Quando Un Accertamento Fiscale È Nullo: La Guida

Hai ricevuto un accertamento fiscale e temi che sia illegittimo? Non tutti gli atti dell’Agenzia delle Entrate sono validi: in alcuni casi l’accertamento è nullo e può essere annullato con un ricorso ben impostato.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario – ti spiega quando un accertamento è nullo, quali sono i vizi più comuni e cosa puoi fare per difenderti.

Quando è nullo un accertamento fiscale?
L’atto può essere impugnato se presenta vizi formali (notifica errata, termini scaduti, ufficio incompetente) o vizi sostanziali (mancanza di motivazione, assenza del contraddittorio, errori nei calcoli). Anche un linguaggio troppo generico o privo di riferimenti concreti può renderlo illegittimo.

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Introduzione

Nel sistema tributario italiano, l’avviso di accertamento fiscale è l’atto con cui l’Amministrazione finanziaria rettifica o contesta la dichiarazione del contribuente, determinando maggiori imposte, sanzioni e interessi. Ma quando questo atto impositivo può dirsi “nullo”? In altre parole, quali vizi lo rendono giuridicamente invalido al punto da dover essere annullato dal giudice tributario (o dallo stesso Fisco in autotutela)? In questa guida approfondita – aggiornata a maggio 2025 – esamineremo tutte le ipotesi di nullità (o annullabilità) dell’accertamento fiscale, con un taglio professionale ma accessibile, rivolto ad avvocati e imprenditori. Il focus sarà sull’ordinamento italiano, toccando sia imposte statali (IRPEF, IRES, IVA, ecc.) sia tributi locali (IMU, TARI, ecc.), e tenendo conto delle novità normative (come la riforma fiscale 2023-2024) e della giurisprudenza più recente.

Nullità vs Annullabilità: Prima di entrare nel merito, va chiarito che in diritto tributario si distingue tra nullità assoluta e annullabilità (o nullità relativa) degli atti. La nullità assoluta è un vizio talmente grave (ad esempio, mancanza di elementi essenziali dell’atto) che teoricamente potrebbe essere rilevato d’ufficio in ogni tempo; l’annullabilità invece richiede un’impugnazione da parte del contribuente nei termini di legge, pena la “consolidazione” dell’atto. In ambito fiscale, tuttavia, questa distinzione pratica è sfumata: anche un atto nullo deve essere impugnato entro 60 giorni, altrimenti diventa definitivo. La Cassazione ha chiarito che i vizi invalidanti degli atti tributari sono eccezioni di parte: se il contribuente non li solleva tempestivamente, l’atto – pur viziato – si consolida e può essere riscosso. Dunque, diremo comunemente “nullità” riferendoci ai vizi che consentono l’annullamento in giudizio dell’atto, fermo restando l’onere di impugnarlo nei termini (generalmente 60 giorni dalla notifica).

Elementi essenziali e obbligatori: Un accertamento fiscale valido deve contenere tutti gli elementi essenziali previsti dalla legge. In particolare, l’atto deve indicare il soggetto emittente (ufficio competente) e il funzionario che lo sottoscrive, il destinatario (contribuente), la qualifica e potere di firma di chi lo emette, la motivazione (ovvero i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base della pretesa tributaria), l’anno d’imposta e le violazioni contestate, nonché l’ammontare delle imposte, sanzioni e interessi richiesti. Inoltre, deve riportare le modalità e i termini per impugnare l’atto davanti al giudice tributario. Alcuni di questi requisiti sono espressamente sanzionati a pena di nullità dalle norme (come vedremo tra poco), altri invece – se mancanti – costituiscono vizi meno gravi, spesso sanabili. Ad esempio, la mancata indicazione dell’ufficio o del responsabile del procedimento non è più causa di annullamento dal 2023, mentre la mancanza di motivazione o di firma resta un vizio radicale. Vediamo dunque le principali cause di nullità, ripartite per tipologia di atto impositivo e di vizio.

(Struttura della guida:) Nei paragrafi seguenti analizzeremo caso per caso quando un accertamento è nullo, distinguendo per tipologia di atto. Tratteremo l’avviso di accertamento vero e proprio, le comunicazioni di irregolarità (c.d. avvisi bonari), le cartelle di pagamento, gli inviti al contraddittorio e accertamenti particolari come quelli sintetici o da studi di settore. Per ciascuna tipologia evidenzieremo i vizi procedurali (es. difetti di notifica, firma, motivazione, termini decadenziali, contraddittorio mancato) e i vizi sostanziali (es. errori logici, violazione di norme di legge, difetto di presupposto impositivo) che possono comportarne la nullità. Saranno incluse domande frequenti con risposte chiare su ogni caso, tabelle riepilogative delle cause di nullità con riferimenti normativi e giurisprudenziali, nonché esempi pratici (con dati numerici e situazioni reali semplificate) per illustrare l’applicazione concreta di questi principi. Infine, chiuderemo con una sezione di fonti e riferimenti, elencando le principali norme, circolari dell’Amministrazione finanziaria, sentenze aggiornate (Cassazione, Corti tributarie) e contributi dottrinali in materia.

Novità del 2023-2025: è importante segnalare subito alcune novità normative recentissime che impattano sul tema: la Legge delega 111/2023 e i successivi decreti attuativi di riforma fiscale (in particolare il D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219) hanno modificato lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), introducendo ad esempio l’obbligo generalizzato del contraddittorio (dialogo preventivo) per tutti gli atti impugnabili, e ridefinendo alcuni vizi degli atti (distinguendo meglio tra nullità e annullabilità). Tali novità – entrate in vigore tra gennaio e aprile 2024 – saranno evidenziate nelle sezioni pertinenti. Ad esempio, oggi tutti gli avvisi di accertamento devono essere preceduti da uno schema di atto e dalla possibilità di risposta entro 60 giorni (art. 6-bis Statuto, introdotto dal D.Lgs. 219/2023). Inoltre, sono state codificate regole sui vizi di notifica (art. 7-sexies Statuto) e dichiarato che omissioni di elementi come l’indicazione del responsabile del procedimento non comportano più l’annullamento dell’atto (art. 7-quater Statuto). Questi aggiornamenti, unitamente alla più recente giurisprudenza di Cassazione (compresa quella del 2024-2025), saranno integrati nell’analisi che segue.

Passiamo ora in rassegna le varie tipologie di atto e le relative cause di nullità, iniziando dall’avviso di accertamento vero e proprio, per poi toccare gli altri atti collegati o successivi.

Avviso di accertamento: vizi formali e sostanziali che lo rendono nullo

L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate (o un ente locale, per i tributi di sua competenza) accerta un maggior tributo rispetto a quanto dichiarato o versato dal contribuente. È un provvedimento amministrativo autonomamente impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie (oggi Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado). Data la sua importanza, la legge predispone una serie di requisiti formali obbligatori; la loro assenza (o grave irregolarità) può comportare la nullità dell’atto. Vediamo di seguito le principali cause di nullità dell’avviso di accertamento, distinguendo tra vizi procedurali/formali e vizi sostanziali, con riferimento a imposte dirette (IRPEF, IRES), IVA e, dove applicabile, tributi locali analoghi.

Vizi procedurali dell’avviso di accertamento (notifica, firma, motivazione, termini, contraddittorio)

1. Difetto di notifica dell’atto – L’avviso deve essere notificato regolarmente al contribuente, secondo le norme previste (art. 60 DPR 600/1973 per le imposte dirette, art. 56 DPR 633/1972 per l’IVA, nonché le regole generali del CPC richiamate). Una notifica inesistente o nulla comporta l’inefficacia dell’atto. La recente introduzione dell’art. 7-sexies dello Statuto del contribuente (L. 212/2000) ha chiarito che è inesistente la notifica priva degli elementi essenziali o effettuata a un soggetto inesistente o totalmente estraneo, mentre è nulla ogni notifica viziata che però abbia un collegamento con il destinatario. Ad esempio, notificare l’avviso alla persona sbagliata o a un indirizzo del tutto errato rende la notifica inesistente (l’atto è come mai notificato); notificare invece presso il vecchio indirizzo del contribuente (quando ha cambiato residenza) è una notifica nulla, suscettibile di sanatoria se il contribuente ne viene comunque a conoscenza entro i termini. In generale, una notifica nulla può essere sanata dal c.d. raggiungimento dello scopo: se il contribuente riceve comunque l’atto e lo impugna tempestivamente, la finalità della notifica si considera realizzata e il vizio è superato. Viceversa, se la notifica è invalida e il contribuente non viene a conoscenza dell’atto entro il termine di decadenza, l’atto diventa inefficace e non può produrre effetti (nemmeno per interrompere prescrizioni o far decorrere termini).

Esempi tipici: la mancata spedizione della raccomandata informativa al destinatario quando l’atto è consegnato a un familiare o al portiere costituisce nullità della notifica (vizio ormai riconosciuto dalla giurisprudenza); la notifica effettuata presso un domicilio fiscale errato (ad es. vecchia residenza non più attuale) è nulla ma sanabile se il contribuente prova di aver comunque appreso dell’atto in tempo utile. Se invece l’atto è inviato a un soggetto completamente diverso (es. omonimo privo di legami) o a un indirizzo totalmente privo di attinenza, si avrà inesistenza insanabile della notifica. È importante notare che con l’avvento delle notifiche digitali via PEC, per i soggetti obbligati (società e professionisti) la notifica deve avvenire tramite Posta Elettronica Certificata all’indirizzo risultante dagli appositi registri. L’utilizzo di una PEC non ufficiale o l’invio a un indirizzo PEC non attivo è fonte di nullità/inesistenza della notifica digitale – ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto inesistente la notifica PEC proveniente da un indirizzo mittente non appartenente ai pubblici registri o inviata a un indirizzo PEC del destinatario non risultante dai registri autorizzati. In sintesi: un avviso mai notificato regolarmente non esiste giuridicamente, e se la notifica avviene fuori termine di decadenza, l’atto è irrimediabilmente tardivo. In caso di notifica viziata ma conoscenza dell’atto, conviene comunque impugnare entro 60 giorni eccependo il vizio, per sicurezza.

2. Mancanza di sottoscrizione autorizzata – L’atto deve essere sottoscritto dal capo dell’ufficio competente o da un suo delegato abilitato (art. 42, comma 1, DPR 600/1973). La firma del funzionario è un requisito essenziale: la legge stabilisce espressamente che “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”. Dunque, la mancanza della firma autografa (su atto cartaceo) o digitale (su atto informatico notificato via PEC) rende l’avviso inesistente sotto il profilo formale. Anche la firma illeggibile può costituire vizio se non è possibile identificarne l’autore e l’eventuale delega: in passato i contribuenti hanno eccepito la nullità di avvisi firmati in modo indecifrabile, equiparandoli alla mancanza di firma. La Cassazione ha confermato che il difetto di sottoscrizione è causa di nullità dell’accertamento ex art. 42 DPR 600/73. Inoltre, se l’atto è firmato da un funzionario delegato, l’Ufficio deve dimostrare l’esistenza di una delega valida rilasciata dal dirigente: in mancanza, l’atto è nullo. Ad esempio, è nullo l’accertamento sottoscritto da un funzionario senza qualifica dirigenziale e senza delega specifica del direttore dell’ufficio. La Corte di Cassazione ha ribadito che ricade sull’Amministrazione l’onere di provare il corretto esercizio del potere sostitutivo di firma (esibendo la delega), pena la nullità dell’avviso.

Esempio pratico: la società XYZ Srl riceve un avviso di accertamento per IRES firmato “Agenzia delle Entrate” con una sigla illeggibile. In sede di ricorso, chiede l’annullamento per difetto di sottoscrizione; l’ufficio esibisce una delega del direttore pro-tempore ad un funzionario, ma tale delega risultava scaduta prima della firma dell’atto. La Commissione accoglie il ricorso: l’avviso è nullo per vizio di sottoscrizione, poiché la firma è apposta da soggetto non validamente delegato. – Nota: secondo l’art. 42 citato, oltre alla firma devono essere presenti “le indicazioni e la motivazione di cui al presente articolo” e gli allegati previsti, altrimenti l’atto è parimenti nullo. Ciò significa che firma, motivazione e allegazione di documenti essenziali formano un insieme inscindibile di requisiti.

3. Difetto di motivazione (assenza o incoerenza delle ragioni) – La motivazione è il cuore dell’atto: deve enunciare chiaramente i fatti accertati e le norme applicate, in modo da mettere il contribuente in grado di comprendere e, se del caso, contestare la pretesa. L’obbligo di motivazione degli avvisi di accertamento è sancito dall’art. 7 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente) e ribadito dall’art. 42 DPR 600/73. Un avviso privo di motivazione o con motivazione meramente apparente è nullo in quanto viola tale obbligo. Ad esempio, un accertamento che si limiti a indicare “maggiori ricavi accertati €100.000” senza spiegare su quali elementi o verifiche si basino è affetto da nullità assoluta per difetto di motivazione. Anche le motivazioni contraddittorie o incoerenti equivalgono alla mancanza: la Cassazione ha affermato che una motivazione interna all’atto che presenti ragioni tra loro inconciliabili rende nullo l’avviso. Ad esempio, se l’ufficio motiva l’accertamento in via alternativa (“o perché i ricavi sono stati occultati, o perché sono stati sovrafatturati i costi”) proponendo due ipotesi incompatibili tra loro, l’atto è viziato perché non offre una chiara e univoca contestazione. Una motivazione “doppia” e alternativa viene considerata dalla giurisprudenza come contraddittoria e dunque nulla. Analogamente, una motivazione insufficiente – che ometta elementi essenziali – può portare all’annullamento: ad esempio, se nell’avviso si richiama un Processo Verbale di Constatazione (PVC) senza allegarlo né riportarne gli elementi salienti, e il contribuente non ne era già in possesso, l’atto può essere annullato per difetto di motivazione (la legge richiede infatti l’allegazione degli atti richiamati non conosciuti dal contribuente). In sostanza, la mancata indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa tributaria comporta nullità “in toto” dell’avviso. La Cassazione ha confermato nel 2020 che un avviso basato su motivazione insufficiente o contraddittoria va annullato: in una causa, i giudici di merito avevano già ritenuto la motivazione contraddittoria e la Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia, sancendo così la nullità dell’atto.

Esempio pratico: un avviso di accertamento IVA contesta a un’impresa sia di aver sottofatturato alcune vendite, sia di aver omesso altre vendite interamente, indicando due metodologie di ricostruzione del reddito alternative (una basata sugli studi di settore, l’altra su un ricarico medio). Questa motivazione è intrinsecamente contraddittoria, poiché l’ufficio non può fondare la stessa rettifica su presupposti fattuali incompatibili (sottostima vs omissione totale) per giustificare la medesima maggiore imposta. Tale atto, impugnato, verrà presumibilmente dichiarato nullo per motivazione contraddittoria e incoerente. – Un altro esempio: un avviso di liquidazione per imposta di registro si limita a richiedere un importo maggiore applicando i parametri di legge, senza spiegare il perché dell’aumento di valore dell’immobile registrato; la Cassazione ha confermato la nullità di un simile avviso per difetto assoluto di motivazione.

4. Emissione oltre i termini di decadenza – L’accertamento fiscale deve essere notificato entro precisi termini decadenziali fissati dalla legge; notifiche tardive rendono l’atto nullo/invalido. Per le imposte sui redditi e l’IVA, il termine generale (per i periodi più recenti) è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (ad esempio: dichiarazione Unico 2021 per periodo d’imposta 2020 → accertabile fino al 31/12/2026). In caso di omessa dichiarazione, il termine è più lungo: fino al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Queste regole sono state unificate dal D.Lgs. 128/2015 per rendere i termini certi e “lunghi” (prima erano 4 e 5 anni rispettivamente). Dunque, un avviso relativo al periodo d’imposta 2017 (dichiarazione 2018) doveva essere notificato entro il 31 dicembre 2023 se la dichiarazione fu presentata, oppure entro il 31 dicembre 2025 se la dichiarazione mancava. Atti notificati dopo la scadenza sono nulli per decadenza del potere di accertamento. Va ricordato che ci sono state proroghe straordinarie, ad esempio la sospensione dei termini durante l’emergenza Covid-19 (nel 2020) ha esteso di 85 giorni le scadenze di decadenza relative agli anni in scadenza a fine 2020. Anche la partecipazione a procedure come il concordato preventivo biennale o altre definizioni può spostare in avanti i termini. In questa sede però, ciò che rileva è: controllare sempre la data di notifica (fa fede, per raccomandata, la data di spedizione risultante dall’avviso postale) e confrontarla con il termine ultimo previsto. Se è oltre, il vizio è letale.

