applicando magari solo anno ultimo con sanzione minima).
Considerazioni: Questo caso evidenzia la complessità con trust. Una strategia difensiva vincente qui è stata: fornire subito trasparenza (atto di trust, dati finanziari) per mostrare collaborazione e buona fede. Ciò spesso disarma l’Ufficio, che è più portato a pensare male se trova opacità e rifiuti. Inoltre, appoggiarsi a posizioni ufficiali dell’Agenzia (la circolare 2013) per motivare il proprio comportamento è efficace per invocare la non punibilità. Sfrutta l’arma dell’incertezza normativa oggettiva, che è prevista proprio per evitare sanzioni in casi dubbi.
Caso 3: Patrimonio nascosto a Panama e raddoppio dei termini d’accertamento
Scenario: Luigi Verdi aveva trasferito nel 2012 circa 1 milione di euro su un conto alle Bahamas e poi a Panama, non dichiarandolo. Nel 2016, sapendo che dal 2017 Panama avrebbe iniziato lo scambio CRS, ha chiuso il conto e spostato i fondi altrove (ad esempio a Dubai, come nel caso 1). Non ha mai fatto voluntary disclosure. Nel 2025 riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate – Direzione regionale, riferito ai periodi d’imposta 2013, 2014 e 2015. L’atto è molto dettagliato: spiega che grazie a informazioni acquisite (probabilmente la lista Panama Papers integrata da indagini) si è scoperto che Verdi era titolare del conto n.XXX presso “Banistmo Panama”, con saldo medio 2013-2015 di circa €1 mln. Non avendo egli dichiarato nulla, si presume che:
- Gli importi fossero redditi sottratti a tassazione nei rispettivi anni di formazione.
- Inoltre, applicando art.12 DL 78/09, i termini sono raddoppiati (Panama era black list in quegli anni), quindi accertano a fine 2025 anche il 2013 (che ordinariamente sarebbe scaduto).
- Vengono imputati a Verdi maggiori redditi imponibili per €1.000.000 nel 2013, €50.000 di presunti rendimenti nel 2014 e €50.000 nel 2015 (stimati al 5% annuo del capitale). E relative imposte IRPEF e addizionali su tali importi.
- Sanzioni: 150% dell’imposta evasa (già aumentata rispetto al minimo 90% per via dell’entità), e sanzione quadro RW 5% annuo (calcolata come media tra 3% e 6% perché Panama black list).
- Totale imposte evase contestate ~ €500k, sanzioni ~ €750k, interessi e more varie.
Luigi impugna l’accertamento. In sede di ricorso:
- Eccepisce la non legittimità del raddoppio dei termini per l’anno 2013 in quanto il raddoppio (norma del 2009) non potrebbe applicarsi retroattivamente a redditi antecedenti (2013 è post 2009, quindi qui non c’è retroattività da eccepire – se fosse stato 2008 sì, ma 2013 rientra nel periodo di vigenza).
- In subordine contesta che Panama dal 2017 ha firmato accordo, ma ciò non rileva per il 2013-15 quando era black list; quindi il raddoppio sembra formalmente applicabile (Cass. ha detto che è procedurale, e per periodi in corso si applica).
- Quindi la difesa sul termine è debole: qui il raddoppio appare legittimo.
- Merito: Luigi sostiene (senza troppi documenti) che quei fondi erano frutto di risparmi pregressi già tassati. Purtroppo però non produce prova concreta (non ha più documenti del 2012, afferma fossero utili accantonati in contanti negli anni). Questo non basta come prova contraria alla presunzione che li considera redditi sottratti. La Cass. ha detto onere al contribuente provare l’origine fiscale lecita, cosa che Luigi non fa efficacemente.
- I 50k di rendimento presunto annuo: Luigi mostra estratti conto (che è riuscito a recuperare) dove risultano interessi annui di €5.000 (1% circa, non 5%). Su questo la difesa è più concreta: c’è difformità tra i presunti 50k e i reali 5k. Chiede quindi di ridurre l’eventuale tassazione dei redditi finanziari a €5k per anno (26% di 5k se fosse capitale nel 2014-15? O come redditi diversi? Comunque poca roba).
- Giudizio: la CTP, vedendo che Luigi non ha prove sull’origine del milione, conferma la presunzione che fossero redditi evasi e legittima l’accertamento su quella base. Ritiene il raddoppio termini applicabile (cita Cass. 18894/21). Accoglie però parzialmente il ricorso riquantificando i redditi da capitale presunti al tasso effettivo 1% invece che 5% (applicando in parte la prova contraria offerta da Luigi sui rendimenti). Quindi sgravano un po’ di imposta per 2014-15 (ridotta da 50k a 5k di base imponibile annua). Invece i €1 mln 2013 rimangono tassati come “reddito sottratto” in forza dell’art.12 DL 78/09.
- In appello Luigi insisterà magari sul fatto che tassare €1 mln come reddito in un solo anno è eccessivo non essendo un vero reddito prodotto nel 2013 ma accumuli di anni prima, sostenendo violazione capacità contributiva. Ma la CTR probabilmente respingerà, allineandosi alla Cassazione (“presunzione legale di evasione, onere non assolto, legittimo”).
- L’esito finale: Luigi finisce per pagare un enorme importo (imposte su 1 mln ~430k, sanzioni 150% ~645k, ridotte del poco per i 50k corretti a 5k, insomma > €1 milione complessivo). Se non paga, pignoreranno beni, e rischia anche penale perché 1 mln evaso di imposta su 2013 supera soglia (dichiarazione infedele).
Difesa col senno di poi: Luigi avrebbe dovuto partecipare alla Voluntary Disclosure del 2015: avrebbe pagato il 5% di sanzioni RW e avuto immunità penale. Non l’ha fatto, ed ora ne paga le conseguenze massime. Oppure, almeno ravvedersi prima del 2017 su 2013-15 (non c’era ravvedimento oltre termini di 2015, ma 2014 e 2015 ancora ravvedibili all’epoca).
Questo caso insegna che quando la prova contraria non c’è, la presunzione di evasione è devastante: i giudici la applicano senza pietà. Cassazione ha persino affermato che chi ha capitali offshore non dichiarati è “ipso iure evasore” – affermazione dura ma in linea con quell’art.12.
Conclusione: Le simulazioni mostrano casi crescenti di gravità. Nel caso 3, la difesa ha margini ristretti perché la posizione era oggettivamente di evasione massiccia e prolungata. Nei casi 1 e 2, invece, c’erano spazi per sistemare o convincere il Fisco, rispettivamente con un ravvedimento integrale e con un chiarimento tecnico.
La lezione generale è: anticipare il Fisco e documentare ogni cosa. Chi aspetta l’accertamento e poi cerca scappatoie, rischia grosso. Invece, chi per tempo regolarizza (magari pentendosi spontaneamente) o quantomeno predispone una solida evidence a supporto della propria situazione, può uscire da queste vicende con danni limitati o nulli.
