Hai firmato una separazione consensuale, ma ti ritrovi ancora con debiti in sospeso? Ti chiedi se quei debiti siano tuoi, del tuo ex coniuge o se siete ancora entrambi responsabili? In molti casi, la separazione personale non risolve automaticamente le situazioni debitorie e può lasciare strascichi legali e patrimoniali anche gravi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto di famiglia, separazioni e tutela del patrimonio – ti spiega cosa succede ai debiti dopo la separazione consensuale, chi è tenuto a pagare e quali strumenti puoi usare per proteggerti da richieste ingiuste o eccessive.
Dopo la separazione chi risponde dei debiti?
Dipende. Se i debiti sono stati contratti congiuntamente durante il matrimonio (es. prestiti cointestati, fideiussioni, mutui), entrambi i coniugi ne restano responsabili, anche dopo la separazione. Se invece sono personali, contratti da uno solo, valgono le regole della responsabilità individuale. Attenzione però: le banche e i creditori non guardano l’accordo di separazione, ma il contratto originario.
La separazione consensuale può liberarmi dai debiti?
No, non automaticamente. L’accordo di separazione può stabilire chi dovrà pagare cosa, ma non è opponibile ai creditori, a meno che non sia seguito da atti formali (es. accollo liberatorio). Se il tuo ex coniuge non paga e tu sei coobbligato, il creditore può rivalersi anche su di te.
Cosa posso fare se rischio pignoramenti per debiti del mio ex?
È possibile:
– verificare i contratti per capire chi è obbligato;
– proporre accordi stragiudiziali o legali per modificare la responsabilità;
– accedere, in caso di sovraindebitamento, a procedure legali di ristrutturazione del debito, anche per separarsi definitivamente dai debiti familiari.
E se la casa è ancora cointestata e c’è un mutuo?
Anche in questo caso serve una verifica accurata. Se uno solo continua a vivere nella casa ma entrambi risultano ancora debitori, la banca può agire su entrambi. È possibile valutare un accordo di divisione, la vendita dell’immobile o un subentro liberatorio.
Hai firmato una separazione ma resti coinvolto nei debiti del passato?
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Introduzione
La separazione consensuale permette ai coniugi di stabilire accordi sull’affidamento dei figli, sul mantenimento e sulla divisione dei beni, ma spesso viene trascurato un aspetto cruciale: la gestione dei debiti comuni o individuali contratti durante il matrimonio. In un contesto in cui uno o entrambi i coniugi siano imprenditori o abbiano posizioni patrimoniali complesse, comprendere a fondo le conseguenze giuridiche dei debiti dopo la separazione è fondamentale. Questa guida avanzata, aggiornata a maggio 2025, offre un’analisi approfondita e strutturata di come affrontare i debiti in seguito a una separazione consensuale, con particolare riguardo alle norme del codice civile, alle leggi tributarie, al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, al codice di procedura civile e alla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione e dei tribunali. Il taglio è tecnico ma divulgativo: l’obiettivo è fornire a avvocati e imprenditori uno strumento completo per orientarsi tra responsabilità patrimoniali, strategie legali e soluzioni pratiche.
La guida esaminerà tutte le principali tipologie di debiti – dai mutui ipotecari ai prestiti personali, dai debiti fiscali a quelli commerciali, senza tralasciare le fideiussioni e le obbligazioni solidali tra coniugi – per capire chi risponde di cosa dopo la separazione e quali tutele esistono. Verranno analizzate le disposizioni normative rilevanti (dal codice civile alle leggi speciali) e illustrate le pronunce giurisprudenziali più recenti (fino al 2024) che incidono sulla materia, ad esempio in tema di pignorabilità dei beni comuni, di fondo patrimoniale, di revocatoria degli accordi di separazione e di tutela del coniuge garante.
Troverete inoltre tabelle riepilogative che sintetizzano le responsabilità patrimoniali in diversi scenari, una sezione di Domande & Risposte per i casi più frequenti, alcune simulazioni pratiche (casi concreti esemplificativi) e modelli o fac-simile di clausole e accordi che possono essere utilizzati per disciplinare la ripartizione dei debiti tra coniugi. Infine, un’ampia sezione elenca tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, per consentire approfondimenti ulteriori. Entriamo ora nel merito, iniziando con un’analisi delle diverse tipologie di debito nel contesto della separazione consensuale.
Tipologie di debiti e implicazioni nella separazione
Una separazione, anche se consensuale, non estingue automaticamente i debiti contratti durante il matrimonio. È necessario distinguere i vari tipi di debito, poiché ognuno può avere implicazioni diverse sulla responsabilità dei coniugi dopo la separazione. Di seguito esaminiamo le principali categorie di debiti – mutui, prestiti, debiti fiscali, commerciali, garanzie personali e obbligazioni solidali – spiegando come vengono trattati legalmente in caso di separazione e quali accorgimenti pratici si possono adottare.
Mutui immobiliari (mutuo cointestato o intestato a un coniuge)
I mutui ipotecari sulla casa familiare sono tra i debiti più comuni in sede di separazione. Se il mutuo è cointestato ad entrambi i coniugi, essi restano obbligati in solido verso la banca anche dopo la separazione: ciò significa che la banca può esigere l’intera rata da entrambi o da ciascuno, indipendentemente dagli accordi interni. La separazione consensuale può prevedere che uno dei due ex coniugi si accolli il pagamento integrale del mutuo, liberando l’altro da tale onere; tuttavia, questa intesa vincola solo i coniugi tra loro, mentre non è opponibile alla banca creditrice in mancanza di un consenso formale della banca stessa. In pratica, se l’ex coniuge incaricato smette di pagare, la banca potrà comunque rivalersi sull’altro coniuge (ancora coobbligato), e quest’ultimo avrà solo il diritto di rivalersi internamente sull’ex coniuge inadempiente, secondo gli accordi di separazione o ai sensi degli artt. 1298 e 1299 c.c. (che regolano la ripartizione interna tra condebitori solidali).
Chi continua ad abitare l’immobile? Spesso, negli accordi di separazione, la casa coniugale viene assegnata a uno dei coniugi (ad esempio al genitore collocatario dei figli). In tal caso, se il mutuo è cointestato, si può cercare di rinegoziare il mutuo con la banca: una strada è la “presa in carico” (accollo) del mutuo da parte di uno solo dei coniugi, con liberazione dell’altro. Questa operazione richiede il consenso della banca, che verificherà la solvibilità del coniuge che rimane obbligato esclusivo e potrebbe richiedere garanzie aggiuntive. Senza liberazione formale, il coniuge che esce di casa ma rimane intestatario del mutuo resta esposto: è quindi prudente, quando possibile, estinguere il mutuo (ad esempio vendendo l’immobile e ripartendo l’eventuale ricavato) oppure procedere alla surrogazione/sostituzione del mutuo intestandolo solo al coniuge assegnatario dell’immobile.
Mutuo intestato a un solo coniuge: se uno solo dei coniugi aveva contratto il mutuo (ad esempio perché proprietario esclusivo della casa), formalmente solo quel coniuge rimane debitore verso la banca. Tuttavia, occorre considerare il regime patrimoniale che vigeva durante il matrimonio: in regime di comunione legale dei beni, anche l’immobile acquistato e il relativo mutuo potrebbero aver fatto parte della comunione (salvo ipotesi di bene personale). In tal caso, i beni in comunione rispondono dei debiti contratti per l’acquisto e la manutenzione del bene comune, e il creditore (banca) potrà pignorare l’intero immobile in comunione legale anche se l’obbligazione era stata assunta formalmente da un solo coniuge. La Cassazione ha chiarito che, in regime di comunione legale “senza quote”, un bene comune indiviso può essere espropriato per intero per soddisfare un debito personale di uno dei coniugi, salvo il diritto dell’altro coniuge di ricevere la metà del ricavato netto della vendita. Questo principio – affermato ad esempio dalla Suprema Corte con la sentenza n. 31563/2018 – comporta che il coniuge non debitore subisce comunque l’esecuzione sul bene comune, ma sarà tutelato nella fase di distribuzione del ricavato (ottenendo la quota di sua spettanza).
Dopo la separazione personale (che, come vedremo, fa cessare la comunione dei beni ai sensi dell’art. 191 c.c.), l’immobile e il mutuo eventualmente residuo vengono di norma attribuiti a uno dei due ex coniugi, secondo l’accordo omologato dal tribunale. È fondamentale formalizzare tale trasferimento (es. rogito notarile per l’immobile e atto di accollo del mutuo), perché finché ciò non accade le intestazioni originarie rimangono valide. In caso di mancato pagamento delle rate, la banca potrà agire nei confronti dell’intestatario originario del mutuo (o di entrambi, se cointestato) indipendentemente dal fatto che la separazione assegna casa e mutuo all’altro coniuge. Dunque, cosa fare con un mutuo in corso durante la separazione? È opportuno:
- Interloquire con la banca sin dalle trattative di separazione, verificando le opzioni (accollo, rinegoziazione, liberatoria).
- Prevedere nell’accordo di separazione clausole chiare sul mutuo: ad es. chi pagherà le rate, l’impegno a liberare l’altro coniuge entro una certa data, o la vendita dell’immobile se l’accollo non è possibile. Tali clausole non vincolano il creditore, ma creano obblighi tra gli ex coniugi (con eventuale risarcimento danni o rimedi esecutivi in caso di inadempimento).
- Valutare garanzie interne: il coniuge che resta obbligato potrebbe richiedere garanzie (ad es. un’ipoteca di controgaranzia, o una somma accantonata) a tutela dell’adempimento dell’altro in caso di insolvenza.
Va ricordato inoltre che trasferire l’immobile al coniuge insieme all’obbligo di accollarsi il mutuo può avere agevolazioni fiscali: la legge di bilancio 2023 ha confermato l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e dalle imposte ipocatastali per gli atti esecutivi degli accordi di separazione o divorzio (come già previsto dall’art. 19 della L. 74/1987). Quindi, se nell’atto di separazione omologato si dispone il trasferimento della casa e la gestione del mutuo, queste operazioni sono tendenzialmente esenti da tassazione, trattandosi di adempimento di accordi di separazione (ciò include anche l’eventuale risoluzione anticipata del mutuo concordata come parte della divisione patrimoniale).
Prestiti personali, finanziamenti e debiti di consumo
I prestiti personali, i finanziamenti al consumo (es. per acquisto auto, arredamento, elettrodomestici) e i debiti su carte di credito revolving o conti scoperti sono un’altra categoria comune. In generale, se questi debiti sono intestati ad uno solo dei coniugi, l’altro non ne risponde personalmente verso il creditore. Tuttavia, occorre distinguere:
- Debiti contratti per esigenze familiari: secondo il codice civile, se il debito è stato contratto nell’interesse della famiglia (ad esempio, un prestito per pagare spese mediche del figlio, oppure per sostenere il menage familiare), vi sono meccanismi di tutela del creditore sul patrimonio comune. In regime di comunione legale, tali debiti gravano sui beni comuni ex art. 186 c.c. e, se la comunione è insufficiente, possono essere soddisfatti anche sui beni personali dei coniugi in via sussidiaria. In altre parole, un finanziamento destinato al mantenimento della famiglia o all’educazione dei figli impegna prima il patrimonio comune e, se questo non basta, ciascun coniuge con i propri beni personali fino a metà dell’importo del debito. Infatti l’art. 190 c.c. prevede che per i debiti “familiari” ciascun coniuge risponde con i propri beni nei limiti della metà del credito insoddisfatto. Questo implica, ad esempio, che se dopo la separazione un coniuge risulta inadempiente su un debito fatto a beneficio familiare, i creditori “familiari” potrebbero aggredire i beni dell’altro coniuge solo fino al 50% del dovuto (qualora i beni comuni precedentemente disponibili non coprano il debito).
- Debiti personali estranei ai bisogni familiari: se uno dei coniugi ha contratto debiti per esigenze personali (non correlate al fabbisogno della famiglia), come ad esempio un prestito per hobby personali, investimenti individuali o spese voluttuarie, il discorso cambia. In regime di comunione legale, l’art. 187 c.c. stabilisce che i beni comuni non rispondono di obbligazioni contratte da un coniuge prima del matrimonio; inoltre, in base all’art. 189 c.c., per i debiti contratti dopo il matrimonio ma estranei ai bisogni della famiglia, i creditori particolari possono aggredire i beni comuni solo in via sussidiaria (dopo aver escusso i beni personali del debitore) e limitatamente al valore della quota del coniuge obbligato. In pratica, un creditore “personale” (ad es. la finanziaria per la carta di credito del marito usata per spese non familiari) deve prima escutere i beni personali del coniuge debitore; se questi sono insufficienti, potrà rivolgersi ai beni della comunione solo fino a concorrenza della metà del loro valore, corrispondente alla quota ideale del coniuge debitore. Questo meccanismo protegge in parte il coniuge non debitore: si evita che un debito completamente estraneo alla famiglia possa azzerare il patrimonio comune, riservandone almeno metà al coniuge “virtuoso”. La Cassazione ha confermato questa lettura, ribadendo che in tal caso si parla di limite quantitativo: il bene in comunione può essere pignorato per intero per il debito personale di un coniuge (essendo indivisibile la comunione in natura), ma i diritti del coniuge non debitore emergono nella distribuzione finale, dove egli ha diritto alla metà del ricavato e quindi il creditore otterrà al massimo l’equivalente della quota del coniuge debitore. Questo è in linea con l’art. 189, comma 2 c.c., che consente appunto la soddisfazione sul patrimonio comune entro il limite della quota spettante al coniuge obbligato.
- Regime di separazione dei beni: se i coniugi erano in separazione dei beni già durante il matrimonio, i debiti contratti da uno generalmente non coinvolgono affatto il patrimonio dell’altro. Non essendoci patrimonio comune (salvo eventuali comproprietà volontarie), ogni coniuge è responsabile solo con i propri beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.). Il creditore non può aggredire i beni intestati all’altro coniuge, a meno che quest’ultimo non sia coobbligato o garante del debito, o che il debito sia stato contratto in nome comune (circostanza rara, di solito i contratti vengono intestati a chi li firma). Anche sotto il profilo familiare, in regime di separazione non opera l’art. 186 c.c., pertanto il coniuge non debitore non è tenuto a rispondere dei debiti dell’altro neppure in via sussidiaria. Ad esempio, se la moglie ha un finanziamento auto intestato solo a lei e la coppia è in separazione dei beni, il marito separato non corre rischi patrimoniali diretti per tale finanziamento, e il creditore non può toccare i beni di lui (circostanza confermata anche dalla prassi del recupero crediti). Attenzione: spesso le finanziarie richiedono la firma di entrambi i coniugi come coobbligati o garanti, specialmente se uno dei due non ha reddito proprio. Se ciò è avvenuto, allora la protezione del regime patrimoniale viene meno, perché con la doppia firma entrambi hanno assunto l’obbligazione. È buona norma, durante il matrimonio, evitare di firmare con leggerezza come coobbligato per i debiti dell’altro coniuge se non necessario, proprio per non creare obbligazioni solidali involontarie.
In sede di separazione consensuale, è opportuno fare un elenco completo di tutti i prestiti e finanziamenti in essere e decidere come gestirli. Le opzioni possono includere: accolli interni (un coniuge si impegna a pagare un debito per intero), rinegoziazione con i creditori (ad esempio chiudere anticipatamente un finanziamento utilizzando denaro ricavato dalla divisione di altri beni, o farsi sostituire in un contratto di leasing), oppure la vendita dei beni acquistati a debito per estinguere le rate residue. Tutte queste soluzioni dovrebbero essere formalizzate per iscritto. Se il rischio di insolvenza è concreto, il coniuge che teme di dover pagare per l’altro potrà esigere garanzie contrattuali: ad esempio, prevedere nell’accordo che, in caso di inadempimento su un debito comune, l’inadempiente dovrà corrispondere una penale o acconsentire immediatamente all’esecuzione forzata su determinati beni a favore dell’altro (clausole che rendono più agevole l’eventuale azione di regresso).
Debiti fiscali e contributivi (Erario e INPS)
I debiti verso il Fisco (Agenzia delle Entrate/Agenzia Entrate Riscossione) e verso enti previdenziali (INPS) presentano caratteristiche peculiari. In Italia, il sistema fiscale non prevede una responsabilità solidale tra coniugi per le imposte sul reddito: ciascun coniuge è contribuente autonomo e risponde personalmente delle proprie imposte (IRPEF, IVA se imprenditore, ecc.), a meno che i coniugi esercitino insieme un’attività d’impresa in forma societaria o abbiano firmato congiuntamente dichiarazioni fiscali (ad es. per l’IMU su un immobile cointestato, ciascuno è di regola obbligato pro quota). Pertanto, se uno dei coniugi accumula debiti tributari (ad esempio, cartelle esattoriali per mancato pagamento di tasse o multe), dopo la separazione l’altro coniuge non può essere escusso in via personale dal Fisco per quei debiti, salvo che figuri formalmente come coobbligato (casi rari, come co-dichiarante in qualche adempimento).
Tuttavia, occorre considerare gli effetti indiretti sui beni comuni o cointestati. Prima della separazione, se vigeva la comunione legale, i beni comuni rispondevano anche dei debiti tributari contratti nell’interesse della famiglia (ad es. tasse sulla casa familiare, o imposte su redditi utilizzati per la famiglia) come di qualsiasi altro debito familiare. Se il debito fiscale invece è connesso all’attività imprenditoriale o professionale di un coniuge, e quindi estraneo ai bisogni familiari, si applica quanto visto per i debiti personali: il fisco dovrà prima agire sui beni personali del coniuge debitore; se essi sono insufficienti, potrà colpire i beni della comunione solo fino al valore della quota del coniuge debitore. Ad esempio, se il marito imprenditore ha un debito IVA, l’Erario potrebbe iscrivere ipoteca su un immobile in comunione dei coniugi, ma in sede di esecuzione forzata la moglie (coniuge non debitore) avrebbe diritto alla metà del ricavato, limitando di fatto il soddisfacimento del fisco alla parte di spettanza del marito.
Dopo la separazione, la comunione si scioglie (ex art. 191 c.c.) e i beni comuni vengono di regola divisi o attribuiti all’uno o all’altro. I debiti fiscali pregressi restano a carico del coniuge che li ha contratti; l’altro coniuge potrà però subire conseguenze se gli sono stati trasferiti beni gravati da ipoteche o fermi amministrativi disposti per i debiti del primo. Facciamo un caso pratico: marito e moglie proprietari in comunione di un immobile; il marito ha cartelle esattoriali impagate e l’Agenzia Entrate Riscossione iscrive ipoteca sull’intero immobile comune (cosa possibile poiché, pur se il debito è personale del marito, l’immobile era indivisibilmente comune). Se in sede di separazione la casa viene assegnata interamente alla moglie, quell’ipoteca continuerà a gravare sull’immobile anche dopo, finché il debito non sia estinto o l’ipoteca cancellata. In casi del genere, la moglie separata – divenuta proprietaria esclusiva della casa – si ritroverebbe un bene vincolato da un’ipoteca per debiti non suoi. La legge consente di cancellare l’ipoteca solo pagando il debito o fornendo garanzie equivalenti; in alternativa, la moglie potrebbe valutare un’azione di rivalsa interna nei confronti dell’ex marito (se, ad esempio, l’accordo di separazione garantiva che le sarebbero stati trasferiti beni liberi da pesi). Questo esempio evidenzia che prima di dividere i beni in separazione è importante verificare l’esistenza di ipoteche o fermi dovuti a debiti fiscali dell’uno o dell’altro, per gestirli appropriatamente (ad es. imputare al coniuge debitore una porzione maggiore di debiti nella divisione economica).
Un caso particolare è quello dei debiti tributari connessi alla casa coniugale. Se la casa è cointestata, le imposte come IMU o TARI sono dovute da entrambi i proprietari, ciascuno per la propria quota (solitamente 50% ciascuno, salvo accordi diversi). La separazione consensuale spesso attribuisce la casa a un coniuge, ma questo non retroagisce sulle obbligazioni tributarie pregresse: se per esempio l’IMU degli anni precedenti non è stata pagata, il Comune o l’Agenzia Riscossione potrà chiedere a ciascun ex coniuge la sua parte (in quanto coobbligati per la loro quota di proprietà nell’anno di riferimento). Anche qui l’accordo di separazione può regolamentare internamente chi pagherà eventuali imposte arretrate sulla casa comune, ma tali pattuizioni non vincolano il fisco, che finché l’immobile era cointestato considera entrambi debitori pro quota.
Debiti con l’INPS o altri enti previdenziali: se un coniuge era titolare di una ditta individuale o attività professionale e ha omesso versamenti contributivi (ad es. contributi INPS artigiani, commercianti, gestione separata, ecc.), i contributi dovuti sono personali e seguono la stessa logica dei debiti fiscali. Un tema che talvolta emerge è la posizione del coadiuvante familiare: in alcune imprese familiari, l’altro coniuge figura come collaboratore. Se così è, potrebbe esistere un’obbligazione contributiva diretta anche per il coniuge collaboratore (per i propri contributi). In ogni caso, l’ente previdenziale (come l’INPS) non può chiedere a un coniuge i contributi dovuti dall’altro, salvo ci sia formale coesponsabilità (ad esempio, se entrambi erano soci di una società di persone, o co-datori di lavoro in un’attività con dipendenti, ecc. in cui la legge prevede responsabilità solidale).