Esempio pratico: il sig. Rossi riceve in data 10 gennaio 2025 un avviso IRPEF per l’anno d’imposta 2018. Poiché la dichiarazione 2019 (redditi 2018) è stata presentata regolarmente, il termine di decadenza era il 31 dicembre 2024. L’atto è arrivato dopo tale data: è nullo per tardività, in quanto emesso quando l’Amministrazione non aveva più potestà su quell’anno. In sede di ricorso, sarà sufficiente provare la data di notifica (es. timbro postale) per ottenere l’annullamento. – Occorre evidenziare che la decadenza è rilevabile d’ufficio dal giudice, trattandosi del rispetto di un termine perentorio previsto a tutela sia del contribuente sia della certezza del diritto. Anche senza un’espressa previsione di nullità, l’atto emesso fuori termine è privo di effetto.

5. Omessa indicazione del responsabile del procedimento – La legge 212/2000, art. 7, comma 2, lett. a) richiede che negli atti tributari sia indicato il funzionario responsabile del procedimento di emissione. Tuttavia, la mancata indicazione di tale nominativo NON comporta la nullità dell’avviso di accertamento. Lo ha chiarito prima la giurisprudenza e ora lo conferma l’art. 7-quater introdotto nel 2023 nello Statuto. La sanzione di nullità per omissione del responsabile è invece espressamente prevista solo per le cartelle di pagamento (come vedremo più avanti), ma non per gli avvisi. La Cassazione (ord. n. 11856/2017) ha spiegato che l’art. 7 Statuto non prevede nullità in caso di omissione del responsabile negli accertamenti, mentre tale sanzione è stata introdotta per le cartelle dall’art. 36, c. 4-ter, DL 248/2007. Pertanto un avviso privo del nome del responsabile resta valido, potendo semmai costituire un’irregolarità sanabile o fonte di responsabilità interna, ma non causa di annullamento. In pratica oggi, se nell’intestazione o nel corpo dell’atto non è indicato “il responsabile del procedimento”, ciò non potrà essere utilizzato come motivo di ricorso efficace contro l’accertamento (differentemente da quanto accade impugnando una cartella esattoriale – vedi oltre). Questa interpretazione è stata recepita anche a livello normativo: l’art. 7-quater, comma 1, lett. a) Statuto (introdotto dal D.Lgs. 219/2023) stabilisce che la mancata o erronea indicazione dell’ufficio competente o del responsabile del procedimento non costituisce vizio di annullabilità dell’atto.

6. Violazione del contraddittorio endoprocedimentale – Un capitolo fondamentale è l’obbligo di contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso. Storicamente, salvo specifici casi, per gli accertamenti “a tavolino” (ossia senza verifiche in loco) non vigeva un obbligo generale di invitare il contribuente a interloquire prima di emettere l’atto. Questo è cambiato con la riforma del 2023: da gennaio 2024 il contraddittorio preventivo è divenuto la regola generale. Il nuovo art. 6-bis dello Statuto del contribuente prevede che tutti gli atti impugnabili devono essere preceduti da un contraddittorio “informato ed effettivo”, a pena di annullabilità. In pratica, l’ufficio finanziario deve comunicare al contribuente uno schema di provvedimento (una bozza di accertamento) e concedere almeno 60 giorni di tempo per osservazioni e richieste (durante i quali l’atto non può essere emesso). Le eventuali memorie del contribuente vanno valutate e, se non accolte, l’avviso definitivo deve darne conto con motivazione rafforzata. Solo in casi particolari di urgenza motivata si può bypassare questo iter, ma l’urgenza dovrà essere esplicitata nell’atto. Dunque, per gli avvisi emanati dal 2024 in poi, la mancata attivazione del contraddittorio è causa di annullamento dell’atto su ricorso (annullabilità): sarà il contribuente a dover impugnare, ma il giudice dovrà annullare l’accertamento se il contraddittorio obbligatorio è stato negato. Questa regola vale per tutti i tributi (non solo IVA come in passato) e anche per gli enti locali, che dovranno adeguare i loro procedimenti. In breve, dall’inizio 2024 il contraddittorio non è più l’eccezione ma la regola, con poche deroghe tassative.

Prima della riforma, la giurisprudenza aveva delineato un quadro più limitato: le Sezioni Unite della Cassazione nel 2015 (sent. n. 24823/2015) avevano stabilito che per i tributi “non armonizzati” (es. IRPEF, IRES) non esisteva un obbligo generale di contraddittorio in assenza di previsione di legge, mentre per i tributi “armonizzati” UE (es. IVA, dazi) l’obbligo sussisteva direttamente in base ai principi comunitari, ma il contribuente doveva anche dimostrare in giudizio quale difesa avrebbe potuto svolgere se interpellato (la cosiddetta “prova di resistenza”). Allo stesso tempo, la Cassazione aveva già da tempo riconosciuto che quando la legge nazionale prevedeva il contraddittorio, la sua violazione comportava nullità: ad esempio, la stessa sentenza SU 24823/2015 ribadiva che la violazione dell’art. 12, c. 7, Statuto (mancato rispetto dei 60 giorni dopo un PVC da verifica in loco, senza urgenza) comporta nullità dell’atto. Infatti, le Sezioni Unite 18184/2013 avevano confermato l’annullamento di un accertamento emesso prima dei 60 giorni dalla chiusura di una verifica in azienda, in assenza di particolari urgenze. Tale principio è pacifico: se il contribuente subisce una verifica fiscale presso i propri locali, ha diritto per legge a 60 giorni per presentare osservazioni prima che l’ufficio emetta l’avviso (art. 12, c.7 L. 212/2000); la violazione di questo termine dilatorio rende l’atto radicalmente illegittimo. La Cassazione ha definito “nullità radicale” l’accertamento emesso senza attendere i 60 giorni post-verifica, in mancanza di effettiva urgenza. Allo stesso modo, prima della riforma, i giudici hanno annullato avvisi in materia di studi di settore e di accertamento sintetico quando l’ufficio non aveva attivato il necessario contraddittorio (come dettagliato nelle sezioni dedicate più avanti).

In sintesi, oggi possiamo dire che un avviso di accertamento è nullo/annullabile se emesso senza aver rispettato il contraddittorio dovuto. Per gli atti dal 2024 in poi, questo è un obbligo generale a pena di annullamento. Per gli atti pre-2024, occorre verificare caso per caso: se vi era una norma specifica (verifiche in loco, studi di settore, ecc.) il contraddittorio era obbligatorio e la sua omissione invalidava l’atto; se non vi era obbligo legale (es. classico accertamento a tavolino IRPEF ante-2024), allora la mancanza di contraddittorio non era, di per sé, motivo di nullità secondo l’orientamento allora prevalente. Attenzione però: dal 18 gennaio 2024 la musica è cambiata e qualsiasi avviso va preceduto da invito, pena annullabilità. L’effetto pratico è che vedremo sempre più accertamenti preceduti da una comunicazione di avvio del procedimento (lo “schema di atto”) e concessione di tempo per interloquire. Il contenzioso futuro verterà non più sull’esistenza dell’obbligo, ma sulla corretta attuazione: ad esempio, il termine concesso era congruo? (per legge minimo 60 gg), le osservazioni del contribuente sono state davvero valutate? (serve una risposta motivata nell’atto finale), c’era davvero urgenza tale da saltare il contraddittorio?. Queste questioni diverranno nuove armi difensive.

Esempio pratico: nel marzo 2025 l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento IRES verso Alfa Srl per l’anno 2022, senza aver inviato alcun schema di atto né invito al contraddittorio. L’accertamento addebita costi indebitamente dedotti. Alfa Srl impugna l’avviso eccependo la violazione dell’art. 6-bis Statuto. In giudizio, l’Ufficio ammette di aver omesso il contraddittorio per presunta “urgenza” dovuta a imminente scadenza del termine (31/12/2025); tuttavia, si accerta che al momento dell’emissione (marzo 2025) non vi era urgenza conclamata. La Corte di Giustizia Tributaria annulla l’atto, richiamando la nuova disciplina: l’avviso è annullabile per mancato contraddittorio, non ricorrendo un valido motivo di urgenza. L’Ufficio dovrà eventualmente riemettere l’accertamento seguendo la procedura corretta (se ancora nei termini). – Altro esempio pre-riforma: un avviso emesso nel 2019 per IVA, senza contraddittorio, sarebbe stato annullabile solo se il contribuente avesse dimostrato quali argomenti di difesa avrebbe potuto far valere (prova di resistenza) e se l’IVA fosse considerata tributo armonizzato a cui applicare i principi UE. Dal 2024 questa distinzione non serve più: armonizzato o no, l’obbligo c’è sempre (tranne eccezioni specifiche).

Vizi sostanziali dell’avviso di accertamento (violazione di legge, errori sui presupposti)

Oltre ai profili formali e procedurali fin qui elencati, un avviso di accertamento può essere affetto da vizi sostanziali che ne inficiano la legittimità. Si tratta di situazioni in cui l’atto, pur formalmente corretto, viola però norme di legge sostanziali o difetta dei presupposti fondamentali richiesti per l’imposizione. Tali vizi vengono fatti valere in giudizio come motivi di impugnazione e, se fondati, portano all’annullamento (talora parziale) dell’atto. Ecco alcuni esempi significativi:

  • Violazione o falsa applicazione di norme tributarie: se l’accertamento si basa su una norma inesistente o interpretata in modo errato, l’atto è illegittimo. Ad esempio, un avviso che applichi retroattivamente una legge tributaria (in violazione dello Statuto del contribuente, art. 3) o che liquidi un’imposta abolita, risulterà annullabile per error iuris. Ancora, un accertamento che calcoli sanzioni oltre i limiti edittali previsti, o senza tenere conto di esimenti di legge (es. non applica la continuazione tra violazioni), viola la legge e dovrà essere corretto o annullato in parte dal giudice.
  • Difetto di “causa” o presupposto impositivo: ogni accertamento deve fondarsi su elementi concreti che giustifichino la rettifica. Se questi mancano del tutto, l’atto è privo di presupposto. Ad esempio, emettere un avviso per “omessa dichiarazione” quando invece il contribuente ha regolarmente presentato la dichiarazione è un errore sul presupposto di fatto; similmente, accertare un reddito non dichiarato basandosi su presunzioni senza alcun riscontro può equivalere a un difetto di presupposto probatorio (in tal caso più che nullità formale, si parla di infondatezza nel merito, ma talora la giurisprudenza ha qualificato come vizio radicale l’assenza totale di basi logiche dell’atto). Un’altra situazione è il doppio accertamento: se l’ufficio emette due avvisi per lo stesso anno e tributo, senza nuovi elementi emersi dopo il primo, il secondo avviso è illegittimo per carenza di presupposto (non si può accertare due volte il medesimo fatto impositivo, salvo il primo atto sia stato annullato). La legge consente un “accertamento integrativo” solo in presenza di sopravvenute nuove informazioni non disponibili all’atto del primo accertamento: in mancanza, l’atto reiterato è nullo perché emesso in difetto di potere. Ad esempio, Cassazione ha affermato la nullità di un secondo avviso emesso in pendenza del primo, privo di fatti sopravvenuti, configurando una violazione del ne bis in idem tributario.
  • Errori di persona o soggetto passivo: se l’atto è rivolto al soggetto sbagliato, ovvero se individua in modo erroneo il debitore d’imposta, esso può essere considerato nullo/inesistente. Ciò è ovvio nei casi clamorosi (avviso intestato a un omonimo senza collegamento); ma può accadere anche in situazioni più sottili, ad esempio accertamento emesso a nome di una ditta individuale cessata anziché verso la società subentrata nell’attività, oppure intestato al contribuente deceduto senza notificarlo previamente agli eredi: questi casi vanno valutati, ma in linea di principio un avviso notificato a un soggetto giuridicamente inesistente (persona defunta, società estinta) è nullo per difetto assoluto di soggetto destinatario. La Cassazione (SS.UU. n. 19667/2014, “caso Ecotec”) ebbe anche a censurare un avviso intestato a un contribuente in vita ma di fatto notificato al difensore senza delega a ricevere atti: vizio di notifica grave, con declaratoria di inesistenza.
  • Vizi derivati da illegittimità a monte: in alcuni casi l’accertamento è l’atto finale di un procedimento che include atti preparatori (verifiche, ispezioni, accessi, etc.). Se tali atti a monte presentano violazioni gravi di legge, possono inficiare l’accertamento. Un esempio: il caso di prove acquisite oltre i limiti temporali di verifica. L’art. 7-quinquies Statuto (novità 2023) stabilisce che non sono utilizzabili, ai fini dell’accertamento, le prove raccolte oltre i termini massimi di permanenza in azienda durante la verifica (30 giorni + 30 prorogabili, etc.). Se l’ufficio basa l’accertamento su documenti sequestrati dopo la scadenza dei giorni consentiti, tali elementi probatori sono illegittimi e l’atto può essere annullato perché fondato su atti istruttori viziati. Altro esempio: violazione di libertà fondamentali durante l’accesso (es. perquisizioni senza autorizzazione) rende inutilizzabili le risultanze e ciò toglie base all’accertamento. In termini di validità dell’atto, si può configurare una nullità derivata dall’invalidità dell’istruttoria.
  • Violazione del giudicato (art. 21-septies L.241/1990): se l’accertamento viene emanato in palese contrasto con una sentenza passata in giudicato relativa allo stesso rapporto d’imposta (es: la Cassazione ha annullato un precedente avviso, e l’ufficio ne emette un altro identico senza nuovi elementi, eludendo il giudicato), si è in presenza di una violazione del giudicato, causa di nullità insanabile dell’atto amministrativo. La legge generale sul procedimento (L. 241/90) qualifica infatti come nullo ogni provvedimento adottato in violazione o elusione di un giudicato. Nel tributario, casi simili sono rari ma possibili, ad esempio tentativi di ri-emettere accertamenti già annullati definitivamente in contenzioso: tali atti non hanno effetto per nullità.

Tabella – Cause di nullità dell’Avviso di Accertamento e riferimenti

Causa di nullità (vizio)Riferimenti normativi / giurisprudenziali
Notifica inesistente o totalmente viziataArt. 60 DPR 600/73; Art. 7-sexies L.212/2000 (D.Lgs 219/2023). Notifica a soggetto inesistente = inesistenza insanabile; notifica fuori termine di decadenza = inefficacia atto.
Mancanza di sottoscrizione del funzionario autorizzatoArt. 42 co.3 DPR 600/73: “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di funzionario delegato”. Cass. 18359/2021: nullità per firma non del dirigente né di delegato valido.
Motivazione omessa, insufficiente o contraddittoriaArt. 42 DPR 600/73 e Art.7 L.212/2000: obbligo motivazione (nullità se mancante). Cass. 5366/2023: motivazione contraddittoria = atto nullo. Cass. 18767/2020: confermata nullità per motivazione insufficiente/contraddittoria.
Emissione oltre termine decadenzialeArt. 43 DPR 600/73 (imposte dirette) e art. 57 DPR 633/72 (IVA): 5 anni (dich. presentata) o 7 anni (omessa). Notifica tardiva = atto nullo (es. Cass. 25831/2015). Eventuali proroghe speciali (es. Covid +85gg) da considerare.
Omesso contraddittorio (atti 2024+)Art. 6-bis L.212/2000 (introdotto da D.Lgs 219/2023): obbligo contraddittorio generale a pena di annullabilità. Cass. SU 24823/2015: prima del 2024, obbligo solo se previsto da legge o per tributi UE (ora superato da norma).
Mancato rispetto 60 gg post-verifica (art.12)Art. 12 c.7 L.212/2000: se accertamento emesso prima di 60 gg dalla chiusura verifica in loco senza urgenza, nullo. Cass. SU 18184/2013: nullità accertamento “ante tempus”.
Omessa indicazione responsabile procedimentoNon causa di nullità per avvisi. Art.7-quater L.212/2000 lett. a) (nov. 2023) conferma non annullabilità. Cass. 11856/2017; FiscoOggi 3/8/22: nullità prevista solo per cartelle da 2008.
Difetto di presupposto sostanzialeArtt. 42 DPR 600/73 e 21-septies L.241/90 (mancanza elementi essenziali). Cass. 15063/2022: omessa comunicazione esito controllo formale (presupposto procedurale) → nullità cartella. (Vedi sez. successive per esiti controlli, studi settore, ecc.)
Violazione del giudicato o difetto assoluto di potereArt. 21-septies L.241/90: nullo atto in violazione/elusione giudicato. Esempio: Cass. 21603/2021 (riaccertamento post sentenza definitiva → nullo).