Domande e Risposte su Casi Comuni
Di seguito proponiamo una serie di domande frequenti poste da professionisti e contribuenti in materia di accertamenti fiscali da scambio di informazioni estere, con risposte chiare e sintetiche.
D: Ho ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate che segnala un conto estero non dichiarato. Cosa devo fare per primo?
R: Prima di tutto, non ignorare la lettera. Accedi al tuo cassetto fiscale e recupera i dettagli della segnalazione (file allegato). Quindi verifica se effettivamente quel conto/attività non era stata dichiarata o tassata. Se c’è stata omissione, conviene aderire all’invito: prepara le dichiarazioni integrative e utilizza il ravvedimento operoso per sanare entro pochi mesi. Se invece risulta tutto regolare (o se non eri tenuto a dichiarare), prepara una risposta formale spiegando e documentando la situazione. In ogni caso è importante rispondere entro il termine indicato (o ragionevolmente presto) per evitare che l’Agenzia passi ad accertamento.
D: Quanto tempo ho per regolarizzare dopo la lettera di compliance?
R: La lettera spesso non fissa un termine perentorio (talvolta suggerisce 30 giorni o “quanto prima”), ma è bene agire velocemente. In pratica, hai tempo finché l’ufficio non emette un atto formale. Questo potrebbe avvenire dopo qualche mese se non dai riscontro. Dunque, conviene concludere la regolarizzazione entro 90 giorni circa. Il ravvedimento operoso è valido purché completato prima della formale contestazione (notifica avviso). Finché sei in fase di lettera, sei nei tempi.
D: Posso ancora fare il ravvedimento operoso dopo aver ricevuto la comunicazione?
R: Sì. La lettera di compliance non preclude il ravvedimento operoso, anzi ne sollecita l’uso. Il ravvedimento non è più ammesso solo dopo la notifica di un atto di accertamento o di contestazione. Quindi nella fase di lettera/questionario sei libero di ravvederti con sanzioni ridotte (1/6 o 1/8 a seconda dei casi). L’importante è perfezionare il pagamento prima che arrivi un avviso formale.
D: Cosa rischio se ignoro la lettera e non rispondo?
R: Se non dai segni di vita, l’Agenzia quasi certamente procederà con metodi più incisivi. Potresti ricevere un invito formale o direttamente un avviso di accertamento. A quel punto perderesti il beneficio delle sanzioni ridotte (il ravvedimento non è più consentito) e ti troveresti a pagare sanzioni piene, spesso molto salate, e magari a dover impugnare l’atto in tribunale. In sostanza, ignorare la lettera significa rinunciare a tutti i benefici premiali e prepararsi a un contenzioso difficile. Solo se sei assolutamente certo che la segnalazione sia infondata (e possiedi prove) potresti ignorarla, ma comunque è preferibile inviare almeno una risposta spiegando l’equivoco.
D: Se regolarizzo spontaneamente dopo la lettera, l’Agenzia mi farà comunque l’accertamento?
R: In genere no. Se presenti le integrative e paghi tutto con ravvedimento, l’Agenzia considera la violazione sanata e archivia il caso. È comunque consigliabile inviare una PEC di riscontro segnalando di aver regolarizzato, così l’ufficio aggiorna lo stato e non emette avvisi automatici. Finché paghi correttamente imposte, interessi e sanzioni ridotte, l’ordinamento prevede che non vengano irrogate ulteriori sanzioni e non si proceda oltre. Solo se dall’esame emergono altri profili (es. importi molto maggiori di quelli ravveduti) l’ufficio potrebbe integrare, ma sono casi rari.
D: La lettera di compliance può riguardare anche società di capitali o solo persone fisiche?
R: Di regola riguarda persone fisiche e soggetti obbligati al quadro RW (persone fisiche, enti non commerciali, società semplici). Le società di capitali (srl, spa) non compilano RW, quindi non ricevono questo tipo di lettera “standardizzata”. Se una società ha conti esteri non dichiarati, l’Agenzia probabilmente interverrà con un controllo mirato o un questionario specifico. Ci sono però casi di società di persone o trust che potrebbero ricevere comunicazioni se hanno un codice fiscale: ad esempio società semplici usate per investimenti, trust considerati entità fiscali. In sintesi: i destinatari tipici delle lettere CRS sono individui, ma l’anomalia può riguardare anche patrimoni sociali dietro cui l’individuo figura come controllante.
D: Ho scoperto ora di avere attività estere dimenticate negli scorsi anni (mai dichiarate). Posso regolarizzarle prima che mi arrivi una lettera?
R: Sì, puoi fare un ravvedimento operoso spontaneo. Se non sei stato ancora oggetto di controlli per quelle violazioni, puoi presentare integrative per tutti gli anni aperti (entro il quinto precedente, o anche oltre se temi il raddoppio) e versare imposte e sanzioni ridotte. Questo ti mette al riparo da future lettere o accertamenti su quelle attività, perché risulteranno poi dichiarate. Ad esempio, nel 2025 potresti ravvedere anni 2020-2024. Per anni più lontani (2019 e precedenti) il ravvedimento operoso formalmente non si applica se sono decaduti i termini ordinari, ma attenzione: se erano in black list e il fisco non ne era a conoscenza, potrebbero avere termini raddoppiati. In pratica, puoi provare a regolarizzare anche oltre cinque anni (ci sono stati contribuenti che nel 2022 hanno integrato il 2015), confidando di risolvere prima di essere scoperti. Sempre meglio consultarsi con un esperto in questi casi.
D: I dati esteri che l’Agenzia riceve tramite CRS sono precisi? Ho timore che possano contestarmi importi errati.
R: I dati CRS provengono dalle banche estere, che li comunicano con eventuali margini di errore (es: conversioni valutarie, codifiche). In molti casi sono abbastanza accurati. Può succedere però che:
- Ci siano duplicazioni (lo stesso conto segnalato due volte per ragioni tecniche).
- Vengano indicati importi lordi quando il contribuente ha dichiarato il netto (creando apparenti discrepanze).
- Siano riportati saldi di fine anno, mentre uno ha dichiarato il valore medio (nel 730 quadro RW l’IVAFE si calcola su valore medio): questo genera differenza formale.
- Oppure, raramente, confusione di intestatari (se la banca estera ha associato per errore un codice fiscale sbagliato).
Se i dati non ti tornano, nella risposta al fisco evidenzialo: ad esempio “la banca ha segnalato €100k di interessi ma io ne ho dichiarati €90k perché €10k erano già tassati alla fonte – allego documentazione”. L’Agenzia è consapevole di possibili difformità tecniche e accetta spiegazioni. Se il dato è proprio sbagliato (capita di rado), bisogna procurarsi attestazioni dalla banca estera per confutarlo. In ultima istanza, in sede contenziosa potrai contestare l’attendibilità del dato, ma serviranno prove. Dunque conviene risolvere prima chiedendo eventualmente all’Agenzia di verificare con lo Stato estero (possono inviare richieste integrative).
