Intimazione Di Pagamento Notificata Dopo 5 O 10 Anni Dalla Cartella

Hai ricevuto un’intimazione di pagamento dall’Agenzia delle Entrate Riscossione per una vecchia cartella esattoriale notificata 5 o 10 anni fa? Ti stai chiedendo se sia ancora valida o se invece puoi difenderti perché il debito è prescritto?

Molti contribuenti si trovano a ricevere atti di riscossione dopo molti anni, ma non sempre l’Agenzia ha il diritto di pretendere il pagamento. In alcuni casi, infatti, la cartella è ormai prescritta e l’intimazione può essere impugnata e annullata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in riscossione esattoriale, contenzioso tributario e tutela del contribuente – ti spiega cosa succede se ricevi un’intimazione di pagamento a distanza di molti anni, quando puoi contestarla e cosa fare per proteggerti legalmente.

Cos’è un’intimazione di pagamento?
È un atto con cui l’Agenzia delle Entrate Riscossione ti intima a pagare entro 5 giorni il debito indicato in una precedente cartella esattoriale. Serve a riattivare la procedura esecutiva: se non paghi o non contesti, il passo successivo può essere il pignoramento del conto, dello stipendio o dei beni.

È valida anche dopo molti anni dalla cartella?
Dipende. Se tra la notifica della cartella e l’intimazione di pagamento sono passati 5 o più anni senza alcun altro atto interruttivo, il debito potrebbe essere prescritto. La prescrizione varia in base alla natura del debito (fiscale, previdenziale, contravvenzionale), ma nella maggior parte dei casi va da 5 a 10 anni.

L’Agenzia deve dimostrare di aver interrotto la prescrizione?
Sì. Se ricevi un’intimazione dopo molti anni, hai diritto a chiedere all’Agenzia di esibire gli atti interruttivi. Se non esistono, o non ti sono mai stati notificati, puoi impugnare l’intimazione entro 60 giorni e chiederne l’annullamento per intervenuta prescrizione.

Cosa fare se ricevi un’intimazione dopo anni?
Non pagare subito. Prima di tutto, fai verificare la cartella e la data della notifica. Con l’assistenza di un legale, puoi:
– controllare se i termini sono scaduti,
– chiedere copia degli atti interruttivi,
– presentare un ricorso al giudice tributario o un’istanza in autotutela per far dichiarare nullo l’atto.

Hai ricevuto un’intimazione di pagamento su una cartella notificata anni fa?
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Introduzione

Ricevere un’intimazione di pagamento molti anni dopo la notifica di una cartella esattoriale può cogliere di sorpresa sia gli imprenditori sia i professionisti legali che li assistono. Questa guida giuridica avanzata – aggiornata a maggio 2025 – fornisce un’analisi tecnica ma accessibile di cosa accade quando un’intimazione di pagamento viene notificata a 5 o 10 anni di distanza dalla cartella di pagamento originaria.

Cosa troverete in questa guida? Verranno esaminati tutti i principali aspetti giuridici connessi a un’intimazione “tardiva”, includendo:

  • Il quadro normativo italiano rilevante (con riferimenti al nuovo Testo Unico della riscossione emanato nel 2025).
  • I concetti chiave di decadenza e prescrizione applicati a tutti i tipi di tributi, siano essi erariali (statali) o locali.
  • Le prassi operative dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione e le novità introdotte negli ultimi anni.
  • La giurisprudenza più aggiornata: sentenze della Corte di Cassazione (comprese Sezioni Unite), Corte Costituzionale, Corte dei Conti e, se pertinente, della Corte di Giustizia UE.
  • Le implicazioni civilistiche, amministrative e penali legate alla riscossione tardiva di tributi (prescrizione del debito, responsabilità per mancata riscossione, eventuali reati tributari correlati).
  • Una sezione pratica su come impugnare un’intimazione tardiva, con indicazione di motivi validi di ricorso, termini da rispettare, procedura passo-passo e indicazione della giurisdizione competente a decidere.
  • Tabelle riepilogative con i termini di decadenza e prescrizione per ogni tipologia di tributo e atto, per un riferimento rapido.
  • Casi pratici e simulazioni che illustrano scenari tipici (ad es. cartella per un tributo locale notificata 10 anni fa e intimazione arrivata oggi) e come risolverli.
  • Una sezione di FAQ (Domande frequenti) con risposte chiare alle domande più comuni su questo tema.
  • Una sezione finale con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate o utilizzate, così da consentire approfondimenti ulteriori e verificare i riferimenti (tutti aggiornati al 2025).

Lo stile della guida è tecnico-divulgativo: verrà utilizzato un linguaggio giuridico preciso (citando norme e sentenze), ma con spiegazioni e schemi che ne rendano i contenuti comprensibili anche a chi, pur operando nel settore dell’economia o dell’impresa, non ha una formazione strettamente giuridica. I paragrafi sono brevi e focalizzati, con titoli e sottotitoli chiari per facilitare la consultazione.

Iniziamo definendo cosa si intende esattamente per intimazione di pagamento e qual è la sua funzione nel procedimento di riscossione coattiva.

Nozione e funzione dell’intimazione di pagamento

Cos’è un’intimazione di pagamento? Si tratta di un atto formale emesso dall’Agente della Riscossione (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) con cui si intima al debitore il pagamento di somme iscritte a ruolo, già richieste in precedenza con una cartella esattoriale (o altro atto esecutivo equivalente), entro un termine breve (solitamente 5 giorni). In altre parole, è un ultimatum inviato al contribuente prima di procedere con l’esecuzione forzata (pignoramenti, fermi, ipoteche). La base giuridica tradizionale di questo atto era l’art. 50 del D.P.R. 602/1973, il quale stabiliva che, “se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, questa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni”. Tale avviso è comunemente chiamato “intimazione di pagamento” (in passato era noto anche come “avviso di mora”, terminologia usata prima della riforma del 1999).

Funzione dell’atto: L’intimazione di pagamento ha una duplice funzione principale:

  1. Sollecitare il pagamento: mette formalmente in mora il debitore, dandogli un’ultima opportunità di pagare spontaneamente entro 5 giorni. È quindi un atto che mira a evitare l’espropriazione forzata, spingendo il contribuente moroso a saldare il debito in extremis.
  2. Condizione per procedere all’esecuzione forzata: per legge, se è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella senza che sia iniziata l’esecuzione, l’Agente della Riscossione deve notificare l’intimazione prima di poter avviare il pignoramento o altre azioni esecutive. In assenza di questa intimazione “preventiva”, qualunque atto esecutivo intrapreso dopo lungo tempo dalla cartella risulterebbe illegittimo e annullabile. In altre parole, l’intimazione funziona come un atto propedeutico obbligatorio: l’omessa intimazione rende nullo l’eventuale pignoramento iniziato tardivamente. Su questo punto la Cassazione è chiara nell’assimilare l’intimazione all’“avviso di mora” espressamente menzionato fra gli atti impugnabili: è un atto che «precede l’esecuzione, potendo lo stesso essere assimilato […] all’avviso previsto dall’articolo 50, comma 2, DPR 602/1973» (Cass., Sez. Unite, n. 26817/2024).

Quando viene emessa? L’Agenzia Entrate-Riscossione emette un’intimazione di pagamento tipicamente nelle seguenti circostanze:

  • Mancato pagamento dopo la cartella: se il contribuente non ha pagato nei 60 giorni dalla notifica della cartella (termine concesso per legge per il pagamento spontaneo) ed è trascorso oltre un anno senza che il concessionario abbia attivato il pignoramento. In tal caso, prima di procedere, è obbligato a intimare il pagamento con questo avviso.
  • Inattività prolungata: spesso le intimazioni vengono notificate in blocco su posizioni debitorie dormienti, ovvero cartelle notificate molti anni prima su cui, per vari motivi, non si è proceduto tempestivamente. Si pensi ad esempio a cartelle notificate 5, 6, 10 anni fa senza ulteriori solleciti: per “rianimare” la riscossione, l’Agente invia un’intimazione riepilogativa dei debiti pendenti.
  • Prima della decadenza del titolo esecutivo: l’intimazione stessa funge anche da atto interruttivo della prescrizione (come vedremo in dettaglio) e da atto preparatorio: spesso la sua notifica avviene poco prima che il credito cada in prescrizione, così da interrompere i termini prescrizionali e dare nuovo impulso alla riscossione.

Contenuto dell’atto: L’intimazione di pagamento, di solito, contiene:

  • L’elenco dettagliato dei debiti pendenti del contribuente verso l’ente creditore, con riferimento agli estremi delle cartelle/avvisi precedentemente notificati (numero di ruolo, data notifica cartella, importo originario, interessi maturati, sanzioni, ecc.).
  • L’ordine di pagamento di tali somme entro 5 giorni dalla ricezione dell’intimazione.
  • L’avvertimento che, in mancanza del pagamento entro il termine, si procederà ad esecuzione forzata senza ulteriore preavviso. Spesso vengono richiamati gli artt. 50 DPR 602/1973 e 26 (per le modalità di notifica).
  • Le informazioni su come pagare o eventualmente richiedere una rateizzazione.
  • Data e sottoscrizione dell’Agente della Riscossione.

È importante notare che l’intimazione non è un nuovo accertamento del debito né deve contenere una motivazione “aggiuntiva” sul merito della pretesa tributaria: essa fa riferimento a debiti già accertati (cartelle già notificate o atti esecutivi definitivi) e serve solo a intimare il pagamento. Proprio per questo la giurisprudenza ritiene che non occorrano particolari motivazioni aggiuntive nell’atto oltre all’elenco dei ruoli e all’ingiunzione a pagare, essendo la spiegazione del debito già contenuta negli atti originari (avvisi di accertamento o cartelle). In ogni caso, come vedremo, l’intimazione è un atto impugnabile dal contribuente, ma solo per vizi propri o per far valere vicende sopravvenute (ad es. la prescrizione maturata) e non per ridiscutere il merito del tributo già “cristallizzato”.

Differenza tra cartella di pagamento e intimazione: è bene distinguere i due atti:

  • La cartella di pagamento (o “cartella esattoriale”) è l’atto con cui si forma il titolo esecutivo per la riscossione di un tributo. Emessa a seguito di un’iscrizione a ruolo, la cartella intima per la prima volta al contribuente di pagare una certa somma entro 60 giorni e, in difetto, consente all’Agente della Riscossione di procedere forzosamente. La cartella contiene il dettaglio del debito d’imposta (o di altra natura) e delle relative addizionali, interessi, sanzioni. Se non viene impugnata entro i termini (generalmente 60 giorni), la pretesa in essa contenuta diviene definitiva e “irretrattabile” (non più contestabile nel merito).
  • L’intimazione di pagamento, come visto, interviene in un momento successivo: è un sollecito-esecuzione postumo, emesso a distanza di tempo, che non introduce nuovi importi ma richiama quelli già indicati nella cartella. Serve a riattivare il procedimento esecutivo rimasto fermo per lungo tempo. In pratica, possiamo paragonare l’intimazione ad un “atto di precetto” in ambito tributario: così come nel processo civile il precetto viene notificato al debitore prima di iniziare il pignoramento (con un termine di 10 giorni per pagare spontaneamente), analogamente nell’ambito della riscossione esattoriale l’intimazione viene notificata (dopo 1 anno di inerzia) dando 5 giorni per pagare prima di procedere coattivamente.

Va detto che, se il concessionario ha già iniziato l’esecuzione entro un anno dalla cartella (ad es. ha eseguito un pignoramento entro pochi mesi dalla cartella), non era necessaria l’intimazione. Ma se quell’esecuzione iniziale non va a buon fine o si interrompe, e trascorre oltre un anno da quell’azione senza ulteriori atti esecutivi, è prassi notificare una nuova intimazione prima di riprendere la riscossione.

Validità temporale dell’intimazione: per lungo tempo c’è stata discussione su quanto “valesse” un’intimazione una volta notificata. Fino al 2020 la normativa prevedeva che l’intimazione avesse efficacia per 180 giorni: se entro 180 giorni dalla notifica dell’intimazione non si iniziava il pignoramento, quell’atto perdeva efficacia ed era necessario notificarne un altro prima di procedere. Dal settembre 2020, per effetto del D.L. 76/2020 convertito con L. 120/2020, l’art. 50 DPR 602/73 è stato modificato ed ha esteso la validità dell’intimazione a 12 mesi (1 anno). Ciò significa che, oggi, dopo l’intimazione l’Agente ha tempo fino a un anno per avviare l’esecuzione forzata; trascorso l’anno senza pignorare, sarà necessaria una nuova intimazione per procedere. Attenzione: questo termine riguarda la validità processuale dell’atto (pena la necessità di rinnovarlo) e non interrompe di per sé la prescrizione oltre quel lasso (la prescrizione ha i suoi termini specifici di cui parleremo). In pratica: notificata un’intimazione a gennaio 2025, l’Agente potrà avviare il pignoramento fino a gennaio 2026 senza dover notificare altro; se tenta dopo tale data, il debitore potrà eccepire la mancanza di un nuovo avviso.

Riassumendo i punti chiave sull’intimazione: è un atto obbligatorio se è passato molto tempo dalla cartella, intima il pagamento entro 5 giorni, interrompe la prescrizione e ha efficacia preparatoria all’esecuzione per 1 anno. Nei prossimi capitoli, vedremo come la tardiva emissione di questo atto (dopo 5 o 10 anni dalla cartella) interagisce con i termini di decadenza e prescrizione del credito tributario.

Riferimenti normativi e prassi applicative recenti

Per comprendere appieno la disciplina delle intimazioni notificate a grande distanza di tempo, occorre inquadrare brevemente il contesto normativo di riferimento e alcune prassi adottate negli ultimi anni in materia di riscossione:

  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: rappresenta storicamente la “bibbia” della riscossione delle imposte dirette. L’art. 50, in particolare, regolava l’intimazione di pagamento (come già menzionato) e l’art. 26 disciplina le modalità di notifica degli atti di riscossione. Questo decreto, emanato negli anni ‘70, è stato nel tempo più volte modificato e integrato (notoriamente con il D.Lgs. 46/1999 che riorganizzò la riscossione, introducendo la nuova figura dell’intimazione ex art.50 al posto del precedente avviso di mora). Importante: a seguito della delega per la riforma fiscale (L. 111/2023), nel 2025 è stato emanato un Testo Unico in materia di versamenti e riscossione (D.Lgs. 24 marzo 2025, n. 33) che ha accorpato e riordinato le norme previgenti, abrogando formalmente alcuni articoli del DPR 602/73, incluso l’art. 50. Tale riordino non ha eliminato l’istituto dell’intimazione ad adempiere, che continua ad esistere (verosimilmente trasfuso in nuovi articoli del Testo Unico 2025), ma è segno di un tentativo di modernizzazione e semplificazione normativa. In questa guida continueremo a fare riferimento ai vecchi articoli (per es. art. 50 DPR 602/73) in quanto ancora comunemente utilizzati dagli operatori e dalla giurisprudenza nel 2025, specificando eventuali novità introdotte dal D.Lgs. 33/2025 quando rilevanti.
  • Normativa sui tributi locali: per i tributi degli enti locali (come IMU, TARI, TASI, ecc.) il quadro normativo è frammentato ma ha un punto cardine nella L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), commi 158-170. In particolare:
    • Il comma 161 della L.296/2006 fissa i termini di decadenza entro cui gli enti locali devono notificare gli avvisi di accertamento per tributi locali (di norma entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo avrebbe dovuto essere versato).
    • Il comma 163 prevede che, se l’ente locale notifica un avviso di accertamento (non ancora esecutivo all’epoca) e questo diviene definitivo, deve procedere alla riscossione coattiva (mediante cartella esattoriale o ingiunzione) entro specifici termini (un termine di decadenza di due anni dall’accertamento divenuto definitivo, per non far “scadere” il credito). Questa norma è rilevante quando si valuti se una cartella per tributi locali, giunta tardivamente, sia stata emessa nei termini oppure no.
    Negli ultimi anni, però, anche la riscossione locale è stata oggetto di riforma: a decorrere dal 2020, per effetto della L. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020), i comuni non emettono più cartelle per i tributi locali, ma inviano “avvisi di accertamento esecutivi”: atti che combinano accertamento e titolo esecutivo. Questi nuovi avvisi valgono anche come precetto, eliminando la necessità di notificare una cartella separata. Tuttavia, per i debiti locali degli anni precedenti (o per enti che si avvalgono ancora delle ingiunzioni fiscali previste dal R.D. 639/1910 in alternativa alle cartelle), le intimazioni di pagamento in stile DPR 602/73 possono tuttora presentarsi, specie se la riscossione coattiva è affidata all’Agenzia Entrate-Riscossione. Dunque, in questa guida tratteremo anche i tributi locali con cartelle e intimazioni “vecchio stile”, perché molti casi pratici odierni riguardano ancora ruoli degli anni 2010-2019.
  • Prassi di Agenzia Entrate-Riscossione: l’AdER (Agenzia Entrate-Riscossione) ha ereditato da Equitalia l’attività di riscossione a partire dal 1° luglio 2017. In pratica, le procedure non sono cambiate radicalmente, ma vi sono state alcune sospensioni e agevolazioni di rilievo negli ultimi anni:
    • Sospensioni COVID-19: durante l’emergenza pandemica, la riscossione è stata sospesa per lunghi periodi (da marzo 2020 fino a fine agosto 2021 le notifiche di nuovi atti esecutivi sono state congelate per legge). Ciò ha avuto effetti indiretti sui termini di prescrizione, che sono stati sostanzialmente congelati per il periodo di sospensione: in altre parole, il periodo tra 8 marzo 2020 e 31 agosto 2021 non viene conteggiato ai fini della decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei crediti tributari (per espressa previsione dei vari decreti susseguitisi). Dunque, un’intimazione notificata nel 2025 potrebbe fare riferimento a una cartella del 2015 senza che, formalmente, siano decorsi 10 anni “utili” di tempo, poiché circa un anno e mezzo è stato congelato dal legislatore emergenziale. Questo aspetto andrà tenuto presente nell’analisi della prescrizione.
    • Definizioni agevolate e stralci: dal 2016 in poi vi sono state varie “rottamazioni” delle cartelle (definizione agevolata delle somme iscritte a ruolo, con pagamento senza sanzioni e interessi) e stralci di piccoli debiti (ad esempio, l’annullamento automatico dei ruoli fino a €1.000 relativi agli anni 2000-2010 disposto dalla L. 228/2012, e un analogo stralcio per i ruoli 2000-2015 fino €1.000 previsto dalla L. 197/2022). È possibile che alcune cartelle molto vecchie siano state cancellate grazie a queste norme di favore; tuttavia, quelle di importo rilevante o non rientranti negli ambiti di condono possono essere ancora formalmente pendenti. L’Agente della riscossione, prima di notificare intimazioni su vecchi ruoli, effettua di norma un’attività di “pulizia” verificando se quei crediti sono stati oggetto di rottamazione, sospensione o annullamento. Se ricevete un’intimazione per una cartella di 10 anni fa, vale la pena controllare se per caso quel debito avrebbe dovuto essere annullato da qualche norma di stralcio: in tal caso, l’intimazione è illegittima perché il debito non è più dovuto.
    • Periodicità degli atti interruttivi: la prassi dell’Agenzia Riscossione per evitare la prescrizione è di emettere periodicamente, su debiti di importo significativo, atti che interrompano i termini. Oltre all’intimazione, possono essere inviati solleciti di pagamento (lettere meno formali, anche via PEC, che comunque esprimono una richiesta e possono valere come atti interruttivi), preavvisi di fermo amministrativo o ipoteca, o altre comunicazioni. Questi atti spezzano il decorso del tempo ai fini prescrizionali. Pertanto, se sono trascorsi 5 o 10 anni dalla cartella, bisogna verificare se davvero in quell’arco di tempo non è stato notificato alcun atto relativo a quel debito. Spesso il contribuente può non ricordare solleciti ricevuti o potrebbero esserci state notifiche per compiuta giacenza mai ritirate: l’Agente saprà però esibire le prove di eventuali notifiche interruttive. Nei casi pratici vedremo come accertarsene.
  • Giurisprudenza recente di legittimità: negli ultimi anni la Corte di Cassazione ha affrontato a Sezioni Unite alcune questioni fondamentali sui termini di prescrizione dei tributi iscritti a ruolo e sul regime delle intimazioni di pagamento. In particolare:
    • La Cassazione a Sezioni Unite nel 2016 (sent. n. 23397/2016) e poi di nuovo nel 2024 (sent. n. 11676/2024) ha chiarito la natura dei termini di prescrizione per i crediti tributari erariali e la mancata conversione in termine decennale in assenza di un giudicato. Anticipando il contenuto: la notifica di una cartella non impugnata non “trasforma” il termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale (ex art. 2953 c.c.). Solo un titolo giudiziale definitivo (es: sentenza passata in giudicato in favore del fisco) legittima l’applicazione del termine decennale ex art. 2953 c.c. In tutti gli altri casi, la prescrizione resta quella propria del tributo secondo legge.
    • Sempre le Sezioni Unite 2024 (sent. 11676/2024) hanno confermato che, salvo eccezioni di legge, i crediti tributari erariali (es. imposte statali come IRPEF, IVA, IRES) si prescrivono in 10 anni ex art. 2946 c.c., perché non rientrano tra le prestazioni periodiche annuali di cui all’art. 2948, n.4 c.c.. Ogni periodo d’imposta dà vita a un’obbligazione autonoma e non a una mera obbligazione periodica di durata.
    • Per i tributi locali, la Cassazione (orientamento prevalente, v. Cass. ord. 31260/2022) continua a ritenere applicabile la prescrizione quinquennale ex art. 2948, n.4 c.c., qualificando tributi come IMU, TARI, etc. come obbligazioni di carattere periodico (legate al possesso continuativo di un immobile, ecc.). Ad esempio, «l’ICI soggiace alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n.4 c.c., configurandosi alla stregua di un’obbligazione periodica o di durata» (Cass. 13683/2020); analogamente la TARSU è periodica e prescrivibile in 5 anni. Approfondiremo oltre queste differenze.
    • È ormai consolidato (Sez. Unite 25790/2009; Cass. 27055/2022) che sanzioni amministrative tributarie e interessi seguono termini propri di prescrizione quinquennale (5 anni), a meno che non intervenga un giudicato: le sanzioni tributarie hanno termine 5 anni per espressa previsione di legge (art. 20 D.Lgs. 472/1997) e gli interessi pure sono soggetti al termine breve di cui all’art. 2948 c.c. perché considerati obbligazioni periodiche autonome. Se però la sanzione è stata consacrata in una sentenza passata in giudicato, allora si applica l’art. 2953 c.c. e diventa decennale.
  • Giurisprudenza su impugnabilità dell’intimazione: c’è stato dibattito se l’intimazione ex art.50 DPR 602/73 fosse un atto impugnabile autonomamente dal contribuente, dato che l’art. 19 D.Lgs. 546/1992 (che elenca tassativamente gli atti impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie, ora Corti di Giustizia Tributaria) menziona espressamente l’“avviso di mora”. Oggi la questione è risolta: la Suprema Corte considera l’intimazione alla stregua dell’avviso di mora, quindi ricompresa tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario. È riconosciuta al contribuente la facoltà di impugnare immediatamente l’intimazione per contestare, ad esempio, la prescrizione del credito, senza dover attendere il pignoramento. Anzi, è opportuno farlo: secondo la Cassazione, se il contribuente non impugna l’intimazione e lascia decorrere il termine di ricorso, poi non potrà sollevare eccezioni (come la prescrizione) in sede di opposizione all’esecuzione quando verrà avviato il pignoramento. In sostanza, la mancata impugnazione cristallizza l’obbligazione così come intimata.

