Quando Decade Un Prestito Non Pagato?

Hai contratto un prestito anni fa e non sei più riuscito a pagarlo? Ti chiedi se dopo un certo periodo il debito possa considerarsi prescritto o non più esigibile?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, recupero crediti e tutela del debitore – ti spiega in modo chiaro quando decade un prestito non pagato, qual è il termine di prescrizione e come verificare se la banca o la finanziaria può ancora esigerne il pagamento.


Quando un prestito non pagato si considera prescritto?
La legge stabilisce che i crediti derivanti da finanziamenti, mutui e prestiti personali si prescrivono dopo 10 anni, a partire dall’ultima azione interruttiva valida da parte del creditore (come una raccomandata, un atto giudiziario o un riconoscimento scritto del debito da parte tua). Se in questo periodo non c’è stata alcuna iniziativa, il debito decade e non può più essere legalmente richiesto.

Cosa succede se il termine di prescrizione è passato?
Se il prestito è effettivamente prescritto, non sei più obbligato a pagarlo e il creditore non può più agire né tramite decreto ingiuntivo né con pignoramenti o recupero forzato. Attenzione però: anche un semplice sollecito scritto da parte tua può interrompere la prescrizione e farla ripartire da capo.

Come faccio a sapere se un prestito è prescritto?
È fondamentale verificare quando è stato effettuato l’ultimo pagamento, se hai ricevuto comunicazioni valide nel frattempo e se hai mai riconosciuto il debito, anche in forma indiretta. In molti casi le banche inviano lettere generiche o non valide a interrompere la prescrizione. Serve un’analisi legale precisa.

Possono continuare a sollecitarmi anche se il debito è prescritto?
Sì, ma non possono costringerti a pagare. Le società di recupero crediti spesso contattano il debitore anche dopo la prescrizione, sperando che quest’ultimo paghi spontaneamente o riconosca il debito senza sapere di avere il diritto di opporsi. In questi casi, è fondamentale non firmare nulla e non effettuare pagamenti parziali senza prima consultare un legale.

Hai ricevuto un sollecito o una richiesta di pagamento per un vecchio prestito?
Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Potremo analizzare insieme la tua situazione, verificare se il debito è prescritto e – se necessario – predisporre una formale opposizione per tutelarti da pretese illegittime, bloccare il recupero e chiudere definitivamente la questione.

Introduzione

Un prestito non pagato solleva questioni cruciali sui tempi e sulle modalità con cui il creditore può far valere i propri diritti. In ambito giuridico, ci si chiede in particolare quando “decade” un prestito non rimborsato, ossia quando il diritto della banca o del creditore a pretendere il pagamento si estingue per decorso del tempo o per altre cause legali.

Saranno esaminati sia i prestiti personali che quelli aziendali, considerando le diverse forme di garanzie (ipoteca immobiliare, fideiussione, cessione del quinto dello stipendio). Affronteremo il tema sia dal punto di vista civilistico (obbligazioni e diritti delle parti, norme di prescrizione e decadenza), sia da quello procedurale (azioni legali ed esecutive) e fiscale (trattamento delle perdite su crediti e delle remissioni del debito). Verranno citate le principali norme italiane in materia (Codice Civile, leggi speciali, Testo Unico Bancario, Codice della Crisi d’Impresa, ecc.), nonché sentenze aggiornate della Corte di Cassazione e dei tribunali di merito. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici, e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni.

Struttura della guida: Inizieremo chiarendo i concetti di prescrizione e decadenza dei diritti di credito nei prestiti. Proseguiremo distinguendo i casi dei prestiti personali rispetto a quelli aziendali, per poi approfondire le peculiarità dei prestiti garantiti da ipoteca, da fideiussione e da cessione del quinto. Esamineremo i passi della procedura di recupero crediti (dalla messa in mora al pignoramento) e infine discuteremo le implicazioni fiscali di un prestito non recuperato (deducibilità delle perdite, tassazione delle remissioni del debito, ecc.). In coda, un elenco completo di fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali vi permetterà di approfondire ulteriormente.

1. Prescrizione e Decadenza: concetti chiave nei prestiti non pagati

In diritto, prescrizione e decadenza sono due meccanismi distinti che possono determinare la perdita del diritto del creditore di esigere il pagamento di un prestito non onorato. È fondamentale comprenderne la differenza:

  • Prescrizione estintiva: è la perdita del diritto di credito causata dal trascorrere di un certo periodo di tempo stabilito dalla legge, senza che il creditore lo eserciti (art. 2934 Cod. Civ.). In altre parole, dopo un certo tempo dall’inadempimento, il debitore può eccepire la prescrizione e rifiutarsi legittimamente di pagare, ottenendo l’estinzione dell’obbligazione per decorso del termine. La prescrizione opera su iniziativa del debitore: il giudice infatti non la dichiara d’ufficio, ma solo se il debitore la invoca (“eccezione di prescrizione”). Una volta prescritta, l’obbligazione diventa “naturale”: il debitore che volesse comunque adempiere non potrebbe poi chiedere indietro quanto pagato, ma non può più essere costretto coattivamente. Vedremo a breve quali sono i termini di prescrizione applicabili ai prestiti secondo la legge italiana.
  • Decadenza: in generale indica la perdita di un diritto per il mancato esercizio entro un termine perentorio fissato dalla legge o dal contratto. Nel contesto dei prestiti, il termine “decadenza” assume significati specifici:
    • Decadenza dal beneficio del termine: è l’effetto per cui il debitore perde il diritto di pagare ratealmente e l’intero debito residuo diventa immediatamente esigibile. Ciò avviene, ad esempio, quando il mutuatario salta un certo numero di rate e la banca – in base al contratto di mutuo o all’art. 40 TUB – dichiara la decadenza dal beneficio del termine (DBT). In pratica, il piano di ammortamento a rate “decade” e il prestito viene considerato scaduto in unica soluzione. Approfondiremo più avanti le condizioni in cui scatta la DBT e le sue conseguenze.
    • Decadenza del fideiussore ex art. 1957 c.c.: riguarda la garanzia personale (fideiussione). La legge prevede che il fideiussore (garante) è obbligato anche dopo la scadenza del debito principale solo se il creditore, entro 6 mesi dalla scadenza, ha iniziato le sue azioni legali verso il debitore o il garante stesso. In mancanza, il garante si libera per decadenza dal vincolo di fideiussione. Questo meccanismo – distinto dalla prescrizione ordinaria – tutela il fideiussore dall’inerzia del creditore, evitando che rimanga vincolato a lungo senza sapere se dovrà pagare. Analizzeremo in dettaglio questa regola e le sue eccezioni nella sezione sulle fideiussioni.

In sintesi, la prescrizione attiene al diritto del creditore (che “si spegne” col tempo se non esercitato), mentre la decadenza attiene spesso a diritti o facoltà del debitore o del garante (che “cadono” se non si rispettano certe condizioni o termini). Entrambi gli istituti influiscono sul “quando” un prestito non pagato non può più essere preteso dal creditore, ma con presupposti diversi.

Nei prossimi paragrafi ci concentreremo prima sulla prescrizione dei prestiti (ovvero entro quanti anni il creditore può agire per il rimborso), per poi esaminare le situazioni di decadenza contrattuale (come la decadenza dal termine nelle rateazioni) e di decadenza legale (come quella del fideiussore).

2. Termini di prescrizione dei prestiti secondo la legge italiana

In Italia i diritti di credito si prescrivono in via ordinaria in 10 anni, salvo che la legge preveda un termine più breve (art. 2946 Cod. Civ.). Nel caso di un prestito di denaro, essendo un’obbligazione contrattuale, vale in generale il termine decennale di prescrizione. Ciò significa che, trascorsi 10 anni dalla scadenza del credito senza che il creditore abbia intrapreso atti interruttivi, il debitore può sollevare l’eccezione di prescrizione e rifiutare il pagamento. Vediamo però in dettaglio da quando decorre questo termine e come si applica ai prestiti, soprattutto quelli rimborsati a rate:

  • Prestito con restituzione in unica soluzione: se il contratto di mutuo prevede la restituzione del capitale in un’unica scadenza (ad esempio un prestito “bullet” da restituire tutto dopo X anni), i 10 anni decorrono da tale scadenza. Ad esempio, se un imprenditore riceve un prestito da €100.000 da restituire tutto al 31 dicembre 2020 e non paga, il creditore avrà tempo fino al 31 dicembre 2030 per agire; dopo tale data il credito sarà prescritto. Qualsiasi atto interruttivo compiuto prima che scada questo termine (una diffida, un decreto ingiuntivo, ecc.) farà “ripartire” un nuovo termine di 10 anni dal momento dell’atto.
  • Prestito con pagamento rateale (mutuo): nei mutui bancari e nei finanziamenti a rate si potrebbe pensare che ogni rata mensile abbia una sua prescrizione quinquennale (essendo una prestazione periodica). Non è così: la Corte di Cassazione ha chiarito che nel contratto di mutuo le rate rappresentano l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione di restituzione. Quindi il credito derivante da un mutuo ha natura unitaria e non si può considerare definitivamente scaduto prima della scadenza dell’ultima rata prevista dal piano di ammortamento. Ne consegue che il termine di prescrizione è unico (10 anni) e decorre dalla data di scadenza dell’ultima rata dovuta. Ad esempio, per un mutuo decennale con ultima rata fissata al 31 dicembre 2025, il termine di 10 anni decorre da quella data (prescrizione al 31 dicembre 2035), anche se alcune rate intermedie non sono state pagate. Questo principio, confermato da una recente ordinanza della Cassazione del 2023, tutela il creditore bancario da una frammentazione dei termini di prescrizione e, al contempo, significa che il mutuatario non può liberarsi definitivamente di singole rate semplicemente facendo passare 5 anni dalla loro scadenza. Fino a che non passa il termine decennale dall’ultima rata, il debito rimane esigibile nella sua interezza (salvo atti interruttivi che possono prolungare ulteriormente i tempi, come vedremo).
  • Interessi e rate: prescrizione quinquennale o decennale? In via generale, la legge prevede la prescrizione breve quinquennale per gli interessi e in genere per “le prestazioni periodiche dovute a termini più brevi dell’anno” (art. 2948 n.4 Cod. Civ.). Ciò vale, ad esempio, per interessi su un capitale, canoni di locazione, stipendi, ecc., che si prescrivono in 5 anni dalle singole scadenze. Tuttavia, nel mutuo rateale gli interessi corrispettivi sono incorporati nelle rate e seguono la stessa sorte del capitale: essendo parte del medesimo rapporto obbligatorio unitario, non opera la prescrizione quinquennale separata per gli interessi inclusi nelle rate. La Cassazione ha affermato che la rata del mutuo non va vista come “interesse periodico autonomo”, ma come quota di un debito unico, per cui gli interessi compresi nelle rate scadute non si prescrivono in 5 anni in via autonoma, ma cadono solo quando cade il debito principale. Discorso analogo vale per gli interessi moratori (gli interessi di mora dovuti per il ritardo): se il contratto di mutuo li prevede in caso di inadempimento, anch’essi seguono la prescrizione decennale unica del mutuo. Viceversa, se vi fossero interessi non inclusi nelle rate, ad esempio interessi di un’apertura di credito o di un debito di conto corrente, essi restano soggetti alla prescrizione quinquennale dalle singole maturazioni (trattandosi in tal caso di obbligazioni periodiche autonome, come confermato dall’art. 2948 c.c.).
  • Prestiti non formalizzati per iscritto: anche un prestito tra privati, non stipulato con atto pubblico o scrittura autenticata, rientra nella categoria del mutuo semplice (art. 1813 c.c.). La mancanza di forma non incide sul termine di prescrizione, che rimane di 10 anni dal momento in cui la restituzione era pattuita (o, se non fu stabilita una data precisa, da quando il creditore ha chiesto la restituzione). La difficoltà semmai è probatoria: trascorsi 10 anni, non solo scatta la prescrizione, ma può sorgere anche una presunzione di rimessione del debito in certi casi (le cosiddette “prescrizioni presuntive” di breve durata, applicabili ad esempio a debiti tra privati senza prova, sono però tipiche di rapporti diversi, come debiti professionali, e non riguardano i mutui di somme). Dunque, un prestito infruttifero tra amici o parenti si prescrive anch’esso in 10 anni; se era fruttifero, gli interessi convenuti si prescrivono in 5 anni salvo diversa pattuizione, ma attenzione: spesso tali prestiti non sono formalizzati e le parti non indicano un termine di restituzione – in tal caso il credito è “a vista” e la prescrizione inizia dal momento in cui il creditore richiede il rimborso.
  • Creditore bancario vs creditore privato: il termine decennale vale per qualsiasi creditore. Non vi sono differenze se il prestito è erogato da una banca/finanziaria oppure da un privato (società o individuo). Ciò che può cambiare è la documentazione del credito (un contratto bancario di mutuo di solito è per atto pubblico o scrittura privata autenticata, il che costituisce titolo esecutivo immediatamente azionabile; un prestito privato spesso no, e richiederà un decreto ingiuntivo per essere esecutivo). Ma ai fini prescrizionali, la natura del creditore non rileva: contano la fonte contrattuale dell’obbligo e l’eventuale previsione di pagamento rateale, come visto sopra.

Ricapitolando: per un prestito non pagato la prescrizione ordinaria è di 10 anni, decorre di regola dalla scadenza dell’ultima rata o, se il prestito è a scadenza unica, da tale scadenza. Non c’è una prescrizione separata per ciascuna rata del mutuo – l’obbligazione è unica. Gli interessi contenuti nelle rate seguono la stessa sorte. Il decorso del tempo, tuttavia, può essere interrotto da atti del creditore o riconoscimenti del debitore, come spiegheremo nel prossimo paragrafo.

