Se stai saltando i pagamenti o ricevendo solleciti da parte della banca o della finanziaria, è fondamentale agire subito e non ignorare il problema. Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, sovraindebitamento e tutela del debitore – ti spiega in modo chiaro cosa succede quando non paghi un prestito, quali sono i rischi e quali soluzioni legali puoi utilizzare per proteggerti e rientrare dal debito in modo sostenibile.
Cosa succede se smetto di pagare il prestito personale?
Dopo uno o due mancati pagamenti, la banca ti invia un sollecito. Se il ritardo continua, il contratto può essere revocato e l’intero debito richiesto in un’unica soluzione. Seguiranno la segnalazione in CRIF, eventuali ingiunzioni di pagamento e azioni di recupero forzato, come il pignoramento del conto, dello stipendio o dei beni.
Ci sono alternative prima che si arrivi al pignoramento?
Sì. Puoi chiedere una rinegoziazione del prestito o una sospensione temporanea delle rate, soprattutto se la difficoltà è recente e documentata. Se la situazione è più grave, puoi accedere alle procedure di sovraindebitamento, previste dalla legge, che ti consentono di bloccare le azioni esecutive e proporre un piano sostenibile di pagamento o, nei casi più difficili, ottenere l’esdebitazione.
E se ho altri debiti in corso?
Se hai più finanziamenti non gestibili, è importante valutare l’intera posizione debitoria con un legale, per costruire una strategia unica e coerente. Un piano parziale può peggiorare la situazione. In molti casi, la composizione della crisi o il piano del consumatore permettono di proteggere il patrimonio e ripartire con un solo pagamento mensile ridotto.
Cosa fare subito?
Evita di firmare accordi con recuperatori o agenzie non trasparenti. Non cedere alla pressione. La legge ti tutela, ma serve agire in modo rapido e con le giuste competenze.
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme il tuo prestito, la tua situazione economica e valuteremo la strategia migliore per bloccare le azioni aggressive, ridurre il carico mensile o – se ne hai diritto – cancellare il debito e ripartire senza più paura.
Introduzione
Non riuscire a rimborsare un prestito personale è una circostanza più comune di quanto si pensi, soprattutto in tempi di difficoltà economiche. Se ti trovi in questa situazione, è fondamentale sapere che esistono strumenti giuridici e pratici a tutela del debitore, pensati per gestire e risolvere la crisi debitoria in modo ordinato. In questa guida analizzeremo in dettaglio tutte le possibili soluzioni aggiornate a maggio 2025, con un focus particolare sulla normativa italiana attuale e sugli strumenti introdotti a protezione di consumatori, piccoli imprenditori e professionisti. L’obiettivo è offrire un vademecum avanzato ma chiaro, rivolto sia a chi vive direttamente il problema (privati, imprenditori) sia ai professionisti (avvocati, consulenti) che li assistono.
Discuteremo dapprima le conseguenze legali del mancato pagamento di un prestito personale, così da comprendere cosa si rischia effettivamente (interessi di mora, segnalazioni nelle banche dati, azioni esecutive ecc.). Successivamente, esamineremo le possibili soluzioni extragiudiziali, come la rinegoziazione delle rate o gli accordi a saldo e stralcio con la banca, che permettono talvolta di rimediare senza passare dal tribunale. Quindi affronteremo in modo approfondito gli strumenti giuridici formali per la composizione della crisi da sovraindebitamento: i piani di rientro del consumatore, il concordato minore per imprenditori, la liquidazione controllata del patrimonio e l’esdebitazione (ossia la liberazione dai debiti residui), alla luce della nuova normativa (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Richiameremo gli articoli di legge più rilevanti (dal Codice Civile al Testo Unico Bancario, dal Codice di Procedura Civile al Codice della Crisi) e citeremo la giurisprudenza più recente (sentenze di Cassazione e di merito fino al 2025) per contestualizzare i principi applicati dai giudici. Non mancheranno esempi pratici e simulazioni di come gestire un debito non pagato – ad esempio, come condurre una trattativa con la finanziaria o come preparare la domanda per una procedura di sovraindebitamento – illustrati con linguaggio tecnico ma comprensibile.
Conseguenze del mancato pagamento di un prestito personale
Prima di esaminare le soluzioni, è utile capire cosa accade se si smette di pagare le rate di un prestito personale. La posizione del debitore inadempiente è regolata da diverse norme del Codice Civile e da leggi speciali sul credito. In sintesi, le principali conseguenze di un mancato pagamento sono:
- Interessi moratori e penali contrattuali: in caso di ritardo nel pagamento, la banca o finanziaria applicherà gli interessi di mora previsti nel contratto, ossia un tasso di interesse maggiorato sulle somme scadute (art. 1224 c.c.). Spesso il contratto di prestito prevede anche commissioni di late payment o penali per le rate saltate. Va ricordato che tali interessi non possono superare i limiti dell’usura: se la clausola di mora prevede un tasso superiore alla soglia antiusura, essa è nulla e gli interessi di mora non sono dovuti (art. 1815, co. 2 c.c.). La Corte di Cassazione ha chiarito che basta la pattuizione di un tasso usurario perché scatti la sanzione della non debenza, a prescindere da quanto interesse di mora sia stato effettivamente applicato. In tal caso il debitore dovrà comunque gli interessi legali per il ritardo, ma non quelli contrattuali eccedenti il lecito. Inoltre, la legge vieta l’anatocismo (calcolo di interessi su interessi scaduti) salvo casi particolari (art. 1283 c.c.), quindi la finanziaria non può capitalizzare trimestralmente gli interessi di mora a meno che ciò non sia espressamente consentito e decorrano almeno 6 mesi di ritardo senza pagamento.
- Decadenza dal beneficio del termine e risoluzione del contratto: normalmente i prestiti rateali prevedono che, dopo un certo numero di rate non pagate, la banca possa invocare la decadenza dal termine (art. 1186 c.c. per le obbligazioni) e chiedere il pagamento immediato di tutto il debito residuo. Questa possibilità è spesso disciplinata nel contratto stesso. Ad esempio, per i mutui immobiliari il Testo Unico Bancario stabilisce che il finanziatore può esigere l’intero importo se il cliente omette il pagamento di sette rate mensili anche non consecutive (art. 40 TUB). Nei prestiti personali non ipotecari non c’è un dettato di legge identico, ma usualmente la clausola contrattuale scatta dopo 2 o 3 rate consecutive non pagate. Una volta comunicata la decadenza dal beneficio del termine, il prestito si “risolve” e l’istituto di credito può richiedere il rimborso integrale immediato di capitale residuo, interessi e spese.
- Segnalazione nelle banche dati creditizie: già dopo poche rate non pagate la banca segnala il nominativo del debitore come “cattivo pagatore” nelle centrali rischi private (come CRIF, Experian, Cerved) e nella Centrale dei Rischi della Banca d’Italia (se l’esposizione supera 30.000 € o si tratta di sofferenza conclamata). Questa segnalazione compromette l’accesso al credito futuro, poiché altre banche vedranno la morosità. Le segnalazioni nei sistemi di informazione creditizia per privati in genere avvengono dopo almeno due rate mensili non pagate, con preavviso al cliente. La registrazione rimane poi visibile per un certo periodo (in CRIF, ad esempio, 36 mesi dalla data di regolarizzazione o dalla scadenza contrattuale in caso di insoluto non sanato). Essere iscritti come cattivi pagatori rende molto difficile ottenere nuovi finanziamenti finché la posizione non viene sistemata.
- Solleciti di pagamento e recupero stragiudiziale: all’inizio la banca cercherà una soluzione stragiudiziale. Tipicamente, dopo il primo ritardo vi contatterà il servizio crediti della banca o verranno inviati solleciti scritti (lettere di messa in mora ex art. 1219 c.c.). Se il debitore continua a non pagare, il credito potrebbe venire ceduto a una società di recupero crediti oppure dato in gestione a professionisti del recupero. Attenzione: le società di recupero crediti non hanno poteri speciali, ma possono effettuare telefonate o inviare lettere sollecitando il pagamento. Devono però rispettare la legge: non possono minacciare conseguenze illegali, né molestare il debitore a orari improbabili o sul posto di lavoro. Pratiche aggressive o diffamatorie possono integrare reato di molestia o esercizio arbitrario delle proprie ragioni. In questa fase è opportuno non sottrarsi al dialogo: spesso si può trovare un accordo (come un piano di rientro) prima che scatti la fase giudiziale. Si consiglia di tenere traccia scritta di ogni proposta o accordo formulato.
- Decreto ingiuntivo e azioni legali: se il recupero bonario fallisce, il creditore passerà alle vie legali. La forma tipica è il decreto ingiuntivo (artt. 633 e segg. c.p.c.): si tratta di un provvedimento emesso dal giudice su ricorso della banca, che ingiunge al debitore di pagare entro 40 giorni. Il decreto ingiuntivo viene notificato al debitore; se questi ritiene che la somma non sia dovuta o vi siano errori (es. interessi usurari, importi contestati) può presentare opposizione entro 40 giorni, instaurando un giudizio ordinario (art. 645 c.p.c.). In mancanza di opposizione, il decreto diventa definitivo ed esecutivo. È bene sottolineare che, a differenza di assegni o cambiali, il semplice contratto di prestito personale non è un titolo esecutivo immediato: la banca deve prima ottenere un provvedimento dal giudice (ingiunzione) per poter procedere forzosamente. Solo in casi particolari, se il prestito è stipulato per atto pubblico o cambializzato, il creditore potrebbe agire direttamente.
- Pignoramento dei beni: ottenuto un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo non opposto, sentenza, o accordo di negoziazione assistita omologato di cui diremo) la banca può procedere al pignoramento dei beni del debitore (art. 491 c.p.c. e segg.). Il pignoramento è l’atto con cui l’ufficiale giudiziario, su istanza del creditore, vincola i beni del debitore per destinarli alla vendita forzata o assegnazione. Possono essere pignorati diversi tipi di beni:
- Somme su conti correnti e depositi (pignoramento presso terzi, art. 543 c.p.c.): la banca creditrice può pignorare i conti correnti del debitore presso altre banche, bloccando le somme fino a concorrenza del dovuto. Il terzo (l’altra banca) comunicherà l’importo disponibile e, su ordinanza del giudice, trasferirà le somme al creditore.
- Stipendio o pensione (pignoramento presso terzi verso il datore di lavoro o l’ente pensionistico): è molto comune. La legge consente di pignorare una quota dello stipendio netto (di regola un quinto massimo per debiti ordinari, art. 545 c.p.c.) al netto delle ritenute, e similmente un quinto della pensione ma solo sulla parte eccedente la minima (circa €690 nel 2025, pari all’assegno sociale aumentato della metà). Esempio: con stipendio netto di €1.500 mensili, fino a €300 al mese possono essere trattenuti per il creditore. Se coesistono più pignoramenti (es. uno per prestiti, uno per alimenti, uno fiscale), vigono limiti combinati ma la soglia complessiva di solito non supera il 50%. Le somme già accreditate sul conto corrente derivanti da stipendio/pensione godono di parziale impignorabilità: per la pensione vi è impignorabile l’importo pari al triplo dell’assegno sociale (circa €1.035 nel 2025) sul saldo del conto, mentre per lo stipendio accreditato si considera impignorabile l’ultimo importo mensile in misura pari al triplo dell’assegno sociale.
- Beni mobili (pignoramento mobiliare, art. 513 c.p.c.): l’ufficiale giudiziario può recarsi presso la residenza o sede del debitore e pignorare beni mobili di valore (televisori, arredamento di pregio, gioielli, autoveicoli). In realtà il pignoramento mobiliare presso l’abitazione è poco efficace e raro per i piccoli prestiti, a meno di beni di lusso, perché l’usato ha scarso realizzo e alcuni beni sono impignorabili per legge (le cose indispensabili al debitore per vita quotidiana, letto, frigorifero, vestiti, alimenti, oggetti di culto, animali da compagnia, ecc., art. 514 c.p.c.).
- Immobili (pignoramento immobiliare, art. 555 c.p.c.): se il debitore possiede case o terreni, il creditore può iscrivere pignoramento sull’immobile e avviare la esecuzione immobiliare davanti al tribunale competente. La casa verrà stimata e posta in vendita all’asta. Attenzione: non esiste un vero divieto di pignorare la prima casa da parte di creditori privati (il divieto vige solo per il fisco – Agenzia Entrate Riscossione – in presenza di determinati requisiti, come unica casa non di lusso e residenza del debitore, ai sensi del Dl 69/2013). Quindi, una banca o finanziaria può teoricamente pignorare anche l’abitazione principale del debitore se il debito è cospicuo. Nella pratica però, se sullo stesso immobile grava un mutuo ipotecario, il credito chirografario (non assistito da garanzie) per un prestito personale viene soddisfatto solo dopo l’eventuale mutuo e le spese: occorre valutare se c’è capienza. Spesso per importi modesti (es. poche decine di migliaia di euro) i creditori non procedono sull’immobile, specialmente se è l’unica casa e il debitore non ha altri beni: l’asta immobiliare ha costi procedurali elevati e tempi lunghi, e può accadere che resti deserta più volte deprimendo il prezzo. Tuttavia, la minaccia di esecuzione immobiliare è presa molto sul serio, e con importi elevati (es. centinaia di migliaia di euro) le banche non esitano a iscrivere ipoteca giudiziale e procedere. Importante: se la casa pignorata è abitazione principale del debitore o dei suoi familiari, la legge oggi prevede che l’aggiudicatario debba concedere al debitore un termine fino a 6 mesi per liberare l’immobile (art. 560 c.p.c. come modificato dal DL 18/2022), a tutela del diritto all’abitazione per un breve periodo.
- Ulteriori effetti: il garante (fideiussore) del prestito, se presente, verrà escusso dalla banca non appena il debitore principale ritarda i pagamenti. Il garante ha gli stessi obblighi di pagamento e, dopo aver saldato, può rivalersi sul debitore principale. Il mancato pagamento di un prestito senza garanzie reali non comporta conseguenze penali (il debito civile non porta al carcere, salvo casi particolari come il mancato pagamento di assegni o di obblighi alimentari). Tuttavia, l’insolvenza reiterata può far perdere opportunità: ad es. se il debitore è un imprenditore, un protesto o un precetto possono incidere sulla reputazione e sull’accesso al credito dell’azienda. In alcuni casi estremi, la banca potrebbe proporre la risoluzione stragiudiziale tramite cessione volontaria di beni: ad esempio, chiedere al debitore di vendere un immobile di sua proprietà e destinare il ricavato a estinzione parziale del debito (per evitare il pignoramento). È una soluzione da valutare con cautela e con assistenza legale, perché tocca il patrimonio personale.
Come si vede, le conseguenze possono essere gravose. Per questo il sistema giuridico predispone sia tutele procedurali (es. limiti alla pignorabilità per garantire mezzi di sussistenza, possibilità di opposizione in caso di abusi, ecc.) sia strumenti per risolvere la crisi debitoria, di cui parleremo tra poco. Ad esempio, il Codice di Procedura Civile consente al debitore esecutato di evitare la vendita forzata chiedendo la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.), cioè sostituendo i beni pignorati con una somma di denaro: in pratica il debitore può chiedere al giudice di pagare il dovuto in forma dilazionata, versando subito una percentuale (indicativamente almeno un sesto) e il resto a rate (massimo 18 mesi, prorogabili fino a 36 mesi in alcuni casi). Se il giudice accoglie l’istanza, l’esecuzione viene sospesa e poi si estingue al completamento dei pagamenti. Questa è un’ultima chance in extremis per chi trova le risorse dopo che il procedimento esecutivo è partito.
Inoltre, dal 2023, per importi di modesta entità, il legislatore ha incentivato il ricorso ad accordi stragiudiziali prima di iniziare cause civili. In particolare, per i crediti fino a €50.000, è oggi obbligatorio tentare una negoziazione assistita o mediazione civile prima di procedere con il giudizio di merito. Ciò significa che la banca (o la società cessionaria del credito) dovrà, tramite i propri legali, invitarvi a un tavolo di negoziazione assistita da avvocati oppure a un incontro di mediazione presso un organismo accreditato, con lo scopo di trovare un accordo di pagamento sostenibile. Questa novità (introdotta con la riforma Cartabia del processo civile, D.lgs. 149/2022) offre al debitore una finestra negoziale ulteriore: sfruttatela, perché un accordo raggiunto in questa sede ha valore di titolo esecutivo (come una sentenza) ed evita spese processuali e tempi lunghi. Se invece il tentativo fallisce (ad esempio, se non si trova alcun accordo entro 30 giorni dalla comunicazione di avvio negoziazione), il creditore otterrà il nullaosta per agire in giudizio.
Riassumendo: non pagare un prestito comporta more salate, segnalazioni negative, e in ultima analisi il rischio di subire azioni legali sul patrimonio. Tuttavia, il debitore ha a disposizione strumenti di difesa e composizione. Nei paragrafi successivi vedremo come poter rimediare o gestire la situazione attraverso accordi con i creditori o procedure previste dalla legge, volte a riequilibrare la posizione debitoria e in molti casi a ottenere una riduzione o cancellazione dei debiti non pagabili. Prima si affronta il problema, più soluzioni saranno percorribili.
Soluzioni extragiudiziali: accordi con la banca senza tribunale
La prima strada da tentare, quando ci si rende conto di non riuscire a pagare un prestito, è quella extragiudiziale, ossia trovare un accordo direttamente con la banca o finanziaria, senza dover ricorrere a procedure giudiziarie. Queste soluzioni hanno il vantaggio di evitare lungaggini e pubblicità della causa, e spesso permettono di salvaguardare i rapporti con il creditore. Vediamo le principali opzioni extragiudiziali:
Rinegoziazione del prestito e piani di rientro
Rinegoziare il prestito significa chiedere formalmente alla banca una modifica delle condizioni di pagamento per adattarle alla nuova capacità economica del debitore. È consigliabile muoversi appena emergono le difficoltà, senza aspettare di accumulare arretrati: le banche apprezzano la proattività del cliente nel segnalare il problema. La rinegoziazione può assumere varie forme, ad esempio:
- Dilazione delle rate: il debitore chiede di allungare la durata residua del prestito, in modo da abbassare l’importo di ciascuna rata. Ad esempio, un prestito con 3 anni rimanenti può essere spalmato su 5 anni, riducendo la rata mensile. Questo spesso comporta maggiori interessi complessivi pagati (perché il debito resta aperto più a lungo), ma rende le rate sostenibili.
- Periodo di moratoria o sospensione: la banca può concedere una sospensione temporanea dei pagamenti (es. 6-12 mesi) in caso di eventi eccezionali (perdita del lavoro, spese mediche, calamità). Durante la moratoria, le rate possono non essere dovute o si pagano solo gli interessi. In Italia, per i mutui prima casa esiste un Fondo pubblico di garanzia che consente la sospensione fino a 18 mesi in specifici casi di difficoltà; per i prestiti personali non c’è un fondo analogo generalizzato, ma alcuni istituti offrono pause di pagamento contrattuali o valutano caso per caso.
- Ristrutturazione del debito residuo: talvolta si combinano i due elementi sopra: la banca può offrire un nuovo piano di ammortamento (un vero e proprio piano di rientro) in cui gli arretrati non pagati vengono “rimessi in coda” o ripartiti sulle restanti rate, magari applicando un tasso rivisto. In pratica si stipula un accordo di ristrutturazione del debito: il debitore riconosce il dovuto e la banca concede tempi più lunghi o un tasso agevolato su quelle somme.