Dopo questo inquadramento, nei capitoli seguenti analizzeremo più da vicino i concetti di decadenza e prescrizione applicati ai tributi, con particolare riguardo a cosa succede quando un’intimazione di pagamento arriva a distanza di 5 o 10 anni dalla cartella iniziale.

Decadenza e prescrizione nei tributi: definizioni e differenze

Prima di addentrarci nei termini specifici per i diversi tributi, è fondamentale comprendere bene cosa si intende per decadenza e per prescrizione in ambito tributario, poiché i due concetti – sebbene entrambi attinenti allo scorrere del tempo – hanno significati e implicazioni diverse.

  • Decadenza: indica la perdita di un diritto o potere per il mancato esercizio entro un termine perentorio stabilito dalla legge. Nel nostro contesto, la decadenza riguarda tipicamente i termini entro cui l’Amministrazione finanziaria deve compiere determinati atti, pena la perdita del potere di emetterli. Ad esempio, la legge fissa il termine entro cui l’ente impositore deve notificare un avviso di accertamento o una cartella di pagamento: se tale termine scade senza che l’atto sia stato notificato, l’ente decade dal potere di accertare/riscutere quel tributo per quell’anno. La decadenza ha carattere assoluto: una volta decorso il termine decadenziale, l’atto emesso tardivamente è nullo (annullabile dal giudice su eccezione del contribuente, e in alcuni casi rilevabile d’ufficio). Importante: la decadenza non è sospendibile né interruttibile salvo eccezioni di legge – il termine decorre inesorabile. Inoltre, la decadenza spesso è rilevabile d’ufficio dal giudice (soprattutto in materia tributaria, essendo legata a limiti legali del potere impositivo), mentre la prescrizione – come vedremo – deve essere eccepita dalla parte interessata.
  • Prescrizione: è l’istituto generale (disciplinato dal codice civile agli artt. 2934 ss. c.c.) per cui un diritto si estingue se il titolare non lo esercita entro un determinato periodo di tempo. In ambito tributario, quando si parla di prescrizione ci si riferisce in genere al termine entro cui un credito fiscale può essere validamente riscosso, ovvero il tempo massimo oltre il quale il contribuente può opporsi al pagamento sostenendo che il credito è “prescritto”. A differenza della decadenza, la prescrizione è di norma interruttibile e sospendibile: certi atti (es. una intimazione di pagamento, un sollecito, un atto di pignoramento) interrompono il decorso della prescrizione, che ricomincia da capo dal giorno dell’atto interruttivo (art. 2943 c.c.). Inoltre vi possono essere cause di sospensione (periodi che non contano nel computo) previste dalla legge – un esempio l’abbiamo citato: la sospensione Covid dei termini di riscossione. La prescrizione non opera d’ufficio: significa che il debito prescritto non si “auto-annulla”, ma è il debitore che deve far valere l’eccezione di prescrizione davanti al giudice; se non la solleva, il giudice non la applicherà (principio generale ex art. 2938 c.c., valido anche nel processo tributario). Un debito prescritto diviene un’obbligazione naturale: il contribuente non può essere costretto a pagarlo, ma se paga spontaneamente non ha diritto alla restituzione.

Facciamo un esempio per chiarire la differenza: supponiamo che per l’anno d’imposta 2018 il Fisco avesse tempo fino al 31/12/2023 per notificare un avviso di accertamento (termine di decadenza quinquennale). Se notifica l’avviso nel 2024, fuori termine, quel accertamento è nullo per decadenza (anche se il contribuente non l’avesse impugnato, la decadenza potrebbe essere eccepita in ogni sede). Invece, se il Fisco emette l’accertamento nei termini e questo diventa definitivo, a quel punto c’è un credito tributario da riscuotere. Per riscuoterlo, però, l’Agente ha tempo un certo numero di anni (prescrizione): poniamo 10 anni. Se trascorrono più di 10 anni senza atti, il contribuente potrà opporsi al pagamento eccependo che il diritto di esigere è estinto per prescrizione. Se però l’Agente, entro quei 10 anni, notifica un atto (es. una intimazione dopo 5 anni), la prescrizione si interrompe e il termine di 10 anni riparte da capo dal giorno di notifica dell’atto.

In sintesi: la decadenza tutela l’interesse pubblico a una tempestiva attivazione del potere impositivo; la prescrizione tutela l’interesse del debitore a non restare obbligato a tempo indefinito, costringendo il creditore ad attivarsi in tempi ragionevoli.

Nel contesto di un’intimazione notificata dopo 5 o 10 anni dalla cartella, le due nozioni entrano in gioco così: bisogna verificare (a) se l’atto originario (cartella o avviso esecutivo) fu emesso nel rispetto di eventuali termini decadenziali (altrimenti sarebbe viziato all’origine), e (b) se nel tempo trascorso il credito si sia prescritto (ossia se tra cartella e intimazione siano passati più anni del limite, senza interruzioni). La decadenza si riferisce soprattutto alla legittimità della cartella originaria; la prescrizione riguarda la sopravvivenza del diritto a riscuotere dopo la cartella.

Nei capitoli seguenti delineeremo i principali termini di decadenza per l’accertamento e l’iscrizione a ruolo dei tributi, e successivamente i termini di prescrizione per la riscossione. Useremo tabelle riassuntive per maggiore chiarezza.

Termini di decadenza per l’accertamento e la riscossione (principali tributi)

Di seguito una panoramica dei termini di decadenza (dettati dalla legge) entro cui devono essere compiuti gli atti impositivi e quelli di iscrizione a ruolo per i vari tributi. Rispettare tali termini è condizione di validità degli atti successivi (compresa la cartella e l’intimazione). Se un’intimazione fa riferimento a una cartella che, a sua volta, è stata emessa su un accertamento tardivo, allora l’intera pretesa è decaduta.

1. Imposte sui redditi (IRPEF, IRES) e IVA:

  • Accertamento: per i periodi d’imposta fino al 2015, il termine era generalmente 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (per IRPEF/IRES, art. 43 DPR 600/73; per IVA, art. 57 DPR 633/72). Dal 2016 (riforma dei termini con D.Lgs. 128/2015) i termini sono stati unificati e allungati di un anno: l’accertamento va notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Se la dichiarazione non è stata presentata, il termine raddoppia (era quinto anno -> diventa 31 dicembre del settimo anno successivo per i periodi dal 2016 in poi). Esempio: Dichiarazione IVA 2019 presentata regolarmente, termine accertamento 31/12/2024; se omessa, 31/12/2026. (Nota: in caso di violazione rilevante penale, prima della L. 208/2015 erano previsti raddoppi dei termini; la Corte Costituzionale con sent. 247/2011 e 18/2015 ne ha parzialmente limitato l’applicazione, ma questo esula dai nostri dettagli).
  • Iscrizione a ruolo/cartella: per imposte accertate dall’Agenzia delle Entrate, a partire dagli accertamenti relativi a periodi dal 2016 vige l’accertamento esecutivo (DL 78/2010 conv. L.122/2010): l’avviso di accertamento stesso, decorsi 60 giorni, vale come titolo per la riscossione senza necessità di cartella. Per i ruoli emessi in passato: in genere, dopo che un accertamento diventava definitivo (per mancata impugnazione entro 60 gg o conclusione del giudizio), l’Agenzia iscriveva a ruolo l’importo dovuto. La normativa (art. 25 DPR 602/73) prevedeva che la cartella venisse notificata entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo. Ad esempio, accertamento divenuto definitivo nel 2020, cartella da notificare entro fine 2022. Se la cartella arrivava oltre questo termine, il ruolo era decaduto. Oggi, con l’accertamento esecutivo, l’affidamento al concessionario deve avvenire entro termini simili, ma l’atto che riceve il contribuente è lo stesso avviso (che funge da cartella) e l’Agente invia eventualmente una comunicazione di presa in carico. Per il contribuente, rileva sapere che anche l’avviso esecutivo va poi riscosso entro certi termini, ma entrando nei dettagli: con l’accertamento esecutivo, se non pagato entro 30 giorni dalla scadenza dei 60 iniziali, l’ente impositore affida il carico all’Agente che deve avvisare il debitore almeno 30 giorni prima di attivare misure (c.d. “preavviso di esecuzione”). Questi nuovi meccanismi però non implicano una decadenza breve per iscrivere a ruolo, perché il ruolo in senso tecnico non c’è più; sostanzialmente la decadenza rilevante è quella dell’accertamento.

2. Tributi locali (IMU, TARI, TASI, vecchia ICI, ecc.):

  • Accertamento: come anticipato, la legge 296/2006, comma 161, prescrive che l’ente locale debba notificare l’avviso di accertamento entro 5 anni dall’anno in cui il tributo avrebbe dovuto essere versato. In pratica, il tributo locale ha cadenza annuale, e il comune ha fino al quinto anno successivo per controllare e accertare. Esempio: IMU dovuta per l’anno 2020, termine accertamento 31/12/2025. Se salta questo termine, il comune perde il diritto di accertare quell’annualità (decadenza).
  • Riscossione coattiva: il comma 163 L.296/2006 prevedeva (prima della riforma 2020 degli avvisi esecutivi) che, se veniva notificato un avviso di accertamento non esecutivo e il contribuente non lo pagava né impugnava (divenendo definitivo), l’ente doveva comunque notificare la cartella di pagamento entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento era divenuto definitivo. Ad esempio, avviso IMU 2017 notificato il 30/6/2022 (ancora nei 5 anni perché IMU 2017 decadenza 31/12/2022), il contribuente non impugna e diventa definitivo a settembre 2022; il comune doveva emettere cartella (o ingiunzione) entro il 31/12/2024. Se avesse ritardato oltre, la cartella sarebbe tardiva e invalida (decadenza della riscossione). Oggi, con l’introduzione dell’accertamento esecutivo locale (dal 2020), l’avviso stesso vale come titolo e il comune, se non incassa entro i termini indicati (di solito 60 giorni + eventuali 30 di sospensione per ricorso), procede direttamente all’esecuzione forzata tramite il concessionario senza bisogno di cartella, quindi il concetto di decadenza per emettere cartella per i nuovi avvisi non si pone. Tuttavia, per le annualità precedenti al 2020 o per accertamenti emessi entro il 2019, vale la regola del comma 163 citato.
  • Ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910): alcuni enti locali (specialmente prima dell’affidamento generalizzato ad Equitalia/AER) usavano l’ingiunzione di pagamento, atto semi-amministrativo assimilabile a una cartella ma gestito dal Comune o da concessionari privati. L’ingiunzione va notificata entro gli stessi termini delle cartelle (in quanto atto di riscossione coattiva): ad esempio, a seguito di un accertamento definitivo, entro 2 anni. Le ingiunzioni non rientrano in art. 19 D.Lgs. 546/92 come tali, ma la giurisprudenza le assimila ad atti impugnabili davanti al giudice tributario.

3. Contributi previdenziali (INPS)Nota: i contributi non sono tributi in senso tecnico, ma spesso le cartelle esattoriali riguardano anche crediti INPS. Vale la pena menzionare a parte:

  • Accertamento: per i contributi dovuti alle casse previdenziali, la legge n. 335/1995, art. 3 comma 9, stabilisce che il diritto alla riscossione delle contribuzioni si prescrive in 5 anni, salvo atti interruttivi. L’INPS deve emettere avvisi di addebito o cartelle (prima della riforma 2011) entro 5 anni dai periodi di contribuzione. Se c’è omissione dolosa, il termine diventa 10 anni. Questo in pratica è un termine di prescrizione sostanziale, ma funge da vincolo per l’accertamento contributivo.

4. Altri tributi statali (registro, successioni, bollo auto, canone unico patrimoniale, ecc.):

  • Imposta di registro e imposte indirette (non catastali): le decadenze variano a seconda dell’atto da registrare e di eventuali omessi versamenti; generalmente l’ufficio ha 3 anni per accertare omesso versamento dall’avvenuta registrazione.
  • Bollo auto (tassa automobilistica): trattandosi di entrata regionale periodica (annuale), la legge (DL 2/1986, art. 5) prevede un termine di 3 anni per la richiesta di pagamento. Se entro tre anni dalla scadenza del bollo non viene notificato avviso o cartella, il bollo è decaduto. Attenzione però: c’è un po’ di confusione terminologica, perché spesso si dice “prescrizione 3 anni del bollo” – in realtà la legge fissa proprio un termine triennale di decadenza per l’accertamento del bollo non pagato (trascorsi 3 anni non è più esigibile). Quindi il concetto è simile: l’ente regionale deve attivarsi entro 3 anni. Se notifica una cartella entro quel termine, allora ha interrotto e poi la prescrizione (sempre triennale) decorre per la riscossione.

In Tabella 1 riassumiamo i principali termini di decadenza:

Tributo/VoceTermine di accertamento (decadenza)Termine di emissione cartella/ruolo
IRPEF, IRES (anni 2016 e seg.)31 dicembre del 5° anno successivo (7° se omessa dichiarazione).Entro 31 dic 2° anno successivo a definitività accertamento (se applicabile per ruoli ante-2011). Accertamento esecutivo dal 2011.
IVA (dal 2016)31 dicembre del 5° anno successivo (7° se omessa).Come IRPEF/IRES (accertamento esecutivo).
IRPEF, IRES, IVA (fino al 2015)31 dicembre 4° anno (dich. presentata) o 5° anno (dich. omessa) – termini previgenti.31 dic 2° anno post definitività accert. (per cartelle emesse fino al 2010).
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.)31 dicembre 5° anno successivo (comma 161, L.296/2006).31 dic 2° anno successivo a definitività accert. (comma 163, L.296/2006) – solo per accertamenti ante-2020. Dal 2020: avviso accertamento esecutivo (no cartella).
Bollo auto (tassa auto)31 dicembre 3° anno successivo alla scadenza del bollo dovuto.– (Il termine triennale in realtà concerne l’azione di recupero stessa: se non richiesto entro 3 anni il bollo non è più dovuto).
Contributi INPS5 anni dall’ultimo giorno dell’anno in cui contributo doveva essere versato (ord.) – 10 anni se omissione con dolo.(Avviso di addebito immediatamente esecutivo dal 2011; prima cartella entro stesso termine prescrizionale).
Sanzioni tributarie (violazioni fiscali)5 anni dall’anno in cui violazione commessa o accertamento definitivizzato (art.20 D.Lgs 472/97).(Iscrizione a ruolo entro il 31 dic del secondo anno successivo a definitività della sanzione, salvo accert. esecutivi).
Altre entrate esattoriali (multe stradali, sanzioni amministrative non tributi)Variano: es. multe CdS 90 giorni per notifica verbale, 5 anni per cartella da titolo esecutivo.(Non tributi: le eventuali cartelle per multe andavano entro 2 anni dall’opzione del titolo es. art. 36 DL 248/2007 per ruoli).