2.1 Decorrenza del termine e atti interruttivi della prescrizione

Abbiamo visto da quando parte il “conto alla rovescia” di 10 anni per un prestito non pagato. Ora è importante capire cosa può fermare (e far ripartire) questo termine. La legge prevede infatti che la prescrizione si interrompe quando il creditore compie atti che manifestano la volontà di far valere il proprio diritto, oppure quando il debitore riconosce il debito (art. 2943 e 2944 Cod. Civ.). Un’interruzione azzera il tempo trascorso e fa decorrere un nuovo periodo di prescrizione di pari durata (nel nostro caso altri 10 anni) dal momento dell’atto interruttivo. Ecco gli atti interruttivi più rilevanti in materia di prestiti:

  • Costituzione in mora (diffida formale): una lettera raccomandata o PEC con cui il creditore intima il pagamento al debitore (atto di messa in mora, ex art. 1219 c.c.) interrompe la prescrizione. È l’atto tipicamente inviato dalla banca o dall’ente finanziario appena il debitore ritarda il pagamento di una o più rate. Ad esempio, se un debitore non paga la rata di marzo 2023 e la banca invia una diffida a giugno 2023, la prescrizione (che, ricordiamo, inizia a decorrere dall’ultima rata contrattuale in caso di mutuo, poniamo fosse dicembre 2025) viene comunque interrotta nel giugno 2023 e ripartirà da capo. Ogni sollecito scritto chiaro e comprovabile ha effetto interruttivo; è buona prassi per il creditore inviarlo con mezzi che ne attestino la ricezione (raccomandata A/R o Posta Elettronica Certificata).
  • Ricorso per decreto ingiuntivo o citazione in giudizio: l’avvio di un’azione legale esecutiva interrompe la prescrizione. Se il creditore deposita un ricorso per decreto ingiuntivo (lo strumento veloce per ottenere un titolo esecutivo di pagamento) entro il termine, la prescrizione si interrompe dalla data di deposito del ricorso (anche se il decreto viene emesso e notificato dopo). Lo stesso vale per un atto di citazione con cui il creditore promuova un ordinario giudizio di condanna. Una volta emesso un provvedimento definitivo (es. decreto ingiuntivo non opposto, sentenza passata in giudicato), la legge prevede un regime particolare: il diritto consacrato in una sentenza passa in ogni caso ad una prescrizione decennale (art. 2953 c.c.), anche se prima era più breve. Nel nostro caso, siccome il credito da mutuo ha già prescrizione decennale, l’effetto pratico è che dall’ottenimento del titolo esecutivo (decreto/giudizio definitivo) decorre un nuovo termine di 10 anni per procedere a esecuzione forzata. Il creditore potrà inoltre rinnovare l’efficacia del titolo con atti esecutivi (es. un atto di precetto) per evitare che trascorrano 10 anni di inattività dopo la pronuncia.
  • Atto di precetto e pignoramento: anche gli atti dell’esecuzione forzata interrompono la prescrizione. Ad esempio, se la banca ottiene un decreto ingiuntivo definitivo nel 2024 e notifica un atto di precetto (intimazione a pagare entro 10 giorni) nel 2025, da quella notifica decorre un nuovo termine di 10 anni per iniziare o proseguire l’esecuzione. Lo stesso vale per il pignoramento: notificare un pignoramento immobiliare o presso terzi interrompe il termine (anche nei confronti di altri coobbligati). In pratica, durante un procedimento esecutivo attivo, la prescrizione non matura perché vi sono continui atti interruttivi impliciti; ma se l’esecuzione rimane ferma troppo a lungo, occorre fare attenzione perché dal ultimo atto compiuto il termine riprende a correre. Ad esempio, se un pignoramento resta pendente ma senza attività per oltre 10 anni, il debitore potrebbe eccepire la prescrizione sopravvenuta del credito durante quel tempo (ipotesi rara, perché di solito l’esecuzione termina prima, con la vendita o estinzione della procedura).
  • Riconoscimento del debito da parte del debitore: questo è l’atto interruttivo proveniente dal debitore. Se il debitore invia una lettera in cui chiede una dilazione, un saldo e stralcio, o anche semplicemente ammette di dover pagare (magari via email), si ha un riconoscimento del debito ai sensi dell’art. 2944 c.c. Esso produce l’interruzione della prescrizione e un nuovo termine decennale dal momento del riconoscimento. Ad esempio, un imprenditore in difficoltà che nel 2022 scrive alla banca “riconosco di dovervi 50.000 €, vi prego di attendere ancora” interrompe la prescrizione (anche senza aver pagato nulla). Attenzione: perfino un pagamento parziale volontario può valere come tacito riconoscimento del debito residuo, interrompendo la prescrizione.

In pratica, per evitare la prescrizione, il creditore deve attivarsi entro i termini di legge e documentare un atto interruttivo tempestivo. Viceversa, un debitore che vuole far valere la prescrizione dovrà verificare che nessun atto interruttivo sia intervenuto negli ultimi 10 anni (o nel termine breve applicabile). Ad esempio, se una società finanziaria non si fa viva per oltre 10 anni dall’ultima rata scaduta, il debitore potrà opporsi al pagamento eccependo prescrizione; ma se anche una sola raccomandata di messa in mora è arrivata nel frattempo, quei 10 anni ripartono da capo dal ricevimento di essa.

Effetti della prescrizione compiuta: quando il termine si è interamente consumato senza atti interruttivi validi, il diritto del creditore è estinto. Il debitore non ha più un obbligo civilistico di adempiere e, se convenuto in giudizio, può far valere la prescrizione come causa di rigetto della domanda. Un prestito prescritto diventa una sorta di “debito naturale”: se il debitore paga comunque, non può chiedere la restituzione di quanto versato, ma se non paga non può subire esecuzione forzata. Inoltre, la prescrizione del credito comporta l’estinzione delle garanzie accessorie: ad esempio, una ipoteca iscritta a garanzia del mutuo non può sopravvivere al credito sottostante; analogamente la fideiussione si estingue perché il fideiussore può opporre la prescrizione del debito principale. Tecnicamente l’ipoteca potrebbe rimanere formalmene iscritta nei registri immobiliari fino a cancellazione o scadenza ventennale, ma non sarebbe più azionabile in quanto il credito è prescritto (un eventuale pignoramento immobiliare verrebbe bloccato dall’opposizione del debitore). Da ciò si evince l’importanza, per il creditore, di non far prescrivere il credito se vuole conservare il vincolo ipotecario e gli altri diritti.

Riassumendo i principali termini di prescrizione:

Tipo di creditoPrescrizioneDecorrenzaRiferimenti
Prestito (mutuo) in generale10 anni (ordinaria)Dalla scadenza dell’unica o ultima rataArt. 2946 c.c.; Cass. 4232/2023
Rate del mutuo (capitale e interessi)Unico termine 10 anniDall’ultima rata del piano di ammortamentoCass. 4232/2023 (obbligazione unitaria)
Interessi inclusi nelle rate10 anni (come il capitale)Dalla scadenza ultima rata (come sopra)Art. 2948 n.4 c.c. non applicabile
Interessi autonomi (fuori rate)5 anni (prescriz. breve)Da ciascuna scadenza periodicaArt. 2948 n.4 c.c. (interessi periodici)
Fideiussione (azione vs garante)6 mesi (decadenza)Dalla scadenza dell’obbligazione principale garantitaArt. 1957 c.c. (se nessuna azione entro 6 mesi, garante libero)
Ipoteca (durata vincolo)20 anni (efficacia iscrizione)Dalla data d’iscrizione ipotecariaArt. 2847 c.c. (rinnovabile per altri 20 anni)
Titolo esecutivo giudiziale10 anni (dalla definitività)Dalla data passaggio in giudicato (sentenza) o dalla scadenza termine di opposizione (decreto ing.)Art. 2953 c.c. (trasformazione in giudicato)
Credito da cambiale non pagata3 anni (azione cambiaria)Dalla scadenza della cambialeR.D. 1669/1933, art. 51 (azione diretta cambiaria) – NB: resta azionabile il credito sottostante ex art. 2953 c.c. se titolo es. giudiziale

Nota: La tabella riassume i principali termini. In caso di interruzione, i termini indicati ricominciano da zero dal giorno dell’atto interruttivo (art. 2945 c.c.). Inoltre, situazioni particolari (es. rapporti di conto corrente, scoperti bancari, ecc.) potrebbero avere decorrenze differenti – qui si è focalizzato il classico prestito/muto. La prescrizione presuntiva (breve, 6 mesi-3 anni) non trova applicazione per i mutui bancari, ma ad esempio si applica ai compensi di avvocati, notai, ecc., o a debiti per somministrazioni di beni e servizi: casi diversi dal finanziamento di denaro.

2.2 Differenza tra prescrizione e scadenza contrattuale

È opportuno distinguere la prescrizione estintiva dalla semplice scadenza contrattuale del prestito. La scadenza è il momento in cui il debito diventa esigibile secondo il contratto (ad esempio, il giorno di ciascuna rata, o la data di fine prestito). Se il debitore non paga entro quella data, è in mora e il creditore può agire. La prescrizione invece è un termine ulteriore, ben più ampio (anni), entro cui il creditore deve far valere legalmente quel diritto, pena la sua estinzione. Ad esempio, un prestito con rate mensili ha continue scadenze contrattuali; ma il fatto che una rata sia “scaduta” e non pagata non significa che il giorno dopo sia prescritta – dà solo luogo all’inadempimento. La prescrizione inizierà a decorrere e maturerà solo se per 10 anni il creditore resta inerte. Quindi, non bisogna confondere le lettere di “scadenza” con la prescrizione: quest’ultima è una sorta di limite massimo entro cui il creditore deve attivarsi in giudizio, molto posteriore rispetto alle scadenze pattuite. Perciò, frasi colloquiali come “quando decade un prestito non pagato” spesso alludono proprio al momento della prescrizione legale, e non alla più ravvicinata scadenza contrattuale o al termine di pagamento.

3. Conseguenze dell’inadempimento: dal sollecito alla decadenza dal termine

Quando un debitore non paga un prestito alle scadenze convenute, il creditore mette in moto una serie di azioni progressive. In questa sezione vediamo le fasi tipiche che intercorrono tra il primo mancato pagamento e l’eventuale escussione forzata, evidenziando in particolare il momento in cui può scattare la decadenza dal beneficio del termine nel caso di prestiti rateali. Tali passaggi possono variare a seconda dei contratti e della prassi dell’istituto finanziatore, ma in linea generale:

