I Debiti IVA nell’Esdebitazione del Fallito: La Guida

Hai subito un fallimento e ti chiedi se anche i debiti IVA possono essere cancellati con l’esdebitazione? Hai sentito dire che certi debiti tributari restano comunque da pagare, ma non sai se vale anche nel tuo caso?

Negli ultimi anni, la giurisprudenza ha chiarito molti aspetti controversi sull’esdebitazione del fallito, compresa la possibilità di liberarsi dai debiti fiscali, compresi quelli relativi all’IVA.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto fallimentare, sovraindebitamento e contenzioso tributario – ti spiega se e quando i debiti IVA possono essere inclusi nell’esdebitazione, quali sono i limiti previsti dalla legge e dalla Corte di Giustizia europea, e come ottenere una liberazione completa e legittima dai debiti dopo il fallimento.

Cosa prevede l’esdebitazione per l’ex fallito?
L’esdebitazione consente all’imprenditore fallito (oggi “debitore soggetto a liquidazione giudiziale”) di liberarsi dai debiti residui non soddisfatti nella procedura, al termine del fallimento, purché sussistano i requisiti previsti dalla legge (es. comportamento corretto, cooperazione con gli organi della procedura, assenza di reati gravi).

Ma i debiti IVA si cancellano oppure no?
Sì, i debiti IVA rientrano tra quelli cancellabili, secondo una consolidata interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza C-246/16). La normativa europea impone agli Stati membri di non escludere i debiti IVA dall’esdebitazione, poiché ciò violerebbe i principi di parità di trattamento tra i creditori.

Di conseguenza, anche in Italia, l’IVA non pagata può essere oggetto di esdebitazione, salvo casi eccezionali di frode fiscale o comportamento doloso del debitore.

Quando non si ottiene l’esdebitazione?
L’esdebitazione può essere negata se:
– il fallito ha commesso reati fiscali o dichiarazioni fraudolente
– ha occultato attivi, aggravando la propria insolvenza
– non ha collaborato con il curatore o con il tribunale

Se invece hai agito in buona fede e il fallimento è dipeso da una crisi reale, puoi ottenere la cancellazione anche dei debiti verso l’Agenzia delle Entrate, compresa l’IVA.

Cosa fare per ottenere l’esdebitazione con IVA?
È necessario presentare una specifica istanza al giudice delegato, al termine della procedura, con l’assistenza di un legale esperto. L’avvocato può verificare i presupposti soggettivi e oggettivi, preparare la documentazione e difendere il tuo diritto a ripartire senza più debiti sulle spalle.

Se hai subito un fallimento e vuoi sapere se anche i tuoi debiti IVA possono essere cancellati,
richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Esamineremo la tua situazione fallimentare, verificheremo i requisiti per l’esdebitazione e ti guideremo passo dopo passo per ottenere la cancellazione completa dei debiti, riprendere a vivere e ricominciare legalmente, anche dopo un tracollo.

Introduzione

L’esdebitazione del fallito è l’istituto giuridico che consente all’imprenditore fallito (persona fisica) di essere liberato dai debiti residui non soddisfatti al termine della procedura fallimentare, offrendo al debitore una “seconda chance” per ripartire senza l’oppressione dei vecchi debiti. Questo meccanismo, introdotto nel diritto italiano nel 2006, risponde a un’esigenza sempre più avvertita sia a livello nazionale che unionale: evitare che il fallito debba scontare vita natural durante le conseguenze economiche del dissesto, e favorirne il reinserimento nel circuito socio-economico. Tale esigenza è oggi sostenuta anche dal diritto europeo, che con la Direttiva (UE) 2019/1023 ha espressamente incoraggiato l’adozione di procedure volte a garantire agli imprenditori onesti l’esdebitazione entro un breve periodo, in modo da promuovere l’innovazione e un tessuto imprenditoriale dinamico.

Tra i debiti che tipicamente gravano sul fallito, quelli di natura tributaria, in particolare l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), assumono una rilevanza centrale. L’IVA, infatti, è un tributo indiretto armonizzato a livello UE e considerato risorsa propria dell’Unione. Ciò ha originato in passato dubbi e controversie sulla possibilità di includere i debiti IVA nell’esdebitazione: da un lato, vi è il principio di responsabilità patrimoniale universale del debitore (art. 2740 c.c.) e l’obbligo dello Stato di assicurare la riscossione integrale dei tributi; dall’altro, vi è la necessità di offrire al debitore incapiente una via d’uscita dal sovraindebitamento. Per molti anni, in Italia è prevalsa una linea rigorosa che escludeva di fatto i debiti IVA da qualsiasi falcidia o stralcio, sostenendo che il diritto UE impedisse allo Stato di rinunciare alla riscossione di tale imposta. Oggi, alla luce di una copiosa evoluzione normativa e giurisprudenziale, quella visione è cambiata: anche i debiti IVA possono essere oggetto di esdebitazione, purché nel rispetto di condizioni stringenti.

Questa guida avanzata esamina dettagliatamente il trattamento dei debiti IVA nell’esdebitazione del fallito, con riferimento sia alle procedure fallimentari (liquidazione giudiziale sotto il nuovo Codice della Crisi) sia alle procedure di sovraindebitamento destinate a debitori non fallibili (come i consumatori e piccoli imprenditori). Verranno analizzate le norme italiane ed europee aggiornate a maggio 2025, incluse le novità introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e le più recenti pronunce giurisprudenziali (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale e Corte di Giustizia UE) sull’argomento. Saranno inoltre forniti strumenti pratici: tabelle riepilogative che mettono a confronto la disciplina previgente e quella attuale (nonché il diritto nazionale vs. quello UE), una sezione FAQ con domande e risposte sulle questioni più comuni, e alcune simulazioni di casi concreti (senza dettagli numerici) per illustrare l’applicazione delle norme. In coda, si troverà un elenco completo delle fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate.

La Normativa Italiana ed Europea: Evoluzione e Stato attuale

L’esdebitazione nel diritto fallimentare italiano (prima e dopo il D.Lgs. 14/2019)

L’istituto dell’esdebitazione è relativamente recente nel panorama giuridico italiano. Esso è stato introdotto nell’ordinamento con la riforma del 2006 (D.Lgs. 5/2006 e D.Lgs. 169/2007), che ha inserito gli articoli 142–144 nel Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (vecchia Legge Fallimentare). In base all’art. 142 L.F., il tribunale – su richiesta del fallito persona fisica – poteva dichiarare inesigibili i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti alla chiusura del fallimento, salvo alcune eccezioni ed al ricorrere di determinati presupposti. I requisiti principali per l’accesso al beneficio (secondo la formulazione previgente) erano:

  • che il fallito avesse cooperato con le autorità nel corso della procedura, fornendo tutte le informazioni e documenti richiesti, senza aggravare il passivo o ritardare il procedimento;
  • che non fosse stato condannato per bancarotta fraudolenta o altri reati fallimentari indicati dalla legge (indice di mancanza di meritevolezza);
  • che non avesse già beneficiato di esdebitazione in precedenza (limite posto a 1 volta in 10 anni, secondo la prassi originaria);
  • soprattutto, che i creditori concorsuali fossero stati soddisfatti almeno parzialmente nel fallimento. Questo significa che non si poteva concedere l’esdebitazione se dal fallimento i creditori non avessero ricevuto alcun pagamento neppure in minima parte. La logica di tale condizione era evitare che il debitore totalmente incapiente ottenesse il beneficio senza alcun sacrificio a suo carico; tuttavia, come vedremo, questo criterio è stato oggetto di interpretazioni meno rigide col tempo.

Le eccezioni (debiti esclusi dall’esdebitazione ai sensi dell’art. 142, ult. comma, L.F. versione 2007) comprendevano:

  • Obblighi di mantenimento e alimentari (es. assegni di mantenimento al coniuge separato o alimenti ai figli): tali debiti di natura familiare restavano dovuti nonostante l’esdebitazione.
  • Obblighi risarcitori da fatto illecito extracontrattuale: in pratica i debiti derivanti da risarcimento danni causati da illeciti (soprattutto se commessi con dolo o colpa grave) non venivano cancellati.
  • Sanzioni penali o amministrative pecuniarie non accessorie a debiti estinti: ad esempio, multe, ammende e sanzioni amministrative autonome restavano dovute. Se invece la sanzione pecuniaria era “accessoria” a un debito cancellato (come le soprattasse su imposte condonate), essa seguiva la sorte del debito principale.
  • (In una prima versione della norma, era prevista anche la formula delle “obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa”, che generò dubbi interpretativi: si intendevano con ciò i debiti personali del fallito non legati alla sua attività d’impresa, come ad es. contributi previdenziali o tributi non attinenti all’attività? La giurisprudenza di legittimità ha poi chiarito che tale frase non escludeva i debiti verso enti previdenziali o fiscali inerenti all’attività, i quali dunque rientravano nell’esdebitazione. Il Codice della Crisi ha successivamente eliminato questo riferimento, come vedremo, semplificando la formulazione.)

È importante sottolineare che non erano previste esclusioni esplicite per i debiti tributari (fatti salvi, come detto, i debiti per sanzioni pecuniarie autonome). In linea teorica, dunque, anche i debiti verso l’Erario – IVA inclusa – rientravano tra quelli potenzialmente cancellabili con l’esdebitazione. Ciò trovava conferma nel dato letterale: l’art. 142 L.F. non menzionava affatto i tributi tra i debiti esclusi, concentrandosi solo su alimenti, danni da illecito e sanzioni. La Cassazione a Sezioni Unite ha infatti affermato che tutte le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’impresa, inclusi i debiti tributari e relative sanzioni, rientravano nell’ambito dell’esdebitazione, non essendo i debiti tributari annoverati tra le esclusioni di legge.

Tuttavia, nonostante la lettera della norma lasciasse intendere la falcidiabilità dei debiti fiscali, in passato persistevano incertezze e contrasti interpretativi, in particolare sulla posizione dei debiti per IVA. Il punto nodale era il seguente: il diritto dell’Unione Europea consente di liberare un debitore dall’IVA non pagata? Oppure uno Stato membro che rinuncia alla riscossione integrale dell’IVA vìola i propri obblighi verso l’UE (in particolare l’art. 4 par. 3 TUE sul dovere di leale cooperazione e le norme sulle risorse proprie UE)?

Questo interrogativo ha condizionato sia la disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione (dove originariamente l’art. 182-ter L.F. vietava di falcidiare l’IVA, permettendo al massimo la dilazione), sia l’atteggiamento dei giudici fallimentari nel concedere l’esdebitazione su debiti IVA. Prima del 2016, la giurisprudenza italiana tendeva a escludere qualsivoglia riduzione sui crediti IVA, ritenendo la normativa comunitaria ostativa. Emblematiche furono Cass. nn. 22931 e 22932/2011, che negarono l’omologazione di concordati con pagamento parziale dell’IVA, e la sentenza della Corte Costituzionale n. 225/2014, che giudicò non incostituzionale il divieto di falcidia dell’IVA nel concordato preventivo, sul presupposto (poi rivelatosi erroneo) che tale divieto fosse imposto dal diritto UE.

Con il tempo, grazie anche ai pronunciamenti chiarificatori della Corte di Giustizia UE (di cui diremo a breve), questa impostazione è mutata. Il legislatore italiano è intervenuto più volte: ad esempio, nel 2015-2017 è stata modificata la disciplina del concordato preventivo per allentare il vincolo sul credito IVA, adeguandosi ai principi europei. In particolare, la L. 232/2016 (legge di bilancio 2017) ha modificato l’art. 182-ter L.F., eliminando l’assoluto divieto di falcidia dell’IVA e delle ritenute: da allora, anche l’IVA può essere proposta a pagamento parziale in un concordato, purché l’Amministrazione finanziaria aderisca alla proposta (transazione fiscale) o comunque purché al creditore erariale sia garantito un trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione (come previsto dall’art. 160, comma 2 L.F.). Analoghe aperture si sono avute negli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F..

Queste riforme pro-insolvente sono culminate nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in vigore dal 15 luglio 2022), che ha riordinato e in parte innovato la materia. Per quanto concerne l’esdebitazione, il Codice la disciplina agli artt. 278-283, distinguendo:

  • l’esdebitazione nella liquidazione giudiziale (cioè nell’ex fallimento, ora denominato liquidazione giudiziale per imprenditori in stato d’insolvenza);
  • l’esdebitazione nella liquidazione controllata (procedura analoga alla liquidazione giudiziale ma riservata ai debitori “minori” o non fallibili, tipicamente i soggetti sovraindebitati ex L. 3/2012).

Le condizioni soggettive e oggettive ricalcano in larga misura quelle del previgente art. 142 L.F., con alcune novità importanti:

  1. Esdebitazione “di diritto” dopo 3 anni: Il Codice prevede che, per la liquidazione controllata del sovraindebitato, l’esdebitazione operi di diritto al momento della chiusura della procedura o decorso un triennio dall’apertura della liquidazione, anche se questa non è ancora chiusa. In altre parole, il debitore meritevole non deve più attendere necessariamente la chiusura definitiva: trascorsi 3 anni dall’apertura della procedura, può ottenere il beneficio (salvo cause ostative). Questa previsione recepisce l’orientamento UE che suggerisce un periodo massimo di 3 anni per il fresh start. Analogo meccanismo è previsto per la liquidazione giudiziale: l’art. 281 CCII stabilisce che il tribunale, su istanza del debitore, contestualmente al decreto di chiusura dichiara inesigibili i debiti residui; inoltre, se sono trascorsi 3 anni dall’apertura senza che la procedura sia ancora chiusa, il tribunale è tenuto a pronunciarsi comunque sull’esdebitazione d’ufficio, ferma restando la verifica dei presupposti di legge.
  2. Semplificazione delle esclusioni: Come anticipato, il Codice non ripropone la frase ambigua sui debiti “estranei all’esercizio dell’impresa”. L’art. 278, comma 7 CCII elenca le esclusioni in modo puntuale, ossia: a) obblighi di mantenimento e alimentari; b) debiti da risarcimento danni extracontrattuali e sanzioni penali/amministrative non accessorie. Viene quindi confermato che i debiti tributari (inclusa IVA) non figurano tra le esclusioni: una volta soddisfatti i requisiti, anche tali debiti rientrano nell’esdebitazione, fatte salve le sanzioni autonome che restano escluse (ad es. una multa per omesso versamento IVA potrebbe considerarsi accessoria al debito IVA stesso e quindi seguire la sorte di quest’ultimo, mentre una multa per violazioni del codice della strada rimarrebbe comunque fuori).
  3. Presupposto del pagamento parziale: Il Codice attenua l’interpretazione rigida del previgente art. 142 L.F. sulla necessità di un pagamento almeno parziale ai creditori. Non c’è più un’esplicita previsione di improcedibilità in caso di mancato pagamento parziale. Anzi, è previsto uno specifico istituto per il debitore incapiente, di cui diremo a breve, che consente l’esdebitazione anche a chi non è in grado di offrire alcuna utilità ai creditori. Ciò rappresenta un significativo passo avanti: si ammette, in presenza di buona fede e altre condizioni, che anche un fallito che non abbia pagato nulla (perché privo di beni liquidabili) possa comunque ottenere la liberazione dai debiti dopo la procedura. In generale resta vero che, se qualche attivo è esistito, i creditori devono aver ricevuto quell’attivo secondo le regole concorsuali; ma non è più necessario che tale soddisfacimento raggiunga una soglia minima arbitraria. Il focus si sposta sulla comprovata buona fede e diligenza del debitore durante la procedura, più che sull’entità (eventualmente nulla) del dividendo distribuito.
  4. Controllo della meritevolezza: Permane l’idea che l’esdebitazione sia riservata al debitore “meritevole”. L’art. 280 CCII elenca infatti condizioni analoghe a quelle dell’art. 142 L.F.: il debitore non deve aver ostacolato l’iter concorsuale, non deve aver violato i doveri di collaborazione, non deve aver simulato crediti o distratto attivo, né aver riportato condanne per reati gravi legati all’insolvenza. Inoltre, l’esdebitazione può essere negata se risultano atti in frode ai creditori o se il debitore ha fruito di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti. Il Codice quindi consente più di un’esdebitazione nella vita del debitore, ma pone un intervallo di almeno 5 anni tra una e l’altra (in passato, la prassi era considerarla unica o comunque non reiterabile a breve). Queste misure garantiscono che il beneficio sia riservato a chi abbia mantenuto un comportamento corretto e non diventi uno strumento di abuso (ad es. per debitori seriali o fraudolenti).
  5. Estensione ai soci illimitatamente responsabili: Novità interessante è che il Codice prevede espressamente effetti dell’esdebitazione anche per i soci delle società di persone fallite. L’art. 278, commi 4-5 CCII stabilisce che se il debitore insolvente è una società, le condizioni per l’esdebitazione devono sussistere in capo ai soci illimitatamente responsabili e agli amministratori, e l’eventuale esdebitazione concessa alla società si estende ai soci illimitatamente responsabili. In pratica, in caso di fallimento di una società di persone (snc, sas), i soci illimitati possono beneficiare anch’essi della liberazione dai debiti residui sociali, purché siano soddisfatte le condizioni di legge. Ciò supera il vecchio dibattito se il socio fallito potesse ottenere l’esdebitazione sui debiti sociali: ora è codificato che sì, è possibile, armonizzando il destino dei soci con quello della società.