(N.B.: La tabella semplifica; vi possono essere eccezioni e casi particolari non riportati. Ad esempio per alcune imposte indirette il termine di accertamento è diverso, per i redditi esteri o in caso di aiuti di Stato i termini si allungano, etc. Ci si attiene ai casi più comuni.)

Come si evince, i termini di decadenza garantiscono che il contribuente non rimanga “appeso” ad una potenziale pretesa per troppo tempo senza che l’ente si faccia vivo. Se i termini di decadenza sono rispettati, si entra nella fase della riscossione dove dominano i termini di prescrizione, di cui trattiamo nel prossimo capitolo.

Termini di prescrizione dei crediti tributari e delle cartelle di pagamento

Una volta che un tributo è stato definitivamente accertato (mediante avviso non impugnato o sentenza passata in giudicato) e richiesto con cartella o altro atto esecutivo, inizia il decorso della prescrizione del diritto alla riscossione. Determinare se un credito tributario si sia prescritto (ad esempio dopo 5 o 10 anni) è cruciale quando si riceve un’intimazione tardiva. Di seguito esaminiamo i termini di prescrizione applicabili alle varie tipologie di crediti, secondo la normativa e – soprattutto – secondo l’interpretazione consolidata della Cassazione.

Prescrizione dei tributi erariali (imposte statali)

Per i tributi erariali (quali IRPEF, IRES, IVA, IRAP, ecc.), la regola generale attuale, confermata dalla giurisprudenza più autorevole, è la seguente: il credito d’imposta si prescrive in 10 anni, salvo che una specifica disposizione di legge preveda un termine diverso. Ciò si basa sull’art. 2946 c.c. (prescrizione ordinaria decennale) e sul fatto che le obbligazioni tributarie annuali non sono considerate “obbligazioni periodiche” ex art. 2948 n.4 c.c., in quanto ogni anno d’imposta genera un’obbligazione nuova e autonoma, non una mera ripetizione di un’unica obbligazione continuativa.

In passato vi è stata discussione sul punto: alcuni orientamenti consideravano i tributi periodici (come le imposte annuali sul reddito) soggetti alla prescrizione breve quinquennale in quanto “da pagarsi periodicamente ad anno” (art. 2948, n.4 c.c.). Ma le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che non è così per le imposte sui redditi e IVA. Anche imposte come IRAP, addizionali, etc., seguono la stessa logica.

Eccezioni legislative: ci sono però casi in cui una legge speciale stabilisce un termine diverso per la prescrizione di un credito erariale. L’esempio tipico è fuori dall’ambito tributario stretto – come visto – quello dei contributi previdenziali (L. 335/95 impone 5 anni). Nel campo dei tributi, invece, non esiste una norma generale di prescrizione breve: per cui, se non è sanzione o interesse (vedi dopo), il tributo statale segue i 10 anni.

Conseguenze pratiche: se ricevo un’intimazione per IRPEF relativa a una cartella del 2014, devo chiedermi se sono passati più di 10 anni senza atti interruttivi. Se sì (ad esempio nessuna comunicazione dal 2014 al 2025), il diritto di riscossione è presumibilmente prescritto e potrò far valere la prescrizione in giudizio. Se invece, pur essendo passati più di 10 anni, c’è stato un atto interruttivo nel mezzo (es. un sollecito nel 2018), allora i 10 anni decorrono di nuovo da quella data, e potrebbe non essere ancora prescritto.

Atti interruttivi: ogni atto con cui il creditore (Fisco o Agente) manifesta la volontà di ottenere il pagamento interrompe la prescrizione (art. 2943 c.c.). L’intimazione stessa, così come la cartella, un avviso di accertamento, un sollecito scritto, un pignoramento, un atto di messa in mora formale, sono tutti atti interruttivi. Dopo un’interruzione, inizia un nuovo periodo di prescrizione di pari durata (2945 c.c.). Inoltre, se il debitore riconosce il debito (es. chiedendo una rateizzazione, o effettuando un pagamento parziale), vi è parimenti interruzione.

Fattispecie particolari:

  • Giudicato: se il credito erariale è stato consacrato in una sentenza passata in giudicato (ad esempio il contribuente ha fatto causa, ha perso e la sentenza è definitiva), allora la situazione cambia: si applica l’art. 2953 c.c., che prevede la prescrizione in 10 anni del diritto derivante da sentenza passata in giudicato. Apparentemente è lo stesso termine (10 anni) che avremmo comunque, ma la differenza sta in un aspetto: se il tributo di base avrebbe avuto un termine più breve (poniamo, ipoteticamente, 5 anni) quel termine viene sostituito da 10 anni per effetto del giudicato. Per le imposte erariali, comunque, il termine era già 10, quindi il giudicato non modifica la durata ma consolida l’esistenza del titolo. Per le sanzioni tributarie invece il giudicato fa la differenza (vedi avanti).
  • Sanzioni e interessi su tributi erariali: vanno trattati a parte nella categoria “accessori”. La Cassazione ormai è costante nell’affermare che le sanzioni amministrative tributarie si prescrivono in 5 anni, così come gli interessi su imposte, a meno di giudicato. Quindi, se una cartella contiene IRPEF per €10.000, sanzioni €2.000, interessi €500, l’IRPEF segue regola 10 anni, ma la sanzione collegata segue regola 5 anni (ex art. 20 D.Lgs.472/97) e gli interessi 5 anni (art. 2948 c.c.). Ciò crea a volte complicazioni: l’intimazione potrebbe intervenire dopo 6-7 anni e il debito d’imposta non è prescritto, ma la sanzione sì. In sede di ricorso il contribuente potrà far valere la prescrizione parziale delle sanzioni e/o interessi maturati oltre 5 anni. Questo è un dettaglio importante: la prescrizione può colpire una parte del debito. Ad esempio, dieci anni dopo, il tributo potrebbe ancora esigersi (10 anni non trascorsi) ma gli interessi relativi ai primi 5 anni già no (essendo ciascuna rata di interesse prescritta in 5 anni dal suo maturare). In giudizio occorrerà calcolare bene queste partizioni.

Riassunto prescrizione tributi erariali e accessori:

  • Imposte (IRPEF, IVA, etc.): 10 anni (se nessun atto specifico indica diversamente).
  • Sanzioni tributi erariali: 5 anni (salvo giudicato -> 10 anni).
  • Interessi su tributi erariali: 5 anni.
  • Eccezione: contributi previdenziali pur riscossi con cartella -> 5 anni (legge speciale).

Prescrizione dei tributi locali

Per i tributi locali (IMU, TARI, TASI, imposta di pubblicità, canone unico comunale, bollo auto – tributo regionale), il panorama è diversificato, ma in assenza di una norma ad hoc sulla prescrizione, la giurisprudenza maggioritaria applica l’art. 2948, n.4 c.c., quindi 5 anni. La logica sottostante è che tali entrate hanno natura periodica o comunque si pagano ad intervalli regolari: l’IMU è dovuta ogni anno finché si possiede l’immobile (analogia con rendite periodiche), la TARI idem (servizio annuale), il bollo auto pure (annuale). Anche se ciascun anno è autonomo, la Cassazione ha spesso argomentato che queste prestazioni hanno carattere “periodico o di durata” per il fatto che derivano da una situazione continua (il possesso di un bene, la detenzione di immobili) e non sono riferite a un una tantum.

Le pronunce già citate: Cass. 28576/2017 e 13683/2020 sull’ICI, Cass. 4283/2010 sulla TARSU, affermano chiaramente la prescrizione quinquennale. Lo stesso vale per la TASI (che era analoga a IMU/TARI), per l’imposta di pubblicità e affissioni, per la Tosap/Cosap (ex canone occupazione suolo, ora confluito nel canone unico patrimoniale). Eccezione: la Tari annuale viene considerata un’entrata tributaria periodica (5 anni), mentre la tariffa rifiuti corrispettiva (in rari casi gestita come corrispettivo) seguirebbe regole civilistiche, ma non addentriamoci.

Il bollo auto merita ripetere: è noto comunemente che “va in prescrizione in 3 anni”. In effetti il DL 2/1986 prevede che il diritto della Regione a riscuotere il bollo si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento. Non è un termine del codice civile, bensì fissato da legge speciale (difatti per il bollo auto non si segue la regola dei 5 anni ma quella più breve dei 3). Questo termine è usualmente interpretato anch’esso come prescrizionale (interrompibile da atti come solleciti, avvisi, cartelle). Dunque, se per tre anni nessuno notifica nulla, il bollo scade; se arriva una cartella entro il triennio, interrompe, e poi da lì altri 3 anni per eventuale intimazione ecc.

Sanzioni e interessi su tributi locali: anche qui, le sanzioni amministrative per omesso pagamento tributi locali seguono l’art. 20 D.Lgs 472/97, quindi 5 anni (o 10 se c’è giudicato). Gli interessi moratori sono in genere previsti dalle normative locali ma quasi sempre considerati accessori periodici quindi 5 anni.

Sintesi prescrizione tributi locali:

  • Tributi locali periodici (ICI/IMU, TARI/TARSU, TASI): 5 anni.
  • Bollo auto (tassa automobilistica): 3 anni (da ultimo pagamento dovuto).
  • Sanzioni tributarie locali: 5 anni (salvo giudicato).
  • Canoni patrimoniali locali (es. canone unico suolo pubblico): qui c’è dibattito se natura tributaria (5 anni) o patrimoniale (5 anni comunque è il termine generale del 2948 n.4 c.c. per prestazioni periodiche).
  • Sanzioni amministrative (non tributi, es: multe stradali): 5 anni dalla data di titolo esecutivo per la riscossione (ma questo esula dal tributario stretto; in genere le cartelle per multe vanno impugnate al giudice ordinario, comunque prescrizione 5 anni dal momento in cui la sanzione è divenuta esigibile).

Tabella 2 di riepilogo prescrizioni:

Categoria di creditoTermine di prescrizioneRiferimenti/Note
Imposte erariali (IRPEF, IVA, IRES, IRAP)10 anni (ordinario)Cass. SS.UU. 11676/2024; non considerate periodiche.
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.)5 anniCass. 31260/2022 (ICI, TARSU).
Bollo auto (tassa auto)3 anniDL 2/1986, art. 5 (termine speciale breve).
Contributi INPS (riscossi a ruolo)5 anni (ordinario)L. 335/1995, art.3 co.9 (con dolo 10 anni).
Sanzioni tributarie (no giudicato)5 anniD.Lgs. 472/1997, art. 20.
Sanzioni tributarie (giudicato)10 anni (actio iudicati)Art. 2953 c.c.; Cass. SS.UU. 25790/2009.
Interessi da ritardata iscrizione5 anni ciascuna rata di interesseArt. 2948 n.4 c.c. (obbligazioni periodiche).

NB: I termini decorrono tipicamente dalla data di notifica dell’atto precedente (es. cartella) o dalla data in cui il credito è divenuto esigibile. Ad esempio, i 5 anni IMU decorrono dalla notifica della cartella (se emessa) o dell’accertamento esecutivo; i 10 anni IRPEF decorrono, secondo alcuni, dallo spirare dei 60 giorni dalla cartella (momento in cui l’agente poteva iniziare esecuzione). In ogni caso ogni atto interruttivo sposta in avanti il dies a quo.

Prescrizione maturata e intimazione tardiva

Ora, con queste regole in mente, possiamo affrontare il punto cruciale: cosa succede se un’intimazione di pagamento viene notificata dopo 5 o 10 anni dalla cartella?

Semplificando: se l’intervallo trascorso supera il termine di prescrizione applicabile a quel tributo, e nel frattempo non c’è stato alcun atto interruttivo, allora il diritto a riscuotere si è estinto per prescrizione e l’intimazione è illegittima (il contribuente, impugnandola, otterrà l’annullamento del debito). Viceversa, se l’intervallo è inferiore al termine oppure se vi sono stati atti interruttivi che “azzerano” il conteggio, il credito è ancora vivo e l’intimazione è valida (il contribuente dovrà pagare, salvo altre contestazioni).

Facciamo alcuni esempi pratici di applicazione:

  • Esempio 1: Intimazione dopo 10 anni su cartella IRPEF – Mario riceve una cartella IRPEF il 10 gennaio 2015. Da allora non gli arriva nessun’altra comunicazione fino a un’intimazione di pagamento notificata il 15 febbraio 2025, quindi 10 anni e 1 mese dopo. L’IRPEF è un tributo erariale con prescrizione 10 anni; qui sono trascorsi poco più di 10 anni. La prescrizione sarebbe maturata intorno all’11 gennaio 2025 (10 anni + 60 giorni? Ma restiamo al concetto di 10 anni dal 2015). L’intimazione, arrivando dopo che i 10 anni sono compiuti, interviene post mortem del diritto: Mario potrà fare ricorso eccependo che il credito è prescritto. In giudizio, salvo che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione provi che ha compiuto un atto interruttivo nel frattempo (ad es. affermando di aver inviato un sollecito nel 2019, con prova di notifica), il giudice riconoscerà la prescrizione e annullerà l’intimazione e il debito sottostante.
    • Variante: se però risulta che nel 2020 era stato inviato un preavviso di ipoteca (di cui Mario magari non si era accorto), quel preavviso interrompeva la prescrizione, per cui i 10 anni vanno contati dal 2020, rendendo l’intimazione 2025 tempestiva. Mario perderebbe il ricorso se l’Agente esibisce la prova di quell’atto. Dunque è essenziale, prima di ricorrere, verificare l’estratto di ruolo e gli atti notificati.
  • Esempio 2: Intimazione dopo 5 anni su cartella IMU – Un’azienda riceve una cartella per IMU anno 2016 notificata il 1° marzo 2018 (forse frutto di un accertamento perché non aveva pagato, emesso nei termini). Dopo la cartella, nulla più. Nell’aprile 2023 l’Agenzia Entrate-Riscossione notifica un’intimazione cumulativa di pagamento di quella IMU. Sono trascorsi 5 anni e 1 mese dalla cartella. L’IMU, come detto, ha prescrizione 5 anni; qui i 5 anni sono trascorsi (marzo 2018 – marzo 2023). A meno che l’Agente provi di aver inviato atti nel mezzo, la prescrizione è compiuta. L’intimazione è impugnabile: l’azienda con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria eccepirà la prescrizione del credito IMU. Il giudice verificherà le date: cartella 2018 non seguita da atti entro marzo 2023 = prescrizione quinquennale maturata, quindi accoglierà il ricorso annullando l’intimazione per intervenuta prescrizione del debito. L’azienda non dovrà più pagare nulla.
    • Nota: se l’intimazione fosse arrivata a febbraio 2023, entro i 5 anni, invece la prescrizione non sarebbe ancora maturata e l’intimazione sarebbe stata valida (anzi avrebbe interrotto e spostato in avanti il termine al 2028).
  • Esempio 3: Intimazione dopo 7 anni su cartella IRPEF – Luigi ha una cartella IVA notificata il 10 giugno 2017. Nel maggio 2024 riceve un’intimazione di pagamento per quella cartella (7 anni dopo). Per IVA (tributo erariale) la prescrizione è 10 anni, quindi 7 anni non bastano a prescrivere il credito. L’intimazione in sé è tempestiva dal punto di vista prescrizionale; ovviamente Luigi può impugnarla per altri motivi (vizi formali, pagamento eseguito, ecc.), ma non potrà sostenere la prescrizione compiuta perché mancano 3 anni al decennio. Anzi, l’intimazione stessa ora interrompe la prescrizione e sposta il nuovo termine al 2024 + 10 = 2034. Luigi dovrà dunque cercare altri argomenti se vuole contestare la pretesa (ad es. eccepire che la cartella non gli era stata notificata nel 2017, se vero, oppure chiedere dilazione, etc., poiché sul tempo non ha chance in questo scenario).
  • Esempio 4: Cartella mai notificata, intimazione dopo anni – La società Alpha scopre di avere un debito TARI 2015 solo quando nel 2025 riceve un’intimazione dall’AdER che cita una cartella 2018 mai vista prima. In questo caso occorre distinguere: se davvero la cartella 2018 non fu notificata a nessuno della società (notifica nulla), allora l’intimazione del 2025 sta di fatto facendo conoscere per la prima volta il debito. Giuridicamente l’intimazione è impugnabile e in quella sede la società potrà eccepire sia la nullità della notifica della cartella (e quindi l’inesistenza dell’atto presupposto) sia la decadenza del tributo se all’epoca la cartella era tardiva, sia ovviamente la prescrizione maturata nel frattempo. In pratica, se la cartella non è mai stata notificata correttamente, il termine di prescrizione continua a decorrere dal momento in cui avrebbe dovuto essere notificata. Nel nostro esempio: TARI 2015, accertamento/comunicazione 2017, cartella predisposta 2018 ma mai notificata –> il credito TARI in realtà sarebbe decaduto o comunque quantomeno prescritto da tempo nel 2025. Il giudice tributario accoglierebbe il ricorso per difetto di notifica dell’atto presupposto e per prescrizione. Nota: è onere della società provare almeno prima facie la mancata notifica (tramite richiesta delle relate all’Agente). Se invece risultasse che la cartella era stata notificata regolarmente (magari a un vecchio indirizzo della sede legale, ma con compiuta giacenza), allora la società l’ha ignorata a suo rischio e ora in sede di ricorso contro l’intimazione potrà contestare solo la prescrizione o errori sostanziali, non la cartella in sé (essendo definitiva).
  • Esempio 5: Intimazione con più cartelle miste – Spesso l’intimazione riepiloga vari debiti. Poniamo che Giulia riceva un’intimazione nel 2025 che elenca: una cartella IRPEF del 2014, una cartella IMU del 2015 e un avviso di addebito INPS del 2018. Sarà necessario valutare ciascuna voce:
    • IRPEF 2014 -> prescrizione 10 anni: dal 2014 al 2025 sono 11 anni, quindi presumibilmente prescritto (salvo atti).
    • IMU 2015 -> prescrizione 5 anni: dal 2015 al 2025 sono 10 anni, doppiamente prescritto (anche con eventuali interruzioni, se gliene hanno mandate una nel 2019 sarebbe andata al 2024 comunque passata). Molto probabile prescrizione.
    • Contributi INPS 2018 -> prescrizione 5 anni: dal 2018 al 2025 sono 7 anni; bisogna vedere se c’è stata interruzione. L’INPS però spesso invia solleciti, se non ce ne sono stati, potrebbe essere 7 anni > 5 quindi prescritto. Ma attenzione: per contributi è essenziale la presenza di atti di riconoscimento (es. domanda di rateazione interrompe e sospende).
    Giulia dovrà proporre ricorso innanzi a giudici diversi per le diverse voci, perché: IRPEF e IMU (tributi) -> giudice tributario; Contributi INPS -> giudice del lavoro (ordinario), in quanto la parte dell’intimazione relativa a crediti non tributari non è impugnabile davanti al giudice tributario. Questo è un aspetto delicato: quando un’intimazione cumula più crediti di natura diversa, la giurisprudenza prevalente ritiene che ciascuno segua il suo regime di impugnazione. Quindi Giulia potrebbe fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per IRPEF e IMU (eccependo prescrizione per entrambe) e una distinta opposizione al giudice ordinario (tribunale in funzione di giudice del lavoro) per la parte INPS, eccependo prescrizione anche lì. In alternativa, potrebbe limitarsi a proporre ricorso in Commissione Tributaria per tutti, confidando che almeno per i tributi venga accolto, e sperare che l’Agente rinunci a riscuotere l’INPS se i tributi vengono annullati… ma formalmente sarebbe sbagliato, meglio separare.