Un discorso a parte meritano le sanzioni tributarie: le multe e sovrattasse fiscali sono personali (non si trasmettono neppure agli eredi, in molti casi). Quindi l’ex coniuge non debitore non può essere chiamato a pagare sanzioni dell’altro. Tuttavia, se per evitare sanzioni un coniuge ha dovuto pagare tasse che erano obbligo dell’altro (ad esempio, ha utilizzato soldi comuni per pagare cartelle intestate al coniuge, onde evitare ganasce fiscali su beni comuni), in sede di separazione ciò dovrebbe essere tenuto in conto. Il coniuge che ha sostenuto debiti dell’altro può farsi riconoscere un credito di regresso o una quota maggiore di patrimonio a compensazione.
Protezione della prima casa e limiti all’esecuzione fiscale: l’ordinamento prevede alcune tutele che possono rilevare nel contesto post-separazione. Dal 2013, l’Agente della Riscossione non può pignorare l’immobile che sia prima casa del debitore, a condizione che egli vi risieda anagraficamente e sia l’unico immobile di proprietà (esclusi catastalmente gli immobili di lusso). Questo divieto (introdotto dal D.L. 69/2013, art. 52, conv. in L. 98/2013) riguarda però il debitore intestatario. Se dopo la separazione l’immobile diventa proprietà esclusiva del coniuge non debitore, tale coniuge è formalmente un terzo rispetto ai debiti fiscali dell’altro: il divieto di pignoramento prima casa non si applica alla casa di un terzo, ma d’altra parte l’Agente della Riscossione non potrebbe comunque aggredire un bene di un terzo per un debito altrui (se il bene ormai è esclusivo del coniuge non debitore, salvo azione revocatoria di cui diremo oltre). C’è però un’eccezione: se il trasferimento avvenuto con la separazione dovesse essere dichiarato fraudolento verso il Fisco (ad esempio tramite un’azione revocatoria fallimentare o ordinaria promossa dall’Erario entro i termini di legge), l’immobile potrebbe tornare aggredibile come parte del patrimonio del debitore. Questo introduce il tema – trattato più avanti – delle azioni revocatorie contro gli accordi di separazione in frode ai creditori.
In sintesi, per i debiti fiscali dopo la separazione consensuale, cosa fare:
- Mappare tutti i debiti erariali/previdenziali noti di ciascun coniuge.
- Verificare eventuali iscrizioni di ipoteca, fermi o pignoramenti su beni comuni o cointestati.
- Prevedere negli accordi chi si farà carico di eventuali debiti fiscali pendenti (pur sapendo che il fisco continuerà a rivolgersi al debitore legale).
- Valutare l’opportunità di separare i patrimoni anche tramite cambio di intestazione di beni prima della separazione (fermo restando il rischio revocatoria se l’operazione è lesiva dei creditori: su ciò vi è giurisprudenza aggiornata, si veda oltre la sezione sulla revocabilità degli accordi patrimoniali in separazione).
- Utilizzare strumenti deflativi: ad esempio, se uno dei coniugi ha cartelle esattoriali, considerare la definizione agevolata o il saldo e stralcio (se legislativamente previsti) prima di procedere alla divisione patrimoniale, così da liberare i beni comuni da vincoli.
Debiti commerciali e dell’attività d’impresa
Quando uno o entrambi i coniugi sono imprenditori o titolari di attività economiche, la separazione può essere complicata dalla presenza di debiti commerciali: fornitori da pagare, esposizioni bancarie dell’azienda, leasing aziendali, scoperti di conto corrente, ecc. Qui la variabile chiave è la forma giuridica dell’attività e il regime patrimoniale scelto:
- Se l’impresa è esercitata in forma individuale (ditta individuale) da un coniuge, i debiti dell’impresa sono debiti personali di quel coniuge. Durante il matrimonio in comunione legale, gli utili reinvestiti e alcuni beni acquistati confluiscono nella comunione de residuo, ma i debiti dell’impresa individuale restano a carico dell’imprenditore. I creditori aziendali (fornitori, banche) possono però aggredire anche i beni comuni se le condizioni dell’art. 189 c.c. sono soddisfatte, ovvero in via sussidiaria fino alla quota del coniuge debitore. Questo scenario è simile a quello dei debiti “personali” estranei ai bisogni familiari: ad esempio, un debito verso un fornitore di merci per l’azienda del marito non è un debito contratto per la famiglia, quindi prima di intaccare il patrimonio comune il creditore deve escutere i beni personali dell’imprenditore; solo se non bastano, potrà colpire i beni comuni (e comunque massimo fino al 50% del loro valore). In regime di separazione dei beni, invece, l’attività individuale di un coniuge non coinvolge in alcun modo l’altro coniuge: i creditori dell’impresa individuale non possono toccare beni intestati all’altro coniuge.
- Se l’impresa è una società di persone (snc, sas) a cui partecipano i coniugi, oppure uno dei coniugi e terzi, la situazione può essere delicata. Nelle società in nome collettivo (snc), tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente con il proprio patrimonio personale dei debiti sociali (art. 2291 c.c.). Ciò significa che, se entrambi i coniugi erano soci, i creditori sociali possono rivalersi su entrambi anche dopo la separazione coniugale (perché la separazione non incide sul vincolo societario pregresso, semmai sarà il recesso o lo scioglimento del rapporto sociale a delimitarne la responsabilità). Se solo uno dei coniugi era socio illimitatamente responsabile (ad es. socio accomandatario in una SAS, o socio di una SNC), l’altro coniuge di per sé non è responsabile dei debiti sociali. Va però valutato se l’altro coniuge ha firmato fideiussioni in favore della società (caso frequente: la banca fa firmare la moglie come garante del fido concesso alla società del marito). In tal caso, quella moglie è obbligata verso il creditore in forza del contratto di garanzia (si veda la sezione sulle fideiussioni infra). Inoltre, in comunione legale, la quota societaria acquistata durante il matrimonio rientrava in comunione de residuo (per le società di persone, dottrina e giurisprudenza maggioritaria la includono tra gli acquisti), quindi la sua eventuale liquidazione potrebbe essere rivendicata al 50% dall’altro coniuge. Ma per quanto riguarda i debiti, solo il socio ne risponde verso terzi. Dunque, ad esempio, se il marito era socio di una SNC indebitata, dopo la separazione i creditori della società continueranno a poter aggredire i beni personali del marito (inclusi quelli a lui attribuiti con la separazione) e anche eventualmente i beni che erano comuni fino al momento dello scioglimento della comunione (per la sua quota), ma non i beni assegnati in via esclusiva alla moglie a titolo di sua spettanza nella comunione sciolta, salvo che si dimostri che la divisione è avvenuta in frode ai creditori.
- Se l’attività è una società di capitali (SRL, SPA) di proprietà di uno o di entrambi i coniugi: qui i debiti sociali gravano sulla società stessa, e i soci rispondono limitatamente al capitale conferito. In linea generale, i creditori di una SRL non possono aggredire direttamente il patrimonio personale del socio (salvo fideiussioni personali prestate dal socio, evenienza comune per le piccole SRL in cui la banca spesso chiede al socio/amministratore garanzie personali). Pertanto, se l’azienda era strutturata come SRL intestata (in tutto o in parte) a un coniuge, i debiti aziendali non dovrebbero toccare l’altro coniuge – a meno che quest’ultimo non abbia firmato garanzie. Attenzione però: se i coniugi avevano quote societarie in comunione legale, la separazione comporta la divisione di queste partecipazioni. Spesso uno dei due esce dalla compagine sociale cedendo le sue quote all’altro (o a terzi) come parte dell’accordo patrimoniale. Occorre fare attenzione a eventuali responsabilità pregresse (ad es. il coniuge amministratore potrebbe avere responsabilità verso la società o i creditori sociali per mala gestio; oppure, in caso di fallimento della società, potrebbero essere promosse azioni di responsabilità o revocatorie che coinvolgono atti compiuti tra società, socio e coniuge). Dal punto di vista dei creditori personali del socio, è utile ricordare che la quota di SRL è pignorabile; tuttavia, se vi era comunione, il pignoramento di una quota comune prima della separazione avrebbe dovuto rispettare le regole della comunione. Dopo la separazione, le quote vengono normalmente attribuite individualmente, per cui i creditori personali del socio possono procedere al pignoramento della quota assegnata a quest’ultimo.
Fondo patrimoniale e debiti d’impresa: molti imprenditori costituiscono un fondo patrimoniale sugli immobili di famiglia per proteggerli dai rischi d’impresa. Il fondo patrimoniale è un vincolo sui beni (artt. 167 ss. c.c.) destinati ai bisogni della famiglia, che impedisce ai creditori di agire su di essi se i debiti non sono stati contratti per bisogni familiari (art. 170 c.c.). La Cassazione ha ripetutamente affrontato il caso di debiti d’impresa (o garanzie prestate per l’impresa) in relazione al fondo patrimoniale: è stato chiarito che non c’è automatismo nel considerare un debito come contratto per i bisogni della famiglia solo perché dall’attività d’impresa derivano i redditi familiari. In particolare, con l’ord. n. 29983/2021 la Cassazione ha stabilito che il creditore non può semplicemente sostenere che un debito derivante da fideiussione a favore di una società sia automaticamente per fini familiari (sul presupposto che l’attività d’impresa procura sostentamento alla famiglia); allo stesso modo, il debitore che si oppone all’esecuzione sul fondo deve provare specificamente che quel debito era estraneo ai bisogni familiari, e tale prova non si esaurisce nel dire che trattasi di debiti dell’attività economica. In pratica: se il marito imprenditore ha un fondo patrimoniale sulla casa, e contrae debiti con fornitori, sarà presumibilmente difficile per i creditori dimostrare che quei debiti erano per la famiglia (erano per l’azienda); quindi il fondo dovrebbe reggere ed essere impignorabile. Ma se i debiti riguardano, ad esempio, un mutuo ipotecario acceso sull’immobile in fondo per liquidità poi usata anche per spese familiari, il confine diventa più sfumato. La separazione in sé non incide sul fondo patrimoniale: il fondo permane anche tra coniugi separati (cessa solo con l’annullamento, scioglimento o cessazione effetti civili del matrimonio, art. 171 c.c., o quando i figli minori diventano maggiorenni se non prorogato). Tuttavia, in sede di separazione i coniugi potrebbero accordarsi per sciogliere il fondo o ripartire diversamente i beni vincolati. È bene fare attenzione: se il fondo viene sciolto o i beni escono dal fondo e assegnati a un coniuge, tali atti potrebbero essere considerati pregiudizievoli per i creditori e soggetti a revocatoria (ordinaria o fallimentare) se il debitore era già insolvente o tale atto li ha pregiudicati (su ciò, vedi la parte sulla revocatoria degli atti tra coniugi).
Riassumendo per i debiti commerciali e d’impresa: la separazione non fa venir meno le responsabilità che ciascun coniuge ha verso i creditori della propria attività, ma può essere l’occasione per limitare i danni tramite una ristrutturazione dei debiti (ad esempio con accordi di rientro con le banche, o con procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, se applicabili) e tramite la segmentazione dei patrimoni (assegnando i beni liberi dal rischio al coniuge non imprenditore, fatto salvo il rischio di revocatoria). È fondamentale rivolgersi a consulenti legali e magari anche a uno specialista in crisi d’impresa se la mole di debiti è rilevante, per valutare se sia opportuno percorrere strade come: accordi con i creditori, piani attestati, procedure concorsuali (ad esempio, il nuovo codice della crisi prevede strumenti come la composizione negoziata della crisi, estensibili anche all’imprenditore individuale). Ricordiamo infatti che dal 2020-2022 è entrato in vigore il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che ha introdotto anche procedure per la crisi dei soggetti non fallibili (sovraindebitamento). Se un coniuge (imprenditore minore, professionista, consumatore) dopo la separazione si trova sovraindebitato, potrebbe valutare una procedura di esdebitazione o un piano del consumatore/familiare. Il codice della crisi, come modificato, consente anche a membri della stessa famiglia conviventi di presentare un unico piano di ristrutturazione familiare in caso di sovraindebitamento comune. Ad esempio, se entrambi i coniugi (ancorché separati di fatto ma magari conviventi sino a poco prima) hanno debiti, potrebbero proporre un unico piano ai creditori per regolare la crisi familiare. Si tratta di strumenti specialistici da valutare con l’assistenza di un legale esperto in procedure concorsuali.
Fideiussioni e garanzie personali tra coniugi
Le fideiussioni e garanzie personali sono un aspetto delicato: capita spesso che un coniuge presti garanzia per debiti dell’altro coniuge o delle relative attività (si pensi alla moglie che firma da garante per il finanziamento ottenuto dal marito, o viceversa). Analizziamo due profili: (a) il coniuge che fa da garante per obbligazioni di terzi (in particolare, per l’altro coniuge) e (b) eventuali garanzie reciproche tra i coniugi.
(a) Coniuge fideiussore di un debito del partner: Giuridicamente, il garante (fideiussore) si obbliga personalmente verso il creditore per garantire l’adempimento altrui (art. 1936 c.c.). Se, ad esempio, durante il matrimonio la moglie ha firmato una fideiussione in favore della banca per il fido concesso alla società del marito, oppure il marito ha garantito il mutuo intestato alla moglie, la separazione non modifica questa obbligazione. Il coniuge garante rimane tale anche da separato: se il debitore principale (l’altro coniuge o la sua società) non paga, il creditore potrà escutere il fideiussore sugli impegni assunti. Questo può generare situazioni inique: ad esempio, marito e moglie si separano, l’azienda del marito fallisce e la banca si rivale sulla moglie separata in virtù della fideiussione che lei aveva prestato per quell’azienda. La moglie dovrà pagare (nei limiti garantiti) e potrà poi rivalersi sul marito, ma se questi è insolvente o fallito, otterrà ben poco. È possibile liberarsi dalla fideiussione dopo la separazione? In linea di massima, una fideiussione è un contratto che può essere revocato solo con il consenso del creditore garantito. Quindi, a meno che la banca accetti di liberare il garante (ad esempio sostituendolo con altra garanzia), la firma prestata in passato continua a vincolare il coniuge garante anche se nel frattempo lo status coniugale è mutato. Ci sono alcune eccezioni: se la fideiussione era a tempo determinato o aveva clausole di revoca unilaterale, il garante potrebbe attivarle; ma molte fideiussioni bancarie standard sono “omnibus” a tempo indeterminato, difficili da disdettare per i debiti già contratti.
Tutela del coniuge fideiussore come consumatore: Una notizia positiva viene dalla recente giurisprudenza: le Sezioni Unite della Cassazione con ordinanza n. 5868 del 27/02/2023 hanno affermato che la persona fisica che presta fideiussione per un debito altrui estraneo alla propria attività professionale può essere considerata consumatore, con conseguente applicazione delle tutele del Codice del Consumo. In pratica, se la moglie casalinga ha garantito un debito della società del marito, ella agiva per fini personali (aiutare il marito) ma non imprenditoriali propri; dunque è considerata consumatore rispetto al contratto di fideiussione. Questo è importante perché consente di invocare, ad esempio, la normativa sulle clausole abusive e sulla chiarezza contrattuale. Molti contratti di fideiussione bancaria contengono clausole standardizzate che la Banca d’Italia e l’AGCM hanno giudicato anticoncorrenziali (celebre il caso delle fideiussioni “a schema ABI” con clausole di revoca in massa). Il fideiussore-consumatore può far valere la nullità di clausole vessatorie e in generale beneficiare di un maggiore scrutinio di merito da parte del giudice. Dunque, la moglie fideiussore-consumatore potrebbe, in un giudizio promosso dalla banca, contestare l’applicazione di certe clausole o la misura degli interessi se usurari, ecc., con qualche chance in più di chi non fosse qualificato come consumatore. Attenzione: l’essere consumatore non la libera dall’obbligo di pagare, ma potrebbe portare a ridurre l’importo dovuto o a far cadere clausole di decadenza dal beneficio del termine illegittime, ecc.
Invocare l’art. 1956 c.c.: Questo articolo prevede che, nelle fideiussioni per obbligazioni future, se il creditore concede nuovo credito al debitore sapendo che le condizioni patrimoniali di quest’ultimo sono peggiorate, senza avvisare il fideiussore, allora il fideiussore è liberato. Alcuni coniugi garanti hanno tentato di usare questa norma per sfuggire alla garanzia sostenendo: “mio marito (debitore) è peggiorato economicamente e la banca gli ha fatto altri fidi senza interpellarmi, dunque io garante sono libero”. La Cassazione, però, ha escluso l’applicabilità di tale tutela tra coniugi in almeno un caso: con sentenza n. 4112/2016 ha stabilito che la moglie garante del marito non può invocare l’art. 1956 c.c. per sottrarsi alle pretese della banca, poiché la vicinanza coniugale la rende presuntivamente informata dell’aggravamento delle condizioni del marito, equivalendo a un assenso tacito al credito ulteriore. In altre parole, il vincolo di convivenza fa presumere che la moglie fosse già al corrente del dissesto finanziario del marito e quindi non si applica la tutela che spetterebbe a un fideiussore estraneo ingannato dalla banca. Questa pronuncia (Cass. 2 marzo 2016, n. 4112) è severa verso il garante coniuge, e significa che difficilmente si potrà ottenere l’annullamento di una garanzia sostenendo di non essere stati informati del rischio, specie se al tempo si conviveva.
(b) Garanzie reciproche o interne tra coniugi: È meno frequente, ma può succedere che i coniugi tra loro assumano obbligazioni di garanzia. Ad esempio, potrebbe esserci un pegno o una ipoteca concessi da un coniuge su un proprio bene a garanzia di un debito dell’altro coniuge. Dopo la separazione, queste garanzie reali rimangono in vigore sino a soddisfazione del debito o liberazione concordata con il creditore. Una situazione particolare è quando entrambi i coniugi garantiscono insieme un debito (es. mutuo cointestato con ipoteca su casa comune: in tal caso sono debitori principali, non garanti). Oppure può accadere che un coniuge, per sistemare i rapporti economici, garantisca all’altro l’adempimento di certe obbligazioni dell’accordo di separazione (ad esempio: “mi impegno a pagarti una somma X, garantisco con fideiussione/assegno/garante terzo tale pagamento”). Tali garanzie interne sono valide e, se omologate nell’accordo di separazione, diventano esecutive.
In definitiva, rispetto alle fideiussioni prestate in ambito familiare, dopo la separazione è importante:
- Inventariare tutte le garanzie prestate da ciascun coniuge (in particolare quelle a favore di banche o finanziarie) e notificare al coniuge non debitore la situazione, così che non la scopra improvvisamente a separazione avvenuta.
- Negoziare con i creditori una liberazione del garante, quando possibile. Ad esempio, se il coniuge debitore ha ancora solidità, proporre alla banca di liberare l’ex coniuge garante sostituendo la garanzia con ipoteche aggiuntive o nuovi garanti più “vicini” al debitore. La banca non è obbligata, ma se il debitore ha interesse (ad esempio perché vuole evitare che l’ex coniuge possa rivalersi sul suo patrimonio in futuro), potrebbe lui stesso offrire garanzie alternative per ottenere la liberatoria dell’ex consorte.
- Prevedere indennizzi nell’accordo: se uno dei due rimane garante di un debito dell’altro, si può pattuire che, in caso di escussione, il debitore principale dovrà indennizzare immediatamente e integralmente il garante separato. Questa clausola, pur essendo in realtà già un effetto legale (il garante ha diritto di regresso ex art. 1950 c.c.), ribadisce l’impegno e potrebbe prevedere penali o garanzie a favore del garante (es: il coniuge debitore gli ipoteca un altro bene a controgaranzia).
- Monitorare la posizione: il coniuge garante dovrebbe essere tenuto informato dal debitore principale sull’andamento dei pagamenti. Si potrebbe inserire nell’accordo che il debitore fornirà estratti conto o documentazione periodica, e che l’eventuale ritardo nei pagamenti costituirà titolo per un provvedimento d’urgenza a tutela del garante (ad es. autorizzazione a pagare direttamente per evitare l’escussione e poi detrarre dall’assegno di mantenimento).
Obbligazioni solidali tra coniugi (debiti cointestati e spese per i bisogni della famiglia)
Il termine obbligazioni solidali indica quelle situazioni in cui due o più soggetti sono obbligati per la medesima prestazione in modo che il creditore può pretendere l’intero da ciascuno (art. 1292 c.c.). Tra coniugi, le obbligazioni solidali possono sorgere per contratto (ad esempio, entrambi firmano un finanziamento) o per legge (nel caso delle spese per i bisogni della famiglia). Vediamo le principali ipotesi:
- Debiti cointestati o contratti congiuntamente: se entrambi i coniugi hanno firmato un contratto di finanziamento, un mutuo, un noleggio, ecc., essi sono coobbligati in solido verso il creditore. La separazione non scioglie questa solidarietà contrattuale verso il terzo. Dunque, agli occhi del creditore continuano ad essere entrambi debitori dell’intero importo. L’accordo di separazione potrà stabilire, ad esempio, che ciascuno pagherà una quota residua (50%-50% o altra proporzione) o che uno dei due si accolla il debito, ma il creditore potrà comunque escutere chi preferisce (di solito chi appare più solvibile). Un esempio tipico è il fido bancario su conto cointestato: marito e moglie hanno un conto cointestato in rosso di 20.000 euro; se si separano e stabiliscono che il marito si farà carico di ripianarlo, ma questi non lo fa, la banca potrà rivolgersi anche alla moglie per il saldo. Questo è un debito solidale da contratto cointestato.