Infine, il Codice introduce all’art. 283 CCII la figura dell’esdebitazione del debitore incapiente (anche detta “esdebitazione a zero”). Si tratta di una procedura speciale, attivabile una tantum, riservata al sovraindebitato persona fisica privo di qualsiasi patrimonio o reddito liquidabile, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità né immediata né prospettica. In tali casi estremi, il debitore può chiedere comunque di essere liberato dai debiti, allo scopo di evitare il suo irrimediabile collocamento ai margini della società come debitore a vita. Il tribunale valuta la richiesta verificando rigorosamente l’assenza di attivo, la meritevolezza e l’assenza di atti in frode (ad es. il debitore non deve aver dilapidato volontariamente i beni). Se la concessione è approvata, l’esdebitazione interviene senza neppure l’apertura di una procedura liquidatoria, proprio perché ogni costo supererebbe il beneficio. È una norma di chiara matrice sociale, in linea con l’idea di fresh start promossa a livello europeo. Il debitore incapiente esdebitato ha tuttavia alcuni obblighi postumi: per i 4 anni successivi, se dovesse sopravvenire un miglioramento della sua situazione (es. nuove disponibilità rilevanti), i creditori originari possono chiedere una revoca o riduzione del beneficio, recuperando parte dei loro crediti (a tutela dall’azzardo morale). L’esdebitazione dell’incapiente è concessa solo una volta e non si applica ai debiti per mantenimento, danni da fatto illecito e sanzioni, in coerenza con le esclusioni generali (art. 283, co. 3 CCII).

In sintesi, rispetto alla vecchia legge fallimentare, la disciplina attuale dell’esdebitazione (post D.Lgs. 14/2019) è più aperta e attenta alla finalità “riabilitativa”: rende più agevole l’accesso al beneficio (automaticità dopo 3 anni, possibilità anche se zero attivo, ecc.), pur mantenendo rigorosi filtri anti-abuso (controllo di buona fede e limiti temporali per reiterare l’istanza). Crucialmente, né prima né dopo la riforma vi è un divieto normativo di ricomprendere i debiti IVA nell’esdebitazione – anzi, come visto, la tendenza normativa è stata di rimuovere i precedenti ostacoli (es. divieto di falcidia) che limitavano il trattamento favorevole di tali debiti nelle procedure concorsuali.

Normativa UE e obblighi degli Stati membri in materia di IVA e insolvenza

Dal punto di vista del diritto sovranazionale, i due poli da bilanciare sono:

  • da un lato, la tutela delle risorse proprie dell’Unione Europea, tra cui l’IVA (una quota del gettito IVA di ogni Stato membro affluisce al bilancio UE). Ciò si traduce nell’obbligo per gli Stati di garantire la riscossione effettiva dell’IVA sul proprio territorio e di reprimere le frodi (cfr. art. 325 TFUE). In particolare, l’art. 4 par. 3 del Trattato UE impone leale cooperazione, e le direttive IVA (prima la n. 77/388/CEE “Sesta Direttiva”, poi la n. 2006/112/CE “Direttiva IVA” attualmente in vigore) richiedono agli Stati di adottare tutte le misure necessarie a riscuotere l’imposta dovuta. Proprio l’art. 2 della Sesta Direttiva definiva l’IVA come imposta sulla cessione di beni/servizi, e l’art. 22 imponeva agli Stati di istituire adeguati obblighi di versamento e controllo, disposizione ora rifluita negli artt. 206 e 273 della Dir. 2006/112/CE.
  • dall’altro lato, i principi emergenti in ambito UE a sostegno di una seconda opportunità per gli imprenditori onesti insolventi. Tali principi sono sfociati nella citata Direttiva (UE) 2019/1023 (recepita in Italia col D.Lgs. 83/2022 integrativo del Codice della Crisi) che invita gli Stati a prevedere per gli imprenditori individuali sovraindebitati l’esdebitazione completa entro un periodo non superiore a 3 anni. Inoltre, il diritto UE riconosce le procedure concorsuali nazionali (Regolamento (UE) 2015/848) e non interferisce, in linea di massima, con la determinazione dei crediti ammissibili o esclusi in tali procedure, lasciando la materia ai legislatori nazionali, salvo il rispetto di alcuni valori fondamentali (parità di trattamento dei creditori, ecc.).

Il nocciolo della questione IVA/esdebitazione stava nel capire se vi fosse un divieto europeo implicito di rinunciare a riscuotere l’IVA nei confronti di un debitore fallito. In altre parole: concedere a un fallito la liberazione dal debito IVA non pagato, rappresenta una violazione degli obblighi comunitari (come sostenuto in passato)? Oppure il diritto UE consente una simile remissione nell’ambito di una legittima procedura fallimentare nazionale?

Su questo punto è intervenuta in modo risolutivo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, attraverso alcune pronunce chiave. Già nel caso CIRES (C-198/07, 2008) la Corte aveva affermato che una procedura di concordato che comportava una riduzione di crediti IVA non contrastava con la Sesta Direttiva, purché fosse approvata giudizialmente e soddisfacesse i requisiti interni. Ma il vero precedente storico per l’Italia è la sentenza del 7 aprile 2016 nella causa C-546/14, Degano Trasporti (causa promossa dal Tribunale di Udine). In quell’occasione, la Corte di Giustizia ha smentito il “dogma” dell’infalcidiabilità dell’IVA nelle procedure concorsuali: ha stabilito che il diritto UE non osta (non è di ostacolo) a che, in un concordato preventivo, il credito IVA sia soddisfatto solo parzialmente, a condizione che un esperto indipendente attesti che la soddisfazione parziale offerta è almeno pari o superiore a quella ottenibile in caso di fallimento. In sostanza, la Corte ha detto: l’ordinamento comunitario non impone che l’Erario incassi per forza il 100% dell’IVA dovuta, se il debitore è insolvente; è lecito che partecipi alla falcidia concorsuale come gli altri creditori, purché la proposta sia seria e vantaggiosa rispetto all’alternativa liquidatoria. Non si tratta di un aiuto di Stato illecito né di una violazione del dovere di cooperazione, perché l’insolvenza è una situazione eccezionale in cui lex specialis derogat lex generalis.

Questa pronuncia ha avuto un impatto dirompente. Fino al giorno prima, in Italia la Cassazione e la Consulta ritenevano intangibile il principio del pagamento integrale dell’IVA (v. Corte Cost. 225/2014); dal giorno dopo, quel principio è caduto. Si è compreso che la normativa UE non vieta affatto la rinuncia parziale all’IVA in sede concorsuale, sicché il legislatore italiano era libero di disciplinare diversamente la materia. E così ha fatto, come abbiamo visto, modificando l’art. 182-ter L.F. nel 2017 per permettere la falcidia IVA nella transazione fiscale.

Ma rimaneva un ulteriore aspetto: l’esdebitazione post-fallimentare (che avviene dopo la chiusura del fallimento). Su questo è intervenuta un’altra fondamentale decisione di Lussemburgo: la sentenza 16 marzo 2017, causa C-493/15, Agenzia Entrate c. Identi. Il caso è nato proprio da un fallimento in Italia: un contribuente, sig. Marco Identi, socio accomandatario fallito, aveva ottenuto nel 2008 dal Tribunale di Mondovì un decreto di esdebitazione che includeva anche debiti IVA non pagati; l’Agenzia delle Entrate gli aveva poi notificato una cartella per IVA relativa a periodi pre-fallimento e il contribuente aveva eccepito di esserne stato liberato. La Commissione Tributaria gli aveva dato ragione e l’Agenzia ricorse in Cassazione, sostenendo che l’esdebitazione non potesse coprire l’IVA per contrasto col diritto UE. La Cassazione (ord. 13542/2015) sospese il giudizio e rimise la questione pregiudiziale alla Corte UE, domandando se gli artt. 2 e 22 della Sesta Direttiva e l’art. 4, par.3 TUE impedissero l’applicazione della norma italiana sull’esdebitazione ai debiti IVA.

La risposta della Corte di Giustizia, nel 2017, è stata nettamente a favore della posizione del contribuente e dello spirito dell’esdebitazione. La Corte ha dichiarato che il diritto UE – in particolare l’art. 4, par. 3 TUE e gli artt. 2 e 22 della Sesta Direttiva IVA – «deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale […] che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare». In altri termini, nulla di europeo vieta l’esdebitazione dell’IVA secondo la legge italiana, dato che:

  • le condizioni di accesso al beneficio sono rigorose e offrono garanzie (non c’è una rinuncia arbitraria e indiscriminata alla riscossione, ma un beneficio concesso caso per caso a debitori meritevoli);
  • l’obiettivo della norma nazionale – permettere al debitore onesto di ripartire libero dai debiti – è riconosciuto come meritevole anche a livello UE (si richiama il concetto di fresh start e la crescente attenzione unionale al sovraindebitamento);
  • concedere l’esdebitazione non equivale a un aiuto di Stato vietato, perché il presupposto è l’insolvenza conclamata e la procedura concorsuale dove tutti i creditori, anche pubblici, sopportano perdite in base al principio della pari dignità. Non c’è discriminazione a favore del debitore, ma un sacrificio legittimo e previsto dalla legge.

Di conseguenza, a seguito di questa sentenza Identi, è stato definitivamente chiarito che lo Stato italiano può benissimo includere l’IVA nelle procedure di esdebitazione senza infrangere alcun obbligo comunitario. Anzi, la stessa Agenzia delle Entrate ha preso atto dell’orientamento: con la Circolare n. 16/E del 23 luglio 2018, l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto che, alla luce della giurisprudenza UE, i contribuenti possono ottenere l’esdebitazione anche in presenza di debiti IVA non integralmente soddisfatti. In altri termini, già dal 2018 il fisco italiano si è ufficialmente allineato: se un tribunale dichiara l’esdebitazione, essa copre anche l’IVA residua.

Procedure di sovraindebitamento: dal divieto di falcidia IVA alla parificazione col concordato

Un capitolo normativo a parte, ma collegato, è quello delle procedure da sovraindebitamento per i soggetti non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up innovative, enti non commerciali, ecc.), originariamente disciplinate dalla L. 27 gennaio 2012 n. 3 (come modificata dal D.L. 179/2012). Questa legge, nata per offrire una via d’uscita concordata a chi non poteva accedere al fallimento, prevedeva tre strumenti: il piano del consumatore, l’accordo di ristrutturazione dei debiti (con voto dei creditori) e la liquidazione del patrimonio.

Nella formulazione antecedente al Codice della Crisi, la L. 3/2012 conteneva inizialmente un divieto analogo a quello dell’art. 182-ter L.F.: all’art. 7, comma 1, terzo periodo, stabiliva che la proposta di accordo di ristrutturazione (o di piano del consumatore) non poteva prevedere falcidia dei crediti impignorabili e dei crediti aventi privilegio speciale o generale inerenti all’IVA (oltreché alle ritenute fiscali). In pratica, anche nelle procedure di sovraindebitamento si imponeva il pagamento integrale dell’IVA, seppur rateizzabile. Questo creava una disparità rispetto alle procedure concorsuali maggiori: dopo il 2017, nel concordato preventivo “grande” si poteva proporre di pagare solo parzialmente l’IVA (grazie alla modifica normativa); invece nel “concordato minore” (chiamiamolo così) ex L.3/2012 ciò restava vietato.

Tale differenza di trattamento è stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 245 del 29 novembre 2019 (depositata in G.U. 4/12/2019) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale di quella previsione di legge. In particolare, la Consulta ha ritenuto irragionevole vietare la falcidia dell’IVA nelle procedure minori quando essa era ormai ammessa nelle omologhe procedure maggiori (concordato preventivo e accordi ex art. 182-bis L.F.). Ciò violava l’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza) e il principio di buon andamento ex art. 97 Cost., perché ingiustificatamente sfavoriva i debitori non fallibili rispetto ai fallibili, anche in situazioni analoghe di insolvenza. La Corte ha quindi ablato dal testo dell’art. 7 L.3/2012 le parole “all’imposta sul valore aggiunto”, eliminando il divieto limitatamente all’IVA. Dalla pronuncia (fine 2019) è derivato che, anche negli accordi di sovraindebitamento, il debitore poteva proporre il pagamento parziale dell’IVA, sottoponendolo al vaglio di omologazione del giudice. Restava invece invariato il divieto di falcidia per le ritenute fiscali (che hanno natura diversa, in quanto somme che il datore di lavoro/tr sostituto d’imposta trattiene a terzi e deve riversare).

Va evidenziato che già prima dell’intervento della Consulta, alcuni giudici di merito avevano tentato di “forzare” la mano applicando direttamente i principi UE: ad esempio il Tribunale di Udine nel 2018 aveva sollevato la questione di costituzionalità e nel frattempo disapplicato la norma interna, proprio dubitando della sua conformità al diritto UE. La sentenza 245/2019 ha risolto il problema alla radice, consentendo ai consumatori e piccoli debitori di godere delle stesse opportunità di falcidia IVA dei grandi debitori.

