Quali Sono I Processi Di Risanamento Di Una Crisi Aziendale: La Guida

Hai un’azienda in difficoltà, con debiti crescenti, calo di liquidità o rapporti tesi con banche e fornitori? Ti chiedi come si può affrontare una crisi aziendale senza arrivare al fallimento? La risposta è nel risanamento aziendale, un percorso strategico e legale per intervenire tempestivamente, salvare l’attività e ricostruire la sostenibilità economica.

Il Codice della Crisi d’Impresa oggi prevede strumenti concreti e differenziati per affrontare le difficoltà, ma ogni processo di risanamento richiede una guida tecnica e legale mirata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, risanamento e tutela patrimoniale – ti spiega quali sono i principali processi di risanamento aziendale, quando attivarli e come utilizzarli per evitare il tracollo e rilanciare l’impresa.

Quando si parla di crisi aziendale?
Una crisi non significa necessariamente insolvenza. Si è in crisi quando l’azienda non riesce più a far fronte regolarmente ai propri impegni o mostra squilibri finanziari, economici o patrimoniali. Agire in questa fase è fondamentale per evitare la perdita di controllo.

Quali sono i principali processi di risanamento previsti dalla legge?

  1. Composizione negoziata della crisi
    È lo strumento più nuovo e flessibile. L’imprenditore, con l’assistenza di un esperto indipendente, avvia un tavolo con i creditori per negoziare una soluzione e può chiedere misure protettive per bloccare azioni esecutive. È riservata a chi ha ancora concrete prospettive di recupero.
  2. Concordato semplificato o preventivo in continuità
    Si propone al tribunale un piano per pagare in modo parziale i debiti, salvando l’attività produttiva. Può prevedere la cessione di beni non essenziali o la riorganizzazione della struttura.
  3. Accordi di ristrutturazione dei debiti
    Sono intese con i creditori che vincolano anche i dissenzienti, se si raggiunge una soglia di adesione. Sono indicati quando c’è un nocciolo sano nell’attività, ma serve rinegoziare tempi, importi o garanzie.
  4. Liquidazione controllata
    Per i casi più gravi e non risanabili, è la strada per liquidare l’attività con ordine, salvaguardando quanto più possibile il patrimonio residuo e permettendo in seguito l’esdebitazione.

Serve l’aiuto di un legale?
Sì, perché ogni processo ha regole diverse, tempistiche precise e conseguenze rilevanti anche per l’amministratore. Un avvocato esperto ti aiuta a:
– valutare la reale gravità della crisi
– scegliere la procedura giusta
– presentare istanze corrette
evitare responsabilità personali e salvare quanto possibile

Hai un’azienda in crisi e vuoi sapere se puoi risanarla senza chiudere?
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Introduzione

La gestione della crisi d’impresa in Italia è stata profondamente riformata con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) il 15 luglio 2022. Tale Codice (D.Lgs. 14/2019, successivamente modificato da vari correttivi fino al D.Lgs. 136/2024) ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare del 1942, introducendo nuovi strumenti di risanamento aziendale e un approccio moderno e preventivo alla crisi. L’obiettivo primario è favorire l’emersione tempestiva dello stato di crisi e privilegiare soluzioni che consentano la continuità aziendale e la soddisfazione dei creditori, evitando ove possibile la liquidazione distruttiva dell’impresa.

In questa guida avanzata esamineremo in dettaglio i principali strumenti giuridici di risanamento della crisi previsti dall’ordinamento italiano (tutti nel contesto del CCII e della normativa collegata). Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma con intento divulgativo, per rendere accessibili concetti complessi a un pubblico professionale. Saranno trattati: la composizione negoziata della crisi, il concordato preventivo (nelle sue varianti in continuità e liquidatorio), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (anche nelle forme “agevolate” o ad efficacia estesa), il piano attestato di risanamento. Inoltre, vedremo istituti collegati come il concordato semplificato post-composizione negoziata, e cenni al concordato minore per le piccole imprese.

Non mancherà un’analisi dei profili fiscali e tributari rilevanti (transazione fiscale, trattamento tributario dei debiti falcidiati, incentivi e “misure premiali”), né dei profili di diritto societario e prassi notarile che emergono nei processi di risanamento (ad es. sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione, ruoli degli organi sociali, prassi operative). Verranno integrati riferimenti a Linee guida professionali emanate da ordini e associazioni (come i Principi di attestazione dei piani di risanamento sviluppati dai commercialisti, o le massime notarili in materia di crisi).

Fondamentale importanza sarà data alla giurisprudenza recente: citeremo sentenze chiave della Corte di Cassazione (incluse alcune pronunce del 2023 e 2024) e decisioni significative di tribunali e corti d’appello, per chiarire l’interpretazione applicativa di questi strumenti. Troverete inoltre tabelle riepilogative che confrontano i vari strumenti evidenziandone vantaggi e criticità, una sezione di FAQ con le domande più frequenti e le relative risposte in materia di crisi d’impresa, e alcune simulazioni pratiche (casi d’uso ipotetici) per mostrare come questi strumenti possono essere impiegati in situazioni reali. Chiude la guida un elenco completo di tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate.

Quadro Normativo e Principi Generali

Il Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII) ha introdotto un sistema organico per la gestione della crisi aziendale, in attuazione anche della Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza. I principi cardine del nuovo impianto normativo possono essere riassunti come segue:

  • Prevenzione e allerta: il legislatore mira a far emergere prima possibile gli indizi di crisi (lo stato di “crisi” è definito come la situazione che rende probabile l’insolvenza futura) e a incentivare l’imprenditore ad attivarsi tempestivamente. A tal fine, il Codice prevedeva un sistema di allerta interno ed esterno (segnalazioni dell’organo di controllo, indicatori di crisi, Organismi di Composizione Assistita – OCRI). Tuttavia, tale sistema di allerta è stato in parte posticipato e riconfigurato: nella pratica odierna la funzione preventiva è svolta principalmente dalla composizione negoziata della crisi, uno strumento volontario introdotto in via emergenziale nel 2021 e ora codificato, che permette di affrontare la crisi in modo riservato e stragiudiziale con l’ausilio di un esperto indipendente.
  • Continuità aziendale vs. liquidazione: vi è una chiara preferenza legislativa per le soluzioni che preservano la continuità dell’impresa (la prosecuzione dell’attività, totale o parziale) rispetto a quelle meramente liquidatorie. Il concordato preventivo in continuità aziendale è concepito come lo strumento “virtuoso” per ristrutturare l’impresa garantendone il risanamento e il miglior soddisfacimento dei creditori, mentre il concordato liquidatorio viene relegato a ipotesi residuali, con requisiti di ammissione più severi (come vedremo, è richiesto un payout minimo ai creditori chirografari del 20% e un contributo di nuova finanza del 10% in caso di concordato liquidatorio). Questa preferenza normativa si fonda sull’idea che mantenere in vita l’azienda (o parti di essa) generi più valore da distribuire ai creditori rispetto a una liquidazione atomistica. In generale, la soluzione liquidatoria (oggi “liquidazione giudiziale”, ex fallimento) è considerata l’extrema ratio, da attivare solo quando ogni tentativo di risanamento sia impraticabile.
  • Autonomia negoziale e tutela dei creditori: molti strumenti di risanamento (piani attestati, accordi di ristrutturazione, composizione negoziata stessa) valorizzano la libertà negoziale delle parti, consentendo all’imprenditore e ai creditori di raggiungere accordi stragiudiziali su ristrutturazione del debito e rilancio aziendale. Il ruolo dell’autorità giudiziaria varia da nullo (nei piani attestati) a limitato al controllo di legalità/omologazione (accordi e concordati). In ogni caso, però, la legge predispone meccanismi di tutela per i creditori dissenzienti e la par condicio: ad esempio, l’omologazione giudiziale richiede il rispetto del cosiddetto “best interest test”, ossia che nessun creditore ottenga, con il piano proposto, meno di quanto otterrebbe in una liquidazione fallimentare. Nel concordato in continuità, la distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione tra i creditori può avvenire non in stretta osservanza delle cause di prelazione, ma garantendo comunque ai dissenzienti il rispetto della soglia del valore di liquidazione (principio di trattamento non deteriore). Il CCII ha introdotto inoltre la possibilità di omologazione forzata dei piani anche senza il voto favorevole di tutte le classi (“cram-down”), a condizione che alcune classi approvino e che la proposta sia equa verso i dissenzienti – si tratta del recepimento della disciplina europea sul cross-class cram-down. Ad esempio, in ambito di concordato preventivo in continuità aziendale, la legge prevede che il tribunale possa omologare anche in mancanza di approvazione unanime delle classi, purché vi sia il voto favorevole di almeno una classe rilevante e la soddisfazione garantita ai creditori dissenzienti sia almeno pari a quella della liquidazione (oltre ad altri requisiti di legge).
  • Responsabilizzazione degli organi societari: con la riforma è stata rafforzata la responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo nell’adozione di assetti organizzativi adeguati e nell’attivazione tempestiva degli strumenti di composizione della crisi. Dall’altra parte, l’ordinamento offre delle protezioni a chi agisce in modo diligente per il risanamento: ad esempio, la presentazione di una domanda di concordato preventivo (o di accordo di ristrutturazione) sospende gli obblighi di ricapitalizzazione per perdite e le cause di scioglimento societario, evitando che amministratori e soci siano costretti a liquidare l’azienda proprio mentre tentano di salvarla. Analogamente, l’accesso alla composizione negoziata comporta la sospensione ex lege di tali obblighi (art. 8 D.L. 118/2021), garantendo all’imprenditore uno spazio di manovra per negoziare senza dover immediatamente mettere in liquidazione la società in caso di perdite rilevanti.

Nei paragrafi seguenti, affronteremo singolarmente ciascuno degli strumenti di risanamento previsti, delineandone la disciplina normativa, le condizioni di accesso, lo svolgimento, gli effetti e i risvolti pratici (vantaggi, svantaggi, criticità applicative). Inizieremo dallo strumento più innovativo e precoce: la composizione negoziata della crisi.

Composizione negoziata della crisi

Cos’è la composizione negoziata? Introdotta inizialmente con il D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) come misura emergenziale post-pandemia, la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è ora disciplinata nel CCII (artt. 17-25 e 25-bis). Si tratta di un percorso volontario, riservato e stragiudiziale in cui l’imprenditore in situazione di squilibrio economico-finanziario (stato di crisi o anche insolvenza reversibile) può richiedere la nomina di un esperto indipendente. L’esperto ha il compito di agevolare le trattative tra l’imprenditore e i creditori al fine di individuare una soluzione di risanamento. Questo strumento non è una “procedura concorsuale” in senso tradizionale (non comporta spossessamento né apertura formale di procedura), ma un percorso negoziale assistito: almeno nella fase iniziale, si svolge al di fuori del tribunale, con un ruolo centrale dell’esperto terzo e imparziale.

Accesso e requisiti – Può accedere alla composizione negoziata qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualunque dimensione (anche le piccole imprese “non fallibili” possono accedervi, a differenza che al concordato preventivo). Non è necessario essere già insolventi: lo strumento vale anche in caso di crisi incipiente o insolvenza probabile. L’imprenditore presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio) allegando informazioni economico-patrimoniali (ultimi bilanci, dati contabili aggiornati, etc.) e una relazione sulle cause della crisi. La recente riforma del 2023-2024 ha richiesto di allegare anche una certificazione attestante la regolarità contributiva e fiscale (il DURC), oppure almeno la prova di averla richiesta. Una commissione nomina quindi un esperto da un apposito elenco: tipicamente si tratta di un commercialista, un avvocato o un consulente aziendale con specifica formazione in crisi d’impresa.

Svolgimento delle trattative – Dalla nomina, l’esperto avvia incontri con l’imprenditore e i creditori principali. L’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’azienda (non vi è alcuno spossessamento), ma deve operare sotto il principio di buona fede e correttezza, tenendo l’esperto informato di ogni atto di straordinaria amministrazione. Le trattative sono riservate: i creditori sono tenuti a comportarsi correttamente e a mantenere la riservatezza sulle informazioni apprese. Importante: la presentazione dell’istanza di composizione negoziata viene pubblicata nel registro delle imprese (ciò è necessario per attivare le tutele legali connesse, come vedremo), ma l’esistenza delle trattative non è divulgata al pubblico oltre quanto necessario per informare i creditori coinvolti.

Durante il periodo di composizione negoziata (durata iniziale fino a 180 giorni, prorogabile di ulteriori 180 su accordo delle parti, con possibilità di anticipare la conclusione se si trova prima una soluzione), l’imprenditore può richiedere al tribunale alcune misure protettive e autorizzazioni. In particolare:

  • Misure protettive: l’imprenditore può chiedere che il tribunale disponga il divieto, per i creditori, di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’impresa e il blocco delle istanze di fallimento (liquidazione giudiziale). Tali misure protettive, se concesse, durano inizialmente fino a 4 mesi (120 giorni) e possono essere rinnovate per altri 120 giorni al massimo. La concessione richiede che l’esperto non rilevi pregiudizio per i creditori dalla sospensione. Le misure protettive vengono pubblicate nel registro delle imprese, divenendo conoscibili da tutti i creditori. Nota bene: la pendenza di una composizione negoziata di per sé (anche a prescindere dalle misure protettive) impedisce al tribunale di dichiarare il fallimento dell’imprenditore: fino alla conclusione delle trattative la dichiarazione di insolvenza resta sospesa.
  • Autorizzazioni del tribunale: l’imprenditore può chiedere al giudice di essere autorizzato a compiere atti di straordinaria amministrazione funzionali al piano in corso di negoziazione (es. finanziamenti, cessione di rami d’azienda, concessione di garanzie). Il tribunale, valutata l’utilità dell’atto per la continuità aziendale e sentito l’esperto, può autorizzare tali operazioni. Questo comporta che gli atti autorizzati godranno di esenzione da revocatoria in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). In particolare, i finanziamenti erogati all’impresa durante la composizione negoziata con autorizzazione del tribunale sono prededucibili (avranno priorità di rimborso in eventuale procedura concorsuale successiva). La riforma del 2024 ha chiarito che la prededuzione opera qualunque sia l’esito della composizione negoziata (anche se poi si passa ad altra procedura) e che l’attuazione dell’atto autorizzato può avvenire anche dopo la chiusura della composizione, se previsto dal tribunale o indicato nella relazione finale dell’esperto.

Esiti della composizione negoziata – La composizione negoziata può concludersi in diversi modi, a seconda di ciò che l’imprenditore riesce a concordare con i creditori durante le trattative (eventualmente con l’aiuto dell’esperto). Gli sbocchi positivi principali, delineati dall’art. 23 CCII, sono i seguenti:

  • Contratto stragiudiziale con i creditori: l’imprenditore può stipulare con uno o più creditori uno o più contratti o accordi bilaterali di ristrutturazione (art. 23 comma 1 lett. a). Ad esempio, potrebbe ottenere dai fornitori una dilazione di pagamento, dalle banche una rimodulazione dei mutui o remissioni parziali di debito, formalizzando il tutto in appositi accordi. Questi contratti hanno natura privatistica e vincolano solo le parti firmatarie. Se il loro contenuto è tale da riequilibrare la situazione dell’impresa, le trattative si chiudono con successo. L’imprenditore può scegliere di pubblicare questi contratti nel registro delle imprese per avvalersi di taluni benefici (in particolare, delle esenzioni fiscali sulle sopravvenienze attive da stralcio, come vedremo nella sezione fiscale).
  • Convenzione di moratoria: i creditori che partecipano alle trattative (specie finanziatori) possono concordare una moratoria temporanea sui loro crediti, cioè un accordo collettivo in cui si impegnano a non agire e magari a prorogare le scadenze, in attesa dell’implementazione di un piano di risanamento (art. 23 comma 1 lett. b). Questa convenzione di moratoria, se sottoscritta da una maggioranza qualificata di crediti di una certa categoria, può essere sottoposta ad un procedimento di approvazione giudiziale che la rende vincolante anche per i creditori della stessa categoria che non l’hanno sottoscritta. In pratica, si tratta di un accordo para-concorsuale in cui, ad esempio, l’80% delle banche aderisce a uno standstill e, su approvazione del tribunale, la moratoria si estende anche alle banche non aderenti (le quali però possono fare opposizione). È uno strumento pensato per guadagnare tempo e sostenere la continuità, congelando le pretese creditorie mentre si definisce un più ampio accordo di ristrutturazione o concordato. La convenzione di moratoria deve essere accompagnata da una relazione di un professionista attestatore sulla idoneità della moratoria a facilitare il risanamento, e l’approvazione è data con decreto dal tribunale (opponibile in appello).
  • Accordo di ristrutturazione sottoscritto anche dall’esperto: è lo sbocco più innovativo previsto (art. 23 comma 1 lett. c). Si tratta di un accordo unitario di ristrutturazione dei debiti sottoscritto dall’imprenditore e da una parte significativa dei creditori, con l’adesione formale anche dell’esperto. L’esperto appone la propria firma solo se ritiene che il piano sottostante sia effettivamente fattibile e idoneo a risanare l’impresa. Questo accordo, grazie all’intervento dell’esperto, acquista “forza” particolare: produce infatti effetti protettivi importanti, tra cui l’esenzione dalle azioni revocatorie fallimentari e la non punibilità per bancarotta semplice e preferenziale degli atti posti in essere in esecuzione dell’accordo. Inoltre, la legge prevede che pubblicando l’accordo nel registro imprese, l’imprenditore ottiene i medesimi benefici fiscali riconosciuti ai contratti stragiudiziali di cui alla lett. a). In sostanza, l’accordo “asseverato” dall’esperto è un’alternativa negoziale all’accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII, con il vantaggio di evitare l’omologazione giudiziaria ma ottenendo comunque protezioni legali simili. È richiesto, naturalmente, che il piano presentato sia tale da assicurare il riequilibrio aziendale e il completo risanamento (non basta una semplice dilazione di pagamenti: deve esserci una prospettiva reale di ritorno all’equilibrio economico e finanziario). La firma dell’esperto svolge il ruolo di attestazione sulla fattibilità del piano e funge da garanzia di serietà.
  • Accesso a una procedura concorsuale: se le trattative evidenziano che è necessario un intervento dell’autorità giudiziaria o un accordo più ampio, l’imprenditore può decidere di accedere ad uno degli strumenti di regolazione della crisi o insolvenza previsti dal Codice (art. 23 comma 2). In particolare:
    • proporre un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (con omologazione in tribunale) – v. sezione dedicata;
    • presentare un concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) – v. sezione dedicata;
    • per l’imprenditore minore (sotto soglia), accedere a un concordato minore o a una liquidazione controllata (procedure “minori” analoghe al sovraindebitamento);
    • oppure, come ultima spiaggia, proporre il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) di cui diremo a breve. Quest’ultimo è riservato esclusivamente a chi ha tentato la composizione negoziata senza trovare un accordo.
  • Esito negativo e altre soluzioni: se nessuno degli accordi o strumenti sopra descritti risulta praticabile, la composizione negoziata si chiude con esito negativo e l’esperto redige una relazione finale che dà atto delle ragioni del mancato accordo. A quel punto, i creditori riacquistano piena libertà di azione (salvo eventualmente la possibilità di accedere al concordato semplificato). L’imprenditore può anche ritirarsi in qualsiasi momento dalle trattative se ritiene di non poter raggiungere una soluzione, oppure l’esperto può interromperle segnalando il venir meno della fiducia nella correttezza delle parti. Da notare che, durante la composizione, l’imprenditore conserva la possibilità di adottare da sé eventuali iniziative di risanamento unilaterali (es. ricapitalizzazione, dismissione di cespiti per pagare debiti) e se la situazione migliora potrebbe anche decidere di rinunciare alla procedura.

Vantaggi – La composizione negoziata presenta numerosi aspetti positivi:

  • Riservatezza iniziale: consente di affrontare la crisi fuori dai riflettori di una procedura pubblica, mantenendo la continuità operativa e rapporti con clienti/fornitori (fino a che non si chiedano misure protettive, la negoziazione resta confidenziale).
  • Flessibilità: non ci sono schemi rigidi di piano imposti per legge; le soluzioni sono lasciate all’autonomia delle parti (dal semplice allungamento dei debiti, all’ingresso di nuovi soci finanziatori, alla rinegoziazione di contratti, ecc.), con l’unico vincolo del rispetto della buona fede e della prospettiva di risanamento.
  • Costi contenuti: non essendo una procedura concorsuale, non vi sono organi come commissari o liquidatori da remunerare; i costi sono principalmente il compenso dell’esperto (stabilito secondo tariffe ministeriali e a carico dell’imprenditore, ma spesso inferiore ai costi di un lungo concordato) e quelli per eventuali consulenze attivate.
  • Protezione legale temporanea: grazie alle misure protettive il debitore può congelare azioni esecutive e ottenere tempo prezioso, evitando il deteriorarsi della situazione dovuto a pignoramenti o istanze di fallimento.
  • Incentivi fiscali e finanziari: la legge prevede misure premiali per chi ricorre alla composizione negoziata – ad esempio, riduzione degli interessi legali e delle sanzioni fiscali durante la negoziazione (interessi ridotti al tasso legale e sanzioni ridotte al minimo edittale), nonché riduzione alla metà di interessi e sanzioni su debiti fiscali pregressi. Inoltre, è possibile rateizzare i debiti tributari non ancora a ruolo fino a 120 rate mensili. Sul piano civilistico, come detto, i finanziamenti nuovi autorizzati dal tribunale godono di prededuzione e gli atti autorizzati sono protetti da revocatoria. Queste misure rendono più agevole trovare accordi con i creditori (si pensi alla disponibilità di banche a finanziare se garantite dalla prededuzione, o all’Erario più incline a trattare grazie alla riduzione sanzioni prevista dall’art. 25-bis CCII).
  • Salvaguardia da responsabilità personali: l’imprenditore che attiva per tempo la composizione negoziata adempie al dovere di adottare idonee misure di superamento della crisi; ciò potrebbe metterlo al riparo da azioni di responsabilità per tardiva emersione del dissesto. Inoltre, qualora l’esito sia un accordo sottoscritto dall’esperto, gli atti esecutivi di tale accordo non configurano reati di bancarotta preferenziale o semplice, offrendo quindi una protezione penale non indifferente ai gestori (purché abbiano agito senza frode).