- Spese per i bisogni della famiglia: il codice civile (artt. 143 e 147 c.c.) impone ad entrambi i coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione alle proprie sostanze e capacità di lavoro. Inoltre, durante il matrimonio, l’art. 186 c.c. stabilisce che i debiti contratti anche separatamente da un coniuge nell’interesse della famiglia obbligano la comunione e (se la comunione non basta) entrambi i coniugi sui propri beni. In un certo senso, quindi, i coniugi sono solidali per le obbligazioni familiari: non tanto nel senso che un creditore potrà indifferentemente chiedere tutto a uno solo senza condizioni (perché deve prima escutere il patrimonio comune, come visto), ma nel senso che entrambi i coniugi sono tenuti a risponderne almeno con la sostanza comune e, se occorre, pro quota anche con la propria. Un esempio: la retta scolastica dei figli firmata solo dalla madre – se il padre non provvede e la madre non paga – è un debito contratto nell’interesse della famiglia; la scuola potrebbe, previo precetto, tentare pignoramento su beni comuni o chiedere l’intervento coattivo del padre in base al dovere di mantenimento. In concreto, tuttavia, fuori dai meccanismi della comunione legale, un creditore estraneo non può facilmente chiamare in causa direttamente l’altro coniuge se non c’è un titolo esecutivo contro quest’ultimo. Nella prassi, le obbligazioni per spese familiari vengono fatte valere tramite il giudice civile familiare (ad es., un coniuge può chiedere ordini di pagamento ex art. 148 c.c. se l’altro non contribuisce). Dopo la separazione, tali spese rientrano più propriamente nel regime di mantenimento stabilito dal giudice: ciascun coniuge avrà obblighi precisi (es. il padre paga il 70% delle spese straordinarie dei figli, la madre il 30%). Se un ex coniuge non paga una spesa straordinaria di sua spettanza, la controparte potrà agire esecutivamente con il titolo costituito dalla sentenza di separazione o dall’accordo omologato, ma ciò rientra nella sfera del mantenimento, non di una solidarietà illimitata. Quindi, la solidarietà legale tra coniugi per i bisogni della famiglia cessa con la separazione: da quel punto in poi, i rapporti economici sono disciplinati dalle pattuizioni di separazione (o dai provvedimenti del giudice) e in mancanza ciascuno contrarrà debiti solo per sé.
- Obbligazioni solidali verso terzi per legge: al di fuori dell’ambito familiare stretto, ci sono poche ipotesi di legge in cui due coniugi sono resi solidalmente responsabili verso terzi. Una è in materia fiscale: per esempio, se un coniuge è coobbligato d’imposta (ciascuno per la sua parte, non solidalmente) non c’è solidarietà; ma su alcune imposte locali, i regolamenti comunali a volte considerano la famiglia come nucleo. Ciò però va oltre il dettato del codice. Un’altra ipotesi riguarda i danni: se i coniugi commettono insieme un illecito (es. gestione congiunta di un’attività dannosa), potrebbero essere chiamati in solido a risarcire, ma non perché coniugi, semplicemente perché corresponsabili del fatto.
Cosa fare con i debiti solidali in separazione: il consiglio primario è chiudere il più possibile le pendenze comuni. Se c’è un prestito cointestato, idealmente si dovrebbe estinguerlo oppure intestarlo a uno solo tramite novazione con il creditore. Se ciò non è fattibile, è cruciale disciplinare nell’accordo come verrà gestito (chi versa le rate, come si conguaglia la quota eventualmente pagata in più da uno dei due). Inserire clausole di manleva: ad esempio, “il marito terrà indenne la moglie da ogni richiesta della banca X relativa al finanziamento Y, obbligandosi a rifonderle immediatamente quanto eventualmente da lei pagato, con penale di €… in caso di inadempimento”. Questa clausola crea un titolo contrattuale che, se omologato, sarà parte integrante delle condizioni di separazione, e potrà essere azionato esecutivamente in caso di necessità.
Infine, va ricordato che se uno dei coniugi paga interamente un debito solidale, questi ha diritto di regresso verso l’altro per la sua parte (art. 1299 c.c.). La separazione non elimina questo diritto: ad esempio, se dopo la separazione la moglie finisce per pagare l’intero debito residuo di € 10.000 di un prestito cointestato, potrà chiedere al marito € 5.000 indietro, salvo diverso accordo (si presuppone una divisione a metà se il contratto era per scopi comuni; se fosse dimostrabile che il prestito era stato usato solo dal marito, la moglie potrebbe persino pretendere il rimborso integrale come indebito arricchimento, ma scenari complessi). Tali questioni di regresso possono essere evitate regolando tutto chiaramente nell’accordo di separazione.
Quadro normativo applicabile
Affrontare i debiti post-separazione richiede di muoversi in un labirinto normativo che coinvolge diverse branche: codice civile (regime patrimoniale della famiglia, obbligazioni in generale, garanzie, mantenimento), codice di procedura civile (aspetti esecutivi e procedurali), legislazione tributaria (riscossione e privilegi del fisco), codice della crisi d’impresa (se rilevano situazioni d’insolvenza o revocatorie fallimentari) e altre disposizioni speciali. In questa sezione riepiloghiamo le norme chiave suddivise per area, dando riferimenti puntuali.
Codice Civile – Regime patrimoniale e obblighi tra coniugi
- Contributo ai bisogni della famiglia: L’art. 143 c.c. stabilisce che con il matrimonio i coniugi assumono l’obbligo di collaborazione e assistenza morale e materiale e di contribuire ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze e capacità di lavoro. L’art. 147 c.c. specifica l’obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli. Queste norme creano la base per ritenere che le spese sostenute da un coniuge per la famiglia impegnino entrambi moralmente; a livello patrimoniale concreto, ciò si riflette (durante il matrimonio in comunione) negli artt. 186 e 190 c.c. visti infra.
- Comunione legale dei beni: Il regime di comunione legale (artt. 177 c.c. e seguenti) implica che tutti gli acquisti compiuti insieme o separatamente dai coniugi durante il matrimonio entrano nella comunione, salvo i beni personali elencati nell’art. 179 c.c. (come beni posseduti prima, ricevuti per eredità/donazione personale, ecc.). Rilevante per i debiti: l’art. 186 c.c. elenca gli obblighi gravanti sui beni della comunione, che abbiamo già richiamato: pesi e oneri sui beni comuni, debiti da amministrazione dei beni comuni, spese per il mantenimento della famiglia e per l’educazione dei figli, ogni obbligazione contratta da entrambi i coniugi o separatamente nell’interesse della famiglia, nonché ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi. Questa norma sancisce che il patrimonio comune è direttamente vincolato a garanzia di tali debiti. L’art. 187 c.c. dispone invece che i beni comuni (salvo quanto previsto dall’art. 189 c.c.) non rispondono delle obbligazioni contratte da un coniuge prima del matrimonio.
- Responsabilità sussidiaria e limite di quota: L’art. 189 c.c. è fondamentale: al comma 1 tratta dei debiti per atti di straordinaria amministrazione compiuti senza il necessario consenso dell’altro coniuge (in regime di comunione serve il consenso di entrambi per vendere beni immobili, ecc.): di tali debiti risponde solo il coniuge che li ha contratti con i suoi beni personali e con la sua quota di comunione. Il comma 2 dell’art. 189 estende il principio ai debiti personali (anche anteriori al matrimonio): i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto prima del matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ciò crea quel “limite quantitativo” del 50% di cui si è detto. L’art. 190 c.c. poi regola il rovescio: i creditori per debiti della famiglia (elencati in art. 186 c.c.) se i beni comuni non bastano, possono agire sui beni personali di ciascun coniuge, entro il limite della metà del credito. Queste norme sono la concretizzazione legislativa del bilanciamento tra tutela del credito e protezione del coniuge non diretto obbligato. Da notare che, se un creditore particolare tenta di colpire un bene comune prima dello scioglimento della comunione, proceduralmente deve rispettare forme particolari: la Cassazione ha escluso l’applicabilità dell’espropriazione di beni indivisi ex art. 599 c.p.c., ritenendo invece applicabile l’espropriazione contro il terzo proprietario (art. 602 c.p.c.) nei confronti del coniuge non debitore. Ciò comporta, ad esempio, la necessità di notificare l’esecuzione anche al coniuge non debitore (come soggetto passivo dell’esecuzione). Il tema è tecnico, ma in sostanza conferma: bene comune pignorabile per intero, coniuge non debitore partecipa alla procedura e ha diritto a metà del ricavato.
- Scioglimento della comunione: L’art. 191 c.c. elenca le cause di scioglimento della comunione: tra queste, la separazione personale (oltre al divorzio, annullamento, morte, accordo di separazione dei beni, fallimento di un coniuge). Molto rilevante: la legge n. 55/2015 (“divorzio breve”) ha modificato l’art. 191 aggiungendo che lo scioglimento della comunione tra coniugi si verifica alla data di autorizzazione a vivere separati nel caso di separazione giudiziale, o alla data di omologazione del verbale di separazione consensuale. Quindi, non serve attendere la sentenza definitiva: già dal momento in cui il presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati (nel procedimento di separazione) la comunione cessa. Ciò ha effetto pubblicitario (viene comunicato all’ufficiale di stato civile, che annota lo scioglimento del regime patrimoniale). Da quel momento, tutti gli acquisti successivi di ciascun coniuge sono personali, e allo stesso modo i debiti contratti dopo quella data sono personali, senza coinvolgere eventuale comunione (che non c’è più). Questo dettaglio cronologico è importante: ad esempio, se un coniuge contrae un prestito dopo l’udienza presidenziale di separazione, quel debito non può più gravare sui beni comuni (che sono ormai in fase di divisione) né sull’altro coniuge.
- Rimborsi e crediti tra coniugi legati ai debiti comuni: L’art. 192 c.c. prevede regole di rimborso in caso di contributi diversi al patrimonio comune. In particolare, il comma 3 stabilisce che il coniuge che ha pagato con denaro personale un debito gravante sulla comunione subentra al creditore nei limiti in cui è stato soddisfatto con beni comuni. Ad esempio, se la moglie ha usato soldi personali per pagare un debito della comunione, avrà diritto di prelevare somma equivalente quando si dividerà la comunione. Viceversa, se un creditore particolare di un coniuge si soddisfa su beni comuni, il coniuge non debitore è creditore di rivalsa verso il coniuge debitore (in sede di divisione della comunione) ex art. 192, co. 2 c.c.. Questo consolida equità: in divisione, si terrà conto che metà del bene comune è stata usata per pagare un debito personale dell’altro, quindi a quell’altro andrà assegnato meno o dovrà compensare.
- Regime di separazione dei beni: In contrapposizione alla comunione, c’è la separazione dei beni (art. 215 c.c. e seguenti), che per definizione fa sì che ciascun coniuge conservi la titolarità esclusiva dei beni acquisiti durante il matrimonio (salvo scelte di cointestazione volontaria). Nel regime di separazione, non si applicano gli artt. 186-190 c.c. perché non c’è massa comune. Dunque, ciascun coniuge risponde solo dei propri debiti con i propri beni. Una norma utile: l’art. 217 c.c. prevede che i beni acquistati insieme dai coniugi in regime di separazione si considerano in comunione ordinaria (cioè ciascuno ha una quota). In tal caso, per i debiti su questi beni valgono le regole normali della comunione fra comproprietari estranei (ad esempio, se due comproprietari di un bene ordinario hanno debiti, il creditore per il debito di uno può pignorare la quota di proprietà di quello, ex art. 599 c.p.c.; mentre nella comunione legale la quota non è materialmente individuabile finché dura, come visto). Ciò significa che con separazione dei beni, se marito e moglie comproprietari al 50% di un immobile, un creditore del marito può pignorare la quota 1/2 del marito (non l’intero), con facoltà per il coniuge non debitore di chiedere la divisione ex art. 600 c.p.c. (opposizione all’esecuzione per separare la sua parte). Questo è un regime più favorevole al coniuge non debitore rispetto alla comunione legale “senza quote”, dove come detto la prassi è pignorare tutto il bene.
- Obbligazioni tra i coniugi dopo la separazione: Dopo la separazione personale (che non scioglie il matrimonio ma ne sospende gli effetti in attesa di un eventuale divorzio), gli obblighi di natura patrimoniale tra coniugi cambiano. In particolare: l’art. 156 c.c. disciplina l’assegno di mantenimento in favore del coniuge debole, se dovuto; l’art. 337-ter e segg. c.c. (come riformato) disciplinano il mantenimento dei figli. Sono crediti speciali, estranei al tema dei debiti verso terzi ma menzionabili perché un coniuge potrebbe accumulare debiti per mancato pagamento del mantenimento. Tali crediti di mantenimento sono assistiti da alcuni privilegi e possibilità di riscossione forzata (vedi oltre sezione giurisprudenza per trattamento in procedure concorsuali). Inoltre, l’art. 158 c.c. stabilisce che gli accordi tra coniugi contenuti nei provvedimenti di separazione (omologati) sono immutabili dai coniugi salvo approvazione del tribunale (quindi i patti economici di separazione non possono essere modificati arbitrariamente dopo). Questo conta perché, se nell’accordo uno assume un debito, poi non può unilateralmente tirarvisi indietro.
- Fondo patrimoniale: Artt. 167-171 c.c.. Questo istituto permette ai coniugi (o a un terzo) di destinare determinati beni immobili, mobili registrati o titoli di credito ai bisogni della famiglia. I beni in fondo sono vincolati: non possono essere espropriati per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni familiari (art. 170 c.c.). La giurisprudenza interpretativa di questa norma è ampia: come già evidenziato, se un debito deriva da attività d’impresa o fideiussione, non è automaticamente considerato “familiare”. Spetta eventualmente al debitore provare la estraneità ai bisogni familiari per opporsi all’esecuzione sul fondo. Il fondo cessa al venire meno del vincolo coniugale (divorzio) o con la maggiore età dei figli, ma non con la separazione: due coniugi separati restano marito e moglie, quindi il fondo rimane salvo diversa decisione. In sede di separazione, se i coniugi vogliono sciogliere il fondo, possono farlo di comune accordo (ma servirà comunque atto pubblico e se ci sono figli minori serve autorizzazione del giudice ex art. 169 c.c.). Lo scioglimento del fondo o la distrazione di beni dal fondo in prossimità dell’insolvenza possono essere oggetto di revocatoria fallimentare o ordinaria (vedi dopo). Norme correlate: art. 69 L. Fall. (vecchia legge fallimentare) e ora art. 166 e 169 del Codice della crisi, di cui infra.
- Obbligazioni in solido: Il codice civile definisce la solidarietà agli artt. 1292-1298 c.c.. Rilevante qui, l’art. 1298 c.c. comma 2: nei rapporti interni tra debitori solidali, salvo patto o diversa previsione di legge, il debito si ripartisce in parti uguali. Questo significa che, se non c’è indicazione contraria, se due coniugi si indebitano insieme, internamente si presume che debbano sopportarne metà ciascuno. Questa regola viene però derogata se, ad esempio, risulta che uno dei due ha beneficiato del 100% (allora potrebbe essere tenuto per intero internamente). Quindi, art. 1298 è la base per l’azione di regresso 50/50 in mancanza d’accordo diverso.
- Contratti di garanzia (fideiussione): Artt. 1936-1957 c.c.. Ne segnaliamo alcuni: art. 1936 c.c. definisce la fideiussione; art. 1945 c.c. prevede che il fideiussore può opporre al creditore le eccezioni del debitore principale (salvo alcune esclusioni); art. 1950 c.c. dà al fideiussore che ha pagato il diritto di regresso verso il debitore principale (comprende capitale, interessi e spese); art. 1955 c.c. libera il fideiussore se il creditore con fatto proprio ha reso impossibile surrogarsi nelle sue garanzie (es.: non aver ipotecato un bene del debitore può portare il fideiussore a non poter rivalersi, ma la giurisprudenza su questo è restrittiva); art. 1956 c.c. – già trattato – prevede la liberazione del fideiussore per obbligazioni future se il creditore, a sua insaputa, accorda nuovo credito al debitore in peggiorate condizioni economiche senza avvertirlo. Quest’ultima norma, come visto, non è invocabile dalla moglie garante del marito secondo Cass. 4112/2016.
- Responsabilità patrimoniale generale: Art. 2740 c.c., per completezza: “Il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. Questo principio significa che, a meno che non vi siano regimi di separazione patrimoniale (come appunto la comunione legale che separa patrimoni personali e comuni, o strutture societarie), tutto il patrimonio di una persona è esposto ai suoi debiti. Tra coniugi, 2740 c.c. combinato con 143 c.c. ci dice che non esiste di default una responsabilità patrimoniale diretta di un coniuge per i debiti dell’altro: ognuno risponde dei propri debiti col proprio patrimonio, tranne i casi di comunione, solidarietà o garanzie di cui abbiamo parlato che costituiscono eccezioni regolamentate.
Norme tributarie e di riscossione
- Imposte e coniugi: Non c’è un articolo unico, ma è rilevante ricordare che non esiste in Italia una dichiarazione dei redditi congiunta obbligatoria: ognuno dichiara il proprio reddito e paga le imposte corrispondenti. Esiste la possibilità di presentare dichiarazione congiunta per i coniugi non legalmente separati, ma è solo unificata come adempimento, i calcoli restano separati (se uno non paga la sua parte, l’altro non ne risponde, salvo conguaglio in dichiarazione). Il D.P.R. 600/1973 (accertamento) e il D.P.R. 602/1973 (riscossione) disciplinano la materia. Non c’è nel DPR 600 o 602 una norma che renda solidali i coniugi per le imposte ordinarie. Fanno eccezione talvolta norme su tributi locali o su situazioni particolari (es. successione ereditaria: se uno paga successione per tutti, è solidale con coeredi per imposta, ma è altro ambito).
- Agenzia delle Entrate-Riscossione e pignoramenti: Il D.P.R. 602/1973, art. 76, contiene il famoso divieto di espropriazione dell’unico immobile di residenza del debitore (prima casa), salvo che non sia di lusso. Questa norma, introdotta nel 2013 e modificata successivamente, protegge il debitore fiscale dalla perdita della prima casa; però consente comunque l’ipoteca sull’immobile. Quindi, se Tizio ha debiti fiscali, l’ADER può iscrivere ipoteca sulla sua metà di casa, ma non procedere alla vendita forzata se è prima casa e unica. Attenzione: la norma parla di “immobile di proprietà del debitore”: se post-separazione l’immobile risulta intestato interamente al coniuge non debitore, questa tutela non si applica più (caso terzo). Se invece rimane in comproprietà, e per ipotesi l’ADER volesse procedere, dovrebbe tener conto che l’immobile appartiene anche a un terzo (ex coniuge non debitore) e quindi la vendita coattiva incontrerebbe ostacoli (forse, in analogia, servirebbe un bene indiviso e non vendibile per la parte di terzo, però l’art. 76 DPR 602 di per sé vieta proprio l’espropriazione se debitore ha un solo immobile e vi risiede).
- Cartelle e procedure esecutive: La riscossione fiscale può pignorare conti correnti e stipendi. Un punto interessante: conto corrente cointestato tra coniugi – la Cassazione e la prassi indicano che il pignoramento fiscale su conto cointestato colpisce al massimo il 50% (presumendo contitolarità paritetica). AdER stessa nelle sue guide conferma che si presume metà di ciascuno, salvo prova contraria (ad es. se uno prova che tutti i soldi erano suoi). Dunque, se dopo la separazione c’è ancora un conto cointestato (cosa da evitare!), e uno ha debiti fiscali, l’Agenzia può bloccare quel conto e aspirare la metà saldo (quota del debitore). Questo a tutela anche dell’ex coniuge non debitore.
- Privilegi fiscali: Il fisco gode di privilegi sui beni del debitore. Ad esempio, l’art. 2752 c.c. dà privilegio generale mobiliare alle imposte sul reddito dello Stato per due anni e ai tributi locali per l’anno corrente e precedente. L’art. 2771 c.c. concede privilegio immobiliare alle imposte dirette sugli immobili e contributi agricoli. Questi privilegi entrano in gioco nelle procedure concorsuali: un credito privilegiato sarà soddisfatto prima di altri chirografari (vedi oltre giurisprudenza su mantenimento). Nell’ambito familiare, questo significa che se, poniamo, il marito fallisce, il credito per assegno di mantenimento alimentare alla moglie può venire dopo i crediti IVA privilegiati. Non è una norma tributarie pura, ma va segnalato.
- Debiti tributari e fondo patrimoniale: L’art. 170 c.c. (già menzionato) si applica a qualsiasi creditore, incluso il Fisco. La Cassazione ha più volte affrontato se i debiti fiscali possano considerarsi per “bisogni familiari”. Orientativamente, tasse e tributi, se derivano da redditi il cui godimento era rivolto alla famiglia, potrebbero considerarsi di necessità (per alcuni giudici sì: pagare le tasse sul reddito che serve a mantenere la famiglia è parte dei bisogni della famiglia; altri giudici invece negano, ritenendo che i bisogni familiari si riferiscano a esigenze materiali della famiglia, non doveri verso lo Stato). Comunque, spesso in giudizio l’Erario sostiene che i tributi sono funzionali al lavoro che porta reddito familiare e quindi insiste sulla pignorabilità del fondo; sta poi al giudice decidere caso per caso. Di certo, se le imposte evase sono relative all’attività d’impresa e i proventi non andavano direttamente al sostentamento familiare, sarà più facile considerarli estranei e dunque impedire aggressione del fondo.
In sintesi, le norme tributarie non creano obblighi patrimoniali diretti tra coniugi, ma la procedura di riscossione e i privilegi spiegano come il Fisco può agire sui beni, anche in contesti di separazione (ipoteche, pignoramenti su conti, ecc.). Conviene sempre, quando possibile, definire bonariamente i debiti fiscali (rateazioni, rottamazioni) durante la crisi coniugale, onde evitare strascichi esecutivi che coinvolgano l’ex coniuge indirettamente.