Come si vede, determinare la prescrizione richiede di conoscere sia il termine base sia eventuali cause di sospensione/interruzione. Un consiglio pratico: se ricevete un’intimazione tardiva, chiedete subito all’Agente della riscossione l’estratto di ruolo aggiornato, in cui sono elencati cronologicamente tutti gli atti inviati per quel ruolo (cartelle, solleciti, intimazioni precedenti, ecc.). In più, potete presentare un’istanza di accesso agli atti per ottenere copia delle relate di notifica delle cartelle e degli atti indicati. Questo vi permette di verificare:

  • Se la cartella originaria fu notificata e quando.
  • Se compaiono altri atti (solleciti, preavvisi, ecc.) con date che interrompono la prescrizione.
  • Se eventualmente il debito risulta sospeso o sgravato per qualche ragione (a volte l’estratto indica sospensioni amministrative).

In base a queste informazioni, si potrà valutare con cognizione di causa l’eccezione di prescrizione.

Prescrizione e ruoli consegnati in extremis: una situazione da menzionare: talvolta l’ente creditore consegna il ruolo al concessionario appena prima che scada la decadenza, e la cartella viene notificata dopo. In tal caso la cartella è comunque valida (la notifica può avvenire anche dopo il termine di decadenza, se il ruolo è stato affidato prima – la L. 160/2019 ha cambiato alcuni dettagli, ma sorvoliamo). Però la prescrizione inizia a decorrere dalla notifica effettiva della cartella. Se tra ruolo e notifica passano anni, può succedere che la prescrizione maturi addirittura prima della notifica della cartella. Ad esempio: Comune affida ruolo TARI 2014 ad Agenzia nel 2019 (entro 5 anni, decadenza ok), ma la cartella viene notificata all’azienda nel 2022 per disguidi. Dal 2014 al 2022 sono passati 8 anni: la TARI essendo 5 anni, il credito era già prescritto al momento in cui la cartella è arrivata. In tali casi (non infrequenti) il contribuente può impugnare la cartella stessa per intervenuta prescrizione del credito prima della notifica. Se però non lo ha fatto, e ora riceve un’intimazione, può ancora eccepire che il credito era già prescritto prima della cartella, quindi l’intimazione non può far rivivere un credito morto. La L. 228/2012 (art. 1 commi 537-543) consente in effetti al contribuente di chiedere la sospensione in autotutela proprio se “il debito è già prescritto o decaduto prima della formazione del ruolo”. È uno dei casi tipici di sospensione legale: se provi che quando la cartella è stata emessa il diritto era decaduto/prescritto, l’Agente blocca tutto (lo vedremo anche nell’impugnazione).

Come impugnare un’intimazione tardiva: ricorso e procedure

In questa sezione spieghiamo come reagire legalmente a un’intimazione di pagamento notificata a distanza di molti anni, ritenuta illegittima (ad esempio per intervenuta prescrizione del debito). Vedremo le azioni possibili, i motivi validi da far valere, i termini da rispettare e la giurisdizione competente a decidere, distinguendo i casi.

Facoltà e obbligo di impugnazione

Come accennato, l’intimazione ex art. 50 DPR 602/73 è considerata un atto impugnabile davanti al giudice tributario, in quanto equiparato all’avviso di mora previsto dall’art. 19 D.Lgs. 546/92. Ciò significa che il contribuente ha la facoltà di proporre ricorso entro il termine di legge (60 giorni) se intende contestare qualcosa. È altamente consigliato farlo quando sussistono motivi validi, perché, in base al principio affermato dalla Cassazione, se non si impugna l’intimazione e poi ci si oppone all’esecuzione (es. al pignoramento) cercando di sollevare eccezioni già opponibili prima, queste saranno considerate tardive e inammissibili. Dunque, di fatto, il contribuente che riceve un’intimazione ingiusta deve attivarsi subito con il ricorso.

Eccezione – atti non impugnati in passato: se il vizio riguarda l’atto precedente (ad es. la cartella non notificata), l’intimazione è impugnabile proprio per far valere quel vizio, perché è il primo atto utile a farlo. Se invece il vizio riguardava la cartella e si è scelto di non impugnarla quando si poteva, non si potrà con l’intimazione riaprire questioni di merito chiuse (es: non posso contestare l’errata liquidazione del tributo a distanza di 5 anni, andava fatto con la cartella). Ma la prescrizione sopravvenuta, o la prova di pagamento nel frattempo, o la nullità della notifica originaria, sono tutte cose che si possono e si devono far valere contro l’intimazione.

Motivi di ricorso contro un’intimazione tardiva

I motivi tipici per cui si può impugnare un’intimazione (specie se notificata a distanza di anni) sono:

  • Prescrizione del credito: come ampiamente spiegato, se il tempo trascorso supera il termine prescrizionale (tenuto conto di eventuali interruzioni), si eccepisce che il diritto di riscossione è estinto per prescrizione. Questo è probabilmente il motivo più frequente nei ricorsi contro intimazioni tardive. Bisogna argomentare puntualmente le date: data notifica cartella, atti eventualmente noti e loro date, calcolo del termine, data intimazione. Conviene produrre l’estratto di ruolo e ogni documento di cui si dispone sulle notifiche. È onere del contribuente allegare l’inerzia prolungata; poi spetterà all’Agente provare eventuali atti interruttivi per contrastare l’eccezione. Se il giudice ritiene maturata la prescrizione, annullerà l’intimazione e l’azione esecutiva cesserà.
  • Decadenza o vizi dell’atto presupposto: se la cartella richiamata dall’intimazione era viziata originariamente (mai notificata, notificata invalidamente, emessa fuori termine di decadenza, ecc.), il contribuente può farlo valere ora. Attenzione: formalmente si tratta di contestare “vizi propri dell’intimazione” che derivano però dal rapporto con l’atto presupposto. Ad esempio, la Cassazione ha affermato che la nullità della notifica della cartella può essere fatta valere impugnando la successiva intimazione (che è il primo atto notificato regolarmente) perché “la cartella non notificata non può produrre effetti e l’intimazione basata su di essa è illegittima”. Oppure, se il ruolo era decaduto, l’intimazione è illegittima perché il credito non poteva più esser riscosso. Quindi motivi di questo genere vanno esplicitati: “Cartella X non notificata regolarmente, ergo intimazione su credito mai formalmente notificato, in violazione di legge”, oppure “Cartella notificata il tal giorno ma oltre i termini di legge (decadenza), quindi atto presupposto nullo e intimazione priva di base legale”. Il giudice esaminerà questi profili.
  • Pagamento o sgravio intervenuto: se il contribuente ha nel frattempo pagato il debito, o ha ottenuto dall’ente creditore l’annullamento in autotutela, o ha vinto un ricorso che ha annullato la cartella, ma ciononostante l’Agente invia lo stesso l’intimazione (magari per mancato aggiornamento degli archivi), si può ricorrere evidenziando che il credito non è più dovuto. In questi casi si chiede l’annullamento dell’intimazione perché rivolta a un credito inesistente. Naturalmente occorre allegare prove: quietanze di pagamento, provvedimenti di sgravio, sentenze favorevoli.
  • Vizi formali dell’intimazione: raramente l’intimazione in sé presenta vizi formali tali da comportarne l’annullamento, ma si possono verificare errori: es. mancanza dell’indicazione delle cartelle cui si riferisce (che renderebbe l’atto incomprensibile e dunque nullo per difetto di motivazione), intimidazione priva della firma del responsabile o notificata a soggetto non legittimato, errori macroscopici sull’importo. Questi vizi, se sostanziali, possono essere dedotti. La giurisprudenza però tende a ritenere che l’intimazione sia sufficientemente motivata se riporta gli estremi dei ruoli e l’importo dovuto. Un errore che invece può accadere: l’intimazione viene notificata due volte per lo stesso debito (doppia intimazione) – in sé non è illegale, ma può essere indice di confusione. Non è un vizio forte, al massimo uno potrebbe chiedere riunione di eventuali ricorsi.
  • Difetto dei presupposti ex art. 50 DPR 602/73: ossia, se l’Agente avesse iniziato l’esecuzione senza notificare intimazione dopo un anno dalla cartella, quell’esecuzione sarebbe nulla. Questo motivo però viene usato nell’opposizione all’esecuzione se accade. Nel nostro scenario, invece, l’intimazione è stata notificata; semmai il contrario: l’Agente notifica intimazione anche se non era obbligato (ad esempio a meno di un anno dalla cartella) – questo però non è motivo di nullità, è un eccesso di zelo al limite.

Riassumendo, il motivo principe su cui concentrare il ricorso per un’intimazione tardiva è la prescrizione maturata del tributo (e/o dei relativi interessi e sanzioni). È quello che, se fondato, porta al risultato più completo (estinzione del debito). Gli altri motivi vanno valutati caso per caso.

Termini e forme del ricorso

Una volta deciso di impugnare, e individuati i motivi, bisogna rispettare i termini e le forme previste:

  • Termine per ricorrere: 60 giorni dalla data di notifica dell’intimazione (non dalla data in cui si è venuti a conoscenza, ma proprio dalla notifica formale a mani o per PEC). Il termine è perentorio: scaduto inutilmente, l’intimazione diventa definitiva e non più contestabile, se non eventualmente in via di eccezione in sede di esecuzione, con le limitazioni viste. Dunque occorre calcolare bene la scadenza (tenendo conto di eventuali sospensioni feriali di agosto di 31 giorni, se applicabili nel periodo).
  • Autorità competente: Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di primo grado, ossia la ex Commissione Tributaria Provinciale, del luogo di domicilio fiscale del contribuente, se l’intimazione riguarda tributi (imposte statali o locali e relativi accessori). Se invece riguarda entrate non tributarie (es. contributi, multe), l’impugnazione andrà proposta al giudice ordinario competente: tipicamente, contributi INPS -> ricorso al Tribunale sezione lavoro; multe -> opposizione al Giudice di Pace o Tribunale a seconda dei casi. Attenzione: se un’unica intimazione contiene sia tributi sia crediti non tributari, in teoria bisogna spezzare le impugnazioni per giurisdizione (non esiste un giudice unico per entrambi). In pratica a volte il contribuente propone ricorso al giudice tributario per l’intero atto e questi, per la parte non di competenza, dichiara il difetto di giurisdizione. Per andare sul sicuro, conviene fare due impugnazioni parallele (ad esempio, se contiene IRPEF e sanzioni CdS, ricorso in CGT per IRPEF e atto di citazione in opposizione per la sanzione CdS). Sono casi complessi: in questa guida ci focalizziamo sui tributi, dunque giudice tributario.
  • Forma del ricorso: per il giudice tributario, il ricorso va redatto in conformità al D.Lgs. 546/92: atto scritto contenente i motivi, l’indicazione dell’atto impugnato (allegando copia dell’intimazione ricevuta), i dati del ricorrente e dell’ente impositore, il petitum (ciò che si chiede: tipicamente l’annullamento dell’intimazione e dei provvedimenti consequenziali per intervenuta prescrizione del debito, ecc.), la nomina dell’eventuale difensore (nota: per importi fino a €3.000 si potrebbe stare senza difensore, oltre è obbligatorio avvocato o commercialista abilitato), la firma e l’attestazione di versamento del contributo unificato (che dipende dal valore del contenzioso). Il ricorso va notificato all’ente impositore o all’Agente della riscossione? Essendo intimazione, l’atto l’ha emesso l’Agente (Agenzia Entrate-Riscossione), quindi parte resistente principale sarà l’Agente della riscossione. Tuttavia, poiché potrebbero emergere questioni sul tributo sottostante (prescrizione sostanziale o sgravio), è consigliabile notificare per conoscenza anche all’ente creditore (es. Agenzia Entrate o Comune). La notifica del ricorso può farsi via PEC (se si ha firma digitale) all’indirizzo PEC istituzionale dell’ente, o a mezzo Ufficiale Giudiziario o raccomandata secondo le regole. Dopo notifica, si costituisce il ricorso in Commissione depositando copie conformi, ecc.
  • Sospensione dell’esecuzione: l’intimazione avvisa che dopo 5 giorni si procederà con la riscossione forzata. In realtà, l’Agente di solito non è fulmineo: può iniziare atti esecutivi nelle settimane successive, ma non c’è garanzia. Se il contribuente ritiene di aver ragione (es. è convinto della prescrizione) e vuole evitare nel frattempo pignoramenti o fermi, può presentare alla Corte tributaria una istanza di sospensione dell’esecuzione. Si tratta di chiedere al giudice, nei 60 giorni di ricorso, di sospendere gli effetti dell’intimazione finché la causa non sarà decisa (ex art. 47 D.Lgs. 546/92), allegando il periculum (danno grave e irreparabile: es. rischio pignoramento immobile, blocco conto azienda) e il fumus boni iuris (motivi validi: es. “ecco la prova che sono passati 10 anni senza atti, quindi prescrizione evidente”). La CGT fisserà un’udienza cautelare in tempi rapidi (di solito entro 30-40 giorni) e deciderà se sospendere. Se concede sospensione, l’Agente dovrà astenersi dal procedere fino alla sentenza di merito. In aggiunta o in alternativa, c’è anche la via amministrativa di sospensione che vediamo più avanti.
  • Procedimento: la causa tributaria segue il suo iter, con l’Agente della riscossione che si difenderà (magari producendo copie delle notifiche di eventuali atti interruttivi, o sostenendo che la prescrizione non è maturata, o eccependo che il ricorso è stato tardivo se 60gg non rispettati). Il ricorrente replicherà come opportuno. La decisione arriva con sentenza. Se la sentenza di primo grado fosse sfavorevole, c’è possibilità di appello alla CGT di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni, e poi eventualmente ricorso per Cassazione. Durante questi gradi, se la sospensione non era stata data prima, conviene chiederla in appello o Cassazione, altrimenti l’Agente potrebbe procedere a riscuotere.
  • Costo: il contributo unificato tributario dipende dal valore in causa: se l’intimazione chiede €50.000, il ricorso costerà intorno a €250 di contributo unificato. Se chiede €3.000, il contributo è €30. Non ci sono altre spese vive notevoli, se non l’eventuale compenso del professionista incaricato.

Autotutela e sospensione amministrativa della riscossione

Parallelamente o in alternativa al ricorso giudiziario, il contribuente può utilizzare uno strumento amministrativo previsto dalla legge per queste situazioni: la richiesta di sospensione legale della riscossione in autotutela (art. 1 commi 537-543 L. 228/2012).

Questa norma consente, in presenza di certe condizioni, di presentare all’Agente della Riscossione una dichiarazione in cui si attesta che ricorre una causa di inesigibilità del credito, chiedendo la sospensione immediata delle azioni esecutive. Tra le cause previste rientrano:

  • pagamento effettuato prima della formazione del ruolo (cioè debito già pagato),
  • provvedimento di sgravio dell’ente creditore (debito annullato in autotutela dall’ente),
  • presenza di una sentenza favorevole al contribuente sul merito,
  • intervenuta prescrizione o decadenza del credito prima del ruolo,
  • qualsiasi altro motivo per cui il credito non è esigibile (errore di persona, importo già annullato da condono, duplicazione di iscrizione a ruolo, ecc.).

Il caso della prescrizione maturata è espressamente considerato: la legge dice “prescrizione o decadenza già intervenute al momento dell’iscrizione a ruolo”. Questo significa che formalmente si riferisce alla prescrizione già verificatasi prima della cartella. Ma nella prassi l’Agente estende l’analisi anche a prescrizioni maturate successivamente (anche perché spesso il contribuente non sa quando è stato iscritto a ruolo; lui sa che ora è prescritto). Dunque, presentando questa istanza, il contribuente dichiara sotto responsabilità che, ad esempio, “il credito della cartella X è prescritto, poiché dal giorno Y sono trascorsi più di 5/10 anni senza atti” e allega i documenti a supporto.

Come procedere: l’istanza in autotutela va presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione (coincide col termine del ricorso) e indirizzata all’Agente della Riscossione (che poi la trasmette all’ente creditore per competenza di verifica). Può essere consegnata via PEC o tramite gli sportelli/portale dell’AdER, utilizzando l’apposito modulo (“Dichiarazione di sussistenza di cause di inesigibilità”). L’Agente, ricevuta l’istanza, sospende le attività di riscossione per 180 giorni in attesa che l’ente creditore confermi o smentisca la fondatezza della richiesta. Se entro 220 giorni (180 + 40 di margine) l’ente creditore non risponde o conferma che effettivamente il credito non è più dovuto, il debito viene annullato. Se invece l’ente risponde negativamente (dice che secondo loro la prescrizione non è maturata, etc.), l’Agente comunica il diniego al contribuente e può riprendere la riscossione. A quel punto al contribuente resta il ricorso (se nel frattempo non l’aveva già fatto, c’è un meccanismo per cui il diniego è impugnabile entro 30 giorni come fosse esso stesso atto della riscossione).