  1. Solleciti informali e di cortesia: appena decorso inutilmente il termine di pagamento di una rata (es. il 1° del mese), di norma la banca invia promemoria (reminder) via SMS, email o telefono. Questi hanno lo scopo di avvisare del ritardo e sollecitare il pagamento, spesso senza formalità legali immediate. Non interrompono formalmente la prescrizione (se non sono costituiti come diffide scritte), ma anticipano la fase successiva.
  2. Lettera di messa in mora (diffida formale): dopo alcuni giorni o settimane dal mancato pagamento, in assenza di riscontro, l’istituto invia una comunicazione formale (raccomandata A/R o PEC) intimando il pagamento entro un breve termine (tipicamente 10-15 giorni) e dichiarando il debitore in mora. Questa costituzione in mora (ex art. 1219 c.c.) ha diversi effetti: interrompe la prescrizione, segna ufficialmente l’inadempimento e preannuncia che, persistendo l’insolvenza, il contratto potrà essere risolto o il debito residuo richiesto in blocco. Inoltre, spesso la lettera avverte che il nominativo del debitore verrà segnalato nelle banche dati creditizie (come la Centrale Rischi di Bankitalia o CRIF) qualora il ritardo superi i termini previsti. Tale segnalazione normalmente avviene dopo un certo periodo di mancato pagamento (di solito almeno 1-2 rate scadute), per conformità alle regole di trasparenza.
  3. Segnalazione a sistemi di informazione creditizia: dopo almeno 1 o 2 rate impagate e regolare preavviso al debitore, la banca classificherà il credito come deteriorato e segnalerà l’inadempimento nelle apposite banche dati. Ad esempio, su Centrale Rischi (se l’esposizione supera €30.000, nel caso di aziende o privati con fidi) o su CRIF e altri SIC privati (per importi minori e mutuatari privati). La segnalazione di “sofferenza” o “credito deteriorato” comporta per l’imprenditore serie difficoltà di accesso ad altri finanziamenti, ed è spesso un forte incentivo a trovare un accordo prima di peggiorare la propria posizione. La segnalazione non ha un effetto giuridico sulla decadenza o prescrizione, ma è una conseguenza pratica rilevante.
  4. Decadenza dal beneficio del termine (DBT): se l’inadempimento persiste, la banca può esercitare la clausola contrattuale di decadenza dal beneficio del termine. Questo avviene tipicamente dopo diverse rate consecutive non pagate. La prassi standard – anche riflettendo l’art. 40 comma 2 del Testo Unico Bancario per i mutui fondiari – è attendere almeno 7 rate mensili impagate (anche non consecutive) prima di dichiarare la risoluzione del mutuo e la conseguente esigibilità immediata dell’intero debito. In molti contratti, tuttavia, è prevista la DBT anche prima: ad esempio, la clausola può scattare già dopo 3 rate mensili consecutive non pagate entro 60-90 giorni. Alcune condizioni contrattuali considerano inadempiente il mutuatario anche quando l’ammontare degli arretrati supera una certa soglia, ad esempio il 5% del capitale finanziato【33†L1-L4**】. In ogni caso, la banca invia una comunicazione formale di decadenza dal termine, spesso tramite raccomandata, dichiarando che: a) il beneficio della dilazione è revocato; b) il contratto di mutuo si intende risolto o comunque il debito è ora immediatamente esigibile in toto; c) viene richiesto il pagamento integrale del saldo residuo (capitale ancora dovuto, interessi maturati e moratori, spese) entro un termine breve. Questa lettera costituisce anch’essa atto interruttivo della prescrizione. Da notare che la DBT anticipa la scadenza dell’ultima rata: se ad esempio un mutuo doveva durare fino al 2030 ma la banca dichiara DBT nel 2025, il termine di prescrizione decennale decorre (per la parte non ancora scaduta) dalla data di DBT, poiché la banca ha reso esigibile da subito tutto il credito. La Cassazione ha riconosciuto che il creditore può scegliere di attendere la scadenza naturale oppure attivare prima i rimedi contrattuali; se li attiva (risoluzione/DBT), il momento di decorrenza della prescrizione per le somme non ancora scadute diviene quello della dichiarazione di scadenza anticipata (equiparabile all’ultima rata “anticipata” al momento della risoluzione). In altre parole, la DBT cristallizza il debito residuo e ne fa iniziare la prescrizione da quel momento per ciò che riguarda le rate future non ancora maturate.
  5. Fase pre-legale e accordi stragiudiziali: spesso, contestualmente o subito dopo la DBT, le parti tentano accordi. Il debitore potrebbe cercare di rinegoziare il prestito (es. un nuovo piano di rientro), oppure proporre un saldo e stralcio (pagamento parziale a chiusura del debito). La banca, prima di procedere giudizialmente, potrebbe concedere tempi aggiuntivi, specialmente se il debitore offre garanzie o coobbligati, o se l’alternativa è un lungo pignoramento. In questa fase, se si raggiunge un accordo, spesso si firma un atto transattivo o un piano di rientro che comporta il riconoscimento del debito da parte del debitore e quindi interrompe comunque la prescrizione. Se invece le trattative falliscono, si passa alla fase giudiziale.
  6. Azione legale per il recupero: trascorso inutilmente anche l’ultimatum della lettera di DBT (o comunque oltre un certo periodo di mora, di solito qualche mese), il creditore avvia formalmente la procedura di recupero crediti in sede giudiziaria. Nella maggior parte dei casi, trattandosi di credito pecuniario certo, liquido ed esigibile, la via tipica è richiedere un Decreto Ingiuntivo immediatamente esecutivo. Le banche spesso possono emetterlo in via provvisoria (ex art. 642 c.p.c.) grazie all’estratto notarile delle proprie scritture contabili o al fatto che il contratto di mutuo è fatto per atto pubblico (titolo esecutivo di per sé). Una volta ottenuto e notificato il decreto ingiuntivo al debitore (ed eventualmente al fideiussore), se questo non viene opposto entro 40 giorni, diviene definitivo e costituisce titolo esecutivo per procedere al pignoramento. Se invece il decreto viene opposto, si apre un giudizio di merito in tribunale che può durare vari mesi o anni prima di arrivare a sentenza. In alternativa al decreto, in alcuni casi il creditore può notificare direttamente un atto di precetto se già dispone di un titolo esecutivo: ad esempio, un contratto di mutuo rogitato da un notaio con formula esecutiva è esso stesso un titolo esecutivo. Molti mutui ipotecari bancari sono stipulati come atto pubblico notarile, il che consente alla banca, dopo la DBT, di evitare la fase monitoria e procedere subito con precetto e pignoramento, accelerando i tempi.
  7. Esecuzione forzata (pignoramento): ottenuto un titolo esecutivo (sia esso un decreto non opposto, una sentenza, o un atto notarile esecutivo), la banca può iniziare l’esecuzione forzata sui beni del debitore. Previa notifica del precetto (intimazione di pagamento entro 10 giorni, ultimo avviso), scaduto il quale senza pagamento, si procede al pignoramento. Le forme più frequenti sono:
    • Pignoramento immobiliare: se il prestito era garantito da ipoteca su un immobile, sarà questo il bersaglio principale. La banca deposita atto di pignoramento presso il tribunale competente e si avvia la procedura di esecuzione immobiliare: nomina di un custode, perizia di stima, e infine vendita all’asta della proprietà. Approfondiremo nel capitolo dedicato i dettagli e i tempi di questa procedura.
    • Pignoramento mobiliare o presso terzi: se non vi sono immobili ipotecati o se sono insufficienti, il creditore può pignorare altri beni del debitore. Ad esempio autoveicoli, macchinari (pignoramento mobiliare), oppure crediti verso terzi come conti correnti, stipendi, affitti (pignoramento presso terzi). Per un imprenditore, questo potrebbe significare il blocco dei conti aziendali o il pignoramento di fatture presso clienti.
    • Intervento su fideiussori: in presenza di una fideiussione, la banca in genere procede parallelamente anche contro il garante. Potrà agire sul patrimonio personale di quest’ultimo (casa, stipendio, conto) con gli stessi strumenti. Approfondiremo più avanti le peculiarità del far valere la fideiussione.

È importante notare che la legge tutela il debitore con alcune condizioni: per procedere a pignoramento, il credito deve essere certo, liquido ed esigibile e risultare da titolo esecutivo valido. Inoltre, la normativa (in particolare per i mutui fondiari regolati dall’art. 40 TUB) prevede che, di regola, la banca possa avviare l’esecuzione immobiliare solo dopo un certo numero di rate non pagate (7 mensilità, come detto). In pratica le banche rispettano questo limite, salvo accordi diversi, perché altrimenti rischierebbero eccezioni di improcedibilità. Ad esempio, in una recente vicenda, la Cassazione ha stabilito che la disciplina del TUB (7 rate) non si applica ai mutui concessi da enti come l’INPS, che agiscono fuori dall’ambito bancario, consentendo in quel caso la risoluzione dopo soli 2 mancati pagamenti perché così prevedeva il contratto. Ciò per dire che molto dipende anche dalla natura del finanziatore e del prestito (mutuo fondiario vs mutuo ordinario).

Di seguito una tabella riassuntiva delle fasi tipiche dal mancato pagamento al pignoramento (riferita in particolare a un mutuo ipotecario):

FaseDescrizioneTempistica indicativa
1. Sollecito informalePromemoria via telefono/SMS del ritardoPochi giorni dopo scadenza rata
2. Messa in mora formaleLettera di diffida al pagamento (raccomandata/PEC); avviso di segnalazione15-30 giorni dopo la scadenza
3. Segnalazione creditiziaNotifica a Centrale Rischi/CRIF di “sofferenza”Dopo 1-2 rate non pagate (previo preavviso)
4. Decadenza dal beneficio del termine (DBT)Comunicazione di risoluzione del mutuo e richiesta immediata dell’intero debito residuoDopo 3-7 rate consecutive non pagate (60-180 giorni dall’inizio del ritardo)
5. Tentativi stragiudizialiProposte di rientro, dilazioni, saldo e stralcio, eventualmente riconoscimento di debitoDa subito fino a pre-azione legale (in parallelo alle altre fasi)
6. Azione monitoria (ingiunzione)Ricorso per decreto ingiuntivo e notifica al debitore (eventuale opposizione) / oppure atto di precetto se titolo notarile già esecutivo6-12 mesi dal primo mancato pagamento (in media); tempi più brevi se titolo esecutivo già disponibile
7. Esecuzione forzata (pignoramento)Pignoramento dell’immobile ipotecato e/o di altri beni (conto, stipendio, ecc.) e avvio procedura d’asta o assegnazione crediti6-18 mesi dal primo mancato pagamento per avvio; completamento pignoramento e asta: ulteriore 6-24 mesi a seconda del Tribunale

Legenda: Le tempistiche sono variabili. In alcuni casi la banca può attendere più a lungo prima di attivare DBT e azioni legali (es. se spera in una soluzione bonaria), oppure può muoversi più rapidamente (specie su posizioni aziendali rilevanti o se ritiene il debitore insolvente). La colonna temporale sopra è indicativa di tempi minimi/medi riscontrati (in condizioni ottimali: tribunali efficienti, nessuna opposizione lunga, ecc.). Ad esempio, un pignoramento immobiliare può concludersi in meno di un anno nelle sedi più celeri, ma in altre richiedere anche 2-3 anni.

Questa scaletta fa capire quando “decade” il beneficio del termine per il debitore e come si arriva al punto di non ritorno dell’esecuzione forzata. Nella prossima sezione distingueremo i casi dei prestiti personali rispetto ai prestiti aziendali, poiché il contesto (consumatore vs impresa) e le procedure (sovraindebitamento, fallimento, ecc.) possono influenzare le conseguenze di un prestito insoluto.

4. Prestiti personali vs prestiti aziendali: differenze in caso di mancato pagamento

Dal punto di vista giuridico, il meccanismo della prescrizione e le azioni di recupero non cambiano a seconda che il debitore sia una persona fisica o una società. Tuttavia, cambiano il contesto e le possibili procedure concorsuali coinvolte. Inoltre, la legge predispone tutele specifiche per i consumatori (prestiti personali) e discipline particolari per gli imprenditori (prestiti aziendali). Esaminiamo le principali differenze:

4.1 Prestito personale (consumatore o privato) non pagato

Un privato cittadino che non paga un prestito (ad esempio un prestito personale non finalizzato, un mutuo casa, o un finanziamento auto) va incontro alle fasi già descritte: solleciti, segnalazioni, azioni legali e pignoramenti. Non essendo un imprenditore, non è soggetto alle procedure fallimentari tradizionali; tuttavia, dal 2012 esiste in Italia una normativa sul sovraindebitamento (oggi assorbita nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 14/2019) che consente anche a debitori civili non fallibili di liberarsi dai debiti attraverso specifiche procedure giudiziarie.

Ecco alcuni punti da evidenziare per i prestiti a privati:

  • Codice del Consumo: se il prestito è di natura consumer (ad es. credito al consumo inferiore a 75.000 €), si applicano le tutele del D.Lgs. 206/2005 (trasparenza contrattuale, divieto di pratiche scorrette, ecc.). Queste norme non incidono direttamente sulla prescrizione, ma prevedono obblighi informativi: ad esempio, il consumatore dev’essere informato del ritardo e delle conseguenze, e certe clausole e spese possono essere nulle se vessatorie. In caso di contenzioso, il giudice può valutare la usurarietà dei tassi (Legge 108/1996) e, se riscontra interessi o costi usurari, dichiarare nulli gli interessi (con obbligo per il debitore di restituire solo il capitale senza interessi). Ad esempio, Cassazione si è espressa anche nel 2024 su casi di cessione del quinto con tassi oltre soglia, ribadendo la nullità della clausola di interessi usurari. Dunque il privato debitore ha qualche strumento di difesa in più (es. eccepire l’usura o l’abusività di costi aggiuntivi). Queste eccezioni, se accolte, non “cancellano” il prestito ma possono ridurne l’ammontare dovuto.
  • Segnalazioni creditizie e reputazione finanziaria: per i privati consumatori, il mancato pagamento di un prestito viene segnalato nei SIC (sistemi di informazioni creditizie) come CRIF, Experian, Cerved, etc., e resta visibile tipicamente per 36 mesi dalla data di regolarizzazione o chiusura del contratto (il Garante Privacy stabilisce tempi massimi di conservazione). Se il debito non viene mai saldato e il creditore non aggiorna la posizione, la segnalazione negativa può restare fino a 5 anni dalla prima segnalazione. Questo impatta la possibilità di ottenere nuovi crediti. Per un imprenditore, separatamente dal rating aziendale, anche lo storico creditizio personale può influire (es. se ha prestiti personali o mutuo casa insoluti, ciò appare nelle verifiche).
  • Esecuzione forzata verso il debitore persona fisica: il privato che non paga rischia il pignoramento dei beni personali. Ciò può significare:
    • Pignoramento della casa di proprietà: se c’è un mutuo ipotecario sulla casa e non si paga, la casa può finire all’asta (vedi sezione ipoteche). Anche senza ipoteca, un creditore con titolo esecutivo può iscrivere ipoteca giudiziale sull’immobile del debitore e poi pignorarla. Solo l’abitazione principale ha qualche tutela in più se il creditore è l’Agente della Riscossione (pignorabilità limitata se debito fiscale sotto €120.000 e altre condizioni), ma per creditori privati (banche) queste tutele non valgono, salvo casi di evidente sproporzione (pignorare l’unica casa per un debito minimo potrebbe trovare giudici riluttanti, ma in linea di principio è possibile).
    • Pignoramento dello stipendio o pensione: un creditore può pignorare alla fonte parte dello stipendio (o della pensione) del debitore, con atto presso il datore di lavoro o INPS. La quota pignorabile per crediti ordinari è solitamente massimo 1/5 dello stipendio/pensione netto mensile, salvo cumulo con altri pignoramenti. Questo strumento viene spesso usato per recuperare prestiti personali non pagati, soprattutto se il debitore non ha immobili ma ha un reddito da lavoro.
    • Pignoramento di conti correnti e beni mobili: il creditore può congelare conti bancari del debitore tramite pignoramento presso terzi (la banca dovrà girare le somme disponibili fino a concorrenza del debito). Può inoltre far pignorare eventuali beni di valore (auto, moto, barche, oggetti preziosi) se noti e facilmente aggredibili.
    Va sottolineato che l’esecuzione sul patrimonio personale può mettere in seria difficoltà il debitore privato, spesso portandolo a cercare soluzioni di composizione dei debiti.
  • Procedura di sovraindebitamento (esdebitazione del debitore civile): un consumatore sommerso dai debiti, incluso un prestito non pagato, può oggi accedere alle procedure previste dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza (d.lgs. 14/2019, attuativo della legge n.3/2012). Tali procedure consentono di ottenere un’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui, attraverso:
    • un Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (accordo omologato dal giudice, con pagamento parziale e stralcio del resto);
    • un Concordato minore (simile al concordato preventivo ma per soggetti non fallibili o piccoli imprenditori);
    • una Liquidazione controllata del patrimonio (liquidazione giudiziale dei beni del debitore non fallibile, con successiva esdebitazione);
    • l’Esdebitazione del debitore incapiente (novità del CCII: in casi estremi, un debitore persona fisica senza patrimonio né reddito può ottenere la cancellazione dei debiti residui una tantum, senza soddisfare i creditori, purché meritevole e non abbia accesso ad altre procedure).
    Se un privato con un mutuo o prestito insoluto accede ad esempio a un piano del consumatore e questo viene omologato dal Tribunale, il creditore (banca) sarà vincolato alle condizioni del piano (ad es. ricevere solo il 50% del dovuto e rinunciare al resto). Alla fine della procedura, il debitore viene esdebitato, ossia i debiti non pagati vengono cancellati. Questa è una forma diversa di “decadenza” del prestito non pagato, non per decorso del tempo, ma per provvedimento giudiziale. È quindi un’altra risposta alla domanda “quando un prestito non pagato non è più dovuto?”: oltre alla prescrizione decennale, c’è la possibilità che un giudice azzeri il debito residuo se il debitore ha seguito una procedura concorsuale di sovraindebitamento con esito positivo. Ovviamente l’accesso a tali procedure richiede vari requisiti di meritevolezza e buona fede del debitore, e comporta spesso la cessione di tutti i beni disponibili ai creditori. Ma è un’opzione da considerare per il debitore civile onesto che non può far fronte ai prestiti (ad esempio, piccoli imprenditori cessati, consumatori con più finanziamenti accumulati, ecc.).