Ad esempio, se Tizio ha un prestito con rata 500 € e reddito improvvisamente dimezzato, potrebbe ottenere di pagare 250 € al mese per un periodo allungato. Oppure, se ha saltato 3 rate, la banca potrebbe non esigere subito i 1.500 € arretrati, ma distribuirli sulle successive rate. È cruciale formalizzare per iscritto ogni accordo di rinegoziazione: generalmente la banca farà firmare un atto di rinnovo o modifica contrattuale dove vengono indicati il nuovo piano di pagamenti e le eventuali ulteriori garanzie.
Condizioni per ottenere la rinegoziazione: la banca valuta la causa delle difficoltà (meglio se documentata: ad es. lettera di licenziamento, spese mediche straordinarie, ecc.) e la sostenibilità del nuovo piano proposto. Inoltre, se il debitore ha un garante, è probabile che venga coinvolto: la banca potrebbe chiedere conferma della garanzia sul nuovo piano. In alcuni casi, potrebbe pretendere garanzie aggiuntive (per es. un’ipoteca su un immobile del debitore o del garante) per concedere la dilazione: ciò avviene soprattutto se la situazione del debitore è precaria. Attenzione a non sottoscrivere garanzie eccessive senza aver valutato bene gli impegni futuri.
La rinegoziazione è una soluzione consensuale: la banca non è obbligata per legge ad accettare, ma in molti casi conviene anche a lei evitare un’insolvenza conclamata. Infatti, se il cliente mostra volontà di pagare il dovuto, seppur in misura minore o in tempi più lunghi, la banca preferisce incassare lentamente piuttosto che aprire un contenzioso costoso dall’esito incerto. Inoltre, le nuove normative sul merito creditizio incentivano gli intermediari a trovare soluzioni sostenibili per i clienti in difficoltà, piuttosto che accumulare sofferenze. Un riferimento utile è la disciplina sulla “portabilità” e rinegoziazione dei mutui (art. 120-quater TUB e legge 244/2007 per la surroga), sebbene riguardi più i mutui ipotecari: in quel contesto la legge ha spinto le banche a rivedere i contratti su richiesta del cliente, segno di un orientamento favorevole alla contrattazione.
Formalizzazione: il nuovo accordo può configurarsi come una novazione del contratto originario (art. 1230 c.c.) – se sostituisce completamente le vecchie obbligazioni con nuove – o più spesso come una transazione (art. 1965 c.c.) in cui le parti si accordano su una diversa modalità di adempimento. In ogni caso, l’accordo scritto firmato da entrambe le parti ha piena validità legale. Per ulteriore sicurezza giuridica, se i debiti sono ingenti, le parti potrebbero anche formalizzare l’intesa tramite una negoziazione assistita con avvocati: l’accordo concluso in sede di negoziazione ha efficacia di titolo esecutivo, cioè se il debitore poi non rispetta il piano, la banca potrà eseguirlo senza dover rifare causa (verrà redatto un accordo ex DL 132/2014, firmato dagli avvocati e dal debitore/creditore, e autenticato). Questa opzione in pratica rende il piano di rientro un provvedimento esecutivo immediatamente, ma richiede l’assistenza legale di entrambi.
Piano di rientro informale: Spesso, prima ancora di un accordo formale, le banche propongono un piano di rientro informale, ad esempio: “Paghi 100 € a settimana finché non rientra dell’arretrato, oltre a riprendere le rate correnti”. È importante capire che finché tali pattuizioni restano su un semplice scambio di lettere o telefonate, non offrono piena tutela. Meglio farsi confermare per iscritto i termini (importo rate, scadenze, eventuali rinunce a interessi di mora se puntuale, ecc.). In alcuni casi la banca invia un “riconoscimento di debito” da firmare, contenente il nuovo piano: leggetelo attentamente con un legale, perché firmandolo riconoscete l’intero debito e impegnate magari il vostro patrimonio anche oltre le condizioni originali.
Effetti sulla posizione debitoria: se la rinegoziazione va a buon fine e rispettate il nuovo piano, eviterete l’apertura di contenziosi e, col tempo, potrete riabilitare la vostra reputazione creditizia. Da sapere: se eravate stati segnalati come cattivi pagatori, di solito occorre dimostrare alcuni mesi di pagamento regolare del nuovo piano prima di poter ottenere la cancellazione o quantomeno l’aggiornamento della segnalazione. Inoltre, in CRIF la posizione del prestito verrà probabilmente indicata come “ristrutturata” o “in sofferenza sanata” una volta concluso: ciò può rimanere visibile per qualche anno, ma con minor impatto rispetto a un’insolvenza.
Esempio pratico: Maria ha un prestito personale con rata 400 €/mese e perde il lavoro. Prima di saltare pagamenti, contatta la finanziaria proponendo di pagare 200 € al mese attingendo ai suoi risparmi, finché non trova nuova occupazione. La finanziaria accetta una rinegoziazione: per 12 mesi Maria pagherà 200 €/mese, con interessi ridotti al tasso legale; gli interessi contrattuali vengono congelati e le rate non pagate in questi mesi verranno aggiunte in coda al piano originale (allungando la durata di circa 8 mesi). Maria firma l’accordo di modifica contrattuale; la finanziaria sospende la segnalazione negativa finché Maria rispetta il nuovo piano. Dopo 6 mesi Maria trova lavoro e torna in grado di pagare 400 €; a quel punto può anche concordare con la finanziaria di riprendere le rate originarie o di rivedere l’accordo. Questa flessibilità ha permesso a Maria di evitare il default definitivo sul prestito.
Consolidamento del debito (rifinanziamento)
Un’altra opzione extragiudiziale è il consolidamento dei debiti, cioè ottenere un nuovo finanziamento per estinguere quelli esistenti e ritrovarsi con un’unica rata più bassa. Questa soluzione è praticabile se il debitore, pur in difficoltà sul prestito attuale, ha ancora un minimo di affidabilità creditizia o garanzie da offrire. In pratica si tratta di sostituire il debito attuale con un altro, di importo sufficiente a chiudere il prestito non pagato (e magari altre esposizioni), ma con una durata più lunga o tasso minore che renda la rata sostenibile.
Le forme più comuni di consolidamento sono:
- Prestito di consolidamento: alcuni istituti offrono prodotti dedicati (detti “consolidamento debiti”) che accorpano le varie rate in un unico prestito. Ad esempio, se ho un prestito X con rata 300 € e un prestito Y con rata 200 €, posso chiedere un nuovo prestito che estingua X e Y, e poi pagherò una sola rata di importo magari 350 € (invece di 500 € sommando le due) su un periodo più lungo. Ovviamente occorre non essere ancora insolventi conclamati: se le vecchie rate sono già scadute da mesi e segnalate, difficilmente una banca concederà un nuovo prestito. Questa strada funziona meglio quando il debitore prevede di non farcela a reggere più debiti e si muove in anticipo (consolidando prima del default). Spesso il consolidamento può includere anche liquidità aggiuntiva per far fronte a spese imminenti, ma ciò chiaramente aumenta l’importo totale. Valutate bene costi e benefici: un prestito di consolidamento potrebbe avere tassi più alti del precedente se il vostro merito creditizio è peggiorato, oppure spese di istruttoria significative.
- Cessione del quinto: se il debitore è un lavoratore dipendente o pensionato e non ha già ceduto parte dello stipendio/pensione, può optare per un prestito tramite cessione del quinto. Questo è un finanziamento garantito dalla trattenuta diretta sulla busta paga o pensione, di importo massimo pari al 20% della retribuzione netta. Ha tassi regolamentati e spesso più bassi dei prestiti personali non garantiti. Si può usare la somma erogata con la cessione del quinto per estinguere il prestito in sofferenza. Il vantaggio è che, essendo trattenuto alla fonte, la banca che concede la cessione ha più sicurezza e potrebbe accettare anche se avete qualche segnalazione (entro limiti). Attenzione però: la cessione del quinto richiede di solito di saldare prima eventuali ritardi esistenti – la nuova banca può anche occuparsi di estinguere il vecchio prestito con la somma erogata. Inoltre, la cessione comporta costi assicurativi (obbligatoria polizza rischio impiego/vita) che vanno considerati. Se avete già una cessione del quinto in corso, esiste la possibilità di rinnovarla (ottenere una nuova cessione aumentando l’importo e allungando il periodo) ma solo dopo aver pagato almeno il 40% delle rate iniziali, salvo la precedente fosse < 5 anni. Anche il prestito delega (doppio quinto) potrebbe essere usato se c’è capienza, ma porta a impegnare fino al 40% dello stipendio e non tutti i datori lo consentono.
- Mutuo di consolidamento: se il debitore possiede un immobile non gravato da ipoteca, o con sufficiente valore residuo, può considerare di accendere un mutuo ipotecario di liquidità per pagare i debiti. Ad esempio, se ho una casa libera e debiti per €50.000, potrei iscrivere un’ipoteca e ottenere un mutuo trentennale di quell’importo, con rata molto più bassa. Il mutuo ha tassi più bassi dei prestiti personali, ma chiaramente mette a rischio la casa: se poi non pago il mutuo, la banca potrà espropriare l’immobile. È un’arma a doppio taglio: va usata solo se si è abbastanza certi di poter sostenere il mutuo. Inoltre, bisogna essere ancora solvibili per la banca: se siete già in mora sul prestito, difficilmente una banca vi concederà un mutuo (a meno di ipoteca di primo grado su immobile di valore nettamente superiore al prestito, e magari con un coobbligato con reddito). Talvolta ci si rivolge a intermediari specializzati (società finanziarie) che offrono mutui di consolidamento anche a protestati, ma con condizioni gravose: massima cautela, perché si rischia di perdere la casa per condizioni non sostenibili.
Pro e contro del consolidamento: pro – rata più bassa e unica, semplificazione della gestione, possibile respiro sul bilancio mensile; contro – allungamento dei tempi di debito (si rimane indebitati più a lungo), possibili costi e garanzie aggiuntive, si può finire per pagare più interessi sul lungo periodo. Importante: consolidare non riduce l’ammontare dovuto (salvo ottenere un tasso minore); se il problema è un indebitamento eccessivo rispetto al reddito, il consolidamento da solo posticipa il problema. Spesso va accompagnato da una educazione finanziaria rinnovata: evitare di fare nuovi debiti finché non si stabilizza la situazione, e magari ridurre le spese superflue. Consolidare e poi tornare a usare la carta di credito fino al plafond è un errore da evitare.
Caso pratico: Luigi ha 3 prestiti: 1) €10.000 residui con rata €250/mese, 2) €5.000 residui con rata €150/mese, 3) carta revolving con saldo €3.000 e minima €100/mese. In totale €500/mese, che Luigi non riesce più a pagare per intero. Non è ancora moroso ma rischia di diventarlo. Si informa presso una finanziaria e ottiene un nuovo prestito di consolidamento di €18.000 che copre l’estinzione dei tre debiti (c’è una piccola eccedenza per spese). Viene spalmato su 6 anni con rata €330/mese. Così Luigi passa da €500 a €330 al mese, con un po’ di ossigeno. Pagherà però per 72 mesi invece che i 40-50 che restavano in media prima, quindi complessivamente più interessi. Luigi dovrà fare attenzione a non contrarre altri debiti in quei 6 anni; inoltre, l’operazione gli è riuscita perché aveva ancora un reddito stabile e la sua credit score non era compromessa – ha agito prima di accumulare ritardi.
Saldo e stralcio del debito
Il saldo e stralcio è un accordo transattivo in cui il debitore paga al creditore una somma inferiore al totale dovuto, e il creditore accetta tale importo come soddisfazione finale del debito, rinunciando a pretendere altro (stralciando la parte residua). In altre parole, si “chiude” la posizione debitoria pagando solo una quota del debito originario. Questa soluzione è particolarmente interessante per il debitore, perché comporta di fatto un condono su base privata. Ovviamente, il creditore la accetta solo in determinate condizioni.
Quando è praticabile il saldo e stralcio? Di solito quando il creditore valuta che, senza un accordo, rischierebbe di recuperare poco o nulla attraverso vie legali, o impiegherebbe troppo tempo e denaro. Ad esempio, se il debitore è nullatenente o quasi, oppure ha già altri pignoramenti in corso, la banca potrebbe preferire incassare subito una percentuale piuttosto che inseguire l’intero importo per anni. Anche quando il credito è stato ceduto a società di recupero (NPL, non-performing loans), queste spesso acquistano il credito a prezzi molto bassi (anche al 10-20% del valore nominale); pertanto, se il debitore offre più di quanto la società abbia speso, quest’ultima può realizzare un guadagno accettando un saldo e stralcio. Ad esempio, su €10.000 di debito, un’agenzia di recupero che l’ha comprato a €2.000 potrebbe accettare €3.000 in un’unica soluzione, guadagnando €1.000 e chiudendo la pratica.
Modalità dell’accordo: il saldo e stralcio prevede in genere che il debitore paghi la somma pattuita in un’unica soluzione o in pochissime rate ravvicinate. Il creditore di solito vuole realizzare subito il concordato (es. “ti faccio il 50% di sconto se paghi entro 30 giorni €5.000”). Per il debitore può essere dura raccogliere il contante richiesto, ma potrebbe valere la pena chiedere aiuto a familiari o usare TFR, piccole liquidazioni, ecc., pur di chiudere definitivamente il debito con uno sconto consistente. L’accordo va formalizzato per iscritto: mai consegnare somme senza avere la lettera di saldo e stralcio firmata dal creditore. Nella lettera il creditore dichiara di accettare X euro a saldo e stralcio del suo credito, rinunciando irrevocabilmente a ogni ulteriore pretesa. Meglio ancora, il pagamento va fatto con uno strumento tracciabile (bonifico, assegno circolare) e la quietanza finale deve riportare che tale importo estingue ogni debito residuo.
Percentuali di stralcio: non esistono percentuali fisse, dipende dal caso. Più il debitore appare insolvente e protetto (pochi beni aggredibili, molti altri debiti concorrenti, ecc.), maggiore potrà essere lo sconto. In esperienze pratiche, stralci tipici vanno dal 30% al 70% di sconto. Ad esempio, con €10.000 dovuti si può chiudere a €3.000 (stralcio 70%) o a €7.000 (stralcio 30%). Se invece il debitore ha un patrimonio o redditi su cui il creditore può facilmente rivalersi, quest’ultimo avrà meno incentivo a fare sconti: in tal caso il saldo e stralcio potrebbe non discostarsi molto dal totale (es. 10% di sconto simbolico). Trattativa: è spesso utile farsi assistere da un avvocato o consulente del debito nella trattativa di saldo e stralcio. Loro conoscono le tattiche: ad esempio, possono evidenziare al creditore tutti i rischi e costi che affronterebbe in una causa (tempi lunghi, possibili opposizioni, incertezza sull’effettivo recupero, etc.), per convincerlo che l’offerta immediata è la scelta migliore. In più, un legale può verificare se il credito abbia vizi (p. es. interessi usurari, anatocismo, prescrizione parziale di alcune rate se sono trascorsi più di 10 anni senza richiesta, etc.) e usarli come leva negoziale: “Accettate metà importo e chiudiamo subito, altrimenti contesteremo gli interessi in giudizio, allungando tutto”.
Effetti dell’accordo saldo e stralcio: per il debitore significa liberarsi definitivamente di quella obbligazione pagando meno del dovuto. Attenzione però a due aspetti:
- Implicazioni fiscali: la somma “scontata” dal creditore potrebbe teoricamente costituire un reddito imponibile per il debitore, come sopravvenienza attiva. Nel caso di privati consumatori, l’Agenzia delle Entrate in passato ha ritenuto che lo stralcio di un debito comporti un reddito tassabile solo se collegato ad attività di impresa o lavoro autonomo. Per il consumatore puro, in genere il condono di un debito civile non viene tassato come reddito IRPEF (non essendoci una norma specifica, prevale la logica che un debito condonato non è un arricchimento volontario ma una perdita per il creditore). Tuttavia, se il credito era di un’azienda, quest’ultima emetterà una certificazione di perdita su crediti; il debitore farebbe bene a chiarire col proprio commercialista se vi sono adempimenti. Nel dubbio, è buona norma inserire nell’accordo una clausola che escluda la volontà di attribuire carattere novativo o liberale allo stralcio, ma la sola quietanza di saldo dovrebbe bastare.
- Segnalazioni e centrale rischi: anche se si paga a saldo ridotto, l’esito finale è considerato un “accordo transattivo – saldo parziale”. In CRIF la posizione verrà chiusa ma con indicazione che il pagamento è stato parziale (“importo a stralcio”). Questa informazione può restare visibile per qualche anno (fino a 5 anni dalla data di chiusura per sistemi privati). Non è grave come un’insolvenza aperta, ma i futuri finanziatori la leggeranno e vorranno magari spiegazioni. Comunque, una volta chiuso il debito, col tempo si potrà riabilitare la propria affidabilità.
Esempio di saldo e stralcio: Carlo doveva €20.000 da un prestito personale, ma è disoccupato e senza beni intestati. La finanziaria, dopo un anno di tentativi, cede il credito a un fondo al 15% del valore (il fondo paga €3.000 per acquistarlo). Carlo nel frattempo ha raccolto dai familiari €5.000. Tramite un avvocato propone al fondo €5.000 immediati a saldo e stralcio. Il fondo vede un guadagno netto (5k-3k = 2k) e accetta. Viene firmato un accordo in cui Carlo paga €5.000 entro 10 giorni e il fondo dichiara “che nulla avrà più a pretendere”. Carlo effettua un bonifico e riceve quietanza liberatoria. Il debito di 20k è cancellato per sempre, il fondo ha fatto profitto, Carlo ha un risparmio di €15.000 e può ripartire senza quel peso (sebbene resti la segnalazione a stralcio per qualche anno).
Altre strategie pratiche per gestire il debito
Oltre alle tipiche soluzioni sopra elencate, ci sono consigli pratici che il debitore in difficoltà dovrebbe considerare:
- Prioritizzare i debiti essenziali: se si hanno più debiti (es. mutuo casa, prestito auto, carte di credito, fornitori, Fisco), bisogna distinguere quelli con conseguenze più gravi in caso di mancato pagamento. Ad esempio, il mutuo sulla prima casa va messo al primo posto (rischio di perdere l’immobile); affitti, bollette e alimenti hanno priorità perché incidono sulla vita quotidiana o possono portare a sfratti e distacchi. Un prestito personale chirografario senza garanzie magari ha conseguenze meno immediate. Ciò non significa ignorarlo, ma se le risorse sono scarse occorre allocarle razionalmente. Non fare lo struzzo: ignorare i creditori peggiora la situazione; è meglio contattarli e spiegare la situazione, magari ottenendo tempo.
- Verificare la presenza di vizi nel contratto di prestito: far esaminare da un esperto il contratto e l’estratto conto scalare del prestito. Ci potrebbero essere clausole nulle (tassi usurari, clausole anatocistiche illecite, costi non pattuiti) o errori di calcolo. Ad esempio, se il TAEG effettivo applicato supera il tasso soglia antiusura, il giudice può dichiarare nulla la clausola degli interessi e il debitore dovrà restituire solo il capitale senza interessi (Cass. Civ. 17447/2019; Cass. Pen. 46669/2011). Anche commissioni occulte o polizze assicurative abbinate obbligatorie potrebbero essere contestate come indebite. Far valere questi vizi in una eventuale causa o anche solo prospettarli in fase di trattativa può migliorare la posizione del debitore (riducendo l’importo dovuto o inducendo il creditore a trattare).