Questa strada di autotutela ha il vantaggio di bloccare subito le azioni (senza dover attendere il giudice) e di poter risolvere in via amministrativa se l’errore è palese. Ha però lo svantaggio che, se l’ente creditore non riconosce il motivo, si perde tempo prezioso e magari si deve comunque fare ricorso (perciò molti scelgono di fare sia istanza che ricorso contestualmente). Inoltre, in caso di prescrizione “sottile” dove servono valutazioni giuridiche, l’ente potrebbe rigettare per approccio prudenziale, e costringervi al giudizio.

In ogni caso, anche senza attivare questa procedura formale, si può sempre chiedere all’Agente una sospensione di 30-60 giorni per verifiche, e spesso viene accordata soprattutto se preannunciate che farete ricorso. Ma formalmente la protezione vera viene dall’istanza L.228/2012.

Giurisdizione competente e casi particolari

Abbiamo già sottolineato la questione della giurisdizione, ma la riepiloghiamo:

  • Per tributi di ogni tipo (erariali o locali) e relativi accessori, l’intimazione va impugnata davanti al giudice tributario (Corte Giustizia Tributaria). Rientra nella “materia tributaria”. Anche l’intimazione per contributi consortili di bonifica, IMU, Tari, ecc. è materia tributaria. Così come per le sanzioni tributarie.
  • Per contributi previdenziali (INPS, casse): questi non sono tributi, quindi le controversie rientrano nella giurisdizione ordinaria (sez. lavoro per INPS, sez. ord per altre casse). Un’intimazione che includa contributi INPS va impugnata col rito del lavoro (ricorso in Tribunale) oppure in via di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi se si è già in fase esecutiva. Spesso conviene però agire prima, col ricorso al Tribunale lavoro eccependo la prescrizione quinquennale.
  • Per multe stradali o altre sanzioni amministrative non tributarie: la cartella e intimazione relative rientrano nella giurisdizione ordinaria (Giudice di Pace per importi fino a €20k se riguarda Codice della Strada, sennò Tribunale). In genere, contro un’intimazione riguardante solo multe, si propone un’opposizione ex art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione) per far valere la prescrizione (le multe CdS hanno prescrizione 5 anni dal momento in cui sono definitive). Quella è la sede giusta.
  • Per sanzioni penali pecuniarie, ammende, etc. (che pure a volte Equitalia riscuoteva): giurisdizione ordinaria.

Se l’intimazione è “mista”, il consiglio è di suddividere i motivi e proporre ricorsi paralleli nelle diverse sedi, come illustrato.

Esito del ricorso e effetti

Se il ricorso viene accolto, tipicamente per prescrizione, la sentenza annulla l’intimazione impugnata. Dato che l’intimazione è atto presupposto dell’esecuzione, l’annullamento comporta che l’Agente non può procedere oltre su quei ruoli (dovrebbe fermare eventuale pignoramento in corso e liberare i beni). Inoltre, se la sentenza accerta la prescrizione, equivale a dichiarare estinto il debito tributario: in sostanza, non potranno più pretendere quelle somme. Si potrebbe avere cura di far scrivere in dispositivo “annulla l’intimazione e dichiara prescritto il credito di cui alla cartella n…” così da chiudere definitivamente la questione.

Se il ricorso viene respinto, l’intimazione resta valida. L’Agente potrà procedere col pignoramento appena possibile (se non già fatto). Il contribuente dovrà valutare se appellare la decisione (se ritiene che il giudice abbia errato nel calcolo della prescrizione, per esempio) e nel frattempo magari cercare un accordo di rateizzazione per evitare danni (perché la sentenza di primo grado non sospende nulla, salvo chiedere sospensiva in appello).

A proposito di rateizzazione: nulla vieta, anzi è prassi a volte, che il contribuente presenti ricorso per far valere la prescrizione e contestualmente, in via prudenziale, chieda una rateazione all’Agente delle Entrate-Riscossione. Così si protegge: se poi perde il ricorso, ha almeno la rateizzazione già attiva ed evita guai; se vince il ricorso, potrà interrompere la rateazione. Bisogna sapere però che la richiesta di rateizzazione equivale a riconoscimento del debito e interrompe la prescrizione (anzi la azzera inizio nuovo termine dal momento dell’ultima rata pagata in caso di decadenza). Quindi se si segue la strada del ricorso, di solito non si paga/nulla nel frattempo. È una scelta strategica da fare caso per caso (in base alla fiducia nell’esito e alla sostenibilità di pagare).

In conclusione, impugnare l’intimazione tardiva è un passaggio obbligato se si vuole far valere la prescrizione o altri vizi. Il contribuente deve muoversi rapidamente (60 giorni), con un ricorso ben documentato e ragionato, possibilmente affiancato da un’istanza di sospensione per evitare esecuzioni immediate.

Profili civilistici, amministrativi e penali

Un’intimazione di pagamento tardiva – e in generale il fenomeno della riscossione ritardata – tocca non solo aspetti tributari, ma anche profili di diritto civile, amministrativo e persino penale. Esaminiamo brevemente queste implicazioni parallele, utili a completare la visione d’insieme:

Profili civilistici

Dal punto di vista civilistico, l’elemento centrale è la prescrizione, istituto del codice civile (artt. 2934 e segg. c.c.). La prescrizione dei tributi, pur avendo peculiarità di diritto pubblico, richiama i principi generali civilistici:

  • Natura del debito prescritto: Come detto, un tributo per il quale è maturata la prescrizione diventa un’obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c. Ciò significa che il debitore non può essere costretto ad adempiere, ma se adempie volontariamente non può poi chiedere la ripetizione di quanto pagato sostenendo la prescrizione (perché il pagamento di un debito prescritto è considerato un atto dovuto secondo coscienza, non ripetibile). In pratica, se un contribuente non si accorge che il debito è prescritto e lo paga a seguito di intimazione, successivamente non potrà ottenere il rimborso eccependo la prescrizione (la prescrizione va fatta valere prima di pagare, davanti al giudice). Questo è un punto da far presente agli imprenditori: non sempre pagare e poi ricorrere è una buona idea, perché se il ricorso verte sulla prescrizione (quindi estinzione del diritto) e intanto hanno pagato, molti giudici considerano che abbiano spontaneamente adempiuto a un’obbligazione naturale, perdendo la possibilità di ripetere le somme (il ricorso peraltro sarebbe inammissibile, non avendo più interesse a ricorrere se ha già pagato volontariamente). Meglio semmai sospendere il pagamento e ricorrere prima, oppure pagare e chiudere senza ricorso.
  • Interruzione e sospensione (aspetti tecnici): Il funzionamento di interruzione e sospensione della prescrizione segue gli artt. 2943-2945 c.c. e norme speciali. Un atto di costituzione in mora (anche extragiudiziale) interrompe la prescrizione. Nel mondo esattoriale, vi sono stati dubbi se una lettera semplice di sollecito senza firma digitale valga o no: in generale, qualsiasi atto scritto proveniente dal creditore e idoneo a far conoscere al debitore la volontà di ottenere il pagamento interrompe (2943 co.4 c.c.). Dunque perfino una raccomandata AR o PEC di sollecito inviata dall’Agente può costituire valido atto interruttivo, anche se non è “atto impugnabile”. Il termine interrotto inizia daccapo da zero dal giorno dell’atto (2945 c.c.). Va ricordato che l’interruzione può avvenire pure a mezzo di riconoscimento da parte del debitore (2944 c.c.), come quando chiede rateazione o fa un versamento parziale. La sospensione invece è un istituto per cui il tempo non scorre per un certo periodo per particolari rapporti (es. tra coniugi, tra militari in guerra, ecc.) oppure per disposizione di legge (nel 2020-21 il legislatore ha sospeso i termini di prescrizione per i crediti tributari in quel periodo emergenziale). Finita la sospensione, il tempo riprende dal punto in cui si era fermato.
  • Solidarietà e garanti: Se il tributo era dovuto da più coobbligati (es. soci di società di persone per imposte sociali, eredi per imposte del de cuius, coobbligati in solido per sanzioni ecc.), l’intimazione a uno non interrompe la prescrizione per gli altri – a meno che la legge disponga diversamente. Questo per regola civilistica: l’atto interruttivo giova e nuoce solo ai rapporti tra quei due soggetti (creditore e quel debitore), salvo obbligazione solidale con indivisibilità. Nel contesto tributario, l’obbligazione è spesso solidale ma divisibile per soggetto, e l’interruzione andrebbe valutata per ciascuno. In pratica, se AER notifica intimazione alla società e non ai soci garanti, per i soci la prescrizione potrebbe continuare a decorrere. Però poi se cercheranno di riscuotere dai soci, questi possono eccepire prescrizione se per loro son passati i termini. È dettaglio sofisticato, ma da considerare in situazioni con garanti e coobbligati (es: soci accomandatari di SAS con cartella alla SAS, o eredi).
  • Interessi moratori e anatocismo: i tributi una volta a ruolo maturano interessi di mora (tasso stabilito annualmente). Tali interessi vengono calcolati e richiesti nell’intimazione. Civilisticamente, gli interessi moratori su tributi non pagati sono dovuti fino al saldo, ma anche gli interessi hanno prescrizione autonoma di 5 anni come detto. Un aspetto: l’Agente applica l’interesse composto? In teoria no, non dovrebbe esserci anatocismo (interessi su interessi) se non dopo domanda giudiziale; ma l’AER applica gli interessi di mora periodicamente anche sul debito comprensivo di precedenti interessi iscritti, in pratica li capitalizza ogni anno. Questo raramente è contestato, ma a rigore si potrebbe eccepire la non debenza di interessi anatocistici non previsti espressamente dalla legge tributaria. È un argomento di nicchia, però civilistico.
  • Rapporti contrattuali e di credito dell’impresa: un imprenditore che si veda recapitare una intimazione tardiva potrebbe doverne tenere conto nel bilancio (se il debito è prescritto, andrebbe stornato dai debiti verso Erario). D’altro canto, se il debito non è prescritto, rimane una passività. Quindi la valutazione legale della prescrizione può avere riflessi di diritto commerciale/contabile: ad esempio, se un’azienda in chiusura è bersaglio di intimazioni per tributi decennali, i liquidatori devono valutare se accantonare o considerare quei debiti estinti, e la loro decisione deve essere fondata su una corretta analisi giuridica (altrimenti rischiano responsabilità verso creditori o soci).
  • Pagamento dopo la prescrizione: come sottolineato, se un debitore paga spontaneamente un debito prescritto, non può agire per ripetizione (art. 2034 c.c.). Questo è un principio civilistico che spesso lascia l’amaro in bocca a chi scopre tardi che poteva non pagare: purtroppo la legge favorisce la certezza delle transazioni, quindi il consiglio è di informarsi prima di pagare.

Profili amministrativi (responsabilità erariale e prassi interne)

Il lato amministrativo riguarda principalmente la responsabilità dei funzionari o concessionari per la mancata tempestiva riscossione. Quando un credito pubblico va in prescrizione per inerzia dell’Amministrazione, si verifica un danno erariale: lo Stato o l’ente locale ha perso definitivamente un’entrata che gli era dovuta. Questo danno può dar luogo a un’azione di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei Conti nei confronti dei responsabili (dirigenti, funzionari addetti alla riscossione) ritenuti negligenti.

La giurisprudenza contabile ha affermato chiaramente che il danno erariale si concretizza nel momento in cui il credito viene perso per prescrizione. Solo a quel punto il danno diventa attuale e quantificabile (è pari all’importo del credito non più riscuotibile). Ad esempio, se un funzionario comunale non ha mai sollecitato né inviato ruoli per la TARSU 2015 e nel 2021 il credito si prescrive, il Comune ha perso quell’entrata; la Corte dei Conti, su segnalazione magari dei revisori, potrebbe chiamare in giudizio i funzionari competenti per rispondere del danno.

C’è però un ulteriore termine: l’azione di responsabilità erariale si prescrive in 5 anni dal momento in cui il danno si è verificato (art. 1, co. 2, L. 20/1994). Quindi la Corte dei Conti può procedere solo se cita i responsabili entro 5 anni dalla data in cui il credito è diventato inesigibile (data di prescrizione). Ad esempio, se un credito si prescrive a dicembre 2019, entro dicembre 2024 deve essere iniziata l’azione; dopo non è più possibile perseguire i funzionari.

Le implicazioni pratiche:

  • Agenzia Entrate-Riscossione: essendo un ente pubblico economico, i suoi dirigenti potrebbero essere chiamati a rispondere se lasciano prescrivere grossi crediti senza motivo. D’altro canto, l’Agente si può difendere sostenendo di aver fatto il possibile (a volte le prescrizioni maturano per oggettivo irreperibilità del debitore o per sospensioni di legge).
  • Enti Locali: spesso i comuni hanno avuto difficoltà a riscuotere, e ci sono stati casi di condanna per danno erariale per cartelle lasciate scadere. Ad esempio, la Corte dei Conti Campania nel 2024 (sent. 429/2024) ha trattato proprio un caso di omessa riscossione, ribadendo i principi di cui sopra.
  • Riflesso per il contribuente: sapere che i funzionari rischiano in proprio a volte può facilitare un dialogo. Ad esempio, un dirigente comunale potrebbe essere più incline ad annullare in autotutela un credito prescritto (anziché provare a incassarlo con la forza) per evitare di aggravare la sua posizione. D’altro canto, alcuni enti potrebbero intransigentemente rifiutare di riconoscere la prescrizione per non “sconfessare” la propria inerzia, ma rischiano poi la condanna contabile.

Inoltre, sul piano amministrativo, notiamo:

  • Prassi interne di AER: l’Agente della riscossione ha l’obbligo di tenere un inventario dei crediti prescritti e comunicare agli enti creditori quando un ruolo è divenuto inesigibile per prescrizione. In teoria, l’ente creditore potrebbe discaricare il ruolo per inesigibilità. Spesso però, soprattutto in passato, non c’era un monitoraggio fine della prescrizione, e capitava che intimazioni venissero comunque inviate su crediti prescritti sperando di incassare se il contribuente non eccepiva nulla. Oggi con sistemi informatici migliori, AER tende ad evitare di inviare atti su partite palesemente prescritte. Va però detto che la prescrizione non è sempre automatica (va provata, soprattutto se ci sono state notifiche postali con compiuta giacenza che il contribuente ignora, etc.), quindi l’Agente potrebbe considerare “non sicura” la prescrizione e tentare comunque.
  • Linee guida interne: non pubbliche, ma presumibilmente AER ha linee guida su quanti solleciti inviare prima di lasciar perdere un credito. Ad esempio, può decidere di notificare un’intimazione ogni 4 anni su ruoli di importo > X, iscrivere ipoteca su ruoli > Y, e dopo 10 anni di inattività considerare il ruolo perso. Questi sono aspetti gestionali che variano.
  • Tutela del contribuente “virtuoso”: In un’ottica amministrativa, far valere la prescrizione è anche un modo per incentivare le amministrazioni a operare bene. Un’impresa che diligentemente eccepisce la prescrizione aiuta a creare un precedente che quell’ente non incasserà i crediti vetusti, spingendolo a essere più tempestivo in futuro o a fare pulizia di residui attivi inesigibili in bilancio.

Profili penali

Di per sé, il ricevimento di un’intimazione di pagamento o il fatto che sia tardiva non implicano direttamente fattispecie penali. Tuttavia, esistono alcuni reati in ambito tributario e fallimentare collegati al mancato pagamento di imposte o al tentativo di sottrarsi alla riscossione, che possono entrare in gioco nelle vicende correlate a un’intimazione tardiva:

  • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): è un reato tributario che punisce chiunque, al fine di evadere il pagamento di imposte dovute o di interessi/sanzioni relativi a imposte, compie atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione (ad esempio simulare vendite, spostare fondi a prestanome, occultare beni). Affinché vi sia reato, l’ammontare delle imposte, sanzioni e interessi cui ci si vuole sottrarre deve superare una certa soglia (attualmente €50.000, elevabile a €200.000 per l’ipotesi aggravata). Questa fattispecie potrebbe riguardare un contribuente che, dopo aver ricevuto un’intimazione (magari perché la riscossione sta per partire), cerchi di mettere in salvo il patrimonio in modo fraudolento. Ad esempio, l’imprenditore Tizio, ricevuta intimazione per €300.000 di IVA arretrata, trasferisce fittiziamente i macchinari a un’altra società per evitare il pignoramento: questo comportamento configurerebbe il reato di sottrazione fraudolenta. Non importa se il debito sia prescritto o no dal punto di vista penale: se Tizio credeva di dover pagare e agisce per non pagare, commette il reato. Va detto che se poi il debito risultasse prescritto e Tizio fosse stato ignaro di ciò, in teoria non c’era un’imposta dovuta; ma giurisprudenza penale considera il reato di pericolo, consumato con l’atto fraudolento a prescindere dall’effettiva esigibilità (basta che vi fosse una pretesa fiscale in corso). Quindi la prescrizione tributaria eventualmente accertata in sede civile non esclude il reato se l’atto fraudolento c’è stato, ma potrebbe incidere sull’elemento soggettivo (se Tizio era sicuro fosse prescritto, poteva non avere “fine di evadere il pagamento” perché credeva non dovuto… però è sottile).
  • Reati di omesso versamento (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000): riguardano il mancato versamento di ritenute certificate o IVA entro certe scadenze annuali, sopra soglie di €150.000 (ritenute) e €250.000 (IVA). Questi reati si consumano al momento del mancato versamento (ad esempio, non versare l’IVA dovuta per l’anno X entro il termine dell’acconto dell’anno successivo, se sopra soglia, è reato). Ora, ricevere un’intimazione tardiva significa che l’omissione di pagamento è avvenuta anni prima: il reato, se c’era, è stato commesso allora. L’intimazione in sé non genera nuovi reati, ma può ricordare al destinatario che egli ha commesso quell’omissione (se non è stato sanato). Per esempio, Caio riceve intimazione nel 2025 per IVA 2018 non pagata di €300k: l’omesso versamento IVA 2018 oltre soglia è reato, e se la Procura lo viene a sapere (spesso incrociando dati o su segnalazione AdER), Caio potrebbe essere perseguito. Tuttavia, i reati di omesso versamento hanno un termine di prescrizione penale (di solito 6 anni) e spesso, trascorsi 5-6 anni, sono penalmente prescritti. Un’intimazione dopo 7 anni potrebbe riguardare un reato tributario ormai improcedibile penalmente. Quindi, penale e tributario hanno due prescrizioni diverse: uno può dovere ancora imposte ma non essere più perseguibile penalmente. Il professionista deve sapere ciò per tranquillizzare il cliente sul fronte penale, ma spronarlo a risolvere sul fronte fiscale.
  • Bancarotta semplice o fraudolenta: se l’imprenditore, schiacciato dai debiti anche tributari, porta l’azienda al fallimento, gli potranno essere contestati reati fallimentari. Ad esempio, aggravare il dissesto non pagando imposte per anni può essere considerato bancarotta semplice (per negligente omissione di pagamenti, art. 217 L.Fall., se ancora applicabile in nuovo codice crisi) oppure bancarotta fraudolenta per distrazione se ha sottratto attivi per non farli prendere al fisco. Anche l’aver lasciato prescrivere debiti fiscali all’azienda (non pagandoli né accantonando) potrebbe essere visto come indice di mala gestio (ma in genere la bancarotta punisce altri tipi di atti).
  • Concussione o indebita induzione: ipotesi remote ma da menzionare: se mai un funzionario minacciasse un contribuente prospettandogli guai per un debito prescritto a meno che paghi qualcosa, potrebbe configurare reati di concussione o induzione indebita. Non è usuale, ma va detto: il contribuente, soprattutto imprenditore magari “debole”, deve sapere che se un agente della riscossione gli chiedesse tangenti o lo spaventasse oltre misura abusando della sua posizione, esistono tutele penali.