4.2 Prestito aziendale (impresa) non pagato

Nel caso di prestiti contratti da una società o da un imprenditore, valgono tutte le regole generali viste (prescrizione 10 anni, atti interruttivi, ecc.), ma entrano in gioco le norme speciali sull’insolvenza delle imprese. Le banche concedono spesso prestiti a società assistiti da garanzie personali dei soci (fideiussioni) o da ipoteche su immobili aziendali o dei garanti. Quando l’impresa non paga:

  • Escussione diretta vs procedura concorsuale: se l’impresa è ancora operativa ma solo in ritardo, la banca seguirà la via ordinaria (diffide, DBT, decreto ingiuntivo, pignoramenti su beni aziendali – es. macchinari, merci, crediti verso clienti). Tuttavia, se il debito è rilevante e l’azienda manifesta uno stato di insolvenza grave, è possibile che intervenga una procedura concorsuale: fallimento (oggi detto liquidazione giudiziale), concordato preventivo, ristrutturazione del debito omologata, ecc. In tal caso, i singoli creditori non possono più agire individualmente (scatta il blocco delle azioni esecutive) ma devono far valere i propri crediti nella procedura collettiva. Dunque, una banca di fronte al mancato pagamento di un prestito aziendale valuterà se presentare essa stessa istanza di fallimento o se l’azienda chiederà una soluzione concorsuale.
  • Prescrizione durante le procedure concorsuali: l’apertura di una procedura di liquidazione concorsuale (fallimento) ha l’effetto di sospendere o interrompere taluni termini. In generale, i crediti verso il fallito non si prescrivono durante la procedura, poiché i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo entro i termini stabiliti dal giudice fallimentare (termine di insinuazione). Il mancato rispetto dei termini processuali può comportare decadenze (ad es. l’esclusione dal riparto se ci si insinua tardivamente oltre certi limiti), ma non è una prescrizione in senso civilistico, bensì una preclusione procedurale. Se però il creditore non si insinua affatto nel fallimento, rischia di non poter più far valere il credito, poiché a fine procedura la società debitrice viene di norma cancellata dal registro imprese, cessando di esistere giuridicamente. In tal senso, potremmo dire che “decade” il prestito non pagato di una società fallita al termine della procedura concorsuale, perché non esiste più un soggetto da perseguire e i creditori possono eventualmente rivalersi solo su garanti o soci responsabili. La prescrizione civile comunque durante il fallimento è sospesa: la Cassazione ha affermato che i termini di prescrizione restano sospesi per i crediti soggetti alla procedura fino alla chiusura della stessa, momento dal quale riprendono a decorrere se la società (o il debitore persona fisica fallito) permane in vita o torna in bonis. Nel caso di società, la chiusura del fallimento di solito coincide con la fine della società; nel caso di persona fisica imprenditore, dopo la chiusura può darsi la esdebitazione (art. 278 CCII, ex art. 142 l.fall.), che cancella i debiti residui non soddisfatti e impedisce ai creditori di agire oltre.
  • Fallimento (liquidazione giudiziale) e prestiti bancari: al verificarsi del fallimento, i prestiti bancari non pagati diventano crediti chirografari (se non garantiti) o privilegiati (se con garanzia reale come ipoteca). La banca presenterà la sua domanda di ammissione per capitale, interessi e spese. Se vi è ipoteca su bene aziendale, la banca è creditore ipotecario e avrà prelazione sul ricavato di quel bene. Se c’è fideiussione dei soci, la banca può comunque escutere il fideiussore al di fuori del fallimento (il fideiussore non è protetto dalla procedura della società). In genere, il garante sarà chiamato a pagare e, se lo fa, subentra (surroga) nel credito ammesso al passivo verso la società.
  • Accordi di ristrutturazione o concordati preventivi: l’impresa potrebbe evitare la liquidazione con un concordato preventivo o un accordo ex art. 57 CCII (ex art. 182-bis l.fall.) con le banche. Se il prestito viene ristrutturato tramite un piano omologato, ad esempio pagando solo il 60% e stralciando il resto, la parte stralciata è giuridicamente cancellata all’omologa – i creditori non potranno più pretenderla e quindi quel pezzo di debito “decade” in virtù dell’accordo. Fiscalmente ciò produce sopravvenienze attive (come vedremo nella sezione fiscale) ma giuridicamente libera l’impresa da quella porzione di debito. In un concordato omologato, i creditori devono accontentarsi di quanto stabilito (ad esempio, “30% ai chirografari” – il residuo 70% non pagato non sarà più esigibile). Un imprenditore, quindi, può “far decadere” la pretesa sul prestito non pagato attraverso una procedura concorsuale approvata, prima ancora di attendere 10 anni di prescrizione.
  • Responsabilità personali: se il debitore è una società di capitali (es. S.r.l. o S.p.A.), i soci non rispondono col loro patrimonio dei debiti sociali, salvo abbiano prestato garanzie personali. Se però l’azienda chiude lasciando il prestito impagato, la banca tenterà escussioni su tutto il patrimonio sociale residuo e su eventuali fideiussori. Inoltre, in alcune ipotesi di illecito (es. distrazione di beni, finanziamenti infragruppo anomali), potrebbero sorgere azioni di responsabilità contro amministratori o soci. Ma in termini generali, la società insolvente vede il suo debito verso la banca estinguersi con la chiusura della procedura concorsuale o la cancellazione dal registro imprese: a quel punto, come detto, non c’è più il soggetto giuridico debitore, e il credito diventa irrecuperabile (salvo garanti).

Conclusione sulle differenze: il prestito personale non pagato rimane in carico al debitore vita natural durante, salvo prescrizione o esdebitazione da sovraindebitamento. Il prestito aziendale non pagato può essere tagliato corto da un fallimento o concordato: in questi casi il “quando decade” dipende dalla fine della procedura o dall’omologa dell’accordo, più che dal passare dei 10 anni. In assenza di procedure, però, la banca potrà aggredire l’impresa o i soci garanti similmente a come farebbe con un privato, con pignoramenti e vendite forzate.

Nei capitoli successivi affronteremo con maggior dettaglio alcune tipologie specifiche di prestiti e garanzie: mutui ipotecari, prestiti garantiti da fideiussione e prestiti contro cessione del quinto, evidenziando per ciascuno le peculiarità riguardo alla “decadenza” del credito non pagato.

5. Prestiti garantiti da ipoteca: cosa succede in caso di mancato pagamento

Molti prestiti, in particolare i mutui immobiliari, sono garantiti da un’ipoteca su un bene del debitore (tipicamente la casa oggetto di acquisto o altro immobile di proprietà) o anche su un bene di un terzo datore di ipoteca. L’ipoteca è una garanzia reale che attribuisce al creditore un diritto di prelazione sul ricavato della vendita forzata del bene ipotecato, prevalendo su altri creditori non garantiti. Vediamo quali implicazioni ha la presenza di un’ipoteca quando il prestito non viene pagato:

  • Efficacia temporale dell’ipoteca: l’iscrizione ipotecaria ha durata 20 anni dalla data di iscrizione nei pubblici registri immobiliari. Ciò significa che, una volta iscritta (ad esempio nel 2020), l’ipoteca resta valida fino al 2040, dopodiché cessa di avere effetto se non viene rinnovata prima della scadenza ventennale. Il creditore può rinnovarla per altri 20 anni presentando istanza formale (senza bisogno di consenso del debitore) – e così via ogni 20 anni fino all’estinzione del debito. Se però il creditore dimentica di rinnovare e il ventennio passa, l’ipoteca “decade” e perde efficacia, pur restando il debito. Ad esempio, se un mutuo ventennale stipulato nel 2005 non è stato interamente rimborsato entro il 2025, la banca dovrà rinnovare l’ipoteca (iscritta nel 2005) entro quella data, altrimenti dal 2026 il vincolo ipotecario non sarà più opponibile. Importante: la prescrizione del credito e la durata dell’ipoteca sono due concetti diversi. Il credito può prescriversi prima che scada l’ipoteca (ad es. mutuo scaduto nel 2010, prescritto nel 2020, ma ipoteca iscritta nel 2005 valida fino al 2025): in tal caso, benché l’ipoteca formalmente risulti, il debitore può opporre la prescrizione del debito e quindi neutralizzare qualsiasi tentativo di esecuzione ipotecaria. Viceversa, il credito può restare valido anche dopo la scadenza ventennale dell’ipoteca, ma il creditore perde la prelazione su quel bene se non l’ha rinnovata. In pratica, la banca diligente rinnova l’ipoteca ogni 20 anni se il mutuo non è ancora estinto (capita nei mutui lunghi, es. trentennali, o se il mutuo va in default e il recupero giudiziale si protrae per molti anni). Se invece lascia decadere l’ipoteca, il creditore potrà ancora chiedere il pagamento, ma il bene sarà “libero” da vincoli e potrà essere aggredito da altri creditori o venduto senza preferenza per il primo creditore.
  • Decadenza dal beneficio del termine e inadempimento: come già accennato, nei mutui ipotecari (spesso mutui fondiari ai sensi del TUB) è previsto che dopo un certo numero di rate non pagate la banca può invocare la risoluzione anticipata. L’art. 40 del Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) stabilisce per i mutui fondiari che la banca possa agire per l’intero importo se il debitore omette il pagamento di sette rate, anche non consecutive. Inoltre, richiama la possibilità di definire nel contratto altre soglie (ad esempio quella del 5% del capitale finanziato, come riportata in alcune clausole contrattuali). Nella prassi, i contratti di mutuo ipotecario includono una clausola risolutiva espressa o una condizione risolutiva al verificarsi dell’inadempimento protratto. La lettera di decadenza dal termine spesso cita proprio tale clausola contrattuale (o l’art.40 TUB) e notifica la risoluzione del contratto. Una volta risolto, il mutuo si considera scaduto anticipatamente e la banca può procedere con il pignoramento.
  • Procedura di esecuzione immobiliare: la presenza di un’ipoteca incide sulla procedura esecutiva. Il creditore ipotecario, munito di titolo esecutivo, può avviare il pignoramento immobiliare sul bene ipotecato. I passi sono: iscrizione a ruolo della procedura, nomina del perito per valutare l’immobile, fissazione dell’asta. Il creditore ipotecario di primo grado (ipoteca iscritta per primo in ordine di tempo) ha diritto di essere soddisfatto per primo sul ricavato. Se la casa viene venduta, il ricavato va prima alle spese di procedura, poi ai creditori ipotecari secondo il grado e, se avanza qualcosa (spesso poco nulla), al debitore. Se il ricavato non copre tutto il debito, la parte residua rimane un debito chirografario del debitore, che la banca può tentare di recuperare con altri mezzi (pignorando altri beni, stipendio, ecc.). In molti casi di esecuzione, specie se l’immobile viene aggiudicato a prezzo ribassato, permane un debito residuo (lo “scoperto”). Questo residuo è comunque soggetto alle regole di prescrizione ordinarie: la vendita forzata non lo cancella, a meno che il creditore – per comodità o per accordo – rinunci a perseguirlo (oppure intervenga una procedura di esdebitazione del debitore). Ad esempio, se resta un debito residuo di €20.000 dopo la vendita, la banca potrebbe ottenere un decreto per quel residuo e pignorare il quinto dello stipendio al debitore finché recupera qualcosa.
  • Risoluzione e termini processuali: con la risoluzione anticipata, la banca può accelerare i tempi. Tuttavia, anche qui la legge mette paletti: se il mutuo è fondiario (categoria di mutuo ipotecario disciplinata dal TUB, di solito mutui casa <80% valore), la banca deve attenersi all’art. 40 TUB. Una curiosità: per gli enti non bancari (es. INPS che concedeva mutui ai dipendenti), la Cassazione ha chiarito che l’art. 40 TUB non si applica, quindi quei contratti possono risolversi anche con 2 rate non pagate, come da clausola. Dunque per le banche le 7 rate sono un minimo di legge (derivante anche dal recepimento di una direttiva UE sui contratti di credito immobiliare ai consumatori). Ciò protegge il mutuatario da azioni troppo rapide: ad es., non possono pignorare casa per un paio di ritardi isolati – devono essere ritardi sostanziosi o prolungati.
  • Novità del “patto marciano” (decreto 2016): dal 2016 è possibile inserire nei contratti di mutuo una clausola particolare (detta patto marciano) per cui, in caso di inadempimento protratto (almeno 18 rate non pagate), la banca può ottenere la proprietà dell’immobile in via stragiudiziale, soddisfacendo il credito col valore del bene (ed eventualmente restituendo l’eccedenza al debitore). Questa procedura evita l’asta giudiziaria ed è più rapida, ma può essere usata solo se il debitore è non consumatore oppure è un consumatore ma la clausola riguarda un immobile non adibito ad abitazione principale. In pratica, per imprese o per seconde case si può convenire che dopo 18 rate non pagate l’immobile passi di proprietà alla banca in conto soddisfazione. Questa è una decadenza “contrattuale” dell’obbligo di rimborso rateale, diversa dalla prescrizione: avviene per patto e consente alla banca di chiudere la partita senza passare dal tribunale. Nel caso di imprenditori, è uno strumento di tutela in più per le banche (purché previsto espressamente nel contratto di mutuo).
  • Sentenze rilevanti: la giurisprudenza sul punto è copiosa. Oltre ai principi su prescrizione del mutuo unitario (già visti, Cass. 4232/2023), possiamo citare pronunce su questioni come:
    • Cumulo tra decreto ingiuntivo e ipoteca fondiaria: Cassazione ha stabilito che la banca può scegliere se avviare ingiunzione o iscrivere direttamente ipoteca giudiziale e procedere: l’importante è che rispetti art. 40 TUB se fondiario, altrimenti il decreto può essere opposto per improcedibilità.
    • Riduzione del debito se il ricavato d’asta è molto inferiore al debito residuo: in generale il debitore resta obbligato per il saldo, ma in alcuni casi di grave sproporzione sono state discusse vie di tutela del debitore; non c’è però una regola di “fresh start” automatica per i privati se non tramite le procedure di esdebitazione di cui sopra.
    • Nullità di clausole anatocistiche o interessi di mora ultra soglia: ad esempio alcune sentenze di merito hanno ritenuto che se gli interessi di mora superano la soglia usura, la clausola è nulla e non sono dovuti (Cass. n. 26200/2019 ha affrontato il tema interessi moratori usurari nei mutui). Ciò incide sul calcolo del dovuto in caso di risoluzione.