D: Se i soldi sul conto estero derivavano da redditi già tassati in Italia (o esenti), devo comunque pagarci di nuovo le imposte?
R: No, in teoria il capitale in sé non è soggetto a doppia imposizione. Il fatto di non aver dichiarato il conto in RW comporta una sanzione amministrativa, ma non tassazione del capitale se dimostri che esso proviene da redditi già tassati o non imponibili. In pratica però, attenzione: esiste la presunzione che, se non fornisci prova, quel capitale sia frutto di evasione. Quindi l’onere è tuo di documentare l’origine “pulita”. Se ci riesci (es. vendite, risparmi accumulati, successioni ricevute, ecc.), l’accertamento sulle imposte può decadere per la parte capitale. Resteranno eventuali imposte sui redditi generati da quel capitale all’estero (interessi, affitti, plusvalenze non dichiarate) e le sanzioni monitoraggio. Un esempio: se 500k su conto estero provenivano da una vecchia eredità esente da tasse, e lo provi, l’Agenzia non potrà tassare 500k come redditi; però se quei 500k hanno prodotto 10k di interessi l’anno non dichiarati, su quelli pagherai imposte e sanzioni.
D: Ho preso residenza all’estero da qualche anno, ma nella lettera mi segnalano lo stesso conti esteri. Com’è possibile?
R: Potrebbe succedere se:
- Nel periodo cui si riferisce la lettera eri ancora fiscalmente residente in Italia. Ad esempio, la lettera 2025 su dati 2019 arriva perché risulta che nel 2019 avevi residenza italiana; anche se dal 2020 sei all’estero, per il 2019 rimanevi soggetto agli obblighi.
- Oppure, sebbene tu ti sia trasferito, l’Agenzia contesta che tu abbia mantenuto la residenza fiscale in Italia (casi di esterovestizione persone). Magari eri iscritto AIRE ma hai ancora domicilio qui: il Fisco ti tratta come residente e scambia info. In tal caso la lettera indica che per loro eri residente e dovevi dichiarare.
Se davvero eri residente estero (es. iscritto AIRE, hai vissuto e lavorato fuori), rispondi alla lettera allegando la documentazione (iscrizione AIRE, bollette, contratto lavoro estero) e spiegando che non eri tenuto al monitoraggio in quanto non residente. L’Agenzia verificherà e, se concorda, non procederà oltre. Se invece sospettano che il tuo trasferimento fosse fittizio, potrebbero approfondire: in quel caso ti conviene prepararti a dimostrare il centro dei tuoi interessi all’estero in quegli anni.
D: I conti cointestati come vanno dichiarati? E se la lettera li riporta per intero?
R: In dichiarazione RW, devi indicare la tua quota di possesso (50% se due intestatari, salvo diverso accordo). Spesso la banca estera segnala l’intero saldo a ciascun cointestatario (alcuni Paesi comunicano l’importo pieno a tutti gli joint holders). Questo genera confusione: l’Agenzia potrebbe vedere due persone con lo stesso conto €100k ciascuno. Nella risposta puoi chiarire: “il conto n… è cointestato con mia moglie non residente, la mia quota è il 50% (€50k) ed è quella che ho dichiarato” (se l’hai dichiarata; se non l’hai fatto, dovrai regolarizzare la tua quota). L’importante è far presente la cointestazione per evitare la duplicazione. Se il cointestatario è residente anche lui, ognuno deve dichiarare la propria quota. Se uno dei due ha già dichiarato tutto, l’altro deve comunque indicare la sua quota in RW (non vale dire “lo ha indicato l’altro”). La lettera di norma arriva a entrambi se entrambi residenti.
D: Non ho più documenti di 8-10 anni fa per provare la provenienza dei fondi esteri. Come posso difendermi se mi contestano quei periodi?
R: È un grosso problema. Il Fisco, con il raddoppio termini, può arrivare anche a 8-10 anni indietro (oggi fino al 2015, e fino al 2013/2011 in caso di omessa dichiarazione). Se tu non hai conservato nulla, difendersi su quei periodi è arduo. Puoi provare a recuperare documenti da terze parti: estratti conto bancari storici (spesso le banche li danno a pagamento), copia di dichiarazioni dei redditi vecchie (magari il tuo commercialista li ha ancora, o puoi chiederli all’Agenzia – fino a 2010 archivi digitali forse no, ma cartacei magari sì), atti notarili (notai conservano repertori 100 anni). Insomma, tenta ogni strada per ricostruire. Se proprio non trovi nulla, la tua difesa sarà debole perché la presunzione di evasione la vince solo la prova contraria documentale. In assenza, i giudici danno ragione al Fisco. In questo caso, la strategia può essere cercare un accordo con l’ufficio in adesione per ridurre un po’ la pretesa, oppure puntare su eventuali vizi formali (prescrizione, errori procedurali) più che sul merito.
D: I miei redditi esteri erano stati tassati per intero alla fonte (es. interessi su conto in Germania con ritenuta 26%). Devo comunque dichiararli?
R: Sì, devi comunque indicarli nella dichiarazione italiana, ma potresti avere diritto a un credito d’imposta. L’Italia infatti tassa i redditi di capitale esteri normalmente con aliquota 26%, ma se hai già subito una ritenuta estera potresti evitare la doppia imposizione. Dipende dalla convenzione: molte prevedono che i redditi di capitale siano tassabili in entrambi i Paesi, quindi tu dichiari in Italia e poi recuperi la ritenuta straniera come credito (fino al limite dell’imposta italiana su quello stesso reddito). Ad esempio: €100 di interessi da Germania tassati al 26% lì (€26). In Italia sarebbero soggetti al 26% (€26). Dichiari i €100, imposta lorda €26, credito per imposta estera €26 => imposta netta zero (hai pagato già tutto fuori, l’Italia rinuncia a raddoppiare). Se la ritenuta estera era inferiore all’aliquota italiana, pagherai la differenza. In ogni caso, anche se pensi di non dover versare nulla perché già tassato, devi dichiarare per far valere il credito. Se non hai dichiarato, ti contestano l’omissione (anche solo formale) e la sanzione, e sta a te poi rivendicare il credito. Quindi la difesa: “è vero non ho dichiarato €X di redditi esteri, ma ho già pagato imposte all’estero per lo stesso importo, quindi l’imposta evasa in Italia è zero; pertanto chiedo annullamento delle imposte e semmai applicazione della sola sanzione RW per omissione formale”. Ci sono pronunce che confermano che se l’imposta estera copre quella italiana, non c’è evasione in Italia (ma la violazione RW rimane).
D: Ho un conto in USA. Gli USA non aderiscono al CRS: il Fisco italiano può saperlo?