- Attenzione alla prescrizione: i debiti da contratto si prescrivono in 10 anni (art. 2946 c.c.), ma ogni atto scritto del creditore che ne sollecita il pagamento interrompe il termine, facendolo decorrere di nuovo. Verificate se per caso il creditore è rimasto inattivo per oltre 10 anni (ipotesi rara, ma possibile se il credito viene dimenticato o smarrito in cessioni successive). In tal caso, il debito potrebbe essere prescritto e non più esigibile legalmente. Ad esempio, se avete un prestito del 2010 non pagato e nessuno vi ha mai notificato solleciti scritti o atti giudiziari fino al 2021, potreste eccepire la prescrizione in giudizio per farvi annullare la pretesa. NB: La prescrizione non cancella il debito automaticamente: va eccepita se il creditore agisce. Inoltre, per i crediti bancari la normale corrispondenza (lettere, estratti conto) può valere come atto interruttivo se prova il riconoscimento del debito da parte vostra. Quindi è un’arma sottile da maneggiare con avvocato.
- Patrocinio a spese dello Stato: se le trattative falliscono e bisogna affrontare azioni legali (anche per attivare procedure di sovraindebitamento di cui dopo), chi è in difficoltà economica può richiedere l’ammissione al gratuito patrocinio nei procedimenti civili, se il reddito annuo imponibile del nucleo familiare è sotto una certa soglia (€11.734,93 aggiornato al 2023, soglia soggetta ad adeguamenti). Ciò consente di avere un avvocato pagato dallo Stato. Ad esempio, per opporsi a un decreto ingiuntivo ingiusto o per presentare un piano del consumatore, potete rivolgervi all’Ordine degli Avvocati locale per verificare i requisiti di gratuito patrocinio. Questo allevia i costi e vi permette di difendervi o agire senza l’ostacolo economico legale.
- Consulenza delle associazioni di categoria o antiusura: esistono organizzazioni no-profit, associazioni dei consumatori, fondazioni antiusura che offrono consulenza gratuita o fondi di garanzia per persone sovraindebitate. Ad esempio, la Fondazione antiusura (legge n. 108/1996) può erogare garanzie per ottenere nuovi finanziamenti “di salvataggio” a tassi agevolati a chi è caduto vittima di usura o rischia di cadervi. Alcune Caritas diocesane hanno sportelli per aiutare le famiglie indebitate a rinegoziare con le banche. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto: il sovraindebitamento è una condizione riconosciuta a livello sociale, e oggi la legge offre strumenti ad hoc per uscirne.
In sintesi, sul piano extragiudiziale vince la proattività e trasparenza: affrontare il problema per tempo, comunicare con i creditori, farsi consigliare da esperti, e preferire soluzioni concordate (magari sacrificando qualcosa immediatamente) piuttosto che subire passivamente decreti e pignoramenti. Naturalmente, se il livello di debito è talmente alto rispetto al reddito/patrimonio da non poter essere sostenuto neanche con rinegoziazioni o stralci parziali, allora occorre valutare gli strumenti concorsuali previsti dalla legge, che permettono una soluzione più strutturata e, spesso, una liberazione definitiva dai debiti insostenibili. È ciò di cui ci occupiamo nella prossima sezione.
Strumenti giuridici per la composizione della crisi da sovraindebitamento
Quando i debiti diventano oggettivamente impagabili con le normali risorse e gli accordi privati non bastano, l’ordinamento italiano offre specifiche procedure legali per risolvere in maniera ordinata e definitiva la condizione di sovraindebitamento. Si parla appunto di composizione della crisi da sovraindebitamento, una materia introdotta inizialmente con la legge 27 gennaio 2012 n.3 (detta anche “legge anti-suicidi”) e oggi riordinata nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, come modificato dai correttivi fino al D.Lgs. 13 ottobre 2022 n.149 e D.Lgs. 13 settembre 2024 n.136). Questa normativa consente, in estrema sintesi, al debitore onesto ma sfortunato di ridurre o cancellare i propri debiti attraverso l’intervento del tribunale, secondo varie modalità, bilanciando la tutela del debitore e quella dei creditori.
Vediamo dapprima chi può accedere a tali procedure e poi le singole soluzioni previste.
Soggetti ammessi e definizione di “sovraindebitamento”
Le procedure di sovraindebitamento sono alternative al fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e sono riservate ai debitori che non possono essere assoggettati alle procedure fallimentari ordinarie. In generale, i soggetti non fallibili includono:
- Persone fisiche consumatori (privati che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali).
- Lavoratori autonomi e liberi professionisti (es. avvocati, commercialisti) anche con Partita IVA.
- Imprenditori agricoli (esclusi per legge dal fallimento).
- Enti non commerciali (associazioni, ONLUS, fondazioni) e startup innovative.
- Piccoli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità (nell’ultimo triennio: attivo patrimoniale ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000).
- Soci illimitatamente responsabili di società di persone (snc, sas) per i debiti sociali, se la società non fallisce.
- Eredi di imprenditori defunti (accettanti con beneficio d’inventario) decorso un anno dalla morte.
- Persone che hanno fatto da fideiussori o garanti per debiti altrui (sia personali che di imprenditori), in quanto il loro obbligo è considerato personale.
In pratica, quasi tutti possono accedere a queste procedure tranne le medie-grandi imprese e gli imprenditori sopra soglia (i quali invece devono ricorrere agli strumenti concorsuali classici: concordato preventivo, ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., o fallimento/liquidazione giudiziale, dove però la liberazione dai debiti avviene in modo diverso). Lo scopo delle procedure di sovraindebitamento è di offrire al debitore meritevole un “fresh start”, un nuovo inizio, cancellando i debiti che non è in grado di pagare nemmeno liquidando tutto il proprio patrimonio. In cambio, il debitore deve destinare ai creditori tutte le risorse disponibili in misura equa e secondo un piano controllato dall’Autorità giudiziaria.
La legge definisce sovraindebitamento la situazione di perdurante squilibrio tra i debiti assunti e il patrimonio liquidabile per farvi fronte, tale da determinare una rilevante difficoltà o l’incapacità definitiva di adempiere alle proprie obbligazioni. Non serve essere completamente insolventi (bancarotta conclamata); è sufficiente anche la prospettiva di non poter sostenere regolarmente i pagamenti futuri, a fronte di un indebitamento eccessivo. Ad esempio: un privato che ha perso il lavoro e ha 5 prestiti attivi per un totale rate insostenibile rientra nella definizione di sovraindebitato, anche se magari non è ancora in mora su tutti i debiti.
Va sottolineato che per accedere a queste procedure il debitore deve essere “meritevole”, ovvero non aver causato colposamente la propria insolvenza con atti in frode o mala fede. La meritevolezza è un concetto chiave: significa che, ad esempio, non si deve aver accumulato debiti con dolo o colpa grave, ad es. contraendo nuovi prestiti sapendo già di non poterli restituire, o dissipando il patrimonio in attività sproporzionate. In passato i giudici erano molto severi su questo (negavano l’accesso al piano del consumatore se il debitore aveva tenuto un comportamento finanziario “avventato”); oggi il Codice della Crisi ha reso la valutazione più elastica e inclusiva, per cui anche chi ha fatto errori di gestione può accedere, purché non vi siano intenti fraudolenti. Inoltre, la riforma ha introdotto il concetto di “merito creditizio” a carico delle banche: se un istituto ha concesso prestiti a qualcuno già noto come sovraindebitato, potrà subire delle “punizioni” (ad esempio, l’eventuale sacrificio di quel credito nel piano). Ciò spinge i creditori a essere più responsabili nell’erogazione del credito.
Infine, grazie alle modifiche entrate in vigore nel 2022, possono presentare domanda congiunta più membri della stessa famiglia se conviventi e se la situazione debitoria ha origine comune. È il Procedimento familiare unitario: ad esempio marito e moglie entrambi indebitati per aver fatto da garanti l’uno dell’altro, o genitore e figlio indebitati per spese familiari, possono presentare un unico piano per tutti, riducendo costi e procedure (condizione: conviventi e debiti sorta dallo stesso evento o rapporto giuridico).
Le procedure attualmente previste (post-riforma 2021-2022) sono quattro:
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore – (ex “piano del consumatore”): riservato ai debitori consumatori (non titolari di debiti professionali).
- Concordato minore – (ex “accordo di composizione”): per debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti) e, in generale, soggetti non fallibili con debiti anche d’impresa.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato – (ex “liquidazione del patrimonio”): procedura concorsuale di liquidazione di tutti i beni del debitore.
- Esdebitazione del debitore incapiente – una procedura speciale di esdebitazione “senza utilità”, per chi non ha alcun patrimonio o reddito liquidabile.
Approfondiamo ciascuna di esse.
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore
Il piano del consumatore – ora formalmente chiamato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – è uno strumento pensato per le persone fisiche consumatori, ossia quelle che hanno contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività di impresa o di lavoro autonomo. Sono tipici esempi: prestiti personali, mutui per la casa, finanziamenti per acquisto auto o beni di consumo, debiti condominiali, bollette arretrate, finanziamenti per spese familiari. Non rientrano invece in questa procedura i debiti contratti nell’ambito di un’attività imprenditoriale o professionale (ad esempio i debiti IVA o INPS di un artigiano con P.IVA attiva, oppure i debiti per leasing di macchinari di un professionista). Se una persona è “mista” (parte debiti personali e parte d’impresa), in linea di massima non può usare il piano del consumatore per quelli d’impresa: dovrà eventualmente ricorrere al concordato minore oppure scindere le posizioni. La legge infatti richiede che il soggetto sia consumatore rispetto a tutti i debiti inclusi nel piano.
Caratteristiche principali: il piano del consumatore è un piano di pagamento dei debiti basato sulle reali capacità economiche del debitore. Il debitore propone di pagare ai creditori tutto ciò che ragionevolmente può, in un periodo determinato, e in cambio chiede di essere esdebitato (liberato) da quanto eventualmente non riesce a pagare. Importante: questo piano non richiede il consenso dei creditori. È il Tribunale che valuta ed eventualmente omologa (approva) il piano, rendendolo efficace. I creditori possono presentare osservazioni, ma non c’è una votazione; il giudice decide d’ufficio se il piano è fattibile e vantaggioso almeno quanto la liquidazione.
Condizioni per l’omologazione: il Tribunale omologa (approva) il piano se:
- Meritevolezza: il debitore merita la tutela (come detto: non deve aver colposamente causato l’eccesso di debiti con frode o malafede). La valutazione oggi è meno stringente che in passato, ma ancora presente. Ad esempio, accumulo di debiti per gioco d’azzardo patologico potrebbe non impedire l’accesso se si dimostra che il soggetto è affetto da ludopatia e sta seguendo un percorso di cura (in passato alcuni giudici hanno ammesso piani di soggetti ludopatici ritenendoli non pienamente responsabili). Viceversa, se emergono atti in frode (es. il consumatore ha nascosto volontariamente dei beni vendendoli a parenti prima di chiedere il piano), il giudice nega l’omologa.
- Convenienza per i creditori: il piano deve offrire ai creditori almeno quanto otterrebbero nella liquidazione dei beni del debitore (principio del best interest of creditors). In altre parole, se il debitore ha un certo patrimonio liquidabile, non può con il piano offrire somme inferiori a quelle che i creditori ricaverebbero vendendo quel patrimonio. Ad esempio, se ho una seconda casa vendibile a 50.000 €, non posso proporre di pagare solo 5.000 € in totale ai creditori: il giudice direbbe no, perché liquidando l’immobile si ricaverebbe molto di più. In quel caso dovrei includere la vendita o destinare quell’attivo al piano. Se invece il patrimonio è minimo o nullo, il piano potrà prevedere pagamenti anche parziali da redditi futuri, e i creditori dovranno accontentarsi se il giudice valuta che comunque dalla liquidazione prenderebbero zero. Nel piano del consumatore c’è la facoltà di trattenere alcuni beni se non strettamente necessari alla soddisfazione dei crediti: ad esempio, l’automobile necessaria per andare al lavoro spesso è esclusa dalla liquidazione, purché il piano risulti comunque vantaggioso per i creditori.
- Fattibilità: il piano dev’essere concreto e realizzabile. Serve un’analisi della situazione economica del debitore e un prospetto di come potrà effettuare i pagamenti promessi. Qui entra in gioco l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi): un professionista (gestore della crisi) esamina i dati e redige una relazione da presentare al giudice, attestando la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Ad esempio, se il piano prevede che il debitore versi €300 al mese per 5 anni, l’OCC verificherà il reddito disponibile e che tolte le spese di sostentamento restino davvero quei 300 € costanti.
- Trattamento equo dei crediti: il piano può prevedere che alcuni creditori vengano soddisfatti in misura diversa da altri (per esempio privilegiati come il fisco pagati in percentuale maggiore dei chirografari). È consentito differenziare classi di creditori se c’è una giustificazione, ma tendenzialmente ogni creditore chirografario dovrebbe ricevere la stessa percentuale di soddisfazione. Debiti con privilegio (es. ipoteche, stipendi arretrati ai dipendenti, debiti fiscali privilegiati) vanno normalmente pagati meglio, a meno che il creditore privilegiato acconsenta a una falcidia (cram down del fisco: il nuovo Codice consente di ridurre anche IVA e ritenute se il piano del consumatore dà tutto il possibile e il fisco non sarebbe comunque soddisfatto integralmente in liquidazione).
Come si presenta il piano: il consumatore si rivolge a un OCC (ce ne sono in ogni provincia, spesso presso gli Ordini dei Commercialisti o le Camere di Commercio). L’OCC aiuta a predisporre la proposta di piano e raccoglie i documenti: elenco debiti, elenco beni, redditi, spese familiari, cause pendenti, ecc. L’OCC elabora anche una relazione particolareggiata che verrà allegata. Il ricorso va presentato al Tribunale del luogo di residenza. Da quel momento, il tribunale può adottare misure urgenti per tutelare il debitore. Ad esempio, può sospendere le procedure esecutive in corso (pignoramenti, aste) fino all’esito dell’omologazione. Questo è un beneficio importante: la presentazione del piano paralizza temporaneamente l’aggressione dei creditori, creando una sorta di “zona protetta” mentre si valuta la proposta.
Dopo il deposito, il giudice fissa un’udienza e comunica ai creditori la proposta. I creditori possono fare opposizione scritta (es. contestare la convenienza del piano o la correttezza dei dati). All’udienza, se non emergono cause di inammissibilità, il giudice può procedere all’omologazione del piano, rendendolo vincolante per tutti i creditori indicati. Se qualche creditore contesta, il tribunale decide tenendo conto delle opposizioni ma può comunque omologare se ritiene il piano equo.
Effetti dell’omologazione: il piano omologato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti (i crediti vengono “cristallizzati”: niente interessi o sanzioni ulteriori oltre quanto previsto in piano). Viene nominato un gestore/organismo di vigilanza (spesso lo stesso OCC) che controlla l’esecuzione del piano. Il debitore dovrà seguire il budget stabilito, versare eventuali rate o liquidare beni come previsto. Ad esempio, se il piano prevede che venda l’auto e versi il ricavato, dovrà farlo entro i termini dati. I creditori dal canto loro non possono intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali: ogni pignoramento in corso è sospeso e poi revocato, le eventuali cessioni del quinto o trattenute cessano (lo stipendio torna pieno, ma la parte che sarebbe pignorabile dovrà essere destinata al piano). In pratica c’è una protezione giudiziaria: se un creditore provasse comunque a pignorare, il giudice lo bloccherebbe.
Se il debitore rispetta integralmente il piano, al termine ottiene dal tribunale un decreto di esdebitazione: tutti i debiti inclusi nel piano e non soddisfatti integralmente si considerano inesigibili. Significa che la parte di debito che era stata “tagliata” non potrà più esser pretesa. Il debitore è ufficialmente liberato. Se invece il debitore non rispetta il piano senza giustificato motivo (es. salta pagamenti senza cause di forza maggiore), il beneficio può decadere: i creditori potrebbero chiedere la risoluzione del piano e riattivare le azioni di recupero, oppure il tribunale potrebbe convertirlo in liquidazione del patrimonio. Tuttavia, sono ammessi aggiustamenti se la situazione cambia in meglio: ad esempio, se durante il piano il debitore riceve un’eredità o un miglioramento, potrebbe aumentare le somme da versare ai creditori (eventualmente su richiesta di questi).
Durata del piano: la legge non fissa una durata massima rigida. Prima della riforma, si parlava in dottrina di 5 anni come durata ragionevole, anche per analogia col periodo di comportamento richiesto per la liquidazione. Ma la Cassazione ha stabilito che un piano del consumatore può avere durata superiore a 5 anni se ciò è necessario e proporzionato. Dunque nulla vieta piani più lunghi (8, 10 anni) se il debitore può pagare solo a lungo termine e i creditori comunque preferiscono recuperi tardivi che nulli. Ovviamente piani troppo lunghi devono tener conto che la situazione personale potrebbe mutare molto; spesso i tribunali preferiscono soluzioni entro i 5-7 anni.
Vantaggi del piano del consumatore: per il debitore: mantiene il controllo (non subisce liquidazione forzosa dei beni se non previsto dal piano), evita il voto dei creditori ostili, blocca gli interessi maturandi e le azioni esecutive, può conservare beni essenziali (es. la casa se il piano prevede che paga ai creditori un importo equivalente al ricavato ipotetico di una vendita). Inoltre, è uno strumento riservato e meno stigmatizzante del fallimento. Per i creditori: ottengono una soddisfazione – magari parziale ma immediata o comunque definita – invece di affrontare procedure lunghe; e se il debitore fosse incapiente, almeno vedono destinare a loro il possibile.
Esempio di piano del consumatore: Anna, impiegata, ha debiti totali per €80.000 (prestiti, carte, arretrati vari). Paga rate per €1.200 su stipendio di €1.500, chiaramente insostenibile, e ha già saltato pagamenti. Non possiede casa (vive in affitto) né altri beni di valore; ha solo un’auto utilitaria. In questa situazione i creditori chirografari, agendo per vie legali, potrebbero pignorarle al massimo 1/5 stipendio (~€300/mese), il che significa che probabilmente incasserebbero molto meno dell’importo nominale e in tempi lunghi. Anna si rivolge all’OCC e propone un piano: per 4 anni verserà €300 al mese (pari al quinto pignorabile) ai creditori, con riparto proporzionale tra di loro, e cederà anche il TFR maturato (supponiamo €5.000) a fine piano. In totale i creditori ricevono ~€19.400 (300*48 + 5.000). È circa il 24% dell’esposizione. L’OCC attesta che in un’eventuale liquidazione i creditori avrebbero preso poco più di zero (perché Anna non ha beni, e con l’eventuale pignoramento dello stipendio in 4 anni avrebbero preso al massimo €14.400), quindi il piano offre di più della liquidazione. Anna risulta meritevole (si è indebitata per aiutare un familiare malato, non per colpa grave). Il tribunale omologa il piano nonostante alcuni creditori finanziari protestino. Anna esegue i pagamenti mensili sotto controllo OCC. Dopo 4 anni, riceve l’esdebitazione: il restante 76% dei debiti (€60k circa) è definitivamente cancellato. Anna può ripartire da zero, senza più rate.
Concordato minore (accordo di ristrutturazione per imprenditori e professionisti)
Il concordato minore è la procedura destinata ai debitori sovraindebitati che non sono consumatori, cioè che hanno debiti riferibili ad un’attività economica o professionale, ma che comunque rientrano tra i soggetti “non fallibili”. Si tratta in sostanza dell’evoluzione dell’“accordo di composizione della crisi” previsto dalla legge 3/2012. Il Codice della Crisi lo chiama concordato minore ed è, per certi versi, analogo a un piccolo concordato preventivo. È applicabile ad esempio a: imprenditori individuali sotto soglia fallimento, start-up innovative, liberi professionisti con debiti professionali (studi professionali), società di persone agricole, ecc.