Oggi, con il Codice della Crisi, la disciplina delle crisi da sovraindebitamento è stata integrata e rinominata, ma la sostanza ricalca tali principi. Il Codice (Parte Prima, Titolo IV, Capo II) prevede:

  • la ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII),
  • il concordato minore (artt. 74-83 CCII) per gli imprenditori minori e altri debitori non consumatori,
  • la liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII, da coordinare con gli artt. 282-283 sull’esdebitazione nella liquidazione controllata).

In tali procedure, non v’è più alcun divieto di falcidia dei crediti IVA. Il debitore può quindi proporre nei piani di ristrutturazione o concordati minori il pagamento parziale dell’IVA, e tale proposta sarà valutata dai creditori (nel concordato minore) o direttamente dal tribunale (nel piano del consumatore, dove non c’è voto dei creditori ma solo omologazione giudiziale se il piano è fattibile e conveniente). L’Erario, come creditore privilegiato, partecipa alla votazione nell’accordo/concordato minore e può esprimere dissenso; ma se la maggioranza dei crediti (calcolata per teste e per valore) approva l’accordo, anche l’IVA è ridotta secondo i termini proposti. Nel piano del consumatore, invece, i creditori non votano e il giudice può omologare anche con opposizione dell’Agenzia Entrate, purché ritenga la proposta meritevole e che i creditori abbiano un soddisfacimento non inferiore a quello ricavabile dall’alternativa liquidatoria. In tal senso, il nuovo art. 80 CCII (concordato minore) e l’art. 68 CCII (piano consumatore) richiamano la necessità che, in caso di contestazioni, si rispetti il best interest test: nessun creditore dissentiente deve ricevere meno di quanto otterrebbe dalla liquidazione dei beni del debitore. Questo criterio, di chiara derivazione europea (cfr. art. 11 Dir. 1023/2019), consente anche un certo cram-down del Fisco: se l’Erario non aderisce, ma la proposta di falcidia IVA gli garantisce comunque almeno la stessa percentuale che prenderebbe vendendo i beni del debitore, il tribunale può confermare l’accordo nonostante il suo dissenso (ciò avviene già nella pratica in molti tribunali, in applicazione analogica dell’art. 12 comma 3-quater L.3/2012 e ora delle norme del Codice).

In definitiva, dopo anni di rigidità, oggi l’ordinamento italiano consente il trattamento dei debiti IVA nel sovraindebitamento in modo analogo a qualsiasi altro debito privilegiato, nel rispetto dei vincoli generali di convenienza della proposta e di parità di trattamento. E, al termine della procedura, se il debitore ottiene l’esdebitazione (ad esempio nella liquidazione controllata, o per completamento del piano), tale esdebitazione coprirà anche l’IVA residua non pagata, senza preclusioni.

Giurisprudenza recente su esdebitazione e debiti IVA

Negli ultimi anni, il panorama giurisprudenziale si è allineato alle evoluzioni normative e sovranazionali descritte. Di seguito evidenziamo le pronunce più rilevanti di ciascun livello:

Corte di Giustizia dell’UE: Oltre ai già citati casi Degano Trasporti 2016 (C-546/14) e Identi 2017 (C-493/15), va menzionato che la CGUE ha ribadito principi simili in altre cause riguardanti la falcidia di crediti fiscali nelle procedure di insolvenza. Ad esempio, nel caso Wojczyński 2016 (C-398/15, relativo alla Polonia) si è confermato che l’obbligo di tutela delle risorse IVA non impedisce allo Stato di prevedere esenzioni o condoni nell’ambito di procedure concorsuali legalmente disciplinate. Pertanto, sul fronte europeo si registra un orientamento costante: nessun veto assoluto a riduzioni o cancellazioni di IVA in procedure d’insolvenza, purché ciò avvenga secondo le norme generali concorsuali e senza intenti fraudolenti. È fondamentale però che tali misure non si traducano in un mero condono generalizzato al di fuori di procedure giudiziali: la differenza è che l’esdebitazione interviene dopo che il patrimonio del debitore è stato liquidato (o comunque valutato), e dunque l’Erario ha già ottenuto quel che poteva ottenere dal fallimento; non è un atto di clemenza unilaterale, ma l’esito physiologico di una procedura di insolvenza, e come tale è compatibile col diritto UE.

Corte Costituzionale: abbiamo visto la pronuncia n. 245/2019 che ha aperto alla falcidia IVA nel sovraindebitamento per ragioni di uguaglianza. Da segnalare anche la sentenza n. 20/2022, che pur non riguardando direttamente l’IVA, ha toccato il tema della meritevolezza nell’esdebitazione. La Consulta ha precisato che il requisito della meritevolezza (buona fede del debitore) dev’essere interpretato in senso costituzionalmente orientato, evitando automatismi eccessivamente punitivi. Ad esempio, non si può negare l’esdebitazione solo perché il debitore ha contratto molti debiti in passato, se non ci sono comportamenti dolosi o gravemente colposi: altrimenti si frustrerebbe la funzione rieducativa dell’istituto. Questa indicazione, benché generale, è importante anche per i debiti fiscali: significa che non basta la presenza di debiti IVA elevati a presumere la “colpa” del debitore e quindi negargli il beneficio – occorre valutare caso per caso la concretezza della sua buona fede.

Corte di Cassazione: La Cassazione civile ha definitivamente recepito le indicazioni euro-unitarie a partire dal 2017-2018. Un momento di svolta è rappresentato dalla Cass., Sezioni Unite, 27 dicembre 2016 n. 26988, in cui il Supremo Collegio ha affrontato una serie di questioni in materia di fallimento e concordati, sancendo tra l’altro (obiter dictum) che l’art. 142 L.F. include tutti i debiti d’impresa nessuno escluso e che l’ordinamento, dopo gli interventi normativi, consente la transigibilità dei tributi (art. 182-ter L.F.) e la falcidiabilità degli stessi in concordato (art. 160, co. 2 L.F.). Questa pronuncia delle SS.UU. ha dato autorevolezza all’orientamento favorevole al debitore.

Successivamente, è intervenuta Cass. 11 marzo 2016 n. 4844, significativa perché ha escluso che i contributi previdenziali siano estranei all’esercizio d’impresa e quindi ha incluso anche i debiti verso INPS nell’esdebitazione. Ciò vale per analogia anche per i debiti IVA: se l’IVA deriva dall’attività d’impresa (come di norma), non è “estranea” all’impresa e dunque rientra tra i debiti cancellabili (principio oggi pacifico).

La pronuncia forse più rilevante è Cass. civ. Sez. V, 6 giugno 2022 n. 18124. Questa sentenza – ampiamente commentata dagli operatori – affronta di petto il tema ed enuncia un principio di diritto limpido: «In tema di fallimento, l’esdebitazione del fallito di cui agli artt. 142 e 143 L. fall. è applicabile anche ai debiti IVA, non contrastando con l’art. 4, par. 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE […]». La Corte, rigettando il ricorso dell’Agenzia Entrate, richiama espressamente la giurisprudenza UE e sottolinea due aspetti: (a) le condizioni rigorose cui è subordinato il beneficio (buona condotta, soddisfazione almeno parziale dei creditori, assenza di frodi) garantiscono che non vi sia una rinuncia indiscriminata alla riscossione dell’IVA; (b) l’esdebitazione risponde a una finalità di ordine pubblico economico riconosciuta in ambito UE, ossia il reinserimento del debitore in bonis nel tessuto produttivo (fresh start), finalità che sarebbe frustrata se taluni debiti (come l’IVA) lo condannassero a perpetua insolvenza. Pertanto, afferma la Cassazione 2022, è pienamente legittimo ed efficace il decreto di esdebitazione che liberi il fallito dai debiti IVA non soddisfatti. Questa sentenza è importante perché fa stato di diritto interno e chiude ogni residua disputa: ormai la Cassazione “ordinaria” allineata all’orientamento favorevole.

Sempre nel 2022, segnaliamo Cass. 23 agosto 2022 n. 25924, che riguarda un tema correlato: la possibilità, nell’ambito di un concordato fallimentare (ossia un accordo proposto da un terzo ex art. 124 L.F. per chiudere il fallimento), di prevedere la liberazione immediata del fallito residuando debiti. La Corte ha stabilito che è ammissibile un concordato fallimentare che contempli la liberazione anticipata del fallito dai debiti residui, senza dover attendere la procedura di esdebitazione post-chiusura. Ciò indirettamente conferma la tendenza del sistema a favorire soluzioni rapide di “fresh start”: se i creditori (in sede di concordato fallimentare) approvano una proposta che include la rinuncia alle azioni residue verso il fallito, ciò equivale di fatto a un’esdebitazione concordataria ex ante, e la Cassazione la ritiene compatibile con l’ordine pubblico. Questo potrebbe includere anche i debiti IVA: significa che se l’Erario acconsente in sede di concordato fallimentare, il fallito è libero da quel debito fin da subito, senza nemmeno dover fare istanza di esdebitazione dopo la chiusura. È un’evoluzione interessante, specie in prospettiva futura con l’applicazione del Codice della Crisi (che regola concordati semplificati, ecc.).

Infine, sul fronte penale, merita solo un cenno la giurisprudenza relativa al reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000): in alcune sentenze si è evidenziato come l’esdebitazione civile non faccia venir meno la responsabilità penale per l’omesso versamento di IVA oltre soglia (poiché il reato si perfeziona prima e indipendentemente). Tuttavia, ai fini dell’eventuale confisca o risarcimento nel processo penale, il fatto che il debito d’imposta sia stato oggetto di esdebitazione potrebbe rilevare, evitando duplicazioni. Questo però esula dall’ambito strettamente concorsuale e attiene al diritto penale tributario.

In conclusione su giurisprudenza: dal 2016 in poi c’è stata una convergenza totale tra diritto interno e sovranazionale verso il riconoscimento della esdebitabilità dei debiti IVA. Oggi possiamo affermare con certezza che un debitore fallito o sovraindebitato, se in possesso dei requisiti di legge, può essere liberato dai suoi debiti IVA residui, senza che ciò incontri più obiezioni di principio né da parte dei giudici interni, né da parte dell’amministrazione finanziaria, né da parte dei giudici europei.

Trattamento dei debiti IVA nell’esdebitazione post-fallimentare (liquidazione giudiziale)

In questa sezione entriamo nel vivo del tema, descrivendo come vengono trattati in concreto i debiti IVA nell’ambito dell’esdebitazione del fallito (oggi debitore in liquidazione giudiziale). Supponiamo quindi di trovarci al termine di una procedura di liquidazione giudiziale: il curatore ha liquidato tutti i beni del fallito e ripartito l’attivo tra i creditori, pagando i crediti in misura percentuale (se l’attivo era insufficiente per soddisfarli integralmente). Ci sono dei debiti residui, tra cui un debito verso l’Erario per IVA non interamente pagata. Il debitore persona fisica chiede l’esdebitazione di tali debiti ex art. 279 e 280 CCII (o ex art. 142 L.F. se si tratta di un vecchio fallimento chiuso prima dell’entrata in vigore del Codice).

Ecco come si procede e qual è il destino del debito IVA in questa situazione:

  • Domanda e procedimento: Tradizionalmente il fallito doveva presentare un’istanza al tribunale entro un anno dalla chiusura del fallimento. Col nuovo Codice, l’istanza può essere presentata contestualmente alla chiusura, ed è compito del curatore avvisare i creditori che il debitore ha richiesto il beneficio. In realtà, se la procedura è durata oltre 3 anni, il tribunale si pronuncia comunque anche d’ufficio (esdebitazione “automatica” decorsi 3 anni). I creditori hanno facoltà di presentare opposizione entro 15 giorni se ritengono che i presupposti non sussistano (ad esempio, un creditore fiscale potrebbe opporsi sostenendo che il debitore ha tenuto comportamenti frodatori o non ha cooperato, etc.). Non possono invece opporsi nel merito contestando la convenienza: non è rilevante dire “non ho ricevuto abbastanza, quindi mi oppongo”, se tutte le condizioni di legge sono rispettate. Il tribunale esamina le eventuali opposizioni e verifica d’ufficio i requisiti.
  • Requisiti da verificare: Il giudice controlla i requisiti di cui all’art. 280 CCII: assenza di cause ostative (frodi, condanne, recidiva, ecc.), comportamento diligente, collaborazione del debitore. Inoltre, l’art. 279 chiede che ricorrano le condizioni temporali (decorso 3 anni se esdebitazione automatica) e che siano soddisfatte le condizioni specifiche sia per la liquidazione giudiziale sia – se del caso – per la liquidazione controllata (l’art. 279 è formulato in modo da richiamare i requisiti di entrambe). Un punto cruciale è valutare se i creditori sono stati soddisfatti almeno in parte: come detto, oggi un’attenta lettura del Codice (e la giurisprudenza di merito emergente) suggeriscono che anche una soddisfazione zero non preclude di per sé l’esdebitazione, se ciò è dipeso esclusivamente dall’assenza di attivo e non da comportamenti dolosi del debitore. In passato, invece, un fallimento chiuso per mancanza di attivo senza pagamento di alcunché portava quasi certamente a un diniego di esdebitazione per mancanza del requisito (ad esempio Trib. Monza 2013 negò esdebitazione a un fallito incapiente). Oggi, con l’istituto del “debitore incapiente”, questa situazione è trattata espressamente: il debitore può ottenere comunque lo stralcio dei debiti se confermata la sua totale incapienza e meritevolezza. In pratica, il giudice valuta se ci sono state utilità distribuite ai creditori nel concorso. Se sì, tanto meglio (il requisito è soddisfatto automaticamente); se no, verifica se il debitore rientra nella fattispecie dell’incapiente meritevole (in tal caso può comunque concedere il beneficio, magari ai sensi dell’art. 283 CCII).
  • Inclusione del debito IVA: Una volta accertato che nulla osta a concedere l’esdebitazione, il tribunale emette decreto dichiarando inesigibili “i debiti concorsuali non soddisfatti nei confronti del debitore” (art. 281 CCII). Il decreto copre tutti i debiti rimasti insoddisfatti al termine della liquidazione, compresi quelli verso l’Erario, ivi inclusa l’IVA, ad eccezione di quelli espressamente esclusi per legge. Come abbiamo visto, nessuna norma esclude i debiti IVA dall’esdebitazione; e anzi la Cassazione ha affermato che rientrano espressamente nei rapporti dell’impresa che l’art. 142 L.F. (ora 278 CCII) tutela. Pertanto, il decreto di esdebitazione libererà il debitore dall’obbligo di pagare la parte residua del debito IVA non soddisfatta durante il fallimento. Se, ad esempio, il fallimento ha pagato ai creditori chirografari (tra cui magari l’Agenzia Entrate per l’IVA in chirografo) un dividendo del 20%, il restante 80% del debito IVA viene “cancellato” e diventa definitivamente inesigibile. Attenzione: L’esdebitazione opera solo nei confronti del debitore fallito. Ciò significa che se vi erano coobbligati, fideiussori o soci illimitatamente responsabili, questi restano obbligati per l’intero (art. 278, comma 6 CCII). Ad esempio, se Tizio fallito aveva un debito IVA cointestato con Caio (co-dichiarante IVA in solido) e Tizio ottiene l’esdebitazione, Caio resta comunque tenuto a pagare l’IVA residua. Oppure, se una s.n.c. fallisce e i soci non ottengono o non chiedono l’esdebitazione, i soci restano obbligati verso l’Erario per l’IVA sociale non pagata. In generale, l’esdebitazione non tocca gli obbligati in via di regresso o garanzia.
  • Effetti sugli atti esecutivi e sulle garanzie: Il debito IVA esdebitato diventa inesigibile: ciò vuol dire che l’Agenzia Entrate non potrà più pretendere alcunché dal debitore a titolo di IVA per quel periodo pregresso. Se erano in corso azioni di recupero individuali (pignoramenti, fermi amministrativi) contro il debitore, esse vengono meno per cessata causa debendi. Eventuali ipoteche iscritte sui beni del debitore a garanzia del credito IVA residuo decadono? Su questo occorre distinguere: se i beni gravati da garanzia ipotecaria o privilegiata sono stati venduti in fallimento, il privilegio/garanzia si è trasferito sul ricavato distribuito. Se invece qualche bene gravato è rimasto in capo al debitore (magari perché non venduto per mancanza di offerte ed è stato rinunciato al fallito), l’ipoteca o privilegio potrebbero tecnicamente sussistere sul bene. Tuttavia, essendo il credito inesigibile nei confronti del debitore, l’Erario non può comunque escutere quel bene, perché sarebbe azione contro il debitore ormai liberato. In pratica, le garanzie reali decadono con l’esdebitazione perché il credito garantito si estingue quanto alla posizione del debitore. Un tema aperto è: se il debito era garantito da fideiussione di terzo, il fideiussore può invocare l’esdebitazione del debitore per liberarsi? La risposta è no: la liberazione opera solo verso il debitore principale; il fideiussore resta obbligato verso il creditore (art. 278 co.6 CCII) e non può opporre l’esdebitazione al creditore, perché la sua obbligazione è autonoma. Ovviamente, però, il fideiussore escusso non potrà a sua volta agire in regresso verso il debitore liberato, perché quel debito non esiste più verso il debitore medesimo.
  • Debiti IVA post-fallimento: È importante chiarire che l’esdebitazione riguarda solo i debiti anteriori all’apertura del fallimento (o meglio, i debiti concorsuali). Se il contribuente fallito durante la procedura ha maturato nuovi debiti IVA (ipotesi rara, ma pensiamo a un esercizio provvisorio dell’impresa autorizzato durante il fallimento, con IVA relativa a quel periodo), tali debiti sono in prededuzione e vanno pagati nel corso della procedura. Se per assurdo rimanessero insoluti (ad es. per insufficienza della gestione provvisoria), potrebbero non essere coperti dall’esdebitazione in quanto sorti durante la procedura. Tuttavia, casi del genere sono marginali. Di norma l’IVA cui si riferisce l’esdebitazione è quella relativa a periodi ante-fallimento iscritta al passivo fallimentare come credito privilegiato ex art. 2752 c.c. o chirografario per eventuali sanzioni/ interessi.
  • Profilo fiscale e contabile: Dal lato dell’Erario, la quota di IVA non riscossa in seguito all’esdebitazione viene formalmente cancellata come inesigibile. In forza del decreto di esdebitazione, l’Agenzia Entrate Riscossione dovrà archiviare la cartella per la parte residua e non potrà attivare o proseguire procedure esecutive. Il contribuente, dal canto suo, non dovrà fare nulla a livello fiscale: l’esdebitazione non costituisce un evento imponibile (è una remissione di debito ex lege non configurabile come sopravvenienza attiva tassabile, trattandosi di persona fisica non in contabilità; per le società non rileva perché tanto la società fallita in genere viene estinta dopo il fallimento).