R: Gli Stati Uniti non partecipano al CRS OCSE, ma c’è l’accordo FATCA bilaterale. In base a FATCA, l’Italia riceve dagli USA alcune informazioni finanziarie sui conti intestati a residenti italiani. Le informazioni però sono meno dettagliate: tipicamente gli USA comunicano gli interessi pagati su conti bancari e poco altro (non necessariamente i saldi). Quindi se hai un conto corrente USA che paga interessi, l’IRS invia a AdE l’ammontare degli interessi annuali (sopra certa soglia). Se invece hai solo un conto titoli con capital gain e dividendi, la comunicazione USA potrebbe essere lacunosa (gli USA si erano impegnati a fornire informazioni equivalenti ma nei fatti lo scambio è limitato). Ciò significa che un piccolo conto USA potrebbe passare inosservato, mentre uno con alti interessi no. Tuttavia, non è una garanzia di anonimato: l’Agenzia può comunque scoprire l’esistenza del conto USA attraverso altri indizi (bonifici da/per USA, o richieste mirate via trattato). Inoltre, politicamente c’è pressione perché anche gli USA migliorino lo scambio (si parla di protocolli aggiuntivi). Quindi, non dare per scontato che i soldi in USA siano al sicuro: formalmente vanno dichiarati, e se emergono potresti dover pagare sanzioni. Ad oggi alcuni contribuenti speculano su questo gap, ma è un rischio: già ora succede che arrivino lettere per interessi su conti USA (è capitato per conti deposito remunerati in banche americane).
D: Un trust estero va indicato in RW?
R: Dipende dal ruolo e dal tipo di trust:
- Se sei il disponente (settlor) e il trust è revocabile o comunque tu mantieni poteri e benefici, l’Agenzia ti considera ancora titolare effettivo dei beni: quindi sì, dovresti dichiararli come se fossero tuoi (il trust è visto come schermo interposto).
- Se sei disponente ma il trust è irrevocabile e discrezionale, in teoria non controlli più i beni; l’obbligo formale di RW sarebbe in capo al trustee se fosse residente (ma essendo estero no). L’Agenzia talvolta pretende comunque che il disponente dichiari almeno all’atto di dotazione del trust (per monitorare l’uscita di capitali).
- Se sei solo beneficiario discrezionale, classicamente la norma (fino a pochi anni fa) diceva che finché non ricevi nulla, non hai obblighi. Recentemente però l’Agenzia ha sostenuto che se sei beneficiario di un trust opaco estero, devi dichiarare pro-quota il valore, almeno quando i beneficiari sono individuati. È una posizione controversa. Per prudenza oggi diversi consulenti consigliano di indicare in RW il valore stimato della quota potenziale (es. 50% se due beneficiari), per evitare discussioni. Ma non c’è una regola chiara.
- Se sei trustee residente di un trust estero, devi dichiarare i beni in RW per conto del trust (come obbligo a carico degli enti non commerciali).
In sintesi: la materia è grigia. Se non hai dichiarato un trust e ora viene fuori, punta sul fatto che la normativa era incerta e che tu non avevi controllo/benefici attuali (come nella simulazione 2). Ci sono buone chance di evitare sanzioni in questi casi dimostrando buona fede ed essendoci effettivamente incertezza normativa.
D: Ho ricevuto distribuzioni da un trust estero: come vengono tassate?
R: Le distribuzioni da trust opachi esteri a beneficiari residenti sono tassate come redditi di capitale (al netto di eventuali capitali già tassati). In pratica, se un trust (non trasparente) ti distribuisce utili accumulati, l’Italia li considera reddito imponibile IRPEF per te, salvo prova che si stia restituendo capitale apportato. Ad esempio, trust ha accumulato 100 di redditi e 900 di capitale, ti distribuisce 200: di questi, 100 sono redditi (tassati) e 100 capitale (non tassati). La tassazione può essere complicata, dipende anche da convenzioni (alcuni trust in UK ecc). Se invece il trust era trasparente (i redditi già tassati per trasparenza ogni anno in capo a te), la distribuzione poi non è tassata (sarebbe doppia imposizione). Se ricevi da trust estero, dichiara nel quadro RL o RM a seconda, e se hai dubbi consulta un esperto perché è facile sbagliare (l’Agenzia su trust cambia spesso interpretazioni). Nota: se il trust era di famiglia, potrebbero valutare anche l’imposta di donazione su quella distribuzione se la considerano una liberalità (ma attualmente i trust esteri sfuggono in parte a questo, troppo complesso per approfondire qui).
D: L’Agenzia può chiedere informazioni aggiuntive a uno Stato estero oltre al CRS?
R: Sì. Attraverso lo scambio su richiesta previsto dalle convenzioni e dalla direttiva UE, l’Agenzia può inviare una richiesta mirata per ottenere dettagli. Ad esempio: hanno il saldo via CRS, chiedono allo Stato estero gli estratti conto mensili o l’origine dei fondi. Lo Stato estero se cooperativo fornirà i dati (se disponibili). Questo richiede tempo e motivazione (devono formulare un quesito mirato), ma per casi con sospetti elevati lo fanno. Inoltre possono attivare la Guardia di Finanza, che tramite collegamenti internazionali recupera info di natura finanziaria o societaria. Quindi, non pensare che l’Agenzia sappia solo ciò che c’è nel file CRS: potrebbe avere anche di più, specie se l’importo è grande e giustifica uno sforzo investigativo.
D: Quali sono oggi i Paesi che non scambiano informazioni con l’Italia?
R: Al maggio 2025, quasi tutti i centri finanziari rilevanti aderiscono al CRS o a FATCA. Restano fuori pochi Stati:
- Paesi “non cooperativi”: ad es. alcuni paesi africani, medio-oriente non aderenti OCSE, Corea del Nord, qualche territorio bellico. Nessun paradiso fiscale classico, tranne forse *l’*U.S.A. nel senso che non fa CRS (ma come detto c’è FATCA).
- Alcune giurisdizioni interne USA: Gli stati USA come Delaware, Wyoming, offr ono riservatezza e gli USA non scambiano info sulle società lì registrate. Molti infatti spostano capitali su trust LLC in South Dakota, approfittando della scarsa trasparenza USA verso l’estero. Questo è un buco noto: l’Italia non ha modo automatico di sapere se un italiano ha un trust in Wyoming. Potrebbe scoprirlo solo con indagini di polizia o se emergono movimenti.
- Criptovalute: non sono Paesi, ma attualmente gli exchange crypto spesso non comunicano nulla alle autorità fiscali (salvo su richiesta). DAC8/CARF colmerà questo dal 2026 in poi.
- Piccoli Stati: al 2025 quasi tutti i microstati (San Marino, Andorra, Monaco) scambiano. Forse l’Eritrea, il Vaticano? (Vaticano ha accordo con UE per scambio finanziario? Forse no, ma lì il caso è raro).
In generale, pensare di occultare soldi in un paese non cooperativo è molto rischioso perché spesso sono posti instabili o con altre controindicazioni. Gli evasori più sofisticati ora usano strutture complesse con società in paesi pseudo-cooperativi e magari conti in USA, sperando di confondere. Ma il cerchio si stringe: anche i Panama Papers & co hanno reso note molte strutture.