Differenze rispetto al piano del consumatore: la differenza principale è che nel concordato minore i creditori votano. La proposta di concordato deve essere accettata dai creditori che rappresentino almeno il 50% dei crediti chirografari (maggioranza semplice). Questo è più favorevole rispetto alla vecchia legge che richiedeva il 60%. I creditori privilegiati (p.es. banche con ipoteca, Stato per IVA, dipendenti per salari) non votano se sono soddisfatti integralmente; se invece la proposta prevede di stralciare in parte un credito privilegiato, allora quel creditore deve espressamente aderire (altrimenti, come nel concordato preventivo, si può decidere di degradare la parte insoddisfatta a chirografo). I consumatori non possono fare concordato minore, e viceversa gli imprenditori non consumatori non possono accedere al piano del consumatore.
Formazione dell’accordo: anche qui c’è l’assistenza di un OCC per predisporre la proposta e la stessa nozione di meritevolezza conta, sebbene nei testi normativi per l’accordo con i creditori fosse meno centrale che nel piano. Tuttavia, il nuovo codice ha allineato certi requisiti. Ad esempio, ha introdotto anche per il concordato minore la regola che non si può accedere se si è già ottenuta esdebitazione nei 5 anni precedenti (quindi niente “abuso” delle procedure reiterandole troppo spesso). La proposta di concordato minore può offrire ai creditori qualunque forma di soddisfazione: pagamenti periodici, percentuali sul dovuto, cessione di beni, anche la continuazione dell’attività (concordato con continuità aziendale minore). A differenza del piano del consumatore, qui di regola c’è un piano che deve convincere i creditori: occorre magari negoziare con i principali creditori prima del deposito, per assicurarsi che voteranno sì. Questo è infatti uno strumento di composizione concordata.
Procedura: il debitore presenta la domanda di concordato minore con l’ausilio dell’OCC. Il tribunale, verificata l’ammissibilità, convoca i creditori per esprimere voto (di solito con modalità semplificate, anche solo esprimendo consenso scritto). Se la maggioranza dei crediti approva, il tribunale omologa l’accordo rendendolo vincolante anche per i creditori dissenzienti o non votanti (purché abbiano avuto modo di partecipare). Se non si raggiunge la maggioranza, la procedura può comunque proseguire come liquidazione controllata, oppure il tribunale può tentare di omologare ugualmente se ritiene che il dissenso di alcuni creditori sia irragionevole e la proposta li soddisfi almeno quanto la liquidazione (c’è un dibattito su quanto “cram down” sia permesso nel concordato minore – la norma art. 74 CCI sull’omologazione in mancanza di voto favorevole se l’accordo è comunque conveniente per i creditori dissenzienti – concetto mutuato dal concordato preventivo).
Durante la procedura di raccolta voti, il debitore può chiedere misure protettive, simili al piano del consumatore: sospensione delle azioni esecutive, ecc. In più, se c’è attività d’impresa in corso, il tribunale può nominare un commissario giudiziale per vigilare (non è obbligatorio ma possibile, specie in concordati con continuità).
Esecuzione: una volta omologato, il concordato minore viene eseguito sotto la vigilanza dell’OCC/commissario. Se comporta la continuazione dell’impresa, il debitore ne rimane in gestione (non c’è spossessamento, a differenza del fallimento), ma deve rispettare il piano di risanamento. Ad esempio, se prevedeva di pagare i creditori col ricavato di certe commesse, dovrà destinare quelle entrate secondo le percentuali concordate.
Esdebitazione finale: al termine, se il debitore ha adempiuto alle obbligazioni come da accordo, ottiene la liberazione dai debiti residui non soddisfatti (salvo quelli esclusi, come vedremo). In caso di inadempimento rilevante, il concordato può essere risolto su istanza di creditori, facendo rivivere i debiti per la parte non pagata (dedotto quanto eventualmente hanno incassato durante la procedura).
Contenuto possibile del concordato minore: ampia flessibilità. Ad esempio, un piccolo imprenditore potrebbe offrire ai creditori il ricavato della vendita di un capannone non più utilizzato (che soddisferà magari in parte i privilegiati), più un pagamento dilazionato ai chirografari in percentuale, mantenendo però i macchinari indispensabili per proseguire l’attività. Si può prevedere anche l’intervento di terzi finanziatori (es. un parente che apporta dei soldi per aumentare il pagamento ai creditori – queste sono risorse esterne, il correttivo 2024 ha chiarito che si intendono quelle che incrementano l’attivo disponibile al momento della domanda). Si può infine prevedere anche la cessione dell’azienda a un nuovo soggetto, o altre operazioni, come in un concordato preventivo in miniatura.
Concordato minore e debiti fiscali/contributivi: per tali debiti c’è un trattamento peculiare. Il fisco e gli enti previdenziali votano anch’essi. Nel concordato preventivo ordinario serve il 51% del loro credito per approvare lo stralcio di IVA e ritenute (altrimenti vanno pagate almeno al 20% se il dissenso non le rende comunque soddisfatte come in liquidazione). Nel concordato minore, data la maggioranza del 50% globale, il fisco e altri enti pubblici vengono equiparati agli altri creditori, ma l’omologa è subordinata al fatto che l’accordo non riduca il soddisfacimento dei loro crediti privilegiati oltre il livello della liquidazione (in pratica stesso criterio di convenienza). È complesso, ma in sostanza: si possono stralciare anche debiti fiscali e contributivi in un concordato minore, sebbene l’Agenzia delle Entrate spesso esprima pareri (voti) negativi quando l’offerta è inferiore a 100% per IVA. Tuttavia, la giurisprudenza recente ha aperto alla possibilità di cram down anche dell’IVA (richiamando i principi UE sull’insolvency, che privilegiano il fresh start).
Vantaggi del concordato minore: consente anche a chi ha debiti di natura imprenditoriale o professionale di accedere a una soluzione concordata e ottenere esdebitazione. Rispetto al piano del consumatore, però, è più complesso (richiede consenso dei creditori) e potenzialmente più costoso (coinvolgendo creditori professionali e talora con necessità di commissari). In compenso, offre la possibilità di continuità aziendale: l’imprenditore piccolo può evitare di liquidare tutto e provare a ristrutturare il debito mantenendo viva l’attività (salvaguardando eventualmente anche posti di lavoro). Il Codice favorisce queste soluzioni per preservare il valore aziendale quando possibile.
Esempio di concordato minore: Marco è un artigiano (non fallibile) con debiti totali €150.000: €50k con banca (finanziamento impresa), €20k fornitori, €30k debiti fiscali e contributivi, €50k debito personale (prestito consumo). Ha un piccolo capannone del valore stimato €80k e attrezzature necessarie. Marco non riesce a pagare tutti e rischia pignoramenti. Propone un concordato minore: venderà il capannone (non indispensabile, potrà andare in affitto altrove) ricavando circa €80k da distribuire; inoltre si impegna a versare €1.000 al mese per 3 anni (tot €36k) provenienti dall’attività che continuerà. Totale previsto per creditori: ~€116k. I privilegiati (circa €30k di Fisco su quell’80k del capannone) verrebbero pagati interamente, i chirografari riceverebbero il restante ~€86k su €120k (circa 71%). L’alternativa liquidazione forse avrebbe fruttato meno perché vendere il capannone in asta avrebbe avuto costi e l’azienda chiudendo non avrebbe generato i €36k. I creditori votano: banca e fornitori, vedendo una soddisfazione al 70%, votano sì; il prestito personale (finanziaria) anche perché come chirografo riceve buona parte; il Fisco approva perché prende 100%. Raggiunta la maggioranza, il tribunale omologa. Marco vende il capannone, paga i €80k come da piano, prosegue l’attività nell’immobile in affitto e versa mensilmente €1.000 all’OCC che li ripartisce. Alla fine, ottiene esdebitazione del piccolo residuo non pagato (29% chirografi ~€34k cancellati). Marco ha evitato il fallimento personale, ha salvato l’azienda e si è liberato da debiti insostenibili.
Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)
La liquidazione controllata è la procedura da intraprendere quando né un piano né un accordo sono fattibili o sufficienti. Equivale, in sostanza, a un fallimento personale o di piccoli imprenditori, con la differenza che alla fine vi è la possibilità di esdebitazione. Viene infatti definita come la liquidazione di tutti i beni del debitore sovraindebitato, effettuata sotto il controllo del tribunale, al fine di soddisfare i creditori con il ricavato. Corrisponde alla vecchia “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012.
Quando si applica:
- Se il piano del consumatore o il concordato minore non sono proponibili o non vengono omologati (ad esempio, perché il debitore non ha entrate per sostenere un piano, oppure i creditori hanno respinto l’accordo).
- Oppure su richiesta dello stesso debitore che preferisce liquidare subito i beni e ricominciare pulito (magari perché non ha reddito per fare offerte dilazionate).
- Può essere richiesta anche dai creditori o dal Pubblico Ministero, ma solo per imprenditori, credo, e comunque con specifiche condizioni: nel Codice attuale (art. 268 CCI) si prevede che un creditore possa chiedere la liquidazione controllata di un debitore in stato di insolvenza. Tuttavia, il Correttivo 2024 ha chiarito che se viene chiesta da un creditore, il debitore ha la possibilità di virare verso un piano o concordato minore (principio di preferenza per la soluzione concordata). Solo se il debitore non propone nulla, si procede con la liquidazione coattiva.
Procedura: il debitore o creditore presenta ricorso per liquidazione al tribunale. Viene nominato un Liquidatore (figura analoga al curatore fallimentare) e si apre ufficialmente la procedura con sentenza. Da questo momento: il debitore è spossessato dei suoi beni, che passano in gestione al Liquidatore; tutte le azioni esecutive individuali sono vietate; i creditori devono presentare le domande di ammissione al passivo entro 90 giorni (erano 60 giorni ma il correttivo ter 2024 li ha aumentati a 90, prorogabili di 30). Si forma così lo stato passivo dei crediti, che il giudice approva. I creditori privilegiati avranno prelazione sui beni relativi, i chirografari sul restante attivo generico.
Il Liquidatore predispone un programma di liquidazione (cosa vendere, come, eventuale esercizio provvisorio dell’impresa se serve). Il giudice delegato vigila e autorizza gli atti. Il debitore deve collaborare e ha obblighi simili al fallito (dichiarazioni, consegna documenti, ecc.), pur potendo mantenere la titolarità di redditi futuri entro limiti di decenza.
Beni esclusi: non tutti i beni vengono presi. Sono esclusi quelli impignorabili di cui all’art. 514 c.p.c. (vestiti, cose casa indispensabili, ecc.) e di regola anche i beni necessari al sostentamento. Ad esempio, al debitore viene lasciata una somma per vivere (il minimo vitale) sui suoi redditi, e non gli vengono tolti eventuali stipendi di modesta entità. La casa di abitazione, se non è ipotecata, può essere venduta comunque salvo casi umanitari eccezionali (non c’è un’esenzione automatica, a differenza delle regole per pignoramento fiscale, qui contano solo le valutazioni del liquidatore: se vendendo la casa i creditori ricavano qualcosa di utile, di solito la vendono, ma se la casa è di modesto valore e c’è il rischio di sfrattare la famiglia a fronte di un realizzo minimo, qualche tribunale valuta con cautela).
Liquidazione senza attivo? Un dubbio era se si potesse aprire la procedura se il debitore è completamente privo di beni da liquidare. Il decreto correttivo ter 2024 ha risolto il dubbio in senso negativo: se non c’è alcun attivo, la domanda di liquidazione è improcedibile, a meno che l’OCC attesti che si possono recuperare attivi magari tramite azioni giudiziarie (es. revocatorie, cause contro terzi). In pratica, se uno non ha nulla, conviene che chieda direttamente l’esdebitazione come incapiente (procedura apposita) invece di aprire una liquidazione vuota.
Durata della liquidazione: il Codice originario aveva indicato un minimo di 4 anni di durata. Questo significava che almeno per 4 anni dal deposito non si poteva chiudere la procedura, presumibilmente per vigilare su eventuali sopravvenienze di reddito. Il correttivo ter ha eliminato il limite minimo quadriennale. Dunque, se la liquidazione si esaurisce prima (perché venduti i beni e ripartiti i soldi), si può chiudere subito. In ogni caso, entro 3 anni dalla apertura della procedura il debitore può chiedere l’esdebitazione (lo vedremo più avanti) anche se la liquidazione non è formalmente chiusa. Questo per uniformarsi alla direttiva UE sul fresh start in 3 anni.
Esdebitazione del debitore a fine procedura: una volta liquidati i beni e distribuito il ricavato, il debitore (persona fisica) può ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti. È una sorta di “grazia” che il tribunale concede se il debitore ha cooperato e non ci sono ragioni ostative (ad esempio: non è concesso a chi ha ritardato o fraudolentemente sottratto attivo, o ha fatto atti in frode). Nel vecchio regime fallimentare, l’esdebitazione del fallito richiedeva un’apposita istanza a fine procedura; ora il Codice rende il meccanismo più automatico: dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione, il tribunale d’ufficio dichiara inesigibili i debiti residui se sussistono le condizioni. In realtà serve un’istanza del debitore solo nel caso si voglia chiudere prima dei 3 anni. Il correttivo 2024 ha tolto perfino la necessità di un’apposita istanza quando si arriva a 3 anni compiuti: in pratica l’esdebitazione arriva comunque al terzo anno, anche se la procedura prosegue tecnicamente per ulteriori realizzi. Questo è un grande vantaggio: il debitore può ripartire pulito dopo 3 anni, anche se il liquidatore sta ancora gestendo qualche pendenza.
Debiti esclusi dall’esdebitazione: analogamente al passato, alcune tipologie di debito non vengono cancellate neppure con l’esdebitazione. In particolare: le obbligazioni alimentari (es. assegni di mantenimento all’ex coniuge o ai figli), le sanzioni penali (multe, ammende) e amministrative di carattere pecuniario, i debiti per risarcimento da illecito extracontrattuale dovuti a danni da fatto doloso. Questi restano, anche se la persona insolvente di solito li potrà pagare col tempo se migliora la sua condizione, ma non spariscono. Tutti gli altri debiti (fiscali, banche, fornitori, ecc.) vengono spazzati via.
Conseguenze per il debitore: la liquidazione è più invasiva: il debitore perde la disponibilità dei beni e in sostanza “subisce” il procedimento. Non può liberamente disporre del proprio patrimonio né può condurre attività economiche se non con limiti (può lavorare come dipendente, certo, ma se vuole aprire una nuova impresa incontrerà difficoltà a ottenere credito finché non riabilitato). Tuttavia, come detto, la procedura è finalizzata a concludersi con la liberazione dai debiti e dura tendenzialmente pochi anni (non decenni come a volte i fallimenti). Il debitore meritevole viene protetto: se emergono nuovi beni entro 4 anni dall’apertura, vanno conferiti alla massa, però dopo quell’arco temporale ciò che guadagna è suo (il correttivo 2024 ha mantenuto 4 anni successivi per includere i sopravvenuti? Sotto legge 3 era così; con la riduzione a 3 anni per l’esdebitazione forse i sopravvenuti oltre 3 anni non rilevano più). Infatti, prima era: liquidazione dura 4 anni durante i quali se arrivano vincite, eredità, lotterie, vanno ai creditori. Adesso se esdebitazione scatta a 3 anni, immagino quell’obbligo sia 3 anni.
Esempio di liquidazione controllata: Paolo ha debiti per €100.000 ma nessuna prospettiva di pagarli in parte significativa. Non ha reddito (disoccupato) ma possiede un piccolo appartamento ereditato. Non può proporre un piano perché senza lavoro, e i creditori non accetterebbero un accordo per mancanza di fondi. Decide quindi di avviare la liquidazione. Il tribunale nomina un liquidatore, l’appartamento viene venduto per €60.000 che, al netto di spese, vanno ai creditori (ad esempio banche e finanziarie ricevono un 50% circa dei loro crediti). Dopo 2 anni la casa è stata venduta e non c’è altro; si aspetta eventuale arrivo di un credito che Paolo vantava (una causa risarcitoria in corso). Trascorsi 3 anni, il tribunale – su istanza di Paolo – dichiara inesigibili i residui €50.000 non pagati e concede l’esdebitazione. Paolo così è libero dai debiti restanti (solo la metà incassata è stata pagata). Dopo altri 6 mesi si chiude anche formalmente la procedura (quando incassa pure quel piccolo credito e lo distribuisce). Paolo ha perso l’immobile, ma ha salvato la possibilità di non essere perseguitato per il resto della vita dai creditori sul debito che rimaneva.
Esdebitazione del debitore incapiente (liberazione dai debiti senza attivo)
Una importante novità del Codice della Crisi (introdotta dall’art. 14 terdecies della vecchia legge 3 nel 2020 e confermata nel Codice) è la cosiddetta esdebitazione del debitore incapiente, detta anche esdebitazione “senza utilità”. Si tratta di una procedura speciale che consente la cancellazione dei debiti anche a chi non ha alcun patrimonio liquidabile, né capacità di offrire ai creditori una soddisfazione, purché ricorrano specifiche condizioni di meritevolezza. È pensata per chi è totalmente sommerso dai debiti e non avrebbe neppure accesso alle altre procedure perché privo di beni e redditi (un tempo costoro erano condannati a restare per sempre debitori insolventi, poiché non potevano proporre nulla né aprire un fallimento).
Requisiti: il debitore deve essere persona fisica sovraindebitata, meritevole (quindi non aver colpe gravi o frodi all’origine dei debiti), e non deve avere alcun attivo disponibile da offrire ai creditori (da qui “incapiente” – incapace di soddisfare anche minimamente i creditori). Inoltre non deve aver già ottenuto una esdebitazione simile in passato. Questa procedura è utilizzabile una sola volta nella vita.
Procedura: il debitore presenta domanda al tribunale chiedendo la propria esdebitazione totale, allegando la documentazione che prova la sua condizione di assoluta incapienza. È comunque coinvolto l’OCC, che redige una relazione attestando la situazione e le cause del sovraindebitamento. I creditori vengono informati e possono opporsi (magari sostenendo che il debitore in realtà avrebbe qualche bene nascosto o redditi in nero). Il giudice, valutate meritevolezza ed effettiva incapienza, può emettere un decreto di esdebitazione immediata: tutti i debiti vengono dichiarati inesigibili.
Obblighi post-esdebitazione: se, nei 4 anni successivi al provvedimento di esdebitazione, il debitore incapiente dovesse “risorgere” economicamente, acquisendo utilità rilevanti (eredità, vincite, una forte capacità reddituale), scatta l’obbligo di informare i creditori e l’OCC. In particolare, la norma prevede che se entro 4 anni il debitore ottiene mezzi sufficienti a soddisfare almeno il 10% dei debiti originari, allora egli deve pagare i creditori fino a concorrenza di quell’ammontare (non l’intero debito ma almeno il 10%). Questa è una sorta di condizione risolutiva parziale: l’esdebitazione resta valida, ma il debitore deve “riscattarla” se la sua fortuna cambia in meglio entro quel periodo. Ad esempio, se Tizio era stato esdebitato su €100.000 senza pagare nulla e due anni dopo vince alla lotteria €50.000, dovrà destinarne almeno €10.000 (10%) ai vecchi creditori. Se vincesse €200.000, ne dovrebbe destinare €20.000 (il 10% del debito) non di più, poiché la legge pone quel tetto. In pratica i creditori, pur essendo stati azzerati nel diritto di credito, hanno un “diritto di ripresa” limitato in caso di cospicue utilità sopravvenute. Per garantire ciò, il debitore deve comunicare annualmente all’OCC la propria situazione economica per 4 anni. Se nasconde un arricchimento, commette frode e l’esdebitazione può essere revocata.