Criticità – D’altro canto, vi sono anche limiti e rischi:

  • Nessun effetto sugli estranei: a differenza del concordato o di un accordo omologato, nella composizione negoziata i creditori non aderenti alle trattative non sono vincolati. Ciò significa che basta un creditore importante non cooperativo per far fallire le trattative. Ad esempio, un istituto finanziario potrebbe rifiutare di congelare le proprie pretese e avviare comunque un’azione esecutiva (salvo misure protettive in atto). La procedura richiede dunque un consenso ampio e volontario, che non è garantito.
  • Durata limitata: le trattative devono concludersi in un tempo relativamente breve (6 mesi, estensibili a 12). Questo impone un’accelerazione spesso non facile, specie in crisi complesse. Al termine, se non c’è accordo, l’impresa potrebbe trovarsi aggravata nella situazione di liquidità e con i creditori pronti a farsi avanti (anche se, in compenso, c’è la via del concordato semplificato).
  • Incertezza sull’esito: non essendo una procedura “protetta” definitiva, ma solo un negoziato, non vi è certezza di omologazione. L’imprenditore potrebbe investire tempo e risorse nelle trattative e poi dover comunque ripiegare su un concordato preventivo o subire un fallimento se i creditori non aderiscono. In alcuni casi, questo può essere un mero rinvio dell’inevitabile, con ulteriore perdita di valore nel frattempo.
  • Pubblicità iniziale e reputazione: sebbene la composizione negoziata sia riservata, la necessaria pubblicazione dell’istanza nel Registro Imprese la rende conoscibile (di fatto) alle controparti contrattuali, banche e fornitori tramite le usuali società di informazioni commerciali. Ciò potrebbe provocare reazioni negative (riduzione fidi, richieste di pagamento anticipato) da parte di chi percepisce l’azienda come in crisi. Questo effetto reputazionale va gestito con attenzione, comunicando correttamente il percorso intrapreso come occasione di risanamento.
  • Cooperazione delle banche e del fisco: la composizione negoziata richiede un cambio di approccio anche da parte dei creditori pubblici e delle banche. La riforma 2024 ha introdotto la possibilità di una transazione fiscale all’interno delle trattative (l’imprenditore può proporre il pagamento parziale/dilazionato dei debiti fiscali durante la negoziazione), ma l’adesione delle Agenzie fiscali non è scontata e dipende dalla convenienza rispetto alla liquidazione (valutata tramite attestazione indipendente). Anche gli istituti di credito dovrebbero adottare un atteggiamento collaborativo (ad esempio, non revocando affidamenti in modo precipitato) affinché la composizione funzioni.

Novità 2023-2025 – Vale la pena evidenziare gli aggiornamenti normativi più recenti che riguardano la composizione negoziata:

  • Con il c.d. “terzo correttivo” (D.Lgs. 136/2024) è stata formalmente introdotta nel CCII la transazione fiscale nella composizione negoziata. In base al nuovo art. 23 comma 2-bis, l’imprenditore nel corso delle trattative può proporre un accordo all’Agenzia delle Entrate (ed Enti di riscossione) per il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari e relativi accessori. Sono esclusi solo i tributi UE (dazi, IVA all’importazione) e i debiti previdenziali, che non possono essere falcidiati in sede di composizione (quest’ultimo limite è stato criticato come ingiustificato). La proposta va corredata da due relazioni: una di un professionista indipendente che attesta la convenienza dell’accordo fiscale rispetto alla liquidazione giudiziale (cioè che l’Erario incassa di più o in modo più celere di quanto farebbe in caso di fallimento) e l’altra di un revisore legale che attesta la veridicità dei dati aziendali. L’accordo fiscale raggiunto deve poi essere depositato in tribunale e diventa efficace dalla data di deposito; tuttavia la sua esecuzione è sospesa finché il giudice, con decreto, ne autorizza l’efficacia verificando la regolarità formale della documentazione. In pratica, si introduce una sorta di mini-omologazione limitata all’accordo con il Fisco, garantendo legalità e controllo. L’esperto della composizione non deve sottoscrivere l’accordo fiscale (gliene va data solo comunicazione); se però lo ritiene pregiudizievole per i creditori o per il risanamento, lo segnalerà all’imprenditore e all’organo di controllo e ne darà conto nella relazione finale. Questa innovazione è molto rilevante: prima, nella composizione negoziata le Agenzie fiscali potevano solo concedere benefici “minori” (come riduzione di interessi e sanzioni ex art. 25-bis CCII), mentre ora si possono pattuire veri e propri stralci di imposta, avvicinando la composizione negoziata agli altri strumenti concorsuali dove la transazione fiscale esisteva da tempo.
  • Il terzo correttivo ha anche migliorato altri aspetti, ad esempio chiarendo la documentazione da allegare alla domanda (bilanci approvati, pena allegare bilanci provvisori), e ha introdotto la figura dell’ausiliario su cui il tribunale può fare affidamento per relazioni in caso di concordato semplificato (tema connesso di cui diremo a breve).
  • Infine, ricordiamo che l’art. 25-bis CCII, aggiunto con D.Lgs. 83/2022 e integrato da D.Lgs. 136/2024, contiene le “misure premiali” per chi conclude positivamente la composizione negoziata. Oltre alle già citate riduzioni di interessi e sanzioni, la norma prevede che dall’avvenuta pubblicazione nel registro imprese del contratto/accordo conclusivo della composizione negoziata si applichino all’imprenditore e ai creditori le agevolazioni fiscali previste per i piani attestati, accordi di ristrutturazione e concordati. In pratica, se la composizione si chiude con un contratto o accordo che viene pubblicato, le eventuali remissioni di debito godranno della detassazione (sopravvenienze attive escluse da imponibile ai sensi art. 88 comma 4-ter TUIR) e i creditori potranno dedurre immediatamente le perdite (art. 101 comma 5 TUIR) e emettere note di variazione IVA immediatamente (art. 26 DPR 633/1972). Questa estensione era inizialmente dubbia, ma ora è espressamente sancita: la composizione negoziata “equipara” i suoi esiti di successo agli altri strumenti quanto a trattamento fiscale di vantaggio.

In sintesi, la composizione negoziata è diventata uno strumento centrale per il risanamento precoce: un approccio negoziale assistito e protetto, che precede e può evitare l’accesso alle procedure concorsuali vere e proprie. Se però le trattative non portano a soluzioni soddisfacenti e l’impresa rimane insolvente, il legislatore – come anticipato – ha previsto un particolare “piano B” per chi ha tentato invano la via negoziale: il concordato semplificato di cui all’art. 25-sexies CCII, a cui dedichiamo la prossima sezione.

Il Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Tra le innovazioni introdotte dal D.L. 118/2021 vi è il concordato semplificato per la liquidazione (oggi art. 25-sexies CCII). Esso costituisce una procedura concorsuale speciale, attivabile solo dall’imprenditore che abbia esperito senza successo la composizione negoziata della crisi. È definito “semplificato” perché presenta significative deroghe e facilitazioni rispetto al concordato preventivo ordinario, soprattutto con riferimento all’iter di approvazione: non è previsto il voto dei creditori.

Quando si può richiedere? – L’imprenditore può proporre domanda di concordato semplificato entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto che attesta il mancato raggiungimento di una soluzione negoziale (art. 25-sexies, co. 1). Questa procedura è dunque l’ultima spiaggia per chi, pur avendo cercato attivamente un risanamento stragiudiziale, non è riuscito ad ottenerlo. Lo scenario tipico è quello di un’impresa la cui continuità non è attuabile, ma che dispone di beni o di un complesso aziendale vendibile: non potendo salvarla, si mira a liquidarla in modo rapido e ordinato tramite concordato, anziché con un fallimento tradizionale.

Caratteristiche – Il concordato semplificato ha natura liquidatoria: prevede cioè la cessione oppure la liquidazione di tutto il patrimonio dell’imprenditore a beneficio dei creditori. Non è ammesso un concordato semplificato in continuità (per definizione, se c’era prospettiva di continuità, avrebbe dovuto emergere in composizione negoziata). Tuttavia, la legge consente che nel piano semplificato l’azienda sia ceduta “in attività” a un soggetto già individuato, senza gara. Ciò significa che è compatibile una sorta di continuità indiretta: ad esempio, l’imprenditore può aver individuato, durante le trattative, un acquirente disposto a rilevare l’azienda (o un ramo) e a proseguire l’attività. Nel concordato semplificato tale cessione può avvenire in modo diretto, anche prima dell’omologazione e senza le formalità competitive normalmente richieste (come le procedure competitive obbligatorie nel concordato ordinario). Questa è una forte semplificazione, volta a monetizzare subito gli asset e preservare il valore aziendale trasferendolo velocemente al nuovo soggetto.

Procedura – La domanda di concordato semplificato va presentata in tribunale insieme a un piano di liquidazione e ai documenti contabili, più le relazioni dell’esperto indipendente e dell’ausiliario nominato (figura introdotta dal correttivo 2024). Il piano deve garantire ai creditori un trattamento non inferiore a quello ottenibile in caso di liquidazione giudiziale (principio del “miglior soddisfacimento” – art. 25-sexies, co. 5). Il tribunale, verificati i requisiti, fissa un’udienza in cui i creditori possono eventualmente comparire per essere sentiti; non c’è però un voto formale. L’omologazione del concordato semplificato è quindi rimessa al giudice, il quale la concederà se ritiene soddisfatti i presupposti di legge e se non riscontra pregiudizio per i creditori (ossia se il piano non li danneggia rispetto all’alternativa fallimentare). I creditori possono proporre opposizione all’omologazione se ritengono che tali condizioni non sussistano.

Vantaggi e finalità – Il concordato semplificato è concepito come un percorso rapido e meno costoso per chiudere la crisi quando il risanamento non è riuscito. I suoi vantaggi includono:

  • Niente votazione né costituzione di classi di creditori, con un’evidente snellezza procedurale. Ciò evita lungaggini e incertezze legate al raggiungimento delle maggioranze.
  • Possibilità di vendere subito l’azienda o beni a un soggetto scelto, senza dover attendere e senza aste, massimizzando il valore di realizzo quando c’è urgenza (es. un acquirente disponibile subito, rischio di depauperamento in caso di attesa).
  • Riduzione dei costi: meno spese di procedura (ad es. non c’è commissario giudiziale per lungo tempo, anche se il tribunale può nominare un ausiliario per valutare il piano). Inoltre l’attività svolta dall’esperto nella composizione negoziata non è vanificata ma anzi “monetizzata” – molte analisi sono già state fatte, il che alleggerisce il lavoro nella fase di concordato.
  • Per l’imprenditore, costituisce un incentivo a tentare la composizione negoziata: la legge di riforma ha voluto far capire che anche se la negoziazione fallisce, chi l’ha intrapresa non è destinato automaticamente al fallimento, ma ha a disposizione questa via d’uscita più dignitosa e controllata. In altri termini, l’imprenditore sa che, male che vada, potrà proporre un concordato liquidatorio snello, evitando la procedura fallimentare tradizionale.

In effetti la Relazione ministeriale al D.L. 118/2021 sottolineava proprio questa funzione: il concordato semplificato serve a incentivare l’adesione alla composizione negoziata, offrendo la prospettiva di un’alternativa meno traumatica al fallimento qualora le trattative non diano esito conservativo. Si è creato così un collegamento funzionale tra i due strumenti: la fase stragiudiziale e quella concorsuale semplificata.

Limiti – Occorre ribadire che il concordato semplificato è riservato ai casi di effettiva impraticabilità di soluzioni diverse: non può essere richiesto se durante la composizione negoziata l’imprenditore avrebbe potuto percorrere un concordato preventivo classico o un accordo di ristrutturazione (in tal caso, meglio seguire quelle strade). Inoltre:

  • I creditori nel concordato semplificato non votano, il che tutela dai comportamenti ostruzionistici, ma allo stesso tempo potrebbe generare insoddisfazione e opposizioni, poiché si vedono imporre un piano senza aver voce in capitolo. Per questo la legge richiede un controllo rigoroso del giudice sulla non pregiudizievolezza.
  • Non essendoci classi, non è possibile modulare trattamenti differenziati: di fatto è come un concordato liquidatorio standardizzato, dove ciascun creditore riceve pro quota quello che la liquidazione produce.
  • Infine, se emergono profili di abuso o malafede (ad esempio un imprenditore che simulasse trattative per poi saltare direttamente a un concordato senza voto), il tribunale potrebbe rigettare la richiesta. In giurisprudenza iniziano a registrarsi decisioni che negano l’omologa se il piano non rispetta i paletti posti.

In ogni caso, il concordato semplificato resta un istituto nuovo e peculiare del panorama italiano, e la sua applicazione concreta sta delineandosi via via. Rappresenta certamente un’opportunità di uscita ordinata dal mercato, potenzialmente utile per salvare l’avviamento dell’azienda tramite cessione rapida a terzi, e per accelerare i tempi di definizione della crisi, nell’interesse sia dei creditori (che evitano lungaggini e spese di un fallimento) sia del sistema economico (che vede riutilizzati gli asset in tempi brevi).

Dopo aver trattato gli strumenti “negoziali” e semplificati, possiamo ora passare al concordato preventivo “ordinario”, cioè la tradizionale procedura concorsuale di risanamento prevista dal nostro ordinamento, anch’essa rinnovata dal Codice della crisi.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale mediante la quale l’imprenditore in crisi o insolvenza può evitare la liquidazione fallimentare, proponendo ai creditori un piano per il soddisfacimento (anche parziale) delle loro ragioni e, se del caso, il risanamento dell’azienda. A differenza degli strumenti visti finora, il concordato preventivo è un procedimento giurisdizionale vero e proprio: si instaura davanti al tribunale e richiede l’omologazione da parte di quest’ultimo, dopo il voto dei creditori. Con il CCII, la disciplina del concordato è in gran parte ripresa dalla previgente legge fallimentare ma con numerose novità, tra cui una netta distinzione tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio, l’introduzione del concetto di concordato “misto”, e regole più stringenti per l’accesso alle soluzioni liquidative (a favore delle soluzioni di continuità). Analizziamo separatamente le tipologie.

Concordato preventivo in continuità aziendale

Si ha concordato “in continuità aziendale” quando nel piano è prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa (in tutto o in parte). La continuità può essere diretta, se l’impresa prosegue in capo allo stesso debitore (che rimane in gestione durante e dopo il concordato), oppure indiretta, se è prevista la cessione o il conferimento dell’azienda a un altro soggetto che la gestirà (ad esempio, vendita a un concorrente o affitto d’azienda con successiva vendita a terzi). In entrambi i casi, l’obiettivo è evitare l’interruzione dell’attività, preservare il valore organizzativo dell’azienda e possibilmente assicurare la sua redditività futura, da cui trarre le risorse per pagare i creditori.

Requisito essenziale – La giurisprudenza ha chiarito che per qualificare un concordato come in continuità deve esistere effettivamente un’azienda in esercizio al momento della domanda. Non basta prospettare una generica riattivazione futura: occorre che l’impresa sia operativa o immediatamente riattivabile. Ad esempio, la Cassazione ha stabilito nel 2023 che se l’attività era cessata da tempo, i dipendenti licenziati e i locali dismessi, non si può proporre un concordato in continuità diretta limitandosi a ipotizzare di riprendere un piccolo segmento di business in futuro; in tal caso la proposta va trattata come liquidatoria (richiedendo il rispetto del 20% ai chirografari). Principio di diritto (Cass. 17092/2023): “nel concordato con continuità aziendale diretta, ciò che conta è che l’azienda sia in esercizio – non importa se ad opera dell’imprenditore stesso o di un terzo – tanto al momento dell’ammissione al concordato quanto all’atto del suo eventuale trasferimento; non basta la mera potenzialità di riattivazione dell’attività produttiva in futuro”. Questa precisazione serve a evitare abusi in cui piani liquidatori vengano mascherati da continuità solo per eludere i requisiti più rigidi.

Contenuto del piano in continuità – Nel concordato in continuità il debitore generalmente propone di pagare i creditori col ricavato dell’attività corrente e futura dell’impresa, anziché con la liquidazione integrale dei beni. Il piano può prevedere una ristrutturazione del debito (es: stralcio di percentuale sui chirografari, dilazioni pluriennali di pagamento) e spesso include impegni di terzi o finanza esterna a supporto della continuità (nuovi apporti di soci, investitori, ecc.). Se la continuità è diretta, l’impresa rimane in mano al debitore che la gestirà secondo il piano di risanamento, sotto sorveglianza del commissario e poi del tribunale. Se è indiretta, tipicamente il piano contempla la vendita dell’azienda (o il conferimento in una newco e cessione delle quote) – di solito ciò avviene in tempi brevi durante la procedura, e il ricavato (o parte di esso) alimenta il pagamento dei creditori. In quest’ultimo caso, la legge considera comunque il concordato “in continuità indiretta” perché il complesso aziendale non viene fermato ma passa di mano e prosegue l’attività.

Mancanza di requisiti speciali di soddisfacimento – Un aspetto cruciale: per il concordato in continuità non è previsto un minimo di pagamento ai creditori chirografari. A differenza del liquidatorio (20% minimo), qui la percentuale concordataria può essere anche inferiore (o addirittura zero per i chirografari, ipotesi estrema) se ciò è giustificato dalla presenza della continuità. Il legislatore infatti presume che i creditori possano accettare un soddisfo anche modesto se c’è la prospettiva che l’impresa resti sul mercato (magari mantenendo rapporti commerciali) e che il valore generato dal going concern sia superiore a quello ricavabile da una liquidazione immediata. Ovviamente, in sede di voto i creditori valuteranno la convenienza; ma non c’è un automatismo normativo del 20%. Attenzione: questo non significa libertà assoluta, poiché comunque nessun creditore può ricevere meno del valore di liquidazione di legge (principio di best interest) e il piano deve essere fattibile. In pratica, però, la flessibilità è maggiore.

Priorità nella distribuzione del valore – Nel concordato in continuità, soprattutto se in presenza di diverse classi, si applicano le nuove regole sui criteri di distribuzione. Il CCII (art. 84, comma 6) prevede che il “valore eccedente quello di liquidazione” generato dalla continuità possa essere distribuito senza rispettare rigorosamente le cause di prelazione, a condizione che i creditori di grado inferiore non ricevano più di quelli di grado superiore dissentienti (principio di absolute priority temperata). In sostanza, una parte del valore aggiunto può essere destinata a classi di crediti chirografari o strategici anche se dei privilegiati non vengono soddisfatti per intero, purché i privilegiati abbiano almeno il valore di liquidazione. Questa regola recepisce i concetti della direttiva UE e rappresenta una novità rispetto al passato, in cui il rispetto dei privilegi era più rigido. In parole semplici, il giudice può omologare un concordato in continuità non approvato da tutte le classi se: (i) almeno una classe di creditori interessati non correlati ha votato a favore; (ii) i creditori dissenzienti ricevono almeno quanto otterrebbero da una liquidazione; (iii) il piano prevede che il valore aggiuntivo derivante dalla continuità sia distribuito in modo equo e proporzionato. Questo consente, ad esempio, di deviare parte di quel valore a favore di fornitori strategici per mantenerne la fiducia, anche se qualche creditore privilegiato ottiene un pagamento parziale – situazione prima non ammessa. Naturalmente, simili deviazioni devono essere adeguatamente giustificate dal piano e attestatore.

Gestione durante il concordato – Nel concordato preventivo (sia esso in continuità o liquidatorio) l’imprenditore rimane alla guida dell’impresa, ma sotto il controllo degli organi della procedura. Con la presentazione del ricorso, il tribunale nomina un Commissario giudiziale, che vigila sull’amministrazione e riferisce ai creditori e al giudice. In continuità diretta, l’impresa continua la sua attività quotidiana: per gli atti straordinari, il debitore deve però ottenere autorizzazione del tribunale (simile a quanto visto per la composizione negoziata). Il CCII consente esplicitamente la possibilità di sciogliersi o sospendere determinati contratti pendenti (previa autorizzazione del tribunale, art. 94) se ciò è funzionale alla ristrutturazione – ad esempio, rescindere un contratto di affitto oneroso; il contraente avrà un indennizzo come credito concorsuale. I dipendenti possono essere licenziati per motivi di esubero aziendale seguendo la procedura lavoristica ordinaria, in quanto l’attività prosegue ma si adegua il personale al piano industriale.

Approvazione e omologazione – Il concordato preventivo deve essere approvato dai creditori mediante votazione in adunanza o per classi. È richiesta la maggioranza dei crediti ammessi al voto (>50% in valore). Se i creditori sono ripartiti in classi, la regola generale è che la maggioranza si calcola sul totale crediti votanti, ma occorre anche il voto favorevole della maggioranza delle classi (salvo attivare, come detto, il meccanismo di cram-down). Nel concordato in continuità, la legge consente l’omologazione anche senza approvazione unanime delle classi, purché sia rispettato il trattamento minimo dei dissenzienti e almeno una classe abbia votato sì (ad esempio, una classe di chirografari accetta il piano, mentre una classe di privilegiati dissente, ma questi prendono comunque il valore di liquidazione: il tribunale può forzare l’omologa – siamo nel c.d. cram-down interclasse). Una volta approvato (o in caso di omologa forzata), il tribunale procede all’omologazione con decreto, dopo aver verificato la regolarità della procedura, la fattibilità del piano e l’assenza di frodi. Sul controllo di fattibilità, va ricordato il principio sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione: il giudice deve sindacare solo la fattibilità giuridica e l’assenza di palese irrealizzabilità economica, mentre la valutazione del rischio d’impresa spetta ai creditori. Questo principio di “non manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi” è oggi recepito anche dal CCII nel definire la fattibilità come requisito di ammissibilità.