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019)
Il Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII), entrato definitivamente in vigore nel 2022, ha sostituito la vecchia legge fallimentare. Questo codice rileva nel contesto dei coniugi separati soprattutto in due ambiti: le azioni revocatorie fallimentari relative ad atti tra coniugi e le procedure di liquidazione e sovraindebitamento eventualmente coinvolgenti uno o entrambi.
- Atti tra coniugi in periodo sospetto: La vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) conteneva l’art. 69 che prevedeva una presunzione di revocabilità per gli atti a titolo oneroso tra coniugi entro due anni dal fallimento (e gratuiti entro il medesimo termine ma facilmente anche oltre). Il CCII ha norme analoghe: l’art. 166 CCII elenca gli atti pregiudizievoli ai creditori soggetti a revocatoria fallimentare (es. atti a titolo gratuito compiuti nei 2 anni anteriori, atti a titolo oneroso in cui c’è sproporzione, pagamenti anomali, ecc.). L’art. 169 CCII riguarda specificamente gli atti compiuti tra coniugi (o uniti civilmente o conviventi): dispone che gli atti di cui all’art. 166 compiuti tra coniugi nel periodo in cui il debitore esercitava un’impresa, nonché gli atti a titolo gratuito tra di loro compiuti anche oltre il biennio (più di due anni prima dell’apertura della liquidazione giudiziale) ma sempre durante l’esercizio dell’impresa, sono revocati se il coniuge che ha beneficiato dell’atto non prova di ignorare lo stato di insolvenza del debitore. In parole semplici, c’è una presunzione sfavorevole per gli atti tra coniugi: se Tizio imprenditore fallisce e due anni prima, in costanza di matrimonio, aveva trasferito un immobile a sua moglie (magari proprio in sede di separazione consensuale), quell’atto è revocabile salvo che la moglie dimostri di non sapere che lui fosse insolvente. Ed è difficile provarlo se convivono e l’atto è avvenuto per sistemare il patrimonio. In più, la norma parla di atti a titolo gratuito compiuti tra coniugi oltre i due anni prima del fallimento: quindi estende temporalmente la possibilità di revoca per i soli coniugi anche fuori dal normale periodo sospetto (che per gratuiti è 2 anni). Questo segnala come il legislatore consideri sospetti i trasferimenti tra coniugi di beni in prossimità di uno stato di insolvenza, e li colpisce con particolare rigore. Dunque, se un coniuge imprenditore rischia la decozione, separarsi e cedere beni all’altro coniuge non elude la futura procedura concorsuale, perché il curatore potrà agire (entro 3 anni dalla dichiarazione di liquidazione giudiziale) per revocare quegli atti e riportare i beni nella massa fallimentare.
- Soluzioni concordate della crisi familiare: Il CCII introduce la possibilità di gestire il sovraindebitamento in forma familiare: l’art. 66 (come modificato) consente a più membri della stessa famiglia conviventi o i cui debiti abbiano origine comune, di proporre un unico piano di ristrutturazione. Questo può essere utile se, ad esempio, marito e moglie (ancora formalmente sposati, anche se separati consensualmente) hanno un elevato indebitamento congiunto derivante magari da fideiussioni incrociate e vogliono risolverlo insieme. Potrebbero presentare un piano del consumatore familiare o un accordo di composizione con i creditori congiunto, mostrando il bilancio familiare aggregato. Questa facoltà innovativa risponde a un principio di unità del nucleo familiare nel risolvere la crisi, ed è pensabile applicarla anche a coniugi in fase di separazione se vogliono evitare aggressioni del patrimonio comune con soluzioni strutturate. Ad esempio, coniugi separandi con un grosso mutuo e debiti multipli potrebbero, prima di dividersi i beni, congiuntamente proporre ai creditori un accordo ex art. 67 CCII (piano di ristrutturazione dei debiti) pagando una percentuale a saldo. Una volta omologato e eseguito, poi si divideranno quel che resta. Tuttavia, questo è uno scenario complesso che richiede alta collaborazione e spesso la realtà vede contrapposizione, quindi è raro.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato: Se un coniuge, dopo la separazione, si trova in una situazione di insolvenza personale e non è soggetto a liquidazione giudiziale (ex fallimento) perché non imprenditore, può accedere alla liquidazione controllata (nuova procedura simile al vecchio “fallimento personale” per sovraindebitati). In tale procedura, il patrimonio del debitore viene liquidato a beneficio dei creditori. L’ex coniuge in questo caso è un creditore come gli altri se ha, ad esempio, crediti di mantenimento arretrato o da regresso per debiti pagati. I crediti alimentari hanno un privilegio limitato (ultimi 3 mesi come alimenti, art. 2751 n.4 c.c.) e per il resto chirografo. Non esiste più la “non fallibilità” della casalinga o del pensionato se ricorrono i presupposti del sovraindebitamento: quindi potrebbe darsi che l’ex coniuge venga coinvolto come debitore in tali procedure.
In conclusione sul CCII: per i coniugi separati la cosa più importante da tenere presente è la revocatoria fallimentare degli atti di separazione. Molti creditori (banche, curatori fallimentari) guardano con sospetto a separazioni in cui il coniuge con debiti trasferisce la casa all’altro coniuge e poi fallisce o sparisce. E la legge e la Cassazione, come vedremo subito, confermano che tali atti sono attaccabili.
Codice di Procedura Civile – Esecuzioni e tutele processuali
- Esecuzione su beni comuni: Il c.p.c. non aveva inizialmente regole speciali per la comunione legale, per cui ci si rifaceva agli artt. 599-600 c.p.c. (esecuzione su beni indivisi) e 602 c.p.c. (esecuzione contro il terzo proprietario). Oggi, la giurisprudenza indica che la via corretta è trattare il coniuge non debitore come terzo proprietario del 50% ideale del bene comune. Questo comporta: il pignoramento deve essere notificato anche al coniuge non debitore, dandogli la possibilità di intervenire. Non si procede alla divisione ex art. 600 c.p.c. in quanto la comunione legale è senza quote determinabili finché dura. L’espropriazione procede sull’intero bene e poi, come detto, metà del ricavato va al coniuge non debitore. Queste modalità sono state affermate in Cass. 2047/2019 e Cass. 31563/2018.
- Opposizioni esperibili dal coniuge non debitore: La Cassazione (sent. 6230/2016) ha dettagliato i rimedi: il coniuge non debitore può proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. se sostiene che il bene pignorato in realtà non è comune ma di sua esclusiva proprietà (ad esempio, il creditore ha erroneamente ritenuto comune un bene personale). Può fare opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. se vi sono irregolarità formali (come la mancata notifica del pignoramento anche a lui, v. caso Trib. Crotone sopra menzionato dove la moglie ottenne l’annullamento perché non era stato notificato a lei). Non può invece opporsi nel merito all’esecuzione affermando semplicemente “il debito non è mio”: non essendo personalmente debitore, quell’aspetto è ovvio, ma non impedisce l’esecuzione sul bene comune. Potrebbe però intervenire nell’esecuzione per far rilevare che parte del ricavato gli spetta.
- Titoli esecutivi derivanti da separazione: L’accordo di separazione consensuale omologato è equiparato a un provvedimento giudiziario. Dunque, se uno dei due assume obblighi di pagamento verso l’altro (es. assegno di mantenimento, conguagli, trasferimenti da effettuare) e non li adempie, l’altro coniuge ha un titolo esecutivo (l’ordinanza di omologazione e il verbale) per agire forzosamente. Questo riguarda i rapporti interni, ma è utile per far rispettare l’allocazione dei debiti come da accordo. Ad esempio, se l’accordo dice che il marito si accolla il debito X e terrà indenne la moglie, e poi la moglie viene escussa dal creditore pagando 10.000 €, la moglie può chiedere al giudice di mettere in esecuzione l’accordo: in pratica, l’accordo di separazione può contenere clausole con efficacia di titolo di regresso per il coniuge solvista. Bisogna redigerle bene per evitare dubbiezze.
- Procedimenti cautelari: Nel caso in cui si tema che l’altro coniuge stia dissipando beni in danno ai creditori comuni, esiste la possibilità di chiedere un sequestro giudiziario o conservativo. Ad esempio, se i coniugi sono in lite e uno sta vendendo tutti i beni comuni per far sparire il ricavato all’estero, l’altro può chiedere un sequestro dei beni comuni ex art. 670 c.p.c. in corso di causa di separazione (misura rara ma ipotizzabile). Anche i creditori, se temono atti di frode, possono chiedere sequestro conservativo ex art. 2905 c.c. e art. 671 c.p.c. sui beni del debitore, ivi compresi quelli passati al coniuge, in attesa magari di una revocatoria.
- Procedura concorsuale del coniuge e intervento dell’altro: Se un coniuge viene assoggettato a liquidazione giudiziale (fallimento), l’altro coniuge ha la facoltà di insinuare allo stato passivo eventuali propri crediti (es. credito di regresso per debiti pagati, credito di mantenimento pregresso) come un qualunque creditore. Inoltre, il coniuge non fallito può rivendicare beni di sua esclusiva proprietà se fossero stati appresi per errore dal curatore nella massa.
- Spese legali e condanne in solido: Piccola nota: a volte i coniugi vengono citati congiuntamente (es: per un risarcimento danni) e possono essere condannati in solido a una somma. In quel caso la regola dell’art. 1298 c.c. si applica: presumendo parti uguali salvo diverso criterio di imputazione del giudice.
Questa carrellata normativa mostra il quadro legale da tenere presente. Nel contenzioso reale, tutto questo viene poi concretizzato dalla giurisprudenza, di cui di seguito selezioniamo i punti salienti più aggiornati.
Giurisprudenza aggiornata (Cassazione e Tribunali fino al 2025)
La giurisprudenza riveste un ruolo cruciale nell’interpretare e applicare le norme sopracitate in casi concreti. Qui di seguito sono illustrate le pronunce più rilevanti (in particolare della Corte di Cassazione, inclusa qualche Sezioni Unite, e decisioni di merito significative) relative ai debiti tra coniugi separati, ordinate per argomento.
Debiti personali e beni in comunione legale: esecuzione e opposizioni
Cass. Civ. Sez. III, 6 dicembre 2018, n. 31563: ha affermato il principio che in presenza di un’esecuzione immobiliare contro un coniuge per un suo debito personale su un bene in comunione legale, il pignoramento dell’intero bene è valido, pur se l’altro coniuge non è debitore, senza necessità di preventiva divisione. La Corte ha spiegato che la comunione legale è senza quote: il bene non è diviso in parti ideali durante la comunione, quindi non si pignora la “quota” del debitore ma l’intero immobile; al coniuge non debitore spetterà poi la metà del ricavato netto in sede di distribuzione, a seguito dello scioglimento della comunione limitatamente a quel bene. Questa sentenza, molto citata, consolida l’orientamento che già esisteva dal 2013 (Cass. n. 6575/2013) e confermato nel 2019 (vedi oltre), superando vecchie prassi incerte. È fondamentale perché autorizza i creditori a procedere comunque sul bene intero, bilanciando con la tutela posticipata del coniuge non debitore.
Cass. Civ. Sez. II, 24 gennaio 2019, n. 2047: ha ulteriormente chiarito che non occorre disporre la separazione della quota del coniuge non debitore ai sensi dell’art. 600 c.p.c. in sede di esecuzione su bene in comunione legale. Essendo il bene in comunione “senza quote”, non si applica l’art. 599 c.p.c. (beni indivisi con quote) ma la disciplina del terzo proprietario. Il coniuge non debitore, se subisce l’espropriazione, non può chiedere di limitarla alla metà; può però intervenire per far valere i propri diritti (come prendere la metà del ricavato) e fare opposizione se ci sono irregolarità procedurali (come la mancata notifica a lui).
Cass. Civ. Sez. III, 31 marzo 2016, n. 6230: riprendendo i principi espressi già nel 2013, questa sentenza ha indicato i rimedi per il coniuge non debitore, come anticipato: opposizione ex art. 619 c.p.c. se il bene non era in comunione ma esclusivo suo; opposizione ex art. 617 c.p.c. per vizi del pignoramento; esclusa l’opposizione all’esecuzione nel merito salvo eccesso su beni non comuni. Ha ribadito la soggezione del coniuge non debitore all’esecuzione sul bene comune, definendolo “soggetto passivo dell’espropriazione in concreto operata” con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore in quell’esecuzione. Ciò implica, ad esempio, che anche il coniuge non debitore può partecipare alla distribuzione del ricavato, proporre istanze di vendita frazionata se possibile, ecc., perché è trattato processualmente quasi come fosse anch’egli debitore proprietario (pur non essendo debitore in senso sostanziale).
Cass. Civ. II, 14 febbraio 2013, n. 6575: questa è la storica pronuncia (precedente alla riforma 2015 e alle ultime) che per prima definì chiaramente la natura della comunione legale come “senza quote” e la posizione del coniuge non debitore come soggetto passivo necessario nell’esecuzione. È citata perché per anni la questione è stata dibattuta: prima del 2013 alcuni tribunali ritenevano che il creditore di un coniuge potesse pignorare solo la quota (1/2) ideale di bene comune del debitore, oppure che dovesse necessariamente chiedere lo scioglimento giudiziale della comunione. Cass. 6575/2013 ha smentito: durante il matrimonio la comunione è un unicum, quindi il bene si prende intero, e il coniuge non debitore deve esserci nel processo esecutivo per tutelare i suoi diritti.
Tribunale di Crotone, 2019 (ordinanza): caso interessante in cui un creditore particolare del marito pignorò un bene in comunione notificando atto solo al marito; la moglie fece opposizione (617 c.p.c.) lamentando la mancata notifica a lei e il tribunale le diede ragione, dichiarando improcedibile la vendita finché non coinvolta anche lei. Questo mostra che i tribunali di merito applicano i principi di Cassazione: la moglie come “terzo proprietario” aveva diritto alla notifica dell’atto di pignoramento. Una svista procedurale in tal senso rende nullo il pignoramento.
Cass. Civ. Sez. Un. 28 ottobre 2020, n. 21963: vale la pena menzionare che le Sezioni Unite 2020 (pur in un caso riguardante comunione legale e fondo patrimoniale) hanno confermato che la comunione legale non attribuisce quote ai coniugi ma solo una contitolarità sui beni che si scioglie in quote solo al momento dello scioglimento del regime. Questa visione unitaria è consolidata.
In sintesi, la giurisprudenza recente garantisce al creditore di un coniuge una via di soddisfacimento efficace sui beni comuni, ma al contempo assicura al coniuge non debitore il diritto alla metà del valore e a partecipare all’esecuzione per tutelarsi. Per gli avvocati, queste pronunce significano che in caso di debiti personali conviene, se si assiste il coniuge non debitore, far valere ogni cavillo procedurale (es. notifica), mentre se si assiste il creditore occorre seguire la procedura giusta (notifica ad entrambi, niente richiesta di divisione preventiva).
Debiti e fondo patrimoniale: opponibilità ai creditori e automatismi
Cass. Civ., Sez. VI-III, 8 febbraio 2021, n. 2904: ha stabilito che il creditore non può limitarsi a dedurre che un debito è per bisogni familiari solo perché inerisce all’attività lavorativa del debitore. Nel caso di specie, un istituto di credito pretendeva che il solo fatto che il debitore avesse garantito un prestito per la propria impresa implicasse un interesse familiare (perché dall’impresa derivano i redditi). La Cassazione ha escluso questo automatismo: occorre esaminare concretamente la causa del debito. Se la fideiussione o il prestito è servito a coprire spese voluttuarie o investimenti rischiosi estranei alle esigenze primarie, allora resta fuori dai bisogni familiari. Questa decisione mira a evitare che qualunque debito venga fatto rientrare nel concetto ampio di “interesse della famiglia” solo perché indirettamente ogni guadagno poi serve alla famiglia. Per il fondo patrimoniale, ciò implica che il vincolo regge se il creditore non prova la destinazione familiare.
Cass. Civ., Sez. III, 25 ottobre 2021, n. 29983: in linea con la precedente, ha espresso chiaramente che il fatto che il debito derivi da una fideiussione a favore di una società non costituisce di per sé prova che quel debito fu assunto per i bisogni familiari. L’onere della prova circa la natura del debito grava su chi vuole attaccare il fondo: il creditore procedente deve allegare e dimostrare che il credito è sorto per finalità attinenti alla famiglia. D’altro canto, come citato, spetta al coniuge debitore opporsi e dimostrare l’estraneità se il creditore prova qualche nesso. Questa pronuncia è molto importante per coniugi imprenditori: mette in guardia i creditori che non possono bypassare il fondo patrimoniale con ragionamenti generici. Dal lato pratico, se un coniuge garantisce un debito di impresa e il bene è in un fondo, il creditore dovrà vincere una possibile opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. sul presupposto di art. 170 c.c., portando elementi (ad esempio: “quel prestito garantito è servito a pagare il mutuo della casa coniugale” – allora sì familiare; oppure: “i proventi dell’attività erano unica fonte di reddito familiare” – argomento debole da solo).
Cass. Civ., Sez. I, 22 marzo 2013, n. 7262: una pronuncia un po’ più datata ma spesso citata, dove i giudici esclusero l’aggressione del fondo per debiti fiscali derivanti da violazione tributaria del marito, ritenendo che il dolo fiscale non potesse considerarsi nell’interesse della famiglia. Anche altre sentenze hanno negato che sanzioni amministrative o penali pecuniarie possano toccare il fondo (perché punire un reato o illecito non è bisogno familiare).
Cass. Civ., Sez. III, 9 novembre 2009, n. 23618: anch’essa di qualche anno fa, definì i “bisogni della famiglia” come le esigenze volte “al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia” e “al potenziamento della capacità lavorativa dei coniugi”. Quindi certi investimenti di routine possono rientrare (es. un’auto per andare al lavoro sì, una speculazione azzardata in borsa no).
In generale, la giurisprudenza del 2021-2022 mostra un orientamento piuttosto favorevole a dare “più autonomia tra i coniugi” per i debiti d’impresa: come sintetizzato, non c’è automatismo tra natura del debito e bisogni familiari. Questo è rassicurante per l’ex coniuge non debitore che magari ha un fondo con l’altro: se i debiti erano dell’azienda dell’altro, potrà più facilmente tenerli lontani dai beni in fondo.
Trasferimenti patrimoniali negli accordi di separazione: revocabilità e natura giuridica
Cass. Civ., Sez. Unite, 29 luglio 2021, n. 21761: questa importantissima pronuncia a Sezioni Unite ha risolto questioni di massima in merito agli accordi di separazione e divorzio con trasferimenti patrimoniali. Le Sezioni Unite hanno affermato due principi chiave: 1) è certamente ammissibile inserire negli accordi di separazione/divorzio clausole con cui i coniugi trasferiscono beni mobili o immobili tra loro (ponendo fine a vecchi dibattiti sulla natura meramente personale degli accordi di separazione); 2) tali accordi hanno natura negoziale privata, e la sentenza o decreto che li recepisce ha efficacia meramente dichiarativa di quanto pattuito. In particolare, la sentenza di separazione che formalizza l’accordo non trasforma l’accordo in un provvedimento non impugnabile: l’accordo resta un contratto (sia pure atipico e con causa familiare) che può essere oggetto di impugnative ordinarie, comprese l’azione revocatoria da parte di terzi creditori. Le SU hanno evidenziato che la presenza della sentenza non pone ostacoli testuali o logici all’azione revocatoria, poiché il giudice si limita a prendere atto di un regolamento negoziale voluto dalle parti. Questo principio, che appare scontato oggi, era invece dibattuto: alcune tesi pensavano che essendo inserito in una sentenza, l’atto fosse “dovuto” e quindi non revocabile (ex art. 2901 co.3 c.c. gli atti dovuti per legge non si possono revocare). Le SU 21761/2021 hanno chiarito che non ci troviamo di fronte a un atto dovuto, ma a un accordo volontario anche se recepito in sentenza. La sentenza ha efficacia dichiarativa e l’accordo mantiene la natura di atto contrattuale privato, sebbene funzionale alla crisi coniugale.
- Corollario: Qualsiasi trasferimento di beni (es. casa intestata al marito trasferita alla moglie in separazione) può essere impugnato dai creditori del marito, se ne ricorrono i presupposti (eventus damni e scientia fraudis). Questo vale anche se la separazione era giudiziale e il trasferimento è avvenuto su disposizione del giudice. Il caso concreto della sentenza riguardava proprio una separazione giudiziale trasformata in consensuale in cui c’era trasferimento immobiliare: l’ex marito debitore sosteneva fosse “atto dovuto” perché deciso in sentenza, ma la Cassazione ha respinto tale tesi. Quindi, anche negli accordi raggiunti in corso di causa giudiziale, la natura resta negoziale.
Cass. Civ., 7 ottobre 2024, n. 26127: pronuncia recente (2024) che ha applicato i suddetti principi ribadendo la revocabilità di un accordo di separazione con trasferimento immobiliare se pregiudizievole per un terzo creditore. In questo caso, la Corte ha confermato la sentenza d’appello che aveva accolto la revocatoria promossa da una società creditrice contro il trasferimento di un immobile dal marito alla moglie sancito dall’accordo di separazione. La Cassazione ha evidenziato come: (a) l’accordo non traeva origine da un obbligo di legge (non era un mantenimento, ma appunto un trasferimento a titolo gratuito); (b) la natura gratuita era conclamata dall’assenza di una vera causa di scambio nell’accordo (non era giustificato come soddisfacimento di un diritto di credito di pari valore della moglie); (c) dunque i presupposti dell’azione pauliana (credito anteriore, eventus damni e consapevolezza del pregiudizio) c’erano tutti, considerato anche che il marito al momento dell’accordo aveva manifestato difficoltà economiche (indizio di scientia fraudis). La decisione 26127/2024 è significativa anche perché conferma che la giurisprudenza non fa differenze tra separazione consensuale e giudiziale in tema di revocatoria. Inoltre, richiama esplicitamente le SU 2021 sul valore dichiarativo della sentenza di separazione.