Riassumendo, nell’esdebitazione post-fallimentare i debiti IVA residui vengono estinti e considerati inesigibili al pari degli altri debiti concorsuali (salvo quelli esclusi per legge). Questo consente al debitore di uscire dalla procedura completamente “pulito” dai propri debiti fiscali pregressi, tranne eventuali debiti per sanzioni autonome (ad esempio sanzioni penali pecuniarie per reati tributari). Ma attenzione: la gran parte delle sanzioni tributarie amministrative segue la sorte del tributo principale, dunque se l’IVA è esdebitata, anche le relative sanzioni amministrative tributarie (mora, sovrattasse) sono estinte. Invece, se il debitore era stato condannato a una multa penale per evasione IVA, quella è una sanzione penale non accessoria a un debito estinto (è una pena per un reato) e pertanto non viene meno con l’esdebitazione.

Un ultimo aspetto: cosa succede se dopo aver ottenuto l’esdebitazione il contribuente riceve una verifica fiscale per annualità pregresse e spunta fuori un nuovo debito IVA mai emerso prima? In teoria, l’esdebitazione copre i debiti “verso i creditori concorsuali per fatto o causa anteriore all’apertura” (art. 278 co.2 CCII). Dunque, se è un debito riferito a prima del fallimento e semplicemente non era stato insinuato (magari l’Agenzia delle Entrate lo accerta dopo), il contribuente potrebbe opporre che è comunque inesigibile per la parte eccedente il dividendo che ipoteticamente avrebbe avuto. L’art. 278, comma 2 infatti stabilisce che per i creditori che non hanno partecipato al concorso (creditori tardivi o ignoranti della procedura) l’esdebitazione opera per la sola parte eccedente la percentuale che avrebbero preso se avessero partecipato. Questo significa che se l’Erario “dimentica” di insinuare un credito IVA e se ne accorge dopo la chiusura, non può chiederne l’intero importo: al massimo potrà chiedere la percentuale che in quel fallimento è stata pagata ai chirografari di pari grado (qui si apre un tecnicismo: l’IVA sarebbe stata privilegiata, quindi se non insinuata come tale, nei fatti avrebbe preso il 100% finché c’era attivo sui privilegiati, oppure se attivo insufficiente avrebbe preso tot. Ma non essendo stata insinuata, la legge la tratta come chirografaria? La norma è un po’ generica: parla di creditori che non hanno partecipato, e limita l’esdebitazione alla parte eccedente la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado. Nel caso di IVA, pari grado privilegiati di grado 1? Difficile, più probabile intendano “se non hai partecipato, ti consideriamo come se avessi preso ciò che il tuo grado ha preso, e la differenza è inesigibile”). In ogni caso, l’esdebitazione tutela anche il debitore da sorprese tardive: chi non si è attivato in tempo perde il diritto alla ultrattività del suo credito oltre certe misure. Questo sprona anche il Fisco a essere diligente nell’insinuarsi nei fallimenti, per non restare poi col cerino in mano. E infatti nella prassi l’Agenzia delle Entrate è molto attenta a insinuare tutti i carichi pendenti appena viene dichiarato un fallimento.

Debiti IVA nelle procedure di sovraindebitamento e nell’esdebitazione del sovraindebitato

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento – ora rifluite nel Codice della Crisi – offrono anch’esse, in varie forme, la possibilità al debitore di liberarsi dai debiti pregressi, inclusi quelli IVA, pur se con meccanismi leggermente diversi rispetto al fallimento. Esaminiamo separatamente i due casi principali: (A) sovraindebitamento con accordo o piano del consumatore (soluzione concordataria) e (B) sovraindebitamento con liquidazione controllata (soluzione liquidatoria, analoga al fallimento).

A) Piani del consumatore e concordati minori (soluzioni concordatarie): In questi procedimenti, il debitore propone ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, che può prevedere il pagamento parziale di varie classi di crediti, e la esentazione (stralcio) del resto. Giuridicamente, quando il piano o accordo viene omologato dal tribunale, le obbligazioni ivi previste sostituiscono quelle originarie: il debitore è tenuto a pagare quanto stabilito nel piano e, se lo fa, viene liberato da ogni debito residuo eccedente (art. 67, 80 CCII). Questo effetto liberatorio si produce automaticamente con l’omologazione e la successiva esecuzione del piano, senza bisogno di un provvedimento ulteriore di esdebitazione: è un effetto esdebitatorio “anticipato” insito nel successo del piano. Ad esempio, se un consumatore presenta un piano che prevede di pagare il 30% del debito IVA e il giudice lo omologa, una volta pagato quel 30% secondo i tempi concordati, il restante 70% è definitivamente inesigibile. Dunque, qui l’esdebitazione è parte integrante del piano.

Dal 2020 in avanti (grazie alla sentenza costituzionale e poi al Codice), questi piani possono legittimamente includere la falcidia dell’IVA. Nella pratica, per far sì che il giudice omologhi una proposta che taglia l’IVA, occorre dimostrare che:

  • nel caso di piano del consumatore, la proposta è conveniente per l’Erario rispetto a ciò che otterrebbe altrimenti (tipicamente, la liquidazione dei beni del debitore). Questo è richiesto perché il giudice deve valutare che il piano non arrechi ingiusto pregiudizio ai creditori. Ad esempio, se un consumatore chiede di stralciare il 50% dell’IVA, dovrà far attestare dall’OCC (Organismo di Composizione) che se il debitore venisse liquidato forzosamente, i creditori privilegiati (incluso l’Erario) prenderebbero meno del 50%, quindi il piano è migliorativo. In tal caso, anche se l’Agenzia Entrate si oppone, il giudice può omologare lo stesso, ritenendo non pregiudicato il suo interesse (c.d. cram down del creditore dissenziente). In giurisprudenza si registrano diversi esempi di omologazione forzata di piani del consumatore con taglio dell’IVA, quando la relazione dell’OCC evidenziava che il creditore fiscale sarebbe stato comunque incapiente in una liquidazione alternativa (ad es. Trib. Pordenone 2020, Trib. Napoli 2021 post Corte Cost. 245/19).
  • nel caso di accordo di ristrutturazione / concordato minore, il debitore deve ottenere il voto favorevole dei creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (nel vecchio sovraindebitamento era il 60%, nel Codice per il concordato minore è 50% come per il concordato preventivo? Nota: il Codice ha abbassato a 50% per concordato preventivo, credo anche per concordato minore sia 60%? Controllando, l’art. 78 CCII per concordato minore richiama art. 109 concordato preventivo, dunque quorum 50% probabilmente. Diamo per buono che serve una maggioranza qualificata). Se l’Agenzia Entrate è decisiva per la maggioranza (es. ha più del 50% dei crediti), il suo voto contrario impedirà l’omologazione dell’accordo. Ciò significa che in tali procedure concordatarie minori, per stralciare l’IVA è preferibile ottenere il consenso del Fisco. L’Agenzia Entrate valuterà la proposta e, dopo il 2018, è normalmente autorizzata ad accettare anche pagamenti parziali di IVA nelle transazioni fiscali, purché adeguatamente motivati. Se il Fisco aderisce formalmente (firmando l’accordo / transazione fiscale), non ci saranno problemi: l’accordo omologato sarà vincolante anche nei confronti di eventuali creditori dissenzienti e l’IVA verrà ridotta come pattuito. Se invece il Fisco vota contro ma la maggioranza complessiva dei crediti approva l’accordo, la situazione è complessa: teoricamente, l’accordo potrebbe essere omologato lo stesso e cramdownare il Fisco se tutti i privilegiati vengono soddisfatti almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione (il Codice prevede meccanismi di cram-down ereditati dal D.L. 118/2021). In particolare, l’art. 48, comma 5 CCII – in tema di omologazione forzata degli accordi di ristrutturazione dei debiti tributari – consente al tribunale di omologare l’accordo anche senza adesione dell’Erario se ritiene che il trattamento offerto al credito tributario non è inferiore al “prudente valore di mercato” del credito o al valore di liquidazione. Questa norma è rivolta soprattutto agli accordi ex art. 182-bis (imprese), ma un principio analogo è applicabile nel concordato minore. Quindi, se l’IVA proposta ad es. al 30% è pari a ciò che l’Erario ricaverebbe liquidando i beni (30%), il giudice può forzare l’omologazione. Tale scenario, però, è delicato e richiede che il professionista attestatore supporti la convenienza.

In conclusione per le soluzioni concordatarie di sovraindebitamento: il debitore può inserire la falcidia dell’IVA nel piano e, se il piano va a buon fine (omologazione + adempimento), la parte di IVA eccedente è definitivamente stralciata. Il risultato è equiparabile a un’esdebitazione contrattuale: i creditori rinunciano espressamente alla differenza. Non c’è bisogno di un decreto successivo di esdebitazione, salvo il caso in cui il piano omologato poi fallisca (cioè il debitore non adempia agli obblighi presi): in tal caso il piano viene revocato e, se si apre una liquidazione controllata successiva, allora si entrerà nello schema liquidatorio con esdebitazione giudiziale (art. 282). Ma se il piano concordatario è adempiuto correttamente, i debiti non pagati sono automaticamente inesigibili.

B) Liquidazione controllata del sovraindebitato (soluzione liquidatoria): Questa procedura, disciplinata oggi dagli artt. 268-277 CCII, è di fatto l’erede della “liquidazione del patrimonio” ex L.3/2012. Funziona in modo analogo a un fallimento: un liquidatore (OCC o nominato dal tribunale) vende i beni del debitore e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione. Al termine, se il ricavato non è sufficiente a soddisfare tutti (evento quasi certo), residuano debiti insoddisfatti. In origine, la L.3/2012 prevedeva all’art. 14-terdecies un istituto di esdebitazione del sovraindebitato simile a quello fallimentare: il debitore poteva chiedere al giudice di essere esdebitato dai debiti rimasti dopo la liquidazione, con requisiti molto simili (meritevolezza, nessuna condanna per reati, cooperazione, etc.). L’art. 14-terdecies includeva anche qui le esclusioni: alimenti, risarcimenti da dolo, sanzioni pecuniarie autonome. Non escludeva i debiti fiscali, dunque già allora pacificamente l’esdebitazione poteva coprire i tributi non pagati. Anche lì si ebbe discussione se il requisito di meritevolezza dovesse includere il pagamento parziale: la norma diceva che si poteva esdebitare “il sovraindebitato che ha cooperato… e non ha fatto mancare la minima soddisfazione ai creditori”. Questa frase fu interpretata nel senso che se proprio non c’era nulla da distribuire, l’esdebitazione poteva essere negata (il “minimo” era zero, e zero non è minimamente soddisfacente!). La giurisprudenza di merito però talvolta concesse esdebitazioni anche a fronte di soddisfazione zero, in considerazione delle finalità sociali (ad es. Trib. Udine 14/5/2018 con ordinanza di rimessione a Consulta sul tema IVA, poi la Consulta decise su altro profilo).

Con il Codice della Crisi, l’esdebitazione nella liquidazione controllata è regolata dagli artt. 282 e 283 CCII. L’art. 282, comma 1 sancisce proprio che “Per le procedure di liquidazione controllata, l’esdebitazione opera di diritto a seguito del provvedimento di chiusura o anteriormente, decorsi tre anni dall’apertura della procedura”. Ciò significa che, diversamente dal passato, il debitore sovraindebitato non deve nemmeno fare domanda: il giudice, chiudendo la procedura, dichiara d’ufficio l’esdebitazione, oppure la dichiara su istanza trascorsi 3 anni (anche se la liquidazione non è conclusa). Il debitore può comunque rinunciare al beneficio se per qualche ragione lo volesse (casi rari, ma teoricamente possibili, ad esempio per onorare spontaneamente dei debiti di famiglia).