Esempio: un’azienda manifatturiera propone concordato in continuità: intende proseguire la produzione, pagare i debiti privilegiati in 5 anni integralmente, pagare i chirografari al 30% in 5 anni. Il piano mostra che, restando attiva, l’azienda genera utili futuri e cede alcuni asset non strategici per fare cassa iniziale. I creditori votano e approvano. Il tribunale omologa, ritenendo il piano realistico (non manifestamente inattuabile) e vantaggioso rispetto alla liquidazione (i chirografari in fallimento avrebbero avuto solo il 10%). L’azienda esce dal concordato e continua la sua attività, vincolata a rispettare il piano di pagamenti concordato.

Concordato preventivo liquidatorio

Il concordato liquidatorio è quello in cui il piano prevede prevalentemente la liquidazione dei beni dell’impresa e la cessazione dell’attività aziendale. In pratica è molto simile, come risultato finale, a un fallimento con la differenza che: (i) la liquidazione è gestita dal debitore sotto controllo degli organi del concordato, secondo le modalità proposte nel piano (spesso con vendite unitariamente organizzate, o con l’individuazione di acquirenti per alcuni beni); (ii) il debitore può condizionare l’uso di alcuni asset – ad esempio vendendo l’azienda unificata invece di disgregarla; (iii) dopo l’omologazione, l’impresa viene liquidata ma sotto l’egida di un Commissario o Liquidatore nominato per l’esecuzione del piano. In sostanza, il concordato liquidatorio è una liquidazione concordata con i creditori, che accettano una certa percentuale e modalità di distribuzione, invece di subire un fallimento.

Requisiti stringenti – Come anticipato, il CCII ha volutamente reso meno appetibile il concordato liquidatorio, imponendo due paletti obbligatori per l’ammissibilità:

  1. Soddisfacimento minimo del 20% dei crediti chirografari. Ciò significa che la proposta deve assicurare ai creditori senza privilegio almeno il pagamento di un quinto dell’importo dei loro crediti (salvo che i creditori, in sede di voto, accettino anche meno, ma la soglia serve a presentare un’offerta dignitosa di base).
  2. Apporto di finanza esterna almeno pari al 10% dell’attivo. Questo “apporto a fondo perduto” deve provenire dall’imprenditore stesso e/o dai soci e non deve provenire dall’attivo già dell’impresa. In pratica, i proprietari devono mettere mano al portafoglio e conferire somme fresche (o far entrare un terzo che apporti risorse) pari ad almeno il 10% del valore dell’attivo risultante dall’ultimo bilancio. Ad esempio, se l’azienda ha attivo di 10 milioni, il piano liquidatorio deve includere almeno 1 milione di euro di nuova finanza messa dai soci/imprenditore, da destinare ai creditori. Questo requisito mira a far sì che i proprietari partecipino ai “sacrifici” e a scoraggiare l’uso del concordato liquidatorio solo per liberarsi dei debiti senza contributo personale.

Tali condizioni (20% + 10%) possono essere viste come un “ticket di ingresso” al concordato liquidatorio, giustificato dall’idea che solo situazioni con sufficiente prospettiva di realizzo per i creditori meritino l’ammissione a una procedura concordataria invece di finire in liquidazione giudiziale. Sono previste eccezioni? In generale no, salvo il caso particolare di offerta concorrente migliorativa di un terzo durante il concordato che supplisca a tali soglie. Ma nella regola, se il piano liquidatorio non promette almeno questi valori, il tribunale non ammette la proposta (dichiarando semmai il fallimento).

Concordato “misto” – Molti piani pratici combinano elementi di continuità e di liquidazione (es.: l’azienda continua a operare ma vende alcuni immobili non essenziali). La giurisprudenza (Cass. 734/2020 cit.) e ora il Codice stabiliscono che basta una porzione significativa di continuità perché l’intero concordato sia considerato in continuità e non soggetto ai paletti liquidatori. Non si fa un calcolo meramente quantitativo su attivo liquidato vs attivo in esercizio: conta la funzionalità della parte in continuità al risanamento complessivo. Se, ad esempio, un’azienda mantiene il core business in esercizio e liquida solo asset marginali, siamo comunque nel paradigma del concordato in continuità (c.d. concordato misto, attratto nel regime di continuità). Questa impostazione evita complicazioni nel valutare la prevalenza e consente di applicare in blocco o l’uno o l’altro regime. Ovviamente, se la “continuità” è solo simbolica o minimale e tutta la sostanza è liquidatoria, il tribunale potrebbe qualificare diversamente. Ma tendenzialmente la norma incentiva a strutturare come continuità ogni volta che vi sia anche una minima prosecuzione.

Procedura di voto e omologa – Nel concordato liquidatorio, la procedura di voto e omologa segue le regole generali: maggioranza semplice per crediti votanti; almeno 20% ai chirografari (ex lege); classi eventuali (di solito meno frequenti, ma possibili: ad es. distinzione fra chirografari fornitori e chirografari finanziari, se trattati diversamente). Non c’è la problematica del cram-down interclasse di solito, perché i privilegiati in un liquidatorio standard vengono pagati secondo ordine legale (eventuali rinunce di privilegio richiedono comunque adesione). Anche qui il tribunale, prima di omologare, verifica la convenienza rispetto all’alternativa fallimentare: spesso, nei concordati liquidatori, l’attestazione del professionista deve evidenziare quanto valore aggiunto ottengono i creditori grazie alla procedura concordataria (es: risparmi di costi, vendite unitarie che rendono di più, ecc.). Se il tribunale rilevasse che il piano dà ai creditori meno di un fallimento, deve rigettare l’omologa.

Effetti – Con l’omologazione del concordato (sia esso in continuità o liquidatorio), il debitore è esdebitato secondo i termini del piano: i creditori chirografari hanno diritto solo alla percentuale concordataria e il residuo debito è cancellato (salvo che non si esegua il piano, nel qual caso si può aprire la liquidazione giudiziale). Nel concordato liquidatorio, spesso viene nominato un Liquidatore giudiziale per compiere le operazioni di liquidazione (al posto del debitore). Gli atti compiuti in esecuzione del piano omologato sono protetti, e i creditori non possono agire individualmente: devono attendere la distribuzione prevista.

Confronto con fallimento – Per i creditori, accettare un concordato liquidatorio significa di solito ricevere un pagamento parziale più alto o più rapido di quanto la liquidazione giudiziale offrirebbe. Dal lato dell’imprenditore, il concordato liquidatorio può offrire una gestione più controllata della liquidazione, magari preservando la reputazione (non viene dichiarato fallito, con tutte le conseguenze civili di interdizioni, etc., ma chiude l’attività in concordato) e gestendo eventuali liquidazioni di beni di famiglia in modo ordinato. Tuttavia, i severi requisiti (20%+10%) rendono questa via praticabile solo se c’è un minimo di sostanza recuperabile e disponibilità dei soci ad apportare risorse.

Concordato con riserva (domanda “in bianco”)

Un istituto procedurale importante da citare, comune sia al concordato in continuità che a quello liquidatorio, è la possibilità di presentare un ricorso “con riserva”, detto anche concordato in bianco o prenotativo (art. 40 CCII, già art. 161, co. 6 L.Fall.). L’imprenditore che ha urgente necessità di protezione dai creditori, ma non ha ancora pronto un piano dettagliato, può depositare in tribunale una domanda di concordato contenente la sola richiesta di concordato e la riserva di presentare il piano e la proposta entro un certo termine. Il tribunale, se ricorrono i presupposti (crisi attuale, ecc.), dichiara aperta la procedura di concordato preventivo con riserva e assegna un termine (da 60 a 120 giorni, prorogabile fino a 180 in totale) per depositare il piano, la proposta e l’attestazione. Nel frattempo, dalla pubblicazione del ricorso con riserva:

  • Scattano automaticamente le misure protettive a favore del debitore (stay delle azioni esecutive e sospensione delle istanze di fallimento) analoghe a quelle già descritte.
  • Il tribunale nomina un commissario giudiziale provvisorio e può impartire prescrizioni al debitore sulla gestione provvisoria.
  • Il debitore può chiedere autorizzazione urgente a compiere atti di gestione straordinaria (ad esempio contrarre finanziamenti prededucibili per continuare l’attività durante la moratoria).

La domanda in bianco serve a “guadagnare tempo” sotto protezione, per completare le trattative e la preparazione del piano. È spesso utilizzata quando l’imprenditore sta negoziando un accordo con un investitore o con le banche e teme azioni esecutive nel frattempo. Va però gestita con correttezza: il debitore che usa questo strumento è soggetto a vigilanza e deve poi depositare la proposta nei termini, pena l’improcedibilità e possibile dichiarazione di fallimento. La Cassazione ha più volte raccomandato ai giudici di evitare abusi nell’estensione dei termini e di verificare la reale prospettiva di un piano, per evitare concordati in bianco dilatori e strumentali. In pratica, comunque, il prenotativo è diventato un elemento fisiologico in molte procedure, spesso utilizzato dopo una fase di composizione negoziata non risolutiva (si passa dalla trattativa riservata alla formalizzazione in tribunale, evitando scoperture tra le due fasi).

Concordato minore (cenni)

Vale la pena menzionare brevemente che il CCII prevede una procedura di concordato specifica per i debitori minori (imprese sotto soglia fallimentare, piccoli imprenditori, professionisti e consumatori), chiamata concordato minore. Essa ha caratteristiche simili al concordato preventivo ma semplificate e rientra nelle procedure di sovraindebitamento (ex L. 3/2012). Le imprese minori, infatti, sono escluse dal concordato preventivo ordinario e dagli accordi di ristrutturazione, e possono invece accedere solo al concordato minore e alla liquidazione controllata. Il concordato minore non richiede percentuali minime ai chirografari e ammette soluzioni molto flessibili, includendo anche la liquidazione del patrimonio con esdebitazione finale integrale del debitore onesto. Non approfondiamo oltre questo istituto poiché esula dallo scopo centrato sulle aziende medio-grandi, ma è importante sapere che l’ordinamento offre uno strumento parallelo per i soggetti di piccole dimensioni, con logiche analoghe di proposta ai creditori, voto ed omologa da parte del tribunale.

Segue: ora spostiamo l’attenzione dagli strumenti “concordatari” (dove interviene la totalità dei creditori con voto) agli accordi di ristrutturazione dei debiti, che rappresentano un’alternativa intermedia: sempre procedure giudiziali, ma basate su accordi con una parte soltanto dei creditori (una maggioranza qualificata), con effetti che si estendono in modo limitato ai dissenzienti.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono stati introdotti originariamente nel 2005 (art. 182-bis L.Fall.) e ora disciplinati agli artt. 57 e ss. CCII. Si tratta di accordi negoziali tra l’imprenditore e una parte significativa dei suoi creditori, che vengono poi omologati dal tribunale per acquistare efficacia erga omnes limitatamente ai creditori aderenti (con qualche estensione possibile, come vedremo). In altre parole, l’imprenditore concorda privatamente con una maggioranza di creditori un certo piano di ristrutturazione del debito – ad esempio, pagamento parziale e dilazionato di alcuni crediti – dopodiché il tribunale, verificati alcuni requisiti, omologa l’accordo rendendolo “sicuro” giuridicamente (non contestabile individualmente dai creditori aderenti né soggetto a revocatoria), ma senza coinvolgere attivamente in esso gli altri creditori estranei. È uno strumento meno invasivo del concordato, indicato quando la crisi può essere risolta trovando l’intesa con sufficienti creditori chiave senza dover chiamare a raccolta tutti.

Accordo ordinario ex art. 57 CCII – Il modello base prevede che l’accordo sia sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Questa soglia è identica a quella del previgente art. 182-bis e indica una maggioranza qualificata. Non è necessario che tutti i creditori aderiscano: quelli estranei all’accordo devono però essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se i loro crediti sono già scaduti) o dalla scadenza naturale (se successiva). In pratica, i creditori non firmatari non subiscono stralci o dilazioni forzate: devono ricevere il 100% a breve termine. Questa è una tutela fondamentale: l’accordo di ristrutturazione, a differenza del concordato, non è vincolante per i non aderenti, i quali pertanto o vengono soddisfatti normalmente, o comunque non perdono i loro diritti (possono eventualmente poi agire esecutivamente, salvo la moratoria massima di 120 giorni prevista).

L’accordo deve essere accompagnato da una relazione giurata di un esperto indipendente (attestatore) che dichiari che esso è idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini previsti e la sostenibilità del debito ristrutturato verso gli aderenti. Il tribunale, ricevuta la domanda di omologazione dell’accordo (corredata dall’accordo firmato e dalla relazione), svolge un controllo formale e sostanziale (assenza di pregiudizio per gli estranei, regolarità dell’informazione ai creditori, ecc.) e, se tutto è in regola e non vi sono opposizioni fondate di eventuali creditori estranei, omologa l’accordo con decreto. Da quel momento l’accordo produce effetti vincolanti tra le parti e i creditori aderenti non possono sottrarsi a quanto pattuito.

Vantaggi dell’ARD – Rispetto al concordato:

  • Non coinvolge pubblicamente tutti i creditori, ma solo quelli con cui si trova l’intesa: c’è maggiore riservatezza e minor impatto reputazionale.
  • La procedura è più snella: niente voto dei creditori (basta raccogliere le firme di almeno il 60%), tempi di omologa solitamente più rapidi e meno formalità.
  • I costi sono inferiori: non c’è commissario né comitato creditori, solo l’attestatore e l’intervento del tribunale in fase di omologazione.
  • Ampia autonomia negoziale: l’accordo è un contratto, quindi le parti possono regolare quali crediti stralciare, quali pagare, ecc., in modo molto flessibile (purché i non aderenti siano tutelati).
  • L’accordo omologato offre protezione legale simile a un concordato su vari fronti: esenzione da revocatorie per gli atti eseguiti in sua attuazione (art. 59 CCII), inopponibilità di ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti la domanda, sospensione di azioni esecutive una volta chiesta l’omologa (si possono chiedere misure protettive analoghe al concordato per proteggere l’accordo in corso di omologazione).

Limiti – Il rovescio della medaglia:

  • I creditori estranei rimangono liberi: se ve ne sono di importanti, occorre assicurare che saranno pagati (es. se il 40% non aderente include soggetti rilevanti, l’imprenditore deve avere risorse per soddisfarli in 120 giorni – cosa spesso non scontata). In mancanza, l’accordo crolla perché quei creditori potrebbero agire forzatamente.
  • Raggiungere il 60% di adesioni può non essere facile: serve negoziare individualmente con molti creditori e convincerli della convenienza. Non c’è la forzatura del voto a maggioranza che vincola la minoranza, se non in ipotesi particolari che vedremo (accordo “esteso”).
  • Non adatto a situazioni con tanti piccoli creditori diffusi, perché non pratico raccogliere tutte le firme. Funziona meglio con creditoriate concentrata (ad es. poche banche che detengono gran parte del debito).
  • L’Erario e gli enti previdenziali spesso hanno politiche rigide di adesione: se ci sono grossi debiti fiscali, potrebbe essere necessario includere una transazione fiscale ad hoc. Fortunatamente, la legge lo consente (art. 63 CCII, v. oltre), ma la mancata adesione del Fisco se decisivo può far saltare l’intero accordo (anche se oggi è possibile il cram-down fiscale in omologa: v. infra).
  • Se l’accordo non viene eseguito, i creditori tornano in possesso dei loro diritti per intero (ma possono eventualmente chiedere la risoluzione dell’accordo e conseguente fallimento). Non c’è una esdebitazione automatica come nel concordato.

Accordi “agevolati” al 30% – Il CCII ha introdotto (art. 60) la possibilità di un accordo di ristrutturazione agevolato, riducendo la soglia di adesione al 30% dei crediti. Ciò però è possibile solo se l’imprenditore rinuncia alla moratoria di 120 giorni per i creditori estranei, impegnandosi a pagare questi ultimi alle loro scadenze originarie (cioè senza alcun differimento). In pratica: se il debitore è in grado di continuare a pagare regolarmente i creditori che non vuole o non riesce a coinvolgere nell’accordo, allora la legge gli consente di omologare un accordo anche con una minoranza di creditori principali (30%). È un meccanismo pensato per facilitare la ristrutturazione in casi in cui pochi grandi creditori (es. banche) sono disponibili a ristrutturare, mentre i piccoli creditori verranno comunque pagati normalmente. Rinunciando alla “protezione” della dilazione per estranei, il debitore beneficia di una soglia di consenso più bassa. Questo strumento è detto anche accordo di ristrutturazione ad adesione parziale o “agevolato”. Va notato che per omologarlo serve sempre l’attestazione di un professionista sulla sostenibilità e sulla capacità di pagare puntualmente gli estranei.

Accordi ad efficacia estesa – Un ulteriore potenziamento è dato dagli accordi ad efficacia estesa, oggi disciplinati dall’art. 61 CCII (che ricalca il vecchio art. 182-septies). Si tratta della facoltà di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti che appartengono a una stessa categoria omogenea, al ricorrere di stringenti condizioni. In pratica, questo è un cram-down settoriale. L’esempio tipico riguarda le banche e intermediari finanziari: se il debitore raggiunge un accordo con, poniamo, il 75% delle banche, può chiedere che l’accordo sia reso vincolante anche sul restante 25% delle banche dissenzienti. Le condizioni previste sono:

  • che i creditori della categoria siano stati tutti informati e messi in condizione di partecipare alle trattative in buona fede;
  • che l’accordo abbia carattere non liquidatorio, ossia preveda la continuità aziendale (diretta o indiretta);
  • che i crediti aderenti rappresentino almeno 75% dei crediti della categoria;
  • che i creditori non aderenti della categoria ricevano, in base all’accordo, un trattamento non inferiore alla liquidazione giudiziale (best interest test settoriale);
  • che l’accordo sia notificato singolarmente ai non aderenti, i quali possano fare opposizione.

Se tutte queste condizioni sono rispettate, il tribunale può omologare l’accordo estendendone gli effetti ai non aderenti di quella categoria (nel nostro esempio, tutte le banche saranno vincolate alla stessa ristrutturazione, anche quelle che non avevano firmato). Questo strumento supera il principio generale di relatività del contratto (difatti la norma deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c.) per ragioni di utilità concorsuale. In origine, era pensato per categorie finanziarie (banche) o di fornitori di beni strategici. Il CCII lo rende applicabile in ogni caso di categoria omogenea (non necessariamente banche, ma tipicamente quello è il caso più comune). Rimane escluso comunque che si possano imporre prestazioni nuove o finanziamenti forzosi ai non aderenti: l’estensione vincola questi creditori a subire la dilazione o falcidia prevista, ma non può obbligarli a continuare rapporti o dare credito aggiuntivo senza consenso. Dunque, per esempio, si può imporre a una banca dissenziente di accettare il rimborso del 70% in 5 anni come le altre banche, ma non di erogare nuova finanza o mantenere aperti affidamenti.

Transazione fiscale e contributiva negli accordi (art. 63 CCII) – Un punto spesso critico negli accordi di ristrutturazione erano i debiti fiscali e previdenziali. In passato, l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali potevano aderire all’accordo solo secondo la disciplina della “transazione fiscale” (art. 182-ter L.Fall.), e se non aderivano il piano spesso naufragava. Il CCII oggi prevede espressamente che, nelle trattative per l’accordo di ristrutturazione, il debitore può proporre il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e contributi. L’accordo quindi può includere il Fisco e l’INPS come parti, con stralcio di imposte, sanzioni, interessi, etc., analogamente a quanto avviene nel concordato. E se tali enti non aderiscono, la legge consente comunque l’omologazione (cram-down fiscale) a certe condizioni:

  • che il voto (l’adesione) di questi creditori pubblici fosse determinante per raggiungere la maggioranza del 60% (cioè, senza di loro non si arriva al 60%);
  • e che un professionista indipendente attesti che il trattamento offerto a Fisco/enti è più conveniente di quello che otterrebbero in un’eventuale liquidazione giudiziale (in sostanza, che stanno facendo meglio del fallimento).

Se c’è queste due condizioni, il tribunale può omologare l’accordo anche senza il consenso dell’Erario o degli enti previdenziali, come se avessero aderito (si parla di cram-down fiscale e contributivo). Questa innovazione (introdotta già nel 2020 e ora nel CCII) è molto importante per evitare che un diniego “irragionevole” del Fisco mandi all’aria una ristrutturazione che sarebbe comunque migliorativa per il Fisco stesso rispetto al fallimento. Si noti che, per evitare inerzie, le norme impongono all’Agenzia delle Entrate di dare risposta alle proposte di transazione fiscale entro 90 giorni, pena assumere il silenzio come rifiuto (su cui poi il tribunale può fare cram-down). Ciò ha velocizzato le decisioni pubbliche.

In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento di grande flessibilità e adatto a crisi dove è possibile costruire il consenso della maggioranza qualificata dei creditori, specie finanziari, lasciando fuori i restanti. È spesso utilizzato nelle ristrutturazioni bancarie di aziende medio-grandi (si pensi a società con debiti principalmente verso banche: un accordo 182-bis può ridurre e riscadenzare l’esposizione con l’adesione dell’80% degli istituti, costringendo il 20% rimanente a stare alla finestra purché pagati a scadenza). Il tutto evitando la lunghezza di un concordato e le rigidità del voto interclassi.