In sintesi, per i prestiti con ipoteca: la presenza di questa garanzia non allunga la prescrizione del credito (sempre 10 anni dal suo termine) ma conferisce al creditore un diritto di espropriare l’immobile con preferenza sui concorrenti, entro il limite dei 20 anni di efficacia dell’ipoteca rinnovabili. Se il creditore lascia decorrere 20 anni senza rinnovare, l’ipoteca cade, anche se il credito fosse ancora esigibile (ma in pratica se un creditore lascia passare 20 anni di inerzia, avrà probabilmente perso anche per prescrizione a quel punto). Il debitore proprietario rischia di perdere il bene all’asta se non onora il mutuo, ma non va in automatico in asta se il ritardo è lieve: servono diversi mancati pagamenti per far scattare la decadenza dal termine. Una volta pignorato e venduto il bene, il mutuo “decade” in quanto trasformato in soddisfazione (totale o parziale) con il ricavato; resta eventualmente un credito residuo chirografario. Nella prossima sezione passeremo alla fideiussione, altro fondamentale istituto di garanzia, per capire quando “decade” l’obbligazione del garante in caso di mancato pagamento del prestito.

6. Prestiti garantiti da fideiussione: il ruolo del garante e la sua liberazione

La fideiussione è una garanzia personale con cui un soggetto terzo (o anche socio della debitrice, etc.) si obbliga verso il creditore a pagare il debito altrui in caso di insolvenza del debitore principale (art. 1936 Cod. Civ.). È molto comune che le banche, nell’erogare prestiti sia a privati sia a società, richiedano una fideiussione: ad esempio, i soci garantiscono i prestiti della società, oppure un familiare garantisce il mutuo del giovane mutuatario, ecc. In caso di prestito non pagato, la presenza di una fideiussione aggiunge un altro soggetto (il fideiussore, o garante) su cui il creditore può rivalersi. Analizziamo come ciò influisce sui tempi di decadenza e prescrizione:

  • Escussione del fideiussore: salvo patto contrario, la fideiussione comporta solidarietà tra debitore e garante (art. 1944 c.c.), quindi la banca può chiedere il pagamento anche direttamente al fideiussore non appena il debitore è inadempiente. Il garante può avere il beneficio di escussione (art. 1945 c.c.) solo se espressamente pattuito, cioè la facoltà di chiedere che la banca escuta prima i beni del debitore principale. Tuttavia, nei contratti bancari di solito il fideiussore rinuncia a questo beneficio, obbligandosi a prima richiesta. Pertanto, tipicamente, quando il debitore non paga, la banca invia la stessa diffida anche al fideiussore e può notificare a entrambi il decreto ingiuntivo o l’atto di precetto. Il fideiussore risponde con tutto il suo patrimonio personale, analogamente al debitore. Ad esempio, se Tizio srl non paga le rate, la banca escute Caio (socio garante) pignorando i suoi beni, conti, stipendio, ecc. Il fatto che il creditore agisca contro il fideiussore non libera il debitore principale: è una responsabilità aggiuntiva e concorrente. Se paga il garante, poi questi ha diritto di regresso contro il debitore principale (cioè può a sua volta chiedere a Tizio srl quanto sborsato, subentrando nei diritti del creditore).
  • Prescrizione dell’azione contro il fideiussore: la prescrizione del credito principale coinvolge anche il garante. Siccome la fideiussione è un’obbligazione accessoria, essa non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore né sussistere se l’obbligazione principale si estingue (art. 1939 c.c.). Quindi, se il credito si prescrive nei confronti del debitore, anche il fideiussore sarà liberato. Gli atti che interrompono la prescrizione verso il debitore (es. diffida, decreto) in genere interrompono anche verso il garante, specie se ne ha conoscenza diretta perché destinatario o parte in causa. Anche un atto indirizzato solo al debitore principale può interrompere la prescrizione verso il fideiussore, in virtù del vincolo di accessorietà, ma la prudenza vuole che il creditore notifichi gli atti ad entrambi. Nella pratica bancaria, ogni lettera e azione giudiziale viene fatta per conoscenza anche al garante, assicurando così l’effetto interruttivo verso tutti i co-obbligati. D’altro canto, un riconoscimento del debito da parte del debitore giova anche al fideiussore (mantiene vivo il rapporto garantito). Anche qui, perciò, vale il termine di 10 anni dalla scadenza dell’obbligazione garantita per agire contro il fideiussore, salvo interruzioni.
  • Decadenza ex art. 1957 c.c.: questa è una peculiarità importantissima. L’art. 1957 Cod. Civ. prevede che il fideiussore rimanga obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore, entro sei mesi, abbia proposto le sue istanze contro il debitore principale (o contro il fideiussore stesso). In altre parole, una volta che il debito principale è scaduto (es. il mutuo è scaduto a seguito di risoluzione anticipata o per naturale scadenza ultima rata), il creditore ha 6 mesi di tempo per avviare le azioni giudiziarie di recupero; se non lo fa, il fideiussore è liberato per decadenza. La ratio è tutelare il garante dall’inerzia del creditore: il legislatore presume che se il creditore dorme troppo, il garante non debba restare “sulla graticola” in eterno. Questa regola ha natura di ordine pubblico, quindi non derogabile in pejus (in favore del creditore) – su questo punto però c’è stata controversia, perché in passato le banche facevano firmare ai garanti clausole di “rinuncia ai termini ex art.1957”. La giurisprudenza ha poi chiarito che tali clausole di rinuncia sono nulle, in quanto violano una norma imperativa a tutela del fideiussore. In particolare, la questione è emersa con le famose fideiussioni omnibus predisposte dall’ABI, le cui clausole (inclusa quella di rinuncia ai termini) sono state ritenute anti-concorrenziali e quindi nulle da Banca d’Italia e Cassazione (Cass. Sez. Unite 41994/2021 ha confermato la nullità parziale di quelle clausole). Dunque oggi un garante che abbia firmato perfino una rinuncia potrebbe eccepire la nullità di tale clausola e far valere comunque l’art.1957. Come si conteggia il termine semestrale? Esempio: un prestito scade il 31 dicembre 2024 (o la banca lo risolve per inadempimento a tale data). Se entro il 30 giugno 2025 il creditore non ha avviato un’azione giudiziale (ingiunzione o causa) contro il debitore o il garante, il fideiussore è libero. Non basta una diffida stragiudiziale? Questo è stato dibattuto: la formulazione “proposto le sue istanze” fa pensare ad atti giudiziari. La giurisprudenza tradizionale diceva che serve l’azione legale (es. ricorso per decreto) entro 6 mesi. Tuttavia, recenti pronunce (App. Venezia 19/5/2022, etc.) tendono a ritenere sufficiente anche la richiesta stragiudiziale scritta se la garanzia è “a prima richiesta” (cioè senza beneficio di escussione), in analogia con gli atti interruttivi. La Cassazione ancora non si è espressa in modo definitivo su questa estensione, ma per prudenza le banche ormai giudizializzano velocemente: spesso ottengono decreto ingiuntivo contro debitore e fideiussore entro 6 mesi dalla decadenza del termine del prestito, così da non rischiare. Dalla prospettiva del fideiussore, questo termine semestrale è una sorta di “scadenza” della sua obbligazione. Se il creditore se la prende comoda e non lo chiama in causa in tempi brevi, il garante potrà eccepire in giudizio la decadenza dalla garanzia. È un’eccezione diversa dalla prescrizione: molto più breve (6 mesi) e focalizzata sul momento della scadenza del debito. Nota: se il debito è rateale, la “scadenza dell’obbligazione principale” può essere interpretata come la scadenza dell’ultima rata o la data di risoluzione anticipata. Quindi per un mutuo risolto anticipatamente nel 2025, da lì decorrono i 6 mesi; se invece il mutuo va a naturale scadenza nel 2030, da allora i 6 mesi.
  • Rinuncia o proroga del termine da parte del creditore: l’art. 1957 c.c. comma 2 aggiunge che se il creditore concede una dilazione al debitore senza il consenso del fideiussore, quest’ultimo è liberato. Ciò per evitare che, accordando più tempo al debitore, il creditore pregiudichi le ragioni del garante prolungando la sua esposizione. Dunque la banca deve stare attenta: se negozia un nuovo piano di rientro con l’azienda debitrice, dovrebbe farsi firmare accettazione anche dal fideiussore, altrimenti rischia di perdere la garanzia.
  • Nullità di fideiussioni “omnibus” standard: come anticipato, le Sezioni Unite, sentenza n. 41994/2021 hanno risolto un contrasto: hanno stabilito che tre clausole tipiche delle fideiussioni bancarie uniformi (rinuncia ai termini ex 1957, clausola di pagamento a prima richiesta anche in caso di invalidità del debito principale, e la clausola di reviviscenza del debito garantito in caso di pagamenti revocati) sono da considerarsi nulle parzialmente perché frutto di intesa illecita anticoncorrenziale. In pratica, il garante può eccepire la nullità di quelle clausole, mantenendo però valida la garanzia per il resto. L’effetto è che il fideiussore può sfruttare appieno le protezioni di legge come il termine semestrale. Dunque quando decade la fideiussione? Decade se il creditore non agisce per tempo (art.1957) o se l’obbligazione principale si estingue (pagamento, prescrizione, annullamento). Inoltre, il garante può essere liberato se la banca commette atti che aggravano la sua posizione senza consenso (es. allungare indebitamente la durata del debito, rinunciare a garanzie reali senza avvisare, etc., ai sensi dell’art. 1955 c.c.).
  • Esempio pratico: Società Alfa ha un prestito scaduto e non pagato di €100.000 al 31/12/2024. Il socio Beta è fideiussore. La banca notifica decreto ingiuntivo a Alfa e Beta il 30/06/2025 – bene, entro 6 mesi, garanzia salva. Se avesse notificato il 01/07/2025 (un giorno fuori termine) e Beta in giudizio solleva decadenza ex art.1957, Beta viene liberato (mentre Alfa rimane debitrice, ma Alfa magari fallirà). Beta scampa il pagamento. La banca a quel punto potrà insinuarsi al passivo di Alfa (se fallita) ma Beta non deve nulla. – Secondo esempio: Gamma garante firma però in fideiussione una clausola dove “rinuncia ai termini dell’art.1957”. La banca fa causa in ritardo di 8 mesi. Gamma si difende dicendo: la clausola di rinuncia è nulla (seguendo Cass. SU 2021), quindi art.1957 va applicato, e siccome la banca è in ritardo, lui è libero. Il giudice conferma: fideiussione estinta, la banca potrà rivalersi solo sul debitore principale.

In definitiva, per chi presta fideiussione è fondamentale questo termine di sei mesi post-scadenza, mentre per la banca è cruciale attivarsi tempestivamente o farsi dare l’ok del garante a eventuali proroghe del debito.

  • Diritti del fideiussore dopo il pagamento: se il garante paga al posto del debitore, il prestito non è “prescritto” ma viene soddisfatto e si surroga. Il fideiussore può cercare di recuperare dal debitore principale quanto versato (azione di regresso o surroga nei diritti – art. 1949 c.c.). Anche questo diritto di regresso ha una prescrizione (ordinaria di 10 anni da quando ha pagato). Nella pratica, però, se l’azienda o il debitore originario erano insolventi, spesso il garante non riuscirà a rifarsi.
  • Procedura concorsuale del debitore e riflessi sul garante: se il debitore (società) fallisce, la banca non può più agire contro di essa (se non insinuandosi), ma può comunque agire contro il fideiussore immediatamente. Il fideiussore non beneficia del fallimento altrui: anzi, è obbligato a pagare anche se l’azienda è fallita e anche se nella procedura concorsuale la banca recupererà magari un 20%. Il garante che paga potrà insinuarsi a sua volta al posto della banca nel fallimento (surroga nel privilegio o ipoteca eventualmente). Ma potrebbe ricevere poco o nulla dalla ripartizione. Per questo chi garantisce un’azienda rischia di dover onorare l’intero importo. Se anche il fideiussore fosse fallibile (es. un coobbligato imprenditore fallito insieme, o un socio illimitatamente responsabile), allora la sua procedura concorsuale lo proteggerebbe. Ma tipicamente il socio di srl garante è persona fisica non fallibile: potrà semmai chiedere la procedura di sovraindebitamento per essere esdebitato dal debito di regresso.

Riassumiamo i punti salienti per la fideiussione nei prestiti:

  • Il creditore può escutere subito il garante, solidarmente al debitore.
  • La prescrizione verso il garante segue quella del debito principale (10 anni dall’ultima rata scaduta o dalla risoluzione, interruttibile).
  • C’è un termine di decadenza breve (6 mesi) dalla scadenza del debito entro cui iniziare azione giudiziaria, pena liberazione del garante.
  • Le clausole di rinuncia a tale termine sono nulle, quindi il garante può sempre invocarlo.
  • Se il creditore dilaziona o non attiva prontamente le azioni, rischia di perdere la garanzia. Il garante va liberato anche se il debito principale è estinto per prescrizione o altre cause.
  • Il garante che paga ha diritto di regresso, ma se il debitore è insolvibile, può dover subire la perdita.
  • Le controversie recenti hanno chiarito che molte fideiussioni bancarie standard possono essere contestate dal garante (nullità parziale), quindi attenzione agli aspetti formali.