(La tabella sopra riassume alcune cause principali di nullità dell’avviso di accertamento; nei paragrafi seguenti, dedicati a specifici ambiti – ad es. contraddittorio, studi di settore, ecc. – si trovano ulteriori dettagli e riferimenti.)

FAQ – Domande frequenti sull’avviso di accertamento nullo

D: Un avviso di accertamento senza firma o con firma illeggibile è sempre nullo?
R: Sì. La mancanza della sottoscrizione autografa o digitale del funzionario competente comporta la nullità dell’atto per espressa previsione di legge. Anche una firma illeggibile, che non consenta di individuare l’autorità emanante, è equiparabile alla mancata firma. In tal caso l’Amministrazione deve provare chi abbia firmato e con quale titolo; se non lo prova (ad es. esibendo delega valida), l’atto viene annullato.

D: Se l’ufficio non prova la delega di firma del funzionario che ha sottoscritto l’atto, posso far annullare l’accertamento?
R: Sì. In sede contenziosa, quando la firma non è apposta dal capo ufficio ma da altro impiegato, spetta all’ente dimostrare l’esistenza di una delega regolare. La Cassazione ha chiarito che, in difetto di prova della delega, l’avviso è nullo. Quindi il contribuente può eccepire la mancata esibizione della delega; se l’Agenzia non produce l’atto di delega (o se questo risulta irregolare), il giudice annulla l’accertamento per vizio di sottoscrizione.

D: Un avviso privo o carente di motivazione è annullabile?
R: Assolutamente sì. La motivazione deve indicare chiaramente i fatti e le ragioni giuridiche: in mancanza, l’atto è nullo (art. 42 DPR 600/73). Anche motivazioni generiche, incoerenti o contraddittorie comportano nullità. Ad esempio, Cassazione e giurisprudenza costante annullano avvisi che non espongono come sono calcolati i maggiori imponibili, oppure che adducono giustificazioni tra loro alternative e incompatibili. Il contribuente ha quindi diritto a capire il “perché” della pretesa: se ciò non è possibile dall’atto, quel provvedimento viola l’obbligo di motivazione ed è illegittimo.

D: Cosa succede se l’avviso di accertamento viene notificato dopo i termini di decadenza?
R: In tal caso l’atto è tardivo e deve essere annullato. I termini di decadenza (in genere 5 anni dall’anno di presentazione della dichiarazione, o 7 se dichiarazione omessa) sono perentori: decorso il termine, l’ufficio perde il potere di accertamento. Un avviso notificato oltre tale limite è nullo e, se impugnato, viene annullato dal giudice per intervenuta decadenza. Ad esempio, un avviso per il 2016 notificato nel 2023 (dopo la scadenza al 31/12/2022) verrà annullato perché fuori termine. Anche d’ufficio, un eventuale ricorso oltre i termini sarebbe accolto per decadenza.

D: La mancata indicazione del responsabile del procedimento nell’avviso è un motivo di ricorso vincente?
R: No, non più. Anche se l’art. 7 Statuto richiede di indicarlo, la legge non prevede la nullità dell’atto di accertamento in caso di omissione. La giurisprudenza ha chiarito che tale nullità è stata introdotta solo per le cartelle esattoriali (dal 2008). La recente modifica legislativa del 2023 conferma che, per gli avvisi, l’assenza del nome del responsabile non comporta annullabilità. Quindi, impugnare un avviso solo per questo difetto formale non porta a vittoria: i giudici respingono tale motivo. Resta però un obbligo per l’ufficio indicarlo, ma la sua violazione ha al più rilievo sul piano amministrativo, non per invalidare l’atto.

D: Ho saputo che dal 2024 c’è il contraddittorio obbligatorio: posso far annullare un accertamento emesso senza contraddittorio?
R: Sì, se l’avviso è stato emesso dopo il 18 gennaio 2024 (entrata in vigore del nuovo art.6-bis Statuto) senza che l’ufficio ti abbia prima inviato uno schema di atto e dato 60 giorni per controdedurre, l’accertamento è annullabile per violazione del contraddittorio. Occorre impugnarlo e far valere la mancata attivazione di questa garanzia procedimentale. Il giudice, constatato che l’atto era soggetto all’obbligo (tutti gli atti impugnabili lo sono, salvo urgenze particolari) e che l’ufficio non lo ha rispettato, lo annullerà. Nota: la norma parla di “annullabilità”, quindi serve l’iniziativa del contribuente. Per avvisi emessi prima del 2024, invece, il discorso cambia: la nullità per mancato contraddittorio sussisteva solo in casi specifici (es. PVC senza 60 gg, accertamenti da studi di settore, ecc.). In quegli altri casi bisogna vedere se c’era una norma o principio che imponeva il contraddittorio (nelle sezioni successive esaminiamo studi di settore, accertamenti sintetici, ecc., dove il contraddittorio era obbligatorio a pena di nullità già prima della riforma).

D: Un avviso “nullo” può essere sanato o convalidato?
R: In genere, no. Un atto nullo dovrebbe essere privo di effetti e insanabile. Nel processo tributario, tuttavia, un atto nullo non viene “cancellato” automaticamente: è necessario impugnarlo entro i termini. Se non lo impugni, anche un atto affetto da nullità (es. privo di motivazione) diviene definitivo decorso il termine di ricorso. Inoltre, alcuni vizi possono essere sanati dal comportamento del contribuente: ad esempio, come detto, una notifica nulla viene sanata se impugni comunque l’atto (la notifica raggiunge lo scopo). Dunque, attenzione: non basta che l’avviso sia nullo, occorre contestarlo tempestivamente in Commissione. Non esiste una “convalida” formale ad opera dell’ufficio (il quale semmai può annullare in autotutela l’atto se riconosce il vizio, ma è facoltà discrezionale). Quindi, se ricevi un avviso che reputi nullo, presenta ricorso e sottoponi la questione al giudice.

Ora che abbiamo esaminato in dettaglio l’avviso di accertamento, passiamo agli altri atti connessi o successivi, iniziando dalle comunicazioni di irregolarità (i cosiddetti avvisi bonari), che spesso precedono formalmente l’emissione di un avviso o di una cartella.

Avviso bonario (comunicazione di irregolarità) e vizi collegati

L’avviso bonario non è un atto impositivo in senso proprio, ma una comunicazione inviata dall’Amministrazione al contribuente per segnalare delle irregolarità emerse dal controllo automatizzato o formale della dichiarazione. Tecnicamente si tratta della “comunicazione di esito del controllo” prevista dagli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973 (per imposte dirette) e dall’art. 54-bis DPR 633/72 (per l’IVA). Lo scopo è duplice: informare il contribuente degli errori o omissioni riscontrati e consentirgli di porvi rimedio (versando le somme dovute con sanzioni ridotte o segnalando eventuali errori dell’ufficio) prima che scatti la vera e propria iscrizione a ruolo. Dunque, l’avviso bonario è un passaggio prenotativo, che precede la cartella di pagamento in caso di controllo automatizzato, oppure l’avviso di accertamento in alcuni casi di controllo formale.

Essendo una semplice comunicazione, l’avviso bonario non è impugnabile autonomamente (non rientra tra gli atti elencati nell’art. 19 D.Lgs. 546/92). Non si può fare ricorso in Commissione Tributaria contro un avviso bonario; bisogna attendere, eventualmente, la successiva cartella o atto formale per poterlo contestare. Tuttavia, proprio perché è un passaggio obbligato in certi procedimenti, la mancata o irregolare comunicazione può avere riflessi sulla validità dell’atto successivo. In particolare, la giurisprudenza ha affermato che la cartella di pagamento emessa senza un avviso bonario preventivo, quando questo era dovuto, è nulla o comunque illegittima. Esaminiamo quindi quando l’avviso bonario è obbligatorio e quali sono i vizi in questo ambito.

Obbligo dell’avviso bonario nei controlli automatizzati e formali

  • Controllo automatizzato (36-bis): Quando dalla liquidazione automatica delle dichiarazioni emergono differenze tra il dovuto e il versato (ad esempio errori di calcolo, versamenti omessi o tardivi, incongruenze tra dati dichiarati e dati dell’anagrafe tributaria), l’Agenzia delle Entrate deve comunicare al contribuente l’esito, indicando imposte, interessi e sanzioni risultanti. La norma (art. 36-bis DPR 600) prevede che tale comunicazione sia inviata prima dell’iscrizione a ruolo, tranne nei casi di irregolarità “formali” già note al contribuente. In pratica, per ogni discostamento a sfavore, parte una comunicazione (il famoso “avviso bonario”) dando 30 giorni di tempo per pagare il dovuto con sanzioni ridotte (10% anziché 30%) oppure per segnalare eventuali errori dell’ufficio. Se il contribuente paga entro 30 giorni, la sanzione è ridotta a 1/3 (10%); se non paga né risponde, scaduti 30 giorni l’importo viene iscritto a ruolo e la cartella di pagamento potrà essere emessa. Se l’ufficio omette completamente di inviare l’avviso bonario e procede direttamente a iscrivere a ruolo e notificare la cartella, viola la procedura. Che conseguenza ha? La giurisprudenza ha oscillato: un primo orientamento riteneva che la cartella restasse comunque valida, ma il contribuente conservasse il diritto alla sanzione ridotta (10%) in quanto la mancata comunicazione gli ha impedito di pagare prima. Un orientamento più recente, invece, tende a considerare nullo l’intero atto in caso di omesso avviso bonario se vi era un effettivo maggior debito non comunicato. In una pronuncia del 2024, la Cassazione ha affermato che in tema di imposte sui redditi la cartella di pagamento, che non sia preceduta dall’avviso bonario ex art. 36-bis, è nulla perché tale comunicazione assolve a una funzione di garanzia e la sua omissione incide sul diritto di difesa. Questo principio (Cass. ord. n. 7620 del 21/03/2024) enfatizza che l’avviso bonario è parte integrante del procedimento di controllo automatizzato e la sua mancanza vizia il provvedimento finale. In pratica: per i controlli ex 36-bis oggi si tende a riconoscere che se il contribuente non riceve la comunicazione e gli viene recapitata direttamente la cartella, quest’ultima può essere annullata su ricorso, quantomeno limitatamente alle sanzioni maggiorate. Alcune Commissioni hanno optato per ridurre le sanzioni dal 30% al 10% (come se ci fosse stata la possibilità del bonario), altre per annullare la cartella per intero in quanto emessa contra legem senza preavviso. La Cassazione del 2024 sembra propendere per la nullità integrale “incidendo sul diritto di difesa”, ma occorre vedere futuri sviluppi. Ad ogni modo, è sempre un ottimo motivo di ricorso far presente l’omesso avviso bonario in caso di cartella da controllo automatico.
  • Controllo formale (36-ter): Nel controllo formale, l’ufficio verifica i documenti a supporto della dichiarazione (scontrini, fatture, ricevute di oneri dedotti, ecc.) e può rettificare la dichiarazione disconoscendo oneri non spettanti o evidenziando errori materiali. Anche qui la legge prevede che l’esito del controllo formale sia comunicato al contribuente (art. 36-ter, co. 4 DPR 600/73) con invito a fornire eventuali chiarimenti o pagare il dovuto. Questo avviso bonario è ancor più importante, perché nel controllo formale il contribuente potrebbe integrare la documentazione mancante ed evitare l’iscrizione a ruolo. La mancata notifica dell’esito del controllo formale è stata ritenuta dalla giurisprudenza causa di nullità della successiva cartella. In particolare, la Commissione di Avellino (sent. 564/2023) e varie altre decisioni hanno statuito che la cartella ex art. 36-ter senza precedente comunicazione è nulla. La Cassazione si è espressa sul punto con l’ordinanza n. 15063/2022: “la cartella di pagamento, che non sia preceduta dalla comunicazione dell’esito del controllo ex art. 36-ter, è nulla poiché tale comunicazione assolve ad una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione prima dell’iscrizione a ruolo”. Questo è esattamente lo stesso principio ribadito nel 2024 con l’ordinanza 7620 (sopra citata). Dunque oggi appare certo: se salta l’avviso bonario del controllo formale, la cartella è da annullare.

In termini pratici, l’obbligo di avviso bonario sussiste in tutti i casi in cui la liquidazione del tributo scaturisce dal controllo dichiarativo post dichiarazione. Fanno eccezione poche situazioni, ad esempio l’omesso versamento di importi dichiarati: in tal caso, essendo l’imposta già auto-liquidata dallo stesso contribuente e non versata, l’amministrazione può iscrivere a ruolo senza bisogno di ulteriore avviso (si tratta di ruoli per somme dichiarate e non versate). Infatti, per i ruoli derivanti da omesso versamento di imposte dichiarate, la prassi non prevede avviso bonario e la sanzione è già al 30% (non c’è riduzione perché non è un errore “da controllo”, ma un mancato pagamento). L’art. 54-bis DPR 633/72 (IVA) e l’art. 36-bis, co. 3 DPR 600/73 specificano che l’avviso bonario non è dovuto se non vi è “risultato diverso rispetto a quello indicato in dichiarazione”. Ad esempio, se uno presenta la dichiarazione IVA evidenziando un debito ma poi non lo versa affatto, l’Agenzia può direttamente iscrivere a ruolo quel debito (essendo esattamente l’importo dichiarato) senza bisogno di inviare un bonario, perché non c’è una “differenza” scoperta dall’ufficio: il contribuente sapeva già di dover pagare. Invece, se c’è qualunque ricalcolo che aumenti l’importo dovuto rispetto al dichiarato, allora la comunicazione va mandata.

Vizi e rimedi in caso di omissione o errore nell’avviso bonario

Abbiamo visto che il vizio principale è l’omissione dell’avviso bonario quando dovuto, con conseguente nullità della cartella. Ma possono aversi anche altre irregolarità: ad esempio, la notifica irrituale dell’avviso bonario (inviato all’indirizzo sbagliato, o non pervenuto al contribuente) e comunque l’ufficio procede ugualmente. In tal caso, in giudizio il contribuente potrà eccepire di non aver mai ricevuto la comunicazione e dunque di essere stato privato della possibilità di adesione e sanzione ridotta. La Cassazione (ord. n. 9759 dell’11/04/2024) ha confermato che è corretto l’annullamento di un accertamento quando l’Ufficio non dimostra l’effettivo invio (e ricezione) della comunicazione preventiva. In concreto, se l’avviso bonario è stato notificato a un destinatario diverso (es. consegnato al portiere) è necessario che l’ufficio provi di aver spedito la raccomandata informativa al contribuente. Se tale prova manca, l’avviso bonario si considera non validamente notificato e quindi la successiva cartella risulta illegittima. Questo punto è cruciale: spesso l’Agenzia considera sufficiente aver spedito l’avviso bonario, ma se esso torna indietro o viene ritirato da altri, dovrebbe inviare la raccomandata informativa (la “CAD”). La giurisprudenza recente richiede la prova della ricezione della raccomandata informativa o quantomeno della compiuta giacenza, non bastando la sola prova di spedizione. In mancanza, la notifica del bonario è nulla e il contribuente può far valere la cosa impugnando la cartella.

C’è poi il caso in cui l’avviso bonario stesso sia errato nel contenuto (ad es. calcola male gli interessi, o include importi non dovuti). In tal caso, il contribuente dovrebbe segnalare entro 30 giorni l’errore all’ufficio (chiedendo correzione). Se l’ufficio ignora la segnalazione e iscrive comunque a ruolo l’importo errato, il contribuente potrà impugnare la cartella contestando il merito (non la nullità formale, ma l’infondatezza dell’addebito). Quindi, errori materiali del bonario diventano poi motivi di ricorso sulla cartella.

Un altro aspetto pratico: cosa accade alle sanzioni se l’avviso bonario manca? Come accennato, la Cassazione in passato ha riconosciuto al contribuente comunque il diritto alla sanzione ridotta. In particolare, una pronuncia del 2020 (Cass. n. 13499/2020) ha ritenuto che, se l’ufficio non invia l’avviso bonario, il contribuente non ha potuto pagare nei 30 giorni e quindi ha diritto alla riduzione delle sanzioni in sede di cartella. Quindi il giudice può ridurre la sanzione al 10% anche sulla cartella ormai emessa. Questa soluzione però potrebbe essere superata dall’orientamento più recente del 2024 che annulla direttamente la cartella. In pratica, a seconda del collegio giudicante, l’esito potrà essere: annullamento totale della cartella (se l’assenza di contraddittorio bonario viene vista come vizio procedurale insanabile) oppure annullamento parziale limitatamente alle sanzioni (ridotte al minimo).