Esempio: Società Alfa ha 5 banche esposte per l’80% del suo debito totale, e vari fornitori per il restante 20%. Raggiunge un accordo con le 5 banche: queste accettano di ridurre del 30% i loro crediti e di riscadenzare il restante 70% su 5 anni, in cambio di un piano industriale credibile e garanzie aggiuntive. I fornitori verranno pagati integralmente, ma con un ritardo di 60 giorni rispetto alle scadenze (nei limiti consentiti). Si deposita l’accordo in tribunale con firma delle 5 banche (che rappresentano l’80% dei crediti > 60%). Un esperto attesta che i fornitori saranno pagati regolarmente e che l’accordo è sostenibile. Il tribunale omologa. L’accordo diventa vincolante: le banche perdono il 30% e attendono i pagamenti dilazionati per la quota restante; i fornitori vengono pagati man mano entro 60 giorni dal dovuto (come promesso). L’azienda evita il fallimento e non ha dovuto coinvolgere formalmente tutti i creditori in un concordato, ma solo negoziare con i principali.

Piano attestato di risanamento (ex art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento di soluzione della crisi totalmente stragiudiziale, già noto sotto la legge fallimentare (art. 67, co. 3 lett. d) L.F.) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII. Esso consiste in un piano di risanamento predisposto dall’imprenditore (in stato di crisi o insolvenza reversibile) e rivolto ai propri creditori, volto a riequilibrare la situazione economico-patrimoniale dell’impresa, sul quale un professionista indipendente appone un’attestazione di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano medesimo. A differenza di concordati e accordi, non è richiesta né l’adesione di una percentuale minima di creditori né un’omologazione da parte del tribunale: il piano attestato è un accordo di natura privatistica, che può anche consistere in una pluralità di atti unilaterali e bilaterali tra l’impresa e i creditori coinvolti, il tutto tenuto insieme dalla relazione di attestazione che ne certifica la coerenza e ragionevole attuabilità.

Scopo – Lo scopo del piano attestato è duplice:

  1. Consentire all’imprenditore di eseguire un piano di ristrutturazione senza aprire alcuna procedura concorsuale, mantenendo la gestione ordinaria e straordinaria dell’azienda in piena autonomia.
  2. Garantire alcune tutele legali ex post agli atti compiuti in esecuzione del piano, qualora poi l’impresa non riuscisse comunque a evitare il fallimento. In particolare, la legge prevede che gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione di un piano attestato di risanamento non sono soggetti all’azione revocatoria concorsuale (né fallimentare né ordinaria), salvo dolo o colpa grave (vedi sotto), e che non configurano reati di bancarotta preferenziale o semplice. Si tratta di un esonero da revocatoria e da responsabilità penale molto rilevante: i creditori che abbiano ricevuto pagamenti o garanzie secondo un piano attestato non dovranno restituirli al curatore in caso di successivo fallimento, e gli amministratori non saranno punibili per averli effettuati in presenza di insolvenza, a condizione naturalmente che il piano fosse genuinamente orientato al risanamento.

In breve, il piano attestato di risanamento è la formalizzazione di un workout privatistico messo “al riparo” da possibili conseguenze negative future, per incentivare sia il debitore sia i creditori a perseguirlo senza timore (i creditori sanno che se partecipano al piano, i pagamenti ricevuti non verranno revocati successivamente; il debitore sa che non sarà incriminato per aver pagato certi creditori in prelazione ad altri, se ciò avviene nel quadro di quel piano).

Contenuto e requisiti del piano – L’art. 56 CCII elenca alcuni contenuti obbligatori del piano:

  • Deve indicare la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa e le cause della crisi;
  • Deve dettagliare le strategie di intervento e le azioni previste per il risanamento, con i relativi tempi di attuazione;
  • Deve fornire l’elenco dei creditori coinvolti e l’ammontare dei crediti da ristrutturare, lo stato delle trattative in corso con essi, nonché l’elenco dei creditori estranei al piano (quelli che verranno invece pagati regolarmente alle scadenze) con indicazione delle risorse necessarie a onorarli;
  • Deve segnalare eventuali apporti di nuova finanza a sostegno del piano (es. aumento di capitale dai soci, nuovo finanziamento bancario);
  • Deve includere un piano industriale ed economico-finanziario pluriennale, con i dati previsionali e i risultati attesi a risanamento conseguito;
  • Novità CCII: il piano deve prevedere specifici “strumenti correttivi” da adottare nel caso in cui gli scostamenti tra gli obiettivi previsti e l’andamento reale mettano in pericolo il risanamento. Questo implica che nel piano devono essere predefinite delle misure di aggiustamento (piano B) se certi indicatori di performance non vengono rispettati in corso d’opera. Ciò per evitare che, di fronte a sopravvenienze negative, si continui a eseguire un piano ormai non più valido, con rischio di aggravare il dissesto. Se nemmeno i meccanismi correttivi bastano, l’imprenditore dovrà predisporre un nuovo piano, ma in tal caso la protezione del piano originario potrebbe cessare.

Questi requisiti codificano le best practice sviluppatesi negli anni per i piani di risanamento, assicurando che il piano sia completo, credibile e monitorabile.

Ruolo dell’attestatore – Il cuore del piano attestato è la relazione del professionista indipendente (attestatore) allegata. Questi deve essere un soggetto dotato dei requisiti di indipendenza analoghi a quelli richiesti nei concordati (es. commercialista o revisore senza conflitti d’interesse, iscritto all’albo dei gestori crisi se del caso). Nella relazione, il professionista attesta:

  • che i dati aziendali sono veritieri e completi;
  • che il piano è fattibile, ossia ragionevolmente idoneo a portare al risanamento dell’impresa e a garantire l’equilibrio finanziario;
  • che esiste un ragionevole equilibrio tra la ristrutturazione proposta ai creditori aderenti e le risorse destinate a pagare i creditori estranei nei modi previsti. In pratica, certifica che i creditori estranei non saranno pregiudicati (devono essere pagati regolarmente) e che i creditori aderenti sono trattati equamente e in modo sostenibile per l’impresa.

La qualità e l’indipendenza dell’attestatore sono cruciali: l’efficacia del piano attestato – e la fiducia dei creditori nel seguirlo – dipende dalla sua attendibilità. Nota: a differenza di concordato e accordi, la legge non richiede il deposito del piano in tribunale. Tuttavia, per poter opporre a terzi gli effetti protettivi, occorre che il piano e la relazione abbiano data certa anteriore all’eventuale successivo fallimento. In genere si provvede in pratica tramite la pubblicazione facoltativa del piano nel Registro delle Imprese (art. 56, co. 4 CCII) o mediante atto notarile/PEC con marca temporale. La pubblicazione nel registro imprese, pur non obbligatoria, è raccomandata perché estende anche i benefici fiscali (come l’esenzione tassazione sopravvenienze) previsti per questi piani.

Esecuzione e protezioni legali – Una volta definito il piano e ottenute le eventuali adesioni dei creditori (ricordiamo: non c’è soglia minima, possono anche aderire solo alcuni, l’importante è che il piano funzioni lo stesso), l’imprenditore dà attuazione alle azioni previste. Se tutto va bene, l’impresa ritorna in bonis. Se invece il piano fallisce e l’impresa finisce comunque in liquidazione giudiziale (fallimento), che ne è delle protezioni? Il CCII (art. 166-167) stabilisce che:

  • Gli atti, pagamenti e garanzie eseguiti in coerenza al piano attestato depositato con data certa non sono soggetti a revocatoria. Ciò vale sia per la revocatoria fallimentare (atti a titolo oneroso compiuti in periodo sospetto, pagamenti preferenziali, ecc.), sia persino per la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. (quella che i creditori potrebbero esercitare entro 5 anni per atti in frode). Il Codice lo esplicita: il piano attestato nuovo esonera da entrambe, ampliando la protezione rispetto al passato (prima si discuteva se coprisse anche la revocatoria ordinaria). Limiti: l’esenzione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o del debitore, conosciuti dal creditore controparte. Cioè, se l’attestatore era in conflitto o ha attestato il falso grossolanamente, o se il debitore ha ingannato, e il terzo creditore lo sapeva, allora quell’atto non è protetto.
  • Gli atti esecutivi del piano non configurano reati di bancarotta preferenziale o semplice. Ad esempio, se col piano l’imprenditore ha pagato anticipatamente un fornitore strategico (preferendolo ad altri), ciò non costituirà bancarotta preferenziale, a condizione che fosse parte del piano di risanamento attestato. Analogamente, la prosecuzione dell’attività pur in crisi – in base al piano – non sarà bancarotta semplice (perché c’era un piano ragionevole).
  • Attenzione però: se il piano diviene inattuabile e l’imprenditore, malgrado le misure correttive, non fa altro piano e sfocia in fallimento, la protezione dalla revocatoria cessa di operare per gli atti successivi a quando il piano era evidentemente saltato. Inoltre, il periodo sospetto per la revocatoria in caso di consecutio procedure va calcolato tenendo conto anche della data di deposito del piano (principio di consecuzione). In pratica, se il debitore non si attiene al piano e questo fallisce platealmente, perdendo la sua funzione, i creditori potranno attaccare gli atti fatti fuori piano come se non ci fosse protezione.

Vantaggi – Il piano attestato offre:

  • Massima discrezionalità: non si passa dal tribunale, quindi l’imprenditore e i creditori possono definire qualunque struttura di risanamento concordemente ritenuta valida (dalla rinegoziazione di mutui, alla conversione di debiti in capitale, all’ingresso di soci terzi, ecc.), senza doversi preoccupare di classi, maggioranze e formalità concorsuali.
  • Nessuna pubblicità né stigma concorsuale: l’azienda non risulta “in procedura” (salvo la eventuale pubblicazione che però è un deposito di documenti, non un’attestazione di insolvenza). Questo può aiutare a mantenere rapporti commerciali e fiducia di mercato meglio di un concordato pubblico.
  • Rapidità: può essere implementato molto più rapidamente di un concordato (dipende solo dal tempo di negoziare con i creditori principali e predisporre il piano).
  • Protezione per chi aderisce: i creditori che partecipano sanno di poter ricevere pagamenti e garanzie subito, senza il timore di dover restituire in caso di fallimento successivo. Questo li incentiva ad accettare il piano (ad esempio, una banca può concedere nuova finanza prededucibile sapendo di essere protetta).
  • Protezione per l’imprenditore: evitare future azioni di responsabilità o penali per aver tentato di risanare (anzi, dimostra di averci provato diligentemente). Inoltre, se il piano ha successo, l’impresa è salva senza aver dovuto passare per fallimento o procedure che comunque lasciano strascichi (es. inibizioni, difficoltà con fornitori).

Limiti – Il piano attestato è adeguato solo in crisi non troppo gravi o comunque con pochi creditori critici. Richiede un substrato di fiducia e collaborazione elevato. Suo limite principale:

  • Non vincola i dissenzienti: qualsiasi creditore che non voglia attenersi al piano può agire per conto proprio (pignorare, chiedere fallimento). Dunque il piano attestato funziona se i creditori rilevanti sono convinti. Se resta fuori anche un solo soggetto con posizione rilevante, può vanificare tutto. L’imprenditore può mitigare pagando anticipatamente quel dissenziente, ma occorre liquidità.
  • Nessuna moratoria legale: diversamente dalla composizione negoziata o dal concordato con riserva, qui non c’è possibilità di uno stay automatico. Se un creditore vuole attaccare durante la predisposizione del piano, può farlo (a meno di ottenere un accordo ad hoc con lui). Quindi il timing è cruciale: spesso si ricorre al piano attestato in situazioni ancora gestibili, non quando i creditori sono già allarme.
  • Rischio di abuso/fallimento procrastinato: il piano attestato purtroppo fu in passato a volte usato in modo strumentale per guadagnare tempo senza vera prospettiva di successo, aggravando poi il dissesto. Oggi, con i correttivi (obbligo di meccanismi correttivi e dovere di fare nuovo piano se il primo deraglia), si cerca di evitare che l’imprenditore resti incatenato a un piano ormai non fattibile. Ma c’è comunque il rischio che senza controllo giudiziario alcuni piani siano eccessivamente ottimistici. In caso di fallimento successivo, il giudice potrà scrutinare ex post il piano e l’attestazione: se emergesse che fu stilato con dolo o colpa grave (ad es. occultando dati), gli atti potrebbero non essere protetti e l’attestatore potrebbe risponderne.
  • Coinvolgimento limitato di creditori pubblici: il Fisco e gli enti pubblici, per aderire a un piano attestato, hanno margini ristretti (possono sì rateizzare via accordi ordinari o attraverso istituti come la “definizione agevolata” se prevista da norme fiscali generali, ma non possono autonomamente falcidiare imposte senza un accordo ex 182-ter che tuttavia richiede procedure concorsuali o accordi omologati). Dunque, grossi debiti fiscali possono ostacolare un piano attestato, costringendo l’impresa a passare a un accordo ex art. 57 o a un concordato dove la transazione fiscale è formalizzata e crammable. Tuttavia, come visto, dal 2024 c’è la possibilità nella fase di composizione negoziata di negoziare anche con il Fisco con tutela: un eventuale accordo fiscale raggiunto durante la composizione negoziata potrebbe poi essere integrato in un piano attestato successivo.

Linee guida professionali – La prassi dei piani attestati è accompagnata da linee guida elaborate dal CNDCEC (Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti) circa i “Principi di attestazione dei piani di risanamento”. Tali principi delineano il corretto approccio del professionista attestatore: valutazione indipendente, analisi approfondita del piano industriale, verifica degli assunti, stress test sulle ipotesi, ecc. Anche molte massime notarili riguardano aspetti dei piani attestati, come la necessità di dare data certa al piano e agli atti esecutivi o la possibilità di iscrivere sui registri societari eventuali modifiche societarie previste dal piano (es. aumento di capitale con compensazione di crediti) senza incorrere in censure di legge (come violazione norme sulle perdite). In generale, i professionisti coinvolti (commercialisti, avvocati, notai) hanno sviluppato best practice per assicurare che il piano attestato sia redatto con standard elevati e trasparenza verso i creditori.

Conclusione – Il piano attestato è, in definitiva, un’ottima soluzione in casi di crisi incipiente o moderata, con pochi creditori rilevanti cooperativi, e quando si vuole evitare formalità concorsuali. Permette di salvare l’azienda “in silenzio”, spesso preservandone la reputazione. È però inadatto in crisi conclamate con contenziosi aperti o tanti creditori conflittuali – lì servono gli strumenti concorsuali veri e propri.

Segue: una volta illustrate le tipologie di strumenti di risanamento (negoziale puro, semplificato, concordato, accordo, piano attestato), dedichiamo la sezione successiva ai profili fiscali e tributari, trasversali a tutti questi strumenti, che rivestono notevole importanza pratica.

Profili fiscali e tributari nei processi di risanamento

La componente fiscale è spesso determinante nei piani di risanamento, sia perché l’Erario è esso stesso un creditore rilevante (debiti per imposte e contributi), sia per gli effetti fiscali che le operazioni di ristrutturazione producono (ad esempio, le riduzioni di debito in capo al debitore generano normalmente sopravvenienze attive tassabili). Il legislatore ha previsto varie disposizioni volte a facilitare i risanamenti dal punto di vista tributario, per evitare che il “fisco” diventi un ostacolo o vanifichi gli sforzi di risanamento.

Neutralità fiscale delle riduzioni dei debiti (sopravvenienze attive)

In assenza di regole ad hoc, se un’azienda ottiene uno sconto sui propri debiti (ad es. una banca le abbuona parte del finanziamento, o i fornitori rinunciano a una quota del credito), si genererebbe un utile straordinario a conto economico, la cosiddetta sopravvenienza attiva, che sarebbe soggetta a tassazione IRES/IRAP. Ciò evidentemente sarebbe paradossale in un contesto di crisi: l’azienda risanata si troverebbe a pagare tasse su redditi “figurativi” derivanti da debiti cancellati. Per questo, già da tempo l’art. 88, comma 4-ter del TUIR (DPR 917/1986) stabilisce che non sono imponibili le sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti dell’impresa effettuata in esecuzione di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione omologato o piano attestato di risanamento. Tale norma (“bonus da falcidia”) si applica anche alle remissioni di debiti soggette a procedure di sovraindebitamento. L’effetto è che, se ad esempio in un concordato un creditore rinuncia a 50 su 100 di credito, quei 50 non concorrono a formare il reddito tassabile dell’impresa debitrice. Attenzione: la norma prevede che prima di beneficiare della detassazione, l’impresa debba “consumare” eventuali perdite pregresse e interessi indeducibili, in modo da evitare doppi benefici (in pratica, l’esenzione si applica solo alla parte di stralcio che eccede le perdite fiscali riportate). Ciò è coerente con la logica di usare prima gli scudi fiscali interni, poi concedere esenzione sull’eccedenza.

Analogamente, dal lato dei creditori, per evitare penalizzazioni:

  • l’art. 101, comma 5 TUIR consente ai creditori di dedurre integralmente e subito le perdite su crediti derivanti da procedure concorsuali o accordi omologati. Quindi se un fornitore ha un credito di 100 e ne incassa 30 in un concordato, i 70 di perdita diventano deducibili dal suo reddito nell’esercizio in cui è omologato il concordato (mentre in mancanza di procedura dovrebbe attendere l’esito incerto dell’infruttuosità).
  • Sempre per i creditori, in ambito IVA: l’art. 26, comma 3-bis DPR 633/1972 consente di emettere nota di variazione IVA (a recupero dell’IVA su crediti non riscossi) già all’omologazione di un concordato preventivo o omologa di accordo, o in caso di piano attestato pubblicato. Prima, per recuperare l’IVA su un credito non pagato si doveva attendere la chiusura del fallimento (molti anni). Ora, se ad esempio un creditore vanta 100+IVA di fattura e nel concordato prende il 30%, può emettere nota di accredito per il 70% d’IVA già una volta omologato il concordato, recuperando quell’IVA a credito nello stesso anno. Questo è un incentivo enorme soprattutto per chi ha fatturato con IVA e non è stato pagato.

Tali agevolazioni fiscali tradizionalmente valevano per concordati, accordi omologati e piani attestati (oltre che procedura fallimentare stessa). Il CCII ha esteso queste stesse agevolazioni anche agli esiti positivi della composizione negoziata, come già accennato, purché il relativo contratto o accordo sia pubblicato nel registro imprese. L’art. 25-bis, co. 5 CCII richiama espressamente le norme sopra citate (art. 88 TUIR, art. 101 TUIR, art. 26 DPR IVA) applicandole ai contratti e accordi della composizione negoziata. Ciò significa che anche senza passare dal tribunale, se l’imprenditore conclude con successo la composizione negoziata e formalizza un accordo stragiudiziale attestato dall’esperto, ottiene:

  • Debitore: detassazione delle sopravvenienze attive da stralcio (con lo stesso meccanismo di utilizzo perdite).
  • Creditori aderenti: deducibilità immediata delle perdite e facoltà di emettere la nota di variazione IVA immediata.
    Naturalmente, tale beneficio scatta solo se l’accordo è pubblicato, ovvero reso “opponibile” e certo come data. Questo per evitare accordi occultati su cui poi magari un creditore potrebbe voler fare il furbo con l’IVA.

In definitiva, il sistema fiscale è stato modellato per non ostacolare i risanamenti: le remissioni di debito non generano carichi fiscali sul risanando, e i creditori hanno il sollievo di recuperare i loro effetti fiscali. Ciò facilita anche la predisposizione dei piani, perché un piano può basarsi su importi netti (senza dover prevedere soldi per pagare imposte su stralci) e i creditori, sapendo di dedurre la perdita e recuperare IVA, possono accettare percentuali più basse.

Transazione fiscale e contributiva

Il termine transazione fiscale indica l’accordo con l’Amministrazione finanziaria per il trattamento dei debiti tributari (e contributivi) all’interno di un piano di risanamento. Storicamente, tali debiti (specie se privilegiati) erano intoccabili, ma l’evoluzione normativa ha aperto alla possibilità di falcidiarli/rateizzarli con accordo.

Nei concordati preventivi: l’art. 88 CCII prevede che la proposta di concordato possa contemplare il pagamento parziale o dilazionato di tributi e contributi, purché non inferiori a quanto otterrebbero in caso di liquidazione (questo vincolo deriva dal fatto che i crediti erariali e previdenziali privilegiati, in liquidazione, sarebbero pagati per intero fino a capienza del loro grado su attivo; quindi in concordato se si vuol ridurli occorre dimostrare che comunque la parte non pagata è quella che rimarrebbe insoddisfatta nel fallimento). L’adesione dell’ente è espressa con voto nella classe dei crediti erariali (che per legge deve essere formata se vi sono debiti fiscali), o nella classe contributi per l’INPS, ecc.. Se Agenzia Entrate e INPS votano contro, il CCII consente al tribunale di omologare lo stesso (cram-down fiscale in concordato) a condizione che:

  • il loro voto contrario sia determinante per la mancata approvazione (cioè se avessero votato sì ci sarebbe la maggioranza, mentre col loro no manca);
  • la proposta nei loro confronti li soddisfi meglio della liquidazione (attestato da un professionista).

Questo è analogo a quanto abbiamo visto per gli accordi. La differenza è che nel concordato c’è proprio una classe dedicata e un voto che può essere sovrastato dal voto favorevole di altre classi e dall’intervento del giudice. Il CCII ha quindi superato quello che un tempo era un potere di veto assoluto del Fisco. Ovviamente, se la proposta fiscale è irragionevole (dà meno che il fallimento o è inferiore ai limiti di legge per falcidiare IVA – oggi possibile in concordato – o contributi – anche possibili in parte), il tribunale non la omologherà.

Negli accordi di ristrutturazione (art. 63 CCII): come già spiegato, il debitore può includere nel perimetro dell’accordo anche i debiti con Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione, INPS, ecc., proponendo un pagamento parziale/dilazionato. Se questi enti non aderiscono formalmente, il tribunale può omologare lo stesso (estendendo l’accordo al Fisco) se la loro adesione era determinante e la proposta è conveniente rispetto alla liquidazione. Questo è un meccanismo di cram-down fiscale negoziale senza classi. In pratica, l’Erario viene trattato come se avesse aderito. Giova ricordare che questa facoltà di cram-down è stata introdotta dal DL 125/2020 e poi confluita nel Codice, per fronteggiare i casi di rifiuto irragionevole del Fisco.