Vantaggi e limiti: questa procedura rappresenta davvero il ultimo salvagente per chi è strangolato dai debiti senza via d’uscita. Libera da tutti i debiti (anche fiscali) senza pagare nulla, restituendo la dignità economica al debitore onesto ma sfortunato. È però concessa con parsimonia: il giudice valuta con rigore la meritevolezza. Debiti derivati da comportamenti volontari gravemente irresponsabili potrebbero precludere l’accesso. Ad esempio, un sovraindebitamento causato interamente da spese voluttuarie e sprechi potrebbe indurre il giudice a rifiutare (anche se la linea di confine è sottile tra colpa “grave” e non). Invece, situazioni come malattie, perdita del lavoro, fideiussioni escusse, sono tipiche dei casi accolti. Come citato, casi di ludopatia (gioco d’azzardo patologico) sono stati ammessi in passato alle procedure di esdebitazione considerando l’indebitamento come effetto di una malattia e quindi con colpa non così grave.
Rapporto con le altre procedure: chi ottiene l’esdebitazione incapiente bypassa la liquidazione. Non deve poi fare altro, se non rispettare gli obblighi informativi quadriennali. Non è necessario aver tentato prima un piano o concordato e fallito: si può accedere direttamente se davvero non c’è nulla da offrire. Anzi, come detto, se non c’è attivo l’istanza di liquidazione verrebbe dichiarata improcedibile, quindi conviene andare dritti a questa soluzione.
Esempio di esdebitazione incapiente: Elisa è una ex imprenditrice il cui negozio è fallito. Ha debiti personali residui per €300.000 (banche, fornitori, fisco) rimasti a suo carico come persona fisica. Non possiede immobili (la casa era in affitto), ha 45 anni e attualmente disoccupata, vive di aiuti familiari. Nessun reddito significativo né beni pignorabili. Inutile proporre piani (non può pagare nulla) né aprire liquidazione (non c’è attivo). Presenta dunque istanza di esdebitazione incapiente. Dimostra che i debiti derivano dal fallimento del negozio dovuto a crisi economica, senza sue frodi. I creditori vengono sentiti: qualcuno dubita, ma non risultano atti in frode o nascondigli di beni. Il tribunale accoglie la domanda e dichiara inesigibili i €300.000 di debiti. Elisa è finalmente libera: se un giorno tornerà a lavorare, i suoi nuovi guadagni non potranno esserle pignorati per quei vecchi debiti (ormai estinti di fatto). Dovrà però comunicare all’OCC i suoi redditi annuali per 4 anni. Dopo due anni, trova un buon lavoro e vince anche una causa ottenendo €40.000 di risarcimento. Avendo debiti originali 300k, il 10% è €30.000: quindi scatta l’obbligo di usarne €30.000 per i creditori. In pratica, dovrà versare (attraverso l’OCC) quella somma ripartita fra i vecchi creditori a parziale pagamento di ciò che fu stralciato. Ciò non “riattiva” i debiti integralmente, ma è una condizione legale: se non lo facesse spontaneamente, rischierebbe la revoca del beneficio. Elisa comunque resta in vantaggio: si è liberata di 270k e paga 30k perché ora può permetterselo.
Tabelle riassuntive delle procedure di sovraindebitamento
Per ricapitolare le caratteristiche delle diverse procedure, ecco una tabella comparativa:
Tabella 1: Confronto tra Piano del Consumatore, Concordato Minore, Liquidazione Controllata ed Esdebitazione Incapiente
Caratteristica | Piano del consumatore | Concordato minore | Liquidazione controllata | Esdebitazione incapiente |
---|---|---|---|---|
Destinatari (soggetti) | Consumatori (solo persone fisiche con debiti personali) | Debitori non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, enti non fallibili) | Tutti i debitori non fallibili (consumatori o no) che vogliono/possono liquidare beni | Persone fisiche sovraindebitate, senza beni né redditi disponibili |
Accesso su iniziativa di | Debitore (volontario) | Debitore (volontario) – necessita accordo creditori | Debitore (volontario) o Creditore/PM (coattivo) in casi previsti | Debitore (volontario) |
Presenza di attivo da offrire | Sì, normalmente previsto (pagamenti da redditi futuri e/o parte patrimonio, secondo sostenibilità) | Sì, piano sostenuto da attivo (continuità azienda o liquidazione parziale) – può includere risorse esterne | Sì, si liquidano tutti i beni esistenti (se nulla, procedura improcedibile) | No attivo disponibile (per definizione “incapiente”) |
Intervento dei creditori | Nessun voto. I creditori possono fare osservazioni ma decide il giudice. | Voto dei creditori chirografari (maggioranza ≥50% crediti) necessario. Dissenzienti vincolati se omologa. | I creditori presentano domande di ammissione e partecipano al riparto; nessun voto sul piano (vendita coatta) | I creditori possono opporsi alla richiesta; nessun voto (non c’è piano né riparto) |
Ruolo del Tribunale | Omologa il piano se requisiti soddisfatti (meritevolezza, convenienza) anche contro il parere dei creditori. | Omologa l’accordo se maggioranza raggiunta e requisiti (meritevolezza, convenienza per dissenzienti) rispettati. | Dichiara apertura liquidazione, nomina Liquidatore, supervisiona l’iter e dichiara chiusura. | Valuta meritevolezza e incapienza; emette decreto di esdebitazione diretto. |
Figura di supporto | OCC (gestore crisi) – redige relazione iniziale e assiste nel monitorare esecuzione. | OCC e possibile Commissario Giudiziale – relazione iniziale e supervisione esecuzione. | Liquidatore nominato dal tribunale; OCC può fungere da gestore iniziale per relazione. | OCC – relazione su situazione debitoria; poi monitora situazione economica per 4 anni. |
Sorte dei beni del debitore | Il debitore può conservare i beni, salvo quelli destinati nel piano a essere liquidati per soddisfare i creditori. Niente spossessamento generale. | In parte può prevedere continuazione attività e mantenimento beni funzionali; può anche includere cessione di beni non essenziali. | Spossessamento di tutti i beni non impignorabili: Liquidatore li vende e distribuisce il ricavato. | Nessun spossessamento (non ci sono beni da prendere). Se emergono beni entro 4 anni, vige obbligo di pagamento ai creditori ≥10%. |
Trattamento dei debiti | Pagamento parziale secondo piano (possibili diverse % per classi, ma equo rispetto a liquidazione). Debiti insoddisfatti > esdebitati a fine piano. | Pagamento parziale concordato (classi di creditori possibili). Eventuali stralci di privilegiati richiedono adesione. Debiti residui esdebitati dopo esecuzione accordo. | Crediti soddisfatti col ricavato secondo ordine privilegi. Al termine, debiti residui esdebitati su istanza debitore (dopo 3 anni max). | Nessun pagamento (o eventualmente pagamento simbolico se può). Tutti i debiti esdebitati immediatamente dal giudice. |
Durata tipica | Variabile, tipicamente 4-5 anni (può essere più lungo se necessario). | Variabile, in genere 3-5 anni, ma dipende da accordo (può prevedere anche dilazioni più lunghe se creditori accettano). | Dipende dalla complessità liquidazione (vendite beni). In media 2-4 anni. Nessun minimo legale (minimo 4 anni abrogato), esdebitazione possibile già dopo 3 anni. | Procedura istantanea (decreto esdebitazione). Poi 4 anni di monitoraggio post, ma senza procedura aperta (solo obblighi informativi). |
Costi indicativi | OCC: compenso stabilito dal giudice, spesso una percentuale sul debito o sull’attivo destinato (può essere qualche migliaio di €). Avvocato: assistenza legale spesso necessaria (può rientrare in gratuito patrocinio se requisiti). Spese giustizia: marche da bollo, contributo unificato ridotto (di solito €98). | Simili al piano, ma leggermente maggiori se nominato Commissario. OCC e Commissario hanno compensi (percentuali sul attivo e sull’attività). Costi di convocazione creditori. | Liquidatore: compenso a percentuale sui ricavi liquidati (tariffe simili ai curatori fallimentari). OCC: per relazione iniziale. Spese procedurali: tribunale, perizie per stima beni, ecc. Pagate dalla massa attiva (si sottraggono dal ricavato). | Molto bassi: spese di giustizia minime. OCC a forfait contenuto (il Codice prevede un compenso minimo a carico del debitore, spesso in parte anticipato dallo Stato). Se il debitore è nullatenente, c’è comunque un piccolo costo OCC coperto eventualmente da Fondo di giustizia. |
Esiti finali | – Se eseguito: Esdebitazione totale dei debiti residui, decreto di omologazione produce effetti liberatori.– Se non eseguito per colpa debitore: risoluzione, creditori riacquisiscono diritti su debito residuo (detratto quanto incassato). | – Se eseguito: Esdebitazione debiti residui (decreto di omologazione e adempimento integrale accordo liberano il debitore).– Se inadempimento: risoluzione accordo, possibili procedure esecutive o liquidazione. | – Esdebitazione concessa dal Tribunale su istanza (verificata condotta diligente, assenza frodi) a fine o dopo 3 anni: debiti insoddisfatti perdonati.– Se il debitore ha violato obblighi o nascosto beni: diniego esdebitazione, debiti residui restano (possono essere perseguiti salvo prescrizione). | – Esdebitazione immediata di tutti i debiti (tranne alimentari, etc.). Debitore libero da subito.– Se entro 4 anni ottiene utilità ≥10% debiti: obbligo pagamento 10% ai creditori (pena revoca beneficio se non adempie). |
(Legenda: OCC = Organismo di Composizione della Crisi / Gestore; PM = Pubblico Ministero.)
Come si evince dalla tabella, l’ordinamento offre una gamma di opzioni, dal piano “mite” che cerca di conciliare pagamento e riduzione debiti, fino alla liquidazione con esdebitazione totale. La scelta dipende dalla situazione concreta: un consumatore con stipendio opterà per un piano per conservare magari la casa e pagare in parte i creditori; un piccolo imprenditore con attività in difficoltà proverà il concordato minore per salvare l’azienda; un soggetto senza reddito né beni sceglierà l’esdebitazione da incapiente per cancellare il passato e magari ripartire se avrà nuove chance. In ogni caso, tutte queste procedure sono accomunate dallo scopo di bilanciare la dignità del debitore (evitando la sua “morte civile” a vita) con i diritti dei creditori (che ottengono comunque il massimo di quanto il debitore può dare, anche se non l’integrale).
Ulteriori riferimenti normativi rilevanti
Per completezza, segnaliamo alcuni riferimenti di legge chiave menzionati o sottesi nelle procedure descritte:
- Codice Civile (R.D. 262/1942): Artt. 1218 e segg. (inadempimento delle obbligazioni), art. 1224 (interessi moratori), art. 1282 (interessi corrispettivi), art. 1283 (anatocismo, divieto salvo pattuizioni successive o usi bancari autorizzati), art. 1186 (decadenza dal termine se debitore divenuto insolvente), art. 1230 (novazione), art. 1236 (remissione del debito), art. 1936 e segg. (fideiussione), art. 2946 (prescrizione ordinaria 10 anni). Particolarmente importante l’art. 1815 co.2 c.c., che prevede la nullità degli interessi se pattuiti in misura usuraria (aggiunto da L. 108/1996).
- Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993): Artt. 40 (decadenza dal beneficio del termine nei mutui ipotecari: 7 rate non pagate), 120 (disciplina interessi e anatocismo bancario, delibera CICR 2000 e successive modifiche del 2016 che vietano capitalizzazione più di annuale), 124 e seguenti (trasparenza nei contratti di credito ai consumatori, diritto di estinzione anticipata), 125-quinquies (credito ai consumatori: recesso del consumatore dal contratto, ecc.), 125-sexies (in caso di estinzione anticipata, riduzione costi). Inoltre, come citato, art. 120-quinquies e segg. TUB riguardano cessione del quinto e delegazione di pagamento (norme specifiche di quel prodotto).
- Legge sull’usura (L. 108/1996): definisce i tassi soglia trimestrali oltre i quali gli interessi sono usurari. La Banca d’Italia pubblica periodicamente i tassi medi e soglia per categorie di finanziamenti. L’usura può essere originaria (tasso pattuito > soglia) o sopravvenuta (tema controverso, ma Cass. S.U. 24675/2017 e 19597/2020 hanno stabilito che conta il momento della pattuizione, comunque per i moratori Cass. 12965/2021 ha sancito nullità se sopra soglia anche se non applicati concretamente).
- Codice di Procedura Civile: Artt. 480 (atto di precetto, intimazione di pagamento prima di esecuzione, vale 90 giorni), 491 (inizio dell’esecuzione, principio di unitarietà pignoramenti), 492 (forma del pignoramento), 543 (pignoramento presso terzi: notifica a debitore e terzo, es. stipendio, conto), 545 (limiti di pignorabilità, es. 1/5 stipendi/pensioni, pensione minima impignorabile ecc.), 546 (obblighi del terzo pignorato), 555 (pignoramento immobiliare, forma), 560- Co. 3 (rilascio immobile pignorato, tra cui la concessione al debitore della permanenza 6 mesi se abitazione principale, introdotta nel 2022), 624-bis (sospensione della procedura esecutiva su accordo delle parti o in pendenza di piano del consumatore? Norme speciali del 2012 lo prevedevano), 495 (conversione del pignoramento: possibilità per il debitore di sostituire ai beni pignorati una somma pari all’importo dovuto + spese, depositando almeno 1/6 subito; giudice concede pagamento rateale max 36 mesi – soglia e modalità aggiornate con DL 83/2015 e L. 197/2022). Artt. 612 e segg. (esecuzione per consegna/rilascio, per completare il quadro su sfratti e simili). Artt. 615 e 617 (opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi: strumenti processuali per contestare validità del titolo esecutivo o regolarità formale del pignoramento).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019): Artt. 65-68 (definizioni di crisi, insolvenza, sovraindebitamento), Artt. 268-277 (disciplina liquidazione controllata del sovraindebitato), Artt. 278-281 (esdebitazione: disposizioni generali e specifiche per liquidazione giudiziale e controllata), Art. 282 (esdebitazione del debitore incapiente: condizioni, 10% in 4 anni, ecc.), Artt. 69-73 (procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore), Artt. 74-83 (concordato minore), Artt. 84-88 (disposizioni comuni, familiari, ecc.). Ricordiamo che modifiche sono state apportate dai decreti correttivi: D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 169/2020 (non ricordo numeri esatti di tutti correttivi) e da ultimo D.Lgs. 136/2024, di cui abbiamo parlato (Correttivo-ter), che hanno perfezionato vari aspetti (estensione termini domande passivo da 60 a 90 gg, priorità di piani su liquidazioni richieste dai creditori, chiarimenti su risorse esterne, eliminazione durata minima 4 anni, ecc.).
- Legge 3/2012 (abrogata): “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”. Abrogata formalmente dal Codice della Crisi (entrato in vigore definitivo il 15 luglio 2022), ma ancora citabile per i concetti e la giurisprudenza formatasi su di essa. Ad es., art. 12 legge 3/2012 (piano del consumatore), art. 8 (accordo composizione), art. 14-terdecies (introdotto dalla L.176/2020, esdebitazione incapiente). Molte decisioni della Cassazione 2016-2021 fanno riferimento a questa legge.
- Legge 108/1996 (Fondi antiusura): oltre all’usura, ha istituito i Fondi di prevenzione usura presso MEF e MISE che rilasciano garanzie a favore di soggetti a rischio usura per ottenere finanziamenti. E la L. 44/1999 (Fondo solidarietà vittime usura e estorsione).
- DL 132/2014 conv. L. 162/2014: ha introdotto la convenzione di negoziazione assistita. Ora integrata nel Codice di procedura dopo la riforma 2022: per crediti fino 50k obbligatorio tentativo come già detto.
- D.Lgs. 28/2010: disciplina della mediazione civile e commerciale obbligatoria per alcune materie (contratti bancari e finanziari inclusi) prima di procedere in giudizio. Ciò significa, ad esempio, che se si vuole fare causa alla banca per contestare un contratto di prestito (usura, nullità interessi), si deve prima attivare mediazione. E anche la banca, se vuole escutere un credito, dal 2023 deve provare mediazione o negoziazione se <50k.
- D.P.R. 115/2002: Testo unico spese di giustizia, rilevante per il gratuito patrocinio (art. 76 e segg.), per costi procedure (in sovraindebitamento il contributo unificato è ridotto a €98).
- Leggi speciali fiscali su pignoramenti: D.P.R. 602/1973 art. 72-bis e segg. (pignoramenti esattoriali), con limiti: l’Agente della Riscossione non può pignorare l’unica casa di abitazione non di lusso del debitore; pensioni e stipendi con franchigie più alte (minimo vitale pari all’assegno sociale aumentato metà, etc.). Queste differenze si applicano se i debiti sono con il fisco. Nel sovraindebitamento, anche i debiti fiscali vengono gestiti, e l’Agente della Riscossione partecipa come creditore.
- Norme penali: l’insolvenza civile in sé non è reato, ma attenzione agli aspetti penali connessi: ad esempio, occultare beni ai creditori può configurare reato di mannata distrazione (art. 388 c.p. – sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte se riguarda debiti tributari, o aggravare le proprie condizioni per frodare creditori art. 641 c.p. se fatto con dolo di farsi dichiarare insolvente). Inoltre, se c’è una procedura concorsuale aperta, entrano in gioco i possibili reati di bancarotta (per imprenditori commerciali in liquidazione giudiziale) o di false attestazioni dell’OCC (se un debitore fornisce dati falsi all’OCC può incorrere in reati).
Simulazioni pratiche di gestione del debito
Vediamo ora, in modo più discorsivo, come potrebbe procedere un debitore in diverse situazioni tipo, applicando quanto spiegato:
Caso 1: Privato con singolo prestito in difficoltà – negoziazione e piano di rientro. Luigi, lavoratore dipendente, ha un prestito personale con 20 rate rimanenti da €300 l’una. Dopo aver perso il secondo lavoro serale, non riesce più a pagare €300 mensili. Appena salta la prima rata, la banca lo contatta. Luigi non evita la chiamata, anzi spiega subito il problema: può arrivare a €150 al mese ma non di più. La banca inizialmente propone un trimestre di sola quota interessi (riducendo la rata a €100 per 3 mesi) e poi ripresa normale. Luigi accetta ma poi anche dopo 3 mesi fatica. A quel punto, la banca – vedendo la sua correttezza – accetta di rinegoziare il prestito: allunga di 12 mesi la durata e porta la rata a €180. Luigi firma un accordo di modifica. Nel frattempo è stato segnalato in CRIF dopo la rata mancata, ma la banca promette di aggiornarlo a “regolarizzato” dopo alcuni pagamenti puntuali. Luigi riesce così a portare a termine il prestito, pagando un po’ di interessi in più per via dell’allungamento ma evitando azioni legali. Commento: in questo scenario, la pronta comunicazione e il dimostrare buona fede hanno portato a un esito win-win. Luigi ha preferito un sacrificio (pagherà più interessi per i 12 mesi extra) pur di alleggerire la rata.
Caso 2: Sovraindebitamento familiare – saldo e stralcio con cessione del quinto. Marta e Paolo, coniugi, hanno accumulato vari debiti (prestiti per mobili, un finanziamento auto, carte di credito) per un totale di €50.000. Ora faticano a pagare le rate complessive di €900/mese, anche perché Paolo ha avuto un calo di lavoro (artigiano) e Marta è impiegata part-time. Hanno una casa in comproprietà su cui però grava un mutuo in regolare pagamento. Si rivolgono a un consulente debiti. Strategia: individuano uno dei creditori (una finanziaria con un credito di €15.000 residuo da carta revolving) disposto a fare saldo e stralcio. Raccolgono €7.500 grazie a un piccolo prestito dai genitori di Marta e chiudono quella posizione con uno sconto 50%. Così eliminano una rata di €300. Poi decidono di consolidare gli altri €35.000 rimasti con una cessione del quinto sullo stipendio di Marta, che garantisce €250 al mese per 10 anni (ottenendo circa €20.000 netti di prestito). Il restante scoperto lo coprono con un piccolo prestito delega sull’azienda di Paolo (che lui riesce a ottenere presentando la cessione di Marta come garanzia del nucleo). Alla fine, riducono il carico mensile a circa €500 totali, sostenibile dai loro redditi. Certo, pagheranno per più anni, ma evitano default. Commento: qui hanno combinato un saldo e stralcio (riducendo il debito di 7.5k) e un rifinanziamento garantito (cedendo il quinto). Non hanno toccato la casa, proteggendo il bene primario. La consulenza li ha aiutati a negoziare lo stralcio e a individuare i prodotti finanziari adatti.