Tabella di sintesi per avvisi bonari:

Vizio relativo a avviso bonarioEffetto sull’atto successivoRiferimenti
Omesso invio avviso bonario (36-bis)Nullità/illegittimità della cartella di pagamentoCass. 7620/2024: cartella nulla senza avviso. Cass. 13499/2020: sanzioni ridotte al 10% in assenza di avviso.
Omesso invio avviso bonario (36-ter)Nullità della cartella ex art. 36-ter (maggior imposta)Cass. 15063/2022: cartella nulla senza avviso 36-ter. CTR Avellino 564/2023 idem.
Avviso bonario notificato irregolarmenteCartella nulla se l’Ufficio non prova la regolare notifica (CAD mancata)CGT Salerno 5030/2023: cartella nulla se manca prova RACCOM. info. Norme notifica: art. 6 L.212/2000, art. 60 DPR 600/73.
Mancata possibilità di pagare con sanzione ridotta (omissione contraddittorio)Diritto a riduzione sanzione oppure nullità atto finale (vedi sopra)Cass. 7620/2024 e Cass. 5394/2016 su obbligo avviso a pena nullità.

FAQ – Avviso bonario e nullità

D: Posso fare ricorso contro un avviso bonario ricevuto dall’Agenzia?
R: Di regola no, l’avviso bonario non è impugnabile autonomamente. Non è un atto con cui si vuole riscuotere coattivamente, ma solo una comunicazione. Quindi, se si ritiene sbagliato il contenuto, occorre rispondere alla comunicazione (entro 30 giorni) segnalando l’errore o chiedendo spiegazioni. Solo se poi arriva una cartella o un avviso di accertamento in seguito, potrai impugnare quello, facendo valere eventualmente anche i vizi dell’avviso bonario (es. mancato invio, errore non corretto, ecc.).

D: Se non rispondo all’avviso bonario né pago, cosa succede?
R: Trascorsi 30 giorni, l’ufficio iscriverà a ruolo le somme indicate. In pratica, dopo qualche mese (i tempi variano) ti arriverà una cartella di pagamento dall’Agente della Riscossione, con l’importo dovuto maggiorato degli interessi nel frattempo maturati e delle sanzioni piene (di solito 30%). A quel punto, se ritieni l’importo non dovuto, potrai fare ricorso contro la cartella. Nota che se paghi entro i 30 giorni dall’avviso bonario, ottieni la sanzione ridotta (10%); se lasci decorrere, la sanzione torna intera al 30%.

D: Non ho mai ricevuto alcun avviso bonario, e mi è arrivata direttamente la cartella: posso farla annullare?
R: Sì, questo è un caso tipico di ricorso vincente. Se la cartella deriva da un controllo automatizzato o formale, l’ufficio doveva mandarti l’avviso bonario. La mancata notifica della comunicazione costituisce violazione del procedimento e la giurisprudenza tende ad annullare la cartella per questo motivo. Dovrai indicare nel ricorso che non hai mai ricevuto l’avviso e che quindi la cartella è nulla. Sarà poi l’ente a dover dimostrare che invece te lo aveva inviato correttamente: se non ci riesce (ad esempio non esibisce la ricevuta AR o la PEC di consegna dell’avviso bonario), il giudice annullerà la cartella. In alcuni casi, come detto, i giudici possono scegliere di ridurre le sanzioni al minimo invece di annullare tutto; ma in ogni caso tu otterrai un beneficio (o cancellazione integrale o quantomeno riduzione sanzioni).

D: Ho ricevuto l’avviso bonario ma c’era un errore (ad es. mi addebitavano due volte la stessa imposta). L’ho segnalato all’Agenzia ma ora mi è arrivata lo stesso la cartella con l’importo sbagliato: cosa posso fare?
R: Devi impugnare la cartella di pagamento entro 60 giorni, contestando nel merito l’erroneità dell’addebito. Nella cartella infatti quell’importo è diventato esigibile. Davanti al giudice potrai far valere di aver segnalato l’errore già in sede di contraddittorio bonario e che l’ufficio non lo ha corretto. Allega magari copia della comunicazione che avevi inviato. Il giudice, riscontrato l’errore, annullerà la cartella nella parte relativa (o integralmente, se l’errore inficiava tutto). In altre parole, l’avviso bonario e le tue risposte fanno parte del dialogo: se l’Agenzia non ha considerato le tue osservazioni, puoi farle valere ora a supporto del ricorso contro la cartella.

D: La cartella arrivata dopo l’avviso bonario riporta una sanzione del 30%: posso farla ridurre?
R: Se tu non hai ricevuto l’avviso bonario (o ti è arrivato ma dopo la scadenza dei 30 giorni non hai più potuto beneficiare dello sconto), in sede di ricorso puoi chiedere quantomeno che le sanzioni siano applicate nella misura ridotta prevista dall’art. 2, co. 2 D.Lgs. 462/97 (1/3 del 30%, quindi 10%). Diverse sentenze, inclusa la Cassazione, hanno riconosciuto questo diritto: la logica è che, essendo stata negata al contribuente la chance di pagare con sanzione ridotta, tale beneficio va ripristinato. Pertanto, anche se il giudice ritenesse di non poter annullare tutta la cartella, può sicuramente disporre la riduzione delle sanzioni al 10%. Naturalmente se invece la cartella viene annullata integralmente per vizio procedurale, il problema sanzioni non si pone più.

D: In quali casi l’Agenzia non è tenuta a inviare l’avviso bonario?
R: Principalmente quando deve riscuotere importi che tu stesso hai dichiarato ma non versato. In quei casi infatti non c’è un “controllo automatizzato” che modifica i dati: semplicemente ti chiedono di pagare ciò che risulta dalla tua dichiarazione. Ad esempio: se non hai versato il saldo IRPEF dichiarato, oppure l’acconto IVA dovuto, l’Agente della Riscossione può emettere la cartella senza avviso bonario. Altre situazioni: se l’avviso bonario è stato regolarmente inviato ma non ti è stato recapitato per tua irreperibilità e hai omesso di comunicare il nuovo indirizzo, l’Agenzia potrebbe considerare comunque adempiuto l’obbligo (anche se in realtà sarebbe opportuno un ulteriore invio). Inoltre, per controlli sui crediti inesistenti in compensazione (normati dall’art. 13 D.Lgs. 471/97), spesso l’ufficio emette un atto di recupero crediti senza avviso bonario, ritenendo si tratti di atti impositivi veri e propri (qui il confine è labile e dipende dalle prassi). Comunque, se hai un dubbio, verifica la base normativa: se la richiesta deriva da 36-bis o 36-ter, l’avviso bonario doveva esserci; se deriva da omissione di pagamento di quanto da te dichiarato, no.

Passiamo ora alla cartella di pagamento, l’atto con cui l’Agente della Riscossione intima il pagamento delle somme dovute. È spesso la “seconda fase” dopo l’accertamento o il controllo automatizzato, e ha proprie regole e possibili nullità.

Cartella di pagamento: nullità e vizi frequenti

La cartella di pagamento è l’atto con cui l’Agente della Riscossione (come Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) richiede al contribuente il pagamento di somme iscritte a ruolo. Costituisce il titolo esecutivo per avviare eventualmente procedure coattive (fermi, ipoteche, pignoramenti) se il debitore non paga entro il termine (60 giorni dalla notifica). Le cartelle sono utilizzate sia per la riscossione di imposte statali (es. ruoli derivanti da accertamenti divenuti definitivi, da controlli automatici, da omessi versamenti dichiarati) sia per crediti di altro genere (previdenziali, multe, tributi locali se affidati all’agente nazionale, ecc.). Qui ci concentreremo sulle cartelle riferite a entrate tributarie, che il contribuente può impugnare davanti al giudice tributario in quanto atti della riscossione.

La cartella, pur essendo un atto “derivato” (spesso dipende da un accertamento o da un avviso bonario a monte), è un atto autonomamente impugnabile e può presentare vizi propri che la rendono nulla, oltre a riflettere eventualmente i vizi dell’atto presupposto. Si parla infatti di vizi propri (inerenti la cartella in sé: notifica, motivazione, ecc.) e vizi derivati o di merito (inerenti la legittimità del credito iscritto, quindi dell’accertamento o altro atto a monte). Il contribuente può far valere entrambi in sede di ricorso contro la cartella.

Di seguito analizziamo le cause più comuni di nullità delle cartelle esattoriali.

Vizi formali della cartella: notifica, firma e contenuto obbligatorio

1. Notifica nulla o inesistente della cartella – Valgono considerazioni analoghe a quelle fatte per gli avvisi: la cartella va notificata secondo le norme (art. 26 DPR 602/1973 per le cartelle esattoriali). Se la notifica è viziata (errato destinatario, indirizzo completamente sbagliato, omessa comunicazione via PEC dove obbligatoria, ecc.), la cartella può essere dichiarata nulla. Ad esempio, la notifica via PEC a una società è valida solo se inviata all’indirizzo PEC ufficiale dell’azienda; l’invio a un indirizzo PEC non risultante dai registri (INI-PEC) è considerato nullo o inesistente. Inoltre, come per gli avvisi, la recente norma (art. 7-sexies Statuto) ribadisce che una notifica a soggetto inesistente è inesistente; una notifica semplicemente errata è nulla ma sanabile col raggiungimento dello scopo. In pratica, se hai ricevuto comunque la cartella (es. anche se consegnata al vicino), conviene impugnarla tempestivamente: ciò ti mette al sicuro e insieme sana la notifica, concentrando l’attenzione del giudice sugli altri eventuali vizi. Se invece scopri la cartella tardivamente (magari da una comunicazione di fermo auto) e riesci a provare che la notifica originaria era nulla/inesistente, potrai far dichiarare inefficace la cartella anche oltre i 60 giorni, in quanto mai regolarmente notificata. Attenzione però: la Cassazione è severa nel dire che i vizi di notifica vanno comunque eccepiti entro certi limiti, per evitare che il contribuente ne approfitti ad arte. Comunque, la regola base è: notifica della cartella sbagliata = cartella nulla, soggetta a eventuale sanatoria se hai fatto opposizione in tempo utile (raggiungimento scopo).

2. Omessa indicazione del responsabile del procedimento in cartella – Diversamente dagli avvisi, per le cartelle di pagamento la legge prevede espressamente la nullità in caso di omissione del responsabile del procedimento. Precisamente, l’art. 36, comma 4-ter del DL 248/2007 (conv. L. 31/2008) ha stabilito che le cartelle relative a ruoli consegnati dall’1 giugno 2008 in poi devono indicare il responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo, a pena di nullità. Questo ha valore di legge speciale: per tutte le cartelle notificate negli ultimi 15 anni circa, se manca il nome del responsabile, la cartella è nulla. La Cassazione ha più volte confermato tale principio (es. Cass. n. 22810/2015; n. 11856/2017) e sottolineato che la nullità è circoscritta alle cartelle mute sotto quel profilo. Da notare che questa nullità è stata giudicata non retroattiva: cartelle relative a ruoli precedenti al 2008, pur senza responsabile, non erano impugnabili per questo (la Corte Costituzionale con sent. 58/2018 ha confermato la legittimità della norma che la limitava ai ruoli da giugno 2008 in poi). In pratica oggi quasi tutte le cartelle riportano nell’intestazione un responsabile (di solito un dirigente dell’ente creditore per le imposte). Se per errore quell’indicazione manca, hai un motivo formale forte di ricorso. C’è stato dibattito su quale responsabile indicare (del procedimento di iscrizione a ruolo, di emissione, ecc.), ma l’importante è che un nome ci sia. Se non c’è, la cartella è nulla.

3. Difetto di motivazione della cartella – La cartella deve consentire al destinatario di capire cosa gli si chiede e perché. Contiene un quadro dettagli debito con imposte, sanzioni, interessi e oneri di riscossione, suddivisi per ente impositore e per anno. Inoltre, riporta gli estremi dell’atto presupposto (se c’è) o della dichiarazione da cui scaturisce il debito. La motivazione della cartella è ritenuta sufficiente se l’atto indica la causa (es. “IRPEF anno 2019 da controllo automatizzato”) e l’importo, oppure se richiama un precedente avviso di accertamento indicando numero e data (in tal caso è come se la motivazione fosse per relationem: bisogna risalire all’atto presupposto). La Cassazione ha affermato che “la cartella esattoriale deve essere motivata non con la stessa analiticità di un avviso di accertamento, ma in modo da permettere al contribuente di collegarla al titolo da cui origina il credito”. Dunque, una cartella priva di ogni riferimento all’origine del debito è nulla perché viola l’obbligo di motivazione. Ad esempio, se ti arriva una cartella con scritto solo “importo X da pagare” senza indicare per quale imposta o anno, certamente è nulla. Se invece c’è scritto “IRAP 2018 imposta, sanzioni e interessi” è considerato motivato a sufficienza, specie se tu hai omesso il versamento di quell’anno: saprai ricondurlo alla tua dichiarazione. Le controversie sulla motivazione sorgono soprattutto quando la cartella riguarda debiti derivanti da accertamenti: in tal caso deve riportare gli estremi di quegli accertamenti (numero protocollo e data notifica). Se manca tale indicazione, il contribuente potrebbe non capire che la cartella è conseguenza di quell’atto (magari ricevuto anni prima). In passato alcune Commissioni annullavano cartelle che non riproducevano integralmente il contenuto dell’avviso presupposto; oggi però la Cassazione ritiene sufficiente il richiamo. Al limite, qualora la cartella non menzioni l’atto presupposto, si potrebbe far leva su questo difetto per chiedere nullità, ma spesso in giudizio l’ente produce copia degli avvisi e il giudice considera sanato l’eventuale difetto di chiarezza. Caso particolare: cartella per interessi su tardivo pagamento. Le Sezioni Unite con sent. 25048/2015 hanno ritenuto valida la cartella che richieda interessi moratori anche senza dettagliare il calcolo, purché sia chiaro il periodo e tasso (che si desumono per legge). In generale però, molte sentenze di merito hanno annullato cartelle che non indicavano come erano stati calcolati gli interessi o l’aggio di riscossione, perché ciò impediva al contribuente di verificare la correttezza del conteggio. Oggi l’aggio (compenso di riscossione) è per legge a carico dello Stato, quindi non figura più dal 2022, mentre gli interessi sono dovuti per legge su base annuale. È buona prassi che la cartella riporti i tassi applicati e il periodo, ma se non lo fa, alcuni giudici hanno comunque detto che il contribuente può ricavarli dalla legge. Dunque, questo motivo da solo non sempre porta a nullità, ma può essere accoppiato ad altri.

4. Cartella relativa a un atto impositivo mai notificato – È un principio fondamentale: se ti viene notificata una cartella che si basa su un avviso di accertamento mai notificato a te in precedenza, la cartella è nulla. Non si può infatti riscuotere con cartella un tributo che il contribuente non ha avuto modo di contestare perché l’atto principale non gli è mai arrivato. Questo spesso accade per vizi di notifica dell’accertamento: l’ufficio crede di avertelo notificato (magari mediante deposito per irreperibilità, o PEC non andata a buon fine) e passato il termine ti iscrive a ruolo; ma se in giudizio provi che l’accertamento non ti fu notificato regolarmente, la cartella sarà annullata per invalidità dell’atto presupposto. La Cassazione è costante: la notifica invalida di un atto recettizio comporta l’inefficacia dell’atto stesso, quindi quell’accertamento non è mai divenuto definitivo e non può legittimare alcuna cartella. In casi del genere, si impugna la cartella sostenendo di essere venuti a conoscenza solo con essa della pretesa fiscale, e dunque si fa valere la nullità derivata. Se l’ente in giudizio non riesce a dimostrare che l’avviso fu notificato (o se dimostra un’irregolarità), la cartella viene annullata. Attenzione: non è un ricorso tardivo contro l’accertamento, bensì un ricorso contro la cartella tempestivo, in cui si eccepisce l’inesistenza dell’accertamento per notifica nulla. Questo è pienamente ammesso.