Nella composizione negoziata (novità 2024): ora anche in sede di trattative stragiudiziali si può raggiungere una transazione fiscale anticipata. Come visto nella sezione relativa, l’imprenditore può negoziare con le Agenzie fiscali un accordo su imposte e relativi accessori, da sottoporre a un giudice per l’autorizzazione (anche se non c’è omologa vera e propria, il giudice controlla la regolarità). In quel contesto non c’è cram-down (o l’ente accetta, o salta l’accordo parziale), ma se l’accordo è approvato e depositato, esso produce effetti e permette di chiudere la posizione fiscale. Questo strumento appare particolarmente utile per aziende che hanno sostanziosi debiti IVA e ritenute, che in assenza di uno strumento concorsuale difficilmente potrebbero essere ridotti: adesso invece, durante la negoziazione, anche l’IVA è falcidiabile (contrariamente a qualche dibattito iniziale, la riforma 2024 ha confermato che si può ridurre anche l’IVA nel quadro dell’accordo, benché sia tributo “armonizzato” UE).

Misure premiali tributarie – Abbiamo già menzionato nella parte sulla composizione negoziata le agevolazioni fiscali previste dall’art. 25-bis CCII: riduzione degli interessi maturati durante le trattative al tasso legale, riduzione delle sanzioni ad importo minimo o a metà a seconda dei casi, e possibilità di dilazione lunga (fino 10 anni) per tributi non ancora a ruolo. Queste misure “premiano” l’imprenditore che intraprende la negoziazione dando un immediato alleggerimento sul fronte fiscale:

  • Ad esempio, se durante la negoziazione (che dura magari 6 mesi) scadono imposte, gli interessi di mora su quelle somme saranno al tasso legale (tipicamente inferiore agli interessi ordinari di mora).
  • Le sanzioni già irrogate ma non ancora dovute vengono ridotte al minimo (es. una sanzione del 30% per omesso versamento IVA scesa al 15% se il pagamento scadeva dopo l’accesso alla CNC).
  • Le sanzioni e interessi su debiti fiscali pregressi oggetto del piano possono essere ridotti del 50%.
  • Se vi sono debiti tributari non ancora affidati ad agente della riscossione, l’imprenditore li può rateizzare fino a 120 rate mensili, ottenendo ossigeno di lungo termine.

Va sottolineato che tali benefici decadono se poi l’imprenditore esce dalla composizione negoziata senza soluzioni o non rispetta il piano concordato con il Fisco (essendo misure premiali, sono condizionate al successo dell’operazione di risanamento).

Responsabilità acquirente di azienda – Un cenno infine su un profilo tributario extra, introdotto dal correttivo 2024 (D.Lgs. 136/2024 art. 8): viene limitata la responsabilità fiscale di chi acquista un’azienda da un’impresa in crisi, per i debiti tributari del cedente. In particolare, se l’acquisto avviene nell’ambito di un concordato semplificato o di un accordo di ristrutturazione, l’acquirente non è soggetto alla responsabilità solidale di cui all’art. 14 D.Lgs. 472/97 oltre il prezzo pattuito. Questo per favorire le operazioni di trasferimento di azienda nei risanamenti, senza spaventare gli investitori per eventuali debiti fiscali occulti del venditore.

In sintesi, l’ordinamento tributario offre oggi un ventaglio di strumenti per integrare i processi di risanamento:

  • neutralità fiscale delle riduzioni dei debiti (nessuna tassazione del “taglio” per il debitore; deducibilità e recupero IVA per il creditore);
  • possibilità di includere i debiti fiscali e contributivi nei piani, con relativo stralcio o dilazione, soggetti ad omologa giudiziale (transazione fiscale nei concordati/accordi, con facoltà di cram-down in caso di dissenso ingiustificato);
  • incentivi (riduzioni sanzioni/interessi, dilazioni) per chi avvia per tempo un percorso di composizione negoziata della crisi;
  • garanzie per chi subentra in aziende in crisi (limitando successione nei debiti fiscali).

Per un professionista che assiste l’impresa in crisi, è fondamentale padroneggiare questi aspetti: ad esempio, calcolare correttamente il vantaggio fiscale di un accordo (tenendo conto delle perdite utilizzabili e dell’esenzione residua) incide sul fabbisogno del piano; oppure sapere che se il Fisco non aderisce si può chiedere al giudice di omologare ugualmente può salvare un concordato.

Passiamo ora a considerare alcuni profili di prassi notarile e societaria che intervengono in contesti di risanamento, e le linee guida professionali che arricchiscono l’attuazione di queste procedure.

Prassi notarile e linee guida professionali

I processi di risanamento della crisi d’impresa spesso implicano operazioni societarie e contrattuali che vedono coinvolti i notai. Inoltre, ordini professionali come commercialisti e avvocati hanno elaborato linee guida per uniformare le best practice. Di seguito alcuni punti salienti:

Sospensione degli obblighi societari di conservazione del capitale – Come menzionato, l’art. 89 CCII prevede che dal momento del deposito di una domanda di concordato preventivo (o accordo di ristrutturazione) e fino all’omologazione, non si applicano gli articoli del codice civile relativi alla riduzione del capitale per perdite (2446, 2447 c.c. per S.p.A.; 2482-bis, 2482-ter per S.r.l.) né la causa di scioglimento per perdite rilevanti. Ciò significa che, se una società ha eroso il capitale oltre i limiti legali a causa delle perdite, gli amministratori non sono obbligati a convocare l’assemblea per la ricapitalizzazione o liquidazione durante la pendenza della procedura concorsuale. La ratio è evitare che si debba liquidare la società proprio mentre sta tentando un risanamento attraverso concordato o accordo. Questa sospensione era già prevista dalla vecchia legge (art. 182-sexies L.F.) ed è confermata nel CCII. I notai, quando chiamati a verbalizzare assemblee in queste circostanze, tengono conto di questa norma: ad esempio, se nel bilancio emerge una perdita grave ma la società ha depositato domanda di concordato, il notaio può verbalizzare che non si dà luogo agli adempimenti di cui agli artt. 2447/2482-ter c.c. in virtù dell’art. 89 CCII. Anche nella composizione negoziata, il D.L. 118/2021 (art. 8) ha introdotto analoga sospensione: dalla pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto e per tutta la durata delle trattative, le norme sulla riduzione obbligatoria del capitale e lo scioglimento per perdite sono sospese. Questa è una conquista importante: impedisce l’avvio di procedure di liquidazione coatta dovute a perdite formali mentre c’è una chance di risanamento in corso.

Operazioni sul capitale e governance – Nei piani di risanamento, frequenti sono le operazioni societarie come:

  • Aumenti di capitale (magari con ingresso di nuovi soci investitori, o conversione di crediti in equity). I notai si trovano a dover attuare aumenti con esclusione del diritto di opzione, spesso a valori inferiori al nominale se la società ha perdite (tecnicamente emettere sotto la pari è vietato, ma si può ovviare con riduzione del nominale per perdite e contestuale aumento, come spesso suggerito nelle massime). In situazioni di crisi, la giurisprudenza e la prassi notarile ammettono soluzioni creative – ad esempio aumento scindibile con conferimento di crediti – per realizzare la “debt-equity swap”. Il CCII non disciplina esplicitamente questi passaggi, ma li facilita in quanto protegge gli atti esecutivi del piano da revocatorie e responsabilità, quindi anche un aumento di capitale sottoscritto da un creditore in compensazione del proprio credito non potrà essere attaccato se parte di un piano attestato.
  • Riduzioni di capitale e raggruppamenti di azioni: se ci sono perdite, prima di un eventuale aumento va sistemato il capitale. Spesso i notai devono attestare che la riduzione per perdite è deliberata “ai sensi di legge” ma è efficace solo se poi c’è l’aumento contestuale (per non scendere sotto minimi legali). In piani di concordato, esiste per legge la sospensione dell’obbligo di ricapitalizzare immediatamente, ma se il piano prevede comunque una ricapitalizzazione (ad esempio ad esito dell’omologa), l’assemblea delibererà l’aumento con efficacia differita o condizionata all’omologa. Alcune massime di commissioni societarie notarili hanno affrontato questi temi, confermando la legittimità di aumenti condizionati all’omologazione del concordato o con efficacia posticipata (casistica di atti societari condizionati).
  • Modifiche statutarie: un concordato in continuità può richiedere di modificare governance (es. introdurre categorie di azioni speciali da attribuire a nuovi investitori) o limitare diritti dei soci (es. rinunce a utili passati). I notai verificano la compatibilità di tali clausole con l’ordinamento. In generale, in crisi è spesso necessario far coesistere l’interesse dei soci con quello dei creditori: può capitare che i soci rinuncino al proprio diritto agli utili futuri per destinarli ai creditori, formalizzandolo in statuto o in patti parasociali. Un notaio potrebbe dover autenticare un accordo di subordinazione degli utili o di opzione a favore dei creditori su future azioni.

Atti di disposizione di beni – Nei piani è frequente l’alienazione di asset (immobili, rami d’azienda). Tali atti, se rientrano in un piano attestato o in un concordato autorizzato, sono esenti da revocatoria ex lege. Ciò dà tranquillità al notaio e alle parti. Ad esempio, una vendita di immobile fatta durante un concordato autorizzato dal giudice non potrà essere revocata in seguito, e il terzo acquirente non rischia la perdita del bene; questo viene spesso annotato nei rogiti, citando il decreto autorizzativo. Nei concordati liquidatori spesso il Liquidatore giudiziale roga atti di vendita davanti al notaio: questi atti beneficiano di esenzioni fiscali (imposte fisse) e non sono soggetti a revocatoria. Il notaio in quei casi verifica la presenza del decreto di omologa e delle autorizzazioni eventuali.

Continuità dei contratti e affitto d’azienda – A volte il risanamento passa per un affitto dell’azienda a un soggetto terzo in attesa del concordato (specie nei concordati in continuità indiretta). I notai intervengono nella predisposizione dei contratti di affitto d’azienda con opzione d’acquisto, ecc. Il CCII consente in concordato tali contratti con alcune formalità: es, serve approvazione del comitato creditori se nominato. Un tema tipico notarile era la responsabilità solidale dell’affittuario per i debiti aziendali ex art. 2560 c.c.: in un concordato, tale responsabilità può essere modulata, ma di solito l’affittuario fa in modo di essere esonerato almeno in parte (e il concordato omologato può sancire la non applicazione del 2560 se i creditori l’accettano). Queste clausole vengono evidenziate nei contratti e devono essere coerenti col piano.

Linee guida e massime notarili – Il Consiglio Nazionale del Notariato ha prodotto studi e massime su varie questioni:

  • Trasferimenti immobiliari in sede concorsuale: ad esempio, chiarimenti sul fatto che la vendita in concordato non richiede le attestazioni di cui al D.Lgs. 122/2005 (tutele acquirenti immobili da costruire) se l’immobile è già costruito, ecc.
  • Verbali assembleari in caso di concordato: ad esempio, se un concordato prevede la riduzione a zero del capitale e l’estromissione dei vecchi soci (cd. cram down dei soci), è ammissibile in Italia? La direttiva UE 2019/1023 prevederebbe il cram-down sugli equity holders, ma la normativa italiana non ha introdotto espressamente la figura. Tuttavia, in certi concordati i soci sono di fatto espropriati perché il loro capitale è azzerato per perdite e l’aumento riservato a terzi li diluisce al 0%. I notai in sede di verbale devono applicare il codice civile: se i soci rifiutano di deliberare l’aumento? In un concordato, l’art. 120 CCII consente al tribunale, in sede di omologa, di superare il diniego dei soci in certe misure (nomina di un amministratore giudiziario per eseguire gli aumenti deliberati dal tribunale stesso). Dunque, in un caso simile il tribunale può omologare il concordato e contestualmente ordinare le modifiche statutarie necessarie. Il notaio poi recepisce l’ordine giudiziale per iscrivere la delibera non approvata dai soci (questo è un terreno nuovo: la norma permette provvedimenti idonei a “assicurare l’esecuzione del piano”, compresa la modifica forzosa dei patti sociali – es. aumento di capitale imposto). Le prassi stanno nascendo su questo: alcuni tribunali hanno già imposto aumenti di capitale forzosi con nomina di curatore speciale per i soci inerti. I notai dovranno adattare le iscrizioni di tali atti sul Registro Imprese sulla base dei provvedimenti giudiziari.

Linee guida CNDCEC e altre – Sul fronte professionale:

  • I commercialisti hanno emanato i Principi di attestazione dei piani di risanamento (ed. 2019-2022), che guidano l’operato dell’attestatore nel valutare piani. Inoltre il CNDCEC e Confindustria hanno pubblicato Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi e Linee guida per la composizione negoziata (queste ultime in collaborazione con Unioncamere, fornendo all’esperto schemi di relazione finale, check-list di valutazione del piano, etc.). Gli avvocati, tramite associazioni specialistiche, hanno diffuso linee guida sulla redazione dei ricorsi e sulla gestione delle procedure per assicurare uniformità (ad esempio l’OCI – Osservatorio Crisi d’Impresa – pubblica orientamenti interpretativi).
  • A livello internazionale, con l’implementazione della direttiva Insolvency, sono emerse best practice europee: ad esempio INSOL Europe e altre organizzazioni hanno predisposto raccomandazioni su come condurre negoziazioni con classi di creditori, che influenzano anche la nostra prassi.

In sostanza, notai, commercialisti e avvocati lavorano in sinergia per rendere operativi i piani di risanamento: ciascuno nel proprio ruolo (il notaio per gli atti societari e di cessione, i commercialisti/attestatori per la verifica dei piani, gli avvocati per gli aspetti procedurali e contrattuali). La presenza di prassi consolidate e linee guida uniforma i comportamenti in tutto il territorio, dando maggiore certezza e velocità alle operazioni di risanamento.


A questo punto della guida, dopo aver passato in rassegna tutti gli strumenti, presentiamo per comodità alcune tabelle riepilogative che confrontano le caratteristiche salienti dei vari processi di risanamento, mettendone in luce i rispettivi vantaggi e criticità. Seguiranno poi una sezione di FAQ e alcune simulazioni pratiche per contestualizzare la teoria in scenari concreti.

Tabelle riepilogative dei vari strumenti di risanamento

Di seguito presentiamo tabelle riassuntive delle principali caratteristiche, vantaggi e criticità dei vari strumenti disciplinati dal Codice della crisi, al fine di offrire un colpo d’occhio comparativo utile.

Tabella 1 – Confronto tra gli strumenti di risanamento

StrumentoNorma di riferimentoNaturaCondizioni di accessoEsito/Finalità
Composizione negoziataArtt. 17-25 CCII (D.L. 118/2021)Procedura stragiudiziale assistita dall’esperto (volontaria, riservata).Impresa in crisi o insolvenza probabile. Nomina esperto; nessuna soglia dimensionale (accessibile anche a “minori”).Risanamento tramite accordi privati con creditori (contratto, moratoria, accordo con esperto) o instradamento verso concordato/accordo formale.
Concordato semplificatoArt. 25-sexies CCIIProcedura concorsuale giudiziale “speciale” (liquidatoria, senza voto creditori).Esperimento previo di composizione negoziata senza soluzione. Proposta entro 60 gg da relazione finale esperto.Liquidazione rapida del patrimonio con cessione beni/azienda, distribuzione pro-quota ai creditori e chiusura dell’insolvenza. Evita fallimento.
Concordato preventivoArtt. 84-120 CCIIProcedura concorsuale giudiziale ordinaria (con voto creditori e omologazione).Stato di crisi o insolvenza. Imprese soggette a fallimento (non “minori”). Ammissibilità: piano fattibile; se liquidatorio, ≥20% chirografari + apporto 10% attivo.Due possibili finalità: Continuità aziendale (diretta o indiretta) per salvare l’impresa e pagare i creditori col suo rilancio; Liquidazione concordata del patrimonio per pagarli in parte e chiudere l’attività.
Accordo di ristrutturazioneArtt. 57-64 CCIIProcedura giudiziale basata su accordo privato omologato (no voto generale).Accordo con ≥60% crediti (o ≥30% se paga estranei alle scadenze). Attestazione di veridicità e fattibilità.Ristrutturazione del debito con effetto vincolante sui creditori aderenti (esteso ad alcuni non aderenti omogenei se 75% categoria). Mantenimento o cessione azienda a seconda del piano (non necessariamente continuità).
Piano attestato di risanamentoArt. 56 CCII (già art. 67 L.F.)Operazione privata contrattuale con asseverazione professionale (no intervento giudice).Stato di crisi o insolvenza reversibile. Richiede attestatore indipendente. Accordi con creditori rilevanti volontari (nessuna soglia fissa).Risanamento dell’impresa mediante l’esecuzione di un piano industriale e finanziario, con ristrutturazione dei debiti volontaria. Effetti protettivi: atti esecutivi esenti da revocatoria e bancarotta. Impresa resta attiva senza procedure formali.

Tabella 2 – Vantaggi e criticità dei principali strumenti

StrumentoVantaggi principaliCriticità e limiti
Composizione negoziata– Riservatezza iniziale (gestione stragiudiziale)– Flessibilità nelle soluzioni (nessun formalismo di classi o percentuali)– Misure protettive attivabili (stop azioni, tempo per trattare)– Incentivi fiscali (riduzione sanzioni/interessi, ecc.)– Prededuzione nuovi finanziamenti autorizzati– Sospensione obblighi societari (niente scioglimento per perdite)– Nessun effetto sui creditori non aderenti (rischio di iniziative ostili di singoli)– Successo dipende da cooperazione volontaria (serve consenso elevato e buona fede di tutti)– Durata limitata (6+6 mesi): rischio di tempo insufficiente in situazioni complesse– Pubblicità dell’istanza può allarmare controparti commerciali– Esperto senza poteri coercitivi: può solo mediare e segnalare condotte non corrette
Concordato semplificato– Procedura rapida e poco onerosa (no voto, iter abbreviato)– Permette liquidazione ordinata evitando fallimento (miglior tutela dell’avviamento tramite cessione diretta)– Incentiva l’imprenditore a tentare la composizione negoziata (sapendo di avere questa via d’uscita)– Accessibile solo dopo composizione negoziata (ambito di applicazione ristretto)– Solo liquidatorio: non consente salvataggio dell’azienda in continuità (a parte continuità indiretta se cessione a terzi)– Creditori esclusi dal voto: possibile aumento di opposizioni in sede di omologa e sensazione di scarsa partecipazione– Necessità di offrire comunque il “meglio del fallimento” ai creditori dissenzienti (controllo giudiziale rigoroso)
Concordato preventivo– Strumento completo e trasparente: coinvolge tutti i creditori in modo paritario (voto democratico)– Possibilità di continuità aziendale con protezione giudiziale (es. contratti pendenti mantenuti, facoltà di scioglimento contratti onerosi autorizzata, finanziamenti in corso autorizzabili)– Cram-down su classi dissenzienti e su Fisco/INPS se condizioni rispettate– Esdebitazione finale dell’imprenditore (dopo esecuzione piano) e chiusura definitiva posizione debitoria– Sospensione obblighi di capitale e stop azioni individuali per tutta la procedura (respiro per l’azienda)– Procedura complessa e costosa (nomina commissario, eventuale comitato creditori, oneri legali)– Tempistiche lunghe (preparazione piano, voto, possibili contestazioni e fasi di omologa/appello)– Pubblicità negativa (iscrizione registro imprese, informativa pubblica ai creditori)– Rigidità: requisiti formali (es. soglie 20%+10% se liquidatorio), necessità di classi per trattamenti differenziati, rispetto cause prelazione salvo eccezioni– Esito incerto: il voto dei creditori può essere imprevedibile; rischio di non approvazione e conseguente fallimento (se non si riesce a far cram-down)
Accordo ristrutturazione– Coinvolgimento mirato dei soli creditori principali (negoziazione più semplice con soggetti chiave)– Procedura più veloce e snella rispetto a concordato (no adunanza, no voto generale: basta raccogliere firme ≥60%)– Maggiore riservatezza: i dettagli restano noti solo ai contraenti e al tribunale (meno pubblicità di massa)– Flessibilità negoziale: si possono prevedere pagamenti differenziati, stralci selettivi, senza obbligo di parità di trattamento universale (salvo non peggiorare estranei)– Tutela legale post-omologa: atti esecutivi esenti da revocatoria, nuove garanzie efficaci, no ipoteche giudiziali pre-omologa (come in concordato)– Necessità di ottenere adesione qualificata (≥60% o 75% per estensione ad altri): può essere arduo se i creditori sono molti– Creditori estranei vanno pagati integralmente entro 120 gg (richiede liquidità o finanziamenti, altrimenti opposizioni e mancata omologa)– Se un creditore importante resta fuori e non viene pagato, può comunque agire (istanza fallimento possibile prima dell’omologa, benché giudice valuti gravità)– Procedura giudiziale in caso di opposizioni: un creditore estraneo può fare opposizione e rallentare/calpestare l’omologa (anche se criteri best interest rispettati)– Non consente direttamente esdebitazione del debitore per la quota non pagata ai creditori estranei (che devono essere soddisfatti integralmente)
Piano attestato– Massima discrezione e rapidità: nessuna procedura formale, negoziazione privata senza pubblicità e burocratizzazione– Mantenimento integrale della governance aziendale in capo all’imprenditore (nessun commissario, nessun giudice salvo eventuale pubblicazione volontaria)– Esenzione da revocatoria per atti/pagamenti in esecuzione del piano (quindi creditori sicuri di non dover restituire pagamenti ricevuti)– Esenzione da responsabilità penale concorsuale (protezione per amministratori che effettuano pagamenti preferenziali se previsti dal piano)– Strumento ideale per crisi iniziale: può risolvere senza “sporcare” la posizione dell’azienda con procedure concorsuali– Impatto positivo sulla fiducia: la presenza di un’attestazione indipendente può rassicurare finanziatori e partner sull’affidabilità del piano– Totale volontarietà: se anche un solo creditore fondamentale non aderisce e non è pagato extra-piano, può far fallire l’impresa (non esistono meccanismi per forzare adesioni)– Nessuna protezione automatica durante la predisposizione: i creditori possono aggredire il patrimonio o presentare istanza di fallimento mentre il piano è in lavorazione (a meno di accordi di standstill privati)– Rischio di inefficacia se la crisi è troppo grave o multi-dimensionale (oltre certa soglia serve il concorso ordinato di tutti i creditori via concordato)– Validità della protezione condizionata: se il piano fallisce e non se ne fa un altro, gli atti successivi possono perdere l’esenzione da revocatoria; inoltre se attestatore o debitore hanno agito con dolo, le protezioni saltano– Richiede forte fiducia tra parti: i creditori aderiscono su base volontaria e confidano nell’attestatore; se c’è scetticismo, preferiranno soluzioni concorsuali

Le tabelle evidenziano come non esista uno strumento “migliore” in assoluto, ma la scelta dipenda dalla situazione concreta: la composizione negoziata è preferibile per intervenire precocemente e in modo informale; il concordato preventivo serve per ristrutturazioni profonde con coinvolgimento di tutti i creditori e/o quando serve una moratoria generalizzata e una “scarica” delle pendenze; gli accordi di ristrutturazione sono utili in situazioni concentrate (pochi creditori) e quando non si vuole coinvolgere l’intero parco creditori; i piani attestati funzionano per crisi contenute e sotto controllo, potendo evitare di passare dal tribunale. In casi complessi, spesso si combinano più strumenti in sequenza (es. composizione negoziata → accordo di ristrutturazione; oppure piano attestato che se fallisce evolve in concordato, ecc.).