Caso 3: Sovraindebitamento da attività d’impresa – concordato minore per salvare l’attività. Un piccolo ristoratore (ditta individuale) a causa del COVID e della crisi ha accumulato debiti: €30.000 di fornitori, €20.000 di affitti arretrati, €40.000 di prestiti bancari garantiti dallo Stato, €25.000 di tasse non pagate. Totale €115.000. Ha ripreso il lavoro ma il fatturato consente di pagare le spese correnti e al massimo una parte dei debiti passati, non tutto. Non vuole chiudere perché il locale ora va meglio. Con l’aiuto di un OCC, prepara un concordato minore: propone di pagare €60.000 in 5 anni (circa il 50%) utilizzando i flussi di cassa futuri, con l’impegno che se il fatturato cresce oltre un certo livello, verserà ai creditori anche parte dell’extra (clausola di salvaguardia). Offre ai fornitori e locatore una percentuale del 50% sul debito, alle banche il 60% (avendo garanzia statale sono disposte perché lo Stato comunque copre parte di loro perdita), al Fisco il 30% sul dovuto (IVA inclusa, mostrando che in liquidazione piglierebbe zero). I creditori, vedendo che se lo mandano in liquidazione forzata ricaverebbero forse il 20% e farebbero chiudere il ristorante, acconsentono. Il tribunale omologa. Il ristoratore continua l’attività, paga regolarmente le percentuali concordate ogni 6 mesi all’OCC che le distribuisce ai creditori. Dopo 5 anni di sforzi, adempie a tutto: i creditori hanno recuperato circa metà dei loro crediti (meglio di niente) e il giudice lo esdebita dal resto. Il ristorante è salvo e i debiti azzerati. Commento: senza questa procedura avrebbe quasi certamente cessato e i creditori avrebbero preso briciole. Il concordato minore ha funzionato da piano di risanamento negoziato, evitando un fallimento.
Caso 4: Persona incapiente sommersa dai debiti – esdebitazione totale senza liquidazione. Marco, ex agente di commercio, per una serie di vicissitudini (malattia, crollo delle vendite, cattiva gestione) accumula €200.000 di debiti. La maggior parte sono debiti fiscali e contributivi perché non riusciva a versare IVA e INPS, più qualche finanziaria insoluta. Ora Marco ha chiuso l’attività, non ha immobili, vive di lavoretti precari e alloggia in casa in affitto ammobiliato. Non può permettersi rate per un piano del consumatore neanche minime, e non ha senso aprire liquidazione (non c’è nulla da vendere). Seguendo i consigli di un legale, raccoglie tutta la documentazione e presenta un’istanza di esdebitazione da incapiente. L’OCC nominato verifica che davvero non vi sono beni (solo un’auto vecchia di 15 anni) e che i debiti di Marco sono in gran parte dovuti al fallimento della sua attività, non ha truffato nessuno (anzi la sua crisi è documentata da perdite di bilancio negli anni finali). Il tribunale, sentiti i creditori (Equitalia ovviamente non si oppone più di tanto perché sa di non poter recuperare nulla da lui, le finanziarie idem), approva l’esdebitazione: in un colpo solo, tutti i €200.000 di debiti vengono cancellati. Marco riparte da zero. Due anni dopo, riesce a emigrare in un’altra città e trova un lavoro fisso. Comunica ogni anno all’OCC il suo CUD come da obbligo. Nei 4 anni successivi non raggiunge mai guadagni tali da consentirgli di offrire almeno €20.000 (il 10%), quindi non scatta alcun obbligo di pagare i creditori. La sua esdebitazione resta definitiva. Commento: questo è un caso da manuale di applicazione dell’art. 282 CCII: senza questo istituto, Marco sarebbe rimasto perseguitato a vita da cartelle esattoriali e decreti. Invece, la legge gli ha concesso una seconda chance, ritenendo più utile farlo tornare produttivo nella società che lasciarlo sommerso di debiti impagabili.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito, una serie di domande frequenti con relative risposte sintetiche, riguardanti il tema del prestito personale non pagato e le soluzioni illustrate:
D: Cosa succede se smetto di pagare le rate di un prestito personale?
R: Inizialmente maturano interessi di mora e penali previste dal contratto. Dopo ripetuti solleciti, il finanziatore può dichiarare la decadenza dal beneficio del termine, chiedendo il saldo immediato di tutto il debito residuo. La posizione verrà segnalata nelle banche dati come sofferenza o insolvenza, compromettendo il tuo accesso al credito. Se non trovi un accordo, la banca può agire legalmente, ad esempio ottenendo un decreto ingiuntivo e procedendo al pignoramento dei tuoi beni (conto corrente, stipendio, auto, immobili, ecc.) nei limiti di legge (di solito massimo un quinto dello stipendio/pensione, e con rispetto delle impignorabilità per beni essenziali). In sintesi: il mancato pagamento porta a costi aggiuntivi, segnalazione di cattivo pagatore e rischio concreto di azioni esecutive.
D: Quante rate devo non pagare prima che la banca passi alle vie legali?
R: Non c’è un numero fisso uguale per tutti. Molti contratti prevedono che basta una rata non pagata per metterti in mora (con lettera di sollecito), e dopo due o tre rate non pagate la finanziaria può risolvere il contratto e pretendere tutto il dovuto. Nella pratica, di solito le banche iniziano l’iter legale (ingiunzione) dopo vari tentativi bonari, spesso dopo 3-6 mesi di insoluti consecutivi. Per mutui ipotecari, la legge fissa in sette rate mensili non pagate il diritto di accelerazione (art. 40 TUB). Per prestiti personali senza garanzia, vale quanto scritto nel contratto: spesso c’è scritto “dopo due rate scadute e non pagate, la finanziaria può dichiarare la decadenza dal termine”. Il consiglio è di non aspettare: già se salti una rata, contatta la banca per spiegare e cercare una soluzione temporanea.
D: Posso finire in carcere per un prestito non pagato?
R: No, il diritto italiano (come tutti i paesi civili) non prevede il carcere per i debiti civili. La Costituzione (art. 25) vieta esplicitamente la detenzione per inadempimenti contrattuali. Quindi, anche se non paghi un prestito, subirai conseguenze patrimoniali (pignoramenti, perdita di beni) ma non la privazione della libertà. Fanno eccezione solo casi particolari di rilevanza penale: ad esempio, l’emissione di assegni a vuoto può portare a sanzioni penali/amministrative; oppure il mancato pagamento doloso di alimenti al coniuge/figli può integrare reato. Ma il prestito personale rientra nei debiti civili: nessun rischio di arresto, diffida chiunque usi questa minaccia (sarebbe estorsione). Anche la lettera di messa in mora o il decreto ingiuntivo sono atti civili, non penali.
D: Cosa significa essere segnalati in CRIF o Centrale Rischi? E quanto dura?
R: Significa che la tua storia creditizia negativa (rate non pagate, ritardi, sofferenze) viene registrata in banche dati consultate dagli istituti finanziari. CRIF (Eurisc) è un sistema privato: se sei segnalato come “cattivo pagatore”, nuove richieste di prestito verranno quasi certamente respinte. La durata dipende dal tipo di segnalazione: per una morosità sanata (poi pagata) in CRIF resti visibile 24 mesi dalla regolarizzazione se erano pochi ritardi, 36 mesi se era sofferenza poi sanata, e 36 mesi dalla data di ultimo aggiornamento se rimane insoluto (in quest’ultimo caso poi il dato viene cancellato, ma il credito potrebbe passare in Centrale Rischi pubblica se grosso). La Centrale Rischi di Banca d’Italia registra sofferenze > €250 e altri crediti > €30.000: lì le segnalazioni restano finché la banca le invia, e una volta estinto il debito vengono cancellate il mese dopo. Dunque, in genere la “nomea” di cattivo pagatore ti segue per 2-3 anni dall’evento. Durante questo periodo è difficile ottenere altri finanziamenti. Dopo la cancellazione, si può ripulire la propria reputazione, specie se nel frattempo hai pagato quanto dovuto o trovato un accordo a saldo.
D: La finanziaria mi stressa con telefonate e visite a casa: possono farlo?
R: Le società di recupero crediti possono contattarti per sollecitare il pagamento, ma ci sono limiti. Possono telefonarti, ma in orari ragionevoli (non la notte o mattina all’alba), e non devono farlo in modo petulante (decine di chiamate al giorno possono configurare molestia). Possono mandare operatori a domicilio solo se li accetti: nessuno può entrare in casa tua senza consenso o ordine del giudice. Quindi se un esattore bussa, non sei obbligato a riceverlo. Non possono assolutamente minacciare cose come “andiamo in carcere” o “leveremo i figli” ecc.: sarebbero intimidazioni illecite. Se subisci pressioni aggressive o diffamatorie, prendi nota e puoi segnalarle alle autorità (polizia o Antitrust). Il Garante Privacy e l’Antitrust hanno regolamentato queste attività. Consigliamo di rispondere con calma, spiegare la situazione, magari tramite lettera raccomandata indicando che intendi trovare una soluzione ma pretendi rispetto. Se le molestie proseguono, meglio delegare un avvocato: spesso dopo una PEC dell’avvocato smettono.
D: Ho perso il lavoro e non riesco più a pagare nulla: è utile provare a trattare con la banca?
R: Sì, sempre. Se dimostri alla banca le tue mutate condizioni (ad es. alleghi lettera di licenziamento, iscrizione al centro impiego), potresti ottenere una moratoria temporanea delle rate o una revisione del piano. Ad esempio, esiste un Accordo ABI (Associazione Bancaria) che più volte ha rinnovato moratorie per famiglie in difficoltà (sospensione rate mutui prima casa, ecc.). Per i prestiti personali non c’è un diritto automatico alla sospensione, ma molte finanziarie preferiscono concederti qualche mese di pausa o di riduzione rata, pur di evitare il default. Quindi assolutamente contatta la banca, spiega la situazione e chiedi formalmente una rimodulazione. La trasparenza paga: se aspetti che scadano le rate senza dir nulla, per la banca sei un “cattivo pagatore” e basta; se invece li informi e magari proponi tu un nuovo piano (es. “posso darvi 100 euro/mese invece di 300 per sei mesi, poi vediamo”), spesso accettano perché sanno che recupereranno più così che portandoti in tribunale. Documenta sempre tutte le comunicazioni (scrivi email o PEC per avere traccia).
D: Posso farmi ridurre la rata del prestito per legge?
R: Non esiste una legge che imponga alla banca di ridurti la rata su richiesta (salvo alcuni casi tipo mutui agevolati prima casa con fondo solidarietà, ma è per mutui specifici e per eventi particolari). Nel credito al consumo, la modifica delle condizioni è lasciata alla contrattazione privata. Tuttavia, hai alcuni diritti: ad esempio, puoi chiedere l’estinzione anticipata (pagare il debito residuo in unica soluzione risparmiando interessi futuri – ma se non hai soldi è difficile) oppure la portabilità/surroga (nel caso di mutuo, cambiare banca cercandone una con tasso/rata migliori). Per i prestiti personali, alcune finanziarie offrono contrattualmente opzioni di flessibilità: “salto rata” (rinvio di una rata all’anno), “ricompensa” (riduzione tasso se paghi bene), rifinanziamento. Non sono obblighi di legge, ma se nel tuo contratto c’è scritto che hai diritto a saltare una rata all’anno, puoi farlo. Quindi verifica le condizioni generali del tuo prestito: spesso ci sono clausole promozionali che pochi conoscono. Infine, se hai subito un evento grave (es. invalidità, perdita lavoro involontaria) e avevi una polizza assicurativa sul prestito, attivala: molte coperture creditizie rimborsano le rate per tot mesi in caso di disoccupazione o infortunio. Questo può temporaneamente alleggerire il peso.
D: Ho più debiti con diverse finanziarie: meglio unire tutto in un prestito unico?
R: Può essere una buona idea, il cosiddetto consolidamento debiti. Se trovi un istituto disposto a concederti un nuovo prestito abbastanza grande da estinguere tutti quelli esistenti, avrai un’unica rata mensile, spesso più bassa della somma delle rate precedenti (perché la durata viene estesa). È sicuramente più comodo gestire un solo creditore. Tuttavia, fai attenzione: il consolidamento di solito allunga la vita del debito, quindi pagherai interessi per più tempo. Inoltre, devi essere ancora in una condizione creditiziamente accettabile: se sei già segnalato come cattivo pagatore, poche banche ti faranno un consolidamento (a meno di garanzie solide). A volte si ricorre a un mutuo ipotecario di consolidamento (se hai casa di proprietà): quello abbassa molto la rata per via del lungo termine e del tasso minore, ma mettere un’ipoteca sulla casa per debiti di consumo è rischioso – se poi non paghi, perdi casa. Quindi valutalo bene e magari come ultima risorsa. In sintesi: consolidare è utile se riesci ad ottenere condizioni migliori e se ti impegni a non fare altri debiti nel frattempo (altrimenti peggiori la situazione). Se hai dubbi, rivolgiti a un consulente del credito o una associazione consumatori per calcolare convenienza e costi reali (occhio a commissioni e polizze nel nuovo prestito).
D: In cosa consiste esattamente il “saldo e stralcio”?
R: È un accordo transattivo in cui il creditore accetta di chiudere il debito a fronte di un pagamento inferiore al dovuto. “Saldo” indica che il pagamento viene eseguito, “stralcio” che il resto viene cancellato. Tipicamente, funziona così: hai un debito di 10.000 €; il creditore ti dice “pagami 6.000 € entro un mese e ti faccio saldo e stralcio”, firmando una lettera che quella somma estingue ogni pretesa. Tu paghi 6.000 € (magari chiedendo aiuto familiare, vendendo qualcosa, ecc.) e il creditore ti libera dal debito residuo di 4.000 €. L’accordo va formalizzato per iscritto e il pagamento dev’essere tracciabile (bonifico, assegno circolare) per avere prova e quietanza. Il vantaggio per te: risparmi 4k e chiudi definitivamente la posizione, evitando anche spese future. Vantaggio per il creditore: incassa subito 6k senza ulteriori spese né rischi. Lo svantaggio per te è che devi disporre di liquidità immediata (questi accordi raramente si fanno a rate lunghe, al massimo in 2-3 tranche ravvicinate). Quanto si può stralciare dipende da quanto il creditore pensa che altrimenti recupererebbe: se sei nullatenente, potrebbe accontentarsi anche del 20-30%. Se invece hai stipendio pignorabile e beni, difficilmente scenderà sotto 70-80%. Importante: fatti dare la lettera di saldo e stralcio firmata prima di pagare o contestualmente al pagamento (assegno consegnato in mano in cambio lettera). E conserva tutti i documenti per almeno 10 anni, in caso il credito venga ceduto erroneamente in futuro (con la quietanza potrai sempre dimostrare che era chiuso).
D: Se faccio saldo e stralcio, poi posso chiedere mutui o prestiti? Oppure sarò bollato?
R: Il saldo e stralcio ti libera dal debito, ma la segnalazione creditizia rimane come “sofferenza chiusa a stralcio”. Nei sistemi tipo CRIF appare che il debito è stato estinto non integralmente. Questa informazione permane di solito per 5 anni dalla chiusura. Dunque, per un certo periodo, le banche vedranno che hai sì chiuso il debito ma a condizioni di favore perché eri in difficoltà. Questo potrebbe renderle prudenti nel concederti nuovo credito nell’immediato. Tuttavia, è comunque meglio di un’insolvenza aperta o di un pignoramento in corso. Con lo stralcio hai almeno chiuso la vicenda. Passati i 2-3 anni più “freschi”, se nel frattempo hai mantenuto un andamento regolare su altre posizioni (es. sei rimasto pulito, bollette ok, etc.), potresti già tornare finanziabile. In più, ogni istituto valuta a sé: alcune banche se vedono uno stralcio recente diranno no, altre potrebbero valutare positivamente il fatto che hai risolto e se il tuo reddito attuale è buono magari concedono. Molto dipende poi dal tipo di finanziamento richiesto: un piccolo prestito auto forse lo ottieni dopo 1-2 anni dalla chiusura stralcio, un grande mutuo casa magari vogliono 3-5 anni di distanza. In conclusione: il saldo e stralcio non è una bacchetta magica per cancellare il passato (non immediatamente almeno), ma è comunque una conclusione che col tempo ti permette di ricostruire la reputazione finanziaria.
D: In cosa consiste la procedura di sovraindebitamento di cui parlano la legge 3/2012 e il Codice della Crisi?
R: Consiste in percorsi giudiziali attraverso i quali il debitore può ristrutturare o cancellare i propri debiti sotto controllo del tribunale, come spiegato in dettaglio sopra. Le principali sono: il piano del consumatore (oggi piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore) per le persone sovraindebitate, il concordato minore (accordo con i creditori per imprenditori minori), la liquidazione controllata (simile a un fallimento personale, dove liquidi i beni e poi vieni esdebitato) e l’esdebitazione del debitore incapiente (cancellazione totale dei debiti per chi è nullatenente). Sono strumenti da usare in caso di sovraindebitamento grave, quando non riesci a uscirne con le negoziazioni private. Devi rivolgerti a un apposito Organismo di Composizione della Crisi (OCC), presente in molte città (presso Camere di commercio, Ordini professionali, ecc.), dove un esperto esaminerà la tua situazione e ti aiuterà a scegliere la procedura giusta e a predisporre la domanda per il tribunale. Se la procedura va a buon fine (viene omologato un piano o completata la liquidazione), otterrai l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui che non sei riuscito a pagare. È praticamente una “riabilitazione” economica che la legge ti concede, a patto che tu metta a disposizione tutto il possibile (patrimonio o reddito) in favore dei creditori durante la procedura. Sono vie un po’ complesse e richiedono tempo e impegno, ma in molti casi sono l’unica soluzione per chi ha troppi debiti.
D: Quali debiti posso includere in una procedura di sovraindebitamento? Anche le cartelle esattoriali?
R: In genere tutti i debiti che hai verso i creditori privati e pubblici vanno inclusi. Questo significa: debiti verso banche e finanziarie (prestiti, mutui, fidi), debiti verso fornitori, bollette non pagate, canoni di locazione arretrati, cartelle esattoriali per tasse, tributi, multe, contributi previdenziali, ecc. Le uniche eccezioni sono i debiti che per legge non sono “falciabili” neanche dal giudice: ad esempio, le obbligazioni di mantenimento (alimenti) e le sanzioni penali/amministrative per multe. Quelle non possono essere incluse e comunque resteranno a tuo carico. Tutto il resto può far parte del piano/accordo. Anche l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) partecipa: per esempio, se hai €50k di cartelle, nel piano del consumatore puoi prevedere di pagarne magari il 20% e chiedere l’esdebitazione del resto, purché questo 20% sia più di quanto AER otterrebbe pignorandoti (spesso è così, perché se sei in crisi totale forse non potrebbero prendere quasi nulla, quindi il 20% in un piano controllato è allettante). Nel concordato minore pure puoi inserire debiti IVA, contributi etc., anche se lì servirebbe preferibilmente un voto favorevole dell’ente (ma c’è margine per omologa anche senza se offri il massimo possibile). Quindi sì, tutti i debiti verso la Pubblica Amministrazione rientrano e potenzialmente vengono stralciati parzialmente o totalmente a fine procedura. Anzi, per molti sovraindebitati il grosso del peso sono proprio cartelle esattoriali e la legge 3/2012 prima, e ora il Codice della Crisi, servono a dare soluzione anche a quello, altrimenti impagabile.