5. Cartella emessa fuori termini di decadenza della riscossione – Esistono termini non solo per accertare, ma anche per riscuotere. Ad esempio, gli accertamenti “esecutivi” dell’Agenzia Entrate (per imposte 2016 e seguenti) prevedono che la cartella non venga emessa affatto: l’avviso stesso, trascorsi 60 giorni, vale come intimazione a pagare entro i successivi 30 giorni, dopodiché il ruolo viene formato automaticamente. Se per anni precedenti o per certe imposte occorreva invece la cartella, vi erano termini: ad esempio, per i ruoli da controllo dichiarazioni annuali, il DPR 602/73 prevedeva termini di decadenza entro cui il ruolo doveva essere reso esecutivo. La normativa sui termini di riscossione è abbastanza complessa e differenziata per imposta e annualità. Ad esempio, per ruoli relativi a imposte accertate, un tempo si richiedeva l’iscrizione a ruolo entro la fine del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento diviene definitivo. Questi termini nel 2022 sono stati in parte abrogati o resi inefficaci dall’introduzione generalizzata dell’accertamento esecutivo. Tuttavia esistono ancora per i tributi locali e altre entrate. In generale, se anche la cartella arriva tardissimo (es. 10 anni dopo l’accertamento), bisogna verificare se i termini erano decaduti. Se sì, la cartella è impugnabile per tardività della riscossione. Si tratta però di eccezioni tecniche che spesso richiedono di maneggiare norme transitorie.

Riassumendo i principali vizi di cartella:

  • Notifica nulla/inesistente → cartella inefficace (sanabile se impugnata in tempo).
  • Manca responsabile procedimento → cartella nulla (per ruoli post-2008).
  • Difetto motivazione (nessuna indicazione origine debito) → cartella nulla (violato art. 7 Statuto: chi riceve deve capire i presupposti).
  • Mancata indicazione di atti presupposti → nullità se preclude la difesa (altrimenti sanabile col ricorso, soprattutto se l’ente produce l’atto).
  • Cartella “sconosciuta” (atto presupposto mai notificato) → nullità derivata per difetto di presupposto.
  • Omissione avviso bonario (quando dovuto) → nullità (come già visto nella sezione precedente).
  • Errori materiali (calcoli palesemente sbagliati, importi duplicati) → annullamento parziale, previa contestazione.

FAQ – Cartella di pagamento nulla

D: La cartella mi è stata notificata via PEC ma da un indirizzo strano, non dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione: è valida?
R: Potrebbe non esserlo. Le notifiche via PEC delle cartelle devono avvenire dall’indirizzo PEC ufficiale dell’Agente della riscossione e verso il tuo domicilio PEC risultante dagli appositi registri (INI-PEC o IPA). Se la PEC mittente o destinataria non sono quelle previste dalla legge, la notifica è nulla o addirittura inesistente. Ci sono stati casi di pec fasulle o inviate a indirizzi PEC non aggiornati: la giurisprudenza ha considerato inesistenti quelle notifiche. Nel tuo caso, se l’indirizzo mittente non corrisponde a quello istituzionale (ad es. le PEC di Agenzia Riscossione hanno dominio “@pec.agenziariscossione.gov.it”), potresti eccepire la nullità/inesistenza della notifica. Tieni però conto che se hai comunque visualizzato l’atto, magari il giudice potrebbe ritenere raggiunto lo scopo. È un terreno ancora in evoluzione.

D: La cartella non indica il responsabile del procedimento: posso farla annullare?
R: Sì. Come detto, per le cartelle relative a ruoli dal 1/6/2008 in poi, l’omessa indicazione del responsabile del procedimento comporta nullità insanabile. Questo è uno dei motivi più netti di annullamento. Verifica nella cartella (di solito in prima pagina in alto o in basso) se c’è la voce “Responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo: Dr./Sig. XY”. Se non la trovi, evidenzia il fatto nel ricorso: la Cassazione supporta questa censura e difficilmente l’ente potrà opporsi (non c’è modo di sanare ex post, se manca, manca).

D: In cartella c’è scritto solo “IRPEF 2019” con un importo forfettario, ma non capisco da dove salti fuori: è regolare?
R: La cartella dovrebbe almeno indicare se deriva da un controllo automatizzato, da un avviso di accertamento, o altro. Se veramente non c’è alcun riferimento e l’importo non corrisponde a niente di familiare, la cartella potrebbe essere motivatamente nulla. Probabilmente però, guardando bene, troverai codici tributo e anno di imposta: da quelli si risale alla tipologia. Ad esempio, se c’è un codice tributo 4001 per IRPEF saldo, e l’anno 2019, può darsi che tu abbia dimenticato di versarlo. Se comunque non riesci a capire l’origine, nel ricorso sottolinea la carenza di indicazioni (violazione art. 7 L.212/2000). Il giudice potrebbe chiedere all’ente di chiarire. Se neanche in giudizio viene fornita prova dell’origine del debito, la cartella sarà annullata per difetto di motivazione. Più spesso, però, l’Agente della Riscossione in giudizio deposita la “nota di iscrizione a ruolo” o l’estratto di ruolo in cui c’è scritto, ad esempio, “Ruolo emesso dall’Agenzia Entrate ufficio di … su base avviso accertamento n…”. A quel punto, la difesa verte sul merito di quell’avviso (se tu non lo conoscevi, puoi eccepirne la notifica nulla come detto prima).

D: Posso contestare in sede di ricorso contro la cartella anche i vizi dell’atto precedente (ad esempio dell’accertamento)?
R: Sì, se non hai già impugnato l’atto precedente e questo non ti è stato correttamente notificato. In particolare, se un avviso di accertamento non fu impugnato perché non l’hai mai ricevuto, quando arriva la cartella puoi far valere i vizi propri del precedente accertamento (notifica nulla, o addirittura illegittimità del merito). Però, bisogna distinguere: se l’accertamento ti fu invece regolarmente notificato e non hai fatto ricorso entro 60 giorni, esso è divenuto definitivo. In tal caso, quando arriva la cartella non puoi più contestare nel merito l’accertamento, perché dovevi farlo prima; puoi solo contestare vizi di forma della cartella o fatti sopravvenuti (tipo pagamento già effettuato nel frattempo). Se provi a ridiscutere il merito dell’accertamento definitivo, il giudice dichiarerà “inammissibile” quella parte (perchè cosa giudicata amministrativa). Dunque, in sintesi: atto presupposto mai notificato – certamente sì, lo contesti ora; atto notificato ma non impugnato – ormai è definitivo, non più sindacabile salvo eccezioni (ad es. nullità assolute non dedotte in tempo, ma la Cassazione restringe molto questo concetto).

D: Ho scoperto di avere una cartella solo perché mi è arrivato un preavviso di fermo auto, ma io non l’avevo mai ricevuta: posso fare qualcosa anche se sono passati anni?
R: Sì, in questo caso puoi fare un’opposizione (tecnicamente ricorso tardivo) eccependo di aver avuto conoscenza solo ora della cartella e chiedendone l’annullamento per difetto di notifica. Devi però provare che la notifica originaria sia stata nulla o inesistente. Ad esempio, magari l’hanno notificata a un indirizzo dove non risiedevi più o a mani di persona sconosciuta. Se riesci a dimostrare il vizio, il giudice ti ammetterà al ricorso tardivo (perché la cartella è atto recettizio e il termine di 60 giorni decorre solo dalla effettiva conoscenza, se la notifica era nulla) e annullerà il fermo e la cartella. Questo scenario è frequente: l’Agente notifica per compiuta giacenza magari, il contribuente non se ne accorge e anni dopo emergono le ganasce fiscali. Fortunatamente la legge tutela chi non ha colpa: potrai difenderti, ma serve un avvocato che monitori bene le procedure di notifica.

A questo punto, dopo aver trattato avvisi di accertamento, avvisi bonari e cartelle, affrontiamo alcune tipologie particolari di accertamento che presentano peculiarità proprie in tema di nullità: l’invito al contraddittorio (che in realtà è un atto endoprocedimentale, non impositivo, ma la sua omissione incide sulla validità dell’accertamento), l’accertamento sintetico (il “redditometro”) e l’accertamento da studi di settore (ora ISA).

Invito al contraddittorio e altri atti pre-accertamento

L’invito al contraddittorio è l’atto con cui l’ufficio fiscale invita formalmente il contribuente a comparire o a esibire documenti per instaurare un dialogo prima di emettere un avviso di accertamento. Può assumere varie forme: invito a presentare documenti o informazioni (art. 32 DPR 600/73), invito a comparire per definire in adesione (D.Lgs. 218/1997), invito previsto da specifiche norme (es. per studi di settore, vecchio art. 10 L.146/98). In sé, l’invito al contraddittorio non è un atto impugnabile (perché non contiene una pretesa definita), però è un passaggio fondamentale la cui assenza può viziare l’atto finale. Abbiamo già coperto l’aspetto generale: dal 2024 tutti gli atti impositivi necessitano di un invito/bozza a pena di annullabilità. Qui approfondiamo alcune situazioni specifiche:

  • Mancato invito prima dell’accertamento “parziale”: L’accertamento parziale (art. 41-bis DPR 600/73) è uno strumento che consentiva all’ufficio di accertare in modo veloce singoli redditi non dichiarati sulla base di segnalazioni specifiche, senza dover rivedere l’intera dichiarazione. La norma non prevedeva esplicitamente un contraddittorio preventivo obbligatorio (trattandosi di un atto semplificato). La giurisprudenza però, soprattutto riguardo agli accertamenti bancari (spesso emanati come parziali), aveva auspicato un contraddittorio anche lì. In anni recenti, la Corte Costituzionale ha definito ingiustificata la differenza di trattamento tra contribuente soggetto a verifica in loco (che ha i 60gg di art.12, c.7) e contribuente oggetto di accertamento bancario (senza contraddittorio): la Consulta, pur non dichiarando illegittima la norma, ha invitato il legislatore a intervenire. Di fatto ora con l’art. 6-bis Statuto il contraddittorio serve sempre, quindi anche il parziale o l’accertamento bancario dovranno passare per un invito. Prima del 2024, se l’ufficio emetteva un parziale basato su indagini finanziarie senza contraddittorio, non vi era nullità automatica per legge, ma era possibile far valere la violazione dei diritti di difesa: alcune commissioni accoglievano il ricorso applicando i principi comunitari (in materia IVA soprattutto). Ora il quadro è unificato.
  • Invito ex art. 5-ter D.Lgs. 218/97 (accertamento con adesione): Questo è l’invito a presentarsi che l’Agenzia può inviare per tentare un’adesione con il contribuente prima di emettere l’accertamento. Non è obbligatorio in tutti i casi (lo era ad esempio nelle verifiche parziali ex art.41-bis, nelle quali la norma prevedeva di norma l’invito in adesione). Se l’ufficio sceglie di inviarlo, la legge gli riconosce l’effetto di sospendere i termini di decadenza per 90 giorni. Se l’invito non viene inviato, non c’è nullità dell’accertamento, semplicemente l’ufficio perde la chance di allungare i termini di decadenza. Dunque la mancanza di un invito in adesione non è vizio, semmai è un’opportunità mancata per l’ufficio. Caso diverso: invito inviato ma con errori (tipo indirizzo sbagliato, o motivazione inadeguata). Non avendo carattere obbligatorio, di solito questi errori non generano nullità dell’accertamento, ma possono essere valutati nella dinamica processuale (es. se l’ufficio sostiene di aver aperto l’adesione ma il contribuente prova di non aver mai ricevuto l’invito, il giudice potrebbe considerare scusabile un eventuale ritardo del contribuente nel reagire).
  • Verbale di constatazione e termine di 60 giorni (art. 12, c.7): L’invito al contraddittorio si concretizza, dopo una verifica fiscale, nell’attendere le osservazioni del contribuente al PVC. Qui ricordiamo: se l’accertamento esce prima dei 60 giorni senza urgenza, è nullo. Quindi, è come se il legislatore avesse imposto un “invito implicito” al contribuente a far pervenire memorie, garantendogli 60 giorni di tempo. La violazione di ciò è un vizio procedurale sostanziale potremmo dire. Anche con la riforma 2023, l’art. 6-bis non ha abrogato l’art. 12 c.7; anzi le due norme vanno coordinate: in caso di verifica in loco, prima si attendono 60gg per le osservazioni (art.12), poi eventualmente si invia lo schema di atto ex 6-bis (a partire dal 30/4/24 con nuove regole) con altri 60gg. Se l’ufficio si dimenticasse di attendere i 60gg del PVC, l’atto sarebbe nullo comunque, nonostante il 6-bis (che è aggiuntivo ma non sostitutivo in quel frangente).

In sintesi, oggi l’invito al contraddittorio è sempre dovuto (salvo casi di motivata urgenza). I vizi legati al contraddittorio (non invitare il contribuente, o farlo in modo fittizio senza considerare le sue difese) possono portare ad annullamento dell’atto finale. La giurisprudenza richiede anche la sostanzialità del contraddittorio: ad esempio, se l’ufficio conduce il contraddittorio ma poi emette l’atto senza minimamente rispondere alle osservazioni, la motivazione può essere considerata lacunosa. Insomma, il contraddittorio non è un pro-forma, deve essere effettivo. Sul punto la Cassazione ha usato la formula della “motivazione rafforzata”: l’accertamento post-contraddittorio deve spiegare perché eventuali argomentazioni difensive sono state rigettate. La mancanza di tale motivazione rafforzata potrebbe costituire vizio.

FAQ – Invito al contraddittorio

D: Se l’ufficio non mi ha inviato l’invito al contraddittorio e ha emesso l’avviso, posso impugnarlo per questo?
R: Sì, soprattutto per gli atti dal 2024 in poi: la mancanza dell’invito (schema di atto) rende l’avviso annullabile. Anche prima del 2024, in molti casi specifici la giurisprudenza annullava l’atto per mancato contraddittorio (es. studi di settore, accertamenti IVA a tavolino se si provava la rilevanza del contraddittorio, ecc.). Quindi oggi direi: sempre contestare l’omesso contraddittorio. L’unica attenzione: se l’ufficio aveva motivo di procedere d’urgenza (ad es. scadenza di decadenza troppo vicina e presenza di fondato pericolo per la riscossione), potrebbe giustificare l’assenza di contraddittorio. In tal caso, il giudice valuterà la sussistenza reale dell’urgenza. Ma se l’urgenza era pretestuosa, l’atto sarà annullato comunque.

D: Ho ricevuto un invito al contraddittorio (bozza di accertamento) e 60 giorni per rispondere. Devo farlo per iscritto o presentarmi di persona?
R: Puoi scegliere. L’art. 6-bis parla di “controdeduzioni” scritte o, su richiesta, di accesso agli atti e successivo incontro. Quindi, se preferisci, puoi inviare una memoria scritta con i documenti entro i 60 giorni. Oppure puoi chiedere un appuntamento per discutere oralmente (in genere viene concesso). In ogni caso, è consigliabile rispondere: è un’opportunità per chiarire e magari evitare l’atto definitivo o ridurne la portata. Se ignori l’invito, l’ufficio trascorsi i 60 giorni emetterà l’accertamento definitivo. Non c’è una sanzione diretta se non partecipi (l’atto rimane valido), ma perdi la chance di difenderti in anticipo. Inoltre, se poi farai ricorso lamentando cose che avresti potuto dire nel contraddittorio, il giudice potrebbe storcere il naso (anche se formalmente il diritto al ricorso rimane pieno).

D: L’ufficio mi ha inviato l’avviso di accertamento prima che trascorressero i 60 giorni dall’invito: l’atto è nullo?
R: Sì, dovrebbe esserlo. Se ti ha concesso 60 giorni e poi non li ha aspettati, ha violato espressamente l’art. 6-bis Statuto, che dice che l’atto “non può essere adottato prima” dello scadere del termine. Questo è analogo alla violazione dell’art.12, c.7 (che infatti prevedeva lo stesso termine). Cassazione e commissioni hanno sempre ritenuto nullo un accertamento emanato ante tempus rispetto al termine dilatorio. Quindi, se hai le prove (es: invito datato 1 marzo, atto emanato il 30 marzo, in anticipo di 30 giorni) allegale e solleva il vizio. L’ufficio potrebbe tentare di giustificarsi con “urgenza” (magari dicendo che scadeva il termine di decadenza a fine mese). Ma se l’urgenza non era reale o non è motivata nell’atto, l’atto va annullato.