Per un imprenditore che fa da garante, è essenziale monitorare lo stato del debito principale: se vede che la banca non agisce entro 6 mesi dalla scadenza, potrebbe sperare di essere libero; ma è raro che le banche se ne dimentichino. Dal lato avvocato, valutare sempre la tempistica ex art.1957 in difesa del fideiussore.

Passiamo ora ad un’ultima tipologia particolare di prestito: quello con cessione del quinto dello stipendio/pensione, in cui la dinamica dell’inadempimento è peculiare poiché la rata viene trattenuta alla fonte.

7. Prestiti con cessione del quinto: peculiarità e termine di estinzione del credito

La cessione del quinto dello stipendio o della pensione è una forma di finanziamento prevista dall’ordinamento italiano sin dal 1950 (D.P.R. 5 gennaio 1950, n.180). In tale prestito, il rimborso delle rate avviene attraverso una trattenuta diretta sulla busta paga del lavoratore o sulla pensione, effettuata dal datore di lavoro o dall’ente pensionistico e versata all’istituto finanziatore. Si tratta quindi di un meccanismo in cui il pagamento è garantito alla fonte, riducendo il rischio di inadempimento. Ecco le caratteristiche salienti e cosa accade in caso di problemi:

  • Ambito di applicazione: inizialmente la cessione del quinto era riservata ai dipendenti pubblici/statali. Successive riforme (ad es. legge finanziaria 2005) l’hanno estesa anche ai dipendenti privati e ai pensionati. Oggi possono accedervi lavoratori dipendenti (con contratto a tempo indeterminato o determinato con alcune garanzie) e pensionati, ma non lavoratori autonomi. L’ammontare della rata massima è, per legge, 1/5 (20%) dello stipendio o pensione netta mensile. La durata massima del finanziamento è 120 mesi (10 anni). È inoltre obbligatoria un’assicurazione rischio vita e impiego a copertura del debito residuo: in caso di decesso del debitore o perdita involontaria del lavoro, la polizza interviene.
  • Modalità di pagamento e ruoli: i soggetti coinvolti sono il cedente (debitore, lavoratore/pensionato), il cessionario (creditore finanziatore), e il datore di lavoro/ente pensionistico che funge da terzo pagatore. Quest’ultimo, ricevuta la notifica del contratto di cessione, è obbligato per legge a trattenere mensilmente la quota ceduta e versarla al finanziatore. In pratica, il debitore non vede nemmeno la parte di stipendio ceduta: l’azienda la versa direttamente. Questo rende l’operazione molto sicura per il creditore: il tasso d’insolvenza è basso, perché dovrebbero cessare le condizioni di lavoro/pensione per interrompere i flussi.
  • Quando può “non pagarsi” un prestito con cessione del quinto? Ci sono pochi scenari di mancato pagamento, essenzialmente:
    1. Interruzione del rapporto di lavoro del cedente prima del termine: se il lavoratore viene licenziato, si dimette o l’azienda chiude, di colpo non c’è più una busta paga su cui trattenere la rata. In tal caso, la legge (D.P.R. 180/1950) prevede che il datore di lavoro, all’atto della cessazione, tratti una parte del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato dal dipendente e lo versi al finanziatore, fino a copertura del debito residuo. In sostanza, il TFR è vincolato a garanzia del prestito. Se il TFR non basta, interviene l’assicurazione per rischio impiego: la polizza paga al creditore le rate mancanti o una somma secondo le condizioni contrattuali. Una recente decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) Coordinamento n.3576/2024 ha ribadito l’obbligo per l’intermediario di informare chiaramente il cliente sulle condizioni di attivazione di questa polizza a garanzia del credito. Dunque, idealmente, se un dipendente perde il lavoro: prima si escute il TFR, poi l’assicurazione copre il resto del debito.
    2. Morte del cedente (in caso di pensionato o lavoratore in servizio): in caso di decesso del debitore, la polizza vita obbligatoria rimborsa il capitale residuo alla finanziaria. Gli eredi del debitore non sono tenuti a proseguire i pagamenti (la legge prevede proprio la liberazione del patrimonio ereditario grazie all’assicurazione). Quindi, da questo punto di vista, il debito “decade” al momento della morte del debitore, per effetto dell’assicurazione che lo estingue.
    3. Inadempienza del datore di lavoro: c’è anche un’ipotesi patologica in cui il datore di lavoro, pur avendo l’obbligo, non effettua le trattenute o non le versa al creditore. Questo potrebbe accadere per negligenza o per problemi finanziari dell’azienda (ad esempio, trattiene ma non paga per usare liquidità). In tal caso, la legge prevede la responsabilità diretta del datore verso il finanziatore. La Cassazione (Sez. Lavoro, sent. n. 22362 del 07/08/2024) ha confermato che non sono consentite trattenute aggiuntive sullo stipendio diverse da quella del quinto per coprire costi o spese del datore di lavoro e ha affermato che il datore non può addossare al dipendente costi di gestione della cessione, dovendo semplicemente versare le somme dovute. Se il datore omette i versamenti delle rate, il creditore potrà agire legalmente contro di lui (per inadempimento della obbligazione ex lege di versamento) oltre che, ovviamente, sul debitore cedente con gli altri mezzi se questo torna ad avere un reddito.
  • Prescrizione nel prestito con cessione del quinto: qui il concetto di prescrizione del credito si pone in termini particolari perché il rimborso è automatico. Finché il meccanismo funziona (stipendio/pensione erogati e datore diligente), non si verificano mai rate impagate. Quindi non c’è neppure l’occasione di far decorrere un termine di prescrizione, in quanto le obbligazioni sono adempienti. Tuttavia, consideriamo il caso di un prestito con cessione del quinto interrotto a metà (es. licenziamento dopo 5 anni, su 10 di piano). La finanziaria riceve il TFR, poi magari l’assicurazione paga una parte, ma supponiamo che rimanga ancora un residuo non coperto (in teoria l’assicurazione dovrebbe coprire tutto il debito residuo non ripagato per perdita impiego, ma alcune polizze rimborsano solo un certo numero di rate e se il debitore poi trova nuovo impiego, il contratto prosegue). Se – malgrado TFR e assicurazione – c’è ancora un debito scoperto, il finanziatore tornerà ad essere un creditore chirografario ordinario del debitore. Potrà quindi richiedergli il pagamento diretto delle somme restanti. A questo punto, se l’ex dipendente trova un nuovo lavoro, potrebbe volontariamente riprendere il pagamento delle rate con un nuovo quinto presso il nuovo datore (spesso succede: il contratto di cessione prevede la portabilità ad altro datore entro certi limiti). Se invece non paga, la finanziaria può agire con decreto ingiuntivo come per qualunque prestito. Qui allora parte una prescrizione decennale dalla data in cui le rate sarebbero dovute o dalla risoluzione del contratto. Per analogia con i mutui, il debito residuo avrà un termine di 10 anni dall’ultima rata contrattuale prevista. Ma attenzione: la presenza dell’assicurazione implica che spesso quel residuo viene coperto e surrogato dall’assicuratore. L’assicurazione che paga per il debitore subentra nei diritti del creditore verso il debitore (surrogazione assicurativa). Così, se l’assicurazione ha liquidato il restante 30% del debito, questa potrà eventualmente chiedere al debitore rimborso (ciò dipende dal tipo di polizza: per polizze collettive obbligatorie, spesso l’assicuratore non ha diritto di rivalsa sul debitore; è una perdita per lui coperta dal premio pagato. Se invece c’è rivalsa, allora l’assicuratore diventa il nuovo creditore). In caso di rivalsa, il debitore dovrebbe restituire all’assicuratore quanto questi ha pagato, ma di nuovo, se l’assicurato era senza lavoro, poco da recuperare. In ogni caso, il termine di prescrizione del credito assicurativo surrogato è anch’esso decennale dall’esborso.
  • Decadenza e tutele particolari: la cessione del quinto è molto regolamentata a tutela del debitore. Oltre al limite della rata (1/5) e durata (10 anni), c’è il fatto che non può coesistere più di una cessione sul medesimo stipendio (salvo la delegazione di pagamento, cosiddetto “doppio quinto”, ma è facoltativa del datore e comunque max un altro 20%, totale 40%). Inoltre, durante pignoramenti per altri crediti, la somma delle trattenute per cessioni + pignoramenti non può superare metà dello stipendio. Questo implica che se un debitore con cessione del quinto viene pignorato da altri creditori, questi altri dovranno accontentarsi al massimo di un altro quinto (per arrivare al 40% complessivo, giacché il quinto ceduto è prioritario in quanto atto anteriore e volontario, ed eventualmente un quinto pignorato per alimenti può coesistere sforando il 50% in certi casi, ma sono dettagli).
  • Quando “decade” il prestito con cessione del quinto? Possiamo dire che, se tutto procede regolarmente, il prestito si estingue con l’ultima trattenuta mensile, senza eventi di decadenza. Non c’è un “tempo massimo di recupero” oltre la scadenza: il contratto stesso dura al massimo 10 anni per norma. Quindi dopo 10 anni di trattenute il prestito è chiuso. Se per qualche ragione non si è chiuso (es. saltate tot rate per licenziamento a fine piano, assicurazione non attivata perché il debitore ha ripreso a lavorare e può rifare cessione): potrebbe allungarsi un po’ la cosa, ma direi che l’orizzonte temporale è quello. In base alla legge, se il debitore va in pensione durante la cessione, la trattenuta continua sulla pensione (l’INPS subentra come terzo ceduto). Se muore, assicurazione paga e finita lì. Dunque, la situazione di un credito residuo da quinto non pagato a lungo termine è rara. In definitiva, la prescrizione diventa rilevante solo qualora la finanziaria, per qualche motivo, non azioni immediatamente il suo credito residuo verso il debitore quando la cessione si interrompe. Se lasciasse passare 10 anni, allora il debitore potrebbe eccepire prescrizione. Ma è improbabile perché in genere tra TFR e assicurazione l’esposizione è coperta o viene sollecitata subito.
  • Giurisprudenza recente: oltre alla citata Cass. 22362/2024 sul divieto di addebito di costi al lavoratore, vi è giurisprudenza in tema di calcolo del TFR cedibile, di priorità tra più creditori sul TFR, e come menzionato in tema di rimborso costi in caso di estinzione anticipata (cfr. applicazione della sentenza “Lexitor” della Corte UE anche alle cessioni del quinto, Cass. 2600/2024 ha trattato l’argomento, affermando che se il prestito viene estinto anticipatamente il consumatore ha diritto al rimborso proporzionale di tutti i costi inclusi nel finanziamento). Questo però esula dall’ambito “decadenza del credito”, essendo più che altro una tutela consumeristica.

In conclusione, il prestito con cessione del quinto raramente vede un’inadempienza protratta: o subentra l’assicurazione o il datore di lavoro risponde col TFR. Si potrebbe dire che “decade” (ovvero si estingue) per cause diverse dal pagamento principalmente in due casi: morte del debitore (estinzione per copertura assicurativa) oppure prescrizione qualora il creditore, rimasto con un residuo non coperto, non lo inseguisse per 10 anni (scenario limite). Per un avvocato, le questioni su cessione del quinto di solito riguardano contestazioni su interessi o indebiti trattenuti, più che prescrizione. Per l’imprenditore (in veste di debitore cedente), questo tipo di prestito è “sicuro” finché c’è stipendio; se si perde il lavoro, l’onere viene in gran parte assorbito da TFR e polizza, quindi difficilmente rimane un debito ingente non gestito.

8. Implicazioni fiscali dei prestiti non pagati

Oltre alle conseguenze civilistiche e procedurali, i prestiti non rimborsati hanno anche un rilievo sul piano fiscale, sia per il creditore sia per il debitore (soprattutto se imprenditore). Analizziamo i due lati:

8.1 Perdita su crediti per il creditore e deducibilità fiscale

Quando un creditore (es. una banca o un’impresa che ha concesso un finanziamento) non riesce a recuperare un prestito, ciò si traduce in una perdita su crediti nel bilancio. Dal punto di vista contabile e fiscale, le perdite su crediti sono deducibili dal reddito d’impresa a certe condizioni. La normativa chiave è l’art. 101, comma 5 del TUIR (D.P.R. 917/1986), che disciplina la deducibilità delle perdite sui crediti. In particolare:

  • Una perdita su credito è deducibile se risultano elementi certi e precisi della sua inesigibilità. La norma elenca alcune situazioni in cui questi requisiti si considerano automaticamente soddisfatti: ad esempio, assoggettamento del debitore a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione, ecc.), oppure prescrizione del credito. Inoltre, anche la cancellazione del credito dal bilancio secondo i principi contabili è rilevante.
  • Il Principio di Diritto n.16/E del 29.12.2021 dell’Agenzia delle Entrate ha ribadito che la prescrizione del diritto di credito costituisce un evento certo e preciso che consente la deducibilità fiscale della perdita. Dunque, se un prestito è ormai prescritto e viene eliminato dai crediti attivi, la perdita relativa è deducibile nell’esercizio in cui la prescrizione è maturata (o in cui la si rileva in bilancio).
  • Non solo: l’Agenzia ha chiarito che la prescrizione rappresenta il termine ultimo entro cui il creditore dovrebbe dedurre la perdita. Infatti, una volta decorso il termine di prescrizione, non ha senso tenere ancora iscritto il credito in bilancio; se lo si facesse e si deducesse in anni successivi, la deduzione sarebbe contestabile. In pratica, la perdita da credito prescritto va rilevata e portata in deduzione al più tardi nell’anno di prescrizione. Se il creditore, per inerzia, lasciasse passare quell’anno senza dedurre, rischia di perdere il beneficio.
  • Un altro scenario: concordato o accordo stragiudiziale che preveda una rinuncia parziale al credito (es. saldo e stralcio). In tal caso, la parte di credito abbandonata genera una perdita deducibile nell’esercizio in cui l’accordo è perfezionato. Anche l’esito di un fallimento con riparto parziale produce la deduzione del residuo come perdita su crediti (qui l’elemento certo è la chiusura della procedura concorsuale).
  • È importante che il creditore non provochi volontariamente la perdita con eccessiva leggerezza: la Cassazione (sent. 9094/2017) ha affermato che se il creditore è rimasto del tutto inattivo e lascia prescrivere il credito senza motivo, l’Amministrazione potrebbe sindacare la deducibilità per mancanza di diligente gestione. Ma dopo la riforma del 2012-2015 del TUIR, questo aspetto è meno rilevante perché il comma 5 art.101 ora dà per certe le perdite in caso di prescrizione tout court. Comunque, un eventuale comportamento anomalo (tipo cancellare crediti ancora esigibili per abbattere utile) potrebbe essere valutato in sede di accertamento.