D: Che differenza c’è tra il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio?
R: Il piano del consumatore (oggi chiamato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore) è una procedura dove non liquidi tutti i beni, ma costruisci un piano di pagamenti parziale ai creditori in base al tuo reddito e alle tue disponibilità, da eseguire nel tempo, mantenendo il controllo sui tuoi beni (salvo quelli che decidi di usare per pagare, ad es. vendere un’auto superflua). Necessita però che tu abbia un minimo di entrate per offrire qualcosa e mantenerti al contempo. La liquidazione controllata del patrimonio, invece, è come un piccolo fallimento personale: tutti i tuoi beni non necessari vengono presi, venduti dal Liquidatore nominato e il ricavato va ai creditori. Tu resti senza patrimonio (tranne abiti, beni impignorabili e quel minimo per vivere), però alla fine i debiti vengono cancellati con l’esdebitazione. Diciamo che il piano è concorsuale ma conservativo (cerchi di trovare un compromesso per pagare parzialmente senza radere al suolo il tuo patrimonio), la liquidazione è concorsuale ma liquidativa (sacrifica tutto il patrimonio in cambio di annullare i debiti). Se hai una casa che vuoi salvare, meglio tentare un piano; se non ti interessa conservare nulla o non ci riesci, vai in liquidazione e in un periodo relativamente breve ti levi il pensiero dei debiti. La liquidazione è spesso l’ultima ratio se le altre procedure falliscono o non sono fattibili.
D: Come scegliere tra piano del consumatore, accordo/concordato e liquidazione?
R: Dipende dalla tua condizione:
- Se sei un consumatore puro (niente debiti d’impresa) e hai entrate regolari (stipendio, pensione) con cui puoi pagare almeno in parte i creditori, il piano del consumatore è indicato. Non richiede consenso dei creditori e ti permette magari di conservare beni come la casa, modulando i pagamenti nel tempo.
- Se invece sei un imprenditore/professionista con debiti aziendali ma vuoi continuare l’attività, il concordato minore è la via, perché può prevedere la continuazione dell’impresa e richiede l’accordo dei creditori (serve farsi aiutare magari da un professionista per convincerli).
- Se hai molti beni ma poche entrate, o la situazione è talmente compromessa che nessun piano reggerebbe, forse conviene la liquidazione: vendi tutto il vendibile e fai tabula rasa dei debiti. Ad esempio, se hai una casa di valore ma reddito zero, un piano non potresti farlo (come paghi?), mentre in liquidazione vendi la casa e poi sei libero dal resto.
- Se non hai né beni né reddito, allora la scelta è la esdebitazione incapiente: saltare direttamente alla fine, ottenendo la cancellazione debiti senza ripagare nulla (soluzione estrema per casi umani disperati).
In ogni caso, conviene consultare un OCC o un legale esperto in crisi da sovraindebitamento: valuteranno loro quale procedura ha chance di successo in tribunale. Ad esempio, se i tuoi creditori principali sono banche e rifiuterebbero un 20%, tanto vale fare piano del consumatore che bypassa il loro consenso; se invece hai tanti fornitori locali con cui hai buon rapporto, magari un concordato (accordo) è fattibile coinvolgendoli. È una strategia su misura.
D: Cosa succede se durante la procedura di sovraindebitamento non riesco a rispettare il piano?
R: Dipende dal tipo di procedura:
- Nel piano del consumatore, siccome non c’è voto dei creditori, se salti i pagamenti concordati il piano può venir revocato o risolto dal giudice su istanza dei creditori. In pratica, perdi il beneficio e i creditori tornano a poterti inseguire per l’intero debito originale detratti eventuali importi già ricevuti. C’è un po’ di tolleranza se il mancato rispetto è dovuto a cause di forza maggiore sopravvenute (es. nuova malattia), in tal caso il giudice può modificare il piano o concedere una sospensione. Ma se è per tua negligenza, decade. Quindi è cruciale impostare un piano realistico e magari con margine.
- Nel concordato minore, ugualmente, l’accordo omologato prevede di solito clausole di risoluzione se non paghi quanto promesso. I creditori possono chiedere la risoluzione al tribunale e tutto il debito residuo “resuscita” (tranne eventuali parti già tagliate con garanzie liberate, caso complesso). Spesso, però, nei concordati ci si tutela prevedendo che in caso di mancato pagamento si passi a liquidazione, o si definisce un margine di ritardo ammesso. Comunque, il rischio è di perdere la protezione se non segui l’accordo.
- Nella liquidazione controllata, se non collabori (non consegni documenti, nascondi beni, ecc.), puoi perdere il diritto all’esdebitazione alla fine. Se ad esempio il liquidatore scopre che hai fatto sparire soldi, può segnalare e il tribunale nega l’esdebitazione per condotta fraudolenta. Oppure se non depositi i tuoi redditi che dovevi mettere a disposizione, il giudice può revocarti i benefici. La liquidazione in sé comunque prosegue anche senza la tua collaborazione (ti espropriano i beni lo stesso), ma poi tu resti con i residui debiti se non sei leale.
- Nell’esdebitazione incapiente, se dopo ottieni entrate e non le comunichi, e i creditori lo scoprono, il tribunale può revocare il decreto di esdebitazione. In quel caso i debiti verrebbero ripristinati (salvo la parte che avresti pagato se avessi dichiarato le entrate). Sarebbe molto grave, e potrebbe anche comportare imputazioni penali. Quindi, mai barare: se ottieni un condono simile, onora gli obblighi di trasparenza per quei 4 anni.
In sintesi: queste procedure ti danno un aiuto, ma devi rispettare rigorosamente gli impegni presi. Se prevedi di non farcela, meglio tornare subito in tribunale (tramite OCC) e vedere se si può aggiustare il tiro, prima di cadere inadempiente. Ad esempio, in un piano del consumatore se dopo 2 anni perdi il lavoro, puoi chiedere di modificare il piano riducendo i pagamenti (i creditori verranno sentiti, ma il giudice può adeguarlo). L’importante è non far finta di nulla, perché altrimenti perdi tutto il beneficio e avrai sprecato l’opportunità.
D: Se ottengo l’esdebitazione, significa che i creditori non possono più chiedermi nulla per quei debiti?
R: Esatto. L’esdebitazione è il provvedimento finale che dichiara inesigibili i debiti non soddisfatti. In pratica il debito viene legalmente cancellato: il creditore non può più perseguirti, tu hai la cosiddetta “discharge”. Tecnicamente, l’obbligazione non scompare (non è un pagamento, è una dichiarazione d’inesigibilità), ma giuridicamente tu hai una causa di non punibilità per così dire: se il creditore provasse a riscuotere, tu opporresti l’esdebitazione e il giudice rigetterebbe la sua richiesta. Il tuo nominativo viene inoltre comunicato ai sistemi di informazione creditizia come “esdebitato”. Nota però: l’esdebitazione non copre eventuali coobbligati o garanti. Cioè, se tu vieni esdebitato, il tuo garante rimane obbligato verso i creditori (la sua fideiussione non è toccata dalla tua procedura a meno che anche lui abbia partecipato). Così come se avevi un debito in solido con un’altra persona, quella persona resta obbligata per intero. Quindi l’esdebitazione è personale. Inoltre, alcuni debiti esclusi per legge non sono toccati: ad es. le multe stradali – c’è discussione su se siano cancellabili, ma in genere sanzioni amministrative no – resterebbero. Idem gli alimenti non pagati all’ex coniuge: quelli non li cancelli, dovrai sempre pagarli prima o poi. Ma parliamo di casi particolari. Tutti i normali debiti finanziari e commerciali, una volta esdebitato, spariscono. L’esdebitazione viene decretata dal giudice e notificata ai creditori e pubblicata. Da quel momento sei legalmente libero. Questo non significa che torneranno a prestarti soldi subito (avrai comunque un record di insolvenza passata), ma legalmente nessuno può farti causa o pignorarti per quei vecchi crediti. È il fresh start.
D: Una volta esdebitato posso mettermi a fare nuove attività o chiedere nuovi prestiti?
R: Sì, non ci sono preclusioni legali a intraprendere nuove attività economiche dopo l’esdebitazione. Se eri un imprenditore soggetto a fallimento, l’esdebitazione è una condizione per essere riabilitato e poter eventualmente tornare a guidare società (prima c’erano limitazioni se fallito non esdebitato, ora con la liquidazione giudiziale e esdebitazione dopo 3 anni si è facilitato). Dal punto di vista dei finanziamenti, come dicevamo, la cronistoria rimane: se fai un piano del consumatore e ottieni esdebitazione, per qualche anno le banche vedranno che hai concluso un sovraindebitamento con debiti stralciati. Ciò potrebbe rendere più difficile ottenere credito importante nel breve termine. Ma formalmente nulla ti vieta di chiedere nuovi prestiti. Starà alla politica di rischio della banca valutare se concederteli, magari a condizioni più rigide. Molte persone, dopo l’esdebitazione, preferiscono evitare di indebitarsi di nuovo almeno per un po’ e cercare di vivere nei propri mezzi – il che è saggio. Ad ogni modo, l’esdebitazione ti riporta all’attivo nella società: puoi avere un conto corrente normale (se non l’avevi a causa di pignoramenti, ora li tolgono), puoi lavorare senza timore che ti portino via stipendio (salvo nuovi debiti), e gradualmente la tua reputazione creditizia migliorerà. C’è da dire che se uno è ricorso a queste procedure, è auspicabile fare tesoro dell’esperienza e non tornare subito a vivere di credito. Ma nulla lo vieta se capita l’occasione di un investimento ben calcolato.
D: Ho un solo debito ma molto grande (con la banca), posso usare lo stesso le procedure di sovraindebitamento?
R: Sì, anche con un singolo debito (magari un mutuo impossibile da pagare) si può fare istanza di sovraindebitamento. Non c’è un numero minimo di creditori richiesto per il piano del consumatore o la liquidazione (per il concordato minore servirebbe almeno più di uno se no non ha senso di “accordo”, in quel caso potresti direttamente trattare col creditore). Ma per il piano del consumatore, per esempio, non importa se hai 1 o 10 creditori: tu presenti il tuo piano al giudice e quel creditore unico potrà fare osservazioni, ma il giudice può omologarlo anche contro il suo parere. Un esempio comune: hai un mutuo residuo 200k, hai perso il lavoro e la casa andrà all’asta ma quella casa magari vale 150k attualmente. Potresti proporre un piano dove vendi tu la casa a 150k (evitando l’asta) e offri quello alla banca, chiedendo esdebitazione del resto 50k. La banca è unico creditore e magari è contraria perché vorrebbe i suoi 200k (anche se all’asta forse prenderebbe 120k netti). Il giudice può comunque approvare se ritiene che la banca ottiene di più con 150k ora che non con la liquidazione forzata. E tu ti liberi dai 50k rimanenti (questo in un piano del consumatore, perché per mutuo prima casa se vali come consumatore). Quindi sì, se hai un debito enorme con uno solo, la procedura può essere usata come “cram down” di quel creditore, specie se è ragionevole che quell’unico creditore in situazioni alternative (esecuzione) non riuscirebbe a soddisfarsi completamente. Diverso è se l’unico creditore è lo Stato per tributi: lì il giudice può comunque stralciare, ma di solito guarderà se quell’unico creditore accetta. Diciamo che con creditore unico c’è minore collettività di interessi, perciò qualche tribunale suggerisce che la composizione delle crisi presupporrebbe pluralità di creditori. Ma la legge non lo impone espressamente – e la finalità è evitare comunque insolvenze irrisolvibili. Quindi, anche se devi soldi a una sola banca, puoi percorrere queste strade, specialmente se quell’unico creditore non mostra apertura al dialogo.
D: Quanto costa fare una procedura di composizione della crisi? Devo pagare tutto in anticipo?
R: Le procedure hanno dei costi, ma spesso sono dilazionabili o liquidabili dalla massa attiva. In pratica:
- Dovrai pagare un compenso all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). L’importo varia in base al lavoro e al tuo attivo. Spesso è qualche migliaio di euro, raramente supera i 5-6mila anche per situazioni grandi (ed è molto meno costoso di un fallimento, per dire). Non devi pagarli tutti subito: di solito l’OCC chiede un acconto (ad esempio 500€ per iniziare la pratica, e un altro 500€ prima del deposito) e il resto glielo riconosce il tribunale e verrà prelevato durante l’esecuzione del piano, magari come percentuale di quanto verrà pagato ai creditori. Ogni OCC ha tariffe depositate, puoi chiederle in anticipo.
- Se ti avvali di un avvocato (consigliato), se hai i requisiti di reddito puoi chiederlo in gratuito patrocinio (reddito familiare < €11.700 circa). Altrimenti il suo onorario può essere qualche migliaio di euro. Alcuni avvocati applicano tariffe agevolate perché sanno che sei in crisi, magari rateizzano il pagamento proprio sfruttando l’arco del piano stesso.
- Il Tribunale richiede un contributo unificato ridotto: €98 (per le procedure di sovraindebitamento) e qualche marca da bollo. Insomma, costi vivi burocratici sotto i €150.
- Nella liquidazione, il compenso del Liquidatore e le spese (perizie, annunci, ecc.) vengono prelevati dal ricavato delle vendite. Significa che se vendono casa tua, prima pagano le spese e poi il resto ai creditori. Se non c’è nulla da vendere, la procedura neanche parte (improcedibile). Nelle liquidazioni consumer, il liquidatore a volte chiede un fondo spese al debitore per avviare (tipo €500 per atti iniziali), se proprio non c’è attivo. Ma se sei povero spesso soprassiedono o attingono al fondo ministeriale di riserva.
- Nell’esdebitazione incapiente, c’è giusto un minimo per l’OCC: la legge prevede un “compenso contenuto” per il gestore, che alcuni tribunali hanno quantificato anche in €400-500 + oneri. Spesso viene chiesto al debitore come contributo (rateizzabile pure quello). Nulla di paragonabile ai debiti che stai cancellando.
Quindi, benché qualche spesa c’è, non devi pensare di trovare migliaia di euro subito: se li avessi, probabilmente non saresti in quella situazione! OCC e professionisti di solito lo capiscono e modulano i pagamenti. Importante è rivolgersi per tempo: se aspetti l’ultimo momento, ad esempio hai l’asta tra 10 giorni, ti servirà un avvocato per un’istanza urgente e magari un anticipo più alto. Se invece vai appena vedi che non ce la fai più, c’è modo di pianificare anche il pagamento delle spese. In alcuni casi associazioni o fondazioni antiusura aiutano pure a coprire le spese iniziali. Insomma, i costi non dovrebbero essere un deterrente, informati bene presso OCC locali.
D: Ho un immobile pignorato all’asta: la procedura di sovraindebitamento può bloccare l’asta?
R: Sì, una delle misure previste è la possibilità di ottenere la sospensione delle azioni esecutive individuali una volta che presenti la domanda di omologazione di un piano o accordo. Ciò significa che se la casa è in asta, il tribunale dove depositi il ricorso può ordinare la sospensione dell’esecuzione immobiliare, almeno fino alla decisione sul tuo piano. Se poi il piano viene omologato, quell’asta viene proprio annullata e l’immobile rientra tra le cose disciplinate dal piano (magari decidi di venderlo tu a condizioni migliori, o di tenerlo pagando i creditori diversamente). In particolare, l’art. 54 ter del DL 83/2015 (poi trasfuso nel Codice) consente al giudice, sin dall’ammissione alla procedura, di sospendere i pignoramenti in corso. Di solito succede così: presenti il piano del consumatore e contestualmente fai istanza urgente di sospendere l’asta fissata; il tribunale verifica che la tua proposta non è pretestuosa (che c’è una via di soluzione anche parziale) e concede il rinvio. Attenzione però: se poi la procedura non va a buon fine (il piano non viene omologato ad esempio), l’asta riprende da dove si era fermata. Quindi è uno strumento di tutela temporanea, finalizzato a portare i creditori dentro la trattativa in tribunale. Ma è utilissimo per evitare vendite affrettate. Ad esempio, la Cassazione in vari provvedimenti ha confermato che il giudice dell’esecuzione deve allinearsi alle decisioni del giudice concorsuale che sospenda la procedura. In pratica, si può “congelare” l’asta e poi, se il piano passa, quell’esecuzione viene assorbita. Nel concordato minore, analogamente, l’ammissione può sospendere i pignoramenti. Ovviamente, devi muoverti prima che l’immobile venga aggiudicato, perché se ormai è stato venduto all’asta e decreto di trasferimento emesso, è troppo tardi. Quindi, se hai un pignoramento in corso, affrettati a predisporre la domanda di sovraindebitamento. I giudici apprezzano quando il debitore attiva questi strumenti anziché far andare deserta un’asta dopo l’altra.
D: Come incide la procedura sui miei garanti o coobbligati?
R: Importante: la tua procedura di sovraindebitamento non libera i garanti (fideiussori) dal loro obbligo verso i creditori. Se ad esempio tua moglie ti ha fatto da garante sul prestito e tu ottieni un piano che paga il 50% alla banca e poi esdebita il resto, la banca potrà comunque chiedere a tua moglie (garante) il restante 50% a meno che la moglie stessa non sia parte della procedura. Se la moglie convive ed è sovraindebitata pure lei, potete fare un procedimento familiare congiunto così da coinvolgere anche i garanti familiari e liberare tutti assieme. Altrimenti, il garante rimane obbligato per la parte di debito non pagata da te. A volte i creditori non insistono se vedono che la garanzia era debole (es. garante anche lui senza reddito), ma giuridicamente il diritto ce l’hanno. Lo stesso per eventuali coobbligati in solido (ad esempio un cofirmatario del contratto): la sua obbligazione è autonoma e la tua esdebitazione non si estende a lui. Quindi, è opportuno coordinarsi coi garanti: se un familiare ti ha garantito e rischia l’escussione, includilo nella strategia, magari presentate insieme la domanda. Se ciò non è possibile, almeno informalo che stai facendo la procedura, così potrà eventualmente a sua volta valutare tutele (il garante potrebbe anche lui ricorrere a procedure se viene escusso e non riesce a pagare). Una volta che tu ti esdebiti, il creditore tenderà a bussare dal garante se questi è solvente. Solo se anche il garante è nullatenente, allora di fatto pure lui non pagherà, ma rimarrà con la macchia del debito impagato (a meno che anche lui non faccia esdebitazione sua in seguito).
D: Ho sentito parlare di legge “salva suicidi”: è sempre quella del sovraindebitamento?
R: Sì, la legge 3/2012 fu soprannominata “legge salva-suicidi” perché è nata con lo scopo di prevenire i gesti estremi di persone disperate per i debiti. Ha introdotto per la prima volta in Italia un meccanismo per liberare dai debiti anche privati e piccoli imprenditori non fallibili, cosa prima impossibile (solo i falliti potevano chiedere l’esdebitazione dal 2006). Oggi quella legge è stata integrata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, ma spesso nei media si parla ancora di “legge anti suicidi” o “legge 3/2012” per riferirsi a queste procedure. Quindi sì, è la stessa materia: procedure da sovraindebitamento. Aggiornata e migliorata, ma la filosofia è quella – dare una chance a chi è oppresso dai debiti.
D: Se ho troppi debiti conviene rivolgermi a società di “debt management” private che promettono stralci miracolosi?