D: Se dopo l’accertamento voglio chiudere la controversia senza proseguire in giudizio, che strumenti ho?
R: Se l’avviso è già stato emesso ma non vuoi andare in causa, puoi:
- Presentare accertamento con adesione entro 30gg: ti siedi con l’ufficio, spesso ottieni uno sconto su sanzioni (ridotte 1/3) e magari una base imponibile più bassa in cambio del pagamento.
- Se hai già fatto ricorso, puoi chiedere una conciliazione giudiziale: se trovi accordo con l’ufficio, la commissione omologa l’accordo con sanzioni ridotte (a metà in appello, al 40% in primo grado).
- Anche il pagamento con acquiescenza entro 60gg dalla notifica dà sanzioni ridotte di 1/3 se rinunci a ricorrere.
In sostanza, fino a certe fasi ci sono margini per patteggiare. L’Agenzia è spesso disponibile a transigere soprattutto in appello, per evitare rischi di Cassazione. Ad esempio, se in primo grado hai perso ma il tuo caso ha qualche chance, in appello potrebbero offrirti di togliere il 50% sanzioni se paghi il resto. Valuta sempre costi e benefici col tuo difensore.
D: L’omessa compilazione del quadro RW è reato?
R: No, di per sé non è un reato, è solo violazione amministrativa. I reati tributari (dichiarazione infedele o omessa) riguardano l’omissione di elementi attivi nella dichiarazione o l’omessa presentazione totale. La Cassazione penale ha chiarito che non indicare beni esteri nel RW non costituisce dichiarazione infedele penalmente rilevante, a meno che ciò si accompagni a omissione di redditi imponibili sopra soglia. In pratica: se uno nasconde solo il conto ma non c’erano redditi, non c’è reato (ma c’è sanzione amministrativa); se uno nasconde il conto e i redditi generati e l’imposta evasa supera 100k, allora scatta il reato di infedele dichiarazione. Inoltre, nascondere capitali all’estero e poi movimentarli potrebbe configurare autoriciclaggio, ma solo se quei capitali provenivano da reato tributario e se la condotta di occultamento è successiva. Comunque, la singola omissione di RW non porta in galera: porta “solo” multe. Occhio però: ignorare il RW spesso implica anche evasione di imposte su redditi esteri, e lì sì che il penale può arrivare se grossi importi.
D: Un avviso di accertamento “basato su indagini finanziarie estere” può essere nullo se non mi hanno sentito prima? (diritto al contraddittorio)
R: Questa è una questione dibattuta. Non c’è una norma generale che impone il contraddittorio anticipato per gli accertamenti su estero. Tuttavia, in alcuni casi i giudici tributari hanno annullato atti emessi senza aver prima inviato un invito al contraddittorio, richiamando principi di leale collaborazione e Statuto del Contribuente. In ambito IVA (tributo UE) il contraddittorio è obbligatorio prima di accertamenti standardizzati. Per IRPEF, Cassazione no (salvo regioni a statuto speciale come Friuli V.G. dove c’è obbligo). Quindi, non è garantito che la mancanza di contraddittorio ti salvi. Se però l’ufficio ha agito a sorpresa senza mai interpellarti, fai valere la doglianza in ricorso: qualche speranza c’è, soprattutto se l’accertamento si basa su presunzioni e tu avresti potuto fornire spiegazioni risolutive se interpellato. È più un argomento di equità e buona amministrazione; formalmente non è errore di legge (tranne IVA). Ma tentar non nuoce.
D: In caso di cointestazione con un familiare non residente, devo dichiarare tutto io?
R: Dichiari solo la tua quota. Se conto cointestato con persona non residente, tu indichi la percentuale di tua spettanza. Se è al 50%, così farai. L’altra persona non presenta dichiarazione italiana, ovviamente. Il fatto che l’altro sia estero non ti obbliga a dichiarare il 100%. L’importante è poter dimostrare la cointestazione con documenti se necessario. Quindi conserva contratti di conto o lettere bancarie che attestano i joint holders. Questo in caso di contestazioni ti tutela.
D: Cosa sono IVIE e IVAFE e come si calcolano?
R: Sono imposte patrimoniali italiane sulle attività estere:
- IVIE: imposta sul valore degli immobili esteri, pari allo 0,76% annuo del valore catastale (se esiste) o di acquisto/mercato dell’immobile. Corrisponde all’IMU che pagheresti se fosse in Italia. Va dichiarata e versata ogni anno (con quadro RW).
- IVAFE: imposta sul valore delle attività finanziarie estere (conti correnti, depositi, titoli, polizze), pari allo 0,2% annuo (come l’imposta di bollo su dossier titoli italiani). Per i conti correnti con giacenza media sotto 5.000 € l’IVAFE è zero. Si calcola di solito sul saldo di fine anno o sul valore medio (per conti correnti la legge dice saldo puntuale al 31/12, ma le istruzioni consentono valore medio annuo per equità).
Queste imposte se omesse vanno poi ravvedute o verranno richieste con sanzione (30% dell’imposta omessa + interessi). Nell’accertamento tipo, se trovano un immobile estero non dichiarato, ti chiederanno IVIE arretrata 5 anni + sanzioni; per conti, IVAFE arretrata. Attenzione: anche se un conto non produce redditi, l’IVAFE è dovuta sul patrimonio. Molti pensano “non ho guadagni, perché dichiarare”: in realtà c’è questa mini-patrimoniale da considerare.
Questa sezione FAQ chiarisce vari dubbi operativi e situazioni specifiche, ma è sempre consigliabile, di fronte a un caso concreto, rivolgersi a un professionista con documenti alla mano, perché ogni situazione ha le sue peculiarità e la normativa evolve continuamente.
Tabelle Riassuntive
Di seguito presentiamo alcune tabelle riepilogative utili per avere a colpo d’occhio i riferimenti normativi, gli strumenti investigativi, i principali orientamenti giurisprudenziali e i termini difensivi in materia di scambio di informazioni e accertamenti esteri.