D: Ho partecipato al contraddittorio e presentato memorie, ma l’accertamento definitivo non ne tiene conto e non risponde alle mie argomentazioni: posso contestare anche questo?
R: Sì. Questo tocca la motivazione rafforzata. Se tu hai sollevato obiezioni e l’ufficio le ignora completamente nell’atto finale, ciò può costituire vizio di motivazione. In pratica, l’ufficio deve almeno dare conto sinteticamente di perché ha ritenuto infondate le tue difese. Se proprio nulla appare, puoi far valere che l’atto è insufficientemente motivato (vizio già di per sé). Alcune pronunce hanno annullato avvisi per difetto di motivazione perché l’ufficio non aveva replicato alle osservazioni del contribuente, mostrando così di non averle valutate. Certo, se le tue memorie erano ripetitive o irrilevanti, il giudice potrebbe ritenere comunque valida la motivazione. Ma se c’erano questioni sostanziali ignorate, è un buon motivo di ricorso.

D: Quando non è richiesto il contraddittorio? Ci sono eccezioni?
R: La legge ne prevede alcune. Ad esempio, l’art. 6-bis Statuto fa salvo quanto previsto al comma 4 (lettera c e seguenti) della legge delega 111/2023: in pratica, può non applicarsi il contraddittorio in casi di particolare urgenza adeguatamente motivata (es: rischio di perdere la riscossione perché il contribuente sta per scappare). Inoltre, restano fuori gli atti che non sono impugnabili, come i provvedimenti di fermo amministrativo, per i quali non c’è obbligo di preavviso (anche se in realtà per il fermo la norma di settore lo prevede comunque). Un’altra eccezione può essere in materia doganale: esiste già uno specifico obbligo di contraddittorio nel Codice Doganale UE, quindi lì si segue quella procedura (l’art. 6-bis potrebbe considerarsi assorbito). In generale però, possiamo dire che le eccezioni saranno poche e sempre da motivare. Quindi, se non ricevi un invito, molto probabilmente l’atto è impugnabile per violazione del contraddittorio, a meno che nell’atto stesso non ci sia scritto chiaramente “contraddittorio omesso per urgenza dovuta a…”. Sarà poi il giudice a sindacare se tale urgenza era concreta.

Passiamo ora a due tipologie di accertamento “standardizzato” che storicamente hanno creato molto contenzioso in tema di contraddittorio e motivazione: l’accertamento sintetico/redditometro e l’accertamento basato sugli studi di settore (ora ISA).

Accertamento sintetico del reddito (redditometro) – Vizi di nullità

L’accertamento sintetico (noto nel linguaggio comune come redditometro) è un tipo di accertamento previsto dall’art. 38, commi 4-7 del DPR 600/1973, attraverso cui il Fisco può determinare il reddito complessivo di una persona fisica in maniera indiretta, basandosi sulle spese sostenute e sul patrimonio manifestato dal contribuente, anziché sui redditi dichiarati. L’idea è che, se una persona spende o possiede oltre una certa soglia rispetto a quanto dichiara, ci sia capacità contributiva non dichiarata, dunque redditi “sinteticamente” ricostruibili. Ad esempio, se Tizio dichiara 20.000 euro annui ma acquista una barca o una villa, l’ufficio può presumere che abbia altri redditi non tassati.

Il redditometro è stato uno strumento delicato e più volte riformato. La legge impone alcune garanzie procedurali per tutelare il contribuente da stime arbitrarie. In particolare, prima di emettere un accertamento sintetico, l’ufficio deve invitare il contribuente a fornire spiegazioni e prova che le spese sostenute sono state coperte da redditi esenti o da redditi di anni precedenti (risparmi) o altri mezzi leciti (es. donazioni ricevute) – pena la nullità dell’atto. Questo obbligo era espressamente previsto sin dalla formulazione dell’art. 38: il comma 7 (nel testo introdotto dal DL 78/2010) stabiliva che l’ufficio “deve invitare il contribuente a fornire dati e notizie rilevanti” e che l’accertamento sintetico può essere emesso solo “tenendo conto delle eventuali giustificazioni”. Anche prima del 2010, la prassi imponeva il contraddittorio in questi accertamenti. La Cassazione ha confermato che l’omissione del contraddittorio in materia di redditometro comporta nullità dell’accertamento: ad esempio, l’ordinanza n. 13832/2021 ha ribadito l’obbligo del contraddittorio nel sintetico IRPEF, cassando un accertamento emesso senza aver sentito il contribuente.

Principali vizi di nullità nel redditometro:

  • Mancato contraddittorio preventivo: Come detto, se l’ufficio emette l’atto senza aver inviato il questionario/invito al contribuente o senza aver atteso le sue risposte, l’accertamento è nullo. Questo è stato affermato in molte sentenze: il contraddittorio è considerato intrinseco a questo tipo di accertamento, essendo fondato su presunzioni semplici che richiedono un confronto con il contribuente. La ratio è anche comunitaria: la Corte di Giustizia UE (caso Ispas 2017) ha sottolineato il diritto del contribuente di avere accesso agli atti e essere sentito anche in ambito IVA e fiscale prima di un atto lesivo. In Italia, prima del 2024 questo obbligo specifico di norma c’era per il redditometro, e la sua violazione era motivo quasi certo di annullamento.
  • Violazione delle soglie e condizioni di legge: La legge prevede che l’accertamento sintetico possa scattare solo se il reddito accertabile eccede di almeno il 20% quello dichiarato per due anni consecutivi. Se queste condizioni non sussistono, l’atto è illegittimo (difetto di presupposto). Ad esempio, se la differenza è del 15% soltanto, non si poteva fare redditometro. Oppure se c’è un anno isolato di scostamento ma non due consecutivi, idem. Emissione in violazione di tali limiti rende l’atto annullabile in giudizio per violazione di legge.
  • Mancata considerazione delle prove contrarie: Altro vizio sostanziale: se il contribuente nel contraddittorio fornisce prova che talune spese sono state finanziate con redditi esenti o da patrimonio accumulato, l’ufficio deve tenerne conto. Se l’accertamento finale ignora completamente queste prove, potrebbe essere censurato per difetto di motivazione o di istruttoria. Ad esempio, il contribuente dimostra che la villa l’ha pagata con soldi ricevuti in eredità (patrimonio non imponibile) e l’Agenzia fa finta di niente e accerta come se quei soldi fossero reddito: l’atto è sbagliato e verrà annullato nel merito.
  • Motivazione carente sulle medie ISTAT: Riferito al “vecchio redditometro” (ante 2015) che utilizzava coefficienti standard di spesa su base ISTAT (tipo spesa per alimentari in base alla famiglia, ecc.). La Corte Costituzionale (sent. 141/2014) ha poi dichiarato illegittimo retroattivamente il decreto ministeriale 2011 sul redditometro per la parte in cui non garantiva il contraddittorio sulle spese medie. In generale, ormai il redditometro puro con medie statistiche non viene più usato per accertare (dopo il 2015 è stato sospeso e riformato). Ma nei contenziosi di anni passati, un vizio era la mancanza di analiticità: se l’atto si limitava a dire “lei dovrebbe aver speso X perché famiglia di 4 persone”, senza considerare la situazione reale, veniva annullato per difetto di motivazione e prova.

Situazione attuale (2025): L’utilizzo classico del redditometro è diminuito. Per i periodi d’imposta fino al 2015 si applicava il DM 2012 poi parzialmente decaduto; per i periodi successivi, dal 2016 in poi, una nuova versione di redditometro è stata varata nel 2018 (DM 16/9/2015) ma sospesa dal 2018 in attesa di ulteriori decreti attuativi che di fatto non sono mai stati emanati (la legge di bilancio 2019 bloccò l’applicazione del redditometro 2015 per anni dal 2016 in poi, richiedendo nuovi criteri, mai emanati ufficialmente). Quindi, di fatto, l’accertamento sintetico oggi può essere utilizzato soprattutto in base all’art. 38 commi 4 e 5: differenza tra reddito dichiarato e incremento patrimoniale/spese documentate. Le spese per elementi certi (acquisti di beni, investimenti) possono far presumere reddito se notevolmente sproporzionate. Ma in ogni caso serve contraddittorio.

Il contrasto con ISA: Oggi, per valutare la posizione dei contribuenti indipendenti (imprese minori e autonomi), al posto degli studi di settore e redditometro esiste il sistema degli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) che attribuisce un punteggio. Un punteggio basso può far scattare controlli, ma non costituisce di per sé base per un accertamento induttivo automatico. Quindi, un contribuente con ISA basso potrebbe subire un accertamento, ma questo dovrà comunque basarsi su elementi concreti (magari contabilità approfondita, etc.). L’ISA in sé non genera presunzione come gli studi di settore di un tempo. Quindi in ambito redditometro oggi c’è minore attività, e dove c’è segue le garanzie ordinarie (contraddittorio, motivazione delle spese certe).

FAQ – Accertamento sintetico (redditometro)

D: Ho ricevuto un accertamento sintetico IRPEF che indica solo spese e investimenti, ma non mi hanno mai convocato prima: è valido?
R: No, è viziato. Avresti dovuto ricevere un invito a chiarire la provenienza dei fondi per quelle spese. L’art. 38 DPR 600/73 impone il contraddittorio, e la Cassazione considera nullo l’accertamento redditometrico senza aver sentito il contribuente. Puoi impugnarlo per mancanza di contraddittorio e farlo annullare. Molto probabilmente l’ufficio stesso, in fase di adesione (se presenti istanza) o di mediazione, riconoscerà l’errore e annullerà in autotutela per rifarlo correttamente. Ormai sono abbastanza attenti su questo, quindi un redditometro arrivato “a sorpresa” è raro.

D: Mi contestano che ho comprato un’auto di lusso e che quindi dovevo avere redditi maggiori. Io però l’auto l’ho pagata con i risparmi accumulati in anni precedenti e con un regalo di mio padre: come mi difendo?
R: Queste sono proprio le giustificazioni da portare nel contraddittorio e poi eventualmente in giudizio. Se riesci a dimostrare (con documenti, estratti conto) che il denaro usato proveniva da redditi di anni passati già tassati (risparmi) o da redditi esenti/non tassabili (donazione familiare), l’accertamento deve esserne ridimensionato o annullato. La legge infatti esclude dalle presunzioni i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (come certi interessi, ecc.) se il contribuente ne dà prova. Inoltre, dimostrare che avevi un patrimonio pregresso sufficiente per quella spesa è una difesa forte: l’atto sintetico mira a scovare redditi “nuovi” non dichiarati, non a tassare ciò che hai messo da parte regolarmente. In Commissione, se porti le evidenze (es. saldo conto negli anni precedente e prelievo per acquisto), con ogni probabilità otterrai l’annullamento o forte riduzione dell’accertamento.

D: Hanno fatto il redditometro basandosi su spese medie ISTAT e mi attribuiscono spese di mantenimento che io in realtà non ho sostenuto: è legittimo?
R: La questione delle spese medie è stata molto dibattuta. La Corte Costituzionale nel 2014 ha frenato l’uso rigido di queste medie. Ad ogni modo, anche prima, l’accertamento sintetico non poteva basarsi solo su spese medie presunte senza considerare la situazione reale. Se nel tuo caso ti imputano, per dire, 5.000 euro annui di spese per alimentazione perché risulti sposato con figli, ma tu provi che in realtà le tue spese documentate sono minori, quelle presunzioni vanno vinte. Di solito, presentando scontrini o extratti di conto per dimostrare spese effettive inferiori, l’ufficio deve tenere conto. Se non lo fa e insiste con la media ISTAT, potrai sostenere in ricorso che l’accertamento è privo di prova concreta e quindi illegittimo. Già la normativa prevedeva che le spese medie fossero solo un indizio da confermare nel contraddittorio. Dunque, la presenza di sole spese medie come base, senza riscontri, è sicuramente un punto debole per l’ufficio e favorevole a te.

D: L’accertamento sintetico può essere fatto alle società o solo alle persone fisiche?
R: Solo alle persone fisiche. Il redditometro è uno strumento sull’IRPEF. Per società di capitali o imprese individuali ci sono altri metodi (analitico-induttivo, studi di settore, ISA, ecc.) ma non il redditometro in senso proprio. Quindi se hai ricevuto un accertamento come ditta individuale basato sul tuo tenore di vita personale, è anomalo: in quel caso l’ufficio dovrebbe colpire semmai in capo alla persona titolare. In pratica, l’accertamento sintetico è destinato a chi dichiara redditi IRPEF, spesso modesti, ma ha segnali di ricchezza.

D: Oggi si usa ancora il redditometro?
R: Di fatto molto meno rispetto a 10-15 anni fa. L’ultimo redditometro “ufficiale” fu quello elaborato nel 2015 (riferito ai redditi 2011-2013) che però fu sospeso dal 2019 per anni successivi in attesa di nuovi criteri. Quindi, l’Agenzia non ha uno strumento standard aggiornato. Tuttavia, possono comunque fare accertamenti sintetici mirati basati su elementi certi (per esempio: evidenziano dalle banche dati che hai comprato casa, auto e barca e hai dichiarato redditi bassi, possono procedere anche senza un algoritmo automatico, semplicemente usando l’art. 38 c.4-6 come cornice giuridica). In quel senso, esiste ancora. E le garanzie (contraddittorio, soglia 20%, onere della prova in parte a tuo carico per giustificare spese) rimangono. Quindi sì, può capitare per situazioni eclatanti. Ma l’approccio generale oggi preferisce incroci di dati e compliance spontanea piuttosto che il redditometro di massa come fu in passato.

Passiamo ora agli accertamenti basati sugli studi di settore (strumento ormai superato dagli ISA, ma ancora rilevante per annualità pregresse) e ai correlati Indici Sintetici di Affidabilità (ISA).

Accertamenti da studi di settore e ISA – Contraddittorio e nullità

Gli studi di settore sono stati, fino al periodo d’imposta 2017, uno strumento di accertamento standardizzato rivolto a imprese e professionisti di piccole dimensioni. In base a dati statistici relativi al settore economico del contribuente, veniva stimato un ricavo o compenso “congruo” e “coerente” per la sua attività. Se il contribuente dichiarava un importo inferiore alla stima risultante dallo studio, poteva scattare un accertamento per recuperare la differenza di reddito. Tuttavia, la legge (art. 10, L. 146/1998, e successive modifiche) ha sempre previsto che tali accertamenti siano fondati su presunzioni semplici e che quindi richiedano un contraddittorio obbligatorio con il contribuente. In particolare, dal 2004 fu inserito l’art. 10, comma 3-bis, L.146/98 che stabiliva: “l’ufficio, prima di emettere accertamento da studi, deve invitare il contribuente a comparire, pena la nullità”. Inoltre l’atto deve essere specificamente motivato anche in relazione alle giustificazioni addotte dal contribuente in sede di contraddittorio.

In pratica: nessun accertamento basato sugli studi di settore può essere emesso senza contraddittorio, altrimenti è nullo. Questo principio è stato confermato con forza sia dalla Cassazione (Sez. Unite n. 18170/2013 e molte sezioni semplici successive) sia normativamente con la previsione “a pena di nullità” nella legge. Dunque, le cause tipiche di nullità in questo ambito sono:

  • Mancata attivazione del contraddittorio: vizio insanabile, l’accertamento standardizzato è nullo. Cassazione ordinanza n. 32889/2018: “obbligatorio il contraddittorio pena nullità dell’accertamento basato su studi”. Idem Cass. 2795/2025 (richiamata in massimario). È talmente pacifico che ormai sono rarissimi i casi in cui l’ufficio se ne dimentica.
  • Contraddittorio formale ma non sostanziale: se il contraddittorio c’è stato ma l’ufficio non ne ha tenuto conto minimamente, si potrebbe discutere di nullità. Tuttavia, su questo la Cassazione è stata meno drastica: in linea di principio, basta che l’ufficio attivi e poi motivi il perché eventualmente non accoglie le ragioni del contribuente. Se ciò avviene, l’atto è legittimo sotto il profilo formale (poi si discuterà del merito). Se invece l’ufficio emette l’atto senza neppure fare cenno alle argomentazioni difensive, quell’atto può essere annullato per motivazione inadeguata. In ogni caso, è un vizio che il contribuente può far valere (nullità per difetto di motivazione sulle risposte date).
  • Mancata indicazione delle ragioni di scostamento: secondo la giurisprudenza, l’accertamento da studi di settore deve motivare perché ritiene non giustificato lo scostamento del contribuente dai parametri. Ad esempio, se il contribuente in contraddittorio dice “ho chiuso prima l’attività per malattia, ecco documenti”, l’ufficio se non ritiene valide tali ragioni deve spiegare perché. Se non lo fa e accerta acriticamente lo scostamento, la motivazione è carente e l’atto annullabile (esistono sentenze che dicono che motivazione generica = nullità).
  • Errori nel calcolo dello studio o applicazione errata: se l’ufficio applica uno studio di settore sbagliato (es. un codice attività diverso) oppure utilizza input errati, l’accertamento risulta inficiato e potrà essere annullato nel merito (in quanto il presupposto, la non congruità, era inesistente o calcolato male). Non è una nullità formale, ma di merito probatorio. Tuttavia, è un motivo di annullamento dell’atto in contenzioso.