Passiamo ora a una serie di domande frequenti che professionisti e imprenditori spesso pongono in tema di gestione della crisi d’impresa, con risposte concise ispirate alle norme e alla pratica.

Domande frequenti (FAQ)

D: Chi può accedere agli strumenti di risanamento della crisi?
R: Tutti gli imprenditori, in forma individuale o societaria, possono utilizzare almeno uno strumento. In particolare le imprese di dimensioni medio-grandi (soggette a fallimento) possono accedere a tutti gli istituti: composizione negoziata, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e piano attestato. Le piccole imprese “sotto soglia” (non fallibili) e i debitore civili possono usare composizione negoziata e gli strumenti di sovraindebitamento (concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore, liquidazione controllata), ma non il concordato preventivo né gli accordi ex art.57. L’imprenditore agricolo – un tempo escluso dal fallimento – oggi può accedere a composizione negoziata, concordato minore e liquidazione controllata; se supera le soglie, è comunque escluso dalla liquidazione giudiziale ma può fare concordato preventivo “minore” (c’è un dibattito sul punto, ma il CCII lo assimila al debitore minore). In sintesi: tutti gli imprenditori hanno almeno il percorso negoziale e, in caso di insolvenza conclamata, una procedura giudiziale di regolazione; solo la tipologia varia a seconda dei requisiti dimensionali.

D: In cosa differisce un concordato preventivo da un accordo di ristrutturazione?
R: Sono entrambi strumenti con omologazione del tribunale ma:

  • Il concordato preventivo coinvolge tutti i creditori, con un meccanismo di voto a maggioranza. È una procedura concorsuale vera e propria: produce effetti di moratoria generale, nomina di commissario, e al termine l’omologazione lo rende vincolante per tutti (anche dissenzienti, salvo eccezioni di classi privilegiate). Offre esdebitazione totale dell’imprenditore una volta eseguito.
  • L’accordo di ristrutturazione è essenzialmente un contratto tra il debitore e una parte dei creditori (≥60%). Non c’è voto di tutti: si raccolgono adesioni individuali. I creditori firmatari sono vincolati dall’accordo omologato, mentre quelli estranei restano fuori (devono essere pagati interamente e tempestivamente). La procedura di omologa è più leggera, senza commissario o adunanza. È meno invasivo ma non impone tagli ai non aderenti. Dunque, si usa se la crisi è risolvibile coinvolgendo i principali creditori e garantendo comunque gli altri. In sintesi, il concordato è collettivo e coercitivo, l’accordo è selettivo e volontario (con minima coazione via omologa per categorie specifiche se 75% accordati).

D: Qual è la differenza tra concordato in continuità e concordato liquidatorio?
R: Nel concordato in continuità aziendale, l’attività dell’impresa prosegue durante e dopo la procedura (può proseguire direttamente col debitore o indirettamente tramite cessione/affitto a terzi). L’obiettivo è risanare l’impresa come going concern e pagare i creditori col ricavato generato dalla continuità (utili futuri, apporto di investitori, ecc.). Non c’è soglia minima di soddisfo ai chirografari (possono accettare anche percentuali basse se il piano li convince) e l’impresa generalmente preserva posti di lavoro e avviamento. Nel concordato liquidatorio, invece, l’impresa cessa la propria attività e il piano si limita a liquidare i beni (vendita di asset singoli o intero patrimonio) per distribuire il ricavato ai creditori. In questo caso la legge impone almeno il 20% ai chirografari e un contributo di nuova finanza del 10% dell’attivo per ammettere la proposta, poiché non c’è prospettiva di rilancio. In sintesi: continuità = azienda vive, no payout minimo per chirografi, piano imprenditoriale; liquidatorio = azienda muore, serve garanzia minima di recupero per creditori e coinvolgimento dei soci.

D: Se una composizione negoziata non porta ad accordo, cosa succede?
R: Alla fine delle trattative l’esperto redige una relazione conclusiva. Se non è stato individuato alcuno sbocco (né accordo stragiudiziale né passaggio a procedura), l’esito è negativo. A quel punto l’imprenditore ha alcune opzioni:

  • Può chiedere il concordato semplificato (entro 60 giorni dalla relazione) per liquidare rapidamente l’azienda senza fallimento.
  • In alternativa, può presentare comunque un concordato preventivo ordinario o un accordo di ristrutturazione (non c’è divieto; la differenza è che nel semplificato non c’è voto, ma se magari nel frattempo ha elaborato un piano con consenso diffuso potrebbe preferire il concordato preventivo).
  • Se il debitore non attiva nulla, i creditori riacquistano libertà di agire: potrebbero presentare istanza di fallimento. Il tribunale terrà conto del tentativo fatto (in teoria, se un creditore chiede il fallimento mentre era in corso la composizione, il fallimento non può essere dichiarato fino a fine composizione; ma dopo la chiusura, sì). Dunque il rischio di liquidazione giudiziale riemerge se non ci sono soluzioni.
  • In alcuni casi l’esito “neutro” può essere che l’impresa, pur senza accordo formale, grazie alle trattative ha ottenuto ad esempio dilazioni spontanee da alcuni creditori e decide di proseguire senza procedure, confidando di sistemare la crisi in bonis. Ciò è possibile, ma delicato: se poi la situazione precipita, eventuali pagamenti fatti potrebbero essere revocati (a meno che si configurino come atti esecutivi di un accordo con esperto sottoscritto, che però non c’è).
    In sostanza, se la composizione fallisce, o l’imprenditore attiva un concordato (semplificato o ordinario), oppure rischia il fallimento su iniziativa dei creditori.

D: Posso utilizzare più strumenti in successione?
R: Sì, spesso gli strumenti sono complementari e sequenziali. Ad esempio:

  • Un piano attestato di risanamento può essere tentato per primo; se non riesce a risolvere la crisi e l’impresa ridiventa insolvente, nulla vieta di accedere poi a un concordato preventivo o a un accordo di ristrutturazione. Gli atti compiuti col piano attestato restano non revocabili se erano coerenti col piano (principio della consecutio procedure: il periodo sospetto decorre dal termine del piano).
  • Una composizione negoziata è concepita per preludere, se necessario, a un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione (si può persino depositare ricorso per concordato durante le trattative, se urgente, e poi chiedere al tribunale di tenere conto della negoziazione in corso). In pratica, la composizione può fungere da “pre-concordato” per mettere d’accordo le parti prima di formalizzare.
  • Un accordo di ristrutturazione non preclude, se cade, di proseguire con un concordato. E viceversa: se un concordato viene respinto o revocato, l’imprenditore potrebbe, in teoria, tentare un accordo (se le condizioni lo permettono) prima di subire la liquidazione giudiziale.
  • Il Codice incoraggia soluzioni tempestive minori e, solo se queste falliscono, consente di salire di livello. Anche la “composizione assistita” dell’OCRI (quando sarà operativa) potrà precedere la composizione negoziata. In caso di esito negativo di allerta, verosimilmente si passa a negoziazione, etc.
    Attenzione tuttavia ai tempi: ad esempio, non è pensabile fare una composizione negoziata di 6 mesi, poi un concordato preventivo in bianco di altri 6 mesi, prolungando eccessivamente la situazione di incertezza – i creditori potrebbero opporsi e il tribunale negare proroghe. Quindi la sequenza va calibrata caso per caso e sempre agendo in buona fede (evitando “abusi procedurali” volti solo a prendere tempo senza prospettive concrete).

D: Durante la procedura di concordato posso continuare a pagare fornitori e dipendenti?
R: Sì, ma con distingui. Dal deposito del ricorso per concordato, i debiti anteriori restano congelati e dovranno essere trattati nella proposta. Tuttavia:

  • I fornitori essenziali (es. forniture di energia, materie prime per produzione in continuità) possono essere pagati regolarmente per le forniture correnti post-ricorso (questi sono debiti di massa). I debiti commerciali sorti prima sono concorsuali e non si possono pagare se non nei modi del piano (farlo sarebbe pagamento preferenziale indebido). In continuità, comunque, l’impresa può contrarre debiti di esercizio normali e pagarli a scadenza per mantenere attività (sono prededucibili).
  • I dipendenti: i salari maturati prima del concordato rientrano tra i crediti privilegiati nel concordato (di solito pagati integrali, garantiti dal Fondo di Garanzia INPS). Le retribuzioni correnti vanno invece pagate regolarmente, e se l’azienda non ha liquidità può chiedere CIGS per concordato o finanziamenti prededucibili. In continuità, i dipendenti continuano a lavorare e vengono pagati come di consueto (se il piano li mantiene).
  • I pagamenti autorizzati: il debitore in concordato (anche con riserva) può chiedere al giudice di autorizzarlo a pagare anticipatamente determinati creditori pregressi indispensabili (ad es. acconto a un fornitore critico, oppure imposte necessarie per evitare revoca licenze), ma serve dimostrare che ciò non pregiudica la par condicio e che è funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori. Ad esempio, pagamento di IVA per poter partecipare a gare pubbliche e generare ricavi per il concordato può essere autorizzato.
    In generale, quindi, si possono pagare solo i debiti post-filing e quelli pre-filing autorizzati dal tribunale. Tutti gli altri restano sospesi. Nel concordato liquidatorio, di fatto l’attività ordinaria spesso cessa quindi i pagamenti correnti si riducono (dipendenti licenziati e pagati dal Fondo di Garanzia, etc.). Nel concordato in continuità, l’azienda funziona quasi normalmente (fornitori e dipendenti pagati a maturazione per competenze post domanda, il che mantiene la continuità operativa).

D: L’imprenditore conserva l’amministrazione dell’azienda nelle varie procedure?
R: Dipende dallo strumento:

  • Composizione negoziata: sì, pienamente. L’esperto non ha poteri gestori, solo un ruolo di facilitazione e moral suasion. L’imprenditore rimane in carica e può compiere atti di ordinaria amministrazione liberamente; per straordinari serve concordare e magari chiedere autorizzazione giudice (ma è sempre l’imprenditore a eseguirli). Quindi c’è gestione in bonis.
  • Concordato preventivo: l’imprenditore rimane alla guida (non c’è spossessamento, si parla di “debitor in possession”). Tuttavia è affiancato da un Commissario che vigila e deve autorizzare alcuni atti (specie straordinari). In caso di abusi, il tribunale può revocare l’autorizzazione al concordato e mandare in fallimento, ma di norma la gestione rimane al debitore durante la procedura. Dopo l’omologa, se il concordato è in continuità diretta l’imprenditore prosegue l’attività; se è liquidatorio, viene nominato un Liquidatore giudiziale che gestisce la liquidazione (quindi in quella fase l’imprenditore esce dalla gestione).
  • Accordo di ristrutturazione: l’imprenditore mantiene la gestione come in bonis (non c’è procedura con organi che controllano l’amministrazione durante le trattative). Dopo il deposito della domanda di omologa, il tribunale può nominare un ausiliario se serve ma in pratica l’imprenditore resta in possesso. Quindi niente rimozione dell’organo amministrativo.
  • Piano attestato: totalmente in mano all’imprenditore, non c’è neppure commissario né giudice. L’attestatore è un certificatore, non incide sulla governance. Quindi l’organo amministrativo resta pienamente operativo (e anzi deve diligentemente attuare il piano).
  • Liquidazione giudiziale (fallimento): qui per completezza diciamo che c’è la spoliazione totale: l’imprenditore viene privato dell’amministrazione, subentra il Curatore che liquida il patrimonio. Ma questo è l’esito da evitare con gli strumenti di risanamento.

In sintesi, tutti gli strumenti di risanamento (eccetto la liquidazione giudiziale) prevedono che l’imprenditore conservi il controllo, sebbene in misura diversa: massimo controllo in composizione negoziata e piano attestato, controllo affiancato da vigilanza in concordato e accordo, e perdita controllo solo se si va in fallimento.

D: Cos’è la transazione fiscale e quando conviene usarla?
R: La transazione fiscale è l’accordo col Fisco (Agenzia Entrate/Riscossione) e con gli enti previdenziali per il trattamento agevolato dei loro crediti (imposte, IVA, contributi). La si “usa” quando l’impresa ha debiti tributari e contributivi rilevanti che non può pagare integralmente. In un concordato preventivo, si inserisce una proposta di pagamento parziale di tali debiti (ad esempio: pagamento del 50% dell’IVA e 20% delle sanzioni, dilazionato in 5 anni). Tradizionalmente l’Erario aveva privilegi su imposte e contributi, quindi non falcidiabili se non oltre capienza; ora la legge consente di falcidiare IVA e ritenute (che prima erano intoccabili) purché non prendano meno del valore di liquidazione. Conviene usarla perché:

  • permette di abbassare il monte debiti in maniera significativa (es. elimina sanzioni e interessi e riduce il capitale),
  • rende il piano più sostenibile e spesso migliora anche per l’Erario il recupero rispetto a un fallimento (dove magari avrebbe preso zero su parte del credito).
    Nell’accordo di ristrutturazione, la transazione fiscale avviene pre-omologa nelle trattative: conviene se senza l’adesione del Fisco non si raggiunge il 60%, oppure se comunque si vuole la certezza su quel fronte. Col cram-down fiscale, oggi il tribunale può omologare anche senza consenso dell’Erario se la proposta è conveniente.
    Attenzione che la transazione fiscale richiede un certo formalismo: serve la relazione dell’attestatore che dichiari la convenienza per il Fisco. Se l’Erario rifiuta e il giudice ritiene il rifiuto ingiustificato, può fare omologa forzata. In pratica, conviene sempre inserirla in concordato/accordo quando i debiti fiscali sono grandi e l’impresa non può pagarli interamente nei modi ordinari, perché offre una chance di ridurli legalmente. Se non la si inserisse, l’Agenzia voterebbe no e il concordato fallirebbe (salvo cramd-down in continuità, ma comunque andrebbe valutato).
    Nella composizione negoziata, la transazione fiscale è un’opportunità nuova del 2024: conviene usarla se l’impresa vuole evitare di ricorrere a concordato o accordo e preferisce trovare un’intesa col Fisco stragiudiziale, magari perché ha principalmente debiti fiscali. Ad esempio, un’impresa con pochi fornitori ma grossi debiti IVA potrebbe, grazie a un accordo fiscale in composizione negoziata, evitare proprio il concordato.

D: Quali costi comportano queste procedure?
R: I costi variano molto in base allo strumento e alla complessità del caso:

  • La composizione negoziata comporta il compenso dell’esperto (stabilito da decreto: dipende da durata e dimensione azienda, spesso qualche migliaio di euro, pagato dal debitore) e le eventuali consulenze richieste dall’imprenditore (es. advisor finanziario per redigere il piano di risanamento, legale per i contratti, ecc.). Non ci sono costi “procedurali” fissi di tribunale, a parte bolli per eventuali ricorsi di misure protettive. Quindi è relativamente economica.
  • Il concordato preventivo è la più costosa: ci sono i compensi del commissario giudiziale e del futuro liquidatore (parametrati sull’attivo e passivo, con tariffe ministeriali), le spese di giustizia (contributo unificato di circa €1000 e marca da €278), le spese di pubblicazione su registri e giornali, i compensi dei professionisti dell’impresa (legali, attestatore – l’attestatore è di solito un costo significativo). In imprese medio-grandi, la somma di questi costi può essere decine di migliaia di euro o più (dipende da massa attiva/passiva su cui si calcola percentuale per commissario). Nel concordato semplificato mancano i costi di gestione del voto, ma comunque c’è un liquidatore da remunerare. C’è da dire che i costi di procedura (commissario, liquidatore) sono prededucibili, quindi i creditori li “sopportano” prima dei loro pagamenti.
  • L’accordo di ristrutturazione ha costi inferiori al concordato: non c’è commissario né adunanza; tuttavia l’attestatore serve anche qui e va pagato, così come eventuali advisor. Il contributo unificato è € 518, e ci possono essere costi legali e notarili per predisporre e formalizzare l’accordo. L’omologazione richiede un decreto (no spese pubblicazione come il concordato su quotidiani). Quindi costa meno di un concordato di solito.
  • Il piano attestato è il meno costoso formalmente: paghi solo i consulenti che ti aiutano (attestatore in primis, magari un advisor per predisporre piano e business plan, avvocati per eventuali contratti). Non essendoci tribunale né organi della procedura, non ci sono costi di giustizia né compensi concorsuali. Dunque il costo dipende dalle tariffe di mercato dei professionisti coinvolti e dalla complessità (può variare da poche migliaia di euro a decine, in base a dimensione azienda e lavoro per chi assevera).
    In definitiva: piano attestato e composizione negoziata sono economici in confronto; accordo intermedio; concordato più oneroso. Va però valutato che in concordato e accordo quei costi stessi sono inseriti nel piano e pagati come prededuzione, quindi il debitore li affronta se la procedura riesce (altrimenti, se fallisce, li paga comunque in prededuzione il fallimento). Invece in piano attestato e negoziazione paghi comunque i consulenti di tasca tua durante il tentativo, senza prelazione legale.

D: Se il concordato preventivo non viene omologato (ad es. perché i creditori lo bocciano), l’azienda fallisce automaticamente?
R: Nella maggior parte dei casi, sì, si andrà verso la liquidazione giudiziale (fallimento). La legge prevede che il tribunale, se non omologa il concordato per voto contrario dei creditori o per altri motivi, dichiari con la stessa sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale (se ricorrono i presupposti d’insolvenza). Ciò per evitare ulteriori ritardi. C’è un’eccezione: se durante la procedura emergono elementi per percorrere strade alternative (es. un accordo di ristrutturazione con consenso sufficiente all’ultimo minuto), il debitore potrebbe chiedere di convertire la domanda. In passato, alcuni tribunali concedevano il “concordato con riserva” come chance di presentare nuova proposta o accordo; ora il CCII formalmente dice che se la proposta è bocciata si dichiara la liquidazione di default. Tuttavia, il debitore potrebbe – prima che il tribunale rigetti l’omologa – presentare istanza di rinuncia al concordato e contestualmente presentare domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione (ad esempio se nel frattempo ha raggiunto accordo col 60% crediti). Oppure, se l’insolvenza non è irreversibile, potrebbe richiedere la liquidazione controllata invece della giudiziale (ma per le società commerciali questo non si applica, è per sovraindebitati).
In sintesi, salvo manovre dell’ultimo momento, la bocciatura o la revoca del concordato porta al fallimento (anche perché spesso la situazione è aggravata nel frattempo). Meglio quindi, se si vede che il concordato non ha abbastanza sostegno, valutare in anticipo un piano B come un accordo con pochi creditori (ma se i creditori in disaccordo sono tanti, difficile). Diverso è se il concordato era “in bianco” e non presenta poi la proposta: in quel caso il tribunale dichiara improcedibile e può aprire la liquidazione se c’è istanza di creditori o procura d’ufficio.