Tabella 1: Principali Norme sullo Scambio di Informazioni Fiscali
Normativa | Oggetto | Riferimenti |
---|---|---|
Convenzione OCSE sulla mutua assistenza fiscale (1988, emend. 2010) | Cornice multilaterale per scambio di informazioni su richiesta, spontaneo e automatico tra oltre 140 Paesi. Italia partecipa (ratifica L.19/2016). | OCSE MAAT; L. 18/2016. |
Direttiva 2011/16/UE (DAC1) | Cooperazione amministrativa nell’UE: scambio su richiesta, spontaneo e automatico su redditi specifici. Attuata in Italia con D.Lgs.29/2014. | Dir.2011/16/UE; D.Lgs.29/2014. |
Direttiva 2014/107/UE (DAC2) | Introduce lo scambio automatico di informazioni finanziarie (Common Reporting Standard) nell’UE. | Dir.2014/107/UE; L.95/2015; DM 28/12/2015. |
Legge 18 giugno 2015 n.95 | Ratifica accordo FATCA Italia-USA; delega attuazione standard CRS e altri accordi di scambio automatico. | L.95/2015. |
Accordo FATCA Italia-USA (2014) | Scambio reciproco Italia-USA di informazioni su conti finanziari di rispettivi residenti (Model 1 IGA). | Legge 95/2015 (art.1). |
Direttiva 2015/2376/UE (DAC3) | Scambio automatico dei ruling fiscali preventivi e APA tra stati membri. Attuata con D.Lgs.32/2017. | Dir.2015/2376; D.Lgs.32/2017. |
Direttiva 2016/881/UE (DAC4) | Scambio automatico country-by-country report (rendicontazione paese per paese delle multinazionali). | Dir.2016/881; DM MEF 23/02/2017. |
Direttiva 2018/822/UE (DAC6) | Obbligo segnalazione schemi elusivi transfrontalieri (intermediari), con scambio info tra Stati. | Dir.2018/822; D.Lgs.100/2020. |
Direttiva 2020/284/UE (DAC7) | Scambio automatico di informazioni da piattaforme digitali (redditi da vendite, affitti, servizi). | Dir.2020/284; D.L.73/2022 conv. L.122/2022 (recepimento). |
Direttiva (in adozione) DAC8 | Previsto scambio su crypto-asset (Crypto-Asset Reporting Framework – CARF) dal 2026-2027. | (Proposta COM(2022)707) |
D.L. 167/1990 (conv. L.227/1990) | Monitoraggio fiscale: quadro RW per attività estere, sanzioni e presunzioni (artt. 4 e 6). | D.L.167/90; L.227/90; modif. L.97/2013. |
Art. 12 D.L. 78/2009 | Presunzione di evasione per attività in black list non dichiarate; raddoppio termini accertamento per attività estere occultate. | DL 78/09 art.12 c.2,2-bis; conv. L.102/2009. |
D.Lgs. 471/1997 | Sanzioni tributarie: art.5 co.2: 3-15% (o 6-30%) su att.vi estere non dichiarate; art.1: 90-180% imposta evasa. | D.Lgs.471/97, art.5. |
D.Lgs. 472/1997 | Ravvedimento operoso (art.13); continuazione violazioni (art.12); cause non punibilità (obiettiva incertezza art.6 co.2). | D.Lgs.472/97. |
D.Lgs. 74/2000 | Reati tributari: dichiarazione infedele (>€50k imposta evasa, soglia beni esteri >€2 mln abolita nel 2015); omessa dichiarazione (>€50k imposta). Omettere RW non è autonomo reato. | D.Lgs.74/2000 artt.4,5. |
L. 212/2000 (Statuto contrib.) | Diritti del contribuente: art.6 (informazione e collaborazione); art.12 (garanzie in verifiche, contraddittorio PVC, 60 gg). | L.212/2000 (Statuto). |
Tabella 2: Fonti Informative e Strumenti di Indagine Fiscale Internazionale
Strumento/Archivio | Descrizione | Norme |
---|---|---|
Scambio automatico CRS (DAC2) | Dati annuali su conti finanziari (saldi, interessi, dividendi) di residenti all’estero. Forniti da >100 giurisdizioni partner. Base per lettere compliance. | Dir.2014/107/UE; L.95/2015; DM 28/12/2015. |
Scambio FATCA | Dati su conti US/IT di residenti reciproci. USA → Italia: interessi e pochi altri dati di conti di italiani in banche USA. | Accordo 10/1/2014 (IGA); L.95/2015. |
Scambio su richiesta | L’Agenzia invia quesiti mirati ad autorità estere (es. saldo e movimenti conto X). Risposta se accordo in vigore. Non prevede coinvolgimento contribuente (CGUE Sabou: nessun diritto partecipazione). | Art.26 Mod. OCSE; Dir.2011/16/UE art.5-8; Convenzioni bilaterali. |
Scambio spontaneo | Trasmissione volontaria di informazioni da Stato estero quando utili all’Italia (es. rulings, movimenti sospetti). E viceversa. | Dir.2011/16 art.9; es. DAC3 su rulings; accordi TIEA. |
Anagrafe Rapporti Finanziari | Archivio dei conti correnti e depositi in Italia: contiene saldi e movimenti aggregati di tutti i rapporti bancari/postali domestici. Utilizzato per liste selettive (redditometro, ecc.). | Art.7 DPR 605/1973 (come modif. da DL 201/2011); Provv.AE 25/3/2013. |
UIF – Segnalazioni sospette | Operazioni finanziarie sospette (spesso transfrontaliere) segnalate per antiriciclaggio. Condivise con GdF/Ade per analisi fiscale. Possono rivelare trasferimenti esteri non giustificati. | D.Lgs.231/2007 (antiriciclaggio); DAC5 (Dir.2016/2258) consente accesso fiscale a info AML. |
Indagini finanziarie art.32 | Potere di richiedere dati bancari (anche di filiali estere se cooperano) con autorizzazione interna. GdF può svolgere accessi presso intermediari. Usato per ricostruire flussi da/per estero su conti italiani. | DPR 600/73 art.32 co.1 n.7; DPR 633/72 art.51. |
Liste da leaks (es. Falciani, Panama Papers) | Elenchi di conti esteri ottenuti illecitamente e poi condivisi via autorità estere. Utilizzabili come prova. Servono per far partire accertamenti e richiedere ulteriori info. | Cass. 8605/2015: utilizzabilità lista; Convenzione Fra-It 1992 per Falciani; scambio spontaneo. |
SERPICO & Data matching | Software Sogei incrocio dati: confronta flussi CRS/FATCA con dichiarazioni (codici fiscali) e segnala scostamenti. Incrocia anche dati patrimoniali, spese, tenore di vita per individuare possibili evasioni estere. | Infrastruttura interna Sogei (Serpico); art.11 DL 69/1989 ist. anagrafe tributaria integrata. |
Eurofisc & cooperazione UE | Rete UE per scambio rapido info su frodi (specie IVA/carosello), include sezione sulle frodi con società di comodo transnazionali. Marginale su persone fisiche estero, più su imprese (esterovestizione, etc.). | Reg. UE 904/2010; programma Eurofisc. |
Archivio Immobili Esteri | L’Italia riceve info su immobili detenuti da residenti in vari Stati (es. Spagna, Francia via cooperazione catastale UE). Permette di scoprire case all’estero non dichiarate (IVIE). | DAC1 allegato IV (redditi immobiliari); accordi bilaterali catasto (es. San Marino 2014). |
Registro Titolari Effettivi (Italia/UE) | Registro centralizzato dei Beneficial Owners di società, trust e giuridiche. Accessibile dal 2021 alle Agenzie fiscali (DAC5). Se un italiano è beneficial owner di entità estera che opera in EU, potrebbe emergere. (NB: dopo sentenza CGUE 2022 accesso pubblico limitato, ma autorità sì). | Dir.2015/849 (AMLD4) e 2018/843 (AMLD5); attuaz. D.Lgs.90/2017; Dir.2016/2258 (DAC5). |
Tabella 3: Giurisprudenza Rilevante
Pronuncia | Principio rilevante |
---|---|
Cass. Civ. Sez. V, 2 febbraio 2018 n. 2662 | La presunzione legale (art.12 DL 78/09) che i capitali esteri non dichiarati siano redditi evasi non ha effetto retroattivo e non può applicarsi ad annualità anteriori all’entrata in vigore (2009). |