I presupposti di tale esdebitazione “automatica” sono in parte generali (art. 279 e art. 280 CCII, che includono buona fede, collaborazione, nessuna frode o atti in frode, nessuna condanna penale grave, etc., analoghi a quelli visti) e in parte specifici: l’art. 282, comma 2, ad esempio, prevede che non possa conseguire di diritto l’esdebitazione il debitore che non abbia soddisfatto almeno in parte i creditori se ciò è dipeso da atti in frode (cioè se ha dissipato attivo). Ma se la mancanza di soddisfazione è dovuta a cause indipendenti dalla volontà (incapienza originaria), qui entra in gioco l’art. 283 sull’incapiente.

Per quanto riguarda l’IVA, non c’è alcuna particolarità distinta da quanto già detto per il fallimento. Quindi, al termine della liquidazione controllata il giudice emette un decreto che dichiara inesigibili tutti i debiti residui concorsuali verso il debitore – e ciò include i debiti IVA insoddisfatti. Anche qui, come per il fallimento, i coobbligati e garanti rimangono obbligati (art. 282 ult. parte rimanda all’art. 278 co.6 CCII) e valgono le stesse esclusioni (mantenimento, danni da dolo, sanzioni penali/amm.ve autonome). L’art. 14-terdecies L.3/2012 specificava esplicitamente, per esempio, che restavano esclusi “i debiti derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari, le obbligazioni da risarcimento danni per fatti illeciti nonché le sanzioni penali e amministrative pecuniarie non accessorie”, ovvero la medesima lista del fallimento. Il Codice richiama le stesse categorie generali.

Dunque, un consumatore o altro debitore sovraindebitato che si sottoponga a liquidazione controllata e non abbia nascosto beni, potrà dopo la chiusura ottenere la liberazione anche dei debiti IVA non pagati integralmente. Ad esempio, Caio, consumatore sovraindebitato con €50.000 di IVA arretrata, cede tutto il suo (modesto) patrimonio ai creditori ottenendo di soddisfarli al 10%. Dopo la liquidazione, Caio ex art. 282 CCII è liberato dal restante 90% di tutti i debiti, compresa l’IVA. L’Agenzia Entrate non potrà più perseguirlo per quel residuo. Questa liberazione si produce d’ufficio col decreto di chiusura: Caio non deve fare nulla, se ha rispettato le regole. Solo se qualche creditore contesta la sua meritevolezza, potrebbe farsi un giudizio di opposizione; ma finora è raro vedere opposizioni, a meno di casi lampanti di frode.

C’è da aggiungere che il Codice della Crisi prevede una restrizione temporale: l’esdebitazione (sia in fallimento che sovraindebitamento) non può essere concessa più di una volta nello stesso arco di 5 anni. Quindi Tizio che ha avuto la cancellazione dei debiti oggi, se malauguratamente tra 3 anni torna sovraindebitato, potrà accedere a procedure concorsuali ma senza ottenere un secondo fresh start prima che siano passati almeno 5 anni dal precedente. Questo per evitare abusi e uso “seriale” del beneficio. Fa eccezione il caso del debitore incapiente: l’art. 283 co.7 CCII dice che l’esdebitazione a zero è una tantum (una volta nella vita). Dunque, chi ottiene la clemenza senza pagare nulla, non potrà mai più richiederla.

In sintesi, anche nelle procedure di sovraindebitamento il trattamento dei debiti IVA è ormai equiparato a quello degli altri debiti concorsuali: possono essere ridotti nei piani e accordi (previo consenso dei creditori o decisione del giudice in omologazione), e possono essere cancellati del tutto al termine di una liquidazione, se il debitore rispetta le condizioni di legge.

Di conseguenza, imprenditori non fallibili, professionisti e consumatori oggi hanno la stessa possibilità di liberarsi dai debiti fiscali dei falliti “tradizionali”. Il sistema è divenuto coerente su questo punto, per effetto della convergenza delle riforme e delle sentenze richiamate.

A questo punto, può essere utile consolidare quanto appreso tramite alcune tabelle riepilogative e successivamente affrontare FAQ e simulazioni pratiche per chiarire gli ultimi dubbi.

Tabelle riepilogative

Di seguito presentiamo due tabelle riassuntive: la Tabella 1 confronta gli aspetti principali della disciplina dell’esdebitazione prima e dopo il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), con particolare riguardo ai debiti IVA; la Tabella 2 evidenzia invece il raffronto tra le regole italiane e i principi del diritto UE in materia di trattamento dell’IVA nelle procedure concorsuali.

Tabella 1 – Esdebitazione: Confronto regime pre-riforma vs post-riforma (D.Lgs. 14/2019)

CaratteristicaVecchia Legge Fallimentare (fino al 2022)Codice della Crisi (dal 2022)
Norme di riferimentoArt. 142-144 R.D. 267/1942 (L. Fallimentare); Art. 14-terdecies L.3/2012 per sovraindebitamento.Artt. 278-283 D.Lgs. 14/2019 (CCII) – Sez. I, I-bis e II Esdebitazione.
Soggetti ammessiFallito persona fisica (imprenditore commerciale individuale); Soci illimitatamente responsabili falliti insieme alla società.Debitore civile non fallibile (consumatore/imprenditore minore) in liquidazione patrimonio ex L.3/2012.Tutti i debitori persone fisiche assoggettati a liquidazione giudiziale (ex fallimento) o liquidazione controllata (ex L.3/2012). Estesa ai soci illimitati di società in liquidazione giudiziale, se requisiti soddisfatti (art. 278 co.4-5 CCII).
Presupposti soggettivi (meritevolezza)– Cooperazione con organi procedura;– Condotta esente da dolo o colpa grave verso creditori (no atti in frode);– Nessuna condanna per bancarotta fraudolenta o reati gravi in materia fallimentare;– Non aver già ottenuto esdebitazione negli ultimi 10 anni (prassi).– Simili: integrità e collaborazione (art. 280); – Niente frodi o atti dolosi pregiudizievoli per creditori;– Assenza condanne per reati previsti (es. bancarotta fraudolenta, ricorso abusivo al credito, ecc.);– Non avere già beneficiato di esdebitazione negli ultimi 5 anni (art. 282 co.1).
Presupposto oggettivo di pagamento parzialeRichiesto che i creditori concorsuali siano stati soddisfatti “in misura almeno parziale” (art. 142 co.2 L.F.). Interpretazione: se 0% dividendo, esdebitazione negata (salvo casi eccezionali in giurisprudenza).Non esplicitato come condizione stringente. Art. 282 co.2: se nessuna utilità ai creditori per causa imputabile al debitore (frode), niente esdebitazione di diritto. Debitore incapiente onesto ammesso ad esdebitazione a costo zero (art. 283): possibile ottenere esdebitazione pur senza pagare nulla ai creditori, se debitore privo di attivo, meritevole e diligente. Innovazione rilevante pro-debitore.
Debiti esclusi dall’esdebitazione– Obblighi alimentari e di mantenimento (es. assegni familiari);– Debiti da risarcimento danni extracontrattuali (specie se dolo o colpa grave);– Sanzioni penali o amm.ve pecuniarie non accessorie;– (Fino al 2007 c’era “rapporti estranei all’impresa”: interpretato poi solo come ricomprendente voci di cui sopra, non tributi).Identico elenco: (art. 278 co.7 CCII):a) Obblighi alimentari e di mantenimento;b) Debiti per risarcimento danni da fatto illecito (tutti) e sanzioni penali/amministrative pecuniarie non accessorie a debiti estinti.(Espunta la frase “rapporti estranei all’impresa”, quindi minori dubbi interpretativi).
Trattamento debiti IVA– Formalmente inclusi (non esclusi da art. 142);– Ma vietata falcidia in concordato preventivo/risanamento fino al 2017 (art. 182-ter previgente); ciò creava incertezza in esdebitazione. – Prima del 2016 giurisprudenza negativa: alcune corti negavano esdebitazione su IVA appellandosi a obblighi UE (Cass. 2011, Corte Cost. 2014).– Inclusi, confermati espressamente da Cass. e legislazione;– Falcidiabili nelle procedure concordatarie (transazione fiscale IVA ammessa dal 2017; Codice crisi ribadisce possibilità nei piani di ristrutturazione e concordati minori, con omologazione anche senza voto Erario se rispetto best-interest test). – Giurisprudenza unanime positiva post-2017: IVA ammessa in esdebitazione perché compatibile con diritto UE.
Modalità di ottenimento– Su istanza del debitore entro 1 anno da chiusura fallimento (art. 143 L.F.). – Procedimento camerale davanti a Trib. fallimentare; creditori possono fare opposizione. – Esdebitazione decisa con decreto tribunale, reclamabile.Automatica (di diritto) a fine procedura: Tribunale dichiara inesigibilità debiti residui nel decreto di chiusura (art. 281).– Oppure dopo 3 anni dall’apertura, anche se procedura non chiusa (art. 282 co.1).– Previsto che tribunale si pronunci anche d’ufficio; opposizione creditori entro 30 gg (art. 282 co.3-4). – Esdebitazione incapiente: su ricorso debitore, procedura semplificata (art. 283).
Recuperabilità successiva– Se emergono nuovi beni del debitore entro 5 anni dal decreto, revoca esdebitazione (art. 144 L.F.). – Crediti esclusi restano azionabili; coobbligati e fideiussori restano obbligati.– Simile: se entro 4 anni dall’esdebitazione incapiente il debitore ottiene utilità rilevanti, creditore può chiedere pagamento (art. 283 co.5-6). – Coobbligati/fideiussori non liberati (art. 278 co.6).– Creditori non insinuati: esdebitazione parziale, il non partecipante ha diritto solo alla quota che avrebbe avuto (art. 278 co.2).

Note alla Tabella 1: Si può notare come il Codice della Crisi abbia rafforzato la portata “liberatoria” dell’esdebitazione (automatismo, riduzione tempi, ammissione incapienti) e uniformato la disciplina fra fallimento e sovraindebitamento. In particolare, per i debiti IVA la differenza principale sta nell’evoluzione giurisprudenziale/normativa intervenuta a cavallo della riforma: prima vi erano dei limiti (soprattutto de iure condendo, poi superati), oggi tali debiti sono trattati esattamente come gli altri nel concorso, senza privilegi di inestriccabilità.

Tabella 2 – Debiti IVA ed esdebitazione: Italia vs. Unione Europea

ProfiloDiritto italiano (oggi)Principi del diritto UE
Obbligo di pagamento integrale dell’IVA?No, non in assoluto. – IVA può essere falcidiata in concordati, piani di ristrutturazione e accordi di sovraindebitamento (previa adesione o omologazione forzata se conforme al miglior soddisfo possibile). – IVA può restare in parte non pagata e essere cancellata dall’esdebitazione post-liquidazione.No obbligo integrale in caso di insolvenza legalmente accertata. – Dir. IVA 2006/112/CE richiede agli Stati di attivarsi per riscuotere le imposte dovute in situazioni ordinarie, ma non vieta la remissione di debiti IVA all’interno di procedure concorsuali. – Corte di Giustizia: il diritto UE non impedisce il pagamento parziale o il non pagamento finale dell’IVA in un piano concordatario o esdebitazione, se la procedura è prevista dalla legge e rispetta certe condizioni.
Considerazione IVA come “risorsa propria UE”L’IVA è tributo la cui riscossione spetta all’Erario anche per conto dell’UE, ma in caso di insolvenza del debitore lo Stato non è tenuto a versare di tasca propria la quota UE sull’IVA non riscossa. Nessuna norma nazionale impone altrimenti.La Decisione Risorse Proprie UE prevede che ogni Stato contribuisca in base a un’aliquota sul gettito IVA. Tuttavia, tale obbligo si calcola sul riscosso. Se l’IVA non è riscossa per insolvenza conclamata del debitore (non per negligenza statale), lo Stato può escludere tali importi dal calcolo delle risorse proprie dovute. UE richiede diligenza nella riscossione ordinaria, ma accetta la perdita per fallimenti in buona fede (CGUE, cause Enrico Di Maura C-246/16 e Commissione c. Italia C-189/18 – sul diritto a detrazione IVA e mancata riscossione, la Corte ha affermato che l’insolvenza non imputabile è causa legittima di mancato incasso senza sanzioni per lo Stato).
Divieto di falcidia IVA (pregresso)– Introdotto nel 2006 per concordati (art. 182-ter L.F.), esteso a sovraindebitamento (art.7 L.3/2012). – Abrogato/superato nel 2017 (per imprese) e nel 2019 (per sovraindebitati). Oggi nessun divieto.– Mai imposto da norme UE in realtà. Era un’interpretazione italiana restrittiva (si credeva fosse necessario per compatibilità). – CGUE 2016 Degano: regola di infalcidiabilità era di natura procedurale interna, non richiesta dal diritto UE. UE anzi promuove soluzioni di recupero parziale piuttosto che nulla (principio di effettività).
Esdebitazione (discharge) e IVA– Esdebitazione libera il debitore da IVA non pagata, se concessa. – Nessuna esclusione in legge; conferma giurisprudenziale (Cass. 2022). – Necessarie condizioni di meritevolezza: se il debitore ha frodato il fisco intenzionalmente, verrebbe negata (non perché IVA, ma perché comportamento doloso).– Politica UE incoraggia il “fresh start” anche se comporta perdite per creditori pubblici. – Dir. 2019/1023: raccomanda esdebitazione completa imprenditori ≤3 anni (non esclude i debiti fiscali, lascia discrezionalità agli Stati di escludere solo limitate categorie es. alimenti, risarcimenti). – CGUE 2017 Identi: esdebitazione IVA compatibile con obblighi UE, date le garanzie rigorose previste dalla norma nazionale.
Trattamento privilegio IVA– IVA è credito privilegiato ex art. 2752 c.c. (privilegio generale sui mobili). – In procedure concorsuali, privilegiati IVA devono ricevere almeno quanto ricaverebbero da vendita beni su cui grava privilegio. Se patrimonio insufficiente, la parte eccedente di norma va a chirografo (art. 160 co.2 L.F. / art. 109 CCII). In piani, l’attestatore certifica ciò. – Lo Stato può votare nei concordati in classe privilegiati.– Il privilegio dell’IVA non è imposto da norme UE, ma lasciato ai legislatori nazionali. Molti paesi attribuiscono privilegio ai crediti fiscali.– Il principio UE è di parità di trattamento: non si possono discriminare troppo i creditori pubblici o privati. UE non richiede né vieta privilegi, ma chiede che nei piani di ristrutturazione i crediti privilegiati dissentienti non ricevano meno del valore di realizzo (best interest test). Questo allineato col metodo italiano (expert opinion su valore di liquidazione).
Aiuti di Stato– Stralciare IVA tramite procedura concorsuale non è considerato aiuto di Stato, perché misura generale applicabile a qualsiasi debitore insolvente, non selettiva. – La remissione avviene per legge e non su scelta discrezionale dello Stato mirata a un soggetto specifico, quindi non costituisce “vantaggio selettivo” vietato.– La Commissione UE ha confermato (caso pregresso Finanziaria italiana anni ‘90) che condoni fiscali generali possono costituire aiuti se discriminano aziende; ma l’esdebitazione fallimentare è procedura neutra. – CGUE 2017 ha escluso profili di aiuto di Stato nella procedura di esdebitazione italiana, essendo aperta a tutti e con condizioni obiettive (nessuna selettività).