D: Un socio di una società in concordato (o un garante di un debito) è vincolato dagli effetti del concordato?
R: No, il concordato preventivo riguarda solo il debitore e il suo patrimonio. I soci di una S.r.l. o S.p.A. in concordato non rispondono dei debiti sociali (oltre il limite delle loro quote, come da principio generale), quindi non subiscono direttamente effetti sui loro patrimoni. Tuttavia:

  • Se il piano prevede interventi dei soci (es. versamenti, rinunce a crediti soci), questi devono essere eseguiti per il successo del piano. Ma il concordato non può imporre a un socio di versare denaro salvo il caso del 10% apporto per concordato liquidatorio che in pratica obbliga i soci a mettere soldi o trovare chi li mette, altrimenti niente ammissione.
  • Quanto ai garanti (fideiussori, coobbligati): il concordato preventivo non libera i garanti dall’obbligazione verso il creditore, salvo che il creditore vi rinunci. Infatti l’art. 184 L.F. (non ripreso letteralmente nel CCII ma il principio rimane) stabiliva che l’omologazione del concordato non produce effetto nei confronti dei coobbligati e fideiussori. Ciò significa che, se Tizio srl è in concordato e paga ai chirografari il 30%, la banca creditrice può ancora escutere la fideiussione prestata dall’amministratore per il restante 70%. Eccezione: se il concordato è in continuità e prevede espressamente la liberazione dei garanti, e il creditore vota a favore senza riserve, tale comportamento implica accettazione della liberazione (è un punto un po’ controverso, ma in taluni concordati i creditori rinunciano spontaneamente a escutere i garanti come condizione per avere il 30% subito, ecc.). In assenza di ciò, il garante resta obbligato.
  • Nel caso di accordo di ristrutturazione omologato, la legge (art. 61, co. 4 CCII) prevede espressamente che non si possano imporre ai creditori non aderenti nuove prestazioni o conservazione di affidamenti. Per analogia, i garanti che non siano parti dell’accordo non sono toccati: dunque il creditore potrà agire sul garante per l’intero credito meno quanto incassato dal debitore.
  • Nel fallimento (liquidazione giudiziale), addirittura la legge prevede il beneficio della liberazione per il garante che paga, ma non rileva qui.
    Riassumendo: se un imprenditore ha dato garanzie personali (fideiussioni) su debiti della società, il concordato della società non lo tutela; a meno che non si negozi espressamente con il creditore una liberatoria. Quindi, per proteggere soci e terzi garanti, occorre convincere i creditori a includere nel pacchetto di ristrutturazione anche la rinuncia verso di loro (spesso i creditori la negano, volendo mantenere la possibilità di rifarsi sui garanti per la parte falcidiata).

D: Cosa succede ai contratti in corso (leasing, forniture, affitti) quando si attiva una procedura di risanamento?
R: Dipende dallo strumento e dal tipo di contratto:

  • Composizione negoziata: è extragiudiziale, quindi di per sé non incide sui contratti in corso. Spetta all’imprenditore negoziare con le controparti eventuali modifiche contrattuali (es. chiedere sospensione pagamenti, dilazioni). Le controparti non sono obbligate a concederle, ma spesso, se vedono che l’impresa ha attivato la procedura e c’è la prospettiva di risanamento, possono concordare moratorie (anche formalizzando una “convenzione di moratoria” come visto). Durante le trattative, grazie alle misure protettive, le controparti non possono risolvere i contratti solo perché ci sono inadempienze pregresse (in quanto bloccano azioni esecutive e cautelari; la legge specifica che durante misure protettive non si possono, ad esempio, escutere pegni, ma la risoluzione contrattuale per inadempimento potrebbe ancora essere minacciata salvo il generale dovere di buona fede). Il DL 118/2021 ha inserito un divieto di far valere clausole di automatic default per il solo accesso alla composizione negoziata, simile a quello del concordato (clausole ipso facto inefficaci). Quindi se un contratto prevede la risoluzione in caso di procedure concorsuali, la negoziata non essendo concorsuale formalmente non attiverebbe quella clausola; e comunque ora c’è norma che la rende non azionabile.
  • Concordato preventivo: qui interviene l’art. 94 CCII (già art. 169-bis L.Fall.) che consente al debitore di chiedere al tribunale l’autorizzazione a sciogliersi o sospendere alcuni contratti in corso di esecuzione se ciò è funzionale al piano e non danneggia oltremodo i contraenti. Ad esempio: un contratto di leasing troppo oneroso – il debitore può chiedere di scioglierlo; il tribunale autorizza, e il lessor ha diritto a un indennizzo pari al danno subito (che diventa credito concorsuale). Per i contratti che restano in essere, la regola generale è che la procedura di concordato non provoca la risoluzione dei contratti (diversamente dal fallimento che li scioglie ex lege salvo interesse curatore). Quindi, ad es., un contratto di fornitura pluriennale continua: il fornitore non può interromperlo solo perché il cliente è in concordato, a meno di insolvenza di diritto comune antecedente. Egli dovrà fornire e sarà pagato in prededuzione per la parte di esecuzione post-domanda. Molti contratti commerciali hanno clausole di recesso in caso di concordato: il CCII ne sancisce l’inefficacia (le clausole che prevedono risoluzione per il solo fatto del concordato sono nulle). Dunque contratti di locazione di immobile, appalto, forniture, licenze di software, etc., proseguono in concordato salvo richiesta di scioglimento o inadempimento successivo. L’azienda in continuità li onorerà regolarmente per la parte corrente. Se invece è un concordato liquidatorio, è verosimile che il debitore chieda di sciogliere la maggior parte dei contratti per cessazione attività.
  • Accordo di ristrutturazione: non essendo procedura concorsuale aperta, non c’è una disciplina specifica di legge come il 169-bis. Tuttavia, spesso nei contratti è inserita la clausola di risoluzione se l’azienda propone accordo ex 182-bis. Il DL 118/2021 ha previsto inefficaci le clausole risolutive legate alla sola presentazione di una domanda di omologa di accordo. L’accordo stesso potrebbe prevedere che certe controparti contrattuali accettino modifiche (ma sarebbero tra i creditori aderenti se credito da contratto). In generale, durante le trattative di accordo non c’è protezione come nel concordato, salvo misure protettive se richieste analoghe a quelle del concordato (che il CCII estende anche alla fase pre-omologa di accordo). Quindi volendo il debitore in attesa di omologa di un accordo può chiedere al giudice di inibire le risoluzioni contrattuali da parte di controparti (similmente alle misure protettive del concordato). Tendenzialmente, comunque, l’accordo essendo meno invasivo si basa su intese volontarie anche con i fornitori strategici per proseguire i rapporti.
  • Piano attestato: non c’è normativa speciale, quindi i contratti restano regolati dal codice civile. Se il debitore è inadempiente verso un fornitore durante l’esecuzione del piano, dovrà convincerlo a non risolvere (spiegando che c’è il piano attestato e che è nell’interesse di tutti). Non c’è protezione giuridica se il fornitore, ad esempio, vuole far valere uno scioglimento. Molto dipende dal rapporto di fiducia e dall’importanza di quel contratto per il debitore (se è essenziale magari includerà quel fornitore nel piano come creditore da pagare puntualmente).
    In sintesi, solo il concordato offre uno strumento formale per sospendere/sciogliere contratti con autorizzazione giudiziale e impedire risoluzioni per default pregressi. Negli altri strumenti, serve agire per via negoziale o utilizzare le misure protettive per guadagnare tempo.

Passiamo ora a qualche esempio pratico per comprendere meglio l’applicazione concreta di questi strumenti.

Simulazioni pratiche e casi d’uso ipotetici

Caso 1: Composizione negoziata con esito positivo (accordo stragiudiziale)
La Alfa S.r.l. opera nel settore tessile e inizia a mostrare segnali di crisi di liquidità nel 2024 a causa del calo degli ordini e di investimenti errati. L’indebitamento complessivo è 5 milioni €, principalmente verso banche (2 milioni) e fornitori (2 milioni), più 0,5 milioni di debiti fiscali e 0,5 verso il socio finanziatore. L’amministratore si attiva tempestivamente: a gennaio 2025 deposita istanza di composizione negoziata presso la Camera di Commercio. Viene nominato un esperto. Durante le trattative, Alfa S.r.l. presenta un piano che prevede la riconversione di parte della produzione e l’ingresso di un investitore che apporterebbe 1 milione di € freschi per rilanciare l’azienda. Con l’esperto, Alfa tratta con le banche la ristrutturazione dei mutui (allungamento piani da 5 a 8 anni e riduzione tassi) e con i fornitori un pagamento parziale (70%) dei crediti in 24 mesi. Il socio si dichiara disponibile a convertire il proprio credito di 0,5 mln € in capitale sociale (quindi rafforzando il patrimonio). L’Agenzia Entrate, per i 0,5 mln di debiti fiscali, riceve una proposta di transazione fiscale: pagamento del 50% del dovuto (ossia 250k €) in 5 anni, e stralcio di sanzioni e interessi. Si attiva la recente normativa: un commercialista indipendente attesta che l’Erario in caso di fallimento prenderebbe meno del 50%, e un revisore attesta i debiti fiscali certi. L’Agenzia aderisce all’accordo. Nel frattempo l’impresa ha chiesto misure protettive, ottenendo uno stay di 4 mesi dai creditori (nessuna banca può revocare fidi né fornitori avviare decreti ingiuntivi). Le trattative vanno a buon fine: in giugno 2025, tutti i 5 istituti di credito accordano la moratoria e firmano un accordo unitario, i fornitori che rappresentano l’85% del valore accettano lo stralcio 30% (i piccoli fornitori al 15% residuo saranno pagati integralmente a scadenza, importi modesti), l’investitore firma un contratto preliminare per entrare con 1 mln € a settembre condizionato alla riduzione dei debiti come da piano, e l’esperto indipendente sottoscrive l’accordo finale insieme all’amministratore e ai creditori chiave. Questo accordo integrato (essendo sottoscritto dall’esperto) gode di tutte le esenzioni di legge: i creditori rinunciano formalmente a future azioni revocatorie o penali. L’accordo viene pubblicato nel Registro Imprese. Da quel momento Alfa S.r.l. esegue l’accordo: l’investitore immette 1 mln € (parte con aumento di capitale, parte come finanziamento prededucibile autorizzato dal tribunale durante la negoziazione), con cui vengono inizialmente pagati subito 500k € ai fornitori chirografari (30% dei 1,5 mln loro dovuti), mentre il restante 40% pattuito (ulteriore 600k €) sarà pagato in due anni con i flussi di cassa generati dalla ripresa produttiva. Le banche allungano i piani di rimborso e dunque Alfa riprende a pagare le rate ridotte da luglio 2025 in poi. I debiti fiscali vengono dilazionati: Alfa paga regolarmente le prime rate IVA e IRPEF con interessi ridotti. A fine 2026, Alfa S.r.l. ha rispettato l’accordo e la crisi è superata: l’investitore ora possiede il 30% delle quote, il socio iniziale ha diluito ma la società è salva e competitiva. Nessun passaggio in tribunale è avvenuto salvo la breve udienza per autorizzare l’accordo fiscale (un controllo formale). I fornitori, pur avendo accettato un taglio, hanno mantenuto il cliente e dedotto le perdite fiscalmente. Le banche hanno evitato di classificare a sofferenza il credito (lo hanno come “ristrutturato” ma in bonus). Il Fisco ha incassato metà del dovuto invece di rischiare zero. Questo esempio mostra una composizione negoziata ben riuscita, dove l’azienda ha evitato concordati e mantenuto buoni rapporti industriali.

Caso 2: Concordato preventivo in continuità aziendale
La Beta S.p.A. è un’azienda metalmeccanica con 100 dipendenti. Nel 2023 perde commesse importanti e accumula debiti per 8 milioni €. A marzo 2024 Beta è insolvente: non riesce a pagare stipendi né fornitori. Decide per un concordato preventivo con riserva: presenta ricorso “in bianco” al tribunale, ottenendo l’immediata protezione (automatic stay) e la nomina di un commissario. Ha ora 120 giorni per presentare un piano. Durante questo periodo, Beta continua l’attività con autorizzazione del giudice a usare la cassa per pagare materie prime e stipendi correnti (tutti debiti prededucibili). Beta elabora un piano di continuità diretta: prevede di ristrutturare la produzione, chiudendo una linea poco redditizia (con licenziamento di 20 dipendenti, per i quali ottiene la CIGS autorizzata dal MISE), vendere un capannone non strategico (stimato 1 milione €), e ricorrere a un nuovo socio investitore (cliente tedesco interessato) che apporterà 2 milioni € in equity. Con queste mosse, Beta stima di poter pagare integralmente i creditori privilegiati (tra cui banche per 3 mln e TFR dipendenti) e di offrire ai chirografari (fornitori, 4 mln €) il 30% in 5 anni. Il business plan mostra che, ridotti i costi e con nuovi ordini in arrivo grazie all’accordo con il socio tedesco (che s’impegna a portare commesse), Beta genererà utili per sostenere i pagamenti. Viene inserita anche una transazione fiscale: l’Agenzia Entrate ha 0,5 mln di credito IVA privilegiato, Beta propone di pagarlo al 80% in 4 anni (rispettando la regola che prenda almeno quanto in liquidazione, in cui l’IVA sarebbe stata pagata forse al 60%). L’attestatore indipendente valida i numeri e dichiara il piano fattibile e conveniente per i creditori (dai calcoli risulta che in caso di fallimento, i chirografari prenderebbero appena il 5%, qui ne avrebbero 30%, e i privilegiati forse 70% vs 100% proposto). A settembre 2024 Beta deposita la proposta di concordato. I creditori vengono divisi in classi: una classe banche (2 mln chirografi residui, offerto 30%), una classe fornitori italiani (1 mln, 30%), una classe fornitori esteri (1 mln, 30%) – queste tre classi omogenee perché differiscono per categorie; i privilegiati non votano perché soddisfatti 100%. All’adunanza di dicembre 2024, i creditori votano. Il ceto bancario (che aveva già firmato un accordo di standby in attesa del concordato) vota sì unanime. I fornitori italiani, più colpiti dalla crisi, si spaccano: il 60% in valore dice sì, il 40% no (comunque la classe ha approvato perché serve >50%). I fornitori esteri, per lo più con piccoli importi, disertano il voto tranne pochi, ma raggiungono il 55% di sì. Dunque tutte e tre le classi hanno raggiunto la maggioranza richiesta e complessivamente oltre il 50% del passivo chirografo ha votato a favore. L’Agenzia Entrate nella classe crediti erariali privilegiati vota contrario (non convinta dell’80%). Ciò però non impedisce l’omologa, perché Beta chiede il cram-down fiscale: dimostra che l’Erario prenderebbe solo 50% in fallimento, allega relazione aggiuntiva; il tribunale, al momento di decidere, valuta che l’opposizione del Fisco è pretestuosa e omologa ugualmente imponendo la transazione. A febbraio 2025 arriva il decreto di omologazione del concordato in continuità di Beta. L’esecuzione parte immediatamente: Beta incassa i 2 milioni € del socio tedesco in cambio di nuove azioni (l’assemblea ha deliberato l’aumento di capitale contestualmente all’omologa, con sottoscrizione immediata da parte del socio – i soci precedenti si sono diluiti ma nessuno ha opposto, comunque il tribunale avrebbe potuto forzare la deliberazione). Con quei soldi e la vendita del capannone (effettuata senza gara, autorizzata perché cessione funzionale alla continuità), Beta inizia a pagare le prime quote ai creditori. I fornitori ricevono un primo 10% subito nel 2025, poi annualmente quote fino a arrivare al 30% nel 2029. Beta torna in utile nel 2026 grazie alle commesse portate dal socio. Nel 2029, ultimato il piano di pagamento, il tribunale dichiara l’adempimento del concordato e Beta viene liberata da ogni residuo debito concorsuale (i creditori chirografari non possono più pretendere nulla oltre il 30% ricevuto). L’azienda continua l’attività, con 80 dipendenti rimasti, integrata nel gruppo tedesco. – Questo caso illustra un concordato in continuità riuscito: i creditori hanno accettato una decurtazione in cambio della prosecuzione dell’impresa (che resta loro cliente/fornitore) e di un recupero migliore del fallimento. I dipendenti hanno in gran parte conservato il posto (solo 20 esuberi gestiti con ammortizzatori e TFR pagato per intero). Lo Stato ha incassato più IVA di quanto avrebbe ottenuto liquidando Beta. L’imprenditore originario ha perso la maggioranza societaria ma l’azienda da lui fondata è salva e lui rimane come direttore tecnico con il nuovo socio.

Caso 3: Concordato preventivo liquidatorio
La Gamma S.r.l. gestisce una catena di negozi al dettaglio. Purtroppo l’avvento dell’e-commerce e due anni di pandemia l’hanno gravata di perdite irreversibili. Gamma cessa l’attività nel 2024; i debiti ammontano a 3 milioni € (inclusi affitti arretrati, fornitori e debiti bancari chirografari). Non vi è prospettiva di ripresa, ma possiede ancora asset: merci in magazzino per 0,5 mln, un negozio di proprietà del valore di 1 mln, e crediti verso clienti per 0,2 mln. I soci di Gamma non vogliono dichiarare fallimento e perdere il controllo della liquidazione, preferiscono tentare un concordato preventivo liquidatorio per chiudere la vicenda in modo ordinato. Nel piano propongono di vendere subito l’immobile (hanno già una manifestazione di interesse per 1 mln da un investitore) e liquidare le merci attraverso un saldo e stralcio con un liquidatore specializzato (si prevede ricavare 0,3 mln netti). Con queste risorse (1,3 mln) offrono ai creditori chirografari circa il 25% del dovuto. Per rispettare la legge, i soci versano anche 100k € di finanza esterna (pari a ~10% dell’attivo di bilancio che era 1 mln). Così facendo, garantiscono che i creditori percepiranno più di quanto ricaverebbe un curatore (perché il 10% apporto in più va ai creditori). L’attestatore conferma che la percentuale minima 20% è superata e che i valori di realizzo sono attendibili. Presentato il concordato, i creditori (in prevalenza fornitori e locatori) votano a favore, confidando di incassare 0,25€ per ogni € di credito entro 1 anno, mentre temono che in fallimento sarebbe molto lungo e magari con esiti peggiori. Il tribunale omologa il concordato liquidatorio di Gamma nel 2025. Viene nominato un Liquidatore giudiziale (spesso lo stesso commissario) che cura la vendita dell’immobile (che va a buon fine a 1 mln) e la liquidazione di merci e crediti. Nel frattempo gli amministratori cessano l’attività commerciale (negozi chiusi) ma collaborano col liquidatore. Entro il 2026 il liquidatore raccoglie 1,3 mln + 100k dei soci = 1,4 mln e li distribuisce ai creditori chirografari (che erano 3 mln, prendono circa 46% alla fine, più del 25% stimato grazie a qualche realizzo migliore). Ad operazioni ultimate, Gamma viene cancellata. – Questo scenario mostra un concordato meramente liquidatorio: l’azienda è stata chiusa, i creditori hanno ottenuto un recupero modesto ma dignitoso in tempi relativamente brevi (2 anni) e i soci, mettendo un piccolo contributo, hanno evitato un fallimento e relative azioni di responsabilità (spesso i soci accettano di mettere soldi proprio per chiudere in concordato e non subire conseguenze). Il 20% minimo era condizione di legge e qui superata; i creditori hanno apprezzato la presenza del 10% di apporto soci come segnale di buona fede. Un eventuale creditore dissenziente non poteva pretendere di più poiché il piano dava già oltre il minimo e comunque quanto ricavabile realisticamente. In casi come Gamma, il concordato liquidatorio è quasi un’alternativa concordata al fallimento: i creditori preferiscono perché costa meno e incassano prima e i soci evitano il disonore del fallimento.

Caso 4: Accordo di ristrutturazione con banche (accordo 182-bis)
La Delta S.p.A. è un’azienda edilizia che nel 2022 ha completato l’ultima grande opera, ma rimane con un indebitamento bancario elevato (10 milioni € verso 5 banche) e un mercato in flessione che rende difficile nuovi lavori. Non è formalmente insolvente, ma rischia di diventarlo nei prossimi anni se deve restituire i prestiti alle scadenze attuali. I debiti verso fornitori e altri sono contenuti (1 milione €, che può gestire). Delta decide di negoziare un accordo di ristrutturazione del debito focalizzato sulle banche, che rappresentano il 90% del debito. Nel 2023 assume un advisor finanziario e presenta alle banche un piano: prevede di vendere alcuni terreni non utilizzati per ricavare 3 milioni €, riducendo parte dell’esposizione, e chiede per i restanti 7 milioni una rischedulazione decennale con taglio del 20% (quindi rimborserà 5,6 mln in 10 anni). Le banche, dopo varie due diligence, concordano che recupereranno più così che pignorando i pochi asset di Delta. Entro fine 2023 Delta ottiene le adesioni scritte di 4 banche su 5, che rappresentano l’80% dei 10 mln (quindi >60%). La quinta banca (che ha il 20%) non firma perché preferirebbe alienare il proprio credito. Delta decide di procedere comunque chiedendo al tribunale l’omologa di un accordo esteso a tutte le banche: soddisfa le condizioni dell’art. 61 CCII, perché tutte e 5 le banche appartengono a categoria omogenea, il 80% ha aderito (oltre soglia 75%), i non aderenti (la banca dissenziente) riceveranno comunque non meno di quanto avrebbero in un fallimento (attestato), e sono stati informati e inclusi nelle trattative. Delta notifica l’accordo firmato dalle 4 banche alla quinta e deposita domanda di omologa. La quinta banca fa opposizione lamentando che non vuole aspettare 10 anni per avere il suo 80%. Il tribunale però verifica che in liquidazione Delta forse non pagherebbe più del 50% alle banche (per via di scarsi asset), quindi l’accordo che ne paga l’80% è migliorativo; inoltre la banca era stata invitata alle trattative e ha rifiutato per ragioni non ragionevoli. Pertanto, a maggio 2024 il tribunale omologa l’accordo di ristrutturazione e ne estende gli effetti alla banca non aderente. Ciò significa che quell’istituto è vincolato a quanto previsto: incasserà 80% del suo credito in 10 anni, come le altre banche. Non può agire legalmente altrimenti (se provasse un decreto ingiuntivo, l’accordo omologato è titolo che lo paralizza). Delta, liberata dal 20% di debiti e con scadenze lunghe, torna sostenibile. Continua la sua attività su scala ridotta, ma riesce a pagare regolarmente le rate alle banche e soddisfa per intero i fornitori estranei (grazie anche ai 3 mln incassati dalla vendita terreni, in parte usati upfront per dare un acconto alle banche e pagare i fornitori). I creditori estranei (fornitori) erano fuori dall’accordo ma sono stati pagati subito e integralmente, come richiesto dalla legge. Delta evita così il fallimento e con il tempo migliora la propria reputazione potendo onorare i debiti verso banche secondo il nuovo calendario. – Questo esempio mostra un tipico accordo 182-bis con banche e l’utilità dell’efficacia estesa: senza quella norma, la banca dissenziente col 20% avrebbe potuto mandare a monte l’operazione (magari pignorando conti o chiedendo fallimento); invece, grazie alla legge, la volontà dell’80% prevale e anche la minoranza è obbligata ad accettare la ristrutturazione (purché trattata equamente). Notare che Delta preferisce questo iter rispetto a un concordato: nel concordato avrebbe dovuto coinvolgere anche i fornitori e formalizzare tutto, invece ha potuto negoziare solo con le banche, e i fornitori li ha pagati normalmente (evitando di intaccare rapporti commerciali). Dunque ha tenuto la questione confinata al ceto bancario. L’accordo omologato viene pubblicato ma la sua pubblicità è limitata, e soprattutto l’azienda non è qualificata come “in procedura concorsuale”, quindi meno stigma.