In sintesi, per il creditore imprenditore: la perdita derivante da un prestito non recuperato è fiscalmente deducibile quando è definitiva. La prescrizione è uno di questi eventi definitivi che “certificano” la perdita. Altri eventi: il completamento di una procedura concorsuale senza soddisfo, un accordo transattivo con stralcio, la morte del debitore senza eredi solventi (questo non menzionato ma assimilabile a una causa certa in base a principi contabili).

8.2 Sopravvenienze attive per il debitore: remissione di debito e profili fiscali

Dal lato debitore, un prestito non pagato che venga perdonato o ridotto dal creditore può generare una sopravvenienza attiva imponibile. Ad esempio:

  • Se la banca accetta €50.000 a saldo di un debito di €100.000 (remissione del debito per €50.000), quel risparmio di €50.000 per il debitore può costituire un provento tassabile. L’art. 88 del TUIR include tra le sopravvenienze attive le insussistenze sopravvenute di passività iscritte in bilancio. Ciò comprende le riduzioni dei debiti dell’impresa. Quindi, per una società o imprenditore individuale, se i creditori rinunciano a parte dei crediti fuori da procedure concorsuali, si genera reddito imponibile per l’importo condonato.
  • Tuttavia, esistono eccezioni importantissime introdotte per favorire la ristrutturazione dei debiti: le riduzioni dei debiti accordate in sede di concordato preventivo omologato o di accordo di ristrutturazione omologato non sono considerate sopravvenienze attive tassabili (art. 88, comma 4-ter TUIR). Ad esempio, se in concordato l’azienda paga il 20% ai chirografari, il 80% tagliato non si tassa. Analogamente per un piano attestato ex art. 56 CCII. Questo per non scoraggiare le ristrutturazioni con un “balzello fiscale” sul sollievo dal debito. La stessa norma estende l’esenzione alle remissioni di debiti avvenute per effetto di procedure di esdebitazione del debitore civile.
  • In passato (prima del 2015) c’era anche la regola che le rinunce dei soci a crediti verso la società (o pagamenti effettuati dal socio per la società) non fossero tassati come sopravvenienze attive entro certi limiti. Occorre fare attenzione in caso di finanziamenti soci poi stralciati: se il socio postergato rinuncia, in genere non è tassabile per la società, trattandosi di apporto assimilabile a capitale.
  • Per un debitore non imprenditore (consumatore), se un istituto gli condona un debito, di norma non c’è tassazione come reddito, perché il TUIR non prevede di tassare liberalità o remissioni a soggetti privati (fa eccezione l’art. 55 DPR 602/73 per i debiti erariali, ma è altra materia). Ad esempio, se una banca decide di cancellare il debito residuo di un privato in difficoltà, fiscalmente per il privato non è un reddito (non è reddito di capitale, né reddito diverso, è una donazione/remissione non tassata, salvo il caso di una transazione che potrebbe essere vista come reddito diverso in casi estremi – ma generalmente no).
  • Invece, per un debitore azienda, qualsiasi riduzione di debito al di fuori di procedure concorsuali va valutata:
    • Esempio: la banca vende il credito da €100 a una società di recupero per €10. La società di recupero potrebbe proporre all’azienda debitrice di chiudere a €15. Se l’azienda aderisce e paga €15 per liberarsi di €100 originari, contabilmente avrà una sopravvenienza attiva di €85 (aveva un debito di 100, paga 15, quindi 85 condonati). Tale 85 è reddito imponibile, salvo se l’operazione avviene con procedura concorsuale o simili. Se è stragiudiziale, è tassabile. Tuttavia, va detto che spesso in questi casi l’azienda debitrice potrebbe avere anche perdite fiscali riportate o altro che compensano; inoltre, se l’azienda era fallita e viene cancellata, il problema non si pone.
  • Prescrizione e debitore: se un debitore imprenditore lascia prescrivere un suo debito (caso raro, di solito è il creditore che lascia prescrivere, ma immaginiamo: c’è un debito verso fornitore non reclamato per 10 anni, la società debitrice se lo ritrova in bilancio come debito vetusto e decide di stornarlo perché prescritto), tecnicamente la società realizzerebbe una sopravvenienza attiva pari all’importo del debito eliminato. Ad esempio, l’artigiano aveva un debito di €5.000 con un fornitore dimenticato, dopo 10 anni lo toglie perché prescritto: quei 5.000 diventano tassabili. Il Principio contabile OIC prevede che i debiti prescritti vadano stornati a conto economico come provento. Fiscalmente rileva a meno che si tratti di procedura concorsuale. Quindi la prescrizione di un debito genera utile tassabile per il debitore (speculare alla perdita deducibile del creditore). Questa è un’altra ragione per cui un imprenditore non può semplicemente gioire se un suo debito va in prescrizione: dovrà pagarci le imposte come se fosse un ricavo, salvo che fosse in situazione di dissesto (ma se poi fallisce, quell’utile fiscale non verrà mai tassato perché la procedura chiude).
  • Interessi moratori e sanzioni: un dettaglio fiscale: se un debitore non paga un prestito, maturano interessi di mora e magari penali contrattuali. Se poi il creditore rinuncia a tali interessi/penali, per il debitore c’è tecnicamente una sopravvenienza attiva (ha risparmiato quell’onere). Ma spesso, gli interessi di mora non sono mai stati dedotti dal debitore (perché li dedurrebbe solo se li avesse pagati, essendo oneri finanziari deducibili per cassa per le imprese sotto certe soglie) quindi la loro rinuncia non genera imponibile (per simmetria, art. 88 c.1 TUIR esclude le sopravvenienze derivanti da rinunce a spese mai dedotte). In pratica: se la banca condona gli interessi di mora, l’azienda debitrice non li aveva dedotti (perché non pagati), dunque la rinuncia non è tassata (c’è una norma in tal senso nell’art. 88). Discorso diverso per il capitale del prestito, che invece se era un finanziamento non è mai stato un costo dedotto (il capitale ricevuto non è un ricavo tassato, e la restituzione non è costo deducibile – in bilancio è passività vs liquidità). La remissione di tale passività costituisce ricavo tassabile salvo eccezioni.

In tabella riassuntiva fiscale:

EventoEffetto fiscale creditoreEffetto fiscale debitore (impresa)Riferimenti
Prescrizione del credito (perdita)Perdita deducibile nell’esercizio della prescrizioneSopravvenienza attiva tassabile (debito estinto senza pagamento)Art. 101 c.5 TUIR; Art. 88 c.1 TUIR
Rinuncia/condono del credito (stragiudiziale)Perdita deducibile se elementi certi (accordo scritto, atto notarile)Sopravvenienza attiva tassabile (importo condonato)Art. 88 c.1 TUIR (sopravvenienze)
Stralcio del credito in concordato o sovraindebitamentoPerdita deducibile (procedura concorsuale)Non tassabile (escluso da sopravv. attive)Art. 88 c.4-ter TUIR (esenzione concordati)
Pagamento del garante (fideiussore) al posto del debitorePerdita deducibile per creditore originario? (il creditore originario in realtà incassa, quindi non ha perdita; è il garante che eventualmente deduce se imprenditore)Sopravvenienza attiva per debitore principale se il garante poi rinuncia a rivalersi (caso di remissione del debito da parte del garante)Art. 88 (rinunce di terzi considerate come contributi?)
Morte del debitore e copertura assicurativa (cessione V)Indennizzo assicurativo incassato dal creditore (neutro per perdita)Debito estinto da assicurazione: nessuna tassazione per eredi/debitore (non impresa), per impresa analogo a condono da assicuratore (ma spesso cessione quinto è persona fisica)

Dalla prospettiva dell’imprenditore debitore, l’ideale è che un eventuale abbattimento del suo debito avvenga all’interno di una procedura concorsuale o accordo omologato, per non pagare tasse su somme che comunque non incassa. Altrimenti, paradossalmente, rischia di dover pagare imposte su un debito che non ha pagato (il che peggiora la sua situazione). Es. una ditta individuale con debito €100k, banca gliene condona 50k stragiudizialmente: quell’anno magari appare un utile fiscale di 50k su cui pagare IRES/IRPEF + IRAP, riducendo il beneficio del sollievo del debito. Fortunatamente il legislatore ha esentato i concordati e simili.

Infine, una nota sull’IVA: i prestiti di denaro e relativi interessi sono operazioni esenti IVA (art. 10 DPR 633/72), quindi il fatto che non vengano pagati non genera problematiche IVA (non c’è IVA né all’origine né su eventuali recuperi, salvo spese accessorie con IVA – ma di norma no). Questo diversamente da crediti commerciali su cessione di beni o servizi, dove il mancato pagamento e la prescrizione possono dar luogo a istanze di recupero IVA (nota di variazione). Per i prestiti no, perché non c’era imposta.

Ricapitolando la sezione fiscale:
Per il creditore professionale, un prestito non incassato rappresenta una perdita deducibile, specie al momento della prescrizione o dell’esito concorsuale. Per il debitore, un prestito non pagato che venga annullato costituisce un vantaggio economico che in certi casi è tassabile come sopravvenienza (a meno che avvenga in procedure protette esenti). La prescrizione di un proprio debito è anch’essa in teoria un evento attivo tassabile (ma spesso l’azienda debitrice in quelle condizioni ha risultati negativi che lo compensano). Queste implicazioni vanno tenute presenti nelle strategie di recupero e ristrutturazione: a volte conviene passare per il tribunale (concordato) per risparmiare tasse sull’abbandono di crediti.

9. Domande Frequenti (FAQ) su prestiti non pagati

Di seguito rispondiamo ad alcuni quesiti comuni per avvocati e imprenditori in materia di prestiti insoluti e relativi termini di prescrizione/decadenza.

D: Dopo quanto tempo un prestito non pagato “cade in prescrizione”?
R: In generale dopo 10 anni dall’ultima data in cui il credito era esigibile (ultima rata o scadenza contrattuale). Questo vale per mutui, finanziamenti e in genere crediti derivanti da contratto. Fanno eccezione alcuni crediti accessori (interessi non in rate, ecc., prescritti a 5 anni) e ovviamente se il creditore compie atti prima dei 10 anni, la prescrizione si interrompe. Quindi, se una banca non si fa viva per oltre 10 anni dall’ultima rata dovuta, il debitore può sollevare la prescrizione e non pagare.

D: Le rate non pagate di un mutuo si prescrivono in 5 anni ciascuna?
R: No. La Cassazione ha stabilito che il mutuo è un’obbligazione unitaria: non c’è una prescrizione per ogni rata, ma un unico termine decennale dall’ultima rata. Dunque non si può dire “sono passati 5 anni da quella rata, non la pago”; finché l’intero mutuo non è prescritto, anche le rate vecchie sono dovute (ovviamente con interessi di mora). Solo dopo 10 anni dall’ultima scadenza si prescrive tutto in blocco.

D: Ho saltato 3 rate del mutuo: la banca può già pignorarmi la casa?
R: In linea di massima, no subito. Di solito deve attendere almeno un certo numero di rate: per legge nei mutui fondiari servono almeno 7 rate non pagate (anche non consecutive), salvo che il contratto (per mutuo non fondiario) preveda diversamente. In pratica, dopo 3 rate la banca quasi certamente ti invierà la decadenza dal beneficio del termine (richiedendo tutto il debito), ma il pignoramento immobiliare di solito scatta dopo 6-7 rate non pagate consecutive, il che richiede almeno 6 mesi. Anche dopo la DBT, i tempi tecnici (ingiunzione, precetto) fanno sì che non avvenga nulla prima di qualche mese. È comunque fondamentale non ignorare le comunicazioni: se riesci a pagare le rate arretrate o rinegoziare prima che parta l’esecuzione, puoi evitare il pignoramento.

D: Cos’è esattamente la “decadenza dal beneficio del termine” e cosa comporta per il debitore?
R: È la perdita del diritto di pagare a rate. Il debitore “beneficia” del termine perché può pagare poco per volta; decadendo dal termine, diventa tutto immediatamente dovuto. La banca la dichiara quando il debitore è in grave ritardo (vedi sopra). Per il debitore comporta che: l’intero importo residuo del prestito è considerato scaduto e va pagato in un’unica soluzione, altrimenti la banca attiverà le vie legali. Di fatto, dopo la DBT, il contratto di mutuo si considera risolto e il debito residuo è “cristallizzato” per l’azione di recupero.

D: Sono garante (fideiussore) di un prestito; la banca non mi ha chiesto nulla per più di 6 mesi da quando è scaduto il debito principale. Posso ritenermi libero?
R: Molto probabilmente . L’art. 1957 c.c. dice che se il creditore lascia passare 6 mesi dalla scadenza senza agire giudizialmente, il fideiussore è liberato. Attenzione però: “agire” significa di solito iniziare una causa o ingiunzione; una semplice lettera potrebbe non bastare (anche se qualche giudice l’ha ritenuta sufficiente, non è sicuro). Quindi, se entro 6 mesi il creditore non ti ha notificato né un decreto ingiuntivo né un atto di citazione, hai un’eccezione di decadenza forte in tuo favore. Anche se avevi firmato di rinunciare a questo termine, sappi che quella rinuncia è considerata nulla. Ovviamente dovrai far valere la decadenza in giudizio se la banca dovesse chiederti il pagamento dopo i 6 mesi.