A partire dal periodo d’imposta 2018, gli Studi di Settore sono stati sostituiti dagli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA). Gli ISA assegnano un punteggio da 1 a 10 al contribuente in base a vari indicatori economici. Un punteggio basso (es. 5 o inferiore) può segnalare possibili incongruenze, ma non può essere da solo base di accertamento. Infatti, la normativa ISA (art. 9-bis DL 50/2017) esclude espressamente che il punteggio ISA sia una presunzione di maggior reddito. Piuttosto, chi ha punteggio molto basso può essere selezionato per controlli, ma poi l’accertamento dovrà basarsi su metodi ordinari (analisi contabile, induttivo extracontabile, etc.). Non esiste un “accertamento da ISA” in senso stretto come invece c’era per gli studi. Dunque, il tema nullità per contraddittorio obbligatorio con ISA non si pone nei termini di prima, perché l’ISA non genera un atto impositivo standardizzato impugnabile. Possiamo però immaginare: se un domani venisse emanata una norma per cui sotto certo punteggio l’ufficio può fare un accertamento automatico, varrebbero analoghi principi di contraddittorio e motivazione. Ad oggi, comunque, eventuali accertamenti su anni 2018-2022 con riferimento a dati ISA dovranno comunque ancorarsi ad altre evidenze (ad es., se uno ha ISA 4, l’ufficio magari lo controlla e trova fatture false: farà un accertamento per fatture false, non “per ISA basso”). Quindi, la questione nullità si rifà a quei metodi (contraddittorio sempre per l’induttivo extracontabile, etc., come generalizzato ora dalla riforma).

Tabella – Contraddittorio e nullità: Studi di Settore vs ISA

Atto standardizzatoObbligo contraddittorioNullità se omessoRiferimento
Studi di settore (fino al 2017)Sì, sempre (per legge)Sì, nullità espressa ex legeArt. 10, c.3-bis L.146/98; Cass. SU 18170/2013; Cass. 12696/2018.
ISA (dal 2018)Non previsto come attoN/A (ISA da solo non accerta)DL 50/2017 art. 9-bis: ISA non è base presuntiva. Contraddittorio generale art.6-bis L.212/2000 comunque applicabile a ogni accertamento.

In pratica, oggi se arrivasse un accertamento su annualità “ISA”, varranno le regole generali: sempre contraddittorio ex 6-bis, nullità se omesso. Non sarà però motivato con “ISA 5 quindi maggior reddito €X”, perché non si può; semmai dirà “abbiamo riscontrato maggiori ricavi da controlli bancari o da margini incoerenti”. Ecco, la motivazione di questi eventuali atti dovrà essere solida.

FAQ – Studi di settore e ISA

D: Ho ricevuto un accertamento per il 2017 basato sugli studi di settore: non mi hanno convocato prima, posso farlo annullare?
R: Sì. Per il 2017 erano ancora in vigore gli studi, e l’ufficio doveva invitarti al contraddittorio, altrimenti l’accertamento è nullo. Questo è un caso da manuale. Anche se l’ufficio sostenesse che tanto il 2017 era anche ISA (in realtà l’ISA partiva dal 2018), comunque quell’accertamento è standardizzato e dovevano chiamarti. Fai ricorso e cita la norma e la giurisprudenza: vincerai quasi certamente.

D: Mi contestano maggior reddito 2016 perché ho un punteggio ISA basso di 4 su 10. È legittimo?
R: No, non possono fondare un accertamento semplicemente sul punteggio ISA. Devono individuare elementi concreti: per esempio, potrebbero dire “ricavi non dichiarati in base a ricarichi medi di settore riscontrati”. Ma se scrivessero solo “punteggio ISA 4 = inattendibilità, quindi ricavi rettificati a livello ISA 8”, sarebbe un atto illegittimo, perché la legge vieta di usare l’ISA come presunzione legale di ricavo. In un caso del genere, impugna evidenziando l’assenza di basi concrete. Verosimilmente l’ufficio integrerebbe la motivazione (il giudice potrebbe dargli torto comunque). In sostanza, ISA basso può giustificare un controllo ma non quantificare un recupero da solo.

D: Nel contraddittorio per gli studi di settore ho spiegato che la mia attività ha avuto problemi (es. crisi, zona terremotata, ecc.), ma l’ufficio non ne ha tenuto conto: posso far annullare l’atto?
R: Sì, se le tue spiegazioni erano documentate e l’ufficio le ha ignorate, l’accertamento da studi è viziato. La motivazione deve confutare le tue ragioni. Se non lo fa, puoi sostenere sia il difetto di motivazione che l’infondatezza nel merito. Spesso i giudici annullano questi atti se vedono che il contribuente aveva giustificazioni valide (es. nel tuo esempio, se porti evidenza che per via del terremoto sei rimasto chiuso tot mesi, è chiaro che lo studio di settore tarato su un anno intero non è applicabile, e l’ufficio avrebbe dovuto adeguare). C’è giurisprudenza (Cass. 14288/2016, 21754/2017 citate) che dice che gli studi sono presunzioni semplici e non possono prevalere su prove specifiche contrarie. Quindi il giudice ti darà ragione se hai prove convincenti.

D: Ora che c’è l’accertamento con adesione obbligatoria (6-bis), gli studi di settore non esistono più: devo comunque andare se mi invitano?
R: Beh, se ti riferisci al contraddittorio: sì, ora è generale. Ma parlando di studi, dal 2018 non esistono più come obbligo dichiarativo. Quindi verrai invitato sempre per qualsiasi accertamento, non più per questioni di studi vs non studi. Gli eventuali inviti oggi non ti dicono “secondo lo studio avresti dovuto dichiarare X”, semmai se quell’analisi viene fatta, te la presentano comunque durante il contraddittorio generale. Ma come detto, non può essere l’unico argomento. In pratica, tu partecipa sempre agli inviti, che siano in ambito ex studi, ex ISA o altro, perché è sempre nell’interesse tuo fornire elementi.

D: Ho avuto un punteggio ISA alto (es. 9): posso stare tranquillo che non mi faranno accertamenti?
R: In linea di massima sì, uno scopo degli ISA è premiare chi ha punteggio alto, riducendo la probabilità di controllo. Non è impossibile, ma molto improbabile, subire un accertamento se sei stato “virtuoso” secondo l’ISA. Inoltre, la legge prevede alcuni benefici: ad esempio chi ha ISA >=8 per due anni di fila non può subire accertamenti su quella annualità salvo elementi di rischio specifici. Quindi di fatto, punteggio alto ti mette al riparo tranne casi eccezionali. E ovviamente se anche arrivasse un accertamento, potrai mettere sul tavolo che avevi quell’affidabilità, il che rende più arduo per l’ufficio motivare perché mai ti controlla (dovrebbero avere qualche elemento serio, altrimenti passano guai in giudizio). Diciamo che un punteggio ISA alto non è immunità assoluta, ma quasi.

Abbiamo così esplorato i principali ambiti dell’accertamento tributario e i loro profili di nullità. Prima di concludere, riepiloghiamo con alcune simulazioni pratiche complete come promesso, per vedere “in azione” i concetti spiegati.

Simulazioni pratiche di nullità dell’accertamento – Esempi concreti

Di seguito proponiamo alcune situazioni di fantasia (ma ispirate a casi tipici reali) in cui un accertamento fiscale presenta vizi tali da renderlo nullo, e illustriamo l’ipotetico esito:

Esempio 1: Accertamento tardivo oltre i termini
Scenario: La ditta individuale “Alfa” presenta regolarmente la dichiarazione dei redditi 2019 (anno d’imposta 2018) dichiarando €50.000 di reddito. Per quell’anno, il termine di accertamento scade il 31 dicembre 2024. L’Agenzia delle Entrate notifica (a mezzo raccomandata A/R) un avviso di accertamento in data 10 gennaio 2025, contestando ricavi non dichiarati per €20.000.
Vizi: L’atto è stato emesso oltre il termine di decadenza (doveva pervenire entro il 31/12/2024). Questo vizio – tardività dell’azione accertatrice – comporta nullità dell’avviso. Inoltre, essendo notificato dopo la scadenza, l’atto è emesso quando l’ufficio non aveva più potere: è come un atto di accertamento emesso “senza titolo”.
Esito atteso: La ditta Alfa, con il suo difensore, propone ricorso eccependo la decadenza. Allegano la busta di notifica con timbro 8 gennaio 2025 (spedizione) e la ricevuta di ritorno del 10 gennaio 2025. Il giudice verifica le date e accerta la violazione dell’art. 43 DPR 600/73. Il ricorso viene accolto e l’avviso di accertamento è annullato integralmente per decadenza. L’Amministrazione dovrà anche rifondere le spese di giudizio ad Alfa. Non importa se nel merito vi fossero ricavi non dichiarati: il mero decorso del termine ha precluso ogni recupero.
Nota: In pratica, la pretesa di €20.000 di reddito evaso (e relative imposte) va persa per il Fisco, a causa del vizio procedurale. La ditta Alfa non dovrà versare nulla. Questo esempio evidenzia l’importanza dei termini di decadenza come garanzia per il contribuente.

Esempio 2: Accertamento con firma irregolare e delega mancante
Scenario: La società “Beta Srl” riceve un avviso di accertamento IRES per l’anno 2020, con il quale l’Agenzia rettifica il reddito imponibile aggiungendo €100.000 di ricavi non contabilizzati. L’atto, di diverse pagine, riporta in calce una firma illeggibile accompagnata dalla dicitura “Il Direttore dell’Ufficio”. La società impugna l’atto sostenendo che non risulta chi abbia firmato e chiedendo prova della delega. In giudizio, l’Avvocatura erariale produce una delega firmata dal Direttore Provinciale che delega dal 1/1/2022 al 31/12/2022 il funzionario XY alla firma degli accertamenti di quell’ufficio. Tuttavia, l’avviso in questione è stato emesso il 15 febbraio 2023, e il funzionario XY ha apposto la firma. La delega esibita risulta scaduta al 31/12/2022 e non rinnovata.
Vizi: Formalmente l’avviso risulta sottoscritto da un soggetto non legittimato al momento della firma: la delega aveva cessato efficacia. Di conseguenza, l’atto è privo di valida sottoscrizione ex art. 42 DPR 600/73. Inoltre, la firma illeggibile non consentiva di individuare il firmatario (lo si è scoperto solo con la delega prodotta in giudizio): altro aspetto che avvalora il difetto di sottoscrizione.
Esito atteso: La Commissione accoglie il ricorso di Beta Srl dichiarando nullo l’avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione autorizzata. Richiama l’art. 42 DPR 600/73 e la giurisprudenza (Cass. 22810/2015, Cass. 18359/2021) che impone la delega valida. L’atto viene annullato in toto. Le eventuali evasioni di Beta Srl (se ve ne erano) non potranno più essere recuperate con quell’atto – l’Ufficio potrà al limite emetterne un altro valido se ancora nei termini (ma supponiamo che i termini fossero stretti e siano ormai passati, quindi il Fisco perde il recupero).
Nota: Questo esempio mostra come un vizio formale (delega scaduta) comporti la nullità, indipendentemente dal merito. Anche provando che Beta Srl aveva davvero occultato €100.000, l’atto è invalido perché firmato da chi non aveva potere quel giorno.

Esempio 3: Cartella di pagamento senza avviso bonario (omesso contraddittorio)
Scenario: Il contribuente Mario ha presentato la dichiarazione dei redditi 2021 indicando un’imposta IRPEF dovuta di €5.000. Dimentica però di versare il saldo. Nel 2022 l’Agenzia, tramite il controllo automatizzato, rileva l’omesso versamento. La prassi richiederebbe l’invio di una comunicazione di irregolarità (avviso bonario) dando 30 giorni a Mario per pagare con sanzione ridotta. Tuttavia, per un disguido l’avviso bonario non viene mai inviato. Nel 2023 Mario riceve direttamente una cartella di pagamento dall’Agenzia Riscossione che gli intima €5.000 di imposta + €1.500 di sanzioni (30%) + interessi. Mario, sorpreso, fa ricorso eccependo di non aver mai avuto la possibilità di pagare con sanzioni ridotte e di non aver ricevuto alcun preavviso.
Vizi: La cartella è stata emessa senza preventiva comunicazione ai sensi dell’art. 36-bis DPR 600/73. Ciò costituisce violazione della procedura. Secondo la giurisprudenza recente, questa omissione comporta la nullità della cartella stessa. Quantomeno, c’è una palese lesione del diritto di Mario alla sanzione ridotta (10%).
Esito atteso: La Commissione accoglie il ricorso. Possibili moduli decisori: (a) dichiarare nulla la cartella per omissione dell’avviso bonario, in applicazione dell’orientamento Cass. 7620/2024; (b) in subordine, ridurre le sanzioni al 10% (ovvero €500 anziché €1.500) riconoscendo a Mario il diritto alla definizione agevolata che non ha potuto esperire. Nella maggior parte dei casi più recenti, i giudici scelgono la strada (a): annullamento integrale della cartella per vizio del procedimento (il Fisco poi potrebbe eventualmente notificare un nuovo avviso bonario e cartella, ma nel frattempo il termine di decadenza per la riscossione potrebbe essere trascorso – quindi è un serio autogol procedurale per l’Amministrazione). Nel dispositivo, il giudice cita la funzione di garanzia dell’avviso bonario e la sua omissione come motivo di invalidità della cartella.
Nota: Mario dunque non dovrà pagare nulla immediatamente. Se il Fisco è ancora in tempo, potrebbe inviargli ora l’avviso bonario (magari con sanzione 10%) e poi nuova cartella. Ma se i termini sono decaduti, Mario si è salvato dall’intera pretesa per un vizio procedurale.

Esempio 4: Accertamento da studi di settore senza contraddittorio
Scenario: La sig.ra Elena gestisce un negozio di abbigliamento. Per l’anno 2016 ha dichiarato ricavi €80.000, mentre lo studio di settore del suo codice (abbigliamento dettaglio, città media) indicava ricavi “congrui” di almeno €120.000. Nel 2019 (entro i termini) l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento rideterminando i ricavi a €120.000 e il reddito di conseguenza, recuperando imposte e IVA. Elena non era mai stata convocata per spiegare il suo scostamento (dovuto, supponiamo, a lavori di ristrutturazione che l’avevano costretta a 3 mesi di chiusura nel 2016). L’accertamento riporta solo che “la contribuente ha dichiarato meno del congruo previsto dallo studio XY, pertanto si accertano maggiori ricavi…”, senza menzionare alcun contraddittorio.
Vizi: Violazione clamorosa dell’obbligo di contraddittorio ex art. 10 L.146/98: l’atto è nullo a pena di legge. Inoltre, motivazione inadeguata (non menziona le possibili giustificazioni).
Esito atteso: Il ricorso di Elena viene accolto: accertamento annullato per nullità in assenza di contraddittorio. Il giudice cita la norma e Cassazione (es. Cass. 9784/2017, Cass. 12696/2018) sul punto. L’ufficio non può opporre nulla, è un vizio insanabile.
Nota: Questo esempio riflette casi reali avvenuti prima che la prassi si uniformasse. Oggi è difficile che accada, ma è didattico per mostrare l’importanza del contraddittorio negli accertamenti standardizzati.

Esempio 5: Accertamento “a sorpresa” e prova di resistenza (pre-2024)
Scenario: (Caso ipotetico pre-riforma) Il contribuente Lorenzo riceve nel 2018 un avviso di accertamento IVA per il 2015, senza essere stato preceduto da alcun invito. L’atto recupera IVA su alcune fatture ritenute false dall’ufficio. Lorenzo sostiene che se fosse stato chiamato prima, avrebbe potuto dimostrare la genuinità delle operazioni, portando documentazione che invece l’ufficio non ha considerato.
Vizi e situazione: Prima del 2024, per l’IVA (tributo armonizzato UE) la Cassazione richiedeva il contraddittorio solo se il contribuente dimostrava in giudizio la cosiddetta prova di resistenza: ovvero quali argomenti avrebbe addotto e come questi avrebbero potuto influire. Nel caso di Lorenzo, egli in ricorso allega tutte le prove a suo favore (contratti, DDT, ecc. che attestano la realtà delle operazioni). Dunque mostra che un contraddittorio avrebbe potuto portare l’ufficio a non emettere l’atto.
Esito atteso: La Commissione, applicando l’indirizzo SU 24823/2015, accoglie il ricorso annullando l’accertamento IVA per violazione del contraddittorio, in quanto Lorenzo ha dato prova che il confronto preventivo non era una mera formalità ma avrebbe inciso (ha fornito elementi difensivi solidi). L’atto è quindi annullato.
Nota: Questo scenario è oggi superato dalla norma del 2024 che impone il contraddittorio a prescindere, ma è utile storicamente. Inoltre, tuttora in cause relative ad atti pre-2024, se ci si trova in situazioni simili, i giudici applicano quel criterio.