Cass. Civ. Sez. V, 5 luglio 2021 n. 18894 | Confermato orientamento “rigorista”: il raddoppio dei termini di accertamento per attività in Paesi black list è norma procedurale e si applica anche retroattivamente. Posizione definita “poco garantista” in dottrina. In sostanza, via libera ad accertare fino a 10 anni se attività occultate in paradisi fiscali. |
Cass. Civ. Sez. V, 4 gennaio 2022 n. 10 | La presunzione di fruttuosità (art.6 c.2 DL 167/90) delle somme estere è iuris tantum: confermata validità anche per fondi di provenienza illecita (non importa l’origine, si presume che generino redditi imponibili salvo prova contraria). |
Cass. Civ. Sez. V, 19 maggio 2021 n. 19849 (Penale Sez. VI) | L’omessa compilazione del quadro RW, pur obbligatoria, non integra di per sé reato di dichiarazione infedele od omessa. Rileva penalmente solo se correlata a imposte evase sopra soglia; da sola comporta sanzione amministrativa ma non penale (no riciclaggio automatico). |
Cass. Civ. SS.UU., 16 marzo 2018 n. 6687 | (In tema di estero vestizione persone fisiche) Il trasferimento residenza in paese black list sposta l’onere sul contribuente di provare l’effettività. Principio generale: per i paradisi fiscali vige presunzione di residenza fiscale in Italia da vincere con prova contraria. – (Nota: sentenza su art.2 c.2-bis TUIR). |
Cass. Civ. Sez. V, 18 luglio 2019 n. 19410 | Trust estero: confermato che i redditi di un trust opaco non vanno imputati ai beneficiari fino a distribuzione. Le somme distribuite a beneficiario residente da trust opaco estero costituiscono reddito di capitale imponibile per il beneficiario (salvo prova trattarsi di restituzione capitale). (Vari precedenti concordi). |
Cass. Civ. Sez. V, 30 ottobre 2018 n. 27432 | Lista Falciani: ribadita l’utilizzabilità in giudizio dei dati bancari acquisiti da autorità estera pur se di origine illecita. La provenienza illecita rileva solo se l’Amministrazione italiana vi ha concorso; se i dati sono stati forniti legittimamente dalla Francia, sono prove valide. |
CTP Milano, 21 giugno 2019 n. 2209 | (Di merito) Caso di voluntary disclosure tardiva: riconosciuta non punibilità per obiettiva incertezza normativa quando il contribuente non aveva dichiarato attività estere confidando, in buona fede, nella non obbligatorietà secondo vecchie circolari. (Utile per trust beneficiari pre-2021). (orientamento non vincolante ma persuasivo in difese analoghe) |
Cass. Pen. Sez. II, 27 aprile 2015 n. 8605 | (Ordinanza gemella 8606) – Caso Lista Falciani: la Corte conferma l’utilizzabilità della lista ai fini fiscali e ribadisce che il diritto alla prova consente di usare dati acquisiti illegittimamente all’estero se giunti legalmente alle autorità italiane. |
Nota: La giurisprudenza in materia è vasta. Abbiamo selezionato pronunce significative per principi generali. In caso di contenzioso, è opportuno ricercare anche sentenze più recenti o specifiche sul tema esatto (es. se trust, cercare Cass. su trust; se cfc, Cass. su cfc, ecc.). Le pronunce di Cassazione vanno calate nel contesto del caso concreto, ma offrono linee guida su cui costruire la difesa.
Tabella 4: Termini di Accertamento e Scadenze Difensive
Azione/Fase | Termini |
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Termine ordinario accertamento imposte dirette | 5 anni dall’anno di presentazione dichiarazione (dich. presentata 2021 su 2020 → accertabile fino al 31/12/2026). Se dichiarazione omessa: 7 anni (redditi 2020 omessi → 31/12/2027). Riforma 2016 ha allungato termini (prima erano 4+4). |
Raddoppio termini per attività estere | Per violazioni fino al 2016, art.12 c.2-bis DL 78/09 raddoppia i termini se attività estere non dichiarate in black list. Esempio: redditi 2015 (dich.2016) → ordinario 2021, raddoppiato 2026. (Cass. 18894/21: applicabile retroattivamente). Nota: dal 2017 il concetto di black list ai fini monitoraggio è abolito (tutti cooperano salvo eccezioni), quindi il raddoppio di fatto non opera per annualità dal 2017 in poi (perché non c’è più distinzione black/white). Restano però raddoppi penali se reato. |
Notifica avviso dopo PVC | Se c’è PVC GdF, l’Agenzia deve attendere 60 giorni dalla consegna del PVC al contribuente prima di emettere avviso (art.12 c.7 Statuto) salvo urgenza motivata. L’avviso notificato ante 60 gg è nullo (in assenza di urgenza). |
Invito al contraddittorio | Per tributi “armonizzati” (IVA) è obbligatorio invitarlo prima dell’accertamento (Cass. SSUU 24823/2015). Per gli altri tributi (IRPEF) non obbligatorio per legge, ma se previsto da norme specifiche (es. art.5-ter D.Lgs.218/97 per alcuni accert. parziali) o statuti speciali, va fatto. Consigliato dall’AdE per compliance. In genere, dopo invito, attendere almeno 15 gg per eventuale risposta prima di emettere atto. |
Ricorso Commissione Tributaria Provinciale | 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnabile (accertamento, irrogazione sanzioni, diniego rimborso). Se presentata istanza di accertamento con adesione entro 60 gg, il termine ricorso si estende di +90 gg (quindi max 150 gg totali dall’atto). |
Accertamento con Adesione | Entro 30 gg dalla notifica dell’avviso, presentazione istanza di adesione sospende termini ricorso per 90 gg. L’ufficio ti convocherà (di solito) per un contraddittorio. Se accordo raggiunto, formalizzazione e pagamento entro 20 gg. Se non raggiunto, ricorso entro 60 gg dal termine dei 90 (o dalla chiusura negativa adesione). |
Pagamento con acquiescenza | Entro 60 gg dalla notifica atto, pagando intero importo imposte + interessi + sanzioni ridotte ad 1/3 (2/3 abbuonate) si perfeziona acquiescenza (art.15 D.Lgs.218/97). Non impugnare l’atto poi. Vale solo se non si è presentata istanza adesione e se non ci sono già cause pendenti su stesso tributo. |
Sospensione e rate | In adesione o conciliazione, possibilità di rate fino a 8 rate trimestrali (<€50k) o 16 rate (>€50k). In acquiescenza, no rate (pagamento unico). Per ricorso, si può chiedere al giudice sospensione dell’esecuzione se sussistono gravi e fondati motivi. Dopo sentenza CTP, se sfavorevole, l’Agenzia può riscuotere metà; dopo CTR il resto, salvo sospensioni. Cassazione non sospende carico, ma si può chiedere sospensiva in appello in attesa di Cassazione (riforma 2022). |
Appello CTR | 60 giorni dalla notifica sentenza di primo grado. Procedura analoghe al primo. Dal 2023 necessaria (per importi > €3.000) assistenza legale tecnica (avvocato/comm.dottore). |
Ricorso Cassazione | 60 giorni da notifica sentenza appello. Solo motivi di diritto. Necessario avvocato cassazionista. |
Nota: Le tempistiche procedurali sono critiche. Ad esempio, se ricevi avviso il 1° marzo, hai fino a fine aprile per ricorrere; se fai adesione il 20 marzo, hai tempo fino a fine giugno + 60 gg = fine agosto per ricorrere in caso di esito negativo. Tenere bene traccia di queste date (magari con un calendario fiscale) è fondamentale nella gestione della difesa.