Cass. Civ., 1 febbraio 2024, n. 2571: altra pronuncia del 2024 (citata in un commento APF) dove la Cassazione, in modo analogo, rigetta il ricorso di un ex marito confermando la revocabilità dell’atto con cui aveva trasferito alla moglie, in sede di separazione, la proprietà di immobili (o diritti reali come abitazione). La Suprema Corte in tale occasione ha ribadito i “numerosi precedenti” conformi: azione pauliana esperibile sugli accordi di separazione, natura negoziale degli stessi, validità intrinseca di tali patti per risolvere la crisi coniugale ma contemporanea soggezione a impugnative se ledono terzi. Inoltre, la Corte ha affrontato la questione della gratuità vs onerosità dei trasferimenti in separazione: ha precisato che la qualificazione come atto a titolo oneroso dipende dalla presenza di una causa concreta che funge da corrispettivo (ad es. l’immobile dato in cambio della rinuncia a mantenimento potrebbe forse considerarsi atto con causa onerosa). Nel caso, la Corte d’appello aveva escluso che il trasferimento fosse adempimento di un obbligo di mantenimento (non c’era stato assegnato assegno alla moglie), dunque lo ha trattato come atto gratuito a tutti gli effetti. Questo è importante: se un coniuge debitore trasferisce un bene di valore sproporzionato rispetto all’assegno che l’altro avrebbe avuto, quel di più è gratuito e revocabile; diversamente, se l’atto è parte di un bilanciamento economico può essere considerato oneroso e la revocatoria ordinaria non agirebbe (resterebbe forse la sola revocatoria fallimentare con termini diversi). Comunque, Cass. 2571/2024 ha confermato la revoca e condannato il ricorrente alle spese.
Tribunale di Massa, 6 agosto 2007 (decreto) e Corte d’Appello di Genova 2013 (nel caso poi finito in Cassazione 2024): questi sono i gradi di merito di una vicenda dove la separazione era stata “concordata in sede giudiziale” con trasferimenti, e un creditore ha avviato revocatoria. Sono utili per capire che i giudici di merito stanno ormai attenti: ad esempio, la Corte d’appello di Genova, già prima delle SU, aveva considerato che la sentenza che recepisce l’accordo non impedisse l’azione revocatoria e aveva trovato i segni della consapevolezza del pregiudizio (il marito aveva dichiarato in udienza presidenziale di avere difficoltà economiche e l’immobile era l’unico suo bene). La Cassazione ha poi confermato questo approccio.
In sintesi, sul tema revocatoria e accordi di separazione, la linea attuale è chiarissima: nessuna immunità per i trasferimenti tra coniugi solo perché avvengono in un contesto familiare. Terzi creditori, compresi curatori fallimentari, possono attaccarli come qualsiasi atto di disposizione patrimoniale se pregiudica la garanzia patrimoniale. Ciò non toglie validità all’accordo tra i coniugi (che rimane efficace inter partes finché non revocato), ma rende tali atti rischiosi se uno dei due ha debiti. È un monito importante da dare a imprenditori: non pensare di “mettere in salvo” beni con la separazione, perché se la crisi debitoria è già in atto, l’escamotage verrà probabilmente annullato.
Fideiussioni e garanzie: status del coniuge garante e casi pratici
Cass. Civ., Sez. I, 2 marzo 2016, n. 4112: (già discussa) caso in cui moglie fideiussore per credito del marito, la Cassazione ha negato l’applicabilità dell’art. 1956 c.c. ritenendo la moglie a conoscenza aggravamento situazione del marito per via del rapporto coniugale. Questo precedente viene spesso citato dalle banche per sostenere che il coniuge garante non può chiamarsi fuori quando la situazione peggiora. Dunque, di fatto, la moglie non era stata liberata dall’aver taciuto alla banca i problemi del marito. È un monito sul fatto che essere coniugi implica un legame informativo che gioca a sfavore del garante.
Cass. Civ., Sez. Unite, 27 febbraio 2023, n. 5868: come spiegato, le SU hanno stabilito un principio di diritto: chi presta garanzia per un debito altrui non attinente alla propria attività professionale deve considerarsi “consumatore” e beneficiare della relativa normativa. Sebbene questa pronuncia non riguardi specificamente coniugi, l’occasione tipica in cui si presenta è proprio quella del coniuge (o familiare) che garantisce un debito aziendale. Le SU hanno risolto un contrasto: prima alcune decisioni consideravano il garante sempre “professionalmente coinvolto” nel debito garantito, specie se coniuge dell’imprenditore, altre invece no. Ora è chiaro: la qualifica dipende dalla finalità con cui agisce il garante. Se Tizia, moglie di Caio imprenditore, garantisce un mutuo dell’azienda di Caio senza essere imprenditrice né trarne un vantaggio professionale, è consumatrice in quell’operazione. Gli effetti pratici: possibilità di contestare clausole abusive, foro del consumatore, ecc. Una pronuncia di merito successiva (Tribunale di Torino, ottobre 2023) ha già applicato il principio SU per dichiarare nulle alcune clausole di una fideiussione prestata da una moglie in favore della società del marito (clausole di rinuncia al termine e simili, ritenute vessatorie).
Cass. Civ., 13 maggio 2011, n. 10506: in tema di revocatoria fallimentare di fideiussioni coniugali: ha stabilito che la mera prestazione di fideiussione da parte della moglie per i debiti dell’impresa del marito, se resa in epoca di insolvenza, può essere revocata dal curatore ex art. 67 L.F. come pagamento anomalo (perché consente ai creditori garantiti di essere pagati dalla moglie e ciò altera la par condicio). Questo è un punto di nicchia: se un coniuge poi fallisce, le garanzie prestate a creditori particolari poco prima possono essere revocate come atto a favore di un creditore.
Cass. Civ., 21 febbraio 2008, n. 4308: non esattamente su coniugi, ma afferma: la fideiussione prestata dal defunto è un debito ereditario (quindi chiamando in causa gli eredi se muore). Per analogia, se un coniuge muore separato ma con fideiussione in corso, quell’obbligo ricade sugli eredi (tra cui magari l’ex coniuge se nel frattempo divorziato non è erede, ma i figli sì). Solo per ricordare che la morte/eredità interplay è rilevante.
Tribunale di Mantova 20 gennaio 2015: (merito) ha ritenuto che la firma di una moglie su garanzie per i debiti dell’azienda agricola del marito la qualificasse come “coadiuvante dell’impresa familiare” e dunque persona che non poteva dirsi estranea professionalmente. È superata dalle SU 2023.
Cass. Civ., 5 luglio 1999, n. 6952: caso antico ma interessante: stabilì che la fideiussione prestata dal marito in favore di un debito proprio della moglie non estingue il debito originario né lo trasforma in debito di lui, essendo solo accessoria; sembra banale, ma in passato ci si chiedeva se nella famiglia la garanzia potesse implicare una sorta di accollo tacito.
In conclusione, le sentenze evidenziano che: il coniuge garante è trattato abbastanza duramente (niente scuse per mancata informazione, come visto), ma ha acquisito status di consumatore e quindi qualche protezione dalle condizioni capestro. Ciò può essere una leva negoziale: ad esempio, un avvocato che difende la moglie garante potrà contestare la validità di certe clausole della fideiussione (tipo la clausola “a prima richiesta” o “rinuncia ai benefici ex art. 1944 c.c.”) se non trattata e sproporzionata, anche grazie alla giurisprudenza antitrust su schemi ABI (Cass. Civ. 24044/2019, ecc., su nullità antitrust delle fideiussioni).
Crediti di mantenimento e concorso con altri debiti (accenni)
Cass. Civ., 7 ottobre 2019, n. 24934: ha ribadito, in una vicenda fallimentare, che l’assegno di mantenimento non goda di privilegi diversi da quello limitato previsto dall’art. 2751 n. 4 c.c. (alimenti per gli ultimi 3 mesi). In quel caso, l’ex moglie di un fallito pretendeva che l’intero suo credito di mantenimento arretrato fosse privilegiato, ma la Cassazione ha negato, richiamando proprio il testo della norma che limita il privilegio ai 3 mesi. Questo significa: se un imprenditore va in default con debiti verso la ex moglie per mantenimento, la ex moglie non è preferita integralmente, anzi il grosso del suo credito è chirografario alla pari degli altri (salvo poter sostenere che è un credito alimentare anziché di mantenimento? Ma l’orientamento generale equipara mantenimento ex coniuge a alimenti ex art. 433 c.c. per il privilegio, ma con quel limite temporale). Dunque, in concorso, paradossalmente, il Fisco e le banche vengono prima dell’ex coniuge creditrice di mantenimento, salvo quella piccola parte. Questo può essere utile spiegarlo ad un coniuge che confida troppo nella “priorità” dei suoi diritti: meglio incassare subito e non far accumulare troppi arretrati.
Cass. Civ., 10 giugno 2021, n. 16347: ha stabilito che il credito del coniuge per il rimborso delle metà delle spese straordinarie sostenute per i figli è un credito di diritto familiare che però, una volta determinato, diventa somme dovute e può essere portato in compensazione con altri crediti (questo in un contesto di offset di debiti reciproci).
Tribunale di Milano, sez. Fall., decreto 14 aprile 2022: ha ammesso un coniuge separato al passivo fallimentare del marito come creditore chirografario per importi di mantenimento scaduti anteriori al fallimento, ma ha escluso le quote a scadere (il mantenimento futuro non può essere insinuato perché si estingue col fallimento se riferito al coniuge, mentre per i figli va richiesto al giudice fallimentare un mantenimento in prededuzione).
Questo excursus giurisprudenziale – non esaustivo ma focalizzato sui nodi cruciali – consente di trarre alcune linee guida operative: i coniugi devono stare attenti a come strutturano gli accordi patrimoniali (per non farli travolgere da creditori terzi), i creditori hanno strumenti efficaci (esecuzioni su beni comuni, revocatoria su atti di separazione) e i coniugi garanti devono sapere che la legge li tutela come consumatori ma non li solleva dalle obbligazioni assunte.
Passiamo ora a strumenti più pratici: tabelle riassuntive, FAQ e simulazioni di casi, per applicare queste norme e principi ai problemi più frequenti.
Tabelle riepilogative delle responsabilità patrimoniali
Le seguenti tabelle sintetizzano chi risponde dei debiti in diversi scenari tipici, confrontando la situazione in comunione legale dei beni e in separazione dei beni, e indicando eventuali limiti o particolarità. Queste schematizzazioni aiutano a individuare a colpo d’occhio le conseguenze giuridiche.
Responsabilità dei coniugi per i debiti (Comunione vs Separazione dei beni)
Tipo di debito / Scenario | Regime di comunione legale (beni comuni coinvolti?) | Regime di separazione dei beni (beni dell’altro coinvolti?) |
---|---|---|
Debito personale di un coniuge (ante-matrimoniale o estraneo ai bisogni familiari) | Beni comuni non rispondono (art. 187 c.c.), se non dopo escussione beni personali del debitore e limitatamente alla quota di questi. In pratica, creditore può aggredire beni comuni solo se quelli personali insuff., e comunque solo fino al 50% del valore1. Il coniuge non debitore ha diritto a metà ricavato. | Beni dell’altro coniuge totalmente al sicuro. Nessuna comunione da coinvolgere; il creditore escute solo i beni intestati al debitore. Coniuge non debitore non è responsabile e i suoi beni sono intoccabili (salvo il debitore li abbia fraudolentemente intestati a lui). |
Debito per bisogni della famiglia (es. spesa figli, mutuo casa familiare) | Beni comuni rispondono per intero (art. 186 c.c.). Se beni comuni insuff., creditori “familiari” agiscono anche su beni personali di entrambi, ciascuno fino alla metà del credito. In sostanza, il debito è quasi solidale: prima tocca al patrimonio comune, poi metà a testa sui personali se occorre. | Beni dell’altro non direttamente obbligati. Tuttavia il coniuge creditore (o il figlio per suo tramite) potrebbe ottenere ingiunzioni contro l’altro ex coniuge se non contribuisce, trasformando di fatto la pretesa in un debito personale anche suo (es: spese straordinarie figli ripartite). Verso creditori terzi estranei, invece, ognuno resta obbligato solo se ha firmato. |
Mutuo ipotecario cointestato (casa comune) | Beni comuni (la casa) garanzia primaria (ipoteca). Debito solidale verso banca: possono escutere un coniuge per l’intera rata. Se uno paga tutto, poi regresso metà sull’altro. Se comunione sciolta, la casa assegnata a uno rimane vincolata da ipoteca finché debito non estinto. | Debito solidale identico. Il regime dei beni non influisce se entrambi firmatari: ciascuno resta obbligato per intero verso banca. Se separazione beni in atto sin dall’inizio, la casa era in comproprietà ordinaria: banca può pignorare l’intero immobile (ipoteca su entrambe le quote) ma alla vendita metà ricavato a ciascuno. Obbligo interno di rimborso pro-quota. |
Prestito/finanziamento intestato a un solo coniuge | Se usato per famiglia, v. “bisogni famiglia” sopra (comune responsabile, poi personali metà ciascuno). Se del tutto personale, v. “debito personale” sopra (prima solo beni debitore, poi eventuale 50% comuni). In entrambi i casi, coniuge non debitore non obbligato personalmente verso creditore (non essendo firmatario), ma i beni comuni possono essere aggrediti in certe condizioni. | Coniuge non debitore non risponde. Se non ha firmato né garantito, il creditore può colpire solo beni intestati al debitore. Se c’erano conti cointestati, il creditore potrebbe pignorarne la quota del debitore (presunta metà). |
Debito fiscale (tributi, cartelle) | Se riguarda redditi o beni comuni (es. imposte casa comune), trattato come debito familiare: patrimonio comune aggredibile e poi personali a metà. Se riguarda attività personale/imprenditoriale: debito personale -> beni comuni aggredibili solo per quota debitore. Agenzia Entrate Riscossione può iscrivere ipoteca su immobile comune per intero credito, ma in esecuzione forzata coniuge non debitore recupera sua metà. Attenzione: comunione sciolta a separazione, da lì debiti nuovi non toccano ex comunione. | Nessuna responsabilità dell’altro. Fisco procede solo su beni intestati al debitore. Se casa cointestata in separazione beni, Equitalia non può pignorare 1ª casa del debitore, e comunque per altri immobili cointestati pignora la quota del debitore (non l’intero immobile non essendoci comunione). Conti cointestati: pignorabile 50% saldo. |
Debito commerciale/imprenditoriale (fornitori, banca azienda) | Debiti d’impresa di un coniuge = personali. Beni comuni salvo art. 189 c.c. (quota) come per altri personali. Se coniuge socio illimitatamente responsabile (snc): debito sociale non tocca beni comuni finché comunione attiva? In realtà, creditore sociale può aggredire direttamente socio -> suoi beni personali e quota comunione. Se società con entrambi soci: ogni socio con proprio patrimonio (per metà comuni se comunione). In sintesi complesso: ma con comunione, debiti azienda di uno possono intaccare comunione per quota. | Separazione beni fortemente consigliato per imprenditori. Debiti impresa di uno non coinvolgono affatto l’altro. Se azienda individuale di marito fallisce, i beni intestati alla moglie non sono toccabili (salvo revocatoria di eventuali atti di distrazione). Se società di persone di cui solo uno è socio: creditori attaccano socio su suoi beni (nessuna comunione da considerare). |
Fideiussione prestata per debito dell’altro coniuge | Fideiussione = obbligazione personale del garante. Comunione può essere coinvolta dopo, se il garante paga ed è surrogato: il suo credito di regresso verso coniuge principale è personale; se quell’obbligato non paga surroga, scenario come debito personale suo. Durante esecuzione, i beni comuni del garante potrebbero essere presi per quota se garante insolvente (ma in pratica di solito garante paga col proprio). | Identico: l’obbligo è del coniuge garante sul proprio patrimonio. L’altro coniuge debitore principale è obbligato verso il garante per regresso, ma ciò è interno. Nessun coinvolgimento diretto di beni dell’altro (se non in senso che il garante dopo può attaccare il patrimonio del debitore, che se era in comunione poteva includere la quota di beni comuni – ma in separazione questo non c’è). |
Debito solidale (cointestato) di entrambi | Comunione o separazione rilevano solo per modalità esecutive su beni comuni. Essendo entrambi debitori, in comunione il creditore può pignorare bene comune per intero (entrambi sono debitori proprietari). Coniuge non può opporsi dicendo “non è mio debito” perché lo è anche suo. La divisione interna è pro quota salvo patto. | In separazione, se bene è cointestato come ordinario (es: prestito per acquisto bene intestato metà ciascuno), creditore può pignorare l’intero bene se entrambi debitori e proprietari (in sostanza come comproprietà con obbligazione solidale). Se bene intestato a uno ma obbligazione di entrambi, creditore può comunque aggredire bene intestato a quel uno (che però è debitore solidale). In entrambi i regimi, ciascun coobbligato ha diritto di regresso verso l’altro per la quota. |
Trasferimento bene da debitore a coniuge (accordo separazione) | Atto soggetto a revocatoria se pregiudica creditori anteriori. Anche se comunione legale ormai sciolta, l’atto può essere annullato in giudizio e i creditori far valere sul bene come se fosse rimasto al debitore. In pratica: la legge tutela creditori di fronte a “separazioni di comodo”. | Identico. Il fatto che fossero in separazione beni pre-separazione coniugale non cambia: se uno trasferisce un suo bene all’altro come accordo di separazione, i terzi creditori possono revocarlo alle stesse condizioni (presupposti di frode). Se invece l’hanno venduto a valore di mercato a un terzo, revoca più difficile (atto oneroso con terzo non parente). |
1 Nota: la procedura esecutiva, come visto, prende comunque l’intero bene in comunione, ma il coniuge non debitore otterrà metà del ricavato, quindi in sostanza il creditore particolare realizzerà al massimo metà del valore del bene (se il debito è superiore), a meno che non esistano anche altri beni personali del debitore. Questo è il “limite quantitativo” di cui parla la Cassazione.
Responsabilità patrimoniale in caso di procedure concorsuali
Quando interviene un fallimento o liquidazione giudiziale di un coniuge, oppure procedure di sovraindebitamento, le regole cambiano un po’ per via della par condicio creditorum. La tabella seguente riassume effetti:
Situazione | Effetto su rapporti patrimoniali con l’ex coniuge |
---|---|
Fallimento di un coniuge (imprenditore) | – Scioglimento comunione legale immediato (art. 191 c.c.): il fallimento di uno dei coniugi fa cessare la comunione legale. Il curatore include nella massa la quota di metà dell’attivo comune spettante al fallito. L’altra metà spetta all’altro coniuge (che esce dalla comunione). – Beni comuni: il curatore può vendere i beni già comuni, riconoscendo metà prezzo all’altro coniuge. Il coniuge non fallito potrà insinuarsi al passivo per eventuali crediti di rimborso verso il fallito (es. se aveva pagato debiti comuni). – Atti tra coniugi pre-fallimento: revocabili se nei tempi e modi dell’art. 166 e 169 CCII. Esempio: accordo di separazione di 1 anno prima con trasferimento casa al coniuge non fallito -> curatore likely revoca e recupera casa (o valore) alla massa, coniuge ri-debitore per restituire bene o controvalore. – Crediti di mantenimento: se l’ex coniuge ha diritto a mantenimento, le somme maturate prima del fallimento vanno insinuate (privilegio limitato 3 mesi). Le somme post-fallimento (future) sono obbligazioni della massa solo se riguardano figli minori (il tribunale può destinare un importo periodico al mantenimento familiare). |
Liquidazione controllata (sovraindebitamento) di un coniuge | Simile al fallimento: il liquidatore forma massa con i beni del debitore. Se c’era comunione legale ancora in atto (non separati), lo scioglimento avviene analogamente con divisione del 50%. L’ex coniuge con crediti (assegni arretrati, ecc.) li insinua (chirografo salvo 3 mesi). Atti di separazione pregiudizievoli possono essere revocati con azione del liquidatore (applicazione analoga dell’art. 66 CCII per revocatoria fallimentare). |
Concordato preventivo (per aziende coniugali) | Se un coniuge accede a concordato, mantiene l’amministrazione dei beni sotto vigilanza. Non c’è scioglimento forzoso della comunione (che però spesso è già sciolta se c’è crisi grave e hanno deciso di separarsi…). Comunque gli atti spossessorii del debitore durante concordato devono essere autorizzati: difficile che uno possa “regalare” beni al coniuge in quel frangente. Il coniuge creditore di mantenimento potrà votare nel concordato come chirografario per il suo credito. |
Piano del consumatore congiunto (coniugi) | Possibile se ancora formalmente sposati o comunque se i debiti hanno origine comune. In caso di separazione, un piano congiunto potrebbe essere presentato se convivono ancora o se i debiti riguardano entrambi. Se omologato, vincola i creditori secondo i termini ivi previsti (es. pagamento parziale). Richiede collaborazione, quindi scenario: coniugi in crisi che però cooperano per liberarsi dei debiti insieme prima di dividersi definitivamente. |
Le tabelle confermano che il regime patrimoniale influenza fortemente la sfera dei debiti: la comunione legale crea un “effetto scudo reciproco” limitato (per cui i beni comuni garantiscono i debiti familiari ma proteggono per metà da debiti personali), mentre la separazione dei beni tiene nettamente distinti i patrimoni (a vantaggio del coniuge non debitore). Inoltre, gli atti di separazione con trasferimenti sono sempre soggetti a verifica ex post se c’è insolvenza: non sono una soluzione miracolosa per sottrarre beni ai creditori.