In sintesi, per l’imprenditore che riceve un’intimazione tardiva gli aspetti penali da considerare sono:

  • Non compiere azioni scomposte come occultare beni in modo fraudolento: meglio cercare soluzioni legali (ricorsi, dilazioni) che finire indagati per art.11.
  • Verificare con il proprio consulente se il debito tributario originario potrebbe aver integrato reati a suo tempo (omessi versamenti): in caso affermativo, vedere se i termini di prescrizione penale sono decorsi o se vi sono ancora rischi (in genere l’ordinamento prevede cause di non punibilità se poi paghi il dovuto, per alcuni reati tributari, quindi potrebbe esserci convenienza a definire). Comunque, dopo 5-7 anni, di solito la mannaia penale non c’è più, restano le sanzioni amministrative.
  • In caso di procedure concorsuali, sapere che i debiti tributari prescritti non vanno pagati (ovvio) e che comportamenti verso il fisco saranno scrutinati dal curatore e giudice.

Casi pratici e simulazioni

Vediamo ora alcuni casi pratici e simulazioni che aiutano a mettere in pratica quanto esposto, mostrando come un professionista dovrebbe ragionare e agire in situazioni tipiche di intimazioni tardive.

Caso 1: Intimazione dopo 6 anni – tributo erariale non prescritto

Scenario: L’avvocato Bianchi assiste una ditta individuale che ha ricevuto a luglio 2025 un’intimazione di pagamento dall’AdER. L’intimazione si riferisce a una cartella IRPEF notificata il 20 giugno 2019, relativa a imposte dell’anno d’imposta 2014 (derivate da un avviso di accertamento non impugnato). L’importo attuale richiesto è €15.000 tra imposta, sanzioni e interessi.

Analisi: Sono passati 6 anni dalla cartella (2019-2025). Per IRPEF, come sappiamo, la prescrizione è 10 anni. 6 anni < 10 anni, quindi in assenza di altri elementi, il debito non è ancora prescritto. L’intimazione in sé è stata emessa oltre l’anno dalla cartella (quindi giustamente notificata come da art.50 DPR 602/73) ma entro i termini di prescrizione.

L’avvocato verifica comunque eventuali atti intermedi: il cliente riferisce di non aver ricevuto altro. Dall’estratto di ruolo risulta che l’AdER effettivamente non aveva mai inviato solleciti prima (forse aspettando la definizione di rottamazione o simili). Quindi, il primo e unico atto dopo la cartella è proprio questa intimazione.

Azione consigliata: Dato che la prescrizione non è maturata, non si può puntare su quella in un ricorso. Si esplorano altri possibili motivi:

  • Verificare se la cartella 2019 fu notificata correttamente: sì, c’è relata via PEC, quindi atto valido e definitivo.
  • Verificare se l’avviso di accertamento originario poteva essere viziato: ma essendo definitivo non impugnato, non è contestabile ora nel merito.
  • Valutare se vi sono sconti o definizioni pendenti (rottamazione 2023? Il cliente non ha aderito).
  • Forse l’unica è trattare sul pagamento. Il cliente è concorde nel pagare ma chiede tempo.

In questo caso l’avvocato non consiglia un ricorso (sarebbe infondato su prescrizione). Piuttosto, suggerisce di presentare istanza di rateizzazione all’AdER. Importo €15k, la legge consente dilazioni fino a 72 rate (6 anni) senza dover dare garanzie. Il cliente opta per 48 rate mensili di circa €312. L’intimazione si soddisfa col piano rate, e l’Agente sospende i pignoramenti una volta concesso.

Simulazione temporale:

  • Cartella 20/6/2019: inizia prescrizione decennale → scadenza prevista 20/6/2029 se nessun atto.
  • Intimazione 15/7/2025: interrompe prescrizione al 6° anno → nuova scadenza prescriz. 15/7/2035.
  • Rateizzazione concessa 2025: ogni pagamento rateale riconosce il debito e tiene sospesa l’esecuzione; se tutte le rate pagate, debito chiuso. Se il cliente defaulta, la prescrizione riparte da ultimo pagamento.

Esito: L’intimazione non viene impugnata. Il cliente ottiene il dilazionamento e paga gradualmente. Nessun contenzioso. (L’avvocato monitora però eventuali norme di “saldo e stralcio” future: se per assurdo nel 2026 uscisse una rottamazione-quater, potrebbe far aderire il cliente per risparmiare sanzioni, sospendendo la rateazione in corso).

Caso 2: Intimazione dopo 8 anni – tributo locale prescritto

Scenario: Un commercialista contatta un tributarista perché il suo cliente, la società Alfa Srl, ha ricevuto nel 2025 un’intimazione di pagamento dal concessionario locale (raggiungendo via raccomandata). L’intimazione fa riferimento a due cartelle TARI notificate rispettivamente nel 2016 e nel 2017, per omesso pagamento della tassa rifiuti 2013 e 2014. L’importo complessivo richiesto ora è €12.000 tra tributo e accessori.

Analisi: Le cartelle si riferiscono a tributi locali (TARI), ciascuna risalente a più di 7-8 anni fa. La prescrizione per tributi locali è 5 anni. Quindi, in linea di principio, i crediti TARI 2013/2014 si sarebbero prescritti entro il 2021-2022, a meno che qualche atto non abbia interrotto. Il cliente afferma di non aver mai ricevuto nulla dopo le cartelle (che peraltro erano state notificate via PEC alla società, quindi la notifica è valida anche se magari all’epoca non furono pagate per carenza di liquidità).

Estratto di ruolo: evidenzia nessun atto dal 2017 ad oggi. Le uniche due voci di ruolo sono quelle due cartelle e ora l’intimazione.

Dunque sembrerebbe una classica prescrizione quinquennale maturata: dal 2017 al 2025 sono 8 anni, ben oltre 5, senza interruzioni.

Azione: Consigliato vivamente il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per far dichiarare prescritti i crediti TARI. Motivo centrale: prescrizione quinquennale delle entrate tributarie locali, ampiamente maturata.

Si redige il ricorso indicando che:

  • Cartella A notificata il 10/3/2017 – nessun atto successivo – prescrizione 5 anni maturata il 10/3/2022.
  • Cartella B notificata il 5/5/2016 – prescrizione maturata il 5/5/2021.
  • Intimazione notificata nel 2025 ben oltre tali termini.
  • Si cita giurisprudenza (Cass. 31260/2022, Cass. 13683/20) a suffragio.
  • Si chiede annullamento dell’intimazione e dei ruoli per intervenuta prescrizione dei crediti.

Si allegano estratto di ruolo, copie PEC di notifica delle cartelle (per dimostrare date precise), intimazione ricevuta.

Termine: si fa attenzione ai 60 gg. L’intimazione è di fine maggio 2025, il ricorso va presentato entro fine luglio 2025.

Misure cautelari: Poiché 12k € non sono altissimi e non c’è notizia di pignoramenti imminenti, si valuta che il rischio non sia irreparabile; si può decidere di non chiedere sospensione cautelare (specialmente se l’AdER locale di solito aspetta l’esito, come spesso accade per importi contenuti, oppure se c’è tempo). In caso di dubbio, si può chiedere sospensione evidenziando la chiara prescrizione.

Possibile obiezione avversa: L’ente locale potrebbe opporre che la prescrizione è decennale se paragonata a imposte (tesi minoritaria), ma dati i precedenti di Cassazione, difficilmente convincerà il giudice. Oppure potrebbe sostenere che l’atto interruttivo c’è stato: alcune volte i Comuni inviano solleciti “massivi” per TARI (non tramite ruolo, ma lettere). Se l’estratto non li menziona, probabile non ci siano stati. Inoltre, l’ente avrebbe dovuto provarli.

Esito atteso: La CGT di primo grado con sentenza nel 2026 accoglie il ricorso, dichiarando prescritti i crediti e annullando l’intimazione. L’ente non appella (per 12k non conviene, e poi la legge è dalla parte del contribuente). La società Alfa Srl non paga nulla e pulisce la posizione.

Caso 3: Intimazione su società cessata e responsabilità ex soci

Scenario: Beta SNC si è sciolta e cancellata dal Registro Imprese nel 2018. Nel 2025, uno degli ex soci, il sig. Rossi, riceve un’intimazione di pagamento a suo nome contenente debiti di Beta SNC: una cartella IRAP 2015 notificata alla società nel 2017 (mai pagata). Importo €8.000. Beta SNC non esiste più; Rossi era socio al 50%.

Analisi giuridica: Quando una società di persone si scioglie e cancella, i soci subentrano nei debiti sociali non soddisfatti, illimitatamente (art. 2312 c.c. e art. 2495 c.c. analogia per SNC). L’Agente quindi sta legittimamente cercando dai soci il pagamento di un debito tributario della ex società. Però occorre valutare tempi:

  • Cartella a Beta 2017 → prescrizione IRAP 10 anni (dovrebbe scadere 2027).
  • Son passati 8 anni → non prescritta ancora.
  • Rossi però afferma di non aver mai saputo della cartella nel 2017 (forse fu notificata alla sede della società e ritirata dall’altro socio o giacenza).

Qui i temi: prescrizione non maturata, quindi ricorso su quello no. Altri motivi: la notifica della cartella alla società nel 2017 – se fosse nulla, Rossi potrebbe dire che la prima vera notifica al soggetto obbligato è l’intimazione 2025, tardiva rispetto ai termini di decadenza? Probabilmente no, la cartella a società fu valida (c’è relata a mani dell’amministratore).

Possibile difesa: Contestare che l’intimazione al socio è invalida perché prima doveva essere notificata la cartella anche a lui? Non proprio, la legge consente di notificare cartella alla società (all’epoca soggetto d’imposta IRAP era la società). Il socio risponde ex lege dopo scioglimento, ma non c’era obbligo di notifica originaria a lui. Tuttavia, c’è giurisprudenza (Cass. 7676/2021 ad es.) che dice: “la notifica della cartella alla società vale anche ai fini dei soci, purché questi siano escussi dopo”. Non serve notifica al socio entro decadenza, la responsabilità è solidale.

Quindi sul piano tributario, Rossi deve pagare a meno che speri nella prescrizione fra 2 anni. Potrebbe tatticamente tentare di tirare lungo: l’intimazione ora interrompe e sposta al 2035, quindi no.

Soluzione: Forse contestare la legittimazione passiva: dire che il socio non è destinatario di intimazione perché atto intestato a lui ma per ruolo intestato a società. Ma la legge consente di colpire l’ex socio per debiti sociali (Corte Cost. 142/2021 ha ritenuto legittimo escutere soci anche dopo estinzione, nel limite delle somme ricevute in liquidazione, ma per SNC illimitatamente). Forse l’importo può essere chiesto interamente a un socio se l’altro è irreperibile. Rossi può rivalersi civilmente sul socio Bianchi per la sua parte eventualmente.

In definitiva, nessun chiaro motivo di annullamento appare. L’avvocato suggerisce di negoziare con AdER una riduzione o rateazione: si potrebbe provare a fare domanda di stralcio per carichi sotto 1000€ se fosse stato <1000, ma è 8000. Forse Rossi poteva aderire alla Definizione agevolata 2023 se quell’annata era inclusa (ruoli 2017), ma ormai scaduta.

Opta per pagare (magari in 24 rate). Questo caso illustra che non sempre l’intimazione tardiva ha appigli: qui 8 anni non bastavano per IRAP, e l’obbligazione ricade su socio.

Caso 4: Intimazione e atto di pignoramento senza intimazione – tutela

Scenario: Un contribuente persona fisica riceve nel 2025 un atto di pignoramento del conto corrente da AdER per €5.000 relativo a una cartella del 2019 (multa stradale non pagata). Non gli risulta di aver ricevuto intimazione nei mesi precedenti, e infatti controllando vede che la cartella era del 2019 e non essendo tributo, AdER non ha intimato entro l’anno (per multe, l’obbligo intimazione forse non c’è in stesso modo, ma supponiamo che valga comunque art.50). Sono passati 6 anni. Per le sanzioni CdS la prescrizione è 5 anni.

Analisi: Qui l’atto esecutivo (pignoramento) è già avvenuto senza intimazione preventiva, a quanto pare, ed è pure dopo 5 anni. Situazione ibrida: la persona non ha ricevuto intimazione, quindi non ha potuto ricorrere per prescrizione; ora con pignoramento in corso, può agire con opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. sostenendo:

  • Che il credito è estinto per prescrizione (5 anni dalla cartella 2019 a atto 2025).
  • Che in ogni caso l’Agente avrebbe dovuto notificare avviso ex art.50 DPR 602/73 essendo trascorso oltre 1 anno dalla cartella, e la mancanza lo rende illegittimo.

Il giudice competente: trattandosi di multa, Giudice di Pace o Tribunale come esecuzione? Dato importo 5000, e sanzione amministrativa, dovrebbe essere GdP (ma come esecuzione civile, difficile dire, probabilmente Tribunale esecuzioni perché fase esecutiva? In opposizione esecuzione su sanzione amministrativa c’è giurisdizione giudice ordinario, di regola Tribunale).

Azione: L’avvocato propone immediatamente ricorso in opposizione all’esecuzione (615 cpc) chiedendo sospensione dell’esecuzione (il G.E. può sospendere). I motivi: mancanza di titolo esecutivo valido (cartella prescritta, e omessa intimazione).

Possibile esito: Il giudice potrebbe rilevare che l’art.50 DPR 602/73 prevede intimazione per ruoli esattoriali e che la Cassazione ha assimilato preavviso di mora come necessario per tributi, ma per multe alcuni avevano dubbi se quell’obbligo valesse: in realtà la Cassazione a Sezioni Unite ha detto che l’avviso di mora è impugnabile anche per tasse auto e simili, quindi presumiamo sì, serviva. Quindi l’assenza di intimazione rende il pignoramento viziato e annullabile. E la prescrizione quinquennale aggiunge un altro colpo.

Simulazione: Opposizione accolta, pignoramento revocato, multa non più riscuotibile. Questo caso è parallelo al tema intimazioni tardive, mostrando che se saltano la tappa intimazione e il tempo è passato, il contribuente può reagire anche a posteriori, sebbene con più affanno (infatti si è visto il conto bloccato nel frattempo).

Caso 5: Simulazione di calcolo prescrizione con atti interruttivi

Scenario: Una società ha una cartella IVA 2010. Seguono questi eventi:

  • Cartella notificata 1/7/2013.
  • Sollecito bonario inviato dall’Agente il 10/1/2017 (atto interruttivo).
  • Preavviso di intimazione inviato 5/9/2018 (anche se non previsto formalmente, supponiamo).
  • Intimazione notificata 20/3/2022.
  • Seconda intimazione notificata 10/1/2025.

Il tributo IVA (erariale) prescrizione 10 anni.

Calcolo lineare:

  • Dal 1/7/2013 decorre 10 anni → scadenza 1/7/2023 se nulla intervenisse.
  • Il sollecito 10/1/2017 interrompe: a quella data erano passati 3 anni e mezzo, si azzera e ricomincia → nuova scadenza 10/1/2027.
  • Il preavviso 5/9/2018 è ulteriore atto (dopo 1 anno e 8 mesi dal precedente): interrompe di nuovo → nuova scadenza 5/9/2028.
  • L’intimazione 20/3/2022 interrompe (dopo ~3.5 anni da prev): nuova scadenza 20/3/2032.
  • La seconda intimazione 10/1/2025 interrompe (dopo 2 anni e 10 mesi): nuova scadenza 10/1/2035.

Quindi il credito è ben tenuto in vita. Nessuna prescrizione maturata.

Questo per evidenziare come atti multipli estendono la vita del credito praticamente indefinitamente se fatti almeno uno ogni periodo prescritto.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito, una serie di domande comuni sull’argomento “intimazioni di pagamento tardive” con risposte chiare e sintetiche.

D: Ho ricevuto un’intimazione dopo oltre 5 anni dalla cartella: posso non pagarla perché il debito è ormai scaduto?
R: Dipende. Devi verificare quale sia il termine di prescrizione per quel debito. Se è un tributo locale (IMU/TARI ecc.) con prescrizione quinquennale, 5 anni di inattività generalmente estinguono il debito. Se è un tributo erariale (IRPEF, IVA) con prescrizione decennale, 5 anni non bastano – il debito è ancora vivo. Inoltre conta se in quei 5 anni ti hanno inviato qualche sollecito (anche se lo hai ignorato): in tal caso il conteggio riparte. In pratica, un’intimazione “dopo 5 anni” è illegittima senza altri atti solo se il credito aveva prescrizione 5 anni (o 3 anni per bollo auto) e nessuno ha interrotto nel frattempo. Se sei convinto che sia prescritto, dovrai comunque impugnare l’intimazione per far valere la prescrizione; non pagare e basta non mette al riparo dal pignoramento, a meno che tu ottenga una pronuncia favorevole.

D: Qual è la differenza tra prescrizione e decadenza, in parole semplici?
R: La decadenza è un termine entro cui l’ente deve fare qualcosa (tipo notificarti un atto) oppure perde il diritto di farlo. È fissato dalla legge (es: 5 anni per notificare un accertamento IMU). Se l’ente sfora quel termine, l’atto che ti manda è nullo perché tardivo. La prescrizione invece è il termine entro cui, dopo che un atto valido c’è stato (tipo una cartella), l’ente deve riscuotere i soldi. Se passa troppo tempo senza che l’ente si faccia vivo, il debito si estingue per legge. Ma attenzione: mentre la decadenza la può rilevare anche il giudice d’ufficio, la prescrizione la devi invocare tu, altrimenti non opera. E la prescrizione si può interrompere (ricominciando il conteggio da capo) con un semplice avviso o intimazione, la decadenza no. In breve: la decadenza “blocca” l’azione prima che nasca il titolo, la prescrizione “uccide” il credito se il titolo c’è ma non viene perseguito tempestivamente.