Caso 5: Piano attestato di risanamento
La Epsilon S.r.l. è un’impresa di design che nel 2024 attraversa una crisi di liquidità dovuta a investimenti di espansione rivelatisi prematuri. Ha debiti per 2 milioni €, in particolare 1,2 verso banche (mutui e castelletto anticipi) e 0,8 verso fornitori, però il business è ancora buono e ha ordini consistenti per il 2025. Epsilon è in grado di ripagare integralmente tutti se ottiene tempo e magari un taglio parziale interessi. Non è insolvente conclamata, ma rischia di diventarlo se i creditori agiscono. Invece di attivare procedure, l’amministratore prepara un piano di risanamento su 3 anni: prevede di cedere alcune partecipazioni non strategiche per incassare 0,5 mln, ridurre i costi del 15% e utilizzare la liquidità generata dagli ordini futuri per rientrare gradualmente del debito. Offre alle banche un rifinanziamento: allungamento di 2 anni sui mutui e conversione di metà degli affidamenti a breve in finanziamento a medio termine. Ai fornitori propone di pagare lo scaduto in 6 rate trimestrali (in pratica in 18 mesi salda gli arretrati). Nessun creditore subirebbe un vero stralcio, solo tempi maggiori (e per le banche un minore rischio default, scambiato con un po’ di interessi in più sul periodo). Epsilon incarica un esperto indipendente di attestare il piano: questi verifica il portafoglio ordini, la validità delle misure di efficienza e redige una relazione che conferma che il piano è realistico e consentirà il risanamento integrale in 3 anni. Uno snodo: c’è un fornitore “chiave” di Epsilon che ha un grosso credito (0,3 mln) e, pur stimando Epsilon, è tentato di agire legalmente perché ha a sua volta problemi. Dopo trattative, accetta il piano, ma a condizione di ricevere un pegno su alcuni beni a garanzia delle dilazioni. Epsilon concede un pegno su macchinari, espressamente previsto dal piano e menzionato dall’attestatore come necessario. Normalmente, un pegno concesso a creditore in una fase di potenziale insolvenza sarebbe revocabile in fallimento (pegno revocabile se costituito in periodo sospetto su crediti preesistenti). Ma qui interviene la protezione: il pegno è concesso in esecuzione del piano attestato, quindi se anche Epsilon fallisse poi, quel pegno non sarebbe revocabile (salvo collusione, che non c’è). Ciò ha convinto il fornitore. Nel 2025, Epsilon esegue puntualmente il piano: incassa 0,5 mln dalla vendita partecipazioni e inizia a pagare i fornitori a rate trimestrali; con le banche firma nuovi patti di rientro e rimodula i fidi. Il mercato riparte bene e Epsilon acquisisce nuovi clienti, migliorando la cassa. Nel 2027, alla fine del piano, tutti i creditori sono stati pagati integralmente secondo il calendario concordato. L’azienda è salva e con credibilità accresciuta (ha onorato gli impegni). Nessuna procedura concorsuale è stata aperta; i dipendenti, i fornitori e i clienti probabilmente non hanno nemmeno percepito la crisi perché l’azienda ha continuato a operare regolarmente. – Questo caso illustra il tipico piano attestato di risanamento, dove l’imprenditore evita lo stigma e i costi di un concordato, ottenendo risultati analoghi (ristrutturare il debito) tramite accordi privatistici con i creditori, ma col valore aggiunto della “attestazione” che rassicura i creditori sulla fattibilità. Il fornitore ha accettato grazie anche alle garanzie legali (sapendo che i pagamenti e il pegno ricevuti non potranno essergli tolti, perché coperti dall’art. 67 esenzioni). Se, mettiamo, nel 2025 Epsilon comunque fosse fallita, quel fornitore avrebbe potuto trattenere i macchinari pignorati col pegno fino a concorrenza del suo credito, senza temere l’azione revocatoria, poiché l’atto era coerente col piano attestato. Anche Epsilon come amministratori ha agito con diligenza e quindi non avrebbe colpe per un eventuale fallimento successivo (anzi, aver tentato un piano riduce il rischio di imputazioni per tardività o mala gestio). Qui il piano è riuscito, mostrando come uno strumento “soft” può risolvere crisi iniziali.

Caso 6: Concordato semplificato post-composizione negoziata
La Zeta S.r.l. è un’impresa commerciale travolta da debiti durante il 2022-23. Nel 2024 tenta la composizione negoziata: l’esperto però constata che la crisi è troppo profonda per un risanamento in continuità (l’attività non genera più utili). Durante le trattative, nessun investitore si fa avanti e i creditori non accettano stralci che l’impresa possa sostenere: l’unica prospettiva è liquidare tutto. L’esperto, nella relazione finale di settembre 2024, dichiara che non è stato individuato alcun accordo ma che l’imprenditore ha collaborato e c’è la possibilità di vendere l’intero magazzino e alcuni asset a un compratore interessato, ricavando forse il 40% per i creditori. Entro 60 giorni, la Zeta S.r.l. propone al tribunale un concordato semplificato: allega un piano di liquidazione con cessione in blocco dell’azienda (fondamentalmente il magazzino e il marchio) a un competitor già individuato che paga 500k €, da distribuirsi ai creditori. I debiti totali di Zeta sono 1,2 mln, quindi la proposta prevede circa 500k/1,2 mln = 41% ai creditori chirografari, in unica soluzione entro 6 mesi dall’omologa (non ci sono creditori privilegiati perché dipendenti e Fisco sono stati pagati con priorità durante la negoziazione sfruttando parte degli incassi rimasti). Il commissario nominato esamina che l’offerta dell’acquirente è seria e non c’erano opzioni migliori (nessuna asta produce di più), e che i creditori in un fallimento avrebbero probabilmente preso molto meno (forse 20%). In udienza, alcuni fornitori esprimono rabbia per il fallimento del negoziato e diffidenza, ma il tribunale verifica che nessuno subisce un pregiudizio: anzi, il 41% immediato supera il presumibile 20% in caso di fallimento. Così, a gennaio 2025, il tribunale omologa il concordato semplificato liquidatorio. Non c’è stata votazione, quindi anche i creditori contrari devono accettare. A febbraio, Zeta cede formalmente l’azienda all’acquirente (senza aste, come permesso), incassa i 500k € che vanno al commissario-liquidatore. Quest’ultimo, dedotte le spese minime, ripartisce ad aprile 2025 ai creditori chirografari il 40%. Dopodiché Zeta S.r.l. viene cancellata. I creditori, seppur non soddisfatti al 100%, riconoscono di aver ricevuto qualcosa in tempi rapidi; se fossero andati a fallimento magari avrebbero atteso anni e forse il competitor avrebbe ritirato l’offerta nel frattempo facendo calare il valore del magazzino. – Questo scenario evidenzia l’utilità del concordato semplificato: Zeta ha potuto chiudere la partita in pochi mesi, monetizzando l’azienda senza procedure competitive (che avrebbero potuto scoraggiare l’unico interessato a comprare per intero). I creditori, pur non coinvolti nel voto, non hanno potuto opporsi efficacemente perché la proposta rispettava i loro interessi minimi (nessuno prendeva meno di quanto in liquidazione giudiziale). L’imprenditore ha potuto evitare la dichiarazione di fallimento e relative conseguenze (interdizioni, etc.), grazie al fatto di aver percorso la via negoziale prima. Il competitor ha acquistato rapidamente gli asset, integrandoli e salvando magari qualche posto di lavoro (non menzionato, ma se ha rilevato l’azienda avrà assorbito parte del personale, se interessato, con notevoli vantaggi in termini di continuità). Questo concordato semplificato è stata davvero l’ultima spiaggia ma ha funzionato come valvola di sicurezza dopo il fallimento delle trattative.


Questi esempi coprono diverse situazioni, dimostrando nella pratica l’utilizzo calibrato degli strumenti di risanamento e le relative conseguenze. Ovviamente ogni caso reale ha le sue peculiarità, ma le logiche illustrate restano valide come riferimento.

Fonti normative e giurisprudenziali citate

(Elenco completo delle principali fonti richiamate nella guida, con indicazione di riferimenti normativi e sentenze menzionate.)

Normativa:

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (CCII), entrato in vigore il 15 luglio 2022, come modificato dal D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (primo correttivo), dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e D.Lgs. 16 marzo 2023, n. 18 (recepimento Dir. UE 2019/1023, c.d. “secondo correttivo”, indicato anche come D.Lgs. 83/2022), e dal D.Lgs. 15 luglio 2023, n. 136 (“terzo correttivo”). Articoli citati: artt. 17-25 e 25-bis CCII (Composizione negoziata della crisi e misure premiali); art. 25-sexies CCII (Concordato semplificato per la liquidazione); artt. 40-48 CCII (Domanda di concordato “con riserva” e procedimento); art. 84 CCII (Tipologie di concordato preventivo: continuità vs liquidatorio; “valore di liquidazione” e distribuzione); art. 88 CCII (Trattamento dei crediti fiscali e contributivi nel concordato preventivo, incl. cram-down); art. 89 CCII (Sospensione degli obblighi di riduzione del capitale sociale per perdite durante concordato/accordo); artt. 94-96 CCII (Effetti del concordato sui contratti in corso; facoltà di scioglimento/sospensione); artt. 112-114 CCII (Omologazione del concordato preventivo, voto classi dissenzienti, cram-down interclasse); artt. 57-64 CCII (Accordi di ristrutturazione dei debiti e loro omologazione); art. 60 CCII (Accordo di ristrutturazione agevolato con adesioni 30%); art. 61 CCII (Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa); art. 63 CCII (Trattamento dei crediti tributari e previdenziali negli accordi; cram-down fiscale); art. 56 CCII (Piano attestato di risanamento: definizione e requisiti); art. 324 CCII (Esenzioni penali per atti in esecuzione di piano attestato); art. 166 e art. 167 CCII (Esenzione da azioni revocatorie per atti, pagamenti e garanzie in esecuzione di piani attestati di risanamento).
  • Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 147/2021 – Introduzione della Composizione negoziata e misure urgenti per il risanamento. Articoli rilevanti: art. 2 (Piattaforma telematica e nomina esperto); art. 6 (Misure protettive su istanza dell’imprenditore); art. 8 DL 118/2021 (Sospensione degli obblighi ex artt. 2446-2447 c.c. durante composizione negoziata); art. 11 (Concordato semplificato per liquidazione del patrimonio).
  • Codice Civile – artt. 2446, 2447 c.c. e analoghi 2482-bis, 2482-ter c.c. (riduzione capitale per perdite; obblighi assemblea); art. 2484 c.c. n.4 e 2545-duodecies c.c. (cause scioglimento società per perdite rilevanti); art. 1372 c.c. e 1411 c.c. (principio relatività contratto – derogato negli accordi ad efficacia estesa); art. 2560 c.c. (responsabilità acquirente d’azienda per debiti azienda cedente).
  • Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267, ormai abrogata salvo disposizioni transitorie) – per riferimenti storici: art. 67 co.3 lett. d) L.F. (piani attestati esenzione revocatoria); art. 182-bis L.F. (accordi ristrutturazione 60%); art. 182-septies L.F. (accordi ad efficacia estesa banche 75%); art. 182-ter L.F. (transazione fiscale); art. 160-186-bis L.F. (concordato preventivo in continuità); art. 186-bis L.F. (definizione concordato in continuità diretta/indiretta e obblighi almeno 20% se liquidatorio); art. 169-bis L.F. (sospensione/scioglimento contratti in corso nel concordato) – ora trasfuso in art. 94 CCII.
  • Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR) – DPR 22 dicembre 1986 n. 917: art. 88 co. 4-ter TUIR (esenzione sopravvenienze attive da riduzione debiti in concordato, accordo o piano attestato); art. 101 co. 5 TUIR (deducibilità perdite su crediti in procedure concorsuali e accordi).
  • DPR 26 ottobre 1972, n. 633 (IVA) – art. 26 co. 3-bis (nota di variazione IVA immediata per crediti non riscossi in concordato preventivo omologato, accordo omologato o piano attestato pubblicato).
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019 – (Direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza) – recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 18/2023. Concetti recepiti: early warning (allerta), piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO), cross-class cram down (omologazione forzata nonostante dissenso classi), protezione new financing e pre-financing.

Giurisprudenza:

  • Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521 – (Caso Mazzoni): pronuncia storica sui limiti del controllo giudiziale nel concordato preventivo. Ha stabilito distinzione fra fattibilità giuridica (sindacabile dal giudice) e fattibilità economica (riservata ai creditori) e che il giudice omologante deve valutare la fattibilità economica solo in termini di “non manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati”. Principio recepito nel CCII. Ha anche definito il ruolo dell’attestatore come garante della veridicità dei dati e attendibilità delle previsioni.
  • Cass., Sez. I, 15 gennaio 2020, n. 734 – (Concordato con continuità “mista”): ha affermato che qualora un concordato preveda in parte la liquidazione di beni e in parte la prosecuzione dell’attività, si applica la disciplina del concordato in continuità aziendale, senza necessità di prevalenza quantitativa della parte continuativa. La sentenza spiega che l’art. 186-bis L.F. (ora art. 84 CCII) considera continuità anche l’ipotesi in cui solo una porzione dell’azienda prosegua, purché funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
  • Cass., Sez. I, 15 giugno 2023, n. 17092 – (Pres. Genovese, Rel. Amatore): ha stabilito che per l’accesso al concordato in continuità diretta è indispensabile che l’azienda sia in esercizio effettivo al momento della domanda e al momento dell’eventuale cessione a terzi, e che non basta una mera prospettiva di riattivazione futura se l’attività era cessata completamente. Ha quindi confermato che in un caso di impresa ferma da tempo, senza dipendenti e con attività diversa solo ipotizzata, non si può qualificare il concordato come “in continuità” (richiedendo quindi di rispettare le regole del concordato liquidatorio, incluso il 20% ai chirografari). Principio di diritto: “Anche nel concordato con continuità aziendale diretta, il requisito della continuità richiede che l’azienda sia in esercizio (da parte del debitore o di un terzo) tanto al momento dell’ammissione quanto al momento dell’eventuale trasferimento programmato; non rileva la sola potenziale riattivabilità futura”.
  • Cass., Sez. I, 6 giugno 2023, n. 15790 – ha fissato alcuni principi in tema di concordato preventivo in continuità, in particolare ribadendo i criteri di convenienza e merito della proposta. (Si evince dal massimario che ha richiamato il decreto del 2021 sul cram-down fiscale per affermare competenza del tribunale fallimentare sulla valutazione della convenienza del voto erariale). Inoltre ha ricordato i parametri per valutare il trattamento dei crediti fiscali e contributivi con cram-down: adesione determinante e convenienza attestata.
  • Cass., Sez. I, 23 novembre 2023, n. 35423 – ha ribadito l’obbligo per il tribunale di valutare la fattibilità del concordato con continuità alla luce del “valore di liquidazione” ex art. 84 co.6 CCII, e di verificare in sede di omologa che i creditori non ricevano meno di tale valore (best interest test), anche se la proposta non è approvata da tutte le classi. Si inserisce nel filone del recepimento del cram-down interclasse.
  • Tribunale di Milano, sez. fall., 28 aprile 2022 – (caso di composizione negoziata): ha affermato che, qualora un imprenditore richieda nuovamente misure protettive dopo un primo periodo di 4+4 mesi, senza sostanziali prospettive di soluzione, le misure non possono essere ulteriormente prorogate, per evitare un uso dilatorio e incoerente con la finalità della norma. In pratica, i giudici milanesi hanno negato un’estensione delle misure protettive a una seconda composizione negoziata presentata a breve distanza, tracciando un limite all’abuso dello strumento.
  • Tribunale di Roma, sez. fall., 8 settembre 2022 – (composizione negoziata – misure protettive): ha stabilito che le misure protettive concesse nella composizione negoziata non possono essere “convertite” in misure cautelari dopo la chiusura delle trattative per conservare i loro effetti, poiché ciò eccederebbe la durata massima prevista dalla legge e la natura dello strumento. Ha dunque rigettato un’istanza di prolungare gli effetti protettivi oltre il termine, ritenendo la legge chiara nel porre un limite.
  • Corte di Cassazione, Sez. Un., 25 febbraio 2021, n. 8500 – (transazione fiscale e cram-down): le Sezioni Unite hanno sancito la giurisdizione del giudice fallimentare (tribunale) nel sindacare l’eventuale irragionevolezza del diniego dell’amministrazione finanziaria alla transazione fiscale, ai fini del cram-down. Questo orientamento è stato in seguito tradotto in norma dal DL 125/2020 e dal CCII (consentendo appunto l’omologazione forzata).
  • Cass., Sez. I, 17 maggio 2019, n. 13335 – (piano attestato e revocatoria fallimentare): ha affermato che l’esenzione da revocatoria per gli atti esecutivi del piano attestato opera a condizione che il piano sia idoneo e che non vi sia dolo o collusione. Ha inoltre escluso che l’esenzione copra atti compiuti fuori dall’attuazione del piano o in caso di radicale inattuabilità sopravvenuta (coerentemente con art. 67 co.3 lett.d L.F. e ora art. 166 CCII).
  • Tribunale di Bologna, 21 luglio 2022 – (accordo di ristrutturazione e creditori estranei): in applicazione dell’art. 61 CCII, ha negato l’estensione degli effetti dell’accordo a creditori non aderenti di natura diversa da banche, evidenziando che la norma attuale circoscrive l’efficacia estesa alle categorie omogenee informate e solo per banche e intermediari (la massima evidenzia che i creditori estranei diversi non sono toccati e possono fare opposizione limitatamente all’estensione).
  • Cass., Sez. I, 30 gennaio 2017, n. 2347 – (accordo di ristrutturazione e trattamento creditori estranei): ha confermato che nel vecchio art. 182-bis L.F. i creditori estranei devono essere pagati entro 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza naturale, pena l’inammissibilità dell’accordo. Questo principio è riportato anche nell’art. 57 CCII e la Cassazione lo ha ribadito, sottolineando che se il debitore intende avvalersi dell’accordo “agevolato” al 30% deve rinunciare a tale moratoria (norma poi recepita nell’art. 60 CCII).
  • Cass., Sez. I, 9 ottobre 2023, n. 28232 – (compensazione in concordato preventivo): ha stabilito che in caso di concordato preventivo i creditori bancari non possono utilizzare in modo arbitrario la compensazione “impropria” tra saldi di conto corrente e affidamenti, se ciò altera la par condicio, salvo quanto consentito dall’art. 56 L.F. (ora art. 150 CCII). Sentenza che tutela l’equilibrio tra creditori, citata per indicare come questioni come le compensazioni siano state risolte dalla giurisprudenza pro-concordato.

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Cosa si intende per risanamento aziendale

🧩 Il risanamento è un processo strutturato per rimettere in equilibrio l’impresa, attraverso:

  • Taglio dei costi e razionalizzazione delle spese
  • Rinegoziazione dei debiti e degli impegni con i creditori
  • Protezione del patrimonio da aggressioni esterne
  • Recupero della redditività aziendale con un piano di rilancio
  • Ricorso a strumenti legali previsti dal Codice della Crisi

📌 L’obiettivo non è solo “sopravvivere”, ma ritrovare sostenibilità e continuità operativa.

I principali strumenti di risanamento previsti dalla legge

Composizione negoziata della crisi
🔹 Procedura volontaria e riservata per trattare con i creditori sotto tutela di un esperto
🔹 Consente misure protettive e cautelari per bloccare le aggressioni

Accordi di ristrutturazione dei debiti
🔹 Intesa formale con creditori qualificati, omologabile dal tribunale
🔹 Valida anche per evitare la segnalazione nella Centrale Rischi

Concordato semplificato o preventivo
🔹 Soluzione per imprese gravemente indebitate, con possibilità di continuità
🔹 Approvazione semplificata con protezione giudiziaria

Liquidazione controllata
🔹 Per uscire dall’impasse con trasparenza e tutela, quando non c’è più margine di recupero
🔹 Evita il fallimento tradizionale e responsabilità personali

📍 Ogni strada ha condizioni specifiche. Serve una valutazione tecnica e strategica.

Quando iniziare un processo di risanamento

🛑 Prima che sia troppo tardi. I segnali da non ignorare:

  • Ritardi costanti nei pagamenti
  • Conti pignorati o fidi revocati
  • Debiti fiscali e previdenziali fuori controllo
  • Calo grave del fatturato e della liquidità
  • Richieste aggressive da parte di fornitori o banche

📌 La tempestività è spesso la differenza tra risanare e chiudere.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza lo stato reale della crisi e i margini di risanamento
📑 Ti guida nella scelta della procedura più adatta (negoziata, concordato, accordi)
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto della crisi e ristrutturazione aziendale
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di PMI, Srl e ditte individuali

Conclusione

Il risanamento non è solo possibile. È previsto dalla legge.
Ma serve volontà, tempismo e la guida giusta.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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