Fonti Normative e Giurisprudenziali Citati
Di seguito elenchiamo le principali fonti normative e le pronunce giurisprudenziali menzionate nel testo, con link di riferimento ove disponibili:
Normativa italiana e internazionale:
- Legge 18 giugno 2015, n. 95 – Ratifica ed esecuzione di accordi in materia fiscale internazionale (FATCA) e disposizioni per l’attuazione del CRS.
- Decreto MEF 28 dicembre 2015 – Disciplina attuativa per la comunicazione e lo scambio automatico dei conti finanziari (CRS).
- Direttiva 2014/107/UE (DAC2) del 9 dicembre 2014 – Emendamento a direttiva 2011/16/UE per lo scambio automatico di informazioni finanziarie.
- Direttiva 2011/16/UE (DAC1) del 15 febbraio 2011 – Cooperazione amministrativa in ambito fiscale.
- Accordo Italia-USA (FATCA) del 10 gennaio 2014 – Intergovernmental Agreement Model 1 per scambio info conti finanziari.
- D.L. 28 giugno 1990 n. 167, conv. L.4 agosto 1990 n.227 – Monitoraggio fiscale delle operazioni con l’estero (quadro RW) e successive modifiche.
- D.L. 1 luglio 2009 n. 78, art.12, conv. L.102/2009 – Potenziamento contrasto paradisi fiscali: presunzione di evasione e raddoppio termini accertamento per attività estere non dichiarate.
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art.32 – Poteri dell’Amministrazione finanziaria (including indagini finanziarie).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, art.5 – Sanzioni monitoraggio estero (3-15% valore, 6-30% paesi black list); art.1 – Sanzioni dichiarazione infedele (90-180% imposta evasa).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, art.13 – Ravvedimento operoso; art.6 c.2 – Esimente obiettiva incertezza.
- D.Lgs. 74/2000, artt.4-5 – Reati di dichiarazione infedele e omessa (soglie €50.000 imposta evasa; rilevanza penale quadro RW esclusa).
- Statuto del Contribuente (L.212/2000) – Art.6 (collaborazione e buona fede); art.12 (garanzie in sede di verifica, contraddittorio endoprocedimentale).
- Circolare Agenzia Entrate 10/E del 13 marzo 2015 – Istruzioni sulla Voluntary Disclosure (include chiarimenti su quadro RW, casi particolari come polizze, trust).
- Circolare Agenzia Entrate 38/E del 23 dicembre 2013 – Monitoraggio fiscale e rafforzamento sanzioni (precisa che presunzione fruttuosità è iuris tantum, prova contraria ammessa).
- Provvedimento AE 5 agosto 2019 – Fac-simile lettere di compliance per attività estere (esplicita finalità e facoltà contribuente di fornire elementi).
- Multilateral Competent Authority Agreement – MCAA (OCSE 2014) – Accordo multilaterale tra autorità competenti per attuare il CRS (firmato dall’Italia nell’ottobre 2014).
- Convenzione OCSE/Consiglio d’Europa sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale – Emendata 2010, in vigore per Italia dal 2015 (L.19/2016).
- Regolamento UE 2018/1725 (antiriciclaggio AMLD5) e DAC5 (Dir.2016/2258) – Accesso autorità fiscali a archivi antiriciclaggio.
Giurisprudenza:
- Cassazione Civile, Sez. V, 2 febbraio 2018 n. 2662 – Non retroattività presunzione redditi da attività black list ante 2009.
- Cassazione Civile, Sez. V, 5 luglio 2021 n. 18894 – Raddoppio termini accertamento black list applicabile e non incostituzionale (critiche dottrina).
- Cassazione Civile, Sez. V, 4 gennaio 2022 n. 10 – Presunzione di fruttuosità attività estere confermata (anche per capitali illeciti).
- Cassazione Penale, Sez. VI, 19 maggio 2021 (ud.4 maggio 2021) n. 19849 – Omessa indicazione quadro RW non costituisce reato di infedele dichiarazione.
- Cassazione Penale, Sez. II, 28 aprile 2015 n. 8605 e n.8606 – Liste estere (Falciani): prove utilizzabili, provenienza illecita irrilevante se scambiate ufficialmente.
- Cassazione Civile, Sez. V, 14 luglio 2018 n. 19166 – (Eutekne rif. “ipso iure evasore”) Conferma legittimità utilizzo art.12 DL 78/09: contribuente con soldi in Svizzera non dichiarati è considerato evasore salvo prova contraria.
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 25 febbraio 2021 n. 5292 – (Su reati) Raddoppio termini procedurale applicabile retroattivamente se interviene causa penale entro termini ordinari.
- Cassazione Civile, Sez. V, 12 ottobre 2016 n. 20599 – Beneficiari trust opaco estero: tassazione solo al percepimento; trust non interposto = redditi non imputabili pro-quota.
- Cassazione Civile, Sez. V, 4 giugno 2019 n. 15176 – CFC e black list: onere contribuente provare esimenti, confermato rigore su paradisi fiscali.
- Cass. SS.UU. 24823/2015 – Contraddittorio: obbligo generalizzato solo per tributi armonizzati (IVA), non per imposte dirette salvo previsione specifica.
- Corte di Giustizia UE, causa C-276/12 (Sabou) – Nessun diritto del contribuente a essere sentito durante lo scambio di informazioni tra Stati (contraddittorio non esteso alla fase istruttoria internazionale).
- Corte EDU, Grande Stevens c. Italia, 2014 – (In tema di bis in idem sanzioni fiscali/penali – rilevante per eventuale doppio binario, es. caso omessa RW e reato).
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