D: Come calcolo se il mio debito è prescritto?
R: Prima individua la natura del tributo o credito (vedi tabelle riepilogative in questa guida) e il relativo termine di prescrizione. Poi prendi la data dell’ultimo atto valido che hai ricevuto (es: la cartella esattoriale, o l’accertamento esecutivo) e aggiungi gli anni di prescrizione. Se nel frattempo hai ricevuto qualche atto scritto dal Fisco/Agente, quella data “resetta” il conteggio: riparti da lì a contare di nuovo gli anni. Esempio: cartella TARI notificata il 10/9/2015, prescrizione 5 anni → scadenza 10/9/2020. Ma se nel 2018 ti hanno mandato un sollecito, la prescrizione riparte dal 2018 fino al 2023. Devi considerare anche sospensioni di legge (ad es. periodo Covid 2020-21 che ha congelato quasi 18 mesi). In pratica, elenca tutte le date di notifica che ricordi o risultano dall’estratto di ruolo e vedi l’intervallo più lungo senza atti: se supera il termine previsto, c’è prescrizione. In caso di dubbi, consulta un esperto con la documentazione completa.

D: Cosa succede se non impugno l’intimazione entro i 60 giorni?
R: Trascorsi 60 giorni dalla notifica senza ricorso, l’intimazione diventa definitiva e non più contestabile. Ciò significa che per legge non potrai più far valere eventuali eccezioni al debito (men che meno la prescrizione maturata fino a quel momento) in fasi successive. L’Agente potrà procedere con pignoramenti, fermi amministrativi ecc. e tu sarai limitato nei tuoi mezzi di difesa: per esempio, non potrai fare opposizione all’esecuzione lamentando la prescrizione se non l’hai eccepita impugnando l’intimazione. In sostanza, perderesti la chance di bloccare il debito in sede tributaria. Dovresti poi pagare o trattare, oppure l’unica sarebbe tentare un’azione tardiva in extremis (ma con scarse probabilità) davanti al giudice dell’esecuzione, oppure confidare in un condono. Situazioni da evitare. Perciò, se hai motivi validi, ricorri entro 60 giorni.

D: Posso fare ricorso contro un’intimazione per una cartella che non mi è mai stata notificata?
R: Sì. Se non hai mai ricevuto la cartella esattoriale originaria (né altri atti) e l’intimazione è il primo atto che scopre quel debito, puoi certamente impugnarla per far valere la nullità della notifica della cartella stessa e ogni conseguenza (decadenza, prescrizione). Devi però esserne sicuro: a volte la cartella fu notificata ma a un vecchio indirizzo, o c’è una relata di deposito per irreperibilità. Puoi controllare chiedendo all’Agente copia della relata. In ricorso dovrai spiegare: “l’intimazione è illegittima perché l’atto presupposto (cartella n… del …) non è mai stato notificato al contribuente, che ne ha avuto conoscenza solo ora; pertanto il credito è decaduto/prescritto e comunque l’intimazione è nulla per difetto di atto presupposto notificato”. Il giudice, se accerta la mancata notifica, annullerà tutto. Questo ricorso va presentato sempre entro 60 giorni dall’intimazione (non dalla cartella, che non hai ricevuto). Nota: se invece la cartella ti fu notificata e l’hai dimenticata o persa di vista, non potrai contestarne la notifica ora (troppo tardi); potrai solo discutere di prescrizione successiva.

D: L’intimazione di pagamento può essere annullata per vizi di forma (mancata indicazione dettagli, ecc.)?
R: È difficile, ma teoricamente possibile. L’intimazione è un atto abbastanza standard: deve riportare gli estremi delle somme dovute (meglio se suddivise per cartella/ruolo, importi, interessi, sanzioni) e l’ingiunzione a pagare entro 5 giorni. Se mancasse l’indicazione di quali cartelle si riferisce, ad esempio, sarebbe un vizio grave di motivazione, perché non capiresti cosa ti stanno chiedendo. Oppure se fosse priva di firma o notificata in modo non conforme, si potrebbero eccepire nullità. Però sono casi rari: di solito questi atti sono formalmente corretti. Un errore comune è confondere i 5 giorni “di calendario” con lavorativi: la legge dice 5 giorni punto (non lavorativi), ma questo non è un vizio, è solo una nota. Quindi, la maggior parte delle volte i motivi validi sono sostanziali (prescrizione, pagamento già avvenuto, ecc.), più che formali.

D: A chi devo presentare il ricorso e in che modo?
R: Il ricorso, se riguarda tributi (imposte statali o locali, contributi consortili, sanzioni fiscali), va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria) competente per territorio (di solito dove hai il domicilio fiscale). Va prima notificato alla controparte e poi depositato in giudizio. La controparte, nel caso di intimazione, è di solito l’Agenzia Entrate-Riscossione (che ha emesso l’atto); per prudenza puoi mettere in indirizzo anche l’ente impositore originario (es: Comune per IMU, Agenzia Entrate per IRPEF) ma quello obbligato passivo principale è l’Agente della riscossione. La notifica del ricorso si può fare via PEC se hai un difensore abilitato con firma digitale (all’indirizzo PEC dell’ente indicato nell’intimazione), oppure a mezzo posta tramite ufficiale giudiziario. Dopo la notifica, entro 30 giorni devi costituirti depositando copia del ricorso notificato presso la segreteria della Corte Tributaria, insieme agli allegati e alla ricevuta di notifica. Se l’importo contestato supera €3.000, serve l’assistenza di un difensore abilitato (avvocato, commercialista o esperto contabile). Dovrai inoltre versare un contributo unificato per il ricorso, il cui importo dipende dal valore (per valori da 5k a 25k euro è 100 euro, oltre 25k è 200 euro e così via, con massimi per soglie alte). Tutte queste regole sono quelle del processo tributario.

D: Se il debito è effettivamente prescritto devo comunque fare ricorso? L’Agente della riscossione non lo annulla da sé?
R: In teoria dovrebbe annullarlo in autotutela se gliene dai notizia, ma in pratica difficilmente lo fa senza un tuo input formale. Il consiglio è: presenta una istanza di sospensione/annullamento in autotutela all’Agente della riscossione, ai sensi della L.228/2012, allegando le prove che il debito è prescritto (date e atti). L’Agente sospenderà le procedure per 180 giorni e chiederà conferma all’ente creditore. Spesso, però, l’ente non risponde o rigetta per “prudenza”. Quindi, contestualmente, è bene fare anche ricorso al giudice. Se poi l’ente riconosce la prescrizione e annulla, potrai sempre rinunciare al ricorso. Ma non fare nulla sperando che annullino d’ufficio è rischioso: potrebbero invece procedere col pignoramento se non ti muovi. Tieni presente che per legge la prescrizione va eccepita dal debitore, non è automatica. Dunque, sì, conviene attivarsi (ricorso, o almeno istanza autotutela) per far valere il tuo diritto.

D: Il giudice tributario può rilevare d’ufficio la prescrizione?
R: In generale no, deve essere eccepita da te. Nel processo tributario si applica il principio civilistico secondo cui la prescrizione è un’eccezione in senso stretto (art. 2938 c.c.), quindi se il contribuente non la solleva, il giudice non ne tiene conto e considera il debito ancora dovuto. Ci sono state discussioni se il giudice tributario, in assenza di eccezione, potesse ugualmente valutare la decadenza (quella sì in genere la può rilevare) o persino la prescrizione in casi evidenti, ma la linea è che spetta al contribuente invocarla. Quindi non aspettarti che il giudice annulli l’intimazione per prescrizione se tu nel ricorso non l’hai menzionata esplicitamente come motivo. Devi indicare chiaramente i fatti (date) e dire “il diritto di riscossione è estinto per intervenuta prescrizione ex art…”. Solo così verrà esaminata.

D: Posso chiedere una rateizzazione dopo aver ricevuto l’intimazione, anche se voglio contestarla?
R: Sì, puoi chiedere la rateizzazione in qualsiasi momento prima che inizino azioni esecutive (e anche dopo, se non c’è già un pignoramento definitivo). La domanda di dilazione fino a 72 rate (o 120 rate in casi di grave difficoltà) va presentata all’Agente della riscossione. Una volta accettata e pagata la prima rata, vengono sospese le procedure esecutive (niente fermi/pignoramenti finché paghi le rate). Tuttavia, attenzione: chiedere rateizzazione equivale a riconoscere il debito. Se il tuo unico motivo di contestazione era la prescrizione, richiedere la dilazione interrompe la prescrizione e può indebolire la tua posizione in giudizio (non potrai poi sostenere di averla eccepita per non pagare mentre intanto rateizzavi, c’è un’incompatibilità). Diciamo che devi scegliere la strategia: se sei convinto di avere ragione su prescrizione e vuoi far valere quella, meglio procedere con ricorso e tenere duro (al massimo pagando con riserva se temi esecuzione). Se invece il debito non è chiaramente prescritto e vuoi comunque tempo, la rateazione è la via giusta (e puoi sempre interromperla se in futuro uscisse un condono). Puoi anche fare sia ricorso che domanda di rate, ma sappi che in giudizio l’ente potrebbe eccepire che hai chiesto tu la dilazione, quindi hai ammesso il debito, vanificando l’eccezione di prescrizione. Non c’è una risposta unica: valuta con l’avvocato caso per caso.

D: L’Agente della riscossione ha lasciato prescrivere un mio debito enorme: posso chiedere i danni allo Stato per questo errore?
R: Di solito il contribuente beneficia se un debito si prescrive, perché non lo paga più, quindi non c’è un danno suo, anzi semmai un vantaggio (non paga). Quindi non avrebbe senso chiedere danni per un “errore” che in realtà ti ha favorito. Diverso se l’Agente avesse proceduto a riscossione coattiva di un debito già prescritto e ad esempio ti avesse pignorato somme indebitamente: in tal caso avresti diritto alla restituzione di quelle somme e di eventuali ulteriori danni (es: danno reputazionale, spese legali, interessi) subiti per l’esecuzione illegittima. Ma devi dimostrare il danno concreto. In pratica, potresti agire contro AdER solo se hanno incassato soldi che non dovevi più o ti hanno provocato un pregiudizio con un’azione illegittima. È più frequente semmai che sia la Corte dei Conti a chiedere i danni ai funzionari per non aver riscosso (danno erariale), ma questo non porta nulla a te se non la soddisfazione morale. Se ti hanno pignorato per errore, la strada giusta è far sospendere e annullare quell’esecuzione e chiedere il risarcimento in sede di opposizione stessa.

D: Dopo un’intimazione, quanto tempo ha l’Agente per procedere con il pignoramento? C’è il famoso termine di 180 giorni?
R: Attualmente, dal 2020, il termine è 1 anno. Mi spiego: fino al settembre 2020, l’intimazione valeva 180 giorni (6 mesi): se entro 6 mesi non ti pignoravano, quell’intimazione “scadeva” e dovevano notificartene un’altra. C’era dunque chi sperava di far passare 6 mesi per eccepire nullità del pignoramento tardivo. Con la legge n. 120/2020 hanno modificato l’art. 50 DPR 602/73 prolungando questo termine a 12 mesi. Dunque oggi l’Agente, una volta che ti notifica l’intimazione, ha un anno di tempo per iniziare l’esecuzione forzata. Se lo fa dopo più di un anno, quell’intimazione non è più valida e dovrebbe mandartene un’altra (in mancanza, potresti opporre l’irregolarità). Questo termine di efficacia è spesso misconosciuto: alcune fonti web ancora parlano di 180 gg, ma non è più così dal 2020. In sintesi: ricevuta un’intimazione, aspettati eventuali pignoramenti entro l’anno; se passa oltre un anno senza nulla, formalmente servirebbe una nuova intimazione. Naturalmente, la prescrizione generale continua a decorrere in quei periodi.

D: Ho una cartella da tanti anni su cui Equitalia non ha mai fatto nulla. Posso fare qualcosa per farla “dichiarare prescritta” senza aspettare un’intimazione?
R: Sì, puoi muoverti tu proattivamente. In teoria, finché non c’è un atto impugnabile (tipo intimazione, pignoramento, ecc.), non hai un oggetto su cui ricorrere. Ma puoi comunque presentare all’Agente della riscossione un’istanza in autotutela segnalando che quella cartella è ormai prescritta e chiedendone lo sgravio. Se l’Agente/ente riconoscono la prescrizione, procedono a discarico e fine. Se fanno orecchie da mercante, potresti attendere la prossima mossa loro e impugnarla. Un’altra via è, se la cartella appare a ruolo nel tuo estratto ma sono passati ad esempio 15 anni, puoi depositare un ricorso per accertamento negativo del debito tributario in Commissione Tributaria, invocando la prescrizione. Su questo c’è stato dibattito, ma diverse Commissioni ammettono che il contribuente possa agire per far dichiarare l’estinzione del debito anche prima che l’Agente notifichi altro (specie se ha interesse a togliere ipoteche, cancellare dalle liste debito). Devi però citare sia l’ente impositore sia l’Agente e dimostrare la prescrizione. Non tutte le corti lo accettano (perché dicono: aspetta l’atto e impugna quello), ma qualche precedente c’è. Valuta bene con l’avvocato se ne vale la pena. In alternativa, attendi l’intimazione e poi colpisci.

D: Ho pagato dopo la prescrizione, posso riavere indietro i soldi?
R: Purtroppo no, se hai pagato volontariamente. Il pagamento di un debito prescritto non è ripetibile (è considerato adempimento di obbligazione naturale ex art. 2940 c.c.). Potresti tentare una richiesta di rimborso, ma l’ente la rifiuterà eccependo che il pagamento era dovuto al momento della cartella e tu non hai sollevato per tempo la prescrizione. La giurisprudenza è costante: la prescrizione è un’eccezione a disposizione del debitore, se non la usi e paghi, vuol dire che hai rinunciato a farla valere. L’unica chance remota sarebbe dimostrare di aver pagato sotto coazione illegittima (es. ti hanno estorto il pagamento minacciando azioni su un credito in realtà già estinto e tu ignoravi la prescrizione): ma è un percorso incerto e comunque dovresti fare causa all’ente, con esito dubbio. In linea generale, se il debito era prescritto, dovevi farlo valere prima di pagare. Pagando, hai chiuso la partita per sempre, anche se moralmente avevi ragione.

D: Un’intimazione può includere debiti diversi (tributi, multe, contributi): come mi regolo col ricorso?
R: Sì, a volte l’Agente manda un’unica intimazione cumulativa per più ruoli di natura varia. In tal caso bisogna stare attenti: per la parte tributaria, come detto, competente è il giudice tributario; per la parte extratributaria (multe, contributi) no. Quindi ci sono due strade:

  • Se possibile, scorporare le impugnative: ad esempio, se hai nell’intimazione una cartella IRPEF e una cartella INPS, fai un ricorso in Commissione per la cartella IRPEF (eccependo prescrizione, ecc.) e un ricorso al Tribunale (sez. lavoro) per la cartella INPS (eccependo prescrizione contributi). O se c’è una multa, fai opposizione al GdP per quella.
  • Oppure impugnare tutto in un solo foro e accettare limitazioni: spesso la Commissione Tributaria, se impugni l’intera intimazione davanti a lei, si dichiarerà incompetente per la parte non tributaria e tratterà solo la parte tributaria. Ciò può generare complicazioni (ad es. potresti ottenere l’annullamento parziale solo sui tributi, e dover poi agire per le multe). Quindi meglio dividere dall’inizio.
    In ogni caso, nel ricorso tributario puoi segnalare: “l’intimazione contiene anche crediti di natura diversa (specifica quali) per i quali il ricorrente adirà le competenti sedi, mentre limitatamente ai crediti tributari chiede annullamento…”. Così il giudice tributario capisce e non respinge tutto per difetto parziale di giurisdizione. Questa frammentazione non è user-friendly ma è così che funziona il sistema.

D: In conclusione, cosa devo fare subito quando ricevo un’intimazione tardiva?
R: I passi consigliati sono:

  1. Verificare i dettagli dell’intimazione: quali debiti include (tipologia, anno, importi), la data di notifica (da cui calcolare i 60 gg).
  2. Recuperare la storia: ottenere un estratto di ruolo dall’Agente e copie delle notifiche di cartelle e altri atti menzionati. Questo per avere certezza delle date e della correttezza delle notifiche pregresse.
  3. Determinare prescrizione/decadenza: con i dati alla mano, applicare le regole sui termini: il credito risulta prescritto? la cartella originaria era tardiva? Ci sono state interruzioni?
  4. Valutare altri motivi: pagamento già effettuato? sgravio? vizi di notifica? errori macroscopici?
  5. Scegliere la strategia: se emerge un valido motivo (es. prescrizione compiuta), preparare il ricorso tributario; se no, considerare soluzioni alternative (rateazione, saldo e stralcio se normato, ecc.).
  6. Non ignorare i 5 giorni: se prevedi di ricorrere e non vuoi pagare subito, magari invia entro 5 giorni all’Agente una richiesta di sospensione in autotutela per evitare azioni immediate, segnalando che presenterai ricorso per motivi seri (es. prescrizione).
  7. Consultare un esperto: un professionista può confermare la diagnosi ed evitarti errori procedurali (es. sbagliare giudice, termini, etc.).
    In sintesi: attivati prontamente, raccogli informazioni, e non esitare a difenderti per far valere i tuoi diritti.

Conclusioni

L’intimazione di pagamento notificata a distanza di molti anni dalla cartella è un evento che richiede un’attenta analisi legale e una reazione tempestiva. In questa guida abbiamo esaminato le molte sfaccettature del problema, fornendo agli operatori del diritto e alle imprese gli strumenti per:

  • Riconoscere se un’intimazione tardiva rappresenta un atto legittimo o se, invece, nasconde un credito ormai non più esigibile a causa della prescrizione o di vizi procedurali.
  • Conoscere i termini di decadenza e prescrizione per le varie tipologie di tributi e saperli applicare ai casi concreti, calcolando correttamente i periodi tenuto conto di eventuali atti interruttivi e sospensioni.
  • Agire in modo consapevole, scegliendo tra la via del ricorso giudiziario (necessario per far valere i propri diritti in caso di prescrizione maturata o altre illegittimità) e le opzioni amministrative (richieste di sospensione in autotutela, dilazioni di pagamento) per gestire l’intimazione.
  • Difendersi efficacemente, predisponendo i motivi di impugnazione più adeguati (prescrizione, mancata notifica della cartella, avvenuto pagamento, ecc.) e seguendo la corretta procedura processuale, inclusa la scelta del giudice competente e il rispetto dei termini.
  • Prevenire conseguenze negative: evitando, da un lato, di subire pignoramenti su debiti estinti e, dall’altro, di incorrere in possibili responsabilità (ad esempio penali, evitando comportamenti illeciti di reazione) e riducendo al minimo l’impatto sull’operatività aziendale (ad esempio mediante sospensioni o piani rateali).
  • Capire anche gli scenari più complessi, come il coinvolgimento di soggetti terzi (soci di società estinte, eredi, coobbligati) e la necessità di coordinare diverse giurisdizioni quando l’intimazione comprende crediti di natura eterogenea.
  • Contestualizzare il fenomeno in un quadro più ampio: la riscossione tardiva come indice di potenziali responsabilità amministrative all’interno degli enti creditori, la spinta giurisprudenziale verso la tutela del contribuente in caso di inerzia prolungata della PA, le modifiche normative (come il Testo Unico 2025) volte a razionalizzare la materia.