Domande e Risposte frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande comuni sui debiti dopo la separazione, con risposte concise basate su quanto esposto finora.
- D: Mi sono separato consensualmente: da quando i beni e i debiti non sono più “in comune”?
R: La comunione legale tra i coniugi si scioglie alla data dell’omologazione della separazione consensuale (o all’autorizzazione a vivere separati nel caso di separazione giudiziale). Da quel momento, i nuovi acquisti di ciascuno non cadono più in comunione e ciascuno risponde solo dei debiti che contrae autonomamente. I beni già comuni andranno divisi secondo l’accordo. Attenzione: per i debiti pregressi contratti durante il matrimonio, lo scioglimento non libera magicamente – rimangono vincolanti gli impegni presi. Ma dopo la separazione non si generano ulteriori obblighi patrimoniali reciproci, salvo quelli di mantenimento stabiliti. - D: Dopo la separazione consensuale, sono ancora responsabile dei debiti contratti dal mio ex coniuge?
R: In linea generale no, non sei personalmente responsabile dei nuovi debiti che il tuo ex coniuge contrarrà dopo la separazione. Se eravate in comunione legale, quella è cessata e quindi ognuno risponde dei propri debiti con il proprio patrimonio. Fanno eccezione situazioni specifiche: se tu avevi firmato come coobbligato o garante per un suo debito (ad es. fideiussione, prestito cointestato), quella obbligazione sopravvive alla separazione e il creditore potrà ancora chiedere a te il pagamento secondo i termini del contratto. Inoltre, se il debito risale a prima ed era per bisogni familiari, i creditori potrebbero ancora rivalersi su beni comuni non ancora divisi o su beni che ti sono stati assegnati nei limiti della metà del loro valore. Ma per debiti nuovi del tuo ex, contratti dopo la separazione, i tuoi beni sono al riparo. - D: Chi paga il mutuo dopo la separazione se la casa va a uno dei coniugi?
R: Contrattualmente, verso la banca, restano obbligati entrambi i cointestatari del mutuo finché la banca non acconsente a liberare uno dei due (cosa che avviene solo con una rinegoziazione del mutuo a nome singolo, non automatica). Quindi, se la casa è assegnata a te e il mutuo era cointestato, ti conviene cercare di accollo bancario o surroga solo a tuo nome. Se invece rimane cointestato, dovreste inserire nell’accordo di separazione una clausola che regoli il da farsi: ad esempio “il coniuge che resta nella casa paga interamente le rate e tiene indenne l’altro”. Ma questa è una tutela tra di voi; se chi deve pagare non paga, la banca può comunque pretendere le rate dall’altro coniuge obbligato. Dunque, formalmente entrambi restate debitori verso la banca, anche se l’accordo interno dice diversamente. Perciò è spesso consigliato vendere l’immobile o rifinanziare il mutuo in queste situazioni. - D: Eravamo in comunione dei beni. Con la separazione consensuale abbiamo diviso tutto e mio marito si è preso i debiti rimasti. I creditori però possono ancora chiedere qualcosa a me?
R: Se i debiti erano formalmente intestati ad entrambi (es. finanziamento cointestato) o se tu avevi dato garanzie, i creditori non sono vincolati dall’accordo di separazione: potranno legalmente chiedere anche a te il pagamento. In tal caso, il tuo rimedio è nei confronti del tuo ex marito, sulla base dell’accordo (potrai rivalerti su di lui per quanto hai dovuto pagare al posto suo). Se invece i debiti erano intestati solo a lui, dipende: – Se erano debiti per la famiglia (es. spese ordinarie, affitto, bollette) contratti durante il matrimonio, i creditori potrebbero teoricamente farsi avanti sostenendo che la comunione dei beni ne rispondeva. In pratica, però, dopo la divisione, potranno tentare di aggredire al massimo i beni che lui ha ottenuto (o la sua quota di quelli avuti da te in divisione). – Se erano debiti totalmente personali suoi, tu sei al sicuro a meno che i beni comuni assegnati a te fossero stati ipotecati per quei debiti. In conclusione, nella maggioranza dei casi con un accordo chiaro e una netta separazione, i creditori del tuo ex dovranno rivolgersi solo a lui e al patrimonio a lui rimasto. Potrebbero coinvolgerti solo se lui non paga e se trovano appigli legali (coobbligazione, comunione non sciolta su qualche bene, ecc.). Importante: fai subito annotare sull’atto di matrimonio lo scioglimento della comunione e rendi pubblica la divisione dei beni (trascrivi l’atto di trasferimento immobiliare ecc.), così i terzi non potranno fingere di ignorare che la comunione è sciolta. - D: Il mio ex ha debiti con il Fisco: possono rivalersi su beni che ha ceduto a me nella separazione?
R: Sì, l’Agenzia delle Entrate Riscossione può tentare di colpire quei beni se il trasferimento è stato fatto in frode ai crediti tributari. In pratica, il Fisco può usare l’azione revocatoria (entro 5 anni dall’atto, ex art. 2903 c.c.) per far dichiarare inefficace nei suoi confronti il trasferimento avvenuto con la separazione, se prova che c’era un suo credito precedente e che l’atto pregiudica la sua riscossione. Non importa che l’atto sia inserito in un accordo omologato: come abbiamo visto, non è protetto contro i terzi. Quindi, ad esempio, se il tuo ex marito ti ha intestato la casa per evitare ipoteche e lui aveva già cartelle esattoriali, l’ADER può chiedere al giudice di revocare quell’atto e poi procedere sull’immobile come se fosse ancora di lui. Ci sono però eccezioni: se il trasferimento nella separazione avviene a fronte di un dare-avere equilibrato (es: ti ha dato la casa ma tu rinunciavi a un sostanzioso assegno), potrebbe sostenersi che non era un atto a titolo gratuito e quindi l’azione revocatoria ordinaria sarebbe più difficile (servirebbe dimostrare la partecipazione alla frode). Tuttavia, per prudenza, considera che i beni provenienti dall’ex indebitato restano “a rischio” per qualche anno. Se succede, tu come difesa potrai eventualmente negoziare col Fisco (ad es. pagando una parte del dovuto per evitare di perdere il bene) oppure, meglio, prevenire: ad esempio accollandoti tu parte di quei debiti fiscali usando magari la stessa casa come leva (es. ipotecandola per una rateazione). - D: Posso obbligare il mio ex coniuge a contribuire ai debiti che ho pagato io durante il matrimonio?
R: Dipende. Se erano debiti contratti per la famiglia (esempio: hai usato i tuoi risparmi personali per pagare affitto, bollette, spese dei figli, o hai fatto un prestito per questi scopi), allora sì, in sede di separazione o divorzio puoi far valere il principio che entrambi dovete contribuire. Questo può tradursi in un credito di regresso o di compensazione a tuo favore. Ad esempio, se dal conto tuo personale sono usciti €10.000 per spese familiari comuni, potresti chiedere che in sede di divisione dei beni comuni ti venga riconosciuta una quota maggiore (art. 192 c.c. permette il rimborso di ciò che un coniuge ha pagato per obbligazioni comuni). Se però il tuo ex rifiuta in fase di negoziazione, dovresti agire legalmente per ottenere questo rimborso, provando che la spesa era per la famiglia e che tu l’hai sostenuta integralmente. Se invece i debiti che hai pagato erano personali dell’altro (esempio: hai saldato tu un suo debito per evitargli guai), allora hai un vero e proprio credito verso di lui. In separazione potete inserirlo tra i conti (magari riducendo quello che devi dare tu, o facendoti dare qualcosa in cambio). Se non lo fate e resta insoluto, puoi agire successivamente con una causa di regresso per farti restituire quanto pagato al posto suo. Spesso, in concreto, queste cose entrano nelle trattative: “io ho pagato questo, quindi tu ti accolli quest’altro…”. L’importante è mettere tutto per iscritto nell’accordo di separazione. Dopo, se lui non rispetta, quell’accordo è titolo esecutivo e puoi procedere. - D: Il mio ex non paga le rate del prestito auto cointestato, la finanziaria le chiede a me: posso rifiutarmi perché l’auto è rimasta a lui?
R: Purtroppo no verso la finanziaria. Avendo tu firmato il contratto di prestito, ne sei debitrice solidale per l’intero importo. Quindi la finanziaria è nel suo diritto se pretende il pagamento integrale da te delle rate arretrate, anche se l’auto l’ha tenuta il tuo ex. Quello che puoi fare è: pagare (per evitare segnalazioni di mora o azioni legali) e poi rivolgerti al tuo ex per il rimborso della quota che avrebbe dovuto pagare lui. Se la separazione prevede chiaramente che quel prestito doveva pagarlo lui, hai una base contrattuale forte per chiedere immediatamente e integralmente quanto hai dovuto sborsare (magari con decreto ingiuntivo allegando l’accordo di separazione). Se non c’è nulla di scritto, comunque per legge il debito cointestato si presume a metà tra di voi, quindi potrai richiedergli la metà di quanto paghi (o, se l’auto era solo per uso suo, anche più della metà sostenendo arricchimento indebito). In pratica, davanti alla finanziaria devi pagare per evitare guai, ma poi puoi agire contro di lui. - D: Se il mio ex coniuge fallisce (o va in insolvenza), possono chiedere a me i suoi debiti?
R: No, il fallimento riguarda la persona dell’imprenditore, i suoi soci illimitatamente responsabili e il suo patrimonio. Tu come ex coniuge non diventi fallito né responsabile civile dei suoi debiti, a meno che tu non fossi socio illimitatamente responsabile nella sua azienda (caso delle SNC, dove falliscono tutti i soci). Tuttavia, il fallimento di lui può avere alcuni riflessi: – Se eravate in comunione legale e non l’avevate ancora sciolta (es. siete separati di fatto ma non legalmente, o la separazione è in corso), la dichiarazione di fallimento scioglie la comunione e il curatore potrà prendere la metà dei beni comuni per soddisfare i creditori. – Se avevate fatto atti di separazione con trasferimenti di beni, il curatore quasi certamente eserciterà l’azione revocatoria fallimentare (che nel fallimento ha termini: 2 anni per atti a titolo gratuito, 1 anno per atti a titolo oneroso con sproporzione o pagamenti anomali). E per gli atti tra coniugi, come visto, c’è una regola speciale che li rende revocabili se fatti durante l’impresa anche oltre 2 anni. – Se tu vantavi crediti verso il tuo ex (es. mantenimento arretrato, somme da restituzione), dovrai insinuarli nel passivo del fallimento per cercare di recuperare qualcosa. Avrai un privilegio piccolissimo sui 3 mesi di alimenti, il resto sarà credito chirografario. – Se tu avevi firmato garanzie per i suoi debiti, i creditori (o il curatore se è lui a subentrare) potrebbero attivarle contro di te. Dunque, direttamente i creditori concorsuali no, ma indirettamente, tramite garanzie, potresti dover pagare. In sintesi: la tua responsabilità per i suoi debiti non esiste in proprio, ma stai attenta al tuo patrimonio: se ad esempio lui ti aveva intestato casa e poi fallisce, il curatore potrà cercare di prendersela (revocando l’atto di separazione). Se sei certa di non avere situazioni del genere (niente comunione, niente atti revocabili, niente firme tue), allora il suo fallimento non ti coinvolge. - D: Quali clausole posso inserire nell’accordo di separazione per tutelarmi riguardo ai debiti?
R: Ecco alcune clausole utili:
– Clausola di riconoscimento dei debiti: elencare i debiti comuni o personali noti, specificando chi se ne farà carico. Esempio: “I coniugi dichiarano che esistono i seguenti debiti: …; essi convengono che il Coniuge A si accollerà integralmente il pagamento del debito X verso Y, manlevando il Coniuge B da ogni responsabilità al riguardo”.
– Clausola di manleva e indennizzo: stabilire che se nonostante l’accordo un creditore escute il coniuge che non doveva pagare, l’altro dovrà rimborsargli immediatamente quanto pagato, oltre eventuali spese legali, e magari prevedere una penale per il ritardo.
– Clausola di garanzia reale o deposito: se c’è timore, si può convenire che a garanzia di quell’impegno l’obbligato presti una garanzia. Ad esempio: “A garanzia del puntuale pagamento delle rate del mutuo X che il marito assume a suo esclusivo carico, egli costituisce fin d’ora ipoteca a favore della moglie sull’immobile Y” oppure “versa a titolo di cauzione € … su un conto vincolato, che sarà liberato quando il mutuo sarà estinto”. Non sempre fattibile, ma molto protettivo.
– Clausola di cooperazione: es. “Il Coniuge A si impegna a tenere informato il Coniuge B dello stato dei pagamenti dei debiti di cui sopra e a fornirgli, su richiesta trimestrale, quietanze o estratti conto. L’eventuale omissione di due rate consecutive darà diritto al Coniuge B di agire esecutivamente sul patrimonio del Coniuge A per cautelarsi, previa costituzione in mora”. Questa clausola formalizza un controllo.
– Clausola “salva terzi”: spesso utile dichiarare che l’accordo sui debiti vale solo tra le parti e non pregiudica i diritti dei creditori. Questo è più per correttezza, ma a volte i creditori apprezzano se glielo comunichi, sapendo chi pagherà.
– Accollo liberatorio da ottenere: se prevedete che uno cercherà di farsi liberare (es. dall’obbligazione di mutuo), mettere un impegno: “il marito si obbliga a fare tutto il necessario per ottenere dalla banca, entro il tal data, la liberazione della moglie dal mutuo, anche mediante surroga; in difetto, la moglie avrà diritto di chiedere la vendita dell’immobile ipotecato”. Insomma, mettere pressione a concretizzare.
– Clausola di risoluzione: “Il mancato pagamento di X comporterà la facoltà per il coniuge non inadempiente di chiedere la risoluzione dell’accordo di separazione nella parte dispositiva patrimoniale”, così da magari rivedere l’assetto se l’altro non paga. Questa però è teorica, perché l’accordo di separazione omologato non è facilmente “risolubile” se non con altro accordo o causa: però la clausola può avere valore dissuasivo. - D: Se dopo la separazione scopro che l’ex aveva altri debiti nascosti, cosa posso fare?
R: Se i debiti erano già esistenti al momento della separazione ma tu non ne eri a conoscenza e non sono stati considerati nell’accordo, la situazione si complica: legalmente, l’accordo di separazione rimane valido e non è annullabile solo perché uno dei due sottovalutò le passività. Non c’è un obbligo legale esplicito di rendere conto di tutti i debiti nell’accordo (anche se moralmente e per buona fede contrattuale sarebbe dovuto). Quindi difficilmente potrai modificare l’accordo omologato per questo motivo, a meno che non dimostri che è stato determinato da dolo o errore essenziale su elementi patrimoniali (cosa ipotetica: se lui ha mentito sul patrimonio netto, tu potresti tentare un’azione di annullamento per dolo contrattuale, ma è un percorso incerto e lungo, con esito dubbio). Più pragmatico: cerca di capire se questi creditori possono coinvolgere te (vedi discorsi sopra: se non hai firmato e la comunione è sciolta, magari no). Se però ti attaccano qualche bene comune non ancora diviso, potrai rivalerti su di lui per violazione di dichiarazioni eventualmente fatte. In sostanza, potresti chiedergli una modifica volontaria dell’accordo (ad esempio ridividere diversamente i beni, ora che emergono quei debiti) appellandoti alla equità; ma se rifiuta, l’unica è eventualmente non rispettare qualche tuo obbligo correlato e portare la questione in tribunale, col rischio di dovervi ridividere beni con causa. Insomma, è difficile intervenire ex post se l’altro è stato disonesto in sede di accordo. Prevenzione era la cura: per il futuro, se l’accordo di separazione è ancora in fieri, inserite dichiarazioni reciproche su attivi e passivi noti, in modo che se salta fuori altro, almeno c’è una base per dire che l’altro ha violato la buona fede. In estrema ipotesi, se il debito nascosto è tale che avresti negoziato diversamente (es. lui ha un debito enorme e tu gli hai lasciato molti beni credendo ne avesse pochi debiti), potresti considerare un’azione giudiziale per riequilibrio dell’accordo invocando la clausola generale di buona fede, ma si tratta di un percorso nuovo e tutto da inventare giuridicamente. - D: Meglio separazione dei beni o comunione, per proteggersi da debiti?
R: Dal punto di vista del rischio patrimoniale, decisamente il regime di separazione dei beni è preferibile se uno dei due coniugi (o entrambi) ha attività imprenditoriali, professionali rischiose, può contrarre debiti significativi, o anche solo se c’è disparità economica e uno tende a indebitarsi. Con la separazione dei beni, il patrimonio di ciascuno è segregato: i creditori di uno non possono toccare i beni intestati all’altro. Con la comunione legale, invece, i creditori di uno hanno un certo potere sui beni comuni (possono aggredirli, anche se con i limiti visti). È vero che in comunione i beni comuni rispondono dei debiti familiari il che tutela i creditori “buoni” (es. scuola, alimentari), ma questo finisce per mettere a repentaglio i beni anche dell’altro coniuge. Quindi, per un imprenditore è quasi sempre consigliato fare separazione dei beni sin dal matrimonio o successivamente tramite convenzione matrimoniale. Se siete ancora in comunione e preoccupati, potete fare l’atto di separazione dei beni davanti a un notaio (consensuale) senza dovervi separare come coppia, è solo un regime patrimoniale. Questo atto ha effetto tra di voi e verso i terzi dalla trascrizione. Tenete conto però: passare a separazione dei beni non protegge dai debiti già contratti: quelli restano e i creditori potranno ancora far valere sui beni comuni esistenti prima dello scioglimento. Protegge però per il futuro. Dunque: se il tema è protezione, la separazione dei beni è lo scudo più immediato. La comunione può avere senso se avete entrambi posizioni sicure e volete condividere tutto; ma se c’è rischio di default di uno, può trascinare giù anche l’altro in parte.
Queste FAQ coprono i dubbi più frequenti. Naturalmente ogni situazione concreta va valutata con attenzione legale, ma le risposte offrono un orientamento basato su norme e sentenze aggiornate.
Simulazioni pratiche di casi tipici
Per dare un’idea concreta di come applicare tutte queste informazioni, presentiamo alcune simulazioni pratiche di situazioni reali in cui coniugi separandi o separati si trovano a dover gestire dei debiti. Ogni caso evidenzia problemi e soluzioni possibili.
Caso 1: Divisione dei debiti tra coniugi in separazione consensuale
Scenario: Mario e Lucia, dopo 15 anni di matrimonio in comunione dei beni, decidono di separarsi consensualmente. Hanno una casa in comune gravata da €50.000 di mutuo residuo, un’auto intestata a Mario ma comprata con un finanziamento (€10.000 rimanenti) cointestato, e debiti familiari per €5.000 sulla carta di credito di Lucia (usata per spese domestiche). Nel verbale di separazione concordano che la casa andrà a Lucia (che continuerà a viverci coi figli), l’auto rimarrà a Mario e ciascuno si accollerà i rispettivi debiti. In particolare, stabiliscono che: Lucia rileverà la quota di Mario della casa e subentrerà nel mutuo (sollevando Mario), Mario pagherà il finanziamento auto e terrà l’auto, i €5.000 di carta di credito saranno divisi 50/50.
Problemi da affrontare:
- Mutuo casa: essendo cointestato, la banca deve approvare la liberazione di Mario. Mario è quello con reddito più alto; Lucia è part-time. La banca non è entusiasta di avere solo Lucia come debitrice, potrebbe rifiutare l’accollo liberatorio.
- Finanziamento auto cointestato: se Mario ritarda, la finanziaria busserà anche a Lucia.
- Carta di credito intestata a Lucia: metà del debito è di Mario moralmente, ma legalmente è Lucia la debitrice verso la banca.
- Trasferimenti patrimoniali: Mario trasferisce la sua quota di casa a Lucia (atto notarile) e Lucia dovrebbe compensarlo, ma lui accetta di non ricevere liquidazione perché in cambio non dovrà pagare assegno mantenimento. Questo è un trasferimento a titolo oneroso (trova giustificazione nella rinuncia all’assegno).
- Tempistiche: Chi paga cosa e quando? Occorre coordinare il rogito della casa, la pratica di accollo mutuo, etc.
Soluzione adottata nell’accordo:
– Mario e Lucia dichiarano di voler vendere la quota di Mario della casa a Lucia per €40.000 (valore convenuto al netto mutuo) ma Lucia non corrisponderà denaro, trattandosi di corrispettivo in natura per la cessazione di ogni sua pretesa di mantenimento. Indicazione chiara della causa, per mostrare che non è atto gratuito puro (questo anche per evitare problemi futuri di revocatoria: se Mario avesse creditori, almeno c’è una causa onerosa apparente).
– Viene inserita clausola: “Lucia si impegna a ottenere dalla Banca Delta la liberazione di Mario dal mutuo entro 6 mesi. In difetto, Mario potrà chiedere la vendita dell’immobile per estinguere il mutuo, oppure Lucia dovrà fornire fideiussione di un terzo a garanzia della parte di Mario.” Questa clausola stringe Lucia a trovare soluzioni (magari coinvolgendo suo padre come garante per convincere la banca).