R: Bisogna essere molto cauti. Ci sono società serie di consulenza debitoria, ma ci sono anche tante realtà opache che speculano sulla disperazione delle persone. Diffida di chi ti chiede subito molti soldi in anticipo promettendo che poi risolverà tutto. Spesso questi intermediari fanno cose che potresti fare tu stesso (es. mandare lettere ai creditori per stralcio) e intanto incassano parcelle cospicue. Se hai una complessa situazione di debiti, probabilmente il miglior interlocutore è un professionista qualificato (avvocato, commercialista) magari esperto in sovraindebitamento, oppure rivolgiti agli sportelli delle associazioni consumatori o di Fondazione antiusura della tua zona – molti offrono prime consulenze gratuite e consigli onesti. Le procedure descritte (piano del consumatore etc.) per legge devono passare attraverso OCC pubblici o iscritti a un registro ministeriale: quindi non c’è bisogno di mediatori privati costosi oltre a OCC e avvocato. Purtroppo alcune società di “gestione debiti” presentano grandi scenari ma poi finiscono per incanalarti comunque alla legge 3/2012 (che potevi attivare anche via canali normali) facendoti pagare un sovrapprezzo. Quindi, informati bene, verifica le referenze di chi ti offre aiuto. Un segnale di affidabilità: se fin dalla prima analisi ti parlano chiaramente di soluzioni legali realistiche (tipo “possiamo tentare un saldo del xx% con questo creditore, oppure valutare un piano del consumatore, i nostri costi sono questi…”), ok. Se invece ti garantiscono “Le azzeriamo tutto in 6 mesi senza tribunalI” oppure “Abbiamo canali speciali con le banche”, allora attenzione: nessuno può garantire esiti certi e di scorciatoie magiche non ce ne sono. Meglio diffidare e sentire più pareri.
D: Dopo l’esdebitazione, i miei dati restano pubblici? Cioè altri sapranno che ho fatto la procedura?
R: Durante la procedura, c’è una certa pubblicità legale: l’omologazione di un piano o l’apertura di liquidazione vengono pubblicate nel Registro delle procedure di insolvenza (tenuto presso le Camere di Commercio) e comunicate anche all’Anagrafe Tributaria. Questo serve per opposizioni di creditori e trasparenza. Però, a differenza dei fallimenti di impresa (che venivano anche annotati nei registri imprese e comunicati in conservatoria), per i consumatori queste procedure non finiscono in un casellario pubblico permanente. Una volta chiusa la procedura e ottenuta l’esdebitazione, il tuo nominativo non è consultabile liberamente come ex fallito (anche perché giuridicamente non è mai stato fallimento). Certo, i creditori coinvolti lo sanno. E se chiederai un grosso prestito in futuro, in fase istruttoria potrebbero richiederti se hai mai fatto procedure concorsuali personali (alcuni moduli bancari ora lo chiedono espressamente). Dire la verità è d’obbligo. Ma per il resto, la cosa non viene pubblicata su Internet con nome e cognome se è questo il timore. Nel Registro ufficiale sì, ma quello è accessibile per professionisti e parti interessate, non è indicizzato da Google. In CRIF, come detto, comparirà la dicitura di sofferenza risolta con riduzione debito. Insomma, la privacy è in parte tutelata: i vicini di casa o il datore di lavoro non vengono informati dal tribunale di per sé (a meno che non fossero creditori). Quindi, dopo l’esdebitazione, puoi condurre la tua vita senza la “lettera scarlatta” addosso, per così dire.
Fonti normative e giurisprudenziali
(Segue un elenco delle principali fonti citate o di riferimento per gli istituti trattati, aggiornate a maggio 2025.)
- Codice Civile – Artt. 1218-1229 (inadempimento e risarcimento danni), art. 1224 c.c. (interessi moratori), art. 1241 c.c. (compensazione), art. 1282-1284 c.c. (decorrenza interessi e tasso legale), art. 1283 c.c. (anatocismo), art. 1343 c.c. (causa illecita, riferimento a interessi usurari), art. 1813-1822 c.c. (contratto di mutuo), art. 1815 c.c. comma 2 (nullità della pattuizione usuraria degli interessi), art. 1186 c.c. (decadenza dal termine per insolvenza), art. 1230 c.c. (novazione), art. 1236 c.c. (remissione del debito), art. 1936 e segg. c.c. (fideiussione), art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale), art. 2901 c.c. (azione revocatoria contro atti in frode ai creditori), art. 2946 c.c. (prescrizione ordinaria 10 anni).
- R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (Legge Fallimentare) – (Per riferimento storico: disciplina del fallimento e concordato preventivo, ora abrogata dal Codice della Crisi dal 15/7/2022). Introduceva l’esdebitazione del fallito (art. 142 L.F.) dal 2006. Oggi rimpiazzata dal D.Lgs. 14/2019 per nuove procedure.
- D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (TUB – Testo Unico Bancario) – Art. 40 (Decadenza dal beneficio del termine nei finanziamenti: 7 rate scadute non pagate per mutui fondiari), art. 41 (Rispetto della forma esecutiva per credito fondiario), art. 120 (Disciplina degli interessi nei rapporti bancari, delibera CICR su anatocismo), art. 120-quinquiesdecies (Cessione del quinto dello stipendio/pensione), artt. 124-126 (Credito ai consumatori: informazioni precontrattuali, recesso, inadempimento del fornitore, estinzione anticipata e compensazione costi), art. 125-bis (trasparenza e calcolo TAEG), art. 125-sexies (indennizzo per estinzione anticipata). Art. 115 TUB (centrali rischi private, sistemi informazione creditizia). – Norme in tema di anatocismo bancario e usura integrate dalla L. 147/2013 e L. 49/2016.
- Legge 7 marzo 1996 n. 108 (Disposizioni in materia di usura) – Definizione del tasso di usura (art. 2 L. 108/96), modalità di calcolo dei tassi soglia trimestrali da parte del MEF. Modifica dell’art. 644 c.p. e art. 1815 c.c. – Si vedano Cass. Pen. Sez. II, n. 12028/2010 e Cass. Civ. Sez. I, n. 5286/2000 per interpretazioni. Cass. Civ. Sez. III, n. 12965/2021 (interessi moratori usurari: nullità e applicazione art. 1224 c.c. in luogo). Cass. Sez. Unite Civ. n. 19597 del 18/09/2020 (conferma applicabilità normativa usura anche agli interessi moratori, superamento teoria del “simmetrico”, pur subordinando la nullità alla verifica di effettiva usurarietà del rapporto; poi corretta/precisata dalla n. 12965/21).
- Decreto Legge 27 giugno 2015 n. 83, conv. L. 132/2015 – (Misure in materia fallimentare ed esecutiva) – Ha introdotto l’art. 14-quaterdecies nella L.3/2012 (esdebitazione anche per il debitore incapiente) e modificato la L.Fall. e il codice proc. civ. in materia di esecuzioni: art. 495 c.p.c. (conversione pignoramento: cauzione ridotta a 1/6, rate fino 18 mesi), art. 560 c.p.c. (sospensione rilascio immobile pignorato con provvedimento giudice), ecc. – Rilevante per sovraindebitamento: possibilità per debitore di chiedere sospensione delle esecuzioni pendenti all’omologa del piano/accordo (art. 12-bis L.3/2012 introdotto).
- Legge 27 gennaio 2012 n. 3 – “Legge sul sovraindebitamento” (antiusura e anti-sovraindebitamento). Art. 6 (definizioni di sovraindebitamento), art. 7 (condizioni di accesso: meritevolezza, esclusione procedure per chi ha già fruito esdebitazione nei 5 anni, ecc.), art. 8-12 (procedura accordo composizione crisi: proposta, percentuali, voto creditori 60%, omologa), art. 12-bis (piano del consumatore: niente voto creditori, omologa giudice valutata meritevolezza e convenienza), art. 13 (risoluzione ed annullamento accordo/piano), art. 14 (liquidazione del patrimonio: nomina liquidatore, effetti, durata 4 anni, ripartizione), art. 14-terdecies (esdebitazione a fine liquidazione; inserito comma 5 per esdebitazione incapiente da L.176/2020). – Legge abrogata formalmente dal D.Lgs.14/2019 ma applicata alle procedure pendenti fino al 2022. Giurisprudenza: Trib. Udine 16/12/2016 (piano del consumatore ammesso per debitore con debiti da ludopatia, riconosciuto meritevole perché patologia); Trib. Busto Arsizio 11/01/2017 (meritevolezza: no se debitore ha colpe gravi). Cass. Civ. Sez. I, n. 1869/2016 (sovraindebitamento – giudice può omologare piano consumatore anche se Fisco dissente, purché soddisfi migliore interesse); Cass. Civ. Sez. VI-1, n. 756/2020 (accordo – esclusione IVA parziale possibile se erario consente, legge 3/12 prima di riforma). Cass. Civ. Sez. I, n. 371/2022 (in liquidazione L.3/2012 il termine 4 anni è minimo, non chiusura anticipata).
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) – In vigore dal 15 luglio 2022 (dopo varie proroghe) – disciplina vigente. Parte dedicata al Sovraindebitamento (denominato “Ristrutturazione dei debiti del consumatore e liquidazione del sovraindebitato”):
- Art. 2 (definizioni: lettera c) definisce “consumatore”; lettera m) definisce “sovraindebitamento” come squilibrio perdurante etc. esteso anche a consumatore, professionista, imprenditore minore).
- Art. 65-66 (ambito soggettivo di applicazione, richiama no soggetti fallibili).
- Art. 67 (procedure familiari: possibilità più debitori conviventi, originanti da causa comune, presentino unica procedura).
- Art. 68 (meritevolezza: esclusione accesso se debitore ha determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede, frode).
- Art. 69-73 (Procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore): contenuto proposta, documenti, intervento OCC, depositi presso tribunale, controllo condizioni, omologazione (art. 70: criteri omologa: giudice verifica meritevolezza debitore e attesta che i creditori ricevano almeno quanto in liquidazione) – l’omologa produce effetti verso tutti i creditori anteriori anche dissenzienti.
- Art. 74-83 (Concordato minore): condizioni (anche imprenditori sotto soglia), proposta, voto creditori (art. 78: maggioranza semplice 50% crediti ammessi al voto), opposizioni all’omologa, omologa (verifica convenienza per eventuali dissenzienti, meritevolezza ex art. 68), ecc. – Nota: Art. 77 come modificato dal D.Lgs. 136/2024 ora preclude accesso se debitore già esdebitato nei 5 anni precedenti (eliminando preclusione se solo aveva fatto ricorso a procedure nei 5 anni).
- Art. 84-90 (Liquidazione controllata del patrimonio): apertura procedura su ricorso debitore o istanza creditore (art. 268, corretto dal D.Lgs.136/24 per improcedibilità se assenza attivo), nomina liquidatore, effetti (spossessamento ex art. 270, termine domande 90gg), principio preferenza soluzioni concordate (art. 271: se creditore chiede liquidazione ma debitore presenta concordato/piano, quest’ultimo esaminato prima), programma di liquidazione (art. 275), chiusura procedura e riparto finale.
- Art. 277-281 (Esdebitazione): art. 277 condizioni generali (onesto, cooperativo, no atti in frode), art. 278 (esclusioni oggettive: debiti alimentari, da multe, da danni da illecito dolo – non esdebitabili), art. 279 (cause diniego: atti in frode, documenti falsi, etc.), art. 280 (esdebitazione in casi di risoluzione/revoca concordato: preclusa se revoca per dolo), art. 281 (modalità esdebitazione in liquidazione giudiziale – simile a vecchia L.Fall., ora modificato da D.Lgs.136/24 per introdurre automaticità dopo 3 anni e semplificare relazione finale), art. 282 (Esdebitazione del debitore incapiente – c.d. esdebitazione senza utilità): requisiti: persona meritevole, nessun attivo; effetti: debiti cancellati salvo obbligo entro 4 anni di pagamento ai creditori del 10% se sopravvengono utilità rilevanti; debitore tenuto ad aggiornare OCC annualmente; una volta sola ammesso; cause revoca se dolo).
- Giurisprudenza CCII: Data recente entrata in vigore, poche Cassazioni ancora. Trib. Napoli Nord, decreto 13/10/2022 (esdebitazione incapiente concessa a soggetto nullatenente, definendo criteri meritevolezza – spese malattia); Trib. Milano 15/11/2022 (prima applicazione concordato minore con continuità). Decreto correttivo ter 2024 (D.Lgs.136/2024) – ha modificato art. 74 comma 2 (definizione risorse esterne: ora “incremento attivo al momento domanda”), art. 77 (preclusione concordato minore se esdebitato <5 anni, tolta preclusione se aveva fatto altra procedura), art. 268 (improcedibilità liquidazione se nessuna prospettiva attivo), art. 269 (relazione OCC deve valutare diligenza debitore nel contrarre debiti – influenza esdebitazione), art. 270 (domande creditori entro 90gg), art. 271 (preferenza procedure concordate su liquidazione su istanza creditori), art. 275 (vari perfezionamenti su programma, revoca liquidatore, ecc.), art. 281 (esdebitazione in liquidazione giudiziale: resa automatica a 3 anni, eliminata istanza debitore dopo 3 anni), art. 282 (coordinamento con nuovo termine 3 anni). – Entrata in vigore 15/10/2024.
- D.Lgs. 149/2022 (Riforma Cartabia processo civile) – Introduzione art. 581 c.p.c. bis e seg. su negoziazione assistita obbligatoria in materia di obbligazioni pecuniarie sotto €50.000. Modifiche a mediazione (estesa a contratti assicurativi, finanziari obbligatoria). – Rilevante per recupero crediti: obbligo tentare ADR prima di giudizio per molte cause di pagamento somme.
- Codice Penale – Art. 644 c.p. (usura: punisce chi “si fa dare o promettere” interessi usurari, rilevante per annullare clausole usurarie perché contrarie a norma imperativa); art. 646 c.p. (appropriazione indebita, es. vendere beni su cui creditori vantano diritti di garanzia), art. 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice: es. sottrarsi a pignoramento nascondendo beni), art. 570 c.p. (violazione obblighi di assistenza familiare: non pagare alimenti può portare sanzioni), art. 641 c.p. (insolvenza fraudolenta: contrarre debiti senza volontà di adempierli, punibile se in contesto di truffa). – Nessuna sanzione penale per il mero insolvenza del prestito, come detto.
- Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
- Recupero crediti ed esecuzioni: Cass. Civ. Sez. III, n. 19282/2016 (limiti pignorabilità pensioni: soglia impignorabile pari a 3x assegno sociale). Cass. Civ. Sez. Unite, n. 27442/2022 (conferma divieto pignoramento pensioni su importi minimi su conto).
- Anatocismo e interessi: Cass. Civ. Sez. Unite, n. 24675/2017 (usura sopravvenuta irrilevante: interessi validi se non usurari al momento del patto; incostituzionalità parziale L.24/2001 su anatocismo bancario non accolta). Cass. Civ. Sez. I, n. 355/2021 (computo CMS commissioni nel TEG usura). Cass. Civ. Sez. I, n. 12965/2021 e Cass. Civ. Sez. III, n. 1938/2019 (nullità clausola interessi moratori usurari, comunque spettano interessi legali ex art. 1224 c.c.).
- Legge sovraindebitamento: Cass. Civ. Sez. I, n. 9087/2018 (meritevolezza: valutazione ex ante e non su origine lecita o meno dei debiti; non precluso accesso se il sovraindebitamento deriva da aver prestato fideiussioni per altri). Cass. Civ. Sez. I, n. 3738/2019 (nel piano consumatore il giudice valuta anche convenienza economica oltre meritevolezza). Cass. Civ. Sez. I, n. 280/2020 (possibile includere IVA nei piani; incompatibilità con normativa europea su falcidia IVA superata da Codice crisi poi). Cass. Civ. Sez. I, n. 28625/2022 (sul regime transitorio L.3/2012 vs CCII). Cass. Civ. Sez. I, n. 17834/2021 (accordo: no omologa se dissenso Erario determina mancanza requisito 60%). Cass. Civ. Sez. VI, ord. n. 7467/2021 (meritevolezza: no preclusione per colpa generica; solo se frode).
- Tribunali di merito (selezione):
- Trib. Milano, decr. 24/01/2020 (omologa piano consumatore con falcidia 90% debiti, debitore incolpevole).
- Trib. Napoli Nord, 28/07/2020 (esdebitazione ex art.14-terdecies L.3 concessa a debitore incapiente, casi particolari).
- Trib. Monza, 13/05/2021 (accordo con creditori omologato anche con voto contrario Agenzia Entrate, soddisfatta pari alla liquidazione).
- Trib. Torino, 15/02/2023 (prima applicazione CCII: esdebitazione incapiente concessa ex art. 282, debiti ex socio SNC).
- Trib. Roma, 01/12/2022 (sospensione asta ex art. 54-ter CCII per presentazione piano consumatore).
- Trib. Bologna, 21/04/2023 (concordato minore: raggiunto 50% voti, omologato, espresso favor legislativo per soluzioni concordate).
- Trib. Firenze, 05/10/2022 (rigetto piano consumatore per mancanza meritevolezza: debitore aveva dilapidato somme in investimenti speculativi)
Non Riesci a Pagare il Prestito Personale: Fatti Aiutare Da Studio Monardo
La rata del prestito ti sta soffocando?
Hai saltato un pagamento o prevedi di non riuscire a rispettare le prossime scadenze?
⚠️ Se non riesci più a pagare il tuo prestito personale, non restare fermo.
Ci sono soluzioni legali e strategie per evitare il pignoramento, la segnalazione in CRIF e la rovina finanziaria.
Cosa succede se non paghi il prestito
💣 Anche un solo ritardo può far partire:
- Segnalazione in CRIF come cattivo pagatore
- Interessi di mora e sanzioni
- Sollecito da parte della banca o della finanziaria
- Dopo alcuni mesi: messa in mora, decreto ingiuntivo e pignoramenti
📌 Prima che il problema esploda, è fondamentale agire per tempo.
Le 5 cose da fare subito
✅ 1. Non sparire: contatta subito la banca o la finanziaria
✅ 2. Chiedi una rinegoziazione del piano di rimborso (rate più basse o allungamento)
✅ 3. Valuta il consolidamento debiti se ne hai più di uno
✅ 4. Verifica se puoi accedere alla procedura di sovraindebitamento
✅ 5. Fatti assistere da un avvocato esperto prima di firmare qualsiasi accordo
Quando interviene la legge per aiutarti
🛡️ Se i tuoi debiti sono ormai fuori controllo, puoi accedere a:
🔹 Piano del Consumatore: paghi solo in base a ciò che puoi, con approvazione del giudice
🔹 Concordato Minore: se hai partita IVA o sei un piccolo imprenditore
🔹 Esdebitazione per incapienti: se non hai redditi o beni, puoi liberarti comunque dal debito
📌 Queste procedure bloccano azioni esecutive e pignoramenti, e ti danno modo di ripartire legalmente.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza il contratto di prestito e verifica eventuali clausole abusive
📉 Valuta la tua situazione debitoria complessiva
🛠️ Ti assiste nella rinegoziazione o nel consolidamento
⚖️ Predispone il piano di sovraindebitamento da presentare al giudice
🔁 Ti protegge da segnalazioni, ingiunzioni, decreti e pignoramenti
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto bancario e gestione del debito personale
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per famiglie e lavoratori in difficoltà economica
✔️ Difensore in casi di prestiti non pagati, segnalazioni e azioni esecutive
Conclusione
Se non riesci più a pagare il prestito personale, non aspettare che arrivi il decreto ingiuntivo.
Con l’aiuto giusto puoi negoziare, proteggerti legalmente e uscire dal debito in modo pulito.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo:
Il debito non va ignorato. Va affrontato con le giuste armi.