In conclusione, la parola chiave è “tempestività”: sia da parte dell’ente riscossore (che se attende troppo rischia di perdere il credito), sia da parte del contribuente (che se non reagisce in tempo consolida la propria posizione debitoria anche quando potrebbe liberarsene per legge).

Per l’avvocato e l’imprenditore, gestire un’intimazione di pagamento notificata dopo 5 o 10 anni dalla cartella significa bilanciare conoscenza tecnica e strategia pratica: valutare con rigore giuridico la situazione e, allo stesso tempo, scegliere l’azione più efficiente (ricorrere o negoziare) nell’interesse del proprio cliente o della propria impresa. Con le informazioni fornite in questa guida, contiamo di aver reso questo compito più agevole, indicando passo dopo passo come procedere e mettendo in guardia rispetto alle insidie e opportunità che un caso del genere comporta.

Nota finale: Le fonti normative e giurisprudenziali citate e utilizzate sono elencate nella sezione seguente, per facilitare eventuali approfondimenti. Trattandosi di materia in evoluzione (si pensi alle continue pronunce della Cassazione o a possibili future riforme della riscossione), è opportuno mantenersi aggiornati: questa guida è aggiornata a maggio 2025, ma alcune interpretazioni potrebbero evolvere con il tempo. Il principio fondamentale – il rispetto dei termini per entrambi le parti – rimane però un caposaldo del sistema, a tutela sia delle ragioni dell’Erario sia dei diritti del contribuente.

Fonti normative e giurisprudenziali

Di seguito elenchiamo le principali fonti normative e pronunce giurisprudenziali richiamate nel testo, utili per riferimento e approfondimento:

Normativa italiana:

  • Codice Civile:
    Art. 2934 – 2938 c.c.: disposizioni generali sulla prescrizione (estinzione del diritto per inerzia, inderogabilità, necessità di eccezione ecc.).
    Art. 2943 – 2945 c.c.: interruzione della prescrizione (atti equiparati alla costituzione in mora, effetti dell’interruzione e decorso di nuovo termine).
    Art. 2946 c.c.: prescrizione ordinaria decennale.
    Art. 2948 c.c.: prescrizioni brevi (in particolare n.4: prescrizione quinquennale per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”).
    Art. 2953 c.c.: conversione dei termini di prescrizione in decennale a seguito di giudicato (actio iudicati).
    Art. 2034 c.c.: obbligazioni naturali (irripetibilità di quanto spontaneamente pagato in adempimento di dovere morale o prescrizione).
    Art. 2312 c.c. e Art. 2495 c.c.: effetti della cancellazione di società (estinzione e successione dei soci nei debiti residui, con limiti).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (“Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”):
    Art. 26: notifica delle cartelle di pagamento e degli atti della riscossione.
    Art. 50: intimazione ad adempiere e termine per iniziare esecuzione. (N.B.: a seguito del D.Lgs. 24 marzo 2025, n. 33, recante Testo Unico sulla riscossione, l’art. 50 DPR 602/73 è stato abrogato e le sue disposizioni confluite nel nuovo corpus legislativo. Fino a tale riordino, l’art. 50 prevedeva: comma 1 – decorso il termine di 60 gg dalla cartella, il concessionario può procedere ad esecuzione; comma 2 – se non inizia entro 1 anno, deve notificare avviso di intimazione a pagare entro 5 gg; comma 3 – efficacia dell’intimazione limitata nel tempo. La L. 120/2020 ha modificato il comma 3 portando la validità dell’intimazione da 180 giorni a 1 anno).
    Art. 77: iscrizione di ipoteca (con riferimento all’art. 50 per il termine di 1 anno).
    Art. 86: fermo di beni mobili registrati (preavviso e termine).
    Art. 25: termini di decadenza per la notificazione delle cartelle (entro fine secondo anno successivo a definitività accertamento, ecc.).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (“Sanzioni tributarie”):
    Art. 20: termine di prescrizione delle sanzioni tributarie = 5 anni dal momento in cui la violazione è divenuta definitiva. (Salvo effetto giudicato ex art. 2953 c.c.).
  • Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007):
    Art. 1, comma 161: termine di decadenza di 5 anni per notificare avvisi di accertamento dei tributi locali (dall’anno successivo a quello in cui il tributo avrebbe dovuto essere versato).
    Art. 1, comma 163: termine (decadenziale) per la notifica della cartella di pagamento a seguito di avviso di accertamento non impugnato (entro 2 anni dalla definitività). (Norma applicabile fino all’introduzione degli avvisi esecutivi locali nel 2020).
    (Altri commi 158-170 disciplinano in generale accertamento e riscossione dei tributi locali.)
  • Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di Stabilità 2013):
    Art. 1, commi 537 – 543: procedura di sospensione legale della riscossione su istanza del contribuente in presenza di cause di inesigibilità sopravvenute (pagamento già effettuato, sgravio, prescrizione o decadenza del debito, ecc.). L’Agente sospende entro 5 gg su richiesta motivata e documentata, l’ente creditore ha 60 giorni per rispondere, trascorsi 220 giorni senza esito il debito è annullato di diritto.
  • D.L. 21 giugno 2013, n. 69, conv. L. 98/2013 (“decreto del Fare”):
    Art. 52, comma 1, lett. a: ha introdotto la possibilità di rateazione fino a 72 rate per debiti oltre €50.000 senza necessità di garanzie e fino a 120 rate in caso di comprovata e grave difficoltà (disciplina rateazioni equitalia).
  • D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, conv. L. 172/2017:
    Art. 1: scioglimento di Equitalia e subentro Agenzia Entrate-Riscossione dal 1/7/2017 (continuità nei rapporti).
  • D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, conv. L. 157/2019 (Decreto Fiscale 2020):
    – Ha modificato soglie di punibilità per reati di omesso versamento IVA (portata a €250k) e ritenute (€150k).
  • Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020):
    Art. 1, commi 784-815: introduce l’accertamento esecutivo per gli enti locali (dal 2020 gli avvisi di accertamento dei comuni e altri enti locali valgono anche come titolo esecutivo e precetto, sopprimendo l’obbligo di iscrizione a ruolo; prevede obbligo di intimazione di pagamento nell’avviso stesso con 30 gg di preavviso prima di esecuzione).
  • D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. L. 120/2020 (Decreto “Semplificazioni”):
    Art. 12, comma 5-bis (in sede di conversione): ha modificato l’art. 50, co.2 e 3 DPR 602/73, estendendo la validità dell’intimazione da 180 giorni a 12 mesi (in vigore dal 15/09/2020).
  • Legge 30 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023):
    Art. 1, commi 222-231: “Stralcio” dei ruoli fino a €1.000 affidati dal 2000 al 2015 (cancella automaticamente il debito residuo alla data del 31/3/2023, salvo diversa deliberazione enti locali per loro entrate). [Questo incide su molte vecchie intimazioni di piccolo importo].
  • D.Lgs. 24 marzo 2025, n. 33:
    Testo Unico in materia di versamenti e riscossione. (Riordina DPR 602/73 e altre norme; abroga art. 50 DPR 602/73 e altre disposizioni, mantenendo l’istituto dell’intimazione in forma coordinata nel nuovo testo. Entra in vigore dal 27/3/2025).
  • Legge 9 agosto 2023, n. 111 (Delega per la riforma fiscale):
    Art. 21: Delega il Governo a emanare testi unici, tra cui quello su riscossione poi attuato con D.Lgs. 33/2025.
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Accertamento imposte dirette):
    Art. 43: termini accertamento imposte redditi (ora 5 anni dichiarato, 7 anni omesso, in passato 4 e 5).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (IVA):
    Art. 57: termini accertamento IVA (allineati a imposte dirette).
  • Legge 6 agosto 1984, n. 656 (bollo auto):
    Art. 5, DL 2/1986 conv. L. 60/1986: prescrizione 3 anni tassa automobilistica.
  • Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992):
    Art. 209: termine 5 anni per riscossione coattiva sanzioni amministrative CdS (richiamando L. 689/81 art.28).
  • Legge 20/1994 (responsabilità amministrativa):
    Art. 1, co. 2: prescrizione 5 anni dell’azione di danno erariale, decorso dalla data del fatto dannoso (es: data prescrizione credito).

Giurisprudenza – Corte di Cassazione (civile):

  • Cass., Sezioni Unite, 17 novembre 2016, n. 23397: Principio di diritto: “La mancata impugnazione della cartella nei termini non produce la conversione del termine di prescrizione breve in quello decennale ex art. 2953 c.c., in quanto tale articolo si applica solo ai titoli giudiziali; la cartella, avendo natura amministrativa, non acquisisce efficacia di giudicato”. (Conferma che cartella non impugnata ≠ giudicato, dunque continua a prescriversi secondo il suo termine proprio e non automaticamente in 10 anni se il termine sarebbe stato minore).
  • Cass., Sezioni Unite, 10 dicembre 2009, n. 25790: In materia di sanzioni tributarie: se c’è sentenza passata in giudicato sulla sanzione, prescrizione decennale ex 2953; se definitività deriva da mancata impugnazione, resta prescrizione quinquennale ex art.20 D.Lgs 472/97. (Atto di indirizzo su differenza giudicato vs mancata impugnazione per sanzioni; principi poi estesi concettualmente ad altri crediti).
  • Cass., Sezioni Unite, 30 aprile 2024, n. 11676: (Citata in testo) Ha ricomposto due orientamenti: ha confermato che i crediti erariali si prescrivono in 10 anni salvo diverso termine di legge e che la conversione ex 2953 c.c. opera solo col giudicato, non con mancata impugnazione di atto amministrativo. (Sentenza fondamentale aggiornata al 2024).
  • Cass., Sez. Trib., 3 luglio 2020, n. 13683: Ha affermato che l’ICI ha natura di obbligazione periodica, prescrizione quinquennale ex art. 2948 n.4 c.c.. (Conferma orientamento periodico per tributi locali).
  • Cass., Sez. Trib., 29 novembre 2017, n. 28576: In linea con la precedente su ICI quinquennale.
  • Cass., Sez. Trib., 23 febbraio 2010, n. 4283: Riconosce TARSU come obbligazione periodica, prescrizione 5 anni.
  • Cass., Sez. Trib., 24 settembre 2020, n. 22781: (Non citata sopra ma coerente) Ha ribadito no conversione 2953 per atti amministrativi non impugnati, e delineato differenza tributi erariali (non periodici) vs locali (periodici).
  • Cass., Sez. Trib., 18 maggio 2018, n. 12200: (Richiamata) Conferma orientamento SU 2016 su mancata impugnazione cartella non converte prescrizione.
  • Cass., Sez. Trib., 3 maggio 2019, n. 11760: (Richiamata) Idem come sopra.
  • Cass., Sez. Trib., 15 aprile 2019, n. 10549: Riconosce che prestazione tributaria annuale non è periodica in senso civilistico (autonomia per singolo anno).
  • Cass., Sez. Trib., 14 maggio 2018, n. 11624: Sulla non periodicità delle imposte annuali (nel caso IRAP).
  • Cass., Sez. Trib., 9 agosto 2016, n. 16713: Idem (precursore, su IRPEF credo).
  • Cass., Sez. Trib., 24 gennaio 2023, n. 2095: Riafferma prescrizione quinquennale sanzioni (ex art. 20 D.Lgs 472/97) e interessi (2948 n.4).
  • Cass., Sez. Trib., 13 settembre 2022, n. 27055: Conferma che per cartella non fondata su giudicato, prescrizione sanzioni e interessi è quinquennale (art. 20 D.Lgs 472/97 e 2948 c.c.).
  • Cass., Sez. Unite, 20 agosto 2008, n. 19667: (SU 2008 sul avviso di mora) Ha chiarito impugnabilità avviso di mora anche se non nominato in art.19. [Nel testo è citata SU 8279/2008, ma probabilmente intendevano 19667/08]. In ogni caso SU 2008: l’avviso di mora è impugnabile come atto autonomo.
  • Cass., Sez. Unite, 25 novembre 2024, n. 26817: Caso tasse automobilistiche: il sollecito di pagamento (avviso bonario) è assimilabile all’intimazione ex art.50 e la sua impugnabilità dinanzi al giudice tributario è ammessa, essendo atto preliminare all’esecuzione.
  • Cass., Sez. VI – 5, 17 novembre 2021, n. 40233: Sulla facoltatività impugnazione atti non tipici, guardando alla funzione. Conclude che intimazione è assimilabile ad atto tipico.
  • Cass., Sez. Trib., 17 novembre 2022, n. 27093: Riconduce l’intimazione all’avviso di mora dell’art.19 co.1 lett. e) D.Lgs 546/92.
  • Cass., Sez. Trib., 10 marzo 2021, n. 7077: (non citata, ma in tema) su intimazione impugnabile, e su decorrenza prescrizione da notifica cartella ecc.
  • Cass., Sez. III Civ., 14 ottobre 2020, n. 22108: ha sancito che non impugnare l’intimazione preclude eccezione di prescrizione in sede di impugnazione di pignoramento.
  • Cass., Sez. Unite, 18 settembre 2014, n. 19282: (non menzionata sopra) ha stabilito che per i soci di società estinta la cartella notificata solo alla società è efficace, ma per riscuotere dai soci occorre notifica di un nuovo titolo (questo tema è dibattuto).
  • Cass., Sez. Unite, 12 marzo 2013, n. 6070: (id. sup, su soci post estinzione e limiti).

Giurisprudenza – Corte Costituzionale:

  • Corte Cost. 22 marzo 2017, n. 58: ha dichiarato illegittimo art. 2 DL 138/2011 (sanatoria iter ruoli) ma irrilevante qui.
  • Corte Cost. 31 maggio 2021, n. 142: ha stabilito che l’art. 2495 c.c. non impedisce all’Erario di rivalersi sui soci della società estinta per debiti tributari non soddisfatti, ma ha posto limite pro quota (nel caso SRL) – per SNC i soci restano illimitatamente responsabili.

(Nel contesto, Corte Cost. non ha affrontato prescrizione diretta, ma questioni di responsabilità soci).

  • Corte Cost. 19 aprile 2012, n. 78: su condono 2003 che non rileva qui.

Giurisprudenza – Corte dei Conti:

  • Corte dei Conti, Sez. I Centrale App., 22 aprile 1992, n. 764: (citata nella sentenza Campania) Principio: il danno erariale da mancata riscossione diviene certo al momento della prescrizione del credito.
  • Corte dei Conti, Sez. III Centrale App., 22 giugno 2012, n. 369: (citata) conferma il principio sopra.
  • Corte dei Conti, Sez. giur. Campania, 19 agosto 2024, n. 429: Stabilisce che prescrizione del credito è dies a quo per prescrizione azione di danno erariale (5 anni da lì). Respinge eccezione società concessionaria che diceva “abbiamo cessato attività nel 2014, danno non imputabile” sostenendo che se credito prescrive nel 2019, l’azione fatta nel 2024 è nei 5 anni. (Caso reale, con condanna probabilmente concessionario per non riscosso tributi locali).

Giurisprudenza – Commissioni Tributarie / altre:

  • Comm. Trib. Prov. di Bari, sent. citata su avvocatodurante.it (2023): afferma prescrizione 5 anni per IRPEF (contrasto con SU 2024, ma era giudice di merito).
  • Comm. Trib. Reg. Lombardia, 15/2020: (es.) per citare prassi local, non necessario.

Intimazione di Pagamento Notificata Dopo 5 o 10 Anni Dalla Cartella: Fatti Aiutare Da Studio Monardo

Hai ricevuto un’intimazione di pagamento su una vecchia cartella che pensavi dimenticata?
Sono passati 5 o 10 anni… e ora l’Agenzia delle Entrate Riscossione ti minaccia di pignoramento?

⚠️ Non sempre l’intimazione è valida. Dopo un certo tempo, i debiti si prescrivono.
Ma devi agire subito, perché il tempo ti protegge solo se fai opposizione.

Quanto dura la cartella esattoriale?

🧾 La durata della cartella dipende dal tipo di debito:

  • 10 anni per IRPEF, IRES, IVA
  • 5 anni per multe, contributi INPS, tributi locali
  • 3 anni per bollo auto (in alcuni casi)

📌 Se in tutto questo tempo l’Agenzia non ha fatto nulla (né pignoramenti, né solleciti formali), il debito è prescritto.

L’intimazione notifica “a sorpresa” è legittima?

❓Dipende.

✅ È valida solo se la cartella è ancora “viva” (cioè se ci sono stati atti interruttivi della prescrizione)
❌ È impugnabile se arriva dopo anni di silenzio, senza notifiche o azioni intermedie documentate

📍 L’Agenzia deve provare di averti notificato regolarmente ogni atto interruttivo. Se non ci riesce, l’intimazione è nulla.

Cosa puoi fare se ricevi un’intimazione “fuori tempo”

✅ Richiedi immediatamente l’estratto di ruolo per verificare date e atti
✅ Controlla se ci sono interruzioni regolari della prescrizione
✅ Se non ci sono, puoi fare opposizione al giudice e bloccare tutto
✅ Se il debito è davvero prescritto, chiedi anche la cancellazione da banche dati o CRIF

📌 Non pagare né firmare nulla senza prima aver verificato la legittimità.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza l’estratto di ruolo e la cronologia degli atti notificati
📑 Verifica la prescrizione e redige l’opposizione formale
⚖️ Ti difende in giudizio contro l’intimazione illegittima
🔁 Richiede la cancellazione dei debiti prescritti e delle segnalazioni
🧩 Ti tutela da pignoramenti e fermi amministrativi ingiusti

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso fiscale e opposizione ad atti esattoriali
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore in casi di pignoramenti su debiti prescritti
✔️ Consulente in materia di difesa patrimoniale e annullamento debiti

Conclusione

Un’intimazione ricevuta dopo 5 o 10 anni non è sempre legittima.
Con un controllo legale puoi bloccare la richiesta, far dichiarare il debito prescritto e chiudere la questione.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo:

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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