– Per il finanziamento auto: “Mario assume a suo carico l’obbligo di pagare tutte le rate residue del finanziamento auto n… presso XYZ Finanziaria, manlevando Lucia. A garanzia, Mario consegna assegno post-datato di €10.000 a Lucia, che potrà incassare pro-quota in caso di inadempimento di Mario su dette rate, restituendole a fine finanziamento se tutto regolare.” Questa trovata vincola Mario, perché sa che se sgarra Lucia incassa l’assegno (che nel frattempo può essere tenuto in deposito fiduciario da un avvocato).
– Per la carta di credito: formalizzano che Mario deve a Lucia €2.500 a titolo di rimborso metà spese familiari pregresse su carta. Concordano che di questo importo Mario pagherà direttamente €2.500 alla banca creditrice riducendo il debito di Lucia. Nell’accordo: “Mario versa entro 30 gg dalla separazione €2.500 sul conto carta di Lucia presso Banca X”. Così Lucia poi paga il resto. In tal modo la banca riceve comunque da Lucia formalmente, ma Mario adempie la sua metà. Inseriscono penale se non lo fa, aggiungendo che in caso di inadempimento Lucia può detrarre tale somma da eventuali somme a carico suo (ad esempio spese straordinarie dei figli – incrocio).
– Clausola generale di manleva: “Ciascun coniuge terrà indenne l’altro da qualsiasi pretesa di terzi relativa ai debiti a suo carico come sopra ripartiti. In caso contrario, dovrà rimborsare immediatamente quanto pagato dall’altro, con interessi legali e penale di €500 per ogni inadempimento segnalato.”
Come procede: L’accordo viene omologato. Entro 3 mesi Lucia, grazie al fratello che fa da garante, convince la banca a intestarle il mutuo e liberare Mario (anche se tasso leggermente aumentato). Fanno atto notarile: Mario cede quota casa a Lucia, che si intesta mutuo per intero. I creditori di Mario (non ne aveva molti) non hanno niente da aggredire su casa perché Mario ormai non è più proprietario – ma l’atto non è gratuito, essendo in cambio di rinuncia assegno, quindi difficilmente revocabile ex art. 2901 c.c. da eventuali creditori di Mario. Mario paga regolarmente le rate auto; Lucia chiude il suo fido carta. Dopo un anno, tutto funziona e stralcia l’assegno di garanzia di Mario per l’auto restituendoglielo.
Nota: se Mario invece fosse stato inaffidabile e non avesse pagato, Lucia avrebbe potuto incassare l’assegno depositato e saldare il debito auto, poi eventualmente eccedenze le avrebbe restituite. In più, l’accordo essendo titolo esecutivo, se Mario non avesse pagato i €2.500 della carta, Lucia poteva direttamente notificarlo come ingiunzione. Questo caso mostra l’importanza di predisporre garanzie e meccanismi per dare effettività agli accordi.
Caso 2: Responsabilità in caso di fideiussione coniugale
Scenario: Carla è un’imprenditrice che gestiva un ristorante. Suo marito Gianni, pur estraneo alla gestione, ha firmato come fideiussore per un prestito bancario di €30.000 a favore dell’attività di Carla. Purtroppo il ristorante non va bene e Carla accumula debiti; i coniugi si separano consensualmente e nel frattempo Carla chiude l’attività. Nell’accordo di separazione, Carla dichiara che il debito bancario le fa carico e manleva Gianni (ormai ex marito). Dopo la separazione (regime era separazione beni già dall’inizio, per fortuna), Carla non riesce a pagare il prestito. La banca ottiene decreto ingiuntivo e punta a escutere il garante Gianni, ritenuto più solvibile (ha stipendio fisso). Gianni è arrabbiato: “perché devo pagare io che ero solo il marito e ora neanche più quello?”.
Analisi: Gianni, avendo firmato la fideiussione, è giuridicamente un debitore solidale per la banca. La separazione e l’accordo di manleva non sono opponibili alla banca, che fa valere il contratto. Gianni però può verificare se ci sono appigli: per esempio, la fideiussione potrebbe avere clausole nulle (essendo lui consumatore, come da SU 2023). Con l’aiuto di un avvocato, controlla e scopre che la fideiussione include le clausole cosiddette “ABI” (rinuncia ai termini ex art.1957 c.c., pagamento a prima richiesta, clausola di reviviscenza) che Banca d’Italia aveva sanzionato come anticoncorrenziali. Queste clausole possono essere dichiarate nulle. Se il giudice le eliminasse, Gianni potrebbe avere qualche vantaggio (es. la banca avrebbe dovuto escuterlo entro un certo termine dall’insolvenza principale, ecc.). Inoltre, Gianni evidenzia che Carla ha ottenuto il prestito per la sua società (quindi Gianni era estraneo professionalmente) e pertanto lui è consumatore nella fideiussione. Ciò dà competenza al foro del suo domicilio e applicazione Codice Consumo per eventuali vessatorietà.
Cosa succede: La banca notifica atto di precetto a Gianni per l’importo. Gianni, tramite legale, propone un’opposizione all’esecuzione sostenendo: (a) nullità parziale della fideiussione per clausole abusive; (b) richiesta di rideterminare importo esatto dovuto sottraendo interessi magari non dovuti; (c) eccepisce anche la violazione dell’art. 1956 c.c. – qui però trova l’ostacolo Cass. 4112/16: essendo all’epoca coniuge convivente, presumibilmente sapeva delle difficoltà del ristorante. Quindi il punto (c) è debole. (d) Sottolinea comunque che Carla aveva informato la banca del calo di fatturato? (Se potesse provare che la banca ha concesso ulteriore credito senza avvertirlo, forse… ma se il prestito era unico, 1956 c.c. non si applica perché riguarda crediti successivi). Dunque l’argomento principale resta la nullità delle clausole.
Il giudice dell’opposizione, riconoscendo Gianni come consumatore, valuta le clausole: ne dichiara nulle due su tre, ma ciò non estingue l’obbligazione di Gianni, semplicemente la limita. In particolare, elimina la clausola di “deroga art. 1957 c.c.”, il che però significa che la banca ha agito comunque tempestivamente, quindi incide poco. In definitiva, Gianni rimane tenuto a pagare, ma nel frattempo Carla è riuscita a vendere i macchinari del ristorante e racimolare €10.000 che versa per ridurre il debito. Colloquiando, la banca accetta un accordo transattivo: Gianni paga €15.000 subito e la banca lo libera dalla fideiussione, rinunciando al resto (che tanto Carla non avrebbe mai pagato essendo nullatenente ormai). Gianni paga, poi con l’accordo di separazione può chiedere a Carla la restituzione di quei €15.000 – Carla non li ha, ma magari convenendo col suo aiuto familiare, accetta di dargli €300 al mese finché non rimborsa, formalizzano in scrittura.
Morale: se un coniuge garante viene escusso, la sua miglior speranza è trovare irregolarità contrattuali per far leva, o ottenere un compromesso. L’accordo di manleva con l’ex è importante perché almeno gli dà un credito verso di lei (che Gianni può far valere). In caso di default totale di Carla, quel credito sarebbe inesigibile, ma per fortuna Carla ha un senso di correttezza e cerca di risarcirlo. Se Carla fosse fallita, Gianni avrebbe insinuato un credito di regresso nel fallimento, con scarse prospettive.
Questo caso mostra che la fideiussione firmata “per amore” è pericolosa: Gianni avrebbe dovuto limitarla magari a un importo minore o chiedere garanzie contro, cose che in costanza di matrimonio è difficile fare. Da separato, ha imparato la lezione: in futuro, niente firme di garanzia senza protezioni. E Carla ha visto che separarsi non elimina il problema: meglio sarebbe stato rinegoziare il debito prima e far uscire Gianni come garante (ma la banca non l’avrebbe tolto se Carla era in crisi).
Caso 3: Insolvenza post-separazione e revocatoria di accordo patrimoniale
Scenario: Paolo è un imprenditore edile sommerso dai debiti. Nel 2023, prefigurando il peggio, decide di separarsi consensualmente da sua moglie Anna, con cui era in comunione dei beni, nel tentativo di mettere al sicuro qualcosa per la famiglia. Nell’accordo di separazione, Paolo trasferisce ad Anna la proprietà dell’appartamento dove lei vive coi figli, e le riconosce un assegno di mantenimento modesto (€300). In cambio Anna rinuncia a qualsiasi altra pretesa sulle aziende di Paolo e si assume l’obbligo di pagare il mutuo residuo dell’appartamento. Dopo pochi mesi, nel 2024, la società di Paolo fallisce e lui personalmente viene dichiarato fallito. I creditori di Paolo, notando il trasferimento dell’immobile ad Anna avvenuto poco prima, istruiscono il curatore fallimentare in tal senso.
Cosa accade: Il curatore fallimentare, in base agli artt. 166 e 169 CCII, rileva che l’atto di trasferimento a favore della moglie è avvenuto entro due anni prima della dichiarazione di liquidazione giudiziale, a titolo sostanzialmente gratuito (la casa vale €200.000, il mutuo residuo era €50.000, l’assegno di mantenimento irrisorio: appare come uno squilibrio). Inoltre nota che al momento della separazione Paolo era già insolvente (aveva smesso di pagare molti fornitori). Il curatore quindi propone azione revocatoria fallimentare davanti al tribunale, chiedendo di dichiarare inefficace il trasferimento dell’immobile ad Anna e di far rientrare l’immobile nella massa fallimentare. Anna si oppone strenuamente, sostenendo che l’atto era in parte a titolo oneroso (in cambio della rinuncia al mantenimento adeguato). Tuttavia, la Corte di Cassazione ha appena stabilito – come visto – che questi atti sono revocabili e che la sentenza di separazione è solo dichiarativa. Il tribunale fallimentare, seguendo Cass. 26127/2024, valuta i fatti:
– Il trasferimento appare gratuito in larga parte: Paolo non aveva un obbligo giuridico di dare la casa, lo ha fatto volontariamente. L’assegno rinunciato da Anna (diciamo poteva essere €800 mensili per 5 anni = €48.000 attualizzati) è molto inferiore al valore netto della casa (€150.000 di equity). Quindi c’è uno squilibrio enorme.
– Paolo era insolvente (ci sono prove che al tempo già non pagava, quindi scientia damni c’è sia in lui che Anna poteva presumere).
– L’atto è stato omologato dal tribunale, ma ciò non lo rende irrevocabile.
Il tribunale pronuncia la revocatoria: la conseguenza è che, rispetto ai creditori, il trasferimento è inefficace. Ciò significa che il curatore può inserirsi nell’immobile come se fosse ancora di Paolo e procedere a venderlo all’asta per soddisfare i creditori. Anna naturalmente viene estromessa dall’immobile in quanto verrà venduto; però, dato che formalmente la revocatoria fallimentare fa rientrare il bene in comunione fallimentare, Anna come controparte potrà vantare un credito verso il fallimento pari al valore di eventuali prestazioni da lei eseguite (forse la parte di mutuo che ha pagato nel frattempo? Piccolo importo). In pratica però, Anna e i figli rischiano di perdere la casa. Avendo i figli minori, può chiedere al giudice delegato di posticipare lo sloggio per alcuni mesi magari, ma alla fine la casa sarà liquidata.
Esito: L’immobile venduto, i creditori di Paolo recuperano parte dei loro crediti. Anna rimane con nulla in mano tranne il debito residuo di mutuo che aveva iniziato a pagare (per fortuna la revocatoria rescinde tutto: il curatore pagando la banca si accolla il mutuo, quindi Anna viene liberata dal mutuo che torna sul fallimento). Anna però deve trovare un’altra sistemazione: qui il fallimento incrocia il diritto di famiglia e i giudici cercano di mediare (magari il curatore offre ad Anna di tenere l’immobile all’asta se riesce a trovare i fondi? Purtroppo lei non li ha).
Questo scenario, assai duro, illustra che usare la separazione per sottrarre beni ai creditori può fallire e lasciare la famiglia in guai peggiori (perdono comunque il bene, avendo magari anche rinunciato al mantenimento). Cass. 2024 lo conferma: la tutela dei creditori prevale su questi accordi se non equilibrati.
Caso 4: Debiti post-separazione per spese dei figli e inadempienze
Scenario: Marco e Silvia si separano. A Silvia è affidata la figlia quindicenne, Marco deve contribuire al mantenimento e pagare il 70% delle spese straordinarie (scuola, mediche, ecc.). Inoltre, la casa familiare (di proprietà di Marco) è assegnata a Silvia finché la figlia non sarà indipendente. Marco accumula debiti personali dopo la separazione perché perde il lavoro e smette anche di pagare regolarmente l’assegno e le sue quote di spese straordinarie. Silvia nel frattempo anticipa tutto (ripetizioni, dentistica, sport della figlia) e dopo due anni si trova ad aver speso €5.000 che spettavano a Marco. Inoltre, Marco non paga l’IMU sulla casa di sua proprietà (anche se assegnata a Silvia), accumulando cartelle. Silvia teme che il Comune/AER possa mettere all’asta la casa se il debito cresce.
Sviluppo: Silvia ha due tipi di crediti verso Marco: uno da mantenimento e spese straordinarie non rimborsate (natura familiare), l’altro “derivato” perché se pignorano la casa, lei perde il diritto di abitazione. Silvia fa valere i suoi diritti: porta Marco in tribunale con un ricorso ex art. 156 c.c. per ottenere pagamento coattivo. Il giudice, verificati i mancati pagamenti, autorizza Silvia a compensare parte del mantenimento con la spesa straordinaria anticipata e dispone un sequestro di 1/5 dello stipendio di Marco (che nel frattempo ha ritrovato lavoro) per soddisfare gli arretrati (questo in base al titolo esecutivo della separazione). Per l’IMU, Silvia non può pagare lei direttamente? Se lo fa, aggiunge credito. Decide allora di usare un escamotage: chiede al giudice di modificare le condizioni della separazione prevedendo che la casa venga venduta e il ricavato diviso (ritenendo che la figlia oramai ha 17 anni, quasi maggiorenne) oppure che l’assegnazione cessi così da costringere Marco a vendere e sanare i debiti. Il giudice però è riluttante a togliere la casa alla figlia prima del tempo; piuttosto, su istanza di Silvia, dispone che la figlia sia domiciliata altrove se Marco non paga le imposte (un provvedimento forte, ma possibile se il bene è in pericolo).
Silvia intanto contatta il Comune e spiega la situazione: essendo casa assegnata, l’Ente potrà iscrivere ipoteca ma non fare pignoramento finché è prima casa di Marco (c’è il blocco espropriazione prima casa per AE Riscossione). Questo dà tempo. Silvia decide di pagare lei l’IMU arretrata (per evitare ipoteche) e di scalare tale importo dall’assegno di mantenimento corrente, usando la strada di farsi autorizzare dal giudice (il quale gliela dà, trattandosi di debito imposto di Marco che però preserva l’abitazione familiare). Così risolve per ora.
Commento: Questo caso evidenzia che dopo la separazione, i debiti per mantenimento o inerenti alla casa familiare possono creare questioni. La legge prevede qualche strumento: il coniuge inadempiente può subire un sequestro o ordine di pagamento diretto dal datore di lavoro (ex art. 8 L. 898/70 esteso alla separazione) per gli assegni. Le spese straordinarie non pagate possono essere ingiunte come decreto (il verbale di accordo funge da titolo esecutivo anche per quelle, specie se concordate). Quanto alle imposte, la norma blocca l’esproprio prima casa, quindi la casa assegnata è relativamente al sicuro se è unica di Marco e non di lusso. Comunque, meglio non far accumulare: la soluzione di Silvia di pagare e decurtare dall’assegno è un fai-da-te, non propriamente autorizzato salvo accordo, ma il giudice glielo ha “coperto” successivamente. È preferibile anticipare e chiedere offset invece di rischiare.
Caso 5: Impresa familiare e separazione dei beni tardiva
Scenario: Francesco e Laura sono sposati da 10 anni in comunione dei beni. Gestiscono insieme un agriturismo: Francesco come titolare dell’impresa individuale, Laura ufficialmente casalinga ma di fatto aiuta. Ci sono debiti con fornitori e banca (50.000€) intestati a Francesco (ditta). Temendo la situazione, decidono nel 2025 di optare per il regime di separazione dei beni (stipulano convenzione dal notaio) senza separarsi come coppia. Lo fanno pensando: “così i creditori non toccheranno la casa comune e i risparmi di Laura”. Tuttavia, la maggior parte dei beni (terreno, casa rurale) erano già in comunione. Poco dopo, i creditori agiscono: un fornitore ottiene un decreto e pignora il terreno agricolo intestato a Francesco e Laura in comunione (lo era prima, e la separazione dei beni non ha effetto retroattivo su quello). Il loro avvocato sostiene che essendo passati a separazione, ora ciascuno ha la metà e si deve vendere solo metà. Ma dall’analisi Cassazione, appare che al momento del pignoramento la comunione si è effettivamente sciolta quando hanno stipulato la convenzione di separazione (per mutamento convenzionale del regime, art. 191 c.c.). Quindi, tecnicamente, dal giorno dell’accordo notarile, quel terreno è divenuto in comproprietà 50/50 (devono ancora dividerlo materialmente, ma la comunione legale è finita). In tal caso, il creditore di Francesco avrebbe dovuto pignorare la quota di metà di Francesco (essendo ormai bene indiviso ordinario). Se invece consideriamo che doveva prima avvenire la divisione dei beni per capire, c’è un po’ di confusione.
Sviluppo: Il tribunale inizialmente pignora tutto il terreno come se la comunione non fosse sciolta, perché la trascrizione della convenzione è recente e il creditore fa valere credito antecedente. Laura fa opposizione di terzo (619 c.p.c.) sostenendo che la sua metà non è aggredibile per debito del marito essendo sciolta la comunione prima del pignoramento. Mostra l’atto di separazione dei beni stipulato un mese prima del precetto. Il giudice le dà ragione: la comunione era già cessata, dunque il terreno è in comunione ordinaria e di esso Francesco poteva disporre solo della sua quota. Si converte il pignoramento al 50% del terreno e il creditore deve accontentarsi di vendere la mezza quota (che sul mercato vale pochissimo se l’altra metà è di moglie che non consente uso – di solito va deserto). Questo porta il creditore a negoziare: accetta un accordo stragiudiziale dove i coniugi vendono spontaneamente un piccolo appezzamento secondario e lo pagano.
Morale: La separazione dei beni tardiva ha limitato i danni ma non li ha eliminati: i creditori erano sorti prima, e grazie all’art. 189 c.c. avrebbero potuto colpire fino a metà dei beni comuni. Sciogliendo la comunione prima dell’azione esecutiva, i coniugi hanno costretto il creditore a ragionare su una quota. Ciò dimostra che anche senza separazione coniugale, il mutamento del regime patrimoniale è uno strumento di tutela (non infallibile, perché se fossero stati atti in frode sarebbero revocabili se in pregiudizio – ma qui era convenzione matrimoniale, atto a titolo oneroso? Non proprio oneroso, ma escluso dall’azione revocatoria ordinaria? Non c’è giurisprudenza chiara se un atto di separazione dei beni possa essere revocato: è un atto a titolo gratuito potenzialmente, ma è previsto dalla legge; comunque i creditori potrebbero contestare se fatto apposta per sfuggire). In questo caso, i creditori hanno avuto difficoltà e hanno preferito transare.
Queste simulazioni coprono casistiche tipiche: naturalmente ogni vicenda può avere varianti, ma aiutano a capire in pratica come agire e quali problemi sorgono.
Modelli e fac-simile utili
In questa sezione forniamo alcuni schemi di clausole contrattuali e atti che possono risultare utili per disciplinare i debiti tra coniugi in sede di separazione. Si tratta di testi esemplificativi da adattare ai singoli casi, redatti in un linguaggio conforme alla prassi legale italiana.
Fac-simile 1: Clausole patrimoniali nell’accordo di separazione (ripartizione debiti)
Di seguito alcune clausole che possono essere inserite nel verbale di separazione consensuale omologato, relative alla gestione dei debiti:
Clausola di ricognizione e accollo di debiti:
“I coniugi dichiarano di aver congiuntamente esaminato la situazione patrimoniale comune e di ciascuno, dando atto che allo stato sussistono i seguenti debiti: a) mutuo immobiliare n. ___ acceso presso ___, cointestato ad entrambi, con debito residuo di €__; b) finanziamento auto n. ___ intestato al Sig. ___ con debito €__; c) esposizione su carta di credito intestata alla Sig.ra ___ per €__ (spese familiari); d) debito verso l’erario per €__ a carico del Sig. __ (IRPEF anno __). I coniugi convengono che: il mutuo di cui al punto a) sarà accollato interamente dal Sig. __, che manterrà la titolarità esclusiva dell’immobile X, manlevando la Sig.ra __ da ogni obbligo verso la banca mutuante; il finanziamento auto di cui al punto b) resterà a carico del Sig. __ (intestatario), il quale pure manterrà la proprietà del veicolo; il debito di cui al punto c), contratto nell’interesse della famiglia, viene ripartito tra i coniugi nella misura del 50% cadauno, con obbligo per il Sig. __ di rimborsare alla Sig.ra __ la metà degli esborsi già da questa effettuati o che effettuerà; il debito erariale di cui al punto d) resterà a carico esclusivo del Sig. __, il quale terrà indenne la Sig.ra __ da ogni pretesa dell’Erario su beni a lei attribuiti.”