Come si vede da questi esempi, quando sussiste un vizio rilevante l’esito tende ad essere l’annullamento totale dell’atto, con totale soddisfazione del contribuente sul piano processuale (anche se magari sul piano sostanziale aveva torto, ma grazie al vizio procedurale “la fa franca”). Ciò conferma l’importanza, per i difensori, di verificare sempre la regolarità formale e procedurale degli atti: una piccola dimenticanza dell’Ufficio può salvare il cliente da un esborso ben più grande.

Conclusione

Abbiamo esaminato in dettaglio quando un accertamento fiscale è nullo e come far valere tali nullità. In sintesi, le cause principali di invalidità sono:

  • Vizi formali essenziali: mancanza di firma autorizzata, difetto di motivazione, errori gravi di notifica, omissione di elementi obbligatori (es. responsabile per cartelle), superamento dei termini decadenziali. Questi vizi, se tempestivamente eccepiti, portano all’annullamento dell’atto.
  • Violazione dei diritti di difesa: in primis la mancata instaurazione del contraddittorio quando dovuto. Dal 2024 è un motivo generalizzato di annullabilità di ogni atto; già prima, in molti casi specifici (verifiche in loco, studi di settore, redditometro, tributi UE) era causa di nullità. Garantire il dialogo preventivo è diventato cruciale nell’ottica del “giusto procedimento tributario”.
  • Difetto di presupposti sostanziali: atti emessi senza base legale o contro leggi (es. atto emesso due volte sullo stesso periodo, atto in violazione di un giudicato, atti che applicano norme inesistenti). Questi casi, seppur meno frequenti, determinano nullità perché l’Amministrazione agisce ultra vires.

Un accertamento nullo è come se non fosse mai esistito, ma attenzione: per far valere la nullità occorre sempre attivarsi con un ricorso entro i termini (salvo casi di inesistenza radicale). L’inerzia del contribuente può consolidare anche un atto nullo. Dunque, in presenza di un atto fiscale potenzialmente viziato, è fondamentale rivolgersi tempestivamente a un esperto (avvocato tributarista o commercialista) per esaminarlo e, se del caso, impugnarlo.

Con le recenti riforme, il legislatore ha cercato di bilanciare esigenze dell’Erario e garanzie del contribuente: ha codificato quali vizi non invalidano l’atto (ad es. il responsabile mancante negli avvisi) e al contempo ha esteso le garanzie (contraddittorio generalizzato). Resta comunque ampio lo spazio per la tutela giudiziale: le Commissioni tributarie (oggi Corti di Giustizia Tributaria) svolgono un ruolo essenziale nel vigilare sulla legittimità formale degli atti fiscali, oltre che sul merito.

Per avvocati e imprenditori, conoscere queste cause di nullità significa avere a disposizione strumenti efficaci per difendersi da pretese illegittime. Un vizio procedurale ben individuato e argomentato può evitare lunghe e costose disquisizioni sul merito, portando a una rapida vittoria processuale. Allo stesso tempo, dall’altro lato, l’Amministrazione è sempre più attenta a prevenire tali errori, formando il personale e aggiornando i modelli di atti (ad esempio, oggi è molto raro trovare un avviso senza motivazione o non firmato, proprio perché sanno che sarebbe carta straccia).

In conclusione, “quando un accertamento fiscale è nullo” dipende da una serie di circostanze che abbiamo qui approfondito: dalla firma alla motivazione, dal rispetto dei termini al contraddittorio. Ogni caso concreto va analizzato nella sua specificità, alla luce delle norme (aggiornate) e della giurisprudenza vigente. La nostra guida, aggiornata a maggio 2025, fornisce il quadro di riferimento per orientarsi in questo ambito complesso ma fondamentale del diritto tributario italiano.

Di seguito, per completezza, elenchiamo le principali fonti normative, prassi, giurisprudenza e dottrina citate o utili per approfondire il tema.

Fonti e riferimenti

Normativa primaria:

  • DPR 29 settembre 1973, n. 600, artt. 42, 43, 32, 38, 41-bis – Disposizioni comuni accertamento imposte dirette. (Requisiti formali accertamento: firma, motivazione; termini decadenza; poteri istruttori; accertamento sintetico).
  • DPR 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 52, 54, 56, 57 – IVA. (Accertamento IVA, termini decadenza, obblighi contraddittorio in ambito IVA secondo normativa armonizzata).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente), artt. 7, 12, 6-bis, 7-quater, 7-quinquies, 7-sexies. (Obbligo di motivazione e indicazione responsabile; garanzie nelle verifiche fiscali – 60 giorni; art. 6-bis introdotto da D.Lgs. 219/2023: contraddittorio obbligatorio generalizzato; art. 7-quater: irregolarità non invalidanti; art. 7-quinquies: inutilizzabilità prove raccolte oltre termini; art. 7-sexies: disciplina vizi notifica).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19. (Atti impugnabili dinanzi al giudice tributario – elenca avvisi accertamento, cartelle, ecc.; non include avvisi bonari).
  • DPR 29 settembre 1973, n. 602, art. 26. (Notificazione cartella di pagamento).
  • DL 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, co. 4-ter conv. L. 28/2/2008 n. 31. (Obbligo indicazione responsabile del procedimento sulle cartelle a pena di nullità).
  • DL 30 aprile 2019, n. 34, art. 16-bis conv. L. 58/2019. (Sospensione applicazione redditometro 2015 per anni dal 2016 in avanti, in attesa di decreto MEF di nuovi criteri – contesto normativo redditometro/ISA).
  • DL 24 aprile 2017, n. 50, art. 9-bis conv. L. 96/2017. (Introduzione Indici Sintetici Affidabilità – prevede che i risultati ISA non costituiscono presunzione di maggior reddito).
  • Legge 8 maggio 1998, n. 146, art. 10 e seguenti. (Studi di settore: obbligo contraddittorio a pena di nullità introdotto dal DL 203/2005 conv. L.248/2005).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 5, 5-bis. (Accertamento con adesione – invito a comparire, sospensione termini 90 gg; non obbligatorio tranne casi specifici).
  • Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (L. Bilancio 2020), commi 816-817. (Introduzione “accertamento esecutivo” per tributi locali dal 2020 in poi – l’atto locale vale anche come titolo per riscossione senza cartella).
  • Legge 23 dicembre 2014, n. 190, commi 640-646. (Riforma decadenze accertamento – unificazione 5 e 7 anni; abrogazione raddoppio termini salvo invio denuncia penale entro termini – importante per termini ma dettagli oltre scopo).

Prassi e circolari dell’Amministrazione:

  • Circolare Agenzia Entrate n. 19/E del 8 agosto 2018, §1.6. (Chiarimenti su obbligo indicazione responsabile del procedimento: ribadisce nullità per cartelle, non per avvisi – in linea con Cassazione).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 1/E del 17 gennaio 2018. (Istruzioni operative su firma digitale e deleghe di firma dopo Cass. SU 22810/2015 – raccomanda di conservare atti di delega e assicura validità firma digitale).
  • Circolare Ministero Finanze (Dre) n. 198/E del 10 luglio 1998. (Sul contenuto minimo degli atti di accertamento e diritto di difesa – affermava già che l’avviso deve contenere motivi di fatto e diritto a pena di nullità).
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 109/E del 6 dicembre 2007. (Sulla mancata indicazione del responsabile negli atti: pre-L. 31/2008; riconosce obbligo, ma rimanda a intervento normativo – poi arrivato con DL 248/07).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 5/E del 18 febbraio 2011, §4.2. (Suggerisce, in tema di redditometro, di instaurare sempre il contraddittorio e valutare documentazione di provenienza finanziaria non imponibile).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 22/E del 9 luglio 2013. (Studi di settore – recepisce Cass. SU 2013: contraddittorio obbligatorio e necessità motivazione rafforzata, invita uffici a rispettare forma).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 17/E del 2 luglio 2010. (Redditometro nuovo DM 2010: dettaglia come condurre contraddittorio e onere contribuente di provare fonti non tassate per spese – conferma obbligo).
  • FiscoOggi (rivista AE) “Avviso ai litiganti” 3 agosto 2022L’atto va avanti senza responsabile solo la cartella rischia nullità. (Commento di causa persa dall’ente: chiarisce nullità solo per cartelle post-2008, non per avvisi).
  • FiscoOggi “Controlli e liti” 26 maggio 2024La cartella è nulla se non preceduta da avviso bonario. (Commento a sent. CGT Salerno 5030/2023: ribadisce necessità prova invio raccomandata informativa in notifica a terzi).

Giurisprudenza (sentenze chiave):

  • Cass., Sez. Unite, 18 settembre 2015, n. 18448 – (Consolidamento atti nulli se non impugnati: i vizi nullità sono eccezioni di parte, non rilevabili d’ufficio oltre termini).
  • Cass., Sez. Unite, 9 dicembre 2015, n. 24823 – (Contraddittorio endoprocedimentale: obbligo generalizzato solo per tributi UE, prova resistenza; per tributi interni obbligo solo se legge lo prevede. Fa salvo art.12 c.7 Statuto).
  • Cass., Sez. Unite, 29 luglio 2013, n. 18184 – (Violazione art. 12 c.7 Statuto: nullità avviso emesso ante 60 gg senza urgenza).
  • Cass., Sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 8500 – (Ribadisce che nullità atti tributari ex art. 42 DPR 600 vanno eccepite in ricorso introduttivo, non rilevabili oltre; conferma impostazione SU 2015).
  • Cass., Sez. V, 28 giugno 2021, n. 18359 – (Firma: avviso nullo ex art.42 se non firmato da capo ufficio o delegato).
  • Cass., Sez. V, 11 maggio 2022, n. 15063 – (Cartella nulla se manca avviso ex 36-ter: comunicazione esito controllo formale è garanzia necessaria).
  • Cass., Sez. V, 21 marzo 2024, n. 7620 – (Omesso avviso bonario ex 36-ter → nullità cartella; ribadisce funzione contraddittorio).
  • Cass., Sez. V, 20 maggio 2021, n. 13832 – (Accertamento sintetico IRPEF: obbligo contraddittorio, atto nullo se manca).
  • Cass., Sez. VI-5, 19 giugno 2024, n. 16873 – (Cita riforma: obbligo contraddittorio anche in accertamenti “a tavolino” IVA, si allinea a nuovo orientamento – possibile rimessione alle SU; rafforza tesi generalizzazione contraddittorio).
  • Cass., Sez. V, 17 gennaio 2024, n. 1008 – (Studi di settore: conferma nullità accertamento standard se contraddittorio omesso; irrilevante eventuale prova resistenza perché obbligo legale ex lege).
  • Cass., Sez. V, 8 novembre 2018, n. 32889 – (Studi di settore: contraddittorio obbligatorio a pena nullità).
  • Cass., Sez. V, 10 settembre 2020, n. 18767 – (Motivazione contraddittoria/insufficiente: avviso nullo; caso in cui CTR aveva annullato per motivi contraddittori e Cass. conferma).
  • Cass., Sez. V, 18 marzo 2016, n. 5394 – (Obbligo avviso bonario anche in ipotesi di controllo 36-bis per consentire sanzione ridotta: fissa termini dell’obbligo a pena nullità anche in tali ipotesi).
  • Cass., Sez. V, 5 ottobre 2012, n. 17143 – (Cartella: motivazione insufficiente se non indica atto presupposto; necessità riferimento analitico al debito. Sentenza storica su nullità cartella priva di motivazione, poi parzialmente rivista da SU 2015 per interessi).
  • Cass., Sez. Unite, 17 novembre 2015, n. 25048 – (Motivazione cartella su interessi: SU limitano obbligo analiticità, cartella legittima se da giudicato con importi determinati; però dottrina evidenzia che se interessi non chiari, si deve motivare. Questa SU più su casi di cartella da sentenza).
  • Comm. Giust. Trib. Salerno, sent. 5030/2023 – (Cartella nulla per mancata prova invio raccomandata informativa in notifica avviso bonario consegnato a terzi).
  • Comm. Giust. Trib. Reg. Lombardia, sent. 18/2020 – (Annulla avviso: ufficio aveva attivato contraddittorio ma non atteso 60gg e non motivato urgenza – ribadisce nullità per violazione termine dilatorio).
  • Corte Costituzionale 21 marzo 2023, n. 47 – (Invita legislatore a estendere contraddittorio a ogni accertamento, rilevando disparità di trattamento; preludio riforma 2023).
  • Corte Costituzionale 23 novembre 2016, n. 254 – (Dichiara infondata questione su mancata estensione contraddittorio a tributi non armonizzati: ritenendo non incostituzionale normativa ante 2024, però di fatto lascia politica al legislatore).
  • Corte Costituzionale 7 aprile 2014, n. 80 – (Art. 21-decies L. 241/90 non si applica processualmente in modo diverso: cenni sul fatto che nullità amministrative vanno eccepite nei limiti processuali – in linea con Cass.).
  • Corte Giustizia UE 3 luglio 2014, cause riun. C-129/13 e C-130/13 (Kamino) – (Principio: violazione diritto difesa (contraddittorio) incide solo se in assenza di tale violazione il risultato pot. essere diverso – prova resistenza introdotta a livello UE. Cass. SU 2015 ne recepisce per tributi armonizzati).
  • Corte Giustizia UE 9 novembre 2017, C-298/16 (Ispas) – (Nel contesto IVA, diritto a essere sentito include diritto di accesso al fascicolo amministrativo – rafforzamento garanzie procedurali in materia tributaria).

Accertamento Fiscale? Fatti Aiutare Da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate?
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⚠️ Non tutti gli accertamenti fiscali sono validi. Se mancano determinati requisiti, possono essere annullati.
Ecco come capire se il tuo è impugnabile – e come difenderti in modo efficace.

Cos’è un accertamento fiscale

📄 È l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate ti contesta imposte non versate, errori o omissioni.
Può riguardare IVA, IRPEF, IRES, imposte locali, dichiarazioni infedeli o redditi presunti.

📌 L’avviso di accertamento deve rispettare regole precise. Se non lo fa, è annullabile.

Quando un accertamento è nullo (o gravemente viziato)

🔴 È possibile annullarlo se:

Manca il contraddittorio preventivo (quando è obbligatorio per legge)
È firmato da un funzionario non competente
È notificato oltre i termini previsti
Non è sufficientemente motivato (non spiega il perché della richiesta)
Si basa su presunzioni illogiche o non documentate
Viola i diritti del contribuente previsti dallo Statuto del Contribuente
È stato emesso durante una procedura ancora aperta (es. adesione in corso)

📌 Anche gli atti emessi da enti diversi dall’Agenzia (es. Comuni, INPS, ecc.) possono essere annullati se non rispettano i requisiti formali e sostanziali.

Cosa fare se hai ricevuto un accertamento

✅ Non ignorarlo: hai solo 60 giorni per fare ricorso
✅ Fai esaminare l’atto da un legale esperto in tributi
✅ Valuta la possibilità di annullamento per vizi formali o sostanziali
✅ Se il debito è corretto, puoi comunque trattare: contraddittorio o adesione

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📂 Analizza il tuo avviso di accertamento riga per riga
📑 Verifica la presenza di vizi formali e motivi di nullità
⚖️ Predispone ricorso al giudice tributario, anche in via d’urgenza
✍️ Ti assiste in ogni fase: contraddittorio, adesione o giudizio
🔁 Ti protegge da cartelle, pignoramenti e danni patrimoniali

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale
✔️ Consulente per imprese, professionisti e privati con avvisi ricevuti
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia

Conclusione

Un accertamento fiscale non è sempre giusto. E non è sempre valido.
Con una difesa tecnica puoi annullarlo o ridurlo drasticamente. Ma il tempo per reagire è limitato.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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