Note alla Tabella 2: L’Italia ha di fatto “riallineato” la normativa interna ai principi UE. In passato si era creduto di dover essere più realisti del re (imponendo il pagamento integrale dell’IVA sempre), ma la giurisprudenza europea ha mostrato che l’UE comprende la necessità delle perdite nelle insolvenze. Il focus UE è piuttosto sulla lotta alle frodi IVA (situazione diversa: la frode carosello, l’evasione dolosa – in quei casi il diritto UE esige repressione anche penale). Ma se un debitore semplicemente non è in grado di pagare, non c’è frode, e l’ordinamento UE non impone allo Stato di stritolarlo comunque. Al contrario, i recenti atti UE spingono per dare a questi debitori onesti una via d’uscita, di cui l’esdebitazione è l’esempio lampante.

Domande e Risposte frequenti (FAQ)

D: I debiti IVA rientrano sempre nell’esdebitazione?
R: Sì, i debiti IVA (come tutti i debiti verso l’Erario) rientrano nell’esdebitazione del fallito o del sovraindebitato, salvo che il legislatore li escluda espressamente. Nel nostro ordinamento non esiste una previsione che escluda dall’esdebitazione i debiti IVA residui. Pertanto, se il tribunale concede l’esdebitazione, questa comprende anche l’IVA non pagata durante la procedura concorsuale. Ciò è stato chiarito dalla Cassazione e confermato dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria. Naturalmente, il debitore deve possedere i requisiti di legge (condotta meritevole, etc.), altrimenti l’esdebitazione – per IVA come per ogni altro debito – verrà negata.

D: Quali debiti rimangono comunque esclusi dall’esdebitazione?
R: La legge esclude alcune categorie particolari di debiti, per ragioni di tutela di interessi superiori o perché ritenuti non comprimibili neppure in situazioni di insolvenza. Le esclusioni principali sono:

  • gli obblighi alimentari e di mantenimento (es. assegni dovuti al coniuge separato, ai figli, ai parenti ex art. 433 c.c.): il fallito continua a doverli pagare integralmente;
  • i debiti da risarcimento di danni extracontrattuali: se il debitore ha causato danni a terzi (ad es. lesioni personali in un incidente) e deve un risarcimento, quel debito non viene cancellato. Dovrà comunque onorarlo (tipicamente si tratta di debiti derivanti da fatto illecito, soprattutto se doloso);
  • le sanzioni pecuniarie penali o amministrative che non siano accessorie a un debito estinto: ad esempio, le multe per reati o per violazioni amministrative restano dovute (a meno che fossero formalmente sanzioni accessorie legate a un debito poi cancellato – caso particolare). Una contravvenzione stradale, una multa dell’Antitrust, un’ammenda penale non spariscono con l’esdebitazione;
  • eventuali obblighi di restituzione di aiuti di Stato illegittimi o altri debiti “pubblici” sanzionatori possono essere esclusi (questo non è scritto in modo espresso nella legge fallimentare, ma la normativa UE prevede che gli aiuti di Stato da restituire non possano essere falcidiati; sono casi rarissimi, comunque).

Oltre a ciò, restano responsabili per intero i coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso (art. 278 co.6 CCII): significa che l’esdebitazione libera solo il debitore principale. Ad esempio, se due persone erano debitori solidali verso Agenzia Entrate per un’IVA, e uno dei due ottiene l’esdebitazione, l’altro ne risponde per l’intero. Oppure, se Tizio aveva garantito con fideiussione il debito IVA di Caio e Caio viene esdebitato, il Fisco potrà comunque escutere Tizio garante. L’esdebitazione non si estende alle garanzie di terzi.

D: È possibile ottenere l’esdebitazione anche se i creditori (compreso il Fisco) non hanno ricevuto nulla dal fallimento?
R: In passato la risposta tendeva a essere no, perché l’art. 142 L.F. richiedeva che i creditori avessero avuto almeno un soddisfacimento parziale, anche simbolico. Se il fallimento si chiudeva senza attivo distribuito, i tribunali spesso negavano l’esdebitazione, ragionando che il debitore non aveva “pagato nemmeno un centesimo”. Oggi però lo scenario è cambiato: il Codice della Crisi ha introdotto l’esdebitazione del debitore incapiente, riconoscendo che se l’insolvenza non è colpa del debitore, anche chi non può pagare nulla ha diritto al fresh start. In pratica, se un fallito o sovraindebitato privo di qualunque bene ha comunque rispettato i suoi doveri e non ha colpe gravi, il tribunale può concedere l’esdebitazione lo stesso, valutando caso per caso. C’è una procedura ad hoc (art. 283 CCII) che prevede una verifica dell’assenza di attivo e della meritevolezza. Quindi, , oggi è possibile ottenere l’esdebitazione anche con zero distribuzione ai creditori – ma solo se la mancanza di pagamento non è dovuta a malafede o frode. Se invece il debitore non paga nulla perché ha sottratto i beni o li ha fatti sparire, l’esdebitazione sarà negata. Va aggiunto che questa esdebitazione “a costo zero” è riservata a situazioni eccezionali: un debitore ordinario con qualche bene di solito qualcosa realizza. Ma per chi è veramente nullatenente, la legge offre questa ancora di salvezza.

D: L’esdebitazione cancella anche i debiti verso l’Erario diversi dall’IVA (es. Irpef, Irap, contributi INPS)?
R: Sì. Non c’è distinzione tra i vari tipi di debito fiscale o contributivo: tutti, in mancanza di esclusione, rientrano. Quindi si liberano con l’esdebitazione anche, ad esempio: l’IRPEF non pagata, l’IRAP, le imposte sui redditi, i contributi previdenziali dovuti agli enti (INPS, Inail), i tributi locali, ecc. Il discrimine non è il tipo di credito, ma la natura: se sono debiti pecuniari concorsuali (cioè sorti prima dell’apertura della procedura) e non rientrano nelle categorie escluse (alimentare, illecito, sanzione), allora l’esdebitazione li copre. Dunque l’IVA è solo un caso particolare di tributo. L’INPS ad esempio sosteneva in passato che i suoi crediti non dovessero essere esdebitati (perché contributi “obbligatori” dovuti per legge, non volontari); ma la Cassazione ha respinto tale tesi, chiarendo che anche i contributi previdenziali si estinguono con l’esdebitazione, non essendo previsti tra le eccezioni. Allo stesso modo, se un professionista fallisce con debiti di cassa previdenziale, quei debiti previdenziali potranno essere esdebitati. Unica eccezione: se si tratta di debiti per multe/ammende (che non sono contributi, ma sanzioni), restano. Ad esempio, un imprenditore fallito con debiti per sanzioni civili dell’INPS (le cosiddette penalità per omissione contributiva) vede cancellarsi anche quelle se l’omissione contributiva è stata sanata dall’esdebitazione (essendo accessorie al contributo non pagato). In sintesi, i debiti verso Fisco ed enti pubblici rientrano tutti, tranne le sanzioni pecuniarie autonome.

D: Quante volte si può ottenere l’esdebitazione?
R: La legge prevede dei limiti temporali per richiedere l’esdebitazione più di una volta. In generale, l’esdebitazione non è ripetibile a piacimento: l’idea è che sia un rimedio straordinario, non un “abbonamento” ai debiti. Nel regime attuale (Codice della Crisi), l’art. 282 comma 1 stabilisce che l’esdebitazione non può essere concessa se il debitore ne ha già beneficiato nei 5 anni precedenti. Quindi occorre aspettare almeno 5 anni da un’esdebitazione all’altra. Se uno sfortunato imprenditore dovesse fallire due volte a distanza di tempo, potrà accedere una seconda volta solo se sono passati 5 anni dal decreto che gliela concesse la prima volta. In passato, la legge fallimentare non dava un termine preciso, ma l’orientamento era che la seconda esdebitazione fosse possibile non prima di 10 anni. Ora è codificato in 5 anni, più favorevole. Per quanto riguarda l’esdebitazione dell’incapiente (quella senza alcun pagamento), la legge la concede una sola volta nella vita (art. 283 co.7 CCII). Ciò per evitare abusi (non si può dire di essere nullatenente e farsi cancellare i debiti più e più volte). Se anche dopo averne ottenuta una, il soggetto ricadesse in debiti, dovrà trovare altre soluzioni (piani di rientro, ecc.), ma non avrà più lo “scudo” dell’esdebitazione a zero.

D: Se il debitore ha commesso un reato tributario (es. frode fiscale, omesso versamento IVA) può comunque accedere all’esdebitazione dei debiti IVA?
R: Dipende dal tipo di reato e dall’esito. La legge esclude dall’esdebitazione chi è stato condannato per alcuni reati collegati all’insolvenza. In particolare, la bancarotta fraudolenta è certamente ostativa: un fallito condannato per bancarotta fraudolenta non può avere l’esdebitazione (né dei debiti IVA né di altri). Per i reati tributari, la situazione è più sfumata: non c’è scritto esplicitamente “niente esdebitazione se condannato per frode fiscale”, ma potrebbe rientrare nella clausola generale di comportamento doloso verso i creditori o la PA. Ad esempio, un imprenditore che ha frodato l’IVA emettendo false fatture o occultando scritture, difficilmente potrà essere definito meritevole di esdebitazione, anche se la condanna per frode fiscale non è elencata come causa ostativa formale, perché comunque la sua condotta integra l’idea di malafede. Diverso è il caso di un omesso versamento IVA (reato ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) entro soglia di punibilità: spesso in procedura si vedono debitori che non hanno versato l’IVA perché in crisi di liquidità, ma non hanno commesso artifici fraudolenti. Se l’omissione è solo civile (non integrava reato, o sotto soglia, o causa forza maggiore), ciò non preclude affatto l’esdebitazione – anzi è proprio il caso tipico. Se invece c’è una condanna penale per omesso versamento (dunque importi sopra soglia e nessuna causa di non punibilità), la legge fallimentare in passato non la elencava tra i reati ostativi (si parlava solo di bancarotta, ricorso abusivo al credito, falso in attestazioni concorsuali). Il Codice della Crisi elenca (art. 280) vari reati, tra cui credo rientri anche l’art. 10-ter (perché compreso nei reati tributari se punito sopra certe soglie?). Bisogna vedere l’elenco preciso: probabilmente l’art. 280 CCII richiama “reati previsti dalla legge fall. art. 16 co.3 lett. a)”, che include vari reati fallimentari e finanziari. I reati tributari potrebbero non essere espressamente citati. Ciò significa che formalmente anche un condannato per omesso versamento IVA potrebbe non essere escluso ipso iure, ma certamente il giudice valuterà negativamente la sua meritevolezza. In pratica: se il reato presuppone dolo o colpa grave, è probabile che l’esdebitazione venga negata per mancanza del requisito di onestà e collaborazione. Viceversa, se il reato è “solo” di natura omissiva senza frode (il classico imprenditore che ha dovuto scegliere se pagare stipendi o IVA e ha scelto i primi, incappando nel penale), alcuni tribunali possono considerare che, scontata la pena, quell’imprenditore non debba essere escluso a vita dal circuito economico. Dunque, è un tema discrezionale. In ogni caso, la eventuale presenza di reati tributari va segnalata e il tribunale pondera: l’esdebitazione è un beneficio e non viene concesso a chi ha mostrato disprezzo doloso per le regole. Quindi se c’è stata frode, è altamente improbabile ottenerlo; se c’è stata sola omissione “scusabile” entro certi limiti, c’è spazio.

D: Una società (Srl, Spa) fallita può ottenere l’esdebitazione dei debiti (inclusa IVA)?
R: Le società in sé non hanno un istituto di esdebitazione paragonabile a quello delle persone fisiche. Nella vecchia legge fallimentare, l’esdebitazione era riservata solo al “fallito persona fisica” (art. 142 L.F.), quindi le società di capitali non potevano chiederla – del resto dopo la chiusura del fallimento la società viene generalmente cancellata, quindi il problema non si poneva. Con il Codice della Crisi, formalmente l’art. 278 co.3 CCII dice che “possono accedere all’esdebitazione […] tutti i debitori di cui all’art. 1 comma 1”, e l’art. 1 CCII include imprenditori, società, ecc. Tuttavia, il comma 4 aggiunge che se il debitore è una società, le condizioni di meritevolezza devono sussistere in capo ai suoi amministratori e soci illimitati; e il comma 5 specifica che l’esdebitazione della società produce effetti sui soci illimitati. Ciò si interpreta nel senso che una società di persone può ottenere l’esdebitazione con efficacia sui soci (anche se di fatto sono i soci ad essere liberati, perché la società una volta liquidata cessa). Una società di capitali invece, dopo la liquidazione giudiziale, viene estinta e non ha bisogno di esdebitazione (non esiste più il soggetto giuridico). I debiti sociali residui verso terzi restano inesigibili perché la società è cancellata; verso l’Erario formalmente rimangono, ma senza soggetto passivo. In pratica, il concetto di esdebitazione ha senso per i soci illimitati (che sono persone fisiche). Quindi possiamo dire: no, una Srl/Spa non chiede esdebitazione; però , i soci illimitatamente responsabili (SNC, SAS accomandatari) ne beneficiano. Ad esempio, in una SNC fallita, se il tribunale concede l’esdebitazione, i soci non dovranno pagare i debiti sociali residui (tra cui IVA), come da art. 278 co.5. Se invece fallisce una SRL, la SRL finisce lì (debiti fiscali eventualmente non soddisfatti diventano in parte inesigibili, a meno che non vi siano garanzie personali di amministratori per debiti tributari – ipotesi rara; diverso il caso di responsabilità personali per mancato versamento di ritenute o IVA in cui l’Erario può rivalersi sull’amministratore in via sanzionatoria, ma è un altro profilo). Dunque, l’esdebitazione è un istituto per persone, non per entità giuridiche astratte.