D: Ho un prestito con cessione del quinto; se perdo il lavoro cosa succede al debito?
R: In caso di cessazione del lavoro, il datore deve versare al finanziatore il tuo TFR maturato, fino concorrenza del dovuto. Inoltre c’è un’assicurazione obbligatoria che copre il rischio di perdita impiego: di solito paga le rate residue non coperte dal TFR (entro certi limiti temporali). Se trovi un nuovo lavoro, spesso la finanziaria può trasferire la cessione sul nuovo stipendio. In definitiva, nella maggior parte dei casi non rimane a tuo carico un debito “scoperto” se perdi il lavoro: viene estinto o comunque sospeso coperto dall’assicurazione. Se invece una parte non fosse coperta e la finanziaria te la richiedesse, si tratterebbe di un debito ordinario per cui potresti rimborsare appena possibile; ma succede di rado perché queste operazioni sono molto tutelate.

D: Un finanziamento a tasso usurario è valido? Devo pagare lo stesso?
R: No, un contratto di prestito non può prevedere interessi sopra la soglia d’usura (stabilita trimestralmente). Se ciò avviene, la clausola di interessi è nulla e non sono dovuti interessi (si devono restituire solo il capitale, al limite con interessi legali). Può capitare per esempio con interessi di mora molto alti sommati a spese. È una materia complessa: il tasso effettivo va calcolato includendo costi vari. Ma sappiamo che la Cassazione ha confermato che anche gli interessi di mora rientrano nel calcolo anti-usura e se superano la soglia, non sono dovuti interessi (moratori né corrispettivi) sul finanziamento. Quindi, se un imprenditore sospetta di aver firmato un mutuo a tassi usurari, può agire per far valere la nullità parziale e ridurre il dovuto. Questo però non cancella il prestito: occorre comunque restituire il capitale. Attenzione: questa eccezione va sollevata in giudizio con perizia, etc., non giustifica smettere di pagare un prestito unilateralmente.

D: Una banca ha venduto il mio debito a una società di recupero crediti, cambia qualcosa per la prescrizione?
R: No, la cessione del credito non incide sul termine di prescrizione, che continua a decorrere come prima. In pratica, se mancavano 3 anni alla prescrizione, anche per il nuovo creditore mancheranno 3 anni. Però spesso quando avviene la cessione, il nuovo creditore invia una comunicazione di sollecito o messa in mora che interrompe la prescrizione, facendo ripartire da zero i 10 anni. Quindi bisogna stare attenti: il cambio di creditore di per sé non rinnova i termini, ma quasi sempre il recuperatore sollecita il pagamento (anche con lettere aggressive) e quelle lettere sono atti interruttivi (se inviate con raccomandata/PEC). Se non ricevi nulla, la prescrizione prosegue indisturbata.

D: Ho ereditato un immobile con mutuo impagato da mio padre; la banca non ha fatto in tempo a pignorare prima della sua morte. Posso evitare di pagare?
R: Quando si accetta un’eredità si subentrano anche nei debiti. Se il mutuo non era stato estinto, gli eredi ne rispondono (nei limiti del valore dell’eredità se hanno accettato con beneficio d’inventario, altrimenti illimitatamente). La prescrizione continua a decorrere normalmente: la morte del debitore non interrompe la prescrizione. Quindi, se la banca era rimasta inattiva per molti anni e ha lasciato decorrere 10 anni, potreste eccepire la prescrizione. Ma attenzione: spesso le banche intervengono ben prima, magari iscrivendo ipoteca giudiziale o intervenendo nella successione. Se c’è un’ipoteca originaria sul mutuo, l’immobile ereditato ne è gravato e la banca potrà pignorarlo anche a distanza (fintanto che il debito non è prescritto e l’ipoteca è valida). Se non volete pagare i debiti del de cuius, l’unico modo sicuro è rinunciare all’eredità (o accettarla col beneficio d’inventario per limitare la responsabilità ai beni ereditati). In sostanza: ereditare comporta anche i mutui. Se però la banca non agisce e passa il tempo, potrete utilizzare la prescrizione a vostro favore come qualunque debitore.

D: Una volta ottenuta una sentenza o decreto ingiuntivo, ho tempo illimitato per eseguire?
R: No, anche i titoli esecutivi giudiziari hanno una prescrizione, in genere 10 anni dal passaggio in giudicato. Ad esempio, se ottieni un decreto ingiuntivo definitivo nel 2025, hai fino al 2035 per iniziare esecuzioni, salvo interruzioni (ogni precetto, pignoramento interrrompe di nuovo). Se lasci passare 10 anni senza fare nulla, il debitore può eccepire la prescrizione del titolo (ex art. 2953 c.c.). Nel caso di decreti ingiuntivi non opposti, la Cassazione assimila il non opposto a un giudicato: quindi 10 anni dalla scadenza del termine di opposizione. Comunque, i creditori attivi di solito rinnovano periodicamente le intimazioni per evitare decadenze.

D: Cosa succede se la banca si “dimentica” di rinnovare l’ipoteca dopo 20 anni?
R: L’ipoteca iscritta su un immobile dura 20 anni. Se non viene rinnovata, perde efficacia. Ciò vuol dire che, scaduti i 20 anni, il bene risulta libero da vincolo ipotecario verso terzi. La banca a quel punto, pur essendo magari ancora creditrice, perde la prelazione e non può più pignorare con lo status di creditore ipotecario (potrebbe ancora pignorare, ma come chirografario e se nel frattempo non sono intervenute altre ipoteche). In pratica, una ipoteca non rinnovata equivale a ipoteca estinta. Esempio: ipoteca iscritta il 1° marzo 2005, scade 1° marzo 2025. Se la banca non l’ha rinnovata entro quella data e tu vendi l’immobile, l’acquirente lo prende libero da ipoteca (potrebbe però esserci ancora il debito, ma senza garanzia reale). Quindi per il debitore è un’ottima notizia se la banca si scorda. Tuttavia, le banche sono attente a queste scadenze, difficilmente dimenticano di rinnovare, specie se sanno che il mutuo non è stato pagato.

D: Ho pagato spontaneamente un debito vecchissimo, posso richiedere indietro i soldi dicendo che era prescritto?
R: No. La regola è che una obbligazione naturale (come un debito prescritto) se spontaneamente adempiuta non dà diritto alla ripetizione (art. 2940 c.c.). Pagando, hai rinunciato implicitamente alla prescrizione. Potresti forse contestare se il pagamento non era spontaneo ma per errore o per ignoranza della prescrizione, ma è una strada in salita. In linea di principio, se decidi di pagare comunque un vecchio debito “per toglierti il pensiero”, poi non puoi pentirtene legalmente.

D: Un fallimento o liquidazione della società elimina automaticamente i debiti non pagati?
R: Per la società fallita, sì: al termine della liquidazione fallimentare (o liquidazione giudiziale) la società viene cancellata e i debiti insoddisfatti restano senza soggetto obbligato (in pratica “muoiono” con la società). I creditori non soddisfatti non possono più agire (possono solo eventualmente colpire soci con responsabilità illimitata se era una sas/snC). Quindi, dopo la chiusura del fallimento, si può dire che il debito “decade” perché la società non esiste più. Per la persona fisica fallita (imprenditore individuale) o sovraindebitata, serve l’esdebitazione: se concessa dal tribunale, cancella i debiti rimasti. Oggi la legge la concede quasi automaticamente a fine procedura se il fallito ha collaborato (artt. 278 e 282 CCII). Se non viene concessa, il debitore persona fisica tornerebbe comunque libero da azioni individuali dei creditori pregressi, perché durante la procedura le azioni erano bloccate e i crediti eventualmente prescritti… c’è dibattito se la prescrizione resti sospesa durante il fallimento per il periodo in cui non si può agire (probabile di sì, come causa sospensiva). In pratica però, ottenuta l’esdebitazione, i debiti personali residui sono cancellati definitivamente (eccetto quelli esclusi per legge, tipo debiti alimentari, risarcimenti da illecito, ecc.). Dunque, il fallimento/liquidazione è un’altra forma di “estinzione” del debito impagato, differente dalla prescrizione.

10. Conclusioni

Un prestito non pagato può “decadere” o estinguersi per varie ragioni: per decorso del tempo (prescrizione decennale), per inerzia del creditore nei confronti di un garante (decadenza semestrale del fideiussore), per effetto di procedure concorsuali o accordi (che scaricano i debiti), oppure semplicemente perché pagato da terzi (garanti, assicurazioni). Dal punto di vista giuridico, la prescrizione rimane l’istituto cardine: rappresenta il limite oltre il quale l’ordinamento non tutela più il credito rimasto inerte. Per i creditori, è essenziale attivarsi entro tali termini e conoscere le eccezioni di decadenza che possono liberare i garanti. Per i debitori e garanti, sapere che esistono questi “tempi massimi” permette di non subire passivamente richieste tardive e di difendersi efficacemente.

Nel panorama attuale (maggio 2025), abbiamo visto pronunce significative della Cassazione e novità normative:

  • L’orientamento che consolida la prescrizione unica decennale per i mutui rateali.
  • La tutela rafforzata dei fideiussori (nullità delle rinunce ai termini, decadenza in 6 mesi).
  • Le procedure di sovraindebitamento ora unificate nel Codice della Crisi, che offrono vie per uscire dai debiti senza dover attendere 10 anni di prescrizione.
  • In ambito fiscale, chiarimenti che la prescrizione attiva la deducibilità della perdita e funge da deadline per il creditore, mentre per il debitore in procedura concorsuale le remissioni non sono imponibili.

Per avvocati e imprenditori, la gestione di prestiti insoluti richiede dunque una visione a 360 gradi: legale, strategica e fiscale. Tempestività e conoscenza delle norme fanno spesso la differenza tra un credito recuperato e uno perso, o tra un’impresa salvata e una travolta dai debiti. Sapere quando un prestito non pagato può considerarsi definitivamente chiuso (per prescrizione o altre cause) consente di prendere decisioni informate: ad esempio, non buttare risorse inseguendo un credito ormai prescritto, oppure al contrario non rinunciare troppo presto se i termini non sono scaduti.

Infine, questa guida ha affrontato i casi tipici ma ogni situazione concreta può presentare sfumature particolari: consulenze mirate e aggiornamento costante sulla giurisprudenza restano fondamentali per affrontare efficacemente le questioni di crediti insoluti e relative responsabilità.

Fonti Utilizzate

Normativa:

  • Codice Civile: artt. 1218 (inadempimento), 2934-2963 (prescrizione e decadenza), 1936-1957 (fideiussione), 2808-2859 (ipoteca).
  • Codice di Procedura Civile: art. 2953 (prescrizione delle sentenze passate in giudicato).
  • D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180: Testo Unico sulla Cessione del quinto dello stipendio.
  • D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385: Testo Unico Bancario, art. 40 (decadenza dal termine nei mutui fondiari).
  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917: Testo Unico Imposte sui Redditi, art. 88 (sopravvenienze attive) e art. 101 comma 5 (perdite su crediti).
  • D.Lgs. 14/2019: Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (procedure di liquidazione giudiziale, concordato, sovraindebitamento – esdebitazione artt. 278-282).
  • L. 108/1996: Legge antiusura (definizione tassi usurari).

Giurisprudenza di legittimità:

  • Cass. Civ. Sez. III, 10/02/2023 n. 4232: mutuo bancario, “obbligazione unitaria – prescrizione decennale dall’ultima rata”.
  • Cass. Civ. Sez. Lav., 07/08/2024 n. 22362: cessione del quinto, illegittimità trattenute del datore per costi di gestione (il datore non può trattenere oltre il quinto per spese).
  • Cass. Civ. Sez. I, 12/12/2017 n. 29810: fideiussioni omnibus ABI, nullità per contrasto antitrust (confermato da Cass. Sez. Unite 30/12/2021 n. 41994: nullità parziale clausole ABI 2003).
  • Cass. Civ. Sez. Unite, 30/12/2021 n. 41994: principi su nullità parziale delle fideiussioni conformi schema ABI 2003 (clausole su reviviscenza, rinuncia 1957, ecc. nulle).
  • Cass. Civ. Sez. III, 23/05/2022 n. 16587: mutuo fondiario erogato da Ente pubblico (INPS), art. 40 TUB non applicabile – valida risoluzione dopo 2 rate non pagate.
  • Cass. Civ. Sez. III, 29/01/2024 n. 2600: tassi usurari e cessione del quinto – conferma nullità clausole che escludono rimborso costi in caso di estinzione anticipata (recepimento Lexitor).
  • Cass. Civ. Sez. I, 19/10/2017 n. 24643: interessi moratori usurari – la loro previsione oltre soglia comporta nullità ex L.108/96 e non sono dovuti interessi (moratori né corrispettivi).
  • Cass. Civ. Sez. III, 13/09/2018 n. 22458: termine di prescrizione di decreto ingiuntivo non opposto – decorre da scadenza termine opposizione (assimilazione a giudicato, art.2953 c.c.).

Giurisprudenza di merito / altri pronunciati:

  • Corte Appello Milano, 24/01/2023 n. 220: fideiussione a prima richiesta – sufficienza di diffida stragiudiziale entro 6 mesi ex art.1957 c.c. (orientamento citato).
  • Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 2021 (Cass. 16587/22): caso INPS mutui – art. 40 TUB non applicabile (vedi Cass. definitiva).
  • Collegio di Coordinamento ABF, Decisione n. 3576 del 20/03/2024: obbligo dell’intermediario di informare il cliente sulle condizioni di polizza a garanzia del credito (cessione quinto).
  • Collegio ABF Napoli, 03/01/2023 n. 75: caso TFR e cessione quinto – illegittimo trattenere interamente il TFR se il rapporto di lavoro prosegue altrove (il debitore ha diritto a incassare TFR se notifica nuovo datore al finanziatore).

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Conclusione

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