(Omissis eventuale dettaglio su modalità di pagamento e importi)Clausola di manleva e garanzie tra coniugi:
“Ciascun coniuge si impegna sin d’ora a tenere indenne e manlevato l’altro coniuge da qualsiasi richiesta di pagamento proveniente da terzi creditori in relazione ai debiti di propria esclusiva spettanza come sopra individuati. In particolare, il Sig. __ assumerà a proprio carico ogni onere verso la Banca __ relativo al mutuo __ e verso l’Erario per il debito fiscale __, obbligandosi a liberare la Sig.ra __ da tali obbligazioni entro il __ (es. mediante accollo bancario liberatorio, ovvero tramite pagamento integrale del debito), e comunque a rimborsarle immediatamente quanto ella fosse chiamata a pagare, anche in via di esecuzione forzata, in dipendenza di dette obbligazioni, con aggiunta di interessi legali dal dì del pagamento al rimborso e penale di €__ per ogni eventuale inadempimento. Simmetricamente, la Sig.ra __ terrà manlevato il Sig. __ da ogni pretesa relativa ai debiti a suo carico (finanziamento __ e carta di credito di cui sopra), obbligandosi a non far gravare sul coniuge alcuna conseguenza patrimoniale derivante dagli stessi.”
(Eventualmente: a garanzia degli impegni assunti, il Sig. __ offre in garanzia ipotecaria a favore della Sig.ra __ l’immobile __, ovvero consegna alla stessa un assegno di €__ depositato in escrow presso l’avv. __, fiduciario di entrambe le parti, da utilizzarsi nel caso di inadempimento come da accordi).”Clausola di cooperazione e trasparenza:
“Le parti convengono sulla necessità di una reciproca collaborazione al fine di perfezionare gli accolli liberatori dei mutui e finanziamenti di cui sopra e di gestire la posizione debitoria nei confronti dell’Erario. A tal fine, il Sig. __ si impegna a fornire alla Sig.ra __, con cadenza trimestrale e sino all’estinzione dei debiti di cui è responsabile, un rendiconto documentato dello stato dei pagamenti (ricevute delle rate, quietanze, ecc.), autorizzando sin d’ora la Sig.ra __ a interloquire con i creditori al fine di verificare l’adempimento. Ove il Sig. __ risultasse inadempiente per due scadenze consecutive nel pagamento del mutuo __ o del debito fiscale, la Sig.ra __ avrà diritto di sostituirsi a lui nel pagamento al fine di evitare pregiudizi e di rivalersi immediatamente nei confronti del Sig. __, anche mediante iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni di lui, fatto salvo ogni ulteriore rimedio di legge.”
Spiegazione: queste clausole creano un quadro completo: riconoscono i debiti, li attribuiscono, e prevedono manleva e rimedi. Sono piuttosto dettagliate; in un verbale di separazione reale si potrebbe semplificare la formulazione, ma è importante che siano chiare le obbligazioni. Notare l’inclusione di scadenze (“entro il … liberare” etc.), penali e garanzie (facoltative). Queste clausole, una volta omologate, diventano vincolanti; in caso di inadempimento, la parte lesa può farle valere in giudizio o esecuzione.
Fac-simile 2: Scrittura privata tra ex coniugi sulla regolazione di un debito
Spesso, soprattutto per debiti scoperti o sorti dopo la separazione, i due ex coniugi potrebbero stipulare a parte una scrittura integrativa. Ad esempio: dopo la separazione ci si accorge di un debito non considerato, o uno paga per l’altro e ci si accorda sul rimborso. Ecco un modello:
Scrittura privata di riconoscimento di debito e impegno di rimborso
Tra
Il Sig. ______________ (C.F. ______), nato a _____ il //, residente in ____, Via ______ n. (di seguito “Debitore”),
e
La Sig.ra ______________ (C.F. _______), nata a _____ il //__, residente in ____, Via ______ n. (di seguito “Creditore”),
premesso che
– i comparenti sono stati coniugati tra loro ed hanno omologato in data //__ un verbale di separazione consensuale innanzi al Tribunale di ______ (RG ______), nel quale hanno regolato i reciproci rapporti patrimoniali;
– è emerso successivamente che sussiste un debito residuo verso ______ (nome del creditore terzo) intestato al Sig. , per un importo di €, relativo a __________________ (descrizione, es. “carta di credito n….” o “utenze domestiche insolute” ecc.), debito che non era stato specificamente considerato nell’anzidetto verbale di separazione;
– la Sig.ra , in data //, ha provveduto ad effettuare il pagamento di €__ a favore del suddetto creditore, estinguendo (in tutto/in parte, a seconda) la posizione debitoria gravante sul Sig. ______, al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli;
– le Parti intendono con la presente scrittura definire amichevolmente le modalità di rimborso di quanto anticipato dalla Sig.ra ______ a beneficio del Sig. ______;
tutto ciò premesso (parte integrante), si conviene e stipula quanto segue:
- Ricognizione di debito. Il Sig. ______ riconosce, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1988 c.c., di essere debitore nei confronti della Sig.ra ______ della somma di €______ (____/00), che la medesima ha corrisposto in data // al creditore ______ per conto e nell’interesse del Sig. ______, a titolo di [specificare: ad es. pagamento debito XYZ].
- Impegno di rimborso. Il Sig. ______ si impegna a rimborsare alla Sig.ra ______ l’importo di cui sopra, pari ad €__, alle seguenti condizioni: ________ [es. “in un’unica soluzione entro il //” oppure “in n. __ rate mensili di €_ ciascuna, scadenti il __ di ogni mese a partire da _____, da corrispondersi mediante bonifico sul c/c IBAN ___ intestato alla Sig.ra ___”].
È facoltà del debitore effettuare il rimborso anticipato in qualsiasi momento, senza aggravio di costi.- Interessi. (eventuale) Sulle somme dovute matureranno interessi al tasso del _% annuo a decorrere dal // fino al saldo effettivo. In caso di pagamento rateale come sopra convenuto, gli interessi sono già compresi nell’importo rate (ovvero: saranno calcolati e liquidati contestualmente all’ultima rata).
- Clausola penale. (eventuale) In caso di mancato pagamento, anche parziale, di una delle rate convenute entro il termine di giorni ___ dalla scadenza, il Sig. ______ sarà tenuto, oltre all’immediato pagamento integrale del residuo ancora dovuto, anche al pagamento di una penale pari ad €_______, salvo il maggior danno.
- Garanzie. (eventuale) A garanzia dell’esatto adempimento del presente accordo, il Sig. ______ consegna alla Sig.ra ______ un effetto cambiario (pagherò) dell’importo di €____ scad. //__, che la Sig.ra ______ si obbliga a non negoziare salvo il caso di inadempimento, restituendolo al debitore a pagamento completato. [Oppure: “il Sig. __ concede ipoteca volontaria di grado ___ sull’immobile sito in ____, via , di sua proprietà, per l’importo di €, autorizzando sin d’ora la Sig.ra __ alla relativa iscrizione presso la Conservatoria RR.II.”]
- Resta inteso che quanto regolato con la presente scrittura privata integra gli accordi di separazione omologati in data //__, senza modificarne i termini se non per quanto espressamente previsto sopra. I Patti qui contenuti non contrastano con quelli omologati e sono volti a dare piena attuazione al principio di autarchia coniugale e di correttezza nell’esecuzione di tali accordi.
- Spese legali e competenza. In caso di inadempimento, la Parte adempiente potrà adire il Foro di ______ per il recupero coattivo del credito. Le spese eventuali di registrazione della presente (in caso d’uso) e ogni altra spesa connessa sono a carico del debitore.
Fatto, letto e sottoscritto.
Luogo, data ____________Firma del Debitore ________________
Firma del Creditore ________________
Note: Questa scrittura serve come prova chiara dell’obbligo di rimborso e può essere usata per ottenere un decreto ingiuntivo rapido in caso di default, grazie alla ricognizione ex art. 1988 c.c. e magari alla penale. È sempre opportuno se c’è collaborazione far firmare atti del genere, perché l’ex coniuge debitore potrebbe altrimenti negare di dover restituire. Importante inserire riferimenti alla separazione per il contesto e dichiarare che non la modifica (così non serve omologa per questo accordo aggiuntivo). Le garanzie come assegni o cambiali danno un titolo esecutivo autonomo.
Fac-simile 3: Dichiarazione patrimoniale giurata (da allegare a separazione)
Talvolta, specie in separazioni con beni e debiti complessi, i coniugi possono scambiarsi delle dichiarazioni patrimoniali per garantire trasparenza. Non c’è un formato ufficiale, ma un modello potrebbe essere:
Dichiarazione sostitutiva di atto notorio – Situazione patrimoniale del coniuge
Io sottoscritto/a ________________, nato/a ___ il //__, residente in ___, C.F. ________, in proprio e nella mia qualità di coniuge separando,
dichiaro sotto la mia responsabilità quanto segue:
- Di avere la seguente consistenza patrimoniale attuale:
– Immobili: Proprietà dell’immobile sito in , Via _____ n., catasto foglio, part., rendita €, gravato da mutuo ipotecario (banca , debito residuo €); 50% proprietà dell’immobile sito in ___ (in comunione legale con il coniuge);
– Conti correnti e depositi: c/c bancario presso ___ filiale __ n._ saldo €; deposito titoli con n. azioni ___ (valore odierno €);
– Veicoli: Auto marca ___ targa ___ (valore € circa);
– Partecipazioni societarie: 100% quote della società ____ SRL (P.IVA _) capitale sociale €, valore nominale €__, società attiva nel ; 33% impresa famigliare “Agriturismo ” C.F.;
– Altri beni rilevanti: ______ (ad es. polizza vita, fondi pensione, crediti verso terzi €, ecc.);- Di avere alla data odierna i seguenti debiti e obbligazioni pendenti:
– Mutuo ipotecario sopra menzionato, debito residuo €;
– Finanziamento personale con ___ (prestito n. del //), rata €, scadenza finale //, debito residuo €;
– Saldo carta di credito Visa n.___ emessa da , importo da estratto conto ultimo €;
– Debito fiscale: rata di avviso bonario Agenzia Entrate €_ in scadenza; cartella Agenzia Riscossione n.___ per €__ (tributi _);
– Fideiussione prestata a favore di ___ (Banca) per obbligazione di ___ (es: società __ SRL) di €;
– [Ogni altro debito significativo: es. scoperto conto €, canoni arretrati affitto €, ecc.];- Di non aver occultato o dissimulato beni o crediti ulteriori né altre passività oltre a quelle sopra elencate, e che le informazioni fornite corrispondono al vero alla data odierna;
- (Eventuale) Di impegnarmi a comunicare tempestivamente al coniuge separando ogni significativa variazione della situazione sopra descritta che dovesse intervenire prima dell’omologa della separazione, in particolare relativamente a nuove passività o all’aggravamento di quelle esistenti;
- (Eventuale formula finale) La presente dichiarazione viene rilasciata ad uso riservato nella procedura di separazione consensuale tra me e il coniuge ___, a fini conoscitivi e di trasparenza, e potrà essere allegata all’accordo ovvero conservata dalle parti. È redatta ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. 445/2000; il dichiarante è consapevole delle responsabilità penali in caso di false dichiarazioni (art. 76 D.P.R. 445/2000).
Luogo, data
Firma _______________ (autenticata da …)
Commento: Questa dichiarazione non è obbligatoria per legge (se non in contesti di divorzio con negoziazione assistita dove le parti allegano un elenco dei patrimoni, mi pare, dopo la riforma Cartabia c’è maggiore trasparenza sui dati economici). Farla firmare sotto forma di atto notorio (con autentica) la rende utilizzabile come prova se emergessero in futuro beni occulti (si potrà dire: hai dichiarato X, ora spunta Y non dichiarato, quindi c’era dolo). Almeno moralmente crea un vincolo di buona fede. Se allegata all’accordo, il giudice la vede ma rimane riservata di solito.
I modelli sopra vanno adeguati al caso concreto e magari ridotti di lunghezza. Sono forniti come traccia da far visionare al proprio legale di fiducia.
Fonti normative e giurisprudenziali
(In questa sezione finale elenchiamo tutte le principali fonti citate o rilevanti, aggiornate a maggio 2025, suddivise per normative e pronunce giurisprudenziali.)
Fonti normative principali:
- Codice Civile: artt. 143-146 c.c. (obblighi reciproci dei coniugi), artt. 147-148 c.c. (obblighi verso i figli), art. 151 c.c. (separazione personale), artt. 177-197 c.c. (regime di comunione legale dei beni, in particolare art. 186 c.c., art. 187 c.c., art. 189 c.c., art. 190 c.c., art. 192 c.c.), art. 191 c.c. (cause di scioglimento comunione: include separazione personale e fallimento di un coniuge), art. 170 c.c. (fondo patrimoniale e debiti estranei ai bisogni familiari), artt. 1936-1957 c.c. (fideiussione e disciplina, incluso art. 1956 c.c. sulle obbligazioni future), artt. 1292-1298 c.c. (obbligazioni solidali e regresso), art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale generale).
- Codice di Procedura Civile: artt. 599-600 c.p.c. (espropriazione beni indivisi), art. 602 c.p.c. (espropriazione contro il terzo proprietario), art. 619 c.p.c. (opposizione di terzo all’esecuzione), art. 617 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi). Art. 155-156 c.p.c. relativi a competenza esecutiva su obblighi di fare in materia familiare (richiami generici). Nuovo rito familiare (D.lgs. 149/2022) – prevede che nella ricostruzione delle condizioni economiche le parti producano dichiarazioni dei redditi e documentazione debiti/crediti.
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019): art. 66 CCII (azione revocatoria ordinaria nel sovraindebitamento), art. 166 CCII (atti a titolo gratuito, pagamenti preferenziali, ecc. revocabili entro certi termini), art. 169 CCII (atti tra coniugi: prevede revoca di atti ex art. 166 tra coniugi compiuti durante attività d’impresa se l’altro coniuge non prova ignoranza insolvenza), art. 45 CCII (scioglimento comunione legale al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale, sostanzialmente analogo a art. 191 c.c.), art. 268 CCII (possibilità piano famigliare congiunto nel sovraindebitamento).
- Legislazione speciale fiscale e varia: D.P.R. 602/1973, art. 76 (divieto espropriazione prima casa del debitore), D.L. 69/2013 conv. L.98/2013 (introduttivo del suddetto divieto). Art. 5 D.L. 132/2014 conv. L.162/2014 (negoziazione assistita divorzi/separazioni – obbligo allegare situazione patrimoniale). L. 898/1970 art. 8 (ordine pagamento diretto da terzi delle somme dovute a coniuge). Codice Tributario: artt. 143 e 144 TUIR (dichiarazione congiunta IRPEF facoltativa). Codice civile art. 291 e segg. (impignorabilità di alcuni beni, non specifico per famiglia ecc.).
- Altro: D.P.R. 445/2000 (dichiarazioni sostitutive atto notorio, rilevante per dichiarazioni patrimoniali). Art. 2901 c.c. (azione revocatoria ordinaria: condizioni, atti a titolo gratuito sempre revocabili se successivi al credito, atti a titolo oneroso con consapevolezza di danno). Art. 2903 c.c. (termine quinquennale revocatoria ordinaria).
Principali pronunce giurisprudenziali citate:
- Corte di Cassazione – Sezioni civili:
- Cass. Civ. Sez. I, 14 febbraio 2013, n. 6575: Comunione legale senza quote – coniuge non debitore soggetto passivo esecuzione.
- Cass. Civ. Sez. III, 31 marzo 2016, n. 6230: Conferma principi 2013 – opposizioni esperibili da coniuge non debitore in esecuzione.
- Cass. Civ. Sez. III, 6 dicembre 2018, n. 31563: Pignoramento di bene in comunione per intero – coniuge non debitore ha diritto a metà ricavato (nessuna separazione preventiva quota).
- Cass. Civ. Sez. II, 24 gennaio 2019, n. 2047: Non occorre divisione ex art.600 cpc in esecuzione su beni comunione – bene intero pignorato, niente quote.
- Cass. Civ. Sez. VI-III, 8 febbraio 2021, n. 2904: Fondo patrimoniale – onere creditori provare scopo familiare debito, fideiussione per attività imprenditoriale non automaticamente “famiglia”.
- Cass. Civ. Sez. III, 25 ottobre 2021, n. 29983: Fideiussione a favore società – non prova automatica di debito per bisogni familiari, conferma no automatismo fondo patrimoniale.
- Cass. Civ. Sez. Unite, 29 luglio 2021, n. 21761: Trasferimenti immobiliari in separazione/divorzio – ammissibilità, natura negoziale privata, sentenza con efficacia dichiarativa, accordi soggetti a impugnazioni ordinarie (revocatoria).
- Cass. Civ. Sez. I, 2 marzo 2016, n. 4112: Coniuge fideiussore – art.1956 c.c. non invocabile dalla moglie garante del marito, conoscenza aggravamento presunta.
- Cass. Civ. Sez. Unite, 27 febbraio 2023, n. 5868: Fideiussore consumatore – applicabilità disciplina consumo al garante di debito altrui societario (coniuge come consumatore).
- Cass. Civ. Sez. III, 7 ottobre 2019, n. 24934: Credito alimentare ex coniuge – privilegio solo su ultimi 3 mesi ex art.2751 n.4 c.c., il resto chirografo.
- Cass. Civ. Sez. III, 7 ottobre 2024, n. 26127: Revocatoria accordo separazione – atto trasferimento casa da marito a moglie revocabile, sentenza separazione dichiarativa, atto a titolo gratuito lesivo creditori annullato.
- Cass. Civ. Sez. I, 1 febbraio 2024, n. 2571: Revocatoria separazione giudiziale – conferma orientamento: azione pauliana esperibile, trasferimento non giustificato da obbligo di mantenimento è atto gratuito revocabile.
- Cass. Civ. Sez. VI, 13 Febbraio 2020, n. 3643: (non citata sopra ma attinente) – mantenimento figli, spese straordinarie non pagate dall’uno recuperabili dall’altro in via esecutiva.
- Cass. Civ. Sez. I, 22 marzo 2013, n. 7262: Debiti tributari del marito – fondo patrimoniale non aggredibile se debito per attività economica estranea a bisogni (imposte evase fuori scopo familiare).
- Decisioni di merito (Tribunali, Corti Appello):
- Tribunale di Crotone, 2019 (ordinanza in opposizione esec.): annullata esecuzione immobiliare su bene comune per mancata notifica a coniuge non debitore.
- Corte d’Appello di Genova, sentenza 2013: (caso revocatoria separazione) – accordo separazione revocabile se pregiudizievole, consapevolezza pregiudizio provata da unicità bene e difficoltà ammessa dal debitore.
- Tribunale di Massa, sentenza 2024 (rif Cass. 2571/24): in sede di rinvio confermato che trasferimento in separazione giudiziale revocabile; valore dichiarativo sentenza separazione.
- Tribunale di Milano, sez. IX civ., decr. 14 aprile 2022: in fallimento del marito, crediti mantenimento ex moglie ammessi solo in chirografo oltre 3 mesi (confermando Cass. 2019).
- Tribunale di Torino, ottobre 2023: (successivo a SU 5868/2023) – ha riconosciuto nullità clausole abusive in fideiussione firmata da moglie-consumatore, applicando tutela consumeristica.
- Tribunale di Mantova, 2015: (garante coniuge = consumatore) – prima di SU, escludeva protezione se attività famigliare, ma superato.
- Tribunale di Napoli, 19 luglio 2018: sequestro mantenimento ex art. 8 L.898/70 coniuge inadempiente – possibile destinare parte TFR, ecc.
Debiti Dopo Separazione Consensuale: Fatti Aiutare Da Studio Monardo
Hai firmato una separazione consensuale ma ci sono ancora debiti in sospeso?
La banca o l’Agenzia delle Entrate continuano a chiedere soldi anche a te, anche se non li hai contratti tu?
⚠️ Anche dopo la separazione, i debiti possono continuare a inseguirti.
Serve capire chi è responsabile e come tutelarti legalmente, soprattutto se i debiti sono stati contratti durante il matrimonio o in regime di comunione dei beni.
Quando resti responsabile dei debiti dopo la separazione
🔸 Comunione dei beni: se i debiti sono stati contratti prima della separazione, potresti risponderne anche tu, anche se non li hai firmati.
🔸 Debiti cointestati: se c’è la tua firma sul contratto, sei ancora obbligato, anche se non sei più nella coppia.
🔸 Fideiussioni o garanzie: se hai fatto da garante all’ex coniuge, resti vincolato, salvo revoca.
📌 La separazione consensuale non cancella automaticamente gli obblighi verso banche, fisco o altri creditori.
Cosa puoi fare per proteggerti
✅ 1. Verifica gli accordi di separazione: ci sono clausole che attribuiscono i debiti all’ex coniuge? Sono opponibili ai creditori?
✅ 2. Controlla se i debiti sono ancora attivi o prescritti
✅ 3. Valuta se ci sono firme false, vizi nei contratti o fideiussioni revocabili
✅ 4. Agisci per tempo: un decreto ingiuntivo non contestato diventa esecutivo
✅ 5. Se la situazione è grave, valuta una procedura di sovraindebitamento per liberarti legalmente
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’accordo di separazione e i documenti di debito
📑 Verifica se i debiti sono legalmente tuoi o possono essere contestati
⚖️ Presenta opposizioni a ingiunzioni, pignoramenti o richieste illegittime
🔁 Ti difende se sei stato segnalato in CRIF a causa di debiti dell’ex
🧩 Ti guida nell’accesso a procedure legali per ristrutturare o azzerare i debiti
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Consulente in casi di pignoramenti dopo rottura del nucleo familiare
✔️ Autore di soluzioni legali personalizzate in casi di sovraindebitamento
Conclusione
Dopo una separazione consensuale, i debiti non sempre spariscono.
Ma con un’azione legale mirata puoi difenderti, scaricare responsabilità indebite e ripartire davvero da zero.
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