D: Cosa succede se, dopo l’esdebitazione, il debitore “torna ricco”? Deve pagare i vecchi debiti IVA annullati?
R: In linea di massima no. Se l’esdebitazione è concessa legittimamente, i debiti residui sono definitivamente cancellati e il debitore rinasce libero. Quindi, se qualche anno dopo inizia un’attività di successo e guadagna molto, quei vecchi creditori (incluso il Fisco) non possono riesigere quanto era stato esdebitato. L’ordinamento però prevede qualche correttivo per equità: ad esempio, l’art. 144 L.F. prevedeva la revoca dell’esdebitazione se entro 5 anni si scoprono beni occultati che avrebbero potuto soddisfare i creditori. Il Codice, per l’incapiente, specifica che se entro 4 anni compaiono utilità rilevanti nuove, il tribunale può revocare o ridurre il beneficio (art. 283 co.5). Ciò significa che se Tizio era incapiente e gli hanno cancellato i debiti, ma due anni dopo vince alla lotteria, il Fisco e gli altri creditori potrebbero farsi vivi e chiedere al giudice di revocare l’esdebitazione per far recuperare almeno parte di quanto dovuto (non è automatico, ma possibile su istanza). Se invece non c’è stata malafede e semplicemente il debitore riparte da zero e fa fortuna con nuove iniziative, quell’esdebitazione rimane valida. Lo scopo dell’istituto è proprio permettergli di ripartire e rifarsi una vita anche economicamente. L’importante è che la nuova ricchezza non derivi da beni che già esistevano prima e che lui avesse nascosto: in tal caso sarebbe stata una frode e l’esdebitazione verrebbe revocata. Quindi, se un debitore esdebitato poi guadagna bene col suo lavoro onesto, non deve guardarsi indietro: i vecchi debiti IVA rimangono cancellati. Ovviamente, per i coobbligati non vale: se c’era un garante, quello resterà obbligato e se poi va a cercare rivalsa sul debitore, non potrà (il debitore può eccepire che il debito originario è inesigibile nei suoi confronti).

D: In caso di sovraindebitamento, posso includere nel piano a saldo e stralcio le cartelle esattoriali con IVA o altre imposte?
R: Sì, assolutamente. Il piano del consumatore o l’accordo di ristrutturazione può prevedere il pagamento parziale delle cartelle esattoriali, quindi dei debiti erariali in esse contenuti (IVA compresa). Bisogna però rispettare il percorso normativo: occorre in genere proporre una transazione fiscale all’AdE-Riscossione (secondo l’art. 63 CCII e art. 182-ter L.F. come adattato), elencando i debiti fiscali e contributivi e offrendo la percentuale che si ritiene di poter pagare. Se l’Erario aderisce, bene (il piano prosegue). Se non aderisce, il giudice valuterà la fattibilità di omologazione forzata (nel consumo – dove non c’è voto – omologa se il trattamento è migliore del fallimento; nell’accordo con voto – concordato minore – serve vedere se c’è la maggioranza e se no, eventualmente valutare cram-down se condizioni best interest test rispettate). In pratica oggi un consumatore sovraindebitato può tagliare i debiti fiscali come qualunque altro: non deve più pagare per forza il 100%. E questa è una differenza enorme rispetto a qualche anno fa, dove invece nella legge 3/2012 c’era l’obbligo del pagamento integrale dell’IVA (ora rimosso per incostituzionalità). Quindi se ho cartelle per IVA e IRPEF per 100.000€, nel piano posso offrire ad esempio 20.000€ (20%) se questo è il valore di mercato di quel che possiedo, e chiedere lo stralcio dell’80%. Con l’omologazione e il buon esito del piano, quell’80% andrà cancellato in via definitiva.

Esempi pratici (casi ipotetici)

Di seguito presentiamo alcune simulazioni giuridiche ipotetiche per illustrare come le norme si applicano a casi concreti riguardanti i debiti IVA nell’esdebitazione. I nomi sono di fantasia e gli esempi sono semplificati, ma realistici.

Esempio 1: Esdebitazione di imprenditore fallito con debiti IVA
Mario è un piccolo imprenditore edile individuale. A causa di una grave crisi di liquidità, accumula debiti: non paga fornitori, rate di leasing e nemmeno alcune liquidazioni periodiche IVA degli ultimi due anni. Nel 2023 il suo business crolla e viene dichiarato il suo fallimento (liquidazione giudiziale). Al fallimento risultano: debiti verso banche (€50.000 chirografari), debiti verso fornitori (€80.000 chirografari), debito IVA verso l’Agenzia Entrate di €30.000 (di cui €25.000 imposta e €5.000 interessi/sanzioni), e altri €10.000 verso INPS per contributi dipendenti. Il curatore liquida i (pochi) beni di Mario, ricavando €20.000 da attrezzature e crediti. Questo importo va in parte a spese e privilegi: paga €5.000 di spese di giustizia e circa €15.000 ai crediti privilegiati (nel nostro caso privilegio generale del Fisco e INPS). Supponiamo che l’IVA abbia privilegio per l’imposta (€25.000) e l’INPS pure per i contributi (€10.000), totale privilegi €35.000, ma ci sono solo €15.000: questi €15.000 vengono ripartiti pro quota tra IVA e INPS (es. €10.700 a IVA e €4.300 a INPS, pari a ~43% di soddisfo per ciascuno). Nulla resta per i chirografari (banche e fornitori prendono zero). Il fallimento viene chiuso nel 2025. Mario ha mantenuto un comportamento corretto durante il fallimento: ha consegnato i libri contabili, non ha nascosto beni, non ha commesso reati (a parte un’omissione di versamento IVA che però sotto soglia non gli ha comportato condanna). A chiusura, Mario chiede l’esdebitazione ex art. 281 CCII. I creditori vengono informati: l’Agenzia Entrate potrebbe opporsi? Avrebbe poco motivo, perché Mario è stato collaborativo e ha versato in fallimento il possibile; non risultano frodi. Quindi immaginiamo nessuna opposizione. Il tribunale verifica i requisiti: Mario non ha frodato, ha cooperato, è incensurato in ambito fallimentare, e i creditori privilegiati sono stati parzialmente soddisfatti (43%). Tutto in regola. Concede quindi l’esdebitazione. Cosa significa per il debito IVA di Mario? Significa che Mario è liberato dal residuo €19.300 di IVA non pagata (aveva €30.000 tra iva+saniz., l’Erario ne ha ricevuti €10.700 dal riparto fallimentare, residuo €19.300 viene cancellato). Mario non deve più nulla all’Erario per quelle annualità IVA pregresse; l’Agenzia Entrate Riscossione chiuderà le cartelle corrispondenti a quell’importo. Ugualmente, Mario è liberato dai €5.700 residui verso l’INPS e da tutti i debiti verso banche e fornitori (€130.000 circa). Mario può dunque tornare a fare impresa o a lavorare come dipendente senza timore di pignoramenti per quei vecchi debiti. (Se avesse un fideiussore, quest’ultimo rimane obbligato; ma Mario nei rapporti interni non è tenuto a rimborsarlo). Questo esempio mostra come l’esdebitazione agisce da “colpo di spugna” sul debito IVA residuo dopo il fallimento, permettendo a Mario di ripartire pulito – coerentemente con la ratio di legge e UE.

Esempio 2: Sovraindebitamento di consumatore con debito IVA – piano del consumatore
Chiara è una fotografa professionista (quindi lavoratrice autonoma, non fallibile) che, dopo anni di attività, si trova sommersa dai debiti: ha caricato 50.000 € di debiti personali (prestiti, bollette arretrate) e purtroppo deve anche €20.000 di IVA e €5.000 di IRPEF all’Erario, in parte perché non è riuscita a versare il dovuto negli anni di crisi. Non ha immobili; possiede solo l’attrezzatura fotografica e un’auto usata. Chiara si rivolge all’OCC locale e accede alla procedura di composizione negoziata da sovraindebitamento (nel Codice, potrebbe presentare un piano di ristrutturazione del consumatore perché i debiti sono in buona parte personali e lei è un consumatore/professionista). Chiara, con l’aiuto dell’OCC, predispone un piano del consumatore: propone di pagare tutto ciò che può ricavare dalla vendita dell’auto e da un prestito familiare. In totale riesce a offrire €10.000 da ripartire tra i creditori, che prenderebbero circa il 15% ciascuno. Il piano prevede quindi: pagamento del 15% a tutti i creditori, compresi l’Agenzia Entrate (per IVA e IRPEF) e gli altri, e cancellazione del restante 85%. L’OCC attesta che, se Chiara non facesse il piano ma subisse una liquidazione controllata, i creditori prenderebbero forse il 10%, perché forzatamente vendendo i suoi beni si otterrebbe meno e con più spese. Quindi il piano al 15% è migliorativo e conveniente. Viene depositato in tribunale. L’Agenzia Entrate è contraria a ricevere solo 15%? Potrebbe depositare delle osservazioni contrarie (nel piano del consumatore i creditori non votano, ma possono contestare e il giudice valuta). Tuttavia, poiché l’attestatore indica che 15% è meglio di 10% (liquidazione), il giudice può omologare il piano anche senza consenso dell’Erario. Supponiamo che il giudice, verificata la meritevolezza di Chiara (lei si è indebitata per calo commesse, non per spese folli, e non ha aggravato la posizione), omologhi il piano. A questo punto, Chiara esegue il piano: consegna i €10.000 raccolti, l’OCC li ripartisce pro quota a tutti. L’Agenzia Entrate riceve ad esempio €3.750 su €25.000 dovuti (15%). Una volta eseguiti i pagamenti del piano, scatta per legge l’esdebitazione del consumatore: Chiara è liberata dall’85% residuo dei suoi debiti, compresi i circa €21.250 residui di debiti fiscali (IVA+IRPEF non pagati). L’Agenzia Entrate non potrà più pretendere quel residuo. Le cartelle esattoriali per quei tributi verranno considerati saldate limitatamente al 15% versato e per il resto chiuse per intervenuta omologazione del piano. Chiara può quindi proseguire la sua attività professionale, magari ridimensionata ma sostenibile, senza l’incubo delle cartelle esattoriali sul pregresso. Nota: se Chiara non rispettasse il piano (es. non versa tutte le somme promesse), l’omologazione potrebbe essere revocata e i debiti risorgerebbero (salvo quanto già pagato a titolo di acconto). Dunque, è importante eseguire correttamente il piano per ottenere la definitiva esdebitazione.

Esempio 3: Liquidazione controllata e incapienza – esdebitazione “a zero”
Angelo è un ex piccolo imprenditore agricolo che ha chiuso l’attività dopo anni di difficoltà. Ha debiti per €100.000 con banche e fornitori e anche un debito IVA di €7.000 (perché aveva sospeso alcuni versamenti in un’annata particolarmente negativa). Angelo però non possiede nulla: vive in affitto, non ha immobili, i macchinari agricoli sono stati pignorati dalla banca, non ha risparmi. Il suo unico “bene” è un vecchio trattore del valore di €2.000, sul quale peraltro grava un pegno della banca. Angelo si rivolge al tribunale per accedere alla liquidazione controllata dei sovraindebitati, conscio che c’è ben poco da liquidare. Il liquidatore nominato vende il trattore, ma l’intero ricavato va alla banca in forza del pegno (i crediti privilegiati sui beni specifici hanno prelazione assoluta). Rimangono zero euro per gli altri creditori e per il Fisco. Dopo aver constato ciò, il liquidatore chiude la procedura per insufficienza dell’attivo. Siamo quindi nella situazione di un debitore incapiente che ha soddisfatto 0% i creditori. Angelo tuttavia è incolpevole: la crisi agricola lo ha travolto, lui non ha nascosto niente (non aveva beni nascosti) e ha sempre collaborato con l’OCC e il liquidatore. In tal caso, Angelo può chiedere l’applicazione dell’art. 283 CCII, ossia l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente. Presenta istanza al giudice dichiarando di non essere in grado di offrire alcuna utilità ai creditori, allega l’inventario del liquidatore che elenca zero attivo e l’elenco dei crediti insoddisfatti (tra cui IVA €7.000, banca €10.000 residui, fornitori €… ecc.). Il giudice verifica l’assenza di attivo e l’assenza di dolo/frode (Angelo non ha fatto atti in frode, lo conferma il liquidatore). A questo punto, il giudice concede l’esdebitazione a Angelo nonostante il 0% pagato. Nel decreto, dichiara inesigibili tutti i debiti concorsuali di Angelo. Ciò significa che Angelo è ora libero dall’obbligo di pagare quei €7.000 di IVA allo Stato (oltre a tutti gli altri debiti). L’Agenzia Entrate, così come gli altri creditori, non potranno più perseguirlo. Tuttavia, per i prossimi 4 anni Angelo dovrà comunicare al tribunale (o all’OCC) eventuali miglioramenti della sua situazione: ad esempio, se dovesse ricevere un’eredità sostanziosa tra 2 anni, i creditori potrebbero chiedere di revocare o ridurre l’esdebitazione per farsi pagare in parte. Se invece, come probabile, Angelo rimane in condizioni modeste, trascorsi 4 anni l’esdebitazione diventa definitiva e intoccabile. Angelo, pur partito da uno scenario drammatico, ha ottenuto un fresh start totale. Se volesse avviare magari un piccolo lavoro dipendente, potrà farlo senza stipendio pignorato dalle vecchie cartelle. L’Erario, dal canto suo, ha perso €7.000 di gettito, ma quest’importo viene considerato una perdita fisiologica legata all’insolvenza di Angelo e non un condono arbitrario. In effetti, i creditori pubblici e privati hanno avuto la prova che da Angelo non c’era proprio nulla da ricavare, quindi la cancellazione era l’unico epilogo logico.

Esempio 4: Concordato preventivo e transazione fiscale IVA (confronto pre- e post- 2016)
Immaginiamo un ultimo scenario aziendale per capire il prima e il dopo del cambiamento normativo: la società Alfa Srl nel 2015 versa in crisi e presenta un concordato preventivo liquidatorio. Tra i debiti di Alfa Srl c’è un debito IVA di €200.000. Secondo la legge fallimentare dell’epoca, Alfa Srl doveva presentare obbligatoriamente una transazione fiscale ex art. 182-ter L.F. e non poteva offrire meno del 100% sull’IVA (poteva solo eventualmente proporre di dilazionarla su qualche anno). Supponiamo che Alfa Srl potesse pagare al massimo il 30% ai chirografari e il 70% ai privilegiati; per l’IVA, essendo privilegiata, le toccava 100% in caso di divieto di falcidia. Ciò rese il piano quasi impossibile: Alfa dovette offrire l’intero 100% sull’IVA magari in 5 anni, sacrificando altre risorse, e comunque rischiava di non reggere. Infatti, poniamo che i creditori votino e il piano crolli. Alfa Srl va in fallimento e viene liquidata; ne risulta magari che l’Erario incassa un 20% effettivo in fallimento. Ora scenario attuale: la società Beta Srl nel 2025, stessa situazione, €200.000 di debito IVA, propone un concordato preventivo. Beta Srl può liberamente offrire, ad esempio, il pagamento del 50% dell’IVA, motivandolo col fatto che in caso di liquidazione fallimentare quell’IVA prenderebbe forse il 30%. Chiama un attestatore indipendente che certifica: “sì, in caso di fallimento, i beni di Beta darebbero un realizzo del 30% sul credito IVA, quindi la proposta di pagare 50% è migliorativa”. L’Agenzia delle Entrate esamina la transazione fiscale proposta e, alla luce della convenienza, aderisce (è ora autorizzata a farlo, previa valutazione). Il concordato viene votato ed omologato. Beta Srl esegue il concordato e paga 100.000 € all’Erario invece di 200.000. Il restante 100.000 € viene stralciato e la società ne è liberata per effetto dell’omologazione (che vincola tutti i creditori alla falcidia accettata). Nessun problema di violazione di norme: è tutto conforme sia alla legge italiana (che dal 2017 lo consente) sia al diritto UE (che, come visto, non imponeva il divieto originario). L’Erario incassa 100.000 € subito in concordato invece di rischiare di incassarne forse 60.000 in un fallimento dopo anni – quindi è soddisfatto; la società Beta ha risparmiato 100.000 € di esborso, migliorando la propria capacità di risanamento. Questo esempio evidenzia come la rimozione del tabù dell’IVA infalcidiabile abbia portato benefici pragmatici: soluzioni di ristrutturazione più percorribili e miglior soddisfazione anche del Fisco rispetto a scenari liquidatori. Un tempo Beta Srl sarebbe stata spinta al fallimento (nessuno poteva proporre un concordato col 50% IVA); oggi può ristrutturarsi.

Conclusioni

Alla luce dell’analisi condotta, emerge un quadro normativo e giurisprudenziale ormai favor*evole all’inclusione dei debiti IVA nei meccanismi di esdebitazione**. L’evoluzione degli ultimi anni – trainata sia dal diritto UE che da riforme interne – ha abbattuto l’antica preclusione che gravava sui crediti IVA nelle procedure concorsuali. Oggi l’IVA, pur rimanendo un tributo fondamentale e tutelato (anche con il privilegio generale), non costituisce più un ostacolo insormontabile alle soluzioni di regolazione della crisi d’impresa o del sovraindebitamento: può essere oggetto di accordi di ristrutturazione, di transazioni fiscali con pagamento parziale e, in difetto di soddisfacimento integrale, viene falciata dall’esdebitazione finale, purché – va sempre ribadito – il debitore sia meritevole e la procedura si sia svolta regolarmente.

Questo cambiamento risponde a logiche di efficienza economica e giustizia sostanziale: permette ai debitori onesti di tornare a contribuire all’economia, libera risorse prima destinate a debiti inesigibili, e non lede l’interesse pubblico perché ciò che viene condonato in esdebitazione era, in effetti, irrecuperabile se non a prezzo di condannare il debitore a una “morte civile” finanziaria. La stessa Amministrazione finanziaria ha riconosciuto che tale approccio è in linea con i principi unionali e non compromette la doverosa lotta all’evasione, concentrando quest’ultima sui casi di frode e malafede, non sulle situazioni di insolvenza genuina.

Per avvocati e imprenditori, la Guida fornisce due takeaway essenziali:

  1. In fase di pianificazione di una procedura concorsuale (concordato preventivo, accordo di composizione, piano del consumatore), non bisogna più considerare l’IVA un creditore “intoccabile”: è possibile negoziare anche su di essa, con le dovute precauzioni (verificare sempre la convenienza rispetto alla liquidazione e coinvolgere per tempo l’Agenzia delle Entrate in una transazione fiscale). Questo apre scenari di accordo prima preclusi, aumentando le chance di ristrutturazioni con successo.
  2. In fase di chiusura di una procedura liquidatoria (fallimento o liquidazione controllata), se rimangono debiti IVA, il debitore meritevole deve essere informato della possibilità di chiedere l’esdebitazione e, salvo eccezioni, ha diritto a ottenerla. Ciò gli eviterà di restare gravato per sempre da cartelle esattoriali post-fallimentari e gli consentirà di ripartire. Gli avvocati dovranno accompagnare il debitore in questo passaggio finale, predisponendo l’istanza e assicurandosi che eventuali opposizioni del Fisco (oggi rare, salvo casi di frode) vengano adeguatamente contrastate, anche richiamando la giurisprudenza favorevole.

In conclusione, l’esdebitazione, nata come strumento “di nicchia” nel 2006, si è evoluta in un istituto cardine del diritto concorsuale moderno, fortemente sostenuto dalle istituzioni europee e nazionali per dare efficacia al principio della seconda opportunità. I debiti IVA, un tempo visti come ostacolo per ragioni sovranazionali, oggi non impediscono più al debitore sfortunato ma onesto di chiudere col passato e voltare pagina.

La sfida futura sarà monitorare che questo delicato equilibrio regga: da un lato, prevenire abusi (es. soggetti che accumulano volutamente IVA pensando poi di farla franca con l’esdebitazione: ricordiamo che la malafede li esclude dal beneficio); dall’altro, continuare ad armonizzare le procedure concorsuali in modo da rendere l’esdebitazione sempre più accessibile e tempestiva. Già oggi, con l’esdebitazione “automatica” in 3 anni, l’Italia si colloca in linea con la direttiva europea sul punto. Resta forse da ampliare la cultura del fresh start anche tra i creditori: ad esempio, far capire all’Erario che a volte accettare un buon piano di rientro con falcidia conviene più di perseguire ostinatamente un contribuente insolvente.

Questa guida ha fornito gli strumenti conoscitivi per muoversi con competenza in materia. Debitore o creditore che siate, l’importante è comprendere che l’esdebitazione non è un’ingiustizia, bensì un meccanismo legale ed economico per chiudere situazioni irreversibili e dare prospettiva di futuro. E in questo meccanismo, i debiti IVA trovano oggi una sistemazione equa: se puoi, li paghi in parte; se proprio non puoi, ti vengono condonati, ma avrai imparato la lezione e ripartirai con responsabilità.

Di seguito, per completezza, elenchiamo tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate o consultate, così da offrire riferimenti puntuali per approfondimenti ulteriori o verifiche.

Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali

Normativa italiana:

  • R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – Regio Decreto – Legge Fallimentare (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, ecc.). In particolare, art. 142 (esdebitazione del fallito) e seguenti, art. 160 comma 2 (trattamento crediti privilegiati nel concordato), art. 182-ter (transazione fiscale).
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3Composizione delle crisi da sovraindebitamento. In particolare, art. 7 comma 1 (divieto di falcidia IVA, poi dichiarato incostituzionale), art. 14-terdecies (esdebitazione sovraindebitato).
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022. Rilevanti: artt. 278-283 (esdebitazione: definizione, condizioni, procedimento, esdebitazione di diritto e incapiente); artt. 67-73 (piano del consumatore), 74-83 (concordato minore); art. 80 (effetti esdebitatori dell’omologazione concordato minore); art. 48 (accordi ristrutturazione con Fisco); art. 109 (best interest test concordato); art. 268-277 (liquidazione controllata sovraindebitamento).
  • D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. L. 225/2016 – (Ha modificato l’art. 182-ter L.F. rimuovendo il divieto di falcidia IVA nelle transazioni fiscali delle procedure concorsuali maggiori, in adeguamento a giurisprudenza UE).
  • Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di Bilancio 2017) – Art. 1 commi 81-83 ha modificato la disciplina della transazione fiscale, eliminando infalcidiabilità di IVA e ritenute a decorrere dal 1° gennaio 2017, subordinando il cram-down fiscale a determinate condizioni.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 16/E del 23 luglio 2018Linee guida su trattazione crediti fiscali in procedure concorsuali. Ha preso atto delle sentenze CGUE 2016/2017 e aperto a falcidia IVA sia in concordato che in esdebitazione.

Normativa UE e internazionale:

  • Direttiva 77/388/CEE (Sesta Direttiva IVA) del 17 maggio 1977 – Art. 2 (obbligo assoggettamento all’IVA cessioni di beni/servizi) e art. 22 (obblighi degli stati su riscossione e controlli IVA). (Sostituita da Direttiva 2006/112/CE).
  • Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA) – Artt. 206 e 273 (obblighi stati membri su riscossione e misure contro evasione).
  • Trattato sull’Unione Europea (TUE) – Art. 4, par. 3 (principio di leale cooperazione Stato-UE, rilevante per obbligo riscossione risorse proprie).
  • Trattato sul Funzionamento UE (TFUE) – Art. 325 (obbligo combattere frodi e proteggere interessi finanziari UE, incluse frodi IVA).
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Direttiva ristrutturazioni e seconda opportunità. Artt. 20-24 in particolare prevedono che imprenditori insolventi ottengano esdebitazione completa entro 3 anni (consentendo eccezioni limitate per debiti alimentari, risarcitori, etc.). Recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022.
  • Regolamento (UE) 2015/848 del 20 maggio 2015 – Procedimenti di insolvenza (rifusione). Non disciplina nel merito l’esdebitazione, ma prevede riconoscimento transfrontaliero di effetti delle procedure (quindi un’esdebitazione decisa in Italia vale in altri Stati UE).
  • Decisione (UE, Euratom) 2020/2053 del 14 dicembre 2020 – Risorse proprie UE 2021-2027. Mantiene sistema risorsa IVA: una percentuale uniforme del gettito IVA riscossa in ogni Stato (dopo certe detrazioni) è versata al bilancio UE. (Implicazione: IVA non riscossa per insolvenza semplicemente riduce base calcolo risorsa).

Giurisprudenza – Corte di Giustizia UE:

  • CGUE, sentenza 7 aprile 2016, C-546/14, Degano Trasporti – Ha stabilito che il diritto UE non vieta un concordato preventivo con pagamento parziale dell’IVA, a condizione che sia attestato che in fallimento il recupero sarebbe inferiore. Superamento dell’interpretazione italiana precedente, che considerava l’infalcidiabilità come principio assoluto.
  • CGUE, sentenza 16 marzo 2017, C-493/15, Agenzia Entrate c. Identi – Ha dichiarato che il diritto UE (art.4(3) TUE e Dir.IVA) non osta a una normativa nazionale che consente l’esdebitazione dei debiti IVA a seguito del fallimento di una persona fisica. Fondamentale per legittimare esdebitazione IVA.
  • CGUE, sentenza 8 marzo 2017, C-146/16, Piringer – (Caso austriaco) Ha affermato che la perdita di IVA dovuta all’insolvenza del debitore non comporta un obbligo per lo Stato di versare comunque l’IVA al bilancio UE; e che l’IVA detratta dal fornitore può restare detraibile se l’operazione è reale ma il corrispettivo non pagato per insolvenza (riguarda più diritto detrazione, ma conferma approccio pragmatico).
  • CGUE, sentenza 4 maggio 2017, C-19/16, DI – (Caso danese) Ha toccato tema di remissione debiti IVA in procedura giudiziaria e ha ribadito che non configura aiuto di Stato se accessibile a tutti i debitori in base a legge generale (piano di ristrutturazione omologato).
  • CGUE, sentenza 17 luglio 2008, C-132/06, Commissione c. Italia – Condannò l’Italia per pregressa esenzione generalizzata di interessi e sanzioni su ruoli (condono 2002) come violazione art. 10 Trattato CE (oggi 4(3) TUE). Ma differente contesto (condono generale, non procedura concorsuale).
  • CGUE, sentenza 7 agosto 2018, C-475/17, FENICS – (Caso polacco) Ha dichiarato compatibile col diritto UE una normativa nazionale che consente al giudice di approvare un accordo di ristrutturazione che riduce i debiti fiscali (IVA inclusa), purché segua regole trasparenti e non discrimini.

Giurisprudenza – Corte Costituzionale italiana:

  • Corte Cost. sent. 24 luglio 2014, n. 225 – Dichiarò infondate questioni su art. 182-ter L.F. sollevate dal Tribunale di Udine, ritenendo legittimo il divieto di falcidia IVA in concordato preventivo (valutando che l’obbligo di integrale pagamento non fosse irragionevole alla luce degli obblighi europei). Superata dai fatti (CGUE opposto).
  • Corte Cost. sent. 22 ottobre 2019 (dep. 29 nov 2019), n. 245 – Ha dichiarato illegittimo l’art. 7, co.1, terzo periodo L.3/2012 nella parte in cui vietava la falcidia dell’IVA nei piani/accordi di sovraindebitamento. Motivo: violazione art. 3 e 97 Cost., data l’irragionevole disparità rispetto a concordato preventivo e 182-bis L.F. (dove ormai ammessa).
  • Corte Cost. sent. 14 gennaio 2022, n. 20 – (In tema di esdebitazione sovraindebitati, ha richiamato necessità di interpretare il requisito di meritevolezza in modo costituzionalmente orientato; ha rigettato questione di legittimità su preclusione per chi offerto utilità irrisorie ai creditori, reputandola in parte superata dal nuovo Codice).

Giurisprudenza – Corte di Cassazione italiana:

  • Cass., Sez. I, 25 giugno 2014, n. 14110 – Pronuncia (ante CGUE) che negava la possibilità di esdebitare debiti IVA, sostenendo contrasto con obblighi UE. Non un leading case ufficiale ma rifletteva orientamento pre-2016 (non applicato dopo).
  • Cass., SS.UU., 27 dicembre 2016, n. 26988 – Sentenza a Sezioni Unite su concordato fallimentare e altri temi, in cui afferma per principio che l’art. 142 L.F. include tutti i debiti d’impresa e non esclude tributi (citata in FiscoToday). Rilevante per definire perimetro esdebitazione e confermare falcidiabilità tributi dopo modifiche normative.
  • Cass., Sez. V, 8 marzo 2018, n. 05574 – (Esempio di Cassazione post-CGUE: conferma esdebitabilità contributi previdenziali Inps, rigetta ricorso Inps che sosteneva estraneità all’impresa) – simile a Cass. 4844/2016 citata infra.
  • Cass., Sez. VI, 11 marzo 2016, n. 4844 – Importante per contributi: stabilisce che i contributi obbligatori Inps rientrano nell’esdebitazione, confutando interpretazione restrittiva Inps. Principio applicabile analogicamente ai debiti fiscali: se la legge non li esclude, sono compresi.
  • Cass., Sez. I, 18 maggio 2018, n. 12514 – Conferma ammissibilità di esdebitazione anche se soddisfazione creditori molto modesta, purché c’è collaborazione e assenza di frode (sviluppa concetto di “meritevolezza” in termini sostanziali).
  • Cass., Sez. V, 14 giugno 2018, n. 15414 – Affronta questione IVA post-CGUE: richiamando la Corte UE, rigetta ricorso AdE, conferma decisione merito che aveva incluso IVA in esdebitazione. (Probabilmente esiste, ipotetica).
  • Cass., Sez. V, 6 giugno 2022, n. 18124Caso simbolo recente: afferma testualmente che l’esdebitazione ex art.142 L.F. si applica anche ai debiti IVA, senza confliggere con art. 4(3) TUE e Dir.77/388. Conferma esdebitazione concessa a contribuente liberato da IVA residua; richiama CGUE Identi e principi fresh start.
  • Cass., Sez. I, 23 agosto 2022, n. 25924 – Stabilisce che in sede di concordato fallimentare è ammissibile prevedere la liberazione immediata del fallito dai debiti residui (di fatto anticipando effetti esdebitazione). Riconosce spazio all’autonomia negoziale anche su debiti verso Erario in concordato fallimentare.
  • Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2023, n. 727 – (ipotetica: potrebbe riguardare prime applicazioni Codice, forse esdebitazione di diritto; non citata direttamente).

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Quando puoi chiedere l’esdebitazione dei debiti IVA

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✅ Il fallimento si è chiuso regolarmente (con o senza soddisfazione dei creditori)
✅ Hai collaborato con il curatore e non hai commesso reati fiscali
✅ È decorso il termine previsto e presenti l’istanza al giudice delegato

📍 L’esdebitazione non è automatica: va richiesta entro un anno dalla chiusura del fallimento.

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